Giocare con le regole e regulatory gaming: esempi dal settore farmaceutico
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LUISS, REGULATION LECTURE SERIES Roma, 20 novembre 2014
Giocare con le regole e regulatory gaming:
esempi dal settore farmaceutico
LUCA ARNAUDO, Ph.D.
Nota bene: l'intero contenuto del presente documento è da ritenersi formulato ed esposto
a titolo personale e non impegna alcun ente o soggetto diversi dall'autore
Di solito si tende a considerare la tutela della concorrenza come
incentrata sul controllo delle condotte delle imprese (nei termini cioè
dell'antitrust statunitense tradizionale): tuttavia, in una prospettiva più
generale – e con profili che finiscono per rendere sempre meno netti i
confini con gli interventi di tipo regolatorio – tale tutela va considerata
anche a tutela delle imprese rispetto alle possibilità di distorsione del
confronto di mercato da parte di soggetti aventi legittimità normativo-
regolatoria.
Il settore farmaceutico presenta dinamiche concorrenziali peculiari,
con numerose asimmetrie operative e forti barriere all'ingresso di tipo
regolatorio: si presta dunque in modo naturale a “giochi con la
regolazione” .
Distorsioni normative: il caso del patent linkage
Nel luglio 2014 l'Autorità garante della concorrenza e del mercato
(“AGCM”) ha avuto modo di occuparsi di una distorsione alle
dinamiche concorrenziali tra farmaci “originatori” ed “equivalenti”
(“biosimilari” compresi) determinata da una singolare legge nazionale.
L'intervento di segnalazione, contenuto nel più generale documento di
osservazioni e proposte operative redatto ogni anno dall'AGCM per
indirizzare il Governo nella redazione della legge annuale sulla
concorrenza prevista dall’art. 47 della legge 23 luglio 2009, n. 99, ha
riguardato in particolare la disciplina nazionale del c.d. collegamento
brevettuale, o “patent linkage”.
Distorsioni normative: il caso del patent linkage
Con l’espressione “patent linkage” si fa riferimento a un istituto normativo-
regolamentare volto a collegare alla situazione brevettuale del farmaco
originatore, e in particolare all’effettiva estinzione dei diritti di proprietà
intellettuale esistenti sullo stesso, (i) l’Autorizzazione all'Immissione in
Commercio (“AIC”) di un farmaco equivalente, (ii) il riconoscimento della
rimborsabilità di quest’ultimo da parte del competente SSN.
Secondo la definizione fornita dalla Commissione UE nell’indagine conoscitiva
sul settore farmaceutico, “Patent linkage refers to the practice of linking the
granting of [Marketing Authorisation], the pricing and reimbursement status or
any regulatory approval for a generic medicinal product, to the status of a
patent (application) for the originator reference product” (European
Commission - Competition DG, Pharmaceutical Sector Inquiry - Final Report,
Bruxelles, 8 luglio 2009, p. 130).
Distorsioni normative: il caso del patent linkage
In breve, nella convinzione che il riconoscimento di una più ampia copertura
brevettuale possa sviluppare l’innovazione farmaceutica sostenendo il ritorno
degli investimenti – nonché al fine di evitare possibili contenziosi con le
imprese originatrici – in alcuni ordinamenti è disposto che, in presenza di un
brevetto ancora vigente, la commercializzazione o l’utilizzo a spese del SSN
di un farmaco equivalente dell’originatore siano illegittimi, e in quanto tali
proibiti.
Sempre secondo la Commissione UE, “certain originator companies allege that by
granting marketing authorisation, the authorities willingly collude in the alleged
infringement. These originator companies therefore argue that no marketing
authorisation should be granted until the allegation of patent infringement has been
settled. Occasionally, actions are accompanied by a threat to sue the marketing
authorisation body for damages if marketing authorisation is granted” (European
Commission, Pharmaceutical Sector Inquiry cit. p. 315)
Distorsioni normative: il caso del patent linkage
Nota: per quanto riguarda i vantaggi derivanti all’innovazione farmaceutica
dalla previsione di disposizioni del genere, studi empirici ne hanno escluso
l’effettiva ricorrenza, segnalando invece le conseguenze in termini di
rafforzamento delle esclusive commerciali esistenti:
“the linkage regime provides a highly flexible tool in the hands of
sophisticated pharmaceutical firms. The number and array of patent types,
the speed of patent listing, the automatic injunction, and the low relevance
requirement for listing combined with low evidentiary requirements for new
and follow-on drug development enable pharmaceutical firms to rapidly
identify attractive drug targets for legal protection both during and after
regulatory approval” (cfr. R. Bouchard et al., Empirical Analysis of Drug
Approval-Drug Patenting Linkage for High Value Pharmaceuticals, in
Northwestern Journal of Technology and Intellectual Property, 2, 2010).
Distorsioni normative: il caso del patent linkage
In concreto, la previsione di un patent linkage fa sì che l’autorità
competente (di solito un’agenzia nazionale del farmaco) quando
posta di fronte a una domanda di AIC o di accesso alla rimborsabilità
da parte di un produttore di equivalenti debba procedere a un
controllo della copertura brevettuale del farmaco originatore, e, nel
caso in cui questa ancora sussista in qualche modo – es. per
l’esistenza di certificati protettivi complementari, di cui al regolamento
469/2009/EC o coperture per così dire collaterali, come nel caso di
estensioni di esclusiva commerciale per determinati usi terapeutici –
neghi fino alla sua effettiva scadenza la procedibilità dell’equivalente.
