Hausarbeit Angela Di Pinto

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Eberhard-Karls-Universität Tübingen Romanisches Seminar WS 2013/2014 Hauptseminar: La valenza von: Prof. Dr. Peter Koch Divergenze sistematiche nella classificazione degli attanti secondo Bianco (1996) e Blumenthal/Rovere (1998) vorgelegt von: Angela Di Pinto Marktstr. 38 Göppingen Matrikelnr.: 31 E-Mail-Adresse: [email protected] Tübingen, 19.06.2014

Transcript of Hausarbeit Angela Di Pinto

Eberhard-Karls-Universität Tübingen

Romanisches Seminar

WS 2013/2014

Hauptseminar: La valenza

von: Prof. Dr. Peter Koch

Divergenze sistematiche nella classificazione degli attanti secondo

Bianco (1996) e Blumenthal/Rovere (1998)

vorgelegt von:

Angela Di Pinto

Marktstr. 38

Göppingen

Matrikelnr.: 31

E-Mail-Adresse: [email protected]

Tübingen, 19.06.2014

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Indice

0. Introduzione ........................................................................................................................... 3

1. Definizione valenza................................................................................................................ 4

1.1 Il concetto valenziale secondo Tesnière............................................................................... 5

1.1.1 Valenza quantitativa .......................................................................................................... 5

1.1.2 Valenza qualitativa ............................................................................................................ 5

1.2 Attanti vs. circostanti ........................................................................................................... 6

1.2.1 Distinzione tesnierana ....................................................................................................... 6

1.2.2 I nuovi tipi di attanti nella ricezione ................................................................................. 9

2. Sistema di classificazione degli attanti “nuovi” ................................................................... 12

2.1 I tipi di attanti secondo Helbig/Schenkel (1968) vs. Engel (1988) .................................... 12

2.2 I tipi di attanti secondo Bianco (1996) vs. Blumenthal/Rovere (1998) ............................. 15

3. Conclusioni .......................................................................................................................... 22

Bibliografia .............................................................................................................................. 24

Dizionari e grammatiche .......................................................................................................... 24

Letteratura scientifica ............................................................................................................... 24

Sitografia .................................................................................................................................. 25

Allegato:

Illustrazione 4:

Schema dei complimenti secondo Bianco (1996: 159)

Ergänzungen secondo Engel (1996: 187)

Illustrazione 7: L’uso attuale del genitivo nel tedesco

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0. Introduzione

Con l’introduzione della concezione valenziale nella linguistica moderna, il linguista

francese Lucien Tesnière crea nella sua opera Éléments de syntaxe structurale (1959) un

nuovo modello sintattico che supera quello binario, costituito da soggetto e predicato,

della grammatica tradizionale. Secondo il concetto di valenza, al verbo è attribuito un

ruolo centrale nella frase. Infatti, il termine valenza assegna al verbo la capacità di

saturare allo stesso modo come un atomo, un certo numero di elementi. Questa visione

verbocentrica suscitò grande interesse soprattutto da parte dei germanisti a partire dagli

anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso, influenzando le loro ricerche in ambito sintattico. Il

successo fu tale da influenzare anche le lingue romanze, introducendo dei cambiamenti

fondamentali sia a livello teorico sia didattico.

Prima di concentrarsi sull'influenza tesnierana nella linguistica tedesca e italiana, è

importante soffermarsi sulle nozioni di base di valenza, stabilite da Tesnière. La prima

parte fornirà perciò un inquadramento della valenza sintattica a livello sia quantitativo

sia qualitativo, per poi passare a un’analisi degli elementi sintattici che circondano il

verbo. Tesnière fa una distinzione tra due tipi di elementi, ossia quelli

obbligatoriamente legati al verbo, denominati attanti, e quelli facoltativi, detti

circostanti, avvalendosi di due criteri distintivi. Ma la distinzione e classificazione degli

attanti e circostanti, secondo Tesnière, mostra delle lacune, le quali sono state esaminate

soprattutto dai germanisti della RDT (Repubblica Democratica Tedesca), che hanno

pubblicato diversi saggi in merito e hanno, inoltre, prodotto il primo dizionario

valenziale. Nel corso del lavoro saranno delineate alcune ipotesi realizzate dai

germanisti per chiarire la questione problematica tra attanti e circostanti. Grazie alle

diverse ricerche sulla lingua tedesca, la teoria della valenza ha subito dei cambiamenti

fondamentali ed è stata presa a modello dalle lingue romanze. Questo aspetto riguarda

in particolare gli elenchi dei tipi di attanti, che costituiscono la base dei dizionari

valenziali. La seconda parte, pertanto, si concentrerà sui diversi tipi di attanti, facendo

cenno alla classificazione attanziale nella lingua tedesca, la quale a sua volta ha

influenzato la terminologia e la sistematizzazione degli attanti nell’italiano, adottata nei

dizionari valenziali. Tra questi rientra sia quello di Bianco (1996), che cerca di mettere a

contrasto la valenza dei verbi nel tedesco con quelli dell’italiano, riportando i criteri

elaborati da Engel, sia quello di Blumenthal/Rovere (1998), il quale si concentra

esclusivamente sulla valenza dei verbi italiani annotando la traduzione corrispondente.

4

Per quanto concerne queste due opere, sarà condotta sia un’analisi critica sia un

confronto in riferimento alla scelta dei tipi di attanti, per trarre poi una conclusione

complessiva di ciò che è stato ricavato dalle diverse analisi.

1. Definizione di valenza

Il termine valenza era una voce già esistente nell’ambito della chimica prima che il

linguista francese Lucien Tesnière (1893-1954) introducesse il termine nella sua opera

linguistica principale Éléments de syntaxe structurale, pubblicata postuma nel 1954. La

valenza, infatti, si riferisce in primo luogo alla capacità di un atomo di combinarsi con

un altro per formare una molecola. Tesnière usa lo stesso concetto in senso metaforico,

servendosi del termine per indicare il numero degli elementi nominali, i cosiddetti

attanti, che devono essere retti da un verbo per formare una frase minima ovvero

nucleare, come spiega nel seguente paragone (cfr. Tesnière 2001: 17):

Si può […] paragonare il verbo a una specie di atomo munito di uncini, che può

esercitare la sua attrazione su un numero più o meno elevato di attanti, a seconda che

esso possieda un numero più o meno elevato di uncini per mantenerli nella sua

dipendenza. Il numero di uncini che un verbo presenta, e di conseguenza il numero di

attanti che esso può reggere, costituisce ciò che chiameremo la valenza del verbo.

(Tesnière 2001: 157)

Per quanto riguarda la rappresentazione grafica, si avvale dello stemma la cui forma

ricorda l’albero genealogico (cfr. Tesnière 2001: 33). Il verbo reggente della frase, si

trova al vertice dello stemma, mentre gli elementi nominali vincolati al reggente, ossia

gli attanti, sono subordinati al verbo dominante, indicati attraverso dei tratti verticali che

partono dal verbo (cfr. Tesnière 2001: 30-32).

verbo

attante1 attante 2

Illustrazione 1: stemma valenziale

5

1.1 Il concetto valenziale secondo Tesnière

1.1.1 Valenza quantitativa

Dalla definizione stabilita da Tesnière, si può dedurre che il concetto fondamentale della

valenza sintattica è costituito dal verbo che rappresenta il nucleo centrale della frase e

dagli elementi nominali, ovvero dagli attanti, necessariamente richiesti da esso per dare

un senso alla frase minima.

