La leggenda di 'Griselda ' secondo Tommaso III, marchese di Saluzzo

36

Transcript of La leggenda di 'Griselda ' secondo Tommaso III, marchese di Saluzzo

La leggenda di 'Griselda' secondo Tommaso III, marchese di Saluzzo

MARCO PICCAT

Università degli Studi di Trieste

Se è piaciuta a molti, risultando per alcuni addirittura esemplare, per altri ba­sata su dati storici o, all'opposto, documento di pura fantasia, per lui è stata un pro­blema: Tommaso III di Saluzzo, residente a Parigi proprio negli anni della grande fortuna della leggenda di Griselda in terra di Francia, dovette presto imparare a conviverci.

Nella compilazione del Livre du Chevalier Errant 1, secondo la redazione del

codice parigino 2, il marchese di Saluzzo si occupa in due diverse occasioni della leg­

genda della sua celebre avola, contadina divenuta "fortunosamente" marchesa\ ri­tornata al lavoro dei campi e poi di nuovo marchesana; nella prima, da c. 138 r a c. 144 r, riassume la narrazione di Griselda quale era allora conosciuta, mentre nella seconda, da c. 172 r a c. 174, ne svela l'inedito antefatto.

La prima occasione compare durante l'incontro col maestro Orosio al quale il Cavaliere Errante chiede spiegazioni circa il comportamento mutevole di Madame Fortune, mentre la seconda è mostrata durante la descrizione della triste fuga da quel regno.

Per quanto attiene alla prima citazione, questo a tutta prima appare condizio­nato dalla rivelazione dell'identità reale del Cavaliere Errante al filosofo Orosio: il richiamo alla località di provenienza del giovane provoca infatti il racconto dell' av­ventura toccata alla più illustre rappresentante della sua famiglia:

«le philosophe ( ... ) il dist: "Sire chevalier, qui estez vouz qui ainsi ententivement me demandez nouvelles?". Le Chevalier lui respondi et lui declaira son nome et son affaire et, quant le philosophe l'a entenduy, il dist: "Et certes, sires, et je vous vueil racompter ce que ceste Dame (Fortune) a fait a une bien vostre prouchaine, que elle a pres de lui assise, et puis l'a malement triboulee et oultre mesure esprouvee" » 4•

La differenza, anche strutturale, tra i testi delle due sezioni è evidente già ad una prima lettura: l'autore, infatti, nel raccontare la prima, ordina lo svolgersi della storia attraverso una serie di capitoli preceduti tutti da rubriche esplicative, espe-

1 Cfr. Tommaso III dZ Saluzzo, Il Libro del Cavaliere Errante (Bn/ ms./r. 12559), a cura di M. Pic­CAT, Boves 2008.

2 Allegato A. J Cfr. M. PiccAr, GrZselda di Saluzzo tra Dante e Petrarca: dal 'silenzio' alla 'celebrazione', in Fran­

cesco Petrarca. L'opera latina: tradizione e fortuna, Atti del XVI Congresso Internazionale, Chianciano Pienza, 19-22 luglio 2004, a cura di L. SECCHI TARUG!, Firenze 2004, pp. 223-346.

4 Cfr. L. MMELLO, Le livre du Chevalier errant, in Tommaso III di Saluzzo, Il Libro cit., p. 411.

39

cliente non ampiamente utilizzato all'interno del suo Livre 5; nel narrare la seconda,

invece, nessuna suddivisione della lunga vicenda narrata è prevista. All'intitolazione d'inizio, infatti, «Ci commence l'istoire du Mirouer des dames

mariées, c'est assavoir de la haute et merveilleuse vertu de pacience, obedience, vraye humilité et constance de Griselidis, marquise de Saluces» 6, seguono le rubri­che, e i relativi capitoli:

« Comment le marquiz se consenti d' estre marié par la priere de ses barons et subgiez.; Comment le marquiz espousa Griselidis; Comment le marquiz commanda a son sergent de lui aster sa fille pour la esprouver; Comment le marquiz de Saluces esprouva derechief Griselidis sa femme; Comment le marquiz, en poursivant sa rigour et cruaulté, .xij. ans passés après leur ma­

riage fist semblant, par dissimulacion du pape, de prandre une autre femme; Comment Grisilidis se part pour raler chiez son pere acompaingniee de dames, de che­

valiers et de damoiselles »,

per concludere con:

« Comment, a l' entrée du grant disner des secondez nopces le marquis recongnut, de­vant tous, en presence de Grisilidis, comment il l' avoit moult de fois esprouvee ».

All'interno della tradizione della particolare historia l, la suddivisione in episo­di successivi, esperimentata in ambito teatrale con l'Estoire de Griseldis (1395)8, e poi con il cinquecentesco Mystère de Griseldis 9

, appare regolarizzata e ripresa nelle versioni a stampa del testo, a partire dagli incunaboli di Jean Cres e Robin Fouc­quet (Bréhant Loudéac), e di Guillaume Le Rouge (Troyes) 10•

Tommaso III non cita, cosa peraltro comune a quel tempo, l'autore o fonti di riferimento per la vicenda che narra.

La seconda citazione della leggenda di Griselda, all'opposto, interviene come occasione di dialogo tra il Cavaliere Errante e i suoi accoliti. La prima richiesta di conoscere meglio la storia dell'antica marchesa di Saluzzo viene avanzata dal «vale­ton Travaib che, dapprima apostrofa gentilmente il Cavaliere e, dopo aver ottenu­to il suo permesso, ricorda la presenza, alla corte di Dama Fortuna, di una «dame qui la estoit assise et que vous appartenoit »:

5 La suddivisione in rubriche potrebbe indicare la diretta ripresa del testo di Tommaso da una precedente e particolare fonte.

6 Cfr. RAMELLO, Le livre du Chevalier errant cit., pp. 411 e sgg. 7 Cfr. R. CoMBA, Le figure di Gualtieri e di Griselda da Tommaso III ad Andrea Cappellano: qual­

che considerazione per una ricerca sull'amore nel mondo cavalleresco, in Immagini e miti nello Chevalier Errant di Tommaso III di Saluzzo, Atti del Convegno, Torino, Archivio di Stato, 27 settembre 2008, a cu­ra di R. CoMBA e M. PICCAT, Cuneo 2008 (Marchionatus Saluciarum Monumenta, Studi, 9 = <<Bollettino della Società per gli Studi Storici, Archeologici ed Artistici della provincia di Cuneo>>, 139, 2008), pp. 125-131.

8 Cfr. L'Estoire de Griseldis en rime et par personnages (1395), publiée d'après le manuscrit unique de la bibliothèque Nationale, par M. RoQUES, Genève- Paris 1957.

9 Cfr. ibidem, p. XI. 10 Cfr. M. D. LECLERC, A. RoBERT, La pacience de Griselidis marquise de Saluces, in Mélanges of

/erts a Gérard Oberlé, Sainte Savine 1992.

40

«A cellui point advint que le valeton Travail dist: "Sire, il n'y a cy maintenant nul de nous qui riens die ne demande, mez, pour passer nostre chemin, je vous vueil faire une de­mande. Si vous prye, sire, que il soit de vostre voulanté que, se riens en savez, que le me vueilliez dire et respondre". Le Chevalier entent bien le dit a son valleton Travail, et lui dìst: "Dy, et je le feray". Lors dist Travail: "Il me semble qu'il a ja gran t temps passé que vous et nous feusmes en l'oste! celle haulte Dame, madame Fortune, ou nous veismes tantes choses et si fortes et desmesurees, mais entre les autres, je oy le vaillant et sage homme qui tant nous parla des choses de layens et des diversitez qui la estoient; mes, entre les autres, il me sou­vint comment il nous parla d'une dame qui la estoit assise et que vous appartenoit, et nous dist les diversités et forces que la Dame lui fist, et ce qu'elle endura et sa pacience et com­ment la Dame la assist depuis prez d'elle"».

In seguito il valeton arrischia, provocatoriamente, la domanda diretta che qua­lunque lettore della leggenda di Griselda si sentirebbe, al finale della storia, di for­mulare allo scrittore:

«Mais une chose me sembla moult estrange: que son mari, le marquiz Gaultier de Sa­luces, y fust si dur, et la cause pour quoy il ne se vouloit marier. Et ensievant, je vous prie que il vous plaise de moy dire les causes pour quoy le marquiz la triboula ainsi».

Il Cavaliere, sorridendo, non risponde dapprima al compagno di viaggio:

« Quant le Chevalier Errant entent le dist au valleton, il en sousrist, et puis n' en tint compte et n'y fist autre response »,

ma quando alla voce di questi si uniscono quelle del cavaliere Foy e della damigel­la Esperance, cioè di tutti gli appartenenti al suo piccolo seguito, acconsente final­mente alla richiesta:

«mais quant Foy, le chevalier, et Es/perance, la damoiselle sa suer, voyent que autre chose n'en vouloit respondre, si lui prient doulcement que, se autre en scet, qu'illi die. Et quant le Chevalier voi t la voulanté de toute sa compaingnie, si dist »,

qualificandosi come persona dalla completa conoscenza della vicenda:

«Et puisque vous le voulez, et je le vous diray sanz faillir, car de la pure verité je en suis bien informez ».

l. La storia di Griselda

La storia leggendaria di Griselda, contenuta nell'ultima novella del Decameron (1353) di Giovanni Boccaccio 11

, e riproposta in dimensione di 'historiam ... an fabu­lam' nella terza lettera del Libro XVII delle Seniles di Francesco Petrarca 12

, si era tramandata in antico francese, secondo gli studi di Henri Hauvette 13 poi ripresi da

11 Cfr. G. BoccACCIO, Decameron, a cura di V. BRANCA, Torino 1991, nov. X 10. 12 Cfr. De insigni obedientia et fide uxoria, G. Boccaccio, F. Petrarca, Griselda. A cura di L. C.

Rossi, Palermo 1991. 13 Cfr. H. HAUVETTE, Les plus anciennes traductions françaises de Boccace (XIV'-XVII' siècle), ex­

traits du Bullein Italien de 1907, 1908, 1909, Bordeaux 1909, pp. 98-105.

41

Elie Golenistcheff-Koutouzoff 14, inizialmente attraverso almeno due diverse versioni

anonime. La prima, compilata negli anni 1384-1389, parte de Le livre de la vertu et du

sacrement de mariage et du recon/ort des dames mariées 15, ha un titolo che richiama

il Ci commence l'istoire du Mirouer des dames utilizzato da Tommaso III. Secondo gli studiosi, ne è probabile autore il piccardo Philippe de Mézières 16

;

la versione è documentata oggi da una ventina di testimoni, tra cui i manoscritti. BnF. f. fr. 1175 17

, 1190 18, 1881 19

, 2201 20, 12477 21

, 24397 22, 24398 23

, 24868 24 e il nouv. acq. fr. 6739 25

), gli Arsenal nn. 2687 26 e 4655 27, e ancora altri segnalati in bi­

blioteche a Cambrai, Valenciennes, Londra, Bruxelles e Roma (due)28• Il gruppo, in­

dicato dalla sigla A, appare caratterizzato, sul finale, da un vistoso errore distintivo: l'espressione « annos ingenti pace» della fonte tradotta come « annos vigenti» 29

.

È insistentemente inserita in opere a tematica di maggior respiro quali il Mé­nagier de Paris 30

, o il Livre du Chevalier de la Tour Landry 31•

La seconda versione anonima, meno elegante 32, venne composta verso la metà

del X'J secolo. È conservata oggi in almeno diciotto manoscritti, di cui dodici alla BnF., i nn. f. fr. 239 3

\ 240 34, 739 35, 1122 36

, 1165 37, 1505 38

, 1834 39, 12459 40

, 20042 4\

14 E. GOLENISTCHEFF-KouTOUZOFF, L'histoire de Griseldis en France au XIV' et XV' siècle, Paris 1913, (ora Genève 1975), pp. 30 e sgg.

15 Cfr. L'Estoire de Griseldis, ed. B. CRAIG, Lawrence 1954, pp. 3 e sgg. 16 E. GoLENISTCHEFF-KouTouzoFF, Etude sur 'Le livre de la vertu du sacrament du mariage et du

récon/ort des dames mariées' de Philippe de Mézières, Sophia 1937; R. VILLA, Griselda sulla Senna. Tra 'Decameron' e 'Seniles' con Tommaso di Saluzzo e Christine de Pizan, in <<Belfagor>>, LVIII (2003), pp. 675-677.

17 Cfr. Catalogues de la Bibliothèque Impériale, I, Ancien Fonds, Paris MDCCCLXVIII, p. 197; la datazione, apposta ad inizio volume, rinvia al XV secolo.

18 Cfr. ibidem, p. 199, con datazione al XV secolo. l9 Cfr. ibidem, pp. 331-332, con datazione al XVI secolo. 2o Cfr. ibidem, p. 375, con datazione al XV secolo. 21 Cfr. H. 0MONT, C. CouDERC, Catalogue général des manuscrits /rançais, II, Paris 1896, p. 540,

con datazione al XV secolo. 22 H. 0MONT, C. CouDERC, L. AuvRAY et CH. DE LA RoNCIÈRE, Catalogue général des manuscrits

/rançais, II, Paris 1902, pp. 341-342, con attribuzione al XIV-XV secolo. 23 Cfr. ibidem, p. 342, con datazione al XV secolo. 24 Cfr. ibidem, pp. 462-463, con datazione al XV secolo. 25 Cfr. H. 0MONT, Catalogue général des manuscrits /rançais, Nouvelles Acquisitions françaises, II,

Paris 1900, p. 36, con datazione al XV secolo. 26 Cfr. H. MARTIN, Catalogue général des Manuscrits des Bibliothèques publiques de France, Paris,

Bibliothèque de l'Arsenal, III, Paris 1887, p. 7 6, con datazione al XV secolo. 27 Cfr. ibidem, IV, Paris 1888, pp. 422-423, con datazione al XV secolo. 28 Cfr. GOLENISTCHEFF-KouTOUZOFF, L'histoire de Griseldis cit., pp. 30 e sgg. 29 Cfr. ibidem, p. 33. 3° Cfr. VILLA, Griselda sulla Senna. Tra 'Decameron' cit., p. 675. Il Ménagier, composto intorno al

1393, pare opera di un maturo didatta e moralista borghese. Cfr. anche GoLENISTCHEFF-KouTouzoFF, L'histoire de Griseldis cit., pp. 124 e sgg.

31 Per l'autore e il contesto culturale del testo cfr. ora A. M. DE GENDT, L'art d'éduquer les no-bles damoiselles, Le Livre du Chevalzér de la Tour Landry, Paris 2003, pp. 21-75, con bibliografia.

32 Cfr. GoLENISTCHEFF-KouTOUZOFF, L'histoire de Griseldis cit., pp. 82 e sgg.

42

33 Cfr. Catalogues de la Bibliothèque Imperiale cit., I, p. 20, con datazione, ad inizio volume, 1414. 34 Cfr. ibidem, p. 20, con datazione al XV secolo. 35 Cfr. ibidem, p. 75, con datazione al XV secolo. 36 Cfr. ibidem, p. 189, con datazione al XV secolo.

24434 42 e il nouv. acq. fr. 4511 4\ e gli Arsenal n. 2076 44, Bibliothèque Mazarine n.

1559-1560 45 , Bibliothèque Sainte Genèvieve 46 n. 1994, con altri ritrovati nelle bi­blioteche di Grenoble, Chartres e Bruxelles, appartenenti tutti al gruppo indicato come B 47

A fianco di queste traduzioni autonome era comunque diffuso, quasi negli stessi anni, il testo di una differente versione, interna al Decameron in francese, re­datta da Laurent de Premierfait 48

Il successo della prima delle traduzioni indicate fu immediato: l'immagine di Griselda come «forte femme en vertu », non poteva sfuggire a tutti coloro che, ad inizio Quattrocento, esercitavano in Parigi il mestiere di scrittore; la stessa Christine de Pizan 49 ne subì il fascino, arrivando ad inserirla, con un'interpretazione del tutto personale, tra i personaggi esemplari della sua Citè des Dames 50

Elie Golenistcheff-Koutouzoff51, nella sua completa ricerca sulla diffusione del­

la leggenda griseldiana in Europa, è stato il primo tra gli studiosi moderni ad inte­ressarsi della versione attestata da Tommaso III, occupandosi esclusivamente della parte della leggenda di Griselda trattata per prima. L'autore ha così osservato come «Le texte de l'histoire de Griseldis, ( ... ), est un texte contaminé. Les deux traduc­tions en prose (A et B) y sont combinées d'une manière assez surprenante. Le titre provient du groupe A des mss de la première traduction, puisque dans la conclu­sion morale nous retrouvons la faute caractéristique de ce groupe », ma, secondo lo studioso, « des phrases entières sont empruntées à la deuxième traduction ».

