Il risveglio corretto 300411

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Cesare A. Bellentani Il risveglio 2010 1

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Cesare A. Bellentani

Il risveglio

2010

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Prefazione

Molti anni fa, quasi trentasei, mi sedetti per laprima volta, emozionato ma abbastanza fiducioso, suibanchi del liceo-ginnasio «Lodovico Ariosto» diReggio Emilia. La stessa scuola che frequentavaCesare Bellentani. Eravamo anzi nella stessasezione, la B. Solo che lui era un anno avanti equei dodici mesi facevano una differenzanotevolissima, poiché ne conseguiva che la suaprofessoressa di Lettere era la temutissima AteZanni, una vera e propria istituzionedell’«Ariosto».Per il biennio ginnasiale di allora (immagino cheoggi le cose siano un po’ cambiate, non saprei)l’insegnante di materie letterarie era di fatto unasorta di docente unico, il solo che contassedavvero, poiché impartiva contemporaneamente lezionidi italiano, latino, greco, storia e geografia. Epoiché le lingue classiche erano l’asse portante ditutta la formazione, su quelle soprattutto bisognavaapplicarsi. Con Ate Zanni in cattedra non c’erascampo. Le alternative erano sostanzialmente due:l’esaurimento nervoso o l’acquisizione di una buonaconoscenza di base del greco e del latino, trasmessain un regime di severità così esigente (più tardi losperimentò mia sorella, più giovane di tre annirispetto a me) da sconfinare nel terrore.Questa premessa serve semplicemente a comprendereperché non mi sono affatto stupito nel constatareche il mondo futuribile descritto da Cesare nel suolibro ha molto a che fare con l’età classica e con

l’impero romano. La scuola «nozionistica» di untempo aveva i suoi difetti, ma non si può certonegare che aiutasse a ben considerare l’importanzadel formidabile patrimonio trasmessoci da queinostri lontani avi. E se poi gli insegnanti erano diun certo tipo, la cultura greca e latina finiva perentrarti quasi nel sangue. Lo si coglie bene in ognipagina del presente romanzo: nei nomi deipersonaggi, nel loro modo di esprimersi e dipensare, nel retroterra filosofico che fa da sfondoall’intera narrazione.Lungi da me l’idea di anticipare troppo circal’ambientazione e la trama. Sarà il lettore ascoprire passo per passo l’utopia avveniristicaimmaginata da Bellentani, seguendo i pensieri, glistupori e i dubbi del protagonista, nel quale sirispecchia in gran parte (mi pare di capire) lapersonalità dell’autore. Il libro del resto non èsoltanto un esercizio d’immaginazione, con alcunetrovate davvero intriganti, ma anche il frutto diriflessioni sull’ordine politico ed economico piùdesiderabile, oltre che su un tema decisivo come lafatale incompiutezza della condizione umana.Nelle considerazioni di Cesare emerge con chiarezzala visione liberale di cui è cultore sin dagli anniadolescenziali in cui ci incontrammo, divisi allora(ma non troppo) dal fatto che io invece miriconoscevo in una più impaziente e radicaleispirazione di tipo azionista-repubblicano.Definizioni da Prima Repubblica, che non so quantopossano dire ai lettori più giovani, anche se nelfrattempo la cultura politica italiana ha prodotto

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talmente poco da far francamente rimpiangere ildibattito degli anni in cui persone come noi siaccostavano ai problemi della vita pubblica.Forse oggi (dovremmo approfondire l’argomento unadelle prossime volte, sempre troppo rare, chepasserò dalla natia Reggio) io e Cesare siamo piùvicini di allora, se ben intendo le preoccupazionisull’intreccio perverso tra politica e affari cheemergono da queste pagine, così come il richiamoinsistito alla dimensione spirituale dell’esistenza,oltre i dogmi codificati e gli steccaticonfessionali.Una società perfetta su questa terra non potremo maivederla, eppure sarebbe un errore gravissimoabbandonarsi al cinismo, smettere di alimentare lasperanza, cessare gli sforzi per migliorare almenoun poco la qualità della convivenza. È in fondoquesto il nocciolo della grande cultura classica cheabbiamo avuto la fortuna di studiare e di cui illibro di Cesare, pur ambientato in un lontanofuturo, porta ben marcata l’impronta dal primoall’ultimo capitolo.Antonio Carioti

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“Он не заслужил света, он заслужил покой,”печальным голосом проговорил Левий.

"Non ha meritato la luce, ha meritato la pace" proferì Levi con vocetriste.

M.Bulgakov – Il Maestro e Margherita

Capitolo IIl risveglio

Il risveglio fu dolcissimo. Avvertì prima una sortadi tepore: quando a posteriori seppe che il senso ditepore lo aveva percepito una volta portato da menocinquanta a meno quindici, prima sorrise, poi ebbemodo di riflettere sulla relatività delle vicendeumane. Contestualmente, incominciarono i primi,debolissimi segni di movimento, accennati, sotto lostrettissimo controllo dei medici. Le operazioni dirisveglio erano delicatissime, glielo avevano dettoprima di addormentarlo assieme a Clara, lasciandosigillato, in un contenitore isolato da umidità ecalore, tutti i protocolli destinati ai medici checinquecento anni dopo avrebbero compiuto leoperazioni di risveglio.

Per essere sincero nessuno era stato in grado difornirgli alcuna garanzia nemmeno sulla sua stessasopravvivenza, né, nel caso, sulla qualità dellamedesima. Ma il desiderio di compiere questo volosenza ritorno nel futuro aveva prevalso su ognipaura.La lentezza del riscaldamento, così come neimovimenti, era fondamentale per fronteggiare ilrischio della fragilità, insita nella semi-vetrificazione conseguente alla temperaturabassissima.A mano a mano che i gradi aumentavano avvertiva unsenso di solletico prima negli arti inferiori, poiin quelli superiori.Quindi fu la volta dell’udito, che riprese undebolissimo contatto con la realtà. Un brusio difondo, un confuso vociare di persone, interessateprobabilmente quanto lui a questo risveglio.In realtà l’esperienza della curiosità la provòsoltanto dopo. Di queste sensazioni mantenne memoriasolo come di un vago sentore, qualcosa di simile aquanto proviamo per la nostra primissima infanzia,di cui, malauguratamente, non manteniamo nulla senon pallide ombre, e, accanto ad esse, sensazioni digioia e serenità, oppure di angoscia e paura.Questa percezione di calore rimase codificata comein un sogno di cui portava bagaglio al risveglio, e,lo seppe con certezza, non gli aveva procuratoangoscia di alcuna sorta. In questa seconda nascitanessun vagito, solo un lento ma inesorabilerisveglio dopo un sonno di cinque secoli.

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Passarono diverse ore, questa volta nellasemioscurità e in un rispettoso silenzio, prima chepotesse incominciare a distinguere ombre e luci. Elo stato di torpore lo abbandonava sempre più, perfare posto a una sempre maggiore consapevolezza diquanto stava vivendo.Davvero erano passati cinquecento anni? Faticava aricordare. Sembrava questione di pochi attimi prima.Il cervello era stato in una situazione di assolutoriposo, nessun sogno ne aveva modificato lastruttura dei ricordi. Ricordava il senso dibeatitudine mentre nelle orecchie lo accompagnavanole note del notturno numero due, opera nove, diChopin, come aveva stabilito, nel momento in cuiaveva chiuso gli occhi attendendo questa specie dimorte transitoria. Li aveva posati su Clara perl’ultima volta, prima che l’anestesia facesseeffetto e che potessero incominciare le operazionidi sostituzione del sangue con il plasmaartificiale. E, subito dopo, queste stranesensazioni di ombre, senza suoni, questi sommessibrusii che, a un certo momento, avevano lasciato ilposto a un ovattato silenzio.Quando fu completamente consapevole del risveglio fupreso, per la prima volta, dalla paura. E la pauralo colpì in due pensieri angoscianti: sarebberiuscito ad aprire gli occhi? Sarebbe riuscito acamminare sulle sue gambe?Perché se la paura di perdere la propria vita nonera nulla nei confronti della prospettiva di vedereil futuro, l’idea di una vita a metà, in cui non

potesse più correre, camminare, guardare, lo turbavaprofondamente. E Clara?Clara era sopravvissuta?La sua compagna lo aveva seguito in questa suafollia. Entusiasmo o rassegnazione?Follia.Attese a lungo prima di aprire gli occhi. Il terroredi una sentenza di condanna, definitiva, lotratteneva. Sapeva che c’era luce, perché questal’aveva percepita da subito attraverso le palpebre.E poi?Però, pensò (a questo punto i pensieri eranodiventati nitidi) poteva anche essere che sitrovasse ancora nel ventunesimo secolo; poteva ancheessere che, perdendo la vista, la tecnologia delfuturo gli potesse rendere tutto ciò che avevaperduto. La tecnologia delle cellule staminali…azzardò pensieri scientifici che andavano ben oltreil suo ambito di latinista. Finalmente si risolse. Ecco, socchiuse gli occhi.Una debolissima fessura. Provò un infinito sollievonel vedere le sagome sempre più nitide intorno a sé.Ma ecco che nuove paure si facevano largo, man manoche il cuore poteva registrarle, con l’aumentare delbattito. Come sarebbe stato il mondo nuovo? Qualelingua vi avrebbe parlato? Se pensava alla linguadel primo decennio del ventunesimo secolo, e laconfrontava con quella degli anni scolastici, ditrenta, quarant’anni prima, vi erano tantedifferenze, tanti modi di dire, tanto lessico mutatoinesorabilmente. La lingua è qualcosa di vivo, checorre, come un bambino, che per i genitori è sempre

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lo stesso, ma in realtà cresce, e chi lo rivede dopotanti anni stenta a riconoscervi la stessa persona,tante sono le cose mutate in lui.Sarebbe stato in grado di riconoscere nella linguaora più adulta di prima la bambina con cui eraavvezzo a esprimersi cinque secoli addietro?L’incapacità di comunicare era motivo per lui digrandissima angoscia. Come vestirà la gente del ventiseiesimo secolo?Quali le usanze? S’immaginava negli abiti delMagnifico e di Leonardo camminare per le strade diMilano, di Londra o New York, con quelle fogge deicapelli dei dipinti di Piero Della Francesca, con lepersone a guardarlo come rappresentante di uncarnevale fuori stagione, fra lo stupito e ilbeffardo.Diverso, e terribilmente percepito come tale.E il gap generazionale? E quello tecnologico?Quante e quali potevano essere le invenzioni con cuifare i conti, pensò. Aveva fatto presto quando avevascelto l’ibernazione, voglio vedere dove saràarrivata l’umanità: ma senza fare i conti che se dalmedioevo avessero mostrato un aereo senza poterapprezzare le migliaia di passaggi intermedi, l’uomoche avesse sopportato tale balzo ne sarebbe restatoscioccato, come di fronte a una stregoneria. Siamoabituati, pensò, siamo sempre stati abituati avedere il futuro come una logica continuazione,un’estrapolazione lineare del passato. Lo avevanotato sorridendo quando sfogliava le riviste diqualche decennio indietro che proponevano leautomobili, o gli aerei, o le case del futuro.

Niente di più strampalato, di più lontano dallarealtà. Pensava a come l’invenzione di Internetavesse rivoluzionato il cambio di millennio, e dicome tale invenzione fosse inimmaginabile soloqualche lustro prima.Poi pensò alla situazione politica. In cinquecentoanni succedono tante cose… anche qui la riflessionenasceva dal futuro che aveva già avuto modo divedere. La cartina geografica dell’Europa dopo laseconda guerra mondiale, così come l’aveva studiataa scuola, sembrava destinata a mantenersi e aperpetuarsi in una situazione cristallizzata, sottol’ipoteca della bomba atomica, e il mondo pareva nondoversi schiodare di lì. Salvo poi trovare unottantanove che era stato ben più del proverbialequarantotto di centoquaranta anni prima. Qualiimperi, quali stati sarebbero rimasti? Qualiaggregazioni e quali disgregazioni? Quali – e quiprovò un brivido, che ben si confaceva alla suacontingente situazione termica – guerre avevano inquesti anni sconvolto il pianeta? Erano state guerrepulite oppure l’uomo era stato carne da macelleria?Così, a mano a mano che il sangue cominciava afluire, e mentre gli organi sensoriali non eranoancora in grado di percepire la realtà, i pensierisi affastellavano nella sua mente, in manieradisordinata.Aveva voluto fare un salto nel futuro, e invece,probabilmente, era rimasto nel passato, perchéquello che lui si aspettava fosse il futuro nelfrattempo era trascorso. Pensò che i suoi nipoti, iloro figli, e i figli dei loro figli per diverse

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generazioni, almeno venti, aveva calcolato, si eranosucceduti, avevano popolato i campisanti, di loro siera persa traccia, erano un retaggio del passato, manon di quello che fa la storia, bensì di queimattoncini invisibili, indispensabili, certo, madestinati a cadere nell’oblio. Tutti li aveva allespalle. In quel suo sonno istantaneo, di cui nonaveva percepito che qualche debole nota dipianoforte, si era svolto lo stesso tempo intercorsodalla scoperta dell’America ai suoi giorni. E anchequesto lo spaventava, benché razionalmente lo avessesoppesato, ma, si rendeva conto, non a sufficienza,solo in maniera tecnica. Una sorta di laboratorioprima dell’esperimento, quando si ripassano glienunciati teorici, ma poi c’è l’esperimento, e lì ètutta un’altra storia.Poi dall’universale si trovò al mondo delparticolare. Sicuramente più modesto, di fronte alnuovo ordine mondiale, con tutte le sue grandiscoperte e invenzioni, ma infinitamente piùtangibile, e quindi più importante. E qui avvertì unsenso di grettezza spirituale.Si trovava, pensò, anzi, si trovavano, lui e Clarain un mondo nel quale probabilmente ignoravano lalingua, del quale ignoravano le tecnologie, e nelquale non sapevano nemmeno qual tipo di valuta siusasse. Il denaro!Che denaro avrebbero potuto utilizzare per vivere? Èvero che in questa bara temporanea ove avevariposato per cinque secondi – secoli aveva fattoriporre un po’ d’oro, e che aveva lasciato un contoin banca. Ma le banche avrebbero riconosciuto un

debito verso un correntista contratto cinquecentoanni prima? E anche se fosse, chi gli garantiva chenel frattempo non fossero fallite o liquidate? Avevalasciato alcune disposizioni al suo notaio, conl’incarico di trasmetterlo di generazione ingenerazione ai suoi successori. Ma ora si rendevaconto che bastava un infinitesimale granello disabbia per bloccare il movimento di tutti gliingranaggi nell’impianto che aveva concepito.Come avrebbero mangiato? Coltivava – si sorpresedell’istintuale capacità della sua mente dielaborare strategie di sopravvivenza pur in una faseanomala come questa, in cui non era ancoraperfettamente sveglio – coltivava l’idea di essereun documento vivente del ventunesimo secolo, adisposizione di studiosi e scienziati. Poteva essereuna soluzione. E lo confortava. Ma,contemporaneamente, un’altra terribile idea glibalenava cupa nella mente: e se a quelli dellastoria non gliene fosse fregato per niente? Un colore ocra dominante avvolgeva tutto, e questolo rasserenò, per il calore che gli trasmetteva. Così poté distogliere il pensiero da quei foschiragionamenti che lo stavano attanagliando, el’angoscia per qualche minuto lo abbandonò. Poi sisforzò di allargare ancora un po’ gli occhi, sempremantenendoli socchiusi, cercando di mettere a fuocoqualcosa, e al tempo stesso di avere più luce perdistinguere meglio la realtà circostante.La stanza era larga, o almeno così gli sembrò. Alzògli occhi e vide una sagoma sopra di sé.

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“Quomodo vales1?” gli chiese la ragazza, vestita conuna tunica color latte macchiato.Tacque pensieroso.“Quomodo vales?” ripeté, abbassandosi su Giulio. Poigli afferrò il polso per misurarne il battito.“Optime2” rispose Giulio allegramente. E, a seguire“Cur latine loqueris3?”La ragazza lo guardò stupita. Continuando a parlarela lingua di Cesare e Cicerone proseguì.“È la mia lingua, quale altra dovrei parlare?”Giulio rimase stupito. Questa proprio non se lasarebbe mai aspettata.Però aveva un vantaggio innegabile, non avrebbe maiimmaginato che la lingua morta che amava e cheinsegnava gli sarebbe divenuta linguaggio diconversazione.Un turbinio di pensieri prese potentemente forza inlui, tutti i timori, le ansie, le angosce simaterializzavano improvvisamente.Avrebbe voluto investirla con mille domande, e averein cambio, immediatamente e contemporaneamente,diecimila risposte. Ma si trattenne, comprendevamolto bene che ne poteva andare, fra l’altro, dellasua salute. Trattenne il respiro (lo aveva fatto percinque secoli, poteva ora farlo per qualchesecondo), poi di nuovo respirò profondamente.La ragazza, dalla pelle scura e dai tratti somaticicaucasici gli sembrò bella ma strana, come un cocktail

1 Come stai? in latino2 Benissimo.3 Perché parli latino?

inaspettato. Ora riusciva a distinguerne ilineamenti. Pensò che forse non era il caso dirivolgere domande sui massimi sistemi, sulla storia,sulla politica e sulla economia alla prima personache incontrava nel nuovo mondo: come se facendo unviaggio in un paese lontano ed esotico avessechiesto al primo inserviente incontrato lungo lastrada informazioni su argomenti che preludevano agrandi conoscenze: solo perché era il primoincontrato non era necessariamente il rappresentantedel nuovo, e neppure la persona più indicata asoddisfare con correttezza le sue legittimecuriosità.Perciò scelse la strada più lieve, quella dellaconversazione quotidiana.C’era frastuono, eccitazione, lo percepiva, ora chel’udito, con il passare dei minuti, si rafforzava, etutta quell’atmosfera ovattata non sembrava poi cosìovattata come gli era parso nei primi secondi delrisveglio, in quella sorta di aurora che precedevail suo giorno.Con grande naturalezza rispolverò frasi latine,mistificando il fatto che non era la linguacolloquiale.“Che cosa sono questi rumori? Sento persone cheridono”“La fortuna ha toccato una nostra collega”

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“Tangevit4?” chiese Giulio. Già aveva impugnatoinconsciamente la matita rosso-blu “Perché hai dettotangevit e non tetigit5?”La ragazza lo guardò stupita, poi si girò percercare con lo sguardo qualche collega.“Perché? Che c’è di male? Si dice così”Forse la lingua si era imbastardita. Però ci sarebbestato il tempo anche per approfondimenti filologici.Fece finta di nulla.“Scusa, lascia stare. Non farci caso. E come lafortuna ha toccato la tua collega?”“Ha vinto il primo premio alla lotteria, per dodicimesi avrà a disposizione un credito mensileillimitato di gigawatt e potrà divertirsi per unanno intero. Di là stanno festeggiando”Un credito illimitato di gigawatt come premio. Chese ne sarebbe fatta di una fornitura di elettricità?Premi bizzarri, pensava. La guardava con volto interrogativo. “Cerca di capire” gli disse, con uno sguardo fra ilcomprensivo e il corrucciato “che per una personache guadagna 10 megawatt al mese significa davverocambiare la vita. Fare tutto ciò che vuoi,comprendi?”Straordinario sì, pensava Giulio, forse una primacosa l’ho capita. Quindi, sembrava, non esistevanopiù euro, né dollari, né sterline o yen o yuan… eral’energia la nuova moneta del ventiseiesimo secolo?

4 Ha toccato (in maniera sgrammaticata, secondo la morfologia latina classica)5 Ha toccato (in maniera corretta)

Capitolo IIPertinace

All’improvviso tutto il vociare si zittì. Di colpo.Quel brusio, che man mano riacquisiva l’udito Giuliopercepiva sempre più come frastuono, come gioiosaesultanza, sino a rendergli chiaro di averriacquisito completamente il senso, si fermò. Dovevaessere successo qualcosa.Non poteva ancora girarsi (si rese conto che perevitargli traumi era stato fasciato, ma anche questoriuscì a comprendere con la ripresa progressiva delsenso del tatto), ma sentì la porta della sua cameraprima aprirsi e poi chiudersi.“Carola, mi stupisco di te, che come responsabiledel reparto non hai fatto nulla per calmare quellefolli. Siamo in un centro medico, non devidimenticarlo”“Sì, direttore, hai ragione. Scusa, ma devi capireche quello che è successo…”“Io capisco solo che siamo in un centro medico. Checi sono delle regole. Che ci sono malati econvalescenti che devono essere protetti. Che sevolete festeggiare lo farete alla fine del turno. Siè svegliato?” chiese indicando il letto di Giuliocon uno sguardo accigliato.

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“Sì, direttore, abbiamo già scambiato le primeparole”Il direttore cambiò espressione e si rivolse aGiulio con uno sguardo molto più affabile. Sischiarì la gola con un colpo di tosse, poiincominciò a scandire alcune parole, cheprobabilmente doveva essersi preparato da tempo.“Come … sta … signore … ricorda … qualche … cosa?”Gli stava parlando in un italiano stentato, come lopuò parlare una persona che lo usa come linguastraniera, e nemmeno con una grande frequenza.Carola accennò timidamente a intervenire.“Parla latino, anche se con qualche errore” disse,col tono di una persona che sta camminando su unpavimento di uova e non le vuole rompere.“Ah, bene” disse il direttore, mascherando a faticaun certo disappunto. Per lui, che era uno studiosodi lingue antiche, sfumava la possibilità di farnesfoggio nei confronti dei sottoposti. Ma, fatto unrapido calcolo dei vantaggi e degli svantaggicomprese che i primi sopravanzavano i secondi, tantopiù che, concluse da ottimista qual era, con ilnuovo arrivato avrebbe potuto parlaretranquillamente entrambe le lingue. Rasserenato, lo approcciò nuovamente, questa voltanella sua lingua madre, intravedendo giàun’amicizia, un rapporto privilegiato con quest’uomoche veniva dal passato e che, come un libro distoria vivente, poteva raccontargli di cose epersone andate perdute.“Come stai, signore?” gli chiese.

Giulio incominciava a tranquillizzarsi, avendo giàavuto una prima risposta circa due dei grandiquesiti che lo avevano angosciato nei primi minutidel risveglio. Ora però uno, molto più grave, sifaceva spazio, prepotentemente, incessante in lui: eClara?“Direttore, e Clara? Come sta Clara, dimmelo!”“Clara è sotto osservazione. I tempi di risveglionon sono i medesimi da persona a persona. Devipensare anche che il vostro è stato il primo caso diesseri umani che, ibernati, sono riusciti a giungereal risveglio vivi. La letteratura scientifica –hofatto un corso post lauream in materia di ibernazione-racconta dei tantissimi tentativi abortiti, condecesso per la maggior parte dei casi nelle fasipreliminari, in altri durante il risveglio. Tanto èche la pratica della richiesta di ibernazione èstata abbandonata di fatto da oltre quattrocentoanni, e trecento ottanta anni fa è stata dichiaratadefinitivamente illegale. I soli casi esistenti,secondo i legati testamentari allegati, sono statiaffidati ai centri medici con l’obiettivo di essereportati a termine. Purtroppo nella totalità – finoad oggi – senza risveglio dell’ibernato. Per fortuna– tua – per la prima volta, oggi, con un risultatomiracoloso”Un brivido gli percorse la schiena.“E Clara?”“Clara è in osservazione. Respira, e questo è giàqualcosa. Di più non posso dirti per il momento”Le parole del direttore gli suonarono sinistre.“Voglio vederla”

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“Per il momento non puoi muoverti da qui. Anzi,colgo l’occasione per spiegarti un po’ di regole –poche – alle quali dovremo attenerci come protocollomedico legale.Primo punto: la pratica del risveglio durerà ancoraventiquattro ore. Durante queste dovrai rimanereimmobilizzato, ti verrà somministrata alimentazioneper via endovenosa, gli eventuali analgesici tisaranno dati solo dopo che ne avrai fatto richiesta.È importante capire prima se la ripresadell’attività circolatoria, nervosa, muscolarecomporta assestamenti e conseguenti manifestazionidi dolore fisico. Carola” tossì, mentre pronunciavail nome della sanitaria, come a rimarcare ancoraun’ultima volta il rimbrotto che le aveva riservatopoc’anzi “resterà al tuo fianco per ventiquattroore, alternandosi in turni di sei ore con Leucadia,che ti sarà presentata fra poco.Trascorse le prime ventiquattro ore sarai avviato aun recupero fisico attraverso progressivi esercizidi fisioterapia; avrai due persone ad assisterti.Nella prima fase gli esercizi saranno compiuti dasdraiato, qui sul tuo letto, poi sarai alzato, econtinuerai sotto stretta sorveglianza in palestra.Nello stesso tempo saranno fatti accertamenti medicisul tuo stato di salute, per verificare che tu nonabbia malattie rare, oppure non sia rimasto in tequalche virus debellato negli ultimi secoli maancora presente nel ventunesimo secolo…”“Ma, direttore, io ero sano al momentodell’ibernazione. Nel mio testamento temporaneodovresti aver trovato la mia cartella clinica, dove

si dichiarava il mio stato di perfetta salutefisica…”“Verissimo, nulla è andato perduto. Ma molte sono lemalattie che non sapevate di avere cinquecento annifa, di cui conoscevate i sintomi e non le cause, eche ora invece sono state debellate. Assieme aqueste, negli ultimi trecento anni, sono statieradicati i virus, tramite una forte campagna divaccinazione. Da oltre un secolo sono state sospesele vaccinazioni. Ma capisci perfettamente che se tufossi portatore di uno di questi e lo diffondessisarebbe un disastro per l’umanità”“E Clara?” chiese ancora.“Vedrai anche Clara. Comunque, ti stavo terminandodi spiegare…”Vedrai anche Clara. Queste parole gli diedero un po’di serenità.“… che verso il secondo giorno vedremo diricominciare con un’alimentazione di tipo liquido, epasseremo poi a una sempre più normale sino,prevediamo, all’entrata a regime dopo una settimana.Se – e sottolineo se – se tutto va come deve andaretrascorrerai la seconda e la terza settimana qui nelcentro medico, con ulteriori accertamenti e unmonitoraggio costante circa la presenza di malattie,per sincerarci sino a fondo del tuo reale stato disalute. La quarantena (che come vedi è stata ridottaa una ‘ventena’, passami il neologismo) saràconclusa il ventunesimo giorno da oggi.Progressivamente ti saranno fornite tutte leinformazioni utili per poterti muovere in un mondoche non conosci. E” e qui si schiarì di nuovo la

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voce con un colpo di tosse “sarò molto onorato diassisterti in questo tuo risveglio nel mondo per tenuovo, come” e ancora una volta diede due colpi ditosse “come amico ancora prima che come medico”Giulio era troppo preso per dare effettivamente pesoalle cordiali parole del direttore. Gli chiese perl’ennesima volta.“E Clara, quando potrò vedere Clara?” accennò adallungare un braccio verso di lui, salvo rendersiconto che, fortunatamente, il braccio era saldamentelegato al letto con le fasciature.“Non devi agitarti” gli sussurrò premurosamente“queste ore sono fondamentali per la qualità dellatua vita futura. Domani, verso sera, se tutto andràbene, ti porteremo da lei. Ma è importante che tusegua scrupolosamente i protocolli. Vale6”Detto questo si girò, salutò Carola con un accennodi sopraciglia e uscì dalla stanza, mentre il cuoredi Giulio batteva sempre più forte in preda aun’apprensione crescente sul futuro di Clara.

Capitolo IIILa convalescenza

6 Stai bene, arrivederci

Dormì agitato. Come la notte precedente, quella dicinquecento anni prima. Sì, perché il sonno penta-secolare non era stato sonno, era stato pausa divita, sia per le attività di corpo e mente sia peril riposo. Semplicemente, in quei cinque secoli nonera esistito. Pertanto, pensava, non era logicodirsi “fatico a dormire perché ho dormito un sonnoprofondissimo”.L’agitazione era dovuta a una serie di anomalie, ingran parte assimilabili fra le due notti contigue elontanissime, legate a un connubio di ansia edeccitazione, in cui, in questa seconda, si univanole paure immani per la sorte di Clara.Le parole del direttore non erano state facili dacapire. Voleva nascondergli qualcosa? La sua donnaera forse morta? Non ce l’aveva fatta a terminarequesta lunghissima cavalcata nei secoli? Tanti, quasi tutti coloro che avevano tentato lastrada dell’ibernazione erano morti. Lui era unprivilegiato. E Clara? La tecnologia era stata lamedesima per entrambi, e se aveva avuto successo conlui doveva essere stato così anche per lei. Ma ilfisico aveva reagito alla stessa maniera?L’indomani, cercava di rassicurare se stesso, ildirettore gliela avrebbe mostrata. Lo avrebbecondotto da lei. Ma la notte alimentava i mostri,ingigantiva le preoccupazioni e immaginava di esserecondotto davanti a lei cadavere. Leucadia, la sanitaria che aveva preso il posto diCarola, l’aveva trattato con estrema premura.Vedendo che stava smaniando gli aveva rinfrescato lafronte, poi gli aveva praticato un’applicazione di

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tranquillante, stendendogli un cerotto calmante sulpetto.Quasi istantaneamente Giulio si era addormentato,profondamente, ma il sonno era stato un seguito deipensieri precedenti. Si trovava, lui adulto, davantia una commissione di esame composta da professoribambini, che lo stavano interrogando sul corso dilatino. Lui, con grande fierezza, recitava versi diVirgilio, l’inizio delle Bucoliche, scandendosecondo la metrica Tyti-re tu pa-tulae recubans – subtegmine –fagi, ma quelli scotevano la testa, non si dice così,quanti errori, finché uno dei bambini, un piccolettoodioso con la faccia da secchione da cartonianimati, con due immensi occhiali rotondi cerchiatidi nero e con lo sguardo tignoso estraeva daltaschino una matita rosso-blu, e questa, man manoche usciva dal taschino si ingrandiva, siingrandiva… il tignoso la brandiva come unaDurlindana, gliela puntava contro, proprio in mezzoagli occhi, e Giulio vedeva la punta, distintamente,sempre più vicina, sempre più grande, sempre piùaguzza, in mezzo agli occhi.Matita blu, matita blu, esclamava il tignoso bambinoesaminatore… alla tua età continui a dire tetigit e nontangevit? Dimmelo, il paradigma di tango.E Giulio ripeteva tango, tangis, tetigi, tactum, tangere, equello agitava la Durlindana rosso blu, e urlavatango, tangis, tangevi, tangitum, tangere, tango, tangis, tangevi,tangitum, tangere, tango, tangis, tangevi, tangitum, tangere, tango,tangis, tangevi, tangitum, tangere, tango, tangis, tangevi, tangitum,tangere… così, sempre più esasperato, e Giulioterrorizzato scoteva la testa, e diceva no, no, ti

sbagli, il paradigma di tango è quello che ho dettoio, ma era sopraffatto dalla paura, econtemporaneamente non poteva fare a meno didifendere la verità della sua morfologia latina….E mentre timidamente accennava, tremando come unafoglia, pallido in viso, a difendere la sua verità,gli altri bambini esaminatori estraevano a lorovolta le loro enormi matite rosso-blu – Durlindane,tutti con la punta blu, enorme e acuminata puntataverso Giulio, e ripetevano con un volume crescente econ un ritmo via più incessante tango, tangis, tangevi,tangitum, tangere, tango, tangis, tangevi, tangitum, tangere, tango,tangis, tangevi, tangitum, tangere, tango, tangis, tangevi, tangitum,tangere…., e Giulio arretrava, si alzava dalla sedia,e, come un gambero, camminava all’indietro, mentrequelli a loro volta si erano alzati, erano passatidalla sua parte, e sempre più minacciosi locostringevano ad arretrare, questi marmocchiinfernali, e gli dicevano ignorante, non sai nulla,sei un presuntuoso, ti insegneremo noi come ci sicomporta, come si coniugano i verbi, e cancelleremole tue folli pretese di cambiare i verbi…Il sogno continuava, con lui ormai schiacciatocontro la parete in fondo all’aula e quelli,incessanti, inesorabili, che continuavano con questoritornello infernale, e Giulio era combattuto fra lavolontà di testimoniare la verità contro la menzognae il terrore per questa avanzata di Durlindanerosso-blu….

Poi, finalmente, si svegliò. Accanto a lui c’eranuovamente Carola, segno che il turno di Leucadia

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era terminato, ed erano passate alcune ore. Aprì gliocchi con decisione e vide, dietro la sanitaria, ildirettore. Constatato che Giulio si era svegliatocompletamente aveva incominciato a tastargli lebraccia e le cosce, per verificarne il tenoremuscolare. Poi aveva incominciato a porgli domandesu come avesse trascorso la notte, come si sentisse,e se avvertisse qualche sensazione nel momento incui il direttore gli aveva tastato le braccia.“Mi sembra tutto regolare” rispose Giulio “sentoperfettamente la tua mano”Il direttore assentì gravemente muovendo la testaper due volte, in maniera quasi impercettibile,avanti e indietro. Poi si rivolse a Carola.“Puoi incominciare a slegare le cinture, partendo daquelle delle braccia”Gli sollevò gli omeri, tastò ancora, questa voltautilizzando un piccolo punteruolo, e mostrò unsorriso di compiacimento quando Giulio emise unforte ‘ahi’.“Bene, molto bene” esclamò riponendo il punteruolo“la sensibilità riprende bene. Ora proviamo, congrande lentezza, a rimetterti a sedere”Aiutandosi con il sollevatore elettrico alzaronolentamente lo schienale del letto, chiedendogli seavvertiva qualche dolore particolare, e allarisposta negativa di Giulio procedettero.Dopo alcuni piccoli esercizi di routine chiamaronodue inservienti che lo aiutarono a sedersi su unacarrozzina.“Oggi e domani dovremo farne uso, ma non tipreoccupare, è soltanto a scopo precauzionale,

dobbiamo fare qualche esame sul tuo tenoremuscolare. Se tutto va come deve andare domani serapotrai camminare sulle tue gambe”“Clara…” accennò debolmente Giulio.“Sì, oggi andremo anche da lei, potrai vederla” e ilsuo tono rassicurante gli dette molto sollievo. A mezzogiorno gli fu concesso di assaggiare un po’di pane. Fu una grande conquista, anche perchéscoprì che, malgrado qualche cambiamento leggero, ilpane faceva ancora parte della dieta degli uominidel ventiseiesimo secolo. Cercò di non pensare aClara, e ingannò il tempo con domande dozzinali: chedata era (aveva dato disposizione, al momentodell’ibernazione, di essere risvegliato il giorno diPasqua di cinquecento anni dopo; anche se ora eracombattuto se considerarlo un simbolo o unablasfemia). Confermarono che era il 31 marzo 2510,lunedì, e che, secondo gli antichi riti cristiani,il giorno prima era la Pasqua. Ne fu confortato.Aveva davanti a sé la primavera, e sarebbe statointeressante scoprire se questa avesse gli stessicolori, gli stessi fiori, gli stessi profumi dellesue primavere. Se c’erano ancora i fiori, oppure selà fuori lo aspettava un cupo mondo simile a quellodi Blade Runner, oppure architetture d’acciaio stileastronave Enterprise.Se tutto era asettico e tecnologico.L’altra ipotesi era quella di un ritorno almedioevo, che spesso aveva ipotizzato: ma questa giàl’aveva scartata vedendo che le tecnologie delrisveglio erano state avanzate e, soprattutto,efficaci. Lui era lì a dimostrarlo.

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Chiese notizie del tempo: la sua stanza era senzafinestre, e poteva essere giorno o notte, estate oinverno, una bella giornata di sole oppure una cupatempesta.Era mezzogiorno, confermò Carola, una bella giornatadi sole, calda, per essere la fine di marzo, ventigradi: l’ideale per una bella gita. E si vide chestava pensando a qualcuno con cui farla, questabella gita.Gli chiese dell’effetto del cibo, e Giulio risposeche non si trattava di nessuno effetto: per lui eracome essersi addormentato poche ore prima e quasiimmediatamente essersi svegliato. Semplicemente, iltempo era trascorso, ma non per lui.In effetti, aveva verificato Carola, il suo corpoera rimasto cristallizzato, ma la sua muscolaturasembrava, a un primo esame, di non necessitare diparticolari terapie, sembrava integra, quasi tonica.Prima di sera avrebbe avuto un pasto completo, eprobabilmente avrebbe avuto il permesso di alzarsidalla carrozzina.Carola si sedette sulla poltrona al suo fianco einforcò due strani occhiali.Giulio la osservava, curioso dei suoi movimenti.Carola ogni tanto compiva strani movimenti con lebraccia, sembrava toccasse l’aria, a volte spingevanel nulla inesistenti pulsanti. La sua espressionecambiava, si faceva a volte ilare, a volte seria, inalcuni momenti l’aveva sentita sghignazzare. Forse èstanca, aveva concluso; forse è esaurita e habisogno di riposo.

Poi Carola se n’era andata e aveva ceduto il postocome di consueto a Leucadia. E la collega si eraaccomodata nella stessa poltroncina, e dopo qualchebattuta scambiata con lui, verificato che non avevabisogno di nulla, aveva estratto dalla borsa un paiod’occhiali, proprio come aveva fatto Carola. E leipure a gesticolare, a premere inesistenti pulsantifatti d’aria, a ridere. Leucadia rideva molto più diCarola.“Come mai ridi?” le chiese incuriosito.“È il mio spettacolo preferito, sono ragazze eragazzi che litigano per storie d’amore in cui sifanno scherzi a vicenda”Giulio comprese che le ragazze dovevano vederequalcosa in quegli strani occhiali e glielo domandò.Leucadia allargò le braccia stupita, come se sitrattasse della cosa più normale del mondo. Stranoche non lo conoscesse, gli disse.Giulio fece finta di nulla. Questa ragazza nondoveva avere il senso né del tempo, né della storiadelle invenzioni, per dare per scontato che tuttefossero conosciute da sempre.“Quindi questi comunicatores7, come li chiami tu”riassunse “ti permettono di vedere spettacoli, dichiedere informazioni sul tempo, di conoscere anchela situazione del traffico sulle strade…”“Non capisco quest’ultima cosa”“Il traffico sulle strade, non capisci che cos’è?”“No, capisco la parola strada, ma non traffico”

7 comunicatori

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Giulio si sforzò con una serie di perifrasi dispiegare che cosa fosse il traffico, gli ingorghi,le file, le code, ma il volto della ragazza erasmarrito. Provò a parlare di automobili, ma ancorala ragazza si mostrò meravigliata, come di fronte auna parola indecifrabile.“Fa niente” concluse Giulio “è lo stesso” Ma in lui saliva la curiosità di vedere il mondo làfuori. Stava per chiedere informazioni sugli straniocchiali, sul loro funzionamento, sui gesti ancorapiù strani che aveva visto compiere da Carola primae da Leucadia subito dopo, quando furono interrottida un’inserviente che annunciava l’arrivo deldirettore.Quest’ultimo entrò sfoderando un gran sorriso.“Come stai? Ti senti meglio?”“Ha mangiato qualcosa” rispose Leucadia “anche senon credo che i gusti fossero di suo gradimento”“No, anzi” la interruppe Giulio “devo solo abituarmiai sapori del mondo nuovo”“Che non sono quelli del centro medico” gli sorrisenuovamente il direttore “ma ora non è il momento diparlare di gastronomia. Credo che tu abbia ildesiderio di fare altre cose”“In effetti dobbiamo andare a trovare Clara”rispose pacatamente Giulio.“Andiamo” ruppe gli indugi il direttore “peròpreparati, ti dico subito che è viva, ma non stamolto bene”Il sorriso del direttore gli aveva forse creatoqualche illusione di troppo; ma il fatto è che

quest’ultima frase ebbe l’effetto di una docciagelata.

