Diritto, giochi, regole costitutive

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455 MATERIALI PER UNA STORIA DELLA CULTURA GIURIDICA a. XLIV, n. 2, dicembre 2014 DIRITTO, GIOCHI, REGOLE COSTITUTIVE di Marco Q. Silvi Perché riluttate? Se assecondaste le metafore di- ventereste metafore voi stessi e sareste così già affrancati dalla quotidiana fatica. Franz Kafka 1. La metafora del diritto quale gioco: temi, problemi, tesi 1.1. Diritto e gioco sono termini di una metafora frequentemente usata con finalità euristiche, spesso feconde, (anche) da chi, a diver- so titolo e sotto diverse prospettive di analisi, studia i fenomeni giu- ridici. Senza pretesa di completezza e precisione, formulo tre esempî di come la metafora del diritto quale gioco può essere (ed è stata) im- piegata e sviluppata per mettere in evidenza altrettanti aspetti costi- tutivi dell’esperienza giuridica. Ognuno di tali aspetti individua un distinto ambito di ricerca, un tema da scandagliare e analizzare an- che alla luce della predetta metafora (i tre esempî costituiscono tre variazioni della medesima metafora, anche se, a rigore, non di meta- fora dovrebbe forse parlarsi ma, più propriamente, di analogia). Primo esempio. È stato argomentato che, come molti giochi 1 , il diritto implica la presenza di regole: non solo regole che prescrivo- no ai giocatori come debbano comportarsi nel gioco (durante il suo svolgimento); ma anche regole che costituiscono, predefinendole, quali sono le possibili mosse e situazioni del gioco, i «valori» delle componenti del gioco. Metafore di questo tipo sono rinvenibili in gran parte dei lavo- ri di ontologia sociale e di filosofia della norma giuridica che hanno 1 Che non tutti i giochi siano caratterizzati dalla presenza di regole è stato argomentato, ad esempio, da R. Caillois, Les jeux et les hommes. La masque et la vertige, 1967, tr. it. I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Milano, Bompiani, 2007, pp. 28-29. Nel presente lavoro, i giochi cui si farà riferimento sono solo quelli caratterizzati dalla presenza di regole.

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455MATERIALI PER UNA STORIA DELLA CULTURA GIURIDICAa. XLIV, n. 2, dicembre 2014

DIRITTO, GIOCHI, REGOLE COSTITUTIVE

di Marco Q. Silvi

Perché riluttate? Se assecondaste le metafore di-ventereste metafore voi stessi e sareste così già affrancati dalla quotidiana fatica.

Franz Kafka

1. La metafora del diritto quale gioco: temi, problemi, tesi

1.1. Diritto e gioco sono termini di una metafora frequentemente usata con finalità euristiche, spesso feconde, (anche) da chi, a diver-so titolo e sotto diverse prospettive di analisi, studia i fenomeni giu-ridici.

Senza pretesa di completezza e precisione, formulo tre esempî di come la metafora del diritto quale gioco può essere (ed è stata) im-piegata e sviluppata per mettere in evidenza altrettanti aspetti costi-tutivi dell’esperienza giuridica. Ognuno di tali aspetti individua un distinto ambito di ricerca, un tema da scandagliare e analizzare an-che alla luce della predetta metafora (i tre esempî costituiscono tre variazioni della medesima metafora, anche se, a rigore, non di meta-fora dovrebbe forse parlarsi ma, più propriamente, di analogia).

Primo esempio. È stato argomentato che, come molti giochi1, il diritto implica la presenza di regole: non solo regole che prescrivo-no ai giocatori come debbano comportarsi nel gioco (durante il suo svolgimento); ma anche regole che costituiscono, predefinendole, quali sono le possibili mosse e situazioni del gioco, i «valori» delle componenti del gioco.

Metafore di questo tipo sono rinvenibili in gran parte dei lavo-ri di ontologia sociale e di filosofia della norma giuridica che hanno

1 Che non tutti i giochi siano caratterizzati dalla presenza di regole è stato argomentato, ad esempio, da R. Caillois, Les jeux et les hommes. La masque et la vertige, 1967, tr. it. I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Milano, Bompiani, 2007, pp. 28-29. Nel presente lavoro, i giochi cui si farà riferimento sono solo quelli caratterizzati dalla presenza di regole.

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tematizzato il fenomeno della costitutività delle regole, declinando di-versi concetti di regola costitutiva2.

Secondo esempio. È stato osservato che, come nei giochi definiti da regole, anche nel diritto, l’azione di chi (a diverso titolo) vi ope-ra non si risolve (soltanto) nel seguire la regola, ma in concreto (in ogni «partita») l’azione si sviluppa soprattutto in quanto orientata «dagli scopi del gioco e dalla conoscenza della sua teoria». Una tale metafora è stata formulata, ad esempio, da Alf Ross al fine di te-matizzare il modo di interpretare e applicare il diritto da parte dei giudici, i quali, nei fatti, non sarebbero in grado di separare la «ra-gione giuridica» immanente alla norma, «dagli scopi pratici che vi-vono fuori dalla norma, né la conseguenza formale può essere indi-pendente da un adattamento valutativo delle norme in rapporto ai valori presupposti»3.

Terzo esempio. È stato osservato che, come il gioco, anche il dirit-to consiste in una pratica umana che si radica in esigenze specifiche

2 Oltre ai classici lavori di John R. Searle (quali Speech Acts. An Essay in the Philisophy of Language, 1969, tr. it. Atti linguistici. Saggio di filosofia del linguaggio, Torino, Bollati Borlin-ghieri, 1976; The Construction of Social Reality, tr. it. La costruzione della realtà sociale, Torino, Einaudi, 1996; Making the Social World, 2010, tr. it. Creare il mondo sociale, Milano, Raffaello Cortina, 2010), cfr. in Italia: (i) G. Carcaterra, Le norme costitutive, Milano, Giuffrè, 1974; La forza costitutiva delle norme, Roma, Bulzoni, 1979; Le regole del Circolo Pickwick, in «Nuova civiltà delle macchine», III-3-4, 1985, pp. 16-23; (ii) A.G. Conte, Regole costitutive in Wittgen-stein, 1981, riedito in A.G. Conte, Filosofia del linguaggio normativo. I, Torino, Giappichelli, 1995, pp. 235-254; Paradigmi d’analisi della regola in Wittgenstein, 1983, riedito in A. G. Con-te, Filosofia del linguaggio normativo. I, cit., pp. 265-312; Fenomeni di fenomeni, 1986, riedito in A.G. Conte, Filosofia del linguaggio normativo. II, Torino, Giappichelli, 1995, pp. 313-346; Deontica wittgensteiniana, 1993, riedito in A.G. Conte, Filosofia del linguaggio normativo. II, cit., pp. 517-561; (iii) R. Guastini, Teoria delle regole costitutive, in «Rivista internazionale di filosofia del diritto», LX-4, 1983, pp. 548-564; Cognitivismo ludico e regole costitutive, in U. Scarpelli, a cura di, La teoria generale del diritto. Problemi e tendenze attuali, Milano, Comu-nità, pp. 153-176; Norme che sono condizioni sufficienti del loro oggetto?, in «Materiali per una storia della cultura giuridica», XVI, 1986, pp. 213-222; (iv) G.A. Ferrari, Regole costitutive e validità, in «Materiali per una storia della cultura giuridica», XI, 1980, pp. 507-526; Il diritto tra regola e azione, Padova, Cedam, 1988; Law as a Game, in AA.VV., Reason in Law, Mila-no, Giuffrè, pp. 259-271; Le droit dans la forme praxéologique du jeu, in «Droit et Société», 1991, pp. 91-104. Cfr. anche P. Pollastro, Fenomenologia delle regole costitutive, in «Materiali per una storia della cultura giuridica», XIII, 1983, pp. 233-262; T. Mazzarese, Metaregole, in «Nuova civiltà delle macchine», III-3-4, 1985, pp. 65-73; M. Jori, In margine all’ultimo Conte, in «Materiali per una storia della cultura giuridica», XVI, 1986, pp. 443-469; F. Rositi, Tipi e dimensione dei sistemi normativi, in «Rassegna italiana di sociologia», XXVII-3, 1986, pp. 347-368; G.M. Azzoni, Il concetto di condizione nella tipologia delle regole, Padova, Cedam, 1988. Più di recente, cfr. anche C. Roversi, Pragmatica delle regole costitutive, Bologna, Gedit, 2007; Costituire. Uno studio di ontologia giuridica, Torino, Giappichelli, 2012.

3 Cfr. A. Ross, On Law and Justice, 1958, tr. it. Diritto e giustizia, Torino, Einaudi, 1990, p. 148, in cui osserva anche: «Le teorie positivistiche nascondono l’attività giuridico-politica del giudice. Allo stesso modo che il giocatore di scacchi è guidato non soltanto dalle regole degli scacchi ma anche dagli scopi del gioco e dalla conoscenza della sua teoria, così anche il giudi-ce è guidato da esigenze sociali e da considerazioni giuridico-sociologiche».

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dell’uomo e della sua dimensione sociale, tanto che anche nelle pra-tiche giuridiche (nei singoli istituti giuridici), sarebbero sempre rin-venibili (pure con gradazioni diverse) elementi (tratti) ludici.

Una tale analogia è rinvenibile, ad esempio, nel celebre Homo lu-dens, di Johan Huizinga (1939), ma anche in lavori più propriamente di dogmatica giuridica relativi alla teoria del processo4. È nell’agone processuale, infatti, che la dimensione ludica del diritto emerge con particolare evidenza (rispetto agli altri istituti giuridici): e non a caso lo stesso Huizinga concentra la sua attenzione (e costruisce l’analogia tra diritto e gioco) proprio sul gioco del processo, nella cui struttura individua almeno «tre forme ludiche: gioco d’azzardo, competizione o scommessa, e gara nella parola»5.

1.2. Nonostante l’indubbia fecondità della metafora del diritto quale gioco, è tuttavia possibile che il suo impiego possa risultare, qualche volta, non pienamente efficace. In particolare, parafrasan-do (scherzosamente) il passo di Kafka assunto a motto del presente lavoro, è possibile che lo studioso di fenomeni normativi assecondi troppo la metafora del diritto quale gioco ed elabori concetti o ca-tegorie coerenti sì con i fenomeni ludici, ma slegati dalla realtà giu-ridica (per l’indagine della quale, però, quei concetti e categorie do-vrebbero servire).

1.2.1. È questo il caso, a mio avviso, di quel concetto di regola costitutiva, enucleato dapprima da John R. Searle nell’ambito di un più ampio contesto di ricerche, ma tematizzata con particolare rigo-re in Italia da Amedeo G. Conte, che quest’ultimo chiama ‘regola eidetico-costitutiva’ (o ‘regola costitutiva eidetica’).

Sono, le regole costitutive eidetiche, regole che sono «condi-zione necessaria di pensabilità, e perciò di possibilità, di ciò su cui esse vertono»6. Esse sono costitutive di una pratica istituzionale (ad esempio, il gioco degli scacchi), nonché delle unità di tale pratica (ad esempio, i singoli pezzi degli scacchi e le loro mosse), che non preesistono alle regole ma che «si danno» (sono pensabili e possibi-li) solo in virtù di tali regole7.