Distorsioni normative: il caso del patent linkage
Le considerazioni critiche rispetto all’istituto appena richiamato sono state
frequenti, e risuonate anche in alti ambiti istituzionali: la World Health
Organization (“WHO”), nello specifico, ha rimarcato in primo luogo come
un’agenzia del farmaco solitamente non sia in grado di svolgere analisi
brevettuali complesse, dunque vi siano seri rischi di «sovradifesa»
dell’impresa originatrice a discapito della rapida introduzione di farmaci
generici in concorrenza.
Sempre la WHO ha rilevato come il patent linkage si sostanzi poi in
un’inusuale tutela di diritti di proprietà privata da parte di un soggetto
pubblico, a esclusivo vantaggio del loro titolare (cfr. WHO, Briefing Note -
Access to Medicines. Data exclusivity and other “trips-plus” measures, marzo
2006).
Distorsioni normative: il caso del patent linkage
Tali critiche colgono effettivamente il cuore del problema rappresentato dal patent
linkage, poiché evidenziano il sostanziale sviamento delle agenzie del farmaco dalle
loro competenze fondamentali, propriamente incentrate sulla valutazione di efficacia
e sicurezza dei prodotti nel perseguimento di un interesse pubblico alla salute,
gravandole d’incombenze che rispondono a logiche e finalità del tutto divergenti,
ovvero la tutela di esclusive commerciali.
Più sottilmente, il patent linkage rappresenta un formidabile vantaggio per le imprese
titolari di tali esclusive rispetto alle ordinarie modalità di tutela dei propri diritti di
proprietà intellettuale. Se infatti, in assenza di previsioni del genere, questi devono
essere fatti valere in sede giudiziaria con dispendio di mezzi e incertezza sugli esiti
della controversia, il patent linkage trasferisce l’onere della loro difesa, così come
delle attività concrete di accertamento, in capo a un soggetto terzo che, addirittura, vi
provvede direttamente negando l’ingresso sul mercato del farmaco equivalente
concorrente – ingresso notoriamente rappresentante la principale leva di concorrenza
di prezzo nel settore farmaceutico.
Distorsioni normative: il caso del patent linkage
In una prospettiva storica e comparativa, il patent linkage trova la sua origine nella
riforma del diritto farmaceutico statunitense avvenuta nel 1984, quando con
l’approvazione del Hatch-Waxman Act vennero introdotte un novero di nuove
disposizioni che, in un’ottica di complesso compromesso, da un lato intendevano
facilitare l’ingresso dei farmaci equivalenti sul mercato, dall’altro riconoscevano alle
imprese titolari degli originatori un ampio strumentario di difese legali, tra cui per
l’appunto la previsione del patent linkage, asseritamente volto a tutelarne appieno i
diritti di proprietà intellettuale.
Negli anni successivi l’istituto è stato esportato dagli USA in altri ordinamenti, con
un’attenzione particolare ai paesi in via di sviluppo: secondo una rassegna aggiornata
al 2011, almeno sedici accordi bilaterali sono stati stipulati in tal senso, e il numero
pare destinato a crescere (la circostanza che accordi del genere siano stati conclusi
dopo l’entrata in vigore dell’accordo TRIPS sulla protezione di base dei diritti di
proprietà intellettuale, finendo per elevarne ulteriormente gli standard, ha portato a
definirli “TRIPS-plus”).
Distorsioni normative: il caso del patent linkage
Significativamente, tali accordi riguardano tutti Stati non europei, a fronte di
una posizione della UE espressamente contraria al patent linkage.
Secondo quanto rimarcato dalla Commissione UE, “Under EU law, it is not allowed to
link marketing authorisation to the patent status of the originator reference product.
Article 81 of the Regulation [2004/726/EC] and Article 126 of the Directive
[2001/83/EC] provide that authorisation to market a medicinal product shall not be
refused, suspended or revoked except on the grounds set out in the Regulation and
the Directive. Since the status of a patent (application) is not included in the grounds
set out in the Regulation and in the Directive, it cannot be used as an argument for
refusing, suspending or revoking [Marketing Authorisation]” (European Commission,
Pharmaceutical Sector Inquiry cit. p. 130)
Distorsioni normative: il caso del patent linkage
A tale posizione, peraltro, non corrisponde un più generale favor rispetto allo
sviluppo della concorrenza rappresentata dall’introduzione sul mercato di
farmaci equivalenti. In ambito unitario, infatti, vige una tutela dei diritti di
esclusiva dei farmaci originatori rafforzata dal riconoscimento di una
riservatezza dei dati relativi ai test clinici e pre-clinici, la c.d. “data
exclusivity”, che non ha pari per durata nel resto del mondo.
In sostanza, nessun altro soggetto al di fuori del produttore originatore può
utilizzare tali dati nelle attività di filing regolatorio per ottenere l’AIC di un
farmaco equivalente – segnatamente al fine di dimostrarne la bioequivalenza
rispetto al farmaco di riferimento, con la conseguenza pratica che andranno
replicati i relativi test a proprie spese – e ciò per un periodo che ai sensi
dell’art. 10 della direttiva 2001/83/EC, così come modificata dalla direttiva
2004/27/EC, va dai dieci agli undici anni.