Dopo pochi minuti (che però sembrarono eterni)attraverso corridoi, ascensori, reparti, arrivaronoalla stanza di Clara. La vide là, distesa sul letto,con gli occhi socchiusi, e sudava, sudava tanto. Lastavano idratando artificialmente, per impedire checollassasse. Il respiro era difficile.“Può morire?” chiese senza esitare, temendo ilpeggio.“No, non credo proprio” rispose il direttore “perònon posso neanche assicurarti di poterla svegliare.Per il momento le stiamo somministrando qualchefarmaco per poterla tenere controllata. Non è uncaso facile, abbiamo pochissima letteratura suirisvegli, e, ti posso assicurare, nel tuo casoabbiamo avuto tanta, tantissima fortuna”

Capitolo IVLa quarantena

I giorni seguenti era piuttosto prostrato. Due volteal giorno andava a fare visita a Clara. E già dalterzo giorno gli fu consentito di recarvisi a orariconcordati ma muovendosi sulle sue gambe. Si fermavaalcuni istanti, la guardava, cercava nel suo

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respiro, nel suo sguardo assente, nel suo sudoreche, anche se in maniera ridotta, continuava adirrorarle la maglia di cotone, un contatto, unmessaggio, una comunicazione. Però nulla, da Claranon arrivava nessun segnale.E tornava regolarmente sconfortato nella suaabitazione.Il direttore (ora erano passati alle confidenze egli aveva chiesto di chiamarlo con il suo nomeproprio, Pertinace) lo rassicurava sul fatto chedoveva avere molta pazienza, che i tempi sarebberostati lunghi, che non c’era da disperare, che imedici del centro stavano facendo tutto, TUTTOquello che si doveva fare. E che non poteva, lodiceva per lui, per non rovinarsi la vita, rimaneread angustiarsi in attesa di un risveglio che potevaessere lontano mesi. Per questo doveva mettersi ilcuore in pace, non c’era nulla da fare in più diquello che già non si facesse.Tanto più, continuava, che presto sarebbero scadutii ventuno giorni della sua quarantena. Gli esamierano quasi tutti disponibili, e tutti negativi, esarebbe stato felice di fargli da guida nel nuovomondo. Tanto più, ribadiva, che erano tanti ipersonaggi importanti che lo volevano incontrare.Anche se, e qui si mostrava molto, molto riservato,non poteva per il momento farne il nome. Lui potevaimmaginare chiaramente il perché, concludeva.

Giulio lo ascoltava, cercava di farsi una ragionesullo stato di Clara, tentava di scacciare gli

insistenti sensi di colpa per averla trascinata inquesta follia.Poi provava a prendere maggiore confidenza conquesto mondo nuovo e i pochi apparati che potevaavere a disposizione qui. Fondamentalmente icomunicatores, questo strano oggetto, questi occhialiche erano contemporaneamente televisore, internet,cinema, impianto stereo e telefono, facendoriferimento alle tecnologie conosciute nelventunesimo secolo. Praticamente appagavano moltisensi, almeno tre, vista, udito e olfatto, perchétrasmettevano oltre a suoni e a immagini anche lefragranze.Aveva imparato a utilizzare i movimenti di braccia emani come tastiere, mouse e telecomandi. Carolasoprattutto gli aveva mostrato con entusiasmo levarie potenzialità del mezzo, mentre Leucadia gliera sembrata molto superficiale, interessatasoprattutto ai suoi spettacoli tragicomici di litifra adolescenti, ridicoli ma soprattutto dozzinali.Gli avevano dato in dotazione un paio dicomunicatores. “Hanno un credito illimitato per 12 mesi” gli avevadetto pieno di entusiasmo Pertinace “puoi farequello che vuoi, chiamare amici, sceglierespettacoli, ascoltare musica…”Chiamare amici, pensò Giulio, mentre un sorrisosarcastico gli si disegnava sulle labbra. E cheamici? I miei amici sono tutti morti, e i lorofigli, e i loro nipoti, e le loro generazionisuccessive, almeno fino alla ventesima; forse quandosarò fuori di qui potrò andarne a cercare il ricordo

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sopra qualche sasso, in cui sta scritto il lorodestino, che fino a poche sere fa era il lorofuturo, ed ora è già il passato remoto… ma ci avevapensato a queste cose, quando aveva scelto di essereibernato?Poi si fermava. Non era giusto questo sarcasmo. Nonerano giusti i sensi di colpa. In fin dei conti eracome se avesse accettato di partire con un’astronaveper un viaggio oltre i confini del sistema solare,accettando, per desiderio dell’ignoto, diabbandonare tutto. E così era stato.Una volta fuori avrebbe riconosciuto la sua città?La casa dove era nato, dove era cresciuto, dove siera sposato con Clara, e dove aveva preso questaincredibile decisione?No, era qui per conoscere il futuro, non perpiangere sul suo passato. E anche gli amici, se nesarebbe fatti dei nuovi, avrebbe conosciuto dellenuove persone, si sarebbe costruito una nuova vita.Avrebbe voluttuosamente cercato di capire tutto diquesto nuovo mondo e di tutto quanto lo aspettava làfuori. Era un’occasione unica, e non si sarebbefatto sfuggire nulla.

Così, lentamente, incominciava a vedere il mondo eil ventiseiesimo secolo in una prospettiva diversa,più positiva e più curiosa: perché era statacertamente la curiosità la molla più grande. Earrivava a volte a pensare che chissà, forseimparato a conoscere bene questo mondo, potevapensare anche a un’ibernazione successiva, e aun’altra, e un’altra ancora, in una corsa forsennata

nei millenni, come un padrone del tempo che verrà,perseguendo una sorta di sogno di immortalità.Ma ora occorreva prepararsi. Pertinace gli avevapreannunciato che fra tre giorni, sciolti gli ultimicontrolli medici circa l’esistenza nel suo corpo dieventuali ceppi batterici riconducibili a quelliestinti negli ultimi cinque secoli, sarebbero potutiuscire nel mondo. E avrebbe fatto una serie diincontri davvero strepitosi.Non sapeva, pensava Giulio, per chi sarebbero statistrepitosi; ma dall’entusiasmo di Pertinace capivache per l’amico, il ‘direttore’, erano incontridavvero importanti.

Capitolo VIl migliore dei mondi possibili

“Noi, caro Giulio, viviamo decisamente nel miglioredei mondi possibili. E te ne accorgerai presto”esclamò Pertinace con una punta di soddisfazione,come fosse egli stesso, ipse, l’artefice di talemeraviglia.“Cher maître Pangloss…8” incominciò a rispondergliGiulio. Pertinace corrugò la fronte.

8 Caro maestro Pangloss…

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“Come dici? Non capisco, le tue parole antiche misono oscure. Non conosco le lingue morte, se nonl’italiano”“Non fa nulla” sorrise Giulio “ti ho interrottomentre mi parlavi del tuo mondo, che ora è anche ilmio mondo. Non ne abbiamo parlato molto, sinora, eormai è il momento di conoscerlo”La fatica più grande di Giulio, nel parlare, non eratanto di tipo lessicale, visto che la sua abitudinealla lettura dei testi classici in lingua latina gliera stata di grande aiuto, neppure per quantoriguardava i neologismi, che i riformatorilinguistici (non avevano ancora affrontatol’argomento del come avvenne la riforma dellalingua, anche perché Pertinace non conosceva a fondola storia, materia riservata ai soli studiosi dellamedesima) avevano gestito con sapienza, mescolandoterminologia anglosassone dei suoi tempi consapienti ricostruzioni a meccano per le parole piùnuove. Era piuttosto nella morfologia, che trovavacompletamente rinnovata, liberata dalleirregolarità, dalle eccezioni, semplificata nelladeclinazione (ridotta a quattro casi rispetto ai seidei suoi tempi, e a tre rispetto alle cinque deisuoi tempi). Tutto questo sarebbe risultato estremamente graditoai suoi studenti, che avrebbero rimediatosicuramente meno errori e migliori voti, ma allalunga più ostico per lui. Era una cacofonicaforzatura dire “ho strinto”, oppure “io ando, tu andi,egli anda” o ancora “che cosa dicete”.

Poco alla volta cercava di forzarsi a parlare inquesta maniera, fatica derivante dal pudore dipronunciare frasi sgrammaticate più che dal tenernemenzione. Però si convinse che la lingua nuova eraquesta, e che era una parente molto prossima diquella antica, e che con questa si doveva ragionare,discorrere e scrivere.Ogni tanto incorreva in una parola sbagliata, comequel tetigi correttogli in tangevi da Carola. E questoalla lunga gli dava disagio, vedendo i sorrisetti oi risolini delle persone che lo ascoltavano, comefosse un buzzurro ignorante della lingua.Lui, cultore e purista della lingua antica, oraassurta nuovamente al ruolo di lingua universale!Bisognava davvero impegnarsi, adeguarsi.“Com’è organizzato il mondo là fuori?” gli chiese.“La nostra è una perfetta società basata sullecaste”Giulio inorridì alla sola parola.“Perfetto basato sulle caste?” chiese “ma non èun’ingiustizia?”“Tutt’altro” rispose senza scomporsi Pertinace“anche perché l’appartenenza a una casta ètotalmente volontaria per ciascun individuo, echiunque, nel momento in cui dovesse aspirare acambiare il suo stato, potrebbe farlo senzaproblemi”Giulio si sentì rassicurato.“Spiegami quindi come sono queste caste”“Esistono due caste principali e una intermedia”riprese Pertinace “Le due caste principali sonoquella pubblica e quella privata. Quella pubblica

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può ottenere il potere ma non il denaro, quellaprivata può arricchirsi di denaro, e arrivare apatrimoni di gigawatt, oppure di terawatt o ancheoltre, se riesce, ma non può aspirare al potere, senon disfacendosi del proprio patrimonio. Così siamoarrivati a un equilibrio perfetto”“Interessante” commentò Giulio.“Chi opera all’interno della casta pubblica riceve,in cambio del proprio lavoro, una casa e dei buonipersonali da spendere per acquistare quello che gliserve per una vita che comunque è più che dignitosa:cibo, vestiti, scarpe, chilometri. I servizi allacasa, le riparazioni di ogni tipo, i servizi medici,sono tutti assicurati dalla res publica”“Chilometri?” chiese Giulio incuriosito. “Certo, ci si deve spostare, e se devi andare atrovare un amico, oppure approvvigionarti di generialimentari come fai a prendere un pipiqu che di portadove desideri?”“Pipiqu?”Pertinace rise. “Presto vedrai come funziona questomondo e tutto ti risulterà molto chiaro”“D’accordo. E la casta privata?”“Per quella, come ti dicevo, è possibile arricchire.Non si riceve nessun buono, nessuna abitazione dallares publica…” (non sfuggì a Giulio che Pertinace avevadetto dalla res publica e non della res publica) “… siriceve uno stipendio di qualche migliaia dikilowatt, con il quale puoi acquistare una casa,oppure affittarla. E non è più una casa base comequelle che la res publica ti garantisce, sia tu alla

base oppure al vertice della piramide, ma una casacome tu desideri”“Anche al vertice della piramide le case sonomodeste?”“Per certi versi le più modeste in assoluto, poichénel caso delle massime autorità dell’impero, ilprinceps, i consules, i senatores, esiste un controllorigorosissimo perché non capiti che a loro siariservato nulla oltre alle loro necessità, salvo unufficio per le udienze. Considera che un contatto fra cives e quirites dellamagistrature più elevate è considerato delitto dilesa maestà. Ma vedrai tutto.”Abbassò la voce.“Il princeps vuole vederti, pare gli sia giunta lavoce che c’è un uomo di cinque secoli fa, ed èinteressato a sapere dalla viva voce di uncontemporaneo come era gestito il potere nelventunesimo secolo. Desidera incontrarti, credo checi arriverà una convocazione per un incontro” glisussurrò.Giulio si sentiva combattuto fra la lusinga di potervedere il nuovo mondo nelle sue istituzioniprincipali e l’essere mostrato quasi come unfenomeno da baraccone. Alla fine si sentì come unesploratore degli albori dell’era moderna portato alcospetto di un imperatore Maya o Inca, con reciprocorispetto e interesse per un mondo completamentediverso. Ma non era né Pizarro né Cortez, nonportava milizie armate, nè voleva imporre la suareligione, e neppure le insegne del suo re, ai nuovipopoli che incontrava. E i suoi accompagnatori, il

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suo esercito, erano una sola persona, che ancoralottava per sopravvivere grazie alle cure premuroseche riceveva.“Allora” riprese Giulio, anche per scacciare iltriste pensiero dello stato di Clara, per il qualedoveva soltanto rimettersi alla provvidenza divina“un lavoratore qualsiasi della casta privata puòavere una reggia più lussuosa di quella del princeps?”“Non ‘può avere’, bensì ha una reggia più sontuosa.Anche colui che guadagna di meno nella casta privataha la garanzia di avere mezzi di gran lungasuperiori a quelli della pubblica”“E allora come è possibile…”“…che qualcuno scelga quella pubblica? Vedi, non sose succedeva così anche ai tuoi tempi, ma qui l’uomoè mosso nei suoi comportamenti da poche elementaripassioni: paura, potere, denaro e solidarietà. Diqueste abbiamo scoperto ormai da tre secoli che due,unite, generano mostri, e sono il potere e ildenaro: quindi i nostri padri fondatori hannostabilito che si potesse assecondare la brama di unoo dell’altro, ma mai concederli assieme. Chi sceglie il pubblico o cerca di fuggire la pauraper l’insicurezza (che peraltro nel mondo di oggi èassai poca cosa), o aspira a mettersi al serviziodella solidarietà con i suoi simili, oppure ambisceal potere. Ma è un’ambizione che, spogliata daldenaro, è, così sostengono gli studiosi diamministrazione dello stato, più pura e maggiormenteindirizzata alla buona gestione della res publica”“Ma senza denaro che vantaggi ha il politico?”chiese d’impulso Giulio. Mentre lo diceva si rese

conto di quante riflessioni scaturissero da questadomanda. Da sempre esisteva questa grandecontraddizione, fra la ricerca del bene comune chedovrebbe animare chi si cimenta nell’amministrazionedel medesimo, e la forsennata cacciaall’arricchimento del singolo a discapito dellacomunità, troppo comune sino a tre settimane prima,almeno secondo le abitudini dell’uomo nei suoi tempicosì come nei millenni precedenti che aveva studiatosui libri di storia.“Da sempre” riprese Pertinace “ci siamo accorti chela brama del potere è una molla molto importante, eche può essere sufficiente, anche rinunciando aldenaro. Finché l’uomo era in competizione per ilpotere con altri esseri umani e tutti costoropotevano utilizzare il denaro si generava unaspirale viziosa, per cui il potere si nutriva con ildenaro. Oggi invece ne è completamente svincolato”“Ma come è possibile? Non può creare situazioni difavore a coloro che operano nella casta privata?”“Ciò è impossibile” scoppiò a ridere Pertinace “inprimo luogo perché nessuno di coloro cheappartengono alla casta privata può aspirare acariche pubbliche, in secondo luogo perché lecariche pubbliche sono elette da un corpo elettoralecomposto solamente dalla casta pubblica. Quindi sefai parte della casta privata non puoi dare il tuovoto, e nemmeno indirizzare le tue intenzioni conl’utilizzo del tuo denaro che non è concesso aimembri della casta pubblica. Fra l’altro non ti hodetto che i primi si chiamano cives, e i secondiquirites.

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Se un quiritis accetta (ma non ne ha bisogno, né è unsuo desiderio) denaro diventa immediatamente civis.Per fare questo ha bisogno di abilitare il suocodice identificativo CUDNA da Q a C. Ne fa domanda,e quella può ricevere addebiti e accrediti. Non c’èbisogno, perché i rari casi in cui si verificanascono non da una esigenza di denaro, ma da unamutazione della propria vocazione e identità” “E se un civis, che sia magari diventato riccosfondato, volesse diventare quiritis?”Pertinace rise.“Anche questa è un’ipotesi abbastanza scolastica.Può farlo, e in qualche caso è successo. Ma occorreprocedere alla cessione del proprio patrimonio allares publica, totalmente, perdendo anche i diritti ditrasmetterlo in eredità o per donazione ai proprifamiliari.In secondo luogo entrerebbe nel livelloquattordicesimo dei quirites, e dovrebbe sostenereogni sei mesi le prove di ammissione per aumentaredi grado, prove che sono facoltative. Si troverebbecosì, se tutto va bene, entro cinque anni al gradosesto, quello che ti rende eleggibile alle carichepubbliche. Per diventare princeps oppure consul (chesono i livelli primo e secondo) devi essere diclasse senatoria (che è di livello tre): il che nonè precisamente facile, per la difficoltà crescentedelle prove”Tutto sembrava molto complesso e molto regolato.“Quindi i diritti civili sono inesistenti per icives?”

“Non ho mai detto questo. I cives hanno diritto allaproprietà, che viene tutelata per legge, dirittoalla famiglia, ai viaggi, a generare ricchezza e adaccumularla. Non hanno diritto di voto né dieleggibilità alle cariche pubbliche. Ai quirites èconcesso il voto e l’accesso alle cariche pubblichema non alla proprietà né ad accumulare di ricchezze,e hanno limitatazioni circa la famiglia”“In che senso?”“Possono avere una famiglia soltanto composta dialtri quirites. Se un membro della loro famigliascegliesse la vita del civis o tutta la famigliadovrebbe abbandonare la casta, oppure il novello civisdovrebbe abbandonare la famiglia, spezzandonepesantemente i legami. Quando conoscerai, neiprossimi giorni, i nostri sistemi di trasporti e dicomunicazioni, potrai vedere come questo sia facileda controllare e impossibile da trasgredire, maanche questo è un caso di scuola, tanto è che noncredo nessuno abbia mai provato a infrangere lalegge”“Allora dovrebbero esserci pochi delinquenti”affermò Giulio.Sul volto di Pertinace si dipinse un’espressione dismarrimento.“Delinquenti?”“Gente che infrange la legge, uccide, ruba, commettereati”Pertinace scoppiò a ridere.“È vero, è vero che prima della grande unificazionenel genere umano esistevano queste cose. Ma non èche un lontano ricordo. Nessuno ha più bisogno di

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rubare o di uccidere. Sai, ho sentito dire – come tiho detto, la storia è studiata soltanto dairicercatori dell’università – che queste cose hannoassillato l’umanità per tanti secoli… assieme adaltre iatture: come per esempio la fame,l’ignoranza… ma nel mondo di oggi, nel nostrograndissimo imperium, così ben amministrato dalprinceps Gordiano, non esiste più la fame, ogni essereumano ha una casa, nessuno soffre il freddo, tuttistudiano e ricevono una istruzione, c’è anche spazioper il divertimento…niente più può portare acommettere quelli che tu chiami reati”Forse, pensò Giulio fra sé e sé, maître Pangloss nonaveva tutti i torti ad affermare di vivere nelmigliore dei mondi possibili… forse l’umanità avevaveramente superato i propri problemi, si era messaalle spalle le grandi preoccupazioni che l’avevanoafflitta da Caino in avanti. Però rimanevano alcuni interrogativi profondi.L’amore? La passione? La religione? Non erano statiquesti, nei suoi anni, altrettante cause di sangue,a smentita e in netta contraddizione con i più begliideali e sentimenti che portavano con sé?Forse, pensava. Ma la sicurezza che ostentavaPertinace-Pangloss era tale da non consentirgli peril momento il ruolo dell’antipatico grillo parlante.

Capitolo VIUn uovo per viaggiare, ecco il futuro

La mattina del venti aprile era un lunedì. Eratrascorso anche il ventunesimo giorno e, per essereprecisi, anche il ventiduesimo.Pertinace si presentò alle otto davanti alla suacamera.Gli aveva fatto trovare la sera prima un abitoadatto. Un suo regalo, aveva tenuto a precisareall’amico. Un abito da quiritis, con il colletto quadro, perchétale sarebbe stata la sua casta, almeno in faseiniziale. Poi si sarebbero verificate le sue realivocazioni, avrebbe potuto toccare con le sue mani ivantaggi e gli svantaggi dell’una e dell’altracondizione. “Non puoi dire che gusto ha una melarota senzaaverla gustata” aveva commentato con grandesoddisfazione. La metafora era di suo gusto.“Una melarota? E che cos’è?”Pertinace scoppiò a ridere.“Ma è questa” ed estrasse di tasca un curiosoortaggio, a forma di carota, dal colore di una bellamela rossa “è il frutto più comune che puoi trovare”Poi si rese conto che effettivamente poteva nonesistere cinquecento anni prima, e corresse il tiro.“Assaggia!”Giulio morse quello che non sapeva se definirefrutto oppure ortaggio, e lo trovò gustoso. Ilsapore ricordava vagamente quello di un’albicocca,

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la consistenza era quella di una mela, ed eraaddentabile. Poi ebbe un ripensamento. “Senza lavarlo?” esclamò, anche se dopo averlogustato.“Perché mai lavarlo? Mica è velenoso, e neppuresporco”Il vestito era costituito da una tunica moltoconfortevole, estremamente leggera, con larghetasche all’interno. Esternamente era di un materialeche appariva metallico e all’interno era di una telache appariva sottile e resistente.“Questo è l’ideale per spostarti, perché ti crea unperfetto isolamento termico in qualunque ambiente,sia tu ti trovi nei rigidi inverni della Russia odella Finlandia, o nelle torride estati del desertoafricano. Vedrai”“Ma mica devi essere contemporaneamente in tuttiquesti posti”“Contemporaneamente no, ma non è infrequente essereal mattino in una zona dal clima rigidissimo, e amezzogiorno nel deserto. Mi capisci?”Poco, pensò Giulio, che si convinceva sempre più chene avrebbe viste delle belle.“I quirites, ad esempio, non hanno necessità dimuoversi tanto frequentemente, quale sia la lorofunzione nella scala gerarchica dei quattordicilivelli. Ma un civis deve essere sempre pronto aspostarsi là dove gli è richiesto per il suo lavoro”“Mi sembra di capire che tu sei un quiritis” gli disseGiulio.“Sì” rispose con estrema fierezza Pertinace “Nonriuscirei mai a a svolgere la mia professione se

fossi un civis. Anche se, devo dire, la miaprofessione può essere svolta sia nell’ambito deicives sia in quella dei quirites. Con alcune sostanzialidifferenze. Ma avremo tempo di parlarne” Nel frattempo erano usciti dal centro, ed era laprima volta per lui che usciva all’aria aperta dacirca cinquecento anni. Un certo effetto…Ma non erano ancora all’aperto vero e proprio. Si trovavano in una sorta di garage, oppure distazione ferroviaria. Tutto sembrava moltotranquillo, luminoso, pulito. Soprattutto si aveval’impressione di essere soli. Pertinace inforcò gli occhiali, disegnò qualcosanell’aria e premette nel vuoto. Dopo pochissimiistanti arrivò, fermandosi esattamente davanti aloro, una sorta di automobile a forma di uovo, condue aperture ai lati.“Ho chiamato un pipiqu a due posti, visto che siamoin due” spiegò, ormai entrato nell’ordine di ideeche anche le cose più banali e scontate non lofossero affatto per un uomo che veniva da cinquesecoli prima.“Un pipiqu?” chiese Giulio.“Certo, un pipiqu. Sta per publicus privatusque9, il mezzodi trasporto che da ormai due secoli ha soppiantatotutti gli altri. Il suo nome deriva dal fatto che ilsistema appartiene alla comunità mondiale, ilservizio viene pagato dall’utente e viene realizzatoda punto a punto, secondo i desideri dello stessoutente. Io l’ho chiamato, secondo le mie necessità;

9 Pubblico e privato

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l’elaboratore ha trovato il mezzo disponibile piùvicino e me lo ha portato esattamente dove mitrovavo. Ora gli darò l’ordine di portarci aCorduba10, dal nostro amico professore DecioFortunato, come ti ho promesso”“Partendo da Mediolanum11, come abbiamo fatto,dovremmo impiegare…”“Circa due ore e trenta”Si sedettero, poi Pertinace indossò i suoi occhialie scrisse alcuni segni col dito nell’aria.Immediatamente le cinture li bloccarono ai sedili,Giulio avvertì il forte senso di essere schiacciatoal sedile, ed erano all’aperto. Ma la velocità eraimpressionante, e non riusciva a percepire nulla diquanto accadeva attorno.“A che velocità ci stiamo muovendo?” chiese Giulio.“Relativamente lenti, considerando che siamo in unviaggio regionale, si viaggia intorno ai millechilometri orari, circa trecento metri al secondo,appena sotto la velocità del suono. Siamo benlontani dai tremila chilometri orari che siraggiungono nei viaggi transcontinentali”“Però non riesco a vedere nulla” obiettò Giulio.“Vuoi fermarti a guardare il paesaggio? Tiaccontento subito”. S’infilò gli occhiali e fece alcuni gesti nell’ariacon le dita. E nel giro di qualche secondo l’uovo siera fermato in una piazzola, quasi istantaneamente.“Vuoi scendere?” gli chiese.

10 Cordova11 Milano

Giulio era stupefatto per le prestazioni di questomezzo di trasporto, tanto è che per qualche secondonon si curò minimamente del paesaggio attorno. L’uovo si era fermato alla prima piazzoladisponibile, arrestandosi quasi all’istante.Uscirono all’aria aperta, ed era la prima del nuovomondo. L’effetto fu un incanto, sembrava di viverein una sorta di Arcadia.L’aria, innanzitutto, era freschissima, sottile. Ilsole non era velato da quella foschia giallastra chericordava nel mondo che aveva lasciato. L’ossigenogli entrava nei polmoni come quando, ricordava, eraragazzo e andava a sciare sul Faloria a Cortina.Di fronte a sé grandi campi, sconfinati, colorati,intervallati da boschi, da macchie di colori, difiori bianchi, gialli, rosa, alberi da frutto chestavano volgendo al fogliame maturo del maggio ormaialle porte. Poi volse lo sguardo e vide alcune linee di un verdelucente, smeraldo, quasi abbagliante.“Che cosa è?” chiese a Pertinace.“Sono i generatori fotodinamici che prendonol’energia del sole e l’accumulano, per farfunzionare, fra l’altro, anche i nostri pipiqu. Igeneratori danno l’energia per attivare i magnetiche fanno correre i pipiqu”“Ma dove siamo in questo momento?”Era trascorsa, dalla partenza, non più di mezza ora.Pertinace inforcò nuovamente gli occhiali, tracciòalcuni segni in aria poi rispose.

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“Siamo a Mons Pellerus12. Per poco non ci siamofermati ad Arelate13, la capitale dell’impero, dovevive il princeps Gordiano. Siamo nella piana dellafertilissima campagna della Provenza. Ti piace?”“È bellissimo”“Non te l’avevo detto che viviamo nel migliore deimondi possibili!”“Devo dartene atto, Pertinace. Mi sembra un mondomolto più pulito e respirabile rispetto a quello cheho lasciato”“E devi ancora vedere il meglio”Giulio diede un’ultima occhiata al paradisoterrestre, poi si rivolse nuovamente a Pertinace.“Possiamo andare”“Se vuoi possiamo fare altre soste, strada facendo.Decio ci aspetta per cena, questa sera. Abbiamotutto il tempo per fermarci”Risalirono sull’uovo, i portelli si chiuseroermeticamente, Pertinace inforcò nuovamente gliocchiali, compose alcuni segni nell’aria e l’uovoscese nuovamente, acquisendo rapidamente velocità.Terminate queste rapidissime operazioni Pertinaceera nuovamente disponibile a conversare con l’amico.Capitolo VII Decio Fortunato

12 Montpellier13 Arles

Decio Fortunato era un signore sui sessant’anni benportati. Come tutte le persone incontrate sino aquel momento, aveva lineamenti europei con pellescura.Questo strideva con gli occhi azzurri e i capellibiondi del professore, strano miscuglio germanico –bantu.Probabilmente in questi secoli l’umanità si eramescolata parecchio, con i cromosomi che sisbizzarrivano a ridisegnare la geografia di quelleche una volta erano state chiamate con unbruttissimo termine le razze dell’uomo esuccessivamente le etnie.Decio era una persona sorridente, che sprizzava unasolare simpatia e la salute di chi doveva dedicaremolto tempo all’esercizio fisico. Ben diverso daltopo da biblioteca che si era immaginato Giulio.Li accolse nell’aula dell’università, dove avevaappena terminato una lezione sul rinascimento delventitreesimo secolo.“Ma ora parliamo di noi. È una fortuna avere te,Giulio, libro vivente che ci arriva dal ventunesimosecolo. Avevo sentito parlare del tuo caso e dellaprogrammazione del tuo ritorno alla vita, el’attendevo con ansia. L’amicizia con Pertinacederiva da questa attesa e, anche se all’inizio erapiuttosto interessata, almeno da parte mia, si ènotevolmente cementata in questi ultimi mesi”“Sono felice di incontrarti, Decio Fortunato, almenoquanto lo sei tu di incontrare me, e altrettantointeressato. E se io sono per te un libro vivente

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del passato, tu lo sei per me per quello che era ilmio futuro, o meglio su un periodo che oggi non sopiù come definire” gli rispose Giulio.“Ho il piacere di ospitarvi nella mia abitazione peruna cena amichevole. È qui vicino, andremo a piedi”Giulio ne fu felice, perché fu l’occasione divedere, per la prima volta, una città delventiseiesimo secolo.Così scoprì che le città del tempo in cui era giuntoerano molto belle, pulite, luminose a qualunque oradel giorno e della notte. Le strade erano larghe enon esistevano le automobili, la temperatura erapiacevole e l’aria purissima come in alta montagna,così come aveva potuto constatare fermandosi duranteil viaggio di andata.Le persone camminavano tranquillamente nella sera,terminate le attività di lavoro, dirette alleproprie abitazioni o ai propri divertimenti. Eranotutte vestite con questa sorta di tunica, di diversicolori, secondo il gusto delle persone, uguali peruomini e donne. Cambiava soltanto il colletto, cheera rotondo per i cives, e quadrato per i quirites. All’improvviso scorse una persona abbigliatadiversamente che sembrava lo scrutasse da dietro unportone. Era vestito di nero, con una lunga sottanae, gli parve, un collarino bianco, come quello deipreti cattolici dei suoi tempi passati. Sembravaanziano, e non poté fare a meno di notarlo, perchéil suo sguardo penetrante gli si era conficcatoaddosso, creandogli una sorta di disagio.Già, i preti. Esistevano ancora nel ventiseiesimosecolo?

Provò a farne accenno a Pertinace e a Decio, cheperò erano molto presi dall’enfasi dei loro discorsie soprattutto dall’essersi ritrovati, e non fecerocaso alla sua domanda.

“Fermiamoci in questa taberna” propose Decio “Poiandremo a casa”Si sedettero in questo piccolo, grazioso locale. Nonera molto differente dai bar dei suoi anni, solosembrava più pulito e luminoso. Era l’occasione perporre domande che Decio sicuramente avrebbe trovatomeno scontate di Pertinace.Ordinarono un the. Era buono, con un sapore moltodefinito, migliore di quelli – pure ottimi - cheaveva gustato al centro. Le tazze erano semplici, enon differivano molto da quelle dei suoi tempi.“Immagino” esordì Decio “Che sarai molto interessatoa sapere che cosa è successo nel frattempo”Giulio annuì con il capo.“Di alcune cose avrai già visto, forse avrai anchecapito alcuni dei cambiamenti che in questi secolihanno trasformato il mondo, almeno la nostra grandepatria. Difficilmente qualcuno sarà stato in gradodi darti delle spiegazioni sul come si è arrivati aquesto punto”“Effettivamente è così” rispose Giulio, mentrePertinace si guardava attorno con aria annoiata.“Lo studio della storia non è un’attività frequente,e non è giudicato né utile né affascinante dallanostra società. È riservata solo a pochi scienziatiper poterne mantenere una memoria. Tu hai di frontea te uno dei pochi studiosi di storia: infatti qui,

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nell’Università di Corduba, c’è il più grandeistituto di ricerche storiche del mondo civilizzato”Furono due gli aspetti che colse Giulio in questafrase: quello immediato il senso di compiacimento diDecio nel pronunciare queste parole. L’orgoglio eraancora una caratteristica dell’individuo delventiseiesimo secolo. Il secondo ebbe modo dielaborarlo successivamente, ma mantenne una maggiordurata nella sua mente, ed era costituita dalprofondo significato di queste due parole accostate,mondo civilizzato. Ciò, pensò, stava a significareche esisteva anche un mondo non civilizzato,barbarico. Esisteva probabilmente una barriera,un’area di confine: ma tutto ciò sarebbe statooggetto delle loro conversazioni successive, eprobabilmente era meglio procedere con ordine.Finirono il the. Decio infilò gli occhiali perpagare la consumazione e uscirono.Non dovettero fare molta strada, l’entratadell’appartamento di Decio era pochi metri avanti.Giulio non ebbe modo di osservare quanto diparticolare ci fosse nella strada, quali fossero gliedifici, e, soprattutto, che razza di strano cieloavessero sopra le loro teste: la sua attenzione fucatturata immediatamente da quel personaggio cheancora, seminascosto dietro lo stipite di una porta,lo scrutava con occhi penetranti.Entrarono in casa. L’appartamento era molto semplice, e l’aspetto chelo colpì profondamente fu la grande luce degliambienti, nonostante fosse, a giudicaredall’orologio, già passata l’ora dell’imbrunire. La

luce artificiale emulava perfettamente quellasolare.L’altra cosa che colpì la mente di Giulio era unaparete ricoperta da una libreria, con tanti,tantissimi volumi.Decio colse lo sguardo interessato di Giulio.“Non ti capiterà spesso di trovare una libreria” glidisse, con la stessa espressione di orgoglio che giànon gli era sfuggita nella taberna. “I libri, nei nostri tempi, sono qualcosa cheappartiene all’antiquariato. Non si utilizzano più.Quelli che vedi sono reperti del mondo precedente alsecondo Medioevo, e possederli, o meglio,conservarli, è un privilegio dei pochi studiosi distoria. Come studioso di tale scienza ho diritto adaverne un po’ di tutte le materie: letteratura,arte, geografia, scienze, tecnologie antiche…”“Secondo Medioevo?” chiese Giulio “di che sitratta?”“Forse è meglio se cominciamo dall’inizio” risposeDecio “devo partire con una piccola delusione perte”“Quale?” chiese Giulio un po’ allarmato. Aveva persoun pezzo di futuro e di passato assieme.“Vedi, pochi anni dopo la tua ibernazione gli uominidecisero che non vi era più alcuna necessità distampare nulla. Libri e giornali, che erano lemaggiori fonti d’informazioni stampate, cessarono, egli uomini incominciarono a utilizzareesclusivamente libri elettronici, un po’ comefacciamo anche noi oggi”“Qui devo ancora vederne”

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Decio sorrise.“Qui ne vedi di continuo, sono quegli occhiali cheognuno di tanto in tanto indossa. Sono tutto, percomunicare con l’esterno. Ora nomino tre oggetti cheper te significano forse molto, per gli studiosi distoria come me significano preistoria tecnologica,per la quasi totalità dei nostri concittadini, civeso quirites che siano, non significano assolutamentenulla. Telefono, computer, televisore: sono treparole pronunciando le quali troverai davanti a tesguardi attoniti e smarriti”“Lo so, sono stati sostituiti dai comunicatores”“Bene. Possono essere utilizzati in modalitànormale, e allora portano una correzione aglieventuali difetti ottici o acustici della persona,oppure in modalità visore, e puoi vedere unospettacolo, oppure collegarti a un canale dinotizie, o assistere a una riunione del nostrosenato di Arelate, oppure metterti in contatto conqualche amico per discorrere con lui o con lei, opagare in anticipo qualche servizio, da piccoliservizi di pochi joule fino a conti di diversimegawatt, o anche, se ne hai disponibilità,gigawatt. Quindi, come puoi vedere, sostituisceanche una quarta funzione del tuo tempo passato, lacarta di credito, e una quinta, ancora più antica,il portamonete”Giulio aveva intuito, tuttavia non poté dissimularela propria incredulità. Aveva visto tante personeinforcare gli occhiali, gli avevano detto di diversiusi, telefono, video, ascolto, ma non avevaimmaginato che arrivassero a coprire tutte le

esigenze di comunicazione fra gli uomini, tutte letransazioni finanziarie, le prenotazioni, o quantofosse necessario. Alleggerivano l’essere umanodalla necessità di orpelli tecnologici, diadeguamenti a nuove versioni, dalla necessità ditantissimi oggetti materiali. Un po’ come il pipiqu.“Ma ritorniamo a noi. Ti stavo raccontando di comeall’improvviso abbiamo perso quasi tutte le fontid’informazioni, per un lungo periodo. All’inizio del ventiduesimo secolo la terra fusconvolta da un terribile cataclisma: il crollodella grande potenza che allora dominava e regolavail pianeta. Con sé questo terremoto portò anche ilcrollo di sistemi che ormai non erano piùsostenibili per il genere umano, sistemi che possonoriunirsi sotto un'unica parola astratta ecollettiva: consumismo. Il terremoto fu devastante, si scatenò uno tsunamidi proporzioni bibliche, quale pare sia stato ildiluvio universale dei testi antichi. Il crollo economico e finanziario rimbalzò su tuttala terra, che si trovò all’improvviso in ginocchio.Un sistema basato su debiti e crediti che non eranopiù sostenibili né rimborsabili creò panico,chiusura di imprese, miseria, fame e malattie. Seipassato in mezzo a una burrasca impressionante. Il genere umano pensava di essere arrivato alla finedel mondo. E, il peggio era che questa fine delmondo l’aveva causato lui stesso, con un sistemaassurdo, pieno di contraddizioni, per cui, se da unlato la terra dava frutti in abbondanza per tutti,dall’altro la gente moriva nella miseria più nera.