4 Su gioco e processo la letteratura è ampia. Oltre al celebre lavoro di P. Calamandrei, Il processo come gioco, in «Rivista di diritto processuale», I, 1950, pp. 25-51, ci si limita a rinvia-re a B. Cavallone, “Non siete altro che un mazzo di carte”. Lewis Carroll e la teoria del proces-so, in AA.VV, Studi in onore di Ugo Gualazzini, Milano, Giuffrè, 1983, pp. 309-349.

5 J. Huizinga, Homo ludens, 1930, tr. it. Homo ludens, Torino, Einaudi, 2007, p. 98.6 A.G. Conte, Regole costitutive in Wittgenstein, cit., p. 245.7 Cfr. A.G. Conte, Fenomeni di fenomeni, cit., p. 322. Conte usa il termine ‘praxis’ per

riferirsi alla pratica istituzionale, mentre col termine ‘praxema’ egli designa, più in generale, le

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Caso paradigmatico di regole costitutive eidetiche (sia nella teoria di Conte, sia in quelle di altri autori che, come Searle anche prima di Conte, hanno elaborato concetti per certi versi simili, seppur con terminologia diversa)8 sono le regole dei giochi, quali quello degli scacchi.

È peraltro evidente la «assonanza concettuale» che tale tipo di re-gole (meglio, tale concetto di costitutività) ha con il fenomeno dirit-to: un aspetto fondamentale dell’esperienza giuridica, infatti, consiste nel fatto che il diritto (meglio, i singoli ordinamenti giuridici) non si limita a regolare (al fine di tutelare e/o trovare equilibrio tra più interessi confliggenti) attività umane preesistenti, ma, molto spesso, costituisce le attività (istituzionali) che esso stesso regola (rendendo in tal modo tali attività possibili nel singolo ordinamento giuridico)9.

1.2.2. Quanto sopra vale, con particolare evidenza, per quelle at-tività istituzionali che sono gli atti giuridici, in particolare per quelli che sono atti (giuridici) thetici. Sono, gli atti thetici, atti (linguistici) avente senso di costituire, modificare o estinguere stati di cose isti-tuzionali (quali diritti, responsabilità, status normativi, ecc.): la com-pravendita, la rinuncia a un diritto, la concessione edilizia, l’amni-stia, le promesse unilaterali, le condanne (ecc.), sono esempî di atti (giuridici) thetici10.

unità di una praxis; col termine ‘pragmema’, infine, egli si riferisce agli atti, meglio ai tipi di atti, alle “mosse del gioco”, che sono resi possibili nella praxis, in virtù delle sue regole eide-tico-costitutive. Nel presente lavoro userò il termine ‘pratica’ come sinonimo di ‘praxis’; userò quindi il termine ‘unità’ (della pratica) come sinonimo di ‘praxema’; userò infine il termine ‘mossa’ o ‘atto’ come sinonimo di ‘pragmema’.

8 Che alle constitutive rules di Searle (almeno a quegli esempî di constitutive rules che Se-arle mutua dal gioco degli scacchi o dal gioco del football) corrispondano le regole eidetico-costitutive è tesi dello stesso Conte: cfr. Deontica wittgensteiniana, cit., p. 535.

9 Cfr. ad esempio C. Roversi, Costituire, cit., p. 18: «La costitutività delle norme costitutive [eidetiche] è il processo di creazione di tipi (concetti o, se si vuole, fattispecie astratte) di atti e fatti aventi un determinato significato nel contesto di una pratica».

10 Si deve sempre ad Amedeo G. Conte la costruzione dei concetti di theticità e di atto thetico, inteso (quest’ultimo) quale atto linguistico avente senso di produzione, di costituzione, di uno stato di cose. Cfr. ad esempio A.G. Conte, Aspetti della semantica del linguaggio deon-tico, in G. Di Bernardo, a cura di, Logica deontica e semantica, Bologna, Il Mulino, 1977, pp. 147-165; A.G. Conte, Minima deontica, 1988, riedito in A.G. Conte, Filosofia del linguaggio normativo. II, cit., pp. 355-407; A.G. Conte, Performativo vs. normativo, in U. Scarpelli e P. Di Lucia, a cura di, Il linguaggio del diritto, Milano, Led, pp. 247-263; A.G. Conte, Atto perfor-mativo: il concetto di performtività nella filosofia dell’atto giuridico, in G. Lorini, a cura di, Atto giuridico, Bari, Adriatica, pp. 29-108. Cfr. anche P. Di Lucia, Valore adeontico di forme lingui-stiche deontiche, in P. Di Lucia, Normatività. Diritto linguaggio azione, Torino, Giappichelli, 2003, pp. 43-68. Il concetto di theticità è stato elaborato al fine di tematizzare il fenomeno della natura costitutiva (non di norme ma) degli atti linguistici, fenomeno, quest’ultimo, cen-trale dell’esperienza giuridica: infatti, la gran parte degli atti giuridici (degli atti linguistici che rilevano in e per un singolo ordinamento giuridico) sono in realtà atti thetici. Su quest’ultimo aspetto sia consentito rinviare a M.Q. Silvi, Atto giuridico e documento informatico. Forma ora-

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L’ambito degli atti thetici e della loro regolazione da parte degli ordinamenti giuridici (almeno di ordinamenti positivi) è un ambito fenomenico interessante. In particolare, a una prima analisi, emer-ge la tendenza degli ordinamenti giuridici a predefinire tipi astrat-ti di atti (thetici), dei quali gli uomini, al fine di realizzare i proprî interessi concreti, si possono servire per attuare un’azione che ab-bia rilievo per il diritto e così produrre, modificare o estinguere (in quell’ordinamento giuridico) situazioni giuridiche tipiche.

Rispetto a tale fenomeno (per cui il diritto è stato definito effica-cemente come una «morfologia della prassi»)11, ecco che il concetto di regola costitutiva eidetica si presenta (almeno in apparenza) come potente strumento concettuale per la sua analisi e tematizzazione. E infatti, nella prospettiva delle regole eidetico-costitutive, la metafora del diritto quale gioco potrebbe indurre a concludere che:

(i) in primo luogo, gli atti giuridici (thetici), meglio i tipi di atti giuridici costituiti dalle regole di un determinato ordinamento giu-ridico, sarebbero come gli atti ludici, le «mosse» di un determinato gioco, rese possibili dalle regole del gioco medesimo;

(ii) in secondo luogo, le regole degli ordinamenti giuridici sareb-bero costitutive di tipi di atti giuridici (thetici), rendendo quindi pos-sibile, nel medesimo ordinamento giuridico, sia il compimento di un atto, sia la conseguente produzione di determinati effetti; ciò allo stesso modo in cui «le regole del gioco degli scacchi ne costituisco-no i pragmemi (ossia i types di mossa, i types delle singole mosse)»12.

In altre parole, la metafora del diritto quale gioco ci potrebbe indurre a concludere che le regole (dell’ordinamento giuridico) che definiscono tipi di atti giuridici, dovrebbero essere regole costitutive

le, forma scritta, forma informatica, Milano, Ledizioni, 2013; Atti ascrittivi e performatività, in A. Rossetti, E. Colzani, a cura di, Mente azione normatività, Milano, Ledizioni, 2014, pp. 69-105.

Si osservi: nel presente lavoro si assume la tesi secondo cui tutti gli atti giuridici thetici hanno natura linguistica. Ciò in accordo con la concezione, più ampia, da ultimo elaborata da Searle, Creare il mondo sociale, cit. (sub 2.1.3), secondo cui «il linguaggio è istitutivo della realtà istituzionale e, di conseguenza […] tutte le istituzioni umane sono essenzialmente lin-guistiche» (p. 81). Questo non significa che gli atti giuridici debbano necessariamente esse-re (sempre) atti verbali. Non è necessario che il diritto sia «parlato», esso può essere anche «muto». Ma l’atto muto (di cui, ad esempio, parla R. Sacco, Il diritto muto, in «Rivista di diritto civile», XXXIX, 1993, pp. 689-702; L’occupazione, atto di autonomia, in «Rivista di di-ritto civile», XL, 1984, pp. 242-258; Azione, pensiero, parola nella creazione del diritto, in J. Visconti, a cura di, Lingua e diritto. Livelli di analisi, Milano, Led, 2010, pp. 21-40) non è un atto non linguistico, in quanto, appunto, vi sono forme di comunicazione che non necessitano di parole, quale il linguaggio gestuale (Searle, ivi, p. 82).

11 V. Frosini, La struttura del diritto, Milano, Giuffrè, 1962, pp. 12-15. 12 A.G. Conte, Fenomeni di fenomeni, cit., p. 327.

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eidetiche, così come sono regole eidetico-costitutive quelle che defi-niscono le mosse e i pezzi del gioco degli scacchi13.

Tuttavia, così non è, almeno non con riferimento agli atti giuridi-ci. Non sono rinvenibili, infatti, nei singoli ordinamenti giuridici, re-gole costitutive eidetiche che sono condizione di pensabilità (e quin-di di possibilità) di atti giuridici, o almeno io non ne ho trovate.

Il fatto di non aver rinvenuto nel diritto positivo regole eidetico-costitutive di atti giuridici, unitamente al fatto che gli esempî, ad-dotti da coloro che studiano e hanno elaborato tale categoria con-cettuale, siano tratti da giochi (almeno questo vale per gli esempî su cui v’è accordo tra gli studiosi)14, induce ad avanzare l’ipotesi che il concetto di regola eidetico-costitutiva colga un fenomeno circoscritto all’ambito della sola pratica ludica, ma non sia utilizzabile per l’ana-lisi dei fenomeni giuridici15.

1.3. Nel presente lavoro, intendo sostenere (almeno) tre tesi. La prima tesi afferma che, almeno con riferimento agli atti giuri-

dici, l’insieme delle regole, che concorrono unitariamente a definire i tipi di tali atti, non può essere concepito come un insieme di con-dizioni (disgiuntamente necessarie)16 che rendono pensabile, e quindi possibile, l’atto giuridico che un tale insieme regola. In altre parole, sostengo che non vi sono atti giuridici il cui concetto sia costituito da regole (regole costitutive eidetiche).

Per argomentare questa tesi, procedo in due direzioni. In primo luogo, sub 2, tento, in via preliminare, di esaminare alcuni casi che potrebbero essere invocati (e a volte lo sono stati) come esempî di regole costitutive eidetiche di atti giuridici, ma che in realtà non lo sono.

In secondo luogo, sub 3, intendo sostenere una tesi che afferma una differentia specifica tra l’esperienza giuridica e l’esperienza ludi-ca (tra gli atti giuridici e le mosse dei giochi), la quale differenza è

13 Cfr. P. Pollastro, Fenomenologia delle regole costitutive, cit., p. 256: «Gli atti thetici non sono dotati di questa particolare forza creatrice in sé, ma attuano una thésis in forza delle re-gole costitutive che li governano. Poiché le regole costitutive che governano gli atti thetici non possono che essere regole costitutive che rendono pensabili e, quindi, possibili attività istitu-zionali (quali appunto gli atti thetici), si può concludere che» l’esecuzione degli atti thetici «è governata da regole costitutive eidetiche».

