Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA DIPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICI E LETTERARI CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN LETTERE MODERNE Il leone o il serpente: la scelta di Yvain Relatore: Prof.ssa Francesca Gambino Laureanda: Noemi Anna Facchin Nr. Matr. 1027375 Anno Accademico 2013/2014

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA

DIPARTIMENTO DI STUDI LINGUISTICI E LETTERARI

CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN LETTERE MODERNE

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

Relatore: Prof.ssa Francesca Gambino

Laureanda: Noemi Anna Facchin

Nr. Matr. 1027375

Anno Accademico 2013/2014

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

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Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

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IL LEONE O IL SERPENTE:

LA SCELTA DI YVAIN

A nonna Rosetta

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

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Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

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Indice

1. INTRODUZIONE…………………………………………….. pag. 7

1.1 Chrétien de Troyes e la materia bretone……………………………... pag. 7

1.2 Le opere di Chrétien…………………………………………………...pag. 8

1.2.1 Erec et Enide…………………………………………………………….pag.8

1.2.2 Cligés……………………………………………………………pag. 11

1.2.3 Li chevaliers de la charrete……………………………………...pag. 14

1.2.4 Li contes del graal………………………………………………pag. 15

1.3 Le chevalier au lyeon……………………….………………………....pag. 17

1.3.1 Trama…………………………………………………………....pag.17

1.3.2 Amore e cavalleria………………………………………….........pag.19

1.3.3 Il percorso interiore di Yvain………………………………..…..pag. 19

2. IL LEONE E IL SERPENTE……………………………….. pag. 21

2.1 Il leone………………………………………………………………pag. 21

2.2 Il serpente…………………………………………….……………..pag. 25

2.3 Il Fisiologo e i bestiari del Medioevo……………………………….pag. 28

3. LA SCELTA DI YVAIN……………………………………...pag. 31

4. CONCLUSIONI………………………………...…………….pag. 38

5. BIBLIOGRAFIA……………………………………………...pag. 41

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CAPITOLO PRIMO: INTRODUZIONE

1.1 Chrétien de Troyes e la materia bretone

Se decidessimo di intervistare un gruppo di persone, potremmo rimanere sbalorditi da

quanto, ai giorni nostri, le leggende di Re Artù sono almeno vagamente conosciute.

Probabilmente questo è dovuto alla grande quantità di film e libri che sono stati prodotti

nell’ultimo secolo su queste leggende; ma le storie del ciclo arturiano hanno una

tradizione ben più lunga.

La prima opera che tratta della materia bretone è in prosa latina e si intitola Historia

Regum Britanniae. Scritta da Goffredo di Monmouth, tra il 1135 e il 1137, racconta la

storia del regno britannico dalle origini mitiche al VII secolo. Questo lavoro venne ripreso

da Wace, poeta anglo-normanno, nel Roman de Brut (ovvero Bruto, nipote di Enea e

mitico fondatore del regno dei Bretoni). Il merito proprio di questo autore è di aver

introdotto la materia bretone nella letteratura volgare per la prima volta, riuscendo così a

proporre nel panorama letterario dell’epoca personaggi nuovi rispetto a quelli classici, e

un nuovo canone di valori basato sull’interazione tra amore e cavalleria.

In realtà, l’autore per eccellenza del romanzo cortese arturiano fu il chierico Chrétien de

Troyes. Le poche notizie che si hanno riguardanti questo poeta sono ricavate, soprattutto,

da ciò che lui stesso scrive nei prologhi dei suoi romanzi1. Si può collocare la sua attività

tra gli anni sessanta e la fine degli anni ottanta del XII secolo, e nella corte dei conti di

Troyes, città della Champagne. Questa corte, soprattutto per l’influsso della contessa

Marie de Champagne, ebbe un ruolo primario nella promozione della nascente

produzione letteraria cortese.

Ai fini della prossima lettura dell’Yvain, è utile soffermarsi su due costanti dei romanzi

di Chrétien: l’aventure e il rapporto tra matière e sen.

Il termine aventure deriva da quello latino AD-VENTURA (ʻcose che succederannoʼ),

ma con il passare dei secoli ha assunto il significato di “ciò che bisogna affrontare” fino

ad arrivare ad indicare la serie di prove che un cavaliere deve superare per compiere la

1 Da notare che, nel prologo dell’Erec et Enide, Chrétien de Troyes si presenta come l’autore del romanzo,

distanziando, in questo modo, il suo lavoro da quello dei giullari e dei cantori. Egli stesso, infatti, definisce

la sua operazione “conjointure”, che si può tradurre come ̒ sviluppo e organizzazione organica dei contenuti

del romanzoʼ; diverso, quindi, da una mera riproduzione di leggende conosciute.

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sua missione. Ecco che «Si capisce allora come, da un lato, l’aventure sia il meccanismo

stesso dell’azione narrativa, dall’altro, essa rappresenti il percorso di formazione e

affermazione del protagonista»2.

Il rapporto tra matière e sen, che caratterizza tutte le opere a noi rimaste di Chrétien,

riguarda il valore didascalico che lui stesso conferisce all’opera. La scrittura del romanzo,

perciò, non comporta solamente la creazione di una solida struttura narrativa, ma anche

l’uso del materiale narrativo per trasmettere concetti e ideali prefissati. In particolare, il

fine di Chrétien era dimostrare che le avventure che il cavaliere doveva superare erano

mezzo per raggiungere la perfezione. Ma quand’è che un cavaliere è da considerarsi

perfetto? Nei romanzi di Chrétien questa perfezione viene spesso identificata come il

giusto equilibrio che il cavaliere riesce a mantenere tra amore e cavalleria. Questa

costante è ben evidente nell’Erec et Enide, dove il protagonista si macchia dell’onta di

recreantise (parola glossabile in modo più o meno approssimativo con il termine di

‘vigliaccheria’), in quanto si dedicava molto di più ai doveri verso Amore, rispetto a quelli

verso la cavalleria.

1.2 Le opere di Chrétien

1.2.1 Erec et Enide

Lo schema narrativo di quest’opera è diviso in tre blocchi, caratteristica che consente di

accostarlo a Le chevalier au Lyon. Il primo blocco prevede una felicità provvisoria dovuta

al matrimonio di Erec con Enide. In questa parte del romanzo, infatti, si vede il

protagonista intento a godersi il piacere dell’amore, trascurando, in questo modo, i suoi

doveri di cavaliere. Questa sua negligenza verso la cavalleria gli viene a costare il giudizio

negativo dei suoi compagni. Lo scenario iniziale è la tradizionale caccia al cervo bianco,

nella quale Erec viene offeso dal nano del conte Yder e decide di partecipare alla giostra

dello sparviero bianco, per chiedere riparazione. Lungo la strada che lo portava al suo

risarcimento, conosce Enide, bellissima figlia di un valvassore. Una volta conclusa

vittoriosamente la sfida, decide di sposare la fanciulla di cui si era innamorato. La vita

matrimoniale, però, distoglie il protagonista da quella che era la sua vita di prima, ovvero

2 Brugnolo-Capelli 2011, pag. 67.

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una vita all’insegna di tornei e avventure e, soprattutto, della cavalleria. A causa di questo,

Erec attira su di sé le critiche dei compagni che non condividono la sua scelta di

distaccarsi completamente dalla vita cavalleresca in favore di quella amorosa.

Sono proprio le critiche che segnano l’inizio della seconda parte del romanzo, quella

contraddistinta dalla crisi dell’eroe e dalle avventure di cui si servirà lo stesso per ritornare

ad essere un buon cavaliere. La crisi, però, non coinvolge solamente Erec, ma anche il

rapporto che questo ha con Enide. È lei stessa, infatti, a confidargli le critiche che aveva

sentito dire dagli altri cavalieri contro il suo atteggiamento passivo. Sembra, quindi, quasi

logico che questo cammino per riottenere la perfezione non debba essere percorso

solamente dal protagonista, ma dalla coppia. Le avventure che dovranno affrontare sono

otto: il combattimento prima con tre e poi con cinque cavalieri briganti; lo scontro con il

conte Galoain che si era infatuato di Enide; il duello con re Guivret le Petit (così chiamato

a causa della sua bassa statura); la scaramuccia con Keu, il combattimento contro due

giganti che viene vinto da Erec con un grandissimo dispendio di energie, tanto che l’eroe

perde i sensi e viene creduto morto; il duello con il conte Oringle che vuole condurre

all’altare Enide, credendo morto il protagonista; l’ultima prova vede scontrarsi

nuovamente Erec con Guivret le Petit, duello organizzato all’insaputa dei due.

Una volta che sono state superate tutte le otto prove, inizia la terza, ed ultima, parte del

romanzo, quella che prevede la felicità definitiva con l’incoronazione dell’eroe. Per

approdare a questo lieto fine, però, manca ancora quella prova che, sebbene ultima, è

probabilmente la più significativa: la Joie de la Cort. Erec deve affrontare il possente

cavaliere Maboagrain che è sottomesso agli ordini di una dama non ben identificata di cui

deve custodire il giardino fatato e di cui è ardentemente innamorato. Una volta superata

anche quest’ultima avventura, la coppia viene accolta alla corte di Re Artù trionfalmente

ed Erec succede al padre re Lac, dopo essere stato incoronato da re Artù.

Uno degli aspetti più importanti di questo romanzo, e di cui si è già parlato in precedenza,

è l’innovativo rapporto tra amore e cavalleria. Chrétien, infatti, riesce a far trovare un

accordo tra l’amore totalizzante, che non permette di concentrarsi su nient’altro che non

sia l’oggetto delle proprie attenzioni amorose, e la cavalleria che abbisogna di tutta

l’attenzione del cavaliere su di sé. All’inizio, infatti, Erec riceve le critiche dei suoi

compagni proprio perché si dedica solamente all’amore per Enide. Ciò che può, però,

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realmente sconvolgere il lettore è il fatto che Enide diventi compagna di avventure per

Erec, fatto del tutto eccezionale nel panorama dei romanzi cavallereschi. Questa

eccezione, comunque, testimonia l’importanza della coppia all’interno del testo e mette

in risalto il messaggio che l’autore vuole lasciare a chi lo legge: far comprendere come

amore e cavalleria vadano di pari passo e si completino l’uno con l’altro. Quello che

avviene nell’arco del romanzo è una completa maturazione dell’amore tra i due coniugi.