37 Cfr. ibidem, pp. 195-196, con datazione al XV secolo. 38 Cfr. ibidem, p. 237, con datazione al XV secolo. 39 Cfr. ibidem, pp. 322-323, con datazione al XV secolo. 40 Cfr. 0MONT, CouDERC, Catalogue général des manuscrits /rançais cit., II, p. 540, con datazione

al XV secolo. 41 Cfr. AuvRAY, 0MONT, Catalogue général des manuscrits /rançais cit., III, Paris 1900, pp. 470-471,

con datazione al XV secolo. 42 Cfr. 0MONT, CouDERC, AuvRAY et DE LA RoNCIÈRE, Catalogue cit., II, pp. 370-372, con attri­

buzione al XV secolo (nota, al f. 230 v., «l'an mil CCCXLVr>>). 43 Cfr. 0MONT, Catalogue général des manuscrits français, Nouvelles Acquisitions cit., pp. 202-204,

con datazione al XV secolo. 44 Cfr. H. MARTIN, Catalogue général des Manuscrits des Bibliothèques publiques de France, Paris,

Bibliothèque de l'Arsenal, II, Paris 1886, pp. 403-404, con datazione al XV secolo (nota sul foglio A «Scriptum per manum meam, anno Domini Mill. o CCCC 0 secundo>>).

45 Cfr. A. MoLINER, Catalogue des manuscrits de la Bibliothèque Mazarine, II, Paris 1886, p. 119, con datazione al XV secolo.

46 Cfr. CH. KoHLER, Catalogue général des Manuscrits des Bibliothèquies publiques de France, Paris Sainte-Geneviève, Paris 1896, pp. 232-234, con datazione al XV secolo.

47 Per le varianti delle due traduzioni, cfr. già HAUVETTE, Les plus anciennes traductions françaises cit., pp. 102 e sgg.

48 Cfr. VILLA, Griselda sulla Senna cit., p. 675. 49 Per l'avventura culturale dell'autrice (1399-1405), cfr. F. AUTRAND, Christine de Pizan, Paris

2009, pp. 119-284; per una panoramica degli studi attuali, cfr. Christine de Pizan 2000, Studies on Chri­stine de Pizan in Honour o/ Angus f. Kennedy, edited by J. CAMPBELL and N. MARGOLIS, Atlanta 2000 e Contexts and continuities proceedings o/ the IVth International Colloquium on Christine de Pizan (Gla­sgow 21-27 july 2000), published in honour of Liliane Dulac, edited by A. J. KENNEDY, R. BROWN­GRANT, J. C. LAIDLAW and C. M. MDLLER, III, Glasgow 2002.

50 Cfr. GoLENISTCHEFF-KouTOUZOFF, L'histoire de Griseldis cit., pp. 126 e sgg. 51 GOLENISTCHEFF-KOUTOUZOFF, L'histoire de Griseldis cit., pp. 134-153.

43

24868 64 della BnF e nel ms. 2687 65 della biblioteca dell'Arsenal 66• Il primo e il terzo tra essi paiono compilati all'inizio del XV secolo, mentre gli altri lo sono stati più tardi, nell'arco dello stesso.

Anche l'organizzazione interna della storia, con la suddivisione in capitoli, co­me abbiamo ricordato all'inizio dell'articolo, si ritrova in questi quattro manoscritti. In particolare, rispetto all'elenco riportato, il testo seguito dai codici si arricchisce di altre due rubriche, « Comment le jour des nopces le maquis acompagnies barons et de chevaliers et de dames et damoiselles ala querre Grisilidis" 67 inserita tra la prima e la seconda citate e "Comment par le commandement du maquis le sergent se par­ti pour aller devers Griselidis » collocata invece prima dell'ultima. Tutte le altre pre­sentano, salvo lievi modiche 68

, la versione seguita nel testo di Tommaso III. Gli stessi presentano, parimenti alla versione di Tommaso III, la conclusione

morale del testo, «C'est a ssavoir que ceste histoire » 69 secondo la traduzione più antica 70•

È da notare poi che a precedere la nostra leggenda i mss. f. Fr. 1190 e 24397 della BnF e il 2687 della biblioteca dell'Arsenal portano il testo del Livre du cheva­lier de la Tour Ldndry pour l'enseignement de ses filles, mentre il f. Fr. 24868 della BnF risulta una raccolta di testi edificanti, scritti da differenti copisti e solo in un secondo tempo rilegati insieme 71 •

Per quanto riguarda le rubriche che abbiamo prima citato, è inoltre da segna­lare come quattro di esse si ritrovino, (anche se modificate ed abbreviate), nella ver­sione già citata del Livre de la vertu et du sacrement de mariage et du recon/ort des dames mariées di Philippe de Mézières 72 :

63 Cfr. ibidem, pp. XXXIII-XXXIV. Il manoscritto pergamenaceo, 86 fogli a due colonne, cm. 280 x mm. 220, presenta 1'Ystoire ai ff. 79 r - 85 v.

64 Cfr. GoLENISTCHEH-KouTOUZOFF, L'histoire de Griseldis cit., pp. 38-39. Il manoscritto carta­ceo, di provenienza "Sancti Victoris Parisiensis", è composto da 247 cc., mm. 210 x mm. l45. Presenta la leggenda di Griselda alle cc. 203 r - 220 r.

6S Cfr. DE MoNTAIGLON, Le livre du chevalier cit., p. XLII. Il manoscritto pergamenaceo, di 111 fogli, a due colonne, mm. 275 x mm. 195, presenta il testo a partire dal f. 102 r.

66 I codici sono siglati, nell'edizione GoLENISTCHEFF-KouTouzoFF, L'histoire de Griseldis cit., co­me PN 3,4,5 e PAl, pp. 34-36.

67 Ms. f. Fr. 1190 «Grisilidis son espouse». 68 Tra le varianti degne di nota notiamo che il f. fr. 1190, alla c.129 r., all'interno del primo capi­

tolo, inserisce lettera miniata senza trascrivere rubrica «lui distrent telz parolles: O>>, al titolo III «de oster a Grisilidis sa», al IV <<Comment quatre ans après le marquis esprouva Grislidis de rechief>>, al VI « se party pour aler>>, al VII « du disner ( ... ) esprouvee et loua sa vertu et sa pacience »; il f. fr. 24868, al titolo III, «Commenr le marquis a son sergant commanda», al IV «Comment .iiij. ans après le mar­quis de Saluces>>, al V «prendre aultre», al VII, «de Grisilidis il avoit moult»; anche il ms. f. Fr. 24397, alla c. 79 r., all'interno del primo capitolo, inserisce lettera miniata senza trascrivere rubrica «lui distrent telz parolles: O>>, al titolo III « Comment le marquis a son sergent commanda >>, al tit. IV « Comment quatre ans après le marquis ( ... ) esprouva Grisilidis de rechief», al V « semblant etr dissimulacion (. .. ) prendre autre >>.

69 Cfr. il ms. f. Fr. 24397 che, a c. 85 r., presenta la lettera miniata, del tipo di quelle utilizzate per i capitoli interni della storia, ad iniziare questo brano finale.

70 Cfr. GoLENISTCHEFF-KouTouzoFF, L'histoire de Griseldis cit., p. 135. 71 Tra gli altri, Le livre qu'on appelle des trois voies de Sapience, Vies des hermites, des apostres et

des evangelùtes, Revelacions que Nostre Dame fist à sainte Elisabeth fille au roy de Hongrie, La maniere du jour du jugement ( ... ).

72 Per il ms. f. Fr. 1175 della BnF, GoLENISTCHEFF-KouTouzoFF, L'histoire de Griseldis cit., pp. 153 e sgg.

45

la II,

« Comment le marquis espousa Griseldis à gran t solempnité et joye de la vertu et de la belle vie de la diete Griseldis, et comment le marquis après un an assaya et creusement esprouva s'espouse par une fille qu'elle ot de lui, et de la merveilleuse constance de la diete marquise »n,

la IV,

« Comment après .iii. ans vivans ensemble en tres gran t joye, le marquis de rechief et plus crueusement esprouva s'espouse Griseldis par un biau fil, qu'elle ot de lui, et la tres merveilleuse constance et pacience, autrefois en femme par aventure non oyé, de la diete marquise » 74,

la V,

« Comment le marquis, en poursuivant sa rigour et cruaulté, .xij. ans passés de leur ma­riage, fist semblant par dispensation du pape, de prendre une autre femme, et comment il renvoya iseldis, toute nue et deschaussé, excepté une seule chemise, en la maison de son po­vre pere et de la merveilleuse vertu et pacience de la diete Griseldis » 75 ,

e la VII

« Comment, à l' entrée du gran t disner des secondes noces le marquis recognut, devant tous en presence de Griseldis, comment ill'avoit tant de fois esprouvée et si rigoureusement, et comment la belle et josne danme de.vii. ans, qu'il devoit espouser, estoit sa fille et de Gri­seldis, et le fil aussy de .vii, ans qui estoit venus avec lui, lesquelx enfans il avoit fait nourrir secretement à Boulongne la crasse par sa seur, la contesse de Paniche, et comment il reprist s' espouse à gran t honneur Griseldis, en loant sa merveilleuse bonté, de la gran t joye qui fu ou palays de Saluce et de la fin gracieuse du marquis et de la marquise Griseldis » 76 ,

anche se diversamente collocate rispetto al testo del marchese. Allora, a questa prima disamina, il testo di Tommaso III sembrerebbe debito­

re, per quanto attiene alla struttura formale, ad una famiglia di manoscritti interna alla prima delle due traduzioni anonime in francese, ma in modo piuttosto libero e senza riferimento diretto ad un testimone particolare.

Il problema si chiarisce tuttavia se procediamo ad esaminare direttamente il modo della narrazione: Tommaso III, se non l'ideatore, è stato uno tra i primi ad utilizzare un testo di base della versione A in elaborazione verso la successiva stesu­ra B, nel tempo in cui questa andava a costituirsi. La sua posizione e le sue fre­quentazioni dell'entourage culturale della corte gliene favorirono certamente le pos­sibilità.

Tommaso, all'interno di una cornice che sembra propria del gruppo A, tra le altre caratteristiche testuali comuni alla trasmissione consueta dei testi del genere 77

,

73 Ibidem, p. 163. 74 Ibidem, p. 167. 75 Ibidem, p. 171. 76 Ibidem, pp. 178-179. 77 Tra gli espedienti più comuni, sono da segnalare i casi delle frequenti addizioni esplicative, ri­

spetto ai testi di fonte, come alla c.143 v. «Et vueillez sçavoir que, quelque chose que je t'ay fait, onc­quez ne fu t heure depuis que je t' espouse que je ne te tenisse et reputasse seule ma femme, quelque chi e-

46

rivela una costante tendenza a riassumere il brano della fonte, mantenendo tuttavia l'uso dello stesso periodare, delle medesime formule, e degli stessi aggettivi che ri­troviamo nel testo del tipo B, venendo a costruire una redazione nuova in cui è pos­sibile sottolineare almeno alcuni interventi particolari.

Le varianti che il marchese di Saluzzo presenta rispetto al testo di riferimento, riguardano i nodi fondamentali del racconto, la celebrazione della famiglia dei Sa­luzzo e le figure dei protagonisti, Gualtieri e Griselda.

Per il primo aspetto segnalo le differenti sottolineature apportate al testo di fonte in relazione alla nobiltà del lignaggio, ad esempio nella descrizione del corre­do della futura marchesa, I, degli abiti, II, del corteo dei nobili per il matrimonio, III, ... :

P 8, «Et touzjours faisoit faire anneaulz, robez, joiaulx, couronnes et tous habiz appar­tenans a damez, couronnes et tous habiz appartenans a damez, tellez comme il doit et puet appartenir a l'estat d'un grant seingneur comme il estoit, et les faisoit faire a la mesure d'u­ne autre pucelle qui estoit de la grandeur et fourme de la fille que il vouloit prendre » 79,

A: «Toutesfois le marquis avoit fait faire riches robes, couronne, fermaus, aniaux et joyaux à la fourme d'une pucelle qui de corps ressambloit à la povre vierge Griseldis » 80 ,

B: «fasoit faire aneaulx, couronnes, robes et joyaulx à la mesure d'une autre pucelle, qui estoit de la grandeur et forme d'icelle, que prendre vouloit à femme» 81 ;

II, «Et lors la commença a desvestir des robez qu' elle avoit vestuez, et la fist vestir de robez neufvez, tres richement comme il appartenoit a femme de t el gran t seingneur » 82 ,

A: «le marquis commanda que par les dames et matrones la pulcelle fust despouil­lyé ... et tantost revestue des riches draps et paremens des noces » 83,

B: «Et incontinent la commanda à devestir .. .la fist revestir de neuves robes tres riche­ment par les bonn es dames qui la estoient » 84;

III, «Et adone le marquiz, acompaingnié de grans seingneurs et dames, tant ses parens comme estrangiers, et hommes et femmes de tout son pays, soy faingnant aler au devant de la dame qu'il devoit espouser » 85,

A: « Lors Gautier, le marquis de Saluce, aussy comme il vausist aller encontre son espouse, se partde son palays et les chevaliers et dames à grans routes le suient » 86,

B: «le marquis, ainsi comme s'il alast au devant de sa femme, ist hors de sa maison acompaignié de plusieurs nobles bonn es dames » 87 ;

re que je te monstrasse>>; c. 143 v. «et la revestirent dez proprez draps premiers, et la parerent camme il appartenoit a marquise a telle sollennité et a telle joye comme plus pouoient, quar les enfans du mar­quiz estoient retournez>>; c. 143 v. <<"Tu es" dist il <<ma femme seule, et n'euz onques ne ja n'auray, jour que je vive, autre>>; c. 143 v. <<dont je ne croy mie que soubz le ciel soit qui ait veu ne esprouvé tant d'o­beissance en vraye et parfaicte amour de mariage que j' ay en toy, car se chascun le sçavoit comme je sais, nul ne le contrediroit ».

78 Il testo preceduto dal numero romano riporta la versione di Tommaso III; quello delle lettere A o B le versioni della traduzioni.

79 Cfr. RM!ELLO, Le livre du Chevalier errant cit., p. 413. 8° Cfr. GmENISTCHEFF-KouTOUZOFF, L'histoire de Griseldis cit., pp. 160-161. 81 Cfr. ibidem, p. 199. 82 Cfr. RAMELLO, Le livre du Chevalier errant cit., p. 414. 83 Cfr. GoLENISTCHEFF-KouTouzoFF, L'histoire de Griseldis cit., p. 163. 84 Cfr. zbidem, p. 200. 85 Cfr. RM!ELLO, Le livre du Chevalier errant cit., p. 413. 86 Cfr. GoLENISTCHEFF-KouTOUZOFF, L'histoire de Griseldis cit., p. 161. 87 Cfr. ibidem, p. 199.

