FRATTAGLIE STORICHE: UN’INEDITA RIEVOCAZIONE DELLA BATTAGLIA DI LAUNAC

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ELISABETTA CALDELLI FRATTAGLIE STORICHE: UN’INEDITA RIEVOCAZIONE DELLA BATTAGLIA DI LAUNAC * Quando il caso consente di imbatterci in una fonte che, a tutti gli effetti, possiamo definire “storica”, ma che non fa parte di una nar- razione organica più ampia, poiché nasce da una volontà di fissazio- ne della memoria del tutto occasionale, si stenta talora ad inserirla e a raccordarla all’interno della tradizione storiografica vera e propria, sia essa, almeno per quanto riguarda il Medioevo, una storia, una cronaca o un annale 1 . È proprio nel contesto di questa riflessione sull’utilizzo e sul valore di quelle che, con definizione poco seriosa, ho indicato come “frattaglie storiche”, che intendo presentare l’annotazione leggi- bile nel margine superiore dell’ultima carta di un manoscritto giuridico conservato presso la Biblioteca Malatestiana di Cesena, segnato S.II.2 2 . * Non posso esimermi dal ringraziare coloro che, a vario titolo, hanno contribui- to a migliorare questo breve scritto: desidero in modo particolare ricordare Martin Bertram, Francesca Manzari e Marco Palma. Un ringraziamento particolare va poi reso alla Biblioteca Malatestiana, per la generosità e la tempestività con cui ha messo a mia disposizione i suoi materiali e, in special modo, a Paola Errani che da sempre favorisce e promuove gli studi sui preziosi fondi della Malatestiana. 1 Sulla questione cfr. G. Arnaldi, Annali, cronache, storie, in Lo spazio letterario nel Medioevo. I. Il Medioevo latino. 1. La produzione del testo, II, Roma 1993, pp. 463-513. 2 Di essa avevo già dato la trascrizione nella scheda relativa al ms. Cesena, Biblioteca Malatestiana S.II.2, consultabile on-line nel Catalogo aperto della Malatestiana. In realtà la nota era stata trascritta nei due precedenti cataloghi a stampa della Malatestiana (G. M. Muccioli, Catalogus codicum manuscriptorum Malatestianae Bibliothecae fratrum minorum conven- tualium, II, Caesanae, typis Gregorii Blasinii, 1784, pp. 20-21; R. Zazzeri, Sui codici e libri a stampa della Biblioteca Malatestiana di Cesena. Ricerche e osservazioni, Cesena 1887, pp. 263- 264), ma con molti errori, né era stato identificato l’episodio cui la nota fa riferimento.

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ElisabEtta CaldElli

FRATTAGLIE STORICHE:UN’INEDITA RIEVOCAZIONE DELLA

BATTAGLIA DI LAUNAC*

Quando il caso consente di imbatterci in una fonte che, a tutti gli effetti, possiamo definire “storica”, ma che non fa parte di una nar­razione organica più ampia, poiché nasce da una volontà di fissazio­ne della memoria del tutto occasionale, si stenta talora ad inserirla e a raccordarla all’interno della tradizione storiografica vera e propria, sia essa, almeno per quanto riguarda il Medioevo, una storia, una cronaca o un annale1. È proprio nel contesto di questa riflessione sull’utilizzo e sul valore di quelle che, con definizione poco seriosa, ho indicato come “frattaglie storiche”, che intendo presentare l’annotazione leggi­bile nel margine superiore dell’ultima carta di un manoscritto giuridico conservato presso la Biblioteca Malatestiana di Cesena, segnato S.II.22.

* Non posso esimermi dal ringraziare coloro che, a vario titolo, hanno contribui­to a migliorare questo breve scritto: desidero in modo particolare ricordare Martin Bertram, Francesca Manzari e Marco Palma. Un ringraziamento particolare va poi reso alla Biblioteca Malatestiana, per la generosità e la tempestività con cui ha messo a mia disposizione i suoi materiali e, in special modo, a Paola Errani che da sempre favorisce e promuove gli studi sui preziosi fondi della Malatestiana.

1 Sulla questione cfr. G. Arnaldi, Annali, cronache, storie, in Lo spazio letterario nel Medioevo. I. Il Medioevo latino. 1. La produzione del testo, II, Roma 1993, pp. 463­513.

