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Il candelabro per il cero pasquale nel duomo di S. erasmo a gaeta Roberto Tollo

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Il candelabro per il cero pasquale nelduomo di S. erasmo a gaeta

Roberto Tollo

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Roberto Tollo - Il candelabro per il cero pasquale nel duomo di S. Erasmo a Gaeta 55

Malgrado sia stato a più riprese oggetto, nel corso del secolo ap-pena conclusosi, dell’attenzione degli studiosi, il candeliere cu-

stodito all’interno del Duomo di Gaeta continua ancor oggi ad offrirecopiosi spunti di riflessione ed enigmi da svelare. Senza indugiaretroppo sulle varie proposte di datazione basate su diverse valutazio-ni di ordine stilistico e di vestiario, basterà qui tratteggiare le linee-guida degli orientamenti della critica*.

Registrata nel diario di viaggio del 1688 di monsieur Maximi lienMisson come «prétendüe colonne de Temple de Salomon»1, poi notataanteriormente al 1766 dall’abate Jérome Richard ancora «à côté dumaître-autel»2, la suppellettile liturgica marmo rea venne relegatanello spazio antistante la chiesa in occasione del radicale intervento diriedificazione del sacro edificio patrocinato da Ferdinando IV di Bor-

* Il presente contributo ripropone, con opportune integrazioni ed ampliamenti bibliografici, il te-sto da me pubblicato in Medioevo: i modelli, (Atti del II Convegno Internazionale di Studi di Parma,27 settembre-1 ottobre 1999), a cura di A. C. Quintavalle, Parma 2002, pp. 392-404.Nell’accingermi alicenziare le bozze di questo saggio desidero innanzitutto esprimere la mia riconoscenza a don Anto-nio Punzo che ha voluto cortesemente invitarmi a prendere parte alla duplice giornata di Studi Era-smiani del 17-18 maggio 2003; nonché ai professori Valentino Pace, Mario D’ Onofrio, Herbert LeonKessler e Francesco Paolo Di Teodoro che mi hanno incoraggiato lungo le tappe di questa avvincenteindagine, tuttora in corso. Un ringra ziamento sincero anche alla disponibilità del prof. Luigi Cardi,sempre prodigo di suggerimenti.

1 «En revenant de là, nous sommes entrez dans la Cattedrale, où l’on nous a fait voir entre autrechoses, une prétendüe colonne de Temple de Salomon. Il y en a quatre semblables au grand Autel de laChapelle de S. Marc à Venise». Cfr. M. MISSON, Nouveau Voyage d’Italie, fait en l’année 1688, premie-re partie, LA HAYE 1691, p. 264.

2 «L’église cathédrale de Gayette est un édifice peu considérable. On nous fit remarquer à côté dumaitre-autel une colonne de marbre blanc sculptéè du haut en bas, que l’on croit avoir servi au templede Salomon. Elle est d’un travail gothique & recherché avec beaucoup de propreté».

Cfr. ABBÉ J. RICHARD, Description historique et critique de l’Italie, tome IV, Paris 1769, p. 45.

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bone (1759-1825) fra 1778 e 17923; venne salvata dal degrado nel1909, ancor prima della conclusione dei lavori della facciata, ma siste-mata in maniera decontestua lizzata, dapprima nel pronao del duomoe poi presso la seconda campata della navata mediana (1920).

Nel lontano 1904 Adolfo Venturi osservava che «lo scultore nelcandelabro di Gaeta fa disperare l’iconografo per la distribuzione da-ta al soggetto» perché, accanto «allo studio dell’antichità classica nelforte rilievo delle figure e nella pienezza delle teste (...) la fantasiapopolare si sbriglia a comporre l’atto della sacra commedia», inta-gliando «grossamente, ma con verità»: presupposti tali da giustifica-re una classificazione «alla fine del secolo XIII (...) ultimo strascicodell’arte romanica nel Mezzogiorno d’Italia». Un anno più tardi, purcondividendo l’opinione di monsignor Ferraro che fosse stata la Leg-genda Gelasiana a servire «di fondamento alle rappresentazioni arti-stiche», ribadiva il proprio orientamento verso un artista locale dellafine del XIII secolo4.

3 Anteriormente al 1860 HEINRICH WILHELM SCHULZ [in Denkmäler der Kunst des Mittelalters inUnteritalien, Dresden 1860, vol.II, pp. 139-144; Atlas, tav.LXIV] la vide dinanzi alla cattedrale, pog-giante su un capitello capovolto - ma ancora integro -, sorretto sulla groppa da quattro leoni piantati suun alto cubo lapideo (fig. 1). ONORATOGAETANID’ ARAGONA [in Memorie Storiche della Città di Gaeta, Ca-serta 1885 (2ª ediz.), pp. 299-300] teneva a precisare che dal 1858 sino al 1871 la colonna «fu buttata inuna scuderia» e solo in virtù della propria carica di sindaco egli poté poi ottenere che fosse ricoverata«accosto al muro di rincontro alla detta porta maggiore [della cattedrale] sotto d’un’alcova apposita -mente costruita». Assai precedente a tale ripristino si deve comunque ritenere il goffo riposizionamen-to con il capitello rovesciato al di sopra del basamento a quattro leoni che, dal 1609 ca. sino al 1778‚ ave-va sorretto il cratere neo-attico/fonte battesimale seicentesco firmato da Salpion Athenaios, trasferitoproprio nel 1778 al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Le due coppie di felini addorsati (XIII sec.),già adoperati quali reggicattedra episcopale, debbono ritenersi evidentemente anteriori all’esecuzionedel candelabro, se ne appare la fedele citazione quali stilofori nella formella di Erasmo condotto di nanzial simulacro della divinità pagana ed in talune scenette in cui compare il tiranno Massimiano in trono.Cfr. la testimonianza di JOSEPÈ JEROME DE LALANDE, Voyage d’un françois en Italie fait dans les années1765 & 1766, tome VI, Venise 1769, p. 66; L. SALERNO, Il Museo Diocesano di Gaeta e mostra di opere re-staurate nella provincia di Latina, Gaeta 1956, pp. 9-10; G. ANDRISANI, Il cratere di Salpione Ateniese,in Gazzetta di Gaeta, a. IV, n. 3, 25 marzo 1976, pp. 33-36. Per quanto concerne la venerazione tributa-ta al martire cfr. A. BALDUCCI-F. NEGRIARNOLDI, Erasmo vescovo di Formia, santo, in Bibliotheca Sanc-torum, vol.IV, Roma 1964, coll. 1288-1293; G. DESANTIS, Il culto di s. Erasmo fra Oriente e Occidente, inVetera Christianorum, a.29, 1992, fasc. 2, pp. 269-304; V. von FALKENHAUSEN, S. Erasmo a Bisanzio, inFormianum, (Atti del Convegno di Studi sull’antico territorio di Formia, III-1995), Marina di Minturno1996, pp. 79-92. Si veda in questo volume il precedente saggio di Réginald Grégoire. Sotto l’aspetto ico-nografico cfr. E. RICCI, Mille Santi nell’Arte, Milano 1931, p. 208; L. RÉAU, Iconographie de l’art chrétien,tome III/1 (Ico nographie des Saints), Paris 1958, pp. 437-440; G. KAFTAL, Saints in Italian Art. Icono-graphy of the Saints in Central and South Italian Schools of Painting, Florence 1965, coll. 402-408;Idem (with the collaboration of F. BISOGNI), Saints in Italian Art. Iconography of the Saints in the Pain-ting of North East Italy, Florence 1978, coll. 296-298; Idem (with the collaboration of F. BISOGNI), Saintsin Italian Art. Iconography of the Saints in the Painting of North West Italy, Firenze 1985, coll. 260-264.

4 Cfr. A. VENTURI, Storia dell’Arte Italiana III. L’Arte Roma nica, Milano 1904, pp. 642, 646-659, 1012 efigg. 601-619; Idem, «recensione all’opera di mons. SALVATORE FERRARO, Memorie religiose e civili della cittàdi Gaeta, Napoli 1903», in L’Arte, a.VIII, 1905, pp. 306-309. Propendevano pure per il tardo XIII secolo: S.FERRARO, La Colonna del Cereo Pasquale di Gaeta, Napoli 1905; S. Aurigemma-A. De Santis, Gaeta-Formia-

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In un discusso saggio del 1935, Antonietta Maria Bessone Aureljassegnava invece l’opera allo scalpello di Nicola d’Angelo - qui in an-ticipo (e perciò verso la metà del XII sec.) sull’impresa di San Paolof.l.m. con il socio Pietro Vassalletto - ma attirandosi in tal modo lanetta stroncatura di Geza De Francovich5.

Dissentendo da ogni tentativo di retrodatazione, le brevi conside-razioni formulate da Stefano Bottari nel 1937 si appuntavano sul da-to stilistico: «Non a marmorari romani ma a fiacchi ripetitori delclassi cismo della scultura campana si debbono i numerosi rilievi cheadornano il candelabro pasquale del Duomo di Gaeta eseguito alla fi-ne del XIII secolo»6.

Dal piglio reciso che sostanziava il giudizio espresso nel 1951 daPietro Toesca: «fattura trita già sfiorata da influssi goti ci»7, non sidiscostava molto George Henderson Crichton, allorquando afferma-va che «The style is throughout rough and unfinished, as if a rusticartist were endeavouring to give a rendering of the sacred historyand had allowed his imagination at times a certain liberty on pre-sentation»8.