47

Per il rimaneggiamento che subisce la figura del marchese Gualtieri, attraver­so la presentazione di Tommaso III, da notare ad esempio la presentazione iniziale del personaggio, IV, le sottolineature del rapporto di potere e di un sentimento mi­sto di 'humanité, pitié et d'amour' che lo lega ai famigliari e sudditi, V, VI,VII, VIII, IX e X, e soprattutto le testimonianze del rapporto d'amore che lo unisce a Griselda, XI-XVII e ai suoi famigliari, XVIII:

IV, « entre lesquelz estoit le plus noble et plus puissant en souveraineté et seingnourie, et estoit un marquiz qui estoit appellé par son nom Gaultier. Et lui appartenoit de son droit le gouvernement et dominacion de toute la terre de ce pays.Et estoit bel, jeune, fort et de tres moult noble et grant lignié et garni de toutes bonnez meurs et avoit moult grant scens; et neantmoins ne se emploioit que en jeunecez et esbatemens de chasser et voler et autres esbatemens pour soulacier et esbatre son corps honnestement sanz penser au temps advenir. Et n'estoit point marié, dont son pueple estoit moult troublé pour la grant amour qu'ilz avoient a lui» 88,

A: «entre !es marquis en ot un, appellé Gautier, seigneur sans per de celle noble con­trée,auquel tous !es autres marquis de la diete region, barons et chevaliers, bourgois et escuiers, marchans et laboureurs naturalment obeisoient. Le dit Gautier, marquis de Saluce, ewstoit biau de corps, fort et legier, noble de sang, riche d' avoir et de gran t seignourie, plains de toutes bonnes meurs et parfaictement garnis de dons de nature, de fortune et de grace. Une chose avoit en lui, cat il amoit fort solitude et n'acontoit riens au tamps à venir et quant on lui parloit de mariage, il n'en voloit ouir paroles.Toute sa vie estoit dediée en bois et en rivieres, en chiens et en oisyaux et du gouvernement de sa seignourie paou se melloit, pour quoy ses barons et son peuple estoient en gran t tristesce » 89,

B: « desquelz le premier et le plus gran t on treuve avor esté un marquis appelléz en son propre nom Wautier, au qel principaument appartnoit le gouvernement et dominacion d'icel­le terre. Bel et jeune seigneur estoit, moult noble de lignage et plus asséz en bonnes meurs et en somme noble en toutes manieres fors tans qu'il ne vouloit que soy jouer et esbatre et pas­ser temps ne ne consideroit point au temps ne es choses à venir. Et ainsy tan seulement à chacier et à voler prenoit son desduit et plaisir, ca de toutes autres choses peu lui chaloit. Et mesmement ne se vouloit point marier, dont sur toutes autres choses le peuple estoit courro­cie, en tant que une fois » 90•

V, « Lors esmurent !es bonnez et doulces parollez des bons et vrays subgiez ycellui marquiz; et respondi de so n pro p re mouvement » 91 ,

A: « Finées !es paroles, le marquis, meu de pitié et d' amour de ses subgiés, respondi doulcement et di t ainsi » 92 ,

R « Lors esmeurent l es doulces parolles de ses subgetz le dit seigneur, et respondi » 93 ;

VI, «soit par mon pourchas, soit par le vostre, a quelque femme que ce soit, vous l'on­nourerés, garderés, et obeyrez comme a moy mesmes » 94 ,

A: «celle que je prendray par ma election, quelle qu'elle soit, fille du prince des Ro­mains ou autre, vous le doyés entierement amer et honorer » 95 ,

48

88 Cfr. RAMELLO, Le livre du Chevalier errant cit., pp. 411-412. 89 Cfr. GoLENISTCHEFF-KouTouzoFF, L'histoire de Griseldis cit., pp. 157-158. 90 Cfr. ibidem, p. 195. 91 Cfr. RAMELLO, Le livre du Chevalier errant cit., p. 412. 92 Cfr. GOLENISTCHEFF-KouTOUZOFF, L'histoire de Griseldis cit., p. 159. 93 Cfr. ibidem, p. 197. 94 Cfr. RAMELLO, Le livre du Chevalier errant cit., p. 412. 95 Cfr. GOLENISTCHEFF-KOUTOUZOFF, L'histoire de Griseldis cit., p. 159

B: «Et quelconque qu'elle soit, vous l'aurez en honnour er reverence et pour dame la tendrez, comme se elle estoit fille d'emperiere ou de roy» 96

;

VII, «Et, pour la tres gran t et fervent amour que tout ton pueple a a toy, qu'il te ad­

monneste » 97 , A: «O tu marquis, nostre seigneur, l' amour que nous avons à toy nous donne»

98,

B: «Ton huumanité, sire marquis, nous donne hardiesse que toute fois que besoing

nous fai t parlions » 99;

VIII, «Mais moy, confiant en vostre bonne amour et loyauté, me vueil sousmectre a vo­

stre bon conseil et voulanté » 100,

A: «Toutefois, pour vostre amour, je me sousmes à vostre bon conseil et à vostre vo-

lentè >> 101,

B: «mais je me vueil soubmettre maintenant aus bonnes voulentéz et conseil de vous

mes subges >> 102;

VIII, «Et lors tous ensemble lui prometent de bon cuer, et ne leur sembloit paz qu'ilz en veissent ja l'eure ne le jour pour la tres bonne amour qu'ilz avoient a leur seingneur>>

103,

A: « Lors tous l es barons, chevaliers et subgés du marquis ... à une vois remercierent au

marquis leur seigneur >> 104,

B: «Et lors tous lui promistrent et d'un consentement moult voulentiers, comme ceulx à qui il ne sembloit pas que ja peussent voir le iour d es nopces »

105•

IX, « car ilz se tiengnent estre villenez qu'ilz soient subgiez a telle femme de pueple camme tu es, et toutevoiez je desire de tout mon cuer vivre et estre en bonne paix et amour avec eulz; pourtant je sçay qu'ilz m' aiment et ont chier » 106

,

A: « car il ont gran t desdaing d' estre subjés à dame yssye de menu peuple et de basse ligniè, et à moy, qui desire vivre en pais avec eulz, convient obtemperer et consenter à juge­

ment d' autrui >> 107,

B: « lesquelz se dient estre moult villenez qui soient subgés à telle femme de peuple camme tu es Or donques je cuidoie estre de tout mon cuer appaisié et vivre en paix avec

eulx, maintenant >> 108;

X, «Et pour ces parolles et autres choses que je sçay bien, je, qui desire avoir leur amour et ma paix, et doubtant de ma personne tant que je ne le t'ose pas bien dire, me font

souvent estre pensif et merencolieux >> 109,

A: « pour lesquelles paroles et doubtes je, qui desire vivre en pais avec mes subges et non mains pour la gran t doubte qe j' ay de moy meismes, sui contrains et esmeut de faire >>no,

96 Cfr. zbidem, p. 197. 97 Cfr. RAMELLO, Le livre du Chevalier errant cit., p. 412. 98 Cfr. GoLENISTCHEFF-KouToUZOFF, L'histoire de Griseldis cit., p. 158. 99 Cfr. ibidem, p. 196. 10o Cfr. RAMELLO, Le livre du Chevalier errant cit., p. 412. 101 Cfr. GoLENISTCHEFF·KOUTOUZOFF, L'histoire de Griseldis cit., p. 159. 1o2 Cfr. ibidem, p. 197. 103 Cfr. RAMELLO, Le livre du Chevalier erra n t ci t., pp. 412-413. 104 Cfr. GoLENISTCHEFF-KouTOUZOFF, L'histoire de Griseldis cit., p. 159. 105 Cfr. ibidem, p. 197. 106 Cfr. RAMELLO, Le livre du Chevalier errant cit., pp. 415-416. 107 Cfr. GoLENISTCHEFF-KouTOUZOFF, L'histoire de Griseldis cit., p. 165. 108 Cfr. ibidem, p. 202. 109 Cfr. RAMELLO, Le livre du Chevalier errant cit., p. 417. no Cfr. GoLENISTCHEFF·KouTouzoFF, L'histoire de Griseldis cit., p. 168.

49

B: « Lesquelles choses et parolles je, qui veil vivre en paix et en doubtant aussi de ma personne, me font vivre pensif et merancolieux? » 111 ;

XI, « Laquelle le marquiz araisonna en ceste maniere: « Grisilidis » dist il «il plaist a ton pere et a moy aussi que tu soyes ma femme, ou cas toutesvoyes qu'il te plaira. Si vueil oir ta responce et voulanté». «Monseingneur» dist la pucelle «ma voulanté est en mon pere et en toy>>. «Tu diz que bon enfant » dist le marquiz »m,

A: «A laquelle le marquis adreça ses paroles, et li dit "Griseldis, à ton pere et à moy plait que tu soyes m'espouse et je pense bien que tu ne me refuseras pas". Lors Griseldis (. .. ) respondi "Monseigneur, je congnois bien que je suis pas digne". "Il souffist" dit le mar­quis »m,

B: «Laquelle le dit marquis arrengna en ceste maniere "Griseldis, dist-il, il plaist à ton pere età moy aussi qye tu soie ma femme, mais je t'ay à demander et vueil savoir de toy" (. .. ) A ces choses (. .. ) respondi "Je-dist-elle, monseigneur, scay certainement que je ne suis pas di­gne". "C'est assez", dist-il» 114;

XII, «Nostre marquis mort, le nepveu J anicole sera nostre seigneur, et si noble pays se­ra subgiect a cel enfant derrenierement né», et si noble pays sera subgiect a cel enfant der­renierement né», et maintes telles parolles ou plus arguens, dont je ne fois pas mencion pour doubte de toy couroucier » 115 ,

A: « laissons Gautier morir, et le nepveu de J anicola sera nostre seigneur et si noble pays à tel seigneur sera subjet » 116,

B: «nostre marquis mort, le nepveu de Janicole sera nostre seigneur, et sy noble pays sera subjet à t el seigneur; et maintes telles parolles dist souvent le peuple » 117 ;

XIII, « aussi fait le p ape qui s'i consent, que je prangne une autre femme qui est ja en­voiee querre et sera bientost cy; mais je le t'ay dit le plus tart que j'ay peu pour toy garder de couroux, mais je ne le te puis plus celer » 118,

A: «et le pape le consent, que je doye prendre une autre femme que toy, laquelle est en chemin et sera tantost ycy. Soyes doncques de fort corage » 119,

B: «et le pape consent, que je preigne une autre femme, qui est ja envoié et sera tan­tost cy. Aies doncques bon couraige et fort » 120;

XIV, « pour quoy je te pri: combien que tu soyes petitement vestue, pren la charge de cecy, qui congnois mes meurs et sces les estaz de l' ostel. J' ay bien de quoy toy vestir autre­ment, mais se ma femme nouvelle appercevoit que feussez vestue nouvellement, elle, son pe­re et parens me pourroient avoir l en aucun suspecçon, don t je pourroye piz valoir » 121 ,

A: «Et pour ce que je n' ay pas à mon hostel dame ne metronne qui bien le seust faire (. .. ) je vueil que tu, Griseldis, non obstant ta povre robe et ton petoit habit, (. .. ) que tu em­prengnes la cure» 122 ,

50

111 Cfr. ibidem, p. 205. 112 Cfr. RAMELLO, Le livre du Chevalier errant cit., p. 414. 113 Cfr. GoLENISTCHEFF-KouTouzoFF, L'histoire de Griseldis cit., pp. 162-163. 114 Cfr. ibidem, p. 200. 115 Cfr. RAMELLO, Le livre du Chevalier errant cit., p. 417. 116 Cfr. GoLENISTCHEFF-KouTOUZOFF, L'histoire de Griseldis cit., p. 168. 117 Cfr. ibidem, p. 205. 118 Cfr. RAMELLO, Le livre du Chevalier errant cit., p. 419. 119 Cfr. GoLENISTCHEFF-KouTOUZOFF, L'histoire de Griseldis cit. p. 173. 12o Cfr. ibidem, p. 208. 12

1 Cfr. RAMELLO, Le livre du Chevalier errant cit., p. 421. 12

2 Cfr. GoLENISTCHEFF-KouTOUZOFF, L'histoire de Griseldis cit., p. 176.

B: «Toutesfoiz, ceans n'a à present qui proprement sceut ce faire, ( ... ) jasoit ce que tu soies mal vestue e povrement, pren la cusençon de cecy qui congnois mes meurs ~~ 12

3;

X'J, «le marquis avisa en son pouoir s'il appercevroit en aucune maniere que sa fem­me se changast en voulanté ou propoz comme femmes qui sont muablez et non constantez, mais oncquez, en quelque maniere que ce feust, ne se apperceust qu'elle se changast ou mua-

st aucunement » 124,

A: «Le marquis, toutes ces choses passées, conversant avec la marquise souventefois le regardoit pour veoir s'elle monstreroit envers lui alcun semblant cles choses trespassées »

125,

B: « avisa ( ... ) ledit marquis se sa diete femme se meuroit envers lui ou feroit semblant

en aucune maniere de ses enffans » 126;

X'JI, « Lors ploura forment le marquiz, et avoit le cuer moult estraint, et ne pouoit bonnement parler, mais touzjours vouloit encore esprouver la bonne constance de sa femme; en tournant so n visage que sa femme n' apperceust so n maintien »

127,

A: «Le marquis lors ne se pooit plus tenir de plourer de la pitié qu'il avoit de sa tres loyale espouse, tourna sa face et larmoyant il fist baillier une seule chemise et se parti»

128,

B: « Lors ploura forment de pitié le marquis si que à paine contenir se povoit. Et ain-

si, en tournant son visage, en parler tout troublé » 129;

X'JII, "Et me pardonne ce que j'ay fait de toy, car je l'ay fait pour toy esprouver et es­

saier » 130 ;

XVIII, «Et pour ce, une chose te vueil dire et demander, et te prie que tu me vueillez donner Grisilidis ta fille a femme et espouse et me vueillez tenir a gendre de ton bon gré et

consentement, et autrement non» 131,

A: « Par especial une chose de toy je vueil, c'est assavoir que tu me do nn es t a fili e pour espouse et moy, qui suis ton seigneur, tu doyes tenir pour gendre »

132,

B: «une chose toutesfois especiaulement vueils savoir se il te plaist bien que j' aye ceste tienne fil! e à femme et me vueille avoir ton gendre »m.

Per la figura di Griselda parimenti, riletta, sono da citare le modificazioni ap­portate alla prima comparsa in scena, XIX, il capitolo dalla fama raggiunta della marchesa, XX, le affermazioni circa le sue molteplici virtù, XXI-XXIII.

XIX, «Et quant le di t marquiz passoit par la quant il s' aloit esbatre pour chacier et vo­ler, mainteffois gectoit ses yeulz vers la pucelle, non pas pour jeune mignotise ou dellecta­cion, mais pour la grant humilité, vertu et pacience qui estoit en elle plus qu' en nulle femme de cel aage et estat; et a elle avoit son courage et voulanté, pour le bien qu'il veoit en elle et

avoit oy dire » 134 ,

m Cfr. ibidem, p. 210. 124 Cfr. RAMELLO, Le livre du Chevalier errant cit., p. 418. 125 Cfr. GoLENISTCHEFF-KouTouzoFF, L'histoire de Griseldis cit., p. 171. 126 Cfr. ibidem, p. 206. 127 Cfr. RAMELLO, Le livre du Chevalier errant cit., p. 420. 128 Cfr. GoLENISTCHEFF-KouTouzoFF, L'histoire de Griseldis cit., p. 174. 129 Cfr. ibidem, p. 209. 130 Cfr. RAMELLO, Le livre du Chevalier errant cit., p. 422. m Ibidem, p. 414. 132 Cfr. GoLENISTCHEFF-KouTOUZOFF, L'histoire de Griseldis cit., p. 162. m Cfr. ibidem, p. 200. 134 Cfr. RAMELLO, Le livre du Chevalier errant cit., p. 413.

51

A: «Le marquis ( ... ,) assés enfourmé par commune rennommée de la vertu et gran t bonté de ceste vierge Griseldis, en alant en son deduit, souventfois le regardoit en son cuer sa belle maniere et sa gran t vertu pesoit »m,

B: «mais par grat sapience sa gran t vertu » 136;

XX, « tant avoit en elle honneur, bonne maniere, scens et doulçour de parler, et en tout ce qu'elle faisoit tellement que chascun s'i delictoit; et mesmes ceulz qui oncquez ne l'avoient veue, mais seullement d'oir dire, couvoitoient la veoir pour le tres grant bien qui en elle estoit » 137,

A: «elle estoit de si belle vie et de si bonnes meurs et maures paroles que le corage de tous à lui amer elle attraioit ( ... ) mais des provinces d'entour et seigneurs et dames por sa bonne rennomée le venoyent visiter» 138,

B: «tant avoit en elle de honesteté, belle vie, bonne maniere, sagesse et doul­ceur ... tellement que mains hommes et femmes pour le gran t bien d'elle l' aloient veoir » 139

;

XXI, «non pas seullement de meurs ou mesnage appartenant a femme, mais, ou le cas le requeroit pour bien publique, tous descors ou debaz tant de ses hostez camme voisins et autres, elle adreçoit et apaisoit du tout, present son seingneur et absent » 140,

A: «la marquise non tant seulement du gouvernement de l'ostel et de ce qui appartient aus dames ... mais quant li cas si offroit es office de la chose publique ( ... ) que tous à une vois prechoyent que pour le salut de la choise publique ceste dame du ciel leur avoit esté en­voyée»141,

B: «non pas tant selement euvres en mesnage appartenans à femme ( ... ) mais, où le cas le requeroit, la chose publique adresçoit, ( ... ) que plusieurs la tenoient et disoient estre en­voiée des cielz au salut du bien commun publique » 142;

XXI, « pour ce, cuidoit la bonn e dame et mere qu'il alast faire quelque mauvais fait de sa fille, qui tant amoit camme mere son enffant, et neantmoins nul pleur, souspir ne gemis­sement ne fist qu'il peust estre par dehors apperceu, qui et neantmoins nul pleur» 143,

A: «et soupessonna que la fille devoit morir ( ... ) et sans souspirer ne aucun doleur monstrer, elle prist sa fille et longuement le regarda et doulcement le regarda » 14\

B: «et aussi cuidoit la bonne dame et simple qu'il alast faire mauvais fait de sa fillette que tant amoit, toutesfoiz, ne pleurs ne sospirs ne fist >> 145;

XXII, « Mon treschier et doubté seigneur, camme autrefois je le t' ay dit, encor je le te recorde que je car la et se il te plaist que je muire, je vueil mourir tres voulentiers, car la mort ne me pourroit estre si dure ou amere camme l'amour de toy m'est tendre et doul­ce» 146,

A: «Fay qu'il te plaise que je muer, et de ma bonne volenté je moray, car il n'a chose en ce monde, ne parens, ne amis, ne ma propre vie qui à nostre amour se puisse comparer» 147 ,

52

135 Cfr. GoLENISTCHEFF-KourouzoFF, L'histoire de Griseldis cit., p. 158. 136 Cfr. ibidem, p. 198. 137 Cfr. RAMELLO, Le livre du Chevalier errant cit., p. 415. 138 Cfr. GoLENISTCHEFF-KouTOUZOFF, L'histoire de Griseldis cit., p. 164. 139 Cfr. ibidem, p. 201. 140 Cfr. RAMELLO, Le livre du Chevalier errant cit., p. 415. 141 Cfr. GoLENISTCHEFF-KourouzoFF, L'histoire de Griseldis cit., p. 164. 142 Cfr. ibidem, p. 202. 143 Cfr. RAMELLO, Le livre du Chevalier errant cit., p. 416. 144 Cfr. GOLENISTCHEFF-KourouzoFF, L'histoire de Griseldis cit., p. 166. 145 Cfr. ibidem, p. 203. 146 Cfr. RAMELLO, Le livre du Chevalier errant cit., p. 417. 147 Cfr. GoLENISTCHEFF·KourouzoFF, L'histoire de Griseldis cit., p. 169.