14 Così, ad esempio, non v’è accordo sulle c.d. essential rules dell’atto della promessa: cfr. sub 2.1.

15 Una tale ipotesi è stata avanzata, ad esempio, anche da M. Jori, In margine all’ultimo Conte, cit., p. 455.

16 Il fatto che la costitutività eidetica sia data non da una singola regola, ma da un insieme di regole che concorrono unitariamente a costituire l’eîdos dell’attività istituzionale che esse regolano, è esplicitamente asserito dallo stesso A.G. Conte, ad esempio in Fenomeni di feno-meni, cit., p. 329.

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incompatibile con l’idea che gli atti giuridici siano (meglio, il loro concetto, il loro eîdos, sia) pensabili e quindi possibili in virtù delle regole che su tali atti vertono.

In particolare, anticipando qui la seconda tesi, tale differenza tra atti giuridici e mosse del gioco consiste in questo: le mosse di un gioco (e più in generale ogni «unità ludica» come, ad esempio, i pezzi degli scacchi, la briscola nell’omonimo gioco, la premiera nel gioco della scopa) sono entità discrete, mentre gli atti giuridici sono fenomeni continui (poiché, quindi, le mosse di un gioco sono feno-meni discreti proprio in quanto sono costituiti da regole eidetico-co-stitutive, gli atti giuridici non sono «mosse» del diritto e non posso-no essere, dunque, costituiti da regole costitutive eidetiche).

Si osservi: la mia critica al concetto di regola costitutiva eidetica non significa che io disconosca la costitutività che connota l’attività di normazione degli atti (thetici) da parte degli ordinamenti giuri-dici. Mi limito a rilevare, semplicemente, che il concetto di regola eidetico-costitutiva non è uno strumento adeguatamente potente per comprendere tale fenomeno, il quale richiede, pertanto, una diversa tematizzazione.

Pertanto, sub 4, intendo abbozzare un contributo al fine di te-matizzare il predetto fenomeno, ricorrendo a categorie concettuali diverse. Anticipando qui la terza tesi, si può ritenere, in prima ap-prossimazione, che il diritto positivo, nel costruire tipi di atti (forme tipiche di azione) mediante le quali l’attività istituzionale dell’agente può assumere rilievo in un determinato ordinamento giuridico (pro-ducendo, modificando o estinguendo stati giuridici), si «serve» degli atti di linguaggio (meglio dei concetti di atti linguistici) già in uso nel contesto sociale in cui l’ordinamento (storicamente) si innesta: i con-cetti di tali atti linguistici sono quindi presupposti, in qualche modo, dai tipi di atti giuridici costruiti dal diritto positivo17.

Come già detto, l’analisi sulla costitutività (eidetica) delle regole, oggetto del presente lavoro, è circoscritta a quell’insieme di fatti isti-tuzionali che sono gli atti giuridici, intesi quali atti di linguaggio che sono oggetto di regole (costitutive) valide in e per un ordinamento giuridico (nella maggior parte dei casi, si tratta di atti thetici, ossia atti che, in e per quell’ordinamento giuridico, sono costitutivi, modi-ficativi o estintivi di stati giuridici).

17 A rigore, questa mia tesi (che formulo con riferimento agli ordinamenti positivi) dovreb-be valere anche per ordinamenti giuridici che positivi non sono, nei quali comunque la co-struzione di tipi di atti avviene mediante regole non poste da autonomi atti di statuizione, ma avviene mediante regole che sono invalse nell’uso, per il ripetersi di una determinata prassi (come avviene in ogni ordinamento giuridico di natura consuetudinaria).

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Sotto questo aspetto, infatti, il presente lavoro vuole fornire, prin-cipalmente, un contributo non tanto alla filosofia della norma giuri-dica, quanto piuttosto alla teoria dell’atto giuridico. In particolare, il presente contributo mira a mettere in luce alcuni aspetti che con-notano le relazioni tra atti (giuridici) thetici e le regole (dell’ordina-mento giuridico) che vertono su tali atti.

2. Esempî (errati) di atti giuridici costituiti da regole costitutive eidetiche

Sebbene gli studiosi che si occupano (o si sono occupati) di rego-le costitutive eidetiche di solito si limitano a esibire esempî tratti dai giochi, tuttavia, in alcuni casi, sono registrabili anche esempî tratti dall’esperienza giuridica.

Ne prendo in considerazione due, che mi paiono «tipi esemplari di esempî», nel senso che questi due esempî che intendo mostrare individuano idealmente, ciascuno, un insieme di esempî formulati e formulabili.

Tuttavia, nessuno di questi esempî è corretto, in quanto le rego-le di atti addotte come esempio, in realtà, non sono costitutive del concetto (dell’eîdos) dell’atto sulle quali esse vertono, non essendo queste regole ciò che rende pensabile (e quindi possibile) l’atto né, tanto meno, il suo concetto.

2.1. Esempio delle essential rules della promessa

2.1.1. Il primo esempio, rinvenibile in Searle, è dato dalle «regole costitutive» degli atti linguistici, in particolare di quelli che spesso ricorrono anche nell’esperienza giuridica, quali l’atto della promessa, della donazione, del perdono, dell’accusa, del comando, ecc..

Com’è noto, Searle si sofferma con particolare attenzione sull’atto della promessa, distinguendo tra c.d. essential rules (regole costitu-tive del senso specifico dell’atto: nel caso della promessa, la regola secondo cui «essa è l’assunzione di un obbligo di eseguire un certo atto»)18 e regole che, a diverso titolo, costituiscono le modalità attua-tive, esecutive, dell’atto (ad esempio, le regole secondo cui la pro-messa deve avere a oggetto un comportamento futuro e non passato o, ancora, quella per cui tale comportamento deve essere qualcosa che il destinatario speri o necessiti che sia fatto)19. Al di là delle di-

18 J.R. Searle, Atti linguistici, cit., p. 92. 19 Cfr. ibidem, pp. 89-90.

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stinzioni interne operate da Searle, ciò che rileva è la tesi per cui tutte queste regole, nel loro insieme, sarebbero costitutive del con-cetto di promessa, e renderebbero pensabile (e quindi possibile) l’at-to stesso e l’attività istituzionale del fare promesse20.

Le regole costitutive della promessa sono un esempio che spesso ricorre in letteratura. Tuttavia, né le essential rules, né le altre regole sull’esecuzione della promessa indicate da Searle sono, in realtà, co-stitutive del concetto di tale atto. Ciò in quanto la promessa è, ap-punto, un atto linguistico e il suo senso, così come le sue condizioni d’attuazione messe in luce da Searle, derivano, per dirla à la Wit-tgenstein, dall’uso nel linguaggio che, nel concreto, si fa del verbo ‘promettere’ e della parola ‘promessa’21.

In altri termini, il fatto che la promessa generi un impegno in capo al promittente (così come il fatto che la promessa debba avere a oggetto un comportamento futuro) dipende dal fatto che con que-sto senso sono usati, nella pratica linguistica (nell’agire mediante il linguaggio) enunciati del tipo ‘Io ti prometto che p’.

2.1.2. Si osservi: da un punto di vista logico (ma anche cronologi-co) prima nasce la pratica della promessa, l’uso linguistico nell’ambi-to del quale si determina il significato del (il concetto designato dal) termine ‘promessa’; solo dopo (che tale uso si è formato) può venire (eventualmente) la regola. La costitutività eidetica, invece, riguarda enti il cui prius è non l’uso, ma la regola: nel gioco degli scacchi, prima vengono le regole dei pezzi e delle mosse, poi si gioca. Tale aspetto, della priorità logica e cronologica delle regole (eidetico-costi-tutive) sul concetto stesso di ciò che viene regolato, è messo effica-cemente in luce da Corrado Roversi, che così scrive:

La tesi per la quale un sistema di regole può rendere possibile un’attività costi-tuendone il concetto assume un senso e una specifica valenza ontologica soltanto se è possibile dimostrare che tali regole hanno una priorità, logica ma anche cronolo-gica sulla pratica in questione, nel senso che gli individui che praticano una attivi-tà istituzionale devono farlo perché, originariamente e in primo luogo, ne hanno in qualche modo imparato le regole costitutive22.

In tale prospettiva, ogni volta che analizziamo un’attività istituzio-nale (e una pratica istituzionale), come giocare a scacchi o a ramino, ovvero compiere promesse o donazioni, a seconda dell’esito della

20 Cfr. C. Roversi, Costituire, cit., p. 130.21 L. Wittgenstein, Philosophische Untersuchungen, 1953, tr. it. Ricerche filosofiche, Torino,

Einaudi, 1995, ad esempio p. 33.22 C. Roversi, Costituire, cit., p. 64.

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verifica che conduciamo alla luce della predetta prospettiva, secon-do Roversi potremmo, alternativamente, imbatterci: o in (i) «regole costitutive [eidetiche] da un lato, ovvero regole che abbiano effet-tivamente forza costitutiva di un sistema di concetti istituzionali e che siano ontologicamente alla base di una determinata attività isti-tuzionale»; oppure in (ii) «proposizioni descrittive di una costituzione dall’altro, ovvero semplici asserzioni che vertono sulla struttura di concetti desumibili da una pratica senza tuttavia fornirne il fonda-mento ontologico»23.

Ora, se analizziamo l’attività istituzionale del fare promesse (ma questo vale anche per ogni altro atto linguistico) si nota che non si può ragionevolmente sostenere che vi sia un «momento» (logico e cronologico) in cui si danno regole in forza delle quali diviene pen-sabile l’atto della promessa. Tante sono le comunità culturali e sociali in cui da sempre (o almeno da tempo risalente) è in uso l’attività del promettere, tanto che non sono inconsueti gli studiosi che individua-no nella promessa uno degli archetipi degli atti giuridici24.

A ben vedere, infatti, quelle che Searle chiama regole costitutive della promessa, non sono costitutive (eidetiche) in quanto non sono regole, non sono norme, ma sono più simili alle leggi d’essenza (We-sengesetze) della fenomenologia: le regole costitutive della promessa di Searle, infatti, si limitano a descrivere elementi costitutivi del con-cetto (dell’eîdos) dell’atto della promessa, i quali non dipendono da regole, ma risentono dell’uso che facciamo (quando agiamo mediante il linguaggio) di enunciati del tipo ‘Io ti prometto che p’. Sotto que-sto aspetto, l’analisi di Searle sulle «leggi» della promessa è molto simile a quella condotta sul medesimo atto dalle ricerche di fenome-nologia giuridica, quali quelle di Adolf Reinach (1913)25.

23 Ibidem, p. 65. 24 Sulla promessa quale universale giuridico, cfr. P. Di Lucia, L’universale della promessa,

Milano, Giuffrè; M. Ricciardi, L’isola che non c’è. Un saggio sulla necessità della promessa, Pisa, Ets, 2012. Cfr. anche H. Arendt, The Human Condition, Chicago, The University of Chica-go, 1959, la quale, nell’abbozzare una ontologia degli atti giuridici, identifica nella promessa e nel perdono i due atti giuridici fondamentali, archetipi, rispettivamente, degli atti produttivi ed estintivi di stati di cose istituzionali. Sul concetto di perdono e sulle sue relazioni con l’espe-rienza giuridica, sia consentito rinviare a M. Q. Silvi, Struttura giuridica del perdono, Milano, Francoangeli, 2004; La struttura giuridica del perdono, in R. Rizzi, a cura di, Itinerari del perdo-no, Milano, Unicopli, 2010, pp. 119-135.