L’asserzione di Bottari venne completamente ribaltata da MariaLetizia Casanova nel 1976, allorché, facendo il punto sulla sopravvi-venza del patrimonio scultoreo nel territorio di Gaeta, ne datava leresidue testimonianze al XIII secolo, attribuendo «a un marmorarioromano» il candeliere in Sant’Erasmo, «costituendo quest’ultimo ilpiù interessante ciclo iconografico della Campania»9.

Minturno, Roma 1955 (III ediz. Roma 1979, p. 13); G. FIENGO, Gaeta. Monumenti e storia urbanistica,Napoli 1971, pp. 75-76 e figg. 73-75; cronologia ribadita da M. D’ ONOFRIO-V. PACE, La Campania, Mila-no 1981, (Italia Romanica-4), p. 326. Una datazione attestata al 1300 era indicata da N. ALETTA, Gaeta.Guida storico-artistico-archeologica, Gaeta 1931, pp.132-134. Viceversa, P. FANTASIA, L’arte medioevalein Gaeta con speciale riguardo al Candelabro del Cero Pasquale, Napoli 1932, pp. 40-85, propose qualeautore della colonna monolitica l’abate-scultore ANTONIO BABOCCIO da PIPERNO (1351-1435).

5 Cfr. A.M. BESSONE AURELJ, I Marmorari Romani, Milano-Genova-Roma-Napoli 1935, pp. 127-147 e tavv. XXX-XXXII; G. DE FRANCOVICH, Contributi alla scultura ottoniana in Italia. Il puteale diS. Bartolomeo all’Isola in Roma, in Bollettino d’Arte, a. XXX, s.III, fasc. 5, novembre 1936, p. 224nota 50.

6 Cfr. S. BOTTARI, Storia dell’Arte I. L’arte classica e me dioevale, Messina-Milano 1937, p. 205.L’opera era stata censita come del XII secolo nel repertorio compilato da A. FILANGIERI DI CANDIDA,Elenco degli Edifici Monumentali. XLVIII Provincia di Caserta, Roma 1917, p. 112; quin di, assegnataad intagliatori capitolini dei primi del XIII secolo da U. OJETTI-L. DAMI, Atlante di Storia dell’ArteItalia na, tomo I, Milano-Roma 1925, fig. 358.

7 Cfr. P. TOESCA, Storia dell’arte italiana II. Il Trecento, Torino 1951, pp. 371-372.8 Cfr. G.H. CRICHTON, Romanesque Sculpture in Italy, London 1954, pp. 146-147 e tav. 87a.9 Cfr. M.L. CASANOVA UCCELLA (a cura di), Arte a Gaeta. Dipinti dal XII al XVIII secolo, (Catalo-

go della mostra di Gaeta-Palazzo De Vio, agosto-ottobre 1976), Firenze 1976, p. 13.

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In tempi relativamente recenti il manufatto ha costituto l’ar -gomento di una meticolosa indagine critica da parte di Martina Pip-pal10. Dopo aver precisato la pertinenza del fusto alla tradizione nord-campana (cfr. Minturno e Sessa Aurunca), mentre il capitello a rosonirinvierebbe alla plastica abruzzese, la studiosa austriaca ha ritenutodi collocare le formelle erasmiane in dipendenza iconografico-stilisti-ca dal contraccolpo innovativo delle due tavolette paesaggistiche di-pinte da Ambrogio Lorenzetti verso il 1338-1340 (ossia La città sulmare e Castello in riva al lago, Siena, Pinacoteca Nazionale)11. È po-tuta così giungere ad avanzare un’attribuzione ad un anonimo sculto-re formatosi in Abruzzo, perfezionatosi a Napoli nel corso del secondoventennio del Trecento ed ingaggiato, per quanto concerne la mera fa-se esecutiva gaetana, sotto il mandato del vescovo Antonio de Ariban -dis da Valencia (1341-1347), frate conventuale e legato del re.

La perdurante disparità di giudizi della critica rispetto all’anali-si formale ed alla cronologia del manufatto incoraggia dunque ad unulteriore contributo in proposito.

In forma di colonna cilindrica (fig. 2), il candelabro ha una circon-ferenza di cm. 130 ed un’altezza complessiva di cm. 350, includendo ilparallelepipedo di base ed il capitello floreale di coronamento, gremi-to di volatili. Il fusto è decorato da 48 bassorilievi ampi cm. 30 x 27 edisposti su quattro bande verticali di 12 lacunari cadauna: la primacoppia di file - cioè quella rivolta verso la navata mediana - illustra sce-ne tratte dalle Gesta Christi, mentre la seconda coppia è imperniatasul ciclo del santo eponimo Erasmo. L’ordine di lettura è bustrofedico,con un’impaginazione che discende dall’alto verso il basso (Tav. I).

All’interno di cornici fogliate di sapore ancora romanico12, scom-

10 Cfr. M. PIPPAL, Der Osterleuchter des Doms S. Erasmo zu Gaeta, in Arte medievale, n.2, 1984, pp.195-244. Più recentemente si è posto sulla medesima scia Enrico Bassan, il quale, nell’attribuire il can-deliere ad un artista dell’ambito dell’abruzzese Francesco Petrini, ne ha ipotizzato una datazione aglianni Quaranta del Trecento, salvo poi precisare come il «linguaggio minutamente descrittivo» dei rilie-vi appaia «talvolta arcaizzante»; cfr. E. BASSAN, Il nucleo cittadino di Gaeta, il borgo e la spiaggia, in La-zio Meridionale, (Luoghi e Tradizioni d’Italia), Roma 2000, pp. 438-439.

11 Tuttavia questa impostazione viene di per sé a vacillare qualora si accolga l’attribuzione di Federi-co Zeri, che assegnò al Sassetta la coppia di tavolette di pioppo ritenendole porzioni resecate del trittico del-l’Arte della Lana del 1423-1426; cfr. F. ZERI, Ricerche sul Sassetta. La pala dell’Arte della Lana (1423-1426),in Quaderni di Emblema, 2, Bergamo 1973, pp. 22-34. Per l’autografia di Ambrogio Lorenzetti cfr. P. TORRI-TI, La Pinacote ca Nazionale di Siena. I dipinti dal XII al XIII secolo, Genova 1977, pp. 113-116.

12Le cornici fogliate di questi ultimi parrebbero invece ricor dare quella del pluteo rettangolare di ma-nifattura abruzzese già in San Pietro in Albe, ora presso il Museo Diocesano di Arte Sacra della Marsica a

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partite da un listello a quadrifogli e/o denti di sega, i convessi qua-drilobi, purtroppo assai mutili, sono stipati di figurette dalle tozzefattezze anatomiche, sovente con testa e piedi lievemente sovradi-mensionati, fasciate entro palli il pan eggio dei quali ricade in piegheconsistenti e ritmate a venta glio, mentre i miliziani indossano cottea maglie ondulate. I volti, dalle gote rigonfie, nasi larghi e capiglia-ture a lunghe striature rigide, si caratterizzano per lo stilema dei glo-bi oculari racchiusi fra spesse palpebre: in linea di massima essi ac-cusano una certa stereotipìa e solo alcuni momenti topici tradisconouna vibrazione di moto interiore: la spossata Puèrpera della Natività(recumbente sotto una coperta di raffinata stoffa rotata) (fig. 3); l’af-franto Giuseppe della Fuga in Egitto (fig. 4); l’inconsolabile madredella Strage degli Innocenti (fig. 5); il martire Erasmo sotto i tormen-ti inflittigli dagli aguzzini (fig. 6); oppure gli esagitati demòni delleTentazioni nel deserto (fig. 7) e della Anàstasis (fig. 8), esemplati sul-la suggestione di antefisse e maschere teatrali antiche (certamenteofferte in gran copia dalle rovine della vicina Minturnae).

Quest’ultima dotta citazione, oltre a porsi in ideale sintonia col ca-rattere visionario dei portali e capitelli borgognoni a soggetto escato-logico (Autun, Saulieu), riflette un’assimilata consuetudine con i mar-mi classici, quale parimenti riaffiora nel cratere della Lavanda delNeonato (fig. 3); nell’ara decorata a girali e festoni floreali presso laquale è convenuta la Sacra Famiglia nella Presentazione al Tempio(fig. 9); nel personaggio clamidato con fibula e nel tripes a protomi ezampe feline della Amministrazione del battesimo agli abitanti di Sin-gidunum (fig. 10); nel sarcofago strigilato da cui risorge vittorioso ilRedentore o al quale si accostano le Tre Pie Donne (fig. 11): rilievi evi-dentemente plasmati sull’osservazione diretta della coppia di sarcofa-gi conservati nel vano alla base della vicina torre campanaria13.