B: «Et s'il te plaist que je muire, je vueil moris tres voulentiers, ne la mort ne se pour­

roit com parer à nostre amour » 148

;

XXIII, « sanz monstrer en aucune maniere nul signe de tristesse ou remors de prospe­

rité, qui sembloit es tre moult gran t merveillez, mais elle estoit reamplie de grace » 149

,

A: « sans monstrer samblant aucun de dolour ou courous (. .. ) en lui ne pooit apparoir acun signe de tristesse ne contenance de fortune prospre. Quel mervaille (. .. ) si s'estoit elle

toujours tenue povre d' esperit » 15°,

B: «Si que nul signe de tristesce, nulz remors de la prosperité qu'elle avoit eu ne fai-soit ou monstroit en aucune mamiere; et ce n'estoit pas merveille, camme en ces grans ri­

chesses tousiours ou pensée humble eust vescu et fust maintenue » 151

;

XXIV, «mais regracia cellui a qui elle s'estoit sousmise, c'estoit Dieu, et qu'il en feist

et ordonnast a son plaisir, sanz monstrer signe de doulour » 1)2,

A: « Ces froides nouvelles (. .. ) .vindrent aus oreilles de Griseldis (. .. ) celle (. .. ) prist cuer en soy et fu reconfortée attendant tout ce que celui auquel elle toute s'estoit sousmise en vau-

droit ordener »m, B: «Laquelle chose quant elle vint à la congnoissance de Griseldis, elle ne s'en esbayst ne mua en aucune mainere, ne ne changa soy, attendant que cil, à qui elle avoit soubmis tous

ses fais, en ordonnast à sa voulenté » 154

In questo modo, modificando le caratteristiche dei personaggi fondamentali della storia, e lavorando di lima sulle fonti, Tommaso III preparava una traccia per il suo successivo ed originale intervento in grado di chiarire, una volta per tutte, lo svolgersi reale della storia tracciata da Philippe de Mézières. Il colto segretario del re di Francia, in qualità di membro del Parlamento di Parigi era peraltro bene al corrente della lite che opponeva in quegli stessi anni i Savoia ai marchesi di Saluz­zo, regione che lo stesso aveva avuto modo di poter personalmente visitare

155

2. Il prosieguo Secondo R. Villa, per Tommaso III l'invenzione della complessa e traumatica

trama del prosieguo della leggenda di Griselda 156 si pone come simmetricamente op­posta all'attenzione alla dimensione allegorica e virtuosa della versione petrarche-

sca 157• Tommaso narra infatti la giovinezza di un suo antenato, figlio di Bertran, mar-

chese di Saluzzo e cavaliere errante in cerca di avventure, secondo gli ideali cultu-

rali del tempo:

148 Cfr. ibidem, p. 205. 149 Cfr. RAMELLO, Le livre du Chevalier errant cit., p. 421. 150 Cfr. GoLENlSTCHEFF-KouTouzoFF, L'histoire de Griseldis cit., p. 175.

151 Cfr. ibidem, p. 210. 152 Cfr. RAMELLO, Le livre du Chevalier errant cit., 419. 153 Cfr. GoLENISTCHEFF-KouTouzoFF, L'histoire de Griseldis cit., p. 172.

154 Cfr. ibidem, p. 207. 155 N. J ORGA, Thomas III, marquis de Sa luce. E tu de historique et Littéraire, avec une introduction

sur la politique de ses prédécesseurs et une appendice de textes, Saint-Denis 1893, pp. 39-40.

156 Allegato B. 157 Cfr. VILLA, Griselda sulla Senna cit., p. 677.

53

« ll avint que Bertran, marquiz de Salucez, ot un filz, lequel estoit moult bel chevalier et de gran t cuer. Sy lui en vint en voulanté d' aler ses aventures querre par maintes contreez estranges et loingtainez et, quant il ot cerchié prezque toute crestienté, il dist que encorez yra il oultre mer pour veoir et apprendre et travaillier pour honneur acquerre»

158,

il suo apprendistato presso il maestro di Rodi, il viaggio verso la Russia e la dimo­strazione delle virtù da prode. In ricompensa, il re di tutte le Russie, riconoscendo la nobiltà del lignaggio dei marchesi di Saluzzo, gli offre in sposa la propria amata

figlia:

« Guillaume, puisque ainsi est vostre voulanté, et je vous vueil toudis pres de mon cuer, car je vous vueil donner ma fille a femme, car je sçay l'ancienneté et la noblece de vostre li­nage, dont je sçay bien que assez l' arés chiere ».

Durante il viaggio il giovane scopre che la donna è incinta di un altro, decide allora di nascondere a tutti l'accaduto e si rifugia a Genova, dove, a tempo debito, viene accolto da Bertran e dai suoi sudditi e ricondotto a Saluzzo. Qui, alla morte del marchese Bertran, il giovane entra nella carica nobiliare che gli spetta mentre nasce il figlio della dama. Dopo qualche tempo nasce un secondo figlio, ma la ma­dre muore durante il parto. Passati diciassette anni, questo marchese viene anche lui a morire; alla lettura del testamento, non appare chiaro tuttavia chi debba essere il suo successore designato. Per tradizione, il titolo doveva spettare al primogenito maschio, ma il documento del marchese non faceva menzione della disposizione:

« Quant Guillaume fut mort, on ouvri le testament devant les nobles de son domine et, quant ilz voient tel dit, ilz sont moult esbahiz, car ilz cuident qu'il aye nommé son ainsné filz estre marquis et qu'il aye ordonné chevance a l' autre; ainsi l ne scevent que dire".

La lite tra i fratelli, «L'ainsné dist: "Je suis marquiz". L'autre dist: "Mes je le suy, car il ne t'a nommés plus que moy et il me semble qu'il ne nomme que un filz". Assés vous pourroye dire, mais fier et divers rio t y fu» accese la guerra nel marchesato finchè il marchese del Monferrato, zio dei contendenti, li obbligò ad una tregua e ad accettare il parere risolutivo delle università di « Bouloingne et ( ... ) toutes les cités d'Ytalie ou feussent estudez, et en France a Paris, a Orliens, en An-

gleterre ». Passati dieci mesi, alla festività di Pentecoste, il marchese del Monferrato, di

fronte a nobili e al consiglio, dopo aver fatto parlare i due contenendenti e precisa­to « Nepveuz, je ne sçay que ce sera, mais la voulanté de voz gens ne la moye n'est que ainsi destruiez le pays; pour ce, don c, veons que Dieu nous doma», invita gli

ambasciatori ad esprimere il parere raccolto. Secondo costoro il giudizio divino dovrà seguire un particolare rituale:

« que on prangne l' oz du destre braz du marquiz nostre seingneur qui mort est et que on face seingnier les deux enffans, chascun en la destre part de son braz, et que on mecte leur sang chascun par soy, et puis que sus l' oz du braz qui mort est soit tout bellement ver­sé; et dist le conseil que cellui qui sera son filz voirement se penra et se enveloppera et ten-

158 Cfr. RAMELLO, Le livre du Chevalier errant cit., pp. 482-486.

54

dra a l'az son pere, l'autre, qui riens ne lui sera, ne se tendra ja, ainz passera de dessus que

ja ne y pourra teindre ne ensanglanter l'az du braz».

Il rito, quasi prova del DNA, si svolge come previsto, e il sangue 159

del secon­do figlio ne rivela, attaccandosi all'osso, la reale paternità. Costui, conclude Tom­maso III, «fu cellui Gaultier, qui ne se vouloit marier pour telle cause, et disoit a soy mesmes que jamais ne venroit a tel plaist; et ce fu Gaultier le mari Grisilidis, qui tant essaya sa femme, et non obstant ce, moult l'amoit».

Così, conclude il marchese «Si vous ay di t ce que m' avez tant demandé ». Il tema intorno a cui è stata costruita questa parte, quella del riconoscimento

pubblico di paternità grazie al sangue, è motivo dalla lunga tradizione letteraria 160

;

le prime attestazioni compaiono infatti all'interno della letteratura ebraica 161

, nel­l' ambito di norme dal contratto affine a quelle previste nel Libro della Genesi

162:

« Blood, among the Jews, possibly because it was held to be symbolic of the soul, (. .. ) (Deut. xii. 23; cf. Gen. ix. 4), was an object of sacred awe. Blood being the seat of the soul, its prominence in folklore, where it is employed for the binding of compacts, the sealing of kinships, for remedial, superstitious, criminal, and even judicial purposes, is not a surprise to

the investigator » 161.

Nel Sefer ha-Hasidim (edizione di Basilea, 1581) 164 si trova l'antica leggenda di riferimento, attribuita al tempo di Sa'adyah Gaon (morto nel 942):

« There was a man, who went on a journey, taking with him his servant an d great wealth, and leaving his pregnant wife at home. It so happened that the master died and left considerable property, which the slave appropriateci without further ceremony, passing him­self off as the dead man's son and heir. When the son grew up (to whom the widow had gi­ven birth), he heard of his father's death and sought out the slave in order to claim his pro­perty, which was forcibly withheld from him. Finding him so highly connected with the fo­remost people of the day, the son was afraid to press his claim, lest he lose his life in the bar­gain for his pains, and repaired, instead, to Rabbi Sa'adyah ben Joseph, the Gaon. Food was placed before him, but he left it untasted until the entire story had been told. The Gaon ad­vised him to seek redress from the king, which he accordingly did. The king sent for Sa' adyah an d asked him to render judgment. He ordered both son and slave to be bled and the blood of each to be let into separate basins. Then he caused some of the bones of the dead merchant to be disinterred and dipped them first into the blood of the slave, but the blood was not absorbed; then into the blood of the son, and lo! the bone forthwith absor-

159 Per le tradizioni relative all'avversione a spargere il sangue per terra e alla sua raccolta sui cor­pi dei parenti, cfr. J. G. FRAZER, Tabù del sangue, in Il ramo d'oro, Torino 1973, II, pp. 355-359. Per una ricerca sul linguaggio del sangue, rituali, formule e credenze nelle tradizioni popolari, cfr. L. M. LoM­BARDI SATRIANI, De sanguine, Roma 2000, in particolare pp. 25-69.

160 Cfr. S. THOMPSON, Motfindex o/ folk-literature, III, Helsinki 1943 (ora Indianapolis 1975), n. H481.6 "Text of paternity"; T. ZACHARIE, Kleine Schri/ten, Bonn - Leipzig 1920, p. 305; e, all'interno del­la letteratura ebraica, BrN GoRION, Der Born ]udas: Legenden Miirchen und Erziihlungen, III, Leipzig 1918, p. 61; Dov. NEUMAN, Motifindex to the Talmudic-Midrashic Literature, Ann Arbor, Michigan 1954, s.v.

161 D. NEUMAN, Motifindex to the Talmudic-Midrashic Literature, Ann Arbor, Michigan 1954, III,

n.61. 162 Cfr. Genesi IX, 4. 163 Cfr. G. A. KoHUT, Blood Test as Proof of Kinship in Jewish Folklore, in <<Journal of the Ame-

rican Orienta! Society», 24 (1903), pp. 129-144. 164 Cfr. ibidem, p. 133 e J. WrsTINETZKI, Sefer Hasidim, Berlin 1891, p. 91.

55

bed it, for the two were one flesh. And in 'ad- yah restored the dead merchant's property to the rightful heir » 165

.

La più antica citazione del rito si ritrova nel testo delle Parables o/ Solomon 166,

importante collezione di leggende ebraiche, stampata per la prima volta a Costanti­nopoli nel 1516 ma molto più antica, e risalente, per alcuni studiosi, propriamente

al periodo Gaonico (VII-IX secolo) 167•

Johanan Allemanno (1435-1527), nell'introduzione al suo commento del libro dei Cantici, Heshek Shelomoh 168 , ricorda la vitalità della superstizione del sangue 'welling up' al momento del tocco dell'assassino, in proo/ o/ its credibility, rendendo evidente come le due diverse tradizioni possano in realtà venire abbinate

169:

« "Our fathers" tell the story, says the author, of a quarrel between two claimants, ea­ch disputing the other's right to an inheritance. Both declared themselves to be the legitima­te beneficiaries of the estate of a deceased father, and each accused the other to be the sla­ve.and not the son of the departed. No witnesses or any corroborative evidence being forth­coming, they repaired to the judge, who submitted each to the blood- ordeal. He bled both claimants and ordered the bones of the dead man to be brought to him. That being done, he dipped a piece of the bone in the blood of the two claimants, in the sight of all the people, "wrote their respective names on the blood," and held them until the following morning, when it was found that the blood of one cleaved to the bone, but that of the other remained unaffected. He decided this to be a conclusive proof of the blood-relationship of the rightful heir. In connection with this the author reports the tradition that the wounds of a person who had suffered a violent death break out bleeding afresh a t the touch of the murderer ».

Di qui passò nella raccolta latina delle Gesta Romanorum (il cui più antico ma­noscritto conservato data al 1342) 170 facendo riferimento a un re di Roma, il poten­

te Ezechias. Secondo questa versione l'uomo, costantemente impegnato in guerre contro il

re d'Egitto, aveva tre figli che molto amava. Per questo aveva esaurito tutte le ri­sorse del suo regno, al di fuori del possesso di un albero miracoloso che sanava tut­te le malattie (lebbra esclusa):

« Ezechias regnavit Rome qui tres filios habuit, quos multum dilexit. Rex ac imperator iste continue rixas habuit contra regem Egipti et omnia bona sua expendidit preter unam ar­borem, que in se magnam habuit virtutem sic quod ombes infirmi qui de fructu ejus come­derunt, sanitatem pristinam habuerunt excepta le bra» 171

165 Per una versione giudeo-tedesca della medesima, cfr. Simhath ha-Ne/esh, Sulzbach 1798, p. 11, e ancora in ambito germanico, A. H. TENDLAU, Buch der Sagen und Legenden judischer Vorzeit, Frankfurt am Main 1873, p. 368; KoHUT, Blood Test as Proo/ cit., p. 136.

166 Cfr. M. STEINSCHNEIDER, Hebraische Bibliographie, IV, New York 1972, pp. 38-39. Per la dif­fusione, in ambito medievale, del tema della sapienza di Salomone e di alcune sentenze dei suoi prover­bi, cfr. C. DELCORNO, I figli che saettano il padre, in Exemplum e letteratura, Bologna 1989, pp. 168 e

sgg. 167 Cfr. M. STEINSCHNEIDER, Manna, Berlin 1847, p. 101, e KoHuT, Blood Test as Proo/ cit., p. 136. 168 Sha'ar ha-.Heshek, ed. by J. B. M. HrAYYIM lBN BARUKH, Livorno 1790, p. 106. 169 Cfr. KoHUT, Blood Test as Proo/ cit., pp. 136-137. 170 Cfr. Gesta Romanorum, ed. H. 0ESTERLEY, Hildesheim 1963, n. 196, pp. 608-610. Il testo se-

gue la versione del codice germ. 81. 171 Cfr. ibidem, p. 608.

56

- ---- --- -- - -- ------ ------ -- ----

Venuto il tempo della morte, Ezechias chiamò il primo figlio e gli disse che sa­rebbe stato erede «de eadem arbore( ... ) omne quod est sub terra» 172

Al secondo lasciò invece « omne quod era t in altitudine et in summitate ». Al terzo confessò di lasciare invece « omne quod est siccum et humidum in il­

la arbore» . In questo modo, prima di spirare, ricevette un'accorata benedizione da parte di tutti e tre i figli:

« Deus celi et pater celi et terre retribuat tibi pro hac donazione vitam eternam ».