La quantità degli attanti che possono essere retti dal verbo dipende dal suo significato,

Tesnière suddivide perciò il verbo, in base al numero degli elementi nominali che esso

richiede, in quattro classi: verbi zerovalenti o avalenti, monovalenti, bivalenti e

trivalenti (cfr. Tesnière 2001: 158-170). Per verbi zerovalenti o avalenti si intendono

quelli che non richiedono nessun attante, come per es. i verbi meteorologici (piovere,

nevicare, grandinare, ecc.) anche se le lingue con il genere neutro come il francese,

l’inglese o il tedesco sembrano che stiano in contraddizione a questa affermazione

poiché i verbi meteorologici sono accompagnati dal pronome personale neutro alla 3.

persona del singolare (per es. ted. es regnet). È quindi necessario analizzare meglio

l’elemento nominale che accompagna questa classe verbale. Come annota giustamente

Tesnière nella sua opera, si tratta di un soggetto apparente (cfr. Tesnière 2001: 77).

Esso, oltre a non partecipare al fenomeno della pioggia, non assume nessuna funzione

sintattica ed è invariabile, poiché non può essere richiesto (*ted. Wer/Was regnet?/ ital.

‘Chi piove/che cosa piove?’). Inoltre il verbo regnen (it. ‘piovere’) non può essere

coniugato (*ted. ich regne, du regnest, er/sie/es regnet, ecc.).

Alla classe dei verbi monovalenti appartengono anche i verbi che reggono un solo

attante, come nell’esempio tratto dall’opera di Tesnière: Alfredo cade (ibid.). Di

conseguenza vengono denominati verbi bivalenti quelli che richiedono due elementi

nominali (per es. Paolo ascolta la radio) mentre ai verbi trivalenti si subordinano tre

attanti (per es. Paolo regala un libro a Laura). Un ruolo piuttosto marginale, a causa

della loro rarità, svolgono, sono secondo Tesnière, i verbi tetravalenti come per es.

tradurre, i quali sono solo menzionati brevemente (cfr. Tesnière 2001:170).

1.1.2 Valenza qualitativa

In analogia alla quantità degli attanti, Tesnière attribuisce delle funzioni sintattiche

distinte a ogni tipo di elemento nominale richiesto dal nucleo verbale. Ai tre tipi di

attanti (primo, secondo e terzo attante), già presi in considerazione e analizzati nel

6

paragrafo precedente, sono assegnate le funzioni corrispondenti di soggetto, oggetto

diretto e oggetto indiretto, come già visto negli esempi menzionati (cfr. Tesnière 2001:

79-80):

(1) Alfredo cade.

(2) Paolo ascolta la radio.

(3) Paolo regala un libro a Laura.

Nella prima frase il nome proprio Alfredo, l’unico attante retto dal verbo monovalente

cadere, assume la funzione di soggetto. Dato che il verbo ascoltare della frase (2)

richiede due elementi nominali che partecipano all’azione, Paolo e la radio, è possibile

distinguere due funzioni sintattiche: il primo attante Paolo, infatti, è un soggetto; il

secondo attante, la radio, invece, è un oggetto diretto. Nella frase (3) si possono

individuare tre partecipanti al processo del verbo regalare: Paolo, un libro e a Laura.

Paolo assume la funzione di soggetto, un libro quella di oggetto diretto e a Laura

invece quella di oggetto indiretto.

Fino a questo punto il concetto valenziale sembra essere molto trasparente, poiché

sembra che Tesnière abbia tracciato per ogni classe verbale e per ogni attante sia a

livello quantitativo sia a livello qualitativo una chiara linea di demarcazione. Nei

capitoli seguenti vedremo che non è così semplice attribuire una netta distinzione né tra

gli attanti, né tra le classi verbali.

1.2 Attanti vs. circostanti

1.2.1 Distinzione tesnierana

Dopo aver presentato il concetto valenziale a grandi linee, è importante soffermarsi sui

tipi di elementi che si organizzano intorno al verbo. Nei capitoli precedenti si è data una

prima definizione di attanti secondo Tesnière, bisogna però tener conto degli elementi

che sono anche presenti in una frase senza alcun nesso con il nucleo verbale. Se

riprendiamo la frase (2) e aggiungiamo un elemento extranucleare, come ad esempio

l’avverbio sempre, ecco che l’avvenimento diventa maggiormente connotato:

(3) Paolo ascolta sempre la radio.

Tesnière definisce questo tipo di elementi aggiuntivi circostanti e ne spiega la funzione

avvalendosi della metafora del dramma:

7

Il nodo verbale, che si trova al centro della maggior parte delle nostre lingue europee, è

del tutto equivalente ad un piccolo dramma. Come un dramma infatti esso comporta

obbligatoriamente un processo e, il più delle volte, degli attori e delle circostanze.

Trasferiti dal piano della realtà drammatica a quello della sintassi strutturale, il

processo, gli attori e le circostanze diventano rispettivamente il verbo, gli attanti e i

circostanti. (Tesnière 2001: 73)

Ciò che Tesnière cerca di trasmettere al lettore con la metafora della rappresentazione

teatrale, sono i criteri per la distinzione tra attanti e circostanti. Gli attanti sono

paragonati a degli attori protagonisti e quindi a dei componenti essenziali per capire il

contenuto del dramma. I circostanti, invece, essendo paragonati a delle “circostanze”,

ossia alla quinta del teatro, svolgono un ruolo secondario senza influenzare la trama

principale. In senso figurato potrebbero essere paragonati a degli attrezzi da

palcoscenico utili a delimitare tempo, spazio, ecc. Riportando il discorso metaforico in

termini linguistici, Tesnière si avvale di due criteri per distinguere gli attanti dai

circostanti: il criterio formale e quello semantico (cfr. Tesnière 2001: 86).

Secondo il criterio formale tesnierano, gli attanti dipendono direttamente dal nucleo

verbale, poiché sono degli elementi nominali, ossia sostantivi o loro equivalenti (cfr.

ibid.), come nell’esempio seguente:

(4) Marco mangia la mela.

Gli attanti della frase (4) sono due: Marco e la mela, poiché si tratta di due sostantivi

che dipendono immediatamente dal nucleo verbale mangia.

I circostanti, essendo definiti da Tesnière come avverbi o come sintagmi equivalenti,

qualora dovessero essere espressi con sostantivi, avrebbero bisogno di una preposizione

per rientrare nella funzione avverbiale (cfr. Tesnière 2001: 73-74, 84). La frase che

segue analizza il criterio formale dei circostanti:

(5) Paolo ascolta sempre la radio nella sua stanza.

La parte del discorso sempre può essere considerata un circostante, poiché è classificata

come avverbio. Per quanto riguarda il sintagma preposizionale nella sua stanza, il

sostantivo stanza non potendo stare da solo, necessita della preposizione nella,

diventando secondo circostante della frase.