25 Cfr. A. Reinach, Die apriorischen Grundlagen des bürgerlichen Rechtes, 1913, tr. it. I fon-damenti a priori del diritto civile, Milano, Giuffrè, 1990. Al riguardo, mi pare interessante che un fenomenologo come Jean-Louis Gardies, nella sua analisi degli atti linguistici come la pro-messa, condotta (anche) alla luce delle ricerche di Searle e di A.G Conte sulle regole costituti-ve, non parli (a ben vedere) di regole eidetico-costitutive (o di regole costitutive eidetiche), ma usi l’espressione ‘regola eidetica’ (‘règle eidétique’ – cfr. ad esempio J.L. Gardies, L’erreur de Hume, Paris, Puf, 1987). Non conosco le effettive ragioni di questa scelta lessicale, ma mi pare non casuale che sia proprio uno studioso di impostazione fenomenologica a usare un’espres-

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2.1.3. In tale prospettiva, con un argomento analogo a quello so-pra svolto, già Conte aveva criticato l’esempio di Searle delle regole costitutive della promessa, sostenendo che tale esempio non rispet-ta il concetto di regola costitutiva tematizzato dallo stesso Searle. In particolare, secondo Conte, nel caso della promessa, il termine ‘rego-la costitutiva’ è usato da Serle solo per metonimia, in quanto le re-gole di cui egli tratta, in realtà, «non costituiscono l’istituzione sulla quale vertono, ma […] di quell’istituzione esse riflettono l’intrinseca costituzione»26.

In un libro relativamente recente (Making the Social World, 2010), lo stesso Searle muta orientamento, escludendo esplicitamente che il senso, il concetto, dei singoli atti linguistici sia costituito da regole. Anzi, Searle dedica una parte fondamentale di questo lavoro proprio ad argomentare che gli atti linguistici (di cui la promessa continua a essere usato esempio), diversamente dagli altri fatti istituzionali, pos-siedono una loro intrinseca costitutività27.

In particolare, e in estrema sintesi, secondo Searle (di Making the Social World) l’intrinseca costitutività degli atti linguistici (i quali pertanto non necessitano di regole costitutive) dipenderebbe dall’in-trinseca normatività che connota il linguaggio ordinario, nel senso che gli atti linguistici, in quanto tali, comporterebbero, per chi li compie, l’assunzione di determinati impegni (pubblici), tipicamente connessi con il senso dell’atto linguistico che si sta compiendo (con la funzione comunicativa tipica di quell’atto)28.

In tale prospettiva (dalle forti assunzioni teoriche), per esistere come fatti istituzionali, gli atti linguistici non necessitano di altre isti-tuzioni oltre a se stessi (oltre alle convenzioni linguistiche condivise).

sione, come ‘regola eidetica’, che è profondamente ambigua: è ambigua in quanto può essere interpretata sia nel senso delle regole costitutive (à la Conte), sia nel senso dei Wesengesetze della fenomenologia, come «leggi d’essenza» descrittive dell’intrinseca costitutività del concetto dell’atto linguistico su cui la regola verte: su tale «tendenza evolutiva» nel lessico di Gardies, cfr. A. Rossetti, Deontica in Jean-Louis Gardies, Padova, Cedam, 1999, p. 69.

26 A.G. Conte, Dontica wittgensteiniana, cit., p. 536. 27 J.R. Searle, Creare il mondo sociale, cit., p. 147. Secondo Searle, in particolare: (i) men-

tre il significato (il senso, il concetto) che connota un qualunque fatto istituzionale diverso dal linguaggio (fatto istituzionale non linguistico) è determinato (imposto) da una convenzio-ne, da regole, da atti thetici, i quali necessitano, per esistere, di un linguaggio, di una pratica condivisa; (ii) il significato degli atti linguistici (fatto istituzionale linguistico), invece, risiede già nell’uso che facciamo degli enunciati che, appunto, usiamo per compiere gli atti linguistici corrispondenti.

28 Cfr. ivi, p. 109: «Non puoi spiegare che cos’è una promessa o un’affermazione senza spiegare che le affermazioni impegnano chi le fa nell’asserire la verità di quanto detto e che le promesse impegnano chi le fa a mantenerle. In ambedue i casi, l’impegno è interno all’atto linguistico, dove con ‘interno’ intendo che non potrebbe essere il tipo di atto linguistico che è, non potrebbe essere quel preciso genere di atto linguistico se non comportasse quell’impe-gno».

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Anzi, proprio in ragione della loro natura intrinsecamente normativa, gli atti linguistici sono, secondo Searle, il fondamento di ogni altra realtà istituzionale. Scrive Searle:

Una volta che avete un linguaggio condiviso, avete già un contratto sociale, quindi avete una società. Se con ‘stato di natura’ intendiamo uno stato in cui non ci sono istituzioni umane allora per gli animali che parlano una lingua non c’è nien-te che assomigli a uno stato di natura. […] Si può avere una società che ha un linguaggio, ma non uno stato, la proprietà privata o il denaro. Di contro, però, non si può avere una società che ha uno stato, la proprietà privata o il danaro, ma non ha un linguaggio29.

2.2. Esempio dei tipi di atti giuridici definiti dal diritto positivo

Il secondo tipo di esempio di (possibili) regole costitutive eideti-che del concetto di atti, consiste nell’insieme delle regole, valide in e per un determinato e concreto ordinamento giuridico, le quali verto-no un atto giuridico (definendone il tipo astratto).

Si osservi: il primo esempio ha a oggetto «regole» (che forse non sono regole) derivabili dal concetto di atti linguistici (come la pro-messa, il perdono, il comando, la rinuncia, ecc.), i quali atti, pur es-sendo ricorrenti anche nell’esperienza giuridica, sono considerati a prescindere da particolari ordinamenti nei quali essi possono venire in rilievo. Questo secondo esempio, invece, fa riferimento alle spe-cifiche regole che un particolare ordinamento si dà per determinare fattispecie astratte di atti giuridici.

In tale prospettiva, limito l’analisi a due tipi di atti regolati dal di-ritto italiano: la donazione (artt. 769-809 c.c.) e la fideiussione (artt. 1936-1957 c.c.). Mi pare che tali esempî siano esemplari di quelli che potrebbero essere formulati:

(i) sia da coloro che ritengono che tra le regole eidetico-costituti-ve rientrino (anche) le definizioni, le norme definitorie (valide in un ordinamento giuridico)30: in tale prospettiva, sarebbero regole co-stitutive eidetiche le norme ricavabili, ad esempio, dagli artt. 769 e 1936 c.c. le quali definiscono, rispettivamente, i concetti di donazio-ne e di fideiussione;

(ii) sia da coloro che ritengono che le regole costitutive eideti-che debbano essere individuate nell’insieme delle regole che vertono sulla validità e sull’efficacia di atti giuridici31; in tale prospettiva, nel

29 Ivi, pp. 80-81. 30 Cfr. ad esempio R. Guastini, Cognitivismo ludico e regole costitutive, cit.31 Cfr. ad esempio C. Roversi, Costituire, cit., p. 45.

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caso della donazione e della fideiussione, rientrerebbero in tale tipo di regole, non solo le definizioni ex artt. 769 e 1936 c.c., ma anche l’insieme delle altre norme che pongono le condizioni per la vali-da esecuzione degli atti e regolano gli effetti giuridici che una tale esecuzione innesca nel nostro ordinamento, quali (a mero titolo di esempio) gli artt. 782, 783, 785, 1937 c.c. nonché gli artt. 769, 797, 1949-1953 c.c.32.

Non intendo qui discutere né del complesso problema delle de-finizioni nel diritto, né delle regole che vertono sulla validità o sugli effetti di un atto giuridico, né tantomeno intendo compiere un’ana-lisi (filosofica o, peggio, giuridica) degli atti della donazione e della fideiussione.

Mi limiterò, nel seguito, a mostrare che regole come quelle richia-mate non sono regole costitutive eidetiche, in quanto non costitui-scono il concetto (l’eîdos) dell’atto che esse regolano: esse non sono, in altre parole, il prius logico e cronologico dei concetti di donazio-ne (sub 2.2.1 e 2.2.2) e di fideiussione (sub 2.2.3), né ne sono condi-zione di pensabilità.

2.2.1. Analisi della donazione e del donare

Ai sensi dell’art. 769 c.c. «la donazione è il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un diritto o assumendo verso la stessa una obbli-gazione». Tuttavia, per poter concepire (pensare) il concetto (l’eîdos) della donazione, noi non abbiamo necessità di ricorrere alla regola dell’art. 769 c.c., né alle altre norme sulla valida esecuzione e sugli effetti giuridici della donazione, né abbiamo bisogno di conoscere tali regole.

Prima ancora di apprendere le regole poste dagli artt. 769-809 c.c., noi concepiamo già e siamo già in grado di praticare l’attività istituzionale del donare: ad esempio, è sufficiente prendere un ogget-to x su cui abbiamo un certo diritto (o almeno riteniamo di averlo) ed enunciare, rivolti alla persona che intendiamo beneficiare, enun-ciati del tipo ‘Questo è tuo’, o ‘Io ti dono x’, o ‘Te lo regalo’. Ecco che, così facendo, stiamo donando l’oggetto x, stiamo compiendo l’atto della donazione (e theticamente ascriviamo al donatario il dirit-to che in precedenza avevamo sull’oggetto x). E questa pratica l’ab-

32 Si tratta delle norme sulla forma degli atti (forma della donazione e forma della fideius-sione), nonché delle norme sull’effetto traslativo della donazione, sulla garanzia per l’evizione da parte del donante, e delle norme che regolano i rapporti tra fideiussore e debitore garantito.

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biamo appresa dall’uso che ne abbiamo fatto nei contesti relazionali (a due) della vita quotidiana, senza necessariamente agire nell’ambito dell’ordinamento giuridico.

La priorità dell’esperienza del donare sulla «costruzione giuridi-ca» dell’atto della donazione trova un esempio illuminante nel dirit-to romano, almeno di età classica, in cui la donatio non era un tipo di atto giuridico previsto (e regolato) dall’ordinamento (e dalle sue norme); tuttavia, l’ordinamento riconosceva egualmente la pratica del donare, consentendo che il c.d. animus donandi potesse realizzar-si mediante «quasi ogni specie di negozio, anche a titolo oneroso», purché «si trattasse di un negozio inter vivos attributivo al donatario di un vantaggio patrimoniale prima spettante al donante; e che lo scopo dell’atto fosse di depauperare definitivamente il donante a fa-vore del donatario»33.

Si osservi: l’ordinamento romano presuppone come già data e ampiamente diffusa l’attività istituzionale del donare, tanto da non avvertire neppure l’esigenza di darne alcuna regolazione, ma anzi riconoscendo nella causa donandi una possibile causa giustificatrice (c.d. iusta causa) di altri atti giuridici tipici34.