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Sempre da quelle poche fonti che abbiamo trovatoconosciamo di epidemie drammatiche nei giornisuccessivi alla catastrofe. L’unica delle grandiinnovazioni del ventesimo e ventunesimo secolo che èrimasta, ma di questo avrai modo di parlarmi tu, larete, era basata all’epoca su magazzini diinformazioni situate nelle varie parti del globo.Nel disastro fu distrutta la maggior parte di questimagazzini…”“Server, si chiamavano nella nostra lingua diallora”“Server. E fu un disastro senza precedenti, perchéandò bruciata la quasi totalità della cultura edelle informazioni di cento e più anni, dal 2043,stando a quanto ci è dato di sapere, anno in cuicessarono le attività editoriali su carta, al 2147,anno del grande disastro di cui ti parlavo. Tutti iromanzi, gli studi, le raccolte, i saggi di queicentoquattro anni, o almeno la quasi totalità sparìdi colpo, fu annientata, annichilita. I pochi serverche rimanevano in funzione per un breve periodofurono congelati e accuratamente conservati a curadi pochi uomini di buona volontà, che provvedevano astampare quello che potevano, i documenti piùimportanti, o almeno quelli che erano da loroconsiderati i documenti più importanti. Aggiungi chele stampanti in circolazione erano pochissime, chela carta quasi non veniva più prodotta, dal momentoche la rete rendeva tutto lo scibile umanodisponibile a chiunque”“Successe qualcosa di molto simile alla distruzionedella biblioteca di Alessandria, o alla presa di

Costantinopoli, con la distruzione di tantipreziosissimi manoscritti”“Proprio così come tu hai detto. Di queste vicende,relative al primo medioevo, ho imparato nei mieistudi di storia antica e antichissima.La Terra cadde in una fase terribile. Il disastro, omeglio, i disastri che si susseguivano fecero sì chei principali centri di controllo della vita delpianeta andassero in tilt. L’energia, che allora eraprodotta ancora con criteri arcaici, era gestita daserver: crollando questi non veniva più distribuita.I server secondari, quelli che avevano una funzionesussidiaria, quelli successivi, e così a cascataerano fuori uso. Ci furono settimane senza energiaartificiale sulla terra. I pochi fortunati cheusufruivano di sistemi domestici, benchérudimentali, per la produzione dell’energia,potevano condurre una vita dignitosa.Gli aeroplani, che erano i mezzi fondamentali perspostarsi fra i diversi paesi e continenti, smiserodi volare. E da allora nessun mezzo si è piùsollevato in cielo. Dapprima perché non siconoscevano più le tecnologie, poi perché le nuoverendevano non solo inutile per l’uomo il sollevarsida terra, ma anche dannoso e costoso. A peggiorare le cose, in questi giorni d’inferno(abbiamo trovato alcuni resoconti da trascrizioni dimonaci cristiani e buddisti), intervenne la ferocedelinquenza di bande di disperati che scorrazzavanoqua e là alla ricerca drammatica di cibo, nelmigliore dei casi, o di oro (all’epoca c’era questainsensata cupidigia per il metallo giallo che

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sembrava essere tanto importante per gli uominidelle generazioni che ci hanno preceduto). Lepersone vivevano momenti di grandissimatribolazione. Talvolta queste masse di disgraziatisi aggregavano in bande più grandi, a volte in veree proprie orde, che scorrazzavano, lasciando terrabruciata. Sembrava che all’improvviso fosse sparitol’ordine, la legge, il diritto, visto che leorganizzazioni, gli stati di allora si trovaronosenza la possibilità di trasmettere informazioni, dicontrollare, di fermare questa delinquenza. Perfortuna abbiamo saputo trarre un grande insegnamentoda questa storia.Qua e là per la terra rimanevano pochissime le isolefelici. La gente correva sulle montagne, dove piùdifficilmente le scorrerie delle bande lasciavano ilsegno, impegnate com’erano nelle pianure, città ocampagne che fossero.Un grande sconforto imperava, sembrava che perl’umanità non esistesse alcuna speranza, e che lafine del mondo fosse ormai prossima. Le cronache deimonaci di cui ti parlavo danno un resocontodettagliato di questo, che coincide quasi sempre conquesto racconto, a oriente come ad occidente.Ringalluzziti dai successi conseguiti i capi diqueste orde davano vita ad effimeri regni basatisulla sopraffazione dell’uomo sull’altro uomo e suuna ingiustizia continuamente perpetrata, tale dafare rimpiangere ai più l’epoca d’oro che ci si eralasciati alle spalle. La popolazione mondiale, chesi stima avesse toccato negli anni precedenti ildisastro la punta di sessanta miliardi di abitanti,

era stimata centocinquanta anni dopo, all’iniziodella rinascita, in poco più di ottocento milioni diabitanti. La gente smetteva di procreare,terrorizzata com’era dalle prospettive per lapropria prole e dalla possibilità di trovare di chesfamare le proprie famiglie. Alcuni si ritirarono in gruppi religiosi, creandopiccoli conventi, soprattutto sui monti, dove sicontinuava a tenere traccia di ciò che accadeva,scrivendo gli annali di quei giorni terribili.La rinascita incominciò all’inizio del trecento,circa un paio di secoli fa. Erano trascorsicentocinquanta anni dall’apocalisse che avevasconvolto la terra. I monaci avevano istituito leprime scuole per i pochi, pochissimi esseri cherimanevano. Avevano esaminato i testi su cuirifondare l’istruzione, che era andata rapidamentescemando. Tanto è che, terminata la generazione deitecnici che riuscivano a fare funzionare gliimpianti, in quei terribili anni in cui, come in untremendo domino, tutto il sistema allora vigentesulla terra era stato scardinato, stravolto,azzerato, nessuno era più in grado di farefunzionare i pochi strumenti residui. L’uomo era inbalia delle macchine che non solo aveva progettato,ma di cui aveva progettato gli amministratori.Ma all’inizio dell’anno duemilatrecento personeanimate da buona volontà ripresero in mano lasituazione. C’è da essere davvero stupiti, nelvedere come in due secoli abbiamo raggiuntorisultati così stupefacenti.

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Ma fra tutte una merita maggiormente la nostrariconoscenza e il nostro ricordo, tanto da esserericordato nei secoli come il padre della Patria:Eleuterio”“Eleuterio, chi era costui?” chiese Giulio.“Eleuterio, Magno e Pio, fu un uomo” riprese Decio“che potresti paragonare ad Alessandro Magno e aPericle, a Cesare e a Socrate, a Confucio, a Gesù diNazareth, a Gotama Budda, a Napoleone”L’associazione di tali nomi fece rabbrividireGiulio, che però non diede a vedere. Soprattutto lapresenza del Cristo in tale consesso gli creavaimbarazzo. Ma seppe dissimulare, interessato com’eraa saperne di più.“Eleuterio” riprese Decio “era un uomo di umiliorigini. Restato orfano del padre ancora infante,all’età di sei anni fu lasciato dalla madre, che erapoverissima, ammalata e impossibilitata adaccudirlo, a un convento di monaci. Questi, come tiho detto, erano ormai i soli detentori diqualsivoglia forma di cultura, che avevano mantenutatrascritta nelle loro biblioteche. Ti ho già dettoche i libri erano caduti in disuso.Eleuterio mostrò da subito grande intelligenza,vivacità di spirito e curiosità per tante materie.La grande capacità mnemonica e la velocità dellalettura gli permettevano di immagazzinare unanotevole quantità d’informazioni, mentre la capacitàdi sintesi lo portava a elaborare idee che sarebberostate la base della sua grande rivoluzioneculturale. Senza di quella non saremmo qui.

Alcune materie lo appassionavano però più di altre:lo studio della storia e quello delle lingue.Proprio dalla sintesi di queste due scienzeraggiunse la consapevolezza che la prima etàmoderna, finita centocinquant’anni prima della suanascita, era terminata sì a causa di un’immanecatastrofe finanziaria, ma sarebbe in ogni modo inbreve termine finita a causa di alcuni erroridrammatici che gli uomini di quegli anni solevanofare.

Capitolo VIIIGli errori dell’umanità

L’errore più grande, sosteneva Eleuterio dopo unalunga disamina degli antichi annali, era che nellaprima età moderna l’uomo aveva perseguito losviluppo fine a se stesso, rilevando grandissimecrisi ogniqualvolta lo sviluppo si arrestava. Eleuterio sosteneva che l’umanità nel suo assiemedoveva essere paragonata a un singolo individuo cheaveva una fase di sviluppo, di maturità e dimantenimento. Ma che la fase di sviluppo dovevaessere circoscritta per forza alla fase di crescita;e che, una volta raggiunta la maturità, sarebbestato necessario il solo mantenimento, ovvero laricerca di tutto ciò che ostacolava il bene del

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genere umano. Ma credo che di questo vorrà parlartiin nostro princeps Gordiano”“Ma oggi, com’è divisa la Terra? Quali statirestano?” chiese.“La geografia odierna è molto semplice. Il nostrogrande impero copre la maggior parte delle terreemerse: tutta l’Europa, la Russia con la Siberia, ipaesi del bacino Mediterraneo sino al fiume Eufrate,l’Africa e l’America Meridionale: tutti i paesi piùcolti e sviluppati. Poi, a Nord – Ovest, abbiamo gliOltrecanali”“Oltrecanali?” chiese Giulio.“Si tratta di quei selvaggi territori che si trovanooltre i tre canali con i quali confiniamo: il canaledi Panama, il canale di Bering e il canale dellaManica. Sono popolazioni barbare, che vivono inluoghi dove si dice una volta fiorissero le civiltàpiù importanti della terra, che – sembra –dominavano il mondo”“Te lo posso confermare. Stati Uniti e GranBretagna. Poi, nel resto della terra?”“Esistono tre imperi e una repubblica. Ma sono moltolontani, e i contatti con loro sono molto radi.L’impero più grande è quello cinese, dal quale cisepara un grandissimo deserto impenetrabile. Nessunoha voglia di costruire linee per Pipiqu, per cui,puoi immaginare, dovremmo raggiungerli camminandoper trenta e più giorni nelle regioni più inospitalidel pianeta.Poi c’è l’impero indiano, che si trova sotto quellocinese (così ci raccontano i nostri esploratori chedi tanto in tanto ci tengono informati). Ma quello è

ancora più lontano. E l’impero Persiano, dal qualesiamo separati dal fiume Eufrate. Dopo due secoli disterili battaglie abbiamo finito per accettare ilconfine dell’Eufrate, che nessuno di noi ha vogliané interesse di attraversare.Infine la grande repubblica del Pacifico, checomprende l’ultimo lembo sudorientale dell’Asia,l’Australia, l’Indonesia e tutte le isoledell’Oceano Pacifico. Sono un popolo di mare, moltopacifico e industrioso, e saltuariamente abbiamoqualche contatto con loro. Ci hanno chiesto didiventare parte del nostro impero, ma ci stiamopensando, e non so che cosa il princeps pensi diquesta soluzione, ma non credo sia di grandeinteresse superare i confini che il saggio Eleuterioha fissato alle nostre terre”Che mappamondo rivoluzionato, pensò. Quanto e come inuovi mezzi di trasporto avevano influenzato lageografia. Anche se, pensò, non gli tornavano icontatti fra Sudamerica e Africa. Come siconnettevano se non si faceva più uso di aerei né dinavi?“Esiste un tunnel sottomarino, della portata dialcune migliaia di Pipiqu all’ora. Congiunge Dakarcon il Brasile. Una delle attività più importantidell’industria contemporanea è la creazione di nuovitunnel, oltre al raddoppio dell’esistente. Diversistudi sono in fase di esame, ma si stanno valutandodifferenti prospettive, come quella di un tunnelmeridionale, che passi da Sant’Elena e congiunga laNamibia con l’Argentina, oppure di un secondo tunnel

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settentrionale fra il golfo di Guinea e il Brasile.Bisognerà esaminare diversi fattori”“Non ultimo la configurazione geologica dell’oceano”s’inserì Giulio.“Certo, ma ancora di più la situazione dellecorrenti per la costruzione di parchi energetici. Cisono milioni di Terawatt in gioco, puoi immaginareche prospettiva di guadagno per tanti cives, e chepossibilità di creare ricchezza per la res publica”Proprio un mondo diverso, inaspettato einsospettabile. Fatto salvo che tre imperi storicicome il persiano, l’indiano e il cinese mantenevanola loro essenza. Sarebbe stato interessantevisitarli, per vedere quanto della tradizione fosserimasto: ma si rendeva conto, mentre meditava questodesiderio, che gli stati, o meglio, gli imperi,erano impenetrabili, come forse mai lo erano statinel corso della storia umana. E forse non era unmale assoluto, anzi, era una garanzia di pace perl’umanità. Benché questo comportasse tante altreconsiderazioni sul depauperamento delle culture.

Capitolo IXIl sistema sociale

“Il nostro sistema sociale” continuò Decio “è basatoinnanzitutto sull’educazione.

Questa è composta da una prima scuola che incominciaa due anni e termina a dodici. In essa vengonoosservati i comportamenti e le attitudini deibambini. Il primo anno serve per abituare alle primeforme di convivenza civile. Nel secondo partel’educazione alla musica e al disegno. Nel terzoanno s’inizia lo studio della matematica e dellalogica, della struttura degli insiemi e dellerelazioni. Dal quarto anno s’incomincia a insegnareloro la scrittura, nel quinto la grammatica e nelsesto la poesia e la prosa. Nel settimo s’incominciaad affrontare la geografia e la conoscenza delterritorio, con addestramenti pratici, nell’ottavole scienze, nel nono le tecnologie. Il decimo annoserve per riflettere su tutto quanto si è imparato,per cercare di capire i propri orientamenti in vistadel futuro”“Ma” lo interruppe Giulio “quando dici s’iniziaintendi dire che poi…”“No, chiaramente, tutte le materie intrapresevengono continuate, con una mole di lavorocrescente, ma commisurato con la crescita delbambino. Giunti all’undicesimo anno, si ha il primostacco”“Che sarebbe?”“I giovanetti, ormai adolescenti, per un annovengono staccati dalla propria famiglia e vengonoinviati presso una nuova famiglia, distante spessodalla propria casa, con divieto totale di contattocon la famiglia d’origine. Normalmente si utilizzaun sistema di scambio, per cui la famiglia A riceve

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il figlio della famiglia B, presso la quale ilfiglio viene destinato a sua volta.In questo anno la famiglia ricevente dà un giudiziosul livello di formazione raggiunta, sulle capacitàlogiche, affettive, sulle inclinazioni che ilragazzino mostra. La formazione durante quest’anno èun grande ripasso di quanto appreso, confrontandosicon un ambiente totalmente diverso da quello nelquale ha vissuto finora. Terminato questo anno c’èuno scambio di opinioni fra genitori, famigliad’origine, famiglia d’adozione ed insegnantidell’anno di riepilogo. È la famiglia di adozioneche normalmente dà un’indicazione, assieme agliinsegnanti dell’undicesimo anno, sulle inclinazionidel giovane e su come meglio si potranno esprimeretramite un opportuno orientamento scolastico.Devo precisarti due punti, in ogni modo: il primo èche gli scambi avvengono fra famiglie di cives conaltre famiglie di cives e fra famiglie di quirites conaltre famiglie di quirites, senza mai mescolanze fragli uni e gli altri; il secondo è che al momento ilragazzo non può fare una scelta se il suo futurosarà quello di civis o di quiritis, poiché gli elementisono ancora pochi.Incominciano allora gli studi superiori, che sidistinguono in sociali, scientifici, umanistici,artistici e tecnici. Questo livello formativo ha unadurata di sei anni. Al termine di questo periodo, seha superato tutte le prove con esito favorevole, ilragazzo è considerato quasi maggiorenne”“Perché quasi?”

“Perché è sicuro che gli arriverà il titolo dimaggiorenne, ma dovrà affrontare e superare conesito favorevole il primo anno di servizio civile.Questo consiste nel dedicare un anno della sua vitaalla res publica. Gli vengono prospettati percorsidiversi, ma che hanno sempre una attinenza con glistudi svolti. Normalmente è in questa fase che ilragazzo matura la scelta di appartenere ai cives o aiquirites”“Indipendentemente dalla sua famiglia di origine?”“Assolutamente. Però nel caso in cui passi da unafamiglia di cives ai quirites o viceversa gli sarà fattol’obbligo di allontanarsi definitivamente dalterritorio della sua famiglia, perché non possautilizzare la sua funzione per favorire i familiario utilizzare le posizioni dei familiari per ilproprio tornaconto personale. Questo chiaramentesolo nel caso in cui si tratti di quirites dalterz’ordine in avanti; mentre se da civis vuolediventare quiritis potrà restare nel territorio dellasua famiglia sino al terzo ordine. Doposopraggiungerà l’obbligo di cambiare la regione”“Ma se arriva a un livello nel quale può influireanche su altre regioni dell’imperium?” chiese Giulioincuriosito.“Devi sapere” rispose “che la salita nella scala deiquirites non è facile, e che esiste un sistema dicrescita per classi dispari”Giulio mostrò uno sguardo interrogativo.“Significa che il nostro sistema di elezione –scelta prevede che, per esempio, la terza classeabbia diritto di eleggere i propri rappresentanti

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fra quirites della classe quinta, sulla quale hannopotere giurisdizionale i quirites di classe settima.Quelli di classe quarta scelgono nell’ambito dellasesta, sulla quale agisce l’ottava”Giulio faticava sempre più a capire.“Sembra complesso ma non lo è. È un sistema cheevita le commistioni, sia fra le due classiprincipali, quella economica e quella politica, siaall’interno di quella politica, creando dei saltiper evitare i condizionamenti. Per esempio, il consilium imperii, che è formato datrecento quirites di ordine decimo, rappresentantitutte le popolazioni della res publica, ha il potere dilegiferare, quindi creare nuove leggi o modificarnedi esistenti. I suoi componenti sono eletti ogniquattro anni da tutti i quirites di ordine primo,terzo, quinto, e settimo, e sono eleggibili soltantoquirites di ordine decimo. Possono restare in caricasolo due legislature. Tutte le norme che generanodevono essere approvate dal senatus. In questo sonoeleggibili solo quirites di ordine decimo che sianostati per due mandati (quindi per otto anni) nelconsilium imperii. I senatores sono di ordine undicesimo, enelle loro liste sono chiamati a sceglierli i quiritesdi ordine secondo, quarto, sesto e ottavo. Ai membridel consilium, più giovani, spetta il ruolo diacceleratore, ai senatores, più esperti, quello difreno. Però non esiste una commistione fra elettorie candidati. Così anche per le magistrature più elevate, ledodicesima (praefecti, che devono controllare l’operatodei membri del consilium e dei senatores, e quaestores, che

hanno il compito di vigilare sull’attività dellatredicesima e quattordicesima), tredicesima (consules)e quattordicesima (advocatus imperii e princeps). Ora non posso stare a raccontarti tutto, su quantisiano i consules, che hanno responsabilità sulleregioni della res publica, su come alcuni ordini sianodelegati a scegliere i candidati ed altri sianodelegati a scegliere gli eletti, sull’ordine minimoche deve avere un candidato consul o princeps, e tantealtre procedure su cui non ti voglio annoiare.Posso solo dirti, per ora, che dopo quasi due secolidalla costituzione eleuteriana questo sistema si ètalmente radicato nella nostra civiltà che nonabbiamo più nessun tentativo di elusione, dicorruzione, o di abuso. La gente sa che è un sistemabuono, che garantisce benessere per tutti, che tienelontana la violenza, che permette a ognuno dicrescere, lontani da sentimenti quali la superbia ol’invidia, parole che io conosco per i miei studisul passato, ma di cui fra la gente si fatica acomprendere il significato”“Stupefacente” riuscì a commentare Giulio “eriarrivato al servizio civile?”“Certamente. In questo periodo normalmente si svolgeun’attività pratica coerente con gli studi svoltinei sei anni precedenti. Chi lo fanell’insegnamento, chi nella cura degli esseriumani, chi nelle opere pubbliche, chi nelmantenimento del patrimonio culturale, chi nellaricerca scientifica. Al termine di questo anno, se èstato soddisfacente, si è maggiorenni a tutti glieffetti. Se non si è soddisfatti si può fare un

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secondo anno di servizio civile in un settorediverso. Nel periodo di servizio civile i ragazzisono considerati a tutti gli effetti quirites,ottengono, in cambio del loro lavoro, sostentamento,inteso come vitto e alloggio, inoltre qualche decinadi kilowatt in più da spendere ogni giorno per leproprie esigenze personali”“E divenuti maggiorenni?”“Divenuti maggiorenni hanno l’ultima parte deglistudi, l’equivalente di quella che, credo di sapere,era per voi l’università, correggimi se sbaglio. Sitratta di cinque anni di specializzazione, in cuigli ultimi due sono svolti all’interno del lavoro.Infine dopo l’ultimazione degli studi si ha ilsecondo anno di servizio civile. Da questo dipenderàin massima parte, salvo eccezioni, la propriacarriera lavorativa. È un servizio civile di livello qualificato,equivalente a un quiritis di terzo livello. Finito ilquale si sarà definitivamente civis o quiritis. Però”precisò “anche se sceglierai di essere civis, ognianno avrai una settimana di servizio civile dasvolgere, il medesimo di quello svolto inquest’anno”“Anche i quirites?” “No, soltanto i cives, che hanno una vita privata.Per ricordare loro che esiste una res publica accanto auna res privata. Puoi trovare cives molto ricchi cheperò, per una settimana all’anno, svolgerannoservizio per la comunità, ricordando quello chehanno fatto al termine degli studi per un anno”

“È interessante…” rifletté Giulio a voce alta “poiincomincia il lavoro, vero?”“Certo. Coerentemente con la scelta sociale (civis oquiritis) e con la scelta formativa si cerca un lavoro.Le agenzie, gestite da quirites, hanno un ruolofondamentale. Danno un’idea dei lavori disponibiliin seno alla res publica, spiegano come partire conun’attività nuova, mettendo a disposizione terreni,strumenti e megawatt, indicano quali imprese gestiteda cives hanno maggior necessità di apporto”“Si impiega molto a trovare un lavoro?”“No, assolutamente. Dipende dalla velocità didecisione del nuovo lavoratore. Non esistedisoccupazione, se il senso della tua domanda èquesta”“E a che età si va in pensione?” chiese Giulio.Decio e Pertinace si guardarono con la facciastupita.“Pensione?”“Sì, quando si è anziani, si smette di lavorare ericevi una rendita dallo stato”“Ho capito, parli degli invalidi!”“No, non solo degli invalidi, ma anche gli altri,quando hanno lavorato tutta la vita…”“No, no, quello che intendi tu, il mantenimento, èprevisto solo per gli invalidi e gli ammalati,indipendentemente dall’età. Di solito non si smettemai di lavorare”“Ma, la fatica…”“Che fatica? Da noi non esistono lavori faticosi.Può essere che a una certa età tu chieda di cambiarelavoro, oppure, se sei civis, diventare quiritis per

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mettere a disposizione della res publica le tueconoscenze, magari come insegnante, fatto questomolto ambito e prezioso. Chi ha tanta esperienza haveramente molto da insegnare.Sull’insegnamento non ti ho detto però di unrequisito fondamentale, che è la formazione adiventare formatori, indipendentemente dal contenutodella propria esperienza.C’è un anno in cui vivi come quiritis (l’insegnante èsempre un quiritis), ricevendo pertanto dalla res publicavitto alloggio e i chilowatt per gli extra, in cuiti viene insegnato ad insegnare. Oppure puoiscegliere di diventare valutatore, che è unacategoria, nella classe quiritica dei magistrati. Ivalutatori hanno lo scopo di valutare i risultati,le verifiche che vengono fatte per comprenderel’apprendimento degli studenti, Come ti ho detto danoi la scuola è forse l’aspetto più importante.Siamo orgogliosi della nostra scuola”“E come funziona il sistema dei valutatori?”“È molto efficace. Intanto valutatori e insegnantisono distinti: questi ultimi non sono delegati allavalutazione. Le verifiche vengono inviate in ordinesparso ai valutatori con un identificativo anonimo.Vengono date delle valutazioni, su base di parametrioggettivi. Il sistema centrale di raccolta datifornisce quindi informazioni sia sul livello mediodei valutatori (si hanno valori medi sul livello diseverità o di tolleranza dei valutatori), degliinsegnanti (gli studenti di un medesimo insegnantesono giudicati da una serie di valutatori diversi,

per cui si ha una valutazione statistica media dellabontà di un insegnante). Quando emerge inadeguatezza sia come insegnante siacome valutatore vengono intraprese azioni correttivesulla persona, attraverso nuovi corsi di formazionied esami”“Complesso, ma sembra efficiente”“Lo è. Tutti i cittadini della res publica, dallaSiberia, all’Europa, all’Africa, all’America, hannostudiato sino ai venticinque anni, la maggior partesegue i corsi di approfondimento costanti negli anniseguenti, obbligatori per i quirites dal terzo livelloin su, facoltativi per tutti gli altri”

Capitolo XE i cives?

“Mi hai parlato dei quirites. Ma i cives?”“I quirites sono la struttura organizzativa della respublica, i cives ne sono le membra private che negarantiscono, grazie alla propria intraprendenza, ilsuccesso.I cives svolgono entrambe le attività che creanoricchezza, quella della produzione e quella deiservizi, ad eccezione di quei servizi particolariche sono propri dei quirites: la formazione, ilgiudizio nei vari livelli di magistratura, le

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decisioni sulle opere pubbliche, l’adeguamento delleleggi alle realtà che cambiano, secondo quantoEleuterio ci ha lasciato detto: accanto alle leggiuniversali e immutabili esistono quelle che devonoadeguarsi al mutare dei tempi. Anche se la paxeleuteriana ci concede un mondo di grande stabilità.Ognuno ha secondo le proprie necessità, e chi haambizioni può utilizzarle liberamente per crearericchezza”“E quali sono le attività di produzione e quelle deiservizi?” era incuriosito, Giulio, per questaorganizzazione nuova dell’economia, totalmentediversa dai modelli del ventunesimo secolo.“I servizi sono suddivisi in servizi didistribuzione dei beni e in servizi alla persona. I primi servono per rendere disponibile ovunque ibeni che vengono prodotti, perché nessuno ne siaprivo. I secondi sono servizi per le cure della persona, evanno dai servizi medici, ai servizi alle personeinvalide, a quelli della cura dell’individuo. Anchenoi abbiamo le terme come avevano i nostri antenatiromani, e in queste sono presenti diversi serviziper rendere la vita più piacevole, per il benesserefisico.Poi esistono servizi dedicati al turismo, per andarein villeggiatura al mare o ai monti, per mostrare lemeraviglie della natura o i siti archeologici e farecosì conoscere maggiormente la nostra preistoria.Infine esistono servizi per l’arte e per lo sport,con la creazione di spettacoli, mostre, concerti”“E la produzione?”

“Chi si occupa di produzione concorre alla creazionedella ricchezza attraverso la realizzazione dei beninecessari, con un ciclo che parte dalla terra earriva alla rete di distribuzione. Quindi abbiamoimprese che si occupano dei generi alimentari, altredell’abbigliamento, altre ancora della realizzazionedelle infrastrutture, poiché, per esempio, la nostrarete di pipiqu è sì molto estesa, ma è destinata acontinui ampliamenti.Esistono anche imprese che producono prodottimaturi, dalla scarsa innovazione tecnologica, come iveicoli pipiqu che sono utilizzati nella rete, o gliocchiali comunicatores.Poi ci sono imprese che costruiscono nuove case,secondo i criteri moderni, in sostituzione dellevecchie, che ormai sono state demolite salvo quellegarantite come siti d’interesse archeologico”“Mentre viaggiavo, in nessuna sosta mi è capitato divedere case” lo interruppe.“Le nostre case sono difficili da vedere, così comele cosiddette fabbriche. Si trovano tutteall’interno della terra, costruite con criteriantisismici, termici e di salubrità ambientale cheerano sconosciuti agli antichi, fino almeno alduemiladuecentoottanta. In superficie non esistonostrade, né case (ribadisco, con l’eccezione dei sitiarcheologici), ma solo foreste, prati, campicoltivati per l’alimentazione (agricoltura eallevamento) e impianti per la produzionedell’energia, che è libera”Strano, pensò Giulio, in un mondo in cui l’energia èmoneta, ognuno può battere moneta.

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Decio sembrò leggergli nel pensiero.“Pensi che ai tuoi tempi questo sarebbe equivalso afalsificare il denaro? Bene, ti rispondo che larealtà è diversa. Nessuno da noi svolge lavorimanuali, ai quali sono dedicate le macchine; questehanno bisogno di energia per funzionare, i pipiquhanno bisogno di energia per muoversi, le mercihanno bisogno di energia per essere spedite da unposto all’altro, ognuno ha una grande necessità dienergia. La creazione di energia è creazione diricchezza, per questo chi crea ricchezza èconsiderato una persona giusta, meritevole, elodiamo i ricchi”“T’interrompo un attimo. Mi hai parlato dispedizione delle merci. Come avviene?”“Semplicemente tramite un sistema simile ai pipiqu.Soltanto che i pipiqu sono per le persone, mentrequesti sono per le merci. Il distributore ordina congli occhiali la merce al produttore e questo lainvia impostando le coordinate che gli sono giunte.Contestualmente all’ordine gli è arrivatol’accredito dei watt corrispondenti all’acquistofatto”“Schioccando le dita la merce arriva a me e io lapago”“Detto in maniera un po’ semplice e un po’ volgare èproprio cos씓Ma esiste una grande concorrenza fra le aziende?”“Abbiamo realizzato un sistema di concorrenzaperfetta. Tieni presente che le aziende sono tuttedi una dimensione abbastanza piccola, difficilmentesuperano i duecento addetti: in quel caso infatti il

sistema fiscale è estremamente punitivo nei loroconfronti. In questo modo le persone che vi lavoranosi sentono tutte parte di un’entità per la qualelavorano alla ricerca dell’eccellenza”“E i prezzi, con una concorrenza così frazionata,come sono determinati?”“Abbiamo una categoria di magistrati, i pretiari, chedefiniscono i prezzi. Considera che la res publica è ilmaggior acquirente, pur rappresentando i quirites unaparte minoritaria della popolazione rispetto aicives, dunque al mercato la res publica svolge un ruolocontrattuale. Ma poiché è res publica anche per i civese non solo per i quirites, fra i compiti dei pretiari èanche quello di consentire un prezzo equo, chefaccia guadagnare sia chi si occupa di produzionesia chi di distribuzione”“Però il prezzo di spedizione cambia, quindi se chiproduce deve spedire lontano…” obiettò Giulio.“Non cambia nulla, perché la velocità rendeininfluente la distanza e chi produce paga una cifraalla res publica per l’uso dei trasporti in funzionedei volumi prodotti, indipendentemente dallalontananza dalla destinazione della merce.Teoricamente per chi si trova nella lontana Siberiac’è lo stesso costo e quasi lo stesso tempo aconsegnare prodotti vicino a casa o nella lontanaPatagonia”“Ma se non c’è prezzo, e questo viene imposto, comesi può influire sulle preferenze ed essere piùcompetitivi? Con la pubblicità? Con il packaging?”Davanti all’espressione stranita di Decio e diPertinace Giulio dovette spiegare questi due

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concetti, per loro davvero astrusi eincomprensibili. Confabularono un po’ fra di loro,ognuno pensava di avere capito, poi l’altro locontraddiceva, finché dovette intervenire Giulio,non una volta, ma addirittura tre per chiarire finoin fondo queste nozioni.“Bizzarre idee davvero” commentò Pertinace, mentrel’amico Decio assentiva “No, non esiste nessunsistema per strombazzare in giro che il prodotto èmigliore, poi queste storie, questi attori di cuiparli, e le musiche, e il motto, insomma, mi sembrauna sorta di grande imbroglio. Eleuterio l’avrebbedecisamente condannato. Circa quello che tu chiamipackaging – è questa, la parola? – se fai riferimentoai contenitori dei prodotti, questi sonoininfluenti, perché una volta che il prodotto èstato consumato vengono resi al produttore, tramitei distributori, sterilizzati e riutilizzati”“Ma sterilizzare costa lavoro”“Lavoro è energia, lo insegna la fisica, e ti hospiegato che per noi energia è ricchezza. Serve atante cose, anche questa non te l’avevo detta,comunque sappi che ci sono tanti altri casi in cuiutilizziamo l’energia. Ma cinquecento anni fa, comefacevate, se non riutilizzavate i contenitori? Noneravate sommersi dai rifiuti? Immagino che le vostrecittà ne fossero piene”Giulio arrossì, era difficile controbattere inmaniera convincente.“Però la tua domanda era un’altra, come le azienderiescono a essere scelte. La nostra res publica premiail merito. I nostri cives e quirites premiano i prodotti

migliori. Chi produce beni di qualità li vende, chiha una qualità scadente o migliora o esce dalmercato. Il prezzo non c’entra, il prezzo…”“Il prezzo” riprese Decio, che da studioso di storiaconosceva anche la storia economica “era, nellapreistoria, funzione della domanda e dell’offerta.Ma noi siamo in condizioni tali – la tecnologia celo ha consentito – di avere un’offerta che eccedeteoricamente la domanda, sebbene elementi diregolazione intervengano anche qui. Pertanto ilprezzo perde di significato, la concorrenza ha giàportato un equilibrio nel mercato che non esistevanella preistoria, e la res publica verifica solo che ilprezzo sia equo per tutti, per chi produce e per chiutilizza”“Però, come fate a evitare esuberi di produzione?”“La res publica rende noti a chiunque quelli che sono idati aggregati di domanda e di disponibilità di ognideterminato prodotto, per cui le aziende rallentanoo accelerano la produzione in base ai fattorigenerali e alla preferenza che in quel momento vieneaccordata ai loro prodotti”“Ma quando un’azienda, per vari fattori, entra incrisi e non c’è più lavoro?”Anche qui Decio e Pertinace si guardarono stupiti.Poi Decio, che era maggiormente a conoscenza dellastoria, rispose.“Oggi viviamo in un mondo in cui tutti lavoriamo,anche se potremmo non lavorare: infatti il mondopotrebbe produrre da solo, grazie alle sue macchine.È stato il saggio Eleuterio che ha voluto che tuttisvolgessimo il nostro lavoro, perché il lavoro tiene

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libera la mente dai pensieri malvagi. Il lavoro ciaiuta a sviluppare meglio la nostra realizzazionecome individui. Tutti noi, cives o quirites che siamo, abbiamo studiatoper più di venti anni, e continuiamo a studiare.Abbiamo un lavoro di responsabilità. Nel momento incui l’azienda non dovesse avere lavoro, e chi lavoralì non potesse trovarne presso altre aziende, la respublica gli dà altri strumenti: diventare quiritis,mettendo a frutto quanto imparato nello studio edesercitato con il servizio civile, oppure gliaffitta un pezzo di terra ove può creare energia,oppure coltivarla”“Non gli hai detto della terra” riprese Pertinace.“È vero. Non ti ho detto che la terra appartienetutta alla res publica, e che ognuno la può ottenere inuso, per la quantità che chiede. Pagherà uncorrispettivo alla res publica, proporzionale sino auna certa quantità, poi sempre maggiore. La terrapuò essere utilizzata per motivi produttivi(produrre energia o allevare bestiame o coltivarecereali o altri scopi) oppure per creare parchi, siapubblici sia privati. Questi casi sono riservati aicives più ricchi, e rappresentano un simbolo moltoimportante, per chi è spinto dalla molla dellaricchezza. Chi riesce a crearsi un parco devericordarsi da un lato che deve pagare alla res publicaun affitto considerevole per qualcosa che non rende,dall’altro proprio di questo è orgoglioso, e questolo motiva a crescere e a far crescere le propriericchezze.

Te l’ho già detto, c’è molta ammirazione per chiproduce ricchezza”

Capitolo XILa terza classe

“Mi avevi parlato di una terza classe, a cavallo fracives e quirites”“È vero, i cooperantes. A loro è concesso di svolgereattività simili ai cives, di creazione di ricchezzatramite prodotti o servizi, ma solo a vantaggiodella loro comunità. Sono gruppi che vivono assieme,in comunità di duecento persone al massimo, invillaggi. Il vicus14 che li ospita dà loro ogni formadi sostentamento di cui hanno bisogno, come la respublica fa con i quirites, hanno gli stessi dirittipolitici dei quirites, ai quali sono accomunati, epossono accedere alle gerarchie delle magistrature.Questo in virtù del fatto che pur sviluppandoun’attività di produzione di ricchezza non lasvolgono a favore di se stessi ma del vicus. A loro è concesso, qualora non siano più soddisfattidella vita comunitaria, di uscirne, sviluppando lapropria competenza per arricchirsi come cives, e inquesto caso perdono i diritti politici, oppure

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dedicandosi a una magistratura della res publica,diventando quirites a tutti gli effetti. In tal casonon hanno necessità di svolgere i lunghi tirocinirichiesti a cives che vogliano diventare quirites peraccedere alle magistrature più alte, né diabbandonare la regione dei propri familiari”.Una sorta di comunismo volontario, pensò Giulio, ereversibile. Microcosmi all’interno di un sistemaibrido, in un perenne equilibrio dinamico, contravasi possibili, assestamenti indolori, fra cives,quirites, cooperantes.Gruppi produttivi grandi al massimo duecentopersone, limite obbligatorio, nel caso deicooperantes, limite tributario, nel caso delleimprese.Possibilità di scegliere di fatto il proprio ruolonella società, con una certezza assoluta: nessunopativa la fame, ognuno aveva una casa, ognunoriceveva una formazione fino ai venticinque anni.Non esisteva violenza, non esistevano rifiuti, nonesistevano delitti. Si poteva comunque diventarericchi, anche se questo argomento era stato toccatomarginalmente, si poteva aspirare al potere solo infunzione del desiderio di collaborare almantenimento, quando non al miglioramento, dellagiustizia e del benessere degli altri uomini.Era davvero il migliore dei mondi possibili, maîtrePangloss? Tutto sembrava confermarlo.Riprese una delle ultime considerazioni.“Mi avete detto” si rivolse ai due amici “che soloai cives è consentita la ricchezza. Ma in un mondo in

cui ognuno ha tutto, che necessità c’è di diventarericco?”“Molte persone aspirano a una maggiore ricchezza, ecertamente Eleuterio sapeva, nella sua grandesaggezza, che la brama di ricchezza individualeporta con sé un aumento della ricchezza generale. Iracconti della preistoria dicono che ogni volta chesi è cercato di impedire l’accumulo della ricchezzasi è finito per rendere tutti più poveri. Chi crearicchezza per sé ne crea necessariamente per glialtri, sia perché genera lavoro (questo aveva notatoEleuterio dallo studio della preistoria) sia perché,se vuole possedere ricchezza, devono esserci personeche possono dargliela. Quindi il sistema deve crearericchezza, e a traino della produzione dellaricchezza ci sono persone che gioiscono nelprodurla, hanno il loro premio in questo, ericonoscono nel raggiungimento di determinatiobiettivi il fatto di averla raggiunta”“Con il limite dei duecento collaboratori”“No, stai attento, non abbiamo detto questo. Soloche dopo che hai superato i duecento collaboratoril’imposizione tributaria diventa più alta delguadagno che ricevi. Ma in molti casi chi è davverointeressato al raggiungimento della ricchezza non siferma a questo, ed è ben felice di concorrere allaricchezza generale più degli altri”“Quali sono i simboli di ricchezza cui aspirano icives più ricchi?”“Di uno ti abbiamo già parlato, l’avere adisposizione parchi via via più grandi. Questiparchi sono utilizzati sia per feste private, sia

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per mostrare la propria magnanimità, e dati in usoalla cittadinanza, per festeggiamenti di ogni tipo,come banchetti nuziali”“Il matrimonio è ancora un’istituzione riconosciuta,allora, e anche la festa per celebrarlo”“Certamente” risposero all’unisono. “Un altro aspetto molto ricercato dai ricchi, colraggiungimento delle ricchezze, è quello di favorirel’arte. Vengono create scuole speciali per l’arte,la pittura, la scultura, la musica, la poesia, dovecrescono i nuovi artisti. L’opera d’arte è un segnodi ricchezza, il mecenatismo è una dellemanifestazioni più sublimi del successo di un civis”“Ma gli artisti sono cives o quirites?” interruppe.“Possono esserci artisti in entrambi i gruppi.Soltanto che i quirites che desiderano diventareartisti lo fanno nel tempo libero; se diventanoartisti affermati, con la possibilità di vendere leproprie opere o i propri concerti a diversimegawatt, o addirittura a giga watt, in alcuni casi,in questo caso abbandonano lo stato di quirites ediventano cives”“Ma ai concerti assistono solo i cives, visto che iquirites non dispongono di grandi risorse”“Assolutamente no. I concerti sono regalati dai civesricchi a tutta la cittadinanza, nei loro parchi,dove spesso esistono aree destinate a questi”Un circolo virtuoso, pensò Giulio, un circolovirtuoso che ricordava aspetti dell’Atene di Pericleo della Fiorenza del Magnifico, almeno come luisempre se le era raffigurate. La ricchezza destinataal mecenatismo.

