Garibaldi, la famiglia Teti e l’archeologia dell’antica Capua

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I SBN 978- 88- 7478- 033- 4

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Quaderni del Centro Studi Magna Grecia20

Studi di antichità 2

archeologia italiana e tedesca in italia durante la costituzione dello Stato Unitario

atti delle giornate internazionali di studioroma 20-21 settembre - napoli 23 novembre 2011

a cura di Carmela Capaldi, thomas Fröhlich, Carlo Gasparri

naus editoria2014

UniverSità deGli StUdi di napoli FederiCo iidipartiMento di StUdi UManiStiCi

Centro interdipartiMentale di StUdi per la MaGna GreCia

Quaderni del Centro Studi Magna Grecia, collana a cura di Giovanna Greco.Centro interdipartimentale di Studi per la Magna Grecia, dipartimento di Studi Umanistici,Università degli Studi di napoli Federico ii.

Comitato scientificoluisa Breglia, Carlo Gasparri, Giovanna Greco, Fabrizio lo Monaco, Francesca longo auricchio

Redazione scientificaluigi Cicala, Bianca Ferrara, luigi vecchio

Studi di antichità, serie a cura di Carlo Gasparri.

i volumi della collana sono sottoposti al Consiglio Scientifico del Centro interdipartimentale di Studi perla Magna Grecia ed al processo di peer review, affidato a specialisti anonimi, la cui documentazione èdisponibile presso l’editore.

Progetto grafico e realizzazione naus editoria

Stampa officine Grafiche Francesco Giannini & figli S.p.a., napoli

Copyright © pozzuoli 2014. naus editoria, www.naus.it

1. archeologia italiana, 2. archeologia tedesca, 3. instituto di Corrispondenza archeologica, 4. Scavi ericerche nel XiX secolo, 5. Mercato antiquario.

iSBn 978-88-7478-033-4

è severamente vietata la riproduzione parziale o totale del testo e delle immagini.

il volume è stato stampato con un contributo del dipartimento di Studi Umanistici dell’Università dinapoli Federico ii. Ha collaborato alle attività redazionali Simone Foresta.

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Carmela Capaldi, Thomas FröhliCh, Carlo Gasparri

presentazione

La situazione in Italia

Filippo delpino

l'archeologia a roma intorno al 1870: tra cosmopolitismo e contrappostinazionalismi

massimo TaranTini

Tra uomo «antidiluviano» e «storia delle nazioni». la mutevole identità dellapreistoria nell’italia unita (1860-1877)

iTalo m. iasiello

studi e politica: l’archeologia napoletana al bivio dell’Unità

pieTro Giovanni GUzzo

la scuola archeologica di pompei tra la nuova italia e il modello tedesco

salvaTore CerasUolo

Giuseppe Fiorelli e domenico Comparetti: due figure emblematiche del rap-porto tra antichistica italiana e tedesca nel secolo XiX

Il ruolo dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica

aGnes allroGGen Bedel

sulle orme di Winckelmann: pompei e l'archeologia tedesca nell'ottocento

Carina Weiss

heinrich dressel (1845-1920) zwischen Berlin und rom

maria leTizia Caldelli

roma 1863 e dintorni: il Corpus Inscriptionum Latinarum attraverso gliannali e il Bullettino dell'instituto di Corrispondenza archeologica

FranCesCo mUsColino

scoperte e restauri a Taormina e l’instituto di Corrispondenza archeologica

sylvia dieBner

protagonisti italiani delle scienze d’antichità si congratulano con Wilhelmhenzen in occasione del suo settantesimo compleanno (1886). la loro galle-ria di ritratti in internet

I Musei

silvia BrUni - riTa paris

roma capitale: il dibattito sui musei archeologici

maria rosaria esposiTo

museo e scavi a napoli: note sugli anni 1860-61

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indice

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197-213

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391-403

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Floriana miele

l’inventario Generale del museo nazionale di napoli e il contributo diGiuseppe Fiorelli alla sua costituzione

paola pelaGaTTi

le Antichità e Belle Arti della sicilia e i Regi Musei al momento dell’Unità

Gli scavi

anna maria rosseTTi

le Pitture dell’Odissea dall’esquilino tra repubblica romana (1849) e restau-razione pontificia: monumenti e Belle arti ai tempi dell’«intruso governo»

henner von hesBerG

il progetto di scavo di Wilhelm henzen nel santuario degli arvali e a monteCavo (1872)

andrea BaBBi

la Tomba del Guerriero di Corneto: un esempio di (stra)ordinaria ammini-strazione del 1870

marina sClaFani

«Urne con bassi rilievi scoperte presso Città della pieve»: la Tomba dei purnitra commercio e tutela delle antichità nel regno d’italia

simone ForesTa

Garibaldi, la famiglia Teti e l’archeologia dell’antica Capua

anTonella Tomeo

la necropoli protostorica alle pendici del monte maggiore (Cales): riletturadelle indicazioni di Friedrich von duhn

valeria sampaolo

disegnatori italiani e tedeschi a pompei nel periodo unitario

lUiGi CiCala

problemi della ricerca in magna Grecia nella seconda metà dell’ottocento

BianCa Ferrara

poseidonia/Paestum e l'archeologia tedesca nell'italia post-unitaria

FederiCo raUsa

Julius schubring, pioniere degli studi sulla topografia storica di akragas

Il mercato antiquario

lUiGi aTTilia

Corrispondenza tra pietro rosa e h. Wilhelm henzen: la tutela delle antichitànel passaggio tra stato pontificio e regno d'italia (1871-1872)

Carmela Capaldi

da Cuma a Berlino: il rilievo con la contesa del tripode delfico della collezio-ne Bartholdy

asTrid FendT

oggetti - attori - luoghi: acquisizioni romane per la antikensammlung diBerlino nella seconda metà dell'ottocento

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nel 2011 numerose iniziative hanno celebrato in italia il 150° anniversario deglieventi che hanno portato all’unificazione della nazione sotto la monarchia sabauda.

la circostanza che, per singolare coincidenza, questa si sia effettivamente conclusadieci anni più tardi, quando si compiva, sotto l’egida della monarchia prussiana, il pro-cesso di unificazione dello stato tedesco con la nascita del deutsches Kaiserreich, ha sug-gerito di esplorare, in un colloquio scientifico, le possibili conseguenze derivanti dalnuovo assetto politico dei due stati per lo sviluppo della ricerca, delle esplorazioni e di unmoderno sistema di tutela in campo archeologico – uno spazio questo in cui l’italia e laGermania avevano già alle spalle una secolare vicenda di scambi, interessi comuni, reci-proche influenze.

i due paesi si presentavano certamente all’appuntamento storico - assolutamentecasuale - con un pregresso, in questo ambito, del tutto diversificato. se alla base dellaricerca sull’antico era per ambedue i paesi una ormai secolare comune tradizione di studi,frutto di un dialogo intrecciato in una più vasta dimensione europea; e se la materialeappropriazione dell’antico - il collezionismo di antichità - aveva avuto in Germania esiti,anche a livello statale, di dimensione e spessore comparabile a quelle delle grandi raccol-te italiane - si pensi solo all’antiquarium di alberto v a monaco, al ThesaurusBrandenburgicus di Federico il Grande, alla Glyptothek e all’antikensammlung diludovico di Baviera - del tutto diversa era la prospettiva con cui ci si poneva di fronte allequestioni concernenti lo scavo e la tutela dei monumenti e dei reperti antichi, ai problemidel restauro architettonico e della musealizzazione: problemi e questioni con cui da tempoin l’italia si erano confrontati non solo quegli stati più vistosamente segnati dalla presen-za delle testimonianze monumentali e artistiche del passato, come lo stato pontificio e ilregno di napoli, ma anche il Granducato di Toscana e il ducato di parma.