Pertanto, appare poco ragionevole affermare che le norme pre-viste dal codice civile italiano sulla donazione siano costitutive del concetto stesso, dell’eîdos, della donazione. Infatti, se è vero che, senza conoscere gli artt. 769-809 c.c., noi non sappiamo come com-piere donazioni valide e produttive di effetti per il nostro ordina-mento; è altrettanto vero però che, pur senza conoscere il contenuto di tali articoli, noi sappiamo cosa una donazione sia.

Da un punto di vista logico, ma anche cronologico, il concetto di donazione preesiste al nostro ordinamento giuridico (concretamente e storicamente dato) e alle sue regole. Da un punto di vista logico, infatti, noi siamo in grado di pensare e concepire l’atto della dona-zione a prescindere dalle regole del nostro ordinamento positivo e potremmo continuare a «possedere» un tale concetto anche se il le-gislatore, improvvisamente, abrogasse tutte le norme sulla donazione.

Anche da un punto di vista cronologico, l’idea di donazione pre-esiste alle regole poste dal nostro ordinamento: la pratica della do-nazione, infatti, non solo si compie oltre il nostro ordinamento giu-ridico (nei contesti associativi della vita quotidiana, ma anche presso comunità umane di diversa cultura), ma è anche iniziata ben prima del nostro ordinamento (come mostrato dai richiami all’ordinamento

33 A. Guarino, Diritto privato romano, Napoli, Jovene, 2001, p. 373.34 Cfr. ad esempio M. Talamanca, Istituzioni di diritto romano, Milano, Giuffrè, 1990, p.

773.

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giuridico romano di età classica). Non a caso la donazione è istituto oggetto di ricerche storiche, e anche di ricerche di antropologia giu-ridica35.

2.2.2. Possibilità concettuale e possibilità normativa della donazione

Sostenere che il concetto (l’eîdos) dell’atto della donazione non sia costituito dagli artt. 769-809 c.c. non implica però sostenere an-che la tesi per cui le norme oggetto di tali articoli siano mere regole regolative (di un’attività preesistente).

Un tratto di costitutività a mio avviso permane, anche se non si tratta di costitutività eidetica. Gli artt. 769-809 c.c., infatti, non si limitano a regolare le modalità con cui si deve donare, ma piutto-sto introducono particolari condizioni per l’esecuzione di atti di do-nazione e prefigurano particolari effetti giuridici che si innescano nel caso in cui siano rispettate tali condizioni. In tal modo, le nor-me contenute nei citati articoli sono costitutive di forme tipiche di donazioni che, se attuate, assumono rilievo nel nostro ordinamento ai fini della produzione degli effetti da esso previsti, nonché ai fini dell’operatività degli eventuali strumenti di tutela preordinati dall’or-dinamento medesimo (e basati, in ultima istanza, sull’uso organizzato della forza)36.

Ad esempio, l’effetto ascrittivo della donazione si produce, nel nostro ordinamento, se la donazione è accettata dal donatario e se è stata eseguita con le forme ex art. 782. Inoltre, in tali casi, e qua-lora siano anche soddisfatte le condizioni dell’art. 797, l’esecuzione di una donazione, nel nostro ordinamento, oltre al predetto effetto ascrittivo (traslativo) produce un effetto ulteriore, ossia quello di ob-bligare il donante nei confronti del donatario a garantire per l’evi-zione delle cose donate (pertanto, qualora si scopra che il donante non aveva titolo per disporre del bene donato, che apparteneva in realtà a un terzo che viene a reclamarla, il donatario avrebbe titolo per agire – presso il giudice ordinario – nei confronti del donante e chiedere il risarcimento del danno per il mancato rispetto della pre-detta garanzia).

35 Si pensi, a mero titolo di esempio, anche alle ricerche sul dono e sul potlatch di M. Mauss, Essai sur le don, in «L’Année sociologique», 1925, pp. 30-186. Cfr. anche M. Godelier, L’énigme du don, Paris, Foyard, 1996.

36 Sull’idea di uso organizzato della forza, cfr. N. Bobbio, Sanzione, in Novissimo digesto italiano, XVI, Torino, Utet, 1969, pp. 530-540.

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Si osservi: le regole del diritto positivo costituiscono un tipo di atto di donazione che, in qualche modo, rende «possibile» l’attività istituzionale del donare; si tratta, però, di una «possibilità» diversa da quella alla quale ci si riferisce quando si dice che le regole costi-tutive eidetiche rendono possibile una certa attività istituzionale. In quest’ultimo caso, infatti, si tratta di una possibilità concettuale (ver-rebbe da dire, eidetica), in quanto le regole costitutive eidetiche sono costitutive del concetto stesso dell’atto su cui esse vertono, il quale diviene pensabile, e quindi possibile, solo in virtù di tali regole.

Nel caso della disciplina positiva della donazione ex artt. 769-809 c.c., invece, il concetto (l’eîdos) dell’atto della donazione noi già lo possediamo (lo deriviamo dall’uso che facciamo, nel linguaggio, di enunciati del tipo ‘Io ti dono x’): la donazione per noi è un’espe-rienza già concettualmente possibile (pensabile) a prescindere dagli articoli del codice civile.

Tali articoli, tuttavia, identificano comunque tipi particolari di do-nazione, concetti specifici di donazione i quali, soltanto, assumono un rilievo nell’ordinamento giuridico, in quanto, solo per essi, l’or-dinamento riconosce la produzione di determinati effetti giuridici e predispone appositi strumenti per assicurare l’effettiva tutela di tali effetti (anche mediante l’uso organizzato della forza).

In altre parole, anche gli artt. 769-809 c.c. sono costitutivi di una possibilità di azione, anche se in modo del tutto diverso dalla pos-sibilità costituita dalle regole eidetico-costitutive: è la possibilità di produrre particolari effetti nell’ordinamento giuridico e di ricevere una specifica tutela per tali effetti. Propongo di chiamare quest’ulti-ma possibilità, possibilità normativa, per distinguerla da quella, con-cettuale (o eidetica), costituita dalle regole eidetico-costitutive.

2.2.3. Analisi della fideiussione

Un discorso analogo a quello svolto per la donazione (sub 2.2.1 e sub 2.2.2) vale anche per l’atto della fideiussione, sebbene con alcune precisazioni.

Donazione e fideiussione, infatti, presentano almeno una differen-za importante. La donazione è un atto che, tutto sommato, siamo abituati a compiere in contesti sociali e quotidiani anche a prescin-dere dalle interferenze che in tali contesti può svolgere il diritto po-sitivo. Non così, invece, avviene con la fideiussione: quando si chie-de o si rilascia una fideiussione, o quando si usa il termine ‘fideius-sione’ lo si fa sempre in un determinato contesto, o comunque pre-

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supponendo un tale contesto, che ha forti implicazioni con il diritto positivo, con le regole di un particolare ordinamento giuridico.

La donazione è un atto che, per certi versi, presenta forti analo-gie con l’atto della promessa esaminata da Searle (o da Reinach). Si tratta, infatti, di un atto linguistico del quale siamo in grado di rica-vare le relative essential rules (i suoi Wesengesetze) dalla mera analisi del suo concetto (ad esempio, osservando l’uso che nel linguaggio viene fatto di enunciati del tipo ‘Io ti dono x’, ‘Questo è tuo’, ‘Te lo regalo’). Nel caso della fideiussione, invece, sembra di trovarsi di fronte a un atto più «giuridicamente strutturato» e meno «immedia-to» della promessa (o della donazione), in quanto il suo contenuto può sembrare «mediato» (filtrato) dalla presenza necessaria di un or-dinamento giuridico (o, almeno, di un ordinamento positivo).

In realtà, a ben vedere, se si sottopone ad analisi anche la fide-iussione (già da una prima lettura della sola definizione ex art. 1936, co. 1, c.c.37), si nota che il senso specifico di tale atto può essere descritto come un particolare tipo di promessa, mediante la quale il promittente si impegna verso il promissario ad adempiere in luogo di un terzo (a sua volta debitore del promissario) in caso di inadem-pimento di quest’ultimo.

Da un punto di vista logico, la fideiussione presuppone, infatti, il più generale concetto di promessa, anzi: essa può essere concepita come un particolare tipo di promessa, avente un particolare oggetto e contenuto, la quale promessa, se eseguita in coerenza con le con-dizioni previste dal tipo determinato dagli artt. 1936 e ss. assume ri-lievo nell’ordinamento giuridico nazionale, facendo innescare i parti-colari effetti previsti da tali articoli (tutelabili mediante gli strumenti a tal fine previsti dall’ordinamento).

Si osservi: anche per la fideiussione, come per la donazione, il concetto dell’atto non è reso pensabile dalle regole del diritto positi-vo (né dalla sola definizione, né dall’insieme delle altre disposizioni). Tali regole, piuttosto, determinano (costituiscono) un tipo specifico e peculiare di promessa che assume rilievo nell’ordinamento nazionale. In altri termini, la fideiussione è un atto giuridico molto più elabora-to (dalle regole del diritto positivo) rispetto a una semplice promessa di fare alcunché, ma, in fondo, si tratta pur sempre di una promessa.

Tali considerazioni consentono di evidenziare anche che il con-cetto di promessa (avente a oggetto l’adempimento in luogo del ter-zo – anch’esso debitore del promissario), «precede» le regole del co-

37 La disposizione in esame definisce, più precisamente, non tanto l’atto, ma il suo autore: «È fideiussore colui che, obbligandosi personalmente verso il creditore, garantisce l’adempi-mento di un’obbligazione altrui».

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dice civile sulla fideiussione non solo da un punto di vista logico, ma anche da un punto di vista cronologico. In tale prospettiva, come visto per l’attività istituzionale della donazione, anche quella del tipo particolare di promesse che si traducono nella fideiussione (sebbe-ne sia il risultato di una attività di maggiore elaborazione da parte degli ordinamenti giuridici) è iniziata ben prima del nostro ordina-mento nazionale e va anche oltre tale ordinamento: l’istituto, infatti, che affonda le sue radici nella romana fideiussio38, è storicamente e culturalmente connesso con l’esigenza di garanzia personale di debiti assunti da un soggetto nei confronti di un altro, idea che nella storia del diritto e nell’antropologia giuridica trova diverse manifestazioni39.

3. Atti giuridici e atti ludici: una differenza specifica tra diritto e gioco

3.1. Diritto vs. giochi

La prova negativa di un fatto è una sorta di probatio diabolica. Pertanto, l’argomento per cui negli ordinamenti giuridici non sono rinvenibili atti giuridici costituiti da regole costitutive eidetiche inevi-tabilmente soffre di questo limite.

Infatti, la discussione condotta sub 2 non è a tal fine risolutiva. A rigore, essa dimostra, soltanto, che non possono essere ritenute, qua-li validi esempî di regole costitutive eidetiche: (i) né le essential rules degli atti linguistici che (come le promesse) sono spesso rinvenibili nel diritto, (ii) né le regole del diritto positivo italiano che definisco-no tipi di atti quali la donazione e la fideiussione.