“Ma non tutti i cives diventano ricchi”“Certamente no. Però nemmeno fra i cives si patiscela fame. Le condizioni elementari di soddisfacimentodei bisogni sono garantite a tutti. La crescitadella ricchezza ha un aspetto d’importanza sociale.Chiaramente questa non è importante per tutti allostesso modo né con la stessa intensità. Esistono cives che si accontentano di una vita moltosimile a quella dei quirites di primo livello, laddoveesiste il massimo grado di libertà individuale.Ricordati del triangolo che regge la nostra respublica, con ai vertici ricchezza, potere e libertà.Si tende maggiormente verso una delle tre, si puòavere una posizione intermedia, ma non si possonoavere assieme le tre cose.I cives meno ricchi, così come i quirites meno potenti,sono anche i più liberi, e sono chiamati eleuterii15.Fra le varie libertà hanno anche quella di cambiareil proprio stato senza molti problemi.Un civis meno ricco avrà una cerchia di amici piùampia; i suoi figli, entro certi termini, potrannoscegliere di diventare quirites senza abbandonare lafamiglia; potrà frequentare quirites di primo osecondo livello come amici. Cosa che non èconsentita ai livelli superiori.Un civis ricco potrà organizzare feste grandiose,aperte a tutti, e normalmente gioirà della lode chericeve dalla gente”

Capitolo XII

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Caio Antonino Gordiano Augusto

Due soldati entrarono nella baracca postaall'ingresso dell'accampamento dove Giulio, Decio ePertinace stavano attendendo. Dietro di loro apparveun uomo in borghese, decisamente più affabile, chesi rivolse a Decio."Sua altezza serenissima Caio Antonino GordianoAugusto vi sta aspettando".Camminarono attraverso l'accampamento, percorrendoun viottolo fra basse costruzioni di legno,ordinatissime ma molto spartane. Giunsero in unospiazzo dove videro una capanna leggermente piùgrande."Entrate"Erano nel cuore della reggia imperiale.Il princeps si fece loro incontro. Indossava unanormale tunica da quiritis, e gli unici trattidistintivi erano costituiti dalla mantellina colorporpora, che contrassegnava, ora come duemilacinquecento anni prima, la dignità della suamagistratura, e da una corona, un cerchio d'oro,leggerissimo, alto meno di un pollice, che glicingeva la testa.Caio Antonino Gordiano era uomo, almeno inapparenza, di circa sessant'anni, dall'aspettoenergico, atletico. I capelli erano corti,brizzolati e ricciuti. Una barba ben tenuta ne

copriva il volto nella parte inferiore. Gli occhierano larghi, quasi bovini, dal colore castanoscuro. La fronte era spaziosa, e la pelle , bruciatadal sole, dal vento, dal freddo, come quella di uncontadino, testimoniava una vita trascorsa in granparte all'aria aperta.La muscolatura appariva tonica, nelle braccia e neipolpacci, che si potevano scorgere sotto la tunica,ed anche l'ampio torace e il portamento erettoprovavano tante ore dedicate all'esercizio fisico.L'aspetto generale che Giulio ne ricevette fuestremamente positivo, quasi quello di un nonnoenergico e robusto in grado non solo di raccontare edi istruire ma anche di proteggere.Decio e Pertinace si gettarono al suolo al suocospetto."Altezza serenissima..."Giulio, un po' smarrito, li imitò. Ma il principe lofermò con un gesto risoluto. "Siediti" gli ordinò, indicandogli una poltroncina,mentre faceva segno ai soldati che potevanoaccompagnare Decio e Pertinace là da dove eranovenuti."Ti piace la reggia imperiale?" gli chiese."E’ bella, principe" rispose tentennante Giulio.Gordiano proruppe in una fragorosa risata."Bella? bella ti sembra? la baracca di unaccampamento... non mi sembra particolarmente bella"Giulio si sentì a disagio, e il principe lo compresebenissimo."Scusami, non intendevo approfittare della miaposizione per crearti imbarazzo. La reggia imperiale

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non è sicuramente bella, è consona alle direttivedel nostro grande fondatore, che volle tenererigorosamente separati la ricchezza e il potere. E aquesto siamo tenuti, e il rispetto delle sue sacreregole ci permette di mantenere il nostro ruoloimperiale, fa si che il senato non ci destituisca eche, come ho avuto la grazia, dopo venti anni diprincipato ci venga conferito il titolo di Augusto.Questo ci proietta nella storia. Questo è il nostrosistema. Questo è il nostro mondo nuovo.

Ora” continuò il princeps “ecco quale fu l’intuizionedel nostro grandissimo riformatore. Egli colsel’enorme contraddizione di un mondo che era statopotenzialmente ricchissimo, ma non aveva saputo comegodere veramente di questa ricchezza. Il mondo dicinquecento anni fa produceva ricchezza, ma eraschiavo della liquidità, perché la forma di monetache era utilizzata era sottoposta a vincoli che nonle permettevano di riflettere la ricchezza reale,che veniva prodotta in maniera disordinata,convulsa, insostenibile, generando spesso,viceversa, povertà: una autentica contraddizione. Ditanto in tanto si cercavano correttivi, che duravanolo spazio di un mattino, ma era come mettere lapolvere sotto il tappeto. Finché non arrivò unacrisi più forte delle altre, e il castello crollò”Il princeps non poté non notare un’espressioneinterrogativa sul volto del suo interlocutore, eprevenne la sua domanda.“Godere veramente della ricchezza, sembra quasi titurbi questo concetto” sorrise “nei vostri anni, ho

letto negli scritti che ci sono stati tramandati, ilgodere della ricchezza aveva un significato moltoegoistico. So che il concetto della gestione delmondo era stato ridotto in una manichea dicotomiafra capitalismo e socialismo”“Non proprio precisamente così…” accennò Giulio.“… ma quasi. Lo so, c’erano sfumature, ma alla finetutto si riduceva in un’antitesi fra accumulo dellaricchezza nelle mani di qualcuno e distribuzionedella stessa. Forse questo era dovuto alle forme digoverno che da questo concetto derivavano, o forse aconcezioni religiose. Ma l’idea di godimento dellaricchezza era assai diverso. Oggi il godimento della ricchezza è qualche cosa dimolto più vasto, è l’idea che la ricchezza siespanda, anziché contrarsi, attraverso ladistribuzione. È l’idea che nessuno ne vengaescluso, e che ciascuno possa avere secondo le suenecessità”“È socialismo, allora” sentenziò Giulio.“Niente affatto” protestò il princeps “il socialismoportava all’inibizione della spinta individuale, eil nostro sistema si basa sulla potenza del singolo,sulla sua creatività e sulla sua voglia di fare. Èfondamentalmente una derivazione del capitalismo, seproprio vuoi fare riferimento alle antiche categoriedei tuoi tempi”Giulio percepiva sempre più nebbia in questodiscorso. Il princeps, che doveva essere persona digrandissima perspicacia, se ne accorse.“So che è difficile” riprese con un tono quasididascalico “ma vediamo di provarci. Eleuterio si

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accorse che il mondo in cui si era configurata lacrisi viveva questa grande contraddizione. La crisiche il tuo mondo attraversava non era una crisi dafame, non era una crisi in cui la gente non riuscivaa trovare cibo. Era una crisi da sovrabbondanza, unacrisi irreale. Forse irreale non è la parola piùgiusta, forse virtuale, e anche virtuale non è untermine corretto, perché gli effetti erano risentitidavvero dalle persone. Ma era una crisi sicuramentecontraddittoria.Non era una crisi dell’offerta ma della domanda, enon lo si era capito. O, se anche lo si era in partecompreso, non erano stati fatti i passi utili percontrastarla”.“C’è del vero in quanto affermi, princeps, almeno peri miei recenti ricordi di cinque secoli fa” risposeGiulio, esortandolo a continuare.“Ora, se noi guardiamo a ciò che succedeva, cirendiamo conto che in quel mondo ancora si pativa lafame (degli altri non so dirti, non abbiamoinformazioni sugli altri imperi, le relazioni conessi sono davvero povera cosa). Nel nostro imperonessuno soffre più la fame, né la sete, né lacarenza di un alloggio. Neppure manca di istruzionené, infine, del quinto importantissimo diritto delnostro mondo: il poter scegliere la propria stradain grande libertà.Nel vostro mondo una grande parte dell’umanitàsoffriva la fame, mentre nelle nazioni civilizzatele aziende producevano in maniera schizofrenicaprodotti destinati alla crisi da sovrapproduzione.

Questa era una contraddizione enorme che portava acontinue crisi economiche”“Si chiamava mercato”“Anche il nostro è mercato. Ma funziona. Credo cheil vostro mondo fosse retto da una grande illusione:si chiamava sviluppo. Anche noi crediamo nellosviluppo, ma è uno sviluppo diverso. Voi puntavate auno sviluppo quantitativo, noi qualitativo.Voi parlavate di una crescita dell’economia comecrescita della produzione: ma se io faccio crescereun corpo ogni anno del 2, 3 percento, nel giro diqualche anno avrò una creatura abnorme einsostenibile. Prendi la vita di un essere umano:per sedici – diciotto anni il suo corpo cresce, poisi stabilizza, e allora deve essere mantenuto,migliorato, la crescita riguarda altri aspetti,quali la formazione. Non trovi?”Giulio accennò con il capo.“Eleuterio si rese conto che il mondo si erafossilizzato sulla produzione manifatturiera. Che lacrescita e lo sviluppo erano interpretati solamentecome crescita di una cosa (correggimi se sbaglio)che si chiamava prodotto interno lordo, quindilegata alla produzione. Se riuscivi a produrrel’economia godeva di buona salute, altrimenti eri inpovertà. Ma questa era un’enorme contraddizione.Perché se non c’era necessità di prodotto non sapeviche fare. E la gente non aveva lavoro, e senzalavoro non aveva mezzi per acquistare i prodotti, ei prodotti restavano nei depositi”“Devo ammettere che nella tua diagnosi c’è delgiusto”

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“Eleuterio” continuò il princeps, senza fare caso allachiosa di Giulio “comprese che troppo nell’economiaera compreso nella manifattura e che era ora dipassare a un’economia di servizi. Servizi allapersona in generale, e ad alcune categorie dipersone in particolare. Comprese che la tecnologiaaveva giocato all’industria lo stesso scherzo cheaveva tirato all’agricoltura duecento o trecentoanni prima.La tecnologia aveva portato alla rivoluzioneagricola, e questo aveva liberato tante braccia.Dove servivano cento contadini ne bastavano dieci.Soltanto che allora nasceva la rivoluzioneindustriale e i novanta che si erano trovati senzalavoro nei campi vedevano spalancarsi davanti a séle porte delle fabbriche. Nei tuoi tempi questapossibilità andava scomparendo, perché le portedelle fabbriche si stavano chiudendo. Ecco allora l’intuizione di Eleuterio, di aprire ilmondo ai servizi”“Ma senza industria dove si sarebbe creata laricchezza? Com’era possibile distribuire laricchezza se la sua fonte principale, l’impresamanifatturiera, vedeva davanti a sé una stagione digrande crisi? Chi pagava i servizi?”Il princeps rise.“Non continuare a ragionare con la testa di mezzomillennio fa” lo rimbrottò amabilmente “c’è unfattore che trascuri, ma che trovi in ogni paginadella storia economica dall’inizio dell’umanità aigiorni nostri. Ed è quello della tecnologia comeprimo fattore di ricchezza.

Conoscere come fare meglio significa ridurrel’impiego di energie e avere ciò che ti serve,migliorare la resa e ridurre la spesa. La miaindustria produce ricchezza non perché occupa ilcinquanta per cento della mia popolazione, bensìperché sfama le necessità del cento per cento delmio popolo.Teoricamente se avessi un sistema di macchine che siautosostiene potrei avere un popolo che gode di solifrutti senza necessità di altro”“Teoricamente”Il princeps sorrise.“Questo apre un altro capitolo, e ne parleremo piùavanti. Per il momento rimaniamo qui. Allora, seprima avevamo, sostiene Eleuterio” - a Giulio nonsfuggì l’uso del presente, a ribadire che ilconcetto del grande riformatore era considerato divalore attuale – “quaranta persone su centoimpegnate a produrre, e poi, grazie allo sviluppodella tecnologia, ne bastavano tre, nasceva ilproblema di che fare delle altre trentasette. Ma, afferma Eleuterio, se da un lato la ricchezzaprodotta è la medesima, fatta non da quaranta, bensìda tre persone, resta il quesito: ai fini dellaricchezza le restanti trentasette sono daconsiderare un fattore di crisi o di opportunità?Con le restanti trentasette, risponde Eleuterio, neituoi secoli si sarebbe ragionato così: o silasciavano alla ricerca disperata di un impiego,azzannandosi come tanti cagnolini per i quali c’èqualche briciola da spartire, e chi tardi arrivamale alloggia; o si poteva regalare loro qualche

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sussidio, prelevandolo dalle risorse che venivanocreate dalle prime tre; oppure si poteva adottare lacosiddetta soluzione della tela di Penelope, secondola quale si sarebbe fatto di giorno e disfatto dinotte. Soluzione semplice, questa, perché permettevadi raccontare alle statistiche ufficiali che nonc’era disoccupazione, oppure che era sottocontrollo. Ma che portava diversi problemi, apartire da una percezione di inutilità e diparassitismo da parte di chi realmente produceva laricchezza, se non addirittura di intralcio. Erano iburocrati, quelli che dovevano dare organizzazione einvece creavano intralcio, lungaggini,appesantimenti, e distraevano ricchezza anzichécontribuire a crearla. Venivano creati balzelli assurdi. Mi è stataraccontata una storia che non so se sia vera oappartenga alle leggende che vengono tramandate neisecoli, tu potrai confermarla o smentirla.In quei giorni il sistema di trasporto – questo loso – era basato sulle automobili. Bene, queste eranoassolutamente private e dovevano essere posteggiate.Fu inventato un balzello, per cui veniva fattapagare una somma per poterla parcheggiare, e conquesta somma venivano pagati degli accertatori disosta che dovevano verificare se la gabella erastata pagata oppure no.Puoi immaginare come fossero percepite questeangherie da parte degli uomini di allora, e quantopoco dessero il senso di appartenenza, e soprattuttoa come facessero percepire il potere, comeorganizzazione o disorganizzazione, come espressione

del bene comune o piuttosto come manifestazione diarroganza di un’elite di oligarchi, nominati per viapiù o meno democratica. Questa è la tela diPenelope”“Ti confermo che non è una leggenda, princeps. E ce nesarebbero altre” approvò serio Giulio.“Tanto mi basta. Allora è vero. Si macinava tantaacqua.Invece no, sostiene Eleuterio, invece è possibileche questa grande forza migliori la reale ricchezzadel nostro popolo.Perché vedi, prima abbiamo lasciato un capitoloaperto, se ti ricordi”“Quello del tempo libero che viene generato dallaricchezza”“Mi stati seguendo, e questo mi dà gioia. Proprioquesto è il punto. Questa gente il cui tempo venivaliberato non era, come sembrava ai governanti deituoi anni, un problema, ma una grandissimaopportunità. Queste persone potevano fare tantissimole une per le altre. Questa sarebbe stata, sostieneEleuterio, la vera crescita del mondo, il verosalto, il vero progresso. Un progresso in cuiindividuale e collettivo si sarebbero coniugati, nonmostrando conflitto fra di loro, quanto piuttostoassoluta compatibilità. Era l’uovo di Colombo.Restava da trovare la chiave di volta del nuovosistema”“E la trovò?” chiese Giulio, già conoscendo larisposta.“Certo. Si trovava innanzitutto nella formazione,che necessitava di orientamento. C’era bisogno di

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tante figure. Gli anziani avevano bisogno diassistenti, i giovani di insegnanti, i malati disanitari, le donne e gli uomini adulti e sani diformatori che li aiutassero nella forma del corpo edella mente e dello spirito, le persone sole dicompagnia. Questo solo per restare nel campo deiservizi immateriali. Aggiungi che c’era esigenza d’insegnanti per ognicategoria di studio, e poi di insegnanti per gliinsegnanti (nel nostro mondo quella dell’insegnanteè una delle categorie più apprezzate e stimate).Poi c’era tutta una categoria di servizi dimanutenzione per i beni. Insomma, l’avrai capito,c’era un’enorme necessità di persone, e si aprivauna grande opportunità”“Ma chi pagava questa gente?”Il princeps rise.“Nei tuoi tempi la disponibilità di denaro servivaper acquistare determinati beni e servizi. Una partedi quanto guadagnavi serviva a mangiare, una parteper i mezzi di trasporto, una parte per ildivertimento, una parte per la casa, spesa in canonidi affitto e riscaldamento oppure accumulata peracquistare una casa. Poi una parte era destinataalle spese per servizi.Queste quote riflettevano la stratificazionedell’offerta del mondo, che nel suo insieme eraimpiegata in parte per portare cibo sulle tavoledelle persone, in parte per la produzione emanutenzione dei mezzi di trasporto, in partenell’industria del turismo, dello sport, dellospettacolo e dei divertimenti, in parte nella

costruzione e nella manutenzione di case, e in parteper i servizi.Oggi non è molto diverso. Anche oggi la società hauna sua composizione nei ruoli, che si riflette neifabbisogni di ogni singola persona e di ogni singolonucleo di famiglie o altre comunità. Solo che èdiverso l’assortimento, per cui alcune voci cherappresentavano le fette più grosse della torta oggine rappresentano una percentuale minima o nulla eviceversa. Voi eravate incollati all’idea che laricchezza nasca solo dove si produce un’entitàmateriale, ed eravate convinti che non si possaprodurre senza sprecare risorse. Eleuterio hacompreso che questo non conduceva a nulla. Eleuterioha compreso che la vostra paura era la stessa dichi, trecento anni prima, temeva i progressidell’agricoltura, perché tante braccia sarebberorestate senza lavoro. Ma non era così. Ci sarebbestato ancora bisogno dell’agricoltura, ci fu ancorabisogno dell’industria manifatturiera. Ma anchequesta era diventata così poco redditizia che andavasostenuta con degli incentivi, come la prima, se nonon si sarebbe trovato più nessuno disposto alavorarvi”Giulio si soffermò qualche istante.“Ma come fu possibile organizzare tutto il nuovosistema senza ricorrere a un sistema di economiapianificata e contemporaneamente senza incorrerenegli inciampi del mercato?” La sua espressione interrogativa fece venire allamente del princeps quella di un bambino smarrito.

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“Qui si aprì il problema politico,dell’organizzazione del mondo nuovo, in cui pubblicoe privato, collettivo e individuale, dovevanonecessariamente convivere. Lasciando libero spazioall’iniziativa privata senza castrarla, senzacastigarla, ma anche senza lasciarla prevaricare; elasciando pure spazio a tutti coloro che diiniziativa ne avevano poca o punto, che si sentivanopiù deboli e che avevano bisogno di protezione. Mache non per questo non erano in grado di dareall’umanità una grande ricchezza, di aumentare ilvalore aggiunto, di fare crescere, di lasciarequalche cosa di più rispetto a quanto avevanotrovato, di fare fruttare le proprie attitudini.Tutto questo, pensò Eleuterio” – non sfuggì a Giuliol’uso questa volta del tempo storico – “doveva peròavvenire nell’assoluto rispetto della libertà.Infatti la difesa del debole troppe volte era statatrasformata in un’amplificazione della prepotenza,in una prevaricazione, in un rigido sistema diregole che sfociava necessariamente in uno statopoliziesco, nella negazione della libertà in nomedella giustizia sociale. Questo non doveva accadere. Ecco allora le seguentiriflessioni di Eleuterio, che sarebbero divenute lemassime del nuovo mondo”Il princeps si alzò, e incominciò a camminare intornoalla stanza. “Il primo principio che Eleuterio affermò” ripreseil princeps “è questo: non è vero che la legge deveessere uguale per tutti, la legge deve dare a tutti

la possibilità di essere uguali. Questo dovettesembrare agli ultimi apostoli del vecchio mondo unagrande eresia, contraddicendo il principio di baseche era espresso in tutte le aule di giustizia. MaEleuterio rovesciò il concetto di fine e di mezzo.La legge era un mezzo per raggiungere una verauguaglianza, ovvero la giustizia, non essere fine ase stessa. Però, considerando le diverse posizionidi partenza degli uomini, l’uguaglianza della leggenon era una garanzia di giustizia. Era fondamentaleinvece che gli uomini potessero scegliere il propriostatus di cittadini, e le regole alle quali attenersi.Una volta scelte dovevano essere seguite, e ladiversità dei corpi giuridici doveva esserecompatibile e non conflittuale. Perciò, ad esempio,esisteva una serie di regole comuni rispetto ai variordinamenti, mentre esisteva una serie di leggidifferenziate che l’uomo si sceglieva, come dirittie come doveri.

Il secondo principio specifica meglio il primo ed èquesto: uguaglianza non è egualitarismo. Sembrabanale ma non è. L’egualitarismo è appiattimento,depauperazione di tutte le peculiaritàdell’individuo, quindi privazione della ricchezza.Qualcosa in netto contrasto con le aspettative diEleuterio.

Il terzo dice che l’ambizione è un diritto sacro perl’uomo (può essere associato al precedente).

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Secondo il quarto potere e denaro devono esseredissociati: chi aspira al potere deve rinunciare aldenaro e viceversa. Il possesso di entrambi èassolutamente vietato.

La quinta regola di Eleuterio è che non è vero chesi debba sempre crescere: ogni corpo che raggiungela sua maturità smette di crescere e devemantenersi.

Eleuterio affermò poi, come sesto assioma, che se sivuole distribuire la ricchezza occorre primacrearla.

Il suo settimo postulato fu che la ricchezza non èsolo materia, ma formazione, ingegno, energia,cultura, spirito e creatività.

Come ottavo punto, corollario dei precedenti sette,Eleuterio disse che il mondo può dare a ogni essereumano ciò che lo soddisfa, se chi guida il potere echi guida il denaro saranno mossi da buone leggi ele osserveranno con amore e con rigore”

Capitolo XIIIIl princeps e la felicità

Il princeps continuò, facendosi più serio."Ti avranno sicuramente riferito oltre ai principi,delle norme fondamentali che Eleuterio ci halasciato. Le quattro categorie di norme apodittiche""Certamente" confermò Giulio "le norme logiche,quelle etiche, quelle estetiche e quelle fisiche""Tutto qui? non ti hanno fatto cenno ad una quintacategoria?""Si, è vero. Alle leggi metafisiche. Ma me ne hannosoltanto accennato, lasciando quasi cadere ildiscorso""Non ricordi null'altro?"La sua curiosità non era quella di qualcuno chevuole scoprire un’informazione che gli è celata,quanto l'interesse per il grado di conoscenzadell'interlocutore."Sì, poco più. Credo che Eleuterio ci stesselavorando, ma tutto deve essere caduto neldimenticatoio. Si tratta di una sorta di operapostuma appena abbozzata, di non grande importanza""Di non grande importanza" ripeté il princeps,accarezzandosi la barba del mento "Di non grandeimportanza" ripeté. Si fermò a riflettere.Giulio lo scrutava con sguardo interrogativo.Presagiva il fatto che il princeps stava meditandoqualcosa di abbastanza importante. Probabilmentestava ponderando se metterlo a parte di qualchemistero.Alla fine ruppe le esitazioni e cominciò."Vedi, il nostro imperium ha raggiunto una formaistituzionale meravigliosa. Avrai notato che nonesistono ingiustizie, c'è libertà di scelta, ogni

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essere umano può decidere riguardo al propriofuturo, nessuno patisce la fame o è privo di unalloggio. Esiste un grande equilibrio nei poteri,per cui nessuno prevarica l'altro, e anche chigoverna, anche nelle posizioni di massimo livello,come me che ti parlo, è a sua volta inferiore adaltri sotto diversi aspetti. Come un gioco che si fada bambini da noi, che si chiama sasso cartaforbice. Non so se ne hai sentito parlare"Giulio sorrise, pensando che cambiano leistituzioni, le lingue, l'aspetto stesso del genereumano, ma che le tradizioni infantili resistono adispetto di tutto e di tutti."Certamente. La carta avvolge il sasso e lo vince,la forbice taglia la carta, il sasso rompe laforbice"Sorrise anche il princeps."Proprio quello. Vedo che lo conoscevi già. Ilnostro sistema riunisce in una sintesi perfetta levarie istanze dell'uomo, quella alla liberainiziativa e quella alla ricerca della protezione edella sicurezza, rispecchiando in questo le varieindoli dell'individuo, presenti in ognuno di noi indiverse gradazioni e dosaggi. Negli anni tuoiesisteva una contrapposizione fra liberalismo esocialismo, o comunismo, credo si chiamassero così,oggi tutto è superato nella nostra forma di governo.Ma nell'assoluto rispetto delle scelte di ogniindividuo""L'ho visto""Poi" riprese "sono state sconfitte alcunegrandissime vergogne che flagellavano l'umanità,

almeno nei territori della nostra res publica. Con glialtri abbiamo poche relazioni, né buone, né cattive,come ben sai. Ma nella nostra res publica la fame èstata sconfitta, e così la malattia, e tutte leforme di degrado. Questo avviene e potraiconstatare, viaggiando nella regione europea, maanche in quella africana, in quella sudamericana oin quella siberiana. È la regola, e non riuscirai atrovare eccezioni. Anche la criminalità, lamalvivenza sono state ridotte se non annullate, egli unici, rarissimi casi di violenza sonoimputabili a cause contingenti personali, mai amotivazioni sociali. E il sistema correttivo haraggiunto anch'esso un grado di elevatissimaperfezione"Correttivo, rifletté Giulio, non punitivo."Per quanto ho potuto vedere sinora è sicuramentecome dici, e non ho motivo di dubitare delle tueparole""E fai bene, perché è proprio così. Non avrei motivoalcuno per raffigurarti una realtà differente""Però..."Il princeps lo guardò con un sorriso ironico."Sei intelligente, hai capito subito che esiste unperò""Le tue parole lo lasciano intendere, princeps.Diversamente non avresti fatto questa premessa, chesarebbe stata solamente autocelebrativa. In ognimodo il tuo tono non era assolutamenteautocelebrativo, anzi. E poi farebbe offesa alla tuaintelligenza. E credimi, queste non sono parole dipiaggeria"

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"Lo so. Non è soltanto la tua intelligenza avietarti di compiacermi, ma anche la distanza dicinque secoli che c'è fra me e te. Tanti metri sonocambiati" Giulio con il silenzio, che si era fatto quanto mairiflessivo, ascoltava e confermava le parole delprinceps."Mi hai detto però" riprese "e hai ragione. Nelnostro mondo manca una cosa davvero importante, lafelicità. Nessuno è veramente felice in questoimperium. Siamo tutti immersi in un senso di gratodovere verso il mondo che ci ha generato e che cisostiene. E nessuno ha sinora saputo spiegare ilperché. E dire che la sposa di Eleuterio si chiamavaEudaimonia16… forse il suo matrimonio non è statofecondo"Dunque il principe era arrivato al punto focale.Restava da chiarire, per Giulio, il nesso con lapremessa della conversazione."Ti chiederai" riprese ancora, dopo una breve pausa,e interrompendo la riflessione di Giulio, ma ancheincominciando a fare luce sui dubbi che la stessasollevava "ti chiederai, o ti sarai chiesto, ilmotivo del mio interesse per te e per la tuavicenda. Per tutti è legato al mio desiderio diconoscere di più il passato e il mondo di cinquesecoli fa. In realtà, ti confesso, me ne interessasolo una parte, come capo di questo imperium. Comepersona, come studioso certamente sì; ma come princepsquello che cerco da te è ben altro"

16 felicità in greco

Giulio lo ascoltava interessato. Non riusciva ancoraa comprendere la piega che il discorso stavaprendendo, ma non perdeva una parola del discorsodel princeps, né di preciso comprendeva la storiadella felicità, o il rapporto con la sua persona.Erano loro due, soli, lui e chi gestiva le sorti delmondo, almeno del mondo conosciuto. Esistevano altriimperi, ma ognuno viveva per conto suo, senzarapporti di alcun genere, buoni o cattivi, da almenotre secoli.E il capo assoluto di questo impero era lì, con lui,e sembrava essere sul punto di fargli una grandeconfessione.“Devi sapere, proprio per quello che dicevamo, peril gioco sasso carta forbice, che Eleuterio, nellasua grande saggezza” proseguì il princeps dopo unabreve pausa “ha posto accanto alla figura di coluiche regge le sorti dell’impero un consigliere,l’advocatus imperii, che non gli è inferiore nésuperiore, o meglio è entrambe le cose. È un monitoe una garanzia. La saggezza del princeps vienenotevolmente rafforzata dai consigli di quest’uomo.Se il princeps dovesse mai perdere il senno, o caderein tentazioni dispotiche, questi ha il potere disollevarlo dal trono. Le stesse deliberazioni delprinceps sono controfirmate da lui”Giulio, abituato a imparare ogni giorno qualcosa dipiù sulle forme istituzionali del nuovo mondo,ascoltava, comprendendo sempre meno il fine deldiscorso.“Non sto a dirti quelle che sono le modalità dielezione dell’advocatus. Né quelle di rimozione, nel

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momento in cui fosse lui a dare segni di squilibrio,su quelle che sono le corti dei giudicanti, il ruolodel senatus, quello dei consules e quello dei quaestores,i pesi e i contrappesi e i sistemi per garantire lariduzione al primo livello quiritico di chi nondovesse accettare il sistema. Sappi in ogni modo chealla base di tutto c’è una grande condivisione divalori da parte di tutti, cives o quirites che siano:tutto ciò che si frappone a questi valori èrigettato come un corpo estraneo” “Ma…”“Ma che c’entra questo con la felicità che nonabbiamo?” lo prevenne Gordiano “pazienta ancoraqualche istante. Forse, terminato il mio racconto,capirai qualcosa in più. Allora Eleuterio, mentredettava le norme per i successori, scelse eglistesso il suo advocatus, che avrebbe trasmesso al suosuccessore un insieme di conoscenze, e questesarebbero dovute rimanere un segreto dominioassoluto ed esclusivo di queste due cariche. Ora hodeciso di rendertene partecipe”Giulio rimase a bocca aperta.“Perché?” chiese con un candore quasi infantile.“Pazienta qualche minuto, ti ho detto, e lo saprai.Stavamo dicendo, all’inizio di questa nostraconversazione, che Eleuterio era impegnato nellostudio delle quinte leggi, quelle metafisiche. E tistavo dicendo che il nostro impero ha realizzatotanti sogni, ha realizzato la giustizia, ma non harealizzato la felicità. La gente non è felice.Eleuterio, nel trasmettere all’advocatus il messaggioda passare ai successori, disse questo: abbiamo

raggiunto equilibrio e stabilità, benessere pertutti. La tecnologia è diventata serva dell’uomo enon viceversa, e questo è un bene. Tutto questo loabbiamo raggiunto perché le nostre leggi sonocoerenti con le norme logiche, con quelle etiche,con quelle estetiche e con quelle fisiche. Ma ancoranulla sappiamo delle norme metafisiche. E questa èla ragione per la quale il nostro popolo è destinatoa non essere felice.Però, aggiunse, vi lascio questa profezia: per seiprincipati il nostro popolo sarà destinato arimanere fermo in questa sorta di palude dorata, dibenessere senza felicità, perché nessuno scioglieràquesto nodo; ma durante il settimo principato ilfuturo arriverà dal passato, e con questo ritorneràla felicità. E, pronunciate queste parole, chiusegli occhi per sempre.Queste sue ultime parole sono tramandate al nuovoprinceps ad ogni elezione dall’advocatus imperii. E iosono il settimo princeps, il mio è il settimoprincipato. Tu sei il futuro che viene dal passato,tu ci porterai il segreto delle leggi metafisiche,tu porterai la felicità al nostro popolo” esclamò, epronunciò queste ultime parole in una sorta dirapito stato di ipnosi.Giulio ne rimase atterrito.“Io?” tentennò. E non seppe andare oltre ilmonosillabo.“Sì” rispose Gordiano con decisione.Giulio sudava. Riprese, come meglio poteva, un po’d’animo. Poi, passato qualche istante di scoramento,sussurrò.

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“Princeps, non mi sento molto bene. Vorrei riposare.Ti chiedo il permesso di ritirarmi”“Vai pure. Un lungo lavoro ci attende. Ti chiedosoltanto questo. Nessuna delle parole che sonointercorse fra di noi deve sfuggirti con altrepersone. Per tutti l’unico motivo dei nostridialoghi è stato, è e sarà soltanto il mio amore perla storia”.

Capitolo XIVGiulio riflette

Il turbamento di Giulio era enorme. Si trovava inuna situazione incredibile. Il princeps gli avevadetto, in poche parole, che lui, Giulio, era unasorta di messia, l’uomo che avrebbe cambiato lesorti dell’impero, che avrebbe risolto le leggimetafisiche, che avrebbe donato la felicità al suopopolo.Lui, nato più di cinquecento anni prima, era oggettodi una profezia di un uomo vissutocontemporaneamente tre secoli dopo e due secoliprima di lui. Assurdo.Solamente assurdo, continuava a ripetersi. In quelbreve e lunghissimo sonno non solo si eranoconsumate vite umane, dolori, speranze, illusioni,

l’umanità aveva ridisegnato i suoi limiti e il suogoverno, cancellati i confini, ma si erano ancheposte le premesse per un suo ruolo nel futuro, cheera poi il presente. Che mal di testa.Che fare? Confessare al princeps tutte le sueperplessità, o meglio, certezze? Dirgli che no, nonera così, non era lui il futuro che veniva dalpassato? Che era solo un equivoco, una combinazioneletta male?Avesse avuto un’altra indole forse avrebbe saputoapprofittare della situazione. Ma lui no. Si apriva davanti a lui un ventaglio di possibilità.Oppure, forse, si trattava soltanto della turbolenzache si era impadronita della sua mente. Capiva comedoveva sentirsi ogni persona dotata di senso diresponsabilità, e non di semplice opportunismo, nelmomento in cui si accingeva ad assumere incarichiimportanti. Pensava, nei suoi giorni di cinquesecoli addietro, ai neo-eletti pontefici, oppure aipresidenti degli Stati Uniti… quale senso di immanevoragine, o di profonda vertigine, o di assurdasolitudine doveva assalirli una volta insediati nelloro ruolo…La cosa migliore sarebbe stata andarsene. SalutareGordiano e dirgli: ci ho riflettuto, ti seisbagliato, non sono io la persona che staiaspettando… è stato un piacere, ora devo tornare aoccuparmi delle mie cose. Quali cose? Un unicopensiero, sicuramente, Clara, in questo mondo chenon gli apparteneva, che gli sembrava lontano anniluce. Che pazzia, che scelta innaturale la suaquella di farsi scaraventare in avanti di cinque

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secoli… non aveva allungato la sua vita di unsecondo, l’aveva soltanto spostata. Aveva messo aserio rischio, forse irreparabile, la vita di Clara.Follia!, continuava a ripetersi.Clara. Doveva vederla. Ormai era passato qualchegiorno. In ogni modo avrebbe dovuto raggiungerla.Questa sarebbe stata, senza alcun dubbio, la primarichiesta a Gordiano. Per il resto sarebbe andatacome sarebbe andata.Dormì pesantemente. Forse la stanchezza. Non riuscìneppure a sognare, o almeno così gli sembrò. Almattino si svegliò stranamente sereno, consideratoil pensiero per ciò che lo attendeva. Ma due pensieri lo guidavano: il primo era chesentiva come una calamita il richiamo di Clara, equesto faceva passare tutto il resto in secondopiano; il secondo era che in una maniera onell’altra ce l’avrebbe fatta, e quindi sipredisponeva con curiosità verso il suo destino. Infin dei conti, pensò, sarebbe stato molto peggio iltrovarsi in un futuro che lo trattava come unoschiavo, piuttosto che come primo consiglieredell’imperatore. Il salto nel buio lo aveva vistocadere in piedi. E non si sarebbe sottratto alleresponsabilità.Vedeva con chiarezza quello che avrebbe detto alprinceps.Di buonora si recò al suo cospetto. Appena giunto,Gordiano allontanò sbrigativamente i consiglieri cheaveva attorno a sé e lo accolse. “Buona giornata a te” gli disse.“Ave et vale, princeps” gli rispose Giulio.

“Hai riflettuto sulla nostra conversazione di ieri?”“Certamente, e sono qui per questo motivo. Vorreidarti i miei responsi”“Ti ascolto”“Ebbene, io credo di non essere la persona che tupensi, il futuro che viene dal passato. Nondimenonon voglio sottrarmi alla tua volontà, né fuggire lemie responsabilità. Ho pensato che forse c’èqualcosa in me che ancora ignoro, o forse ho unmessaggio che proviene dal passato, che per me èscontato, ma che è stato smarrito in questi secoli.Per questo non sarò certamente io a sottrarmi allatua richiesta, a maggior ragione per il fatto chenon sono un ingrato, e che l’amicizia di cui mi haifatto dono, tu, sovrano di questo grande impero, perme che sono appena giunto qui, non da un luogo, mada un tempo lontano, è per me un dono inestimabile.Pertanto mi rimetto alla tua completa disposizione,perché tu possa mostrarmi come posso essere a teutile. In secondo luogo ti chiedo, prima di iniziare questamia attività, di vedere la mia amatissima Clara, chegiace inferma nel centro di cura, e che non so se sisia svegliata oppure ancora sia distesa in questolungo letargo, nè so se mai si risveglierà”“Caro amico” gli sorrise Gordiano, appoggiandogli lemani sulle spalle “Come prima cosa ti ringrazio perla tua disponibilità e per le tue parole. Sono segnodi quella grande saggezza che avevo intravisto in tesin dal nostro primo scambio di sguardi. Per quanto riguarda la strada da mostrarti io non laconosco: credo piuttosto che la scopriremo insieme.

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Non temere se ancora tu non hai la totaleconsapevolezza di quello che sei, nessuno di noi hacoscienza del destino: l’essere si compie neldivenire.Ma ora, per dare una risposta immediata al tuodesiderio più importante, vai e ritrovare Clara.Poi, quando sarai pronto, mi raggiungerai qui adArelate”

Giulio si congedò dal princeps. Si sentiva piùsollevato. E anche se continuava a non vedersi neipanni di un messia, la saggezza delle parole diGordiano gli era stata di grande conforto.All’uscita della reggia trovò quella persona cheaveva già visto, quell’uomo fuori dal tempo, che loaveva spiato, nascosto dietro un muro, qualchegiorno addietro a Corduba.Vedendolo solo l’uomo gli si avvicinò. Era vestitomiseramente, cosa questa strana in un mondo in cuiognuno aveva un abito dignitoso, con differenze perla classe di appartenenza. L’uomo gli si accostò emormorò queste parole:“Regnum meum non de hoc mundo est17”Poi si allontanò, così come era arrivato,silenziosamente.

Chi era? Che voleva? Perché gli citava il Vangelo diGiovanni? La persona gli aveva creato un certoturbamento.

17 Il mio regno non è di questo mondo

Fu così che salì sul pipiqu. Gli avevano dato i suoiocchiali, le istruzioni su come usarli, e un creditopraticamente illimitato, diversi gigawatt al mese diutilizzo, molto più di quanto gli sarebbe servito.Ma questa era stata una disposizione di Gordiano. Arrivò con un’ansia antipatica, una sorta dipresentimento scuro, al centro dove ancora dormivaClara.Ma cercò di cacciare i cattivi pensieri. Clara eraal sicuro.Entrò nel centro. Salì al piano dove aveva trascorsoi giorni della quarantena, si diresse alla camerache conosceva bene. Qui però trovò una bruttasorpresa, che sembrava essere una risposta ai suoicattivi presagi. Il letto di Clara era vuoto, nonsolo, era rifatto.

“Dov’è? Dove l’avete portata?” chiese a Leucadia cheera entrata in quel momento nella stanza.La ragazza mostrò un’espressione interrogativa. “Come? Abbiamo seguito le tue istruzioni. Seguimi”Il cuore batteva forte.Seguì Leucadia per i corridoi, poi la giovane,entrata con lui in un ufficio, aveva aperto uncassetto ed estratto un documento.“Vedi?” gli disse, mostrandoglielo “è il tuo ordine,con tanto di tua firma digitale e codice unicoCUDNA, di consegnare Clara ai sanitari chel’avrebbero condotta a te”Giulio raccolse il dispaccio e lesse ad alta voce.“Impegni su richiesta del princeps Gordiano mitrattengono ad Arelate. Vi prego di consegnare Clara

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ai latori di questo dispaccio, incaricati dicondurla a me, così potrò vederla quotidianamentesenza tralasciare i miei doveri. Vi ringrazio pertutta l’attenzione che avete riservato a lei e a me.Giulio”Con sguardo smarrito lasciò cadere il foglio.“È falso! Non ho mai impartito un ordine simile!”“Sono desolata… però il documento sembravaautentico…” si giustificò Leucadia.Giulio aveva preso la testa fra le mani. “Non può essere… non può essere… che è accaduto?Perché?”Poi, a poco a poco, nella sua mente la disperazionefece spazio alla ragione, che lo avrebbe fattoricadere, subito dopo, in una disperazione ancorapiù cupa: Clara era stata rapita.

Capitolo XVRapita.

Rapita. Perché?Che cosa occorreva fare?Sicuramente c’era una motivazione. Ma qual era? Nonpoteva dare una risposta a questa domanda ora, maera indispensabile attendere un passo, quale chefosse, da parte dei rapitori. Che non avrebberotardato a farsi sentire.

Probabilmente era meglio tornare ad Arelate. Neavrebbe parlato con Gordiano. Sicuramente conl’aiuto del princeps si sarebbe arrivati in frettaalla soluzione del mistero.Sceso in strada, chiamò il suo pipiqu. Proprio inquel momento si girò e si scontrò con un uomo, chegli sorrise amabilmente. Questi gli lisciò latunica, poi, scusandosi, si allontanò. Giulio non aveva ancora finito di riprendersi quandosi accorse che l’uomo aveva lasciato un messaggio suun foglietto e glielo aveva attaccato alla tunica,probabilmente mentre gli lisciava il vestito.Lo afferrò, con le mani che tremavano. Lesse.“Clara sta bene. Tu attendi, soprattutto non farneparola con nessuno, tantomeno con Gordiano”Ecco, si erano fatti sentire. L’uomo si era giàdileguato, chissà dove era in questo momento,impossibile rintracciarlo.Ora la strategia doveva cambiare. Non potevaavvertire Gordiano, che fare? Incominciò a passeggiare solitario, dopo avermangiato qualcosa. Un uomo camminava davanti a lui.Improvvisamente lo vide appallottolare un foglio dicarta è scagliarselo alle spalle.Era un’azione strana, nel mondo pulitissimo e civilein cui viveva. D’istinto raccolse il foglioaccartocciato e fece il gesto di riportarglielo; maquello se n’era già andato.Inconsapevolmente svolse la palla di carta.Conteneva un messaggio.