Una ininterrotta catena di provvedimenti disposti a protezione del patrimoniomonumentale e artistico dell’Urbe che si susseguono già a partire dalla fine dell’impero,fino alla lettera di raffaello a leone X (1519), all’editto pacca (1820) e oltre, aveva get-tato le basi per una strutturata legislazione di tutela.

a roma già nel 1734 era stato aperto il primo museo pubblico di antichità sulCampidoglio; a napoli nel 1816 dall’unione nelle raccolte reali delle antichità farnesianee ercolanesi era nato il museo Borbonico; a roma ancora erano stati attuati impegnativiinterventi di isolamento e restauro di monumenti; nello stato pontificio, a ostia, e nelregno di napoli, nei siti vesuviani, si inauguravano scavi estensivi di siti archeologici. lecollezione capitoline, i materiali degli scavi vesuviani venivano divulgati in prestigioseiniziative editoriali, dove alla accurata riproduzione grafica, che era stata caratteristicadalla editoria aristocratica, si affiancava un ampio commento scientifico, se pure di tagliomeramente antiquario.

assai diverse erano la situazione e le esigenze in Germania, dove l’attenzione alleantichità locali e le indagini sul terreno non avevano ancora quella dimensione raggiuntaaltrove, per es. in Francia.

molteplici fattori avevano contribuito, fin dai nei primi decenni del XiX secolo, amodificare in italia il quadro della ricerca antiquaria di tradizione cinque e seicentesca, asua volta già radicalmente innovato da figure come Johann Joachim Winckelmann, o

Presentazione

Georg zoega; e si pensi solo, per roma, alle conseguenze della parentesi del governo fran-cese tra i pontificati di pio vi e pio vii; o, in una dimensione europea, all’aprirsi dei con-tatti diretti con i monumenti della Grecia e quindi dei siti d’asia minore, e di tutto l‘arcomediterraneo.

ma nella comune vicenda del confronto con l’antico dei due paesi - e non solo diquesti - costituisce un determinante Wendepunkt la fondazione nel 1829, sul colle capito-lino, dell’instituto di Corrispondenza archeologica. i successivi sviluppi di questo daran-no ragione dell’impegnativo, avanzato progetto dei giovani capitolini, e delle ambizioniimplicite nella scelta, per la loro sede, di un luogo segnato da così dense memorie stori-che; si stabilisce ora la solida base del rapporto privilegiato che la ricerca archeologica ita-liana stringe con quella tedesca.

il processo che porterà alla trasformazione, in Germania, dell’instituto romano indeutsches archäologisches institut; alla sostituzione, in italia, della pontificiaCommissione alle antichità e delle varie consimili istituzioni operanti nei diversi statipre-unitari con la direzione Generale alle antichità e Belle arti e poi con lesoprintendenze territoriali; lo strutturarsi, in ambedue i paesi, di una formazione univer-sitaria specifica per il settore dell’antichità e dell’archeologia, sostanzialmente basato sulmodello tedesco, e che in italia assumerà anche fin dall’inizio - o almeno intenderà assu-mere - finalità professionalizzante; la nascita dei grandi musei nazionali, dei museiprovinciali e regionali in italia, dei landesmuseen in Germania; l’estendersi delle esplo-razioni archeologiche nella penisola, ma anche al di fuori di questa, con grandi program-mi di scavo sostenuti a livello statale; la conseguente elaborazione di protocolli e norma-tive per lo scavo da parte del nuovo regno, sono tutti fenomeni dei quali è condizione pre-liminare la costituzione dei due stati unitari.

su questi temi ci si è proposto di riflettere in un incontro di studi promosso con-giuntamente dall’istituto archeologico Germanico di roma e dall’Università degli studidi napoli Federico ii, convegno che si è voluto aprire il 20 e 21 settembre 2011 a roma,nella sede del museo nazionale romano in palazzo massimo, a poca distanza dal luogodove 141 anni prima le truppe piemontesi erano entrate nella futura capitale; ed è ripresoil successivo 23 novembre nella sede della Biblioteca di ricerca di area Umanisticadell’ateneo partenopeo, dove ha trovato conclusione con una tavola rotonda alla qualehanno partecipato i titolari delle due soprintendenze campane. ad adele Campanelli,soprintendente per i Beni archeologici di salerno, avellino, Benevento e Caserta ed aTeresa elena Cinquantaquattro, all’epoca soprintendente per i Beni archeologici di napolie pompei va un sentito ringraziamento per aver amichevolmente e fattivamente supporta-to l’iniziativa.

il comune progetto non si sarebbe potuto realizzare senza il convinto interessamen-to e la promozione del progetto di studio offerto da henner von hesberg, all’epoca primodirettore dell’istituto archeologico Germanico di roma, e senza il sostegno finanziariodell’istituto stesso e dell’ateneo federiciano, per i quale in particolare vanno ringraziatil’allora direttore del polo sUs mario rusciano e l’allora direttore del dipartimento didiscipline storiche “ettore lepore” Giovanni vitolo.

la sede del palazzo massimo è stata messa a disposizione, con la consueta libera-lità da rita paris, direttrice del museo, che qui viene cordialmente ringraziata. si ringra-zia parimenti Gigliola Golia, direttrice della Biblioteca di area Umanistica dell’ateneofedericiano per l’amichevole disponibilità di sempre.

Gli atti del convegno vedono ora la luce grazie al contributo del dipartimento distudi Umanistici.

nel licenziare il volume è un gradito compito ancora esprimere riconoscenza al per-sonale dell’ archivio, della Biblioteca e dell’Ufficio Fotografico della soprintendenza peri Beni archeologici di napoli per aver supportato con infinita pazienza il reperimento delmateriale utile alla redazione dei testi.

Carmela Capaldi - Thomas Fröhlich - Carlo Gasparri8

1 Un sentito ringraziamento va alla Dott.ssa V. Sampaolo e alla Dott.ssa D. Colombo, che per prime mi hanno avvi-cinato alle problematiche antiche e moderne di Santa Maria Capua Vetere. Ringrazio inoltre il Dott. F. Sirano peraver favorito in ogni modo lo studio. Le ricerche sulla famiglia Teti sono state condotte presso l’Archivio Storicodella Soprintendenza Archeologica di Napoli (ASSAN), presso l’Archivio di Stato di Caserta, presso il Museo Civicoe Archivio Storico di Santa Maria Capua Vetere e presso l’Archivio Storico Capuano della Biblioteca ProvincialeCampana di Capua. 2 MATARAzzI 1861, 99.3 Indicazioni sulla famiglia: MARRA 2006.4 PELLEGRINo 1651, 380-381.5 Sulle trasformazioni urbanistiche della città: CASIELLo-DI STEFANo1980.

