Il ritratto di un paese, 1775. Territorio, economia, società in un compendio di storia goriziana di...

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<<Metodi e Ricerche» - n.s .. XXV, 2 (luglio-dicembre 2006)

Il «ritratto» di un paese (1775) Territorio, economia, società

in un compendio di storia goriziana di antico regime

DI PAOLO IANCIS

Imbattersi in un documento di sintesi è un fatto tutto sommato raro nella ricerca d'archivio che lavora su fonti di età moderna. L'esempio che qui si presenta è una confortante eccezione, e lo è tanto più per la storia goriziana settecentesca, che tra­dizionalmente abitua lo studioso che vi si cimenta alla frammentarietà strutturale e al­la serialità spezzata.

Beschreibung der Grafschaften Gorz und Gradisca: questo il titolo dell'incarta­mento, quasi sicuramente apposto da altra mano e tradotto in modo sbrigativo ma ef­ficace in Ritratto del Paese, cioè delle asburgiche contee di Gorizia e Gradisca (let­teralmente sarebbe descrizione). Si tratta di un manoscritto in lingua tedesca (gotico corsivo, ma di mano italiana), datato febbraio 1775 e conservato presso l'Archivio sto­rico provinciale di Gorizia (fondo Manoscritti, n. 253), 55 pagine provenienti da una raccolta privata goriziana («ex archivio Gyra» ), che forniscono un quadro ampio e det­tagliato sull'economia e la società della provincia goriziana di quegli anni. L'autore, o quantomeno il sottoscrittore del documento, è Giovanni Paolo Baselli, Capitano cir­colare delle Contee, che risponde per punti a una serie di quesiti posti da Franz Adam conte di Lamberg, allora Capitano provinciale, commissionati verosimilmente per una successiva trasmissione alla corte viennese.

Le carte goriziane della seconda metà del Settecento abituano al rapporto stringente centro-periferia, corrispondenze talvolta fitte con cui la provincia rendiconta di sé al governo centrale. Il Beschreibung rientra sicuramente nella categoria, ma lo stacco dal­la prassi è nella sua singolare ampiezza e completezza, nel dettaglio dell'analisi, nel­la competenza e nella brillantezza espositiva del redattore (che induce anche all'ipo­tesi della scrittura a più mani).

La non consuetudinarietà del documento appare avallata dalla sua collocazione ar­chivistica, conservato in un fondo miscellaneo e mantenuto separato in forma di fa­scicolo piuttosto che rilegato assieme agli altri atti amministrativi, come ci si aspet-

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terebbe, all'interno dei faldoni degli Stati provinciali. La struttura originaria della fonte tra l'altro sarebbe ancora più ricca e articolata se il documento principale non avesse perso i 14 allegati su cui si appoggia, alcuni in forma tabellare e di cui il te­sto evidenzia i relativi rimandi. Per tutte, a dare la misura della perdita, la preziosa ta­bella A, citata in c. 2r, sulla «consistenza della popolazione e del ceto rurale» che col­merebbe una lacuna sulla conoscenza dell'assetto demografico goriziano degli anni '70 del secolo, o la tabella F (c. 9r), con l'elenco delle arti e delle manifatture esistenti nella regione.

La fonte, emersa tre anni fa durante i lavori preparatori alla riedizione della set­tecentesca /storia della Contea di Gorizia di Carlo Morelli (Edizioni della Laguna, Mariano del Friuli 2003), è stata traslitterata e tradotta da Sebastiano Blancato (una copia tecnica del lavoro è depositata presso l'Archivio stesso) e il testo italiano pub­blicato integralmente nell'allegato volume di Studi e documenti curato da Silvano Ca­vazza, da Donatella Porcedda e da chi scrive.

Non è stato un vero ritrovamento. Il Beschreibung era già noto a Giuseppe Do­menico Della Bona, che lo menziona tra gli atti significativi del mandato del barone Baselli («diligente e giudiziosa informazione sullo stato e sui bisogni delle due uni­te Contee in quei tempi») ' e sicuramente era stato visto (lasciando tra l'altro aperta l'ipotesi dell'esistenza di un'altra stesura, vista la lieve discrepanza di datazione) da Ranieri Mario Cassar, che negli anni '30 pubblica, come da sua pessima abitudine sen­za collocazione archi visti ca, nell'originale tedesco, uno stralcio del documento, il punto 38 (relativo alle corporazioni di mestiere) in una lunga nota del suo libercolo dedicato all'arte goriziana della seta.2

Ciò che finora non è stato fatto, e che perciò si intende proporre in queste pagine, è una lettura critica della fonte e anche un incrocio delle informazioni in essa conte­nute con lo stato della storiografia (in particolare quella economica) sul territorio goriziano della seconda metà del Settecento.

Il testo consta di 44 risposte ad altrettante domande (che non possediamo, ma il cui senso si desume dalla formulazione della replica). La trattazione quindi è realmente ad angolo pieno e investe i principali comparti della vita regionale. Si coglie tra l'al­tro il tentativo dell'esposizione ordinata e progressiva, ma la complessità dei terni por­ta spesso alla digressione, anche ampia, quando non direttamente allo sconfinamen­to di categoria. L'argomento è spesso affrontato, poi perso, infine ripreso e conti­nuato altrove. Si rende quindi necessario il riassemblaggio della fonte in capitoli, al­la ricerca di un ordine tematico, pur non facile da mantenere.

I G.D. DELLA BONA, Osservazioni ed aggiunte sopra alcuni passi del/'/storia della Contea di Gori­zia di Carlo Morelli di Schonfeld, Gorizia 1856 (rist. anast. Mariano del Friuli 2003), p. 177.

2 R. M. CaSSAR, Lineamenti storici dell'arte goriziana della seta, Gorizia 1933, pp. 85-87.

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Territorio, confini, popolazione

Nel Settecento le contee di Gorizia e Gradisca sono uno dei liinder ereditari del­la monarchia asburgica e, assieme a Stiria, Carinzia, Carniola e Litorale, disegnano la geografia dell'Austria interiore. La regione goriziana, di circa 3500 chilometri quadrati, si distende sulle vallate dell'Isonzo e del Vipacco, dal monte Mangart al ma­re e dallo Judrio fino al distretto d'Idria, più a sud comprendendo vaste aree carsiche ad est di Trieste.

In linea d'aria la longitudine Gabria (vicino a Mema)- Predil misura 52000 Klaf­ter (poco più di 98 km).3 Dal confine veneziano di Uccea fino al confine con la Car­niola oltre il Monte Steffa nel capitanato di Tolmino sono invece 12000 Klafter (qua­si 23 km), mentre circa 38000 Klafter (72 km) distanziano la signoria di Schwarze­negg nel Carso dal confine veneziano di Nebula, comprendendovi tutto il Collio. In­fine dal confine con la Carniola di Kirchheim fino a quello veneto presso Sedula, sot­to Tolmino, si contano 26000 Klafter ( 49 km) e da Prewald (Razdrto, sul confine con la Carniola) alla frontiera appena oltre Visco sono 40000 Klafter (75 km).4

Il distinguo è d'obbligo sul versante occidentale, quello che separa dalla Repub­blica di Venezia, frastagliato e incerto, oggetto di contesa per decenni e risolto solo nel 1756 dalla commissione Harsch-Donà, dopo sei anni di turbolento lavoro.s Oltre questo fronte sorgono isolate nella pianura fino al Tagliamento numerose enclaves go­riziane, integralmente circondate da territorio veneto. Sono i «distretti separati» di Go­nars, San Giorgio, Precenicco, Driolassa, Rivarotta, Campomolle, Gradiscutta, Sivi­gliano, Flambruzzo, Virco e Goricizza. Una misurazione teorica da Razdrto fino all'ultima stazione di Precenicco (escludendo l'intermedia signoria di Vipacco, ap­partenente alla Carniola), ammonta a circa 15 miglia (si noti il cambio dell'unità di misura che segna l'avvicinamento al Veneto). Misurata da Predil fino a Precenicco, la distanza si estende a 17-18 miglia. 6

L'ambizione di stimare con altrettanta precisione la consistenza della popolazio­ne provinciale si scontra con l'assenza della tabella demografica a cui si è fatto cen­no e costringe al ripiego già noto in storiografia verso una rilevazione statistica risa­lente a vent'anni prima che conta nelle Contee 102337 anime (800 19 nel territorio di

Sulla base della conversione l Klafter = 1,896484 metri proposta da M. STANISCI, Appunti di me­trologia, Trieste 1977, p. 55.

4 ARCHIVIO STORICO PROVINCIALE DI GORIZIA, Manoscritti, n. 253 (d'ora in avanti semplicemente Be­schreibung), c. lv.

5 Per un'agile inquadratura del problema della demarcazione dei confini tra Venezia e Gorizia a metà del Settecento si veda D. PORCEDDA, La regolazione dei confini austro-veneti ( 1750-1756), in Con­fini, contea di Gorizia e repubblica di Venezia, a cura di A. DEL NERI e D. PoRCEDDA, Gorizia 2001, pp. 15-20.

6 Beschreibung, cc. l v-2r.

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Gorizia e 22318 a Gradisca), organizzate in 266 comunità.7 Si intuisce tuttavia la tendenza fortemente ascendente (in particolare dall'inizio degli anni '70) e la prassi (che dai demografi attende ragguagli) di distinguere nei censimenti nobili, professionisti, honoratiores («persone di condizione onorevole, privilegiati e funzionari pubblici») e la grande nebulosa della popolazione ad militiam.

Dei goriziani il Beschreibung fornisce invece un quadro della composizione lin­guistica, poco scientifico, ma decisamente efficace e molto schietto e soprattutto sa­lutarmente ancora privo della contaminazione nazionalistica che comincerà a carat­terizzare la trattazione dell'argomento già molto precocemente nel corso dell'Otto­cento. È infatti solo un onorevole senso di servizio che spinge Baselli, funzionario dello Stato, a rispettare le pressioni governative per l'affermazione del tedesco co­me lingua ufficiale dell'amministrazione e quindi della corrispondenza tra uffici, tuttavia nella chiara consapevolezza che la situazione territoriale è altra cosa dalle in­tenzioni:

la condizione di questi sudditi che hanno maggiore influenza negli affari, come anche delle autorità preposte, rende ciò assolutamente impossibile, in relazione ai mandati degli uffici circolari e della mag­gior parte delle Agenda che devono venir loro trasmesse: infatti appena la decima parte di queste per­sone conosce la lingua tedesca. 8

Più ci si allontana dalla cerchia urbana, più i mandati dell'Ufficio circolare devono essere tradotti dall'italiano in friulano o in slavo (unica attenuante: «l'italiano, la lin­gua principale, è molto somigliante al friulano»). Insomma:

la lingua tedesca è conosciuta solo dagli abitanti e dai preti che sono di origine tedesca e che risie­dono soprattutto nella città, e poi in alcuni villaggi del Carso e delle zone di Plezzo e Tolmino. Nella co­siddetta Furlanìa invece tutti i giurisdicenti non capiscono affatto questa lingua; quindi mancano le persone che possano tradurre gli ordini.