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‘Recati alle ore 21 al locale che si trova nellimite nord della città. Di lì prosegui per lapasseggiata verde per circa trecento passi. Citroverai, siamo in due. Non usare pipiqu, camminasenza lasciare tracce. Non parlarne con nessuno, e aClara non succederà nulla. Distruggi questo foglio,dopo averne letto il contenuto’.Così si erano fatti vivi. E in maniera nonconvenzionale, non potevano lasciare tracce.Utilizzando un mezzo desueto come la carta. Chissàdove se l’erano procurata. Comunque un segnalel’avevano inviato.Passeggiò nervosamente per tutto il tempo che loseparava dal rendez vous. Erano le 17, e si mosseverso il locale del nord. Tanto valeva passeggiare,non aveva fame, né voglia di altro se non conoscere,vedere in faccia i rapitori di Clara e capire checosa stava succedendo.

I pensieri tamburellavano forse più il suo cuore chela sua mente, emozioni incontrollabili, e cercava didistrarsi con quanto incontrava strada facendo, unalbero, un uccello, una nuvola. Fu proprio dietro unalbero che vide l’uomo nella tonaca nera e lisavenirgli incontro, e sussurrargli ancora una volta“Regnum meum non de hoc mundo est”, per poi sparirerapidamente, così come repentinamente era apparsosul suo cammino. Come sempre. Quegli occhiettipenetranti. Erano motivo di turbamento. Un altromistero, in questo mondo che forse era meno linearedi quanto non avesse supposto.

Questa apparizione inquietante ebbe almeno unmerito, e fu quello di distrarlo dai ben piùinquietanti pensieri che gli attanagliavano il cuoree la mente.Anche di questo strano uomo avrebbe primo o poidipanato il mistero, e il significato delle suesubitanee e fugaci apparizioni. Aveva forse qualche connessione con Clara e i suoirapitori? Era stato mandato lì da loro, a Cordubacosì come ad Arelate e ora a Mediolanum, per poterneverificare gli spostamenti? E qualcuno potevagarantirlo sul fatto che già non fosse controllatonei suoi spostamenti? E se fosse stato lo stessoGordiano a creare ad arte sulla sua strada alcunimisteri, dalla sparizione di Clara, ai rapitori coni loro messaggi, al vecchio con gli occhi penetrantie la veste lisa?Plausibile.Gordiano, in fin dei conti, disponeva di un potereabnorme. È vero che era condizionato da questosistema sasso carta forbice, ma è altrettanto veroche il vero potere, pulito dal denaro, stava lì,nella reggia-capanna di Arelate.Ma Gordiano si era dichiarato suo amico, potevametterlo così alla prova? Verificare se potevafidarsi di lui? E perché mai non avrebbe dovutofidarsi di lui, che, in fin dei conti, non conoscevanulla né alcun essere umano, se non in manierasuperficiale, e da pochissimi giorni, da meno di unmese…Però neanche Gordiano conosceva lui, né sapeva sepoteva fidarsi. Il dubbio era lecito, in questo

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novello Alcinoo che aveva accolto Odisseo,abbandonato sulla spiaggia di un ospedale diMediolanum, avendo saputo di lui, delle sue gesta,della sua peregrinazione non di venti anni, ma dicinque secoli.Ma Alcinoo-Gordiano - di questo Odisseo-Giulio eraconvinto - si fidava di lui. E gli aveva messo adisposizione una nave per raggiungere Penelope-Clara. Sennonché era sopraggiunto questo problema,quest’ultima tempesta.Problema, tempesta, rise fra sé, anche se era unriso agrodolce. Come poteva ridurre a termini cosìrazionali, a immagini metaforiche, il drammaroboante che stava consumandosi in lui? E il vecchio dall’abito liso? Che c’entrava?Forse avrebbe potuto parlarne con i suoi amici, conPertinace e con Decio.Ma il loro allontanamento della reggia da parte diGordiano, al momento dell’udienza, aveva creato unostacco notevole. Così come le parole conseguenti diGordiano. Ubi maior, minor cessat18, ripeté la fraseclassica, meravigliandosi di riascoltarla comepronunciata nella lingua corrente.Forse dell’uomo dall’abito liso avrebbe parlato conGordiano, durante il prossimo incontro. Su questonon c’erano divieti espliciti di sorta. Forse nonfaceva parte dell’intrigo, era neutro, rispetto allatragedia che stava vivendo.

18 dov’è il più grande, il più piccolo soccombe

Fra questi pensieri si avvicinò al locale, dove,soltanto per ingannare il tempo (mancava ancoraoltre mezz’ora), prese un po’ di cibo, che pizzicòlentamente, cercando un sollievo ai suoi piaceri neigusti strani ma gradevolissimi del ventiseiesimosecolo.

Capitolo XVIL’incontro

Visto che ormai mancava poco tempo all’appuntamento,si incamminò, con il cielo che cominciava aimbrunire.Poco dopo avvertì un leggero tocco sulle spalle.“Sei puntuale”“Dov’è Clara?” sbottò, senza salutare né replicare.“Calma, stai tranquillo, Clara sta bene là dov’è.C’è molto di cui parlare prima di affrontarel’argomento Clara”“Siete dei…” e mentre lo diceva la frase gli morìsulle labbra.“Siamo degli amici, se è questo che stavi per dire.Viceversa il dialogo fra noi partirebbe col piedesbagliato. Non è così?”Giulio capì che la strada migliore era proprioquella di mantenere la calma.

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“D’accordo. Mostratemela almeno attraverso gliocchiali”Il suo interlocutore si scambiò un’occhiata conl’altro, e quello annuì gravemente.“Si può fare. Tieni” e gli allungò i suoi occhiali,dopo averli sintonizzati su Clara.Giulio osservò. Era lei. Sembrava respirassetranquillamente. Con un gesto delle mani strinse ilcampo sul volto, e n’ebbe una sensazione digrandissima dolcezza. Sembrava serena.“Va meglio?” gli chiese l’uomo, con fare amichevole“come vedi non sta male. Anzi, credo stia moltomeglio, rispetto all’ultima volta in cui l’hai vistadi persona. Non vogliamo farle del male, non neavremmo alcun interesse. Il suo destino dipende date”Giulio sentì il sangue salirgli alle tempie, ma sitrattenne. Ebbe la percezione di essere finito in ungioco più grande di lui, e la cosa non gli piacevaaffatto. Ma seppe controllarsi nuovamente, cercandodi fare buon viso a cattivo gioco. “Non mi avete neppure detto chi siete”“Hai ragione, siamo stati scortesi a nonpresentarci. Ma devi sapere che è un discorso moltocomplicato, e non ci è possibile darti troppeinformazioni su di noi. Possiamo però dirti i nostrinomi, che sono Gotfriedus e Gonzalus”“Nomi stranieri”“Vero. Non siamo cittadini dell’impero, né cives néquirites. Ma riusciamo a muoverci ugualmente senzadifficoltà”“Da dove venite?”

“Dall’Oltrecanali. Precisamente dalla regionemeridionale, dal glorioso Messico”“Il Messico? Lo ricordo bene nei miei anni”“Allora ti ricorderai della sua capitale,Teotihuacan, dove si decidevano le sorti del mondo”“No, non era così. Le sorti del mondo, nei mieianni, si decidevano a Washington, negli Stati Unitid’America”“Ti sbagli” replicò stizzito Gotfriedus “Washingtonnon è mai stata la capitale degli Stati Unitid’America. Questa è sempre stata Teotihuacan, che,dopo un paio di secoli di dominazione spagnola,riprese il potere, si sollevò e, all’inizio del1800, pose le basi del grande impero degli StatiUniti d’America, che dominarono il mondo per itrecento anni successivi, potenza incontrastata”Giulio non sapeva se controbattere, andando inquesto modo a compromettere il dialogo, oppuretacere. Alla fine ebbe l’illuminazione diassecondarli, facendo leva sulla sua curiosità diconoscere la storia così com’era stata narrata.“Che accadde all’impero nordamericano dopo che iofui ibernato?” chiese “non tutti studiano la storia,in questo impero, e finora ho avuto informazionimolto frammentarie” “Gli imperialisti europei lo ridussero allamiseria”riprese questa volta Gonzalus “così comecinquecento anni prima avevano distrutto con le armilo splendido impero di Montezuma. Ma questa voltanon col ferro e col fuoco, bensì con le armi ferocidella finanza strangolarono il nostro meravigliosoimpero, facendolo scivolare in un nuovo Medioevo”

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Il racconto di Gonzalus non era assolutamentecoerente né con quello di Gordiano, né tanto menocon quelle che erano le premesse che aveva lasciatosulla terra al momento della ibernazione. Eradifficile, impossibile, pensare che negli annisuccessivi al 2010 un’Europa arraffona eimperialista avesse strangolato un’America debole eremissiva.Era plausibile invece che il crollo americano fossestato decretato non da ferro e fuoco, per usare leparole di Gonzalus, ma per un tracollo finanziario.E in questo caso c’era un’assoluta coerenza fra idue racconti, e pure con le premesse che avevapotuto constatare di persona nella sua vita antica.Ma l’interesse per le vicende storiche, e su come unpopolo racconti la mitologia di una sconfittadiversamente da come un altro ne narri l’epopeadella vittoria, anche se avevano avuto il merito diallontanare per un po’ il pensiero dal reale motivodella sua presenza lì, e dei suoi interlocutori, nongli impedì di ritornare subito al pensierooriginario.“Che cosa volete?”I due si volsero uno sguardo ammiccante. Poi, dopoun cenno d’assenso, Gonzalus cominciò.“Sappiamo del perché Gordiano ti ha voluto amico.Sappiamo della profezia di Eleuterio, del futuro cheveniva dal passato, del settimo principato. Tuttoquesto ci è ben noto, e aspettiamo con ansia questomomento, che anche noi ci tramandiamo di generazionein generazione. Il nostro sistema di spionaggio,benché viviamo in grande povertà, è assai efficiente

e non è ignorante come tecnologia. Per questoabbiamo tenuto stretti contatti con l’operazione deltuo risveglio, e abbiamo rallentato ad arte ilrisveglio di Clara, somministrandole i farmaciadatti”Qui Giulio faticò non poco a trattenere un moto diviolenza. Però capì che non gli avrebbe giovato, néa lui, né a Clara.“Sappiamo anche che ci stai odiando, per quanto tistiamo rivelando: ma la nostra missione è troppoimportante per perdersi dietro quisquiglie di talefatta. Ora ascoltaci bene.Andrai da Gordiano e gli dirai quanto segue.Princeps, tu mi hai chiesto la strada per la felicitàdel tuo popolo. E io te la indicherò, dopo avermeditato sulla tua richiesta. Dovrai compiere questeoperazioni, anche se ti sembreranno strane. Comeprima cosa dovrai proporre ai popolidell’Oltrecanali di unirsi all’impero. L’imperoraggiungerà così la sua massima espansione nellastoria, con le due Americhe, l’Africa, l’interaEuropa, comprese le isole britanniche, e l’Asiasettentrionale delle steppe e della taiga. Per realizzare questo assocerai al potere comeCaesar Montezuma terzo, sovrano dell’Oltrecanali.Poi come fece il grande Costantino sposterai la tuacapitale da Arelate a Teotihuacan, suggellando cosìla nuova dimensione e le nuove frontiere del mondo:ti basterà vedere la carta dell’impero per renderticonto della centralità della nuova capitale. Infineabolirai la norma che ha sempre negato la felicitàal tuo popolo, quella che tiene separata la

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ricchezza dal potere. Tutto il tuo popolo crede chequesta norma garantisca la serenità. Forse è vero,gli dirai, ma non permette la felicità, che puòessere raggiunta solo con l’uso congiunto di poteree denaro. Senza questo, gli esseri umani resterannoincompiuti nelle loro aspirazioni.Ecco quanto gli dirai”Giulio era rimasto sbalordito a sentire questarichiesta. Non azzardò neppure un abbozzo di un“ma”.“Quando sarai riuscito a ottenere quanto ti abbiamochiesto, allora avrai la tua Clara, ti garantiremola sua salute, e avrete una splendida villa sul maredel Messico, che è il più bello del mondo. Tiporteremo a vedere tutti i siti archeologiciabbandonati, i dinosauri di ferro e vetro di Niuòr eCichego, grandi città dell’impero che fu, chetestimoniano quale grandissima potenza avevamoraggiunto prima di essere strangolati per la secondavolta dagli europei. Ci rendiamo perfettamente contoche non puoi ottenere tutto in un giorno, ma dovraifarlo. Ti daremo tempo, ma sappi che controlliamotutte le tue mosse. Non azzardarti a parlare delnostro incontro con Gordiano, perché significherebbecondannare a morte Clara. Vale”Detto questo sparirono così come erano arrivati,avvolti nelle tenebre che ormai erano scese sullaterra.

Capitolo XVIIGiulio è lacerato dal dubbio

Quello che gli era stato chiesto era assurdo. Unamenzogna, un’ignobile menzogna. L’unione con gli Oltrecanali, poteva anche esserefatta, ma, sapeva, tutte le acquisizioni di nuoveprovince (mai sottomissioni ma sempre libereadesioni), erano state precedute da una fase dipreparazione piuttosto lunga. E i territori chesulla terra non facevano parte dell’impero non loerano perché grandi imperi a loro volta, contradizioni inconciliabili, oppure come nel casodella repubblica del Pacifico legata al mare e nonalla terra, quindi distante come tecnologia, o nelcaso degli Oltrecanali a causa della situazioneselvaggia, priva di civiltà e frammentaria. Losfacelo che vigeva in quei territori era grande,popoli allo stato tribale che si combattevano l’unl’altro alla ricerca di una vuota supremazia. Oraappariva questo sedicente Montezuma terzo,imperatore di uno stato che magari misurava pochedecine di chilometri quadrati, con la pretesa direstaurare antichi fasti… non era possibile. Che sierano messi in testa? Sostenevano quindi che questo capo tribale (nonriusciva a vederlo come capo di un impero, ma soloper quello che era, un capo tribù) era il lecitorappresentante di tutto l’enorme territoriodell’Oltrecanali, che la loro tecnologia e la loro

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civiltà erano pronte a passare con il grande imperodi Gordiano. Già questo rappresentava una fantasiaimpresentabile. Ma non finiva lì.Montezuma, come fosse un colto sovrano allevatonelle scuole di Arelate, di Corduba, di Dakar, diBologna, di Nairobi, di Manaus, di Murmansk, diVladivostok, le più grandi università e centri diconoscenza e di sapere del mondo, aveva la pretesadi essere associato come Caesar, in pratica comesuccessore di Gordiano alla guida dell’impero…E la capitale doveva essere trasferita in una cittàdi pastori, probabilmente piena di catapecchie.Sapeva, gli avevano riferito, che Teotihuacan era lacittà più importante dell’Oltrecanali, ma che questonon significava che fosse una città. Forse eral’unica in tutti quei territori barbari che sipoteva elevare a un rango appena superiore a quellodel sudicio villaggio. E ora aspirava a essere lacapitale del mondo? Assurdo, assurdo, assurdo…E poi, l’ultima pretesa. Quella di abbandonare lanorma più saggia che regge il nuovo ordine, laseparazione fra potere e denaro. Sostenevano chesoltanto riunendo potere e denaro l’uomo avrebbetrovato la felicità, quando sapeva benissimo qualisozzure questa frattura delle leggi di Eleuterioavrebbe portato con sé.

Gli tornarono in mente le parole dell’uomo dallaveste lisa “Regnum meum non de hoc mundo est”. Glisuonarono attuali, e desiderò di parlare conl’uomo.

Era sicuro che la mancanza di felicità risiedessealtrove, probabilmente nel quinto gruppo di leggi,quelle metafisiche, che ancora erano restateabbozzate al momento della morte di Eleuterio, poiperdute per sempre.Ma il problema restava enorme. Cinque lettere, C L AR A. Clara. Non avrebbe mai potuto abbandonarla.Si sentiva come Antigone, stretto fra la legge dellostato e le leggi naturali, in questo caso i legamidei sentimenti, l’amore per Clara.

Proprio mentre era assorto in questi pensieri gli siparò innanzi, come materializzandosi dal nulla,l’uomo vestito in lisi abiti neri.Lo fissò, pronunciando la nota frase.“Regnum meum non de hoc mundo est”“Che vuoi? Che vuoi da me? Che cerchi in me? Perchécontinui a ripetermi il Vangelo di Giovanni?”“Tu conosci il Vangelo di Giovanni?” chiese ilvecchio meravigliato.“Certamente lo conosco, come gli altri, come buonaparte delle scritture”Il vecchio rimase fermo, pensieroso. Non era facileincontrare una persona che li conoscesse, a meno chenon fosse uno studioso delle antiche credenze esuperstizioni. Materie legate alla cultura fine a sestessa, alla speculazione filosofica o storica,nulla più.Poi riprese“Allora nei tuoi anni ancora si leggevano lescritture?” gli chiese.“Certo” rispose Giulio “Ora no?”

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“Ora sono un retaggio del passato. Qualcosa che èoggetto di curiosità e di studio per qualchestudioso, materia antica, come la ricerca deifossili o l’archeologia. Destinata a pochissimiricercatori di studi superiori”“E tu come fai a conoscere il Vangelo di Giovanni?Sei forse un ricercatore degli studi superiori?”“Io sono l’ultimo prete cristiano restatonell’impero. Quando sarò morto non ve ne sarannopiù. Davanti a te hai l’intero clero presente nellanostra gloriosa res publica” ammise, con una punta diamarezza.Anche Giulio condivise l’amarezza.“E negli altri stati?”“Chi lo sa? Nell’impero persiano, in quello indianoe in quello cinese sono altre le religioni, e aicristiani fu dato solo il tempo per mettersi insalvo in occidente. Ma per gli altri imperi ti stoparlando degli anni precedenti l’avvento diEleuterio, quando l’occidente era ancora diviso.Dopo, qui, quelli che non accettavano andavanoincontro a un destino tremendo. Ci sono racconti chesi sono tramandati negli anni. Per la repubblica del Pacifico non so dirti, forsequalcuno è rimasto, così come nell’Oltrecanali; malì, fra i selvaggi, hanno finito per darsi per lopiù all’adorazione di Doh Lhar, una divinità chedicevano garantiva il successo e il potere. È forserimasto l’unico legame esistente fra le varie tribùche spaziano nei territori che sono separati da noidai tre famosi canali.

In nome di Doh Lhar si trovano una volta all’annofra le rovine di una vecchia città, dove pareesistessero edifici alti centinaia di metri, itempli consacrati a Doh Lhar. Templi costruiti conacciaio e cristallo, che testimoniano una conoscenzanon comune che avevano gli antenati di questiselvaggi. Ma allora si cercava la strada del cielo,si pensava che Doh Lhar aiutasse a risolvere ognisorta di problema e riuscisse a sollevare fino alsole. Poveri illusi! Sono sprofondati nella piùinfame delle miserie”“Mentre qui da noi…” lo interruppe Giulio.“Qui da noi apparentemente va bene tutto, e si sonorisolti gli eterni problemi dell’uomo. Però poi ilprinceps ti manda a chiamare perché non ha risolto ilpiù grande problema del suo popolo, la ricerca dellafelicità”“Anche tu conosci!”“Certamente. Questa conoscenza mi è stata tramandatadai miei predecessori, dal vescovo che mi haordinato sacerdote”“Quindi non ci sono vescovi, e non c’è neppure ilpapa?” gli chiese stupito.“Ti ho già detto che io sono quello che resta ditutto il clero. L’ultimo vescovo morì due anni dopoavermi ordinato sacerdote, senza aver nemmeno iltempo di conferirmi i poteri episcopali, per poter amia volta ordinare nuovi sacerdoti. Ma tant’è.Nessuno oggi potrebbe accettare il sacerdote. Inquanto ai papi, questa istituzione scomparve intornoal 2050, quando le chiese cristiane si riunirono,mettendo fine ad anni di scismi e di eresie. Il

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papato fu sostituito dal collegio dei dodicipatriarchi, che governavano le dodici parti dellaterra: tre a settentrione, tre a mezzogiorno, tre aoriente e tre a occidente.Ma la tremenda crisi che, dicono, colpì la terra nelventiduesimo secolo pose la fine a questa illusionedi pace ritrovata. Dopo un periodo in cui la gentecercava nella fede un rifugio ai terribili tempi cheil mondo stava vivendo, ricomparvero vari falsiprofeti, finché arrivò lui, Eleuterio, a portareordine. Ma non essere certo che sia stata una cosabuona per gli esseri umani”.“Perché? Nel regno tutto sembra funzionare allaperfezione, o quasi”.Giulio, attirato dal racconto del prete, aveva quasidimenticato Clara, Gonzalus, Gotfriedus, Montezumaterzo, il bieco ricatto e Gordiano.“Il mio regno non è di questo mondo” ripeté ancorauna volta il prete.“Come ti chiami?”“Simone” rispose il prete “ancora una volta siripete la nemesi storica dei nomi, per cui l’ultimoporta il nome dell’iniziatore. Accadde all’imperoincominciato con Romolo e poi con Augustonell’antica Roma, poi a Costantino per Bisanzio, aGuglielmo in Inghilterra, a Umberto per casa Savoia,e potrei continuare ancora. Simone fu il primo, e io, Simone, sono l’ultimo. Mala mia fede nell’Onnipotente mi fa sperare nellanuova strada che Egli mostrerà all’uomo, dopo che ionon ci sarò più. Forse sei stato mandato per questomotivo, da passato ai nostri giorni”

Santo cielo, pensò, un’altra aspettativa messianica.Ci mancava questa.“Ma tu ora devi risolvere un problema più grande.Anzi, un problema che in questo momento a te sembragrandissimo. Vedrai, lo risolverai”“Che ne sai del mio grande problema?”“Hanno rapito Clara, e la riavrai solo se tipiegherai alle loro richieste, non è vero?”“Come fai a saperlo?”“Lo so, e tanto ti basti”“Sei… sei forse in combutta con loro?” e mentre lodiceva sentiva le gote arroventarsi.“Non scaldarti. Se fossi in combutta con lorocertamente non verrei a dirtelo. Sono scaltri comeserpenti. Dovrai agire con grande circospezione. Maalla fine, con il tuo coraggio e la tuadeterminazione, e soprattutto con la tua fede,riuscirai a liberarla, senza piegarti ai ricatti”“Dimmi quello che sai” gli gridò, afferrandolo perla tonaca lisa.“Non ti scaldare, ti ho detto. Tu hai bisogno di unabenedizione. Io non so nulla, se lo sapessi te lodirei. Ma non so nulla. In questo momento haibisogno di una benedizione. Vieni là con me, seguimiin quella vecchia casa, che funge da chiesa”

Una benedizione… proprio una benedizione… avevanecessità di sapere quello che doveva fare, noncerto di una benedizione…Di malavoglia assecondò Simone ed entrò nellacasupola.

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Simone si tirò la porta dietro, quasi con violenza.Poi si assicurò che le finestre fossero ben chiuse.Dopo un ennesimo controllo, proferì le seguentiparole.“Tu sei spiato. Ti hanno impiantato untrasmettitore. Qui possiamo parlare, è un edificioschermato nel quale non possono entrare. Negli annidelle persecuzioni i nostri avi ne hanno costruitidiversi, era l’unico modo per sopravvivere aicondizionamenti e ai controlli. Potevamo mostrarciligi al potere, buoni cittadini, e continuare quil’esercizio delle nostre funzioni liturgiche. Io posso aiutarti. Devi fidarti di me”“Chi mi garantisce che posso fidarmi di te?”“Sono l’unico di cui tu ti possa fidare”“Anche di Gordiano”“Verrà il momento anche di Gordiano. Non ora. Devonoancora succedere alcune cose”“Potrei portare Gordiano qui e raccontargli tutto.Qui siamo schermati. Potremmo elaborare unastrategia qui, al riparo dal loro controllo”“Non lo farai, e per tre precisi motivi. Il primo èche riveleresti all’impero quello che è stato peranni uno strumento di protezione contro le sueangherie. Il secondo è che Gordiano, venuto aconoscenza di questo, potrebbe essere preso dallafacile tentazione di utilizzare il suo potere dandocorso a una guerra, la prima dopo due secoli dipace, e che questa guerra potrebbe avere come primavittima proprio Clara, che tu desideri salvare. Ilterzo motivo è che il disegno è un altro, e lestrade non sono sempre rette, ma tortuose, anche se

ciò non ci sembra sempre giusto, se l’impulso ciporterebbe ad altre soluzioni. Ma il cammino che tiè stato destinato è bello e impegnativo, e dovraipercorrerlo tutto. E questo cammino ti porterà aricongiungerti con Clara, senza tradire Gordiano, erisolvendo a Gordiano il problema della felicità delsuo popolo.Non mi è possibile per il momento rivelarti di più.Abbi fede nelle mie parole. Ora chinati a riceverela mia benedizione”Giulio si chinò passivamente, e mentre riceveva ilsegno da Simone i suoi pensieri correvano in milledirezioni, in quel dedalo di idee che siaggrovigliava sempre di più, fra la struttura delnuovo mondo, il princeps, Clara, gli scheranidell’Oltrecanali ed ora pure Simone, il preterimasto solo sulla terra.

Capitolo XVIIIPrendere tempo

Occorreva prendere tempo. Al di là del panico che loaveva preso subito dopo l’incontro con i due figuridell’Oltrecanali, dell’impotenza, della rabbia,della serie infinita di emozioni, del turbinio didifferenti sensazioni, occorreva prendere tempo.

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Ne aveva la consapevolezza assoluta, ora più chemai. Lui, solo, in questo mondo sconosciuto.Non completamente solo, si poteva obiettare:Gordiano, Decio, Pertinace… ma era come se lo fosse.Con nessuno di questi poteva confidarsi, pena lafine. C’era Simone, il vecchio prete: apparsoall’improvviso. Anzi, svelatosi all’improvviso, comeun euripideo deus ex machina. Prometteva che lo avrebbeaiutato. Ma prometteva anche un percorso tortuoso. Un prete cristiano (non cattolico, notò, ora nonc’era più divisione fra i cristiani, era l’ultimo,l’uno, quello che riassumeva in sé tutto…). Giulioprima dell’ibernazione si era sempre definito uncristiano critico. Conosceva, come aveva ribadito aSimone, Vangeli e buona parte delle scritture, maverso i sacerdoti e l’istituto della Chiesa ingenerale aveva sempre manifestato un atteggiamentodi grande distinguo, riservandosi di valutare quelloche veniva professato dalla dottrina correnteconfrontato con il suo pensiero.Il più cattolico dei luterani o il più luterano deicattolici, amava scherzare con le parole.Gli era chiaro il significato delle parole “tibi daboclaves regni coelorum. Et quodcumque ligaveris super terram, eritlegatum et in coelis; Et quodcumque solveris super terram, eritsolutum et in coelis.” A te darò le chiavi del regno dei cieli, e ciò chelegherai sulla terra sarà legato anche nei cieli, eciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto anchenei cieli.Beato tu, Simone, figlio di Giona…Un altro Simone.

Fosche prospettive escatologiche avvolgevano i suoipensieri. Presagi di fine del mondo. Poi scuotevaridendo la testa, non sono così importante, rideva.Però il problema di Clara rimaneva, e così glialtri.L’unica strada era proprio questa: prendere tempo.

Dormì molto agitato, nell’appartamento che Gordianogli aveva fatto mettere a disposizione a Mediolanum.Tutti questi pensieri gli martellavano in testa, conritmi dissonanti che a tratti li sovrapponevano, atratti li mostravano separati, in rari momenti gliconcedevano una breve pausa, come in una partituramusicale.Uscì di buonora nel parco che sovrastava la città,dirigendosi verso la zona archeologica, fra leguglie semisommerse nel terreno di quello che untempo era stato il Duomo. Vedeva la Madonnina, non più là in cima, ma pocosopra la sua testa. Faceva un certo effetto, per luiche ricordava la cattedrale milanese, vederlaemergere dal verde, mentre tutto l’interno era,benché in perfetto stato di conservazione,sottoterra, con la facciata ben visibile nella cittàsotterranea.Si recò lì guidato da un sesto senso, sapevabenissimo chi avrebbe incontrato. E lo trovò.Simone gli fece un cenno, e lui lo seguì. Sceseronella cattedrale, poi si spostarono nei locali dellasacrestia. Qui Simone sapeva bene dove, secondotradizione, esistevano i posti sicuri e schermati.Venne subito al dunque.

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“Non sai dove trovare il bandolo della matassa”esordì. “È così. So solo che devo guadagnare tempo. Ma nonso come”“Ti ho promesso di aiutarti. Il primo aiuto sarà ilprimo consiglio.Dovrai incontrare quegli uomini, dire loro che tiserve tempo per convincere Gordiano, ma che vuoiavere la possibilità di vedere costantemente la tuaamata. Ti dovranno sintonizzare gli occhiali sul suoletto. Sarà, dirai, la certezza che potrai vederla.Non possono negartelo”“E con Gordiano?”“Gordiano non dovrà assolutamente sapere che Clara èstata rapita, se no la sua vita sarebbe messa aserio rischio. Allora, prima di tornare da lui,organizzeremo un piccolo inganno. Troveremo unadonna che somiglia a Clara, che sarà d’accordo connoi. Lei si muoverà come se fosse tua moglie, fattasalva l’intimità coniugale. Clara, per Gordiano, èguarita, è stata trasferita secondo tue indicazioni,e ora, terminate le cure, si muove tranquillamente.Non prenderà comunque parte agli incontri conGordiano, ti accompagnerà nella vita quotidiana, perfar sì che, in caso di verifiche da parte degliispettori di Gordiano, la tesi sia sostenibile.Mi dispiace raccontare una storia non vera, ma èl’unica strada che oggi possiamo seguire”Giulio assentì. Era veramente l’unica stradapercorribile. Così, ricevuta la benedizione,abbandonarono la sacrestia del Duomo e ognunoproseguì per la sua strada.

Capitolo XIXClara?

Vagabondò ancora per il parco che circondava leguglie del Duomo. Sentì un rumore alle spalle. Sigirò, un sussulto lo scosse per quello che gliapparve davanti.“Clara!”La donna gli sorrise, lo zittì, portandosi l’indicealla punta del naso. Era curioso che certi gestifossero rimasti immutati nei secoli, mentre tuttocambiava, persino la lingua. Gli fece cenno di seguirlo, ritornarono insacrestia.“Non era prudente parlarti in zone non protette.Stai molto attento, quando sei all’aperto, a ogniparola che dici. No, non sono Clara”Dalla tonalità della voce comprese che gli stavadicendo la verità. “Chi sei?”La donna gli sorrise. “Puoi chiamarmi Clara. Anzi, devi chiamarmi Clara.Mi ha inviato Simone. Credo che ti abbia parlato dime. Il mio scopo è aiutarti a prendere tempo conGordiano. Ti lascerò il mio segno per contattarmi,

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sarò a tua disposizione quando lo vorrai. Sarà beneche ci mostriamo spesso assieme, gli esploratori diGordiano potrebbero controllare”“Ma com’è possibile che tu abbia lo stesso aspettodi Clara?”La donna mostrò come le era possibile manipolare ilvolto, come fosse plastilina.“Simone ha molti amici. Molti più di quanti potrestiimmaginare. Pochi, confrontati con la popolazionedell’impero. Ma sappiamo aiutarci a vicenda”Ancora parole oscure, ancora l’immagine di un mondoche conosceva da poche settimane, che credeva diaver compreso nella sua interezza, ma che glirivelava aspetti reconditi sempre nuovi. Mi stacapitando come a un adolescente, pensò, che, uscitodal mondo dell’infanzia, ha idea di aver compreso ilmondo alla perfezione, mentre poi, col passare deglianni, si accorge che le sfaccettature, le sfumature,gli aspetti ignoti sono molto più di quanto avrebbepensato. Che la realtà ideale che immaginavarappresentata nel mondo visibile altro non era senon una semplificazione della propria visione delmondo. Salvo poi accorgersi che, come in unagrammatica molto complessa, le eccezioni sono digran lunga superiori alle regole, e che, a questopunto, l’idea stessa di creare una grammatica nonrisulta altro che non una costrizione, uningabbiamento, una semplificazione forzata dellarealtà che è ben lontana dalla realtà stessa. E tutte le chiavi finora adottate per spiegarlaportano necessariamente a un’idea distorta edistorcente, quindi fuorviante.

Ma erano solo elucubrazioni, pensò. Ora occorrevaaffrontare la realtà pratica, ovvero quella porzionedi realtà, quella tessera di mosaico, che loriguardava. Sicuramente una tessera importantissimaper l’intero disegno, visto la situazione in cui siera venuto a trovare, quella di essere oggetto diaspettative sia da parte dell’uomo al verticedell’impero, sia dei suoi nemici.Dal particolare all’universale oppure il contrario?pensava, riflettendo sulla sua posizione personalecosì speciale ed esclusiva.Ma non poteva perdere tempo, stava già ricadendo inspeculazioni filosofiche. Doveva immediatamenteritornare alla concretezza.“Ma come faremo con gli scherani dell’Oltrecanali?”le chiese.“Dirai loro che hai incontrato me, che ricordo Clarain maniera straordinaria, che ci somigliamo come duegocce d’acqua, che mi hai chiesto di esserti amica,e che conti di tacitare in questo modo le curiositàdi Gordiano. Altro non dire, saranno soddisfatti”Uscirono, tornando nel parco. Finsero unaconversazione improvvisata per coloro che li stavanoquasi sicuramente ascoltando.Gonzalus e Gotfriedus non tardarono a farsi vivi.Quando lui li vide, all’orizzonte, congedò la pseudoClara.“Vai ora” le disse.Poi si diresse rapidamente verso i bravacci diMontezuma.

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Capitolo XXPossiamo fidarci di te.

“Chi è quella donna?”“L’ho incontrata, mi ricorda tanto Clara. Le hochiesto amicizia, e me l’ha concessa”I due si scambiarono uno sguardo significativo.“Pensi che possa sostituire Clara per te?” chieseGonzalus.“No, mai. Voglio riavere Clara. Come sta?”“Sta bene. Puoi controllare” gli rispose,allungandogli gli occhiali.“Allora, che cosa hai deciso di fare?” chiesebruscamente Gotfriedus.“Non così duro… stiamo parlando con un caro amico”lo riprese l’altro con un tono che eraricercatamente di rimprovero.“Caro amico” riprese con un’intonazione melliflua“sei d’accordo di unirti alla nostra giusta causa,guidando il princeps a una nuova gloriosa era perl’impero, in cui ritroverai la tua Clara, oppure haipensato diversamente?”Detta così sembrava quasi una giusta causa, anzichéil bieco ricatto di due banditi. “Ho pensato di aiutarvi” rispose Giulio, dopo uncolpo di tosse “Però ho due richieste da farvi”

“Ti ascolto” rispose Gonzalus, mentre con il palmodella mano rivolta verso il compare preveniva un suointervento.“La prima è quella di darmi il giusto tempo, per nonbruciare tutto. La seconda è quella di consentirmidi sintonizzarmi su Clara, per poterla vedere quandone avrò desiderio”“Altrimenti?” chiese ruvidamente Gotfriedus.“Altrimenti mi si spezzerà il cuore” rispose Giulio.E qui diceva la verità.Gonzalus e Gotfriedus si scambiarono una lunga esignificativa occhiata. Giulio rimase a osservarli,ben sapendo che in questo momento, probabilmente, (ameno di un differimento della decisione) si sarebbegiocata una gran parte del futuro suo, di Clara eanche di tutto l’impero.Alla fine Gonzalus annuì.“D’accordo” rispose “So che possiamo fidarci di te.Dammi gli occhiali” e, infilati, con una serie dimovimenti sintonizzò il canale. Poi li porse aGiulio. “Ogni momento che vorrai vedere Clara non dovraialtro che eseguire questi movimenti. So che possiamofidarci di te” ripeté, con un tono piuttosto secco,che faceva trapelare una minaccia seria nel caso diun comportamento doppiogiochista di Giulio. Questi avvertì una sensazione di enorme disagio. Masi fece forza per non lasciare trapelare nulla.“Ora addio. Ci faremo vivi al momento opportuno. Tusai, te lo ripeto per correttezza nei tuoiconfronti, che siamo obbligati a seguire ogni tua

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parola. Non possiamo sottrarci a questo dovere, nelnome della nostra missione”Parole altisonanti, idealiste, per raccontareun’attività di spionaggio e di ricatti. Ma tant’era,e si dove stare al gioco.Il primo passo era fatto.“Sappiamo anche che ti vedi con quel pretecristiano, Simone” gli bisbigliò congedandosi.“Sono cristiano, l’ho incontrato. Vivo un momento digrande difficoltà. La fede mi aiuta”“Lascialo pure con le sue superstizioni” lointerruppe Gottfriedus, rivolgendosi al compare“quel Simone è innocuo” “Già, già” commentò Gonzalus “Ci vedremo al momentostabilito”Così i due si allontanarono.

Era andata quasi meglio di quanto avrebbe potutoimmaginare. Erano stati loro a tirare in balloSimone, e, con prontezza, con la scusa del confortoreligioso, Giulio era riuscito a dare unaconvincente spiegazione. Ora occorreva contattare Gordiano. Passeggiò ancoraper qualche ora, per riprendersi dalle emozionidella giornata, poi contattò il princeps. L’udienzapresso Gordiano era fissata per due giorni dopo.

Capitolo XXIRitorno da Gordiano

La notte trascorse, ancora una volta, relativamentetranquilla. Aveva avuto modo di sistemare alcunefaccende, gli era giunto un inaspettato aiuto daSimone, che gli aveva procurato, assieme a buoniconsigli, anche una sosia di Clara.Era anche riuscito a stabilire un osservatorio suClara, fatto non trascurabile, anche se gli mancavail contatto fisico. Poteva constatare che la mogliestava bene, che godeva di ottima salute, che si eraripresa. Non riusciva (non gli era consentito) acomunicare con lei. Le sue carceriere erano riusciteanche a farle credere di non essere prigioniera.Viveva in una bella villa, con un grande parco, edera trattata davvero bene. Passava il tempo a farepasseggiate nel parco, assieme a una donna che leavevano assegnato per compagnia.Giulio riusciva a seguirla in tutto e per tutto,così come Gonzalus e compare riuscivano a seguire isuoi discorsi. Il sistema di telecamere cheoperavano nel parco e nella villa gli consentivanoanche di seguirne gli spostamenti.Era trattata bene. Le avevano raccontato di Giulio:appena si era svegliata, passato l’effetto deifarmaci che le avevano somministrato per rallentarneil risveglio, aveva chiesto di lui.Gli avevano raccontato che stava bene, che era statoimpegnato presso l’università per una serie diconferenze storiche.

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Clara aveva avuto qualche problema in più, rispettoa lui, dovuto alle più modeste conoscenzelinguistiche. Mentre per Giulio la padronanza dellatino era stata di aiuto immediato, il latino diClara era molto scolastico, lo conosceva allastregua di lingua morta, e articolava a faticapoche, brevi frasi. Questo semplificava molto illavoro delle sue carceriere, che, di fronte adomande che non fossero elementari, potevano, senzaproblemi, mascherarsi dietro l’incomprensione delladomanda di Clara, oppure era Clara che non capiva lerisposte.Perciò, il più delle volte, lasciava perdere,accontentandosi di un dialogo minimo. La suacondizione era comunque piacevole, la primaveraavanzava verso l’estate, poteva trascorrere lungheore all’aperto. Aveva chiesto (e ottenuto) materialeper dipingere, e tavolozza, pennelli e coloril’aiutavano a trascorrere le giornate.La sera si coricava presto.