Distorsioni normative: il caso del patent linkage
A fronte di una simile tutela, complementare a quella brevettuale e spesso in
grado di prolungarsi significativamente oltre la stessa, aggiungere l’ulteriore
protezione rappresentata da un meccanismo di patent linkage dev’essere
sembrato francamente troppo al legislatore unitario: non così, come vedremo
qui di seguito, ha ritenuto invece quello italiano.
Il patent linkage, in effetti, ha ormai una sorta di piccola “tradizione” in Italia,
originata dall'art. 68, comma 1-bis, del decreto legislativo 10 febbraio 2005,
n. 30, codice della proprietà industriale, che ne prevedeva una forma
“primaria”, relativa cioè all’ottenimento in sé dell’AIC per un farmaco
equivalente.
Distorsioni normative: il caso del patent linkage
Tale disposizione determinò una procedura d'infrazione UE, e l'art. 68,
comma 1-bis venne abrogato con il decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1.
Nello stesso anno 2012, tuttavia, il Governo reintroduce però col decreto
legge n. 95/2012 una forma secondaria di patent linkage, incentrata sul
divieto di utilizzabilità del farmaco equivalente da parte del SSN.
L'AGCM interviene con tempestività a rilevare la vicenda nell'ambito della
sua segnalazione annuale del 2012, dove avanza la seguente proposta
operativa: “al fine di eliminare un ostacolo all’ingresso sul mercato dei
farmaci generici, abrogare l’ultimo periodo del comma 1 dell’articolo 11 del
decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, che subordina l’inserimento dei medicinali
equivalenti nel Prontuario farmaceutico nazionale alla data di scadenza del
brevetto o del certificato di protezione complementare della specialità di
riferimento, e che inserisce in tal modo una chiara forma di patent linkage”.
Distorsioni normative: il caso del patent linkage
La segnalazione dell’AGCM reca la data 3 ottobre 2012: pochi giorni dopo (8
novembre) il decreto citato viene convertito con legge (la n. 189/2012) nei
termini seguenti e attualmente vigenti: “[…] in sede di periodico
aggiornamento del Prontuario farmaceutico nazionale, i medicinali
equivalenti, ai sensi di legge, ai medicinali di cui è in scadenza il brevetto o il
certificato di protezione complementare non possono essere classificati
come farmaci a carico del Servizio sanitario nazionale con decorrenza
anteriore alla data di scadenza del brevetto o del certificato di protezione
complementare, pubblicata dal Ministero dello sviluppo economico ai sensi
delle vigenti disposizioni di legge”.
In sostanza, la strozzatura determinata dal d.l. n. 95/2012 è stata mantenuta
dal legislatore rispetto ai criteri di rimborsabilità, incidendo sulla disponibilità
per il SSN di prodotti dai prezzi molto inferiori a quelli dei medicinali di
riferimento.
Distorsioni normative: il caso del patent linkage
A fronte di tale pervicacia normativa, nella nuova segnalazione annuale
2014 l’AGCM ha risollevato la questione del patent linkage per ribadire la
necessità di una sua rapida eliminazione dall’ordinamento nazionale,
richiamando pure un’interessante questione di portata più generale.
Si legge dunque nel documento che, “nonostante quanto l’Autorità ha già avuto modo
di segnalare in proposito, l’ordinamento italiano continua a distinguersi in ambito
comunitario per la persistenza di disposizioni normative che, nel vincolare la
rimborsabilità di un farmaco generico […] all’accertamento della scadenza della
copertura brevettuale del medicinale di riferimento (c.d. originatore), configurano una
chiara ipotesi di patent linkage. Tale “collegamento brevettuale” […] comporta
preclusioni concorrenziali molto significative, ritardando l’ingresso sul mercato dei
farmaci equivalenti con conseguenti effetti di mancato risparmio ai danni del SSN; al
contempo, disposizioni del genere sono suscettibili di favorire strategie
ostruzionistiche su base brevettuale da parte delle imprese titolari dei farmaci
originatori, inducendo così a condotte di abuso di posizione dominante”.
Distorsioni normative: il caso del patent linkage
L’intervento dell’AGCM, oltre a segnalare un certo disagio rispetto alla
conclamata reiterazione normativa di significative barriere all’ingresso nei
mercati dei prodotti farmaceutici, quali quelle rappresentate da ogni forma di
patent linkage, si distingue anche per le indicazioni rese rispetto a quello che
pare costituire un vero e proprio nuovo corso della verifica dell’industria
farmaceutica sotto il profilo antitrust.
Infatti, nel riferirsi a “strategie ostruzionistiche su base brevettuale” l’AGCM
solleva apertamente la questione delle condotte adottate dai massimi
esponenti di Big Pharma per impedire lo sviluppo della concorrenza nel
settore, in specie quella di prezzo costituita dall’introduzione di farmaci
equivalenti, acuitesi proprio in ragione del patent cliff attuale.
Distorsioni normative: il caso del patent linkage
In effetti, la relativa facilità di accesso alla registrazione di brevetti e alla
congerie di protezioni complementari dell’esclusiva commerciale di un
farmaco possono ben indurre le imprese a un loro impiego per fini
ostruzionistici; simili incentivi, con ogni evidenza, dovrebbero venire
evitati/eliminati in un ordinamento che abbia per obiettivo l’universalità ed
efficienza nell’accesso alle cure, e non certo rafforzati, come invece
avvenuto nel caso dell’introduzione di meccanismi di patent linkage.