Proprio l’approccio iconografico parrebbe suggerire una mag giore

Celano, raffigurante due draghi affrontati e con il collo intrecciato, di datazione oscillante fra XII edinizio del XIII secolo. Cfr. R. DELOGU, La chiesa di San Pietro di Alba Fucense e l’architettura romani-ca in Abruzzo, in Alba Fucens II. Rapports et études, Bruxelles-Rome 1969, p. 5 e tav. XXXIX-65; M.MORETTI, Architettura medioevale in Abruzzo, Roma, 1971, p. 337 fig. 27. Anche per il bocciuolo si po-trebbe proporre un raffronto con il capitello con due uccellini scolpito intorno al primo quarto del XIIIsec. per una delle cappelle del braccio sinistro del transetto dell’abbaziale cistercense di Santa MariaArabona: cfr. U. CHIERICI, La chiesa di Santa Maria Arabona presso Chieti, in Napoli Nobilissima, vol.II, fasc. III, settembre-ottobre 1962, fig. 28. L. BARTOLINI SALIMBENI-A. DI MATTEO, Santa Maria Ara-bona. Un’abbazia cistercense in Abruzzo, Pescara 1999, p. 81 fig. 111.

13 Cfr. FIENGO, Gaeta, op. cit., pp. 78-80 e figg. 78-79.

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cautela nella collocazione cronologica della serie di bas sorilievi mes-sianici, ponendo in evidenza una serie di risponden ze ed estraneitàalle innovazioni compositive varate dai maggiori protagonisti dellacultura figurativa della seconda metà del secolo XIII. A tal proposito,si guardi nel Golgota all’appiombo del corpo del Patiens (fig. 12), col-to in uno spasimo ancora pregiottesco ed i cui arti sono trapassati sulpatibolo da soli tre chiodi, vale a dire con le gambe sovrapposte; e altema del Deliquio della Madonna fra le braccia di Maria Maddalena,come nei due pulpiti di Nicola de Apulia nel Battistero di Pisa (1255-59) e nel Duomo di Siena (1265-68). Di conseguenza, all’assenza del-la stessa Maddalena che protende in alto le braccia in gesto di dispe-razione, introdotta da Cimabue nell’affresco del transetto sinistronella basilica superiore di Assisi (1277-79 o 1280-83); come pure allamancanza dei malfattori Dismas e Gestas legati a croci commisse,presenti per la prima volta nel pergamo esagonale di Sant’Andrea aPistoia (1298-1301) di Giovanni Pisano14.

Ulteriori considerazioni possono formularsi a proposito dell’ico -nografia apocrifa della Vergine stante e distolta dalla filatura dellaporpora nel pannello dell’Annunciazione (fig. 13), ove l’Arcangelo Ga-briele irrompente sulla scena dalla destra tradisce l’assuefazione del-l’intagliatore ad una grafia sinistrorsa15. Nella Adorazione dei Pasto-

14 Cfr. S. SETTIS, Iconografia dell’arte italiana, 1100-1500: una linea, in Storia dell’arte italiana, vol. I/3,Torino 1979, pp. 212-235; E. SIMIVARENELLI, La riscoperta medievale della Poetica di Aristotele e la sua sugge-stione sulle arti figurative tardoduecentesche, in Roma Anno 1300, (Atti della IV Settimana di Studi di Storiadell’Arte Medievale dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, 19-24 maggio 1980), a cura di A.M. Ro-manini, Roma 1983, pp. 833-851; Eadem, Cristologia tomista e rinnovo dell’iconografia del “Patiens” nel tardoDuecento, in Arte e spiritualità negli ordini mendicanti. Gli Agostiniani e il Cappellone di S. Nicola a Tolenti-no, (Atti della prima sessione del Convegno Internazionale di Studi «Arte e Spiritualità negli Ordini Mendi-canti», Tolentino, 4-6 settembre 1991), Tolentino 1992, pp. 93-104; Eadem, Le Meditationes Vitae Nostri Do-mini Jesu Christi nell’arte del Duecento italiano, in Arte medievale, II serie, a.VI, n. 2, 1992, pp. 137-148. Peruna disamina della fonte letteraria di riferimento cfr. I. RAGUSA-R.B. GREEN (edited by), Meditations on the Li-fe of Christ. An Illustrated Manuscript of the Fourteenth Century, Princeton (N.J.) 1961. Il legno del supplizioa cui è confitto il corpo del Cristo parrebbe una variatiodel tipo ad X, altrimenti detta croce decussa ta o di san-t’Andrea. GEZA DE FRANCOVICH (ne L’origine e la diffusione del crocifisso gotico doloroso, in Kunstgeschichtli-ches Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana, II, 1938, pp. 143-261, in particolare p. 152) reputava la croce gaeta-na del tipo ad ipsilon con le assi lisce, e datava l’opera alla fine del secolo XIII, biasimando l’interpretazione«sotto l’influsso oltremontano» datane da EVELYN SANDBERG-VAVALÁ (nel suo La croce dipinta italiana e l’ico-nografia della Passione, Verona 1929, passim). Per lo stipes con i bracci ad ipsilon - la croce biforcuta al lusivaall’arbor vitae - «variante d’origine renana» ricorrente «in una serie di Crocifissi romanico-gotici, intorno al tre-cento», si vedano pure le osservazioni di R. CAUSA, scheda n.30, in Sculture lignee nella Campania, Catalogodella mostra di Napoli-Palazzo Reale (a cura di F. Bologna e R. Causa), Napoli 1950, pp. 88-89.

15 Maria è il prototipo della «donna perfetta» esaltata dai versi del Libro dei Proverbi 31. Cfr. A.QUACQUARELLI, La cono scenza della Natività dalla iconografia dei primi secoli attraverso gli apocrifi, inVetera Christianorum, a.25, 1988, fasc.1, pp. 199-215; S. ADACHER-G. OROFINO, L’età dell’abate Desiderio.

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ri (fig. 14), l’esigenza teologica di dimostrare che il Verbo fattosi car-ne aveva assunto in tutto la condizione umana viene tradotta dal ra-ro inserimento della Virgo Lactans assisa in trono accanto ad un me-ditabondo san Giuseppe. Si tratta di un motivo che trova un coevo ri-scontro in una pit tura murale all’interno della Omorphi Ekklisia adEgina, l’isola dell’Egeo alla periferia dell’Impero Paleologo16.

Dall’eco di schemi elaborati in Cappadocia mostra invece di discende-re la formella della Presentazione di Gesù al Tempio (fig. 9): lo attestano gliarchivolti sullo sfondo e l’assenza del ciborio sovrastante l’altare17.

Pure la redazione della Fuga in Egitto (fig. 4), ove Giacomo, fra-tellastro di Gesù, segue l’asina nel mesto drappello degli esuli, sem-bra recuperare lontani prototipi di ascendenza cappàdoce, sedimen-tatisi in Campania ed esemplati dal deturpatissimo affresco nellaGrotta di San Michele Arcangelo ad Olevano sul Tusciano (fluttuan-te fra metà del X ed inizi del XII secolo)18.

Assai più ostica la decriptazione del bassorilievo bipartito (fig.15) facente seguito alla Pentecoste: se appare condivisibile l’interpre-tazione della testa imberbe dal vultus triplex quale rappresentazione

I. Manoscritti cassinesi del secolo XI,Montecassino 1989, (Miscellanea Cassinese-59), pp. 58-63. L’im-pianto riecheggia, ad es., quello della valva di dittico eburneo lavorata a bassorilievo su triplice regi-stro e conservata nel Museo Civico Medievale di Bologna, la cui datazione svaria fra VII-VIII ed XI se-colo [cfr. I. NIKOLAKEVIC, Gli avori e le steatiti medievali dei Musei Civici di Bologna, Bologna 1991,pp.63-65 e fig.26]; o ancora, quello della formella bronzea di Bonanno Pisano per la Porta di San Ra-nieri nel Duomo di Pisa [cfr. R. SALVINI, La scultura romanica in Europa, Milano 1956, pp. 77-78; V.MARTINELLI, Bonanno Pisano, Milano 1966, pp. 4-5 e tav.VIII - entrambi concordi per un’esecuzione al1190-1200 ca.-; W. MELCZER, Le porte bronzee di Bonanno Pisano, in Le porte di bronzo dall’antichitàal secolo XIII, (a cura di S. Salomi), Roma 1990, pp. 373-387 e fig. 27 - che retrodata al 1176]. A pro-posito del dettaglio del vaso con lo stelo del lilium virgi nitatis, allusivo all’immacolato concepimentoprimaverile, può essere rovesciato a favore del candeliere gaetano - come già implicitamente ammes-so da Paul Hetherington nel 1979 - il rappor to di precedenza innovativa istituito nel 1904 da AdolfoVenturi (op. cit., p. 648) a vantaggio del pannello musivo di Pietro Cavallini in Santa Maria in Tra-stevere (1293 ca.); cfr. P. HETHERINGTON, Pietro Cavallini. A study in the Art of Late Medieval Rome,London 1979, pp. 16-17 e fig. 5.

16 L’isola rientrava nei confini del Ducato di Atene, a partire dal 1204 possedimento feudale dei Dela Roche di Borgogna. All’interno di un oratorio a navata unica con volta del 1282, il ciclo evangelico (da-tabile al 1289) propone, oltre alla scena dello Svenimento della Madonna ai piedi della croce, la fusionedei temi della Galaktotrophousa, della Lavanda del Bambino, del l’Annuncio ai pastori e dell’Adorazio-ne dei Magi entro il medesi mo impianto della Natività. Cfr. V.N. LAZAREV, Storia della pittura bizanti-na, Torino 1967, pp. 276 e 289-290; A. CUTLER, The cult of the Galaktotrophousa in Byzantium and Italy,in Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistik, 37, Wien 1987, pp. 335-351 (in part. p. 345 e fig. 5).