Alla morte del re, il primogenitò si recò ad occupare l'albero come fosse sola­mente suo. Alle proteste del secondogenito rispose che il padre glielo aveva lasciato per testamento:

«Jure ereditario, quia pater meus dedit mihi de illa omne quod est sub terra et ideo to­tum arborem tamquam meam occupare volo».

Il secondo figlio gli obiettò di avere ricevuto anche lui, per testamento del pa­dre, parte dell'albero:

«Parer meus dedit mihi summitatem arboris et latitudinem et ideo arbor est mea in tantum sicut et tua».

L'intervento del terzo figlio, anche lui con proprietà di parte dell'albero per volontà paterna, venne ulteriormente a complicare i raporti:

«Carissimi, quare arborem magis vultis habere, quam ego, quia pater meus dedit mihi de ligno omne quod est siccum et humidum? Es ergo arbor in tantum mea sicut et vestra ».

Il giovane tuttavia propose subito ai fratelli di recarsi insieme da un re, loro vi­cino, per chiedere la sua sentenza ed evitare di creare della discordia all'interno del­la famiglia. Il re, sentita la questione, convocò il primo dei figli e ordinò ai suoi ser­vi di prendergli un po' di sangue dal braccio destro:

« Rex cum audisset raciones eorum dixit primogenito: Tu petis illud de arbore quod est sub terra, ergo oprtet ut primitus sis minutus de sanguine tui corporis, et fecit balneatorem sanguinem de dextro brachio extrahere».

Poi fece estrarre dal sepolcro il corpo del padre e prendere un osso. Dopo aver fatto nuovamente seppellire il cadavere, prese l'osso e lo fece bagnare nel san­gue estratto dal primo figlio. In seguito lo fece esporre al sole affinché il sangue vi aderisse il più possibile. Fatto questo, comandò che l'osso venisse nuovamente lava­to: allora il suo colore tornò naturale come se il sangue non avesse lasciato traccia:

172 Per il particolare dell'albero in eredità contesa cfr. J. KLAPPER, Erziiglungen des Mittelaltersin deutscher Uebersetzung und lateinischem Urtext, Breslau 1914, pp. 389-390, e inoltre Th. ZACHARJAE, Ein salomonisches Urteil (Gesta Romanorum 196), in «Zeitschrift des Vereins fiir Volkskunde», XXV (1915), pp. 314-326 con riferimento al motivo nel Renart le Contre/ait, ed. G. RAYNAUD, H. LEMAÌTRE, I, Paris 1914, pp. 93-95, vv. 8913-9014, e nel Mystère du Vie! Testament, ed. J. DE RoTHSCHILD, IV, Paris 1882, pp. 329-383.

57

« Ac illi indicantes locum, rex vero feci t patrem extumulare et unum os de corpore ejus extrahere et iterato eum sepelire. Hoc facto vocavit servos suos et ayt: Accipe os illius regi mortui et in sanguinem primogeniti influite ut sumat de sanguine inquantum potest. Hoc fac­to illd os ad solem posuerunt ut sanguis firmiter et fortiter adhereret oss. Cum autem os ex­siccatum esset et cruentatum appare(re)t, tunc precepit rex ut lavaretur; statim cum lotum fuisset sanguis evanuit et os in suo colore permansit ut prius ».

La stessa prova venne effettuata con il sangue estratto dal braccio destro del secondo figlio, ma ancora, l'osso del padre, dopo l'accurata lavatura, riprese il suo

colore naturale:

«Tunc ait rex secondo filio ut primo, qui eciam sanguine minutus est, et os patris in sanguine involutum est et in sole positum et desiccatum et os illud lavaretur sanguis iterum evenuit et os in suo colore permansit ut prius ».

Infine, la stessa sorte toccò al terzo figlio. In questo caso, tuttavia, dopo la so­lita accurata lavatura l'osso rimase, alla vista di tutti, sanguinolento:

«Hoc audiens rex ait juniori filio: Oportet te minuere sicut et fra tres tui, quod factum est; et cum os patris in sanguine positum fuisset et in sole desiccatum, et cum os illud lava­retur sicut prius, tamen propter locionem et fricacionem non potuerunt sanguinem svellere

neque separare quin os esset cruentatum».

Il re saggio emise allora il suo giudizio in quanto la prova aveva chiaramente identificato quale dei tre fosse il figlio legittimo, il terzo, in quanto il sangue di que­st'ultimo era l'unico ad esser stato generato dall'osso di Ezechias. Mentre gli altri contendenti erano nati in modo non legittimo e da adulterio, al figlio minore com­petevano tutta l'eredità e il regno.

« Quo viso ait rex: Tu es vere ejus legittimus, nam sanguis tuus ex osso isto processi t; fratres autem tui sunt non legittimi sed ex adulterio nati, Do ergo tibi predictam arborem in

hereditatem ad possidendum ».

Le Gesta Romanorum completavano il racconto con una spiegazione mistice: il principe della storia era figura di « dominus noster Ihesus Christus, qui pugnavit contra regem Egipti, id est contra ipsum dyabolum, et omia in guerram expendi­dit »; l'albero era invece figura di quello di Santa Croce: tutti coloro che ne guste­ranno i frutti, ricordando la Passione di Cristo, saranno salvati. Per i malati di leb­bra, unica eccezione al progetto di salvezza dell'umanità, sarebbero da intendere tutti quelli che disperano della misericordia divina:

«iste imperator nichil retinuit nisi arborem id est sanctam crucem; et quicunque gusta­verit de fructu illius arboris id est quicunque passionem Christi in memoria et in mente ha­buerit, quocunque morbo egrotaverit sanitatem recipiat per veram penitenciam et confessio­nem et contricionem cordis excepta lepra, id est disperazione de misericordia Dei que dici­tur esse peccatum in Spiritum Sanctum; ergo non salvabitur nec hic nec in futuro».

Per i tre figli stanno invece « tria genera hominum »: in luogo del primo i ric­chi e i potenti, che hanno tutto «in aere et in terra», soggetti ai peccati della su-

perbia e della lussuria,

58

« primogenitum designantur potentes et divites quibus datur hic sub et su per scilicert in aere et in terra, quia omnes subjacent eis propter divicias quia illis venir aliqua superbia et luxuria que turtum delet, ita quod lotum mon habet nec penitenciam in talibus nec justicia»,

per il secondo, i giudici « tam seculares quam spirituales », che preferiscono i doni al giudicare con giustizia,

«qui plus curant munera quam juste judicare, un de : Acceperunt munera et perverte­runt judicia. Isti duo filii nullomdo arborem crucis possidere nec fructum ejus gustare».

mentre, per il terzo, i «Cristiani simplices », tutti quelli che sostengono le sofferen­ze per amore di Dio:

«Per tercium filium designantur Cristiani simplices, quorum sanguis non potest deleri, quia quam plura mala et adversa propter Deum sustinent, unde: Et beati qui persecucionem paciuntur » 173 •

Del motivo dovettero esistere differenti versioni nelle lingue romanze: né è prova il testo portoghese contenuto nella raccolta di leggende rabbiniche dal titolo Liuro que contem diversos contos, susesos e exemplos de grande moralidade e docu­mento para entretenimento e introducao dos animos virtuozos nos caminhos de Deos, tirados e traducidos de diversos Liuros hebraicos, por ordem de Ishack de Matatia Aboab e copiado por seo sobrinho Semel Curiel, Amsterdam, Anno 5436. In questo, col riferimento al «tempo del Rey David », si narra la vicenda di un'eredità contesa tra due giovani e del giudizio espresso dal re Salomone, incaricato ad emettere la sentenza per concessione del padre. Salomone chiese di conoscere il luogo della se­poltura del morto « Salamao perguntou a aquelle mansebo se sabia em que lugar estava enterado so pay, e rispondendo que nao, perguntou o mesmo e a criado que dezia era o defunto seo pay, respondeo que sy sabia aonde estava enterrado ».

Una volta recuperato il cadavere, il re ordinò che gli si tagliasse un braccio e che questo venisse in seguito intinto in un vaso con il sangue dei due contendenti. Mentre, alla fine del rito, per il primo dei due non si verificò nulla di particolare, «tirando o outra vez do sangue nao tingui couza algua», il secondo sollevò il brac­cio paterno completamente vermelho a segno della legittimità della paternità. Per questo motivo « Salamao restituise o criado t oda a facenda a olegitimo filho » 174

.

All'interno della letteratura francese medievale, ad un tema dal contenuto affi­ne ancora documentato da un episodio delle Gesta Romanorum 175

, poi tradotto in francese e divulgato con titolo Comment seullement les bons parterciperont au royaulme des cieulx attraverso le edizioni de Le Violer des Histoires Rommaines 176

, si accenna nel Fabliau, intitolato Le ]ugement de Salomon 177

, indicato come possibile

173 Cfr. ibidem, p. 610. 174 KoHUT, Blood Test as Proo/ cit., pp. 139-140. 175 Cfr. nota 169, la vicenda, n. 44, è alle pp. 123-125. 176 Cfr. Le Violer des Ilistoires Rommaines, cd. critique par G. HoPE, Genève 2002. 177 Cfr. BARBAZAN, Fabliaux et contes des poètes /rançois des XI', XII', XIII', XIV' et XV' siècles,

Paris, pp. 410-412. Il fabliau è tratto dal ms. BnF f. fr. n. 7218.

59

------------~ ~-~-~-

imitazione di « contes orientaux » 178 , in cui due fratelli, in contesa per l'eredità, ven­gono dal re Salomone per ottenere il giudizio.

Il testo racconta la vicenda di un potente « Prince de Saissone », ricco e po-

tente, padre di due figli,

«un douz et un amer, et si furent d'une ente».

Alla sua morte, ancor prima della sepoltura, il maggiore richiede l'eredità che gli compete, suscitando l'opposizione del minore:

«Signor, ce dist l' ainsnez, entendez mon langage, Nostre peres est mort, si i avons domage: Entre moi et mon frere departez comme sage L es liez, si que chascuns tiegne so n heritage .... Li mainsnez respondi dolenz à morne chiere, Ha! Frere, que dis-tu? nostre pere est en biere: Sueffre qu'enterrez soit, puis ferai ta proiere».

Anche tutti i baroni di quella terra pregano il figlio di aspettare la sepoltura del padre, ottenendo però un secco rifiuto:

«Li baron li deprient tant seulement s' atart Que li cors soit en terre, puis feront son esgart. Seignor, je n'el feroie por tout l'or d'Avalon».

Alla celebrazione del rito funebre partecipa anche il re Salomone che, cono­sciuto l'incidente, chiede che i due contendenti si presentino a lui, e ne osserva at­tentamente i rispettivi comportamenti:

« Quant li rois entendi de l' ainsné la demande, Lui et son mainsnè frere à lui venir commande: Li ainsnez quiert les fiez dont il fu molt engrande, Et li mainsnez parole d' aumosnes et d' offrandes Qu'en face por son pere qui tant fu debonere, Et li ainsnez ne cesse de cier ne de brere ».

Salomone decide allora, « puisque l' ainsnez le veut, il le covient à fere », che il giudizio abbia luogo con una singolare procedura:

« Fetes là hors fichier une estache molt fort, Puis ostez de la biere cel homme qui est mort, Et à icele estache liez le cors bien fort, Fetes tost mon regart sanz nul delaiement».

Gli incaricati si prestano subito a prelevaree dalla bara il corpo del morto e ad innalzarlo ad una estache, suscitando la meraviglia delle persone sagge invitate alla

celebrazione del rito:

178 M. LEGRAND D'AussY, Fabliaux ou contes, fables et romans du XII' et du XIII' siècle, II, Paris MDCCCXXIX, Le ]ugement de Salomon, pp. 429-432; per la diffusione del motivo, cfr. S. THOMPSON,

Motzfindex o/ /olk-literature cit., n. H486.2 «Test o/ paternity: shooting at father's corpse ».

60

«Li plus sages d' aus toz durement se merveille Du cors que Salemons en cel point appareille: Mès li rois par itant bien lor monstre et arteille Que li fols orguillex à fere li conseille. Les freres fist monter aus deus sor lor chevaus, A chascun fist doner une !ance poingniaus ».

Salomone invita, di seguito, i due contendenti a colpire con la lancia le spoglie mortali del padre 179 , come fossero quelle di un nemico mortale o di uno da cui ci si

dovesse difendere:

«Or verrai, dist li rois, liquel est plus isniaus, Et qui miex assaudroit ses anemis mortaus, Et mex se deffendroit sei nus li fesoit guerre. Véez-vous là cel cors qui est seur cele terre, Or i voist cil ferir qui l' onor veut aquerre, Qui plus parfont ferra, plus aura de la terre».

Il figlio maggiore, prontamente, accetta la sfida e colpisce il cadavere:

«Vai t ferir le mort homme et sor cuir et sor ners, Que deus granz aunes longues en passe outre li fers »,

ultimando l'azione col grido:

«Signor, j' ai bien feru, si camme il m'est avis».

Il figlio minore invece, tremante per l'ira, esplode contro il comportamento del

fratello:

« Sire-dist-il au roi, cist n'est pas mes amis. Quant mon pere a feru, il est m es anemis »,

e, alla richiesta ulteriore di Salomone:

«Va ferir, dist li rois, il est mort, toi que chaille? »,

precisa il suo intervento, dichiarandosi deciso a colpire non già il cadavere del pa­dre, ma lo stesso fratello maggiore divenuto suo nemico:

«Qui mon pere ferroit el pis ou en l' entraille, Certe je n'el ferroie por l'or de Cornuaille, Mès celui qui l'a feru ocirrai-je sanz faille!».

Di fronte a questa risposta Salomone, con prontezza, emette il suo sicuro giu­

dizio:

179 La medesima vicenda, con lievi varianti, si ritrova nei Contes tartares: un califfo muore la· sciando quattro figli, ognuno dei quali pretende di subentrare al padre nel governo. Mentre iniziano le avvisaglie di una vera e propria guerra civile, il popolo decide di scegliere come giudice della contesa il primo straniero che enterà in città. A svolgere l'arduo compito è un anonimo calender che propone ai quattro contendenti la medesima prova che nel Fabliaux è avanzata da Salomone. Anche in questo caso, il figlio che rifiuta di compierla risulta il "legittimo" erede.

61

ALLEGATO A

Ci commence l'istoire du Mirouer des dames mariees, c'est assavoir de la haute et mer­veilleuse vertu de pacience, obedience, vraye humilité et constance de Grisilidis, marquise de

Saluces. Au pié cles mons, en un costé d'Ytalie es co[n]fines de Pymont en Lombardie, aussi

come au pié de la grant montaingne que se nomme Mont Visoul, qui devise France et Yta­lie, en une contree longue et lee et tres bien habitee d' aucunes citez et chasteauz et villez, la avoit pluseurs noblez et puissanz seingneurs, entre lesquelz estoit le plus noble et plus puis­sant Il [C. 138v.] en souveraineté et seingnourie, et estoit un marquiz qui estoit appellé par son nom Gaultier. Et lui appartenoit de son droit le gouvernement et dominacion de toute la terre de ce pays; et estoit bel, jeune, fort et de tres moult noble et grant lignié et garni de toutes bonnez meurs et avoit moult grant scens; et neantmoins ne se emploioit que en jeune­cez et esbatemens de chasser et voler et autres esbatemens pour soulacier et esbatre son cor­ps honnestement sanz penser au temps ad venir. Et n' estoit point marié, don t son pueple estoit moult troublé pour la grant amour qu'ilz avoient a lui.

Et advint une foys que cles plus notablez et discrez de son pays, entre lesquelz en y avoit .j., sage bel parliers, qui le dit seigneur entre les autres avoit moult agreable, lequel, du consentement de tout le pueple et eulz presens, va dire ainsi: « Sire Marquiz, ton humanité nous donne hardement que touteffois que besoing nous est, nous parlons a toy feablement. Et pour ce, de par tous tes hommez et subgietz, je te vueil dire que tous tes fais nous plai­sent, et nous tenons bien eureux de ce que nous t' avons a seigneur. Et, pour la tres gran t et fervent amour que tout ton pueple a a toy, qu'il te admonneste, se il te plait, que tu te vueil­lez marier sanz plus longue distance, car le temps se passe et s'en va, non obstant que tu soyes jeunez et en ta fleur, et aprés jeunece vient viellece qui la suit de prez; et est la mort commune a tous aagez, et ne lui puet nul eschapper, et ne scet on quant, ne comment. Et pourtant nous tous enlsemble te suplions humblement que tu vueillez otemperer a nostre re­queste, aussi vrayement comme il n'est chose que tu nous vueillez commander que nous ne vueillions acomplir de tout nostre pouoir. Et ce ne puez tu ou doys reffuser, veu que de ton pouoir obeis du tout a raison, affin que nous ne demourions sanz seingneur et gouverneur qui soit aprés toy. Et nous te querrons telle femme qui sera digne de toy avoir et de si bon­ne lignié ou generacion que par raison devras esperer ton bien d'elle».