Il dato non diventa culturale neppure nel momento in cui «gli stessi giurisdicen­ti e i delegati, vergognandosi di manifestare la loro ignoranza del tedesco, non applicano le disposizioni ricevute, o addirittura le eseguono al contrario». L'Ottocento è vera­mente (e piacevolmente) ancora lontano e la germanizzazione, sì auspicata, è in realtà intrisa di un evidente senso pratico. È solo (e ancora) esigenza di una maggiore omo­geneità di codici e non altro, che ritorna infatti nel nodo della circolazione moneta­ria, in cui il fiorino, conio ufficiale, è costretto a convivere con una diffusa presenza dell'unità veneta:

7 G.D. DELLA BoNA, Sunto cronologico, in Calendario per l'anno comune 1845 pubblicato dalla l.R. Società Agraria di Gorizia, Gorizia 1845, p. 57; T. FANFANI, Economia e società nei domini eredi­tari della monarchia absburgica nel Settecento (le contee di Gorizia e Gradisca), Milano 1979, pp. 5-12.

K Beschreibung, c. 26r.

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è evidente che sarebbe preferibile che nel commercio si introducesse solo l'unità tedesca e si eli­minassero del tutto lire e soldi. Ma poiché [ ... ] dobbiamo rassegnarci a vedere la bilancia dei pagamenti pendere dalla parte dei veneziani, non solo è una soluzione migliore, ma anche inevitabile.

Il piglio è ancora realistico, forse opportunistico, oltre che chiaramente mercan­tilistico, e l'ambizione dell'omogeneità monetaria nazionale crolla di fronte ai piccoli favori del sistema metallico:

se dobbiamo esportare danaro, noi lo facciamo con le monete più sfavorite, cioè quelle in rame. Al sovrano infatti di esse importa meno e noi così traiamo l'utile dalla vendita del rame estratto nelle no­stre miniere, secondo il desiderio del Ministero.

La sovrapposizione dei poteri: locali e centrale

Il quadro amministrativo e istituzionale è complesso. Le riforme teresiane, attor­no alla metà del secolo, sono intervenute sul potere cetuale e sul particolarismo ter­ritoriale e hanno cercato di affermare il ruolo centrale dello Stato. A Gorizia gli Sta­ti provinciali, antico organo di autogoverno locale e di rappresentanza nobiliare, so­no stati esautorati della maggior parte dei poteri di rilievo politico ed economico. Il principale organo amministrativo della regione è dal 1754 il cesareo regio Consi­glio capitaniale di Gorizia (nella fonte Landes Stelle, Ufficio provinciale, o anche Gu­bernium), composto da funzionari di nomina regia, che è anche giudizio d'appello per le sentenze del Magistrato civico (Stadt Magistrat) e dei giudizi locali (Landgerichte). Il Capitano circolare (l'autore della fonte, Kreisamt) svolge invece funzioni di collante tra il potere della cerchia urbana e le giurisdizioni periferiche, con compiti esecutivi delle deliberazioni del centro e di notifica agli organi territoriali.9

Il resto del territorio provinciale è frantumato in signorie (Herrschaften) e giuri­sdizioni (Gerichtsbarkeiten o Burgfrieden), in cui il rapporto tra sistemi di conduzione della terra e gestione amministrativa rimane talvolta molto stretto. Signori e nobili lo­cali detengono ancora salde prerogative giurisdizionali (ma anche il controllo dell'or­dine pubblico, la sanità, la coscrizione, l'esazione delle imposte), spesso acquistate nei secoli in cambio di fmanziamenti, favori o appoggi al sovrano. La diversa ampiezza di questi poteri, che danno la misura delle varianti nell'inerzia feudale, impone di di­stinguere tra giurisdizioni semplici e signorie, più rigorose le seconde e concentrate nella parte settentrionale e in quella carsica, dove il titolo di concessione conferisce larghi spazi di autonomia e il rapporto di sudditanza è molto rigido.IO Il signore è ti-

9 Cfr. M.L. IONA, Il C. R. Consiglio Capitaniale delle unite contee di Gorizia e Gradisca, in «Rasse­gna degli Archivi di Stato>>, XXIII (1963), pp. 391-396.

IO Cfr. P. DORSI, Il sistema dei giudizi locali nel Goriziano tra XVIII e XIX secolo, in Io.,// Litorale nel processo di modemizzazione della monarchia austriaca. Istituzione e archivi, Udine 1994, pp. 13-70.

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tolare della giurisdizione signorile che si produce nel giudizio di primo grado sia ci­vile che criminale (a Tolmino anche l'appello del criminale), ma è in generale per la popolazione non nobile del territorio l'unica autorità diretta attraverso la quale si esplica il potere statale, sia quello cesareo che quello provinciale. I contadini che ri­siedono e lavorano sulle terre del signore sono soggetti alla corresponsione di tribu­ti in denaro, in natura o in giornate di lavoro (rabotte), contabilizzati in registri det­

ti urbari.'' Il Beschreibung si concede in un esaustivo elenco delle diverse e permanenti feu­

dalità che caratterizzano le Contee ancora nella seconda metà del Settecento e che di seguito si asseconda volentieri. Dalla lista delle signorie «vere e proprie» si stacca­no per genesi storica e prerogative i due capitanati esistenti nella parte settentriona­le, Plezzo e Tolmino, unici rimasti (a parte Gorizia e Gradisca naturalmente) dei 16 con cui originariamente Massilimiliano I, subentrando ai conti di Gorizia nell'anno 1500, aveva suddiviso la contea. Gli altri: tre vengono perduti quasi subito a favore

dei veneziani, Vipacco, Postumia e Duino sono molto presto annessi alla Carniola, Aquileia, Marano e Porpetto sottoposti a Gradisca, Reiffenberg e Schwarzenegg tra­sformati in signorie, Cormons in giurisdizione.I2 La lista quindi.

Il capitanato di Plezzo, un tempo «istanza» indipendente capace di appellarsi di­rettamente al Governo di Graz e diretto da un capitano nominato dalla corte alla stes­

sa stregua di quello goriziano, dal 3 novembre 1758 è assoggettato sia in justialibus che in politicis al Consiglio capitaniate provinciale e in seguito, comt: tutti gli altri tri­bunali territoriali, all'Ufficio circolare. Le terre del capitanato sono private oppure ca­merali. Queste ultime vengono affittate (verpachtet) e producono una rendita an­nuale contabilizzata in un urbario camerale. I sudditi del capitanato - e in questo una differenza sostanziale di status- non sono tenuti alla prestazione di corvée (ra­botte) e sono esentati da altre imposte comuni, una sorta di emancipazione fiscale ri­sultato di due secoli di autonomia capitaniate dal capoluogo: «und wollen sich zu ali anderen Abgaaben nicht verstehen» (non vogliono saperne di tutte le altre tasse).I3

Tolmino mantiene la denominazione capitaniate, ma la forma è decisamente più ibrida rispetto a Plezzo. Camerale in origine, ma subito con ampi poteri signorili in

mano a un gruppo di famiglie nobili radicale sul territorio (i consorti di Tolmino ), il territorio viene in seguito «ipotecato» alle case Dornberg e Breuner, per poi diveni­re appartenenza esclusiva della famiglia Coronini. Il risultato è un'unificazione del­le cariche signorile e capitaniate in capo allo stesso soggetto con inevitabile confe-

.Il Il tema è stato ben ispezionato da Aleksander Panjek in Terra di confine. Agricolture e traffici tra le Alpi e l'Adriatico: la contea di Gorizia nel Seicento, Mariano del Friuli 2002 e rimane sostan­zialmente valido anche per il XVIII secolo. Cfr. in particolare le pp. 38-40.

12 Beschreibung, cc. llr-12r. Cfr. PANJEK, Terra di confine cit., pp. 37-38.

13 Beschreibung, c. 11.

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rimento di ampie competenze sul territorio e sulla popolazione e una forte ostinazione di autonomia rispetto al capitanato provinciale di Gorizia, contrasto mai risolto. A dif­ferenza di Plezzo i terreni camerali sembrano non sconfinare dal pur consistente pa­trimonio forestale (i boschi «alti e negri», competenza dell'Ufficio forestale arcidu­cale e quindi non infeudati). I sudditi tolminesi lavorano di conseguenza terre si­gnorili o appartenenti ai numerosi altri proprietari fondiari. La formule sembrano essere quelle del Grundleihe, tipo di colonia perpetua caratterizzata dall'ereditarietà della locazione e dal divieto di apportare variazioni all'estensione dei fondi senza l'au­torizzazione del signore, e quella del Kaufrecht, sorta di enfiteusi basata general­mente su contratto scritto che conferisce al conduttore la facoltà di alienazione del pa­trimonio. I tributi in denaro e in natura sono versati ai diversi urbari dei proprietari, quelli in lavoro, cioè le rabotte, alla signoria.I4

Emerge chiaro come la presenza dei due capitanati nella zona settentrionale del­la regione goriziana perpetui una condizione di forte separatezza del territorio mon­tano dal resto della Contea. Più a sud, infatti, già con la signoria di Canale, la situa­zione cambia. Canale nasce come gastaldìa soggetta ai capitani di Gorizia, più tardi scorporata dall'imperatore Ferdinando II e concessa gratuitamente alla famiglia Ra­batta, con il diritto del criminale maggiore e della riscossione delle rabotte prece­dentemente prestate a Gorizia. Il beneficio feudale dei Rabatta è esemplare nel di­mostrare la frequente indeterminatezza dell'esatto perimetro del potere signorile, che talvolta poggia su concessioni antiche o controverse. Da qui la presa di distanza dubitativa dello stesso Baselli: «Si dice che il titolare della signoria sostenga di po­ter esercitare i suoi diritti anche sul ceto nobile: questo grazie a una risoluzione del­la corte che egli adduce a suo sostegno, ma della quale io non sono a conoscenza». Con Canale siamo oramai ai confini della città di Gorizia e l'attenuazione del nodo feudale è evidente soprattutto nei sistemi di conduzione della terra. Diversi terreni «pa­gano i tributi annuali in base all'urbario>>, ma molti altri sono concessi in «affitto» e compare anche la conduzione diretta in proprietà.I5

Anche più a sud, sul Vi pacco, con la signoria di Santa Croce l'assetto socio-eco­nomico è confermato. Sul Carso più brullo invece, nell'estrema parte sud-orientale delle Contee, il nesso feudale si rafforza nuovamente con le signorie di Reiffenberg e di Schwarzenegg, accomunate dall'evoluzione storica. Entrambe camerali in origine e quindi comandate da un rappresentante cesareo, nei primi decenni del '500 sono con­cesse in pegno (Pfand, ovvero cessione in cambio di una somma versata alla Came­ra) alla casa Lantieri la prima e ai Petazzi la seconda, e successivamente cedute de­finitivamente alle rispettive famiglie con tutti i diritti signorili, le regalie e le altre ban-

14 lvi, c. 11 v. Sulle forme di conduzione della terra cfr. inoltre PANJEK, Terra di confine cit., pp. 39-40.

