L'egloga di Angela Nogarola a Francesco Barbavara, in «Aevum», 88 (2014), pp. 503-31.

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Aevum, 88 (2014), fasc. 2 ANGELO PIACENTINI L’EGLOGA DI ANGELA NOGAROLA A FRANCESCO BARBAVARA SUMMARY: This contribution offers the critical edition of a Latin eclogue composed in 1403 by the Veronese poetess Angela Nogarola, with an historical commentary. The text is transmitted only by the MS Trento, Bibl. Comunale, 4973. This eclogue is dedicated to Francesco Barba- vara, the most important minister of Giangaleazzo Visconti, duke of Milan. The essay explains the allegories of this pastoral poem: Barbavara is symbolized by the sheperd Maecenas, in exile far from his fields; Giangaleazzo is represented as a high beech (altissima... fagus), the most beautiful tree in the forest, allegory of Milan. After Visconti’s death in september 1402, the du- kedom was in trouble, and Barbavara was forced to escape from Milan because of an insurrec- tion headed by Antonio Porro, symbolized by the sheperd Porreus. 1. La poetessa Angela Nogarola Nelle rassegne di studi dedicati alle donne letterate ricorre di tanto in tanto il no- me di Angela Nogarola: citato in alcuni lavori di Margaret King 1 , ha trovato rilie- vo in contributi recenti di Host Parker 2 . Tuttavia, sebbene possa vantare una sorta di primato cronologico, conteso con Maddalena Scrovegni, tra le donne letterate dell’Umanesimo, la Nogarola non riscontro ` particolare attenzione tra gli studiosi di letteratura umanistica. Appare cosı ` figura minore, poco piu ` di un nome, oscura- ta dalla fama dalle sue nipoti, Ginevra e, soprattutto, la ben piu ` celebre Isotta. Minime sono le tracce biografiche e assai limitato e ` il catalogo delle sue opere; p:/3b2_job/vita-pensiero/Aevum/Aevum-2014-02/09-Piacentini.3d – 28/7/14 – 503 q 2014 Vita e Pensiero / Pubblicazioni dell’Universita ` Cattolica del Sacro Cuore * Ringrazio per spunti e suggerimenti Monica Berte ´, Mirella Ferrari, Carla Maria Monti, Marco Petoletti, Silvia Rizzo. 1 M.L. KING, Humanism, Venice, and Women. Essays on the Italian Renaissance, Aldershot 1988, cap. XI, 81; ISOTTA NOGAROLA, Complete Writings. Letterbook, Dialogue on Adam and Eve, Orations, ed. and transl. by M.L. KING - D. ROBIN, Chicago-London 2004, 18. 2 H. PARKER, Latin and Greek Poetry by Five Renaissance Italian Women Humanists, in P.A. MILLER - B.K. GOLD - C. PLATTER, Sex and Gender in Medieval and Renaissance Texts, Al- bany 1997, 247-85; ID., Angela Nogarola (ca. 1400) and Isotta Nogarola (1418-1466): thieves of language, in Women writing Latin: from Roman antiquity to Early modern Europe, III: Early modern women writing latin, ed. by L.J. CHURCHILL - P.R. BROWN - J.E. JEFFREY, New York 2002, 11-30.

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Aevum, 88 (2014), fasc. 2

ANGELO PIACENTINI

L’EGLOGA DI ANGELA NOGAROLA A FRANCESCO BARBAVARA

SUMMARY: This contribution offers the critical edition of a Latin eclogue composed in 1403 bythe Veronese poetess Angela Nogarola, with an historical commentary. The text is transmittedonly by the MS Trento, Bibl. Comunale, 4973. This eclogue is dedicated to Francesco Barba-vara, the most important minister of Giangaleazzo Visconti, duke of Milan. The essay explainsthe allegories of this pastoral poem: Barbavara is symbolized by the sheperd Maecenas, in exilefar from his fields; Giangaleazzo is represented as a high beech (altissima... fagus), the mostbeautiful tree in the forest, allegory of Milan. After Visconti’s death in september 1402, the du-kedom was in trouble, and Barbavara was forced to escape from Milan because of an insurrec-tion headed by Antonio Porro, symbolized by the sheperd Porreus.

1. La poetessa Angela Nogarola

Nelle rassegne di studi dedicati alle donne letterate ricorre di tanto in tanto il no-me di Angela Nogarola: citato in alcuni lavori di Margaret King 1, ha trovato rilie-vo in contributi recenti di Host Parker 2. Tuttavia, sebbene possa vantare una sortadi primato cronologico, conteso con Maddalena Scrovegni, tra le donne letteratedell’Umanesimo, la Nogarola non riscontro particolare attenzione tra gli studiosidi letteratura umanistica. Appare cosı figura minore, poco piu di un nome, oscura-ta dalla fama dalle sue nipoti, Ginevra e, soprattutto, la ben piu celebre Isotta.Minime sono le tracce biografiche e assai limitato e il catalogo delle sue opere;

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* Ringrazio per spunti e suggerimenti Monica Berte, Mirella Ferrari, Carla Maria Monti,Marco Petoletti, Silvia Rizzo.

1 M.L. KING, Humanism, Venice, and Women. Essays on the Italian Renaissance, Aldershot1988, cap. XI, 81; ISOTTA NOGAROLA, Complete Writings. Letterbook, Dialogue on Adam andEve, Orations, ed. and transl. by M.L. KING - D. ROBIN, Chicago-London 2004, 18.

2 H. PARKER, Latin and Greek Poetry by Five Renaissance Italian Women Humanists, inP.A. MILLER - B.K. GOLD - C. PLATTER, Sex and Gender in Medieval and Renaissance Texts, Al-bany 1997, 247-85; ID., Angela Nogarola (ca. 1400) and Isotta Nogarola (1418-1466): thievesof language, in Women writing Latin: from Roman antiquity to Early modern Europe, III: Earlymodern women writing latin, ed. by L.J. CHURCHILL - P.R. BROWN - J.E. JEFFREY, New York2002, 11-30.

mancano edizioni critiche dei suoi carmina; le informazioni sulla vita e i compo-nimenti sono sistematicamente riprese dai due volumi di Sandor Groaf Apponyied Eugen Abel, che raccolsero gli opera omnia di Isotta, un’importante monogra-fia di fine Ottocento che dedicava qualche spazio alle altre due donne del casatoveronese devote al culto delle Muse, la sorella Ginevra e la zia Angela 3.

Il profilo biografico di Angela si ricostruisce su pochissimi tasselli. La donnanacque dal matrimonio tra il conte Antonio Nogarola e Bartolomea di Castelnuovo,che diede alla luce sette figli: Leonardo (il padre di Isotta e Ginevra), Giovanni,Angela, Lucia, Elisabetta, Anna e Caterina. Vi e un solo dato cronologico nella vitadella poetessa, il 1396, quando risulta moglie, probabilmente sposata poco piu chefanciulla, del conte trentino Antonio, della potente famiglia Arco. Fu madre di Ga-leazzo e Francesco d’Arco, nonno quest’ultimo di Niccolo d’Arco, il maggior poetaumanista trentino 4. Ancora bambina, o poco piu, Angela mostro spiccata vocazioneper la poesia e intrattenne una corrispondenza in versi latini con due illustri uominidi lettere del tempo, il vicentino Antonio Loschi e il cancelliere di Feltre Antonioda Romagno: entrambi rinomati nella corte di Giangaleazzo Visconti, non lesinaro-no alla «virgo» Angela calde parole di incoraggiamento perche proseguisse per l’ar-dua via verso il Parnaso5. La formazione di Angela si deve a un altro letteratovicentino, Matteo d’Orgiano (ca. 1345-ca. 1407): egli fu cancelliere a Verona aitempi di Antonio della Scala prima che la citta fosse conquistata dai Visconti nel1387 e conto tra i suoi corrispondenti eruditi lombardi come Giovanni Travesi, An-toniolo Arisi e il cancelliere visconteo Pasquino Capelli 6. L’impiego dei versuscaudati cum autorictate, struttura versificatoria basata sulla tecnica del centone inrima che Angela adotto in un carme a Pandolfo Malatesta, si spiega proprio in virtudell’apprendistato poetico con l’Orgiano, autore che trovava particolarmente conge-niale questo tipo di struttura versificatoria 7.

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504 A. PIACENTINI

3 Isotae Nogarolae opera quae supersunt omnia: accedunt Angelae et Zenevrae Nogarolaeepistolae et carmina, collegit A. APPONY, ed. E. ABEL, I-II, Vindobonae-Budapestini 1886, vol. I,VII-XIII (cenni biografici); vol. II, 291-311 (testi).

4 Un’utile sintesi offrono R. AVESANI, Verona nel Quattrocento. La civilta delle lettere, inVerona e il suo territorio, IV/2, Verona 1984, 23-24; L. GARGAN, Il preumanesimo a Vicenza,Venezia e Treviso, in ID., Libri e maestri tra medioevo e umanesimo, Messina 2011 (Bibliotecaumanistica, 17), 181-226: 190-91. Un sostanziale incremento e approfondimento della biografiae della figura della Nogarola, con un catalogo aggiornato delle sue opere, e offerto recentementeda C. MALUSARDI, Una poetessa di fine Trecento: primi studi su Angela Nogarola, Tesi di lau-rea, rel. C.M. MONTI, Milano, Universita Cattolica del Sacro Cuore, a.a. 2011-2012.

5 Il carme di Antonio da Romagno alla Nogarola e pubblicato da G. FARAONE, Antonio Lo-schi e Antonio da Romagno, Messina 2006, 88-93 (con bibliografia).

6 Su Matteo d’Orgiano: B. MORSOLIN, Un umanista del secolo decimoquarto pressoche sco-nosciuto, «Atti dell’Istituto veneto di scienze lettere e arti», s. VI, 6 (1888), 453-95; V. ZACCA-

RIA, Quattro epistole metriche di Antonio Loschi, «Bollettino del Museo Civico di Padova», 63(1964), 128, 130-33, 140-42; GARGAN, Il preumanesimo, 189-91 (con bibliografia). Necessita diulteriori verifiche la tesi che Angela sia la destinataria di Religio, un poema di 271 esametri diMatteo d’Orgiano trasmesso nel ms. Modena, Bibl. Estense, Ital. 427 (a G 5, 15), ff. 78r-81v.Ha proficuamente approfondito la figura di questo umanista vicentino M. MAINARDI, Matteo daOrgiano e l’Umanesimo Visconteo, Tesi di Laurea, rel. C.M. MONTI, Milano, Universita Cattoli-ca del Sacro Cuore, a.a. 2006-2007.

7 Il componimento e pubblicato in PARKER, Angela Nogarola, 18-19; sull’impiego dei versus

La piu significativa integrazione al catalogo delle opere di Angela e offerta dalms. Trento, Biblioteca Comunale, 4973, una copiosa miscellanea di testi, per lo piupoetici, ignota all’Abel e, invero, non adeguatamente valorizzata negli studi recentisulla Nogarola. L’importanza di questo codice fu illustrata da Luciano Capra in unfondamentale articolo guariniano del 1971, in cui e fornita la tabula di tutti i com-ponimenti 8. Secondo lo studioso questa ricca antologia di circa cento carmina furaccolta a Padova nel 1437, o poco dopo, nella cerchia del frate domenicano vene-ziano Pietro Lazzaro. Il ms. di Trento annovera infatti molti testi di un suo amico ecorrispondente, il veronese Giorgio Maffei 9, oltre a opere di altri autori veneti, tra iquali spiccano Niccolo Loschi, il figlio di Antonio, e Guarino Veronese 10.

In questa galassia di poesie latine si distinguono 20 componimenti che costitui-scono un sottogruppo interno, un nucleo cospicuo e omogeneo fortemente legato al-la famiglia Nogarola. Li elenco indicando titulus, incipit ed explicit:

1. ff. 10v-11r, Angela Nogarola ad Antonio Loschi, Per divam dominam Angelam de No-garolis ad eximium vatem dominum Antonium Luscum vicentinum, «Inclita palladio radiansfulgore poesis... ne renuas tandemque tuum michi pandere fontem» (26 esametri) 11;2. f. 15r-v, Angela Nogarola a Giacomo de Poncegolis, Per dominam Angelam de Noga-rolis nuptiarum descriptio ad eximium legum doctorem dominum Iacobum de Poncegolis,«Aureus hesperiis iam se mergebat in undis... semper honorabo, liceat modo semper ama-bo» (25 esametri);3. f. 15v, Angela Nogarola ad Antonio Loschi, Per divam dominam Angelam de Nogarolisad insignem poetam dominum Antonium Luscum vicentinum, «O decus Aonidum, radiisdecorate Minervae... semper honorabo, liceat modo semper amabo» (32 esametri);4. f. 15v, Angela Nogarola ad Antonio Loschi, Per divam dominam Angelam de Nogarolisad eundem, «Quem michi scripsisti sumpsi, dilecte, libellum... ipsa valet genetrix sexucum prolis utroque» (8 esametri) 12;5. ff. 16v-17r, Avogaro di Orgiano ad Angela Nogarola, Moratus Avogarius de Aurelianodive domine Angelae de Nogarolis exhortatoria ad studium, «Angela, si Cimbri cuntanturfidere, virgo... fronde comas portum viridanti cumpta tenebis» (52 esametri);6. f. 17r, Pandolfo Malatesta ad Angela Nogarola, Per insignem Pandulfum de Malatestisad divam Angelam de Nogarolis, cum sibi non posset librum totiens ab ea postulatum mit-

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505L’EGLOGA DI ANGELA NOGAROLA

caudati cum auctoritate: C.M. MONTI, Un carme di Pietro da Parma, «Studi petrarcheschi»,n.s., 5 (1988), 129-32; EAD., Il codice Visconti di Modrone 2, «Aevum», 82 (2008), 877-78; A.PIACENTINI, Un Liber Esopi del Quattrocento: le favole di Cristoforo da Fano, «Studi umanisticipiceni», 30 (2010), 173-77.