17 Cfr. ADACHER-OROFINO, L’età dell’abate, op. cit., pp. 127-130.18 Cronologie sostenute - rispettivamente - da: R. ZUCCARO, Gli affreschi della Grotta di S. Miche-

le ad Olevano sul Tusciano, (Studi sulla pittura medioevale campana, II), Roma 1977, pp. 22, 113-114 efigg. 123-125; ed H. BELTING, Studien zur Beneventani schen Malerei, Wiesbaden 1968, pp. 116-122. Perun più generale inquadramento su prototipi e stilemi dell’Asia minore e della Siria, sempre utile la con-sultazione di G. DE JERPHANION, La voix des monuments, vol.I, Paris et Bruxelles 1930, pp. 201-281.

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della Trinità19, il convulso affastellarsi sulla destra di quadrupedi emembra umane presso due avelli scoperchiati potrebbe forse celarel’eco della diffusione nel centro della penisola di testi didascalico-edi-ficanti del tenore del Bestiario Moralizzato. La raccolta di sonetti tar-doduecentesca, infatti, nell’offrire un ritratto della iena quale ani-male avvezzo a cibarsi di cadaveri dissotterrati dalle sepol ture, vuo-le allegoricamente alludere all’eterna insidia tesa dal nemico satani-co all’anima cristiana20. Insomma, la sorte riservata agli empi.

Occorre inoltre porre nel debito risalto come la giustapposi zionedelle vicende del Salvator Mundi/Verum Lumen e di quelle del Patro-no locale ricalchi una consolidata disposizione narrativa, autorevol-mente additata dalla basiliche protocristiane dei Principi degli Aposto-li. In altri termini, la colonna istoriata di Gaeta, nell’adottare uno sche-ma figurativo che dilata anche semanticamente la pura presentazionedei fatti della Passione pertinenti alla funzione pasquale del candelie-re quale simbolo soteriologico21, propone al riguardante una contem-plazione spirituale sull’esemplarità del Vir Sanctus: la quale in ultimaanalisi affonda le sue radici proprio nelle sequenze parallele delle chie-se romane di San Pietro in Vaticano e San Paolo fuori le Mura (forseconcepite sotto Leone Magno, 440-461): si pensi alla nutrita presenzadi episodi post Christi mortem, fra i quali l’Incredulità di Tommaso, eperfino al deliberato recupero della comprehensio manumilitari paleo-cristiana per la scena di Erasmo al cospetto di Diocleziano (fig. 16). Lastessa incoerenza cronologica nell’impaginazione bustrofedica degliaccadimenti dell’Infanzia di Gesù (al cui interno la Presentazione alTempio risulta posposta ad Adorazione dei Magi, Fuga in Egitto e Stra-ge degli Innocenti), rivela l’influenza del telaio compositivo vaticano ela sua irradiazione nella Campania della seconda metà dell’XI-fine XIIsecolo. In tal senso, il precedente regionale più vicino può essere indi-

19 Cfr. G.J. HOOGEWERFF, “Vultus Trifrons”. Emblema diaboli co. Immagine improba della Santis-sima Trinità. (Saggio iconolo gico), in Rendiconti della Pontificia Accademia Romana d’Archeologia,vol.XIX, 1943, fasc. I-II, pp. 205-245; R. PETTAZZONI, The Pagan Origins oæ the Three-Headed Represen-tation of the Christian Trinity, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes vol.IX, 1946, pp. 135-151; RÉAU, Iconographie, op. cit., tome II/1, Paris 1956, pp. 21-22; S. SILVESTRO, L’incorniciatura della“Porta Speciosa” della chiesa abbaziale di Grottaferrata, in Bollettino della Badia Greca di Grottafer-rata, XLVIII, 1994, pp. 134-136.

20 Cfr. L. MORINI (a cura di), Bestiari Medievali, Torino 1996, p. 495, «De la yenna». Lo SCHULZ,Denkmaler, op. cit., vi scorgeva quattro fiere fra cadaveri dissepolti, sovrastati da un angelo.

21 Cfr. E. BASSAN, Il candelabro di S. Paolo fuori le mura: note sulla scultura a Roma tra XII e XIIIsecolo, in Storia dell’arte, n. 45, maggio-agosto 1982, pp. 117-131.

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viduato nella campagna decorativa vetero e neotestamentaria che in-teressò la cattedrale di Fondi, solennemente ridedicata a san Pietroverso il 1117, sotto l’episcopato di Benedetto (1111-1137) e il consolatodi Leone (1105-1125) associato al figlio Pietro (1117-1140)22.

È lo stesso genere del rilievo narrativo a sospingere poi l’indaginegaetana verso la basilica ostiense, e più precisamente verso l’innova-zione della colonna onoraria istoriata, firmata da Nicolò d’Angelo ePietro Vassalletto senior nel 1190-1200 ca.: presto esportata attraver-so l’esemplare del Duomo di Capua al di del limes pontificio23.

E nel suo essere esibito fra le navate di una cattedrale, posta làdove era la più settentrionale fortezza del Regno Angioino verso loStato della Chiesa, il candelabro sembra sottendere anche un nettomessaggio ideologico di fidelitas erga Petri sedem che, nell’abbina-mento di congiunture storiche e valutazioni di carattere formale, con-duce a congetturare la possibilità di un’allogazione da parte del loca-le vescovo Benvenuto, proteso in una captatio benevolentiae, ovverosforzo autoriabilitativo, agli occhi di papa Gregorio X (1271-1276).

A seguito dei danni patiti in occasione del sisma del 1231, la catte-drale di Santa Maria e S. Erasmo a Gaeta venne sottoposta ad unacampagna di rimaneggiamento per iniziativa del vescovo Pietro daTerracina, frate dell’Ordo Praedicatorum, in carica fra 1252 e 1256 su

22 Cfr. L. ELEEN, The Frescoes from the Life of St. Paul in San Paolo fuori le mura in Rome: EarlyChristian or Mediaeval?, in Racar (Revue d’art canadienne/Canadian Art Revue), 12 (1985), pp. 251-259; H.L. KESSLER, Pictures as Scripture in Fifth-Century Churches, in Studia Artium Orientalis etOccidentalis, vol.II, fasc.1, 1985, pp. 17-31; W. TRONZO, The Prestige oæ St. Peter’s: Observations on theFunction of Monumental Narrative Cycles in Italy, in Studies in the History of Art, 16, 1985, pp. 93-112; H.L. KESSLER, Caput et speculum omnium ecclesiarum: Old St. Peter’s and Church Decoration inMedieval Latium, in Italian Church Decoration of the Middle Ages and Early Renaissance. Functions,forms and regional traditions, (edited by W. TRONZO), Bologna 1989, pp. 119-146; Idem, L’antica basi-lica di San Pietro come fonte e ispirazione per la decorazione delle chiese medieva li, in Fragmenta pic-ta. Affreschi e mosaici staccati del Medio evo romano, (Catalogo della mostra di Roma-Castel Sant’An-gelo, 15 dicembre 1989-18 febbraio 1990), Roma 1989, pp. 45-64; W. TRONZO, I grandi cicli pittorici ro-mani e la loro influenza, in La pittura in Italia. L’Altomedioevo, Milano 1994, pp. 355-368. Sulla dis-cussa datazione della cattedrale fondana cfr. le osservazioni di G. PESIRI, Una caduta senza rumore:Pietro di Leone ultimo duca di Fondi (1140), in Scritti in onore di Girolamo Arnaldi offerti dalla Scuo-la nazionale di studi medioevali, (Nuovi Studi Storici-54), Roma 2001, pp. 393-423; B. ULIANICH, Il cro-cefisso di Fondi. Il più antico dipinto su tavola esistente in Italia?, in Fondi tra Antichità e Medioevo,a cura di T. Piscitelli Carpino, (Atti del Convegno del 31 marzo-1 aprile 2000), Fondi 2002, pp. 251-306(specialmente le pp. 296-299).

23 Cfr. D.F. GLASS, Romanesque Sculpture in Campania. Patrons, Programs and Style, Univer-sity Park (Pennsylvania) 1991, pp. 113-116 e figg. 126-129; V. PACE, «Nihil innovetur nisi quod tra -ditum est»: sulla scultura del Medioevo a Roma, in Studien zur Geschichte der Europäischen Skulpturim 12./13. Jahrhundert, Frankfurt am Main 1994, I, pp. 593-594.

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nomina di Innocenzo IV Fieschi (1243-1254)24. Infatti il 22 febbraio del1255 papa Alessandro IV (1254-1261), di stanza a Napoli, concedeva alpresule locale la somma di 50 once d’oro per riedificare le «domos Epi-scopales ecclesie Gaietane nimie vetustate collapsas»25.

Il 13 agosto del 1255 i Domenicani ottennero poi dal vescovo loroconfratello la chiesa di Sant’Angelo, sorta nel 1229 laddove un temposi ergeva il castello federiciano, e subito diedero inizio ai lavori perfabbricare un cenobio «opere sumptuoso».