IS Beschreibung, c. 11 v.

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nalità. Divisioni familiari e alcune acquisizioni segnano per Reiffenberg nel corso del Settecento la scissione in superiore e inferiore, ma non il cambiamento dei diritti go­duti. Conduzioni contrattuali della terra si ritrovano nuovamente con maggiori diffi­coltà.l6

L'elenco in conclusione ci porta nel minuscolo, ma il modello signorile carsico ri­mane inalterato: Domberg, Resderta (Razdrto), Slivie e Sabla, tutte di estensione li­mitatissima, ma signorie autonome. Si stacca leggermente San Daniele, parte integrante della signoria di Reiffenberg, ma che detiene, grazie a diploma sovrano, il privilegio della prima, della seconda istanza e anche la giurisdizione sul ceto nobiliare. I?

Nei pressi di Gorizia il villaggio di Boccavizza (Bochovica), ma non il distretto, e ancora San Pietro, Sant'Andrea, San Rocco e le due Vertoiba, superiore e inferio­re, sono state in passato signoria nobiliare, periodo da cui ereditano un'esclusione dal­la soggezione alle autorità cesaree in virtù del particolare privilegio accordato ne11649 a Vincenzo Ernesto Ottmann. Poco rimane della feudalità originaria, il patrimonio di­sperso tra diversi creditori e la giurisdizione scorporata e venduta a più soggetti che ora godono solo parzialmente degli antichi diritti.IS

Il resto del territorio delle Contee, corrispondente sostanzialmente al Collio e al­la pianura, è diviso in giurisdizioni semplici. Alle esaustive parole di Baselli il com­pito di cogliere la differenza con le precedenti:

sono investite sì di autorità pubblica, eccettuato il criminale majus et minus, ma non beneficiano del­le rabotte, né hanno diritti sui sudditi, né posseggono facoltà di giudizio sul ceto nobile, né istanza im­mediata che appartenga al Gubemium, eccetto l'appello, né gli altri privilegi che sono stati preceden­temente distinti in maggiori e rninori.l9

Il potere del giurisdicente è evidentemente di carattere esclusivamente pubblici­stico e si risolve nell'amministrazione della giustizia (di norma il solo primo grado civile) e in altre funzioni amministrative, ma non in prerogative di carattere signori­le. Al mutato ruolo corrisponde inevitabilmente un diverso rapporto economico con il territorio, che rende possibile la carica giurisdizionale non necessariamente coin­cidente con il possesso fondiario (anche se spesso lo è). Il dato porta con sé la di­sgregazione del grande patrimonio signorile e quindi una maggiore frammentazione della proprietà terriera, oltre che delle giurisdizioni stesse (il numero, difficilmente calcolabile con precisione, si aggira sull'ottantina di entità).20 La confluenza della ge-

16 lvi.

17 lvi, c. 12r.

18 lvi. Cfr. C. MoRELLI DI ScHONFELD,/storia della Contea di Gorizia, Il, Gorizia 1855 (rist. anast. Ma­riano del Friuli 2003), p. 141.

19 Beschreibung, c. 12r.

2o DoRSI, Il sistema dei giudizi locali cit., p. 16.

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stione di questa parte del territorio sul modello del confmante Friuli veneto è evidente.21 I modi di conduzione confermano l'assetto più aperto, soprattutto in pianura, con

la prevalenza dell'affitto colonico (affitto semplice, in italiano nel testo) e la comparsa sempre più visibile, seppur cauta, della piccola proprietà.22

Il cerchio si chiude in un chiaro dualismo. Due sistemi economici e sociali mol­to diversi la montagna e il piano, in una non agile coesistenza all'interno della stes­sa regione amministrativa e in un percorso di modernizzazione istituzionale che si coglie, ma che è tutt'altro che spianato (o progressivo), segno evidente di debolez­za di un apparato statale che si riforma con difficoltà e che dagli antichi ordini non può ancora prescindere. Il tema così posto è istituzionale, ma nulla vieta il paralle­lo sociologico in cui Baselli si avventura non preoccupandosi di evitare il piglio pa­ternalistico, che permea del resto diverse parti del documento (si ricordi comunque che raramente non lo è il governo di antico regime che si relaziona con la propria so­cietà):

Il contadino [ ... ] dei monti è molto laborioso, poiché lo spinge la necessità e gli scarseggia il vino, che di solito abbatte l'animo umano e lo rende indolente; per cui anche la natura del suo animo è ancora buona e volenterosa. I suoi signori, di cui è suddito per vincolo territoriale e per altri privilegi più se­veri ed estesi e ai quali è giustamente legato, lo tengono a freno: per cui egli è anche sottomesso e mol­to più ubbidiente all'autorità, di cui ha timore.

Completamente diversa è l'indole degli agricoltori [della pianura occidentale, quella più ricca]; poiché come coloni essi beneficiano delle terre del loro signore in modo molto conveniente e sono sog­getti solo a una giurisdizione molto semplice [sehr einfachen Jurisdiction], prendono facilmente posi­zione contro l'autorità, sapendo di trovarsi ai confini e respirando di conseguenza un'aria più libera. So­no dediti al vino, alle liti e, soprattutto quelli che risiedono oltre il Torre, all'ozio; grazie alla fertilità del­la terra, al clima favorevole, agli appezzamenti di terreno estesi, questi contadini si abbandonano del tut­to alla falsa opinione che nessun campo sia mai mal coltivato, purché sia sufficiente a mantenere le lo­ro principali necessità.23

Una società non pronta al balzo liberale, si direbbe. Tanto più che le cronache non registrano grande conflittualità sociale neppure nelle sudditanze più servili, an­zi «non si è mai verificato il caso per cui [ ... ] presso questo Ufficio circolare siano stati inoltrati da parte dei vari sudditi ricorso nei confronti della propria signoria ter­riera».24 Tuttavia- ed è nuovamente il funzionario di uno Stato che si vuole riformatore a parlare- «l'attuale sistema delle giurisdizioni necessita senza dubbio di un serio cam­biamento». Non è il diritto al co-governo cetuale ad essere messo in discussione, quanto la degenerazione del potere in posizioni di rendita. La lama del riforrnismo sta­tale è chiamata ad incidere ad esempio sull'assenteismo signorile e sul frequentissi-

21 Cfr. ancora PANJEK, Terra di confine cit., pp. 40-42.

·22 Beschreibung, c. Sr.

23 lvi, c. 5v.

24 lvi, c. 13r.

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mo meccanismo di delega delle funzioni giurisdizionali a manipoli di procuratori (Delegaten) dei signori, veri artefici dell' «oppressione» e delle «rapine» che afflig­gono i sudditi. Diverse le accuse:

la brama di denaro e [gli] espedienti dei delegati, che alla minima lamentela per ingiuria, spintone o baruffa iniziano un'istruttoria fra le parti, con esami, costituti e giudizi interlocutori; adducono tanti incidenti e precedenti che per delle piccolezze riescono a spingere il popolo semplice e inesperto a spe­se inutili e calamitose. 25

Il meccanismo è perverso. I delegati non sono retribuiti dai propri signori, ma lu­crano una sorta di commissione sul riscosso, che inevitabilmente favorisce lievitazione e moltiplicazione delle cause e dei loro importi. Di contraltare l'espletamento della funzione giurisdizionale (cioè, in ultima analisi, la presenza fisica del delegato nel­la cancelleria del villaggio) avviene con cadenza estremamente dilatata (una volta all'anno è prassi diffusa quando sarebbe utile l'apertura trimestrale ), con l'inevitabile conseguenza della dilatazione dei tempi della giustizia («per tutto il resto del tempo i poveri sudditi debbano languire miseramente in attesa di una decisione risolutoria» ).

L'abuso della delega nelle funzioni giurisdizionali è arma a doppio taglio. I benefici si stornano, ma gli oneri della giustizia restano saldamente in capo ai titolari, ed è in particolare il criminale maggiore, con il suo carico di arresti, retribuzioni degli uffi­ciali giudiziari, mantenimento delle carceri e dei carcerati, ad incidere pesantemen­te sui bilanci signorili. Va da sé l'inevitabile tendenza al risparmio, quindi il decadi­mento della qualità dell'organizzazione penitenziaria, la riduzione del numero delle strutture (ad esempio nel Gradiscano solo una parte delle sette-otto carceri esistenti sono effettivamente operative), il sovraffollamento delle celle, lo scaricabarile della detenzione tra giurisdizioni confinanti.26

Anche la storiografia goriziana più classica fa difficoltà a non trasalire di fronte a una galassia di poteri territoriali e patrimoniali così ampia e persistente.27 Sarebbe un errore tuttavia sbilanciarsi sulla tesi del fallimento della politica riformista teresiana. La frantumazione è evidente, ma non mancano gli elementi di raccordo2s, per tutti il ruolo del capoluogo.

A Gorizia la giurisdizione civile e criminale di prima istanza per gli abitanti non nobili della città spetta al Magistrato civico, organo collegiale composto da due se­zioni, il Magistrato interno, di 12 assessori, e il Magistrato esterno, di 24 consiglie­ri. A capo vi è un giudice-rettore, nominato secondo un meccanismo elettorale che pre-

25 lvi, c. 13v.

26 lvi, cc. 17r-18r. 27 Cfr. ad esempio DELLA BONA, Osservazioni ed aggiunte cit., p. 181; P. ANTONINI,/1 Friuli orienta­

le, Milano 1865, p. 417.

28 Così anche DoRSI, Il sistema dei giudizi locali cit., p. 24.

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vede tra gli assessori la scelta per vota majora di due candidati alla carica e la suc­cessiva elezione decretata con ballottaggio da entrambe le sezioni.29 Le sentenze del Magistrato civico sono appellabili presso il Consiglio capitaniale, il quale è an­che tribunale di prima istanza per i nobili.