La battaglia decisiva contro l’esercito borbonico fu combattuta da Garibaldi neipressi del fiume Volturno il 1o ottobre 1860. Una targa marmorea apposta sulla facciata delPalazzo Teti nell’attuale via d’Angiò (ex via San Francesco) resta uno dei ricordi dell’im-presa, sparsi e stratificatisi nella città di Santa Maria Capua Vetere (fig.1)1. In essa, volu-ta circa 20 anni dopo gli eventi bellici, si ricorda l’ospitalità offerta da Raffaele Teti aGaribaldi nei momenti decisivi dello scontro. Nello stesso luogo il 2 novembre 1860 fufirmata la resa di Capua: il processo di unificazione era così completato. Una viva testi-monianza degli avvenimenti si ritrova in un telegramma del generale indirizzato aRaffaele Teti il 6 novembre 1860: «Nei tempi difficili, per cui siamo passati, abbiamopotuto conoscere i veri amici della causa nazionale. In Santamaria i miei Militi hanno tro-vato questa buona popolazione sempre gentile e fervente per la santa causa; ed io in casasua mi ebbi nei giorni del pericolo un accoglienza generosa, tale, che non la dimentiche-rò per tutta la vita. Con tutta riconoscenza, Suo devotissimo Giuseppe Garibaldi»2.

I membri della famiglia Teti, gli esponenti maschili tutti avvocati, si trasferironodall’Abruzzo a Santamaria Maggiore nei primi decenni dell’800, quando la città divennesede del tribunale di prima istanza3.

Nei secoli precedenti lo sviluppo della città avvenne in modo casuale lungo il trac-ciato dell’Appia antica e intorno a nuclei abitativi sparsi; nel Seicento e nel Settecento lacittà era costituita da due centri aventi come fulcro le chiese di Santa Maria Maggiore e diSant’Erasmo, e quella di San Pietro in Corpo. Il rapporto tra antichità e sviluppo moder-no della città è descritto da Camillo Pellegrino nell’Apparato delle antichità di Capua,edito nel 1651: «si veggono magnifiche reliquie, & ampie ruine de’ suoi edificij; & coninnumerabili opere antiche di scoltura, & di altri artificij di molto pregio, per lo continuocorso di questi ultimi ducento anni, sono state spesse volte ritrouate varie memorie del suonome, scolpite in marmi, il trascritto delli quali a migliore occasione io riserbo. Il luogohora vien da honesti, & copiosi popoli habitato, distinti in due nostri casali, che nondime-no di gran lunga non agguagliono lo spazio della città antica»4.

Gli imponenti monumenti antichi, intatti nella loro imponenza, con svariate funzio-ni divennero parte del nuovo tessuto urbano5: per esempio, le strutture del Capitolium

Simone Foresta

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Garibaldi, la famiglia Teti e

l’archeologia dell’antica Capua

furono adattate ad abitazioni civili, mentre il Criptoportico fu utilizzato nei primi anni del‘700 come stalla per la cavalleria austriaca di stanza a Capua. L’adesione degli intellettualilocali alle idee giacobine e alla Repubblica Napoletana (1799) sono una prova delle tra-sformazioni sociali e politiche che coinvolsero Napoli, Caserta, Capua e Santa Maria trala fine del ‘700 e i primi decenni dell’800. In questo clima la città, grazie ad un decreto diGiuseppe Bonaparte, divenne capoluogo amministrativo della provincia di Terra di Lavorodal 1806 al l816; in seguito Capua riacquistò il ruolo di centro amministrativo grazie alriordino di Ferdinando IV di Borbone. Comune autonomo, sede del tribunale di primaistanza e del tribunale criminale per l’intera provincia, la città accolse nel periodo borbo-nico tutta una borghesia fatta di avvocati, notai, giudici e militari. La “borghesizzazione”della società rese necessaria una “borghesizzazione” della città, una sua trasformazionenell’aspetto pubblico e privato.

La mole sempre visibile dell’Anfiteatro, l’arco detto di Adriano, le tombe monu-mentali sulla via Appia e i continui rinvenimenti resero, a partire dal XVIII secolo, la cittàun centro di notevole interesse antiquario6. Meta di viaggiatori ed eruditi, oggetto di scaviarcheologici promossi dal governo borbonico, da Lord William Hamilton e dall’iniziativadi cittadini autorizzati, militari di alto grado e scavatori clandestini, la città con le sue ric-chezze storiche e archeologiche rappresentò un interesse costante e dalle svariate impli-cazioni per la famiglia Teti fino alla sua estinzione nella prima metà del ’9007.

Il legame che unisce la famiglia Teti alle ultime vicende del regno borbonico e allefasi di formazione dello Stato unitario permette di valutare così il ruolo svolto dalla bor-ghesia liberale nelle vicende politiche dell’Italia meridionale e nella rinascita di un senti-mento dell’antico adeguato ai nuovi tempi. Fu anche attraverso un diffuso e contrastatointeresse delle classi medie verso il passato locale che dal collezionismo e dagli scavi diantichità si è giunti alla moderna archeologia e all’attuale percezione delle antichità. Imeccanismi attraverso i quali il passato è intervenuto nella formazione della coscienzanazionale possono permetterci inoltre di comprenderne i significati nella società contem-poranea8.

È il palazzo di via d’Angiò a rappresentare il punto di partenza della nostra indagi-ne (figg. 2-4); esso è costituito da tre strutture adiacenti che si sviluppano su tre piani9. La

6 CAMMARoTA 2000.7 Nel 1931 si è estinto il ramo della famiglia Teti Gazzero.8 SAMPAoLo 2006.9 L’edificio è composto da 55 vani e da 6.579 mq di giardino. L’area del giardino ortolizio è ora occupata da un fab-bricato moderno.

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1. Targa

commemorativa

posta sulla

facciata di

Palazzo Teti.

2. Veduta della

metà dell’800

della facciata di

Palazzo Teti. A

destra il confine

dell’orto.

(cartolina postale

ed. A. Verde -

Santa Maria

Capua Vetere).

facciata esterna si caratterizza per un ampio portale inquadrato da lesene scanalate sor-montate da capitelli ionici; attraverso questo era possibile accedere al cortile interno eall’ampio giardino di delizie riccamente arredato e caratterizzato dalla presenza di fonta-ne, viali e un gazebo colonnato a pianta circolare con cupola. Le trasformazioni urbanisti-che dell’area avvenute negli ultimi 30 anni hanno completamente interrotto i rapporti edi-lizi che intercorrevano tra l’edificio e gli spazi circostanti, compromettendone la com-prensione delle relazioni sia in senso sincronico che diacronico. La costruzione dell’edifi-cio fu voluta nel 1827 da Filippo Teti (1782-1844), avvocato, nominato prima regio gover-natore in Puglia, e poi, trasferitosi nell’antica Capua, eletto decurione della città, consi-gliere distrettuale, poi provinciale, e infine vicepresidente della Società economica diTerra di Lavoro. Il palazzo, completato nel 1839, fu ubicato immediatamente a N dell’a-rea in precedenza occupata dalla Torre di Sant’Erasmo, una delle strutture che costituiva-no la sede della monarchia sveva, angioina e aragonese. Qui nacque Roberto d’Angiò nel1278; Federico II la lasciò alla famiglia Gentile di Capua e d’allora tutta l’area subì unperiodo di abbandono e declino finché Carlo di Borbone nel 1738 trasformò le strutture inscuderie regie e tutto il sito fu denominato “Quartiere della Torre”. La struttura fu abbat-tuta nel 1760 per realizzare alloggi militari. La necessità di spazi ampi e accessibili diret-tamente dall’Appia determinò la realizzazione nel 1852 della nuova Caserma di Cavalleria

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3. Veduta della

facciata di

Palazzo Teti nella

attuale condizione.

