Regole e implicazioni giuridiche della produzione e del consumo di cibo locale

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STUDI IN ONORE DI LUIGI COSTATO VOLUME TERZO I MULTIFORMI PROFILI DEL PENSIERO GIURIDICO ESTRATTO Jovene editore 2014

Transcript of Regole e implicazioni giuridiche della produzione e del consumo di cibo locale

STUDI IN ONORE DI

LUIGI COSTATO

VOLUME TERZO

I MULTIFORMI PROFILI DEL PENSIERO GIURIDICO

ESTRATTO

Jovene editore

2014

COMITATO PROMOTORE

Pasquale Nappi - Giulio Sgarbanti - Paolo Borghi Luigi Russo - Cristiana Fioravanti - Chiara Agostini Silvia Manservisi - Marco Borraccetti - Sebastiano Rizzioli

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Silvia Manservisi

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Printed in Italy Stampato in Italia

ELEONORA SIRSI

REGOLE E IMPLICAZIONI GIURIDICHE DELLA PRODUZIONE E DEL CONSUMO DI CIBO LOCALE

SOMMARIO: 1. Di cosa parliamo quando parliamo di cibo locale. – 2. Il problema della definizionegiuridica del cibo locale e il public procurement. – 3. Cibo locale ed educazione alimentare. –4. Il cibo «regionale». – 5. Gli ambiti normativi fra deroghe e promozione: dalla sicurezzaigienico-sanitaria alle varietà locali. – 6. Una breve conclusione.

1. Di cosa parliamo quando parliamo di cibo locale

La ricognizione dei profili giuridici del cibo «locale»1 è legata alla affermazione,in Europa e al di là di essa2, di una delle tendenze del consumo di alimenti. Il rico-noscimento degli impatti del modello industriale di produzione e consumo alimentaree la consapevolezza delle necessità nutrizionali di una popolazione mondiale in con-tinua crescita spingono alla ricerca di modelli alternativi e «sostenibili» fra i quali sicolloca anche quello della preferenza per i prodotti alimentari ottenuti nello stessoluogo o territorio del consumo3. Ragioni particolari di questa tendenza vengono in-dividuate con riferimento sia ad esigenze di maggiore sicurezza sanitaria4, nutrizionale

1 Per alcune stimolanti notazioni su alcune dinamiche della «delocalizzazione» dei prodotti «locali»vedi LUIGI COSTATO, Delocalizzazione e produzione alimentare, editoriale del primo numero del 2014 dellaRivista di diritto alimentare.

2 Sull’importanza assunta dal consumo di prodotti locali in Europa vedi i dati riportati nel Docu-mento di lavoro dei servizi della Commissione (SWD(2013)501 final), 10 ss. che accompagna la Relazionedella Commissione sull’opportunità di istituire un regime di etichettatura relativo all’agricoltura locale ealla vendita diretta (v. infra) (COM(2013)866 final).

Sulla crescita dei movimenti «eat locally» vedi, fra gli altri, B.P. DENNING, S. GRAFF - H. WOOTEN,Law to require purchase of locally grown food and constitutional limits on state and local government:sug-gestion for policymakers and advocates, in Journal of Agriculture, Food systems, and Community Develop-ment, 2010 (www.AgDevJournal.com).

3 Una posizione critica verso la tendenza espressa, nei paesi anglosassoni e in particolare in USA,con il neologismo «locavore», è quella espressa da P. Desrochers e H.Shimizu in The locavore’s dilemma:In Praise of the 10,000-Mile Diet, NY 2012.

4 Sull’aspetto della sicurezza igienico-sanitaria occorre tenere conto, come si dirà, della tendenzadel legislatore, non solo europeo, all’«ammorbidimento» delle, quando non all’esenzione dalle, regole disicurezza igienico-sanitaria applicate alla produzione alimentare «industriale» (vedi infra). I sistemi dicontrollo, nel caso delle produzioni locali, sarebbero quindi più di tipo informale, legati ad una sorta di«controllo sociale» che ha ragione di operare in ambiti ristretti. Per una considerazione di questo comedi altri aspetti della produzione e consumo di alimenti in ambito locale vedi il rapporto del JRC, Shortfood supply chians and local food systems in the EU. A state of play of their socio-economic characteristics,(a cura di F. Santini, S. Gomez y Paloma, autori M. KNEAFSEY, L. VENN, U. SCHMUTZ, B. BALÁZS, L. TREN-CHARD, T. EYDEN-WOOD, E. BOS, G. SUTTON, M.BLACKETT, 27 ss.

Per un’analisi delle regole dell’informazione legate alla sicurezza degli alimenti con riferimento alledifferenze fra prodotti preimballati e non che emergono nel reg. 1169/2011/UE relativo alla fornitura diinformazioni sugli alimenti ai consumatori e che consentono ad una forse eccessiva diminuzione dei con-tenuti informativi relativi alla salute nel caso dei prodotti commercializzati nei circuiti locali vedi per tuttiA. IANNARELLI, La fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori nel nuovo regolamento n.

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e di gusto (cibi meno manipolati, più freschi quindi con maggiore quantità/qualità dinutrienti, più gustosi) sia a istanze di protezione dell’ambiente5 (ridotta quantità diemissioni da trasporto) sia a motivi di supporto dei sistemi economici territoriali e del-le piccole imprese contadine e a ragioni di «riconoscimento» culturale e valorizzazionedei legami sociali, ma il fenomeno ha assunto, se misurato in termini di innovazionedelle pratiche sociali e delle forme organizzative di produttori e consumatori6, e va-lutato tenendo conto delle dinamiche del mercato globale7 e delle politiche adottatedai governi8, un rilievo che ha meritato un’indagine, soprattutto storico-sociologicama ormai anche giuridica, che conta su più voci.

Dopo qualche preliminare considerazione sul significato che l’espressione è ve-nuta assumendo nel contesto del mercato nazionale ed europeo e come oggetto dellepolitiche agricole e dell’alimentazione, si individueranno i principali contesti normativinei quali il cibo locale, chi lo produce e chi lo consuma vengono presi in considera-zione a fini regolativi e promozionali evidenziando alcune implicazioni dell’attuazionedi singoli provvedimenti nell’attuale contesto giuridico caratterizzato dalla pluralitàdei centri di produzione normativa.

Per l’aggettivo «locale» i primi lessicografi non avevano difficoltà a registrare,per prima, un’accezione negativa nel senso della limitatezza degli orizzonti, dell’inca-pacità di guardare oltre9: una visione che, ai giorni nostri, potrebbe essere tradottanell’accusa di particolarismo economico e di chiusura di carattere autarchico10 per co-loro che, rifiutando l’universalismo economicista come frutto deteriore della globa-lizzazione, non avvertono il rischio di impedire l’apertura al dialogo tra culture e lo

1169/11 tra l’onnicomprensività dell’approccio e l’articolazione delle tecniche performative, in Riv. dir. agr.2012, 43 ss.; I. CANFORA, Informazioni a tutela della salute e conformazione del contenuto negoziale tra di-ritto europeo e diritti nazionali, in corso di pubblicazione, in Riv. dir. agr., 2014.

5 L’ambiente e l’ambientalismo rappresentano con evidenza un ambito di elezione per l’espressionedi istanze «localiste», pur nella consapevolezza del rilievo globale di molte delle questioni ambientali: frai molti vedi P. GISFREDI, Ambiente e sviluppo. Analisi di una controversia irriducibile, Milano 2002, 80 ss.

6 Sul tema, fra gli altri, A. CALORI, Coltivare la città: giro del mondo in dieci progetti di filiera corta,Milano 2009.

7 Sulle dinamiche «glocal» si è stratificata una bibliografia imponente: mi limito a citare, anche peri richiami bibliografici, C.CERTOMÀ, Being locally global’: power-geometries in post-global space (Draft versionof the presentation for the conference «Challenging Globalisation», Royal Holloway University of London, 2-4 September 2009) disponibile in http://www.sifp.it/articoli-libri-e-interviste-articles-books-and-interviews.

8 Cfr. JRC, Short food supply, cit., 41 ss.9 Come emerge dalla ricerca sulle cinque edizioni del Vocabolario degli Accademici a partire da quel-

la del 1612, fino all’ultima 1863-1923: http://www.accademiadellacrusca.it/it/scaffali-digitali/crusche-rete10 La politica incitava al consumo del cibo locale fra le due guerre: vedi in

http://modernfarmer.com/ T. LEBLANC, When eating locally won word war I. Sull’alimentazione in Italianel periodo autarchico vedi fra i molti, P. SORCINELLI, Per una storia sociale dell’alimentazione. Dalla po-lenta ai crackers, in Annali della Storia d’Italia, n. 13 L’alimentazione, a cura di A. Capatti, A. De Bernardi,A. Varni, Torino 1998, 481 ss.

Una accezione negativa del concetto di prodotti locali si può riscontrare nelle inchieste sulle cam-pagne italiane di fine ottocento (l’inchiesta parlamentare Jacini fra le più note) e sullo stile di vita alimen-tare nella metà degli anni cinquanta (nel 1954, l’inchiesta alimentare svolta dall’INRAN (allora INN)presso una comunità agricola dell’Italia meridionale, Rofrano (SA), concludeva in questo modo:

«Nella situazione attuale la popolazione è costretta a vivere in gran parte con i soli prodotti localie ciò caratterizza anche la povertà e l’uniformità dei consumi alimentari che, come è stato rilevato dal-l’inchiesta svolta, influiscono negativamente sulle condizioni di sviluppo degli abitanti. Provvedimentiper elevare i consumi alimentari sono stati già attuati […]»: http://nut.entecra.it/files/download/NEWS/newsletter_150_2.pdf).

spirito di integrazione in una logica – anch’essa connaturata alla globalizzazione –eminentemente plurale11.

Quanto al significato in senso stretto, l’attributo «locale» è sempre servito a de-signare tutto ciò che è legato ad un luogo inteso in senso fisico-spaziale e, in ambitoagricolo e alimentare, ha a lungo – ovvero fino all’affermarsi del modello industrialedi agricoltura e all’ampliamento dei mercati – rappresentato la dimensione prevalentedella produzione e dello scambio.