Il Gradiscano è parte integrante delle Unite principesche Contee solo dal 1754 e mantiene anche dopo questa data una parziale autonomia amministrativa da Gorizia. La città è però stabile dominio asburgico guidato da un capitano (Amministratore) dali' inizio del XVI secolo e solo dal 164 7 al 1717 conosce una breve parentesi di se­parazione con l'infeudamento del suo territorio alla famiglia Eggenberg (esigenze fi­nanziarie alla base), terminata con l'estinzione del casato. Gradisca ha la particola­rità di non possedere un formale corpo di cittadini (Burgerschaft), ma di essere co­stituita socialmente solo da artigiani, professionisti, commercianti al minuto (Kramem - cramari), honoratiores e infine dal ceto nobile (adelichen Stande). I gradiscani non privilegiati sono soggetti giurisdizionalmente in prima istanza alla locale Ammini­strazione (non un vero magistrato civico come quello goriziano), mentre nobili e honoratiores possono decidere, per cause inferiori ai 50 fiorini, se adire l' Ammini­strazione, oppure, con preterizione di questa, direttamente il Consiglio capitania­le.30

A Gorizia e Gradisca cresce ovviamente rispetto alle giurisdizioni periferiche la quota di possessi fondiari di diretta pertinenza camerale. Un locale ufficio erariale (Rent Amt) segue la riscossione della rendita che ne deriva, rappresentata prevalentemen­te dalla cosiddetta steura rurale (rural oder rustica[ Steiier). In più rispetto a Gorizia, Gradisca applica un'imposta aggiuntiva sulla coltivazione dei terreni comunali e so­prattutto la cosiddetta nuova steura camerale (neiie camera[ Steiier), ex steura capi­taniale (capitanial Steuer). Un tempo riscossa in natura (avena, fieno, paglia, ecc.), ora non più, la steura camerale gradiscana finanzia direttamente i costi della giusti­zia. Le rabotte invece, intese nel senso di prestazione fissa, come avviene nelle signorie, sono abolite, ma non l'eventualità della riattivazione straordinaria e non nei villag­gi occidentali, dove sono solo convertite in moneta per la difficoltà fisica della pre­stazione, a causa della distanza geografica con il centro urbano.3I

Una premessa economica: le vie di comunicazione

La persistenza del sistema delle rabotte in avanzato Settecento diviene più com­prensibile ponderando l'ampia confluenza delle prestazioni coatte dei sudditi nella ma-

29 Beschreibung, c. 15v.

30 lvi, cc. 9v-l0r.

31 lvi, c. 25.

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nutenzione delle strade e considerando la strutturale precarietà delle società prein­dustriali a mantenere in buono stato le proprie vie di transito terrestre.32

Nella regione goriziana e triestina le strade strategicamente rilevanti, perché «com­merciali», o perlomeno quelle «degne di tale nome», sono tre: la prima è la cosiddetta via del Predil o strada della Carinzia o, ancora, strada di Klagenfurt, asse nord-sud che da Salcano, poco sopra Gorizia, risale tutto il corso dell' lsonzo per valicare il passo del Predil e raggiungere Tarvisio, che si trova già in Carinzia; la seconda è il Vallo­ne, che da Sagrado per Doberdò porta a Trieste; infine quello che di fatto è solo un raccordo, ma importante, perché connette Trieste alla strada di Vienna (che a sua volta raggiunge la capitale passando per Lubiana e Graz) attraverso Prewald e Cor­gnale nel Carso, un transito interregionale di competenza del capitanato provinciale della Camiola.

Su tutte («relativamente buono» lo stato in cui versano, ma il giudizio appare vi­ziato),la carreggiabilità è garantita dalle rabotte prestate dalle comunità interessate, cioè dagli abitanti dei villaggi attraversati dalla strada stessa. La prassi è antica, non così la legislazione, fortemente indirizzata al saldo mantenimento della consuetudi­ne. L'ultima sanzione è recentissima (patente 26 marzo 1772), con cui il grado di par­tecipazione delle comunità ai lavori di manutenzione viene commisurato al numero delle braccia maschili presenti nei villaggi e alle bestie da tiro possedute.33 La pia­nificazione e il controllo invece ovviamente sono centralizzate, una commissione ad hoc sotto il presidio di un alto consigliere che si appoggia alla competenza tecni­ca di un ingegnere del territorio e a sette direttori delle strade.34 Per le vie prive di un'importanza commerciale la regolamentazione scema vertiginosamente: saranno le comunità stesse, principali utilizzatrici, ad avere interesse al buono stato delle car­reggiate di rilevanza locale.

Locande, ristori e stallaggi sorgono copiosi lungo le strade più trafficate, non al­trettanto elevata è la loro qualità. Il ruolo di osti e locandieri ha rilevanza pubblica, un vero servizio al commercio, quindi materia di polizia, la cui buona e ordinata ge­stione, alla stessa stregua di botteghe e mercati, è oggetto di sorveglianza dell'Uffi­cio circolare. Ne usufruiscono soprattutto i trasportatori di vino e di bestiame.35

La regione goriziana è spaccata nel senso della sua longitudine dal fiume Isonzo. Prima o poi il carico di merci in viaggio dovrà attraversarlo. Qui interviene il ruolo dei passi di barca. Ce ne sono cinque: due camerali, il primo a Podgora e il secondo sulla Mainizza (tra Gorizia e Gradisca), soppressi per un periodo in odore di con-

32 Senza scostarsi troppo geograficamente, si può confrontare la situazione della Patria del Friuli in L. MoRASSI, 1420-1797. Economia e società in Friuli, Udine 1997, pp. 3-79.

33 Beschreibung, c. 16.

34 lvi, cc. 16v-17r.

35 lvi, c. 15.

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trabbando, ma di fatto irrinunciabili e quindi subito ripristinati. Il terzo traghetto, nei pressi di Sagrado, appartiene alla famiglia Della Torre, privo di alloggi per i bar­caioli, il viandante è spesso costretto a lunghe attese. Gli ultimi due sono sul tratto del fiume che fa da confine con il Territorio di Monfalcone, ma vengono gestiti da par­te veneta ancora da due famiglie nobili: gli Sbruglio quello di Cassegliano e i Priuli quello di Turriaco.36

Le economie del territorio

Dalle Alpi Giulie fino al mare e dal Carso alla pianura friulana la morfologia del­la regione comprende fasce distinte per caratteristiche geologiche, climatiche e pe­dologiche. I diversi volti della provincia imprimono al territorio vocazioni economiche differenziate.

La fascia alpina e prealpina, nella parte settentrionale, si estende ad arco da Plez­zo al capitanato di Tolmino, con clima freddo e corsi d'acqua a regime montano. Qui predominano terreni calcarei che non permettono uno sfruttamento del suolo se non nella zona che decresce verso il circondario goriziano, dove le strette valli co­minciano a lasciare spazio a boschi e prati. L'agricoltura è mediamente poco produttiva, succinta nel corso dell'anno e tendenzialmente incapace di garantire l'autosufficienza alimentare, quindi fortemente portata all'attività integrativa. L'allevamento innanzi­tutto, i grassi pascoli lo favoriscono. Una discreta produzione di burro e formaggio soddisfa il fabbisogno dell'intera provincia e l'eccedenza permette anche la piccola esportazione verso il territorio veneziano.37 È invece altalenante la produzione di carne: buona quella di vitello, soprattutto nel Tolminese, con frequenti forniture nel­la città di Trieste (che tuttavia non rinuncia all'eccellenza del vitello carnico); siste­maticamente insufficiente e di cattiva qualità quella di manzo, la cui produzione ba­sta a malapena alla città di Gorizia ed è quindi integrata da rifornimenti regolati con l'Ungheria e la Stiria. La carne cramera di manzo, cioè di produzione settentriona­le interna (e l'accezione è vagamente spregiativa), alimenta comunque un modesto traf­fico di esportazione verso i villaggi veneti confinanti, cui si aggiunge quello quali­tativamente non migliore di bestie vive (bovini ed equini soprattutto), pur limitato da contestate regole doganali che impediscono il commercio di capi di peso inferiore al­le 1200 libbre (teoricamente da riservare al lavoro dei campi).38 L'assenza di fiere del bestiame interne, sollecitate in più occasioni, ma mai avviate, rende inevitabile la frequentazione degli appuntamenti di mercato oltre confine, ma il traffico che si ge-

36 lvi,cc.l4v-15r.

37 lvi, c. 4v.

38 lvi, c. 27r.

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nera alimenta in rientro un diffuso contrabbando di merci venete che eludono facil­mente i controlli doganali («ci troviamo privati non solo del profitto intrinseco, ma anche di quello che ci spetterebbe attirando i veneziani verso i nostri mercati interni dei quali non potrebbero fare a meno» ) .. w

È coerente il dato sulla produzione foraggera, che alla capacità interna richiede con­tinue aggiunte di fieno e paglia provenienti da Trieste e dal Veneto, segno inequivo­cabile di un allevamento non ancora complice, ma rivale dell'agricoltura.4o Il corto­circuito è quello classico dei sistemi arretrati e poco specializzati: il pascolo è ricco in montagna, dove la bestia non ha campi da arare, ma è sempre insufficiente in pianu­ra, dove invece la forza animale si spreme allo sfinimento e il foraggio contende con­flittualmente lo spazio all'arativo. La via d'uscita risolutiva è solo nella trasformazione strutturale. Ecco quindi l'invito a un piano di bonifica, da più parti invocato:

le paludi, così diffuse nella nostra provincia, dovrebbero essere prosciugate, trasformate in pasco­li e questi coltivati a buona erba fresca, così da poter veder crescere il bestiame indispensabile per l'agricoltura e il sostentamento degli uornini.41

La distillazione del carbone (Kohlen Brennen) e una diffusa produzione artigianale di strumenti in legno (quella tradizionale dei crameri) contribuiscono anch'esse a compensare i limiti di un'agricoltura montana povera. Ma è nella filatura delle fibre tessili (lino, canapa e lana) che si apre l'interessante quadro di una diffusa industria a domicilio che va a rifornire, sempre deficitaria, le pur non copiosissime tessiture re­gionali. Lombardia (canapa) e Veneto (lino) integrano l'insufficiente produzione in­tema, che è tuttavia serbatoio importante anche per due linifici veneti, quello di Li­nussio a Tolmezzo e quello di Foramiti a Cividale. Anche sulla materia prima la di­pendenza dall'estero è strutturale, attenuata solo da una recente confortante incenti­vazione alla coltivazione del lino, soprattutto nel Tolminese.42

Nella zona montana si concentra infine il nucleo più consistente del patrimonio fo­restale regionale. ll legno, baricentrica fonte di ricchezza (contemporaneamente ma­teria prima ed energia) di ogni società preindustriale, è «prodotto così prezioso e ne­cessario per i bisogni umani» che lo stato di antico regime tende a lasciare solo in quo­ta residuale alla gestione privata.43 Anche nelle Contee la gran parte delle risorse forestali sono «imperlai-regie» e alloro sfruttamento sovrintende in forma regolata

39 lvi, c. 8r.

40 lvi, c. 4r.

41 lvi, c. 7v.

42 lvi, c. 6v. Per approfondimenti sulle telerie friulane, e in particolare sui linifici Linussio e Forami­ti, si ricorra a MORASSI, 1420-1797 cit., pp. 301-360. Si confronti poi da parte austriaca P. IANCIS, «Manifattori e lavoranzìa». Le forme del lavoro a Gorizia nel Settecento, Mariano del Friuli 200 l, pp. 159-191.