I tondi ai lati

dell’ingresso sono

stati recentemente

asportati con dolo.

4. Pianta dell’area

di Palazzo Teti e

dei suoi giardini

con l’indicazione

ricostruttiva delle

evidenze

archeologiche

presenti nell’area.

Borbonica, la Nuova “Cavallerizza” (oggi ex Caserma Pica, già Caserma I° ottobre) nondistante dalla casa circondariale borbonica e confinante con Palazzo Teti10.

La costruzione permise di confermare tutta l’importanza archeologica dell’area cor-rispondente all’antico foro della città romana, come testimoniava la presenza delCriptoportico, del Teatro e del Capitolium, attestata dalle fonti antiquarie (fig. 4). Il qua-dro degli edifici che occupavano il perimetro dell’area forense era completato dalla Curia,riconosciuta da Giacomo Rucca «propriamente nel sito, ove si sta ora costruendo la nuovacasa e giardino del nostro egregio amico, e valoroso avvocato Signor Filippo Teti»11. J.Beloch riferisce come durante le fasi di sistemazione della dimora questo stesso abbiaintercettato e obliterato parte delle strutture del teatro antico: «il signor Teti durante l’im-pianto del suo giardino si è imbattuto nel pavimento marmoreo dell’orchestra e nel semi-cerchio delle file di sedili, ma secondo l’abituale prassi capuana ha tenuto la cosa nasco-sta e ha rimosso i muri dissotterrati»12.

Gli interessi antiquari di Filippo Teti erano rivolti ad arricchire la sua collezione diopere antiche con reperti da esporre nelle stanze e nel giardino del palazzo: gli avanzimonumentali certamente non suscitarono nessuna profonda attrazione, ma potevano solorappresentare un ostacolo per l’avanzamento dei lavori (fig. 4).

Mentre procedeva la costruzione del palazzo, Filippo Teti si mostrava così interes-sato al recupero autorizzato di reperti dell’antica Capua con maggior valore collezionisti-co. Al 1832 è datata, infatti, la richiesta di permesso per compiere scavi «per ricerche diantichità nel Comune di S. Maria di Capua in contrada la Croce, in un fondo di Raf.leRupo»13.

L’area di scavo nella porzione meridionale della città, all’esterno del perimetrourbano antico, dovette restituire vasi fittili e bronzei e monili vari, così come avvennedurante la costruzione della limitrofa linea ferroviaria, terminata nel 1844. I reperti arric-chirono la già cospicua collezione di Filippo, costituita durante la permanenza nelle Pugliee arricchitasi attraverso l’acquisizione di antichità locali. Sappiamo che alcuni reperticeramici all’interno di una «fucina dei vasi antichi di ogni qualità, di ogni forma, special-mente con figure a nero» recuperati nei pressi di oria (Brindisi), capitale politica dellaconfederazione messapica, furono in parte donati a Teti, «che serba ottima collezione divasi e monete»14. Faceva inoltre parte della collezione numismatica un semiasse in bron-zo di P. Cornelio Blasio con testa di Giove e prora di nave15. «Pregevoli avanzi dell’artigreche» arricchivano per di più la raccolta, come un vaso a figure con Dioniso portato allaluce da una tomba di Ruvo16. Gennaro Riccio nel 1855 non esitava a definire un vero eproprio museo la raccolta di antichità Teti, accumulatesi anche attraverso gli scavi nel ter-ritorio dell’antica Capua, condotti con persistenza e coraggio dall’amico Filippo17; rico-nosceva opera di grande valore inoltre «una statuetta di bronzo, alta due palmi, di Dianatifatina, trovata in qualche delubro peculiare vicino al famoso tempio»18, in possesso diRaffaele Teti (1805/6-1871), figlio di Nicola (1778-1877), nipote di Filippo, avvocato,liberale unitario, proprietario di case e terreni in tutto il territorio di Terra di Lavoro. FuRaffaele a partecipare attivamente alle vicende storiche che portarono all’unificazionedella penisola, mostrando interessi non esclusivamente localistici nell’espletamento dellaprofessione, nell’amministrazione della cosa pubblica, nel perseguimento dei suoi ideali.

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10 Sull’area della Caserma: SAMPAoLo et alii 1995, 33-36.11 RUCCA 1828, 51.12 BELoCH 1890, 350.13 ASSAN, V B 6, 5.4.14 BullInst 4, 1834, 56.15 RICCIo 1843, 62.16 AnnInst 13, 1841, 123.17 RICCIo 1855, 17.18 RICCIo 1855, 11. Sugli scavi nei pressi del Tempio: ASSAN VI, D4, 16. Sulla statua: ASSAN IX, D4, 12.6; IX,D4, 4.13; XIX, B1, 4.1; XIX, D4, 2.16.

La stessa riscoperta del passato da interesse personale e familiare divenne strumento diriflessione sull’identità della città e sul suo ruolo nella nuova Italia19. Dai documenti d’ar-chivio risulta come pochi mesi prima che gli eventi unitari si risolvessero, l’avvocatorichiese regolare permesso di scavo al Museo di Napoli il 28 agosto 1861: «Raffaele Tetiproprietario del Comune di S. Maria Maggiore prega i rispettabili membri componenti lacommissione ad essere compiacenti volergli fare impartire il permesso di poter scavareper rinvenire oggetti di antichità in un suo fondo ortolizio, strada di San Francesco didetto Comune»20. Il precipitare degli eventi determinò la sospensione delle attività discavo in città che ripresero solo l’anno successivo, come ci informa la relazione di AntonioAusiello del 23 settembre del 1862: «Mi affretto a darle notizia che il Sig. Raffaele Teticominciò ieri uno scavo nel giardino si sua pertinenza, sito Strada S. Francesco in questoMunicipio, giunta l’autorizzazione»21. I riferimenti e dati presenti nelle richieste e rela-zioni di scavo risultano di particolare interesse poiché permettono di riconoscere un’im-portante area archeologica, adiacente al lato orientale dello spazio forense, ora compro-messa dalle costruzioni moderne. Gli scavi furono, infatti, eseguiti nello spazio antistantealla facciata della residenza Teti, utilizzata come orto, e separata da questa da via SanFrancesco. Dopo un mese di scavo, il 28 ottobre 1862 Antonio Ausiello così riferiva:«Debbo manifestarla che alla profondità di circa palmi otto si sono presentati i ruderi diun grand’edificio, che io stimo essere le pubbliche terme dell’antica Capua, essendosiinoltre rinvenute due stanze ad uso di stufe; tutt’affatto simili a quelle, che Ella vide aCales, allor che onorò di sua presenza quegli scavi. Le parti tutte del mentovato edificiosono di forma circolare; Esso deve rimontare a tempi antichissimi, ed i Romani dovetterosolo ristaurarlo ed abellirlo, che vedesi l’opera laterizia, sovrapposta alla costruzione etru-sca. Secondo me tale monumento ha però dovuto in altri tempi subire lo spoglio, impe-rocchè vi ho ravvisate dalle mura e dalle volte rotte e forzate per penetrarvi, mentre in unedificio cotanto maestoso altro non vi si è finora trovato che frammenti di marmi e di stuc-chi di differenti colori»22. I rinvenimenti e l’assenza di reperti mobili d’interesse collezio-nistico non soddisfecero le attese e lo scavo fu sospeso e abbandonato. Il confronto pun-tuale degli avanzi architettonici con l’edificio termale caleno permette di ritenere convin-cente l’ipotesi dell’esistenza di terme pubbliche nel settore urbano ad E dell’area forense.La notizia del rinvenimento di edifici pubblici (la cosiddetta Curia e le Terme) durante ilavori e gli scavi nella proprietà Teti di via San Francesco permette di integrare il quadrodelle evidenze riconosciute in vari momenti nell’area dell’antica Capua limitata a N dalCriptoportico e a S dal Capitolium e ad o dal Teatro. A E indagini condotte nel 1954 sottoil manto stradale di via d’Angiò presso l’angolo con via Torre hanno permesso di ricono-scere consistenti avanzi di una strada basolata con orientamento N/S, perpendicolare allavia Appia che attraversava a settentrione il Foro23.