A designare, in epoca più tarda, una relazione con i luoghi di tipo prevalentemen-te qualitativo è piuttosto l’aggettivo «tipico» la cui etimologia rimanda non al topos –omologo greco del locus latino – ma piuttosto al typos (impronta), indicando la carat-terizzazione dell’oggetto – nel nostro caso dei prodotti agricoli e alimentari – legata allapresenza di una serie determinata di qualità – riproducibili in ragione della fedeltà adun disciplinare e che traducono una particolare inerenza ad un territorio (l’improntadel territorio), inteso nei caratteri fisico-naturali e culturali – non riproducibili altrove.A questa relazione speciale fra prodotto e territorio si riferiscono gli interventi norma-tivi che, a partire dagli anni ’90 in Europa, e ancor prima in alcuni Stati europei fra iquali l’Italia, hanno disciplinato le denominazioni d’origine e le indicazioni geograficheprotette come segni distintivi e strumenti della comunicazione volti prevalentemente adifferenziare e valorizzare i prodotti – proteggendo i redditi degli agricoltori e salva-guardando l’economia di territori talvolta marginali – in un mercato che si estendevae si faceva più competitivo, in ragione, più che della mera «provenienza» da un luogo,della sua «origine»: termine il cui significato si è venuto precisando, nella lettera delledisposizioni e nel pensiero degli interpreti12, come indicativo delle caratteristiche con-ferite ai prodotti agroalimentari da una terra, da un clima, da alcune pratiche tradizio-nali. Questi segni distintivi hanno a lungo rappresentato la principale, se non esclusiva,possibilità di emersione legittima del luogo di produzione come elemento caratteriz-zante il prodotto agricolo e alimentare in una Comunità europea «costituzionalmente»sospettosa verso tutte le forme di caratterizzazione qualitativa con riferimento al luogodi produzione delle merci siccome idonee, nella loro natura intimamente protezionista,a minare la costruzione del mercato unico. Tale atteggiamento, espresso in modo em-blematico dalla nota vicenda dei marchi regionali e dei marchi collettivi territoriali, ap-pare (non da oggi) in via di parziale superamento in virtù: dell’affermazione di unatendenza normativa di apertura alla considerazione del luogo di provenienza delle ma-terie prime13 con riferimento a talune produzioni (carne, olio d’oliva, latte, pesce); sullascorta del maggiore rilievo attribuito alla informazione del consumatore intesa anchecome strumento di partecipazione politica – significativa appare a questo proposito, alnetto delle ambivalenze che continuano a caratterizzare questo tema14, la regolazionedel tema dell’«origine» nel reg.1169/2011/UE relativo alla fornitura di informazioni su-gli alimenti ai consumatori (in part. Artt. 2.2 lett. g) e 26)15 –; ad esito di un confronto

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11 S. LATOUCHE, La scommessa della decrescita, Milano, 2007.12 Vedi per tutti F. ALBISINNI, Le norme sull’etichettatura dei prodotti alimentari, in Trattato breve

di diritto agrario italiano e comunitario, Padova, 2003, 631 ss.13 F. ALBISINNI, op. ult. cit.14 F. ALBISINNI, La vendita diretta dei prodotti agricoli, in Trattato di diritto agrario, cit., vol.1, Il Di-

ritto agrario: circolazione e tutela dei diritti, UTET, 2011, 263 ss.15 F. ALBISINNI, La comunicazione al consumatore di alimenti, le disposizioni nazionali e l’origine dei

prodotti, in Riv. dir. agr. 2012, I, 66 ss.

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«costruttivo» fra Commissione e Stati con riferimento ai marchi collettivi «di qualitàdi origine» a norma dell’art. 32(par. 1 lettera b) del reg.1698/2005/CE sul sostegno allosviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR)16

relativo ai sistemi di qualità alimentare riconosciuti dagli Stati membri17 (vedi infra).La più recente diffusione del qualificativo «locale» per i prodotti agro-alimentari

si presenta con caratteri specifici rispetto alle esperienze indicate sia perché esso ap-pare espressione, al pari del più generico e ampio concetto di «prossimità» geografi-ca18, piuttosto che di una qualità derivante da un luogo, di una relazione spaziale frasoggetti economici – produttore e consumatore –, sia in ragione della densità di signi-ficato che il luogo e gli aggettivi derivati appaiono idonei ad evocare, al punto che sipuò oggi riconoscere all’attributo «locale» per i prodotti agricoli alimentari il ruolo dicatalizzatore di istanze disparate che chiamano in causa, accanto alle esigenze di tuteladei redditi e dei territori, ragioni di rilevanza generale e direi globale, come la tutela

16 Il reg. 1305/2013/UE sul sostegno allo sviluppo rurale, che ha abrogato il reg. 1698/2005/CE,disciplina i regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari riconosciuti dagli Stati membri nell’art. 16c. 1, lettere b) e c).

17 Si veda in proposito, da ultima, la vicenda del marchio collettivo comunitario con indicazioned’origine «Prodotti di Qualità Puglia» conclusa con la pubblicazione, nel Bollettino Ufficiale della Re-gione Puglia n. 138 del 25 settembre 2012, dello schema di convenzione per la concessione d’uso delmarchio e dell’elenco regionale degli organismi di controllo (con Determinazione del DSA del 12 settem-bre 2012, n. 97).

La storia ha avuto inizio nel 2009 con l’approvazione del marchio «Prodotti di Puglia» (DGR del09/06/2009, n. 960) e i successivi provvedimenti di attuazione.

Nel settembre del 2011 il Dipartimento per le Politiche europee della Presidenza del Consiglio deiMinistri informava la Regione Puglia della ricezione di una richiesta di informazioni della CommissioneEuropea la quale, avendo rilevato profili di possibile contrasto con l’art. 34 TFUE nell’uso di tale marchiodi qualità in ragione delle limitazioni ai possibili utilizzatori del marchio medesimo, invitava le autoritàpreposte «ad adottare le misure necessarie per rendere l’utilizzazione dell’etichetta/marchio comunitario«Prodotti di Puglia» compatibili con tale disposizione e a comunicare ai Servizi della Commissione le mi-sure adottate.

La Regione Puglia ha provveduto agli emendamenti ed alle integrazioni opportune del regolamentod’uso del marchio al fine di assicurare la piena corrispondenza e conformità alla disciplina europea e nelfebbraio del 2012 ha trasmesso il nuovo regolamento d’uso del Marchio e il logo con le modifiche ap-portate tenendo conto delle osservazioni della Commissione europea di modo che già nell’aprile succes-sivo è giunta la dichiarazione dei Servizi della Commissione che «le modifiche apportate rispondono allerichieste formulate in merito all’utilizzo del marchio «Prodotti di Qualità Puglia».

Il nuovo regolamento d’uso del marchio «Prodotti di Qualità Puglia», approvato con DGR del 5giugno 2012 n. 1076 e notificato all’UAMI l’11 giugno 2012, prevede espressamente:

– Norme vincolanti e specifiche di produzione tali da garantire una qualità del prodotto finale si-gnificativamente superiore alle norme commerciali correnti e a quelle generali istituiti dalla legislazioneeuropea o nazionale;

– Schede tecniche di prodotto (disciplinari di produzione) vincolanti il cui rispetto è verificato daorganismi indipendenti;

– Concessione d’uso aperta a tutti i produttori dell’Unione Europea;– Tracciabilità completa dei prodotti;– Sbocchi di mercato attuali o prevedibili.18 Per una ricognizione del concetto di «prossimità» in termini di categoria funzionale all’analisi

delle questioni ambientali e sulla distinzione fra prossimità geografica e prossimità organizzata (relazio-nale) vedi A. TORRE e B. ZUINDEAU, Proximité et environment (Editorial Dossier 7), in Développement du-rable § territoires 2006, http://developpementdurable.revues.org/2735; ID., Les apports de l’économie de laproximité aux approches environnementales: inventaire et perspectives, in Natures Sciences Sociétés 2009,17, 349 ss. Sulle dimensioni della prossimità in ambito alimentare (geografica, sociale, economica) e spe-cificamente con riferimento al concetto di filiera corta (vedi infra) vedi G. BRUNORI - F. BARTOLINI, La fi-liera corta: le opportunità offerte dalla nuova PAC, in Agriregionieuropa 2013, n. 35.

dell’ambiente e la sovranità alimentare, ed anche la capacità di tradurre nuove con-sapevolezze sul ruolo delle comunità e dei legami sociali: questioni che richiedono aisoggetti economici – produttori e consumatori – una assunzione di responsabilità ver-so i beni comuni. In questo senso il riferimento al «locale» non si limiterebbe ad unqualificativo idoneo a differenziare un prodotto sul mercato nella società dell’ipercon-sumo – una società in cui, nella visione di Lipovetsky19, le inevitabili trasformazionidei modi di produzione (con riferimento all’impiego di energia e alle sue fonti, allariduzione delle emissioni di anidride carbonica, alla gestione dei rifiuti e al loro riciclo)producono un effetto limitato al cambiamento degli oggetti di consumo ma non delmodo del consumo – ma rappresenterebbe uno degli elementi per la costruzione diun «altro modo di consumare» oltre che di produrre.

Nel contesto indicato il qualificativo locale per gli alimenti si carica quindi di unvalore simbolico al di là del riferimento alla provenienza fisica, e concorre con altriqualificativi a segnalare al consumatore di alimenti circuiti alternativi di produzionee vendita. Quanto al primo profilo, ciò che è locale, e nello specifico l’alimento, vieneinevitabilmente considerato in relazione a ciò che appare il suo opposto nella visionesociologica applicata alla produzione e al consumo di alimenti, ovvero il «globale» conil corredo di immagini che esso si porta dietro, ovvero: l‘indifferenziato e l’uniforme,la strumentalità alle esigenze della grande industria da cui proviene – fra queste la de-localizzazione – e del grande (globale) mercato a cui è destinato; l’etero-imposizionedei gusti; la comunicazione attraverso i grandi media con il ricorso agli strumenti dellapersuasione. Il locale offre un immaginario – si potrebbe dire una narrazione – diversae che si auto-qualifica, appunto, come all’opposto di ciò che è globale: caratteristico;prodotto dalla piccola impresa agricola o meglio da un soggetto-persona individuabile;scelto da un consumatore consapevole delle esigenze proprie – di sicurezza e affida-bilità –, di quelle della comunità prossima e dell’intera umanità, sulla base di un dia-logo diretto con il produttore e/o di una condivisione di esperienze nella comunitàreale. Alla dimensione locale vengono anche collegati – nella percezione dei consuma-tori e nella comunicazione – modi di produzione sostenibili per l’ambiente e connotatieticamente ed anche una maggiore possibilità di gestione dei rischi sanitari derivantidagli alimenti rispetto alla grande industria alla quale sono associate, soprattutto in al-cuni settori come quello zootecnico, le più recenti pandemie alimentari20.