Passando al criterio semantico, gli attanti si distinguono dai circostanti in quanto sono

obbligatori per il significato del verbo, mentre i circostanti non ricoprono questa

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funzione (cfr. Tesnière 2001: 86). Questo criterio semantico distintivo verrà analizzato

con la frase precedente:

(5) Paolo ascolta sempre la radio nella sua stanza.

(5a) Paolo ascolta la radio.

(5b) *Paolo ascolta.

Omettendo alla frase (5) i circostanti sempre e nella sua stanza, la frase rimarrebbe

grammaticalmente e semanticamente corretta. Se si dovessero omettere invece uno degli

attanti, come la radio, si otterrebbe una frase agrammaticale, come segnala l’asterisco

della frase (5b), poiché il verbo ascoltare richiede un altro elemento nominale per il

senso completo di una frase nucleare.

Un altro aspetto importante per il criterio semantico riguarda la valenza quantitativa.

Mentre il numero degli attanti si limita a tre, la quantità circostanziale è illimitata (cfr.

Tesnière 2001: 79, 84, 86). All'esempio (5) si potrebbero aggiungere altri circostanti,

con il seguente risultato:

(5c) Paolo, nella sua stanza, ascolta sempre la radio ad alto volume.1

Dopo aver chiarito la funzione e i criteri distintivi degli attanti e circostanti, emergono

dei dubbi per quanto riguarda alcune osservazioni di Tesnière sulla valenza. Anch'egli,

infatti, arriva alla conclusione che è difficile stabilire una netta distinzione tra attanti e

circostanti (cfr. Tesnière 2001: 86). Nel precedente esempio:

(3) Paolo regala un libro a Laura.

il terzo attante a Laura ha dei punti di contatto con la definizione di circostante, poiché

l’oggetto indiretto è introdotto da una preposizione. Da un punto di vista semantico,

però, rientra nei criteri che caratterizzano gli attanti, poiché non può essere omesso,

altrimenti il significato della frase non sarebbe completo:

(6) *Paolo regala un libro.

D'altro canto ci sono dei circostanti con caratteristiche di attante, come nell’esempio

illustrato da Tesnière (cfr. ibid.):

(7) Alfredo ha mutato di pensiero.

1 Il circostante ad alto volume è un avverbio di modo.

9

In questa frase sarebbe assurdo vedere un legame tra la preposizione di e il sostantivo

pensiero. Infatti, come afferma anche il linguista francese, con l’eliminazione del

presunto circostante, mancherebbe un complemento per completare il significato della

frase:

(7a) *Alfredo ha mutato.

Dal punto di vista semantico, bisognerebbe classificarlo come attante, ma non è

possibile, poiché la quantità e la qualità valenziale degli attanti, secondo Tesnière, è

limitata. Un altro problema si può osservare, ad esempio, nella frase:

(8) Paolo canta una canzone.

Analizzando la valenza sintattica della frase (8) si può constatare che la voce del verbo

cantare richiede due attanti, Paolo, con la funzione di soggetto e una canzone con la

funzione di oggetto diretto. Secondo il criterio semantico di un attante, essi non possono

essere omessi, poiché la frase non avrebbe più senso. Ma eliminando il secondo attante,

si ottiene il risultato seguente:

(9) Paolo canta.

Ecco, quindi, che si entra un’altra volta in conflitto con i criteri distintivi tra attanti e

circostanti, poiché la frase è grammaticale anche senza il secondo attante. Tesnière

cerca di risolvere il problema dell’“attante omissibile” con il fenomeno della valenza

libera (Tesnière 2001: 157-158): questa concerne tutti i casi in cui un attante non è

strettamente necessario, poiché l’azione si comprende già dal verbo stesso come

nell’esempio (9). Nonostante Tesnière inserisca questa eccezione, il rischio di

confondere gli attanti con i circostanti e viceversa è molto alto, poiché sono tanti i punti

di contatto, come si deduce dalle definizioni e dai criteri imprecisi.

1.2.2 I nuovi tipi di attanti nella diffusione

Inizialmente la pubblicazione degli Éléments de syntaxe structurale sembrava essere

un’opera destinata a non avere alcun successo, soprattutto in Francia, dove Tesnière non

era neanche conosciuto (Tesnière 2001: 15). Ciò che sorprende, invece, è che negli anni

‘60 nella Repubblica Democratica Tedesca (RDT) nacque nei suoi confronti un gran

interesse, almeno per quanto riguarda i concetti principali del libro, tra i quali il più

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importante è quello di valenza (cfr. Koch/Krefeld 1991: 5-6; cfr. Rieger 2006: 181). Tra

i germanisti che hanno dedicato le loro ricerche alla teoria valenziale, si possono

elencare Hans Jürgen Heringer, Gerhard Helbig e Wolfgang Schenkel. Gli ultimi due

sono stati i primi ad aver pubblicato un dizionario sulla valenza, ossia il Wörterbuch zur

Valenz und Distribution deutscher Verben (Dizionario della valenza e distribuzione dei

verbi tedeschi) nel 1969 (cfr. Koch/Krefeld 1991: 5; cfr. Heringer 2003: 78). Anche

nella Repubblica Federale Tedesca si approfondì la nozione valenziale tesnierana, a

seguito della pubblicazione, nel 1976, della prima opera di consultazione Kleines

Valenzlexikon di Ulrich Engel e Helmut Schumacher, da cui Engel riprese e ampliò

nella sua grammatica (Deutsche Grammatik, 1988) l’elenco delle specie di attanti (cfr.

Rieger 2006: 187-188). La diffusione della teoria valenziale, secondo Tesnière, non è da

limitarsi solo alla germanistica ma ha dato soprattutto impulsi agli studiosi tedeschi

delle lingue romanze (cfr. Kotschi 2001: 359-363)2. Infatti, negli anni ‘70 furono diffuse

le pubblicazioni sulla lingua francese di Thomas Kotschi (1974), Winfried Busse e

Jean-Pierre Dubost (1977). Oltre a creare un dizionario valenziale del francese

(Französisches Verblexikon. Die Konstruktion der Verben im Französischen), Busse si

concentrò in seguito anche sulla lingua portoghese con lo scopo di realizzare un

ulteriore dizionario sulla valenza verbale portoghese (Dicionário sintáctico). Per quanto

concerne gli studi sulla valenza dell’italiano, è importante menzionare in ordine

cronologico, la grammatica di Christoph Schwarze (1988), il Dizionario della valenza

verbale tedesco-italiano (1996) di Maria Teresa Bianco, che si basa sui criteri elaborati

dal germanista Engel, la tesi di dottorato di Heidi Siller-Runggaldier (Das Objektoid.

Eine neue syntaktisch-funktionale Kategorie, aufgezeigt anhand des Italienischen,

1996) e il dizionario verbale di Peter Blumenthal e Giovanni Rovere (PONS-

Wörterbuch der italienischen Verben. Konstruktionen, Bedeutungen, Übersetzungen,

1998).

I germanisti della RDT e della RFT furono coloro che introdussero alcune innovazioni

rispetto ai criteri tesnierani, creando così una base di studi per le lingue romanze.