Il giardino interno di Palazzo Teti, che occupava quindi l’area meridionale dellospazio forense, antistante al Capitolium, lambendo ad o la scaenae frons del teatro, diven-ne in qualche decina d’anni un ricercato parco in cui elementi architettonici antichi, stele,olle, epigrafi e statue moderne si alternavano a camelie, aranci e architetture moderne.L’individuazione di tali reperti archeologici, prontamente salvati dall’attività di tuteladella Soprintendenza e depositata in parte presso il Museo dell’Antica Capua, permette diricostruire la consistenza della raccolta archeologica e l’aspetto del giardino nelle sue ulti-mi fasi di vita, e di riconoscerne la possibile pertinenza agli edifici del foro. Le foto, scat-

19 Raffaele Teti ospitò nel 1865 Alessandro Castellani, orafo, antiquario, collezionista d’arte e patriota italiano, cheportò alla luce a Santa Maria Capua Vetere una notevole quantità di vasi venduti al British Museum: WILLIAMS1992, 619.20 ASSAN, VII, D 9, 1.1 e inoltre VII, D 9, 2.1.21 RUGGIERo 1888, 346. Sugli scavi Teti si veda inoltre: RUGGIERo 1888, 322-323; 346-348; 351-352.22 RUGGIERo 1888, 347-348.23 DE FRANCISCIS 1954.

282

tate al momento del recupero e custodite presso l’Archivio fotografico dell’Ufficio BeniArcheologici di Santa Maria Capua Vetere, permettono di ricostruire il contesto espositi-vo moderno dei reperti composti in pastiches (figg.5-6)24. Una di queste elaborate com-posizioni presentava l’accostamento di un blocco parallelepipedo in calcare decorato sutre facce: sulla principale una figura femminile siede su un trono riccamente decoratoaffiancata da due giovani togati, sulla faccia sinistra un clipeo descritto da una corona d’al-lora doveva ospitare un busto, come appare dalla frattura nella parte inferiore, a destra unanicchia ospita un busto femminile tra due fanciulli togati rappresentati di tre quarti, unodei quali stringe nella destra una sfera. I motivi iconografici e gli incassi presenti sullasuperficie superiore e posteriore permettono di ritenere il blocco un elemento architetto-nico di un monumento funerario, databile al I sec. a.C. Il reperto poggiava su un fram-mento di sottocornice ionica con ovuli, astragalo a fusarole e perline, dentelli e kymalesbio continuo. Gli effetti chiaroscurali e gli ovuli appuntiti permettono di datare ilmarmo, noto solo da foto, alla tarda età flavia. Non lontano era sistemato un capitellocorinzio ribaltato su cui era alloggiato un rocchio di colonna. Le due corone di foglie diacanto a sette lobi del kalathos presentano le estremità arrotondate, mente le scanalaturerisultano profondamente incise; le zone d’ombra a goccia verticale sono caratterizzate daprofondi solchi verticali. Nonostante le abrasioni e fratture del capitello è possibile rite-nere plausibile una datazione all’età flavia. Chiudevano la composizione un pilastrino incalcare modanato e la parte anteriore di un sarcofago di cui rimane parte di un festone conpomi e grappoli d’uva, e la testa di Medusa con capigliature dalle ciocche folte e avvol-genti. Pur impedendo le abrasioni una lettura completa della superficie, è possibile rico-noscere gli incassi profondi degli occhi della figura femminile e l’ovale del viso. Le testedi Medusa si possono attribuire ad un ambiente artistico microasiatico dove venivano uti-lizzate sarcofagi decorati con ghirlande sostenute per lo più da Eroti e Vittorie.

A poca distanza erano collocate opere moderne: un gruppo scultoreo con due aman-ti abbracciati ed una cimasa in tufo grigio con tarsie marmoree, parte forse di una fonta-na; un grande dolio in terracotta era invece adagiato sotto un albero. Tra i reperti più signi-ficativi esposti si segnalano un frammento di vasca di sarcofago in marmo che conservaancora parte della decorazione del lato destro della fronte: la presenza di un cinghiale ince-dente verso sinistra e di due figure nude stanti all’estremità permette di riconoscere la rap-presentanze del mito di Meleagro. Il sarcofago può essere datato al III sec. d. C., mentredatabile all’ultimo quarto dello stesso secolo è il sarcofago strigilato con ritratto del defun-to in clipeo sorretto da cornucopie, con la porzione sinistra della vasca fratturata.Saldamente piantate a terra erano due stele funerarie in tufo a forma di tempietto all’in-terno del quale erano scolpite a bassorilievo le figure delle defunte che indossano chitonee himation. Le stele funerarie in calcare possono essere confrontate con esemplari tipolo-gicamente analoghi rinvenuti nell’antica Capua e nelle città della Campania settentriona-le, databili tra la fine del II sec. a.C. e il I sec. a.C.

Tra i reperti, che costeggiavano viali e decoravano aiuole, sono da annoverarediversi elementi architettonici rinvenuti con molta probabilità durante i lavori edilizi chein vari momenti hanno interessato l’area. Ritenuti convincentemente da V. Sampaolo per-tinenti al tempio dedicato a Giove Capitolino sono alcuni frammenti di capitelli a volutediagonali, in calcare bianco del Tifata, rinvenuti nell’area di Palazzo Teti e ora conservatipresso il Museo archeologico dell’Antica Capua25. I capitelli hanno il lato dell’abaco largo1, 20 m, il diametro al sommoscapo è di 0,78 cm; l’altezza complessiva è invece di 0,32cm. Essi sono stati datati da G. Cavalieri Manasse all’età primo-imperiale, configurando-si come le ultime manifestazioni del tipo ionico-italico. La pertinenza al tempio capitoli-no degli elementi architettonici sistemati nel giardino Teti sembra essere confermata dal

283

24 È in corso di elaborazione un catalogo completo dei reperti della collezione Teti, che, vista l’esiguità dello spazio,qui non può trovare sede. 25 CAVALIERI MANASSE 2008, 310, n. 35.

riconoscimento degli avanzi dell’edificio citato da Tacito e Svetonio. Sempre le fonti let-terarie antiche ci informano della distruzione del tempio, avvenuta sotto Diocleziano pereffetto delle preghiere di San Rufo e San Carponio26.