Giulio osservava tutto, trascorrendo ore acontemplarla, rapito fra un misto di tenerezza e dinostalgia. Il giorno trascorse così. Avrebbedesiderato stringerla fra le braccia. Prima o poisarebbe stato possibile, non sapeva ancora come. Unacosa era importante, su tutte le altre: il fatto cheora sua moglie stesse bene e non fosse più a rischiodi vita. Questo lo sollevava molto, ridimensionandoalcuni dei sensi di colpa per aver scelto la fugaverso il futuro.

La notte successiva, quella prima dell’incontro conGordiano, fu relativamente meno tranquilla. Sognò ilprinceps che gli veniva incontro, con voltoamichevole, mentre lui lo pugnalava. Kαι συ τεκνον,gli diceva, anche tu figlio mio. E aveva ragione a sentirsi tradito. Giulio sentivadi perpetrare una sorta di tradimento. Però il suotradimento, almeno per il momento, non si stavaconsumando nell’affidarlo al nemico, quanto nelmettere insieme un castello di menzogne.Anche se, concludeva, queste menzogne altro nonerano se non una forma di protezione per liberareClara senza compromettere la res publica. Simone loaveva confortato in questo. In quel momento la suacomponente cattolica aveva prevalso su quellaluterana, e aveva affidato la sua coscienza nellemani di un ministro di Dio.

Quando mancava poco più di un’ora all’appuntamentoprese il pipiqu e partì per Arelate.Fu annunciato al princeps, che lo ricevette subito.“Mio caro amico, come sta Clara?” lo interpellòsubito.Giulio avvertì un brivido. Fortunatamente avevagiocato d’anticipo.“Ave et vale, mio princeps. Clara sta bene. È guarita eora posso trascorrere tempo con lei. Però non horitenuto opportuno portarla da te, né raccontarledei nostri incontri. Ho preferito dirle che sonoimpegnato in conferenze di storia all’università” ein questo gli diceva una mezza verità, perché,effettivamente, i carcerieri raccontavano a Clara

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questo, che Giulio era impegnato con relazioni distoria all’università.“Sei prudente” si complimentò Gordiano “lo apprezzo.È bene che il nostro segreto resti fra noi. Ma ora,dimmi, hai fatto qualche altra conoscenza, in questidue giorni, o ti sei limitato a vedere Clara o ituoi amici Pertinace e Decio?”A Giulio parve che Gordiano riuscisse a vederedentro di lui molto più di quanto non si potessesupporre. Fra l’altro, pensava, non conosco letecnologie se non in maniera assai superficiale, enon so se e quanto posso essere controllato. Perciòscelse la strada della verità, fintanto che nonmetteva a repentaglio la sicurezza di Clara o dellares publica.“Per essere sinceri, princeps, ho conosciuto un uomo,un religioso”“Simone?” sorrise Gordiano.“Lo conosci?”“Ne ho sentito parlare. È l’unico religiosodell’imperium, l’unico che ancora continuaostinatamente, anche se senza successo, a sostenerele antiche superstizioni”“Tu, princeps, sei davvero convinto che si tratti disuperstizioni?”“Perché tu no?”“No. Nel mio mondo mi definivo un credente, anche secritico verso gli uomini di chiesa”“Ma tante cose sono cambiate da allora. La scienza èprogredita, e l’uomo ha dimostrato che può fare ameno di Dio, senza quel Dio che lui stesso si eracreato per giustificare ciò che non era riuscito a

spiegare. Però noi abbiamo creato un mondo perfetto,in cui è piacevole vivere”“Ne sei sicuro davvero, princeps? Tu stesso mi haidetto che nel tuo mondo non esiste la felicità. CheEleuterio ha realizzato il suo ideale, ma ha perdutol’amata Eudaimonia”Mentre pronunciava i nomi della coppia imperialerifletteva sulla metafora dei loro significati,dell’uomo Libero che trionfava ma che perdeva, forseper sempre, la Felicità.“Non pensi, o princeps, alle quinte norme, quellemetafisiche, che Eleuterio aveva appena abbozzato,sulle quali stava studiando, quando morì?”Gordiano stava ad ascoltarlo.“Continua” lo invitò.“Non credi che in queste norme metafisiche sicelasse qualcosa che è rimasto forzatamente celato?”“Nei complementi alla metafisica eleuteriana,”rispose Gordiano “redatti dopo la morte diEleuterio, il suo successore Nomofilo completò illavoro del nostro saggio fondatore, di cui era statoil primo discepolo. In questi fu dichiaratoespressamente che la religione era un freno ainostri valori fondamentali, benché ottenibili solodisgiuntamente: il potere, la libertà e laricchezza.Fu per questo motivo che la res publica incominciòpresto una campagna d’informazione contro ogni formadi superstizione, che aveva troppo a lungo allignatonegli animi umani, producendo quelle tragichedistorsioni che erano davanti agli occhi di tutti.

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Grazie ai cosiddetti ministri di Dio erano statigiustificati soprusi della peggior specie, e questoin nome di un’entità trascendente di cui non soloera impossibile dimostrare l’esistenza, ma chepoteva legittimare le contraddizioni più assurde,permettendo così direttamente o indirettamente diesercitare poteri e ricchezza in un mondo di grandeiniquità”“Regnum meum non de hoc mundo est” lo interruppe Giulio,quasi meccanicamente.“Forse sarà così, e se qualcuno nell’animo suo vuoleserbare l’innocua speranza di un paradiso oltre lamorte, ne è libero. Ma la res publica ha il dovere diammonire i suoi cittadini, cives o quirites che siano,circa il rischio insito nel coltivare lesuperstizioni, e soprattutto preservare leistituzioni da una cancrena che le distruggerebbe,se fosse dato libero spazio alle religioni”Giulio provò immediata tristezza per le affermazionidi Gordiano, riservandosi però di contestargliele inun momento successivo. Ora desiderava conoscere comesi erano svolti i fatti.“Devo ammettere che sotto il principato di Nomofiloqualche eccesso ci fu, e i superstiziosi furonoperseguitati dalla res publica. Venivano relegati inregioni desertiche, dove non potessero nuocere inalcun modo alla popolazione con i loro pensieriinquinanti.Nel deserto vivevano i loro giorni restanti comeanacoreti, era dato loro il minimo per sopravvivere,ma erano lasciati in stato di assoluta solitudine,separati anche gli uni dagli altri.

Poi con i principati successivi la morsa si allentò,perché da un lato la res publica si stava consolidando,il sistema formativo forgiava le nuove generazioniai valori eleuteriani e le gerarchie religiose eranoper così dire decimate, come pure era difficilissimoper loro trovare nuovi adepti.Abbiamo sempre tenuto monitorata l’evoluzione diquesti, auspicando un’estinzione più rapidapossibile, per evitare l’insorgere di nuovi focolai.Un po’ com’è stato fatto con le altre malattie cheaffliggevano il genere umano, virus o batteri chefossero.Ci risulta che Simone sia l’ultimo. Gran male noncrediamo ne possa più fare. Ci risulta anche che nonsia vescovo, e che quindi (secondo le loro credenze)non possa procedere più a nuove, come dicevano loro,ordinazioni sacerdotali. Ormai anche questasuperstizione è debellata”Lo disse senza eccessivo compiacimento, comeappartenesse maggiormente alla sfera dei doveri chenon a quella dei piaceri. Questo fatto fu per Giulioabbastanza confortante, e non mancò di farglielopresente.“Non mi sembra che questa vittoria ti dia una gioiaparticolare” gli disse.“Sì, hai ragione. Però mi sento di aver portato atermine una missione che ho ricevuto in legato daEleuterio”“Da Eleuterio o da Nomofilo?” chiese Giulioprovocatoriamente “Sei davvero sicuro, princeps, chela lotta alla religione, come la chiamo io, o allesuperstizioni, come le chiami tu, fosse davvero nei

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programmi di Eleuterio? Non credi che privare l’uomodella possibilità di approfondire la conoscenza diciò che è oltre la realtà tangibile, oltre lafisica, ovvero della metafisica, grazie all’aiuto dipersone di chiesa, sia stata una limitazione nonsolo alla libertà ma anche alla felicità?”Gordiano si fece scuro in volto.“Non ho mai pensato di mettere in discussioneNomofilo, forse il più grande dopo Eleuterio, il suoprosecutore”Giulio si morse le labbra per non pronunciare paroleche probabilmente sarebbero potute suonare blasfemealle orecchie di Gordiano. Perché l’uomo creasempre, necessariamente, una religione, qualche cosache va oltre la propria vita, che deve esseretrasmesso ai successori. Lo aveva visto di persona nel ventesimo secolo,quando in una gran parte del mondo si era sostituitala libera religione trascendente con una religionedi stato immanente e totalmente intollerante. E inqueste religioni obbligatorie, trascendenti oimmanenti che siano, l’uomo poneva e continuavaancora a porre sempre una certa dosed’intransigenza, perché ciò che deve resistere oltrela vita umana deve essere preservato, è sacro. Anchese riguarda questo mondo, come la costruzione di unaterra promessa spostata nel tempo anziché nellospazio, un periodo messianico materiale, macertamente ulteriore alla vita umana.“Mi piacerebbe leggere le opere incompiute diEleuterio sulle leggi metafisiche per scoprire ciò

che pensava” riuscì solo a mormorare “Fra l’altro,Eleuterio non fu allevato dai monaci?”Gordiano lo guardava con aria interrogativa. In lui, sembrava a Giulio, pareva si facesserostrada due sensazioni opposte. La prima discendevadall’educazione che gli era stata impartita, ed erache Giulio era sicuramente permeato di tutta lasuperstizione che si portava appresso dalventunesimo secolo, e che era difficile sradicarequeste perniciose convinzioni. La seconda,proveniente dalle sue aspettative, eradiametralmente opposta, e gli procurava pressappocoquesto ragionamento: se la persona che viene dalpassato ci porta il futuro, se questa persona èGiulio, non potrebbe essere veramente che nell’operaincompiuta di Eleuterio sulle leggi metafisichequalcosa sia stato stravolto rispetto al pensierodel padre fondatore? Nomofilo era stato designato daEleuterio stesso: poteva essere che Eleuterio avessevisto in lui certi eccessi che si eranoeffettivamente manifestati sotto il principato delsuo successore? E in questo caso, poteva essere cheGiulio avesse ragione? Che la felicità che mancavaal suo popolo fosse da mettere in relazione con lamancanza assoluta di prospettive oltre il tangibilee il reale? E Simone, aveva forse un ruolo in questastoria? Sapeva, Simone, dell’arrivo di Giulio, e loaveva atteso con la stessa intensità con cui loaveva atteso lui?Certamente qualche tarlo appariva fra i pensieri diGordiano, questo Giulio era sicuro di intuire.Proprio lui che avrebbe dovuto essere il depositario

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delle certezze, che non poteva condividere i dubbipiù profondi con alcuno, dovendo mostrarsi semprecerto su ogni decisione, che viveva il dubbio nellasolitudine totale e assoluta, ora sembrava quantomai eroso da dubbi tremendi, che cercava didissimulare a se stesso.

Capitolo XXIICospiratori…

Giulio si congedò da Gordiano, trovandosi a spassoper Arelate, nella zona archeologica dove i resti diun anfiteatro vecchio di duemilacinquecento annierano protetti da una grande cupola di cristallocarbosilicio. Ad attenderlo, nei viali ombreggiatidai platani del grande parco che cresceva intornoalla cupola, la pseudo Clara, che gli si feceincontro con un’espressione affettuosa.Giulio stette al gioco, e passeggiarono per ilparco, mentre lui le raccontava le storie antichedella città.La somiglianza con Clara era formidabile; anche se,man mano che la vedeva, si rendeva conto che questaera limitata ai soli lineamenti del viso, mentretutta una serie di altri segnali, forseimpercettibili ai più, ne tradivano inesorabilmentela falsità.

Più di ogni altra cosa le movenze, il portamento, ipiccoli gesti cui Giulio era abituato e che nontrovava per nulla in questo simulacro di moglie chegli era stato messo al fianco. E la somiglianzafisica non faceva altro che esasperare il confronto,e nel confronto ritrovare le differenze, sempre piùinsopportabili col trascorrere del tempo.Si rendeva conto di essere ingiusto verso la pseudoClara, che gli sembrava un’usurpatrice. In fin deiconti questa donna era stata generosissima con lui,e gli aveva regalato il suo tempo proprio e il suoviso per permettergli di salvare Clara.

Con lei discorreva di storia, rispondendo alledomande che la donna gli faceva circa il suo tempo.Dalle domande comprendeva che la persona non eraindifferente, anzi, denotava una grande sensibilitàe acutezza nei ragionamenti.Gli chiedeva molto della religione ai suoi tempi, seera vero che i cristiani potevano riunirsiliberamente, che erano numerosi, se era vero chenelle terre dell’imperium c’erano anche moltiislamici, che ora occupavano le terre dell’imperopersiano.Rimase strabiliata nell’apprendere che i cristianiavevano avuto anche un loro stato, con a capo un re,e che questo re era il capo della cristianità.“Sei cristiana?” le chiese.Dopo aver un poco tergiversato la donna comprese chepoteva fidarsi.“Sì” ammise “ma non dirlo a nessuno. Siamoconsiderati una setta, è vero che oggi siamo

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tollerati, però è meglio non saperlo. Ci consideranocospiratori”“E contro chi cospirereste?”“Contro l’unità dello stato, contro il sistemacosiddetto eleuteriano”Sul volto di Giulio si dipinse un’espressioned’incredulità.“So che ti sembrerà strano” rise la pseudo Clara“anche perché, fedeli a quanto ha dichiarato ilSalvatore, affermiamo ancora che il suo regno non èdi questo mondo. Ma noi, con la fratellanza che ciconsidera tutti uguali, ci poniamo, questo dichiaròNomofilo e questo confermarono anche i suoisuccessori, come contestatori dell’ordine”“Ma le norme della res publica dicono che tutti gliuomini sono uguali”“Dicono anche” completò la pseudo Clara “che permantenere l’ordine non possono esistere rapporti,per esempio, fra cives e quirites dal terzo ordine insu. Già su questo punto noi trasgrediamo la legge”“Siete in molti?”“Che cosa significa, per te, essere in molti?” lointerrogò. Poi, senza dargli il tempo di rispondereriprese “Se per essere in molti intendi lamaggioranza, siamo ben lontani. Se per essere inmolti intendi invece alcune centinaia in tuttol’imperium, ma ben organizzati e pronti ad aiutarci,e soprattutto consci di contare su di Lui” e indicòil cielo “allora sì, ti rispondo senza esitare,siamo in molti”“Cives o quirites?”

“Che differenza fa? Se ti dicessi che fra noi cisono alcuni dei magistrati più alti dell’imperium nesaresti sorpreso?”“E Simone celebra per tutti voi”“È rimasto l’ultimo, si muove tantissimo. Gode diuna relativa tolleranza”Poi gli fece cenno di tacere, e si avvicinarono a uncumulo di rovine nei pressi della zona archeologica.Si addentrarono, superarono una porta.“Ora possiamo parlare. Qui siamo in zona schermata”Le moderne catacombe, pensò Giulio. “Abbiamo tutte le risorse per poterci mettere insalvo, le tecnologie, e un nostro sistema persopravvivere. Almeno finché ci sarà Simone. Poi nonsi sa”“Poi, secondo te?”“Credo ci sarà il ritorno del Signore nella gloria”esclamò con occhi trasognati. Poi, dopo breve pausa,lo fissò negli occhi “Abbiamo grandi aspettative sudi te, futuro che vieni dal passato”Giulio rimase basito. Per la terza volta su di luierano rivolte aspettative messianiche. Non soloGordiano, non solo gli scherani di Montezuma, ma oraanche questo residuo, questa micro comunità diultimi cristiani guardava a lui con grandi aspettative. Cercò di spostare l’argomento su argomenti diprofilo più modesto.“Sei al corrente di tutto?”“Più o meno. Se per tutto intendi ciò che si aspettaGordiano da te, cosa si aspettano nell’Oltrecanali,come intendiamo localizzare Clara, allora larisposta è sì”

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“Come pensate di localizzare Clara?”“Ora dobbiamo uscire. Fra un po’ t’incontrerai conSimone, ti dirà tutto. Abbi fede. Non saraiabbandonato al tuo destino”.Uscirono, riprendendo a passeggiare, vagabondandoper la vecchia Arelate, fra i profumi delle erbeprovenzali che entravano nelle narici e stordivanoquasi, almeno lui che non era abituato a un’ariacosì pura, e che ricordava una primavera profumatasì, ma in cui, si rendeva conto solo ora, lefragranze erano imbastardite dall’inquinamentodell’aria, da particelle incombuste di carbonio e dizolfo, e solo ora riusciva a goderne completamente.Era al centro di un triangolo, in cui ognuno cercavadi combattere l’altro: l’Oltrecanali cercava didivorare la res publica, la res publica combatteva icredenti e i credenti lottavano per difenderlodall’Oltrecanali. Tutti questi avevano un aspetto incomune, ed era ciò che si attendevano da lui.E lui? Non fosse stato per l’apprensione circa ilfuturo di Clara, sarebbe stata quasi una situazioneinvidiabile.Ma non era certamente il momento per cullarsi infutili narcisismi, occorreva fare qualcosa persbloccare la situazione.“Fra due ore” la pseudo Clara ruppe questi attimi disilenzio “ci incontreremo con Simone per lafunzione” e mentre lo diceva stringeva l’occhiolino,come per lasciargli intendere che oltre allafunzione religiosa qualcos’altro lo avrebbe atteso.

Capitolo XXIIIGordiano chiama Decio

Appena Giulio ebbe lasciato la reggia Gordianochiamò il suo luogotenente Labieno.“Desidero vedere al più presto il professor DecioFortunato. Quanto prima”Labieno lo rassicurò; si sarebbe messoimmediatamente in contatto con il professore distoria di Corduba.Labieno era una delle personalità più insignidell’imperium, aveva la carica di maior domi19 (quandogli era stato presentato Giulio aveva subitoprotestato fra sé e sé, matita blu alla mano, poi siera ricordato che i vocaboli della quartadeclinazione erano stati ricompresi nella seconda).Segretario, luogotenente, consigliere, per certiversi miglior amico di Gordiano. Silenzioso edefficiente, sempre pronto. Quasi un suo alter ego, dalprofilo basso e silenzioso.

Decio Fortunato arrivò da Corduba ad Arelate in treore. Si scusò immediatamente, dicendo che nonavevano interrotto la sua lezione, se no sarebbearrivato molto prima.

19 Il più importante della casa

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Gordiano lo zittì subito allungando verso di lui ilpalmo aperto della mano, come a dire “nonm’interessa”.“Altezza serenissima…” Decio si gettò ai piedi diGordiano.“Alzati, Decio Fortunato”“Ordina”“Il tuo amico Giulio, l’uomo del passato. È unapersona non comune”“Certamente ha avuto un insolito privilegio”“E anche noi a conoscerlo. Tengo molto a lui. Sonocerto che, spargendosi la voce, molti cercheranno diavvicinarlo. Non vorrei che amicizie negative neguastassero la nobiltà d’animo. Capisci che cosaintendo?”“Alla perfezione, princeps”“Bene. Ora lui è solo, tolto la donna che è venutacon lui dal passato, che si è miracolosamenteripresa. Mi risultava infatti che fosse molto grave,tant’è che non si era mai risvegliata durante tuttele settimane di quarantena di Giulio. Un amicovicino non guasterà”“Le mie lezioni all’Università di Corduba?”“C’è già chi ti sostituisce. Un lavoro di ricerca tiattende, con Giulio a tua disposizione per scoprireil passato che studi. Non è forse uno dei primiimpegni per uno studioso?”“Princeps, ti ringrazio per questa grande opportunitàche mi dai”“Naturalmente ti sarò grato per come mi terraiaggiornato circa la vostra amicizia”“Certamente, altezza”

“Così come è mio interesse personale conoscere,giorno per giorno, come procede la sua integrazionenel mondo”“Lo saprai, altezza”“Puoi andare. Conto sulla tua discrezione”

Capitolo XXIVStoria segreta

“C’è una storia che nessuno ti racconterà, circa lanascita del nostro imperium – res publica” dissesorridendo Simone “e, se anche qualcuno laconoscesse, se gliene parlerai si mostrerà moltoduro con te”Giulio aveva raggiunto Simone, dopo la passeggiatafra le rovine dell’antica Arelate con la pseudoClara.“Che storia?” gli chiese incuriosito.“Riguarda Eleuterio e Nomofilo. Nomofilo, prima didiventare il successore di Eleuterio, ne era anchel’amico più caro”“Devo intendere che l’esserne diventato ilsuccessore ha determinato il fatto che non può piùesserne considerato l’amico più caro?”Simone sorrise. Era strano veder sorriderequest’uomo che, nei primi, furtivi incontri, gli era

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sembrato una sorta di reietto dell’umanità, unparia, quasi un animale selvatico che si aggiravafra la gente per poter ghermire quante più briciolegli fosse consentito.“Quella è un’altra storia. C’è anche quella,anch’essa proibita, anche di quella nessuno tiparlerà mai né ammetterà mai di conoscerla, anche sela conoscesse. Ma ora ascolta quella che ti voglioraccontare.Quando erano amici, quando si è formato il nostroimperium, Eleuterio era fidanzato con Eudaimonia eNomofilo con Aletheia. Erano molto affiatati, e riuscivano a concepire ilgrande disegno di quella che sarebbe diventata laforma di governo più perfetta – o meno imperfetta –che mai l’uomo abbia conosciuto da quando calca ilpianeta Terra. Dai loro mutui dialoghi nascevano idee sempre nuove,ed Eleuterio maturava il grande disegno per trarreper sempre l’umanità dalle miserie chel’affliggevano fin dagli albori della storia:sopraffazioni, inganni, ingiustizie, fame,disparità. Altri prima di lui avevano cercato unastrada, una soluzione, ma questa si era semprerivelata un farmaco peggiore della malattia. Eleuterio no. Eleuterio, con la gioiosa Eudaimoniache lo accompagnava fedele, aveva trovato la stradamaestra.Nomofilo lo aiutava, da amico fidato qual era,maestro nel tradurre i pensieri dell’amico in normeche avrebbero guidato l’umanità. Aletheia, rigorosanel fargli osservare criteri sinceri, lo aiutava a

far sì che le norme fossero incontrovertibili, chedavvero portassero al bene comune dell’umanità. Chenessuno dovesse soffrire per l’applicazione dellanorma, e se qualcuno era debole la norma nonconsentisse al più forte di sopraffarlo, e sequalcuno era intelligente e desideroso di creare, difare, di generare ricchezza, la norma non castrassequesta sua fertile propensione, sapendo bene,secondo i principi di Eleuterio, che chi crearicchezza per sé la genera anche per gli altri.Aletheia in questo era maestra, saggia edequilibrata.Tutto sembrava procedere per il meglio”“Perché sembrava? Non era così?”“Un giorno Nomofilo s’innamorò di Asebeia, donnabellissima ma tirannica, molto seducente, che glifece realmente perdere la testa. Come prima cosa Nomofilo, preso com’era da Asebeia,si sbarazzò di Aletheia, che venne inviata in esilionelle isole dell’oceano lontano. Da allora nessunoha avuto più notizie di lei. Probabilmente è vera lastoria secondo cui ha conosciuto un uomo, così comeraccontano alcune persone che vengono dallarepubblica del mare, e dal suo matrimonio con lui ènata una stirpe che ha reso questi popoli felici”“Dicono che hanno chiesto di unirsi alla nostra respublica”Simone scoppiò a ridere.“Leggende, leggende. I popoli del mare sono felici.Non penserebbero mai di abbandonare la lorofelicità.Ma ritorniamo al nostro racconto.

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Ti dicevo di Asebeia, e dell’influsso nefasto cheebbe su Nomofilo.Non contenta di avere spodestato la saggia Aletheia,Asebeia comprese che occorreva disfarsi anche diun’altra scomoda concorrente, che altrimenti avrebbecertamente rovinato i suoi piani. Eudaimonia era sulla sua strada. Eudaimonia, unavolta che avesse compreso i piani di Asebeia,l’avrebbe soffocata con la sua risata irresistibile.Eudaimonia, con la sensibilità delle donne, avrebbecertamente capito di che pasta era fatta Asebeia edove avrebbe condotto Nomofilo.Per Asebeia era questione di vitale importanza. Erauna faccenda di vita o di morte. Era chiaro chedelle due una sarebbe sopravvissuta e una sarebbemorta, e il destino dell’imperium sarebbe dipeso dachi delle due donne sarebbe riuscita a sopravvivereall’altra.Asebeia aveva un vantaggio enorme su Eudaimonia:giocava con i pezzi bianchi, e aveva la prima mossa.Eudaimonia avrebbe al massimo potuto replicare, mal’attacco era suo. Con Nomofilo avrebbe preso leredini dell’imperium. Che cosa ti hanno raccontatodella fine di Eudaimonia?”“Ben poco, in realtà” rispose Giulio, che non avevaperduto una sola parola del nuovo racconto, cosìdiverso da quelli celebrativi che aveva udito sinora“mi è stato detto che il matrimonio fra Eleuterio edEudaimonia non è stato fecondo, e che a un certopunto Eleuterio ha perduto la sua amata Eudaimonia.Ma nulla mi è stato raccontato a proposito delle

circostanze. Morì o se ne andò come se ne era andataAletheia?”“Veleno. Un veleno mortale. Somministrato con metododalla perfida Asebeia. Giorno dopo giorno Eudaimoniadeperiva, perdeva la sua giovialità, la suaspensieratezza, la sua gioia di vivere. E questo siriverberava su Eleuterio. Finché un giorno lasplendida sposa del padre fondatore giacqueimmobile, e non ci fu più modo di risvegliarla.Non furono celebrate esequie, così aveva richiestoespressamente Eudaimonia prima di andarsene, perchéla gente potesse sperare in un suo ritorno, e non nefosse suggellata per sempre la perdita in manierairrevocabile. D’altra parte Asebeia stessa consigliòNomofilo di far credere a tutti che Eudaimonia fosseviva e presente, come una sovrana eterna. Anche se,di fatto, era stata eliminata”“Ed Eleuterio?”“Eleuterio s’incupì. Si chiuse in se stesso,dedicandosi alla stesura del suo pensiero, cercandodi porre in essere sempre più ciò che potevacondurre alla liberazione dell’essere umano.Perduto nei suoi studi delle grandi normeapodittiche, che già aveva in gran parte redatto,affidò a Nomofilo, lui ancora vivente, la reggenzadell’imperium, di cui era ancora nominalmente princeps.E terminate le leggi logiche, quelle etiche, quelleestetiche e quelle fisiche stava dedicandosi alquinto e ultimo gruppo, quello delle leggimetafisiche. E fu qui che…”“E fu qui che?”

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“Silenzio, continueremo più tardi, ho sentito unrumore sospetto. Renditi conto che quello che stiamodicendo sarebbe, alle orecchie dei più altimagistrati dell’imperium, un reato di lesa maestà”

Capitolo XXVAdvocatus imperii

“Princeps, che sta succedendo?” Bruto Collatino,l’advocatus imperii, si era recato per il consuetoincontro settimanale da Gordiano.“Caro amico” gli rispose amabilmente quest’ultimo“forse il momento è giunto. L’uomo che ci porta ilfuturo che viene dal passato è arrivato. Ma lasituazione è molto più complessa di quanto nonpotessi immaginare”“Credo che fosse intuibile che l’avverarsi di unaprofezia non sia mai né semplice né rapida, e chepassi attraverso momenti complessi.Tu hai certezza che questo Giulio sia l’uomo che ciha indicato Eleuterio?”Gordiano spalancò le braccia.“Chi può dirlo con certezza? Chi riesce ariconoscere un messia? Credimi, Bruto, stoattraversando uno dei momenti più sofferti da quandosono stato eletto al soglio imperiale. Ci conosciamo

da più di venti anni, da più di vent’annicollaboriamo a gestire questo imperium, e tu stessomi hai trasmesso il mistero di Eleuterio. Tu sai quanto abbiamo fatto per terminare ilprogetto del nostro maestro: la rete dei pipiqu èestesa e serve ormai anche le regioni più remote, lacapillarizzazione della rete procede senza sosta.Abbiamo affinato i sistemi di distribuzione dellemerci rendendo la concorrenza perfetta. Ladelinquenza è stata annullata, fatti salvi i pochicasi in cui vetuste emozioni, ormai ovunquestroncate, portano a delitti passionali. Ma anche suquesto punto abbiamo ormai ottenuto, grazie alsistema educativo sempre più perfezionato, unaumanità più matura che riesce a controllare isentimenti più sconsiderati che da sempre l’avevanocondotta a commettere azioni abiette. Tutto questo, lo sai bene, non è stato fatto senzasforzo. Ma ora sono di fronte ai dilemmi più grandi.Mi sembra quasi di aver condotto un principatotattico, teso all’ordinamento della res publica, diessere stato – così mi hanno detto quando sono statoinsignito del titolo di Augustus – un ottimoamministratore. Ma il fine ultimo l’ho raggiunto?”“La felicità per il nostro popolo?”“Quella. Quella è ancora lontana. Anzi, ti dirò dipiù, ne abbiamo parlato altre volte, quella è semprepiù lontana”“Non devi fartene una colpa”“Ma che principato è stato il mio? Ottimimagistrati, a partire dai consules, per continuare conquaestores, pretores, aediles, senatores e tutti gli altri

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hanno fatto il loro lavoro in maniera splendida. Iosono stato superfluo in tutto ciò. Forse io, chesono al vertice dell’imperium, sono la persona piùinfelice dell’imperium stesso”Bruto ascoltava la confessione dell’amico. La suafunzione era quella di controllare che noncommettesse abusi nell’esercitare la massimamagistratura; ma il carattere di Gordiano, il suogrande equilibrio, mostrato sin dagli esordi, gliaveva fatto quasi dimenticare questo importantecompito; e lo aveva interpretato maggiormente comeazione di pungolo e di supporto.“Resta il fatto che sei il settimo princeps, e che neltuo principato deve accadere qualcosa, e noisappiamo bene che cosa”“Lo so. Ed è per questo motivo che guardo Giulio contanto interesse”“Come ti sembra?”“Al di là della coincidenza della sua storiapersonale con la profezia di Eleuterio mi sembra unapersona interessante. Anche se non sono sicuro chemi dica tutto quello che pensa”“Viene da cinque secoli fa, ha la mentalità dicinque secoli fa. Non puoi pretendere che si lasciandare a te, al princeps, come farebbe con il primodegli amici incontrati in una taberna. Ma forse c’èdell’altro che mi vuoi raccontare di lui”“Sì. Si incontra con Simone, il prete. Lo sapevo, hofatto finta di non esserne al corrente. Devo direche è stato lui stesso a confidarmelo”Bruto Collatino si lisciò la barba.

“Simone. Non perde tempo. Immagino che tu lo stiafacendo controllare”“È così come hai detto. Puoi stare tranquillo, lesue mosse sono seguite dai miei uomini”“Bene così, Gordiano Augusto. Ave et vale”“Ave et vale, Bruto Collatino”

Capitolo XXVIAncora storia segreta

Era stato un falso allarme. Nessuno si eraavvicinato alla canonica, soltanto un vecchio libro,impilato su una catasta troppo alta, era caduto,provocando un rumore che aveva insospettitol’attento Simone.“Mi vuoi raccontare che avvenne poi?” gli chieseGiulio.“Intendi dire circa la fine di Eleuterio? Asebeiaconvinse Nomofilo che era giunto il momento disbarazzarsi di Eleuterio. Ci giunse in manierasubdola, con argomentazioni surrettizie che nonandavano mai a colpire direttamente Eleuterio. Gli argomenti cui ricorreva erano questi: Eleuterioè un po’ vecchio, non dico tanto come etàanagrafica, ma ormai ha lavorato tanto, tu sei unprinceps dimezzato, avresti idee nuove da portare,argomenti questi che dapprima causarono imbarazzo in

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Nomofilo, poi fra sé e sé conveniva che contenevanoun fondo di verità, che era necessario non rimanereimmobili senza prendere decisioni sul futurodell’imperium: altrimenti lo stesso avrebbe potutosoffrire di questa diarchia con tutte leconseguenze.Asebeia arrivò alla sfrontatezza di dire che forseEleuterio morto sarebbe stato celebrato come un dio,e avrebbe consacrato per sempre il suo sistema,perfetto e immortale.Nomofilo non era certo insensibile alle lusinghedella sua donna, che sapeva ammaliarlo, insinuarsinei suoi pensieri in maniera strisciante eseducente.Certe immagini che Asebeia gli poneva davanti, comeappena accennate, come tratti schizzati da una manod’artista ferma e decisa venivano da lui elaboratenelle ore della notte.Grande e infaticabile legiferatore non potevapermettere oltre che il suo corpus juris fosseostacolato dalla presenza del padre della patria,che alla patria avrebbe portato un servigioincommensurabilmente più elevato una volta onoratocome un dio immortale.Fra l’altro, gli faceva notare Asebeia, queste normemetafisiche cui Eleuterio stava ora lavorando eranoun grave pericolo per l’integrità dellacostituzione, perché, da quanto avevano potutoosservare e ascoltare nelle private letture cheEleuterio faceva loro dei nuovi scritti apodittici,si faceva riferimento a poteri trascendenti che malsi conciliavano, quando addirittura non cercavano di

soggiogare l’immanenza dell’organizzazioneimperiale. La res publica bastava a se stessa, non c’eraaffatto necessità di poteri esterni che necondizionassero l’esistenza. Occorreva negarlirisolutamente, e sarebbe stata gran bella cosa sequesta parte dell’opera di Eleuterio fosse rimastasegreta. E così fu”“L’uccisero?” chiese Giulio con apprensione, come sesi parlasse di qualcosa che stava accadendo in queigiorni, e non di un fatto vecchio di quasi duesecoli.“Veleno” confermò Simone “Asebeia, senza maiammettere di averlo utilizzato per Eudaimonia, losuggerì a Nomofilo. Anzi, fece di meglio. Portòsubdolamente Nomofilo a chiederle un consiglio sucome liberarsi di Eleuterio. E, dopo ostentatereticenze, ipocriti atteggiamenti scandalizzati,alla fine Asebeia finse di inchinarsi alla necessitàdella storia. La fine di Eleuterio fu rapida, ma nonabbastanza per impedire che, durante le ultimeapparizioni in pubblico, potesse annunciare la suaultima volontà: l’istituzione dell’advocatus imperii,magistratura di pari grado rispetto a quella delprinceps. A quest’ultimo sarebbero rimaste tutte lefunzioni esecutive di più alto livello e sarebbestato, dopo la morte di Nomofilo, elettivo; alprimo, svincolato da ogni potestà esecutiva sarebberimasto l’unico compito della vigilanza sull’operatodel princeps. In quella stessa occasione nominò ilprimo advocatus e dettò le norme per le nominesuccessive.

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Poi non apparve più in pubblico, e dopo pochi giornisi spense, sopraffatto dalle sostanze venefiche chesi erano impadronite del suo organismo. Nomofilo gli fece tributare onori solenni, che malsarebbero state accettate da Eleuterio vivente, luiche aveva sempre fuggito il culto della personalità.Ma per giorni e giorni il feretro fu portato per lepiù importanti città dell’imperium, finché non gli fudata sepoltura ad Arelate, da allora capitalestabile della res publica.Non ti aveva raccontato queste cose Gordiano, non èvero?”Giulio era restato turbato dal racconto. Forseriusciva a capire qualcosa di più di quanto erasuccesso alla felicità, perché quel popolo cheavrebbe potuto essere il più felice della terra ditutti i tempi non lo era affatto.“Ma perché, Simone, si sono tanto accaniti contro icristiani?”“Non solo contro i cristiani, anche contro le altrereligioni. Ma i fedeli di queste ultime fuggirono,durante le persecuzioni, nelle loro terre d’origine:così gli islamici nell’impero persiano, gli induistinell’India, altri nell’impero cinese. Qualchecristiano trovò rifugio nella repubblicadell’oceano”“Ma perché questa persecuzione?”“Perché non avevano capito. Perché Nomofilo eAsebeia non avevano capito. E diedero preciseistruzioni ai successori di continuare a ripulirel’imperium da ogni possibile contaminazione”“Che cosa non avevano capito?”

“Regnum meum non de hoc mundo est” riprese l’enigmaticoversetto di Giovanni, con cui l’aveva avvicinato leprime volte.“Ora è giunto il momento che ti legga qualcosa chemi è stato tramandato. È poco più che un frammento,poche pagine strappate da un libro, lo scritto di unteologo, o un filosofo, probabilmente un altoprelato che credo sia vissuto più o meno nei tuoianni. Forse ti diranno qualcosa”

Giulio incominciò a leggere le pagine ingiallite edai bordi sgualciti. Si parlava delle leggi, leleggi della Torah, dell’antichissimo popolo degliebrei. In questo codice, si leggeva, si possono distinguere duetipi di diritto: il cosiddetto diritto casuistico e quello apodittico.Il diritto casuistico comporta norme che regolano questioni moltoconcrete: disposizioni giuridiche circa il mantenimento el’affrancamento degli schiavi, circa l’indennità in caso di furto,eccetera. Poi continuava, qualche riga più sotto: serve allacostruzione di un ordinamento sociale realistico. E si commisura allepossibilità concrete di una società in una situazione storica e culturaleben determinata.Ancora: norme più recenti contraddicono norme più antiche sullastessa materia… di fatto, un ordinamento sociale comprende anche lapossibilità di evoluzione… può esistere ancora nella legge, ma all’attopratico diventare una ingiustizia, quando non serve più alla difesa deipoveri, delle vedove e degli orfani.Ma, continuavano le righe, esistono anche normeapodittiche.Questo diritto apodittico è pronunciato nel nome stesso di Dio: qui nonsi danno sanzioni concrete… non molesterai il forestiero,

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né lo opprimerai, perché voi siete stati forestierinel paese d’Egitto. Non maltratterai la vedova ol’orfano. E ancora, qualche riga più sotto: possiamoqualificare le disposizioni del diritto apodittico come metanorme,che rappresentano una istanza critica nei confronti del dirittocasuistico. Il rapporto tra diritto casuistico e diritto apoditticopotrebbe essere definito con la coppia concettuale di regole eprincipi.

Ancora: Ecco che appare in primo luogo quale normafondamentale, dalla quale solamente dipende tutto, l’affermazionedella fede nell’unico Dio.

Ancora: L’amore verso Dio e l’amore per il prossimo non si possonoscindere, e l’amore per il prossimo ottiene qui, come percezione delladiretta presenza di Dio nel povero e nel debole, una definizione assaipratica.

E, per finire: così si comprende da sé che con queste parole nonviene formulato un ordinamento sociale; sicuramente, però, vengonopremessi agli ordinamenti sociali i criteri fondamentali che, tuttavia,come tali non possono trovare realizzazione piena in nessunordinamento sociale.

“Tu dici che queste pagine, di cui ignori l’autore,sono state scritte da un alto prelato? Non saiquanto sei vicino alla realtà. Soltanto non riesci aimmaginare quanto alto fosse questo prelato”“Lo conosci?”“Fanno parte di un libro scritto dal pontefice dellaChiesa cattolica proprio negli anni precedenti la

mia ibernazione. Era il papa Benedetto, colui chereggeva la Chiesa proprio nel momento in cui mi sonoaddormentato” “Uno degli ultimi, allora” commentò Simone, con uncerto distacco.Il tono sembrò stonato a Giulio che ancora faticavaa vedere tali fatti come remoti, e sentiva ancorafatti e personaggi come parte della sua esistenza.Ormai erano circa due mesi che viveva nel nuovomondo. E, se era vero che l’immensità delle novità,l’incredibile e inimmaginabile diversità rispetto almondo che aveva lasciato, l’opportunità che mai glisarebbe capitata allora di avvicinare i vertici delmondo (il potere di Obama o di Bush era ben pocacosa rispetto a quello del princeps Gordiano, e maigli sarebbe capitata l’occasione di dialogare comeamico non solo con Obama o con Bush (che oggi eranonomi insignificanti conosciuti forse,incidentalmente, da qualche studioso di storiaantica), ma con statisti di ben minore influenza; e,soprattutto, lo tsunami che si era abbattuto su dilui con il rapimento di Clara, tutto ciò avevasicuramente inciso sulla definitiva percezione didistacco totale dal vecchio mondo, nondimeno ognivolta che ne avvertiva l’enorme distanza temporalenon poteva che provarne un senso di voragine.E questo senso di voragine strideva con il distaccodi Simone, che a Giulio sembrava ostentato, mentre,razionalmente, comprendeva che era il medesimo cheavrebbe usato lui nel parlare della presa diCostantinopoli da parte di Maometto II. Qualcosa chesicuramente aveva destato un profondo sgomento nei

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contemporanei, ma che già ai suoi tempi altro nonera se non una pagina sui libri di storia, e ora unoscuro evento conosciuto solo agli studiosi distoria antica.