L’argomento che suscitò maggior interesse all’interno del concetto valenziale, fu

proprio quello della distinzione problematica tra attanti e circostanti. Lo scopo dei

germanisti era, quindi quello di precisare meglio i termini e i criteri distintivi proposti

da Tesnière (cfr. Storrer 2003: 764-765). In primo luogo si modificò la terminologia

2Le informazioni successive sulla diffusione internazionale di Tesnière si baserà sulla fonte citata.

11

adottata da Tesnière: il termine attante fu sostituito dalle parole tedesche Mitspieler,

Valenzpartner o Ergänzungen, mentre in italiano furono impiegati i termini argomento

o complemento. La designazione circostante in tedesco fu resa con i termini freie

Angabe o Umstandbestimmung, mentre in italiano furono spesso impiegati i termini

circostanziale o avverbiale (cfr. Storrer 2003: 766; cfr. Tesnière 2001: 17-18).

Ma il cambiamento più essenziale riguardò il criterio formale: nella definizione di

attante rientrarono tutti gli elementi sintatticamente necessari al verbo, mentre in quella

di circostanti, tutti gli elementi che possono essere omessi in una frase (Rieger 2006:

183-186).

Per distinguere un attante da un circostante, i germanisti Helbig e Schenkel eseguirono

delle operazioni sintattiche con dei test (Helbig 1992: 78-85). Il primo tentativo

rappresenta il test di eliminazione (Eliminierungstest), secondo il quale possono essere

considerati come circostanti tutti gli elementi eliminabili senza togliere nulla al

significato della frase, mentre gli elementi che non possono essere omessi, poiché

renderebbero la frase agrammaticale, sono da classificare come attanti. Questo

procedimento non è del tutto soddisfacente, se si prendono in considerazione i seguenti

esempi:

(10) Marco legge un libro.

(10a) Marco legge.

(11) Maria ha consegnato la sua tesi alla professoressa.

(11a) Maria ha consegnato la sua tesi.

In entrambi i casi (10) e (11), possono essere omessi i sostantivi, un libro e alla

professoressa, senza che le frasi siano rese agrammaticali. Secondo il test di

eliminazione si tratterebbe quindi di due circostanti. Invece, come già menzionato in

precedenza, Tesnière aveva tratto altre conclusioni per il caso dell’“elemento

omissibile”, poiché l’aveva spiegato con il fenomeno della valenza libera, una

caratteristica propria degli attanti. Nonostante Tesnière e Helbig/Schenkel giungano a

due conclusioni completamente opposte, entrambe non possono essere escluse. Da un

lato l’oggetto diretto un libro o l’oggetto indiretto alla professoressa sono vincolati al

verbo, ossia “specifici di una sottoclasse di verbi” (Rieger 2006: 186), dall’altro non

sono necessari per rendere la frase grammaticalmente corretta. Anche il test di

eliminazione si presenta quindi come criterio insufficiente per risolvere il problema

della distinzione tra attanti e circostanti. Il lato positivo del test, però, è mettere in luce

l'esigenza sentita dai germanisti di ampliare le categorie tesnierane e di aggiungere una

12

seconda categoria nell’ambito degli attanti, cioè quella dell’“attante facoltativo” o di

una fakultative Ergänzung (cfr. ibid.; cfr. Helbig: 99), secondo la terminologia di

Helbig/Schenkel. L’obiettivo del test successivo, quello di trasformazione

(Umformungstest), è, pertanto, quello di cercare una delimitazione tra attanti facoltativi

e circostanti. Questo funziona nel seguente modo: se l’elemento sintattico può essere

trasformato in una frase (secondaria) grammaticale, allora, risulta essere un circostante,

in caso contrario si tratta di un attante facoltativo.

(12) Marco mangia una mela durante la pausa.

(12a) Marco mangia una mela quando è in pausa.

(12) Marco mangia una mela durante la pausa.

(12b) Marco mangia durante la pausa? Il mangiare succede con la mela.3

Nell’esempio (12a) si può considerare il sintagma avverbiale durante la pausa come

circostante, poiché può essere trasformato in una frase secondaria. Il caso (12b) presenta

invece delle difficoltà: nonostante la seconda frase formata con l’oggetto diretto una

mela tenda a essere agrammaticale, poiché si distacca dal significato della frase

dell’esempio (12), non si può affermare con certezza che si tratta di un attante

facoltativo.

Un altro tentativo di Helbig e Schenkel è il test di pro-verbo (Proverbtest), secondo il

quale i circostanti, a differenza degli attanti, possono essere sostituiti da un pro-verbo

(fare, succedere) in una frase secondaria, senza modificare il senso della frase di

partenza o renderla agrammaticale. Ma gli esempi seguenti mostrano che, anche questo

tentativo, presenta delle difficoltà:

(13) Marco è ingrassato negli ultimi anni.

(13a) *Marco è ingrassato e l'ha fatto negli ultimi anni.

(13b) Marco è ingrassato e questo è successo negli ultimi anni.

Come si può notare, il test non può essere applicato sempre con il pro-verbo fare; con i

verbi di cambiamento di stato occorre il pro-verbo succedere. Inoltre, per questo test è

importante tener conto anche dell’aspetto semantico del verbo, in aggiunta a quello

sintattico. Ma questo è solo un piccolo incoveniente del test: lo svantaggio di questa

operazione sintattica è che non si riescono a distinguere gli attanti facoltativi dai

circostanti:

(14) Marco ha mangiato una banana.

(14a) ?Marco ha mangiato e questo l’ha fatto con una banana.

3 I seguenti esempi sono tratti da Rieger (2006: 186).

13

Nonostante l’oggetto diretto una banana sia legato in un certo modo al verbo e funga,

quindi, da attante facoltativo, è difficile giungere a questa conclusione tramite

l’applicazione del test. Da un lato la frase (14a) si allontana dalla frase di partenza,

dall’altro non è del tutto agrammaticale, cosicché è difficile classificare l’oggetto diretto

in una delle categorie stabilite da Helbig/Schenkel.

Riassumendo, si è potuto osservare che nella diffusione tesnierana in Germania, ci sono

stati dei progressi sia per quanto riguarda la differenziazione più dettagliata degli ele-

menti che circondano il verbo, sia per quanto riguarda il loro criterio formale. Per quan-

to concerne la distinzione tra elementi vincolati al verbo, come gli attanti obbligatori e

facoltativi, e gli elementi extranucleari, cioè i circostanti, i germanisti non sono riusciti a

trovare un criterio adatto ma si sono avvicinati a una domanda essenziale suscitata dalla

problematica dei test. La domanda centrale che ci si pone di fronte a questi tentativi è se

bisogna considerare necessario o meno trovare un limite evidente che separi gli attanti

dai circostanti. L’analitico di valenza, Heinz Vater, infatti, osserva una relazione di con-

tinuità tra attanti e circostanti, mentre il germanista Hans Jürgen Heringer afferma che

non basta soffermarsi sul lato sintattico per analizzare l’elemento saturato dal verbo, ma

bisogna considerare anche il livello semantico e quello comunicativo (cfr. Helbig 1992:

91-92).