Quanto al secondo profilo si deve osservare che, insieme alla diffusione dell’in-teresse per il cibo locale – una diffusione che, come già detto, non si ferma alla realtànazionale come dimostrato dalla presenza del movimento buy local in molti Paesi, eu-ropei ed extraeuropei – si assiste all’affermazione di altri qualificativi, espressioni diesigenze non dissimili e accomunati dalla critica al modello alimentare e di sviluppoprevalente, fra i quali il «chilometro zero»21 e la «filiera corta», e di forme alternativedi produzione e consumo come l’agricoltura sostenuta dalla comunità locale (CSA)22,

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19 G. LIPOVETSKY, Una felicità paradossale. Sulla società dell’iperconsumo, Milano, 2007.20 G. BRUNORI, Pandemie e sistemi agro-alimentari nel rapporto tra locale e globale: nuove sfide e

nuovi dilemmi, in Regole delle produzioni locali e mercato globale, III Giornata sulla Sicurezza alimentare,a cura di E. Cristiani, E. Sirsi, G. Strambi, Pisa, 2010, 15 ss.

21 Sugli alimenti «a chilometri zero» vedi, tra gli altri, C. LOSAVIO, I prodotti «a chilometri zero»nelle leggi regionali, in Agricoltura, Istituzioni, Mercati, 2011, 3, 93 ss.

22 V. D. MARINO e ALTRI, Esperienze di filiera corta in contesti urbani. Alcuni casi studio, in Agrire-gionieuropa, n. 32, 2013.

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anche urbana23, e i Gruppi di acquisto solidale (GAS) (vedi infra). Schemi e sistemiche si relazionano a loro volta e tutti insieme con i più strutturati segni della qualitàcome l’agricoltura biologica e/o integrata e che devono coesistere con qualificativi in-gombranti come quelli che richiamano la «tradizione»24. Per taluni di questi fenomenisi è manifestato l’interesse del legislatore ai vari livelli ordinamentali pur mancando,a tutt’oggi, uno sforzo complessivo di sistematizzazione al fine di evitare sovrapposi-zioni e di scongiurare il pericolo di un disorientamento del consumatore25.

È utile ricordare, al termine di questa breve ricognizione dei significati e degliaspetti che concorrono a definire il tema del cibo «locale», che lo stesso qualificativodesigna una serie di entità che hanno rilievo, a vario titolo, nella considerazione delleregole del cibo. Locale è attributo che qualifica in primo luogo gli enti cui la Costi-tuzione attribuisce la competenza su una parte importante delle questioni che riguar-dano la produzione e il consumo di alimenti, e locali sono le comunità che, al di làdei recinti amministrativi, coltivano «l’anima del luogo» e preservano le culture locali,e che dovrebbero essere le vere protagoniste della democrazia partecipativa che siesprime anche in ambito agro-alimentare: enti locali e comunità possono essere con-siderati gli attori più significativi della nuova governance locale. Locali sono le varietàvegetali tutelate nell’ottica prevalente della tutela della agro-biodiversità e della pro-mozione della sovranità alimentare e anche con riferimento alla tutela dei redditi degliagricoltori nelle zone non vocate alle coltivazioni intensive al livello europeo e regio-nale: in una visione di «deep localism» dovrebbero rappresentare una componente es-senziale e qualificante del cibo locale.

23 L’agricoltura urbana rappresenta una delle esperienze più interessanti, per l’analisi sociologica,degli ultimi anni in ragione delle nuove dinamiche fra città e campagna, ovvero fra città e produzioneagricola: vedi fra gli altri il numero 98/ 2012 di Sociologia urbana e rurale a cura di M. BERGAMASCHI;D. TOCCACELI, I nuovi rapporti tra città e campagna: anello di congiunzione delle politiche territoriali?,in Agriregionieuropa n. 20, 2010; OCSE, Rural Polixy Reviews, Rural-Urban Partnerships. An integratedapproach to economic development, 2013; sotto il profilo del rilievo istituzionale vedi L. IZQUIERDO - M.DE LAS NIVES, Il ruolo dell’agricoltura urbana nelle relazioni fra istituzioni e cittadini nell’Europa con-temporanea, in Politica e territori nel mondo contemporaneo, a cura di M. Malatesta, D. Rigato, V. Cap-pi, Bologna, 2014, disponibile sul sito http://www.storia-culture-civilta.unibo.it; per una analisi del«controesodo» del ventunesimo secolo che aiuta a comprendere alcuni caratteri della trasformazionedella relazione fra città e campagna vedi i due numeri di Scienze del territorio (organo della Società deiterritorialisti/e), n. 1 del 2013 e n. 2 del 2014, intitolati al Ritorno alla terra; per una esperienza con-creta e organizzata vedi F. DI IACOVO, G. BRUNORI - S. INNOCENTI, Le strategie urbane:il piano del cibo,in Agriregionieuropa 2013, n. 32. Sul tema dell’agricoltura urbana e periurbana e della pianificazionealimentare è attiva in Italia una rete di ricercatori i cui contributi sono in parte visibili in http://agri-regionieuropa.univpm.it. Per uno sguardo dal punto di vista giuridico vedi F. ADORNATO, Contratti emercati di prossimità e di territorio dei prodotti agro-alimentari, in Riv.dir.alim. 2013, n. 1, 15 ss. main particolare 21 ss.; ID., L’agricoltura urbana, Editoriale del fascicolo 1 del 2012 di Agricoltura Istitu-zioni Mercati, 5 ss.

24 Sui prodotti alimentari tradizionali vedi fra gli altri, G. STRAMBI, I prodotti tradizionali e la politicadi qualità dell’Unione europea, in Riv. dir alim., n. 1 2010; ID., I prodotti tradizionali e le regole della si-curezza alimentare, in Regole delle produzioni locali e mercato globale, cit., 123 ss.

25 Una situazione di «disordine normativo» più volte rilevata nell’ambito della comunicazione com-merciale che utilizza il richiamo dei «luoghi» e sulla quale mi limito a richiamare, per tutti, A. DI LAURO,Il territorio nella comunicazione commerciale, in Regole delle produzioni locali e mercato globale cit., 31ss. e A. ALABRESE, L’immagine del territorio nella comunicazione commerciale dei prodotti agro-alimentari,in Riv. dir. agr., 2004, I, 30 ss.

3. Il problema della definizione giuridica del cibo locale e il public procurement

A fronte di una presenza significativa nella società dei consumi, il cibo locale nongode di uno statuto giuridico. Ad impedirlo è l’assenza di una definizione in corri-spondenza con i – pur rari – riferimenti normativi diretti ed espliciti, ma anche la as-sociazione e la concorrenza con altri qualificativi del prodotto che in taluni casicondividono, in altri suggeriscono, oppure presuppongono, lo stesso insieme di im-magini e principi che, come si è detto, sostanziano oggi il ricorso al qualificativo localeper i prodotti alimentari26. Il risultato è un’impossibilità di messa a fuoco che potrebbedanneggiare gli interessi da tutelare, legati ad un rafforzamento della relazione fra pro-duzione e consumo in ambito locale.

A sottolineare un’esigenza di chiarimento è stato, in modo inequivoco, il Comi-tato delle Regioni (2011/C 104/01) che – nel promuovere i «sistemi agroalimentari lo-cali» dei quali ha sottolineato i benefici economici, sociali ed ambientali – ha chiestoalla Commissione l’elaborazione di una definizione comune di «prodotto agroalimen-tare locale» suggerendo una serie di elementi distintivi, difficilmente traducibili in unadefinizione legale ma rappresentativi del contenuto che oggi si riconosce a questo ter-mine, fra i quali: la produzione al livello locale/regionale; una relazione con la strategiadi sviluppo rurale locale/regionale; la vendita al consumatore «attraverso una «filierapiù corta possibile» oltre che ragionevole ed efficiente, che non comporti nessun altropassaggio oltre a: a) il produttore o l’associazione di produttori locali; b) la parte o lacooperativa di parti responsabili di far combaciare offerta e domanda e c) il consuma-tore; la vendita nel «negozio al dettaglio o in un mercato all’aperto locale sulla basedi un contratto locale», ma non a una centrale d’acquisto delle imprese di distribuzio-ne al minuto se accompagnato da una etichetta di prodotto locale; la presentazione aiconsumatori «con uno o più argomenti di vendita specifici (specific selling points), qua-li il gusto, la freschezza, l’alta qualità, motivazioni culturali, tradizione locale, specialitàlocale, garanzia del benessere animale, valore ambientale, aspetti relativi alla salute oa condizioni di produzione sostenibile»; la vendita «quanto più vicino possibile, nei li-miti della ragionevolezza e dell’efficienza», con la precisazione che le variabili della di-stanza possono essere diverse in base al prodotto, alla regione e alle circostanze; ilcollegamento a un sistema agroalimentare locale che a sua volta si caratterizzerebbeper «una combinazione di quattro fattori: una filiera breve; una distanza fisica limitatatra il luogo di produzione e il luogo di consumo; un processo di lavorazione che tengaconto anche di elementi quali il trasporto, la distribuzione, il trattamento dei rifiuti,le energie rinnovabili, il marketing, la promozione e il controllo della qualità; un pro-cesso di lavorazione che venga gestito a livello locale e regionale».

Che una definizione, lungi dal rispondere a mere esigenze di catalogazione, sianecessaria allo svolgimento della funzione propria della regola giuridica, emerge contutta evidenza con riferimento alla disciplina del public procurement dei prodotti ali-

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26 Una pluralità di definizioni si riscontra nella normativa dei singoli Stati negli USA. A titolo diesempio, secondo la «Cleveland Ordinance» del 2010 «Local Food» means and includes food that isgrown, extracted, produced, recycled or manufactured within the Local Contracting Market», area de-finita nello stesso provvedimento; nell’Iowa Local Farmer and Food Security Act («LFFSA») del 2010i «Local Farm Products,» sono definiti come «raw fruits, vegetables, grain, and meats that may be mi-nimally processed for sale within the Local Territory» (Local Farmer and Food Security Act, 2010). «Lo-cal Territory», a sua volta, è definito come «the area within 150 miles of the reselling grocer that mayinclude areas outside the State of Iowa».

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mentari che riguarda il vasto e articolato settore della ristorazione collettiva27 che coin-volge diversi soggetti pubblici. Nel documento realizzato dall’ISMEA per il MIPAAF– «Capitolati di gara e best practices per le forniture di alimenti a filiera corta nellemense pubbliche «(Dicembre 2011) – gli acquisti di beni alimentari da parte delle am-ministrazioni pubbliche vengono presentati come un’occasione non secondaria di ef-fettuare scelte di rilievo con riferimento agli obiettivi dello sviluppo sostenibile e dellariduzione dell’impatto ambientale dei processi di produzione e consumo, coerenti congli obiettivi della Politica di sviluppo rurale dell’UE.