Tuttavia, l’analisi svolta offre anche elementi utili per meglio chia-rire (e dimostrare) la tesi sulla differenza tra (i) la natura discreta de-gli atti ludici e (ii) la natura continua degli atti giuridici.

38 Come evidenzia anche A. Guarino, Diritto privato romano, cit., pp. 765-776, la fideius-sio (comparsa a Roma verso la fine dell’età preclassica) fa parte di un gruppo di “promesse” (stipulationes) usate con funzione di garanzia e diversamente denominate, quali la sponsio, la fidepromissio, la cui caratteristiche comune «fu quella che il promissor (sponsor o fidepromissor che fosse) si impegnava a prestare un idem di quanto già formasse oggetto di una precedente obbligazione altrui» (analoga funzione era svolta anche dalla adpromissio che si sostanziava in un atto con cui una persona si rendeva «condebitore» di un altro debitore di cui assumeva, anch’esso, la medesima obbligazione, «sì da poter essere chiamato in giudizio per il pagamen-to dell’intero, in vece di lui»). Come si nota anche dalla terminologia impiegata, che richiama espressamente il termine ‘promissio’, o sinonimi, come ‘sponsio’, si tratta sempre di promesse (sebbene con oggetti particolari e determinati).

39 Si pensi ad esempio all’istituto del nexus, quale prima forma di garanzia solenne nell’or-dinamento arcaico romano, su cui cfr. ad esempio E. Betti, La struttura dell’obbligazione roma-na e il problema della sua genesi, Milano, Giuffrè, 1955, nonché A. Guarino, op. cit.

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Si osservi: con l’espressione ‘atti ludici’ mi riferisco alle mosse dei giochi (quali l’arrocco o gli spostamenti dell’alfiere nel gioco degli scacchi, oppure il fare scopa nell’omonimo gioco), anche se, a ben vedere, hanno natura discreta non solo le mosse, ma anche i singoli pezzi del gioco, le singole unità ludiche (quali il pezzo dell’alfiere nel gioco degli scacchi, oppure la briscola nell’omonimo gioco, oppure la primiera nel gioco della scopa).

Prima di esaminare i due termini della distinzione, discretezza degli atti ludici (sub 3.2) e continuità degli atti giuridici (sub 3.3), ri-tengo opportuno dare evidenza che tale distinzione risente indubbia-mente di alcune considerazioni, di carattere più generale, sulla diffe-renza tra l’intera esperienza giuridica e quella ludica. In particolare, si tratta dell’idea, evidenziata da più autori, che distingue:

(i) da un lato, la «dimensione» della libertà, dell’artificio e della «distanza» dalla vita quotidiana e reale, che caratterizzerebbe l’espe-rienza ludica40;

(ii) dall’altro lato, invece, la «dimensione» della coerenza, della dipendenza e della vicinanza al mondo reale, storico e quotidiano, dei valori e degli interessi nel loro divenire e nella loro dialettica conflittuale, che caratterizza, invece, l’esperienza giuridica.

Molti autori mettono spesso l’accento sull’ampio grado di libertà che caratterizza il mondo dei giochi: libertà nel duplice senso di (i) arbitrarietà nella costruzione e invenzione degli atti ludici41, nonché di (ii) libertà di aderire al gioco da parte dei giocatori (e di disso-ciarsene in ogni momento)42.

Un aspetto ancora più significativo, a mio avviso, è quello, evi-denziato ad esempio da Roger Caillois (1969), della natura separata e fittizia dei giochi: (i) separata, in quanto il gioco è circoscritto «en-tro precisi limiti di tempo e di spazio fissati in anticipo»; (ii) fittizia, in quanto il gioco è accompagnato dalla «consapevolezza specifica di una diversa realtà o di una totale irrealtà nei confronti della vita normale»43.

Si osservi: questi ultimi aspetti mettono in luce un elemento es-senziale ai fini della presente analisi che consiste nel fatto che i gio-chi sono distanti dalla c.d. vita reale, in quanto i giochi: (i) da un lato, ci proiettano in un mondo (tendenzialmente) astratto, fatto di valori e finalità fittizî, rispetto agli interessi e alle esigenze che emer-

40 Questi sono i tratti, ad esempio, ricavabili da una delle definizioni di J. Huizinga, Homo ludens, cit., p. 55.

41 Cfr. ad esempio G.A. Ferrari, Le droit dans la forme praxéologique du jeu, cit., p. 98. 42 Cfr. ad esempio B. Cavallone, “Non siete altro che un mazzo di carte”, cit., p. 345. 43 R. Caillois, I giochi e gli uomini, cit., p. 26.

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gono nella dinamica quotidiana; (ii) dall’altro lato, delimitano l’ambi-to dell’attività ludica a un sistema (tendenzialmente) chiuso, isolato e separato dalla dinamica delle vicende concrete che si verificano nella storia.

Per contro, il diritto si «innesta» e interviene su un mondo «flu-ido», fatto di interessi in conflitto tra loro (nel senso descritto dalla Interessjurisprudenz) in una dinamica che si sviluppa nel tempo (os-sia storicamente), fatta di pratiche sociali e attività istituzionali me-diante le quali instauriamo relazioni, facciamo promesse, diamo or-dini, ascriviamo diritti, imputiamo responsabilità, conferiamo poteri, rimettiamo debiti, perdoniamo offese, ecc.. In tale contesto, il diritto è «una prassi vitale degli uomini che, nella loro determinata realtà storica sono protesi verso la soluzione dei problemi sociali servendo-si degli strumenti del diritto»44. E tra tali «strumenti» vi sono anche i tipi di atti giuridici, regolati dal singolo ordinamento, i quali pro-ducono, in quell’ordinamento, specifici effetti.

Si osservi: queste osservazioni, sulla differenza tra esperienza lu-dica e giuridica (in generale) costituiscono lo «sfondo» (ideologico) della mia tesi sulla differente natura (rispettivamente discreta e con-tinua) degli atti ludici e degli atti giuridici. Tra la mia tesi e il suo sfondo ideologico, però, v’è una differenza di livello di analisi:

(i) la mia tesi (natura discreta degli atti ludici vs. natura continua degli atti giuridici) attiene al livello di analisi che ha a oggetto alcuni tipi di fenomeni (giuridici e ludici): essa attiene, in particolare, da un lato, alle relazioni tra atti giuridici e regole del diritto positivo, dall’altro lato, alle relazioni tra gli atti ludici e regole dei giochi:

(ii) le considerazioni svolte, invece, sulla libertà, fittizietà, separa-tezza dei giochi e sull’immanenza e storicità del diritto attengono a un livello di analisi più generale, relativo al significato di esperienze umane che siamo soliti indicare coi termini ‘giochi’, ‘diritto’ o ‘ordi-namenti giuridici’.

Il presente lavoro è dedicato unicamente all’aspetto sub (i) e non ha alcuna pretesa di affrontare il tema sub (ii). Sotto quest’ultimo aspetto, infatti, diritto e giochi possono essere visti come esperienze tra loro, per certi, versi continue: infatti, sia gli ordinamenti giuridici, sia i singoli giochi sono, tutti, sistemi normativi. Sul punto, Franco Rositi ha acutamente osservato che tra i giochi e gli ordinamenti giu-ridici sembra esservi, in realtà, solo una differenza di grado circa la ampiezza e la complessità dei fenomeni regolati: più ampio e com-plesso è il dominio del diritto, immerso nella storicità e nelle esigen-

44 G. Husserl, Recht und Zeit. Fünf rechtsphilosophische Essays, 1955, tr. it. Diritto e tempo. Saggi di filosofia del diritto, Milano, Giuffrè, 1998, p. 36.

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ze umane della vita concreta, più ristretto e delimitato è, invece, il dominio dei giochi, strettamente controllato e quasi separato dalla vita reale.

Se così fosse, conclude Rositi, sarebbe «possibile pensare la mag-giore o minore costitutività di un sistema normativo a seconda della maggiore o minore restrizione del campo della sua applicabilità e a seconda della maggiore o minore riduzione della complessità di que-sto campo. Più alta la restrizione del campo e più alta la riduzione della sua complessità, più forte il senso dell’artificio e della distanza dalla vita normale»45.

In questo lavoro non intendo affrontare questo tema, né difende-re l’ipotesi proposta da Rositi, che fornirebbe una spiegazione più generale alla mia tesi secondo cui le regole che vertono su atti giu-ridici, pur essendo costitutive, non sarebbero regole costitutive eide-tiche. Mi limito a mettere a confronto i concetti e le regole che ver-tono su singoli atti ludici con i concetti e le regole che vertono su singoli atti giuridici.

3.2. Gli atti ludici sono entità discrete

3.2.1. Affermando che gli atti ludici sono entità discrete, intendo dare evidenza del fatto che le mosse dei giochi, proprio in quanto atti ludici, sono atti di un gioco, meglio sono atti di quello specifi-co gioco: al di fuori del gioco di cui una certa mossa è mossa del gioco, quindi, quella mossa non è concepibile, non è pensabile. Ad esempio, lo spostamento della torre sulla scacchiera (compiuto lungo una colonna ovvero una traversa) è una mossa del gioco degli scac-chi, resa pensabile dalle regole costitutive di quel gioco (in particola-re dalle regole costitutive dell’unità ludica denominata ‘torre’). Al di fuori delle regole del gioco degli scacchi, lo spostamento della torre lungo una colonna o una traversa della scacchiera perde ogni signi-ficato.

A ben vedere, quanto affermato per gli atti ludici, vale, più in generale, anche per ogni pezzo del gioco, per ogni unità ludica. Ad esempio, la briscola, in quanto unità dell’omonimo gioco46, ha un senso (in particolare, quello di essere un «seme», corrispondente a quello della carta scoperta posta alla base del mazzo, il quale ren-de le carte di quel seme superiori alle carte di seme diverso), ed è

45 F. Rositi, Tipi e dimensione dei sistemi normativi, cit., p. 355.46 La briscola, infatti, non è una «mossa» dell’omonimo gioco, ma una sua unità, un suo

«pezzo».

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concepibile con tale specifico senso, solo all’interno del gioco della briscola, e in virtù delle regole (costitutive) di tale gioco.

È possibile che vi siano giochi, diversi dalla briscola, in cui vi sia-no unità ludiche per certi versi simili a quella della briscola, quale, ad esempio, lo atout nel gioco del bridge. Tuttavia, briscola e atout hanno sensi (meglio, i termini ‘briscola’ e ‘atout’ designano concetti) del tutto differenti, l’uno dall’altro; ciò in quanto sono concetti che sono stati costituiti, sono stati «creati», ciascuno, in funzione di gio-chi specifici che si caratterizzano e differiscono tra loro, in ragione dell’insieme degli atti ludici (e delle altre unità ludiche) di cui cia-scun gioco si compone. Il concetto di briscola e il concetto di atout sono pertanto determinati, ciascuno, in funzione dell’insieme degli altri atti ludici (e più in generale delle altre unità ludiche) del rispet-tivo gioco (briscola e bridge) di cui essi fanno parte.

In altre parole, il concetto di briscola e di atout sono indissolubil-mente legati al rispettivo insieme di unità ludiche, tanto che se gio-cassimo a briscola o a bridge ignorando, rispettivamente, il concetto di briscola o di atout, staremmo giocando a un altro gioco.