Esemplare, in tal senso, è una questione di recente trattata dalla Corte di Giustizia
UE (“CGUE”), incentrata sulle rivendicazioni ai sensi di un certificato protettivo
complementare di un farmaco dalla formulazione composita per la presenza di due
principi attivi, e dalla cui effettiva legittimità dipendeva la possibilità o meno
d’introdurre l’equivalente di un farmaco a base di uno solo dei due principi attivi.
Distorsioni normative: il caso del patent linkage
“[…] non può ammettersi che al titolare di un brevetto di base in vigore possa essere
rilasciato un nuovo CPC, eventualmente dotato di un periodo di validità più esteso,
ogni volta che questi immette in commercio in uno Stato membro un medicinale
contenente, da un lato, il principio attivo, protetto in quanto tale dal suo brevetto di
base e che costituisce […] l’attività inventiva centrale di tale brevetto, e, dall’altro, un
altro principio attivo che non è protetto in quanto tale da detto brevetto” (CGUE, sent.
12 dicembre 2013, C-443/12, Actavis Group c. Sanofi, §30).
Nel caso di specie, se da un lato si prende atto della netta presa di posizione della
Corte nel senso di disciplinare le pratiche più arrembanti di “patent cluster”, dall’altro
non si può non rimarcare come dall’instaurazione del giudizio siano comunque dipesi
ritardi nell’ingresso sul mercato del farmaco equivalente: ritardi che, in presenza di
meccanismi di patent linkage come quelli previsti in Italia, vengono ulteriormente
rafforzati.
Distorsioni normative: il caso del patent linkage
L’esistenza e l’utilizzo dei diritti di proprietà intellettuale costituiscono
elementi di particolare rilevanza nella valutazione concorrenziale delle
pratiche utilizzate dalle imprese nel settore farmaceutico, che negli
anni si è dimostrato più di altri soggetto al rischio di regulatory
gaming, ossia di condotte da parte di privati volte a sfruttare
regolamentazioni di per sé neutre o procompetitive utilizzandole per
finalità escludenti.
Nota: l’industria farmaceutica rappresenta una “perfect storm” per il
regulatory gaming (cfr. M. Colangelo, Dominanza e regulatory gaming: il
caso Pfizer, in Mercato Concorrenza Regole, n. 2, 2012). Sono proprio i
sistemi regolamentari complessi, in particolare quelli che assoggettano
l’accesso al mercato ad un meccanismo di autorizzazione amministrativa, a
fornire l’opportunità per tali condotte abusive.
Regulatory gaming
“We define regulatory gaming as private behavior that harnesses pro-competitive or
neutral regulations and uses them for exclusionary purposes. Complex regulatory
systems – particularly those requiring approval for market entry – can create
opportunity for such gaming (...)”
“Indeed, the existence of regulation not only fails to guarantee competitive outcomes
in many cases, but can make things worse by creating opportunities for
anticompetitive games” (S. Dogan, M. Lemley, Antitrust law and Regulatory Gaming, 2008)
Nota: peculiarità degli USA:
– Recente tendenza a una prevalenza della disciplina settoriale (e relativi regolatori) sull'antitrust (cfr. caso Trinko, 2004)
– Applicabilità della c.d. Noerr-Pennington doctrine (1961)
Regulatory gaming
Negli anni duemila, al netto delle attenzioni ormai risalenti per il tema
delle importazioni parallele, la Commissione ha (finalmente) preso a
considerare con crescente attenzione le condotte di imprese
farmaceutiche aventi una possibile rilevanza antitrust.
Il caso di avvio di tale nuovo corso è stato il procedimento concluso
nel 2005 nei confronti di AstraZeneca (Caso COMP/A.37.507/F3 –
AstraZeneca), la cui impostazione teorica (e ricostruzione dei fatti) è
stata confermata prima dal TPGUE (T-321/05 del 1 luglio 2010), e
infine dalla CGUE (C-457/10 P del 6 dicembre 2012).
Regulatory gaming
AstraZeneca AB e AstraZeneca plc appartengono a un gruppo farmaceutico
(”AZ”) con attività concentrate sui prodotti per le patologie gastrointestinali. In
tale ambito, uno dei prodotti più venduti da AZ conosciuto con il nome di
“Losec”, a base di omeoprazolo (c.d. inibitore della pompa protonica, “IPP”).
Nota: per tutta la durata dell'esclusiva brevettuale il losec ha rappresentato la
principale entrata di AZ, arrivando a generare 5 miliardi di dollari di fatturato annui,
pari a un terzo dell'intero fatturato del gruppo.
Nel 1999 due genericisti hanno denunciato alla Commissione i
comportamenti di AZ volti ad impedire loro di introdurre versioni generiche
dell’omeprazolo in un certo numero di mercati SEE. La Commissione, dopo
quasi sei anni di indagini, ha constatato che AstraZeneca AB e AstraZeneca
plc avevano commesso due abusi di posizione dominante in violazione degli
articoli 82 CE e 54 dell’Accordo SEE.
Regulatory gaming: il caso AstraZeneca
Il primo abuso, in particolare, era consistito in dichiarazioni ingannevoli rese
agli uffici dei brevetti (e giudici) in Belgio, Danimarca, Germania, Paesi
Bassi, Regno Unito e Norvegia, volte a “spostare” in avanti di circa un anno
la data di scadenza della copertura brevettuale (silenzio sull'AIC francese del
1987, comunicazione del 1988 come termine a quo senza chiarire che era
frutto di un'interpretazione “difensiva” di AZ). La Commissione ha
considerato che tali dichiarazioni rientravano nell’ambito di una strategia
globale volta ad estromettere i fabbricanti di prodotti generici dal mercato
ottenendo o mantenendo CPC per l’omeprazolo cui l’AZ non aveva diritto o
cui aveva diritto per una durata più limitata.