La possibilità che i bandi di gara e i capitolati di appalto facciano riferimento aiprodotti dell’economia locale passa tuttavia necessariamente, e sempre che si compon-ga l’apparente frattura determinata dai ricorsi del Governo nazionale avverso le leggiregionali che prevedono un favor per i prodotti locali e/o dei mercati locali (vedi infrasulle recenti pronunce della Corte cost. in merito alle leggi delle regioni Puglia e Ba-silicata) attraverso un chiarimento definitorio che consenta agli operatori di fornireun’adeguata documentazione e agli amministratori di operare una selezione. Al con-trario, l’assenza di definizioni legali e la presenza, in modo non costante ovvero conattribuzioni di significato non uniformi, di riferimenti ai prodotti «locali», a quelli da«filiera corta», o ancora «a chilometro zero» o «tradizionali», nelle leggi regionali ein alcuni episodici interventi del legislatore nazionale, rappresenta un evidente osta-colo alla possibilità per le Amministrazioni pubbliche di procedere alla selezione deifornitori di cibo locale.

Al problema definitorio si aggiunge qualche ambiguità del dettato normativo chepure fa emergere, con la Dir. 18/2004/CE (recentemente sostituita dalla dir. 2014/24del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici) relativa al coordinamento delle proceduredi aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, la necessitàdi una integrazione delle esigenze di tutela dell’ambiente e dello sviluppo sostenibilenella materia degli appalti pubblici (cons.5 e 6) proposta da alcuni documenti comu-nitari (soprattutto nella Comunicazione su «Il diritto comunitario degli appalti pub-blici e le possibilità di integrare considerazioni di carattere ambientale negli appaltipubblici(COM(2001)274) e la Comunicazione interpretativa della Commissione suldiritto comunitario degli appalti pubblici e le possibilità di integrare aspetti sociali ne-gli appalti pubblici (COM (2001) 566 def.) e oggetto di una ormai consolidata azionevolta alla diffusione del GPP (Green public procurement)28 e alla promozione di ap-

27 Alla quale oggi si riconosce anche un ruolo «educativo» nel senso della corrispondenza con leindicazioni relative gli aspetti nutrizionali e agli stili di vita: rinvio su questo al mio Il diritto all’educazionedel consumatore di alimenti, in Riv.dir.agr. 2011, I, 496; vedi anche gli Atti della Giornata di studio (Mi-lano 2006) su Il ruolo della ristorazione collettiva nella lotta all’obesità:elementi ed indirizzi, http://www.si-nu.it/attualita/miniatti11_7.pdf.

Il ruolo assegnato alla ristorazione collettiva è confermato dalla elaborazione da parte del Ministerodella salute di Linee di indirizzo nazionali per la ristorazione collettiva (ristorazione scolastica, ospedalierae assistenziale) in http://www.salute.gov.it e dalle normative regionali in materia come la L.R.(Emilia Ro-magna) n. 29 del 2002 «Norme per l’orientamento dei consumi e l’educazione alimentare e per la qua-lificazione dei servizi di ristorazione collettiva», e la L.R. (Lazio 06 Aprile 2009, n. 10 «Disposizioni inmateria di alimentazione consapevole e di qualità nei servizi di ristorazione collettiva per minori», la De-lib. della Giunta Reg. Puglia 19 marzo 2002, n. 276 «Linee guida per l’Educazione alimentare–Ristora-zione collettiva ed attività fisica» e altre ancora.

28 Il GPP è oggetto da qualche anno di una significativa attenzione nell’Unione europea così comein varie realtà nazionali, come dimostrano – fra l’altro – le notizie diffuse attraverso la pagina web dellaCommissione europea http://ec.europa.eu/environment/gpp/alert_en.htm.

palti pubblici socialmente responsabili29. Il Codice dei contratti pubblici (D.lgs.163/2006 e successive modificazioni, che dà attuazione alla citata direttiva europea30)difatti, se da un lato afferma – con riferimento al criterio di aggiudicazione dell’«of-ferta economicamente più vantaggiosa» – che «Il principio di economicità può esseresubordinato, entro i limiti in cui sia espressamente consentito dalle norme vigenti edal presente codice, ai criteri, previsti dal bando, ispirati a esigenze sociali, nonchéalla tutela della salute e dell’ambiente e alla promozione dello sviluppo sostenibile»(art. 2, comma 2), prevedendo la possibilità per le stazioni appaltanti di specificare lecondizioni di esecuzione contrattuale con riferimento ad esigenze di carattere sociale(art. 69, commi 1 e 2 del D.Lgs. 163/06) e a caratteristiche ambientali della fornitura(art. 68 commi 3, lett. b, 9, 10), d’altro lato indica, all’art. 68 comma 13, che «le spe-cifiche tecniche non possono menzionare una fabbricazione o provenienza determi-nata o un procedimento particolare né far riferimento a un marchio, a un brevetto oa un tipo, a un’origine o a una produzione specifica che avrebbero come effetto di fa-vorire o eliminare talune imprese o taluni prodotti». Maggiore impatto potrebberoavere le determinazioni assunte sulla base del «Piano d’azione per la sostenibilità am-bientale dei consumi della pubblica amministrazione (PAN-GPP)», elaborato a normadella Legge 27 dicembre 2006 n. 296 (Finanziaria 2007), che prende in considerazio-ne, fra i settori prioritari d’intervento, quello della ristorazione (servizio mensa e for-niture alimentari) e ha fra i suoi obiettivi l’efficienza e il risparmio nell’uso dellerisorse, in particolare dell’energia, e la conseguente riduzione delle emissioni di CO2nonché la riduzione quantitativa dei rifiuti da smaltire. Il 25 luglio 2011 è stato adot-tato il decreto ministeriale che ribadisce la scelta della forma di aggiudicazione attra-verso l’offerta economicamente più vantaggiosa «in considerazione della possibilità,attraverso tale sistema, di qualificare l’offerta «attribuendo un punteggio tecnico a pre-stazioni ambientali e, ove possibile, sociali, più elevate, tipiche di prodotti meno dif-fusi e talvolta più costosi, senza compromettere l’esito della gara», così favorendo epremiando l’innovazione e il miglioramento socio ambientale del mercato, e prevedel’assegnazione di un punteggio non inferiore al 30% del totale ai criteri premianti. I«criteri minimi ambientali» da inserire nei bandi di gara della Pubblica amministra-zione per l’acquisto di prodotti e servizi nei settori della ristorazione collettiva e for-nitura di derrate alimentari vengono poi specificati con riferimento sia ai soggetti siaall’oggetto, ovvero ai prodotti e ai metodi di produzione: quanto ai primi si prevedeche il fornitore debba aver adottato un sistema di gestione ambientale (EMAS, ISO14001 o altro), per i secondi si prendono in considerazione le categorie strutturate dei

REGOLE E IMPLICAZIONI GIURIDICHE DELLA PRODUZIONE E DEL CONSUMO DI CIBO LOCALE 507

Di particolare rilievo appare, nel nostro caso, una Briefing Note dell’aprile 2014 di O. DE SCHUTTER

(UN special rapporteur on the right to food), The power of procurement. Public purchasing in the serviceof realizing the right to food, in cui ricorda il ruolo redistributivo e di spinta alla sviluppo che può esseresvolto da un’adeguata politica di acquisti da parte dei soggetti pubblici come gestori di centri di risto-razione collettiva e si prendono in considerazione le esperienze di vari Paesi come anche le posizioni as-sunte in alcuni documenti del World food summit, in vista del raggiungimento degli obiettivi del millennio(Millennium development goals), a favore del cibo locale come mezzo per favorire i piccoli agricoltori econsentire loro di rimanere sul mercato.

29 Per una ricognizione descrittiva del tema vedi il documento Acquisti sociali. Una guida alla con-siderazione degli aspetti sociali negli appalti pubblici, realizzato nell’ambito del programma europeo Pro-gress (http://ec.europa.eu/social).

30 Il Consiglio dei Ministri del 29 agosto 2014 ha approvato un disegno di legge delega per il re-cepimento delle direttive europee 2014/23/Ue, 2014/24/Ue e 2014/25/Ue nel nuovo Codice appalti chedovrebbe sostituire quello introdotto con il d.lgs n. 163 del 2006.

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prodotti biologici, di quelli con segni distintivi, dei prodotti agroalimentari tradizionalicompresi negli elenchi regionali e nazionali; fra i criteri premianti figurano la maggiorequota percentuale di alcuni alimenti (in applicazione delle indicazioni specifiche dicui al punto 4.3 circa l’importanza di promuovere il consumo di alimenti vegetali inalternativa a quello degli alimenti di origine animale), la carbon footprint, la destina-zione ad organizzazioni non lucrative di utilità sociale del cibo non somministrato, laprovenienza dai circuiti del commercio equo e solidale31. Manca, sia nei criteri di basesia in quelli premianti, una diretta considerazione dei prodotti caratterizzati dalla re-lazione di prossimità fra produzione e consumo, come anche il criterio della riduzionedel numero di intermediari32 anche se alcuni spunti sono rinvenibili: a) nel riferimen-to, fra i criteri minimi ambientali o «di base» – sia per i servizi di ristorazione sia perla fornitura di derrate alimentari – alla stagionalità dei prodotti ortofrutticoli definitinel rispetto di un «calendario di stagionalità» definito dalla amministrazione aggiudi-catrice della gara d’appalto, che individua i cibi disponibili «nella regione» per ciascunmese dell’anno e coltivati in pieno campo (non in serra); b) nel caso dei cibi che ri-chiedono un centro di cottura esterno, è requisito premiante – nel caso dei servizi diristorazione – la «prossimità tra luogo di cottura e consumo», espressa in km, per «sal-vaguardare le caratteristiche nutrizionali e organolettiche dei pasti».

3. Cibo locale ed educazione alimentare

A fronte di una considerazione assai limitata del cibo locale nella normativa ge-nerale relativa ai contratti pubblici di approvvigionamento di alimenti, emerge una di-versa e più importante attenzione nell’ambito dell’azione articolata condottadall’amministrazione centrale e da quelle locali nell’ambito della comunicazione e del-la educazione alimentare: ad esempio nel programma «Cultura che nutre», finalizzatoa diffondere nelle scuole l’educazione alimentare e i principi di una alimentazione sa-na, corretta e consapevole, l’introduzione di criteri di selezione a favore dei fornitorilocali è legata alla trasmissione di conoscenze relative alla provenienza degli alimenti,ai significati culturali del cibo, alle tradizioni locali.