Il 15 marzo dell’anno seguente il neo-episcopo Benvenuto esor tavai fedeli della propria diocesi a soccorrere i Frati Predica tori in quel lorosforzo edilizio26. Il nuovo prelato era stato in precedenza camerarius(cioè membro della familia) del cardinale Ottaviano Ubaldini (1210ca.-1273): e fu proprio quest’ultimo a presceglierlo per il mandato dipastore diocesano, nelle cui vesti, ottenuta la conferma da AlessandroIV, coprì l’arco cronologico dal 31 gennaio del 1256 sino al 127627.

Sebbene in seno alla Curia di Innocenzo IV l’arcidiacono Ubal dinifosse tacciato di scoperta ed atavica partigianeria filo-imperiale, fu po-sto alla testa delle truppe clavesignate che patirono la sconfitta nel mag-gio del 1256 a Lucera contro Manfre di di Taranto (1250-1266): cosicché,il 10 agosto seguente il porporato fiorentino si vide piegato a siglare aFoggia un armi stizio in base al quale Corradino di Svevia veniva ricono-sciuto re di Sicilia, e lo stesso Manfredi quale reggente; al papa sarebbespettata la Terra di Lavoro. Il tutto sotto riserva di ratifica pontificia28.

24 Per una puntuale ricostruzione delle stratificate vicende costruttive della fab brica gaetana cfr. M. D’ ONO-FRIO, La Cattedrale di Gaeta nel Medioevo, in Rivista dell’Istituto Nazionale d’Archeologia e Storia dell’Arte, s.III,a. XIX-XX, 1996-1997, pp. 227-249 [ripubblicato con alcune rettifiche in Pio IX a Gaeta (25 novembre 1848-4 set-tembre 1849), (Atti del Convegno di Studi per i 150 anni dell’avvenimento e dell’elevazione della diocesi di Gaetaad arcidiocesi, 13 dicembre 1998-24 ottobre 1999), a cura di L. Cardi, Marina di Minturno 2003, pp. 239-262].

25 Si veda Codex Diplomaticus Cajetanus, II, Montis Casini 1891, (Tabularium Casinense, II), p.383; M. D’ ONOFRIO, op. cit., p.256.

26 Cfr. P. CORBO-M.C. CORBO, Gaeta-La storia. Vol.II-Il libero comune e la prevalenza guelfa, Gaeta 1989, pp.146-147.27 Cfr. F. UGHELLI, Italia Sacra sive de Episcopis Italiae et Insularum adjacentium, tomus I, Vene-

tiis 1717 (editio secunda), coll. 540-541; G. CAPPELLETTI, Le Chiese d’Italia dalla loro ori gine sino ai no-stri giorni, vol.XXI, Venezia 1870, p. 341; P.B. GAMS, Series Episcoporum Ecclesiae Catholicae, Ratisbo-nae 1873, p. 881; C. EUBEL, Hierachia Catholica Medii Aevi, vol.I, Monaste rii 1898, p. 268; L. JADIN,Benvenuto, in Dictionnaire d’histoire et de géographie ecclésiastique, tome VIII, Paris 1935, col. 289.

28 È il «Cardinale» che Dante colloca nel girone degli ereti ci (Inferno X,120). Cfr. L. GATTO, Il pontificato diGregorio X (1271-1276), Roma 1959, p. 16; A. VASINA, Ubaldini Ottaviano degli, in Enciclopedia Dantesca, Roma1984 (II ediz. rive duta), p. 772; E. PISPISA, I Lancia, gli Agliano e il sistema di potere organizzato nell’Italia meri-dionale ai tempi di Manfredi, in Bianca Lancia d’Agliano fra il Piemonte e il Regno di Sicilia, (Atti del Convegnodi Asti-Agliano, 28-29 aprile 1990), a cura di R. Bordone, Alessandria 1992, pp. 165-181; A. PARAVICINI BAGLIANI,La vita quotidiana alla corte dei papi nel Duecento, Roma-Bari 1996, p. 122. Si noti che nel 1254 al prelato erastata concessa da Alessandro IV quale dimora lo hospitium dei SS. Quattro Coronati sul colle del Celio; cfr. L. BA-RELLI, Il palazzo cardinalizio dei SS. Quattro Coronati a Roma nel basso Medioevo, in Il Lazio tra antichità e me-dioevo. Studi in memoria di Jean Coste, (a cura di Z. Mari-M.T. Petrara-M. Sperandio), Roma 1999, pp. 111-124.

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L’accusa di nutrire ambigue simpatie ghibelline finì col mac -chiare la carriera anche di Benvenuto, dato che l’11 agosto del 1258,questi intervenne all’autoincoronazione regia di Manfredi nel Duomodi Palermo: partecipazione che gli attirò addosso la scomunica dellaSede Apostolica, e dalla quale venne assolto da Gregorio X solo il 4settembre del 1274 mediante un Breve da Lione29. Forse la conces-sione del perdono è da inquadrare nell’ambito del riaccostamento im-periale messo in atto da papa Tedaldo Visconti, operazione che avreb-be avuto il suo culmine nella promessa formulata a Rodolfo I d’A-sburgo (1273-1291) di incoronarlo a Roma il 2 febbraio del 1276, nel-la ricorrenza della Candelora. L’imperatore, dal suo canto, si eraimpegnato a ri spettare e difendere i confini del Patrimonium Petri30.In questo clima politico-religioso poterono pertanto maturare le con-dizioni per l’esecuzione di un manufatto plastico di eccezio nale signi-ficato: il candelabro per il cero pasquale.

Resta assai arduo appurare se l’ex patriarca Tedaldo Visconti,nel suo lungo viaggio da Gerusalemme a Roma per farsi incoronarepontefice, avesse sostato pure nel centro tirrenico: si sa che sbarcò aBrindisi il 1° gennaio del 1272 e che poi venne accolto trionfalmentea Benevento da Carlo I d’Angiò, che lo scortò sino a Ceprano alle por-te del Patrimonium Petri31. Ma riprendendo una felice intuizione diHorace K. Mann, che nel 1921 sottolineava come il monarca franceseavesse in realtà continuato ad accompagnare il pontefice sino a SanGermano (ove fu dal 25 al 30 gennaio di quell’anno)32, è lecito sup-porre che la comitiva operasse un mutamento di rotta per recarsi avenerare le spoglie di Benedetto e Scolastica nell’ abbazia di Monte-cassino; se succes sivamente il tragitto prescelto ripercorse in partequello della Regina Viarum, diverrebbe allora plausibile anche una

29 Cfr. GAETANI D’ ARAGONA, Memorie Storiche, op. cit., p. 359; J. GUIRAUD, Les Registres de Gré-goire X (1272-1276), II fasc., Paris 1893, pp. 160-161, n. 410. Sul valore eminentemente genealogico at-tribuito dal sovrano alla cerimonia panormita cfr. I. HERKLOTZ, «Sepulcra» e «Monumenta» del Medioe-vo, Roma 1985, (II ediz. 1990, pp. 221-222).

30Cfr. A. TAFI,Gli ultimi 25 giorni di vita del Sommo Ponte fice Beato Gregorio X e la sua morte av-venuta in Arezzo, in Gregorio X nel VII centenario della morte, Piacenza 1977, pp. 26-28.

31 Secondo BERNARDUS GUIDONIS, Vita Gregorii Papae X [in L.A. MURATORI, Rerum ItalicarumScriptores, tomus III, Mediolani 1723, pp. 597-598] il pontefice approdò a Brindisi, attraversò il Regnodi Sicilia in compagnia del re Carlo I e, transitato per Capua, giunse a Viterbo; la biografia dell’Anoni-mo del 1290 ca. [ibidem, pp. 599-605] riporta invece il seguente percorso: Brindi si, Benevento, Ceprano,Viterbo. Cfr. A. PARAVICINI BAGLIANI, La mobilità della Curia Romana nel secolo XIII. Riflessi locali, inSocietà e istituzioni dell’Italia comunale: l’esempio di Perugia (secoli XII-XIV), (Atti del Congresso Sto-rico Internazio nale di Perugia, 6-9 novembre 1985), vol.I, Perugia 1988, pp. 237-239.

32 Cfr. H.K. MANN, The Lives of the Popes in the Middle Ages, vol.XV, London 1929, pp. 354-356.

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deviazione gaetana. In quella circostanza, il presule sottoposto a cen-sura potrebbe aver impetrato la grazia al novello Vicario di Cristo,che gliela fece comunque sospirare per oltre un biennio: ma la rein-tegrazione nell’autorità della propria carica poté costituire un pre-supposto più che valido per un monumento dal tenore di omaggio ce-lebrativo quale il portacero marmoreo.

Un intervento, se si vuole, analogo all’ossequio al soglio ponti ficioche sostanzia la teoria di rilievi con le Storie del Pesca tore di Galileadispiegate sull’arcata centrale del portico protoduecentesco della cat-tedrale di Sessa Aurunca33.

Sta di fatto che da quel momento in poi il seggio episcopale di Gae-ta ricoprì un ruolo di primissimo ordine nello scacchiere delle relazio-ni fra Sede Apostolica e Casa d’Anjou: Bartolomeo Maltacea (1276-1290), ordinato a Viterbo da Giovanni XXI (1276-1277), fu consiglieredi Carlo I e dal 1280 suo legato presso il papa; Francesco I (1306-1320),dell’Ordo Fratrum Minorum, fu nominato dal pontefice Clemente V(1305-1314) e divenne confes sore del re Roberto il Saggio34.