8 L. CAPRA, Contributo a Guarino Veronese, «Italia medioevale e umanistica», 14 (1971),193-247 (la tavola alle pp. 193-207).

9 G.P. MARCHI, Esperienze poetiche di Giorgio Maffei umanista veronese, «Studi umanisticipiceni», 34 (2013), in c.s.

10 CAPRA, Contributo, 207-12.11 Nella trascrizione di titoli, esametri incipitari e di chiusura non si interviene normalizzan-

do le frequenti oscillazioni grafiche, in particolare nell’uso dei dittonghi.12 Questi primi tre testi sono presenti anche nel ms. Modena, Bibl. Estense, Ital. 427 (a G 5

15), rispettivamente ai ff. 89v-90r; 90v-91r; 90r. Su questo importante ms., contenente numerosicomponimenti di Giovanni Nogarola: A. CAVEDON, Un umanista-rimatore del secolo XV: GianNicola Salerno, in Miscellanea di studi in onore di Vittore Branca, III/1, Firenze 1983, 209,218; R. RABBONI, Generi e contaminazioni. Studi su cantari, l’ecloga volgare e la prima imita-zione petrarchesca, Roma 2013, ad indicem.

tere, «O decus egregium, virgo celeberrima Musis... ergo vale precibusque piis ignoscequod obstem» (17 esametri) 13;7. f. 17r-v, Antonio Fantesello ad Avogaro di Orgiano, Per Antonium de Fantesello civemvicentinum descriptio irrisoria ad Avogarum de Aureliano, «Precipiti calamo fragili man-data papiro... deposuisse putans nocuae contagia mentis» (42 esametri);8. ff. 17v-18r, Giovanni Nogarola alla sorella Angela, Generosus Iohanes de Nogarolis addivam sororem suam Angelam, dum nupta isset maritum, «Spes vitae non parva mee, spesunica fratris... et lete, modo fata sinant ubicunque manendi» (epitalamio di 30 esametri);9. f. 18r, Giovanni Nogarola ad Antonio Fantesello, Per Iohanem de Nogarolis ad egre-gium virum Antonium de Fantesello civem vicentinum, «Iam deus occeano rutilantes stra-verat artus... ne laudas; nam vera cano: mea dicta memento» (21 esametri);10. f. 18r-v, Giovanni Nogarola a Gian Nicola Salerno, Per Iohanem de Nogarolis ad ge-nerosum equestris ordinis decus dominum Iohanem Nicolam de Salernis, «Altum ubi mar-moreae decus ah, miserandus, iniquo... quod michi fata negant, tibi numina primasecundent» (31 esametri);11. ff. 18v-19v, Gian Nicola Salerno a Giovanni Nogarola, Generosus et splendidus equeset divus Musarum alumnus dominus Iohanes Nicola de Salernis ad suum Iohanem de No-garolis epistola, «Iamque tui egregios postquam concernere vultus... posse tuum vult abs-que tuo sentire Iohanne» (104 esametri);12. f. 20r-v, Angela Nogarola a Mabilia da Thiene, Diva domina Angela de Nogarolis adgenerosam et eloquentem iuvenem dominam Mabiliam de Thienis, «Indolis o nimium Cla-re celebranda virago... iamque vale nostrique memor duc tempora felix» (30 esametri);13. ff. 20v-22r, Egloga di Angela Nogarola a Francesco Barbavara, Per divam dominamAngelam de Nogarolis magnifico Francisco de Barbavaris, tunc ex Mediolani ducis amore

privatus erat, egloga elegantissima. Collocutores: Cherulus et Mecenas, pro quo Cheruloipsa intelligitur domina Angela; pro Mecenate vero ipse Franciscus denotatus feliciter,«Fronde sub hac tenui recubans et tegmine parvo... et mecum laudesque tue virtusque ma-nebit» (171 esametri);14. ff. 22r-23r, Egloga di Antonio Fantesello a Giovanni Nogarola, Per Antonium de Fan-tesello civem vicentinum. Ambo collocutores: scilicet pro Iblo ipse Antonius intelligitur;pro Amello verum ipsum Iohannem intelligamus oportet, «Cur teris hic calamo breve tem-pus, Amelle, scilenti... care, vale memor, Ible, tui dum vivis, Amelle» (129 esametri);15. ff. 23r-24r, Giovanni Nogarola egloga, Per Iohannem de Nogarolis egloga per quamsuavis (collocutores: Pandarus, Rureus et Philomena) feliciter incipit, «Quis Deus invisaiubet hec lacrimare sub ulmo... perge, age, fata trahunt, tua sit Philomena necesse est»(136 esametri);16. f. 24r-v, Giovanni Nogarola ad Andrea Giuliano, Per Iohannem de Nogarolis ad sua-vissimum suum Andream Iulianum epistula, «Itale, tranquillo recubans qui flore iuvente...ac dicere Iovis sic natus ut almus Apollo» (47 esametri);17. ff. 24v-25r, Matteo da Orgiano ad Adoardo da Thiene podesta di Parma, Ad genero-sum et egregium doctorem dominum Adoardum de Thienis dignissimum Parme potestatem

Matheus de Aureliano familiaris epistula, «Nil aliud dixi fuerit quam dira fovere... te simi-lat regimen ludificando tuum» (10 distici);18. ff. 30v-31r, Epistola in prosa di Giorgio Maffei ad Antonio Nogarola, Georgius Ma-pheus generoso equiti domino Antonio de Nogarolis salutem plurimam dicit, «Nuper,eques splendide, cum in quorundam nobilium virorum nostrorum contione... me sepe vide-bis. Vale, eque splendide, Georgium tuum ut facis amando persequere»;

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506 A. PIACENTINI

13 Presente nel ms. Firenze, Bibl. Riccardiana, 784, f. 144v.

19. ff. 31v-32r, Giovanni Maffei ad Antonio Nogarola: Georgii Maphei ad Pavulum pata-vinum cocum olendissimum, quod is sua eximia coquinaria virtute ante alios sumis sit lau-dibus extollendus. Congratulatio ad generosum equitem dominum Antonium de Nogarolis,«Magnanimus claris Cesar si laude canendus... parvulus hic duco resupinus clauditur an-tro» (69 esametri);20. f. 32r, Giorgio Maffei ad Antonio Nogarola, Georgius Mapheus ad generosum equitemdominum Antonium de Nogarolis, «Philocolum expecto mira gravitate refertum... Galla pe-tit; Galle tu, precor, obsequere» (2 distici).

All’interno della silloge trentina si contano sei carmina di Angela: si tratta di cin-que epistole metriche (ni 1-4, 12) e di un’egloga (nº 13). A questi si affiancanotre poesie latine a lei indirizzate: un carme di Avogaro d’Orgiano, figlio di Mat-teo (nº 5); un componimento attribuito a Pandolfo Malatesta (nº 6); i versi di Gio-vanni Nogarola, fratello di Angela, per le nozze della sorella medesima (nº 8) 14.In questo novero di carmina legati alla famiglia Nogarola si individua un ulterioresottogruppo di testi, questa volta caratterizzato dal genere letterario, la bucolica.Ai ff. 20v-24r sono state copiate tre egloghe (ni 13-15): la prima di Angela, la se-conda di Antonio Fantesello a Giovanni Nogarola, la terza dello stesso Giovan-ni 15. Questa produzione costituisce un significativo episodio della fecondafioritura, pur diversificata dal punto di vista geografico, del genere bucolico traTre e Quattrocento, che guarda soprattutto al Bucolicum carmen di Petrarca, spe-cialmente in area veneta e lombarda.

L’egloga di Angela, esempio di «egloga viscontea» 16, e di gran lunga il testopiu interessante nel piccolo ma non disprezzabile catalogo delle sue opere: e l’operapiu significativa dal punto di vista letterario, perche offre un quadro rappresentativodelle letture della poetessa veronese, che vanno dai classici Virgilio e Ovidio, al‘‘moderno’’ Petrarca, con il soprendente recupero dei cosiddetti «bucolici latini mi-nori» Calpurnio e Nemesiano 17. Non minore e l’importanza per l’aspetto storico, inquanto sotto il velo dell’allegoria e possibile cogliere allusioni a vicende del ducatovisconteo dopo la morte di Giangaleazzo Visconti. I chiari riferimenti interni a una

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507L’EGLOGA DI ANGELA NOGAROLA

14 Sulla figura di Giovanni Nogarola, autore di un corpus significativo di poesie amorose ol-tre che di qualche carme latino, si veda CAVEDON, Un umanista-rimatore, 208-19.

15 La segnalazione di questi componimenti in A. TISSONI BENVENUTI, Schede per una storiadella poesia pastorale nel secolo XV: la scuola Guariniana a Ferrara, in In ricordo di CesareAngelini. Studi di letteratura e filologia, Milano 1979, 96-131: 106; RABBONI, Generi e contami-nazioni, 450, 558, 675.

16 Non mancano esempi rilevanti di questo filone di bucoliche di argomento visconteo: spic-ca il forlivese Iacopo Allegretti autore di un bucolicum carmen (D. ROSSI, Le Egloghe Visconteedi Iacopo Allegretti, Hildesheim-Zurich-New York 1984), accanto all’umanista feltrino Antonioda Romagno, le cui egloghe Panopea e Napea sono di chiaro argomento visconteo (edite nelvolume di FARAONE, Antonio Loschi, 120-39; 158-71). A queste si puo aggiungere l’egloga diMatteo Ronto pubblicata da C.M. PIASTRA, Matteo Ronto ed una sua egloga latina inedita, «Ae-vum», 34 (1961), 274-79. Testimonianza della forte influenza del magistero petrarchesco nellaproduzione bucolica in area francese e un’egloga attribuita a Nicolas de Clamanges: D. CECCHET-

TI, Un’egloga inedita di Nicolas de Clamanges, in Miscellanea di studi e ricerche sul Quattro-cento francese, a c. di F. SIMONE, Torino 1967, 27-57.

17 Per l’intertestualita letteraria dell’egloga A. PIACENTINI, Un’egloga ‘viscontea’ di AngelaNogarola, «Studi umanistici piceni», 33 (2013), 113-29.

serie di avvenimenti riferibili al giugno 1403 forniscono oltretutto un sicuro indiziocronologico alla biografia della Nogarola, ancora assai avara di notizie e di date, econfermano alcune testimonianze antiche sulla sua produzione di egloghe, dellequali non sembravano fossero sopravvissuti esempi. Mi riferisco alla notizia del fra-te eremitano bergamasco Filippo Foresti nel De plurimis claris selectisque mulieri-bus del 1497, che a proposito di Angela scriveva: «... inter cetera suae doctrinaeerudimenta eglogas nonnullas tanto artificio confecit» 18. Analoga l’informazione, re-cuperata probabilmente dallo stesso Foresti, che si legge nel ritratto pressoche coe-vo di Angela elaborato per il libro De le clare donne di Sabadino degli Arienti,opera scritta per Ginevra Sforza Bentivoglio: «Fece alcune egloghe, cum tanta artee doctrina, che fu arbitrato non fusseno de manco pretio che ’l verso eliconio etmolti altri versi» 19.

2. Il pastore Mecenas: Francesco Barbavara

L’inscriptio che introduce l’egloga al f. 20v del ms. di Trento offre una minimaexplanatio del testo, rivela il nome del destinatario, identifica i due collocutores eoffre un appiglio storico e cronologico: «Per divam dominam Angelam de Noga-rolis magnifico Francisco de Barbavaris, qui tunc Mediolani ducis amore privatusest, egloga elegantissima. Collocutores: Cherulus et Mecenas; pro quo Cheruloipsa intelligitur domina Angela; pro Mecenate vero ipse Franciscus Barbavara de-notatus feliciter».

L’autrice stessa si cela dietro la maschera del pastore Cherulus: con professionedi modestia Angela si richiama al malus poeta di Alessandro Magno, capace a sten-to di scrivere una manciata di versi buoni. E figura menzionata in due luoghi diOrazio: «Gratus Alexandro regi magno fuit ille / Choerilus, incultis qui versibus etmale natis / rettulit acceptos, regale nomisma, Philippos» (Hor. Epist. II 1, 231-33)e «... sic mihi qui multum cessat fit Choerilus ille, / quem bis terve bonum cum ri-su miror; et idem / indignor quandoque bonus dormitat Homerus» (Hor. Ars 357-59) 20.

Il destinatario dell’egloga e invece adombrato nell’altro collocutor, il pastoreMecenas: rappresenta Francesco Barbavara, figura eminente della corte viscontea,significativamente celebrato dalla Nogarola con il nome di Mecenate. Appartenentea un ramo della famiglia novarese dei Da Castello, il Barbavara figuro a partire dal1393 come «secretarius e camerarius» del duca di Milano Giangaleazzo Visconti,presso il quale si guadagno presto massima fiducia e famigliarita. Vicinissimo alduca, Barbavara fu ministro plenipotenziario del Visconti e figura decisiva nella po-litica della signoria. Il grande potere a cui giunse e ampiamente documentato nelle

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508 A. PIACENTINI

18 Fratris Iacobi Philippi Bergomensis De plurimis claris selectisque mulieribus, Ferrariae,opera Laurentii de Rubeis, 1497, f. CXXXIX.