Simone non si era reso conto di questa suariflessione, e continuò.“Capisci ora perché ti ripetevo regnum meum non de hocmundo est? I principi, e tutti i magistrati della res publica,hanno cercato di cancellarci dai territoridell’imperium, perché convinti del fatto cherappresentavamo una minaccia. Reddite quae sunt CaesarisCaesari et quae sunt Dei Deo20. Così doveva essere sin dalprincipio, ma questo non è stato capito”“Perché?”“Perché oggi come duemilacinquecento anni fa l’uomoteme se stesso, teme la trascendenza, teme l’usodella trascendenza per fini materiali. E non atorto, intendiamoci. Credo tu sappia bene a che cosami riferisco. È come se esistesse nell’uomo che cerca potere odenaro l’esigenza di giustificare la sua forsennataricerca di qualche cosa di più nobile. Ogni uomocerca di giustificare i suoi comportamenti davanti ase stesso prima ancora che davanti all’altro uomo.Asebeia l’aveva capito perfettamente, e avevautilizzato questo timore, unitamente al rigore diNomofilo e allo spirito di quei tempi, in piena

20 Date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio

rivoluzione eleuteriana, per cercare di annullareper sempre il trascendente. Liberati dalsovrannaturale gli uomini avrebbero potuto costruireun mondo in cui essi stessi, finalmente divenutiadulti, non avrebbero più dovuto rispondere anessuno che andasse oltre i loro orizzonti di spazioe di tempo. Potevano costruire la società perfetta,in cui Eleuterio aveva individuato nella divisionedel potere dal denaro la chiave per la giustizia.Ma” e qui riprese in mano le pagine stropicciate estrappate del libro di Benedetto “…con queste parole nonviene formulato un ordinamento sociale; sicuramente, però, vengonopremessi agli ordinamenti sociali i criteri fondamentali che, tuttavia,come tali non possono trovare realizzazione piena in nessunordinamento sociale. Qui sta il significato delleparole regnum meum non de hoc mundo est. Nessuno lo hacompreso sino in fondo, tolto pochi, fra iconsacrati così come fra i laici. Se lo si fossecompreso a fondo probabilmente ci saremmorisparmiati guerre di religione e persecuzioni, e lestesse norme che si sono via via succedute nelgoverno dei vari popoli della terra, le normecasuistiche o regole, avrebbero di volta in voltaofferto all’uomo la soluzione migliore ai suoiproblemi in tema di giustizia, di libertà, dibenessere, senza pretendere di essere assolute masempre legate a un certo tempo e a un certo mondo,ma buone perché legate alle norme apodittiche,ovvero ai principi”“Probabilmente regnum meum non de hoc mundo estsignifica anche che è impossibile per l’uomoraggiungere una vera giustizia su questa terra”

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“Non lo so, non sono un politico. Mi occupo dianime”“Probabilmente è inutile la ricerca di un sistemamigliore” continuò Giulio, ignorando l’ultimaaffermazione di Simone.“Questo no, perché sarebbe in contrasto con quantoaffermano le norme apodittiche. Ma occorre avere ungrande equilibrio per destreggiarsi in questo campo.Non so se sarai chiamato a questo, per aiutareGordiano a donare la felicità al suo popolo. Anchese sono molto dubbioso sul fatto che la felicitàpossa essere raggiunta con la legge” Detto questo Simone si accommiatò da lui,lasciandolo solo.Se dopo aver lasciato Gordiano la prima volta eraattanagliato dai dubbi e dalle preoccupazioni, sedopo aver parlato con Gonzalus e Gotfriedus era inpreda alla profonda inquietudine ora eracompletamente disorientato. O meglio, gli sembravadi cogliere un senso in tutto, afferrava il concettoche la sua posizione privilegiata poteva servirgliper influire sul futuro dell’imperium, ma non capiva,o meglio avvertiva un peso insopportabile in tuttociò, come se la paura di sbagliare si riflettessenon solo sul suo destino ma sull’intera umanità.E se oggi era così angosciato per i possibilieffetti del suo comportamento su Clara, che cosapoteva sentire circa l’umanità intera, che,comprendeva, poteva veder cambiare i propri destinialla luce dei suoi consigli dati al princeps?

Capitolo XXVIIDecio e Pertinace

L’invito a cena da parte di Decio l’aveva colto disorpresa.Anche se non sarebbe dovuta essere una sorpresa,visto che Decio e Pertinace erano amici, dopo che loavevano presentato a Gordiano gli sembrava però chesi fossero sommessamente ritirati in buon ordine.Come se lui ora appartenesse alle alte sfere, e idue amici avessero accettato di buon grado di averesaurito la loro funzione.

Nondimeno accettò volentieri, assieme alla pseudoClara, che era stata un’ottima commensale.Decio aveva servito dell’ottimo Rioja del 2504, -una delle migliori vendemmie degli ultimi anni,aveva commentato Pertinace - mentre per il dessertavevano sorseggiato uno spumante congolese.Mentre per il Rioja Giulio aveva potuto constatarecon piacere una continuità nel nome come nel gusto,rispetto all’ottimo vino spagnolo dei suoi anni, gliera sembrato strano che nell’Africa equatoriale sicoltivasse la vite.“E, devo dire, il risultato è eccellente” avevaesclamato levando il calice.

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Così, rimossa ogni meraviglia (il Congo era unadelle zone vinicole più pregiate del pianeta, maormai sia Decio sia Pertinace avevano compreso cheil mondo era davvero diverso anche nelle piccolecose, cinquecento anni prima) si era parlato moltodi cibo, di vini, di tutte gli argomenti di cuispesso si parla quando si è seduti a tavola. Gli avevano chiesto anche delle sue giornate,mantenendo un grande, rispettoso riserbo a propositodella sua relazione con Gordiano.Clara aveva ostentato una scarsa conoscenza dellalingua, incespicando volutamente su parole nontrovate e su regole grammaticali, opportunamentepreparata da Giulio. E alla fine aveva trovato ilmodo di parlare assai poco, risolvendo la sua partein una serie di graziosi e anche imbarazzatisorrisi.

Verso le undici di sera Giulio e Clara avevanosalutato, ringraziando Decio per la squisitaospitalità, gli amici. “Bella serata davvero” Pertinace si congratulò conl’amico, per l’ottima accoglienza, dopo che Giulio eClara se ne furono andati.“Sono felice che ti sia piaciuta”“Peccato solo che una commensale non fosse sestessa”“Non ti seguo. Che cosa intendi dire?”“Molto semplicemente che Clara non è Clara. Tuttolì. Non so chi sia, né perché fosse lì con luiquesta sera, e nemmeno che bisogno ci sia da parte

di Giulio di inscenare questa storia; neppure socome abbia fatto a trovare una donna così simile aClara”“Spiegati meglio. Io non ho mai visto Clara”“Però l’ho vista io. L’ho seguita per i venti giornidi quarantena di Giulio. La somiglianza èstrabiliante; ma non è Clara”“Hai notato qualcosa?”“Vedi, questa sera la donna portava i capelliraccolti. Non ho potuto fare a meno di guardarle ilcollo. Devi sapere che la vera Clara ha una macchiasul collo, allungata, a forma di mezza luna. Unamacchia color caffelatte, abbastanza pronunciata,appena sotto l’attaccatura dei capelli. Ebbene, diquesta macchia non c’è traccia. E, da medico, tiposso assicurare che sono macchie che non sicancellano”“Se quello che dici è vero è molto grave,soprattutto alla luce della confidenza e amiciziache il princeps Gordiano ha dato a Giulio”“Proprio cos씓Si prefigurerebbe il reato di lesa maestà”“Temo”“Che fare?” chiese lo storico al medico.“Come prima cosa farò un’attenta indagine sullaguarigione di Clara e sulle sue dimissioni dalcentro. Devo confessarti che, interessato com’ero aGiulio, alla preparazione dell’incontro con te e poicon Gordiano, ho tralasciato Clara, chem’interessava davvero poco, visto il successoottenuto con Giulio.

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Avrebbe potuto essere scientificamente rilevanteseguire il comportamento di un maschio e di unafemmina di cinquecento anni fa, però sai che non ciera consentito trattenere Giulio al centro. Perciòla presenza della donna era ininfluente”“Tornerai a Mediolanum, allora?”“Questa notte stessa. E, ti assicuro, scopriròl’arcano”“Ti chiedo solo di tenermi informato. Èassolutamente importante che io riferisca, soloquando avremo la conferma assoluta, la novità aGordiano. Ti chiedo anche di venire a riferirmi dipersona, lontano da orecchie indiscrete”Pertinace lasciò la casa di Decio a Corduba alleventitrè e trenta, poi chiamò il pipiqu.Viaggiare di notte e per di più da solo eratotalmente noioso. Provò a guardare qualcosa neicomunicatores ma non riusciva a concentrarsi su nulla.Poi cercò di ascoltare musica, ma anche questo glifu impossibile, per il turbinio di pensieri che glisi accalcavano in testa.Provò a dormire, nulla.Poi il viaggio era breve, e prima che potesserendersene conto era arrivato. All’una e venticinque varcava la soglia d’ingressodel centro medico di Mediolanum.

Capitolo XXVIIIPertinace e Leucadia

Come prima cosa convocò la sanitaria del turno, che(aveva già verificato sui comunicatores durante iltragitto di ritorno) era Leucadia.La ragazza si presentò subito nel suo studio.“Qualche giorno fa è stata dimessa Clara, la mogliedi Giulio”“Sì, direttore”“Perché?”“Ordini tassativi di Giulio stesso, che avevaaffidato ai suoi trasportatori un messaggio firmatoautentico di CUDNA”“Mostramelo”Dopo pochi istanti il documento era nelle sue mani.Era uno dei pochi casi di documenti cartacei cheerano rimasti, le procure autenticate.“Sembrerebbe autentico” proclamò con una certasolennità “ma dimmi, ora, chi era presente almomento in cui avete consegnato Clara aitrasportatori: tu o Carola?”“Io, direttore”“E dimmi ancora, in che stato si trovava la donna?”“Come sempre, direttore. Era in questa sorta distato ipnotico, né più né meno diverso da quello cheabbiamo avuto modo di vedere dal momento delrisveglio in avanti”“I trasportatori sembravano normali, mostravanoqualche aspetto particolare, conoscevano iprotocolli sanitari?”

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“Perfettamente, direttore. Ma perché mi chiediqueste cose? È successo qualcosa?”“Puoi andare, ora, Leucadia, grazie” così Pertinacetroncò sul nascere la curiosità della ragazza.Curiosità, il tuo nome è femmina, pensò. Però nonsolo. Anche lui avrebbe dato chissà che per sapereche cosa era successo a Clara, e quali misteriosimotivi avevano portato a questa ancora piùmisteriosa sostituzione. E, a questo punto, dov’erala vera Clara?

Capitolo XXIXOperazioni di localizzazione

Tornato ad Arelate, Giulio desiderava incontrareSimone. E Simone, come fosse dotato di poteritelepatici, gli venne incontro.“Ti aspettavo” gli disse.Come faceva a trovarsi sempre sulla sua strada? AMediolanum, a Corduba, ad Arelate?C’erano sicuramente diversi aspetti della realtà delventiseiesimo secolo che ancora gli sfuggivano.Simone doveva avergli letto nel pensiero, tanto èche gli fece cenno di seguirlo in un’area schermata.“Ti stai chiedendo come faccio a trovarmi sulla tuastrada? Presto te lo spiegherò. Ma non è ancoragiunto il momento. Ora dobbiamo svolgere una

missione più importante. Occorre localizzare Clara,e ora siamo pronti. Non sarà facile, né siamo sicuridi riuscirci in una sola volta. Però ora fai quelloche ti dirò. Caio Marzio, puoi uscire”Dalla stanza accanto, in questi locali chesembravano abbandonati, uscì un uomo di circaquarant’anni vestito con abiti da quiritis.“Caio Marzio Massimino” lo presentò, senza avvertireil bisogno di presentare lui, Giulio, all’altro, chedoveva evidentemente sapere bene chi gli stavadavanti. Per un attimo Giulio avvertì il vanopiacere della celebrità, rendendosi conto che,nell’enorme e sconfinato territorio della res publica,il suo nome doveva essere diventato molto popolare,probabilmente molto più popolare del dovuto, almenosecondo i progetti di Gordiano.“Caio Marzio è il nostro più abile tecnico dilocalizzazione. Ha scoperto un algoritmo inverso ditracciabilità, questo mi dice, che funziona quasisempre. Ora non dovrai fare altro che seguire le sueistruzioni”“Ave et vale, Giulio. Fra pochi istanti dovraisemplicemente uscire dalla zona protetta, accenderei comunicatores su Clara, infine, mentre la guardi,camminare avanti e indietro – non fermarti, èindispensabile che tu conduca tratti regolari distrada di almeno cento metri, ma anche più lunghi, èancora meglio – in direzione della porta della zonaprotetta. Ti è tutto chiaro?”“Non mi sembra particolarmente difficile” risposeGiulio, con il tono dello studente diligente, alquale viene affidato un compito di gran lunga al di

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sotto della sua portata, ma che non per questorifiuta.“Io mi porrò davanti alla porta, anche se già inarea protetta. L’unica comunicazione possibile saràcon te che mi vedi. Ora puoi andare. Quando saremopronti Simone ti verrà ad avvisare”

Senza fiatare Giulio prese la via dell’uscita.Davanti alla zona protetta c’era un bel viale diplatani, un viale lungo circa un chilometro.Un’ottima distanza da coprire avanti e indietro.

Passeggiava, chiedendosi se doveva essere nervosooppure no. Era come se pensasse che fosse suo dovereessere nervoso, che fosse necessario essere nervoso,e che questo senso di necessità si tramutasse perlui in un potente e benefico antidoto, che lorilassava amabilmente.In fin dei conti, pensava, stava osservando Clara,la vera Clara, la sua Clara. Sembrava spensierata,la Clara che aveva conosciuto anni prima, la Clarache lo avrebbe seguito ovunque, che aveva accettatodi fare questo viaggio nel futuro con lui, versol’ignoto. Lui le bastava, lei gli bastava.Clara sembrava – era, ne era certo – serena espensierata. Camminava in un paesaggio bucolico,come lui stava facendo. In quale regione dell’imperosi trovava? Non era in grado di giudicarlo, lui chea stento riusciva a riconoscere le regioni a lui piùfamiliari. Ma era un posto simile al suo, eidealmente cercava di porsi in contatto con lei,

sintonizzarsi sui suoi pensieri, partendo dallepiccole cose, dall’ambiente che lo circondava.E cominciava questa ricerca di un’intesa, diun’intima sintonia con lei partendo dai profumi cheil mese di maggio spandeva liberandoli nell’aria.Era il maggio odoroso, scriveva un poeta. Poipassava ad ascoltare i suoni, e non poteva nonavvertire che il mondo si era liberato da quelbrusio di fondo che era l’antipatica colonna sonoradi mezzo millennio prima. E capiva che nei suoigiorni ci si era ormai assuefatti a questi rumori,all’intensa operosità, a un movimento fine a sestesso, almeno molto più del necessario, aun’energia che era dissipata nel rumore. Il mondodel ventiseiesimo secolo forse non era felice, maper lui il poter percepire suoni impercettibili eragià paradiso. Gli venne in mente la diceria secondo la quale imonaci tibetani, immersi nei grandiosi silenzi dellevette, riuscivano a percepire il suono dell’erba checresceva. Giulio non riusciva a cogliere suoni cosìirrilevanti, ma si rendeva conto, nel silenzio, dialtri suoni, più puliti e armonici.Poi, per ultima, dava spazio alla vista. E qui glisembrava davvero di perdersi in un universo fatto diluce e colore. L’atmosfera tersa, rarefatta,ripulita dall’inquinamento, rendeva ogni colore,ogni tonalità di verde con un vigore che loavvicinava a ogni cosa, dandogli la sensazione ditoccare, di poter stringersi al mondo che locircondava.

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Non si vedevano case, né fabbriche, né costruzionidi alcun tipo, e, se non avesse saputo che lecostruzioni erano tutte nelle viscere della terra,avrebbe potuto pensare di essere finito in un mondodisabitato, completamente privo di vita animale, oquanto meno umana. Sennonché non era vero, e l’operadell’uomo era manifesta nei campi ordinati, nellesiepi, nei vigneti ben coltivati che tracciavanolinee parallele regolari, seguendo dolcemente lecurvature della terra.Anche le linee dei pipiqu non stonavano in questomondo fiabesco. Queste strade particolarissime chel’uomo era riuscito a inventare, metà interrate emetà fuori dalla terra, coperte e protette perevitare incidenti a chi dovesse per caso passarvivicino (i pipiqu sfrecciavano a velocità superiori aquella del suono e con una frequenza inimmaginabile)si confondevano con la terra, coi prati, col bosco econ il cielo.

Pertinace glielo aveva spiegato durante il loroprimo viaggio verso Corduba, mentre lui, come unbambino in un luna park, restava stordito nelloscoprire le meraviglie del mondo nuovo.Quella delle coperture in cristalli di carbosilicioera uno dei grandi affari delle imprese private, deicives. La res publica non pretendeva nessun affitto perle coperture, e i cives che le ottenevano inconcessione erano obbligati a coprirle. La coperturain carbosilicio era utilizzata sia per proteggere lelinee di pipiqu dall’esterno, sia per generarefotodinamicamente energia, una parte della quale

veniva ceduta alla res publica per essere utilizzatadirettamente dalle linee stesse.Le linee erano spezzate di tanto in tanto dastazioni, che fungevano sia da posto di prenotazionesia di parcheggio per il mezzo da cui l’utente erasceso.L’aspetto più bello era che queste vene e arteriedel pianeta terra non infastidivano in alcun modo lavista del viandante, che preferisse passeggiare ocorrere per le sterminate campagne della res publica.Il carbosilicio rifletteva i colori circostanti, ilverde chiaro dei prati, il verde scuro deiboschetti, l’azzurro del cielo terso, l’oro dellemessi.

A volte pensava che gli sarebbe piaciuto viaggiareanche nelle altre regioni dell’imperium. Vedere l’Africa, o l’Amazzonia, queste regionivergini che ora erano diventate civili, almeno nelsenso che a questa parola si dava nel ventunesimosecolo, che erano riuscite probabilmente araggiungere i benefici della tecnologia senzaabdicare alla propria verginità. Senza cemento, senza sporcizia, senza i fumi delcarbone e del petrolio, senza le montagne dirifiuti. Senza pagare tanti di quei pegni, népiegarsi ai mille compromessi cui si era dovutachinare l’Europa in cambio del progresso, dellecomodità, di una vita un po’ meno misera.Oggi l’uomo era riuscito a coniugare magnificamentetecnologia e giustizia, progresso e natura, energia

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e pulizia, riuscendo a vivere sempre secondo leproprie aspirazioni.Perché allora non era felice? Aveva combattuto peravere ciò che aveva alla fine ottenuto, ma, secondoquanto aveva ammesso il saggio Gordiano, non erafelice.

Di tanto in tanto Giulio alternava la contemplazionedella campagna a destra e a sinistra del viale e lesue meditazioni con la contemplazione di Clara, chepasseggiava per prati fioriti molto simili ai suoi.E la sovrapposizione che avveniva nei comunicatoresfra l’immagine locale e quella remota creava unapiacevole dissolvenza, un fluire di un mondonell’altro.Clara vestita di bianco raccoglieva fiori come unabambina. Clara di tanto in tanto chiedeva di lui.Clara faticava a parlare la lingua latina, e cercavadi farsi aiutare, ignorando che chi le stava accantoera sua carceriera, essendo all’oscuro del fatto chea lei e alle altre persone che aveva attorno era piùcomodo scambiare con lei il minor numero di parolepossibili, e potersi trincerare dietro il murodell’incomprensione ogni volta che le domandedovessero creare qualche imbarazzo.

Il cuore gli si stringeva d’affetto, e la fiduciaaumentava, mentre a tratti diminuiva. E perscacciare i cattivi pensieri, quando sembravanodivenire dominanti sui buoni, tornava a pensare alparadosso dell’infelicità di questo popolo contento.

Per l’ennesima volta stava percorrendo il vialeverso la canonica quando, finalmente, vide Simoneche gli veniva incontro, facendogli cenno dientrare.

Capitolo XXXPrimi risultati?

“Siete riusciti localizzarla?” chiese appena fucerto di essere in zona schermata.“A grandi linee s씓Spiegati meglio, non capisco ciò che intendi dire”“Ho localizzato la macro area. Ti confermo che ènella regione europea (questo siamo riuscito adappurarlo nei primi dieci minuti), più precisamentein Gallia, nella regione narbonese. Al momento siamoriusciti a definire l’area come quella compresa fraBurdigala21 e Tolosa, probabilmente lungo il corsodella Garonna. Dunque non molto lontano da qui”“Di più?”“Di più, per il momento, non sono riuscito adecifrare. Ma non credo sia opportuno continuare,per oggi. Non conosco appieno le loro conoscenze, e,benché provengano dalle zone primitivedell’Oltrecanali, sono padroni di diverse conoscenze

21 Bordeaux

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che sicuramente ci hanno rubato; diversamente nonsi spiegherebbe il fatto che siano riusciti acontrollarti come hanno fatto.Non vorrei che scoprissero il nostro gioco”“Vuoi dire che…” chiese Giulio allarmato.“No, non necessariamente, però potrebbero spostarla.Meglio procedere con cautela. Domani riprenderemo lericerche.

Giulio, un po’ rassicurato e un po’ contrariato sisedette, stanco, su una vecchia cassapancapolverosa, che strideva con la pulizia quasiossessiva che aveva trovato nelle abitazioni piùricche, come quella di Decio Fortunato, o piùmodeste, come la reggia di Gordiano.Combattuto fra l’ansia di sapere dove si trovasseClara e il terrore per le decisioni su che fare unavolta che il luogo fosse stato individuato vedeva isuoi pensieri oscillare come un pendolo, mosso daun’inerzia irrefrenabile, ma la cui ampiezza,costante e regolare, l’obbligava a un ritmoincalzante, a un’inquietudine, alla mancanza dipace.Simone se ne accorse, gli si avvicinò e gli appoggiòuna mano sulla spalla.Gli sembrò diverso dal vecchio curioso, malvestito,sporco, che gli era apparso le prime volte neiluoghi più impensati; dall’enigmatico uomo che, vocefuori dal coro tecnologico e organizzato, ripetevaquasi come un mantra ossessivo “regnum meum non de hocmundo est”.

Ma poi rifletteva: Simone era sempre lo stesso, erasempre malvestito, nella sua logora e lisa tonacascura, sporco, con una barba incolta, cheprobabilmente radeva sì e no una volta la settimana,che ancora in questo momento gli mormorava la frasemantrica “regnum meum non de hoc mundo est”. E dov’era allora la differenza? Forse stava comesempre nella contrapposizione fra noto e ignoto, percui l’ignoto non ha confini, a differenza del noto,affascina e turba, attira e respinge, mentre il notorassicura, forse annoia, ma ci tiene ancorati a sécome uno scoglio, una boa, una scialuppa disalvataggio. Forse perché anche se non è notol’ignoto lo diventa quasi se confrontato conqualcosa di ancora più sconosciuto.

Capitolo XXXIGordiano e le due Clara

Il giorno seguente, dopo un breve viaggio aMediolanum per trascorrere la notte a casa sua,Giulio ritornò ad Arelate di buon mattino,desideroso di incontrare nuovamente Simone. Eranodiverse le questioni che gli voleva porre: consiglisu che fare una volta localizzata Clara, consigli sucome procedere con Gordiano, consigli sulla sua vitaspirituale. Oggi più che mai, sebbene non fosse mai

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stato un osservante stretto, sentiva la necessità diparlare con qualcuno cui chiedere conforto circa ilsuo spirito.Troppe vicende lo avevano sballottato e la suaesistenza aveva preso una piega incontrollabile, benlontana dalla vita equilibrata di insegnante emarito che aveva condotto nel ventunesimo secolo.Sapeva che non era difficile trovare Simone, perquello strano sesto senso del prelato, oppure peruna tecnologia non ancora a lui dischiusa, comeaveva potuto constatare. Si diresse comunque nellavecchia canonica della campagna di Arelate doveavevano avuto luogo, il giorno avanti, le primeoperazioni di localizzazione di Clara.

Entrò nei vecchi locali dopo aver percorso il lungoviale di platani sul quale il giorno prima avevagirovagato avanti e indietro. La porta era aperta.Entrò.Sentiva un vociare sommesso provenire dalla stanzaaccanto. Si avvicinò. Era un dialogo fra duepersone. Una delle due voci era manifestamentequella di Simone. Non era sua abitudine origliare,ma anche l’altra gli sembrava familiare. Cercò unaposizione in cui potesse capire meglio che cosastesse succedendo. In fin dei conti, pensò, non lostava facendo per pettegola curiosità, ma avevabisogno di capire fin in fondo dove e come simuoveva il mondo attorno a lui, e raccogliere tuttele informazioni possibili per potersi destreggiarein questo mare tempestoso.

“Reverendissimo padre, ho bisogno del tuo consiglio”Le parole dell’altra persona, quella che non eraSimone, gli giungevano chiaramente. E capiva checonosceva quel timbro di voce.“Che cosa mi sta nascondendo Giulio? Perché mi diceche frequenta la moglie Clara, quando invece sitratta di un’altra donna? Padre, aiutami a capire,dimmi perché. Sai quanto è importante per me cheGiulio mi dica la verità. Sai che senza la veritàtutto diventa più difficile. Tu sai la fiduciaimmensa che ho nelle tue sante e sapienti parole”Forse Pertinace o Decio avevano capito, durante lacena, che la ragazza non era Clara? Certamente eraun fatto notevole vederli piegati davanti al prete,loro che avevano sempre mostrato un atteggiamentopositivista, scientista e razionale, anzi, di più,una sufficiente noncuranza davanti al problema. Mala voce non era né quella di Decio né quella diPertinace.“Abbi fede, Gordiano” gli rispose Simone “abbi fedein lui, sa che deve svolgere una missione, ma anchelui sta attraversando le sue difficoltà e stacercando di fronteggiarle come può”“So che vi vedete, mi ha detto di essere tuo amico”“Lo è. Non ti userebbe mai un torto. Ti è amico, tistima e ti vuole bene. Non è un ingrato, anche se loconosco da poco tempo, tu sai bene che so leggerenel cuore delle persone. Vedrai, presto troverai unarisposta a tutto. Per ora altro non posso dirti.Vai, ora, è pericoloso per tutti se qualcuno ci vedeinsieme”“Addio, padre. Dammi la tua benedizione”

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Sentendo che Gordiano stava andandosene, Giulio sischiacciò dietro una cassapanca, rannicchiandosicome meglio poteva.Gordiano si era avvolto in una tunica da quiritis diprimo livello, ed era uscito alla chetichella.Simone, dopo averlo salutato, era rientrato nellastanza del colloquio.In quel momento Giulio si alzò, fingendo di esserearrivato in quel preciso istante.“Ave et vale, Simone” gli disse con quanta piùnaturalezza poteva.Il prete lo fissò, attraversandolo con lo sguardo daparte a parte.“Da quanto è che sei qui?” gli chiese a bruciapelo.Poi, dinanzi all’esitazione di Giulio, gli esclamòperentoriamente:“Dimmi precisamente da quanto tempo eri lì, che cosahai sentito e che cosa hai capito”Non era il caso di mentire. Giulio aprì il sacco.“Sono arrivato da pochi minuti. Stavo per entrare date, ho sentito che stavi parlando con qualcuno. Misono fermato ad ascoltare, lo confesso. Il miostupore nel vedere che eri con il nostro princeps èstato grandissimo. Ma non è stato nulla in confrontoalla meraviglia che ho provato nel vedere con qualerispetto e devozione si rivolgeva a te, che dovrestiessere a malapena tollerato dalla res publica” La confessione completa gli aveva dato il vigore ela forza della verità.“Ma sono io, a questo punto, che ti chiedo: che cosasta succedendo?”

Simone si lasciò cadere sulla vecchia poltronasdrucita. A questo punto, tanto valeva esserefranchi.“Se hai ascoltato – e non sto qui a biasimarti perciò che hai fatto - avrai sentito che l’hotranquillizzato circa la fiducia che può avere in tee che ti può dare. Ti basta?”“Continua, per favore”“Però avrai capito anche che il princeps si trova inuna situazione molto imbarazzante. Capo supremo diuno stato che ha perseguitato la religione, e ora latollera solamente perché ormai innocua, vive dadiversi anni un profondo travaglio spiritualepersonale. Non è facile, per lui. Se la notiziadovesse trapelare sarebbe un problema gravissimo, enon solo per lui.Pensa soltanto se quegli uomini che ti hanno giàposto in grave difficoltà lo venissero a sapere”Giulio rimase in silenzio per qualche istante. Poirispose.“Comprendo benissimo. Conta sulla mia discrezione”“Anche con lui”“Anche con lui” rispose “non temere, farò finta dinulla. Però ha retto bene la parte dell’agnosticorazionalista, quando abbiamo affrontato l’argomentoreligione” sorrise compiaciuto.“Le altissime cariche dello stato devono per forzaavere due volti, uno pubblico e uno privato. Equello pubblico non può rappresentare se stessi,bensì l’istituzione che rappresentano. E non dicooltre”

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“Però” riprese Giulio “se riusciremo a risolvere ilproblema di Clara, come sarà possibile in questacondizione affrontare il problema della felicità? Difronte a una tale pubblica chiusura circa le normemetafisiche, resa obbligatoria dal ruoloistituzionale…”“Non temere. Affronteremo i problemi uno per volta.Vedrai che questo non sarà un problema”

Nel tono di Simone c’era qualcosa di rassicurante,dovuto probabilmente alla consapevolezza di essereparte di un’organizzazione che era durataduemilacinquecento anni, e che, se pur appariva allostato terminale, stava dando ancora una volta provadi una vitalità e di un vigore inimmaginabili.“Et portae inferi non prevalebunt adversus eam22”. Anche se lasituazione era apparentemente quella di un vecchio aun primo sguardo un po’ bislacco, dagli abiti lisi eforse anche sporchi, dall’aspetto trascurato e, adetta di tutti, solo, derelitto ed emarginato dalmondo, questo vecchio mostrava ancora dirappresentare con la sua persona, nel mondoperfettamente organizzato e razionale delventiseiesimo secolo, un potere formidabile.

Capitolo XXXIIAncora con la pseudo Clara a Nemausus

22 E le porte dell’inferno mai prevarranno su di essa

Giulio, congedatosi da Simone, passeggiava con Clara(chiaramente, la pseudo Clara), come oramaid’abitudine, per le zone archeologiche nei dintornidi Arelate. Erano nel parco del quartiere diNemausus23. Come tutti i parchi cittadini coprival’intera città, che si trovava sotto il parcostesso, dal quale riceveva luce, verde, ossigeno.Ogni cittadino poteva salire in superficie pergodere di questi parchi, nei quali, qua e là, eranopresenti (quando le città erano nate in sitiantichi) le rovine, testimonianze di un passato incui la vita era completamente diversa da quella dioggi. Oggi le città erano costruite sotto terra,tutte le abitazioni erano sane, confortevoli,climatizzate, luminose. Si poteva andare a piedi dauna casa all’altra, sotto ogni casa c’era un puntopipiqu, l’ascensore faceva salire in superficie peruna camminata o una corsa nel parco. Giulio aveva trovato nella struttura delle cittàl’aspetto forse più gradevole, fra i tanti latipositivi, del mondo nuovo.Amava tantissimo vivere all’aria aperta, e laprimavera avanzata era un’esplosione di colori e diprofumi, a Nemausus, ad Arelate così come aMediolanum.

23 Nimes

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Riusciva a essere più sereno, ad avere laconsapevolezza che avrebbe presto trovato lasoluzione per riavere la vera Clara.Certo la situazione era sempre più aggrovigliata.L’ultima scoperta fatta incidentalmente su Gordianogli palesava che il mondo era sempre più diverso daquello che voleva apparire, e questo lo induceva aguardare la realtà in maniera se non sospettosaquanto meno dubbiosa e prudente. Avvertiva l’assenza di certezze, se non quelleassolutamente tangibili che portavano immensibenefici nella vita di ognuno. Ma per quantoriguardava le persone, intese come somma disentimenti e affermazioni, si rendeva sempre piùconto che le ultime non sempre erano veritiererispetto ai primi. Era come se nel nuovo mondo esistesse, in ogniindividuo, un “io fuori” che era perfettamenteintegrato con il mondo nuovo, con le necessità dellares publica, mondo che peraltro egli stesso lodava perl’equilibrio organizzativo; ma che questo “io fuori”male o per niente si conciliasse con l’ “io dentro”dei singoli individui.E forse qui risiedeva la causa principale dellamancanza di felicità.Ma poi rifletteva, e pensava di essere probabilmenteesagerato, di esasperare un concetto soltanto perchéil buon Gordiano gli aveva dato una prova tangibiledi questo. Come se Gordiano non fosse ilrappresentante dell’imperium, ma lui stessol’imperium.

Era davvero un’esagerazione, rifletteva. Poiosservava la donna al suo fianco, e qui comprendevache con lei l’idea della falsificazione era statacondotta all’estremo.

Guardando la sua moglie fittizia restava stupefattodalla somiglianza, che riusciva a ingannare anchelui.Solo parlando si rendeva conto che non era la suadonna, perché le parole sono spesso uno specchiodell’anima. E ricordava la passione di Clara, einforcava i comunicatores per vedere Clara passeggiareper il parco della sua villa, ignara del fatto chelui la stava guardando, e che non potevaprecipitarsi da lei come avrebbe voluto. Attendeva con ansia notizie da Simone. I suoiesploratori avevano ormai individuato il luogo, eSimone diceva che, appena avessero avuto glielementi per procedere senza pericolo, si sarebberomossi.Ma dovevano risolvere diversi problemi.Per primo quello relativo all’individuazione delluogo in sé, con la massima precisione. Non eranemmeno certo che fosse in una zona raggiungibilecon il pipiqu, anzi, quasi certamente non lo era, percreare una maggior sicurezza. Occorreva muoversisenza farsi vedere, e sapevano che tutta la zona erasotto un sistema di videosorveglianza.Poi occorreva valutare chi erano i custodi di Clara,se ce n’erano altri, oltre a quelli che si potevanovedere attraverso i comunicatores.

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Infine capire se queste persone erano armate e se sìquanto, e con che armi, e fino a che punto fosserodisposti ad arrivare per difendersi.

Simone la faceva semplice. O meglio, Simone gliriferiva che il suo amico che si era incaricato diseguire la strategia della liberazione gli avevaassicurato che ci si sarebbero riusciti. Mal’operazione era estremamente complessa, ed eradifficile valutare attraverso un diagramma logicotutte le possibilità, con mosse e contromosse.Una partita a scacchi davvero complicata.Simone cercava di infondergli coraggio e serenità.Era questione di tempo.Già, ma il tempo era il fattore meno gestibile. Erariuscito a prendere tempo, con gli scherani, ma finoa quanto avrebbero portato pazienza? Anche neidialoghi con Gordiano cercava di mantenersi sudiscorsi che, conscio del fatto che lo stavanoascoltando, potessero essere interpretati come passinella direzione voluta da Gonzalus e socio.Per fortuna la pseudo Clara era una compagniapiacevole, con cui si poteva discorrere, soprattuttonon era una persona banale. Uno degli aspetti buonidi questo ventiseiesimo secolo era che il livellod’istruzione così elevato faceva emergere tutte leintelligenze, nessuna risultava esclusa, ed eradifficile che le persone si appiattissero su stupidipettegolezzi e su luoghi comuni. Inoltre Clara (lapseudo Clara) testimoniava un’ulteriore ricerca,diventando discepola di Simone, con tutti i rischiche ciò comportava.

Questo era uno degli argomenti preferiti per Giulio.“Com’è che sei diventata cristiana?”Clara sorrise.“Forse sei di una famiglia cristiana?”“No” rispose “ma ho conosciuto persone legate allacerchia di Simone che mi hanno avvicinato a lui. Nelnostro mondo c’è un grande desiderio di andare oltreil sensibile”“Anche se avete tutto?” chiese provocatoriamenteGiulio.“Forse per questo, perché non possiamo piùdesiderare nulla. E quando non puoi più desiderarenulla ti trovi paradossalmente nella stessasituazione di quando ti manca tutto. La paura spessoti prende, perché in entrambi i casi sopravviene unsenso di voragine.Oggi non fa più paura nemmeno la vecchiaia, almenocome la intendevate voi, perché viviamo a lungo,oltre i cento anni, alcuni arrivano anche acentoventi. Le malattie sono state sconfitte, lapovertà è stata eliminata, gli incidenti sonorarissimi. Per cui la vecchiaia arriva improvvisaquando l’organismo ha terminato i suoi cicli vitalie, normalmente, la morte fisica sopraggiunge nelgiro di pochi giorni dopo che sei diventato vecchio.In molti di noi si sta ponendo il problema dellamorte”“Avete paura di morire?”“No, la gente normalmente non ha paura, non dovrebbeaver paura della morte, perché come ha tramandatoNomofilo, Eleuterio ha affermato che non c’è nullada temere dalla morte, perché quando noi ci siamo la

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morte non c’è e quando c’è la morte noi non cisiamo. Ma stiamo provando una sensazione diversa.Quando dico stiamo intendo la nostra gente, iopersonalmente ho un pensiero diverso”“Nomofilo, Nomofilo… sono sempre più convinto chepiù che il prosecutore sia stato il traditore diEleuterio”“Attento a non farti sentire mentre fai questaaffermazione” “E poi” riprese Giulio, senza fare caso alle paroleammonitrici di Claretta (così aveva preso achiamarla, per distinguerla dalla vera Clara) “e poinon sono neppure parole di Nomofilo, e nemmeno diEleuterio, ma del filosofo greco Epicuro”Claretta assunse un’espressione interrogativa.“Non fa nulla” riprese lui, rendendosi conto che nonvaleva la pena prendersela per diritti d’autore diquasi tremila anni prima. Forse, pensò, i grandipensatori del passato avevano ricevuto in eredità daaltri pensatori più antichi di cui si era persa ognitraccia. E ora si ripeteva la stessa vicenda.“Però” riprese da dove aveva lasciato “se anche lavostra cultura non vi fa temere la morte, perché miparli del timore della morte?”“Tu, come me, come la gente dei tuoi tempi, credinell’immortalità dell’anima. Credi che esista unavita oltre la vita. Questo modifica tutta lapercezione della tua esistenza. La vita acquista unsignificato, nella peculiarità della tua persona. Seconcepisci la morte come passaggio, credi anche cheuna parte di te, non di quello che hai avuto, ma diquello che hai fatto, ti resti attaccato addosso.