2. Sistema di classificazione degli attanti “nuovi”

2.1 I tipi di attanti secondo Helbig/Schenkel (1968) vs. Engel (1988)

Come già menzionato nei capitoli precedenti, Tesnière si limita a tre tipi di attanti

denominandoli primo, secondo e terzo attante, attribuendo a ciascuno di essi una

funzione specifica, cosicché il primo attante è da considerare un soggetto, il secondo un

oggetto diretto ed il terzo un oggetto indiretto. Nonostante il linguista francese separi la

valenza quantitativa da quella qualitativa, è facile creare confusione tra l’aspetto

formale e la funzione degli attanti, nel momento in cui si cerca di descrivere i verbi a tre

attanti. Infatti, invece di dire che il verbo dare è retto da due attanti, si dice che è retto

dal primo e dal terzo attante (cfr. Tesnière 2001: 78).

Un altro problema che riguarda la funzione degli attanti come sostantivi o loro

equivalenti, riguarda la restrizione del gruppo degli attanti alla loro funzione

morfosintattica, come dimostrano i seguenti esempi:

(16) Marco si occupa di tutto.

14

(16a) *Marco si occupa.

(17) La seduta è durata due ore.

(17a) *La seduta è durata.

In entrambi casi si tratta di elementi strettamente legati al senso verbale, anche se

rientrano nella definizione di circostante data da Tesnière, poiché nell’esempio (16) si

ha un complemento preposizionale (di tutto) e nel caso (17) un avverbio di tempo (due

ore). Da qui si può trarre senza dubbio la conclusione che un attante non deve essere

necessariamente un sostantivo ma può essere rappresentato anche con altre parti del

discorso. Una parte dei circostanti tesnieriani rientra quindi a fare parte dei nuovi tipi di

attanti. A questo proposito i germanisti Helbig e Schenkel hanno cambiato la

terminologia degli attanti, riferendola al tipo di attante, ossia alle diverse categorie di

declinazione della propria lingua (cfr. Helbig/Schenkel 81991: 99)

4.

(18) Lukas wäscht sein Auto.

Nella frase (18), il soggetto Lukas è definito Substantiv im Nominativ (sostantivo al

nominativo) e l’oggetto diretto sein Auto, Substantiv im Akkusativ (sostantivo

all’accusativo). Gli attanti accompagnati da una preposizione sono denominati

präpositionales Substantiv (sostantivo preposizionale) con l’aggiunta del caso che

richiede la preposizione, come si può vedere nel seguente esempio:

(19) Susi bewundert Karl wegen seiner Ruhe.

Il complemento preposizionale wegen seiner Ruhe sarebbe, secondo Helbig/Schenkel,

un präpositionales Substantiv im Genitiv (sostantivo preposizionale al genitivo), poiché

la preposizione wegen in tedesco richiede il genitivo. Ogni tipo di attante ha una sua

abbreviazione corrispondente, come illustrato nella seguente tabella:

Abbreviazione Tipo di attante

Sn Substantiv im Nominativ

Sa Substantiv im Akkusativ

Sg Substantiv im Genitiv

Sd Substantiv im Dativ

Illustrazione 2: tipi di attanti secondo Helbig/Schenkel

4 Dato che ogni autore modifica la terminologia stabilita da Tesnière, saranno mantenute le

denominazioni attanti e circostanti per poter seguire meglio le diverse analisi successive.

15

Il germanista Engel nella sua grammatica usa una terminologia per i diversi tipi di

attanti che è indipendente dalla loro funzione morfologica5. Si tratta quindi di termini

sintattico-funzionali denominati Ergänzungen (complementi) ai quali sono attribuite

delle funzioni distinte:

Abbreviazione Tipo di attante

E0 Nominativergänzung

E1 Akkusativergänzung

E2 Genitivergänzung

E3 Dativergänzung

E4 Präpositivergänzung

Illustrazione 3: confronto tra i tipi di attanti secondo Engel e Helbig/Schenkel

Engel distingue in totale undici tipi di complementi, avvalendosi di uno strumento di

riconoscimento. A cosa serve e come funziona tale procedimento? Riprendendo

l’esempio (19) e analizzandolo secondo i tipi di Ergänzungen stabiliti da

Engel/Schumacher, si arriva a tale risultato: il soggetto Susi è da classificarsi come E0,

l’oggetto diretto Karl come E1, mentre il complemento preposizionale wegen seiner

Ruhe come E4.

Grazie alla terminologia funzionale, la classificazione attanziale secondo Engel è

facilmente applicabile alla lingua italiana. Infatti, la prima pubblicazione del Dizionario

della valenza verbale tedesco-italiano o Divti di Maria Teresa Bianco nel 1996 è

fortemente orientato ai criteri di Engel.

2.2 I tipi di attanti secondo Bianco (1996) vs. Blumenthal/Rovere (1998)

Confrontando le Ergänzungen stabilite da Engel con i tipi di attanti elaborati da Bianco

nell’opera bilingue Divti, si possono trovare delle somiglianze6. Per quanto riguarda la

quantità degli attanti, Bianco trasferisce le undici Ergänzungen di Engel nell’italiano,

traducendole con il termine ‘complemento di verbo’ (CV) (cfr. Bianco 1996: 107). A

differenza del tedesco, però, Bianco ricorre a due strumenti di riconoscimento per

classificare i complementi di verbo. Mentre Engel adotta solamente il criterio anaforico,

cioè la sostituzione di un complemento con un pronome o avverbio, Bianco aggiunge il

test interrogativo poiché in italiano non ci sono pronomi o avverbi caratteristici per ogni

5 Come già menzionato precedentemente, Engel riutilizza le Ergänzungen del Kleines Valenzwörterbuch

(1976) create in collaborazione con Schumacher. Dato che i tipi di attanti sono attualizzati e ampliati nella

Deutsche Grammatik (1988) di Engel, la tesina farà riferimento a quest’ultima. 6 Cfr. illustrazione 4 in allegato.

16

tipo di attanti, i quali possono riferirsi quindi a diversi complementi, come si può notare

nei seguenti esempi (Bianco 1996: 110):

(20) Max ama me.

(20a) Max mi ama.

(21) Max dà un libro a me.

(21a) Max mi dà un libro.

Da queste due frasi si può osservare che il pronome mi nella frase (20a) e (21a) può

essere l’anafora di due complementi distinti: sia dell’oggetto diretto sia dell’oggetto

indiretto, o, secondo la terminologia di Bianco, del complemento diretto o del

complemento preposizionale in a. Un problema simile si può verificare con altri

pronomi, come ad esempio quelli personali ci e vi, i quali possono riferirsi anche a

complementi di luogo (cfr. Bianco 1996: 111). Se Bianco avesse adottato solamente il

test interrogativo, il quale consiste nel richiedere i complementi con un pronome

interrogativo, si sarebbero verificati anche dei problemi di ambiguità, come mostra il

seguente caso:

(22) Carlo offende il suo amico.

(22a) Chi offende il suo amico?

(22b) Chi offende Carlo?

Nella frase (22) si chiede di classificare il complemento Carlo ma il pronome

interrogativo chi può essere riferito anche all’oggetto diretto il suo amico. Applicando il

secondo strumento di riconoscimento, ossia il criterio anaforico, si ottiene un risultato

chiaro:

(22c) Egli offende il suo amico.

(22d) *Egli offende egli.

Sostituendo l’oggetto indiretto con il pronome personale egli, la frase è resa

agrammaticale. Da quest’osservazione si può dedurre che entrambi i criteri sono

importanti per la classificazione dei complementi, sia quello anaforico sia quello

interrogativo.