Una esperienza significativa di valorizzazione dell’agricoltura locale che ne tra-duce il profilo simbolico, andando oltre la mera valutazione dell’aspetto spaziale, è ilprogetto Bampè «BAMPÈ - BAMBINI E PRODOTTI AGRICOLI D’ECCELLEN-ZA», oggetto di un Programma di cooperazione transfrontaliera Italia-Francia finan-ziato per il 75% dal FESR. L’interesse del progetto sta nelle caratteristiche dell’areaterritoriale coinvolta e nel tipo di interazione che traduce una «prossimità organizza-ta»33 in ragione della sinergia fra gli attori ai fini del miglioramento della qualità deglialimenti destinati agli scolari e del sostegno alle agricolture locali e del comune mododi rapportarsi alle culture alimentari dei territori. I prodotti destinati a giungere nelle

31 Con decreto 10 aprile 2013 è stato aggiornato, da parte del Ministero dell’ambiente, il Pianod’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione previsto dal-la legge n. 296 del 27 dicembre 2006, per tenere conto, fra l’altro, delle indicazioni da parte delle isti-tuzioni europee volte ad attribuire rilevanza strategica agli appalti pubblici per finalità, oltre che di tutelaambientale, anche di tutela sociale e di stimolo all’innovazione.

32 F. GALLI- G. BRUNORI, Verso una ristorazione scolastica italiana più sostenibile: sustainable publicprocurement, in Agriregionieuropa n. 29, 2012, 71 ss.

33 A. TORRE - B. ZUINDEAU, Proximité et environment, cit.

mense scolastiche delle regioni coinvolte appartengono all’intera area transfrontalieradiventando strumenti di diffusione di conoscenze presso le giovani generazioni; i pro-duttori locali – accomunati da un analogo contesto rurale e da dimensioni aziendalimedio-piccole – sono a loro volta sensibilizzati dalla specificità del canale commercialea mettere a punto strumenti e pratiche condivise per l’innovazione dei prodotti (mo-dalità di somministrazione, tipologia di produzione e modalità di produzione e con-fezionamento) e la loro commercializzazione.

Assai meno incisivi sul piano del rilievo del cibo locale i programmi «Frutta nellescuole «e Latte nelle scuole»34 – confermati35 dal Reg. 1308/2013/UE del Parlamentoeuropeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013 recante organizzazione comune deimercati dei prodotti agricoli e dal Reg. 1370/2013/UE del Consiglio del 16 dicembre2013, recante misure per la fissazione di determinati aiuti e restituzioni connessi al-l’organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli che all’articolo 5 paragrafo2 prevede la concessione di un aiuto finanziario per la distribuzione di frutta, verdura,ortofrutticoli trasformati, pur nell’ambito di un intervento complessivo – la PAC2014-2020 – che, nel quadro delle misure per lo sviluppo rurale36, inserisce più di unrichiamo alle filiere e ai prodotti locali e in particolare ai prodotti della filiera corta37 al punto da far ritenere superato il dualismo fra un’agricoltura competitiva eun’agricoltura multifunzionale marginale38 che caratterizzava i precedenti interventi,a favore di un protagonismo delle filiere corte nel perseguimento degli obiettivi dellastessa PAC.

REGOLE E IMPLICAZIONI GIURIDICHE DELLA PRODUZIONE E DEL CONSUMO DI CIBO LOCALE 509

34 Il programma europeo «Frutta nelle scuole», introdotto dal regolamento (CE) n. 1234 del Con-siglio del 22 ottobre 2007 e dal regolamento (CE) n. 288 della Commissione del 7 aprile 2009 (Rego-lamento (CE) n. 288/2009 della Commissione del 7 aprile 2009 recante modalità di applicazione delregolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio relativamente alla concessione di un aiuto comunitario perla distribuzione di frutta, verdura, ortofrutticoli trasformati, banane e prodotti da esse derivati ai bambininegli istituti scolastici, nell’ambito del programma Frutta nelle scuole) e confermato dal reg.1308/2013/UE è finalizzato ad aumentare il consumo di frutta e verdura da parte dei bambini e ad at-tuare iniziative che supportino più corrette abitudini alimentari e una nutrizione maggiormente equili-brata, nella fase in cui si formano le loro abitudini alimentari.

Per una valutazione, anche comparativa, delle criticità dei programmi «frutta nelle scuole» e «Lattenelle scuole» vedi la Relazione speciale n. 10/2011 della Corte dei conti europea dal titolo emblematicoI programmi «Latte alle scuole» e «Frutta nelle scuole» sono efficaci?

35 Con un aumento della misura degli aiuti.36 Sul legame fra sviluppo rurale e sviluppo locale vedi fra i tanti F. SOTTE, Il futuro del secondo

pilastro (e della PAC) nel quadro delle politiche di sviluppo e di coesione dell’Unione europea, in Oltre il2013. Il futuro delle politiche dell’Unione europea per l’agricoltura e le aree rurali, a cura di F. DE FILIPPIs,Quaderni Gruppo 2013, Roma 2007, 51 ss.: «Lo sviluppo rurale è il risultato congiunto di fattori esogenied endogeni (connessi alle specificità socio-economico-ambientali del territorio) e di processi negozialitra attori locali (e tra questi e gli attori centrali), portatori di interessi diversificati, ma integrabili in unastrategia collettiva e condivisa. Un piano di sviluppo rurale non dovrebbe essere altro che uno strumentoper lo sviluppo locale delle aree rurali, volto ad accrescere la capacità negoziale e la qualità della gover-nance nel/per il territorio di pertinenza».

37 Definita nell’art. 2, c.1, lett. m) come «una filiera di approvvigionamento formata da un numerolimitato di operatori economici che si impegnano a promuovere la cooperazione, lo sviluppo economicolocale e stretti rapporti socio-territoriali fra produttori, trasformatori e consumatori».

38 Il giudizio è espresso in G.BRUNORI - F. BARTOLINI, La filiera corta: le opportunità offerte dallanuova PAC, in Agriregionieuropa n. 35, 2013. Gli autori propongono di considerare le filiere corte piùche come obiettivo, come strumento da impiegare nelle politiche per la green economy, per lo sviluppolocale e regionale, nelle politiche settoriali, nelle politiche alimentari urbane.

510 ELEONORA SIRSI

4. Il cibo «regionale»

La dimensione regionale appare sotto più profili, e comprensibilmente in ragionedell’assetto istituzionale degli interessi del territorio, quella nella quale ha trovato mag-giore spazio una considerazione – nella forma più nota del «chilometro zero»39 ma an-che in altre forme che fanno riferimento alla prossimità, alla stagionalità, all’impattoambientale, e ad altro ancora40 – delle produzioni locali, con differenze linguistiche edi disciplina, però, non indifferenti sul piano della legittimità. Da questo punto di vistasi deve difatti – di nuovo – ricordare il costante pericolo che i provvedimenti di favoreper determinate produzioni caratterizzate esclusivamente per la provenienza da unluogo41, e non per le caratteristiche qualitative, siano considerati in contrasto con leregole del libero mercato. I casi della Regione Veneto – che ha dovuto emendare laproposta intitolata «Norme per orientare e sostenere il consumo dei prodotti agricolidi origine regionale» sostituendo il riferimento ai prodotti regionali con quello ai pro-dotti «a chilometro zero», a sua volta corrispondente a prodotti caratterizzati dallastagionalità, tradizionali e sostenibili dal punto di vista del ridotto apporto di gas ser-ra42 è emblematico – come del resto quello della Regioni Puglia, già ricordato, e quellodi molte altre Regioni – dell’atteggiamento della Commissione europea nei confrontidi questi interventi normativi.

A questo confronto con le istituzioni europee si è aggiunto quello con le autoritànazionali – forse «più realiste del re»43 – come dimostra la decisione del Consiglio deiMinistri di impugnare la legge della Legge della Regione Basilicata n. 12 del 13 luglio2012, recante «Norme per orientare e sostenere il consumo dei prodotti agricoli di ori-gine regionale a chilometri zero», «in quanto varie disposizioni, volte a favorire la com-mercializzazione dei prodotti regionali, sono suscettibili, per un verso, di ostacolaregli scambi intracomunitari, ponendosi in contrasto con le disposizioni del TFUE, e,per altro verso, di falsare la concorrenza, risultando discriminatorie nel privilegiarealcuni prodotti solo in base alla loro provenienza territoriale. Ne consegue la viola-zione dell’articolo 117, primo comma, della Costituzione, che impone il rispetto deivincoli derivanti dall’ordinamento comunitario». Stessa sorte è stata riservata alla leg-ge della regione Puglia, già ricordata, n. 43 del dicembre 2012 recante «Norme peril sostegno dei Gruppi di acquisto solidale (GAS) e per la promozione dei prodottiagricoli da filiera corta, a chilometro zero, di qualità» che è stata oggetto di ricorsoalla Corte costituzionale per la supposta contrarietà degli artt. 6 comma1, lettera c e4 comma 5 agli artt.117 primo comma e 120 primo comma Cost. L’esito dell’accogli-mento da parte della Corte costituzionale di ambedue le richieste di pronuncia di il-

39 F. GIARÈ - S. GIUCA (a cura di) Agricoltori e filiera corta. Profili giuridici e dinamiche socio-eco-nomiche, INEA, 2012.

40 C. LOSAVIO, I prodotti agricoli «a chilometri zero» nelle leggi regionali in AIM 2011, 3, 93.41 Nell’impossibilità di dar conto di un dibattito – quello sui marchi di qualità regionale – che

conta su ormai numerosi interventi giurisprudenziali e dottrinali, mi limito qui a ricordare i contributidi I. CANFORA, I marchi regionali di qualità e la correttezza dell’informazione dei consumatori: libera cir-colazione delle merci vs. tutela dell’agricoltura locale?, in Riv.dir.agr., 2013, I, 149 ss. e M. LIBERTINI, Sul-l’azione di promozione di prodotti locali da parte delle Regioni, in Giur.cost. 2013, 2760 e ID., Ancorasull’azione promozionale di prodotti locali da parte delle Regioni e sui marchi di qualità regionale, inGiur.cost. 2013, 1020 ss.

42 C. LOSAVIO, op. cit.43 Negli stessi termini I. CANFORA, Quando la Corte costituzionale è più realista del re. Sugli ostacoli

alla libera circolazione delle merci derivanti da leggi regionali, in Riv.dir.agr., 2014, II, 32 ss.

legittimità44 ha aperto un evidente spaccatura e introduce nuovi motivi per rimandareinterventi di tutela delle filiere locali che pure apparivano maturi alla luce degli orien-tamenti della PAC e non solo.

5. Gli ambiti normativi fra deroghe e promozione: dalla sicurezza igienico-sanitaria al-le varietà locali

Atteso che le questioni giuridiche fondamentali, ovvero di base, che la questionedel cibo locale pone sono, oltre all’individuazione dell’ambito di applicazione (ovvero,come già detto, la definizione della nozione di cibo locale), la tutela dei consumatoricon riferimento sia alla sicurezza (safety) sia all’informazione e la tutela dei produttoridai comportamenti sleali dei concorrenti, e in considerazione della pluralità di istanzeche convergono nella regolazione della produzione e del consumo di cibo locale, a mepare che si possano identificare alcuni contesti tematici specifici nei quali gli interessilegati al cibo locale possono trovare tutela. Si tratta di contesti «fluidi», tra i quali èfacile scorgere ripetizioni (costanti?) e che certamente possono rendere l’applicazionedella norma, nei casi specifici, problematica segnalando un ambito bisognevole di unintervento organico del legislatore.