Comment le marquiz se consenti d' estre marié par la priere de ses barons et subgiez.

Lors esmurent les bonnez et doulces parollez cles bons et vrays subgiez ycellui marquiz; et respondi de son pro p re mouvement: « Mes bons amis, vous me requerés d'une chose don t je n' euz oncquez voulanté. J e me delictoye en franchise, qui n'est pas estable communelment en mariage. Mais moy, confiant en vostre bonne amour et loyauté, me vueil sousmectre a vo­stre bon conseil et voulanté, et vous laisse la cure et charge de moy querir femme. Et je me marieray, et vous en penez hastivement, tant comme vous avés mon accort et consentement, car je vous promect que je n'actendray paz longuement. Mais une chose me promectrés et le me garderez: que se je me marie, soit par mon pourchas, soit par le vostre, a quelque femme que ce soit, vous l'onnourerés, garderés, et obeyrez comme a moy mesmes, Il [C. 139r.] ne ja aucun. de vous ne murmurera de prendre quelque femme qu'il me plaira, et l'atendrés a dame et lui ferés honneur et reverence comme s'elle estoit fille de roy ou d'empereur». Et lors tous ensemble lui prometent de bon cuer, et ne leur sembloit paz qu'ilz en veissent ja l'eure ne le jour pour la tres bonne amour qu'ilz avoient a leur seingneur. Et avant qu'ilz se partissent du dit parlement, fu pris le jour que le dit marquiz promist qu'il s'espouseroit. Et a cel eure commist le dit seingneur aucuns de ses siens subgiez et familliers de faire l'appa­reil de ses nopces sanz ce que nul sceust, ou deust savoir, quelle ne qui seroit celle femme.

63

Prez 184 de la cité et du palais ou demouroit le dit marquis avoit une petite villecte ou ne demouroit que un peu de povres gens, entre lesquelz y avoit un bon povre homme ap­pellé J anicole; mais la grace Dieu est commune, et descent plus chiez le povre que chiez le riche. Y cellui J ani cole avoit une fille appellee Grisilidiz, belle de toutez faitures de corps et de membres, et meilleure en bonnez meurs, de verité reamplie tant que plus ne pouoit par la grace de Dieu, et avoit esté nourrie en grant povrecté, et ne sçavoit que estoit aise, car elle n'en avoit riens apris, mais touteffois son courage estoit meur en virginité, et en tres grant chierté et reverence nourrissoit son povre pere en sa viellece, et avoit ne sçay quantes ber­bietez qu'elle menoit en pasture et, en les menant aux champs, fai/soit touzjours aucune cho­se comme filer ou tiller chanvre, et au retour apportoit choux et autres manieres d' erbez pour vivre lui et son povre pere, et ainsi le gouvernoit charitablement et doulcement, et estoit en elle toute obeissance de pitié et de tout bien, et en parfaicte virginité. Et quant le dit mar­quiz passoit par la quant il s' aloit esbatre pour chacier et voler, mainteffois gectoit ses yeulz vers la pucelle, non pas pour jeune mignotise ou dellectacion, mais pour la grant humilité, vertu et pacience qui estoit en elle plus qu'en nulle femme de cel aage et estat; et a elle avoit son courage et voulanté, pour le bien qu'il veoit en elle et avoit oy dire, secretement sans soy descouvrir a personne nee, neantmoins, le dit marquiz, combien que le temps et journee qu'il avoit mis pour espouser approuchoit moult fort. Et ne sçavoit nul encore quelle femme il prendroit, dont chascun se merveilloit. Et touzjours faisoit faire anneaulz, robez, joiaulx, cou­ronnes et tous habiz appartenans a damez, tellez comme il doit et puet appartenir a l' estat d'un grant seingneur comme il estoit, et les faisoit faire a la mesure d'une autre pucelle qui estoit de la grandeur et fourme de la fille que il vouloit prendre.

Or advint le jour des nopces et que l'eure du disner approuchoit, et avoit on fait grant appareil comme au cas appartenoit, tant de paremens et de viandez et toutes autres choses au fai t partinentes. Et adone le marquiz, l l [C. 139v.] acompaingnié de grans seingneurs et dames, tant ses parens comme estrangiers, et hommes et femmes de tout son pays, soy fain­gnant aler au devant de la dame qu'il devoit espouser, dont nul de sa compaingnie ne sçavoit qui elle estoit, ne Grisilidis n' en avoit oncquez oy parler, fors seullement que son seingneur a ce jour se devoit marier, et pour ce estoit hastee de faire son mesnage et de reppaistre son pere et ses bestez et dezja s'en retournoit et apportoit de l'yaue en une cruche, et de bien loing, et ainsi qu'elle vouloit entrer en leur povre maison, le marquiz, tout pensif, vint au de­vant d'elle et lui demanda ou estoit son pere, laquelle lui respondy humblement et en tres gran t reverence: « Monseingneur » dist elle « en nostre hostel». «Or lui dy qu'il viengne par­ler a moy » et diligement, aprés ce que Grisilidis ot parlé a son pere, le bon homme vint au marquiz, et lors le prinst par la main et le trait a part que nul ne les pouoit oi:r fors eulz .ij.; «Je sçay» dist le marquiz a Janicole «que tu mesmes m'as moult chier, et es mon home fea­ble et ce qui me plaist, de raison te plaist, ou doit plaire. Et pour ce, une chose te vueil di­re et demander, et te prie que tu me vueillez donner Grisilidis ta fille a femme et espouse et me vueillez tenir a gendre de ton bon gré et consentement, et autrement non». Adone le bon homme, qui riens ne sçavoit de ce fai t, car oncquez mais n' en a voi t oy parler, fut moult esmerveilliez, et rougi en tremblant; a painez pouoit dire mot. Et par la grace Dieu, respon­di au marquis: « Sire, je ne l doy vouloir chose que ce que tu veulz et te plaist, car tu es mon droicturier seingneur, et sçay que tu ne veulz que raison ». « Entrons » dist le marquiz « entre nous deux seulz en ta chambre, ca[r] je vueil parler a ta fille toy present» et lors entrerent. Le pueple attendoit et se merveilloit du service que celle pucelle faisoit a son pere et aussi de l'ordonnance qu'ilz veoient et bonne constance qu'elle avoit a la venue de si grant seingneur. Laquelle le marquiz araisonna en ceste maniere: « Grisilidis » dist il «il plaist a ton pere et a moy aussi que tu soyes ma femme, ou cas toutesvoyes qu'il te plaira. Si vueil oi:r ta responce

184 Ms.: aprez.

64

et voulanté». «Monseingneur» dist la pucelle <<ma voulanté est en mon pere et en toy». <<Tu diz que bon enfant » dist le marquiz; <<Or entens don c: puisque j' ay le consentement de ton pere et de toy, il fault de cy en avant que tu mectez ta voulanté en la moye, et que tu ne veullez fors ce que je vouldray, et qu'il te plaise et vueillez tout ce que je vouldray et me plai­ra ». A ces choses respondi la pucelle: << Monseigneur, je suis certaine que je ne suis pas di­gne ne souffisant de sy grant honneur; mais ce qui te plaist est ma voulanté et mon eur, ne jamaiz rien ne feray, ne penseray chose, qu'elle soit a mon pouoir, qui soit ne doye estre con­tre ta voulanté ou bon plaisir, et ne me pourras faire chose et me feissez morir que je ne sueffre pacienment ». <<C'est assez » dist le marquiz. Et lors la fist amener devant tout le pue­ple et dist en puplique: «Ceste est ma femme l l [C. 140r.] et non autre; si prie a vous tous, mes amis, et commande a vous autrez, mes subgiez, que ceste teniez pour dame et l' ayez chiere, honnourez la et amés camme moy mesmez, ainsi que tenus y estes et promis le m'a­vez ». Et lors la commença a desvestir des robez qu'elle avoit vestuez, et la fist vestir de ro­bez neufvez, tres richement comme il appartenoit a femme de tel grant seingneur, laquelle chose les damez qui la estoient la parerent et vestirent des precieusez robez qui pour elle avoient esté faitez. Telles y avoit des damez qui le faisoient honteusement pour les povres et villez robez qu' elle avoit vestuez au regart de cellez que on lui vestoit. Et quant elle fu t pa­ree et ordonnee de robez, de couronnes et de pierrez precieusez tres grandement et riche­ment, elle fut tellement ordonnee et paree que a painez la pouoit congnoistre le pueple, tant bien lui seoit et se savoit gracieusement maintenir, et estoit de tant bonne et belle maniere que se elle eust esté nourrie en hostel royal.

Comment le marquiz espousa Grisilidis.

Lors les barons du pays pristrent leur dame et a grant joye la menerent a l' eglise. Et don c le marquis sollennelment espousa ycelle Grisilidis dc l' annel precieux qui a cest usage appartenoit, et qui pour ceste cause avoit esté fait; et la fist monter sur un bel paleffroy et mener au palaiz bien acompaingné dez dames l et de grans seigneurs, et d' autre pueple groz et menu mainent grant joye et feste et furent les nopces en tout bien et joyeusement celle­brees et festoieez liement. Et en tous ses fais se sçavoit si bien et si gracieusement maintenir de la grace que Dieu lui avoit donné qu'il ne sembloit pas qu'elle n'eust esté nee et nourrie en hostel de roy, tant avoit en elle de bien et honneur; et ne pouoient croirre ceulz qui la congnoissoient de nativité et de jeunesse que elle feust fille J anicole, tant avoit en elle hon­neur, bonn e maniere, scens et doulçour de parler, et en tout ce qu' elle faisoit tellement que chascun s'i delictoit; et mesmes ceulz qui oncquez ne l'avoient veue, mais seullement d'oi:r di­re, couvoitoient la veoir pour le tres grant bien qui en elle estoit, non pas seullement de meurs ou mesnage appartenant a femme, mais, ou le cas le requeroit pour bien publique, tous descors ou debaz tant de ses hostez comme voisins et autres, elle adreçoit et apaisoit du tout, present son seingneur et absent, et si par bonne maniere qu' elle ne pouoit dire parolle qui ne feust au plaisir de chascun pour qui elle s'entremetoit, tellement que pluseurs cui­doient que elle feust envoiee des Cieulz au salut du commun et bien publique. Et ne de­moura guerez que elle fu grosse et enffanta une fille, dont le marquis s'en esjoy, et aussi fist le pueple, combien que l' en eust mieulz amé un filz.

En ce temps vint au marquiz une merveilleuse ymaginacion, lallquelle [C. 140v.] au-cuns sagez veulent louer, de esprouver et experimenter Grisilidis sa femme, combien que par pluseurs foys secretement l' eust assés esprouvee, mais il ne lui souffisoit pas; et vint a elle de nuit en sa chambre comme tout couroucié et troublé, et lui va dire: << Grisilidis, je croy et sçay bien que la dignité que je t' ay mise te fait oublier l' estat ou je te pris; certainement je t' aime loyalment et de bon cuer camme tu le scez, mais je sçay de vray que ce ne font pas mes noblez hommez, mesmement depuis que tu commenças a enffanter, car ilz se tiengnent estre villenez qu'ilz soient subgiez a telle femme de pueple comme tu es, et toutevoiez je de-

65

sire de tout mon cuer vivre et estre en bonne paix et amour avec eulz; pourtant je sçay qu'ilz m' aiment et ont chier. Si m'est de neccessité de ordonner et faire de ta fille non pas a ma voulanté et plaisir tant pour l'amour de moy, de toy et d'elle mesmez, mais au conseil et ju­gement d' autrui. Et toutevoyes je n' en vueil riens faire sanz ton sceu; si vueil avoir ton con­sentement et accort, et te pri que tu ayes telle pacience comme tu me promiz au commence­ment de nostre mariage». Adone respondi meurement Grisilidiz, quant elle ot oy son sein­gneur parler, sanz soy esmouvoir ne monstrer semblant d'aucun couroux: «Tu es» dist elle « monseingneur, et moy et celle peti te fille sommez teuez; doncquez fay de ta chose comme il te plaist, car certainement riens ne te puet plaire que je ne vueille et me plaise, ne je ne couvoite rien a avoir ne doubte a perdre que toy, et cecy ay je mis et planté fermement de­dens mon cuer, ne jamez, l pour laps de temps ne pour mort, ceste voulanté de cuer ne me partira, et toutes autres chosez se peuent avant faire que ce courage en moy muer », de la­quelle responce le marquiz fut moult liez en cuer, mais il dissimula et faingny estre courou-

cié et triste et se depparti d'elle.

Comment le marquiz commanda a son sergent de lui oster sa fille pour la esprouver.

En pou d' eure aprez, envoya un sien serviteur et sergent devers elle, ouquel serviteur le marquiz se confioit, et lui en charga bien comment il feroit. Or vint devers elle a heure su­specçonneuse de nuit en disant: «Ma dame, pardonnés moy de ce que je suis cy venu, et ne m'en sachiez nul mauvais gré. Vous savez que c'est d'estre soubz grans seingneurs, et com­ment il fault a eulz obeir. Il m'est commandé de prendre cest enfant ». En ce disant, comme s'il voulzist crueuse ou mauvaise chose faire, comme il le monstroit par signez, prinst l'enfant par rude et lourde maniere, car il estoit tenu pour cruel homme et de laide figure, et parloit comme homme de mauvaise voulanté, et a heure suspecçonneuse et non deue. Et pour ce, cuidoit la bonne dame et mere qu'il alast faire quelque mauvais fait de sa fille, qui tant amoit comme mere son enffant, et neantmoins nul pleur, souspir ne gemissement ne fist qu'il peu­st estre par dehors apperceu, qui deust sembler tres dure chose en une nourrice et mere, mais prist son enfant et le regarda l l [C. 14lr.] un peu, et le baisa, et lui fist le signe de la croix, et puis le bailla au sergent. «Va» dist elle «et execute tout ce que mon seingneur t'a enchargié. Et te suppli que a ton pouoir garde que les bestes sauvages ne devourent le corps de cel enfant, touteffois se le contraire ne te est ajoinct ou commandé ». Lequel sergent prin­st cel enfant et s'en retourna a son seingneur et lui compta la constance et maniere de sa femme, et moult s' apitoya le marquis en courage; neantmoins ne se desista point de son pro­poz, mais commanda au dit sergent qu'il envellopast la diete fille bien et seurement, et qu'il la portast bien et seurement a Bouloingne la Grasse, a une sienne suer qui estoit femme au conte de Painquo, et lui bailla lettres secrettes qu'il envoioit a sa diete suer, comme elle feist nourrir celle fille et enseingnier de sciencez et bonnes meurs, et si celleement la gardast que nul ne sceust ou peust penser qui elle feust, et si soingneusement le fist come se elle fut son enfant. Laquelle chose fut faite tout au deviz et plaisir du dit marquis comme il avoit enjoinct a chascun d' eulz. Et depuis souventeffois avisoit le marquis le semblant, constance et manie­re de sa femme, mez oncquez n' apperceust de rien changier, mais tel leece, obeissance, tel service et amour comme devant, ne nulle mencion, de propoz ou accident, ne faisoit.