Per determinare il soggetto, agli strumenti di riconoscimento si potrebbe anche

aggiungere il criterio della concordanza con il verbo, poiché è l’unico complemento

concordabile. Applicando quest’ultimo criterio e formando la frase (22) al plurale, si

otterrebbe il seguente risultato:

(22e) Carlo e Luca offendono il loro amico.

17

Dai risultati positivi dei tre criteri sintattici, il soggetto Carlo, secondo la terminologia

di Bianco, è riconosciuto come complemento di verbo soggetto (CV0).

Oltre al Divti, nel 1998 è stato pubblicato un altro dizionario valenziale, il Wörterbuch

der italienischen Verben (Dizionario dei verbi italiani) di Blumenthal/Rovere. Anche in

questo caso, sono stati definiti dei termini sintattico-funzionali, come mostra la seguente

tabella, in cui sono riportati alcuni esempi di complementi (cfr. Blumenthal/Rovere

1998: XII):

Abbreviazione Tipo di attante

N soggetto

N1 oggetto diretto

N2 oggetto indiretto

N3 complemento preposizionale

Illustrazione 5: Tipi di attanti secondo Blumenthal/Rovere (1998)

Dalla tabella si può dedurre che la terminologia funzionale risulta molto più

semplificata di quella elaborata da Bianco. Infatti, la semplice denominazione soggetto,

o in breve N (nome) per il complemento Carlo nella frase (22), è sicuramente più chiara

del termine complemento di verbo soggetto. Per un lettore inesperto, quindi, è più facile

memorizzare e applicare la terminologia di Blumenthal/Rovere.

Conducendo un’analisi più approfondita delle pagine introduttive nel Divti, emergono

dei casi problematici dovuti proprio alla terminologia, che ricalca in maniera troppo

pedissequa i criteri di Engel, senza badare alle differenze morfosintattiche esistenti tra i

complementi della lingua tedesca e quelli della lingua italiana. Questa critica riguarda in

primo luogo la classificazione dell’oggetto indiretto, come mostrano i seguenti esempi:

(23) Max assomiglia al padre.

(24) Max si è abituato al suo collega.

Guardando le frasi a livello superficiale, i due complementi introdotti dalla preposizione

a, sembrano appartenere allo stesso tipo di attanti ma, applicando il criterio anaforico,

secondo Bianco, si vedrà che si tratta di due complementi distinti:

(23a) Max gli assomiglia.

(24a) *Max gli è abituato

(24b) Max si è abituato a lui / Max ci/vi si è abituato.

Dal risultato della pronominalizzazione, si deduce che nel caso (23) si tratta di un

oggetto indiretto, poiché può essere sostituito dal pronome personale gli, mentre nella

frase (24) si tratta di un complemento preposizionale retto dalla preposizione a che può

18

essere solo sostituito dall’anafora a lui o ci/vi. Bianco classifica il complemento al

padre (23) come complemento preposizionale in a (CV3) (cfr. Bianco 1996: 123), ma la

scelta del termine è errata, poiché l’oggetto indiretto a differenza del tedesco, è

introdotto dalla preposizione a e non deve essere contemplato tra i complementi

preposizionali. Per analizzare meglio questo punto critico, è importante osservare il

punto di vista di Heidi Siller-Runggaldier, che ha approfondito questo aspetto nella sua

tesi di dottorato Das Objektoid. Eine neue syntaktisch-funktionale Kategorie, aufgezeigt

anhand des Italienischen. La linguista, infatti, insiste sulla distinzione tra oggetto

indiretto e complementi preposizionali, i quali sono definiti oggettoidi (cfr. Siller-

Runggaldier 1996: 53-62). Alla categoria degli oggettoidi appartengono i complementi

che sono retti da una preposizione non commutabile richiesta dal verbo. Gli oggettoidi

sono classificati in base alla preposizione retta dal verbo (oggettoide in a, oggettoide in

di, oggettoide in contro, ecc.). Riprendendo la frase (24), al suo collega sarebbe,

secondo Siller-Runggaldier, un oggettoide in a. Tenendo conto del contributo di Siller-

Runggaldier, Bianco avrebbe dovuto annotare la differenza tra oggetto indiretto e

oggettoide e, inoltre, avrebbe dovuto metterlo a confronto con la lingua tedesca, visto

che è proprio questo lo scopo centrale dell’opera bilingue.

Da questo punto di vista, il dizionario valenziale di Blumenthal/Rovere offre un altro

vantaggio, poiché fa una distinzione tra oggetti indiretti (N2) e i cosiddetti oggetti

preposizionali (N3). Per quanto riguarda quest’ultima classe, i due autori si rifanno

esplicitamente al concetto di oggetoidi introdotto da Siller-Runggaldier (cfr.

Blumenthal/Rovere 1998: XVI). Applicando la terminologia di Blumenthal/Rovere per i

casi (23) e (24), il risultato appare più trasparente da quello ottenuto dall’analisi di

Bianco:

complemento al padre al suo collega

Bianco

complemento preposizionale

in a (CV2)

complemento preposizionale

(CV4)

Blumenthal/Rovere

oggetto indiretto

(N2)

complemento preposizionale

(N3)

Illustrazione 6: Divergenze nel confronto tra oggetto indiretto e oggettoide secondo Bianco

(1996) e Blumenthal/Rovere (1998)

19

Rimanendo sempre nell’ambito dei complementi preposizionali, esiste un altro caso

trattato come categoria a parte nel Divti, ossia il complemento preposizionale in di

(CV2) che secondo Bianco rappresenta una classe equivalente alla Genitivergänzung di

Engel. Per dimostrare questa corrispondenza, Bianco usa i seguenti esempi (Bianco

1996: 118):

(25) Maria si vergogna del suo passato.

(26) Max parla [spesso] dei suoi genitori lontani.

Traducendo in tedesco la frase (25), si potrebbe avere (27) Maria schämt sich ihrer

Vergangenheit, in cui s’intravede una certa somiglianza tra il genitivo e il complemento

preposizionale in di. Ma si tratta di un modo di esprimersi ben lontano dal tedesco

moderno, infatti nessuno attualmente tradurrebbe la frase in questo modo. La traduzione

più aderente alla lingua comunemente usata, dà origine a una costruzione preposizionale

come (27a) Maria schämt sich wegen/aufgrund ihrer Vergangenheit. Infatti, come

mostra il diagramma allegato7, l’uso del genitivo dopo il verbo è da considerare

piuttosto arcaico. L’esempio (26) invece si allontana completamente dal genitivo

tedesco: facendo una corretta traduzione si può notare che il complemento in tedesco è

introdotto dalla preposizione über:

(28) Max spricht [oft] über seine Eltern, welche weit weg wohnen.

Non si tratta più, quindi, di una Genitivergänzung, ma di un complemento

preposizionale in über. Lo stesso vale anche per un altro esempio tratto dal Divti:

(29) Il vino sa d’aceto.

Anche in questo caso il complemento preposizionale in di non corrisponde al genitivo

tedesco, poiché la traduzione (30) Der Wein schmeckt nach Essig porterebbe, secondo

Siller-Runggaldier, alla classificazione di oggettoide in nach.