43 Beschreibung, c. 14v.

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l'ufficio waldmastrale (da Waldmeister- waldmastro, l'appaltatore del servizio). Per gli abitanti dei villaggi che sorgono nelle zone selvose l'attività del taglio della legna da costruzione e da ardere (che approvvigiona tutta la provincia) è vitale, capace di un giro d'affari di 14-15.000 fiorini all'anno. L'economia che ne deriva è un brulicare di soggetti: tagliaboschi, segherie, trasportatori e, nello specifico locale, un caratte­ristico artigianato specializzato nelle «stecche di legno che servono a rilegare i libri», apparentemente comparto di nicchia, ma con un mercato che sa raggiungere il regno di Napoli.44

La geografia della produzione del legname contiene tuttavia dei distinguo. Tolmino e Plezzo, esuberanti per il fabbisogno locale, alimentano un copioso traffico (di con­trabbando) verso la Serenissima del prodotto già lavorato in tavole, mentre la fore­sta di Ternova (Trnovo), a nord-est di Gorizia, approvvigiona da sola il fondaco del­la città, pur con evidenti incertezze:

porterebbe molto giovamento se a Gorizia fosse costruito, non per finta e solo di nome, un vero ma­gazzino ben fornito di legname da costruzione, la cui mancanza spesso costringe i proprietari a interrompere le loro costruzioni e a sopportare ritardi penalizzanti, come potrebbero ampiamente confermare co­struttori e maestri muratori.45

Altri boschi si concentrano nella bassa: a San Giorgio 2140 campi imperlai-regi amministrati dall'Ufficio erariale di Gradisca e 7426 campi privati, affiancati dalla pro­duzione del distretto di Aquileia, vendono ai veneziani 25.000 fiorini di legna all'an­no. Una nota metrologica suggella la duplice- ormai nota- influenza: San Giorgio, enclave circondata dal territorio veneto, misura i tagli del legname in passi italici (corrispondenti a 12 Schuh di lunghezza, 3 di altezza e 4,5 di profondità), mentre Ter­nova, Tolmino e Plezzo usano il Klafter viennese (10 pollici più lungo, 2 più alto e 2,5 più profondo).46

Percorrendo verso sud il confine orientale delle Contee, la zona montagnosa la­scia spazio al territorio carsico, roccioso e calcareo, che si distende nell'ampio entroterra goriziano alle spalle di Trieste. Un terreno che presta intuitivamente poco il fianco al­lo sfruttamento agricolo disegna la parte forse più povera della provincia, abitata da una popolazione sicuramente la più miserabile (elendesten).41 Un modesto allevamento di bestiame, distillazione artigianale di grappa e una piccola intermediazione com­merciale di generi alimentari tra Trieste, Gorizia e la Carniola chiudono il magro cerchio di un'economia fortemente subalterna.

Appena più ad est sul Vipacco, ma ormai siamo alle porte della città, il paesaggio vira in un rigoglio di alberi da frutta che alimentano, insieme ad ortaggi ed erbe (al-

44 lvi, c. 4v. 45 lvi, c. 27v. 46 lvi, c. 14v. 47 lvi, c. 4v.

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loro, rosmarino, salvia) un traffico con la Camiola che ne richiede in abbondanza. È d'aiuto la collocazione sulla strada che, passando per Aidussina, connette Gorizia al­la via commerciale di Vienna (attraverso Lubiana e Graz), principale direttrice nord­sud delle province arciducali non insidiata dal mai avvenuto decollo economico del­la strada del Predil che invece risale il corso dell'Isonzo.48 Nel tratto Gorizia-Ai­dussina pertanto proliferano i mestieri del transito, del carico, dell'intermediazione, della sosta.

Il frutteto prosegue, ma sempre più sovrastato dalla presenza principe della vite, nella fascia collinare della provincia goriziana. Si entra così nella vera area agricola della regione: il Collio, dal Vipacco alle valli del Natisone, strati di arenarie attraversati da tranquilli corsi d'acqua, che degrada nella zona pianeggiante meridionale delle fer­tili pianure di Cormons, Gradisca e Cervignano, dove le campagne, solcate dal gran­turco e ancora dalla vite, sono punteggiate fittamente di gelsi.

Il Collio (Eken) è terra di «Viti della migliore qualità», ma anche di «luoghi ripi­di frequentemente dilavati dagli improvvisi temporali», che richiedono «solerzia per mantenere a fatica la terra in buono stato».49 Lavorare i pendii richiede grande impegno, il risultato non sempre ripaga e l'intensità del lavoro lascia poco spazio all'opportu­nità dell'attività integrativa. Nulla a che vedere con la pianura e i suoi abitanti- ma nuovamente il giudizio sconfma nella morale - favoriti da terreni fertili e modi di con­duzione prevalentemente locativi (quindi estremamente vantaggiosi), e nonostante que­sto incapaci di rese coerenti:

la fertilità della terra non viene incrementata a dovere. Se questi contadini lo facessero e raddoppiassero la loro solerzia e le loro cure, a misura della bontà del terreno, anche i prodotti si moltiplicherebbero con loro massimo profitto, cosa che incontestabilmente crea le basi della crescita della popolazione, del commercio, dei manufatti e del bene comune. 50

Ci si pone il problema (di ampio respiro) «se la proprietà [Proprietat] dei terreni per il bene comune non sia più utile della divisione in colonìe [Colonien]». Condu­zione diretta contro affitto colonico, tema ostico con «tanti pro e contro», ma in cui il prevalere del sistema affittuario non sembra in discussione. Generiche le argo­mentazioni a favore: «la posizione di questa provincia, la specificità dei sudditi, i ter­ritori veneziani prossimi ai confini e addirittura sovrapposti a essi, le diverse categorie di possessori di terreni e tante altre circostanze che non riescono mai a combinarsi». Ma a conforto viene l'esempio veneto («hanno creduto sempre più opportuno la-

48 Il capitolo Venezia, Vienna, Trieste, Lubiana. Un cenno alle strade in IANCIS, Manifattori cit., pp. 35-38 inquadra la posizione goriziana nelle direttrici viarie alto-adriatiche.

49 Beschreibung, c. 5r.

so lvi.

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sciare tutta l'Italia ai coloni piuttosto che al privilegio della proprietà»), quello tiro­lese («dove [in agricoltura] vi sono sempre stati e sempre si possono trovare uomini esperti») e quello di illustri uomini della monarchia che si sono pronunciati inequi­vocabilmente contro la diffusione della proprietà nelle campagne boeme e morave. Argomentazioni sufficienti per la difesa dello statu quo.sl

Il ventaglio produttivo della collina e della pianura è senza sorprese: tra i cereali frumento, mais, segale, avena, orzo, poi legumi («di ogni specie»), vino bianco e rosso, frutta, olio d'oliva, tabacco. Ma la base alimentare regionale di carboidrati e proteine (cereali e legumi) non è garantita «neppure negli anni favorevoli», integra­ta perciò da importazioni all'ingrosso (Udine, Trieste) e dalle derrate che confluiscono nei mercati settimanali di Gradisca e Cormons e nei minori punti di approvvigiona­mento delle enclaves occidentali. Carichi di farina giungono inoltre alla bisogna dal­le province arciducali confinanti. In direzione opposta il vino eccedente il consumo regionale raggiunge la Carniola e la Carinzia (bianco) e Trieste (rosso, anzi nero), men­tre la frutta del Collio, che negli anni favorevoli può arrivare a 8-10.000 fiorini di pro­duzione, prende agevolmente la via dei mercati di Udine, Palma e Monfalcone. L'api­coltura è a ruota, nonostante una fase discendente che si prolunga oramai da diversi anni («eccessiva calura», «poca crescita degli ortaggi e della frutta dalla cui fioritu­ra le api traggono maggior nutrimento», «sudditi oramai disamorati di questa atti­vità» ).52 In ogni caso centomila libbre annue di miele sono superiori alle necessità del­la provincia, che può permettersi di esportarne una parte a Salisburgo e in Carinzia. Non così la cera, che ha un unico centro di produzione nel laboratorio Morpurgo di Gorizia e che per soddisfare il consumo regionale necessita di arrivi dal Veneto, dall'Ungheria, dalla Croazia. Anche l'olio d'oliva raramente travalica l'autoconsu­mo dei produttori locali e la domanda interna è appagata solo con le aggiunte pugliesi, romane e provenzali, a cui si affiancano, pur ostacolate dal mercantilismo della Se­renissima, le importazioni dall'Istria veneta.53

La coltivazione della vite richiede qui la pausa, perché contiene nodi agricoli strutturali. La sua proliferazione ( «deprecabilissimo abuso») è incontenibile ovunque il clima e il terreno lo permetta e toglie con preoccupazione spazio alla deficitaria ce­realicoltura, un tempo capace dell'autosufficienza regionale, ora addirittura inferio­re a quella soglia del 50% dell'arativo complessivo che si riterrebbe necessario per ripristinarla. La vite si pianta ovunque (ed attecchisce) non solo nel Collio, la cui no­bile produzione va salvaguardata, voce preziosa della bilancia commerciale provin­ciale, ma diffusamente anche nei terreni che meglio si presterebbero ad altro, i comunali

SI (vi, C. 21.

52 lvi. c. 21 v.

s.1 lvi, cc. 2v-3r.

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ad esempio, recentemente privatizzati proprio con il veto (sistematicamente disatte­so) della conversione a vigneto. Il nesso è nella qualità, unico filtro realmente capa­ce di immettere i vini nostrani nei circuiti internazionali:

quelli buoni infatti qua da noi possono essere ottenuti solo a fatica, con arte e spese: uno o l'altro proprietario può anche arrivarci, ma solo in piccola quantità e per il proprio consumo. II nostro terreno infatti non produce alcun genere di vino che possa essere paragonato al pregio dei vini francesi, spagnoli e di altri paesi stranieri, preziosi per la loro stessa natura. 54

Non si legga ovviamente il monito a lasciare perdere, quanto l'invito alla specia­lizzazione mirata, soprattutto nella coltura di eccellenza, insomma l'uscita dall'in­sabbiamento della sempre rassicurante coltura promiscua, che proprio nella vite ha una delle sue ancore, anche alimentari. Il segno della controtendenza viene solo dalle enclaves occidentali, ovvero dagli abitanti delle località oltre il «Taglio» di Palma, po­co dediti al laborioso vigneto e quindi maggiormente liberi di indirizzarsi all'attività artigianale integrativa, «specialmente i filati, con i quali forniscono in ogni momen­to le fabbriche veneziane».ss

Non è solo vocazione. n Taglio di Palma è una linea commerciale («cordone») che dalla fortezza stellata si connette al fiume Ausa e poi scende fino al mare, escluden­do ad occidente 28 villaggi, amministrativamente goriziani, ma «in via commercia­li considerati per esteri».s6 Un paradiso fiscale e- in epoca di mercantilismo- doganale:

questa gente in linea bancali è considerata come veneziana, gode delle maggiori libertà, non è sog­getta ad alcuna muda e ha ottenuto di non pagare alcuna maggiorazione sui propri prodotti in uscita. Es­sa commercia così senza impedimenti con i veneziani nel proprio distretto libero da tasse: vive dunque, considerati questi vantaggi, nel modo più confortevole e si può considerare la più benestante.57

Va da sé il corollario di incontrollabilità, anche se il cordone nasce proprio per scon­giurarla. Si pensi solo alle comunicazioni commerciali tra le enclaves e la provincia, frequentatissime ad esempio dal semilavorato che si dirige verso le tessiture del ca­poluogo, transiti obbligati in terra straniera che possono prolungarsi per decine di chi­lometri e in cui può avvenire di tutto. Qui si concentra il grosso del traffico illegale e anche gli sforzi (vani) dello Stato per reprimerlo. Trapela tuttavia, molto celata, una certa tolleranza per un sistema commerciale che alla fine garantisce dinamismo (eri­torno) economico per territori innegabilmente rilevanti anche dal punto di vista po­litico e militare.