Infatti, l’amore che i due provano all’inizio del romanzo si potrebbe definire

adolescenziale, ovvero un amore che isola i due amanti in una sorta di locus amoenus e

che li allontana dalla comunità cortese e dalle sue regole. I due protagonisti possono

essere riammessi alla corte di Re Artù dopo aver raggiunto la perfezione, cosa che avviene

raggiunta solamente quando «la coppia è in armonia al suo interno (succederà solo quando

verranno superate le otto prove) e al suo esterno, è cioè equilibrata e organica rispetto alla

società: e questo avviene solo dopo l’ultima e più importante prova, quella della Joie de

la Cort.»3

L’ultima prova, quella della Joie de la Cort, è molto importante per l’organizzazione del

romanzo per molti motivi, tra cui quello di essere l’unica prova volutamente cercata dal

protagonista. L’avversario di Erec è Maboagrain, un cavaliere follemente innamorato

della sua bella che lo ha costretto a custodire il suo giardino fatato, lontano dal mondo,

finché non fosse arrivato un cavaliere capace di sconfiggere il cavaliere stesso e avesse

suonato il corno presente in quel luogo, in modo da sciogliere definitivamente il patto

d’amore tra i due. L’eroe del romanzo riesce a sconfiggere il povero amante e liberarlo

dall’incantesimo che lo sottometteva. Maboagrain riesce, così, a far ritorno alla sua corte,

rendendo tutti gli abitanti di questa molto gioiosi; ecco perché questa avventura si chiama

Joie de la Cort. Si possono notare facilmente le analogie tra il cavaliere soggetto alla

dama fatata e l’Erec della prima parte del romanzo, quello che aveva completamente

dimenticato la cavalleria e trascorreva il suo tempo solamente con la sua amata. È, quindi,

condivisibile quello che hanno scritto Furio Brugnolo e Roberta Capelli nel loro manuale:

«Il cavaliere sconfitto da Erec rappresenta, dunque, una vera e propria personificazione

dell’amore irrazionale, chiuso in un egoistico piacere dei sensi, superato dall’amore

3 Brugnolo-Capelli 2011, pag. 72.

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nobile, aperto al servizio degli altri. Ecco perché il successo di Erec ha una così grande

ricaduta sull’intera corte di Evrain: perché la prova e il suo esito positivo mostrano che

gli effetti dell’agire regolato da sentimento e prodezza dell’eroe hanno un senso non più

solo personale ma collettivo.»4

L’importanza del bene collettivo non è inusuale in Chrétien, tanto che lo si ritroverà anche

ne Le chevalier au lyeon. L’amore è un’arma a doppio taglio: da una parte rischia di

assorbire completamente il cavaliere, distogliendolo dai suoi doveri; dall’altra è fonte di

energia positiva che guida il cavaliere nella sua ricerca di perfezione.

1.2.2 Cligés

Il Cligés inizia con il più classico degli espedienti meta-letterari, ovvero quello di far

credere il lettore che il romanzo sia solamente una trascrittura, o una traduzione, di un

manoscritto trovato per caso. Chrétien decise di fare questo per attribuire una maggiore

autorità alla sua opera, facendo credere che avesse origine da fonti popolari e orali.

Il protagonista della storia è, appunto, Cligés, figlio di Alessandro ed erede al trono

imperiale di Costantinopoli. Nella prima parte del romanzo si trova un flashback nella

quale si spiega la storia di Alessandro e di sua moglie Soredamor, damigella della regina

Ginevra e dove viene spiegato che, a causa della falsa notizia della morte del re, lo zio di

Cligés, Alis, era salito illegalmente al trono. Al ritorno di Alessandro, continuò a rimanere

sul trono Alis, ad un’unica condizione che era quella di non avere alcuna discendenza.

Da qui in poi inizia la storia di Cligés. Alis, lo zio, cede alle insistenze dei baroni e si

sposa con Fenice, bellissima figlia dell’imperatore tedesco. Il cuore di Fenice, però,

apparteneva già ad un altro cavaliere: Cligés. Fenice, quindi, è costretta a sposare lo zio

del suo amato, ma è ben decisa a non concedersi ad un uomo che non ama. Per fare questo,

chiede aiuto alla sua fedele ancella Tessala che le prepara una pozione da far bere al

marito. Questo filtro faceva credere al re Alis di giacere con sua moglie e di godere del

suo amore, cosa che in realtà non avveniva. Non sarà, però, questo l’unica pozione

preparata per i due giovani amanti; anzi, una successiva darà a Fenice una morte apparente

4 Brugnolo-Cappelli 2011, pag. 74.

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e verrà seppellita in una torre fatata dove la raggiungerà Cligés. I due amanti possono,

così, realizzare il loro sogno d’amore. Ma questo non basta per realizzare la loro felicità

perpetua: i due vengono scovati. Grazie, ancora una volta, ad altri stratagemmi di Tessala

riescono a fuggire in Bretagna e a raggiungere la corte di re Artù. La storia dei due

innamorati fa commuovere la corte ed il re fa preparare un esercito per castigare Alis, ma

la morte di quest’ultimo impedisce la realizzazione dei progetti del re. A questo punto

Cligés ed Enide possono far ritorno a Costantinopoli, dove vengono accolti festosamente

e dove il protagonista viene incoronato legittimamente imperatore di Costantinopoli.

Questo romanzo si distingue nettamente dagli altri per la complessità della trama e della

psicologia dei personaggi; ancor di più, viene ampliato lo spazio in cui si svolge l’azione

(dalla Bretagna dove risiede la corte di re Artù, alla Germania dove vivono i grandi

feudatari fino all’ambiente magico e lussuoso dell’Oriente bizantino) e le relazioni tra i

personaggi sono molto più problematiche. Non c’è da stupirsi se con una così maggior

attenzione all’interiorità dell’uomo, vengano trascurate le avventure. Questo non vuol

dire che all’interno del romanzo non siano presenti dei combattimenti, anzi ci sono e

vengono anche vinti valorosamente dal protagonista. Quello che però manca è il fine

morale delle avventure. Si è visto precedentemente nell’Erec et Enide che il protagonista

deve affrontare otto prove per raggiungere la sua perfezione; in realtà le avventure di

Cligés non hanno alcun fine.

Un ruolo fondamentale all’interno del romanzo spetta a Fenice, la bellissima figlia

dell’imperatore tedesco, il cui matrimonio con Alis assomiglia molto a quello di Isotta

con re Marco. È indubbio, infatti, il paragone creato all’interno dell’opera tra la storia di

Tristano e Isotta e quella di Cligés con la sua bella Fenice. Vi sono, infatti, diversi

elementi in comune. Uno di questi può essere che entrambe le coppie non hanno la

possibilità di coronare il loro amore in quanto lei è costretta a sposare lo zio dell’amato.

Un altro esempio è la presenza, in entrambe le storie, di pozioni e filtri magici. Ciò che,

in realtà, distacca nettamente i due romanzi è il comportamento antitetico delle due eroine.

Infatti, se da una parte si trova Isotta che si concede a due uomini, dall’altra si trova Fenice

che si serve di una pozione per non concedersi ad un uomo che non ama. Non si deve

dimenticare, inoltre, che la protagonista decide di donarsi al suo amato solamente dopo

aver bevuto il filtro della morte apparente, ed essere, così, rinata ad una nuova vita. Su

questo Capelli e Brugnolo scrivono:

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«Fenice ricorre al giusto filtro, non d’amore ma di morte (apparente), che la libera dai

vincoli matrimoniali senza averne violate le regole. La ʻrinascitaʼ della protagonista non

può che far pensare all’uccello leggendario che ne porta il nome, la fenice, descritto dai

bestiari medievali come capace di rivivere dalle proprie ceneri; e, se si considera ch’esso

rappresentava, in chiave allegorica, Cristo risorto, non pare del tutto fuori luogo rilevarne

le affinità con il passaggio dell’eroina, vittima di un matrimonio ingiusto, ad una ʻnuova

vitaʼ nella gioia del vero amore.»5

Fenice, quindi, non cede alle lusinghe dell’amore, ma ne rispetta la sacralità. Da una parte,

infatti, non tradisce il compagno impostole finché non trova una soluzione per liberarsi

da quel vincolo, dall’altra continua a rimanere fedele al suo vero amore, non concedendosi

mai al marito. Non si può non pensare che questo parallelismo sottointeso tra le due eroine

sia a favore dell’amata di Cligés, tanto che lei stessa menziona più volte Isotta nel

romanzo, facendo notare come quest’ultima abbia svilito l’amore concedendosi ad un

uomo che non amava. Dalla storia di Cligés, quindi, si può molto ben comprendere quale

fosse il pensiero di Chrétien, tanto che lui stesso, nel prologo del Cligés, si attribuisce

un’opera intitolata ʻre Marco e Isottaʼ: la novità di questa sta nell’incentrare il titolo del

romanzo sulla coppia regale e non su quella fedifraga.

Non si può, quindi, più mettere in dubbio la sacralità che Chrétien attribuisce al

matrimonio. Sempre nel manuale di Brugnolo e Cappelli si trova un’osservazione

interessante riguardo a questo:

«L’amore dei trovatori, così come quello di Tristano e Isotta, è un amore adultero, cui

Chrétien oppone la sacralità e onorabilità del matrimonio, in quanto unione fondata sulla

spontanea reciprocità dei sentimenti, in velata polemica con le politiche dinastiche

dell’epoca, che facevano dei matrimoni un mezzo per acquisire e consolidare

possedimenti territoriali e alleanze militari. Liceità e sincerità dell’unione sono quindi

condizioni necessarie all’amore di Cligés e Fenice per convalidare la gloria futura della

loro discendenza: poiché essi non sono legati da ʻnecessità di Statoʼ (come, invece, è il

5 Brugnolo-Capelli 2011, pag. 77.

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caso di Alis), e non hanno trasgredito il codice della morale e della legge (come Tristano

e Isotta)».6

Non a caso, sia nel romanzo di Erec che in quello di Yvain, opere che dovevano

dimostrare il giusto rapporto tra amore e cavalleria, presentano dei matrimoni liberi da

qualsiasi motivazione legata a terre o domini. Con questo romanzo Chrétien vuole dar

vita ad un nuovo ideale di amore, che «rinnova i fondamenti della fin’amor e rappresenta

una nuova etica amoroso-cortese non più liricamente irrealizzabile come quella

trobadorica, non più illegittimamente realizzata come quella tristaniana, bensì

cavallerescamente praticabile nel rispetto dei valori coniugali, all’interno di un sistema

culturale e morale collettivamente condiviso»7.