Comment le marquiz de Saluces esprouva derechief Grisilidis sa femme 185

En cest estat se passerent .iiij. ans que elle fut grosse derechief et enfanta un tres bel filz, dont le pere et l tous ses amis furent moult joyeux; lequel enfant, puis qu'il ot .ij. ans,

185 Ms.: titolo collocato dopo nourrice.

66

----------------------------

et qu'il fut sevré de la nourrice, le marquis vint derechief a sa femme et lui dist: «Femme, tu as oy autrefois comment mon pueple est mal comptent et murmure contre moy et nostre ma­riage, et plus maintenant que autrefoys, pour ce qu'ilz voyent et scevent que tu portez et es endine a porter lignié, et mesmement que tu as masle, et dient souvent: «Nostre marquis mort, le nepveu J anicole sera nostre seigneur, et si noble pays sera subgiect a cel enfant der­renierement né», et maintes telles parolles ou plus arguens, don t je ne fois pas mencion pour doubte de toy couroucier. Et pour ces parolles et autres choses que je sçay bien, je, qui de­sire avoir leur amour et ma paix, et doubtant de ma personne tant que je ne le t' ose pas bien dire, me font souvent estre pensif et merencolieux. Si vault mieulz que de cest enfant cy fa­ce ainsi comme j' ay fai t de l' autre, mais pour doubte de toy troubler, je ne t' ose pas bien de­scripre ne descouvrir au vray comme il m' en est ou cuer. Et je t' en dy plus ». « Mon treschier et doubté seigneur, comme autrefois je le t' ay dit, encor je le te recorde que je ne puis riens vouloir ou non vouloir fors ce que tu veulz, ne je n'ay riens en ces enfans fors l'enfantement; tu es seigneur d'eulz et de moy; Il [C. 14lv.] uses de tes choses a ton droit, ne en ce ne de­mande ou requiers mon consentement, car quant je entray en ta maison, sur le sueil d'icelle je desvesti mes robez et aussi mes voulantés, et vesti les tiennes robez et pris en mon cuer tes vouloirs, et pourtant je tenray touzjours mes promesses comment que ce soit, et se je pouoie sçavoir ta voulanté avant que tu la me deissez, je la feroie tres voulentiers et de tout mon quer. Or fay doncquez maintenant et autre fois ta voulanté, car ja Dieu ne me doint laissier vivre, ne passer l'eure que j'aye esperance d'aler contre ton bon vouloir; et se il te plaist que je muire, je vueil mourir tres voulentiers, car la mort ne me pourroit estre si dure ou amere comme l' amour de toy m'est tendre et doulce ». Quant le marquiz apperceust et congnut la constance de sa femme, si s'en merveilla moult et, tout troublé, se parti d'elle; et tantost en­voya a elle le sergent que autrefoys avoit envoyé 186

, lequel sergent, soy excusant que il lui couvenoit obeir a son seigneur, aussi comme s'il voulzist faire aucune grant inhumanité, de­manda l' enfant, comme il avoit fai t l' autre. Et elle, sanz faire aucun semblant de couroux de chiere, ja soit ce que autrement feust ou cuer, prinst son enffant entre ses braz et le beneist et seingna comme elle avoit fait l' autre, en le regardant doulcement, sanz signe de doulour fe­re, et le bailla au sergent et lui dist: «Fays tout ce a quoy tu es envoyé et commis; /mais une chose te diray, dont je te pri chierement tant comme je puis et sçay, se faire le puez ton hon­nour sauf, que tu veulliez garder le corps et membrez de mon enffant que mauvaises bestez ne le deveurent ou mengassent». Lequel messagier ou sergent retourna atout le dit enfant de­vers le marquis et lui racompta tout ce qu'il avoit trouvé; dont de plus en plus se esmerveil­la tellement que, se il ne l' eust bien congneue et esprouvee ceste foys et autres, il l' eust tenue pour suspecte et mauvaise femme, dont elle n'avoit aucune tache, et eust creu celle constan­ce estre fainte et venir de malvais courage et cruelle voulanté; mais il estoit, et bien le devoit estre, seur qu'elle l'amoit de bonne, vraye, asseuree et ferme amour; et neantmoins envoya il son filz nourrir et garder a Bouloingne la Grasse tout secretement comme il avoit fait l' autre.

Et aprés ce que vous avez oy devant, le marquis avisa en son pouoir s'il appercevroit en aucune maniere que sa femme se changast en voulanté ou propoz comme femmes qui sont muablez et non constantez, mais oncquez, en quelque maniere que ce feust, ne se apperceu­st qu' elle se changast ou muast aucunement, mais a lui estoit plus feable et plus serviable que oncquez n' avoit esté par avant. Et commençoit du marquiz une tres mauvaise renommee, et disoit l'en qu'il faisoit occire ses enffans de h onte l l [C. 142r.] pour ce qu'il estoit si petite­ment mariez, car on n'en veoit nul entour lui et ne sçavoit on qu'ilz devenoient, et n'estoit pas merveille de lui, qui estoit si grant seingneur et amé de ses subgiecz, se le pueple en mur­muroit, et oncquez pour ce son dur courage ne se mua, mais encor en son ymaginacion de

plus esprouver sa femme proceda et continua.

186 Ms.: envoye con e finale aggiunto nell'interlinea su annullo di a mediante puntino sottoscritto.

67

Comment le marquiz, en poursivant sa rigour et cruaulté, .xij. ans passés aprés leur ma­riage fist semblant, par dissimulacion du pape, de prandre une autre femme.

Quant sa fille eut acompli la .xij.' annee, il envoya a Romme messagiers qui lui rap­porterent certainnez lettres par lesquelles il donna a entendre au pueple que le pape, pour la paix de lui et de ses subgiez, lui avoit donné congié de lui deppartir de Grisilidis sa femme et de prendre une autre telle camme il lui plairoit; et ne fut pas fort de le donner a entendre au commun et simple pueple, et fut si et par telle maniere publié, qu'il vint a la congnoisan­ce de Grisilidis, dont elle ne s'en esbahy ne mua en aucune maniere, mais regracia cellui a qui elle s'estoit sousmise, c'estoit Dieu, et qu'il en feist et ordonnast a son plaisir, sanz mon­strer signe de doulour. Le marquis avoit dezja envoyé a Bouloingne la Grasse et avoit escript au mary de sa suer, qui estoit conte de Painquo, et a elle mesmes, qu'ilz lui amenassent ses .ij. enffanz l en meilleur et plus bel estat qu'ilz pourroient sanz eulz descouvrir qui les enfanz feussent. Et dezja couroit la renommee partout que le marquis devoit prendre a femme une grant dame et bien brief, et que un grant seigneur, qui estoit de moult loingtain pays, lui amenoit, et estoit conte de Painquo et n' estoit pas moult loing du pays au marquiz, mais ap­prouchoit fort et estoit acompaingnié de pluseurs grans seingneurs et noblez gens et de grans estoffez, et amenoit avecques lui la fille du marquis qui avoit .xij. ans en point de marier, et le filz qui avoit .vij. anz.

Et lors le marquis, qui vouloit essaier sa femme plus fort que devant, lui dist: « Grisili­diz, je ne le te quier plus celer, mais vueil que tu sachez que j' avoye grant desir de toy avoir a femme pour les biens et vertuz que je sçavoye estre en toy, et non pas pour ton linage, co­me tu le sces bien; mais je congnoiz maintenant que par Fortune grande seingnourie est grant servitute, car elle ne me lasse mie ce qu'illaisse a un bien povre homme; mes amis et subgiez me contraingnent, aussi fait le pape qui s'i consent, que je prangne une autre femme qui est ja envoiee querre et sera bientost cy; mais je le t'ay dit le plus tart que j'ay peu pour toy gar­der de couroux, mais je ne le te puis plus celer; si ayes bon courage et fay lieu a l' autre, et pren le douaire que tu apportaz avec toy et t'en retourne a la maison ton pere: ainsi fait For­tune Il [C. 142v.] des choses; nul n'est asseur de son affaire». «Monseingneur» dist elle, « j' ay touzjours sceu et veu que entre ta gran t magnificence et mon humilité et povreté n'a­voit nulle comparaison. J e ne me dy mie seullement estre ta femme, mais estre ta petite chamberiere, ne ne m'en repputay oncquez digne; dont j'appelle Dieu a tesmoing, qui tout scet, combien que du bien qui est en toy tu m' as fait dame de ta maison, mais en cuer touzjours me suis tenue pour ta chamberiere et servente et ay trop esté honnouré longuement avec toy, dont je rens graces a Dieu et a toy; quant au remanant, je suis preste de bon et vray courage de retourner chiez mon pere, ou j'ay esté nourrie des m'enfance; estrema viellece, et la mourir bien me plaist, et seray bien eureuse vesve de si grant seigneur que tu es, et feray lieu a ta nouvelle femme, laquelle soit a ton bon eur et adventure camme de tout mon cuer je le desire; et de cy ou j'estoye et demouroye en grant plaisir, puisqu'il te plaist, voulentiers me partiray. A quoy me commandes tu que je rempporte avec moy mon douaire? Quel il est, je ne l' ay pas oublié, car quant il te pleust moy prendre a femme, je fuz desvestue et de­schauciee sus le sueil de mon povre pere des povres robes qu' adone avoye vestuez et fuz ve­stue des tiennes, riches et precieuses, et n' apportay nul autre douaire avec moy fors foy et loyauté. Et puisqu'il te plaist, je te desvestz ceste tienne robe et te rens l'annel, de quoy de ta grace tu m' espousas, et tous les autres anneaulz, joyaulz, couronnes et aournemens que For/tune m'avoit prestez une espace de temps; en payant et faisant son devoir les me tolt et repprent, et sont en tes escrins en ta garderobe dont voycy les clefs. Nue vins de chiez mon pere et nue y retourneray. Se tu ne repputes et tiens chose vil et malgracieuse, comme je croy que si feraz, que ce ventre cy qui a porté les enfans que tu as engendrez soit veu nu et de­scouvert au pueple, pour laquelle chose, s'il te plaist et non autrement, je te supplì que en

68

l'estat sauf et reservé virginité, laquelle je ne puis emporter, laisse moy une des chemises que

je avoye quant j'estoye appellee ta femme».

Comment Grisilidis se parti pour raler chiez son pere acompaingniee de dames, de che­

valiers et de damoiselles.

Lors ploura forment le marquiz, et avoit le cuer moult estraint, et ne pouoit bonne­ment parler, mais touzjours vouloit encore esprouver la bonne constance de sa femme; en tournant son visage que sa femme n' apperceust son maintien, en voix basse ainsi camme il le pot dire: «Don c te demeure » dist il «celle chemise que tu as vestue »; et se desvesti devant chascun jusquez a sa chemise, et, sa teste toute descouverte et deschaussé, s' en ala sanz mon­strer aucun signe de tritresse, et la suivirent pluseurs gens plourans et maldisans Fortune; et elle ne ploure point et s' en retourne en l' ostel son pere. Et le bon homme son pere, qui touzjours avoit eu en son cuer le mariage d'elle suspect, et touzdis doubtoit Il [C. 143r.] ce qu'il en est avenu, vint au devant d'elle, pluseurs gens estrangez et des gens d'icellui marquiz presens, et de la pouvre robellecte qu'il avoit gardee des lors qu'elle se parti de sa maison la couvri a grant paine, car sa fille estoit creue et embarnie et la pouvre robe empiree et enru­die; et demoura en vraye et bonne constance avec son pere camme autrefoys avoit fait, sanz monstrer en aucune maniere nul signe de tritresse ou remors de prosperité, qui sembloit estre moult grant merveillez, mais elle estoit reamplie de grace.

Adone le conte de Painquo venoit de Bouloigne et approuchoit fort, et des nouvellez nopcez se puplioit et continuoit la renommee partout le pays, et envoya le conte de Painquo dire au marquiz le jour qu'il seroit a lui. Et un pou devant que le conte arrivast, le marquis envoia querir Grisilidis, et vint en son povre estat, et lors lui dist: « Grisilidis, je desire moult que celle pucelle qui doit estre ma femme, et tous ceulz qui sont en sa compaingnie, et ceulz qui seront au disner, soient demain receuz bien et grandement, et soit chascun festoié et or­donné selon sa personne, et neantmoins n'ai ceans personne a present qui proprement en mon gré sceust ce faire; pour quoy je te pri: combien que tu soyes petiteinent vestue, pren la charge de cecy, qui congnois m es meurs et sces les estaz de l' ostel. J' ay bien de quoy toy ve­stir autrement, mais se ma femme nouvelle appercevoit que feussez vestue nouvellement, el­le, son pere et parens me pourroient avoir l en aucun suspecçon, dont je pourroye piz va­loir ». « Mon chier seingneur, je suis mieulz que je ne doy estre. Tres voulentiers et de cuer lié feray tout ton commandement, non pas seullement ce que tu me commandes, mais tout ce que je sentiroie qu'il te pleust ou deust plaire, ne ja de ce ne m'esmuray tant que je vive». Et aprez ce commença a balayer les chambrez et tendre salez et desployer tapiz, dressier liz et tout ce qui a telle feste doit et puet appartenir, et prie aux autres varlez et chamberierez que chascun en droit soy face diligement son devoir pour le jour qui estoit si brief.

Tantost aprés, environ tierce de jour, veez venir le conte et tout le barné qui amenoit celle fille et son frere, que chascun regardoit de tres bon cuer pour la tres grant beauté qui estoit en ses deux enfanz, et des bellez manierez et contenancez qui en leurs fais et en leurs dis estoient. Et estoient ja aucuns qui disoient que le marquis faisoit que sage de laissier la premiere femme et de prendre celle belle jeune pucelle, qui estoit tant noble, et son frere tant bel, et que moult grans biens et aides en pouoient venir e au pueple et plus que de la premiere. Et s' apprestoit fort le disner et couroit partout celle Grisilidis sans avoir honte de ce que elle estoit si mal vestue et que elle estoit ainsi abaissiee de son estat et hault mariage, mais de bonn e chiere et liee vint a l' encontre d'icelle pucelle en lui disant: « Bien soyez vous venue, madame» et semblablement aux seingneurs et damez et damoisellez qui Il [C. 143v.] estoient pour compaingnier celle feste de nopces, tres doulcement et benignement elle les re­cevoit et ordonnoit de tout tellement qm; chascun, et especialement les estrangiers, se mer­veilloient dont tellez meurs et tant grant scens souz tel habit veoient; et ne se pouoit saouler

69

Grisilidis de parler en louenge de celle pucelle et de ce fil, maintenant de l'un et puis de l'au­tre, et leur maintien et beauté tres fort recommandoit.

Adone le marquis, ainsi comme on devoit aler a table, a haute voix dist devant tous les seingneurs, dames et damoisellez et menu pueple, aussi comme en soy jouant: « Dy, Grisili­dis, que te semble il de ma femme? Est elle belle, que t'en semble? ». «Parma foy» dist el­le « je ne croy mie que plus belle, ne d' aussi bel maintien tu peusses trouver, et avec elle vi­vraz eureusement et en gran t paix, comme je le pri a Dieu et ay esperance qu' ainsi feras tu, ou jamais autre ne vivraz en paix. Et toutevoiez d'une chose te vueil prier et requerir: que tu ne la poingnez mie de si dur aguillonz comme tu as pointe l'autre, car elle est plus jeune et plus tendrement et delicieusement nourrie que l'autre, et croy qu'elle ne le pourroit bonne­ment souffrir ne endurer ».

Comment, a l'entree du grant disner des secondez nopces le marquis recongnut, devant tous en presence de Grisilidis, comment il l' avoit moult de fois esprouvee.

Et quant le marquis regarda la bonne voulanté, vraye constance et l bonne pacience que tant de foys et tant durement avoit esprouvee sanz appercevoir d'elle aucun signe d'im­pacience ou couroux, mais touzjours entiere et ferme en bonne voulanté, a haulte voiz: «C'e­st assez » dist le marquiz. « Grisilidis, j' ay a plain veu et congneu ta voulanté, foy, humilité et vraye amistié, dont je ne croy mie que soubz le ciel soit qui ait veu ne esprouvé tant d'o­beissance en vraye et parfaicte amour de mariage que j'ay en toy, car se chascun le sçavoit comme je sais, nul ne le contrediroit ». Et, en ce disant, l' embraça tres doulcement et baisa, et elle s' esbahist et changa aussi comme s'elle esveillast d'un songe. «Tu es» dist il «ma fem­me seule, et n' euz onques ne ja n' auray, jour que je vive, autre. Et ceste que tu cuidoiez estre ma femme, elle est ta fille, et l'autre, ton filz; yceuz enfans tu cuidoiez avoir perduz; mainte­nant tu les as recouvrés ensemble. Et me pardonne ce que j'ay fait de toy, car je l'ay fait pour toy esprouver et essaier, et n' ay pas fait tuer mes enfans, comme tu le vois. Et vueillez sça­voir que, quelque chose que je t'ay fait, oncquez ne fut heure depuis que je t'espouse que je ne te tenisse et reputasse seule ma femme, quelque chiere que je te monstrasse ».

Et quant la marquise Grisilidiz oyst les parollez de son seigneur, elle devint comme pa­smee de joye. Et quant elle se pot aidier, elle prinst ses deux enfans et doulcement les acola tant qu'elle les couvri tous de lermez, neon ne les lui pouoit oster Il [C. 144r.] de ses braz. Une grant piece aprés, les grans dames et les matrosnez, qui mieulz priserent leur dame Gri­silidis la marquise, la pristrent tantost et la desvestirent de ses pouvres draps et la revestirent dez proprez draps premiers, et la parerent comme il appartenoit a marquise a telle sollennité et a telle joye comme plus pouoient, quar les enfans du marquiz estoient retournez a mer­veillable consolacion de la mere, du marquiz, des amis et subgiez de tout le pays. Grant joye ot ce jour ou pays de Salucez, et de pitié mainte !erme espandue; ne nul ne se pouoit saou­ler en louant les vertuz de Grisilidis la tres noble marquise. Et fu la feste trop plus grant et plus joieuse que elle n' avoit esté le jour de leurs nopces. Puis vesquirent ensemble par vint ans en paix et concorde. Et le marquis fist J anicole, le pere de Grisilidis duquel il n' avoit fait compte ou temps passé, translata de sa povre maison ou palaiz de Saluce, et le tint honnou­rablement tous les jours de sa vie. Sa fille aussi il maria haultement, et son filz, quant il fu en aage, maria aussi et ot enfans, lesquelz il vit a sa gracieuse fin. Il laissa son filz hoir et suc­cesseur du marquiz de Salucez a grant consolacion de tous ses amis et subgiez.