Il carattere della mobilità quindi, su tutti, si erge a tratto prevalente dell'agricol­tura (e dell'agricoltore) di pianura, raramente occupazione rigida su tutto l'arco

54 Ivi,c.21v.

55 lvi, c. 5r.

5~ Cfr. IANCIS, Manifattori cit., p. 41.

57 Beschreibung, c. 5.

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dell'anno e voce esclusiva nella composizione del bilancio familiare. È frequente perciò la figura del produttore (anche piccolo o piccolissimo) che sospende il lavo­ro nei campi per raggiungere il capoluogo e impegnarsi nella vendita di cereali di im­portazione (soprattutto veneta). Ed è praticata anche, accostata al vigneto, la produ­zione di vinacce destinate alle distillerie triestine o, più direttamente, alla fabbrica­zione casalinga di grappa che soddisfa un generalizzato autoconsumo, ma sa anche, con una commercializzazione certamente mediata (quanto sfuggente), proporsi sul mer­catodi lunga tratta delle province tedesche.ss Di antica tradizione inoltre la concia del­la pelle è presente in tutta la provincia da sempre e con modalità organizzative che dali' opificio accentrato scendono disinvoltamente fino al piccolo artigianato conta­dino in bilico tra l'autoconsumo e il mercato (triestino e veneziano), «in un com­mercio al minuto redditizio per entrambe le parti».

Infine le cotture di mattoni, che l'assenza già segnalata di grandi fornaci 59 e una crisi prolungata (quanto misteriosa) del settore sta facendo regredire a pratica rurale artigianale e rudimentale, su cui si fa sempre più pressante l'esigenza di una maggiore luce.60

Nel Settecento goriziano è tuttavia difficile discutere di attività rurale integrativa senza occuparsi della Hausindustrie per eccellenza, «produzione così nobile, pre­giata e da promuovere con ogni energia», talmente rilevante che la «bilancia del commercio pende con vantaggio solo su quella provincia che ha la fortuna di esser­ne riccamente rifornita», «prodotto da solo[ ... ] capace di far pendere la bilancia dei pagamenti in quella parte d'Italia che pure manca di altre fondamentali produzioni». L'oggetto del desiderio è ovviamente la seta. Per ribadire la sua importanza, se ce ne fosse il bisogno, «basta prendere per esempio lo stato veneziano, dove la seta da so­la fa entrare IO milioni [di fiorini], e così non avremo più dubbi se questa crescita sia da desiderare o no». 61

La bachicoltura e le prime fasi della lavorazione della seta sono praticate ovunque il gelso attecchisca, quindi dal «contadino della pianura, come quello del Carso, del Collio, di Canale e dei monti circostanti (escluse le zone montane più interne)». Ba­stano due requisiti a rendere speciale quest'attività (a Gorizia come nelle economie preindustriali europee): si esercita «quando l'attività nei campi è meno urgente ed è svolta dalle donne». n lavoro si concentra infatti nei due mesi di maggio e giugno, quan­do «attendere alla seta non reca il minimo danno alla cura dei campi», quindi- ari­badire - «viene effettuato in quel tempo e da quelle persone di cui l'economia della

58 lvi, c. 6r.

59 IANCIS, Manifattori cit., p. 80.

60 Beschreibung, c. 5v.

61 lvi, c. 6r. L'importanza del comparto serico a Gorizia nel XVIII secolo è ben evidenziata in L. PA­NARITI, La seta nel Settecento goriziano. Strategie pubbliche e iniziative private, Milano 1996.

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provincia non necessita per il più importante lavoro dei campi». Il primo nesso è chiaro: la seta come ottimo integratore del bilancio familiare contadino, che va ad oc­cupare tempi altrimenti improduttivi del lavoro agricolo. Il secondo nodo, quello della forte prerogativa di genere (femminile ovviamente), forse è ancor più decisivo, perché apre alla dimensione strutturale, cioè all'evoluzione del rapporto tra popola­zione e risorse, che in un'economia preindustriale significa ancora prevalentemente quantità di terra a disposizione della famiglia contadina. Si segua il ragionamento. Se la terra c'è ed occupa tutte le braccia della famiglia, sia quelle maschili che quelle fem­minili, la seta rappresenta (solo) un prezioso plus nel quadro del bilancio familiare an­nuale, limitato a quel periodo dell'anno in cui i campi concedono spazio all'attività integrativa e liberano le braccia meno robuste, quelle femminili. In questo caso ge­neralmente i processi si limitano alle prime fasi della lavorazione del filo e non met­tono mai in discussione la centralità della terra nel quadro della formazione del red­dito. Se invece la terra scarseggia (ma la terra spesso scarseggia) e non può ospitare più tutte le forze del nucleo familiare, è possibile che si arrivi ad un cambiamento più radicale, che porta con sé una scelta: le più energiche braccia maschili continuano a lavorarla, mentre quelle femminili, già prima parzialmente impiegate, vengono ora riconvertite completamente al lavoro industriale, che diventa, se gli impianti lo per­mettono, a tempo pieno: «nel resto dell'anno, non avendo terreno da coltivare, le donne, soprattutto di Farra, Bruma e Cormons [località di forte tradizione nella trat­tura e nella filatura], vanno a lavorare a giornata alla tessitura della seta». Il percor­so è sicuramente di lungo periodo e qui si percepisce debolmente solo un esordio, ma è probabilmente l'itinerario che dalla ripartizione della terra in fase storica a demo­grafia e rese agricole crescenti, porta alla liberazione di quella forza lavoro quasi esclusivamente femminile che nel corso dell'Ottocento popolerà le fabbriche tessili goriziane, proveniente in gran parte dalla pianura della destra lsonzo. 62

Non si pensi tuttavia alla linea retta, tanto più in un settore così versatile come quel­lo serico. Ad esempio anche in città, dove il calendario agricolo non pesa, a questa attività «attendono le donne degli artigiani, dei borghigiani, dei domestici e del resto della gente comune». 63

La regione goriziana è storicamente forte produttrice di grezzo, dagli anni Venti del secolo (anche grazie all'introduzione a Farra di un grande torcitoio alla bolo­gnese di proprietà statale) pure di filato, ma strutturalmente debole nel completa­mento della filiera produttiva, quindi nel comparto tessile, quello forse a più alto va­lore aggiunto. Il dibattito è molto acceso, in ballo c'è il destino industriale della re­gione:

62 lvi.

63 lvi.

100

La seta viene venduta in gran quantità fuori dalla Provincia, in particolare quella grezza ai veneziani, che la lavorano a orsoglio, e poi ce la rivendono, oppure la spediscono in Germania e persino in Inghilterra. La seta trasformata in provincia viene invece trasportata e venduta in Germania come pezze lavorate, op­pure come orsoglio e trama. Qui trovo necessario dichiarare che le fabbriche e manifatture della provincia sarebbero in grado di lavorare tutta la produzione delle sete e di trasformarla in pezze. I nostri vicini ve­neziani però sono così abili e tanto più istruiti nel commercio che acquistano da noi questa seta, per poi ri­vendercene una parte fmemente lavorata, con un profitto di 2 fiorini per libbra; spesso anche riescono a ven­derei attraverso gli scambi commerciali la seta che per loro è in eccedenza, con vantaggi ancora più alti. 64

n nodo della diffusa contestazione è nella politica del governo centrale, che ha sto­ricamente favorito nella regione goriziana la vocazione al semilavorato, fino a rag­giungere livelli di eccellenza, ma non ha saputo coltivare mercantilisticamente la propensione al prodotto finito («noi l'abbiamo certo favorita, ma non così come si sa­rebbe potuto e dovuto fare» ).65 Si segua la contraddizione della manovra: vige la barriera in ingresso per i tessuti stranieri, che ha saputo moltiplicare («di quattro vol­te») il numero dei telai della provincia, ma continua ad essere ostinatamente debole la protezione in uscita della seta grezza, che prende facilmente la via dei più con­correnziali filatoi veneti. In questo passaggio il paradosso: i telai goriziani, privati dell'ottima materia prima locale, sono costretti a ricomprarla a caro prezzo dai veneziani lavorata in trama ed orsoglio, oppure -peggio - a rifornirsi di sete straniere, come le romane o le napoletane, di qualità decisamente inferiore rispetto a quelle isontine. So­lo negli ultimi anni questa politica «deplorevole» ha reso improduttivi quasi la metà dei tessitori goriziani e li ha costretti alla fame (verhungern).

Nello sguardo apocalittico di Baselli l'iperbole si sente e il confronto con altre fon­ti saprebbe smussare gli apici (oltre a fornire il punto di vista della controparte, i fornellisti)66, ma la crisi che colpisce Gorizia dall'inizio degli anni '70 è reale e il bi­lancio è effettivamente deprimente se analizzato in prospettiva:

vale a dire la perdita del buon nome dei nostri produttori di seterie. [ ... ]l paesi tedeschi, che acqui­stano questi prodotti come sete goriziane, li trovano poi così scadenti che sono spinti a non comprarli

più. In questo modo la vendita dei nostri manufatti diventa molto più difficile; ancora più spesso acca­de che si vada incontro a grosse perdite pur di venderli.67

Il tessile goriziano non è solo seta. La vitale geografia della filatura a domicilio

64 lvi, c. 3v.

65 lvi, c. 6r.

66 Cfr. ad esempio le tabelle sul numero di telai e di tessitori (che misurano lo stato di salute del seti­fido goriziano nel periodo in questione) pubblicate in lANCIS, Manifattori cit., pp. 219-221. l con­torni del dibattito sui dazi in uscita della seta grezza può essere ripercorso i vi, p. 212. Dalla parte dei traenti seta (e quindi contro Baselli) si schiera anche Carlo Morelli, noto storico goriziano e, all'epo­ca del Beschreibung, membro del locale Consesso commerciale. La sua tesi si può ripercorrere in P. lANCIS, Il pensiero economico di Carlo Morelli, in Studi e documenti su carlo Morelli e l'l storia del­la Contea di Gorizia, a cura di S. CA V AZZA, D. PoRCEDDA, P. IANCIS, Mariano del Friuli 2003, pp. 61-74.