Puoi forse temere il momento del passaggio, cosìcome chi si getta in piscina teme l’impatto conl’acqua gelata, ma sai che una volta in acqua godraiil beneficio della sua frescura. Poi potrai dirmi di averne anche paura, perché è unviaggio, e un viaggio verso l’ignoto. Ma, in ognimodo, è qualcosa di diverso dal nulla. Del nulla nonpuoi avere paura, dell’ignoto sì. Credo sia piùfacile aver paura della morte se credinell’immortalità dell’anima che se non ci credi”“E allora il problema dov’è?”“Il problema – non la paura – si pone nelsignificato della tua esistenza. Perché se credi cheti dissolverai nel nulla, allora la tua esistenza halo stesso valore di quella di un’ape, che collaboraa costruire l’alveare oppure a produrre il miele. Mail fatto di passare come acqua in un fiume questono, non può darti la felicità. Magari ti può portarealla pace, al sentirti a posto con te stesso e conla res publica, ma non alla luce. Solo la luce puòdarti la felicità. Capisci perché il nostro popolo,che pure è contento, che pure non soffre, non èfelice?”“E voi credenti, voi setta, voi gruppuscolo, avetetrovato la felicità?”“Non so se abbiamo trovato la felicità. Quello cheso è che non ci stanchiamo di cercarla”Crede in Dio chi cerca la felicità, oppure chi credein Dio cerca la felicità? Qual è la premessa e qualela conclusione? Si chiese Giulio.“Quando studiavo filosofia sentivo sostenere, daalcuni filosofi, che l’uomo ha sempre cercato Dio

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per sconfiggere la paura. Appena ha incominciato aragionare si è reso conto dei pericoli immani checorreva, si è reso conto che poteva morire, e cosìha creato Dio per scongiurare la paura della morte.Voi, in un mondo che ha cercato di uccidere Dio,tentate di trovarlo perché cercate la felicità,laddove non avete più paura di nulla. Voi non avetepaura di morire di fame, né di sete, né – quasi – dimalattia o di incidenti; avete soddisfatto tutti ivostri bisogni, vedete premiate le vostreaspirazioni. Ma, ne sono convinto, vi sentitesoffocare dall’orizzonte della vostra esistenza, cheritenete troppo angusta. È così?”Claretta annuì con un sospiro malinconico. “Sì, è così come tu dici. L’uomo del ventiseiesimosecolo ha ottenuto tutto, anche la giustiziasociale, non ha più desideri, neanche il desideriodi sconfiggere la noia. Ma si sente soffocare dallamancanza reale di aspirazioni. E, probabilmente, haivisto giusto, quando hai affermato che ora che siamoarrivai in cima alla vetta, per certi versi cichiediamo ‘è tutto lì?’ e scopriamo i nostri limiti.La nostra libertà è illusione, la nostra prigione èsemplicemente grande, larga, tanto spaziosa che nonriusciamo nemmeno a scorgerne i muri, però conquesti muri prima o poi ci scontriamo”L’immagine evocò immediatamente a Giulio il pensierodi Clara, prigioniera in una cella di cui nonriusciva a scorgere le mura, ma che non per questopoteva chiamarsi libertà.“Felicità è libertà?” le chiese “e reciprocamente,libertà è felicità?”

“Mi fai delle domande difficili, Giulio. Non lo so.Non so risponderti. Quello che so che io sono allaricerca di qualcosa che vada oltre questo mondosensibile, che dia un senso diverso alla mia vita didonna, di essere umano in mezzo agli altri esseriumani, e che non sono sola, in questo. Tanti,tantissimi si stanno unendo a noi”

Capitolo XXXIIICon Simone – nuove localizzazioni

L’indomani ritornò con Simone alla capannaschermata. Occorreva lavorare di cesello. Tanto più che aveva appena avuto uno sgradevoleincontro con i due scagnozzi. Questi gli avevanochiesto il rendiconto del suo operato, gli avevanodetto che la pazienza non era illimitata, e che seanche – aveva sottolineato il più accondiscendenteGonzalus – se anche la vita di Clara non era inimmediato pericolo – e mentre calcava sull’aggettivoimmediato il truce Gotfriedus gli aveva gettato unosguardo sinistro – non si sentiva di garantire alungo la possibilità di vederla attraverso icomunicatores. Se aveva orecchie per intendere, intendesse.Giulio aveva protestato che l’impresa non era cosada poco. Ma l’uomo aveva replicato che lui sapevasolo questo: Giulio stava perdendo gran parte del

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suo tempo con quel miserabile e sudicio sacerdote,anziché stare alle costole del sovrano. Il restoerano chiacchiere. E con questo si erano congedatida lui, Gonzalus con un mezzo inchino canzonatorio,Gotfriedus con il suo sguardo sprezzante, quasiferino.

No, l’incontro non gli era piaciuto per nulla. Erastato motivo di apprensione e di ansia. Il temposembrava sfuggirgli dalle mani.Gli pareva quasi che in quel limbo in cui stavavivendo si stesse bene, tutto sommato, disponendo diamicizie, conversazioni piacevoli e sempre di altolivello, potendo anche avere un contatto, benchélimitato, con Clara. Ma sempre di limbo si trattava,non certo di quel paradiso di felicità al qualesentiva di aspirare.Con questi pensieri era tornato da Caio Marzio, perprocedere con l’individuazione della prigione diClara. L’amico di Simone, specialista di localizzazioni, siera piazzato nella vecchia canonica schermata. Daquella che Giulio ormai chiamava scherzosamente “unadelle catacombe del ventiseiesimo secolo”, una voltaavuto il benestare di Caio aveva ripreso apasseggiare con moto armonico come un pendolo,avanti e indietro. Ma rispetto alla volta precedente ben altrisentimenti albergavano nel suo cuore. L’immagine deidue stranieri, l’atteggiamento subdolo del primo,

l’animalesca ostilità del secondo, la sensazione chea breve dovesse succedere qualcosa. La giornata era bella, bellissima, e l’aria limpida.Gli avevano raccontato anche di uno dei recentistudi della scienza, la creazione di convettoriigrometrici, speciali polarizzatori che catturavanotutta l’umidità dell’aria durante il giorno attornoa poli elettrici che, durante la notte, larilasciavano, irrigando i campi.L’obiettivo era quello di stabilizzare la natura,arrivando a un mondo solare in cui la pioggia, omeglio, ciò che avrebbe preso il posto dellapioggia, sarebbe stato limitato alle ore notturne.Finora si trattava di esperimenti molto limitati,circoscritti alle zone più umide della res publica. Inparticolare nella Gallia belgica, regioneestremamente umida, un’area molto vasta era statasottoposta all’esperimento con risultati eccellenti.Bello davvero il nuovo mondo, che regolerà anche ilclima e la temperatura, pensava. Peccato solamenteche non regoli questi miei problemi.

Così procedeva, avanti e indietro, nervosamente,senza riuscire a immaginare ciò che sarebbesuccesso. Si sforzava di pensare al successo dell’operazione,ai due banditi imprigionati. Quale sarebbe stata laloro pena? Così cercava di farsi coraggio. Anche sedi tanto in tanto i due figuri facevano capolino frale sue elucubrazioni, e allora il sole non scaldavapiù, i colori che gli erano sembrati brillanti

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diventavano opachi e un’inesistente nebbia avvolgevalui e i suoi pensieri.Poi il pendolo delle sue meditazioni tornava aoscillare verso la luce, e pensava che cel’avrebbero fatta, che sicuramente avrebbero vinto.Ma era proprio la vicinanza della soluzione che,invece di infondergli speranza lo assillava dipreoccupazioni. Come se dovesse bere l’amaro calicedi un’umana passione.

Mentre rifletteva su questi concetti vide laggiù,sulla porta della vecchia canonica, Simone e CaioMarzio che si sbracciavano. Li raggiunse in pochiistanti, senza correre.“Conosciamo il punto preciso. È giunto il momento diporre in essere il nostro piano”.

Capitolo XXXIVOperazione di recupero

Tutto sembrava volgere verso il lieto fine, maGiulio non si sentiva affatto tranquillo.Simone lo aveva rassicurato. Ogni cosa sarebbeandata per il meglio. Ne era certo, certissimo.Sembrava uno stratega che aveva pianificato ilminimo dettaglio.

Poi lo guardava, e Simone tutto gli faceva venire inmente ma non uno stratega. Era vero, però, che latattica era stata affidata ad altri adepti, nellamassima segretezza. Fatto non trascurabile, ognunosapeva che si stava per liberare una personaimprigionata, ma nessuno – nessuno, eccettuatiClaretta e Caio Marzio - sapeva chi era la personada liberare.Il piano, molto complesso, era reso possibiledall’ultima invenzione di Valerio Caro, un giovanebrillante ingegnere del gruppo di Simone: undelocalizzatore. Si trattava, gli aveva spiegato, diuna corona che emetteva contro impulsi, creando difatto un’interferenza di stessa ampiezza e di stessafrequenza, ma sfasata di centottantagradi, rispettoalle onde che venivano utilizzate dal nemico perrintracciarlo. Questo permetteva di neutralizzare lasorveglianza di Gonzalus e Gotfriedus, che sitrovavano ad avere messaggi nulli, con onde piatte.Ma c’era di più. Il giovane catecumeno era riuscitoa individuare il microprocessore sottocutaneo cheera stato impiantato a Giulio durante le operazionidi risveglio. Anche se la prima tentazione di Giulioera stata quella di liberarsene Simone l’avevaduramente ammonito, mettendolo in guardia sulrischio enorme che avrebbe corso, insospettendo ibravacci. Invece doveva continuare tutto come se nulla fosse.Vitruvio (così si chiamava lo stratega) era statochiaro con Simone (Simone non aveva voluto che cifosse alcun incontro con gli altri attori dellaliberazione): non creare alcun sospetto nel nemico,

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continuare come se niente fosse, ostentare un umoreche manifestasse un’ansia di fondo, benché spruzzatadi isole di spensieratezza.Non occorrevano doti di grande attore, a Giulio, permostrare un’ansia di fondo: doveva solo recitare sestesso. Perché se era vero che qualche barlume disperanza si stava accendendo in lui era anche veroche la posta in gioco era altissima.Vitruvio aveva sperimentato l’invenzione di ValerioCaro: messa a punto una strumentazione percontrollare a distanza i dialoghi di Giulio lasaggiava con le interferenze della corona a controimpulsi, verificandone l’efficacia. Le operazioni di liberazione erano comunque statestudiate nel dettaglio.Prima di ogni cosa le abitudini di Clara, che ognimattina, alle nove, con una puntualità kantiana,faceva una lunga passeggiata fino al limitare dellaforesta. Poi la situazione delle persone, che nonerano tante, tutte donne, a eccezione di Gonzalus eGotfriedus, peraltro mai visti né conosciuti daClara.Ogni minimo dettaglio circa il terreno, le asperità,i corsi d’acqua, i sentieri, tutto. E poi la stradada percorrere, gran parte a piedi, per poterraggiungere la foresta.“Il piano di Vitruvio è eccellente” aveva esclamatoSimone, con un’espressione trionfante che poco siconfaceva al religioso, almeno com’era statoabituato a vederlo sinora “Claretta verrà con te ealtri tre amici che conoscerai solo al momentodell’operazione. Marcerete a piedi tutta la notte

nella foresta. Alle nove del mattino, quando Claraarriverà, vi troverete sul posto da almeno un’ora odue. Claretta andrà incontro a Clara, vestita con lamedesima tunica di tua moglie. Le farà cenno ditacere e di seguirla.Clara, stupita di vedere un’altra se stessa, laseguirà incuriosita nella foresta. Qui ci sarai tu.Le verrà posta la corona delocalizzatrice. Claretta ritornerà là, compiendo a ritroso lapasseggiata di Clara. Starà con loro il temponecessario per non destare sospetti, per darvi iltempo di ritornare. Poi, al momento opportuno,modificherà il suo viso flessibile con il calco cheValerio Caro le ha preparato, che le darà lesembianze di una delle donne che controllano Clara.Le assumerà quando il momento glielo concederà, cioèin quell’ora della giornata in cui Domitilla (questoè il nome della carceriera di cui siamo riusciti aricostruire il volto) normalmente si allontana. Allora muterà il volto da Clara in Domitilla, diràalla collega che Clara è sparita e che deve mettersiimmediatamente alla sua ricerca.Così potrà abbandonare definitivamente il gruppo etornare con noi. Solo quando la vera Domitillarientrerà alla base, dopo aver confabulato, sarannoin grado di ricostruire l’accaduto. Ma nel frattempoanche Claretta si sarà messa al sicuro”Giulio aveva assunto un’espressione a dir pocoperplessa.“Che cosa c’è che non va? Temi forse che il pianonon possa funzionare?”

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“Temo per la vita di Claretta. Che le potrebbesuccedere nel momento in cui la dovessero scoprire?La ucciderebbero”La sua preoccupazione era vera. Si era affezionato aquesta donna, a questa amica sincera edisinteressata, che all’inizio gli aveva datopersino fastidio.Simone aveva assunto un’aria trasognata.“Claretta è conscia dei rischi che corre. Anche gliantichi martiri, quelli delle prime persecuzionisotto Nomofilo, così come gli antichissimi martiridei primi anni del cristianesimo, erano ben conscidei pericoli cui andavano incontro. Ma grande èstata la loro gloria. Così accadrà a Claretta”esclamò “sempre che non riesca nella sua impresa.Poi” riprese con enfasi crescente “quello che ciattende è ancora più glorioso. Pensa, una voltasuperati questi problemi potrai affrontare Gordiano,parlargli apertamente. Sai bene, come hai potutoudire con le tue stesse orecchie, che sfonderestiuna porta aperta. Gli dirai che la felicità della respublica dipende solo da una cosa, e, sappi, luiconosce questa verità fin da prima del tuo arrivo.Immagino già il suo destino: una volta che avràmesso il suo popolo a conoscenza delle normemetafisiche, della felicità che deriva dallatrascendenza, tutto cambierà, e il suo popoloriconoscente gli attribuirà l’ultimo dei titoli cheancora non ha: quello di Constantinus.

In hoc signo vinces24. Ripartiremo, una nuova era per lacristianità”Constantinus. In hoc signo vinces. Ripartiremo. Ma Simonenon era l’uomo dimesso del Regnum meum non de hocmundo est?Tutto questo sarà tuo, se ti prostri e mi adori, erastata la tentazione.

Simone sembrava davvero trasfigurato. Ma non diluce, di un opaco sentimento molto più umano emeschino che si chiamava, non sapeva bene comedefinirlo, vanità o desiderio di vittoria. Era comese, in quel momento, la piccola, debolissima Chiesasulla terra avesse mostrato, dapprima, tutta la suavitalità proprio perché fragile, poi ora,all’improvviso, rivelasse davvero di essere polvere,proprio sul punto di giungere a un’inaspettatavittoria terrena. Come un astro che, prima dimorire, si espande in un volume molte volte piùgrande, ma non è altro che la grandezza della fineimminente, della conclusa vitalità.La speranza di una ritrovata secolarizzazione? Eraquesto forse il suo ruolo messianico?

Regnum meum non de hoc mundo est, gli aveva continuato aripetere ossessivamente Simone nei primi incontri. Eora che cosa era successo? Come si era ridottodavanti alla seduzione del successo? La suaaffermazione sul vero regno era allora soltanto unafrustrazione malcelata? Aveva gettato la maschera?

24 In questo segno vincerai

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Oppure era stata una maschera quella che avevautilizzato prima?Giulio sentiva crescere in sé una profonda amarezza.Forse mai, come in questo momento, la speranzasembrava abbandonarlo. Proprio ora, riflettevatriste, ora che la possibilità di riabbracciareClara sembrava davvero vicina. Ma era come se ilmigliore dei mondi possibili mostrasse in questomomento tutti i suoi limiti, nella completa assenzadi ogni speranza.

Capitolo XXXV È l’ora.

Come previsto dal piano previsto avevano marciatoper tutta la notte nella foresta. Il pipiqu piùvicino era lontanissimo, e ci si trovava davvero inuna landa remota. Probabilmente i malandrinidovevano averla scelta per questo motivo, in unluogo abbastanza lontano dalla civiltà. Durante questa passeggiata notturna, in cui avevapotuto constatare una nuova fantastica funzione deicomunicatores (era possibile, grazie agli occhiali,vedere nelle tenebre quasi come fosse giorno) avevaanche provato a chiacchierare con Claretta e conVitruvio che lo accompagnavano. Non riuscivano ad

avere invece alcun contatto con Caio Marzio, che nonpoteva nemmeno localizzarli, perché la corona cheindossavano per non essere individuati dal nemico liteneva lontani anche dagli amici.Aveva provato a scambiare qualche parola con loro,ma non ne aveva voglia. La tensione, forse. Ma,riflettendo, probabilmente era stata più grande lacontrarietà per le parole di Simone. Come se avesseintuito che per l’uomo non c’era speranza, che lalusinga del potere e il miraggio del successosecolare riescono a ottenebrare la vera luce, quellache Giulio aveva scorto all’inizio in Simone.Adesso era come se non esistesse più nulla sullaterra che potesse indurlo a credere nella presenzadivina fra gli uomini.Dopo aver visto un mondo nuovo, dopo averneconstatato lo splendore, aveva toccato il rovesciodella medaglia nella mancanza di felicità; ma oraera ancora peggio. Sembrava svanita anche l’ultimasperanza di redenzione.

Non riusciva a capacitarsi fino in fondo per laportata della sua delusione. In fin dei conti nonera mai stato particolarmente devoto. Credentecritico, pochissimo praticante. Sarebbe dovutorisultargli quasi indifferente quanto era accaduto.Invece no, come un tarlo, le parole di Simone lorodevano dentro.

Cercava a tratti di incolpare del nervosismo latensione per Clara. Per i rischi d’insuccesso. Per

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la possibilità che qualcosa andasse storto. Ma allalunga non riusciva a ingannare se stesso. E non era tanto il fatto che all’improvviso non gliinteressasse più nulla di Clara, anzi. Clara eraquanto mai al centro dei suoi pensieri. Ma prendevacoscienza, forse per la prima volta nella sua vitanel mondo nuovo, di quanto la sua esistenza fossediventata importante per il mondo, e non solo diquesta, ma anche delle future generazioni. L’imperiumnon sarebbe più stato lo stesso, e questo impiantocostruito con pazienza dagli uomini probabilmenteavrebbe ceduto il passo a uno diverso. E a causasua.Però, continuava mentre scostava con un bastone unarbusto che gli intralciava il cammino, da questopensiero ne nascevano due nuovi. Il primo era cheprobabilmente la sua era una posizione fortuita, equindi necessaria: occorreva in poche parole la suafigura per attuare un destino che probabilmente eragià stato scritto nel grande libro della storia.Sarebbe stato da megalomani pensare di attribuirsitutti i meriti o tutte le colpe di ciò che stava persuccedere. In fin dei conti sembrava quasi che lapartita fra Simone e Gordiano fosse già statadeterminata, e, probabilmente, se non ci fosse statoil suo risveglio, avrebbero trovato un altrostratagemma per attuare il loro piano.Anche se… anche se Gordiano era per lui una personatroppo pura per cercare di imbrogliare se stessoancor prima che il suo popolo. Anche se Simone, conl’eccezione dell’ultimo stonato discorso, era sempre

stato una brava persona, e lo aveva aiutatoconcretamente.

Il secondo pensiero che gli venne in mente era chetutto sommato non era male riportare gli uominiverso la strada della trascendenza, dopo quasi duesecoli di buio e cieco illuminismo. Illuminismo cieco e buio, buffo ossimoro, rise in unattimo di gaiezza. Però era vero, questo sedicenteilluminismo che negava l’invisibile solo in quantotale era davvero incapace di percepire una realtàpiù completa.Ma era incapace di vederla o semplicemente latemeva? Eleuterio, il saggio Eleuterio, sicuramentenon sarebbe stato così manicheo sull’argomento; mail rigido Nomofilo aveva percepito che, qualunquefosse la realtà della vita oltre la vita, oppuredell’esistenza di un disegno superiore, erapericoloso per il nuovo ordine e andava nascostaagli uomini. In fin dei conti per spiegare la vita di miliardi diesseri umani bastava ancora la fisica newtoniana, enella quotidianità le scoperte di Einstein nonavevano alcun rilievo. L’infinitamente grande el’infinitamente piccolo non ci appartengono, non cisono utili. Ecco che cosa doveva aver pensato Nomofilo: sonoinutili, e ciò che è inutile è anche dannoso.Avrebbe certamente potuto citargli alcuni enunciatiimportantissimi a difesa della sua tesi, circa ladannosità di quella che lui e i suoi successori

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avevano chiamato superstizione. In primo luogo ilporsi contro l’ordine, il kosmos della res publica. Non era successo così ai primi martiri cristiani,pensava Giulio? Perché quelli solamente, nellatollerante Roma che accettava tutte le religionidell’impero, compresi i misteriosi culti orientali,proprio quelli, i seguaci di Cristo, venivanoportati ai più atroci supplizi? Per un motivo moltosemplice: rifiutavano di bruciare anche un minuscolograno d’incenso all’imperatore, e con ciò mettevanoin discussione l’ordinamento dell’impero.

Le ore passavano. Sebbene scollegati dalla base,riuscivano grazie ai comunicatores preprogrammati aprocedere sui sentieri ignoti della foresta. Stavanoper comparire, alle loro spalle, le prime lucidell’aurora. Erano stanchi, avevano coperto ormaiuna distanza di oltre venticinque chilometri, eanche il giorno prima non erano riusciti a riposarsicome si erano riproposti di fare, a causadell’eccitazione per l’impresa. Ma la stanchezza nondava loro problemi particolari. Sapevano che ormaimancavano gli ultimi cinque o sei chilometri, cosìleggevano nei comunicatores.

I primi martiri rifiutavano di bruciare un granellodi incenso all’imperatore. Che sarebbe successo ora?Gordiano si sarebbe trasformato in un nuovoCostantino? E i barbari dell’Oltrecanali avrebberoinvaso, attraversando i tre canali, le terre dellares publica? Si sarebbero impadroniti delle tecnologie?E alla guerra fredda lungo il quarto confine, il

fiume Eufrate, che sarebbe successo? Anche iPersiani si sarebbero galvanizzati alla notizia diquanto stava succedendo? Avrebbero varcato il fiume,si sarebbero impossessati dell’utilizzo dei pipiqu,avrebbero incominciato a dilagare per l’immensa respublica?Tutto era difficile da prevedere. Forse eranosoltanto romanzi di fantascienza immaginati da chivivendo di passato aveva scelto di gettarsi nelfuturo.Intanto restava un problema più fastidioso, quellodi Simone e del suo repentino cambiamento.

Alle sette il sole di maggio era già abbastanza altosull’orizzonte, ed erano in vista del luogo doveavrebbero dovuto incontrare Clara. Si fermarono,erano esausti. Si sedettero, bevvero e mangiarono unpo’ di cioccolata. Buona, pensò Giulio. Forse ancoramigliore di quella dei tempi passati.

Le ore trascorrevano lentissime.Poi, all’improvviso, apparve Clara. Un vero tuffo alcuore per Giulio, che non si era trovato tantovicino a lei dal giorno in cui aveva lasciato ilcentro medico; che non l’aveva vista camminare sullesue gambe, se non attraverso i comunicatores, da oltrecinque secoli.Che fare? I pensieri si erano immediatamenteintorpiditi. Stanchezza? Emozione? Paura?Impossibile dirlo.Vitruvio aveva preso carico delle operazioni. Luiera lì, inebetito.

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“Tu resta qui, nascosto dietro gli alberi, il tuounico compito sarà quello di rassicurare Clara” poi,rivolgendosi a Claretta “ora è abbastanza vicina,attira la sua attenzione”.Claretta si tolse il casco delocalizzatore, e feceun fischio per attirare la sua sosia.Clara la vide, fu subito presa dal panico. PoiClaretta, con un susseguirsi di gesti, che eranorimasti invariati nei secoli, portò prima l’indicedestro al naso, per ammonirla al silenzio, poi conla mano le fece cenno di seguirla.Dopo qualche esitazione Clara stava entrando nelbosco. Giulio la chiamò.“Clara!” e fece per gettarsi fra le braccia dellamoglie. Ma proprio in quel momento sentì gridarealle sue spalle “Lo sapevo che non potevamo fidarci di te” Atterrito riconobbe la voce di Gotfriedus.“Non hai voluto ascoltarci. Ora avrai quello che timeriti”“Come avete fatto a scoprirmi?” chiese Giulio.“Il merito è suo” disse Gonzalus ridacchiando “deltuo princeps Gordiano. Ora ci toccherà modificare inostri piani”Dalla selva sbucò, smascherato in quel momento dallosgherro, Gordiano.“Lasciatelo subito, ve lo ordino” intimò il princepsai bravacci.“Che cosa vuoi ordinare e a chi?” gli rispose confare canzonatorio Gotfriedus.

“Come” chiese Giulio con un filo di voce,rivolgendosi al princeps “come, tu sapevi? Come haipotuto tradirmi?”Prima ancora che Gordiano potesse discolparsi fuGonzalus stesso, che era rimasto in silenzio, ascagionarlo.“Lui non ti ha tradito. Almeno non intenzionalmente.Semplicemente è stato imprudente, e ti ha seguitonella foresta, non lontano da te. Questo ci ha permesso di localizzarvi. I movimentici hanno insospettiti, e così ci siamo accorti cheeri tu che stavi per farcela alle spalle. Ma ormaile cose sono andate diversamente. Dovremo attuare ilpiano B” disse, stringendo l’occhio all’amico.La testa di Giulio correva, non sapeva più che dire,che pensare. D’impulso si gettò contro l’uomo, senzaneanche rendersi conto dei rischi che correva,oppure realizzando in quell’attimo che non avevanulla da perdere.Anche Gordiano si gettò nella mischia. Gotfriedusestrasse da sotto il mantello quella che dovevasembrare ai presenti un’arma preistorica, unapistola. Lo stesso fece Gonzalus. Gordiano si pose fra l’amico e il nemico. Gonzaluspuntò la sua pistola contro il princeps e sparò. Ma lacorona di quest’ultimo, carica di impulsi elettrici,era stata studiata a suo tempo per garantire lasicurezza personale del primo cittadino della respublica. Era la corona che era stata progettataduecento anni prima per Nomofilo, per garantirglisicurezza, in una fase in cui, ancora, questa nonera affatto scontata.

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Trasmessa da princeps a princeps, a cura dell’advocatusimperii, aveva mantenuto inalterata la sua potenza.

In seguito cercarono di ricostruire la scena, moltorapida. Le uniche cose che avevano capito erano cheil proiettile, sbalzato dal princeps, era finitocontro Giulio e gli aveva perforato il polmonedestro. Poi la colluttazione era terminata in tempi moltorapidi: il secondo colpo sparato da Gonzalus, chenon aveva capito che il princeps era schermato, avevatrafitto Gotfriedus in un punto vitale, propriomentre quest’ultimo per una fatale ironia dellasorte colpiva a morte, nello stesso identico modo,il compare.I due uomini erano così rimasti contemporaneamenteuccisi, con rincrescimento di Gordiano, cheassisteva al primo omicidio del suo principato, edel suo luogotenente Labieno, che vedeva sfumare lapossibilità di sapere qualcosa di più circa questocomplotto.Giulio, privo di conoscenza, fu fasciato come megliosi poteva, poi si cercò di raggiungere, in tempiragionevolmente veloci, il pipiqu più vicino, che siscoprì essere meno lontano di quello da cui eranoarrivati.Clara incredula cercava di capire quello che erasuccesso, alternando la curiosità alla grandepreoccupazione per la sorte di Giulio.

Capitolo XXXVI

Ritorno a Mediolanum

Nel centro medico di Mediolanum Giulio si eraripreso dallo stato confusionale conseguente alterribile colpo ricevuto. Gli analgesici che glierano stati applicati lo avevano mantenuto in unostato di torpore. Ora doveva svegliarsi, per poter procedere a quantonecessario all’intervento chirurgico. Provava dolore. Anche nel ventiseiesimo secolo sipoteva provare dolore fisico. Non ci aveva pensato,in quel mondo così perfetto. Che esistesse il dolorespirituale, quello sì. Le pene d’amore,probabilmente. Ma il dolore fisico sembravaanacronistico, in un mondo regolato in ogni minimodettaglio, in una res publica che aveva sterminato lemalattie, che aveva sconfitto la fame, che avevaridotto al minimo i rischi di incidente, che avevadebellato la miseria.Invece no. Soffriva. La testa, il braccio esoprattutto il torace gli facevano un maleinsopportabile.Pertinace si era avvicinato a lui, verificando chesi era svegliato.“Ricordi qualcosa?”“Clara… Gordiano… i due uomini dell’Oltrecanali…Dov’è Clara?”

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“Sono qui, Giulio. Sono qui accanto a te. Persempre. Mi hanno spiegato tutto. Di quando mi hannotenuta addormentata artificialmente, del rapimento,del fatto che ero prigioniera. Non sapevo di essereprigioniera. Non mi sono resa conto di nulla. Mihanno trattato bene, sai? Per me il futuro era unprato verde puntellato di fiori, circondato daforeste, con persone che si prendevano cura di me.Ma io capivo poco la loro lingua, e loro capivanomale quello che cercavo di dire. Per me era moltobello, il futuro. Però mi mancavi tu. Ti pensavo,durante le mie passeggiate per l’Arcadia. Avevoquasi l’impressione che mi stessi osservando”Giulio sorrise.“Era un po’ così. Non so se te l’hanno raccontato” Si sentiva tranquillo, anche se gli sembrava stranoparlare italiano dopo tanto tempo. Fece perabbracciarla, alzandosi dal letto d’impulso, ma undolore lancinante lo trattenne.Clara lo fece sdraiare. Pertinace riprese, con ilsuo italiano stentato, per non escludere Clara dallaconversazione: “Fra mezz’ora, terminati gli accertamenti, ti faremoil trattamento di anestesia. Poi l’intervento.Dovrebbe durare tre ore. Infine ti sveglieremo, nonti preoccupare di nulla. Ora non devi affaticarti.C’è però una persona che ti vuole vedere”Gordiano era entrato nella stanza. Al suo passaggiole donne e gli uomini del personale si eranoprostrati ai suoi piedi, come folgorati dalla suapresenza. Non era certo cosa comune vedere il princepslì, dove stavano lavorando.

Giulio colse anche una debole espressione dicontrarietà in Gordiano, che per indole detestavaquesto culto della personalità, ma al quale si eradovuto volenti o nolenti abituare.Arrivò al suo capezzale.“Amico carissimo, come stai? Mi dispiace tantodavvero per quanto ti ho causato. Io nonimmaginavo…”“Non temere, Gordiano Augusto Costantino” lo ripresecon una punta d’ironia Giulio.“Costantino? Non capisco”“Capirai, caro amico. Purtroppo capirai”Dopo un attimo di sbigottimento per le parole oscuredi Giulio, non volendo però tormentarlo in unmomento in cui, come Pertinace aveva ammonito,doveva soltanto riposare, decise di soprassederecirca l’indagine, rimandando le domande a dopo laconvalescenza.“Soffri molto?”“Abbastanza per esserne felice”“Ancora una volta le tue parole mi sono oscure”“Princeps” riprese Giulio, mentre Clara lo guardavaallarmata, temendo che si agitasse più del dovuto“tu mi hai chiesto qual è il modo di dare al tuopopolo la felicità. Mi hai parlato della profezia diEleuterio, e del settimo principato, e del futuroche veniva dal passato. Subito le tue parole miavevano turbato. Non capivo che cosa mancasse a unpopolo che non aveva più nulla da desiderare.Poi ho conosciuto Simone, e le sue paroleenigmatiche, quel verso del Vangelo di Giovanni…”“Regnum meum non de hoc mundo est?”

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“Vedo che lo conosci bene, quindi sai di che ti stoparlando. Ho pensato che il tuo popolo non fossefelice perché gli era preclusa ogni speranza diimmaginare una vita oltre la vita. È vero, come miha detto Claretta, che vi siete abituati a nontemere la morte. Ma forse è vera anche l’altraaffermazione di Claretta, che la morte è un problemaper chi non la teme.E poi mi si sono accorto di un’altra cosa moltoimportante, che unita a questa prima che ti hodetto, rende la vita degli uomini davvero infelice”“Quale? Sono tutto orecchie. Parla, ti prego, siamoforse arrivati a svelare il segreto di Eleuterio?”“Eleuterio, tu sai meglio di me” abbassò la voce,perché si rendeva conto che se Gordiano poteva udiree accettare qualunque affermazione, lo stesso non sipoteva dire per gli altri cittadini della res publica,di qualsiasi casta fossero, e l’argomento eradavvero scabroso “Eleuterio fu tradito e ucciso daNomofilo. Nomofilo è stato sì il grande legislatore,il grande organizzatore della res publica, ma è statoanche il traditore del pensiero eleuteriano”Gordiano aveva ascoltato senza battere ciglio.L’argomento certamente gli era fin troppo familiare.“Un grande problema del tuo popolo è che ogni uomovive senza sorprese. La res publica pensa a tutto.Anche a saziare il suo spirito d’iniziativa. Acibarsi di socialità. A capire che è nel mondoperfetto. E a scoprirsi nudo, in questo mondoperfetto, perché l’imperfezione dell’essere umano faa pugni con il suo mondo.

Nel mondo dal quale Clara e io veniamo le donne egli uomini avevano un’idea di ciò che sarebberodiventati. Un’idea basata sulle aspettative deipropri familiari, dei propri insegnanti. Aspettativesulla base della loro intelligenza, delle lorocapacità, dell’ambiente in cui vivevano. Poi, con iltrascorrere degli anni, chiunque si rendeva contoche il futuro era ben diverso da quello che gli erastato prospettato e che si era aspettato. Perchétanti inciampi capitavano per la strada, dolori,lutti, incidenti, ma anche gioie inaspettate, colpidi fortuna, innamoramenti, e le stesse cose che siattendevano, una volta realizzate erano assaidiverse da ciò che si erano immaginati. Le donne e gli uomini dei miei anni come quelli dicento, di mille, di cinquemila anni prima,soffrivano, speravano, sognavano, provavanodelusione, terrore, speranza, gioia.Non voglio dirti che ciò che l’umanità ha ottenutoin questi ultimi duecento anni non sia meraviglioso.È sempre stato il sogno del genere umano risolverepermanentemente i problemi che lo affliggevano.Il pensiero di Eleuterio è stato meraviglioso.L’armonia che ha portato sulla terra sublime. MaEleuterio non ha potuto portare a termine la suaopera, distrutto dall’amico Nomofilo e dallabellissima, seducente e perfida Asebeia.Non so che sia successo a Simone recentemente. Nonso se l’idea di essere appoggiato dal princeps loabbia guastato. Forse Asebeia ha sedotto anche lui.Simone è una brava persona. Soltanto non devedimenticare quella frase che nel momento della

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semiclandestinità ripeteva, quella frase vecchia diduemilacinquecento anni: regnum meum non de hoc mundoest.Gordiano, amico mio, tu sei saggio ed equilibrato.So che pensi tanto al mondo di là, almeno quanto aquello di qua, che per tanta parte dipende da te edalle tue decisioni.Non posso darti nessuna ricetta, tu conosci il tuomondo. Reddite quae sunt Caesaris Caesari et quae sunt Dei Deo25.Fai che mai, mai venga meno questa norma. Ma mentregoverni questo regno, non dimenticare mai l’altro”“Faccio fatica a seguire, a capire. Che cosa dovreifare, secondo te? Associare Simone all’imperium?Rendere libera la religione? Affermare che la nostrares publica è basata sulla religione? Oppure continuarecome ora, lasciando che Simone faccia proseliti,sperando nel mio intimo che converta più persone chepuò, mentre dal trono devo irridere comesuperstizione questo culto, come setta la chiesa,come…”“Sei saggio ed equilibrato, amico mio. Guarda neltuo cuore. E sappi che quanto è successo in questigiorni, anche nei più piccoli particolari, non èsuccesso invano. Nemmeno questa mia piccoladisavventura”In quel momento Pertinace entrò.“Siamo pronti. E tu?”“Anche io” rispose Giulio, lasciando Gordiano persofra i suoi dubbi.

25 Date a Cesare le cose che sono di Cesare e a Dio quelleche sono di Dio

Pertinace gli applicò il cerotto sulla fronte, eGiulio cadde immediatamente nel profondissimo sonnodell’anestesia.

Capitolo XXXVII Epilogo

Il risveglio fu dolcissimo. Avvertì prima una sortadi tepore, poi, lentamente, i colori, colori tenui,ocra, seppia. Lentamente aprì gli occhi. Davanti a lui, Clara. Nepercepì dapprima il sorriso, un sorriso quasimaterno, avvolgente e protettivo; se ne sentìrassicurato come in una seconda nascita.“Quomodo vales?” biascicò, rivolgendosi alla propriadonna, con la bocca ancora impastata perl’anestesia.Il sorriso di Clara si contrasse, e la donna sivolse all’anestesista che le stava al fianco, consguardo preoccupato.“Sta delirando… parla latino”“Non si preoccupi, è normale pronunciare frasisconnesse al risveglio dall’anestesia, soprattuttodopo un intervento complesso come quello che haavuto. Gli capita spesso di usare il latino?”“È insegnante di latino e greco in un liceo. Ama ilsuo lavoro, ama le lettere classiche. Ha spesso

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partecipato a certamen letterari, fin da ragazzo:aveva preso parte anche al Certamen Ciceronianum conun discreto risultato…” mentre diceva queste cose sirendeva conto di parlare a ruota libera, raccontandoparticolari che probabilmente al medico noninteressavano per nulla.“Certo, certo” la interruppe l’anestesista “hocapito. È normale prelevare dalla propria memoria infase di risveglio qualche cosa che appartiene alnostro passato, o alla nostra sfera culturale. Mapasserà presto. La lascio sola con lui, non lofaccia affaticare troppo”Clara seguì con lo sguardo per pochi istanti ilmedico che se ne andava, poi tornò, sorridente, adoccuparsi di Giulio.“E Gordiano? E Pertinace? E Simone? Dove sono?”Gli pose la mano sulla fronte, per accarezzarlo.“Non ti preoccupare, ora pensa solo a riposarti enon agitarti troppo”“Ma in che anno siamo?”“Nel duemiladieci, siamo alla fine di marzo, laprimavera è alle porte e il tuo intervento è andatobenissimo. Ora potrai avere nuovamente una vitanormale”Giulio mostrò un’espressione di accettazione.Qualcosa non gli tornava. Forse lo avevanorispedito, a sua insaputa, nel passato, con unasorta di macchina del tempo. Aveva la testa intorpidita. “Hai ragione, Clara, mi devo riposare. Non possoaffaticarmi troppo. Provo a chiudere un po’ gliocchi”

“Lasciati andare, ci sono io qui al tuo fianco.Leggerò un po’ mentre tu riposi. Chiudi gli occhi.Ti amo” gli bisbigliò, dandogli un bacio sullafronte.“Ti amo anch’io” rispose con un’espressionemeditabonda, mentre chiudeva gli occhi.Forse, allora, era stato tutto un sogno.L’ibernazione, il mondo nuovo, Gordiano, i pipiqu, icives e i quirites, l’Oltrecanali e tutto il resto. Non sapeva ancora se era un sogno bello o brutto,c’erano entrambi gli ingredienti. Nel nuovo mondoc’erano tante cose che gli sarebbe piaciuto vederenel suo, la sconfitta della fame, la cessazione diogni forma di violenza, la pace. Ma c’erano altrecose che non lo convincevano del tutto, questafrustrante ricerca della felicità.Forse era vera la frase di Simone “Regnum meum non dehoc mundo est”. L’uomo può cercare forme diorganizzazione politica e sociale migliori, manessuna di queste di per sé può garantire lafelicità al genere umano. Questa – la ricerca dellafelicità - è qualche cosa che dipende solo edesclusivamente da ognuno di noi, pensò. Voleva forse con questo dire che non valeva la penadi battersi per un mondo migliore? Che era uninutile dispendio di energie quello di cercare dicostruire una migliore civitas26 terrena, se il regnodella felicità non dipende da questa?No, assolutamente no, pensò. Anzi, la conquistadella felicità sta proprio in quello che facciamo,

26 città

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negli sforzi che intraprendiamo per rendere il mondoun ambiente più bello, più sano e più felice. Unambiente dove tutti i nostri simili abbiano miglioriopportunità per realizzare i propri sogni e leproprie aspirazioni di esseri umani. Per averequalche opportunità in più, sempre più opportunità,per avere libertà, sempre maggiore libertà dicrescere in armonia con gli altri. Libertà come possibilità di scelta, senza esserevincolati da nessun limite, compreso quello, forse,di un mondo che era diventato un fine, anziché unmezzo per raggiungere la libertà.

FINE

Terminato il giorno di Natale 2010

NOTE AI NOMI DELL’IMPERO

I nomi degli imperatori e delle loro donne hanno unsignificato preciso.Eleuterio - LiberoEudaimonia - FelicitàNomofilo - Amico delle leggiAletheia - VeritàAsebeia - Empietà

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