1.2.3 Li chevaliers de la charrete

Il romanzo racconta le vicende di due cavalieri, Galvano e Lancillotto, che cercano di

liberare la regina Ginevra. All’inizio del racconto, infatti, si trova il cavaliere Meleagant

che sfida un cavaliere della Tavola Rotonda, che alla fine risulta essere Keu, e la posta in

gioco è la regina stessa. Keu viene sconfitto e Galvano parte alla ricerca di Ginevra.

Durante la sua quête, incontra un cavaliere, il cui nome verrà svelato solo più avanti nel

romanzo. Poco dopo questo incontro, i due trovano lungo il loro cammino una carretta

condotta da un nano. Quest’ultimo è disposto a indicare loro la strada da seguire se fossero

stati disposti a salire sulla carretta; cosa che farà solamente Lancillotto. Da qui in poi

inizia una serie di prove a cui Lancillotto deve sottoporsi come quella prova del letto

interdetto e quella della lancia infiammata. Dopo queste sconfigge un cavaliere,

guardiano di un sentiero; resiste alle offerte amorose della dama del castello del luogo;

interroga le tombe del misterioso cimitero dei cavalieri; libera gli abitanti dal regno di

Gorre fino ad arrivare al Ponte della Spada. Una volta superata quest’ultima prova, riesce

ad accedere al regno del re Baudemagu, padre di Meleagant, e a duellare con quest’ultimo.

Grazie allo sguardo della regina che lo rinvigorisce, Lancillotto riesce a sconfiggere

l’avversario che, però, rinvia il duello. Al contrario di quello che ci si può aspettare,

Ginevra tratta l’eroe con estrema freddezza. A questo punto Lancillotto parte alla ricerca

6 Brugnolo-Capelli 2011, pag. 79. 7 Brugnolo-Capelli 2011, pag. 81.

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

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di Galvano. Nel frattempo si diffonde la falsa notizia della morte del protagonista, notizia

che fa provare un enorme dolore alla regina; tanto che quando il suo amante fa ritorno gli

consente l’accesso alla sua camera. Poco dopo questo episodio, Meleagant accusa Keu di

aver commesso adulterio con la regina; Lancillotto, quindi, si batte per difendere l’onore

di Ginevra, ma viene catturato e imprigionato, sarà Galvano a condurre Ginevra alla corte

di re Artù. Lancillotto riesce a fuggire per partecipare al torneo di Noauz, ma viene

nuovamente catturato. Solo con l’aiuto della sorella di Meleagant riuscirà a liberarsi e

sconfiggere definitivamente il suo avversario.

L’episodio più famoso e, probabilmente, più importante di tutto il romanzo è quello della

carretta. Nel periodo storico in cui Chrétien scriveva, la carretta era uno degli oggetti più

infamanti, in quanto servivano a trasportare i condannati a morte. Lancillotto sceglie di

salirvi cosciente di perdere la sua fama di cavaliere perfetto, poiché tiene molto di più al

suo amore per Ginevra. Queste decisione, però, permette a Lancillotto l’accesso nel regno

dei morti, ovvero quello del re Baudemagu, e poter, così, salvare Ginevra.

La visione di Chrétien in questo romanzo si sposta tutta a favore dell’amore, la cavalleria

viene completamente superata in importanza dall’amore. L’amore non è edificante come

Nell’Erec et Enide o nell’Yvain, anzi, più Lancillotto evolve dal punto di vista del codice

amoroso, più retrocede nel seguire le regole della perfetta cavalleria. In questo romanzo

Chrétien ha voluto celebrare quell’amore così forte che è pronto a sacrificare tutto per

conquistare l’oggetto del suo desiderio.

1.2.4 Li contes del graal

La trama di quello che si pensa essere l’ultimo romanzo di Chrétien si sviluppa su due

linee: una vede come protagonista Perceval, l’altra si dilunga su Galvano.

Perceval, sebbene faccia parte di un’importante dinastia di cavalieri, cresce nella totale

ignoranza delle arti cavalleresche in quanto la madre lo vuole tenere lontano da questo

mondo; questo perché aveva già perso il marito e due figli. Basta, però, la visione di

cinque cavalieri di Artù nel bosco per far nascere nel protagonista il desiderio di diventare

cavaliere. Presa la decisione, quindi, parte verso la corte di re Artù, lasciando la madre

sofferente che si accascia a terra. Le prime azioni di Perceval sono dettate dall’ingenuità

e dall’ignoranza delle norme cavalleresche. Sarà il nobile Gornemant de Goort ad istruirlo

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

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su come essere un cavaliere degno del suo Ordine. La prima avventura dopo essere stato

istruito è la liberazione dall’assedio del castello di Beaurepaire, dove si innamora di

Biancofiore, la castellana. La seconda vede il protagonista soggiornare nel maniero del

Re Pescatore, uomo molto ammalato. In questo contesto, assiste alla processione della

lancia stillante sangue e del graal, senza fare alcuna domanda. Incontra, di seguito, una

sua cugina che lo rimprovera per non aver fatto alcuna domanda riguardo la processione;

se avesse domandato informazioni riguardo a ciò che vedeva, sarebbe riuscito a guarire il

Re Pescatore. Rimanendo in silenzio, ha dimostrato la stessa insensibilità di cui aveva

dato prova andandosene da casa senza soccorrere la madre accasciata a terra. Perceval fa

ritorno alla corte di re Artù dove arriva una fanciulla orrenda che, prima, maledice il conte

del graal, poi invita i cavalieri a duellare con i più scelti soldati del Castello Orgoglioso e

liberare la fanciulla rinchiusa a Montesclaire. Mentre gli altri cavalieri accettano la sfida,

Perceval comincia a vagare senza pace alla ricerca della lancia e del graal. Da una parte

si trova Galvano impegnato in continue peripezie, dall’altra Peceval che in cinque anni

compie mirabili imprese. Le imprese di Perceval, però, non vedono in alcun modo la

presenza di Dio nel suo cammino. È così che un venerdì santo incontra un gruppo di

penitenti e prende coscienza della sua misera condotta. Decide quindi di andare a

confessarsi da un eremita, che scopre essere suo zio. L’eremita educa il cavaliere ai

misteri profondi della fede, che da questo momento in poi guideranno il suo cammino.

Da qui il romanzo si sposta verso le peripezie di Galvano. Il romanzo è rimasto

incompleto, alcuni studiosi pensano questo che possa essere dovuto alla morte dell’autore

stesso.

La compresenza di due trame all’interno dello stesso romanzo ha creato diverse

discussioni tra gli studiosi. Alcuni hanno supposto che il lavoro di Chrétien finisca col

sopraggiungere della parte dedicata a Galvano; altri credono che le due parti

appartenessero a due romanzi diversi, unite da una seconda persona solo dopo la morte

di Chrétien. In realtà, diversi aspetti strutturali e narrativi presenti in quest’ultimo

romanzo si trovano già nei precedenti, sebbene in forma embrionale. Inoltre, è piuttosto

evidente che le storie di Galvano fungano in qualche modo «da contraltare a quelle di

Perceval, che delineano invece un progressivo percorso di formazione e di educazione

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

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spirituale, e rappresentano un modello di cavalleria da superare, un mondo in cui i valori

vengono, sia pure con discrezione, messi in discussione.»8

È doveroso soffermarsi brevemente sul graal, il cui mito ha inizio con questo romanzo.

Proprio da quest’opera, infatti, viene attribuita una misteriosa sacralità al graal (così viene

nominato questo recipiente, il cui nome viene ripreso dal latino GRADALEM che

significa ʻvassoioʼ) senza aver ancora alcuna implicazione religiosa. Saranno le opere

letterarie successive che definiranno per bene del mito, anche perché da questa ne

possiamo trarre davvero poche informazioni, anche solo una descrizione fisica dettagliata

ci è negata. Ciò che è contenuto all’interno del graal è un’ostia che tiene in vita il re

spirituale del Re Pescatore. Questo elemento getta le basi per la trasformazione dal graal,

oggetto magico profano, al Graal, oggetto sacro e vera reliquia da venerare.

1.3. Le chevalier au lyeon

1.3.1 Trama

La trama dell’Yvain può essere scomposta in tre blocchi narrativi. Il primo rappresenta la

felicità provvisoria raggiunta da Yvain, ma che lui stesso non riesce a mantenere. Lo

scenario iniziale di tutta la storia è la corte di re Artù, dove si sono radunati i cavalieri

della Tavola Rotonda per celebrare una ricorrenza molto presente nei romanzi

cavallereschi: la pentecoste. In questa occasione Calogrenant, cavaliere e cugino di

Yvain, decide di raccontare la sua avventura alla fonte miracolosa, dove venne sconfitto

da un cavaliere dall’armatura rossa. Il re, sentita la storia, decise di recarsi con la corte

alla fonte. Il protagonista decise di avviarsi verso la fonte prima del resto della corte, così

da avere la possibilità di battersi prima di tutti. Durante il viaggio incontra un valvassore

molto gentile che lo accoglie in casa insieme alla sua bellissima figlia, e, di seguito, un

essere molto strano, che nella tradizione si identifica con il signore degli animali, e che

indica a Yvain la strada per arrivare alla fonte. Una volta arrivato alla fonte, compie gli

stessi gesti che aveva compiuto la prima volta Carlogrenant, così da scatenare una

tempesta, terminata la quale arriva al galoppo Esclados, il cavaliere dall’armatura rossa.