1) Il primo degli ambiti nei quali appaiono le produzioni locali, sia pur attraversoil riferimento a situazioni solo parzialmente corrispondenti alla nozione di prodottoagroalimentare locale individuata dal Comitato delle Regioni (2011/C 104/01), e al so-lo fine di individuare una regola di sottrazione alla disciplina generale, è quello dellasicurezza igienico sanitaria. Nel definire il suo ambito di applicazione (art. 1), il reg.852/2004/CE sull’igiene dei prodotti alimentari, com’è noto, esclude la «fornitura di-retta di piccoli quantitativi di prodotti primari, da parte dell’operatore del settore ali-mentare che li produce, al consumatore finale o a dettaglianti locali», indicandone laragione nella «stretta relazione fra il produttore e il consumatore» (cons. 10) e indivi-duando nella legge nazionale la fonte privilegiata della disciplina. La stessa scelta sirinviene nel reg. 853/2004/CE (cons. 11 e art. 1 commi 3-6) sui prodotti di origine ani-male ed anche nel reg.183/2005 sull’igiene dei mangimi (cons. 9 e art. 2, commi 2-3).

Senonchè il riferimento esclusivamente ai prodotti primari – come da definizioneex art. 2 c.1, lett. b) del reg.852/2004/CE: «i prodotti della produzione primaria45

compresi i prodotti della terra, dell’allevamento, della caccia e della pesca» – escludeche possano essere oggetto della medesima regola di esclusione i prodotti alimentariche siano frutto di elaborazione. L’individuazione di regole specifiche e alternative ri-spetto a quelle previste nella disciplina generale passa allora attraverso la qualifica-

REGOLE E IMPLICAZIONI GIURIDICHE DELLA PRODUZIONE E DEL CONSUMO DI CIBO LOCALE 511

44 Per una critica argomentata alle decisioni della Corte che, senza peraltro operare le necessariedistinzioni, traspone sul piano interno regole scritte per il commercio fra Stati impedendo alle Regionidi svolgere i compiti propri di valorizzazione dei prodotti e attraverso essi dei territorio ed anche queiruolo di preservazione e tutela dell’ambiente al livello locale destinato a coniugarsi con le azioni svolteal livello globale, vedi I. CANFORA, Quando la Corte costituzionale è più realista del re, cit.; vedi anche S.MASINI, Il sacrificio del chilometro zero sul terreno del libero scambio e il ruolo debole della Corte Costi-tuzionale, in Dir. giur. agr. amb, 2013, 670 ss.

45 A norma dell’art. 3, 17) del Reg.178/2002/CE, per «produzione primaria» si intende «tutte lefasi della produzione, dell’allevamento o della coltivazione dei prodotti primari, compresi il raccolto, lamungitura e la produzione zootecnica precedente la macellazione e comprese la caccia e la pesca e la rac-colta di prodotti selvatici».

512 ELEONORA SIRSI

zione dei prodotti agroalimentari locali come quelli che, essendo caratterizzati dal-l’utilizzazione di metodi tradizionali, possono essere oggetto di deroghe ai sensi del-l’art. 13 commi 3-7 e dell’art. 7 del reg. della Commissione 2074/2005/CE46. Lacreazione della categoria dei prodotti agroalimentari tradizionali al livello nazionale,con l’art. 8 del d.lgs. 173 del 1998 («Disposizioni in materia di contenimento dei costidi produzione e per il rafforzamento strutturale delle imprese agricole, a norma del-l’articolo 55, commi 14 e 15, della legge 27 dicembre 1997, n. 449) e l’introduzionedi un registro costantemente aggiornato (la quattordicesima revisione è del giugno del2014) traduce a sua volta solo in parte, com’è noto, l’istanza di una diversa disciplinadell’igiene e corrisponde piuttosto ad una finalità di valorizzazione del patrimonio ga-stronomico, ovvero allo scopo di «promuovere e diffondere le produzioni agroalimen-tari italiane tipiche e di qualità e per accrescere le capacità concorrenziali del sistemaagroalimentare nazionale». Una regola più confacente alle produzioni locali sembre-rebbe essere piuttosto quella individuata dalla legge 21 dicembre 1999, n. 526 (Leggecomunitaria 1999)47 secondo la quale, ex art. 10, commi 7 e 8, possono essere com-mercializzati «i prodotti alimentari che richiedono metodi di lavorazione e locali, par-ticolari e tradizionali, nonché recipienti di lavorazione e tecniche di conservazioneessenziali per le caratteristiche organolettiche del prodotto, non conformi alle prescri-zioni «delle regole d’igiene dei prodotti alimentari come dettate al livello europeo sesi tratta di «vendita diretta dal produttore e da consorzio fra produttori ovvero da or-ganismi e associazioni di promozione degli alimenti tipici al consumatore finale, nel-l’ambito della provincia della zona tipica di produzione».

2) L’ambito «naturale» per una considerazione del prodotto alimentare locale ècertamente quello del mercato. L’istanza di difesa dei redditi degli agricoltori che siincontra con la crescente richiesta di alimenti legati al territorio è alla base degli in-terventi normativi in materia di vendita diretta e di farmer’s market, nonché di Gruppidi acquisto solidale (GAS).

La vendita diretta rappresenta il classico sbocco per i prodotti agricoli ed è statanel tempo oggetto di regolazione specifica nell’ottica del tradizionale favor riservatodall’ordinamento all’imprenditore agricolo48. Le principali indicazioni normativeconsistono oggi da un lato nell’esclusione delle attività di vendita di prodotti agricolida parte di produttori agricoli, singoli e associati – sempre che siano svolte nei «li-miti» di cui all’art. 2135 cc. – dall’ambito di applicazione del d.lgs. n. 114 del 1998

46 Recante modalità di attuazione relative a taluni prodotti di cui al regolamento (CE) n. 853/2004del Parlamento europeo e del Consiglio e all’organizzazione di controlli ufficiali a norma dei regolamentidel Parlamento europeo e del Consiglio (CE) n. 854/2004 e (CE) n. 882/2004, deroga al regolamento(CE) n. 852/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio e modifica dei regolamenti (CE) n. 853/2004e (CE) n. 854/2004.

Al livello nazionale è intervenuto, nel 2010, un Accordo tra il Governo, le Regioni e le Provinceautonome relativo a «Linee guida applicative del regolamento n. 852/2004/CE del Parlamento europeoe del Consiglio sull’igiene dei prodotti alimentari» in cui vengono, tra l’altro, indicate agli operatori lemodalità di accesso alle deroghe.

47 Come modificata dalla legge n. 388 del 2000 e dal d.lgs. n. 99 del 2004.48 F. ALBISINNI, La vendita diretta, cit.; F. ADORNATO, I mercati di prossimità, cit.; I. CANFORA, Le

nuove forme di commercializzazione dei prodotti alimentari: dalle vendite in rete ai «gruppi di acquisto so-lidale», in Agricoltori e filiera corta, cit.; ID., La commercializzazione dei prodotti agricoli nel diritto italianoe comunitario, Bari, 2008, 155 ss.; M.R. ALABRESE, La vendita diretta dei prodotti agricoli, in Riv. dir. alim.,2008, n. 3, www.rivistadirittoalimentare.it.

(Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4,comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59). Dall’altro lato, l’art. 4 del d.lgs. n. 228del 200149 e le successive modificazioni introdotte dal d.lgs n. 99 del 200450 e dallal. n. 81 del 200651, abrogando implicitamente la l. n. 59 del 196352, ha disciplinatol’esercizio della attività di vendita degli imprenditori agricoli, a cui sono equiparatienti e associazioni, svolta in forma itinerante e non, su superfici all’aperto nell’ambitodell’impresa agricola o di altre aree private di cui gli imprenditori agricoli abbianola disponibilità, o ancora su aree pubbliche o aperte al pubblico. A questa disciplinasono soggette anche le materie prime trasformate, quindi buona parte degli alimenti.Si dispone anche in merito alle caratteristiche della produzione che può essere ven-duta con queste regole in quanto proveniente dall’azienda dell’imprenditore agricolo,essendo ammesse anche, in certa misura (non prevalente), vendite di prodotti di altreaziende che tuttavia l’articolo non specifica come ubicate nel territorio53. La cifra del-l’intervento è – come al solito – quella della semplificazione, come dimostrano, fral’altro, la sostituzione dell’autorizzazione del sindaco con la comunicazione di inizioattività, le esclusioni in merito alle condanne e le mancate indicazioni per quanto ri-guarda la professionalità, ed è stata estesa, in modo che è stato giudicato inappro-priato54, anche ad alcuni requisiti soggettivi che opportunamente avrebbero potutoindividuare un imprenditore responsabile e professionalmente adeguato come quelloche la vendita di prodotti agricoli e alimentari richiederebbe.

L’idea che accomuna forme diverse di commercializzazione dei prodotti «locali»è quella della diminuzione del numero dei passaggi all’interno della filiera con l’inten-to primario di aumentare la quota di valore percepita dai produttori: le forme e leespressioni della filiera corta (o circuito breve)55 sono molteplici anche in ragione, co-me ha rilevato il (citato) recente studio dell’INEA, della convergenza nell’elementospaziale sia dei profili del risparmio energetico e della protezione dell’ambiente, siadell’aspetto della ricostituzione della relazione di fiducia con il consumatore attraversoil riavvicinamento al produttore in senso fisico (nel mercato) sia, in relazione alla fi-liera, della minore distanza fra prodotto finito e materia prima in ragione di un minorenumero di «passaggi», con conseguenze anche sulla sicurezza del prodotto. La ten-

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49 «Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell’articolo 7 della legge 5 mar-zo 2001, n. 57».

L’art. 4 è stato oggetto di varie modifiche, l’ultima delle quali, con d.l. 9 febbraio 2012 n. 5, con-vertito con modificazioni dalla l. 4 aprile 2012, n. 35, è intervenuta sul secondo comma, primo periodo,che è ora il seguente: «2. La vendita diretta dei prodotti agricoli in forma itinerante è soggetta a comu-nicazione al comune del luogo ove ha sede l’azienda di produzione e può essere effettuata a decorreredalla data di invio della medesima comunicazione».