Et est assavoir que ceste histoire a esté escripte en la memoire des honneurs, et non tant seullement affin que les matrosnez et l dames de nostre temps .doient ensuir la pacience de ceste noble dame, laquelle pacience semble aussi comme impossible a porter. C'est assa­voir que ce que elle fist a son mari de la vertu de pacience, eulz le vueillent faire a Dieu, combien que Dieu ne tempte pas les gens, selon ce que dist Saint Jaque l'Appostre, comme fist le marquis son espouse; mais aucune foys Dieu les veult esprouver, et conssent que nous

70

--- --- ~----~----~---------

ayons souvent adversité par mainte tribulacion, non pas pour congnoistre nostre courage comme fist le marquis, car avant que nous feussions oncquez nez, il savoit clerement que nous devions estre, mais il sueffre a ce que par les tribulacions continuellez nostre propre fra­gilité nous soit monstree et de nous bien congneue. Et pour ce dist le poete: «Je l'atriburay a tres vaillans et justez et constans hommez qui oncquez sera cellui qui pour son Dieu sanz murmurer soufferra ce que ceste povre femme, nee de grant povreté entre les menuez gens, sanz honneur et science, souffri pour son morte! mary».

Or vous ay dit, sire chevalier, comment ceste haute Dame Fortune esprouva et troubla ceste vaillant dame Grisilidis, de laquelle bien croy qu' avez oy parler et de son grant scens et pacience, mais, pour retourner a nostre matiere premiere parlee.

ALLEGATO B

En alant en nostre voye, et ja avions tant erré par maintes annees et journeez que assez estions ennuyés de tant travail l l [C. 172v.] et paine, car en nulle contree ou nous eussions esté n'en avions trouvé chose qui a nostre desconffort et doulour puist donner conseil ne al­legement; ainsi estions tous ennuyés et mornez sanz riens dire ne demander l'un a l'autre. A cellui point advint que le valeton Travail dist: « Sire, il n'y a cy maintenant nul de nous qui riens die ne demande, mez, pour passer nostre chemin, je vous vueil faire une demande. Si vous prye, sire, que il soit de vostre voulanté que, se riens en savez, que le me vueilliez dire et respondre ». Le Chevalier entent bien le dit a son valleton Travail, et lui dist: « Dy, et je le feray ». Lors dist Travail: «Il me semble qu'il a ja grant temps passé que vous et nous feu­smes en l'oste! celle haulte Dame, madame Fortune, ou nous veismes tantes choses et si for­tes et desmesurees, mais entre les autres, je oy le vaillant et sage homme qui tant nous parla des choses de layens et des diversitez qui la estoient; mes, entre les autres, il me souvint com­ment il nous parla d'une dame qui la estoit assise et que vous appartenoit, et nous dist les di­versités et forces que la Dame lui fist, et ce qu'elle endura et sa pacience et comment la Da­me la assist depuis prez d'elle. Mais une chose me sembla moult estrange: que son mari, le marquiz Gaultier de Saluces, y fust si dur, et la cause pour quoy il ne se vouloit marier. Et ensievant, je vous prie que il vous plaise de moy dire les causes pour quoy le marquiz la tri­boula ainsi».

Quant le Chevalier Errant entent le dist au valleton, il en sousrist, et puis n'en tint compte et n'y fist autre response; mais quant Foy, le chevalier, et Eslperance, la damoiselle sa suer, voyent que autre chose n'en vouloit respondre, si lui prient doulcement que, se autre en scet, qu'il li die. Et quant le Chevalier voit la voulanté de toute sa compaingnie, si dist: Et puisque vous le voulez, et je le vous diray sanz faillir, car de la pure verité je en suis bien informez.

Il avint que Bertran, marquiz de Salucez, ot un filz, lequel estoit moult bel chevalier et de gran t cuer. Sy lui en vint en voulanté d' aler ses aventures querre par maintes contreez estranges et loingtainez et, quant il ot cerchié prezque toute crestienté, il dist que encorez yra il oultre mer pour veoir et apprendre et travaillier pour honneur acquerre. Si avint qu'il pas­sa a Rodez, èar la est un lieu ou on aprent moult de nouvellez de maintes estranges contreez; si dist que la aprendra il aucune bonne chose, se Dieu plaist, qui li vendra a son propoz. Si avint que a Rodes il trouva le maistre et les seingneurs de la, qui lui firent tres bonne chiere quant ilz sçorent sa venue; si lui distrent que le roy de Rossie avoit moult grant guerre avec un autre roy mescreant qui moult le grevoit; touteffois le roy de Rossie vaillaument se def­fendoit et offendoit a l' autre.

Quant Guillaume, filz du dit Bertran, marquiz de Saluces, entent ce, moult lui abelist, et dist a soy mesmez que loué soit Dieu, et que bien va. J e vous pourroye assez dire, mais, au plus tost que faire le pot, il s'avança celle voye et s'en ala vers Rossie. Si se presenta au

71

-----------~·-·----

roy, lequel Il [C. 173r.] le receut a bonne chiere et moult accepta sa profferte, car guerre a bien besoing de bons et honnourables et confidens chevaliers et autres en ses guerres. Et a faire brief, le conte Guillaume servoit moult le roy, et de nuit et de jour, et touzjours enten­doit au travail et au service son seingneur, et tant que, par ses emprises, maintes grans de­sconffitures furent faites a l'autre partie. Et un jour une grant bataille fut desconfite et re­creue, car ja le roy avoit perdue sa bataille quant Guillaume la vint aux secours en une em­busche que faite avoit, et la tant fist que leurs ennemis furent mis a desconffiture, et il prin­st le frere du roy et l'ot pour prisonnier. Et par son sens et valour fut la guerre mise a fin, car, depuis la prise le frere du roy, trieves furent faitez et furent restituees maintez terrez que le roy de Rossie avoit perduez; et le roy de Rossie voult, aprés ce que Guillaume lui avoit donné ce prisonnier devant dit, que il eust de lui .ij.' mile doublez.

Or avint que Guillaume est en la court le roy et se fait moult priser et amer, car moult estoit larges et honnourablez. Quant il ot demouré environ quatre moys aprés la guerre, qui bien avoit duré un an, il dist au roy: « Sire, puisque vous n'avez plus guerre, je ne fais riens en voz contreez. Monseingneur mon pere est moult ancien. Il est temps que je m' en doye reppairier». Quant le roy voit sa voulanté, aprés ce que ja savoit tout son estre et sa nacion, si lui dist qu'illui responderoit dedens .viij. jours sa voulanté. Entretant, le roy s avisa et lui dist au chief des .viij. l jours: « Guillaume, vous m' avés assez serviz et tant que je tien que, par Dieu et par vouz, ma terre est acquitee de ceste guerre; dont, s'il vous plaist de demou­rer avecquez moy, je vous donnray noble et bonn e chevance ». Guillaume respondi: « Sire, j'ay promis a monseingneur mon pere parma foy de retourner dedens deux ans se ce ne feu­st par bien fort cause, et je ne voy mie la cause de non tenir ma promesse».

Quant le roy voi t sa voulanté, il lui dist: « Guillaume, puisque ainsi est vostre voulanté, et je vous vueil toudis pres de mon cuer, car je vous vueil donner ma fille a femme, car je sçay l'ancienneté et la noblece de vostre linage, dont je sçay bien que assez l'arés chiere». Guillaume entent le dit au roy et moult le mercia de grant cuer, et reçoit le don en grant re­vercncc. Le roy li fist jurer sur le sacrement de sa fille honnourer et tenir chier; si le fist de bon cuer. A brief la fu faite une moult noble feste. Le roy lui donna or, tresors sanz nombre. Guillaume vint dedens ses nefs vers les parties d'Occident. Quant il fut en son chemin, aprés maintes journees, il s'apperçut que sa femme estoit grosse d'enfant, et voit bien appertement que ce n'a il mie fait. Lors fut tant dolent comme croirre pouez, car la dame estoit grosse de passer trois moys ou quatre devant qu'ill'eust espousee, mez le roy son pere la li donna par le conseil de ses barons devant que la faire morir, en disant que par aventure mieulx vaul­droit ainsi que autrement, et que on ne savoit que Dieu en feroit et en ordonneroit; l l [C. 173v.] le roy, pour soy couvrir, le fist.

Quant Guillaume de Saluces voit sa femme en tel estat, ne me demandés mie quelle joie il a, et bien maudit sa destinee. Lors fut mornes et pensis et sejourna en estranges terres, et s'avisa de sa promesse et sacrement qu'il avoit fait, et voit que sa femme est, et autre ne peut prandre; si pensa de couvrir sa honte. Si donna congié a ses serviteurs trestous, car pou avoit ou nul de son pays car mors estoient tant en armes comme de mortalité; si prist servi­teurs estrangiers et remunera !es autres, et prist sa voie vers une maistre cité que on nomme Gennez, pres de la terre son pere, et la sejourna environ un moys. Quant le marquiz Bertran sçot sa venue a Gennez, moult fist bonne chiere. La l'alerent querre ses noblez qui amene­rent la dame a grant honnour en sa terre. Son pere moult honnoura la dame, et ne demoura granment aprés que le marquis morut, et fut Guillaume marquiz; et en cellui termine la da­me ot un moult bel filz duquel sa terre fist grant joye. Ainsi demoura Guillaume marquiz, et ot un autre filz duquel la dame morut. Aprés cel autre enfant, Guillaume, marquiz, vesqui .xvij. ans, puis vint a ses derrains jours et ordonna son testament. Aprés ses ordonnances, il ordonna que son filz feust marquiz. Quant Guillaume fut mort, on ouvri le testament devant les nobles de son domine et, quant ilz voient tel dit, ilz sont moult esbahiz, car ilz cuident qu'il aye nommé son ainsné filz estre marquis et qu'il aye ordonné chevance a l'autre; ainsi l

72

ne scevent que dire. I.:ainsné dist: «Je suis marquiz». I.:autre dist: «Mes je le suy, car il ne t'a nommés plus que moy et il me semble qu'il ne nomme que un filz». Assés vous pourroye dire, mais fier et divers riot y fu. I.: un des enffans se traist a un bout de la terre, et l' autre a l'autre, et font cruelle guerre. Ainsi debatent l'eritage, car le marquis ne l'avoit voulu declai-

rier pour couvrir sa honte. Assés vous pourroie dire, mais la guerre assés dura tant que le marquis de Monferra y

vint et ordonna trieves entre eulz deux, et ordonna tout le conseil de son pays et du mar­quisé de Saluces assavoir que on y feroit. Dont il me semble que ces deux enffans n'en ose­rent ne vouldrent escondire la voulanté du marquis de Monferra leur onde, et fut ordonné gens a aler par tous !es maistres collegez et clergiez assavoir quel conseil on trouveroit sus la besoingne. Dont on manda a Bouloingne et a toutes les cités d'Ytalie ou feussent estudez, et en France a Paris, a Orliens, en Angleterre; et leur assigna l'en journee et certain terme a estre tous dedens .x. moys, et seroit pres de Penthecouste, et lors le marquis de Monferra y

seroit et son consseil aussi. Quant vint le jour de Penthecouste, le marquis n' oublia mie le terme, et vint a Salucez

et la fist assembler tout le conseil ordonnez au jour devant dit, et si voult savoir que on avoit trouvé. Et lors parlerent les uns et aprés !es autres, mais au fort, il en y ot .ij. l l [C. 174r.] qui distrent: « Monseingneur, se il vous plaist, nous dirons nostre conseil, et ce que trouvé avonz». Les autres estoient tous esbahis, et riens n'avoient trouvé. Quant le marquis de Mon­ferra, qui ot les deux enfans devant soy, entent leur di t, si dist: « Nepveuz, je ne sçay que ce sera, mais la voulanté de voz gens ne la moye n'est que ainsi destruiez le pays; pour ce, donc, veons que Dieu nous donra». Lors aviserent que mieulz seroit de savoir se c'estoit chose qui feist a publier ou a o"ir en conseil, si virent que le meilleur estoit d' avoir le conseil secret. Ainsi fu fait, car la on debatoit choses qui n' estoient honnourablez. Si avint que le marquis fist venir ses nepveux et en sa presence et prinrent le conseil que bon et plus privé leur sem­bla, et leur fist jurer leur serement moult fort de tenir secret tout ce que la seroit dit et or-

donné. I.: endemain, a heure de prime, le marquis entra ou conseil avec ses deux nepveux, et le

conseil si ordonna que, se le cas avenoit que le rapport des deux ambasseurs, qui estoient un chevalier et un clerc - et aussi furent tous !es autres deux a deux qui par toutes les contrees avoient commission d'enquerre- fut dit, ne trouvé chose d'estre creue que le conseil, et aus­si cellui qui des nobles et du pueple estoit, que sanz contredist feust attendu et que plus de­bat n'y feust. Que vous diroye? Ainsi furent !es deux enffans en paix et furent d'accort. l

Les deux embasseurs - ce sont le chevalier et le clerc - sont devant le marquis de Monferra et leur seingneur, le marquiz de Salucez, et les autres ordonnez; si dient tellez pa­rollez a grant reverence: «Tres honnourablez seingneurs, par la voulanté de vous noz sein­gneurs, et de toute vostre dominacion, nous avons commission a cerchier et a respondre sus les causes que ja bien savez. Et pour ce que ce est chose qui ne seroit mie trop agreable ne honnourable, vous demandons pardon premierement; secondement que se c'est chose que vueilliez savoir, qui nous soit commandez estroictement de la dire, car autrement ne l' ose­rions dire ne declairier». Assés vous pourroie longier leurs diz, mais illeur fu pardonnez de

bon cuer et commandez de dire. Lors chascun entent a oi:r. Si advint qu'ilz distrent par accort que, « selon le conseil que

trouvé avons, il semble que l'un de vous deux soit bastart», et ne leur semble mie que, se au­trement feust, le marquiz qui mors est n' eust ja faite telle esleccion comme de dire « je laisse mon hoir et marquiz mon filz », et bien semble au conseil tout clerement que, dez deux, il n'en y a que un, et celui soit heritier; et «le conseil qu'avons trouvé dist ainsi: que on pran­gne l' oz du destre braz du marquiz nostre seingneur qui mort est et que on face seingnier les deux enffans, chascun en la destre part de son braz, et que on mecte leur sang chascun par soy, et puis que sus l'oz du braz qui mort est soit tout bellement [C. 174v.] versé; et dist le conseil que cellui qui sera son filz voirement se penra et se enveloppera et tendra a l' oz son

73

pere, l' autre, qui riens ne lui sera, ne se tendra ja, ainz passera de dessus que ja ne y pourra teindre ne ensanglanter l' oz du braz. Et sur ce ay je pardon vers vous, camme a bonn e fin et par voz commandemens disons et rapportons nostre message ».

Que vous diroye? Assez sont tous esmerveillez de tel conseil. Si ordonnerent a faire se­lon le conseil des sagez par le rapport des .ij. L'endemain vont, au plus secret que faire se peut, au moustier et font ouvrir la tombe et pristrent l' oz du braz le marquiz qui mort estoit, et fut porté au conseil devant le marquiz et ses deux nepveux, ainsi comme on cuidoit. Lors pristrent le sang du premier filz et de l' ainsné et le boutent de hault en baz sus l' oz du braz du marquiz Guillaume et le font rayer dessus, mez plus ne y arrestoit que se l'oz feust en­grassé d'uille ou oingt forment de graisse, et ainsi firent tant que n'y ot plus de sang. Quant ce fut fait, lors prannent le sang du second filz et le gectent tout en telle maniere comme avoient fait du premier, et la veissies grant merveille, car tantost le sang se aglaça sus et tout ensanglantoit l' oz du braz son pere, et tellement se fermo i t comme se ce feust ordonné et mis

avecquez glu. Quant les seingneurs nobles voyent ce, moult sont esmerveilliez et ne firent mie autre

grant delayement, mais dedens le conseil fu ordonné ce a tenir secret, et le second filz fut marquiz de Salucez. A l' autre fu donné ce que son pere, le marquiz qui mort estoit, l ot donné en son testament, et ce estoit que l'un des deux eust le douaire sa mere, qui moult va­loit. Ainsi fut fait, et leur onde le marquiz les accorda et voult toudiz que le second filz hon­nourast et feist bien a son frere; et l' autre, voyant le fai t, n'y osa contredire. Et don t il advint que ce marquiz qui nommé vous ay, et qui remest en tel debat par l' ordonnance son pere, fu cellui Gaultier, qui ne se vouloit marier pour telle cause, et disoit a soy mesmes que jamais ne venroit a tel plaist; et ce fu Gaultier le mari Grisilidis, qui tant essaya sa femme, et non obstant ce, moult l'amoit. Si vous ay dit ce que m'avez tant demandé».

74