Tale stretta correlazione tra atti ludici (unità ludiche), che nel loro insieme costituiscono il gioco, dipende dal fatto che, nei giochi, è possibile individuare (o quanto meno ragionevolmente ipotizzare) un «momento originario», logico e cronologico, in cui gli ideatori di quel gioco (siano essi un insieme di uomini che hanno dato origi-ne a pratiche ludiche perfezionatesi nel tempo47, oppure sia esso un game-designer che ha progettato il gioco a tavolino) hanno definito (convenzionalmente) regole costitutive di atti ludici i quali, nel loro insieme, sono costitutivi di quel gioco.

3.2.2. Rispetto al fenomeno della discretezza degli atti ludici, il concetto di regola costitutiva eidetica costituisce uno strumento po-tente per la sua tematizzazione e comprensione. Infatti, il fatto che ogni atto ludico derivi il suo senso dall’essere un atto di uno speci-fico gioco, e quindi dall’essere in relazione con gli altri atti del me-desimo gioco (con la conseguenza che esso perde di ogni significato se concepito al di fuori di quel gioco e slegato dagli altri atti ludici), dipende proprio dal fatto che quell’atto ludico è costituito dalle re-gole di quel gioco, che ne creano il concetto rendendolo pensabile (e

47 Questo è il caso di molti giochi che si sono sviluppati da pratiche magiche, religiose o, addirittura, giuridiche (si pensi, ad esempio, al gioco del mondo o «campana» – cfr. R. Cail-lois, I giochi e gli uomini, cit., pp. 77-79). Tuttavia, anche in tali casi, proprio perché si tratta di una sorta di “precipitato” di quelle pratiche, i giochi in questione mi pare mantengano il loro intrinseco carattere di pratica separata e fittizia rispetto alla vita reale.

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quindi possibile): in assenza di quelle regole del gioco, non vi sareb-be l’atto ludico che esse costituiscono (né il gioco medesimo).

Tale aspetto è messo efficacemente in luce, ad esempio, dalle ri-flessioni di Conte secondo cui le regole eidetico-costitutive sono, contestualmente, costitutive del gioco e nel gioco. In particolare, se-condo Conte, le medesime regole costitutive (ad esempio, la regola degli scacchi ‘L’alfiere muove in diagonale’) sono, al contempo, co-stitutive nel gioco, in quanto costituiscono le unità ludiche del gio-co (il pezzo dell’alfiere e la mossa del suo spostamento diagonale), e costitutive del gioco, in quanto «quel gioco non avrebbe la sua costi-tutiva identità se questa regola non vi fosse»48.

In altre parole, nei giochi v’è un’intima connessione tra le regole costitutive dei diversi atti ludici (e più in generale delle diverse uni-tà ludiche): ogni atto ludico (unità ludica) è infatti costituito in fun-zione sia del gioco nella sua totalità, sia degli altri atti ludici (unità ludiche). Ciò comporta, ad esempio, che l’alfiere acquisti il proprio senso solo se considerato nell’ambito del gioco degli scacchi (di cui l’alfiere è un’unità ludica) e in relazione alle altre unità di quel gioco (quali gli altri pezzi degli scacchi, le mosse di ciascuno di essi, ecc.); viceversa, al di fuori del gioco degli scacchi, l’alfiere perde ogni si-gnificato, non ha alcun senso.

Per questo motivo, è anche possibile che giochi differenti (come i giochi della briscola e del bridge) siano costituiti da atti ludici (o unità ludiche) apparentemente simili tra loro (come la briscola e lo atout). Tuttavia, poiché si tratta di atti (unità) di giochi diversi, da un punto di vista propriamente ludico, essi sono, per così dire, in-commensurabili tra loro.

3.3. Gli atti giuridici sono fenomeni continui

Quanto osservato sub 3.2 per i giochi e gli atti ludici non vale però (non sembra valere) per il diritto, o almeno per gli atti giuridi-ci.

3.3.1. Affermando che gli atti giuridici sono fenomeni continui, in-tendo evidenziare anzitutto che nei diversi ordinamenti giuridici, che si trovano «sparsi» nello spazio e si succedono nel tempo, si posso-no riscontrare, anche se a volte con differenze più o meno evidenti tra loro, tipi di atti i quali sono caratterizzati da un senso (un concet-

48 A.G. Conte, Paradigmi d’analisi della regola in Wittgenstein, cit., p. 285.

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to), o almeno da un senso minimo, che è il medesimo (o comunque presenta caratteri non discreti) nelle diverse occorrenze in cui l’atto si può riscontrare nei diversi ordinamenti giuridici.

Ad esempio, se osserviamo un ordinamento, quale quello italiano attualmente vigente, possiamo trovare tipi di promesse variamente articolate e regolate. Ma tipi di promesse li possiamo ritrovare, even-tualmente differenziati in alcuni aspetti più o meno rilevanti, anche in altri ordinamenti giuridici:

(i) sia che si tratti di ordinamenti contemporanei a quello italia-no, ma relativi a comunità umane situate in altre zone geografiche: basti pensare all’ordinamento statunitense che presumibilmente ha in mente Searle quando analizza il concetto di promessa e le sue regole essenziali e di esecuzione;

(ii) sia che si tratti di ordinamenti storicamente risalenti e non più effettivi: si pensi, ad esempio, all’ordinamento tedesco del 1913 cui espressamente fa riferimento Reinach quando indaga le struttu-re a priori dell’atto della promessa e dei tipi di promesse regolati dall’allora BGB.

Si osservi: siamo qui di fronte a una situazione che può ricordare, per certi versi, quella della briscola e dello atout (sub 3.2): vi sono tipi di atti (promesse) costituiti da regole di (tre) differenti ordina-menti giuridici (quelli italiano, statunitense e tedesco – quest’ultimo del 1913). Tuttavia, le promesse dei (tre) ordinamenti giuridici, an-che se eventualmente sottoposte a regole differenti, non ci appaiono come fenomeni discreti, come se fossero «pezzi» appartenenti a (tre) giochi diversi e quindi (da un punto di vista ludico) autonomi e in-commensurabili tra loro (come avviene, invece, per la briscola e lo atout). Le promesse dei (tre) diversi ordinamenti giuridici ci appaio-no piuttosto come momenti di un continuum di atti giuridici, acco-munati da un senso minimo comune, quello di promessa appunto.

3.3.2. Quanto sopra osservato evidenzia che, sebbene gli atti giu-ridici siano relativi a un determinato ordinamento (in quanto ogni ordinamento pone condizioni affinché un determinato atto assuma «rilievo» in quell’ordinamento, producendo determinati effetti e be-neficiando dei sistemi di tutela approntati dall’ordinamento mede-simo), tuttavia, detti atti non derivano il loro senso dalle regole di quell’ordinamento, non sono quelle regole a costituire il concetto (l’eîdos) di quegli atti giuridici.

Gli atti giuridici mantengono il loro senso (il loro concetto), o al-meno un loro senso minimo, anche al di fuori di un determinato or-dinamento, sia perché essi possono essere compiuti ed essere regolati anche in altri ordinamenti giuridici, sia perché essi possono compier-

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si in contesti sociali anche diversi da quelli propriamente giuridici, ad esempio il contesto familiare, o tra amici, colleghi, o in generale in contesti a due.

Questo aspetto è già emerso nell’ambito dell’analisi dell’atto della donazione (sub 2.2.1 e sub 2.2.2), ma analogo discorso può essere compiuto anche per altri atti, quale la promessa.

Anche la promessa, infatti, come la donazione, è un atto che possiamo compiere indipendentemente dal particolare ordinamento giuridico in cui ci troviamo e da come l’ordinamento regola concre-tamente tale tipo di atto. Posso promettere a un amico di andarlo a trovare (posso promettere ai compagni di scuola di passare loro la versione l’indomani durante il compito in classe di greco) senza necessariamente conoscere le regole dell’ordinamento nazionale che vertono sulle promesse. Mi basta enunciare enunciati del tipo: ‘Pro-metto di venire domani’ o ‘Domani sarò da te!’ (o, rispetto all’esem-pio del compito in classe, enunciati del tipo ‘Prometto di passarvi la versione domani’, o ‘Vi passerò la versione’).

Anzi, se conoscessi l’ordinamento italiano, scoprirei che l’impe-gno assunto con la promessa fatta a un amico di andarlo a trovare domani (nonché quella rivolta ai compagni di classe di passare loro la versione di greco) non troverebbe alcun riscontro né tutela nel nostro diritto positivo. Infatti, l’art. 1987 c.c. dispone che «la pro-messa unilaterale non produce effetti obbligatorî al di fuori dei casi previsti dalla legge», e tra tali casi tipizzati non rientra quello ogget-to del mio esempio.

Si osservi: con l’art. 1987 c.c. l’ordinamento giuridico italia-no espressamente esclude che possano esservi promesse, diverse da quelle tipizzate, le quali abbiano un rilievo per l’ordinamento; tutta-via, per escludere ogni «valore» giuridico a un tale concetto (quello di «promesse non tipizzate») il diritto positivo si trova «costretto» a impiegare proprio quel medesimo concetto (di «promesse non tipiz-zate») attribuendogli quindi un «valore». Come si nota, l’art. 1987 c.c. presuppone che, nei contesti sociali in cui l’ordinamento italiano si innesta, la pratica del fare promesse (anche diverse da quelle ti-pizzate) sia già in uso e si sviluppi con un’ampia fenomenologia: a fronte di tali pratiche, la norma si limita a coordinarsi con altre nor-me presenti nel codice civile, le quali costituiscono tipi specifici di promesse unilaterali, e attribuisce solo a questi tipi il potere di pro-durre effetti giuridici nell’ordinamento (tutelabili con gli strumenti a tal fine preordinati dall’ordinamento medesimo).

3.3.3. In altre parole, e in termini più generali, i tipi di atti giuri-dici costituiti dai particolari ordinamenti giuridici sono connotati da

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un senso (un concetto) che trascende il singolo ordinamento positivo, ma da quest’ultimo è, in qualche modo, presupposto. Per gli atti giu-ridici, sembra pertanto valere quanto affermato da Gerhart Husserl per i concetti giuridici fondamentali:

Il diritto procede progettando idealmente certe situazioni vitali e dotandole di determinati effetti giuridici. Facendo ciò, si collega regolarmente a cose della realtà sociale che sono date prima del diritto. Delitto, matrimonio e molti altri eventi della vita che oggi formano l’oggetto di una regolamentazione giuridica, non sono inven-zioni del diritto49.

Quest’ultimo aspetto spiega anche, in primo luogo, il fatto che si può pensare di compiere promesse anche nell’ambito di ordinamenti giuridici diversi tra loro, sia che si tratti di ordinamenti contempora-nei ma relativi a comunità umane differenti (si pensi alle promesse del diritto statunitense che ha in mente Searle, e alle promesse del diritto italiano contemporaneo), sia che si tratti di ordinamenti giu-ridici succedutisi nel tempo (si pensi alle stipulationes del diritto ro-mano e alle promesse del BGB del 1913 di cui parla Reinach).