50 «Disposizioni in materia di soggetti e attività, integrità aziendale e semplificazione amministrativain agricoltura, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettere d), f), g), l), ee), della legge 7 marzo 2003, n. 38».

51 «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2, recante in-terventi urgenti per i settori dell’agricoltura, dell’agroindustria, della pesca, nonché in materia di fiscalitàd’impresa».

52 «Norme per la vendita al pubblico in sede stabile dei prodotti agricoli da parte degli agricoltoriproduttori diretti», il cui art. 1, si ricorda prima della modifica introdotta con l. n. 477 del 1964 collocaval’attività di vendita diretta nella dimensione comunale «e dei Comuni viciniori».

53 Una indicazione dell’ubicazione del «fondo di produzione» era richiesta nell’art. 3 della l.n. 59del 1963.

54 Cfr. F. ALBISINNI, La vendita diretta, cit.55 V. GIUCA, Conoscere la filiera corta, in Agricoltori e filiera corta. Profili giuridici e dinamiche so-

cio-economiche, Inea 2012 www.inea.it.

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denza allo sviluppo di forme di filiera corta in corrispondenza con la realtà dei mercatilocali non esclude che ad essa corrispondano forme di vendita in rete (che le distanzetende ad annullare così come gli intermediari) e su catalogo56 e, più in generale, il fattoche il riferimento alla brevità del circuito si arricchisca spesso di elementi qualificativirelativi ad alcuni profili nell’ambito della qualità ed anche a concetti, come quello diKM 0, che intendono mettere al centro dell’attenzione l’aspetto della distanza, in Kmappunto, fra la produzione e il consumo57.

I GAS (Gruppi di acquisto solidale)58, la cui diffusione in Italia è iniziata nellaprima metà degli anni ’90, sono stati presi in considerazione dalla l. n. 244 del 2007(Finanziaria 2008)59che, nel definirli – come soggetti associativi senza scopo di lucrocostituiti al fine di svolgere attivita` di acquisto collettivo di beni e distribuzione deimedesimi, senza applicazione di alcun ricarico, esclusivamente agli aderenti, con fina-lita` etiche, di solidarieta` sociale e di sostenibilita` ambientale, in diretta attuazionedegli scopi istituzionali e con esclusione di attivita` di somministrazione e di vendita– dispone la sottrazione al regime di imposta delle attività commerciali. Il collegamen-to con la produzione locale è stabilita in alcune leggi regionali come quella della re-gione Puglia60 che condiziona il sostegno dei Gruppi di acquisto, fra l’altro, allavendita di prodotti agro-alimentari a filiera corta61, prodotti agro-alimentari a chilo-metro zero62 o di «prodotti di qualità»63.

Con riferimento ai Farmer’s market64, tradotti come «mercati degli imprenditoriagricoli a vendita diretta», la considerazione normativa da parte della legge finanziariadel 200765 contenente la delega al Ministero delle politiche agricole all’emanazione di

56 V. GIUCA, op. cit.; un riferimento anche in I. CANFORA, La commercializzazione dei prodotti agri-coli, cit., 156.

57 C. LOSAVIO, cit.58 A fronte di una ormai significativa presenza di GAS sul territorio nazionale, i GODO (Gruppi

Organizzati Domanda Offerta) non conoscono ancora una apprezzabile diffusione.59 Art.1, commi 266-268; sono intervenute alcune leggi regionali, come la L.R. Veneto n. 1 del 2008

che ha istituito un albo regionale.60 L.R. Puglia 13 dicembre 2012, n. 43 «Norme per il sostegno dei Gruppi acquisto solidale (GAS)

e per la promozione dei prodotti agricoli da filiera corta, a chilometro zero, di qualità»; nella stessa di-rezione la L.R.Calabria n. 23 del 18 luglio 2011 «Norme per il sostegno dei gruppi di acquisto solidale(GAS) e per la promozione dei prodotti alimentari da filiera corta e di qualità».

61 Secondo l’art. 3 c.1,lett. b) «prodotti che prevedono modalità di distribuzione diretta dal pro-duttore al consumatore».

62 Individuati dall’art. 3 c. 1, lett. c) come «i prodotti per il cui trasporto dal luogo di produzioneal luogo previsto per il consumo si produce meno di 25 chilogrammi di CO2 equivalente per tonnellatae comunque i prodotti trasportati all’interno del territorio regionale»: l’articolo, come già visto, è statogiudicato illegittimo da Corte cost. con sentenza n. 292 del 2 dicembre 2013.

63 A norma dell’art. 1 c.1, lett. c) «i prodotti agricoli e agro-alimentari provenienti da coltivazionibiologiche, i prodotti tipici così come individuati e regolamentati dalle normative UE, nazionali e regio-nali e dai sistemi di garanzia partecipata e dai relativi protocolli ottenuti da materie prime di piccoli pro-duttori agricoli».

64 Sul tema vedi, nel numero speciale della Riv. dir. alim., 3/2008 dedicato ai mercati contadini, G.STRAMBI, I farmers market e la normativa sull’igiene degli alimenti; vedi inoltre G. BRUNORI- A. ROSSI - F.GUIDI, Strategie per i mercati dei produttori e D. VITI, L’esperienza dei Farmers’ markets negli USA tra foodsecurity e food safety, entrambi nel n. 4/2008 della stessa Riv. dir. alim.; più di recente vedi S. FRANCO - D.MARINO (a cura di), Il mercato della filiera corta. I farmers’market come luogo di incontro di produttori e con-sumatori, working paper Gruppo 2013, n. 19 marzo 2012 e i contributi raccolti in S. SIVINI - A. CORRADO

(a cura di), Cibo locale. Percorsi innovativi nelle pratiche di produzione e consumo alimentare, Napoli, 2013.65 Legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e plurien-

nale dello Stato (legge finanziaria 2007).

un decreto non regolamentare che stabilisse «i requisiti uniformi e gli standard per larealizzazione di detti mercati, anche in riferimento alla partecipazione degli impren-ditori agricoli, alle modalità di vendita e alla trasparenza dei prezzi, nonché le condi-zioni per poter beneficiare degli interventi previsti dalla legislazione in materia» hadato luogo all’intervento del d.m. 20 novembre 2007. A norma di tale provvedimentopossono esercitare la vendita diretta nei mercati istituiti o autorizzati dal Comune gliimprenditori agricoli come individuati dallo stesso decreto che rispettino alcune con-dizioni fra le quali riveste particolare rilevanza quella secondo la quale oggetto dellavendita diretta sono i prodotti agricoli provenienti dalla propria azienda o dall’aziendadei soci imprenditori agricoli, anche ottenuti a seguito di attività di manipolazione otrasformazione, ovvero anche di prodotti agricoli ottenuti nell’ambito territoriale am-ministrativo della regione o negli ambiti definiti dalle singole amministrazioni compe-tenti, nel rispetto del limite della prevalenza di cui all’art. 2135 del codice civile. Ilprovvedimento, come segnalato, integra le previsioni di favore per gli imprenditoriagricoli contenute nelle leggi del 2001 e del 2004 nell’ambito di un’ottica territorialee trasforma questi mercati in luoghi nei quali la relazione fra produttori e consumatoriattraverso il prodotto agricolo alimentare riesce a tradurre nel contempo le istanze divalorizzazione del territorio, di tutela dei produttori e del loro reddito e dei consu-matori nella loro preferenza per prodotti locali, e infine anche dell’ambiente per il ri-dotto dispendio di energia66.

Una valorizzazione che tanto più potrebbe diventare concreta se i Comuni co-gliessero l’opportunità offerta dal Decreto con la previsione, nell’art. 4 comma 3, diun disciplinare di mercato67 che, regolando le attività di vendita, può incidere sullacaratterizzazione e quindi valorizzazione dei prodotti in termini di modalità di produ-zione, provenienza, regole di igiene, etc.

3) L’ambito della qualità è nel contempo un contesto «classico» nella misura in cuida tempo la territorialità è diventata una delle dimensioni della qualità (DOP, IGP, STG),e un ambito fertile per l’individuazione di nuovi strumenti come ha dimostrato il dibat-tito intorno al Libro verde sulla qualità dei prodotti agricoli (COM (2008) 641 def.). Nel-la elaborazione della disciplina della qualità la natura locale del prodotto è stata presain considerazione in primo luogo per valutare come i regimi più noti di caratterizzazionedegli alimenti in relazione al luogo di produzione abbiano fatto emergere l’incapacità distimolare la partecipazione dei produttori molto piccoli: in particolare la Relazione allaproposta di regolamento della Commissione relativa ai regimi di qualità dei prodotti agricoli(COM (2010)733 def.) ha evidenziato come, malgrado il fatto che siano per lo più i pic-coli produttori ad essere associati alla produzione artigianale, a metodi tradizionali e allacommercializzazione in ambito locale, i regimi dell’Unione europea siano gravosi da ap-plicare, richiedano controlli costosi e vincolino al rispetto di un disciplinare assai rigido.

Ad esito della lunga discussione che ha preceduto l’emanazione del c.d. pacchet-to qualità – reg.1151/2012/UE – è stato inserito, nel Titolo VI, un Capo I intitolato

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66 F. ALBISINNI, La vendita diretta dei prodotti agricoli, in Trattato di diritto agrario a cura di L. Costato,A. Germanò, E. Rook Basile, vol. I, Il Diritto agrario: circolazione e tutela dei diritti, UTET, 2011, 263 ss.

67 I comuni istituiscono o autorizzano i mercati agricoli di vendita diretta sulla base di un disci-plinare di mercato che regoli le modalità di vendita, finalizzato alla valorizzazione della tipicità e dellaprovenienza dei prodotti medesimi e ne danno comunicazione agli assessorati all’agricoltura delle regionie delle province autonome di Trento e Bolzano.