67 Beschreibung, c. 4r.

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impegnata nel lino, nella canapa e nella lana (assente il cotone, solo ottocentesco), con picchi nella zona settentrionale delle Contee e in quella occidentale, ha favorito la na­scita di diversi laboratori di tessitura, alcuni dei quali tentano - con risultati non sempre esaltanti -la via dell'organizzazione accentrata. Ad esempio non lontano da Gorizia si è da poco conclusa l'avventura del lanificio del barone Francesco Tacco, «arenato per mancanza di sostegno», ma la cui esperienza imprenditoriale rimane significativa.68 A Sagrado battono invece ancora i telai dellinificio Morpurgo, iniziato nel '65 «sotto protezione commerciale», ma con esiti sistematicamente inferiori al­le aspettative degli esordi.69 Anche Goricizza ospita «una fabbrica di lino ordina­rio»7o, prevale tuttavia, è innegabile, la formula della dispersione, sfuggente ad ogni censimento e quindi difficilmente sondabile. In ogni caso, a singhiozzo: «telai al di qua e al di là del Torre» (mezzalana), «fabbriche di lino nei capitanati di Plezzo e Tol­mino». Insomma: «a Gorizia, a Gradisca e un po' dappertutto sparsi in regione ci so­no telai». Un esempio (che forse restituisce la multiforrnità delle esperienze): «quel­li del convento delle cosiddette Poverelle di Farra, le quali nel tempo che non sia de­dicato agli esercizi religiosi si applicano con solerzia alla tessitura».71

Uno sviluppo tuttavia strozzato. E il dito ancora una volta è puntato contro la po­litica economica del governo, propugnatrice di un persistente mercantilismo centra­listico che a più voci dalla periferia si vorrebbe riformato. Nello specifico di lanerie e telerie inoltre la politica doganale si coagula nel più ampio programma di specia­lizzazione regionale pianificata che il governo ha iniziato a disegnare dali' inizio de­gli anni '70, una sorta di grande piano di divisione del lavoro su scala interregiona­le che fissa nel lungo periodo i settori strategici, quindi quelli eletti al prioritario so­stegno dello Stato. Facile la critica degli esclusi: l'impedimento alla libera espressione delle diverse vocazioni economiche territoriali e un dirigismo accentratore lontano dal­le specificità locali. Nella regione goriziana è naturalmente il perseguimento stretto del semilavorato serico ad inibire l'attenzione governativa per gli altri comparti. Questa l'indicazione viennese: non serve ostinarsi nel sostegno finanziario e fiscale a lanerie e telerie goriziane quando «la monarchia è piena di fabbriche di lana e lino», a cui il consumo in riva all'Isonzo è chiamato a rivolgersi. Ma i comportamenti eco­nomici seguono spesso regole più mosse rispetto alla pretesa di politica economica. Avviene quindi che Stiria e Carinzia «non producono alcuna stoffa per l'uso quoti­diano dei nostri contadini» (una vera e propria distanza merceologica). E anche quan­do lo fanno, «trattandosi di stoffe pesanti e di basso valore, non possono assumersi

6R Si può ripercorrere la vicenda del lanificio Gentile, poi Tacco, in IANCIS, Manifattori cit. pp. 150-156.

69 Dellinificio Morpurgo invece: i vi, pp. 169-173.

7n Si tratta probabilmente dell'esperienza di Andrea Corner, di cui si parla in IANCIS, Manifattori cit. p. 169.

71 Beschreibung, cc. 8v-9r.

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l'importo del nolo per il loro trasporto». L'epilogo è inevitabile: in barba alle regole importazione di questi capi dalla Patria del Friuli che invece si cimenta sulla porta di casa, e lo fa a prezzi vantaggiosi. 72

Ancora contrabbando e ancora una volta la sua strutturalità in un'economia di frontiera geograficamente esposta all'incontro veneziano. Non ci si può avventura­re nella sua stima quantitativa, ma l'indicazione di sostanza emerge comunque. In una bilancia dei pagamenti (Bi/lanz des Vortheils, variabile centrale del pensiero mer­cantilista) che potrebbe ambire al pareggio nel conto dei traffici con la Patria del Friuli, è proprio la componente illegale a far pendere invece pesantemente l'ago a fa­vore delle importazioni. Diversi i segnali: «nel Friuli veneto si vedono circolare mol­te nostre monete d'oro e d'argento, e anche quelle di rame, mentre la nostra provin­cia è completamente priva di monete veneziane (nonostante queste abbiano da noi un forte aggio)». Ma le implicazioni, mercantili e monetarie, diventano pesanti (e han­no anche il sapore della beffa) quando il traffico illegale si produce su mercanzia originariamente sbarcata nel porto franco: «sono merci che il veneziano compera a Trieste e poi ci rivende allo stesso prezzo, guadagnando innanzi tutto l'aggio sulla sua moneta a Trieste, poi l'aggio reiterato che esige sulle nostre monete».73

Nel gioco di ingressi e uscite è determinante quello della forza lavoro, Handwerkern e Manufacturisten. Anche qui il bilancio è intuibilmente nel senso delle immissioni, complice una politica governativa che con mezzi fiscali e finanziari le favorisce, so­prattutto quelle venete, con un numero che sarebbe tuttavia «ancora maggiore se tut­ta la nostra seta fosse lavorata nella Provincia e fossero disponibili telai da lino suf­ficienti per procurare loro il mantenimento». Il tema è ampio. Sulla mobilità del la­voro preindustriale e sulla sua disponibilità allo spostamento una regione struttural­mente debole come quella goriziana e ai margini dei grandi flussi dell'economia continentale (come anche dei suoi progressi tecnologici) cerca all'esterno ciò che non riesce a produrre al suo interno, importando manodopera qualificata e quindi sapere tecnico. 74

Più torbido il percorso inverso, quello degli espatri, storicamente dominato non dal calcolo economico, ma dall'esigenza di scampare la chiamata alle armi. La diserzione è infatti ormai una delle principali voci di emigrazione, tragica disponibilità al rischio della ritorsione più severa pur di evitare i prolungatissimi periodi di lontananza (da casa e dal lavoro) che l'arruolamento esige: «la provincia ha perso così un gran nu­mero di persone che non sono più tornate indietro». Il conflitto è evidente. Le brac-

72 lvi, c. 8v.

73 lvi, c. 8.

74 Per un approfondimento: P. IANCIS, La mobilità de/lavoro manifatturiero a Gorizia nel Settecento, in corso di pubblicazione negli atti del convegno Il barocco nel goriziano (Grad Dobrovo, 24-25 ot­tobre 2003), a cura di F. SERBEU.

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eia maschili più giovani e più forti sono contese;dall'esercito e dall'economia. L'or­dine di priorità tra i due non è in discussione, ma il monito è severo, l'agricoltura e l'industria goriziane non riuscirebbero a tollerare una nuova coscrizione:

se si dovesse di nuovo giungere a una chiamata di reclute, quelli che non sono esonerati dall'ar­ruolamento certamente diserterebbero: questo manderebbe in rovina tutta la Contea, soprattutto i sud­diti del Collio, del Friuli di pianura, della zona della bassa Gradiscana e delle località al di qua e al di là del Taglio.

Una «calamità», ma senza uscita, se non nell'azzardo del rimedio avventato: «se si volesse distogliere da questo male quei sudditi che avversano tanto il servizio mi­litare, senza perdita per il sovrano, si dovrebbe permettere loro di potersi liberare dalla chiamata alla leva direttamente con un adeguato pagamento in danaro».75

L'elevata mobilità del lavoro e della sua organizzazione rientra in un alveo di maggiore regolamentazione nella dimensione artigianale urbana. Nel perimetro del­la città di Gorizia i principali mestieri infatti operano organizzati in corporazioni (Zunften), i più tradizionali (sarti, calzolai, conciapelli) riuniti da statuti risalenti al XVI secolo, ma per la maggior parte delle fazioni con processi associativi recentissimi. Da­gli anni '30 agli anni '50 del Settecento infatti muratori, falegnami, orologiai, bottai, maniscalchi, fabbri, carrai e sellai goriziani, in evidente controtendenza rispetto a una fase storica di progressiva liberalizzazione della pratica dei mestieri, si chiudo­no in «scuole» avallate da benestare sovrano, che riconosce, a denti stretti, ma con «pri­vilegio», la necessità di un mercato urbano regolamentato e con un numero prede­terminato di operatori, l'accesso ponderato e graduale alla pratica del mestiere, la di­fesa dai «guastamestieri». Difficile non intravedere nell'istanza statutaria il tentati­vo di difesa delle arti tradizionali (e delle posizioni di rendita da esse acquisite) di fron­te alla minaccia dell'immigrazione professionale. Il ritratto dei gruppi economici go­riziani, artigiani e mercantili, del resto è impietoso per staticità:

In città i bottegai, l'intero ceto mercantile e quello borghese versano in una situazione molto diffi­cile: un agiato commerciante della Germania, di Udine, ma anche un veneziano si può comperare tutti i nostri mercanti messi insieme. Il ceto cittadino è costituito da borghesi poveri e da artigiani che a stento riescono a mantenere sé e le proprie famiglie. L'inesperienza nel commercio, la poca protezio­ne, la scarsità dei mezzi,la ristrettezza del mercato, e per contro il fasto, la propensione all'ozio, ai ban­chetti e alla bella vita che i cittadini manifestano rappresentano di per sé il più grosso ostacolo per ele­varsi dal ceto medio e diventare benestanti.76

Un breve excursus può evidenziare i tratti del corporativismo artigiano goriziano, una combinazione di principi economici e solidaristici scanditi dalla ritualità delle pratiche devozionali. In un'efficace sintesi: «l'incremento dell'onor di Dio, il buon com-

75 Beschreibung, c. 9.

76 lvi, c. 25r.