19 Joanne Sabadino de li Arienti, Gynevera de le clare donne, a c. di C. RICCI - A. BACCHI

DELLA LEGA, Bologna 1968, 164-66.20 PIACENTINI, Un’egloga, 118.

narrazioni degli storici, come ad esempio Andrea Biglia: «Unus erat in aula Franci-scus, cognomen Barbavaria, quem dudum Galeaz potentissimum voluerat; ad huiusinvidia caeteri ambiebant, aegre ferentes tot proceribus praelatum, quem pene pur-gandae aulae ministrum meminissent» 21. L’esperienza e le capacita politiche delBarbavara consigliarono il duca a designarlo esecutore testamentario e curatore de-gli interessi dei suoi figli 22. Dopo la morte di Giangaleazzo, avvenuta il 3 settembre1402, il Barbavara seguı queste disposizioni, coadiuvando la duchessa Caterina nel-l’amministrazione dello stato e nell’educazione dei figli ancora fanciulli 23. Tuttaviale precarie condizioni del ducato, il malcontento del popolo e il desiderio di rivalsadi alcuni potenti fuoriusciti alimentarono una crescente ostilita nei confronti delBarbavara, additato come responsabile dell’onerosa politica fiscale nel ducato e ac-cusato di volersi impadronire del potere. La situazione precipito con le sollevazionipopolari del 24-26 giugno del 1403 guidate, tra gli altri, dal capo ghibellino Anto-nio Porro, conte di Pollenzo, valoroso uomo d’armi che era stato Capitano di Ber-gamo nel 1385 ed era stato designato dal Visconti governatore di Pisa nel 1399 24.Francesco Barbavara e il fratello Manfredi scamparono ai tumulti riparando nell’Ol-trepo pavese. Il 1 luglio il Consiglio ducale, dove prevaleva ormai la fazione avver-sa, decreto la messa al bando e la confisca dei loro beni. Sulla testa di entrambi fuposta una cospicua taglia: 10000 fiorini per chi avesse consegnato vivo Francesco,5000 per chi lo avesse consegnato morto; 6000 fiorini per Manfredi vivo, la metase consegnato morto 25. Dopo essersi rifugiato presso il governatore di Asti, Barba-vara riuscı a riallacciare i contatti con la vedova di Giangaleazzo che, il 6 gennaio1404, fece arrestare e giustiziare i membri della parte ostile al Barbavara, sollecitoil Consiglio generale a ritrattare le accuse nei suoi confronti e a chiedere il rimpa-trio dell’esiliato. Il 31 gennaio 1404 il Barbavara fu accolto con grande solennita aMilano. Il ritorno fu pero di breve durata: Castellino di Pavia e Antonio Visconticonsigliarono al giovane Filippo Maria Visconti di fare arrestare Manfredi Barbava-ra, allora rientrato a Pavia. Giovanni Maria fu sollecitato a fare altrettanto con ilfratello Francesco che, tuttavia, riuscı nuovamente a fuggire da Milano. Si rifugioallora nei suoi feudi in Valsesia e si dedico all’amministrazione di quei territori:benvoluto dai valligiani, li guido nella resistenza contro Giovanni Maria Visconti eFacino Cane. Alla loro morte, quando Filippo Maria rimase unico signore di Mila-no, Barbavara riallaccio i rapporti e si riconcilio con lui: il 30 dicembre 1412 feceritorno a Milano, fu riammesso a corte e nominato membro del Consiglio segreto.Il suo ritorno fu celebrato con parole altisonanti nei carmi di due importanti poeti

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509L’EGLOGA DI ANGELA NOGAROLA

21 Andreae Billii Historia, ed. L.A. MURATORI, in RIS, XIX, Mediolani 1732, 12.22 L. OSIO, Documenti diplomatici tratti dagli archivj milanesi, I, Milano 1864, 328-30.23 Il piu importante contributo sulla figura del Barbavara e stato offerto da R. MAIOCCHI,

Francesco Barbavara durante la reggenza di Caterina Visconti secondo i documenti dell’archi-vio civico di Pavia, «Miscellanea di storia italiana», 35 (1898), 259-303. Una sintetica biografiapresenta N. RAPONI, Barbavara, Francesco, in DBI, VI, Roma 1964, 138-41.

24 C. SANTORO, Gli uffici del Comune di Milano e del dominio visconteo sforzesco, Milano1968, 237-38.

25 MAIOCCHI, Francesco Barbavara, 268, 288; cfr. anche F. COGNASSO, Il ducato visconteoda Gian Galeazzo e Filippo Maria, in Storia di Milano, VI, Milano 1955, 89.

del tempo, il Loschi e Giuseppe Brivio 26. Il conte di Valsesia morı poco tempo do-po: risulta gia deceduto il 17 marzo 1415; la vedova, Antonietta Visconti, sposo inseconde nozze, il 14 febbraio 1417, Francesco di Bartolomeo di Bussone, conte diCarmagnola.

Squarciando il velame dei sovrasensi allegorici e delle maschere dei collocuto-res, si riconoscono chiaramente nell’egloga riferimenti alle vicende salienti dellabiografia del Barbavara tra il 1403 e 1404. Sollecitato dalle domande di Cherulo,Mecenate racconta i tristi avvenimenti che lo hanno privato dell’ombra amena del-l’altissimo faggio (vv. 53-54), allegoria di Giangaleazzo Visconti, e lo hanno co-stretto all’esilio. Il duca di Milano e descritto come l’albero piu nobile della selvache, nel codice pastorale, rappresenta la citta: essa e lambita dalle placide acque delNaviglio, figura della citta di Milano (vv. 38-41) 27. Per un infausto rovescio dellasorte, la bellissima pianta, dalla quale Mecenate traeva ogni onore e delizia, e statasradicata dalla furia di due venti esiziali, Austro e Borea, allegoria della pestilenza(vv. 91-97) 28. La morte di Giangaleazzo nel settembre 1402 muto il corso della vitadel Barbavara. Mecenate non aveva piu il ristoro e l’ombra protettiva del faggio:come scrisse Francesco Cognasso, egli, «coperto dalla simpatia del duca, alla suamorte era rimasto scoperto» 29. Mecenate racconta a Cherulo che, nonostante il luttoper la morte del faggio, riuscı a giovarsi dell’ombra due piccoli virgulti risparmiatidalla violenza dei venti (vv. 112-21): sono la raffigurazione dei due figli, ancorafanciulli, del duca, Giovanni Maria e Filippo Maria. Essi sono rappresentati allego-ricamente come gemine virge dalla piccola fronda (vv. 114-15). La Nogarola infor-ma che se ne stanno attaccati al fianco della madre (laterique hesere parentis, v.115): la duchessa Caterina era in effetti tutrice e amministratrice dei figli, assistitadal consiglio segreto. I due piccoli virgulti, imitantes omnia fagi (v. 117), seguonoin tutto il modello paterno nella signoria di Milano. Mecenate illustra come le virgefossero sotto la sua custodia, che egli provvedeva a difenderle dal morso delle ca-pre e dalle zuffe del toro: «Has ego servabam tutas morsuque caprarum / defende-bam avido et valido certamine tauri» (vv. 118-19). Le fonti storiche attestano comeBarbavara, che era procuratore della duchessa, del duca di Milano Giovanni Mariae del conte Filippo Maria, fosse di fatto il reggitore dello stato, posizione che gli

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26 Il carme del Loschi (inc. «Magne vir, anguigere decus et cardo unicus aule») e edito inV. ZACCARIA, Le epistole e i carmi di Antonio Loschi durante il cancellierato visconteo (con tre-dici inediti), «Atti della Accademia nazionale dei Lincei. Memorie. Classe di scienze morali, sto-riche e filologiche», s. VIII, 18 (1975), 369-443: 434-36. Il carme del Brivio, cognato delLoschi (inc. «Gratulor ad regimen solitum, clarissime comes»; 253 esametri), si legge del ms.Milano, Bibl. Ambrosiana, B 116 sup., ff. 101r-104v. Su questo codice si veda l’ampia schedacon ricca bibliografia di G. BARBERO, in Coluccio Salutati e l’invenzione dell’Umanesimo, a c.di T. DE ROBERTIS - G. TANTURLI - S. ZAMPONI, Firenze 2008, 95-97.

27 PIACENTINI, Un’egloga, 120-23. Un utile strumento per comprendere il codice allegorico-pastorale delle egloghe petrarchesche, proficuo anche nel nostro caso, e il contributo M. FRAN-

cOIS - P. BACHMANN, L’allegorie et le vocabulaire pastorale, in F. PETRARQUE, Bucolicum car-men, texte latin, trad. et comm. par M. FRANcOIS - P. BACHMANN, pref. de J. MEYERS, Paris 2001,419-45.

28 PIACENTINI, Un’egloga, 123-26.29 COGNASSO, Il ducato visconteo, 85.

suscito l’odio da parte del Consiglio. Cosı si legge nella Cronaca carrarese dei Ga-tari:

Regievano i figliuoli del ducha la signoria del padre con el consiglio dela duchessa suamadre e del signore di Mantoa e del conte Antonio da Urbino e del gran conestabelle ede Francesco Barbavara e de misser Iacomo dal Verme e da misser Antonio Porro e demisser Galeazio Porro e de misser Zuanno de Caxalle e de misser Francesco Visconte ede altri asai, ch’era del gran consiglio. E, come spesso ocore, nacque devisione tra quillidel consiglio per invidia che portarono a Francesco Barbavara, el quale volea tenere l’alte-reza, como faxea nel tempo del bon ducha; era molto odiato luy e de soa squadra, e sen-pre nei consigli grande cuntrarieta ale parte prexe per Francesco Barbavara. E con questesiffatte cose e male regimenti se regievano; le qualle chosse erano fate notorie a misserFrancesco da Carara, signor de Padoa, e specialmente da parte guelfa 30.

L’immagine di Mecenate che difende i virgulti dall’avido morsus caprarum e dalviolento certamen tauri, allude con ogni probabilita agli aspri dissidi interni alConsiglio, lacerato da fazioni opposte che cercavano di esercitare la loro influenzasui figli giovanissimi del defunto duca Giangaleazzo e all’ostilita sempre piu pro-fonda verso il Barbavara. Queste notizie, delle quali era informato anche il signo-re di Padova Francesco da Carrara, viaggiavano quindi veloci fino a terre distantida Milano, fino ai territori di Verona e Vicenza dove i Nogarola possedevano iloro feudi 31.

3. Il pastore Porreus: la congiura di Antonio Porro contro il Barbavara

Mecenate racconta a Cherulo l’evento che ha mutato la sua vita: l’irruzione delpastore Porreus (v. 122). L’onomastica e chiaramente connotata e allude ad Anto-nio Porro, riconosciuto dalle fonti quale nemico acerrimo del Barbavara. Il ruolodel Porro nelle vicende milanesi di poco successive alla morte di Giangaleazzo eampiamente testimoniato dagli storici. La piu avvincente e la narrazione nella Pa-tria historia del milanese Bernardino Corio (1459-1519), che descrive proprio ilPorro come il capopopolo protagonista della sollevazione dei giorni 24, 25 e 26giugno del 1403. Fu lui ad aizzare il popolo milanese al grido ‘‘Viva il duca!’’ e‘‘Morte ai Barbavara!’’, riuscendo a trascinare nella rivolta lo stesso duca Giovan-ni Maria, il primogenito di Giangaleazzo:

Questa novita intendendose, tutta la porta Tecinese se levo a l’arme, e parimente in pro-cesso di puocha hora fece tutta la cita, la qual cosa puoi che la duchessa hebbe inteso, laquale per essergli cascata la goza era di uno canto perduta, non potendo sedere a cavallo,

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30 Galeazzo e Bartolomeo Gatari, Cronaca carrarese confrontata con la redazione di An-drea Gatari [aa. 1318-1407], a c. di A. MEDIN - G. TOLOMEI, in RIS2, XVII/1, Citta di Castello1909, 496-97.

31 G. SOLDI RONDININI, La dominazione viscontea a Verona (1387-1404), in Verona nelQuattrocento, I (nella collana Verona e il suo territorio, IV/1), Verona 1984, 3-237: il capitolointitolato I Nogarola e alle pp. 74-85.

monto sopra una carretta e con molti nobili comincio a transcorrere per Milano facendocridare: «Viva il duca!». Per il che in termine di tre hore, la prelibata ducissa con il figlio-lo e Francesco Barbavara, se redusse nel Castello di porta Zobbia. Et il proximo giornone la medesma hora che nel passato fu tanta novitate, Antonio Porro venne a Milano, on-de di nuovo il popolo si levo a l’arme e cridava: «Viva il duca!» [...] Ma di novo a l’altrogiorno circha a la terza hora il Porro, infenso inimico dil Barbavara per averlo excluso,anze expulso gia gran tempo dal concilio del duca, con il quale anchora operava di farlomorire, levo il populo de la cita e li borghi a l’arme, onde il duca, senza la madre monta-to a cavallo con molti cortesani e provisionati, comincio a transcorrere la terra critando in-scieme con il Porro: «Viva il duca!». Francesco e Manfredo Barbavara erano restati entroil castello, dove in termine de una hora se li trova circha xv milia plebei, critando: «MoraBarbavari!» 32.