Dopo l’abbandono, la parziale distruzione e la spoliazione della città antica, ilCapitolium, risparmiato da una completa devastazione dovette ancora testimoniare il suopiù antico passato. Da documenti medievali del XII e XIII sec. è testimoniato, infatti, lostretto rapporto topografico esistente tra gli edifici monumentali presenti nel quartiere diSant’Erasmo e il Capitolium. Nella zona occidentale della moderna S. Maria Capua Vetereerano ubicati, infatti, la chiesa e la torre detti di Santo Erasmo: Prope turrim Capitolii:

Prope Ecclesiam S. Erasmi in Capitolio. La parziale integrità del Capitolium e lo stretto collegamento tra i già citati monu-

menti presenti nell’area sono descritti inoltre nelle memorie di viaggio di J. J. Bouchard,edite a Parigi nel 1885 da Lucien Marcheix con il titolo Un parisien à Rome et à Naples

en 1632 d’après un manuscrit inédit de J. J. Bouchard. Il viaggiatore francese, entrandoin città da o, poté osservare il Criptoportico, allora identificato con delle terme, sulladestra il Teatro e il Capitolium, lì dove li osservava anche A. S. Mazzocchi, prope

Cryptoporticum et prope turrim s. Erasmi. Le demolizioni borboniche e la realizzazione di costruzioni per la nuova caserma

militare hanno trasformato radicalmente l’assetto urbanistico del quartiere diSant’Erasmo, favorendo una parziale perdita della memoria storica dei luoghi, rintraccia-bile nella tradizione letteraria antiquaria.

Gabriele Jannelli nel 1858 nell’opera Sacra Guida ovvero descrizione storica arti-

stica letteraria della Chiesa Cattedrale di Capua, descrivendo il Quadro di San RufoDiacono e Martire in cui era rappresentato il martirio subito sotto Diocleziano dal santoinsieme al compagno Carponio in templo Capitolii, riferisce che: «gli scrittori tutti di ognitempo e di ogni luogo, senza escludere il testè defunto Ch. Archeologo della Francia RaoulRochette, nell’indicato luogo (monte Tifata) sostengono l’esistenza di tutt’altro tempiodedicato al Dio Giove, riconoscendo invece la situazione del Campidoglio nel luogo del-l’odierno Quartiere della torre di fianco al Palazzo Teti in S.M. Maggiore» 27.

Resti antichi inglobati in strutture moderne, già riconosciuti come gli avanzi deltempio capitolino, confermano il quadro descritto dalle fonti letterarie. Nello specifico, unedificio quadrangolare, destinato negli ultimi anni ad uso militare e ubicato all’internodella ex Caserma Pica, conserva ancora un orientamento analogo a quello degli edificimonumentali che dovevano occupare l’area del foro28: esso fu ubicato presso il settoremeridionale dell’antica area forense, trovandosi in asse con il braccio minore del cripto-portico. Il tempio, solo in parte integro e con orientamento S/N, conserva ancora in piùpunti un paramento esterno in laterizio. Indicati in pianta, i muri in opera laterizia per-mettono di ricostruire la planimetria dell’edificio romano. La struttura planimetrica, rico-struita grazie alle evidenze antiche, appare così caratterizzata da una forma quadrangola-re (28 per 22 m circa): all’interno dell’edificio moderno si conservano inoltre ancora letracce in muratura di una delle tre navate che doveva suddividere la cella. Il Capitolium diCapua era inoltre caratterizzato da un alto podio munito di favissae ed essere edificato inopera reticolata con ammorsature in laterizio. L’edificio doveva presumibilmente presen-tarsi, nell’ultima fase costruttiva, prostilo, esastilo29.

Tra gli elementi architettonici conservati nel giardino del palazzo si segnalano dueframmenti di cornice dorica in calcare bianco, uno dei quali già riconosciuto da CarmelaCapaldi come pertinente ad uno degli edifici del foro, probabilmente la porticus post scae-

nam del teatro30. Il recupero di un ulteriore blocco di cornice e di vari frammenti di fusti

5. Stele presenti

nell’area del

giardino di Palazzo

Teti prima del loro

trasferimento

presso il Museo

archeologico

dell’Antica Capua

(Archivio

fotografico

dell’Ufficio Beni

Archeologici di

Santa Maria

Capua).

6. Materiali

antichi e gruppo

scultoreo moderno

depositati nel

giardino di

Palazzo Teti

prima del

trasferimento nel

Museo

archeologico

dell’Antica Capua

(Archivio

fotografico

dell’Ufficio Beni

Archeologici di

Santa Maria

Capua).

285

26 Sul Capitolium di Capua: FoRESTA 2011 (con bibliografia precedente).27 JANNELLI 1858, 195.28 Sui fori della città: SIRANo 2014.29 FoRESTA 2011.30 CAPALDI 2005, 15-64. Si veda inoltre: CAPALDI 2010.

di colonne in marmo colorato presenti nell’area del giardino avvalora tale ipotesi. Le fontiantiquarie testimoniano, come già osservato, la stretta associazione tra Palazzo Teti e l’e-dificio teatrale di età imperiale, la cui pianta si sviluppava nell’area dell’ex Caserma Pica.Il teatro, visibile ancora nel ‘700, fu demolito per consentire la costruzione della casermaborbonica e ampliare la carreggiata della via Appia, che attraversava il foro da E ad o, incorrispondenza degli ingressi al Criptoportico.

Proveniente dall’area del teatro è un’epigrafe onoraria, ora perduta, a Q. Annius

Ianuarius, exactor operum publicorum et theatri a fundamentis (CIL X, 3907): tra la finedel I sec. d.C. e gli inizi del II sec. d.C. il liberto, augustale e soprintendente alle operepubbliche, ricostruì completamente il teatro. Estremamente significativo per la conoscen-za dei rapporti topografici esistenti tra teatro e Capitolium è un rilievo, recuperato pressoil teatro ed ora conservato presso il Museo Provinciale Campano di Capua, che celebra l’o-pera di Lucceius Peculiarius (CIL X, 3821), un impresario edile che tra la fine del II e ilIII sec. d.C. restaurò il proscenio del teatro. La scena alla base della quale è apposto il testoepigrafico raffigura sulla sinistra una macchina di sollevamento, attivata da uomini, a cuiè agganciata una colonna monolitica, mentre un operaio seduto scolpisce un capitello; alcentro è presente Minerva stante, Giove seduto in trono con asta e fulmine nelle mani,Diana con arco e faretra, e una figura non chiaramente riconoscibile e delle stesse dimen-sioni delle altre: Giunone con patera e cornucopia o il Genio del teatro, accompagnato dalserpente. Gli elementi raffigurati sottolineano la stretta connessione che doveva esisteretra tempio ed edificio teatrale. I diversi frammenti di fusti di colonna in marmo africanopresenti nell’area del giardino potrebbero essere parte della decorazione dell’edificio tea-trale nella sua ultima fase di vita antica.