Tra i due inizia un combattimento molto duro, tanto sono valorosi i due cavalieri, finché

8 Brugnolo-Capelli 2011, pag. 101-102.

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

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Yvain riesce ad assestare all’avversario un colpo molto violento. Esclados è così costretto

a ritirarsi dal duello e comincia a galoppare verso il suo castello, inseguito dal

protagonista. Yvain riesce ad entrare al castello al seguito dell’avversario, ma dietro di

lui si chiude una porta-ghigliottina che taglia a metà il suo cavallo e gli trancia gli speroni.

In questo modo, Yvain si ritrova chiuso dentro una stanza, senza alcuna possibilità di

scappare. In suo soccorso, però, arriva Lunete, damigella della dama del castello, che si

ricordava delle cortesie che Yvain stesso le aveva rivolto e decide di aiutarlo. Per farlo

gli consegna un anello che conferisce il dono dell’invisibilità a chi lo indossa; così, una

volta che gli abitanti del castello entrano nella stanza per cercare Yvain, non riescono a

trovarlo. L’aiuto di Lunete, però, non si ferma a questo. Dalle finestre della stanza, infatti,

Yvain vede la moglie del cavaliere che aveva ucciso e se ne innamora follemente. La

damigella, quindi, si serve della fiducia che la sua dama pone in lei per far avvicinare

Yvain alla sua amata, Laudine. Questa, dapprima, si oppone a questo amore, ma dopo si

lascia convincere e i due si sposano, con il consenso del resto della corte. Poco dopo il

loro matrimonio, sopraggiunge la corte di re Artù alla fonte. Yvain va loro incontro,

sconfigge Keu e invita loro a dimorare nel suo castello. Dopo vari giorni di

festeggiamenti, Yvain viene invitato da Gauvain a seguirlo per affrontare nuove imprese.

Il cavaliere del leone, per paura di macchiarsi dell’onta di recreantise, decide di partire

alla ricerca di avventure insieme ai suoi compagni una volta ottenuto il permesso della

consorte di stare lontano per il tempo massimo di un anno.

La seconda sezione del romanzo vede la rottura del patto d’amore tra Yvain e Laudine,

in quanto il protagonista non ha fatto ritorno al castello nel tempo promesso alla consorte.

Quando il cavaliere si accorge della sua colpa, non riesce a sopportare il peso della

vergogna e diventa folle9. Dopo questo periodo di incoscienza (che può essere interpretato

come la morte del vecchio Yvain), il protagonista viene fatto rinsavire da un’ancella

mandata dalla dama di Noroison (al contrario, questo episodio può essere inteso come la

rinascita). Da questo momento in poi e, soprattutto, da dopo l’incontro con il leone nella

foresta, inizia la serie di avventure che il cavaliere del leone affronta e che testimoniano

il cammino interiore che egli stesso sta compiendo per essere nuovamente degno

9 La follia di Yvain acquisisce le caratteristiche già conosciute nell’Ercole furioso (come il vagare nudi

per il bosco o il mangiare carne cruda), e che verranno poi riprese in opere successive come l’Orlando

furioso.

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

19

dell’amore della sua amata. L’incontro con il leone è l’evento centrale di tutto il romanzo,

e da questo momento in poi il leone diventa il compagno di avventure di Yvain. Le

avventure che Yvain deve affrontare sono quattro: salva Lunete, condannata al rogo

ingiustamente; vince Arpino della Montagna, un terribile gigante; si batte con Galvano

per risolvere la diatriba tra le sorelle di Nera Spina e sconfigge i due fratelli demoni nel

castello di Mala Ventura per liberare le operaie schiavizzate.

L’ultimo blocco narrativo è costituito dal perdono concesso da Laudine e la conseguente

felicità definitiva, dovuta anche al fatto che ormai Yvain può considerarsi un cavaliere

quasi perfetto. A completare questo quadro di armonia e stabilità troviamo una struttura

narrativa a cerchio, in quanto il romanzo si conclude con il trasferimento dei due coniugi

dalla fonte miracolosa alla corte di Re Artù, luogo da dove tutto ha inizio.

1.3.2 Amore e cavalleria

Come si è già detto in precedenza, osservando lo schema narrativo del Chevalier au lyeon,

e confrontandolo con quello dell’Erec et Enide, possiamo notare che la disposizione delle

sequenze è identica. In entrambi i romanzi, difatti, troviamo il matrimonio all’inizio della

narrazione, la crisi al centro e il ricongiungimento dei due coniugi alla fine. Ciò che

cambia, invece, è il percorso interiore svolto dal cavaliere. Infatti, mentre Erec dopo il

matrimonio rimane legato ai piaceri di amore, e trascura i suoi doveri di cavaliere, Yvain

si allontana dalla moglie proprio per paura di essere accusato di recreantise. La crisi

iniziale dei due romanzi, perciò, sfocia da due atteggiamenti opposti ed estremi all’interno

di quell’equilibrio, di cui abbiamo già accennato prima, tra amore e cavalleria. Chrétien,

quindi, critica entrambi i cavalieri, mettendo così allo stesso livello i valori cavallereschi

e quelli dell’amore. Ecco, allora, che riuscire a riconquistare il favore della propria amata

diventa anche mezzo per diventare un perfetto cavaliere.

1.3.3 Il percorso interiore di Yvain

Una volta rinsavito dalla pazzia, quindi, qual è il modo per riottenere la fiducia di

Laudine? Il cammino di Yvain verso questo nuovo traguardo interiore è segnato da due

fattori: l’umiltà e le donne.

Il primo è caratterizzato dalla perdita del nome: il cavaliere non si fa più chiamare con il

proprio nome, che tutti conoscevano, ma si fa chiamare «Le chevalier au lyeon». La

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

20

perdita del nome è la perdita dell’orgoglio che caratterizzava il protagonista nella prima

parte del romanzo, e che lo rendeva ancora imperfetto10. La scelta di non far conoscere

alla corte di Re Artù le sue imprese, vuol dire escludere ogni secondo fine personale da

quello che si sta facendo e mettere la propria forza veramente al servizio dei più deboli11.

Il secondo fattore può ricordare lontanamente la legge del contrappasso che caratterizza

la Divina Commedia: poiché Yvain ha tradito la fiducia della propria dama, così, per poter

riottenere il suo favore, dovrà andare in soccorso di tutte le fanciulle che ne avranno

bisogno. Si può notare, infatti, l’asimmetria tra le imprese compiute prima della pazzia e

quelle compiute dopo. Le prime non vedono beneficio per alcuno, se non per l’orgoglio

e la fama del cavaliere stesso; le seconde hanno come fine il soccorso di una o più donne

(si pensi alla dama di Noroison, all’avventura nel castello di Mala Ventura o alla

liberazione di Lunete).

10 La perfezione di cui si parla è diversa da quella totale che può raggiungere solamente chi riesce a

conquistare il Santo Graal. 11 Si ricorda che all’inizio del romanzo Yvain parte da solo alla ricerca della fonte miracolosa pur di poter

affrontare quell’avventura ed essere lui stesso a salvare il cugino dall’onta.

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

21

CAPITOLO SECONDO: IL LEONE E IL SERPENTE

2.1 Il leone

«Cominceremo parlando del leone, il re degli animali.»12

Questo è l’incipit con cui si apre la sezione del Fisiologo riguardante il leone. Nell’epoca

attuale non stupisce che il leone sia menzionato come re degli animali, in quanto questa

lunga tradizione è ancora ben presente (si pensi anche solo al film di animazione Il Re

Leone della Disney, o alle Cronache di Narnia di Lewis, dove il leone, addirittura, ha il

ruolo di un dio creatore). Al contrario di quello che si potrebbe pensare, però, la corona

del regno animale non è sempre appartenuta al leone.

Sfogliando la Bibbia si può notare come il leone sia un animale che compare molto

frequentemente, accompagnato da un’aura di potenza e di coraggio, cosa che rende lui un

animale molto difficile da sconfiggere. In generale, però, la figura del leone è considerata

piuttosto negativamente, dall’Antico Testamento fino ai Padri della Chiesa. Nell’Antico

Testamento il leone rappresenta i nemici d’Israele, i malvagi, i tiranni, qualcosa da cui

Dio doveva proteggere l’uomo, come recita il Salmo 22 “Salvami dalla bocca dei leoni”.

La maggior parte dei Padri della Chiesa vedono nelle sue fauci l’orrido dell’inferno e la

lotta contro questo animale corrisponde alla lotta contro Satana.

Contemporaneamente a questo leone cattivo esiste un leone buono, le cui caratteristiche

sono il coraggio, la generosità, la potenza, la regalità e a cui vengono paragonati tutti i re

e gli eroi dotati di forza eccezionale. Vi sono due passi nella Bibbia molto importanti, e

legati tra loro, dove compare il leone come figura positiva. Il primo si trova nel libro della

Genesi, ed è il passo da cui nasce l’immagine del leone della tribù di Giuda13: Giacobbe

benedice Giuda e tutta la sua discendenza, da cui nasceranno re Davide e il Messia. Dio,

infatti, aveva promesso ad Abramo e a Giacobbe che avrebbe fatto nascere un re dalla

loro stirpe, e Giacobbe sancisce che ciò avvenga nella discendenza di Giuda, figlio degno

di questo onore.

12 Zambon 2011, pag. 39. 13Questa immagine, nell’Apocalisse, verrà attribuita a Cristo.

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

22

«Giuda, figlio mio, sei come un giovane leone

che ha ucciso la sua preda e torna nella tana.

Come una leonessa sdraiata e accovacciata:

chi oserà farti alzare?

Lo scettro rimarrà nella casa di Giuda,

il bastone di comando non le sarà mai tolto

finché verrà colui al quale appartiene:

a lui saranno sottoposti tutti i popoli.»14

Il leone, quindi, in questo caso è l’animale scelto a cui paragonare il capostipite della

dinastia a cui apparterà Gesù (questa immagine del leone di Giuda sarà molto presente in

futuro, tanto da essere citata nel Fisiologo stesso).