La Commissione ha distinto due fasi nella commissione di questo primo abuso, la
prima riguardante le dichiarazioni rese in occasione della trasmissione di istruzioni ai
consulenti in materia di brevetti, in data 7 giugno 1993, con l’intermediazione dei quali
sono state presentate domande di CPC in sette Stati membri, e la seconda relativa a
dichiarazioni emesse poi dinanzi a diversi uffici dei brevetti e giudici nazionali.
Regulatory gaming: il caso AstraZeneca
Il secondo abuso è invece consistito nella presentazione di domande di
revoca delle AIC delle capsule di Losec in Danimarca, Svezia e Norvegia,
contestualmente al ritiro dal mercato delle capsule di Losec e al lancio delle
compresse di Losec MUPS (“Multiple Unit Pellet System”; sistema di
compresse a microgranuli multipli) in questi tre paesi.
Secondo la Commissione tali operazioni miravano ad assicurare che i
produttori di omeprazolo generico non potessero accedere alla procedura di
registrazione abbreviata (ex dir. 65/65), e avevano pure la conseguenza che
gli importatori paralleli perdessero le loro licenze. La Commissione
contestava in particolare alle ricorrenti lo sfruttamento strategico del contesto
normativo al fine di tutelare artificialmente dalla concorrenza i prodotti che
non erano più protetti da un brevetto e per i quali era scaduto il periodo di
esclusiva dei dati.
Regulatory gaming: il caso AstraZeneca
Una nota più strettamente antitrust: nella decisione del caso un ruolo importante ha
avuto la definizione del mercato rilevante. Le imprese contestavano infatti la
posizione della Commissine, secondo cui il mercato era composto di una sola
categoria di medicinali, gli IPP, come il prodotto dell’AZ denominato Losec, e non
includeva altre categorie di medicinali utilizzati per il trattamento delle patologie
gastrointestinali connesse all’iperacidità come gli antagonisti dei ricettori dell’istamina
(“anti-H2”), che si limitano a bloccare uno degli stimolanti della pompa protonica e
agiscono quindi, a differenza degli IPP, soltanto indirettamente su quest’ultima.
I giudici UE hanno confermato tale ricostruzione, secondo cui gli anti-H2, nel periodo
di riferimento compreso tra il 1993 e il 2000, non avevano esercitato un vincolo
concorrenziale significativo sugli IPP. La Commissione aveva rilevato, in particolare,
(1) maggiore efficacia degli IPP, (2) utilizzo terapeutico differenziato degli IPP e degli
anti-H2, (3) movimento di sostituzione asimmetrica che ha caratterizzato la crescita
delle vendite degli IPP e correlativa diminuzione o ristagno delle vendite degli anti-H2,
(4) indicatori di prezzo, quali risultanti dal contesto normativo in vigore, nonché le
particolarità osservate in Germania e UK.
Regulatory gaming: il caso AstraZeneca
Valutazioni della CGUE sul primo abuso
“Il Tribunale ha stabilito che, tenuto conto dell’insieme delle prove documentali su cui la
Commissione si è basata per emettere la decisione controversa, tali considerazioni non
potevano essere messe in discussione dalle dichiarazioni delle ricorrenti a sostegno, in
particolare, della loro affermazione secondo la quale l’AZ avrebbe agito in buona fede. Secondo
il Tribunale, oltre al fatto che tali dichiarazioni, sotto certi profili, erano volte a corroborare la
fondatezza della decisione controversa, esse comunque non permettevano di ignorare la
notevole quantità di prove documentali, nonché il complesso dei fatti accertati che rafforzavano
in modo risolutivo le conclusioni cui era pervenuta la Commissione.” (CGUE, §67)
“Preliminarmente, si deve ricordare che, secondo costante giurisprudenza, la nozione
di «sfruttamento abusivo» è una nozione oggettiva che riguarda il comportamento
dell’impresa in posizione dominante atto ad influire sulla struttura di un mercato (…)
l’articolo 82 CE vieta a un’impresa in posizione dominante di eliminare un concorrente
e di rafforzare in tal modo la propria posizione, facendo ricorso a mezzi diversi da
quelli propri di una concorrenza basata sui meriti” (CGUE, §74-75).
Regulatory gaming: il caso AstraZeneca
“Pertanto, rilasciando presso tali uffici dei brevetti dichiarazioni ingannevoli, dissimulando
l’esistenza di detta autorizzazione tecnica francese e facendo loro deliberatamente credere che
la data del 21 marzo 1988 corrispondesse all’autorizzazione tecnica lussemburghese e che
quest’ultima costituisse la prima AIC nella Comunità, l’AZ ha scientemente accettato che questi
ultimi gli rilasciassero CPC che non avrebbero rilasciato se avessero conosciuto l’esistenza
dell’autorizzazione tecnica francese e che si sarebbero rivelati illegittimi nel caso in cui
l’interpretazione alternativa proposta dall’AZ non fosse stata condivisa dai giudici nazionali o
dalla Corte.” (CGUE, §96)
“Il terzo motivo da [AZ] sollevato torna a sostenere la tesi secondo la quale, dal
momento che un’impresa in posizione dominante ritiene, secondo un’interpretazione
giuridicamente difendibile, di poter rivendicare un diritto, essa può servirsi di qualsiasi
mezzo utile a farlo valere, ricorrendo addirittura a dichiarazioni fortemente ingannevoli
volte a indurre in errore le autorità pubbliche. Orbene, una tesi del genere è
manifestamente contraria alla nozione di concorrenza basata sui meriti e alla
responsabilità particolare che incombe a siffatta impresa di non compromettere, con il
suo comportamento, una concorrenza effettiva e non falsata nell’ambito dell’Unione.”