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portamento degli uomini, il benessere dei membri e dell'intera comunità». I murato­ri goriziani sono associati dal 1759 con un «privilegio» che fissa a 26 il tetto dei mae­stri operanti sul territorio urbano. I falegnami dal '68 invece sono in 12, con possibi­lità di ritocco riservato ali' autorità pubblica. I sarti già dal '42, ma con provvedi­mento confermato nel '60, non possono superare la soglia dei 24 e ogni maestro (Mei­ster) non può possedere più di tre banchi di lavoro, cioè un lavorante (Gesellen), un «mezzo lavorante» (Mittel Gesellen) e un garzone (Lehr Jungen), ma soprattutto gli è vietata l'assunzione di lavoratori forestieri finché può averne di locali. Lo statuto in­quadra le retribuzioni, su cui matura una fiscalità stabilita dall'autorità civica e in cui una componente oraria (settimanale) convive con una quota di cottimo. Calzolai e conciapelli dal '57 sono riuniti in un unico organismo, che mantiene tuttavia al verti­ce due maestri camerari (Zechmeister) e in generale una forte delimitazione tra le due componenti («i conciapelli non possono immischiarsi nel mestiere del calzolaio»). La quinta corporazione, quella che riunisce dal 1732 orologiai, bottai, maniscalchi, fab­bri, carrai e sellai, è stata riconfermata nel '69, ma manca di quel potere presente nel­le altre (che conferisce agli organi dell'arte prerogative giurisdizionali nelle controversie interne) e costringe quindi gli associati al ricorso esclusivo alla giurisdizione civica, la quale può solo impegnarsi nella promessa del rito accelerato e semplificato. 77

Appartenere a un'arte ammortizza molto le discontinuità tipiche delle economie di antico regime e, fattore esclusivo nei sistemi preindustriali, immette l'individuo e la sua famiglia nel meccanismo assistenziale e previdenziale. Solo un esempio: la mor­te di un maestro muratore conferisce al figlio maschio, a parità di requisiti tra i can­didati, la precedenza nella successione al mestiere e, in assenza di figli aspiranti, la vedova, privata della fonte di reddito, matura sul subentrante, anche estraneo, il di­ritto a un vitalizio di mantenimento. 78

Il tema dei gruppi di mestiere è ampio e controverso, qui solo accennato,79 Si n­propone tuttavia il copione, già visto, della compresenza di poteri, livelli di autorità paralleli a quello statale, che con difficoltà la politica riformatrice asburgica tenta di scardinare. Le regole interne delle arti si sovrappongono così spesso alle leggi sovrane e il Capitano circolare assieme al Magistrato civico, coordinati dal Consiglio capitaniale goriziano, governano con affanno. Anche se:

non sono i privilegi, ma l'abuso di essi e le controversie interminabili fra i soci a portare a terra le casse delle corporazioni e a causare ordinanze tanto frequenti. SO

Le regole di apertura delle corporazioni e di controllo sull'attività organizzata

77 lvi, c. 23.

7R lvi, c. 23r.

79 Per una panoramica di più ampio raggio si rimanda ai capitoli dedicati alle forme del lavoro artigianale in lANCIS, Manifattori ci t.

so Beschreibung, c. 24r.

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dei mestieri nell'ottica di una progressiva liberalizzazione sono già tutte scritte (a par­tire dali' importante patente di Carlo VI del 1732) 81, ma le formulazioni teoriche del cameralismo austriaco continuano a scontrarsi con l'insostituibilità di alcune fun­zioni esercitate dalle organizzazioni professionali: la maggiore stabilità dei prezzi in un mercato urbano regolamentato, la capacità di trasmissione del sapere tecnico, la garanzia di un più agile controllo qualitativo dell'offerta, il mutuo soccorso tra gli associati che sostituisce l'intervento sociale dello Stato.

La ricerca del difficile equilibrio tra libera iniziativa privata e intervento corret­tivo pubblico si ripropone anche fuori dalle botteghe artigiane, negli altri momenti (e luoghi) dello scambio: fiere e mercati. I centri principali, Gorizia, Gradisca e Cormons ospitano ognuno due appuntamenti di mercato settimanali. Le fiere annuali invece so­no quattro a Gorizia e due a Gradisca (Cormons ne è priva), con un tentativo di due ulteriori date annuali straordinarie, mai tuttavia realmente decollate. Su tutti vigila­no le rispettive autorità annonarie: a Gorizia il Consiglio capitaniale congiuntamen­te al Magistrato civico; a Cormons la comunità stessa (Gemeinde) con il supporto di due giurati (Geschworene); a Gradisca una commissione locale (l'Annona, appunto), composta da due commissari e da una coppia di giurati, in costante contatto con Trieste e con altre piazze commerciali per un'informazione aggiornata dell'anda­mento dei prezzi. 82

Non si pensi al mercato come luogo di spontaneo incontro tra domanda e offer­ta capace di originare in sé le condizioni di massimo soddisfacimento degli attori che vi convengono. Le autorità annonarie intervengono pesantemente per correggere storture e abusi in materia di peso e qualità delle merci, ma anche sui prezzi, con un'at­tenzione rivolta prioritariamente ai beni primari, da cui dipende l'assetto alimenta­re della città. Alcuni esempi: i corrispettivi dei legumi, spesso sottratti alla libera con­trattazione e tariffati, oppure il pesce, su cui una distribuzione di fatto monopolisti­ca ha recentemente imposto il ricorso al calmiere. Osservata speciale è anche la frutta, frequentemente provata da speculazioni sulla qualità («ho visto [vendere] frutta tanto acerba, che nemmeno le bestie l'avrebbero mangiata») e che spesso esi­bisce oscillazioni di prezzo non giustificate dalla semplice altalenanza delle annate agricole.83

L'intervento autoritario si produce ovviamente con priorità sul lato dell'offerta:

sradicare le indebite attività di avidi venditori, i quali con tutti i modi possibili cercano di guadagnare di più su ogni articolo, rincarando con segreti maneggi le derrate alimentari a gravissimo danno del pubblico.84

81 ARCHIVIO STORICO PROVINCIALE DI GORIZIA, Atti degli Stati provincia/i- sezione /1, b. 719, Paten-te 19 aprile 1732.

82 Beschreibung, c. 19.

83 lvi, c. 19v. 84 lvi.

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In materia di pesi e misure la sorveglianza sulla regolarità delle contrattazioni è complicata dalla persistenza dell'uso delle unità italiche sulle prescrizioni governa­tive che impongono invece l'esclusività del metro viennese. Sono previste pene per chi non utilizza il Pfund tedesco nelle pesate, ma ad esempio già nella vendita dell'olio è assolutamente in valsa («senza che se ne sappia la ragione») la libbra italiana, il tutto «sotto gli occhi delle autorità».ss Non sono esclusi i cereali, che dovrebbero essere venduti al Metzen tedesco, ma per i quali si fa un ricorso diffuso al pesenale o pezzinale (3 pesenali = l staro (o staio) = 1,5 Metzen), che nei mercati gradiscani si propone anche nella variante dimezzata del pesenaletto. Sui liquidi la situazione ap­pare più stabile: vini e altre bevande convergono abbastanza uniformemente sulla mi­sura ufficiale. Ma nuovamente nelle unità di lunghezza (ad esempio dei tessuti) la du­plice influenza si fa sentire e il braccio viennese (nonostante le «ripetute multe com­minate») si confonde spesso con il braccio piccolo veneto. La trasgressione cresce ov­viamente man mano che ci si avvicina al confme occidentale, complicata dal fatto che i villaggi oltre il Taglio di Palma, considerati esteri in linea bancali, sono autorizza­ti all'impiego della misura italica. Là quindi «Si usa il braccio piccolo, la stara ve­neziana, la libbra al posto del Pfund, la misura piccola veneziana per la vendita del vino».86

L'effetto economico della politica di controllo c'è, ma l'intervento sui mercati (come prima quello sulle corporazioni) rimane stabilmente nel quadro delle attività di polizia, ovviamente nel senso allargato con cui si presenta la semantica del termi­ne nelle società preindustriali, ovvero il perseguimento amministrativo di un «siste­ma ordinato». 87

Circoscrivere i luoghi e i tempi dello scambio è il modo con cui la città si attrez­za per governare il momento mercantile. Ma l'allontanamento dal perimetro urbano (e il conseguente venir meno del nodo annonario) inverte questo presupposto e fram­menta l'occasione commerciale in una galassia ben più difficile da controllare. Nel­le giurisdizioni periferiche tra l'altro «è risaputo che i delegati sono poco coinvolti in questa incombenza, perché non rende loro nulla». Nei villaggi occidentali e meridionali ci mette una pezza l'Annona gradiscana, in via straordinaria e solo grazie allo «ze­lo» della sua commissione.

Ma in tutte le altre giurisdizioni della provincia «ogni giurisdicente può procede­re a sua discrezione, senza dover temere la minima ispezione o controllo delle sue at­tività, che possono essere illegali e addirittura inique». C'è evidentemente un conflitto di interessi, che è strutturale (e probabilmente irrisolvibile): il giurisdicente è di so-

85 lvi.

8n l vi, cc. 19v-20r.

87 lvi, c. llr.

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lito il principale proprietario terriero del villaggio e quindi anche il primo produtto­re e distributore di beni agricoli, ma contemporaneamente è controllore della loro com­mercializzazione. Quindi:

anche nel caso che nei suoi confronti venisse mossa una denuncia, egli è comunque pienamente tu­telato dal suppano [da iupan, decano, cioè il capo della comunità di villaggio] e dai giurati della sua giu­risdizione, poiché questi sono completamente soggetti a lui. Non c'è alcuna altra persona preposta a pren­dersi cura di una questione così importante; il giurisdicente può pertanto andare avanti senza timore nel­le sue attività, vendendo i suoi prodotti nel modo e con il peso e la misura che più gli sembrano con­venienti.88

Qui si ferma il Beschreibung. Lo fa dove terminano le competenze amministrati­ve e di polizia degli uffici provinciali. L'economia «commerciale», ovvero quella in grado di affrancarsi dal mercato locale, ha infatti un governo ad hoc. A Gorizia è il Magistrato commerciale, poi Consesso e infine Commissione commerciale, un or­ganismo collegiale dipendente direttamente dal Kommerzdirektorium di Vienna, poi dal Consiglio commerciale. L'organo ha accompagnato e sostenuto lo sviluppo del­le principali iniziative economiche della regione fino al 1776, anno in cui viene sop­presso insieme alla triestina Intendenza commerciale per il Litorale. Alla base la rin­novata tendenza centralizzatrice che segnerà la nuova ondata di riforme (quelle giu­seppine) a cavallo tra gli anni '70 e '80. La data di redazione del Beschreibung, ill775, conferisce quindi alla fonte (e ai suoi sconfinamenti nell'ambito agricolo, manifatturiero e mercantile) ulteriore importanza, perché permette un'istantanea dell'assetto pro­vinciale a un anno dalla soppressione dei più importanti organi economici della re­gione, a cui corrisponderà una fase di buio documentario in materia economica non colmato dal temporaneo trasferimento di competenze al Consiglio capitaniate. Nell'83 tra l'altro anche il Consiglio verrà soppresso e tutto confluirà nel Governo triestino. Ma non si fraintenda. Sarebbe un errore assegnare al Beschreibung un ruolo con­suntivo. Per intenderei: si scorra, anche solo superficialmente, l'inventario dell'am­pio fondo archivistico che conserva la documentazione prodotta dal Consiglio capi­taniate goriziano (conservato in originale presso l'Archivio di Stato di Trieste e in mi­crofilm in quello di Gorizia) e si ritroverà nelle sezioni in cui è diviso una scansio­ne di argomenti molto familiare: annona, boschi, strade, monti di pietà, coscrizione e diserzione, monete, mercati, ecc. Si consideri poi la poca attenzione che la stono­grafia locale ha concesso a quelle carte, così dense e sterminate, e non si potrà che sin­cerarsi di un lavoro solo all'inizio.

8H lvi, c. 14r.

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