Il secondo passo, invece, appartiene all’Apocalisse, ed è un richiamo diretto al brano che

abbiamo appena citato: Giovanni ha la visione di un libro chiuso da sette sigilli e di un

angelo che domanda chi sia la persona degna ad aprire il libro. L’apostolo è colto dalla

disperazione, in quanto crede non si sia alcun vivente e non meritevole di aprire il libro.

«Ma uno degli anziani mi disse: “Non piangere. Colui che si chiama “Leone della tribù

di Giuda” e “Germoglio di Davide” ha vinto la sua battaglia e può aprire il libro e i suoi

sette sigilli”.»15

Ecco che il leone ha una valenza ancora maggiore di quella vista prima: viene a

rappresentare lo stesso Gesù. Da questo momento in poi, sebbene il suo cammino sarà

comunque ostacolato, come detto prima, da una parte dai Padri della Chiesa, il leone

comincia la sua ascesa all’interno della gerarchia animale, in quanto simbolo di Cristo. I

bestiari, infatti, sia latini che volgari, che sono stati scritti in questo periodo si dilungano

nella descrizione di questo animale e lo definiscono “rex bestiarum” (re delle bestie

selvatiche), se non già “rex animalium” (re degli animali).

Spostando lo sguardo verso il mondo greco, ci si può soffermare sulle favole di Esopo.

Qui il leone compare quasi sempre come il re degli animali. Questa qualità, però, non gli

14 Genesi, 49, 9-10. 15 Apocalisse, 5, 5.

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

23

garantisce di comparire sempre come figura positiva: i leoni che compaiono nelle favole

possono essere dei buoni re, come nella favola Il leone e il suo regno, oppure figurare

come esseri arroganti e presuntuosi, come ne Il leone e la zanzara. In sostanza, se da una

parte in queste favole il ruolo del leone non è messo in dubbio, dall’altra deve essere il

leone stesso a rendersi degno della sua regalità.

Nonostante questo inizio turbolento, a partire dall’anno Mille circa il leone comincia ad

acquisire una connotazione completamente positiva e a salire definitivamente sul trono

del regno animale, sottraendolo all’orso. Si tenga presente che il leone era un animale

piuttosto conosciuto nel mondo occidentale di quell’epoca, in quanto non erano rari i

serragli di bestie feroci che giravano di fiera in fiera e le sue raffigurazioni erano molto

presenti nelle chiese, negli stemmi, finanche nelle miniature dei libri.

Dal punto di vista letterario, il Roman de Renart può rappresentare molto fedelmente

quale fosse la gerarchia animale nell’Alto Medioevo. In questi poemi, infatti, vengono

raccontate le gesta di un cavaliere d’eccezione, ovvero Renart, una volpe caratterizzata

da una formidabile furbizia. La società animale in cui sono ambientate queste vicende

ricalca quella umana; infatti si trovano: l’orso (castellano e messaggero del re), l’asino

(l’arciprete), la scimmia (il buffone) e via di seguito. A capo di questa società vi è il leone

Noble, re «maestoso, fiero, giusto, generoso ma anche ingenuo»16. Ecco che ancora una

volta il leone compare sul trono e, in questo caso, sebbene sia accusabile di ingenuità,

figura come un giusto e la sua unica debolezza non gli conferisce una patina negativa.

Esiste un’altra situazione dove il leone dimostra la sua supremazia: nelle raffigurazioni

dell’episodio biblico dell’Arca di Noè. Come è ovvio che sia, le rappresentazioni

pittoriche di questa narrazione non possono mostrare tutte le coppie delle specie animali

viventi; proprio per questo motivo è interessante notare la scelta dei pittori attraverso i

secoli e le culture, poiché la preferenza di una specie animale rispetto ad un’altra «è

specchio del sistema di valori, di pensiero, di conoscenze e classificazioni zoologiche che

sono differenti e si diversificano a seconda del tempo, delle regioni e della società»17.

Come osserva bene Pastoreau, nel suo libro Animali celebri: «Nel medioevo, ad esempio,

nelle rappresentazioni dell’arca che galleggia sulle acque del diluvio, gli animali non sono

16 Pastoureau 2014, pag. 90. 17 Pastoureau 2014, pag. 17.

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

24

sempre raffigurati. Ma quando sono presenti – cioè quattro volte su cinque – il leone c’è

sempre»18. Sempre nello stesso libro, l’autore commenta le raffigurazioni dell’ingresso

degli animali nell’arca, o dell’uscita, sottolineando il fatto che molto spesso, se non

sempre, è il leone ad aprire la fila degli animali, come è giusto che sia per il re degli

animali. Anche queste rappresentazioni dell’arca, quindi, ci confermano che il leone,

durante il Medioevo, ha perso completamente la connotazione negativa.

Analizzando il Fisiologo, opera a cui si rifanno tutti i bestiari medievali, si possono notare

tre caratteristiche grazie alle quali il leone viene paragonato a Cristo.

«La sua prima natura è questa: quando vaga e passeggia per la montagna e gli giunge

l’odore dei cacciatori, con la coda cancella le proprie impronte, affinché i cacciatori,

seguendole, non trovino la sua tana e lo catturino. Così anche il Cristo nostro, il leone

spirituale vittorioso, della tribù di Giuda, della radice di Davide, inviato dal Padre

invisibile, ha nascosto le sue impronte spirituali, cioè la sua divinità. […]

Seconda natura del leone. Quando il leone dorme nella tana, i suoi occhi vegliano: infatti

rimangono aperti. […] Così anche il corpo del Signore mio dorme sulla croce, ma la sua

natura divina veglia alla destra del Padre […]

Terza natura del leone. Quando la leonessa genera il suo piccolo, lo genera morto, e

custodisce il figlio, finché il terzo giorno giungerà il padre, gli soffierà sul volto e lo

desterà. Così anche il Dio nostro onnipotente, il Padre di tutte le cose, il terzo giorno ha

risuscitato dai morti il suo Figlio, primogenito di tutte le creature, il Signore nostro Gesù

Cristo, affinché salvasse il genere umano smarrito. Bene quindi ha detto Giacobbe: “Si è

sdraiato e ha dormito come un leone e come un leoncino: chi lo desterà?”»19

In alcuni bestiari medievali il leone compare anche come nemico della scimmia che era

conosciuta come una creatura del male, diabolica. Si è quindi certi che per gli uomini del

Medioevo il leone simboleggiasse Cristo (si pensi anche a tutte la raffigurazioni presenti

nelle chiese). Ciò che ci si potrebbe domandare è come l’uomo medievale abbia gestito il

fatto che nella Bibbia il leone non sempre compaia positivamente, anzi. Tra il secolo XI

e XII nei bestiari vediamo comparire un alter ego del leone positivo, ma che acquisisce

18 Pastoureau 2014, pag 17-18. 19 Zambon 2011, pag. 39-40.

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

25

tutte le caratteristiche negative del leone che compaiono nella Bibbia e negli scritti dei

Padri della Chiesa. Questa sorta di surrogato del leone è il leopardo; è, quindi, certo che

all’epoca in cui Chrétien de Troyes scrisse Le chevalier au lyeon il leone figurasse come

re degli animali e immagine di Cristo.

2.2 Il serpente

«Il serpente era più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio, il Signore, aveva fatto»20

Si è visto prima che il leone ha una storia molto travagliata prima di diventare immagine

di Cristo. Il serpente, invece, è un animale che ha avuto una forte simbologia negativa e

demoniaca dalla Genesi fino ancora ai giorni nostri. La categoria dei serpenti nei bestiari

medievali non è omogenea, ma quasi sempre compaiono sotto questo nome l’aspide, la

vipera e la biscia. Il re dei serpenti è il basilisco, mentre il serpente più forte rimane il

drago. La vipera figura come la più furba e crudele21 e il Fisiologo la paragona ai farisei,

in quanto «allo stesso modo in cui la vipera uccide il padre e la madre, anch’essi hanno

ucciso i loro padri spirituali, i profeti, e il Signor nostro Gesù Cristo e la Chiesa»22.

Nella sezione del Fisiologo dedicata al serpente vengono elencate quattro nature di

quest’ultimo, e da cui si possono trarre degli insegnamenti per l’uomo.

«Seconda natura del serpente. Quando il serpente va alla fonte a ber dell’acqua, non porta

con sé il veleno, ma lo depone nella propria tana.………………………………… Così

anche noi, quando accorriamo all’acqua perenne e pura, che è piena delle parole celesti e

20 Genesi, 3, 1. 21 Probabilmente questa crudeltà le viene attribuita a causa di una credenza che vedeva la femmina

mozzare il capo al compagno durante l’accoppiamento e i cuccioli uccidere la madre non appena venuti al

mondo. 22 Zambon 2011, pag. 49.

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

26

divine, non dobbiamo portare con noi nella Chiesa di Dio il veleno della malvagità, ma

dobbiamo completamente espellerlo da noi stessi e accostarci puri. …

Terza natura del serpente. Quando vede un uomo nudo, ha paura e fugge via; se invece lo

vede vestito, gli balza addosso. …………………………………………………………

Anche noi consideriamo spiritualmente come, quando il nostro padre Adamo era nudo

nel paradiso, il demonio non ha potuto assalirlo. Perciò se anche tu hai l’abito dell’uomo

vecchio, cioè le foglie di fico del piacere, per essere invecchiato nei giorni malvagi, il

demonio ti balza addosso.»23

Si osservi che nella seconda natura sembra che il male attribuito al serpente risieda

soprattutto nel suo veleno, non vi è quindi una condanna totale dell’animale, ma il veleno

che ha in corpo lo rende cattivo. Così anche l’uomo non è un essere malvagio di per sé,

ma è il peccato la sua rovina e ciò da cui si deve tenere ben lontano. La terza, invece,

dimostra proprio come il serpente sia associato a Satana: il serpente non attacca un uomo

nudo, così come Satana non ha attaccato Adamo se non quando si è vestito.