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«Agricoltura locale e vendita diretta» che, nell’unico art. 55, prevede che: «Entro il4 gennaio 2014 la Commissione presenta una relazione al Parlamento europeo e alConsiglio sull’opportunità di istituire un nuovo regime di etichettatura relativo al-l’agricoltura locale e alla vendita diretta al fine di assistere i produttori nella commer-cializzazione dei loro prodotti a livello locale. Tale relazione si concentra sulla capacitàdegli agricoltori di conferire valore aggiunto ai loro prodotti grazie alla nuova etichettae dovrebbe tenere conto di altri criteri, tra cui le possibilità di ridurre le emissioni dicarbonio e i rifiuti grazie a catene di produzione e distribuzione brevi. La relazioneè corredata, se necessario, di proposte legislative appropriate intese ad istituire un re-gime di etichettatura per l’agricoltura locale e la vendita diretta». Su quest’ultimo pro-filo si è soffermata la Relazione (COM(2013)866final)68 che, richiamando l’esigenza diuna definizione di «prodotto agroalimentare locale» (vedi ante), da un lato prendeatto della sostanziale impossibilità di definire al livello europeo il concetto di «zonalocale», e ne attribuisce al consumatore la valutazione, dall’altro inserisce a pieno ti-tolo i sistemi di produzione locale fra gli oggetti delle politiche europee, come uno deimodi di produzione e consumo di alimenti da supportare grazie un’insieme coerentedi interventi fra i quali l’«adattamento» delle norme UE in materia di appalti pubblici,di igiene, di accesso ai mercati, di etichettatura69. Quanto ai loghi e alle etichette, l’os-servazione secondo la quale il rapporto diretto fra produttore e consumatore, e co-munque la riconoscibilità in ambito locale, li rende per lo più superflui viene confron-tata da una parte con l’esigenza del consumatore di informazioni minime – come datadi scadenza, peso, prezzo – dall’altra con i costi dell’etichettatura70, con la conclusioneche un regime specifico di etichettatura – che potrebbe agevolare i produttori nellapartecipazione ai bandi per la ristorazione collettiva – dovrebbe essere facoltativo, evi-tare procedure di certificazione e accreditamento, fornire chiari criteri di ammissibilitàed essere collegato a canali di vendita alternativi71.

4) L’intervento del reg. 1169/2011/UE che ha riscritto la disciplina generale delleinformazioni al consumatore offre qualche spunto in materia di cibo locale, ancorauna volta per il tramite di norme di esenzione: con riferimento dall’obbligo di etichet-

68 La Relazione della Commissione «sull’opportunità di istituire un regime di etichettatura relativoall’agricoltura locale e alla vendita diretta» richiama la Risoluzione del Parlamento europeo del 7 settem-bre 2010 «Redditi equi per gli agricoltori: migliore funzionamento della filiera alimentare in Europa» nel-la quale il Parlamento invitava la Commissione a «proporre l’adozione di strumenti di sostegno epromozione di filiere alimentari gestite dagli agricoltori, di filiere corte, e di mercati gestiti direttamentedagli agricoltori («farmers markets») al fine di stabilire un rapporto diretto tra agricoltori e consumatorie consentire agli agricoltori di ottenere una parte più equa del valore del prezzo di vendita finale attra-verso una riduzione dei passaggi e delle intermediazioni».

Ai fini della Relazione vengono assunte alcune definizioni fra le quali quelle di «agricoltura locale»da intendere come «produzione di prodotti agricoli e alimentari destinati ad essere venduti in una zonaragionevolmente vicina all’azienda agricola di produzione» e di «sistema agroalimentare locale» come diun «sistema nel quale la produzione, la trasformazione, il commercio e il consumo di prodotti alimentariavvengono in una zona geografica di estensione piuttosto limitata».

69 Cfr. la Relazione, 5; vedi inoltre il Documento di lavoro dei servizi della Commissione che ac-compagna la Relazione della Commissione «on various aspects of short food supply chains»(SWD(2013)501 final).

70 Né diverse dovrebbero essere le conclusioni per le filiere corte che, nel documento, si intendonoa carattere locale e stagionale.

71 Queste considerazioni devono comunque tenere conto della prevista presenza di prodotti regio-nali nella GDO su cui vedi, per tutti, I. CANFORA, La commercializzazione dei prodotti agricoli, cit., 170 ss.

tatura nutrizionale, a cui sfuggono «gli alimenti, anche confezionati in maniera arti-gianale, forniti direttamente dal fabbricante di piccole quantità di prodotti al consu-matore finale o a strutture locali di vendita al dettaglio che forniscono direttamenteal consumatore finale» (Allegato 5, n. 19), e con riferimento alle regole generali sul-l’etichettatura alle quali sono sottratte le realtà squisitamente locali e prive di una ca-ratterizzazione imprenditoriale fra cui quelle individuate dal considerando 15(manipolazione e consegna di alimenti, servizio di pasti e vendita di alimenti da partedi privati, per esempio in occasione di vendite di beneficienza, fiere o riunioni locali).Più in generale, tuttavia, si può ritenere che lo spazio riservato alla normativa nazio-nale in materia di indicazioni volontarie e di prodotti non preimballati, associato ai li-miti relativi all’indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienzadegli alimenti «solo ove esista un nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento ela sua origine o provenienza», lasci spazio ad indicazioni relative alla distanza dal luo-go di produzione ed anche a strumenti più complessi e particolarmente adatti ad unconsumo consapevole, come ad esempio l’«etichetta narrante» adottata da alcuni pre-sidi Slow food 72.

5) In un più stretto legame con la tutela dei redditi degli agricoltori si colloca an-che la considerazione del cibo «locale» nella normativa sul turismo e l’agriturismo

I «prodotti tipici locali» sono considerati nella disciplina dell’attività di trasfor-mazione e vendita svolta dall’imprenditore agrituristico (art. 10 legge n. 96 del 2006)e si affiancano nella stessa legge ai «prodotti agroalimentari regionali» (l’art. 4 comma4 è però stato giudicato non legittimo dalla Corte costituzionale con sentenza n. 339del 2007)e alle «produzioni agricole regionali o di zone omogenee contigue di regionilimitrofe» che possono essere somministrati in determinate percentuali agli ospitidell’azienda agrituristica73.

Nelle leggi regionali che hanno dato attuazione all’intervento del legislatore na-zionale del 2006, la finalità della valorizzazione dei «prodotti tipici locali», delle tra-dizioni enogastronomiche locali etc. si accompagna quasi sempre alla indicazione deirequisiti in presenza dei quali si può definire il prodotto come proprio indicando i cri-teri della provenienza della materia prima e/o della lavorazione in aziende della zona,e ad una regolazione dell’attività di somministrazione di pasti e bevande che indica lequote di prodotti aziendali e prodotti regionali e/o della zona, o di quelli agroalimen-tari tradizionali. In alcune leggi, come nella legge della regione Toscana – n. 30 del2003 come modificata dalla l. n. 80 del 2009 e relativo regolamento di attuazione n.46/R del 2004 come modificato nel 2010 – compare anche l’indicazione del rispettodella filiera corta come caratteristica che qualifica i prodotti da somministrare agliospiti e in molte leggi si affiancano alla qualificazione «locale» le caratteristiche dellaprovenienza dall’agricoltura biologica e la caratterizzazione in ragione di marchi diqualità DOP, IGP, a conferma della natura ellittica del concetto di prodotto locale.

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72 Di etichetta narrante parla Slow food: www.slowfoodfoundation.com/filemanager/.../ITA_Pac_etichetta.pdf. per questa che appare come una variante, sotto il profilo prevalentemente linguistico, dellapiù nota etichetta pianesiana (da Mario Pianesi, di recente oggetto di una Proposta di Risoluzione delParlamento europeo «sul riconoscimento dell’etichettatura trasparente per il prodotti alimentari»: vediBreviario, in Riv. dir. agr., 2014, II, 108.

73 La sentenza n. 339 del 2007 della Corte costituzionale non ha toccato la lettera d) del comma4 dell’art. 4.

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6) Una questione particolare che conferma la pluralità dei contesti nei quali puòtrovare collocazione una riflessione sull’intervento normativo e sulle implicazioni giu-ridiche in materia di cibo «locale» è quella della tutela della agrobiodiversità e dellapromozione delle varietà locali la cui sopravvivenza si deve alle culture delle comunitàlocali: un’istanza che, come è noto, ha trovato espressione anche al livello europeo esoprattutto internazionale e che le Regioni italiane hanno accolto e sviluppato74.

Una considerazione del cibo locale in questo contesto normativo75 condurrebbe aduna forma di deep localism che però non ha, ancora una volta, a che fare con l’idea dellarelazione spaziale fra produttore e consumatore ma piuttosto è una componente del «di-verso modo di consumare» o, se si vuole, di una visione olistica del cibo locale.

6. Una breve conclusione

La breve trattazione del tema del cibo locale ha evidenziato, accanto alle poten-zialità del qualificativo associato all’alimentazione, insite nella capacità di tradurre ilbisogno diffuso di socialità e di autenticità in domanda strutturata di beni materialie immateriali76 e di rappresentare un «modo diverso di consumare», la tendenza deilegislatori ad agire, oltre che con normative di esenzione e con lo strumento della de-roga, anche con interventi promozionali e tuttavia la difficoltà degli interpreti nel col-locare la dimensione locale nello spazio giuridico europeo.

Occorre quindi augurarsi che si affermi una deriva virtuosa che, valorizzando lerelazioni con le culture e i saperi tradizionali e le ricadute positive in termini di pre-servazione dell’ambiente naturale e degli ecosistemi agrari, favorisca la condizione eco-nomica delle piccole imprese sospinte ai margini dei principali circuiti commercialima occorre altresì evitare l’altra deriva del restringimento «spaziale», che conduce ver-so la liberalizzazione estrema del commercio di alimenti senza regole di protezione deiconsumatori e con seri pericoli per la salute, fino ai «cottage food»77 oggetto di unadiffusione imponente negli USA, anche al traino della crisi economica, e che potreb-bero approdare sui nostri mercati.

L’approvazione, nel luglio di questo anno (2014), della legge della regione EmiliaRomagna «Norme per la promozione e il sostegno dell’economia solidale»78, sembraandare nella direzione di una ricerca di coerenza nella proposta e nel sostegno di unmodello alternativo di produzione e consumo nel quale i prodotti locali trovano unospazio «giusto» tenendo adeguato conto dell’impatto su quelli che sono stati indivi-duati come i «cinque capitali»: umano, finanziario, fisico, sociale e naturale79.

74 Sul tema delle varietà locali rinvio al mio La tutela delle risorse genetiche in agricoltura, in Trattatodiritto agrario cit., vol. II, Diritto agro ambientale, 493 ss.

75 Come, da ultimo, nella legge della regione Sardegna 5 agosto 2014, n. 16 «Norme in materia diagricoltura e sviluppo rurale:agro biodiversità, marchio collettivo, distretti» in cui si prevede l’adozionedi programmi di intervento, con l’incentivo anche a misure di «valorizzazione dei prodotti locali tipicie tradizionali e identitari».

76 A. PASCALE, Una politica globale del cibo, in www.qdrmagazine.it.77 Per alcune osservazioni critiche sulle normative sui cottage food ed altre analoghe in considera-

zione delle esenzioni dall’applicazione delle regole di safety (Food Safety Modernization Act) vedi K. DA-MEWOOD, Two apolitical way to support local food safety, in Food safety news, April 25, 2014.

78 Della quale non si è potuto tenere adeguatamente conto nella redazione di questo scritto.79 Cfr. JRC, Short food suppy, cit., 27 e la Relazione della Commissione (COM(2013)501final), cit.