(CGUE, §98)
Regulatory gaming: il caso AstraZeneca
“Contrariamente a quanto fanno valere le ricorrenti, detto esame del Tribunale non si
basa affatto sul concetto secondo il quale la pratica di cui trattasi costituirebbe un
«abuso in sé», indipendentemente dal suo effetto anticoncorrenziale. Al contrario, il
Tribunale ha espressamente sottolineato, al punto 377 della sentenza impugnata, che
dichiarazioni volte ad ottenere irregolarmente diritti esclusivi costituiscono un abuso
solo quando sia dimostrato che, alla luce del contesto oggettivo nel quale vengono
rese, tali dichiarazioni sono realmente idonee a spingere le autorità pubbliche ad
accordare il diritto esclusivo richiesto.” (CGUE, §106)
Nota: l'abuso viene valutato per i suoi effetti, in linea con la giurisprudenza
assestatasi in materia di refusal to deal per bloccare le importazioni parallele (cfr.
caso Sot Lélos: CGUE, 16 settembre 2008, C-468/06-C-478/06).)
Regulatory gaming: il caso AstraZeneca
Valutazione della CGUE sul secondo abuso
“La revoca dell’AIC del medicinale originale aveva l’effetto di impedire che il richiedente di
un’AIC di un farmaco essenzialmente simile fosse esentato, in forza (…) della direttiva 65/65,
dal procedere a prove farmacologiche, tossicologiche e cliniche al fine di dimostrarne l’innocuità
e l’efficacia. Pertanto, nel caso di specie, benché la normativa non riconoscesse più all’AZ il
diritto esclusivo di sfruttare i risultati di tali prove, le esigenze rigorose legate alla salvaguardia
della sanità pubblica, che hanno guidato l’interpretazione della direttiva 65/65 da parte della
Corte, hanno permesso al gruppo di impedire o di rendere più difficile, tramite la revoca delle
sue AIC, ottenere AIC, in forza di detta procedura abbreviata, per medicinali essenzialmente
simili, cui tuttavia i produttori di farmaci generici avevano diritto (…)”
“(...) un tale comportamento diretto ad impedire ai fabbricanti di prodotti generici di far
valere il loro diritto di beneficiare dei risultati di dette prove non trovava alcun
fondamento nella protezione legittima di un investimento nell’ambito di una
concorrenza basata sui meriti.” (CGUE, §117)
Regulatory gaming: il caso AstraZeneca
“Le ricorrenti rilevano che il Tribunale ha interpretato in maniera erronea la nozione di
«concorrenza basata sui meriti» nel considerare che il semplice esercizio di un diritto conferito
dalla normativa dell’Unione era incompatibile con una tale concorrenza. Il diritto di chiedere la
revoca di un’AIC non può, secondo ogni logica, essere allo stesso tempo negato e concesso
dall’Unione. Esse sostengono in tale contesto che la normativa dell’Unione in materia
farmaceutica conferisce al detentore di un’AIC il diritto di chiederne la revoca, come quello di
non procedere al suo rinnovo al momento della scadenza (…)”
Preliminarmente si deve constatare che (…) l’elaborazione da parte di un’impresa, anche in
posizione dominante, di una strategia finalizzata a minimizzare l’erosione delle proprie vendite e
a porsi in condizione di far fronte alla concorrenza dei prodotti generici è legittima e rientra nel
gioco normale della concorrenza, a condizione che il comportamento pianificato non si discosti
dalle pratiche proprie di una concorrenza basata sui meriti, tale da andare a vantaggio dei
consumatori. Tuttavia, contrariamente a quanto fanno valere le ricorrenti, non rientra in tale
concorrenza un comportamento come quello censurato nel contesto del secondo abuso (...),
con cui l’AZ (...) intendeva ostacolare l’introduzione dei prodotti generici e le importazioni
parallele.” (CGUE, §130).
Regulatory gaming: il caso AstraZeneca
“Il Tribunale ha giustamente dichiarato (...) che la circostanza, invocata dalle
ricorrenti, secondo cui l’AZ, in forza della direttiva 65/65, aveva il diritto di chiedere la
revoca delle AIC per le capsule di Losec non può assolutamente sottrarre tale
comportamento al divieto previsto dall’articolo 82 CE. Infatti, come il Tribunale ha
sottolineato, l’illegittimità di un comportamento abusivo alla luce dell’articolo 82 CE
non ha alcuna relazione con la sua conformità o meno ad altre norme giuridiche, e gli
abusi di posizione dominante consistono, nella maggioranza dei casi, in
comportamenti peraltro legittimi alla luce di branche del diritto diverse dal diritto della
concorrenza. (…) Si deve ricordare, in tale contesto, che all’impresa che detiene una
posizione dominante incombe al riguardo una particolare responsabilità e che essa
non può, pertanto utilizzare procedure normative in modo da impedire o rendere più
difficile l’ingresso di concorrenti sul mercato, in assenza di motivi attinenti alla difesa
dei legittimi interessi di un’impresa impegnata in una concorrenza basata sui meriti o
in mancanza di giustificazioni oggettive.” (CGUE, §134).