Per Angela Nogarola Porreus e colui che minaccia la pace dello stato, l’usurpato-re che con la frode si e impossessato del gregge e degli armenti. La poetessa ela-bora i versi attraverso un’abile e pregnante intertestualita letteraria:

Porreus at subito pastorum immanior omnidulcia prata subit primum atque hec intonat ore:«huncine secura permittam pace fruentem?» [vv. 122-24].

La clausola finale di esametro immanior omni, caratterizzata dall’uso poetico delcomparativo in luogo del superlativo, e chiaro calco virgiliano e richiama l’esame-tro del I libro dell’Eneide in cui viene introdotto Pigmalione: «Pygmaleon, scelereante alios immanior omnis» (Verg. Aen. I 347). Pigmalione, re di Tiro, fratello diDidone, e l’assassino di Sicheo, il marito della sorella, costretta a fuggire per lidilontani e ad approdare dove poi fondera Cartagine.

Accanto a Virgilio l’autrice mette a frutto una fonte ‘‘moderna’’: Petrarca latino,autore di bucoliche. Le parole minacciose di Porreus che si leggono al verso suc-cessivo, l’interrogativa retorica «Huncine secura permittam pace fruentem?» (v.124), sono una ripresa compendiata di un passaggio del Bucolicum carmen petrar-chesco, ovvero la dodicesima egloga, Conflictatio, componimento in cui sotto il ve-lo dell’allegoria sono raccontati episodi della Guerra dei Cent’anni. La Nogarolarecupera quasi ad verbum l’interrogativa che Artico, il personaggio che simboleggiail re d’Inghilerra, rivolge a Pan, figura per il re di Francia: «Huncine perpetua gau-dentem pace videbo / securoque sinam resupinum stertere somno?» (Petr. Buc.carm., 12, 8-9) 33. Minaccia per la pace e la sicurezza della selva, Porreus irrompenei prati e sollecita gli altri pastori a impossessarsi delle greggi di Mecenate: e chia-ra allusione alle vicende del Barbavara che, dopo il sovrastare della fazione ostilecapeggiata dai Porro, si trova costretto ad abbandonare la citta di Milano e a pren-dere la via dell’esilio 34. La messa al bando del Barbavara nel luglio del 1403 e per-tanto sicuro terminus post quem per l’elaborazione dell’egloga di Angela.

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32 Bernardino Corio, Storia di Milano, a c. di A. MORISI GUERRA, II, Torino 1978, 984.33 F. Petrarca, Il Bucolicum carmen e i suoi commenti inediti, a c. di A. AVENA, Bologna

1906, 160.34 MAIOCCHI, Francesco Barbavara, 266-67.

I versi della poetessa nascondono sotto il velo pastorale precisi riferimenti a fattioccorsi in quel turbolento frangente della storia milanese, in cui la fazione ghibelli-na cerco di rovesciare il governo del ducato, di fatto nelle mani del Barbavara, ac-cusando quest’ultimo di cospirazione e tradimento, di voler usurpare lo Stato alladuchessa e ai principi. Un’allusione alla propaganda contro il Barbavara e, verosi-milmente, alla taglia comminata sulla sua testa dopo la rivolta si ravvisa ai vv.127-28, in cui Angela descrive il pastore Porreus incitare gli altri pastori che abita-no i campi e i prati della selva contro Mecenate 35. Il Porro e la fazione ghibellinasollevarono gli abitanti di Milano, turbati dalle gravi accuse contro i Barbavara,promettendo dei premi (premia spondens), da intendere verosimilmente come icompensi in denaro della taglia:

Hinc quoque sollicitat pastores, premia spondens,quique huius silve campos et prata colebant [vv. 127-28].

La notizia della taglia per la cattura dei proditores Francesco e Manfredo Barba-vara aveva avuto immediata ed estrema risonanza nei territori del ducato. Signifi-cativa la testimonianza del Chronicon bergomense, in cui si da notizia della gridanella pubblica piazza di Bergamo:

Et postea, die primo mensis Iulii, publice cridatum fuit et preconatum in Pergamo in pla-teis publicis tubis sonatis, quod si aliqua persona posset consignare in fortiam domini do-mini ducis suprascriptum Franciscum vivum, quod habeant florenos XXM, et mortuum XM;et suprascriptum dominum Manfredum vivum habeant florenos XM, et mortuum florenosVIM, tamquam proditores dominationis etcetera. Et ob hoc facta fuerunt maxima falodia su-per turibus Pergami, mandato suprascripte domine ducisse et ducis 36.

Gli esametri successivi, in cui il collocutor Mecenate racconta dei pastori chehanno depredato le sue greggi, i tori, i giovenchi, alludono alla confisca dei beniposseduti dai fratelli Barbavara e, probabilmente, anche al saccheggio delle loroabitazioni durante le sollevazioni della fine giugno 1403 37:

Lanigeros hi fraude greges, quos gramine tutepascebam, et tauros viridesque etate iuvencos,arripiunt; nostras subeuntes protinus umbrasvirgarumque omnes recubant sub tegmine letimeque diu cogunt dilectas linquere silvas [vv. 129-33].

L’immagine successiva, gli assalitori (subeuntes, v. 131) che usurpano al pastoreMecenate le sue ombre, ovvero la protezione politica costituita dai due virgulti

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35 Ibid., 268.36 Chronicon bergomense guelpho-ghibellinum ab anno MCCCLXXVIII usque ad annum

MCCCCVII, a c. di C. CAPASSO, in RIS2, XVI/2, Bologna 1926, 120 (l’ammontare della taglia e‘‘gonfiato’’ rispetto a quanto si legge nel documento ufficiale pubblicato da MAIOCCHI, France-sco Barbavara, 288).

37 MAIOCCHI, Francesco Barbavara, 268, 289.

Giovanni Maria e Filippo Maria, raffigura verosimilmente i congiurati che estro-mettono il Barbavara dai suoi uffici a corte, dal Consiglio e dal governo del du-cato. Il collocutor Mecenate spiega che sono costoro a starsene distesi, lieti (v.132), all’ombra delle fronde delle due virge (v. 132): addolorato Mecenate e co-stretto ad abbandonare le dilette selve (v. 132). La poetessa veronese aveva evi-dentemente contezza della conquista effettiva del governo di Milano da parte deicongiurati: Antonio Porro, cosı come Francesco e Antonio Visconti, entrarono in-fatti a far parte del Consiglio ducale 38. Il 28 luglio 1403 Francesco Visconti pre-sto giuramento di fedelta nelle mani del duca Giovanni Maria 39; il 30 agostogiuro Antonio Porro 40; poco dopo fu la volta del fratello Galeazzo 41. La situazio-ne muto all’inizio di gennaio 1404, quando Caterina Visconti fece arrestare Anto-nio Visconti, Antonio e Galeazzo Porro, Giovanni e Galeazzo Aliprandi, Giovannida Baggio, fra’ Antonio da Robbiano e altri fautori di Francesco Visconti, che in-vece riuscı a mettersi in salvo nella cittadella di Porta Ticinese. Antonio e Galeaz-zo Porro, assieme a Galeazzo Aliprandi, furono decapitati la sera stessa davantialla cappella di San Donato; i loro corpi furono esposti il giorno dopo presso ilBroletto Nuovo nella Piazza dei Mercanti 42. Il Barbavara rientro solennemente aMilano il 31 gennaio 140443; la duchessa lo ripristino primo camerario di corte 44.La data della condanna capitale comminata al Porro e ai congiurati e sicuro termi-nus ante quem per la composizione dell’egloga: l’opera e stata composta quindinella seconda meta del 1403, quando il Barbavara era stato messo al bando eaveva trovato rifugio lontano da Milano.

4. Francesco Barbavara Mecenate nella corte di Giangaleazzo Visconti

Il ‘‘mecenatismo’’ di Francesco Barbavara, suggerito dalla sua identificazione nel-l’egloga con il collocutor Mecenate, merita qualche approfondimento. Piu checommittente, Barbavara fu il referente per gli uomini di lettere che gravitavanopresso la corte viscontea 45. Ai buoni uffici del Barbavara presso il duca si devela nomina di Antonio Loschi a secretarius aule, vale a dire cancelliere di corte,dopo la caduta in disgrazia di Pasquino Capelli alla fine del 139846. Lo dichiara

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38 OSIO, Documenti diplomatici, 379.39 C. SANTORO, Il registro di Giovannolo Besozzi cancelliere di Giovanni Maria Visconti,

Milano 1995, 43.40 Ibid., 45.41 Ibid., 45-46.42 MAIOCCHI, Francesco Barbavara, 275-77; COGNASSO, Il ducato visconteo, 100.43 MAIOCCHI, Francesco Barbavara, 277; COGNASSO, Il ducato visconteo, 101.44 OSIO, Documenti diplomatici, 384.45 C.M. MONTI, Una raccolta di exempla epistolarum. II. Lettere pubbliche e private di am-

biente cancelleresco visconteo, «Italia medioevale e umanistica», 31 (1988), 152-53, 161-62,175, 178, 180 (sono segnalati uomini di lettere in contatto con Barbavara: Astolfino Marinoni eil cremonese Sebastiano Giorgi).

46 Cfr. D. GIRGENSOHN, Antonio Loschi und Baldassarre Cossa vor dem Pisaner Konzil von1409 (mit der Oratio pro unione Ecclesiae), «Italia medioevale e umanistica», 30 (1987), 17-20,25-26, 69.

lo stesso Loschi in un carme di ringraziamento indirizzato al potente conte diValsesia (inc. «Si tibi perpetuos Deus et fortuna secundis»), esplicitamente ricono-sciuto come l’artefice delle proprie fortune a corte:

Pietas tua fecit ut interprestantes virtute viros conscriptaque patrumnomina magnifice sim secretarius aule [vv. 21-23] 47.

Significativo come il Loschi celebrasse il Barbavara come il piu alto dignitario(altior omnibus) della corte viscontea e ne caldeggiasse il governo per il bene delpopolo e di tutti quanti vivevano all’ombra del celeste duca Giangaleazzo:

Sis - ut es - anguigera, precor, altior omnibus aula:exigit hoc ingens virtus tua, queritat illud,tot servanda salus populus omnesque sub alma

10 syderei quicunque ducis requiescimus umbraposcimus hoc avidique animis optamus amicis,quos inter numerare tuum dignabere Luscum [vv. 7-12] 48.

Gli stessi toni celebrativi si ritrovano nel carme al Barbavara che Loschi composeparecchi anni dopo, probabilmente agli inizi del 1413, dopo il ritorno del conte diValsesia a Milano. Anche in questa occasione il poeta, al tempo escluso dalla can-celleria viscontea e tornato a Vicenza, lo pregava perche lo strappasse dai patri larivicentini bagnati dal Bacchiglione («ubi vita simillima morti», v. 74) e, come pri-ma, lo riconducesse a corte a Pavia, dove dissetarsi delle limpide aque del Ticino:

Tu potes, o vite decus et fiducia nostre,95 eripe me his, Francisce, locis, et, ut ante solebat,

imperiosus alat vitream Ticinus ad undam [vv. 94-96] 49.

Come ho accennato, il Barbavara era diventato a tutti gli effetti la figura di riferi-mento per i letterati di corte e aveva di fatto sostituito Pasquino nel ruolo di Me-cenate nel ducato di Milano50. Prima del Barbavara era stato infatti il Capelli adessere celebrato come Mecenate dal Loschi stesso che aveva descritto il duca diMilano quale novello Augusto, affiancato da Pasquino Capelli nel ruolo di Mece-nate. Questo parallelismo tra il ducato visconteo e il principato di Augusto si leg-

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47 ZACCARIA, Le epistole, 429.48 Ibid., 429.49 Ibid., 436.50 Al tempo del duca Filippo Maria Visconti il titolo di ‘‘Mecenate’’ fu attribuito a un altro

esponente della famiglia Barbavara, l’omonimo Francesco, figlio di Giacomo e fratello di Marco-lino, che divenne Segretario particolare del duca e fu detto per antonomasia Franciscus Mecenas(cfr. G. RESTA, L’epistolario del Panormita, Messina 1954, 148-49). Egli raccolse a corte ungran numero di letterati e fu in contatto con moltissimi uomini di cultura, dal Panormita al Ve-gio a Bartolomeo Capra, e fu importante promotore dell’Umanesimo a Milano. Si veda almenoN. RAPONI, Barbavara, Francesco, in DBI, VI, Roma 1964, 141-43.

ge gia in un carme indirizzato a Moggio Moggi del 1388 (inc. «Arma Iovis sicu-li, quem nunc Iovis aula supernis»), allorche l’adolescentulus Loschi esortava ilvecchio poeta parmense amico di Petrarca a comporre carmi e poemi con gli au-spici di Pasquino:

Nec deerit, patule refovens sub tegmine fagite, pater Augustus; nec Mecenate carebis;carmina leta canes et summa poemata fingesPasquini auspiciis, quo non prestantior alter

220 eloquio mulcere animos, non equius alterextimat ingenia, aut virtutis amantior alter [vv. 216-21] 51.