Non si può non tener conto, comunque, che la storia dell’uomo occidentale inizia con la

Genesi biblica e con il peccato originale. In questo episodio il serpente ha il ruolo

fondamentale del corruttore, di colui che grazie alla sua furbizia è riuscito a fare in modo

che Eva e Adamo andassero contro il volere di Dio. Il mandante, o il colpevole reale è

Satana stesso, il serpente è l’animale attraverso il quale si compie il male. Questo compito

costa al serpente la maledizione da parte di Dio:

«Allora Dio, il Signore, disse al serpente: “Per quel che hai fatto tu porterai questa

maledizione fra tutti gli animali e fra tutte le bestie selvatiche: Striscerai sul tuo ventre e

mangerai polvere tutti i giorni della tua vita. Metterò inimicizia fra te e la donna, fra la

tua e la sua discendenza. Questa discendenza ti colpirà al capo e tu la colpirai al

calcagno”.»24

23 Zambon 2011, pag. 49-50. 24 Genesi, 3, 14-15.

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

27

È Dio stesso a sancire la malvagità di questo animale e a renderlo nemico della donna e

quindi dell’uomo. Si noti che, come la figura del leone di Giuda della Genesi è stata poi

ripresa nell’Apocalisse, anche il serpente viene richiamato con il segno del drago.

«Un altro segno apparve nel cielo: un drago enorme, rosso fuoco con sette teste e dieci

corna. […] Poi scoppiò una guerra nel cielo: da una parte Michele e i suoi angeli, dall’altra

il drago e i suoi angeli. Ma questi furono sconfitti, e non ci fu più posto per loro nel cielo,

e il drago fu scaraventato fuori. Il grande drago, cioè il serpente antico, che si chiama

Diavolo e Satana, ed è il seduttore del mondo, fu gettato sulla terra, e anche i suoi angeli

furono gettati giù.»25

Il serpente antico è Satana, il seduttore. In questo passo dell’Apocalisse compare anche

la figura di una donna che dovrebbe simboleggiare, a seconda delle letture che se ne

fanno, la Vergine Maria o la Chiesa. Comunque sia, l’inimicizia tra la donna e il drago è

quella annunciata nella maledizione di Dio al serpente. Non a caso, molto spesso le

raffigurazioni di “Maria Immacolata” e di alcuni santi prevedono un serpente schiacciato

dai piedi di quest’ultimi: è la sconfitta del male e del peccato.

Tornando nell’ambiente medievale, più precisamente negli scritti di un chierico come

Chrétien de Troyes, non si può non considerare tutto questo bagaglio di simbologie che

questi due animali portano con loro. Quando Chrétien, nel suo romanzo, pone Yvain

davanti alla scelta se salvare un leone o un serpente non lo fa senza tenere conto delle

simbologie. Inoltre, questa decisione diventa molto importante nelle dinamiche del

romanzo, in quanto, in un romanzo cavalleresco, il leone e il serpente possono significare

la forza ferina26 del cavaliere; a lui la scelta se assumere una forza cristologica o una forza

demoniaca.

25 Apocalisse, 12, 1-10. 26 Con “forza ferina” alcuni studiosi intendono quella forza più nascosta e istintiva dei cavalieri che

emerge solo in particolari situazioni, e che è simile alla forza bruta degli animali feroci.

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

28

2.3 Il Fisiologo e i bestiari del Medioevo

Vista l’importanza che ebbe il Fisiologo per i bestiari medievali, è importare dedicare

dello spazio a quest’opera, padre dei bestiari. Purtroppo, di questo non sono certe né il

luogo né la datazione né, soprattutto, l’autore. Nell’introduzione alla sua edizione critica,

Francesco Zambon spiega che le ipotesi sull’origine di quest’opera indicano le località

tra l’Egitto e la Siria, mentre l’epoca oscilla tra il II e il IV secolo. Specifica, inoltre, che,

in base ad alcuni riferimenti storici e dottrinari, è possibile essere più specifici all’interno

di quella supposizione e credere che l’opera sia stata composta tra la fine del II secolo e

la prima metà del III secolo ad Alessandria. L’ipotesi del luogo di origine viene condivisa

anche dall’enciclopedia Treccani, anche se la datazione viene fatta coincidere con il II

secolo. Entrambi, comunque, non riescono a dare alcuna informazione sull’autore.

Come si era già accennato, il Fisiologo ebbe una larghissima diffusione. Infatti, già dal V

secolo d.C. il testo greco venne tradotto in etiopico, in armeno, in siriaco, in latino, e altre

lingue. La prima redazione greca dell’opera subì diverse trasformazioni; ad esempio, la

versione latina vede l’inserimento di altri testi scientifici dell’antichità. Queste evoluzioni

dell’opera vedono due linee guida opposte: quella latina e quella dei bestiari romanzi. La

prima prevede una classificazione degli animali sempre più rigorosa e scientifica che apre

la strada ai moderni studi di zoologia; la seconda, invece, mostra ad una sempre più

ricercata rielaborazione moralistica o letteraria. Basti pensare che «si ebbero ʻbestiariʼ

dedicati ai vizi e alle virtù, alla preparazione spirituale dell’anima, alla Vergine, e così di

seguito: notissimi sono poi i ʻbestiari d’amoreʼ, ove le proprietà degli animali sono

addirittura convocate a illustrare il discorso della seduzione amorosa».27

Nel corso degli studi sul Fisiologo si è posta spesso la domanda se l’impostazione

dell’opera fosse più prettamente scientifica, o più allegorica. La seconda delle due è

l’opinione più condivisa dagli studiosi, in quanto i codici che appartengono alla tradizione

e che sono privi di questi aspetti moralizzanti, sebbene in un primo momento si credette

appartenessero ad una fase più antica, in realtà si è, in seguito, scoperto che si trattavano

di riassunti dell’opera stessa. Non si tiene, poi, conto del significato reale del termine

ʻfisiologiaʼ nei primi secoli dopo Cristo. Nell’ambito laico questo termine disegnava

l’allegoria; mentre in quello Cristiano, come ben definisce Clemente Alessandrino negli

27 Zambon 2011, pag. 19.

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

29

Stromati, è quel processo per il quale dall’osservazione degli elementi del cosmo ci si

innalza alla contemplazione del divino. È quindi indiscutibile l’apporto moralizzante di

quest’opera, più specificamente di una morale cristiana.

Come si è già accennato in precedenza, i bestiari romanzi del Medioevo, che si basano

molto spesso sul Fisiologo stesso, lasciano largo spazio alla classificazione morale degli

animali. Interessante è la definizione che Michel Pastoureau dà di ʻbestiariʼ nel suo libro

Bestiari del Medioevo:

«Quegli strani ʻlibri di animaliʼ che parlano delle diverse specie zoologiche non tanto per

descriverle oggettivamente e ancor meno per studiarle in maniera scientifica, ma piuttosto

per trarne significati morali e religiosi. Non sono trattati di storia naturale, almeno non

nel senso comune del termine, ma opere che parlano degli animali per meglio parlare di

Dio, di Cristo, della Vergine, a volte dei santi, e soprattutto del diavolo, dei demoni e dei

peccatori. Se si soffermano sulle ̒ proprietàʼ delle bestie e sulle meraviglie delle loro varie

ʻnatureʼ, non è per dissetare della loro anatomia, etologia o biologia, ma per celebrare la

Creazione e il Creatore, per trasmettere le verità della fede, per invitare i fedeli a

emendarsi.»28

Più avanti, sempre nello stesso libro, l’autore precisa che nel Medioevo la verità veniva

ricercata molto più nella metafisica che nella fisica. Si può, quindi, intuire che nell’epoca

contemporanea a Chrétien gli animali venivano considerati molto di più per quello che

simboleggiavano che per quello che, in realtà, erano. L’attendibilità scientifica di quello

che veniva scritto nei bestiari non importava, l’importante era che gli animali fossero

mezzo per comunicare le verità della fede.

La presenza del pensiero cristiano, all’interno del Fisiologo, fa sorgere, allo stesso tempo,

delle problematiche, in quanto nel testo si possono riscontrare alcuni elementi che

possono far parte di alcune correnti eretiche, come quelle gnostiche, simoniane o ofite.

Riguardo a questo, Francesco Zambon crede che non sia propriamente corretto credere

28 Pastoureau 2012, pag. 6.

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

30

che l’autore sconosciuto del Fisiologo aderisca a queste eresie in quanto da una parte

questi riferimenti non sono, tutto sommato, numerosi e dall’altra vi si può spesso trovare

esortazioni all’unità all’interno della Chiesa e all’obbedienza verso la stessa.

« Il Fisiologo ha detto del leone che ha tre nature »29

Molti capitoli del Fisiologo presentano questa frase per introdurre l’argomento. In tutto

il libro compare questa figura misteriosa, senza alcun riferimento concreto. In realtà il

fisiologo non è altro che l’alter ego cristiano dei maghi ellenistici; ovvero quelle figure a

cui vengono rivelati i segreti della natura. Francesco Zambon, inoltre, sempre

nell’introduzione alla sua edizione critica del Fisiologo, fa riflettere sul fatto che, in realtà,

il primo fisiologo in assoluto è Adamo, in quanto «nella sua originaria nominazione degli

animali, in cui ciascuno di essi, come dice Filone, ebbe un nome «interamente rivelatore»

delle sue occulte proprietà, offrì una sorta di paragdimma perfetto al ʻbestiarioʼ»30

CAPITOLO TERZO: LA SCELTA DI YVAIN

29 Zambon 2011, pag. 39. 30 Zambon 2011, pag. 25-26.

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

31

«Et li lyons lez lui costoie

Que ja mes ne s’an partira,

Toz jorz mes avoec lui ira

Que servir et garder le vialt»31

Il passo appena citato sancisce l’inizio della relazione di amicizia tra il leone e il cavaliere.

L’importanza di questo episodio è sancita anche dalla posizione di questo avvenimento

all’interno del romanzo: la vicenda si trova sia a metà degli eventi narrati, sia a metà del

numero di versi. Se si tiene conto che il leone compare anche nel titolo, non si può non

pensare che Chrétien conferisse al leone un ruolo decisamente importante e in modo del

tutto consapevole.