Regulatory gaming: il caso AstraZeneca
“La possibilità fornita dalla direttiva 65/65 di chiedere la revoca dell’AIC non equivale
a un diritto di proprietà. Pertanto, il fatto che, tenuto conto della sua responsabilità
particolare, un’impresa in posizione dominante non possa ricorrere a tale possibilità in
modo da impedire o ostacolare l’accesso di concorrenti al mercato, a meno che essa
possa far valere, quale impresa che opera nell’ambito di una concorrenza basata sui
meriti, motivi attinenti alla difesa dei propri interessi legittimi o giustificazioni oggettive,
non costituisce né un’«espropriazione effettiva» di un tale diritto né un obbligo di
concedere una licenza, ma una semplice limitazione delle opzioni offerte dal diritto
dell’Unione. Orbene, la circostanza che l’esercizio di tali opzioni da parte di
un’impresa in posizione dominante sia limitato o condizionato al fine di assicurare che
non sia ulteriormente compromessa una concorrenza già indebolita dalla presenza di
una siffatta impresa, non è affatto eccezionale e non giustifica, contrariamente alla
limitazione del libero esercizio di un diritto esclusivo che sancisce la realizzazione di
un investimento o di una creazione, una deroga all’applicazione dell’articolo 82 CE.”
(CGUE, §149).
Regulatory gaming: il caso AstraZeneca
Una nota “industriale”: per tutelare le proprie rendite di mercato derivanti dal
Losec, AZ ha realizzato in grande stile una “me-again drug”, il Nexium,
sfruttando le possibilità della purificazione degli enantiomeri con la
definizione dell'esomeprazolo.
“Any doctor that prescribes Nexium should be ashamed of himself” (Thomas
Scully, direttore di Medicare e Medicaid, 2010).
Ma il problema, di nuovo, sta (anche) nella regolazione...
Regulatory gaming: il caso AstraZeneca
Il caso AstraZeneca ha determinato un'ondata di attenzione nei
confronti dei comportamenti abusivi posti in essere dalle imprese
farmaceutiche attraverso l'utilizzo strumentale di difese brevettuali,
con notevoli ricadute soprattutto nelle singole giurisdizioni nazionali.
Nel gennaio 2012 l'AGCM ha concluso l’istruttoria, avviata in seguito alla
segnalazione di un genericista, riguardante una serie di comportamenti
adottati da Pfizer – in particolare, la società capogruppo Pfizer, la società
titolare dei brevetti principale e divisionale Pfizer Health e la società italiana
del gruppo Pfizer Italia – giudicati restrittivi della concorrenza, in quanto volti
ad ostacolare l’ingresso dei genericisti sul mercato dei preparati per la cura
del glaucoma, equivalenti della specialità Xalatan a base di latanoprost.
Regulatory gaming: il caso Pfizer
Oggetto di indagine è stata una complessa strategia legale adottata al fine di
prolungare artatamente l’estensione della protezione brevettuale del principio
attivo latanoprost in Italia: la strategia, per l'AGCM, è risultata idonea a
raggiungere molteplici obiettivi escludenti, ossia rendere più oneroso per i
genericisti il costo effettivo di ingresso sul mercato, in termini di
programmazione e di efficacia, e ritardare di almeno sette mesi l’ingresso
delle specialità equivalenti di Xalatan sul mercato, mantenendo di fatto
l’esclusiva nella commercializzazione di farmaci a base di latanoprost, anche
successivamente al venir meno delle privative.
Secondo la ricostruzione dell'AGCM, le condotte di Pfizer avrebbero
comportato una perdita/mancato risparmio per il SSN stimabile fino a circa
14 milioni di euro.
Regulatory gaming: il caso Pfizer
La vicenda ha origine nella richiesta di brevetto principale avanzata allo European
Patent Office (“EPO”) nel 1989 e ottenuta nel 1994 (in realtà in maniera definitiva solo
nel 2004, a seguito dell’opposizione presentata da alcuni concorrenti) dalla società
Pharmacia, acquisita dalla Pfizer nel 2003, su una classe di derivati di prostaglandine
per il trattamento del glaucoma oculare, comprendente anche il principio attivo
latanoprost. La protezione ventennale, prevista a decorrere dalla data di deposito
della domanda, poneva la scadenza del brevetto principale al 6 settembre 2009.
La normativa prevede la possibilità di ottenere anche la protezione di un brevetto
divisionale collegato al brevetto principale, di cui ne costituisca una specificazione e
che si riferisca ad invenzioni separabili o distinte, non estendendosi però ad elementi
non ricompresi nel testo della domanda iniziale depositata (Convenzione sul brevetto
europeo, art. 76). Tale tipo di protezione può essere tipicamente richiesta per un
nuovo uso terapeutico di un farmaco già in commercio. Inoltre, nel caso di specialità
medicinali, è attribuita all’inventore del farmaco la possibilità di ottenere un CPC, che,
in base all’art. 7 del Regolamento n. 1768/92, deve essere richiesto entro sei mesi
dalla data del rilascio dell’AIC.
Regulatory gaming: il caso Pfizer
Come consentito dalla regolamentazione in materia, Pharmacia presentava nel 1997
le richieste di CPC in tutti i Paesi europei, ad eccezione dell’Italia: di conseguenza,
mentre negli altri Stati il CPC consentiva l’estensione della protezione brevettuale fino
al luglio del 2011, in Italia essa rimaneva in vigore solo fino al settembre 2009.