2 Di essa avevo già dato la trascrizione nella scheda relativa al ms. Cesena, Biblioteca Malatestiana S.II.2, consultabile on­line nel Catalogo aperto della Malatestiana. In realtà la nota era stata trascritta nei due precedenti cataloghi a stampa della Malatestiana (G. M. Muccioli, Catalogus codicum manuscriptorum Malatestianae Bibliothecae fratrum minorum conven-tualium, II, Caesanae, typis Gregorii Blasinii, 1784, pp. 20­21; R. Zazzeri, Sui codici e libri a stampa della Biblioteca Malatestiana di Cesena. Ricerche e osservazioni, Cesena 1887, pp. 263­264), ma con molti errori, né era stato identificato l’episodio cui la nota fa riferimento.

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Il codice, membranaceo, su due colonne di 71­75 linee per pagina, ha rigatura a colore ed è di grandi dimensioni (mm 420 × 276) e di note­vole consistenza, contando 204 carte, organizzate in senioni (tranne il fasc. 15, cc. 169­178, un quinione, e il fasc. 18, cc. 203­204, l’ultimo, che è un semplice bifoglio): contiene l’Apparatus in Decretales di Innocenzo IV e si presenta, a tutti gli effetti, come un codice di tipo universitario, concepito fin dall’inizio per essere principalmente uno strumento di studio. Anche lo scarno apparato decorativo sembra confermarlo: lo spazio a c. 1ra, riservato probabilmente ad un’iniziale miniata, non è stato riempito, mentre il principio di ogni libro3 è scandito da iniziali filigranate ed intarsiate eleganti, ma non particolarmente fastose; per il resto, si segnalano piccole iniziali filigranate nel testo e segni funzionali alla lettura (segni di paragrafo, titoli correnti) in blu o in rosso. Che poi sia stato realmente studiato, è dimostrato dalla presenza di fitte e minute note marginali sparse quasi in ogni carta. La scrittura del testo, una textualis eseguita da due mani (mano A, cc. 1ra­39va l. 13; mano B, cc. 39va l. 14­204ra), può essere datata al sec. XIV e, in virtù della nota che sto per illustrare, si colloca sicuramente prima del 1362 e, assai probabilmente, nella prima metà del secolo. Quanto alla localizzazione, il problema è molto più complesso, poiché le due mani che partecipa­no alla fattura del codice sono di tipo molto diverso4. La prima è una textualis pressoché priva di spezzature, abbastanza ariosa nella sequenza grafica delle parole: si nota, infatti, che la norma relativa alla fusione delle curve è spesso disattesa e che, più in generale, si registra un acco­stamento, piuttosto che una vera e propria fusione dei tratti. Le aste, sia quelle ascendenti sia quelle discendenti, sono poco sviluppate: a tale ri­duzione delle aste sembra contribuire la d che presenta una sola forma, quella tonda, con il tratto obliquo spesso parallelo al rigo di scrittura. Le aste ascendenti sono, solo saltuariamente, forcellate, ma nella mag­gior parte dei casi non hanno alcun elemento di chiusura all’estremità. La a è di tre tipi che si alternano abbastanza indifferentemente: di tipo carolino con l’ansa superiore aperta, con l’ansa superiore che ripiega su stessa chiudendosi e di tipo corsivo. La g ha solitamente la forma compatta di un 8, ma in alcuni casi mostra la curva inferiore chiusa da un trattino sottile appena visibile che la fa apparire quasi con la curva

3 Si tratta delle cc. 70vb, 126ra, 165vb e 173va.4 Per l’esame delle due mani ho preso a campione le cc. 3r, per la prima mano, e

96r per la seconda, ma ho ovviamente verificato che le caratteristiche individuate ritor­nassero anche nelle altre carte.