Resta inoltre ancora da verificare criticamente l’attendibilità del-la notizia riportata unicamente da Giorgio Vasari ed in base alla qua-le Giotto, in marcia verso Roma di ritorno dal quinquen nio trascorsoalla corte napoletana di re Roberto d’Angiò (1309-1343), avrebbe af-frescato nel 1334 nella chiesa dell’Annunziata a Gaeta «alcune storiedel Testamento Nuovo», oggi perdute, fra le quali, quantunque guastedal tempo, il biografo aretino asseriva si potesse ancora ravvisare nel1568 «il ritratto d’esso Giotto appresso a un Crucifisso grande molto

33 Cfr. A.M. VILLUCCI, I monumenti di Sessa Aurunca, Scauri 1980, p. 24; V. PACE, Il programmadecorativo nel XIII secolo, in A.M. VILLUCCI -M. D’ ONOFRIO-V. PACE-F. ACETO, La Cattedrale di SessaAurunca, Sessa Aurunca 1983, p. 33. Il programma è stato interpretato dalla GLASS in chiave di ri-vendicazione della plenitudo potestatis da parte di Innocenzo III (1198-1216): cfr. Romanesque Sculp-ture, op. cit., pp. 163-180 e figg. 160-167. Da segna lare la tesi di M.A. CASTIÑEIRAS GONZALES, il quale,dopo essersi pronunciato per un’esecuzione dell’archivolto sotto l’episcopato di Erveo (ante 1171-1197), e più precisamente fra 1189 e 1197 (cfr. «I poderi sono venduti, a ciò segue l’ingan no»: per unanuova lettura del programma iconografico del porti co della cattedrale di Sessa Aurunca, in Annali del-la Scuola Nor male Superiore di Pisa, s.III, vol.XXIV, 2-3, Pisa 1994, pp. 565-585), e muovendo dallaconstatazione del «parallelismo iconogra fico tra le scene dell’arco sessano e i capitelli di Nazareth -eseguiti ca.1187-», è stato indotto a desumerne la «possibile coincidenza degli inizi dei lavori del por-tico di Sessa con l’appello alla Terza Crociata (1188-1189)», e quindi a pensare «ad un arrivo di model-li orientali nell’Italia meridionale attraverso le vie di pellegrinaggio»; cfr. il suo I ‘loca sancta’ nel ciclodi Pietro e Paolo nella cattedrale di Sessa Aurunca, in Il cammino di Gerusalemme, (Atti del Conve-gno Internazionale di Studio di Bari-Brindisi-Trani, 18-22 maggio 1999), in attesa di pubblicazione.

34 Cfr. UGHELLI, Italia Sacra, op. cit., tomus I, col. 541; GAMS, Series Episcoporum, op. cit., p.881; GAETANI D’ ARAGONA, Memorie Storiche, op. cit., p. 359; EUBEL, Hierachia Catholica, op. cit.,vol.I, p. 268.

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bello»35. Testimonianza che indubbiamente catapulta nel porto tirre-nico, all’epoca di quel vescovo Francesco II Gattola (1320-1341) indi -cato dalla Pippal quale committente del candelabro, l’eco del restauroconservativo ed aggiornativo richiesto da Bonifacio VIII (1294-1303)al Maestro del Mugello per le pitture nel tempio costantiniano alla vi-gilia dell’Annus Remissionis del 1300: ma su un humus, a mio parere,presumibilmente già predisposto a rece pirla. Il Golgota all’Annunzia-ta (fondazione del 1320) doveva probabilmente ricalcare quella «Cru-cifixio cuí latronibus et iuxta crucem Maria mater eius et sanctus Ioan-nes Evangelista» registrata sulla parete sinistra della navata maggio-re di San Pietro in Vaticano dal notaio ed archivista bolognese Giaco-mo Grimaldi (1568-1623)36: modulo che risulta però disatteso nelbassorilievo gaetano, e dunque possibile spia di anteriorità.

Quanto ai lacunari con la Passio di Erasmo, il vescovo morto a For-mia il 2 giugno 303 e le cui reliquie riposano nel succorpo della cattedraledi Gaeta (traslate da Formia tra la fine del sec. VIII ed i primi decenni delsuccessivo), i persecutori Diocleziano e Massimiano Erculio vi compaionoscolpiti dietro le sembianze “attualizzate” di un sovrano del secolo XIII. Inparticolare, i tetrarchi romani indossano sotto la corona il tipico coprica-po duecentesco a cuffia aderente, da cui fuoriescono lunghe ciocche di ca-

35 «Partito Giotto da Napoli per andare a Roma, si fermò a Gaeta, dove gli fu forza nella Nunziata,far di pittura alcune storie del Testamento nuovo, oggi guaste dal tempo, ma non però in modo che non visi veggia benissimo il ritratto d’esso Giotto appresso a un Crocifisso grande molto bello». Cfr. G. VASARI,Le Vite de’ più eccellenti pittori, scultori, e architettori, Fiorenza 1568. Il dilemma non è mai stato af-frontato dai vari commentatori dello storiografo: cfr., per esempio, l’ediz. a cura di G. MILANESI, vol.I, Fi-renze 1878, pp. 391-392; ediz. a cura di P. DELLA PERGOLA-L. GRASSI-G. PREVITALI, vol.I, Milano 1962, p.316; ediz. a cura di R. BETTARINI-P. BAROCCHI, vol.II-testo, Firenze 1967, p. 109; ibidem, vol.II-commen-to, Fi renze 1969, p. 387; ediz. a cura di L. e C.L. RAGGHIANTI, vol.I, Milano 1971, p. 377. Un pallido ri-flesso del ciclo potrebbe essere sopravvissuto nei frammentari affreschi dell’Oratorio dell’Immacolatapresso l’Istituto della SS. Annunziata a Gaeta (fondazione del 1320-21), oggi in parte nel locale MuseoDiocesano, attribuibili ad un anonimo dall’inflessione dialettale attivo nella seconda metà del secoloXIV; cfr. scheda in CASANOVAUCCELLA, Arte a Gaeta, op. cit., pp. 32-33.

36 Cfr. G. GRIMALDI, Descrizione della Basilica Antica di S. Pietro in Vaticano. Codice Barberino Latino2733, (edizione e note a cura di Reto Niggl), Città del Vaticano 1972, p. 140 e fig. 55. Si tratta di un manoscrittodella Biblioteca Apostolica Vaticana, dedicato e consegnato a papa Paolo V Borghese il 29 maggio del 1620.

37 Sarebbe metodologicamente forzato adoperare tale indumento quale discriminante cronologi-ca ai fini dell’indagine: la cuffia sembra infatti far parte tanto dell’abbigliamento del laico (il senatoreGiovanni Colonna? 1235 ca.-ante 1294) genuflesso accanto a due frati minori nel pannello musivo dibottega torritiana della Dormitio Virginis nell’emiciclo absidale di Santa Maria Maggiore, completatonel 1296 [cfr. A. TOMEI, Iacobus Torriti Pictor. Una vicenda figurativa del tardo Duecento romano, Ro-ma 1990, pp. 114-117, tav. XXVII e fig. 118; V. PACE, Committenza aristocratica e ostentazione araldicanella Roma del Duecento, in Roma Medievale. Aggiornamenti, (a cura di P. Delogu), Firenze 1998, pp.187-188 e tav. VIII a-b]; quanto dell’iconografia del re Roberto d’Angiò, come attestano le miniature diCristoforo Ori mina per la Bibbia di Nicolò d’Alife (1340 ca.) presso la Biblioteca Universitaria a Lova-nio, già nel Seminario di Malines [cfr. F. BOLOGNA, I pittori alla corte angioina di Napoli 1266-1414 eun riesame dell’arte nell’età fridericiana, Roma 1969, pp. 276-278 e tav. VI, 62-66; L. ENDERLEIN, Die

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pelli (figg. 6 e 16)37: proprio secondo i dettami della moda attestati, adesempio, nella miniatura dedicatoria della Bibbia vergata dallo scriba Jo-hensis per l’allora principe Manfredi (dunque fra 1250 e 1258) e forse con-fezionata nello scriptoriumdi Napoli (ms. Vat. lat. 36, f. 522v.). Tali ipote-tiche tangenze parrebbero confermate pure dalla simultanea citazionedel gallone ricamato sull’omero ad impreziosire la veste dei protagonisti(nel codice si tratta verosimilmente di Federico II)38. Ed ancora, si consi-deri il lacerto di affresco con Scena Cortese rinvenuto pochi anni or sonoin Palazzo Finco a Bassano del Grappa (1250-1260 ca.), ove le affinità ico-nografiche appaiono abbastanza stringenti: basti confrontare le baccella-ture alla base dei dia demi39. Non mi sembra che possa nuocere a tale tesila presen za dello scettro fiorito fra le mani dell’autorità imperiale (figg. 6e 16), in quanto il simbolo del potere sormontato dal giglio è ampiamenteattestato in manufatti di committenza sveva di varia tipologia40.