Numerose iscrizioni erano sistemate in hortis Teti (Th. Mommsen); molte di queste,databili all’età imperiale e conservate attualmente tra il Museo Campano e Museo archeo-logico dell’Antica Capua, provenivano da aree sepolcrali, come testimonia la valenzafuneraria dei testi epigrafici.

Una lastra marmorea, conservata presso il Museo Campano, ricorda invece la con-sacrazione e la dedica a Capua, dopo il 298 d.C., di un edificio sacro da parte di Virius

Gallus v(ir) c(larissimus) corrector Campaniae (CIL X, 3867=ILS 6310), mentre la resti-tuzione di terreni di proprietà religiosa da parte di Vespasiano in favore del santuario diDiana Tifatina è attestata nell’epigrafe CIL X, 3828.

La dedica posta dai Lugdunenses a Lucius Fulvius Gavius Numisius Aemilianus for-nisce ulteriori indicazioni sul già noto console e pontefice sotto Alessandro Severo, elec-

tus ad dilectum habendum per regionem Transpadanam, che aveva proprietà residenzialia Capua (CIL X, 3856=D 01173). È di particolare interesse notare come uno dei sei fram-menti superstiti dell’iscrizione di L. Antistius Campanus (CIL X, 3903) fu ritrovato nel1873 da Th. Mommsen proprio nel giardino Teti31. La frammentarietà del marmo e lo scar-so valore estetico permettono di ritenere che non fu trasferito nel giardino per motivi col-lezionistici, ma piuttosto, come per altri frammenti, fu semplicemente conservato non lon-tano dal luogo di rinvenimento. Il testo epigrafico testimonia gli eccezionali onori postu-mi conferiti dal consiglio municipale di Capua al veterano delle guerre civili sotto ilcomando di Cesare e di Augusto per gravissima et pericolosissima bella, dedotto poi nellacolonia di Capua. Antistio Campano ricevette funerali pubblici, una tomba sull’Appia, unastatua dorata sulla cui base era riportata copia del decreto dei decurioni, altre statue escudi. Il figlio omonimo, duoviro nel 13 a.C., fu associato alle decisioni della Curia nelloscegliere il luogo dove erigere la statua inaurata e il monumento funebre. La presenza delframmento nell’area occupata dall’edificio pubblico riconosciuto come la Curia, portatoalla luce durante l’erezione del Palazzo Teti, permette di ipotizzare il recupero dei diversiframmenti dell’epigrafe (quattro dei quali conservati presso l’anfiteatro campano, luogo diraccolta di varie antichità rinvenute in città ed uno in agro capuano in villa S. Petri) dal-

31 DEMoUGIN 1986, 47.286

l’area del foro, denominata Albana. Le fonti letterarie indicano, infatti, due centri pubbli-ci al centro dello spazio cittadino capuano: l’Albana, dove si trovava l’Aedes Alba, iden-tificata con la Curia e la Seplasia, area destinata alle attività commerciali32.

È da segnalare inoltre la presenza di un rilievo in calcare con armi murato pressol’angolo N/o del giardino, decorato con due scudi rettangolari semicilindrici, un gladius

con elsa a pomello un arco, una faretra a cilindro e una pelta con gorgoneion a due con-cavità desinenti a testa di grifo. Le armi presenti sul rilievo sembrano rimandarne la data-zione ad un orizzonte cronologico di prima età imperiale33.

I frammenti raccolti nel Palazzo Teti forniscono, quindi, utili indizi per ricostruirel’aspetto del principale spazio pubblico della città antica con i suoi edifici pubblici:Capitolium, Curia, Terme, Teatro, porticus post scaenam, Criptoportico e via Appia.Proprio attorno agli avanzi della città la borghesia cittadina sviluppò un coerente pianourbanistico tutto teso a legare la nuova città con il suo antico passato. Tra le manifesta-zioni più evidenti di questo processo sostenuto e programmato dalle amministrazionilocali, ci fu la trasformazione del nome della città; durante il Consiglio comunale del 25luglio del 1862 fu infatti deliberata la nuova denominazione di Santa Maria Maggiore, checon Regio decreto firmato da Vittorio Emanuele II del 24 agosto 1862 divenne SantaMaria Capua Vetere. Proprio il figlio quartogenito del primo re d’Italia, oddone EugenioMaria di Savoia, afflitto da gravi problemi di salute, scelse Capua per potersi dedicare agliscavi archeologici. Dedito agli studi scientifici e umanistici, trovò nella scoperta del pas-sato un rifugio dall’isolamento a cui era stato destinato. Ancora diciassettenne a Napolifinanziò infatti scavi condotti da Giuseppe Fiorelli, allora direttore degli scavi di Pompei,e alla sua morte, appena ventenne, lasciò la sua preziosa collezione di antichità, compo-sta da reperti ceramici, bronzi, vetri, monete, medaglie e gemme di età romana, alla cittàdi Genova. Le diverse collezioni andarono così a costituire il Museo Archeologico Liguree ad arricchire la Galleria d’Arte Moderna di Genova. L’incontro con Giuseppe Fiorellifavorì la scelta da parte di oddone di Capua antica per eseguire scavi archeologici, col finedi recuperare oggetti antichi. Così l’archeologo napoletano riferiva al ministro dellaPubblica Istruzione: «Napoli 17 settembre 1863 - Sua Altezza Reale il Duca diMonferrato, desiderando scavare in qualche sito per rinvenire oggetti antichi, ha ottenutodi scavare in S. Maria Capua Vetere, la temporanea cessione di un campo, ove il Sig.Santorelli aveva cominciato le sue ricerche; e presi opportuni accordi con il proprietariodel fondo, si dispone a praticarvi nuove indagini, quante volte V.S.I. non incontri difficol-tà nella progettata sostituzione…»34. Gli scavi, che permisero il ritrovamento di correditombali variamente databili, furono condotti tra agosto e novembre del 1863 in un’areanecropolare ad o della città. Nonostante la brevità degli interventi archeologici - oddoneintraprese successivamente scavi a Cuma -, questi costituirono un motivo di riflessionesulla necessità di istituire un museo archeologico nella provincia di Terra di Lavoro.

Giuseppe Fiorelli per primo sentì necessaria la realizzazione di un museo provin-ciale all’interno della Reggia di Caserta, città divenuta nel frattempo capoluogo dellaProvincia di Terra di Lavoro. Pur non essendo il museo stato realizzato, il progetto ambi-zioso illustra bene il ruolo delle antichità in ambito locale e la volontà di riscatto socialee culturale negli anni immediatamente successivi l’Unità d’Italia35. L’ampio respiro delprogetto di Fiorelli fu avvilito dagli interessi campanilistici che videro negli anni succes-sivi favorire scelte differenti. Pochi mesi dopo l’istituzione della CommissioneConservatrice dei Monumenti di Terra di Lavoro, avvenuta il 21 agosto 1869, emerse trai membri la necessità di realizzare un museo provinciale: il 7 marzo 1870 Caserta, SantaMaria Capua Vetere e Capua si proposero come sedi delle raccolte di antichità. Il 4 aprile

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32 SIRANo 2014.33 FoRESTA 2011, 1 4.34 PAPoNE-GIUBILEI 1996, 96.35 Sulle vicende che determinarono la nascita del Museo Campano: CIoFFI-BARRELLA 2009.