In altri termini, la promessa è concettualmente possibile nell’ambi-to di ordinamenti diversi (geograficamente e storicamente), in quanto il suo concetto trascende i confini delle loro regole costitutive. In tal modo, ogni ordinamento positivo è in grado, mediante le sue regole costitutive, di rendere normativamente possibili diversi e specifici tipi di promesse.

In secondo luogo, il predetto aspetto spiega anche il perché, all’in-terno di un medesimo ordinamento, vi siano anche tipi di promesse particolarmente complesse e articolate, le quali a un primo esame potrebbero anche non sembrare promesse. Basti pensare a numerosi tipi contrattuali con effetti c.d. obbligatorî (i quali hanno il concet-to di promessa nel loro definiens), oppure si pensi alla cambiale o, ancora, all’atto della fideiussione (sub 2.2.3): si tratta di istituti nor-mativamente «più strutturati» e complessi, che il diritto costituisce al fine di soddisfare e dare tutela a esigenze particolari. Tuttavia, in tutti questi casi è possibile individuare un concetto minimo (un senso minimo) che accomuna tali tipi di atti, nonché gli altri tipi di pro-messe costituiti dalle regole del diritto positivo (ad esempio, le pro-messe unilaterali ex 1987 c.c. o la promessa di matrimonio).

In altre parole, anche all’interno dell’ordinamento (come anche tra i diversi ordinamenti), sono individuabili diversi tipi di atti di-versamente regolati tra loro, ad esempio le stipulationes del diritto

49 G. Husserl, Diritto e tempo, cit., p. 21.

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romano, i contratti a effetti obbligatorî del diritto americano, le pro-messe unilaterali e la fideiussione del diritto italiano. Tali atti, tutta-via, possono essere concepiti come appartenenti, tutti, a un medesi-mo continuum, tutti accomunati da un medesimo concetto di atto, nell’esempio tutti accomunati dall’essere, in fondo, promesse.

4. Dimensioni degli atti giuridici: dimensione concettuale vs. dimensio-ne normativa

Le mosse critiche al concetto di regola costitutiva eidetica, che ho sviluppato sub 2 e sub 3, recano già, più o meno espliciti, gli ele-menti per costruire concetti alternativi idonei a tematizzare e a me-glio comprendere il fenomeno degli atti giuridici e della loro regola-zione da parte di ordinamenti (positivi). Da quelle mosse, infatti, già emerge l’idea che ogni ordinamento giuridico (almeno ogni ordina-mento giuridico positivo), nel costruire tipi normativi di atti giuridi-ci, si serve di concetti di atti che esso trova come «già dati» nel con-creto contesto (storico) della vita quotidiana (extragiuridica), in cui gli uomini agiscono e interagiscono mediante il linguaggio ordinario (mediante atti linguistici).

In altre parole, ogni ordinamento (concretamente e storicamente dato), mediante le sue regole, definisce specifiche forme (tipiche) di azione, specifici tipi di atti giuridici, produttivi di particolari effetti, alla tutela dei quali effetti l’ordinamento medesimo predispone ul-teriori e appositi istituti (che possono comportare, in ultima analisi, anche l’uso organizzato della forza). Ma il senso di tali atti, il concet-to di tali azioni, non è, anch’esso, costituito (non è reso pensabile) dalle regole dell’ordinamento, ma preesiste a tali regole e da queste ultime è, in qualche modo, presupposto. La fideiussione, le promesse unilaterali, i tipi contrattuali a effetti obbligatorî previsti dal codice civile, sono tipi di atti la cui articolazione normativa, come visto, si presenta eterogenea e variamente complessa. Tutti tali atti, però, pre-suppongono un medesimo concetto, che è il concetto di promessa: tutti tali atti, infatti, non sono altro che tipi particolari di promesse (sebbene molto elaborate), sono tutte declinazioni giuridiche dell’atto (linguistico) della promessa50.

Tale osservazione comporta pertanto che, nell’analisi di ogni tipo di atto giuridico (regolato da un ordinamento giuridico), dovrebbe

50 Sul concetto di declinazione giuridica, cfr. M.Q. Silvi, Declinazioni giuridiche del perdono, in G. Lorini, a cura di, Atto giuridico, cit., pp. 251-281.

marco q. silvi

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essere possibile distinguere almeno due dimensioni categorialmente diverse:

(i) una dimensione normativa (positiva), costituita dall’insieme co-ordinato e unitario delle regole che definiscono (in quell’ordinamen-to) quel singolo tipo di atto giuridico; per riferirmi all’insieme di tali regole, propongo di usare l’espressione ‘struttura normativa’ dell’at-to;

(ii) una dimensione concettuale (eidetica), costituita dal concetto di un atto linguistico che è, in qualche modo, presupposto dall’ordi-namento nella costruzione della struttura normativa di quel tipo di atto; poiché il concetto di un atto di linguaggio (come mostra, ad esempio, l’analisi di Searle sulle essential rules della promessa – sub 2.1) è dato da un insieme di elementi e condizioni che ne connotano la forza illocutiva e le modalità di compimento (per dirla à la John L. Austin)51, per riferirmi all’insieme di tali elementi e condizioni userò l’espressione ‘struttura concettuale’ dell’atto.

Per chiarire meglio le due diverse dimensioni dell’atto giuridico si potrebbe dire, con un gioco di parole, che la struttura normativa di un atto giuridico è la struttura che l’atto ha (in quanto imposta, ab extra, dalle norme valide in un determinato ordinamento giuridi-co), mentre la struttura concettuale di un atto è la struttura che l’atto è (ossia il senso specifico che connota il concetto, l’idea, di un de-terminato atto di linguaggio, presupposto da quel medesimo ordina-mento per la costruzione di quella struttura normativa)52 .

La tesi per cui le strutture normative degli atti giuridici (costrui-te dal e nel singolo ordinamento concretamente e storicamente dato) presuppongano concetti (strutture concettuali) che l’ordinamento giuridico trova come «già dati» e «fuori da» esso, non è tesi nuova, né originale. Essa è rinvenibile, ad esempio, in molte ricerche di fe-nomenologia giuridica, come quelle di Reinach e di G. Husserl.

Il fatto che io richiami tali ricerche, tuttavia, non implica alcuna presa di posizione da parte mia in merito alla questione sulla natura di tali concetti giuridici, né, a maggior ragione, un’adesione alle tesi dei due autori in proposito. Un tale tema, sebbene filosoficamente importante, non è tuttavia centrale ai fini del presente lavoro. Sen-za assumere difficili impegni sul piano ontologico, è sufficiente qui mostrare che i concetti degli atti giuridici, che siamo in grado di ri-cavare dall’esame delle strutture normative di atti, valide in un or-dinamento giuridico particolare, corrispondono ai concetti degli atti

51 Cfr. J.L. Austin, How to do Things with Words, Oxford, Oxford University, 1962, ad esempio, pp. 12-52.

52 Ho sviluppato questa tesi in M.Q. Silvi, Atto giuridico e documento informatico, cit.

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linguistici in uso nei contesti interpersonali (di natura extragiuridica) nei quali agiamo (mediante il linguaggio appunto) e nei quali l’ordi-namento giuridico si innesta.

Come messo in evidenza anche da G. Husserl, il diritto non è slegato dalla storia e dall’agire concreto di un determinato gruppo di uomini, agire che avviene anche mediante l’uso del linguaggio. Anzi, il diritto (il singolo ordinamento giuridico) interviene proprio anche rispetto a tali forme di interazione di natura linguistica, al fine di se-lezionare e tutelare alcuni interessi ritenuti meritevoli53. A tal fine, l’ordinamento giuridico «si serve» del «materiale» che trova, consi-stente nelle pratiche che gli uomini compiono mediante l’uso del lin-guaggio, come il promettere, il comandare, il donare, il perdonare, il decidere, l’accusare, ecc. Il singolo ordinamento giuridico, pertanto, presuppone tali pratiche e i loro significati (i loro concetti), e sulla base di queste costruisce specifici tipi di atti, sottoposti a determina-te condizioni di esecuzione, e produttivi di particolari effetti.

Si pensi, ad esempio, alla particolare forma solenne (atto pubbli-co) richiesta a pena di nullità dall’art. 782 c.c. per compiere dona-zioni aventi a oggetto beni di non modico valore (art. 783 c.c.), non-ché alla particolare garanzia per l’evizione che il donante assume nei confronti del donatario ai sensi dell’art. 797. Le esigenze che le due norme mirano a tutelare sono evidenti: (i) la regola che pone il re-quisito della forma solenne mira a tutelare esigenze di certezza (ver-so terzi) e ponderazione nel trasferimento di porzioni non irrilevanti del patrimonio del donante; (ii) la regola che prevede la garanzia per l’evizione da parte del donante mira a tutelare chi beneficia dell’atto e confida nel fatto che il donante sia proprietario (o abbia comun-que un titolo per disporre) della cosa donata.

Le due norme esaminate costituiscono aspetti della struttura nor-mativa dell’atto della donazione, struttura valida in e per l’attuale ordinamento nazionale. Tale struttura presuppone però la pratica del donare (socialmente diffusa anche in contesti extragiuridici) e il concetto dell’atto (linguistico) della donazione, inteso come un atto ascrittivo di diritti (anche su cose), il quale richiede, per essere tale, (almeno) che la cosa ascritta appartenga al donante. Ed è proprio alla luce di quest’ultimo aspetto concettuale (ricavabile dal concet-to di donazione), che si comprende la regola (e la sottesa esigenza) della struttura normativa che prevede, quale ulteriore effetto per il donante, l’assunzione della garanzia per l’evizione.

53 Cfr. G. Husserl, Diritto e tempo, cit., ad esempio, pp. 4-6.

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Distinguere tra struttura normativa e struttura concettuale di un atto giuridico consente quindi di spiegare meglio due fenomeni già visti nel presente lavoro. Il primo consiste nel fatto che, se, da un lato, sono le regole di un determinato ordinamento giuridico che vertono su un atto (ad esempio gli artt. 769-809 c.c. sulla donazione) che ci dicono come deve essere compiuta una donazione per essere valida e per produrre determinati effetti nell’ordinamento, dall’altro lato, tuttavia, noi sappiamo già cosa una donazione sia. Ciò in quan-to, appunto, partecipando al contesto sociale (anche extra-giuridico) in cui l’ordinamento si innesta, noi già usiamo, e quindi siamo già in grado di conoscere, il concetto dell’atto linguistico della donazione presupposto dall’ordinamento.

Il secondo fenomeno consiste nel fatto che solo i singoli tipi di atti giuridici identificati dalle strutture normative valide in un ordi-namento assumono «rilievo» per il medesimo ordinamento (solo la donazione declinata negli artt. 769-809 c.c. produce nel nostro or-dinamento gli effetti previsti da tali articoli). Questo mostra che le regole dell’ordinamento che definiscono la struttura normativa di un atto conservano una propria costitutività: non si tratta, però, di una costitutività eidetica. Infatti, tali regole, pur non essendo condizione di pensabilità del concetto di tali atti, ne sono però condizione di possibilità: non di una possibilità concettuale, ma di una possibilità normativa, ossia la possibilità di produrre effetti giuridici in e per quel particolare ordinamento.