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inferiore aperta. La lettera h ha talora il secondo tratto che poggia sul rigo ripiegando a ricciolo, arricchito da un trattino decorativo all’estre­mità (ad es. c. 3ra, l. 3 habitus), talora una forma più schiacciata con l’an sa a destra che scende verticalmente desinente a chiodo (ad es. c. 3rb, l. 2 hoc). La r ha sempre forma di 2 dopo lettera curva a destra, ma mantiene questa forma anche dopo la a e la e (ad es. c. 3ra, l. 9 erat; l. 15 infirmari); inoltre presenta, ma non sistematicamente, un piccolo filetto che scende sotto il rigo all’incontro dei due tratti alla base. La nota tachigrafica per et non è mai tagliata e l’asta verticale poggia sul rigo pie­gando leggermente a destra. Nel complesso la scrittura sembra prodot­ta in ambiente meridionale, in Italia o nel sud della Francia5. La seconda mano si definisce, invece, come un prodotto dei territori d’Oltralpe. Il tratteggio non è eccessivamente spezzato, ma è la morfologia di alcune lettere e abbreviazioni ad orientarci in un ambito almeno non italiano. La textualis si presenta molto fitta, compressa lateralmente e con irre­golarità nel modulo delle singole lettere, che conferisce un aspetto ab­bastanza disordinato all’insieme. La legge di Mayer sulla fusione delle curve contrapposte è rispettata, anche se talora c’è più accostamento che fusione vera e propria; anche l’alternanza di r diritta e r tonda dopo una lettera curva è sempre rispettata; al contrario, la d è sempre di for­ma onciale, così come sembra affermarsi nel sec. XIV nelle regioni del Nord6, anche in caso di doppia d. Quanto alla forma di questa lettera, essa appare ora con l’asta obliqua corta e leggermente piegata verso l’alto, ora con l’asta decisamente parallela al rigo di scrittura. Per quanto riguarda le aste ascendenti sopra il rigo, è da notare la forcellatura di molte di esse, tramite un sottile filetto a sinistra, ma non in modo si­stematico (talora le aste sono chiuse da semplici empattements): in modo particolare si segnala il caso del gruppo ct o della doppia t, in cui l’asta verticale della seconda lettera culmina superiormente con un doppio

5 A. Derolez, The Palaeography of Gothic Manuscript Book from the Twelfth to the Early Sixteenth Century, Cambridge 2003, pp. 103­111, 116­117. Alla Francia meridionale sem­Alla Francia meridionale sem­brerebbe soprattutto ricondurre la r in forma di due con il trattino alla base che piega verso il basso (ivi, p. 117). Si fa riferimento a questo testo principalmente per il suo indubbio valore di sintesi. Più in generale, tuttavia, mi sento di condividere gli appunti fatti da Paolo Cherubini in P. Cherubini, Un manoscritto occitanico della Legenda aurea con note di bottega in volgare (Reg. lat. 534), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae XIII, Città del Vaticano 2006 (Studi e testi, 433), pp. 119­166: 124 n. 14 e più di recente in P. Cherubini ­ A. Pratesi, Paleografia latina. L’avventura grafica del mondo occidentale, Città del Vaticano 2010, pp. 479­480.

6 Derolez, Palaeography of Gothic Manuscript Book cit., p. 87.

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filetto a forcella (ad es. c. 96ra, l. 63 exactis)7. Le aste discendenti sotto il rigo sono assai poco sviluppate, al punto che la g tende a chiudere il tratto inferiore aperto, finendo in molti casi per poggiare interamente sul rigo di scrittura (es. c. 96ra, l. 36 interrogare)8. La a presenta due for­me, quella di tipo carolino con filetto al termine dell’ansa superiore e quella con l’ansa superiore chiusa; la s finale di parola è sempre maiu­scola, chiusa, in tre tratti, tale da apparire come una o tagliata al centro da un filetto obliquo; la r in forma di 2 presenta un piccolo filetto nel punto di congiunzione dei due tratti che la compongono, così come la t finale di parola è spesso chiusa da un filetto che parte dal tratto oriz­zontale costitutivo della lettera9. La congiunzione et, in forma di nota tachigrafica, è ora semplice ora tagliata da un trattino, in un’alternanza che non sembra rispondere ad alcun criterio. La doppia ll è spesso, ma non sistematicamente, chiusa in alto da un filetto che congiunge le due estremità. Molto interessante, perché di matrice nordica e di origine documentaria, il segno abbreviativo che segnala l’omissione di r o di er in forma di ricciolo che, attaccandosi al tratto finale di una lettera, torna indietro sovrastandola (es. c. 96rb, l. 8 facere)10. Infine sono da evidenziare le movenze cancelleresche delle lettere poste sulla prima e sull’ultima riga, le cui aste (quelle ascendenti per la prima linea, quelle discendenti per l’ultima) tendono ad allungarsi nel margine.