La stessa immagine del princeps romano e di Mecenate, e addirittura le stesseespressioni, si ritrovano in un’epistola metrica del Loschi a Francesco Gonzaga diqualche anno piu tardi, in quanto databile al 1391. Il poeta immagina l’apparizio-ne mirabile di Virgilio e di Manto, che lo rimproverano di aver trascurato neisuoi carmi il glorioso marchese di Mantova52. Nella fictio e lo stesso poeta anticoa tessere le lodi dell’eta di Giangaleazzo, degna riproposizione dell’aureo tempodel benigno Augusto e di Mecenate, pur dichiarando di approvare l’operato delLoschi che, con gli «auspici» di Pasquino, canta le imprese del duca di Milano:

Nihil alto ab ipsoterra tulit nullumve magis per secula ad unguemexcudit natura virum; quem fata tulerunt,

50 magna equidem foret everso succurrere mundoqui posset nobis, tua nec fortuna benignuminvidet Augustum nec Mecenatis amorem.Ecce ut uterque tibi supero demissus ab axe:Pasquini canis auspiciis nova bella decusque

55 Italie clarosque duces clarosque triumphos [vv. 47-55] 53.

L’egloga della Nogarola sancisce quindi l’avvicendamento, o meglio la sostituzio-ne di Barbavara al Capelli nel ruolo di Mecenate nella corte viscontea. Non man-co in verita il sospetto di un coinvolgimento del Barbavara nella congiura cheporto alla condanna a morte di Pasquino. Filippo Elli mi segnala che il potentenobile novarese e nominato tra i percussores del cremonese in una lettera interes-santissima, ma ancora avvolta nel mistero, che si legge adespota e anepigrafa aiff. 282v-284r dell’enorme ms. miscellaneo Vat. Pal. lat. 327. Si tratta in realta diuna veemente Laudatio Pasquini che, attribuita senza alcun fondamento al Loschi,e stata invece composta da un altro notaio e letterato cremonese dieci anni dopola tragica uccisione del Capelli, attorno quindi al 1408: l’autore e stato riconosciu-to da Marco Petoletti in Andrea Marini (de Marinis), per undici anni familiaris di

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51 ZACCARIA, Le epistole, 416.52 Ibid., 381.53 Ibid., 422.

Pasquino e, dopo la sua morte, trasferitosi nella repubblica veneta 54. Al ricordodelle virtu del cancelliere visconteo Marini fa seguire, secondo lo schema del demorte persecutorum, il racconto delle pene che toccarono ai percussores di Pa-squino, contrappasso della giustizia divina per condannare chi male opero controdi lui. Quattro sono i colpevoli additati per la sua morte: il truce capitano Gio-vanni da Castiglione, Uberto da Lampugnano, il duca Giangaleazzo Visconti eFrancesco Barbavara. Su quest’ultimo l’anonimo autore ricorda la fuga con il fra-tello da Milano a furor di popolo dopo le sollevazioni del giugno 1403, il sac-cheggio delle sue abitazioni e l’uccisione di alcuni servi:

Franciscus ille Barbavara ad furorem populi a Mediolano, tota sua spoliata domo et dome-sticis trucidatis, profugit et frater quidem eius in cavea carceratus et captivus stetit de biga-mia, quam commiserat biennio, compulsus et uxorem prostitutam, idest precio statutam,fateri. Quod tamen adhuc Deus statuet de eis nescio. Hoc scio quod potiore fine non vi-vunt et sua potest conscientia eis esse ad tormentum hiis rebus, nec adhuc finis est etmaiora restant, si astra non mentiuntur et iustitita divina semper certa non fallit, nec potue-re non in meo pectore iacere hospita, nisi calamo tibi revelaverim Deus ulcisci sanguineminnocentem 55.

Oltre alle sventure occorse a Francesco Barbavara, sono dunque narrate le vicissi-tudini che toccarono il fratello Manfredi, con il particolare della sua incarcerazio-ne in una gabbia con l’accusa di bigamia, commessa per due anni, e della suaconfessione di aver fatto prostituire la moglie.

Andrea Marini non manca di fare un riferimento in termini elogiativi ai Porro, inemici del Barbavara. Raccontando infatti la rovina e le infinite calamitates chehanno devastato lo stato di Milano dopo la morte di Pasquino, il cremonese accen-na alla condanna capitale, ritenuta frutto di congiura, toccata ai clarissimi militesAntonio e Galeazzo Porro: «Pretereo illorum et clarissimorum militum de Porrisconspiratam decapitationem et aliorum nobilium calamitates» 56. L’autore ricordavacertamente la condanna, voluta da Caterina Visconti, forse su consiglio del Barba-vara, che desiderava vendicare coloro che fomentarono la rivolta popolare per cuiera stato costretto a fuggire da Milano 57.

Complessivamente negativo il ritratto del Barbavara offerto dal fiorentino Gio-vanni di Pagolo Morelli (1371-1444) nel suo libro dei Ricordi. L’opera e stata ela-borata principalmente tra il 1393 e il 1411 e costituisce un documento assaiinteressante non solo dal punto di vista linguistico, ma anche storiografico, princi-palmente per i numerosi e avvincenti racconti di vicende viscontee, in particolaredelle mire espansionistiche di Giangaleazzo rilette dalla specola della «nemica» Fi-renze:

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517L’EGLOGA DI ANGELA NOGAROLA

54 M. PETOLETTI, Scrivere lettere dopo Petrarca, in L’ecriture latine en reseaux – L’humanis-me: circulation de modeles et reseaux socio-culturels (Rome, 7-8 mars 2014), in c.s.

55 F. ELLI, Nuove ricerche sul cancelliere visconteo Pasquino Capelli, Tesi di laurea magi-strale, rel. C.M. MONTI, Milano, Universita Cattolica del Sacro Cuore, a.a. 2012-13, 127.

56 Ibid., 127.57 COGNASSO, Il ducato visconteo, 101-02.

Appresso, nacque iscandolo in quelli in cui rimase il governo de’ fanciulli, e funne princi-pale cagione la invidia che fu portata, e ragionevolmente, a Francieschino Barvavara. Que-sto Francieschino fu chierico del prete della duchessa; e perche egli era molto astuto emolto inframettente, la Duchessa gli puose amore e misselo innanzi, ed elli per molta suavirtu si seppe mettere e venne a tanto, che ’l duca il fece del Consiglio e utimamente l’a-mo sopra tutti gli altri e fidossi del tutto in lui; e nella morte e’ lascio e lui de’ principaliassegutori de’ fatti de’ suoi fanciulli. E, come e detto, perch’egli era uomo di vile nazionee venuto di chierichetto sı alto, l’astio vi fu grande. E utimamente, un messere AntonioPorro, grande cittadino e di gran famiglia di Milano e gran ricco (si dice avea 10 mila fio-rini di rendita assisa), si fe capo a cacciare Francieschino e con suo seguito levo romorein Milano; e cacciarono costui, e la Duchessa e’ figlioli si fuggirono nelle fortezze. E intale punto prencipio tale iscandolo in Milano, che mai non v’e ristato gia e tre anni e son-vi morti molte centinaia d’uomini or d’una parte or da l’altra, e quando guelfi e quandoghibelini. E quando e suta tolta la signoria da’ Bisconti medesimi e quando dal popolo equando dalla Duchessa e quando da Giovan Maria; ma in tutto Francieschin fuggı e maivi torno 58.

Non stupisce che nella Firenze antiviscontea l’immagine del Barbavara risulti fon-damentalmente negativa: il piu fidato consigliere del duca di Milano e «ragione-volmente» oggetto di odio e invidia, sentimenti spiegati in ragione della suarepentina ascesa al potere. Morelli riferisce della fuga del Barbavara da Milanodopo la sedizione capeggiata dal Porro, affermando che non torno mai piu in citta(cosa che invece avvenne nel 1413). Il fiorentino ragguaglia pure dell’uccisione atradimento di Antonio Porro, figura per la quale spende parole elogiative. Morelliracconta che fu convocato con l’inganno dalla duchessa, assalito da Guido di Ba-gno, scaraventato a terra nella colluttazione e fatto decapitare:

A messere Antonio Porro fu mozzo il capo a tradimento: che sendo il principale e ’l mag-giore nella terra e guidando il tutto non come segnore ma come vece e in luogo di Gio-vanni Maria, la Duchessa, che era nella fortezza della terra, mando per lui. Ella aveasospetto di lui ed egli di lei; pure ella gli fe sicurta con dicendo avere gran bisogno diparlargli e per buone ragioni. E’ s’affido, non pensando avesse ardire di fargli novita: co-me giunse su, e prima vedesse lei, s’abbatte al conte Guido di Bagno, il quale il prese pelcollo e disse «Ora se’ giunto traditore!», e miselo in terra e fegli tagliare la testa primapotesse dire «Domine, aiutami!» 59.

Un ritratto a tinte fosche del Barbavara si legge anche nelle Facezie di PoggioBracciolini. E la fabula narrata dall’arguto cuoco di Giangaleazzo Visconti, che inun salace motto si prende gioco sia dello smodato appetito di potere del duca, siadell’immensa fame di ricchezze del suo potente e avidissimo ministro Barbavara:

Idem coquus bello insuper urgente iocatus ad mensam ducis, cum videret eum anxium at-que afflictum curis, non mirum esse inquit illum torqueri. Nam duo impossibilia dux cona-retur: unum, ne haberet confinia; alterum, ut pinguem redderet Franciscum Barbavaram,

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518 A. PIACENTINI

58 Giovanni di Pagolo Morelli, Ricordi, a c. di V. BRANCA, Firenze 1956, 403-04.59 Morelli, Ricordi, 404-05.

hominem macilentum summaque cupiditate flagrantem; et dominandi appetitum ducis im-moderatum hoc dicto perstringens et Francisci immensam opum et ambitionis cupiditatem[Fac. 14] 60.

Infiammato d’ambizione e immensa brama di ricchezza, il Barbavara e raffiguratoda Poggio come uomo dall’aspetto macilento che brucia nella sua cupidigia, se-condo l’immagine dell’avidita che macera e divora.

5. L’edizione del testo

Il testo e ricostruito secondo la lezione dell’unico testimone, il ms. Trento, Bibl.Comunale, 4973, ff. 20v-22r. L’apparato e strutturato in due fasce, la prima perle varianti, la seconda per le fonti classiche e medievali 61.

Si e ricondotta la grafia al normale usus di fine Trecento o inizio Quattrocento,con la forma semplificata per i dittonghi ae ed oe, che nel ms. T sono segnalati inmodo quasi sistematico con la e; ugualmente sono state utilizzate le forme michi enichil per mihi e nihil. Per il resto la facies grafica non presenta anomalie degne dinota: forme come corili (per coryli) o succinta (per succincta) sono normalissime.Tuttavia, per favorire la leggibilita del testo ed evitare fraintendimenti, si e optatoper qualche ritocco: seva per scaeva (v. 3), hedi per edi (v. 149). Al v. 160 e statanormalizzata in Cherule l’unica occorrenza della grafia Kerule; ugualmente si econdotta a norma in tauros (cosı al v. 130) la forma thauros al v. 76; si e resoomogeneo l’uso della nasale dinanzi a p scrivendo impedit per inpedit al v. 98 eimpune per inpune al v. 151 (si trovano infatti impar al v. 26 e Nimphis al v. 88);al v. 103 si e ritoccata la grafia ametrica tollerare in tolerare; ai vv. 41 e 58 e statanormalizzata in coloni la forma colonni (correttamente scempia al v. 99).

Segnalo i sei loci critici dove si e fatto ricorso all’emendatio o che necessitanocomunque di qualche spiegazione in piu:

1. vv. 34-35: «Perge age, Mecenas, pariter lacrimabimur ambo: / comunis pietas aderit,mesticia, luctus». Il codice trasmette al v. 35 la lezione: «et comunis pietas aderit, mesti-cia, luctus». Si riscontra l’errata prosodia comunis (class. communis). Non si puo escludereun errore, una semplice distrazione dell’autrice, forse non troppo attenta alle quantita silla-biche nella rielaborazione della fonte petrarchesca: «pariter lacrimabimur ambo / et pietascommunis enim et iactura dolorque» (Bucolicum carmen, 10, 34-35). A mio parere tuttaviasembra piu verosimile si tratti di una corruttela testuale: il problema prosodico si risolvefacilmente con l’espunzione della congiunzione et. In questo modo la frase del v. 35 «co-

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519L’EGLOGA DI ANGELA NOGAROLA

60 Poggio Bracciolini, Facezie, a c. di M. CICCUTO, Milano 1983, 132; Le Pogge, Faceties.Confabulationes, ed. bilingue, texte latin de S. PITTALUGA, trad. francaise de E. WOLFF, Paris2005, 13; cfr. A. BISANTI, Tradizioni retoriche e letterarie nelle Facezie di Poggio Bracciolini,Cosenza 2011, 247-48.

61 Nella prima fascia di apparato e registrato l’unico marginale presente in T: «Al. rebus» inrelazione al sostantivo fatis (v. 8). Si tratta forse di una variante riconducibile all’autore (o forsedella nota di un lettore), che il copista trovo sul proprio antigrafo e registro diligentemente sulmargine.

munis pietas aderit, mesticia, luctus» risulta coordinata per asindeto con la precedente alv. 34. Mantengo la forma scempia comunis perche e grafia normalissima, che spiega peral-tro l’esito volgare comune, ed assai piu attestata della geminata 62. Ascrivo invece all’autri-ce la prosodia mestıtia, deroga rispetto alla scansione classica maestıtia, misuraprobabilmente influenzata dall’accento tonico 63.