Dalle conclusioni tratte per il CV2, si può aggiungere che questo tipo di complemento

dovrebbe essere classificato come sottoclasse dei complementi preposizionali, poiché la

preposizione di, tranne in qualche eccezione, non può essere vista come marcatore del

genitivo tedesco. Infatti, prendendo in considerazione l’elenco dei complementi

elaborati da Blumenthal/Rovere, è considerato giustamente un sottotipo del

complemento preoposizionale (a N3).

7 Cfr. illustrazione 7 in allegato.

20

Un altro problema da annotare nel Divti, riguarda la categoria dei complementi locativi

(CV6) (cfr. Bianco 1996: 139-142). Come il germanista Engel, Bianco suddivide i

complementi locativi in due classi distinte: quella dei complementi locativi statici

(CV6s) e dei complementi locativi dinamici (CV6d), che a loro volta sono divisi in

locativi-DESTINAZIONE (CV6d[DEST]) e locativi-PROVENIENZA (CV6d[PROV])8.

(31) Mathias wohnt in Stuttgart.

(31a) Wo wohnt Mathias? In Stuttgart.

(31b) Mathias wohnt dort.

Analizzando la frase (31) con il criterio interrogativo e successivamente con quello

anaforico, si arriva alla conclusione che In Stuttgart è ciò che Engel definisce una

Situativergänzung, ossia, secondo Bianco, un complemento locativo statico. Questo

risultato si ottiene anche con la traduzione della frase in italiano:

(32) Mattia abita a Stoccarda.

(32a) Dove abita Mattia? A Stoccarda.

(32b) Mattia abita lì/là.

Il complemento locativo statico in italiano può essere considerato quindi equivalente

alla Situativergänzung del tedesco. Ma i seguenti casi mostrano che la suddivisione del

complemento locativo dinamico in italiano è del tutto superflua:

(33) Max geht nach Neapel.

(33a) Wohin geht Max? Nach Neapel.

(33b) Max geht dorthin.

Con l’applicazione degli strumenti di riconoscimento, si arriva alla conclusione che il

complemento nach Neapel della frase (33) appartiene alla sottoclasse della

Direktivergänzung (complemento locativo dinamico), cioè sarebbe una Hin-

Richtungsergänzung (locativo-DESTINAZIONE). Secondo Bianco quest’ultimo tipo di

complemento esisterebbe anche nella lingua italiana ma il seguente esempio mostra il

contrario:

(34) Max va a Napoli.

(34a) Dove va Marco? A Napoli.

(34b) Marco va lì/là.

Per i casi (33) e (34), al contrario dell’esempio tedesco, è posta la stessa domanda

(dove?) e applicata la stessa sostituzione anaforica (lì/là). Il locativo-DESTINAZIONE,

8 Cfr. illustrazione 4 in allegato.

21

non può essere considerato quindi come sottoclasse dei complementi locativi dinamici,

poiché non presenta delle caratteristiche distintive rispetto ai complementi locativi

statici e di conseguenza dovrebbe essere eliminato dalla categoria.

Blumenthal e Rovere evitano questo problema, utilizzando il termine generico

avverbiale di luogo Avvloc, senza suddividerlo in altre sottocategorie.

Un’altra classe sintattica tralasciata sinora è rappresentata dalle costruzioni con

l’infinito rette da una preposizione, come mostra il seguente caso:

(35) Emma ha detto di spegnere il fornello.

(35a) Che cosa ha detto Emma? Di spegnere il fornello.

(35b) Emma l’ha detto.

Applicando gli strumenti di riconoscimento, si può notare che sia il criterio

interrogativo con la domanda che cosa? sia quello anaforico con la pronominalizzazione

del pronome personale oggettivo sono validi anche per la classificazione dell’oggetto

diretto. Quest’affermazione è dimostrata nel seguente esempio:

(36) Lui ha detto delle bugie.

(36a) Che cosa ha detto lui? Delle bugie.

(36b) Lui le ha dette.

Da questo risultato, la costruzione all’infinito introdotta dalla preposizione di, dovrebbe

rientrare nella stessa categoria dell’oggetto diretto, poiché cambia solo la costruzione

interna della frase. Infatti, ciò che segue dopo il verbo dire, può essere sostituito da un

complemento, a condizione che la frase non risulti agrammaticale. Quindi, secondo

l’analisi distribuzionale di Harris (Helbig/Schenkel 81991: 50), si ha a che fare con una

relazione di sostituzione.

Bianco e Blumenthal/Rovere introducono, invece, una nuova classe per questo tipo di

costruzione. Mentre nel Divti sono classificati nella categoria di complemento verbativo

(CV9), secondo la terminologia di Blumenthal/Rovere si tratta semplicemente di un di-

infinito.

In questo caso non ha senso introdurre un nuovo tipo di complemento ma è sufficiente

inserire la costruzione all’infinito di spegnere il fornello e l’oggetto diretto delle bugie

nelle sottoclassi di un solo tipo di attante.

Riassumendo i punti principali che risultano dal confronto dei tipi attanziali secondo

Bianco e Blumenthal/Rovere, si constatano delle divergenze nei due dizionari. La

germanista Bianco cerca di trovare delle corrispondenze tra i complementi dell’italiano

22

e quelli del tedesco, facendo sempre riferimento a Engel, ma questo tentativo risulta

problematico per quanto riguarda la morfosintassi dei complementi in italiano. Anche la

terminologia, tradotta da Bianco in maniera letterale, si rivela inadatta e, in alcuni casi,

persino scorretta (per es. la traduzione della Genitivergänzung o Dativergänzung).

Nell’ottica di un’edizione aggiornata, alcuni esempi dovrebbero essere rivisti poiché

risultano essere contraddittori con quanto afferma Bianco stessa (anche qui si può

menzionare il caso della Genitivergänzung e quello dei complementi locativi). I tipi di

attanti classificati da Blumenthal/Rovere sono, invece, più chiari e precisi, permettendo

anche a un utente inesperto di riuscire ad abbinare le abbreviazioni dei complementi con

la funzione corrispondente. Inoltre, in entrambi i dizionari, si dovrebbero eliminare tutti

i tipi di complementi che risultano superflui, in quanto rientranti nella categoria di un

complemento già classificato, come si è visto nel caso della costruzione all’infinito.