Grablegen des Hauses Anjou in Unteritalien. Totenkult und Monu mente 1266-1343, Worms am Rhein 1997,pp. 137-138, 160, 183-185 e tavv. 98, 133]. Ed ancora, essa compare sul capo dei personaggi delle storiette delSacro Corpo rale nel Reliquiario orvietano commissionato ad Ugolino di Vieri nel 1337 e compiuto nel 1339[cfr. P. DALPOGGETTO, Ugolino di Vieri: gli smalti di Orvieto, Firenze 1965, tavv. 13 e 19]. Tuttavia - e si trat-ta proprio dell’eccezione che conferma la regola - se si pone attenzione ad un’opera di tono aulico e di sferaculturale angioina coeva a quella gaetana, quale il monumento commemorativo/sepoltura per le viscere fat-to allestire nel braccio sinistro della Cattedrale di Cosenza per la regina Isabella d’Aragona (prematura-mente scomparsa il 28 febbraio del 1271), autentica gemmazione della scultura dell’Ile-de-France, si noteràche la cuffia non appare esibita nel presunto ritratto del re Filippo III l’Ardito (1270-1285) orante: cfr. M.S.CALÒMARIANI, L’arte del Duecento in Puglia, Torino 1984, p. 168; P.L. LEONEDECASTRIS, Arte di corte nellaNapoli angioina, Firenze 1986, p.161; J. GARDNER, A Princess among Prelates: a Fourteenth Century Neapo-litan Tomb and some Northern Relations, in Romisches Jahrbuch für Kunstgeschichte, XXIII-XXIV, 1988,pp. 29-60 (nel dettaglio le pp. 47-50 e figg. 23-26, 28-29); ENDERLEIN, Die Grablegen, op. cit., pp. 15-17, 209-211 e tavv. 1-2. Su questo ed altri complementi del vestiario maschile dell’e poca cfr. R. LEVI PISETZKY, Il co-stume e la moda nella società italiana, Torino 1978, pp. 154-158 e 174-178.

38 Cfr. BOLOGNA, I pittori alla corte angioina, op. cit., pp. 36-41 e tav.I-17; P.L. LEONE DE CASTRIS, Pit-tura del Duecento e del Trecento a Napoli e nel Meridione, in La Pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, to-mo II, Milano 1986, pp. 461-465 (ove lo studioso sottolinea la trasmissione alla miniatura proto-angioina de-gli stilemi elaborati negli scriptoria di età sveva per l’illustrazione di manoscritti di argomento floro-fauni-stico, medico e cavalleresco); F. MAGISTRALE, La cultura scritta latina e greca: libri, documenti, iscrizioni inFede rico II immagine e potere, (a cura di M.S. Calò Mariani e R. Cassano), (Catalogo della mostra di Bari-Ca-stello Svevo, 4 feb braio-17 aprile 1995), Venezia 1995, pp. 132-133; H. TOUBERT, La miniatura «federiciana»dalla corte alla città, ibidem, pp. 101-103; A. RUSSO, scheda V.30, in Federico II e l’Italia. Percorsi, Luoghi, Se-gni e Strumenti, (Catalogo della mostra di Roma-Palazzo Venezia, 22 dicembre 1995-30 aprile 1996), Roma1995, pp. 258-259 e tav.XV (con bibliografia). Affine a tali personaggi è il Cavaliere del Duomo di Beneven-to, oggi al Museo del Sannio, scolpito da anonimo di età manfrediana verso il 1260-1265; cfr. LEONE DE CA-STRIS, Arte di corte, op. cit., p. 124 e fig. 21 (con bibliografia precedente).

39 Cfr. M.E. AVAGNINA, Un inedito affresco di soggetto cortese a Bassano del Grappa: Federico II ela corte dei da Romano in Federico II immagine e potere, op. cit., pp. 104-111; V. PACE, Pittura e minia-tura sveva da Federico II a Corradino: storia e mito in Federico II e l’Italia, op. cit., pp. 103-110, ove sipuntualizza come «la resa fisiognomica del monarca in nulla si apparenta (...) ai ritratti - veri o presun-ti - di Federico» essendo perciò da intendersi «con più astratto valore allusivo».

40 Cfr. M. BERNABÒ SILORATA, Federico II a Casamari: lettura simbolica degli elementi figuratividell’abbazia, in Rivista Ci stercense, a.XII, n.3, settembre-dicembre 1995, pp. 225-229. Mi limito ad unarapida carrellata di significativi esempi duecente schi: il rilievo dell’ambone della cattedrale di Bitonto,firmato «Nicolaus sacerdos et magister» e datato 1229 (cfr. CALÒ MARIANI, L’arte del Duecento, op. cit.,

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Dunque a Gaeta ci si verrebbe a trovar di fronte ad un cripto ri-tratto di imperatore svevo, come suffragato anche dai lineamenti gio-vanili conferiti all’imberbe Augusto dei basso rilievi: una sorta didamnatio memoriae filo-angioina posteriore agli eventi del 126841.Operazione ideologica tanto più sot tile quanto spregiudicata era sta-ta «la volontà di Federico II di accreditarsi quale legittimo successo-re degli antichi Cesari»42. Del resto, la maledizione andava ad attec-chire su un terre no già dissodato: gli Hohenstaufen avevano com-messo il tragico errore di soffocare le ambizioni all’autogoverno e direvocare monopoli, privilegi commerciali ed esenzioni dai dazi con-cessi da Tancredi di Lecce (1190-1193) alle città marinare di Napoli,Gaeta, Salerno, Bari e Trani43.

Lo stato di consunzione in cui versano i lacunari prossimi al pia-no di calpestìo rende a mio parere ancora non risolvibile il rebus pae-saggistico che destava tanta perplessità agli studiosi d’inizio Nove-cento: lo scomparto raffigurante il Trasporto via mare da Formia del-la salma di sant’Erasmo (fig.17) accusa, come voleva monsignor Fer-raro nel 190544, l’assenza del castello normanno-svevo nel panoramadi Gaeta? Scartando l’ipotesi di una coscien te ambientazione archi-tettonica tardoimperiale dell’episodio agiografico, in quanto del tuttoincongrua con gli altri pannelli esaminati, rimane il dato storico che ilavori di fortificazione del maniero vennero promossi da Federico II

pp. 148-152); la miniatura delle Autorità temporali sul rotulo di Exultet del Museo Diocesano di Sa-lerno, del terzo decennio del XIII secolo (cfr. A. D’ANIELLO, scheda in Exultet, op. cit., p. 395 e fig. p.407); la miniatura sul frontespizio di un codice pergamenaceo del quarto-quinto decennio del XIII se-colo (cfr. PACE, scheda in Federi co II e l’Italia, op. cit., p.188); il sigillo in cera rossa di Corradino di Sve-via, del 1254-1258 (cfr. scheda in Federico II immagine e potere, op. cit., p. 461 e fig. 1.9).

41 La prassi della punizione dello scellerato mediante l’espo sizione infamante della sua raffi-gurazione ha origine in Italia proprio nella seconda metà del Duecento: cfr. G. ORTALLI, «...pingaturin Palatio...». La pittura infamante nei secoli XIII-XVI, Roma 1979; D. FREEDBERG, Il potere delle im-magini, Torino 1993, pp. 368-382; E. SIMI VARANELLI, L’immagine e la storia. La “damnatio memo-riae” della figura di Federico II nei cicli pittorici di Anagni, SS. Quattro Coronati, Grottaferrata,Parma, in Arte medievale, II serie, a.X, n.2, 1996, pp. 83-97. In critica divergenza con quest’ultimaautrice si pone V. PACE, recensione a Arte Medievale 10, 1996 in Journal für Kunstgeschi chte, IV,2000, 3, pp. 236-239.

42 Cfr. A. PINELLI, Feste e trionfi: continuità e metamorfosi di un tema inMemoria dell’antico nel-l’arte italiana, (a cura di S. Settis), tomo II, Torino 1985, pp. 321-323.

43 La concessione gaetana venne emanata in data 23 giugno 1191: si veda Codex DiplomaticusCajetanus, II, op. cit., pp. 311-315. Cfr. GAETANI D’ ARAGONA, Memorie Storiche, op. cit., pp. 124-125; G.GALASSO, Le città campane nell’Alto Medioevo.II, in Archivio Storico per le Province Napoletane, n.s.,XXXIX, 1959, p. 23; E. ENNEN, Storia della città medievale, Göttingen 1972 (ediz. italiana, Bari 1978,pp. 162-164); G. VITOLO, L’Età svevo-angioina, in Storia e Civiltà della Campania. Il Medio evo, (a cu-ra di G. Pugliese Carratelli), Napoli 1992, pp. 87, 90, 95-96 e 105.

44 Cfr. FERRARO, La Colonna del Cereo, op. cit., p. 75.

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nel 1223-1227, ma già nel 1229 esso veniva raso al suolo dai ribelli diparte guelfa. Le numerose torri della città murata furono invece moz-zate per rivalsa dall’imperatore staufico nel 1235. Fortilizio e torrivennero poi risollevati da Carlo I d’Angiò nel 127945.

È obiettivamente difficoltoso accertare, come invece sostenevaPasquale Fantasia nel 1920, che non vi sia traccia pure della cellacampanaria del Duomo, fatta ultimare dal vescovo Maltacea nel127946: terminus che in quel caso verrebbe a proporsi quale probante“ante quem” per la confezione della colonna istoriata.