dello stesso anno iniziarono i lavori della Commissione per vagliare la sede più opportu-na. Proprio il commendatore Raffaele Teti, commissario incaricato di sostenere la candi-datura di Santa Maria Capua Vetere come città adatta ad ospitare il museo archeologico,illustrò nel maggio del 1870 i motivi per preferire Santa Maria Capua Vetere a Capua eCaserta, rappresentate rispettivamente dal canonico Gabriele Jannelli e dal sig. Caporale.Punto di forza per Teti era la disponibilità presso l’antica Capua di una straordinaria quan-tità di reperti archeologici, che quotidianamente venivano portati alla luce; le opere sareb-bero state immediatamente disponibili per costituire il nucleo fondamentale del museo diantichità, senza ulteriori spese economiche per il trasporto. La città offriva inoltre non solomateriale archeologico portato alla luce “quotidianamente”, ma anche le pregevoli operedei collezionisti sammaritani. Bisogna sottolineare come già nel 1863 Raffaele Teti, investe di presidente del sotto comitato del circondario di Caserta, aveva tenuto il discorsoper l’Esposizione di Londra, nel quale affermava come nel «breve giro di tre anni delnostro rivolgimento par tutto cambiarsi in meglio»36. La partecipazione attiva e convintaal processo di trasformazione istituzionale radicò in Teti la necessità di farsi parte del cam-biamento storico: politica e cultura gli strumenti di riscatto. Anche l’istituzione del museodoveva essere quindi parte sostanziale della costruzione della nuova Italia. L’esaltazionedel passato romano, longobardo e federiciano, unita alla posizione geografica centrale delcentro sviluppatosi nell’ansa del fiume Volturno, fece ricadere la scelta su Capua. Nel1874 il Museo, con sede nel Palazzo Antignano di Capua, fu inaugurato con una solennecerimonia. La città recuperava attraverso la difesa del patrimonio culturale il ruolo persocon la designazione di Caserta a centro amministrativo della Provincia. Non tardaronoperò le critiche sulla gestione finanziaria del Museo e sugli interessi esclusivamente loca-listici riguardanti la tutela, il restauro e il recupero dei monumenti. Nel 1879 GiulioMinervini, membro della Commissione Conservatrice di Terra di Lavoro, propose e rea-lizzò nella Reggia di Caserta la Mostra Archeologica Campana con l’intento di far lucesulle più antiche popolazioni della Campania37. Non trascurabile motivo era inoltre lanecessità di conoscere il patrimonio archeologico conservato da privati cittadini e varia-mente disperso sul territorio. Le ambizioni non furono soddisfatte e scarsi furono i colle-zionisti che, partecipando all’esposizione, contribuirono all’accrescimento delle collezio-ni del Museo Campano. Filippo Teti, divenuto Senatore della Repubblica nel 1892, fu unodei pochi espositori che aderì con reperti provenienti da Sant’Agata de’ Goti e Santa MariaCapua Vetere.

Intanto, nella seconda metà dell’800 la città, interessata da fenomeni culturali para-gonabili a quelli di Caserta e Napoli, fu rinnovata da un programma edilizio e architetto-nico teso a segnare la memoria unitaria nel tessuto urbano. Fu aperto così Corso Garibaldi,la principale arteria della città, su cui affacciava il Teatro Garibaldi, inaugurato il 14 apri-le 1878. Verso N l’asse stradale terminava nel parco comunale che ospita il Monumentoossario ai Garibaldini morti durante la Battaglia del Volturno. L’opera, voluta subito dopolo scontro, fu disegnata dall’arch. Manfredo Emanuele Manfredi e la sua edificazione fudeliberata dal Consiglio comunale nel 1889; il monumento fu inaugurato il 1° ottobre1905. Intanto la caserma di cavalleria cambiò nome in Caserma 1° ottobre, così come lapiù grande piazza citadina antistante all’Anfiteatro. Le trasformazioni della città e le cele-brazioni degli eventi unitari, anche locali, attraverso la toponomastica furono strettamen-te collegate alle azioni di restauro dei monumenti antichi che erano parte del sistema attra-verso il quale si consolidò la nuova immagine della città.

Nel 1879 Filippo Teti propose di sottoporre alla Direzione generale de’musei escavi di antichità la proposta di “conservazione” e “compiuto restaturo” dell’arco cosid-detto di Adriano ubicato all’ingresso della città da N38. L’intervento conservativo preve-

36 MARRA 2006, 164, n.5.37 MINERVINI 1879.38 Atti Terra di Lavoro, verbale della tornata del 5 novembre 1879, 76.

288

deva il ripristino dell’aspetto originario dell’imponente monumento, liberandolo dallemoderne superfetazioni. Un altro figlio di Raffaele, Nicola Teti, nel 1902 diede alle stam-pe Frammenti storici della Capua Antica, oggi Santa Maria Capua Vetere. Il sentimentofamiliare che legava i valori della Patria con quelli del passato trovava espressione nellaprefazione al testo: «Questo mio modesto lavoro ha per scopo di spiegare l’origine delnome dell’attuale città di Santamaria, e la legittimità dell’aggiunzione di Capua Veterequale continuazione della successione dell’antica Capua, come lo dimostrano i monumentiche ancora si vedono, e quelli che esistevano nei tempi passati»39. E ancora: «Lo studiodella storia del proprio paese, più che semplice erudizione, forma l’obbligo d’affetti per ilcittadino che ama la patria, costituisce il dovere ed il rispetto per la città nativa, la cui gran-dezza si ricorda, giornalmente, con la rovina dei suoi monumentali edifizii»40. Infine:«Tutti quelli della mia età ricordano, al pari di me, i portentosi e gloriosi avvenimenti delSettembre al Novembre del 1860; la leggendaria figura dell’Eroe della battaglia delVolturno, e la partecipazione di quest’Amministrazione Comunale e della GuardiaCittadina, al felice successo delle armi Garibaldine. I giovani sentono ancora il resocontodegli anziani, e le lodi dei padri loro»41.

Nel volume di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, Vandali, L’assalto alle bellezze

italiane, edito nel 2011, lo stato di Palazzo Teti, bene confiscato nel 1996 alla camorra42,attualmente in rovina e oggetto di depredazione, è stato preso a modello per denunciarel’abbandono materiale di una memoria così profonda, specchio dell’attuale coscienza delnostro passato più o meno recente.

La nascita di Santa Maria Capua Vetere e la riscoperta delle sue origini sono avve-nute attraverso un recupero sistematico della tradizione - quella che per troppo tempo èstata considerata un’operazione retorica. Sviluppo economico, costruzione della cittàmoderna, crescita politica per molto tempo non sono mai stati disgiunti da una consape-vole elaborazione del passato e dei fatti presenti.

È stata una classe dirigente illuminata e illuminante, spinta nella maggior parte dainteressi generali (Patria, Nazione), a preservare in varie forme il passato e a conservarlo,lasciandoci una straordinaria ricchezza di dati archeologici e la consapevolezza che inTerra di Lavoro la terra dà allo stesso tempo frutti e memorie di archeologia.

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39 TETI 1902, XII.40 TETI 1902, III.41 TETI 1902, IV.42 Decreto di confisca: Decreto n.47/96 – n.94/95 Reg. Gen.-n.39/94 R.G. Trib.

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