3. Conclusioni

L’approccio di Tesnière di considerare il verbo come centro sintattico della frase,

capace di determinare così tutti gli altri elementi proposizionali, ha acceso un’ampia

discussione nella linguistica partendo dalla Germania ed espandendosi successivamente

alle lingue romanze con il risultato di aprire la strada a diverse pubblicazioni importanti,

tra le quali si possono menzionare i dizionari valenziali di diverse lingue. I germanisti

della RDT, i quali sono stati i primi a occuparsi intensamente del concetto valenziale

tesnierano, hanno ripreso le idee principali cercando di rielaborare e modificare i punti

critici, ossia la definizione e la distinzione tra gli attanti e i circostanti. Infatti, i criteri

elaborati da Tesnière aventi lo scopo di separare gli attanti dai circostanti, risultavano

ambigui, poiché consideravano che gli attanti potessero essere considerati solo come

sostantivi pertinenti al verbo e i circostanti avessero valore facoltativo. L’ambiguità dei

criteri tesnierani si è potuta dimostrare attraverso frasi-esempio, in cui si sono potuti

constatare degli attanti omissibili e dei circostanti obbligatori. Grazie agli sviluppi avuti

in seno alla germanistica, sono state corrette alcune imprecisioni cambiando la

terminologia e ridefinendo i criteri distintivi. Di conseguenza si è imposta la concezione

di far fungere da attanti tutti gli elementi sintattici obbligatori al significato verbale e di

attribuire la funzione di circostanti agli elementi facoltativi. Dalle operazioni sintattiche

delineate attraverso i test di Helbig/Schenkel, si sono potuti constatare anche dei

problemi, poiché ogni test non poteva essere applicato a tutti i casi. I germanisti sono

23

arrivati, quindi, a furia di tentativi, alla conclusione di differenziare meglio la classe

degli attanti (Ergänzungen) aggiungendo la sottoclasse degli attanti facoltativi

(fakultative Ergänzungen). Ma ci sono stati anche degli approcci che andavano in

tutt’altra direzione, cosicché si è posta la domanda sulla necessità di tale distinzione.

Anche la definizione di nuovi tipi di attanti, ha generato degli spunti di riflessione tra i

germanisti. In questa categoria sono stati raggruppati, oltre ai sostantivi, pure gli avverbi

o oggetti preposizionali, che erano stati esclusi da Tesnière. La sistematizzazione

attanziale di Engel, è stata presa come modello per l’italiano. Grazie alla terminologia

funzionale, è stato possibile applicare le categorie del tedesco all’italiano, come si è

potuto vedere nel dizionario della valenza contrastiva tra verbi italiani e tedeschi di

Bianco. Ma conducendo un’analisi dell’opera, si è visto che la linguista non ha tenuto

conto delle divergenze tra i due idiomi, per cui sono emersi dei problemi in merito agli

attanti. Nel confronto successivo con un altro dizionario valenziale, ossia quello di

Blumenthal/Rovere, l’elenco dei tipi di attanti è risultato più preciso e trasparente, per

quanto riguarda sia la scelta della terminologia sia le specie di attanti. Mentre

Blumenthal e Rovere hanno deciso di riprendere la terminologia delle grammatiche

tradizionali, applicando in più dei codici numerali molto semplici, Bianco ha tradotto i

termini tedeschi di Engel, rendendoli molto tecnici e difficili da memorizzare. Anche il

codice alfanumerico risulta complesso e troppo dettagliato. Un vantaggio molto

importante che si è potuto constatare nel dizionario Blumenthal/Rovere, è la distinzione

tra oggetti indiretti e i cosiddetti oggettoidi, termine introdotto da Siller-Runggaldier

nella sua tesi di dottorato, che si riferisce agli oggetti preposizionali legati al verbo.

Questo aspetto importante è tralasciato nella classificazione di Bianco, che traduce il

termine Dativergänzung di Engel con complemento preposizionale in a. L’ultimo

confronto tra i due elenchi attanziali ha evidenziato la necessità di operare una

sistematizzazione solo dei tipi di attanti più significativi e maggiormente impiegati

nell’italiano, al fine di ottenere una classificazione più unitaria, utile anche per future

riedizioni del dizionario.

24

Bibliografia

Dizionari e grammatiche

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http://www.belleslettres.eu/artikel/genitiv-verben.php (01.05.2014).

26

Allegato

Illustrazione 4:

Schema dei complimenti secondo Bianco (1996: 159)

Codice Simbolo Definizione Test interrogativo e anafora

CV0 CVsogg Soggetto chi? che cosa?

Pronomi personali soggetto

CV1 CVdir Complemento

diretto

chi? che cosa?

Pronomi personali mi, ti, lo/la, ci, vi, li/le

CV2 CVpdi Complemento

prep.le in di

di chi? di che cosa?

Prep di + forme toniche pronomi pers.li (Num);

clitico ne (N-um)

CV3 CVpa Complemento

prep.le in a

a chi? a che cosa?

Pronomi pers.li atoni mi, ti, gli/le, ci, vi, loro

CV4 CVprp Complemento

prep.le

Prep non commutabile + pronome interr. chi?

(Num); Prep non commutabile + pronome che

cosa? (N-um)

Prep non commutabile + forme toniche pron.

pers.li (Num); Prep non commutabile + pron.

dimostrativo ciò (N-um)

CV5 CVtemp Complemento

temporale

quando?

allora

CV6s

CV6d

CVstat

CVdin

Complemento

loc. statico

Complemento

loc. dinamico

dove? ci, vi, lì/là

dove? ci, vi, lì/là [Loc. DEST]

da dove? ne; Prep da + lì/là [Loc. PROV]

CV7 CVnom Complemento

nominale

che cosa? come? come che cosa?

così, ciò, come tale

CV8 CVagg Complemento

aggettivale

come?

così

CV9 CVvrb Complemento

verbativo

che cosa…che succede/succeda? che cosa…di

fare/succedere?

(di) fare ciò; succedere ciò; che è/sia così; che

succeda ciò

CV10 CVesp Complemento

di espansione

di/(a) quanto? (fino) a quanto? Per quanto

tempo?

di/(a) tanto, (fino) a tanto, così a lungo

27

Ergänzungen secondo Engel (1996: 187)

Abk. Bezeichnung Anapher Beispiel

Esub Subjekt Personalpronomen

im Nominativ

Diese Frau ist gefährlich.

Eakk Akkusativergänzung Personalpronomen

im Akkusativ

Sie fragte ihren Vater.

Egen Genitivergänzung dessen oder deren Er erinnerte sich dieser

Wissenschaftlerin.

Edat Dativergänzung Personalpronomen

im Dativ

Hilf dem alten Mann mal.

Eprp Präpositivergänzung Präposition +

Personalpronomen oder

da(r)- + Präposition

Wir verlassen uns darauf.

Wir verlassen uns auf

eure Verschwiegenheit.

Esit Situativergänzung da, deshalb Der Verwalter wohnt in

der Unterstadt.

Er biß aus Angst.

Edir Direktivergänzung hin, dahin oder von dort Der Zug fährt nach

Heidelberg.

Er kommt von meiner

Tochter.

Meine Tante rief aus

Magdeburg an.

Eexp Expanisvergänzung (um) soviel oder soweit

oder so lange

Er war einen Kilometer

gelaufen.

Sie hat um zwei Pfund

zugenommen.

Enom Nominalergänzung es, so, als solch- Mein Bruder ist Beamter.

Er hat sich als Betrüger

erwiesen.

Eadj Adjektivergänzung es, so Ihre Mutter wurde krank.

Sie hat sich anständig

benommen.

Evrb Verbativergänzung es geschehen,

daß/ob es geschieht

daß/ob es so ist

u. a.

Peter läßt die Puppen

tanzen.

Ich frag mich, ob sich

nicht doch recht hat.

Es heißt, er wolle

zurücktreten.

28

Illustrazione 7: L’uso attuale del genitivo nel tedesco

„Der Genitiv nach Verben“, in: Belles Lettres – Deutsch für Dichter und Denker, URL:

http://www.belleslettres.eu/artikel/genitiv-verben.php (01.05.2014).