Si è accennato, alla fine del secondo capitolo, alla forza ferina del cavaliere; Zimmer

riguardo a questo dice:

«Il leone inarticolato, forza vitale bruta nel suo aspetto più maestoso e generoso,

rappresenta, come il cavallo meraviglioso della storia di Conn-eda, il principio guida

intuitivo che conduce l’eroe alla sfera della potenza soprannaturale, che è a un tempo al

di sopra e al di sotto del piano sociale. La perfetta coscienza umana del cavaliere, unita

all’istinto subumano e sovraumano del re degli animali, si dimostra più forte persino del

titano della foresta, e prevale là dove l’umana cavalleria avrebbe mancato di sagacia e di

forza.»32

Yvain senza il leone non è completo, la sua forza non è alla massima potenza. Il leone

non è un semplice compagno, ma è la guida che lo conduce nel suo percorso alla ricerca

della perfezione, per poter essere riammesso alla corte di Laudine. Non a caso, il

comportamento di Yvain durante la sua pazzia è molto simile a quello del leone:

31Gambino 2011, pag 312 (v. 3414-3417). 32 Zimmer 1983, pag. 142.

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

32

«Tant com il fu an cele rage

Que aucune beste salvage

Ne li aportast a son huis.

Iceste vie mena puis,

Et li boens hom s’antremetoit

De l’escorchier, et si metoit

Asez de la venison cuire;

Et li peins, et l’eve en la buire

Estoit toz jorz a la fenestre

Por l’ome forsené repestre;

S’avoit a mangier et a boivre

Venison sans sel et sanz poivre

Et aigue froide de fontainne.» 33

«In seguito non passarono otto giorni,

per tutto il tempo in cui fu pazzo,

che non portasse al suo uscio

una qualche bestia selvaggia.

Questa era la vita che conduceva,

e il buon uomo si occupava

di scuoiare la pelle, e di mettere

buona parte della cacciagione a

………………………… cuocere;

e il pane e l’acqua nell’orcio

erano ogni giorno alla finestra

per nutrire il forsennato;

aveva così da mangiare e da bere,

cacciagione senza sale e senza pepe

e acqua fresca di fonte.»

«Qant ocis l’ot, si le gita

Sor son dos, et si l’en porta

Tant que devant son seignor vint,

Qui puis an grant chierté le tint

Por la grant amor qu’an lui ot.

Ja fu pres de nuit, se li plot

Qu’ilueques se herbergeroit

Et le chevrel escorcheroit

Tant com il en voldroit mangier.

Lors le comance a escorchier;

Le cuir li fant desus le coste,

De la longe un lardé li oste;

«Dopo averlo ucciso, se lo caricò

sul dorso e andò a portarlo

davanti al suo signore,

che da allora sentì per lui molto affetto

per il grande amore che gli mostrava.

Era già quasi notte, e dunque decise

di sostare in quel posto,

e di scuoiare il capriolo

per mangiarne a sazietà.

Cominciò dunque a scuoiarlo:

gli fendette la pelle sul fianco,

e gli levò un pezzo di carne dal lombo;

33 Gambino 2011, pag. 274 (v. 2871-2883)

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

33

Et tret le feu d’un chaillot bis,

Si l’a de busche sesche espris;

Puis mist en une broche an rost

Son lardé cuire au feu mout tost;

Sel rostist tant que il fu cuiz.

Mes del mangier ne fu deduiz

Qu’il n’i ot pein ne vin ne sel,

Ne nape, ne coutel, ne el»34

fece sprigionare il fuoco da una selce,

lo appicò a della legna secca,

poi mise il suo pezzo di carne

su uno spiedo ad arrostire sul fuoco;

lo fece arrostire finché fu cotto,

ma non ebbe piacere a mangiarlo,

perché non aveva pane, vino, sale,

tovaglia, coltello né null’altro.»

La corrispondenza del comportamento di Yvain da folle con quelle di una bestia selvatica

era già stata accennata, ciò che può, però, stupire di questi due passi è che il folle si

comporta esattamente come il leone si comporterà più tardi con lui. Nel momento in cui

Yvain perde la ragione segue unicamente il suo istinto ferino, che, in questo caso, coincide

completamente con quello del leone. Si noti, anche, che sia il leone che Yvain ringraziano

i propri benefattori portando loro della selvaggina.

Per il protagonista la pazzia ha rappresentato la morte dell’uomo vecchio, ed ora che è

rinsavito ha l’occasione di poter rimediare al suo errore ed elevarsi ad un livello più alto.

Ecco allora che, quando Yvain si trova davanti alla scelta se aiutare un serpente o un

leone, sta in realtà scegliendo tra una forza demoniaca e una cristologica. Non a caso, la

prima avventura che affronta Yvain dopo essere stato aiutato dalla dama di Noroison, e

averla aiutata a sua volta, è proprio questa. Quello che avviene quando trova i due animali

che lottano e sceglie di aiutare il leone, dopo essere rinsavito, è, in realtà, una sorta di rito

di iniziazione, o meglio, di battesimo. Dopo essere rinato Yvain ha deciso di percorrere

un cammino di vita che l’avrebbe riportato dalla sua signora; infatti, quando la dama di

Noroison lo prega, insieme a tutta la sua corte, di rimanere e di sposarla lui rifiuta.

Avrebbe potuto passare il resto della sua vita in quella corte servito e onorato come il

migliore cavaliere del mondo, ma sarebbe stato lo stesso errore che aveva già compiuto

34 Gambino 2011, pag. 314-316 (v. 3451-3470).

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

34

nella prima parte del romanzo. Inoltre, la sua scelta sarebbe stata contraddistinta, ancora

una volta, dall’orgoglio. Probabilmente è proprio grazie al superamento di questa prova

che gli viene concessa la seconda, ovvero quella di trovare il leone e il serpente nella

foresta. Solo un cavaliere valoroso e coraggioso come Yvain poteva decidere di fermarsi

davanti a quella scena e soccorrere l’animale più meritevole, e, soprattutto, simbolo di

Cristo. Da questo momento in poi può cominciare il cammino interiore di Yvain, guidato

dal leone (ovvero, riprendendo Zimmer, l’animale guida), portavoce del Signore.

Si è già visto in precedenza come la storia di Yvain possa essere paragonata a quella di

Erec, in quanto entrambi dovranno compiere un cammino interiore per riuscire a

comprendere il giusto equilibrio tra amore e cavalleria. Vi è, però, nella storia di Yvain

un elemento in più: la presenza di un marito che lo ha preceduto nell’amare Laudine.

Questo personaggio incarna totalmente la figura del guardiano della sorgente, che deve

essere sempre presente per poter proteggere la fonte, e alla cui morte deve essere

prontamente sostituito, così da non lasciare mai la sorgente incustodita. Questo, in realtà,

fa di Laudine una fata, più precisamente la fata della sorgente. Se ci si sofferma, infatti, a

guardare il comportamento di Laudine dopo la morte di Esclados, si può notare quanto

sia diverso da quello che ci aspetterebbe da una donna che ha appena perso il marito.

Zimmer dice:

«Se la contessa, la Dama della Fontana, fosse stata un essere umano, un io, una personalità

che reagisse alle situazioni in quanto individuo, sarebbe stato giusto che si abbandonasse

alla disperazione del lutto personale che le era stato inflitto dalla morte del suo consorte.

Avrebbe potuto rinunciare alla vita e alle gioie della femminilità e dell’amore. Ma, in

quanto fatata signora della Fontana della Vita, essa non è altro che la cieca forza vitale

incarnata; non può ritirarsi. E secondo il costume del Castello della Vita, essa e l’eroe che

ha ucciso il suo precedente marito, il predecessore dell’eroe stesso, si appartengono. Il

legame che li unisce è il defunto Cavaliere Nero. La Signora è stata conquistata dal

Cavaliere Nero, e il Cavaliere Nero da Ivano. […] Il sangue del vecchio sacerdote ucciso,

stillante dalle mani del suo sacro uccisore, era l’unguento iniziatico che consacrava

quest’ultimo nell’ufficio sacro del servitore ritualmente giustiziato.»

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

35

Yvain, quindi, è degno di essere il sacerdote della Fonte, poiché è riuscito a sconfiggere

il guardiano precedente; ma questo non basta. Egli non ha raggiunto ancora la perfetta

cavalleria, tanto da commettere il grave errore di lasciare la sorgente incustodita per più

di un anno. È giusto soffermarci, però, su un passo riguardante il marito precedente di

Laudine:

« Tant i fui que j’oï venir

Chevaliers, ce me fu avis;

Bien cuidai que il fussent dis,

Tel noise et tel bruit demenoit

Uns seus chevaliers qui venoit.

Qant ge la vi tot seul venant,

Mon cheval restraing maintenant,

N’a monter demore ne fis;

Et cil, come mautalentis,

Vint plus tost c’uns alerions,

Fiers par sanblant come lions. »35

« Rimasi assorto finché udii venire,

così mi parve, dei cavalieri;

pensai che fossero dieci,

tanto rumore e fracasso faceva,

sopraggiungendo, un solo cavaliere.

Quando lo vidi arrivare solo,

strinsi subito le cinghie del mio cavallo

e mi affrettai a montare in sella;

lui, con fare minaccioso,

giunse più rapido di un alerione,

feroce come un leone. »

Esclados viene paragonato ad un leone e così anche Yvain, che nel combattimento riesce

a sconfiggere il cavaliere, assume i connotati positivi della metafora con il leone. Già in

questo passaggio viene preannunciato quel rapporto speciale che Yvain avrà con il suo

compagno, ma questa coincidenza può anche, in qualche modo, far pensare ad una sorta

di ciclicità. Si può pensare, infatti, che per essere degni protettori della sorgente è

necessario essere come dei leoni, e, quindi, essere come Cristo. Non si dimentichi che le

avventure che seguono l’incontro del re degli animali e del cavaliere quasi perfetto sono

all’insegna del soccorso alle donne indifese e bisognose del loro aiuto. Questa

caratteristica delle loro imprese segue una logica completamente cristiana che vede un

Dio capace si immolarsi per gli esseri umani e sempre pronto ad aiutare i più deboli. Lo

35 Gambino 2011, pag. 90 (v. 476-486).

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

36

scenario della fonte, poi, richiama totalmente il battesimo cristiano, assicurando, così, la

presenza di Dio nel contesto del mondo fairies.