2. vv. 48-50: «istis quisque sua ducebat [ducebatur T] frigus ab umbra, / frondibus estivocaptantes tempore gratas / auras...». Il senso complessivo del passo e chiaro, tuttavia si ri-scontrano due difficolta: la prosodia errata ducebatur (class. duco) e, in generale, la tenutasintattica del periodo. Ritengo che in questo passaggio si sia prodotta una corruttela e pro-pongo di emendare la lezione prosodicamente erronea ducebatur in ducebat. Il presente in-dicativo attivo alla terza persona plurale costituisce il predicato del pronome indefinitoquisque. Il copista ha probabilmente ritenuto che il soggetto della frase fosse frigus ricor-rendo alla voce del verbo al passivo del presente indicativo. Considero invece il sostantivoneutro frigus accusativo e oggetto del verbo duco, che interpreto con il significato di «trar-re, attrarre» 64. Questa la proposta di traduzione: «per mezzo di queste (= le piante prece-dentemente elencate) ciascuno traeva frescura dalla sua ombra (= della selva), godendograzie alle fronde di piacevoli brezze in tempo d’estate» 65. Su suggerimento di Silvia Riz-zo, ritengo che la frase sia anacolutica, con il soggetto che slitta dal singolare quisque alplurale captantes del verso successivo. La stessa Rizzo mi ha segnalato un analogo casodi passaggio del soggetto dal singolare al plurale con quisque: «Ut enim pictores et ii si-gna fabricantur, et vero etiam poetae suum quisque opus a vulgo considerari vult ut, siquid reprehensum sit a pluribus, id corrigatur, iique et secum et ab aliis, quid in eo pecca-tum si exquirunt, sic aliorum iudicio permulta nobis et facienda et non facienda et mutan-da et corrigenda sunt» (Cic. Off. I 147). E possibile collegare il dimostrativo istis del v.48 con il sostantivo frondibus del v. 49 (= grazie a queste fronde): in questo caso deveessere tolta la virgola dopo umbra e collocata dopo frondibus.

3. vv. 67-68: «sic modo viventi tellus alimenta pararet / et solitas lucido laxaret in etheraramos». Questa e la lezione del codice T, che tuttavia risulta del tutto incomprensibile:sfugge a quali sostantivi si riferiscano gli aggettivi solitas e lucido; non e chiaro quale siail soggetto del verbo laxaret. Dal punto di vista tecnico la prosodia lucido come anapestoe errata (class. lucidus). E ipotizzabile che sia occorsa una lacuna, ovvero che sia statoomesso un verso o, meglio, che sia stati trascritti, fusi in uno solo, segmenti di esametridiversi. Trovo un poco sospetto inoltre che il segmento «in ethera ramos» sia stato utiliz-

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520 A. PIACENTINI

62 Segnalo che e possibile leggere cominus (avverbio) invece di comunis. L’avverbio potreb-be offrire un senso plausibile («... e da vicino, personalmente, verra la pieta»), ma presenterebbecomunque la prosodia errata cominus (class. comminus) e sarebbe meno aderente al modello pe-trarchesco che, in questo caso specifico, risulta fondamentale nella decifrazione del passo.

63 Errori prosodici analoghi (iustıtia per iustıtia, malıtia per malıtia, puerıtia per puerıtia),piuttosto comuni tra i versificatori mediolatini, sono segnalati in A. PIACENTINI, «Viciavit Ubertuscarmina». Giuseppe Brivio e la versificazione di Uberto Decembrio, «Italia medioevale e umani-stica», 49 (2008), 83. Altra deroga rispetto alla prosodia classica la scansione paterno al v. 155(class. paternus).

64 La fonte di Angela e chiaramente Ovid. Met. X 128-29: «fessus in herbosa posuit suacorpora terra / cervus et arborea frigus ducebat ab umbra».

65 Rivedo le proposte di emendatio per questo verso che avevo avanzato in PIACENTINI, Un’e-gloga, 123 n. 22: oltre a ducebant per ducebatur prosodicamente scorretto, iste (= istae) per istiscon quisque da considerare quısque, ovvero come quibusque e da correlare a frondibus.

zato qualche verso prima, nella clausola finale del v. 54. Mi sembra esercizio del tutto im-produttivo di divinatio tentare di risistemare per congettura il passo e, pertanto, ricorro allecruces desperationis. Piu utile invece, per tentare almeno di rendere un poco piu compren-sibili questi versi, considerare le fonti: in questi versi infatti la Nogarola rielabora da unlato versi di Ovidio, dall’altro di Petrarca. Sicure spie lessicali mostrano come l’autrice ab-bia tratto spunto dalle Metamorfosi ovidiane e, precisamente, dalle parole di Pitagora nellibro XV. Nativo di Samo, ma esule anch’egli per odio della tirannide, il filosofo spiegavacome nell’eta dell’oro gli uomini vivessero delle messi e dei frutti degli alberi, dell’uva,delle verdure, di latte e miele e, in generale, degli alimenti dispensati dalla terra, senza uc-cidere altri animali:

75 Parcite, mortales, dapibus temerare nefandiscorpora! Sunt fruges, sunt deducentia ramospondere poma suo tumidaeque in vitibus uvae;sunt herbae dulces, sunt, quae mitescere flammamollirique queant, nec vobis lacteus humor

80 eripitur nec mella thymi redolentia flore;prodiga divitias alimentaque mitia tellussuggerit atque epulas sine caede et sanguine praebet 66.

La Nogarola, riprendendo tessere ovidiane, immagina come eta dell’oro la condizione feli-ce della selva all’ombra del faggio, ovvero la citta sotto il dominio di Giangaleazzo Vi-sconti, in cui la terra e generosa dispensatrice degli alimenti necessari agli uomini. E utiletuttavia, al fine di comprendere il passaggio, spiegare anche i versi immediatamente prece-denti, che recuperano tasselli petrarcheschi. La poetessa celebra la magnificenza del faggio,al quale nemmeno Giove avrebbe anteposto la sua sacra quercia, ne Venere l’Idalio, il luo-go di Cipro a lei consacrato, ne Cibele, la Madre degli dei raffigurata con la testa cinta ditorri, il monte Ida, suo luogo di culto:

Non sublimis huic annose robora quercusIupiter auderes, geminum nec Mater Amorum

65 Idalium preferre tuum turritaque Materdilectam hectoreis sacratam manibus Idam,sic modo... [vv. 63-67].

Nell’iperbolica rappresentazione del faggio Angela ha tratto spunto dalla descrizione pe-trarchesca del lauro nell’egloga X del Bucolicum carmen, Laurea occidens. La poetessaveronese impiega la medesima strategia testuale adottata da Petrarca il quale, descrivendola pianta d’alloro, riteneva che questa potesse competere con quanto avevano di piu carogli dei pagani, elencando una serie di luoghi di culto dell’antica Grecia. Il collocutor Sil-vio spiega che mai Giove avrebbe anteposto al lauro Dodona, sede di un suo oracolo, oCreta, ne Venere il monte Idalio di Cipro, oppure la citta di Amatunte, ne Diana il fiumeEurote, ne Apollo Delo, la sua citta natale, e o la cima di Cirra 67. Segnalo in corsivo icontatti verbali tra l’egloga della Nogarola e quella petrarchesca:

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66 Ovid. Met. XV 75-82.67 F. Petrarca, Laurea occidens. Bucolicum carmen X, testo, trad. e comm. a c. di G. MAR-

TELLOTTI, Roma 1968, 83.

Longus ero, si cuncta sequar; sic illa parentisnature et nostro fuerat suffulta favore,ut neque Dodonam, nec Cretam Iupiter illi,nec Venus Ydaliam aut Amathum Eurotamque Dyana,nec Delon Cirramque suam preferret Apollo 68.

Elaborando la propria raffigurazione del faggio-Giangaleazzo Visconti sull’immagine pe-trarchesca del lauro-Laura, l’autrice trasferisce al faggio una delle virtu caratteristiche dellauro, quella di non essere colpito dai fulmini:

Quin etiam, in terras rapidum cum nubila fulmenexibat populos ardenti lumine terrae,rex superum intactas linquebat fulmine frondes [vv. 69-71].

Anche in questo caso la poetessa ha sotto gli occhi i versi della Laurea occidens petrar-chesca, che si premura di recuperare quasi ad verbum: «Hanc, superum rapido dum fulmi-ne rex quatit orbem, / liquerat intactam, solio veneratus ab alto» (Petr. Buc. carm. 10,362-63) 69. L’indagine sull’intertestualita letteraria relativa a questo passaggio, in cui sonoraccordate tessere petrarchesche e ovidiane, sembra confermare il sospetto che ai vv. 67-68 sia stato omesso qualcosa in fase di trascrizione.

4. vv. 89-90: «Sed michi que dudum vultu Fortuna sereno / plauserat, heu me <tunc>quam fronte aspexit iniqua! [iniquo T]». Il v. 90, come trascritto in T, presenta una doppiadifficolta metrica: difetta di una sillaba e costringe a ipotizzare uno iato tra fronte e aspe-xit. Inoltre si registra un problema di senso, perche non si capisce a quale sostantivo si ri-ferisca l’aggettivo iniquo. Emendo con un duplice intervento: a) integro l’esametro conl’avverbio tunc, che precisa la relazione temporale tra la proposizione relativa con il piuc-cheperfetto (que...plauserat) e la principale con il perfetto indicativo (Fortuna... aspexit).L’avverbio tunc puo essere collocato indifferentemente prima o dopo il quam esclamativo;b) correggo iniquo in iniqua, ablativo attributo del sostantivo fronte. Questa la proposta ditraduzione: «Ma la Fortuna, che da tempo mi aveva arriso serena in volto, ahime come al-lora mi guardo con fronte iniqua!».

5. v. 98: «impedit et crebri [creber T] singultus pectora quassant». La lezione tradita cre-ber si spiega o dal punto di vista paleografico o come banalizzazione del copista, che conbuona probabilita ha considerato erroneamente il sostantivo singultus come nominativo sin-golare, invece che nominativo plurale della IV declinazione; esso e il soggetto del verboalla terza persona plurale quassant. Si emenda quindi l’aggettivo creber nella forma plura-le crebri.

6. vv. 129-132: «Lanigeros hi fraude greges... arripiunt; nostras subeuntes [subeuntem T]protinus umbras / virgarumque omnes recubant sub tegmine leti». In prima battuta il copi-sta cosı trascrisse il v. 131: «arripiunt subeuntem nostras protinus umbras». Contrassegnotuttavia nell’intelinea le parole subeuntem e nostras perche venisse invertito il loro ordine,in modo da evitare imperfezioni nell’articolazione metrica (esametro senza cesura semiqui-naria) o, semplicemente, perche accortosi di avere commesso un errore in fase di trascri-

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68 Petr. Buc. carm. 10, 351-55 (Petrarca, Laurea occidens, ed. MARTELLOTTI, 35).69 Petrarca, Laurea occidens, ed. MARTELLOTTI, 35.

zione. La lezione subeuntem accusativo singolare non da comunque senso soddisfacente.Accolgo il suggerimento di Marco Petoletti, che propone l’emendazione in subeuntes (=«coloro che sopraggiungono», «gli assalitori»): il participio presente nominativo plurale siriferisce al soggetto dell’intera frase «hi... arripiunt» (vv. 129-31) e si collega a omnes delverso successivo (v. 132). Cosı l’ipotesi di traduzione dei vv. 131-32: «... invadendo lenostre ombre subito tutti si riposano lieti al riparo dei virgulti».

Segnalo infine altri due interventi che in realta, piu che emendationes ope ingenii,sono semplici rettifiche o aggiustamenti della grafia; aggiungo poi un’ipotesi peril v. 169:

1. v. 66: «dilectam Hectoreis [hectoriis T] sacratam manibus Idam». Ritocco la lezione diT hectoriis in Hectoreis: piu che effettivo errore di trascrizione si puo considerare una va-riante grafica (la riporto comunque in apparato).

2. v. 163: «et variare modos nossem [noscem T] usumque canendi». Anche qui la lezionenoscem di T, piu che un errore, e da considerare variante grafica di nossem. Si segnala inquesto caso l’occorrere dello iato: il problema metrico-prosodico e in se facilmente risolvi-bile ipotizzando novissem in elisione con usumque. Preferisco tuttavia in questo caso esse-re conservativo per non cadere nel rischio eventuale di forzare troppo la mano dell’autrice:lascio cosı a testo la forma apocopata nossem. La congettura novissem e pero segnalata informa dubitativa in apparato.

3. Dubbio e anche il v. 169: «... autumnus, rapidum metuet dum cerva leonem». La lezio-ne rapidum del codice e infatti sospetta: possibile che si tratti di un errore per rabidum(«rabbioso», «feroce»), normale epiteto per il leone (cfr. Hor. Ars 393: «rabidosque leo-nes»; Stat. Theb. VII 530: «rabidique stravere leones»). Tuttavia il passo ha senso anchecon rapidum... leonem: si preferisce conservare a testo la lezione del codice 70. La conget-tura rabidum e segnalata in forma dubitativa in apparato.

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523L’EGLOGA DI ANGELA NOGAROLA

70 La iunctura «rapidus... leo» potrebbe essere stata suggerita dal ricordo dell’esametro pe-trarchesco: «Non rapidi predas abigunt ex more leones» (Petr. Buc. carm. 5, 126). La lezione esicura in quanto attestata nel codice autografo Vat. lat. 3358, f. 19r (D. DE VENUTO, Il Bucoli-cum carmen di Petrarca. Edizione diplomatica dell’autografo Vat. lat. 3358, Pisa 1990, 110).