Inoltre, nel 2002, quando il processo di acquisizione da parte di Pfizer era già iniziato,
Pharmacia avanzava una richiesta di brevetto divisionale contenente alcune
rivendicazioni relative anche al principio attivo latanoprost. L’istruttoria da parte
dell’EPO si dimostrava particolarmente complessa e, dopo la richiesta di alcune
modifiche alla domanda divisionale, si concludeva ben sette anni dopo (gennaio
2009), con il rilascio del brevetto divisionale, la cui scadenza è vincolata a quella del
brevetto principale.
Regulatory gaming: il caso Pfizer
I successivi passaggi attuati da Pfizer portavano all’attivazione della procedura di
validazione del brevetto divisionale esclusivamente in Italia e alla concessione, nel
giugno 2009, del CPC richiesto all’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (Uibm) sul
brevetto divisionale ottenuto pochi mesi prima, protraendo la scadenza brevettuale
del farmaco Xalatan fino al luglio 2011 anche sul territorio italiano.
Tale situazione aveva creato grande incertezza tra i genericisti, in particolare per due
imprese che, in previsione della originaria scadenza brevettuale prevista per l’Italia,
avevano iniziato nel 2007 a programmare il proprio ingresso sul mercato. Dal canto
suo, Pfizer procedeva ad inviare loro lettere di diffida all’immissione in commercio di
propri farmaci a base di latanoprost prima della nuova scadenza brevettuale. Il
complesso contenzioso che ne deriva ha inizio con le prime azioni giudiziarie
intentate dai genericisti contro Pfizer al fine di ottenere la dichiarazione di nullità del
brevetto divisionale concesso dall’EPO, della porzione italiana dello stesso e del
relativo CPC ottenuti dall’Uibm.
Regulatory gaming: il caso Pfizer
Nell’ottobre 2010, l’EPO accoglieva i ricorsi presentati da diverse società
farmaceutiche e revocava il brevetto divisionale – il che comporta il venir meno anche
del relativo CPC – per aggiunta di nuova materia rispetto al brevetto principale:
l’efficacia di tale pronuncia è attualmente sospesa, a seguito del ricorso presentato da
Pfizer. Nel frattempo, nel maggio 2010 Ratiopharm e Sifi, a seguito del rilascio
dell’AIC da parte di AIFA, ottenevano l’inserimento dei propri farmaci a base di
latanoprost in lista di trasparenza (con conseguente abbattimento dei prezzi a favore
del SSN).
Pfizer rispondeva esercitando pressioni sul regolatore e instaurando procedimenti
giudiziari davanti al giudice ordinario e al giudice amministrativo, tra cui un giudizio
per contraffazione presso il Tribunale di Milano, anche questo tuttora pendente.
Infine, in pendenza del procedimento istruttorio dell’Agcm, Pfizer otteneva un’ulteriore
estensione (non solo in Italia) della protezione brevettuale per la sperimentazione
pediatrica del farmaco Xalatan fino al gennaio 2012.
Regulatory gaming: il caso Pfizer
L'AGCM ha ricondotto le condotte di Pfizer a un’unica strategia escludente, volta a
creare una “giungla brevettuale” tale da determinare uno stato di incertezza giuridica
per bloccare la commercializzazione dei medicinali equivalenti a base di latanoprost.
Elementi costitutivi di tale strategia sono l’artificiosa estensione della protezione
brevettuale di Xalatan in Italia oltre la scadenza del brevetto principale e l’utilizzo
strumentale della litigation giudiziaria, quali pratiche estranee alla concorrenza basata
sui meriti.
Analogamente alle procedure amministrative, la litigation giudiziale che ne è scaturita
rappresenta uno degli elementi costitutivi della strategia concepita da Pfizer: la responsabilità
dell’avvio di diversi conteziosi non può essere attribuita ai genericisti, i quali hanno intrapreso
azioni legali solo in seguito alle ripetute diffide alla commercializzazione dei farmaci equivalenti
da parte dell’impresa dominante, che è riuscita con la propria condotta (comprensiva, tra l’altro,
di azioni di pressione sull’Aifa al fine di impedire il rilascio ai genericisti delle Aic e,
successivamente, il loro inserimento in lista di trasparenza, oltre alla richiesta di ingenti
risarcimenti del danno) a rendere più tardive ed onerose l’introduzione delle suddette specialità
e la permanenza e lo sviluppo dell’offerta di tali produttori sul mercato.
Regulatory gaming: il caso Pfizer
La decisione dell'AGCM, dopo un primo annullamento da parte del
TAR Lazio, è stata di recente confermata dal Consiglio di Stato con
una sentenza che, sull'onda di quanto già rilevato dalla CGUE nel
caso AstraZeneca, cala però la considerazione giuridica del caso in
un quadro concettuale tipicamente (e utilmente) nazionale:
Secondo il CdS (sent. n. 693 del 12 febbraio 2014, Agcm c. Pfizer)
l'abuso di posizione dominante è riconducibile alla categoria
dell'abuso di diritto, che, “lungi dal supporre una violazione in senso
formale, comporta l’utilizzazione alterata dello schema formale del
diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi
rispetto a quelli indicati dal legislatore”.
Regulatory gaming: il caso Pfizer
Grazie
per l'attenzione
http://sssup.academia.edu/LucaArnaudo
Giocare con la regolazione e regulatory gaming: esempi dal settore farmaceutico