Un aspetto che non si è ancora visto del rapporto tra il cavaliere e il suo leone è quello

dei duelli. In un primo momento, infatti, quando si vede intervenire il leone, si può

pensare che questo avvantaggi Yvain, rendendo, così, il combattimento scorretto. La

realtà è, invece, ben diversa. L’intervento del leone serve a ristabilire un equilibrio che

prima mancava, portando i duelli ad essere, nuovamente, caratterizzati dalle regole della

cavalleria. Il primo duello, infatti, vede Yvain scontrarsi con il gigante Harpins de la

Montaigne, ovvero un essere che ha in sé la forza di più uomini. È normale, quindi, che

Yvain non possa farcela da solo e l’aiuto del leone, oltre a essere giusto, è anche essenziale

ai fini della vittoria. Il secondo duello è quello con il siniscalco e i suoi due fratelli, che

Yvain combatte per poter liberare Lunete; mentre il terzo è quello al castello di Pessima

Avventura, che ha come fine la liberazione delle trecento giovani operaie e che vede

Yvain scontrarsi contro due demoni. Se il primo può sembrare ancora uno scontro alla

pari, il secondo e il terzo, senza il leone, sono palesemente squilibrati, tanto che la cosa è

commentata da Chrétien stesso. Nello scontro contro il siniscalco, infatti, il leone non

obbedisce all’ordine di Yvain e uccide il siniscalco; fatto questo lo scrittore dice: «Or sont

el chanp tot per a per», ovvero «ora erano pari sul campo». A conferma della correttezza

degli interventi del leone si trova il combattimento tra Yvain e Gauvain. In questo caso

lo scontro è pienamente alla pari, tanto che nessuno dei due viene sconfitto, ma entrambi

dichiarano l’altro vincitore. Questo duello vede scendere in campo due dei più valorosi

cavalieri esistiti al mondo, esempi di una perfetta cavalleria, per cui il leone non aveva

alcun motivo di soccorrere il suo signore. Non a caso, l’animale fa la sua comparsa

maestosa solo quando è stata fatta giustizia nella contesa tra le due sorelle e, in quel

momento, Yvain presenta il leone dicendo che ognuno dei due appartiene all’altro.

Un ultimo aspetto particolare che si vuole far notare, riguardo i duelli, è l’invocazione a

Dio. Come nota bene J. Harris nel suo saggio The rôle of the lion in Chrétien de Troyes’

Yvain, questo è un elemento che non compare in nessun altro romanzo dell’autore.

Questo, probabilmente, può essere giustificato dall’importante tematica della giustizia

che compare nei duelli. Si è visto prima che il leone instaura nuovamente un equilibrio

cavalleresco tra le forze in gioco e che il fine del combattimento non è più la fame e

l’orgoglio personale ma il soccorso degli esseri più deboli. Questo contesto di giustizia,

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

37

quindi, non può che essere sottolineato dall’invocazione a Dio, affinché possa proteggere

il cavaliere che combatte in nome della giustizia:

«Et totes les dames ansanble

Qui la dameisele mout ainment

Damedeu mout sovant reclainment

Et si li prïent de boen cuer

Que sofrir ne vuelle a nul fuer

Que cil i soit morz ne conquis

Qui por li s’est an painne mis.

De priere aïde li font

Les dames, qu’autres bastons n’ont.” 36

«E tutte le nobildonne insieme,

che amavano molto la fanciulla,

continuavano a invocare Dio

e lo pregavano con tutto il cuore

di non permettere a nessun costo

che fosse ucciso o vinto

chi s’era messo in pericolo per lei.

Le dame, che non avevano altre armi,

lo aiutavano con le preghiere.»

Si potrebbe anche dire che l’intervento del leone sia in qualche modo richiesto da queste

preghiere: il leone, simbolo di Cristo, guida del cavaliere e portatore di giustizia interviene

nei duelli come aiuto divino. Questa lettura è confermata dal fatto che ne La Queste del

Saint Graal l’autore dice esplicitamente che il leone è stato mandato a Yvain da Dio.

36 Gambino 2011, pag. 392 (v. 4512-4520)

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

38

CAPITOLO QUARTO: CONCLUSIONI

«Del Chevalier au lyeon fine

Crestïens son romans ensi.

N’onques plus conter n’en oï

Ne ja plus n’en orroiz conter

S’an n’i vialt mançonge ajoster.»37

Nell’Yvain, Chrétien conclude la storia affermando: “Chrétien termina così il suo

romanzo/sul cavaliere del leone”, sfruttando, così, anche questa via per sottolineare la

centralità di questo animale all’interno del romanzo. Già da questo elemento si può capire

che il leone non è un semplice animale da compagnia, come può sembrare dai primi versi

quando porta il cibo o obbedisce ad ogni comando di Yvain, come fosse un fedele cane

da caccia. Il leone è l’animale-guida, è il compagno che aiuterà Yvain a superare molte

prove, ad affrontare tante avventure e, soprattutto, a compiere il suo cammino interiore

verso la perfetta cavalleria.

Per comprendere a fondo le vicende de Il cavaliere del leone, non bisogna trascurare la

simbologia dei due animali che lottano nella foresta: il leone e il serpente. Si è visto nel

secondo capitolo come il leone abbia avuto un’evoluzione positiva nel corso dei secoli,

diventando simbolo di Cristo. Al contrario, il serpente ha mantenuto una connotazione

negativa e demoniaca dalla Genesi sino ancora ai nostri giorni. La valenza cristologica

del re degli animali viene confermata dal comportamento del leone stesso nel romanzo.

Il leone, infatti, è portatore di giustizia negli scontri che Yvain deve affrontare, ed è guida

nel suo cammino. Questa presenza di Dio all’interno del romanzo, simboleggiata dalla

presenza del leone, è supportata dalle invocazioni a Dio prima dei duelli e dal fatto che

nel La Queste del Saint Graal viene esplicitamente detto che il leone è stato mandato a

Yvain da Dio.

Non si dimentichi il rapporto tra matiere e sen che caratterizza le opere di Chrétien. Il

fine dell’autore non si conclude nel presentare bene una storia, ma nel trasmettere un

37 Gambino 2011, pag. 558 (v. 6816-6820).

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

39

insegnamento con questa. Se si tiene conto, poi, che Chrétien era un chierico, si può ben

comprendere come tutta la simbologia cristiana sia presente in questo romanzo. Si può,

quindi, dire che, raccontando ai suoi lettori il cammino interiore di Yvain, l’autore abbia

voluto mostrare un percorso positivo e guidato dal leone, simbolo di Dio.

Si può infine dire che l’incontro di Yvain con il leone e il serpente non sia stata affatto

una casualità, al contrario, è stato un vero e proprio rito di iniziazione. Yvain, appena

rinato, si vede comparire due animali rappresentanti due forze completamente opposte:

uno quella del male e l’altro quella del bene. La sua scelta non si limita a quella di quale

animale salvare, ma quale compagno avere durante il suo percorso, e sceglie l’animale

nobile, generoso contro l’animale forte, furbo ma anche meschino. La sua è stata una

decisione molto importante, in quanto il leone sarebbe diventato il suo compagno per il

resto della sua vita, come guida nel suo cammino. Allo stesso tempo, però, non si può

dimenticare il peso che la simbologia di questi due animali ha su questo rito di iniziazione.

Come si è visto prima, nel secondo capitolo, i due animali nel Medioevo finirono per

simboleggiare, in qualche modo, il bene e il male. Se poniamo questa simbologia su

un’ottica più cristiana, come può ben essere per il chierico Chrétien, allora la scelta fu, in

realtà, tra Dio e Satana. Non può essere, allora, così sbagliato pensare alla scelta di Yvain

come il suo secondo battesimo cristiano. Con la pazzia era morto l’uomo vecchio e

orgoglioso che non vedeva altro fine nella vita che il raggiungimento della fama di buon

cavaliere. Non che fosse una persona meschina come il cavaliere Keu, la sua fama si

fondava, comunque, su ciò che lui effettivamente era. Questo, però, non bastava per fare

di lui un cavaliere realmente degno ad essere il guardiano della fontana. Essere a servizio

degli altri senza alcun fine per sé stesso è ciò che lo ha reso migliore.38 Anche l’impresa

più strabiliante precedente la pazzia, quella contro Esclados, non è affatto positiva come

quelle che verranno dopo. Esclados, che nel romanzo compare come una figura

complessivamente forte coraggiosa e buona, viene sfidato da Yvain per una mera

questione di onore e viene ucciso; è quindi un avventura che vede morire un buon

cavaliere senza portare un reale beneficio per nessuno, solo morte.

38 Si ricordi la diversità dei duelli: quelli precedenti la pazzia sono duelli, gare e all’insegna del successo

personale; quelli successivi, invece, vedevano il cavaliere soccorrere i più deboli.

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

40

Si può, quindi, concludere dicendo che Le chevalier au lyeon è un romanzo cavalleresco

che racconta il percorso formativo del protagonista, guidato dal suo leone. Questo animale

non è un semplice compagno, ma una guida mandata da Dio stesso e scelta da Yvain nella

foresta. Quello che avviene nella foresta è una sorta di battesimo dove Yvain accoglie la

presenza di Dio nella sua vita. Da questo momento inizia il cammino di Yvain per

raggiungere la perfezione e poter essere nuovamente ammesso alla corte della dama della

Fontana. Questo percorso vedrà Yvain diventare un vero cavaliere, difensore dei più

deboli e sarà sotto l’insegna della Cristianità.

Il leone o il serpente: la scelta di Yvain

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BIBLIOGRAFIA

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Nicolò Suffi

Parola del Signore, La Bibbia, traduzione interconfessionale in lingua

corrente con fotografie a colori e note, a cura di Nicolò Suffi con la

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delle foto, di Ottavio Davico e Enrico Pollet per l’impaginazione, Torino Elle

Di CI, Roma, Alleanza Biblica Universale, 1985.

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Treccani.it L’enciclopedia Italiana, consultabile all’indirizzo

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