L’analisi stilistica sembra non smentire questo assunto. Ben di-verse appaiono infatti le movenze della scultura partenopea dopo lachiamata alla corte angioina di Pietro Cavallini (docu mentatovi nelgiugno 1308‚ e “pensionato” di re Roberto il Saggio fino al 1320 ca.),Giotto con i suoi allievi (dicembre 1328-aprile 1334) e, in special mo-do, del senese Tino di Camaino (attivo a Napoli fra 1323 e 1337)47.Quest’ultimo, oltre ad introdurre la tipologia del monumento funebrearnolfiano a cibo rio, persegue nel modellato effetti di vibrazione pit-torica chia roscurale, giungendo ad una felice sintesi fra dinamismogotico ed aulica citazione dei sarcofagi di età imperiale.

Né a Gaeta si riesce a cogliere l’eco, per dirla con Giovanni Previta-li, delle «straordinarie capacità ritrattistiche di Tino, il suo difficile econturbante equilibrio tra presa diretta e violenta astrazione stilisti-ca»48. D’altronde il canovaccio iconografico cui mostra di attingere il di-

45 Cfr. S. LECCESE, Il Castello di Gaeta, Gaeta 1958, pp. 5-29; M. D’ ONOFRIO, Il Castello di Federi-co II a Gaeta, in Arte d’Occidente: temi e metodi. Studi in onore di Angiola Maria Romanini, (a cura diA. Cadei), Roma 1999, pp. 151-158, fig. 1.

46 Cfr. P. FANTASIA, Sui monumenti medievali di Gaeta e spe cialmente sul Campanile e sul “Candela-bro”, estratto da Annali del Regio Istituto Tecnico di Napoli (anni 1916-17 e 1917-18; in realtà sono gli an-ni 1917-18 e 1919-20), Napoli 1920, pp. 106-109; Idem, L’arte medioevale in Gaeta, op. cit., pp. 36-38.

47Cfr. O. MORISANI, Tino di Camaino a Napoli, Napoli 1945; Idem, Tino di Camaino, in Enciclope-dia Universale dell’Arte, vol.XIII, Venezia-Roma 1965 (nuova ediz., Novara 1988, coll. 934-937); F. ACE-TO, Per l’attività di Tino di Camaino a Napoli: le tombe di Giovanni di Capua e di Orso Minutolo, in Pro-spettiva, n. 53-56, aprile 1988-gennaio 1989, pp. 134-142; Idem, Tino di Camaino a Napoli. Una propo-sta per il sepolcro di Caterina d’Au stria e altri fatti angioini, in Dialoghi di Storia dell’Arte, n.1, ottobre1995, pp. 10-27; G. KREYTENBERG, Tre contributi all’opera di Tino di Camaino in Dialoghi di Storia del-l’Arte, n. 4-5, dicem bre 1997, pp. 132-143. Raffaello Causa riteneva comunque che do vesse «esser limi-tata la fortuna di Tino a Napoli, ridotto ben presto il suo insegnamento a formulario di temi ed a voca-boli di un lessico che ignorava le primitive intenzioni formali»; cfr. il suo Precisazioni relative alla scul-tura del ‘300 a Napoli, in Sculture lignee nella Campania, op. acit., pp. 63-73 (citazione da p.73).

48 Cfr. G. PREVITALI, Un’arca del 1272 ed il sepolcro di Bruno Beccuti in Santa Maria Maggiore diFirenze, opera di Tino di Camaino in Studi di Storia dell’Arte in onore di Valerio Mariani, Napoli 1972,pp. 81-89 (ripubblicato in Studi sulla scultura gotica in Italia, Torino 1991, citazione da p. 112).

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scepolo di Giovanni Pisano sin dai rilievi per la tomba del cardinale-giurista Ric cardo Petroni (†1314) nel Duomo di Siena (1316-1318), cosìpregni di umori ducceschi - vale a dire: Resurrezione, Noli me tangere edIncredulità di Tommaso sulla fronte della cassa; Mirrofore e Pellegrinidi Emmaus sui fianchi - dà dimostrazione di un più equilibrato ordinecompositivo, capace di imprimere enfasi all’hanchement delle figuredall’elegante panneggio, rispetto agli omologhi lacunari gaetani49.

Rimane così quanto mai aperta la questione sull’estrazione dei la-picidi gaetani. Se, indubbiamente, siamo distanti da quella «accuracyin natural detail and the fluidity of the carving» verificate da DorothyF. Glass a proposito della coppia di rilievi con Storie di Gionamurataall’interno del campanile della medesima cattedrale del centro tirre-nico, tale da indurla ad ipotizzare «a date in the first half of the thir-teenth century»50, tuttavia è in direzione delle maestranze educatesinella bottega di Peregrinus - che sotto l’episcopato di Giovanni III(1259-1283) firmava le due lastre dal forte plasticismo per uno smem -brato pergamo nel Duomo di San Pietro a Sessa Aurunca51 e che nel-l’aprile 1273 risulta convocato da Carlo I d’Angiò presso la cappella delCastello di San Lorenzo nel foggiano - che potreb bero forse essere sco-vate le tracce degli artefici del candeliere nella chiesa di Sant’Erasmo,fresca di restauro e pertanto pronta ad accogliere un rinnovato arredoliturgico. Fra i modelli di rife rimento andranno additati i plutei mar-

49 Cfr. E. CARLI, Tino di Camaino scultore, Firenze 1934, pp. 23-25, 74-75 e tav.7; W.R. VALENTI-NER, Tino di Camaino. A Sienese Sculptor of the Fourteenth Century, Paris 1935, pp. 47-56 e tavv. 18-20; M. MASCIOTTA, Tino di Camaino, Milano 1966, p. 3 e tavv. IV-VII.

50 Cfr. D.F. GLASS, Jonah in Campania: a late Antique Revi val, in Commentari, a. XXVII, n.s.,fasc. III-IV, luglio-dicembre 1976, pp. 179-193 (particolarmente le pp. 189-191, figg. 14-15); Eadem,Romanesque Sculpture, op. cit., pp. 208-209 e figg. 230-231. Merita di essere segnalato un recentissi-mo contributo di Manuela Gianandrea, la quale, muovendo dall’osservazione delle diversità iconogra-fiche e, soprattutto, dimensionali tra le due lastre del campanile, ipotizza che i manufatti raffiguran-ti la vicenda di Giona provengano da due amboni distinti, approntati per la cattedrale-doppia gaeta-na fra 1231 e 1260. Cfr. M. GIANANDREA, L’arredo liturgico medievale delle chiese di Gaeta, Min turnoe Fondi, Tesi di Diploma di Scuola di Specializzazione in Storia dell’Arte Medioevale e Moderna, Uni-versità di Roma “La Sapienza”, A.A. 2002/03, relatore prof. Mario D’ Onofrio.

51 Si tratta de Il profeta Giona inghiottito dal pistrice e La predica agli abitanti di Ninive, ogginella sacrestia della cattedrale. A stretto contatto di gomito dovrebbe aver lavorato quel Taddeus au-tore delle transenne del coro aurunco. Cfr. A. CAROTTI, in Aggiornamento all’opera di Émile Bertaux«L’art dans l’Italie Meridionale», (a cura di A. Prandi), Rome 1978, pp. 975-976; D’ ONOFRIO-PACE, LaCampania, op. cit., pp. 79-82 e foto 31-32; PACE, Il programma decorativo, op. cit., p. 38; LEONE DE CA-TRIS, Arte di corte, op. cit., p. 124 e fig. 18; GLASS, Romanesque Sculpture, op. cit., pp. 158-159, 209 efigg. 187-188; F. GANDOLFO, La scultura normanno-sveva in Campania: botteghe e modelli, Bari 1999,pp. 116-119. Sull’incerta sovrapponibilità di tale artefice al «Peregrinus stirpe Salerni» autore della re-cinzione presbiteriale della cat tedrale di Bari cfr. M.S. CALÒ MARIANI, in Aggiornamento all’o pera diÉmile Bertaux, op. cit., pp. 960-961; Eadem, L’arte del Duecento, op. cit., pp. 152-153.

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morei in Santa Restituta, la più vetusta basilica della neo-capitale delRegno (Napoli, di fatto, subentrava a Palermo ben prima del 1282):sbozzati da due scultori antichizzanti dell’iniziale Duecento, i pannel-li, dispo sti su triplice registro entro cornici di carnose foglie d’acan to,sciorinano popolose ed animate storiette di Giuseppe l’Ebreo, Sansone,San Gennaro e quattro santi cavalieri protettori della Chiesa d’Orien-te, obbedienti ad un criterio di lettura sinistror so che sottintende pa-rallelismi con i taccuini compositivi dei grandi cicli agiografici ad af-fresco52. Si riaffaccia dunque prepotente il filo rosso dell’itineranza de-gli artisti attivi per le corti sveva ed angioina.

52 Cfr. CRICHTON, Romanesque Sculpture, op. cit., pp. 139-140 e tav. 86; M. ROTILI, L’arte a Na-poli dal VI al XIII secolo, Napoli 1978, pp. 80-87 e figg. 95-106, che ha messo in relazione la coppia ditransenne con l’arcone del portico di Sessa Aurunca, con un lieve scarto di anteriorità a vantaggio del-le prime; GLASS, Romanesque Sculpture, op. cit., pp. 143-146, 183-201 e figg. 173-174, 205, 220, che leha datate al 1210-1220.

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