ANGELE NOGAROLE Egloga(Trento, Bibl. Comunale, 4973, ff. 20v-22r)

Per divam dominam Angelam de Nogarolis magnifico Francisco de Barbavaris, qui tuncMediolani ducis amore privatus erat, egloga elegantissima. Collocutores: Cherulus et Me-cenas, pro quo Cherulo ipsa intelligitur domina Angela; pro Mecenate vero ipse FranciscusBarbavara denotatus feliciter.

CH. Fronde sub hac tenui recubans et tegmine parvo,silvarum pergrandis honos et gloria nostri,seva sub ignotum que te sors transtulit orbemqueve per insuetos iussit vestigia calles

5 ducere? Quid saltus alienaque pascua poscisinvisa statione sedens priscisque relictissedibus externis peragis tua tempora silvis?

ME. Heu dolor! Adversis mutantur prospera fatis,Cherule, nec felix longo Fors durat in evo:

10 omnia mutantur, vario nil perstat in orbe.Frondibus ut suis silve variantur in annos,sic variat Fortuna vices: premor unde dolore,fletibus atque rigans oculos suspiria claustropectoris effundo. Levat hic diversa, labores

15 prospiciens, tumulus, sat grato cespite surgens,

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524 A. PIACENTINI

8 fatis] aliter rebus m.d.

1-2 Fronde...silvarum, cfr. Verg. Ecl. 1, 1-2: «Tityre, tu patulae recubans sub tegmine fagi / sil-vestrem tenui musam meditaris avena». 2 honos...gloria, Verg. Aen. XII 135: «tu neque no-men erat neque honos aut gloria monti». 3 ignotum...orbem, Lucan. III 247; III 310. 5 alie-

na pascua, cfr. Verg. Georg. IV 244: «aliena ad pabula». 6 invisa...sedens, cfr. Calp. Sic.Ecl. 4, 3: «insueta statione sedes?». 8 mutantur prospera, Lucan. VIII 631: «Mutantur prospe-ra vita». 8 adversis...fatis, cfr. Iuv. 13, 156: «Clauditur adversis innoxia simia fatis». 9 Fors

...aevo, cfr. Verg. Ecl. 9, 5: «fors omnia versat». 10 omnia mutantur, Petr. BC 8, 75-77:«Sed iam cum tempore sensim / omnia mutantur; studium iuvenile senecte / displicet, et variantcure variante capillo» (cfr. Ovid. Met. XV 165: «Omnia mutantur, nihil interit»). 10 nil...orbe,

cfr. Ovid. Met. XV 177: «nil est toto, quod perstet, in orbe». 11 Frondibus...annos, Hor. Ars

60: «ut silvae foliis pronos mutantur in annos». 12 sic variat...vices; premor, cfr. Boet. Cons.I 5, 28-29: «Nam cur tantas lubrica versat / Fortuna vices? Premit insontes» (Nigell. Spec. stult.1451: «Sic variat Fortuna vices, sic gaudia luctus / occupat»; cfr. WALTHER, Proverbia, nº29557). 12 premor...dolore, cfr. Verg. Aen. I 209: «premit altum corde dolorem». 15 pro-spiciens tumulus, cfr. Verg. Aen. XII 136: «prospiciens tumulo campumque aspectabat». 15tumulus...cespite, cfr. Verg. Aen. III 304-5: «Hectoreum ad tumulum, viridi quem caespite ina-nem / et geminas, causam lacrimis, sacraverat aras». 15 tumulus...surgens, cfr. Lucan. III375-76: «Haud procul a muris tumulus surgentis in altum / telluris».

solaturque malum dulcisque hec arboris umbrasuggerit immerite solamen grande Minerve.

CH. Heu, bone Mecenas, tanti que causa dolorissive quid hac querula modularis arundine mestum?

20 Dic quecumque doles meque alti suscipe luctusparticipem comitemque mali grandisque doloris!Nil michi respondens, adversa quid ora reflectis?Dic, age: namque equidem miseris solet esse levamenhaud breve dilectis proprios memorare dolores!

25 Has saltem merear grates, hec premia reddas,nomine quod notum te, quamvis impar, amaviquodque sub hoc semper pura pietate latentemcorde tuli semperque feram, dum pastor amenusdulcis aque rivos et dulcia gramina poscet!

30 ME. Me quamquam renovare vetent adversa fluentesheu lacrime magnusque dolor meminisse malorum,ipse tamen nitar luctus edissere nostros,quos fari, dilecte, iubes causamque doloris.

CH. Perge age, Mecenas, pariter lacrimabimur ambo:35 comunis pietas aderit, mesticia, luctus.

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525L’EGLOGA DI ANGELA NOGAROLA

35 comunis] et comunis T

16 solaturque malum, cfr. ps.-Sen. Oct. 184: «solatur iste nostra, non relevat mala». 16 dulcis-

que...umbra, cfr. Petr. BC 10, 22: «Huc rapior, dulcisque semel postquam attigit umbra». 17solamen grande, Petr. BC 11, 3: «Est gemitus magni solamen grande doloris». 17 immerite...

Minerve, cfr. Hor. Ars 385: «Tu nihil invita dices faciesve Minerva». 18 tanti...doloris, Verg.Aen. IX 216: «Neu matri miserae tanti sim causa doloris». 20-21 Dic...doloris, cfr. Petr. BC10, 6-7: «Fare miser misero; non aspernabere luctus, / partecipem comitemque ioci quem letushabebas». 23 solet...levamen, Petr. BC 9, 49: «Nosse mali causas ingens solet esse levamen».23-24 namque...dolores, cfr. Petr. BC 11, 5-6: «optima mesti / pectoris est medicina palamlugere». 24 memorare dolores, cfr. Verg. Aen. II 3: «iubes renovare dolorem». 25-26 Has

saltem... impar, amavi, cfr. Petr. BC 8, 32-33: «Has mereor grates, hec premia reddis? / Ut nilprestiterim, multum, licet impar, amavi»; BC 8, 36: «quia te semper, postquam michi notus,amavi». 26 nomine...notum, cfr. Hor. Sat. I 9, 3: «notus mihi nomine tantum». 27-28 sub

hoc...feram, cfr. Petr. BC 11, 97: «corde sub hoc semper memori pietate feremus»; BC 8, 35-36: «gratusque memorque / sum, quia te semper, postquam mihi notus, amavi». 29 dulcis...poscet, cfr. Verg. Ecl. 5, 46-47: «Quale sopor fessis in gramine, quale per aestum / dulcisaquae saliente sitim estinguere rivo». 30-31 quamquam...dolor, cfr. Ovid. Met. IX 328:«quamquam lacrimaeque dolorque / impediunt prohibentque loqui». 31-32 meminisse malo-

rum...luctus, cfr. Ovid. Met. XII 542-43: «Quid me meminisse malorum / cogis et obductos an-nis rescindere luctus». 32 edissere, cfr. Verg. Aen. II 149: «mihi haec edissere vera roganti».34-35 Perge...pietas, cfr. Petr. BC 10, 34-35: «Imo age, perge precor; pariter lacrimabimur am-bo / et pietas communis enim et iactura dolorque».

Rumpe moras istaque simul sedeamus in umbra,quam primum et grandes mecum partire dolores!

ME. Ardua silva fuit, totum famosa per orbem,arboribus densis et fortibus obsita lignis,

40 quam circum placidis fluvius prelabitur undis(nomine ‘‘Navilium’’ proprie dixere coloni):hic longe quercus foliis atque esculus altiset tilie salicesque simul parveque miriceperpetuoque virens laurus succintaque pinus

45 et platanus, corili molles et idonea telisfraxinus et pacis late ostentacula palme,fetibus et gratis frondebat amigdalus una;istis quisque sua ducebat frigus ab umbra,frondibus estivo captantes tempore gratas

50 auras, dum Cancri fervebant brachia Pheboatque erat in medio cum Sol altissimus orbe.Nobilior cunctis atque arbore gratior omnistabat honorato ramis altissima lucofagus et extentos tendebat in ethera ramos:

55 hanc circum Satyrique leves et sepe solebantludere Amadriades festasque agitare choreas;deseruere suos avidi sepissime campospastores et rura pii longinqua coloni,

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526 A. PIACENTINI

48 ducebat] ducebatur T

36 rumpe moras, Verg. Georg. III 42-43: «En age segnis / rumpe moras» (anche Aen. IX 13).37 mecum...dolores, cfr. Verg. Aen. XI 510: «mecum partire laborem». 38 Ardua...fuit, cfr.Petr. BC 10, 11-12: «Fuit alta remotis / silva locis». 38 totum...orbem, cfr. Verg. Aen. I 457:«bellaque iam fama totum volgata per orbem». 39 arboribus densis, cfr. Ovid. Fast. VI 9:«Est nemus arboribus densum». 40 placidis...undis, cfr. Lucan. IV 13: «placidis praelabiturundis». 42 foliis...altis, Ovid. Met. X 91: «non frondibus aesculus altis». 43 parveque miri-

ce, cfr. Verg. Ecl. 4, 2: «humilesque myricae»; Ovid. Met. X 47: «tenuesque myricae». 44perpetuoque...laurus, cfr. Ovid. Met. X 97: «perpetuoque virens buxum». 44 virens laurus,cfr. Petr. BC 10, 282: «celsoque virens in vertice laurus». 44 succinctaque pinus, Ovid. Met.X 103: «et succincta comas hirsutaque vertice pinus». 45-46 corili...fraxinus, Ovid. Met. X93: «et coryli fragiles et fraxinus utilis hastis». 41 nomine Navilium, cfr. Ovid. Met. XI 295:«nomine Daedalion». 48 ducebant...umbra, Ovid. Met. X 129: «arborea frigus ducebat abumbra». 50 Cancri...brachia, Ovid. Met. X 127: «fervebant bracchia Cancri». 51 cum Sol

...orbe, Ovid. Met. XI 353: «medio cum Sol altissimus orbe». 52 Nobilior...gratior, cfr. Ovid.Met. XIII 793-94: «aestiva gratior umbra, / nobilior pomis». 53-54 altissima...fagus, Petr. BC

10, 284: «Tum frondosa, ingens ramis, altissima fagus» (cfr. Verg. Georg. I 173: «altaquefagus»). 55 Satyrique leves, cfr. Hor. Carm. I 1, 31: «Nimpharumque leves cum Satyrischori». 56 sepe...Amadriades, Petr. BC 10, 360-61: «per gramina circum / ludere Amadriadespassim». 56 festasque...choreas, cfr. Ovid. Met. VIII 582; VIII 746: «festas duxere choreas».

arboris ut vero spectaret lumine truncum;60 flumina Naiades ude Faunique sequentes

linquebant silvas dilectasque equoris undasNereides cunctique simul pia sacra ferebant.Non sublimis huic annose robora quercusIupiter auderes, geminum nec Mater Amorum

65 Idalium preferre tuum turritaque Materdilectam hectoreis sacratam manibus Idam,sic modo viventi tellus alimenta pararetet { solitas lucido laxaret in ethera ramos {.Quin etiam, in terras rapidum cum nubila fulmen

70 exibat populos ardenti lumine terre,rex superum intactas linquebat fulmine frondes.Primus ego hanc colui felix: hic regna putavidelitiasque meas, nec me fallebat amantemmens mea. Quot teneros pascebat frondibus agnos

75 vertice de summo, que tunc tellure fluebant,quotque sub hac validos numeravi in vespere tauros?Hec michi summus honos, erat hec mea tota voluptas,hec michi delicias, laudes hec, Cherule, famamhec dabat: et tunc dives eram, felicior alter

80 nullus erat nullusque prior tunc arva colebat;

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527L’EGLOGA DI ANGELA NOGAROLA

66 hectoreis] hectoriis T

60 Naiades ude, cfr. Calp. Sic. Ecl. 2, 14: «Affuerunt sicco Dryades pede, Naiades udo». 62Nereides...simul, cfr. Ovid. Met. XIV 264: «Nereides nymphaeque simul». 63 annose...quer-cus, cfr. Verg. Georg. IV 441: «et velut annoso validam cum robore quercum» (Ovid. Met.VIII 750: «stabat in his ingens annoso robore quercus»). 63-64 robore...Iupiter, cfr. Verg.Georg. III 332: «Sicubi magna Iovis antiquo robore quercus» (Ovid. Met. VII 623: «sacra Ioviquercus»); cfr. Petr. BC 10, 20: «nodosaque robora quercus». 64 Geminum...Amorum, Ovid.Fast. IV 1: «‘Alma fave’, dixi, ‘geminorum mater Amorum’». 65 turritaque Mater, Ovid.Met. X 696-97: «turritaque Mater / an Stygia sontes dubitavit mergere unda». 66 dilectam...Idam, cfr. Stat. Achill. II 50: «Fertur in hectorea, si talia credimus, Ida» (cfr. Claud. Carm.

min. 22, 13: «Manibus hectoreis atrox ignovit Achilles»). 67 tellus alimenta pararet, cfr.Ovid. Met. XV 81-82: «alimentaque mitia tellus / suggerit». 69-70 in terras...terrae, cfr. Lu-can. I 151-54: «Qualiter expressum ventis per nubila fulmen / aetheris impulsi sonitu mundiquefragore / emicuit rupitque diem populosque paventes / terruit obliqua praestringens luminaflamma». 69-71 rapidum...frondes, Petr. BC 10, 362-63: «Hanc, superum rapido dum fulminerex quatit orbem, / liquerat intactam, solio veneratus ab alto». 72-73 hic regna...delitiasque

meas, cfr. Petr. BC 10, 30: «Has ego delitias et opes, hec regna putavi». 73 fallebat aman-tem, cfr. Verg. Aen. IV 296: «quis fallere possit amantem?». 75 vertice...summo, cfr. Ovid.Met. VII 702: «vertice de summo semper florentis Hymetti». 76 quotque...tauros, Calp. Sic.Ecl. 3, 64: «quot nostri numerantur verspere tauri». 76 validos...tauros, cfr. Ovid. Met. IX186: «validi pressistis cornua tauri». 77 mea...voluptas, cfr. Petr. BC 7, 28: «Perge, meumculmen, mea spes, mea tota voluptas». 79 felicior alter, cfr. Verg. Aen. IX 772: «vastatoremAmycum, quo non foelicior alter».

hac pastorali letus fungebar honore,hac solus stabiles leges pastoribus umbraet sacra iura dabam poscentibus ordine cunctis.Sepe sub hac apros terrebam avidosque leones

85 et damas leporesque simul cervosque fugaces:ah quociens placidos narrabam letus amores!Fronde sub hac recubans quociens ego serta benignusfloribus et variis texebam, Cherule, nimphis!Sed michi que dudum vultu Fortuna sereno

90 plauserat, heu me <tunc> quam fronte aspexit iniqua!Eolias fregere minas cecisque furentestunc antris cessere suis, hinc turbidus Auster,horrifer hinc Boreas atraque caligine celumvolventes tanto dilectam tempore fagum

95 extirpant ramosque suos tellure revulsosin loca precipiti cursu diversa tulerunt.Iam iam parce, precor: nam luctus plura parantesimpedit et crebri singultus pectora quassant!

CH. Audivi. Hoc recolo. Flentes dixere coloni.100 Sepe etiam miseros effudi pectore questus,

Mecenas, lacrimisque piis hec ora genasqueaspersi effundens suspiria cordis ab imo,sed tamen invicta cunctos tolerare laboresmente decet vultuque pari sors queque ferenda est!

105 ME. Non opus est istis - heu Cherule, Cherule - verbis:

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528 A. PIACENTINI

90 iniqua] iniquo T 98 crebri] creber T

81 pastorali...honore, cfr. Verg. Ecl. 10, 24: «et agresti capitis Silvanus honore»; Petr. BC 10,290: «et pastorali rus maiestate regebat». 82-83 leges...iura dabam, cfr. Verg. Aen. I 507-8:«Iura dabat legesque viris operumque laborem / partibus aequabat iustis» (Petr. BC 10, 110:«qui populo leges et iura dedisset»). 84 apros...leones, cfr. Ovid. Epist. 9, 37: «Inter prestan-tes apros avidosque leones». 85 damas...fugaces, cfr. Verg. Georg. III 540: «timidi damaecervique fugaces» (Georg. I 307-8: «et retia ponere cervis / auritosque sequi lepores, tum figeredammas»). 89-90 vultu...plauserat, cfr. Ovid. Trist. I 5, 27: «dum iuvat et vultu ridet Fortunasereno». 89-90 Fortuna...iniquo, Petr. BC 10, 379: «Sed letum Fortuna oculo suspexitiniquo». 92 turbidus Auster, Lucan. I 234-35: «seu turbidus Auster / impulerat»; I 498. 91-92 cecis...antris, cfr. Lucan. IV 458: «caecis abscondit in antris». 93 horrifer...Boreas, cfr.Ovid. Met. I 65: «horrifer invasit Boreas». 93-94 atraque...volventes, cfr. Verg. Aen. IX 36:«caligine volvitur atra»; XI 976-77: «Volvitur ad muros caligine turbidus atra / pulvis». 96loca...diversa, cfr. Ovid. Trist. I 10, 49: «Vos facite ut ventos, loca cum diversa petamus».100 effudi...questus, Verg. Aen. V 580: «talisque effundit pectore questus». 102 suspiria...imo,cfr. Gaufr. Vinos. Poetria nova, 1639-40: «ex imo / pectoris erumpunt suspiria». 105 Non

opus...verbis, cfr. Ovid. Fast. II 734: «‘‘Non opus est verbis, credite rebus’’ ait». 105 heuCherule, Cherule, cfr. Petr. BC 2, 42: «O Phitia, Phitia».

me Fortuna suum tanto iam tempore natum,indefessa parens, quanto nutrivit amore!Hec eadem instabilis, sevissima plusque novercha,prospera cuncta simul rapuit; nunc ordine verso

110 et misero dederat michi, quod miserata dolentiterra parens, rapuit: luctus solamen amarus.Nam mea cum rapidi lacerassent gaudia ventifrondentesque comas fagi ramosque tulissent,surgebant gemine parvis iam frondibus umbram

115 prestantes virge laterique hesere parentis:ventorum has rabies, nostri solatia questus,liquerat intactas imitantes omnia fagi.Has ego servabam tutas morsuque caprarumdefendebam avido et valido certamine tauri:

120 sepe sub his potui mordaces fallere curas,Cherule, et immensos paulum mulcere dolores!Porreus at subito pastorum immanior omnidulcia prata subit primum atque hec intonat ore:«huncine secura permittam pace fruentem?».

125 Scilicet his semper tentabit pabula silvisfrondibus et sacris umbras captabit apricas!Hinc quoque sollicitat pastores, premia spondens,quique huius silve campos et prata colebant:lanigeros hi fraude greges, quos gramine tute

130 pascebam, et tauros, virides etate iuvencos,arripiunt; nostras subeuntes protinus umbrasvirgarumque omnes recubant sub tegmine leti

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529L’EGLOGA DI ANGELA NOGAROLA

114 parvis corr. ex paries 127 sollicitat] solicitat corr. ex solicitas 131 nostras subeuntes]nostras subeuntem corr. ex subeuntem nostras

106-108 Fortuna...novercha, cfr. Henr. Sept. Elegia II 3: «me sibi privignum Rannusia dira,novercha». 111 luctus...amarus, cfr. Ovid. Met. VII 483: «tumulo solatia posco». 113-14nam mea...ramosque tulissent, cfr. Petr. BC 10, 382-84: «mea gaudia laurum / extirpant fran-guntque truces terreque cavernis / brachia ramorum frondesque tulere comantes». 114-15 sur-

gebant...virge, cfr. Ovid. Fast. III 31-32: «Inde duae pariter visu mirabile palmae / surgunt».116 ventorum...rabies, Ovid. Met. V 7: «ventorum rabies motis exasperat undis». 116-17 has

...liquerat intactas, cfr. Petr. BC 10, 362-63: «Hanc, superum rapido dum fulmine rex quatit or-bem, / liquerat intactam». 116 solatia questus, cfr. Verg. Aen. XI 62-63: «solatia luctus / exi-gua ingentis». 117 imitantes omnia, cfr. Ovid. Met. V 299: «imitantes omnia picae». 119certamine tauri, cfr. Lucan. II 201: «primo certamine taurus». 122 Porreus...immanior omni,cfr. Verg. Aen. I 347: «Pygmalion, scelere ante alios immanior omnis». 124 Huncine...fruen-tem, cfr. Petr. BC 12, 8-9: «Huncine perpetua gaudentem pace videbo / securoque sinam resupi-num stertere somno?». 124 secura...pace, cfr. Calp. Sic. Ecl. 1, 42: «Aurea secura cum pacerenascitur aetas». 125 temptabit pabula, cfr. Verg. Ecl. 1, 49: «Non insueta gravis temptabuntpabula fetas». 129-31 lanigeros...arripiunt, cfr. Petr. BC 7, 19-20: «Lanigerum quodcunquepecus servare solebas / mors rapuit». 132 recubant...tegmine leti, cfr. Verg. Ecl. 1, 1: «recu-bans sub tegmine fagi»; Aen. I 275-76: «Inde lupae fulvo nutricis tegmine laetus / Romulus».

meque diu cogunt dilectas linquere silvaset saltus umbrasque iubent habitare remotas.

135 Sic tibi causa mei questus, heu, parva videtur?

CH. Magna quidem, et cunctis memorasti flenda, benigneMecenas, et nostra dolor precordia rodit.Sic tibi det reditum ceu, quero, Iupiter almusrestituatque pius campos et pascua priscos.

140 Iam prior ad celum supplex iam porrigo dextraset faciant, oro, superi semperque precabor.At dum fata volent mentem solare dolentematque, age, quod paulum dilectis exul ab orisdistes, gratare et lenimen quere doloris!

145 Hec dum precipiti volvuntur sidera casu,namque urbes et rura simul sine lege reguntur,fraus subit, invidie, furtum, nullumque vagatursecuro ductore pecus, nec gramina montistuta petunt hedique simul gracilesque capelle,

150 nec solitos morsus teneri cum matribus agniherbarum capiunt; impune et pocula fontiset furtim externo pecudes rapiuntur ovili,sed fraudes hominumque dolos miratus ab alto,Iupiter in terras meritos iaculabitur ignes,

155 exiget et iustas paterno verbere penas.

ME. Dii, michi si qua patent celestia numina mesto,si quod adhuc mecum est faciles quod prebeat aureset votis precibusque meis iam premia reddant,

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156 patent corr. ex petent

133-34 linquere silvas...remotas, cfr. Petr. BC 6, 109-110: «Aude / linquere iam silvas urbesquevidere remotas». 135 sic tibi...videtur, Petr. BC 10, 397: «Heu! Heu! Parva igitur flendi tibicausa videtur?». 137 dolor precordia, Petr. BC 10, 395: «Quid fragilis lentusque dolor pre-cordia versas?». 138 Iupiter almus, Petr. BC 2, 29: «O Iupiter alme». 140 prior...porrigo

dextras, Petr. BC 9, 98: «Quin prior i, tardum attollens, et porrige dextram». 141 faciant...semperque precabor, Petr. BC 10, 411: «Dii faciant: precor ecce humilis semperque precabor».145 volvuntur sidera casu, cfr. Verg. Aen. IV 524: «cum medio volvuntur sidera lapsu» (Lu-can. II 268: «inconcussa suo volvuntur sidera lapsu»). 146 sine rege reguntur, Ovid. Met. XI489: «hic rapit antemnas; quae dum sine rege reguntur». 147-48 nullum vagatur...pecus, cfr.Calp. Sic. Ecl. 1, 37-38: «Licet omne vagetur / securo custode pecus». 148 gracilesque capel-

le, cfr. Ovid. Met. I 299: «graciles gramen carpsere capellae». 150 cum matribus agni, Verg.Aen. I 635: «pinguis centum cum matribus agnos»; Petr. BC 8, 3: «Quo pastos abigis cum ma-tribus agnos»). 150-51 morsus...pocula fontis, cfr. Petr. BC 8, 16-17: «Nec pocula fontis / tu-ta, nec herbarum morsus sucique salubres». 154 Iupiter...ignes, cfr. Verg. Aen. I 42: «Ipsa Io-vis rapidum iaculata e nubibus ignem». 158 premia reddant, cfr. Verg. Aen. II 537-38: «per-solvant grates et digna praemia reddant / debita» et alii.

digna tibi referantque, precor, tibi, Cherule, grates,160 qui nostri miseris amans grandisque doloris.

CH. Immo ego, si quoquam me dignarentur honoreagrestes Muse et calamos inflare labelloet variare modos nossem usumque canendi,inclita gesta tibi gracili modularer avena:

165 nec tibi, Mecenas, nunquam mea fistula deesset,sed te quod potero, propria dum sede meabuntsidera, dum variis ornabit floribus almamver placidum terram, dum sordidus influet uvisAutumnus, rapidum metuet dum cerva leonem,

170 usque colam atque omni dignum te rebor honoreet mecum laudesque tue virtusque manebit.

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531L’EGLOGA DI ANGELA NOGAROLA

163 nossem] noscem T; fortasse novissem 169 rapidum fortasse rabidum

162 agrestes Muse, cfr. Verg. Ecl. 8, 6: «agrestem tenui meditabor harundine Musam». 162calamos inflare labello, cfr. Nemes. Ecl. 1, 4-5: «Nam te calamos inflare labello / Pan docuit».163 variare...usumque, cfr. Petr. BC 10, 368-70: «Ipse ego (quid longus, quid non valet impro-bus usus?) / edidici variare modos». 164 gracili modularer avena, cfr. ps.-Verg. Versus Ae-

neidos libro I praemissi, 1: «Ille ego qui quondam gracili meditatus avena». 167-68 variis...terram, cfr. Verg. Ecl. 9, 40-41: «Hic ver placidum, varios hic flumina circum / fundit humusflores». 167-68 almam...terram, cfr. Verg. Aen. VII 643-44: «Itala iam tum / floruerit terra al-ma viris». 168-69 sordidus...autumnus, Ovid. Met. II 29: «Stabat at Autumnus calcatis sordi-dus uvis» (anche Fast. IV 897: «venerat Autumnus calcatis sordibus uvis»). 169 metuet ...leo-

nem, cfr. Ovid. Met. I 505-06: «Sic agna lupum, sic cerva leonem, / sic aquilam penna fugiunttrepidante columbae». 169 rapidum...leonem, cfr. Petr. BC 5, 126: «non rapidi predas abiguntex more leones» (cfr. Lucan. VI 337: «caeli rapidique Leonis»); Verg. Ecl. 4, 22: «nec magnosmetuent armenta leones». 166-71 dum...manebit, cfr. Verg. Ecl. 5, 76-78: «Dum iuga montisaper, fluvios dum piscis amabit / dumque thymo pascentur apes, dum rore cicadae, / semperhonos nomenque tuum laudesque manebunt».

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