La compresenza di due mani così differenti sembra poter trovare giustificazione nell’ipotesi che il codice possa essere stato prodotto nel­la Francia meridionale11, ove d’altro canto sicuramente transitò, come ci indica la nota che sto per illustrare: lì potrebbero aver collaborato i due copisti, l’uno formatosi localmente, l’altro invece proveniente dal Nord della Francia. D’altro canto, sebbene sia avventato indicare un luogo specifico di copia, tanto più per un’epoca in cui i libri viaggia­vano con grande facilità, non può sfuggire come la nota in questio­ne riferisca di un fatto avvenuto a non grande distanza dalla città di Toulouse, ove, dal 1229 era stata fondata un’università, come risultato diretto della pace stipulata tra il re di Francia e il conte di Toulouse, Raymond VII: per altro sappiamo che questa sede aveva finito per spe­

7 Ivi, p. 93 e fig. 76.8 Su questo tipo di g cfr. ivi, p. 89.9 Ivi, pp. 82-83 e fig. 32.10 Ivi, p. 83.11 Si veda quanto si scrive al proposito ivi, pp. 116­117.

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cializzarsi nell’insegnamento del diritto, sia civile sia canonico12. Non sarebbe dunque peregrino pensare che in questo alveo il codice sia stato prodotto13; certamente è in questo alveo che è stato utilizzato ed è il motivo per cui se ne giustifica la presenza in quest’area nel secolo XIV. Certamente un apparato decorativo più articolato avrebbe potuto supportare ulteriormente questa ipotesi, ma, come si è detto, esso si riduce ad elementi troppo essenziali (e troppo generici) per consentire una localizzazione più sicura14.

12 Sull’università di Toulouse cfr. C. E. Smith, The University of Toulouse in the Middle Ages: its Origins and Growth to 1500 A. D., Milwaukee 1958 e Smith, Les universités du Languedoc au XIIIe siècle, Toulouse 1970 (Cahiers de Fanjeaux, 5).

13 Ho provato a fare confronti, basandomi sui Catalogues des manuscrits en écriture latine portant des indications de date, de lieu ou de copiste, par Ch. Samaran et R. Marichal, I-VII, Paris 1959-1984, con codici sicuramente datati a Toulouse tra la fine del sec. XIII e la prima metà del sec. XIV, così come ho preso in considerazione codici pro­dotti in centri ove sono documentati studi superiori come Avignone o Montpellier: in generale posso dire che mentre la prima mano trova esempi similari (tenendo sem­pre conto delle differenze di tipologia libraria), la seconda mano non ha riscontri e occorre cercare confronti con prodotti più decisamente settentrionali. Naturalmente l’esiguità delle riproduzioni offerte dai CMDF rende abbastanza difficile sbilanciarsi in qualsiasi senso. Ad ogni modo, sembra certo che nella Francia meridionale non solo il commento alle Decretali di Innocenzo IV ebbe un’ampia circolazione (cfr. M.­H. Jullien de Pommerol, Les livre dans les dépouilles des prélats méridionaux, in Livres et biblio-thèques (XIIIe-XVe siècle), Toulouse 1996 [Cahiers de Fanjeaux, 31], pp. 285­314: 294), ma poté contare sulla presenza di almeno un esemplare appartenuto (se non proprio autografo) allo stesso papa: cfr. M. Bertram, Angebliche Originale des Dekretalenapparats Innocenz’ IV, in Proceedings of the Sixth International Congress of Medieval Canon Law, cur. S. Kuttner ­ K. Pennington, Berkeley 1980, pp. 41­47. Sulle biblioteche universitarie del Sud della Francia cfr. J. Verger, University and College Libraries in Southern France, in Livres et bibliothèques cit., pp. 95­130.

14 Soprattutto in tempi molto recenti, sono stati affrontati studi specifici sulla produzione miniata in area tolosana, ove proprio nei codici giuridici tra fine sec. XIII e prima metà del sec. XIV la miniatura ha saputo offrire esempi di grande eleganza e originalità: su questo si veda M. A. Bilotta, Images dans les marges des manuscrits toulousains de la première moitié du XIVe siècle. Un monde imaginé entre invention et réalité, «Mélanges de l’École française de Rome. Moyen Âge ­ Temps modernes», 121 (2009), pp. 349­359. Per i frammenti virtualmente ricomposti di un codice delle Decretali della prima metà del sec. XIV di area tolosana cfr. Bilotta, Le Décret de Gratien: un manuscrit de droit canoni-que toulousain reconstitué, «Art de l’enluminure», 24 (2008), pp. 2­65; Bilotta, Nuovi mate-riali per lo studio della produzione miniata tolosana: il ritrovamento di un bifolio staccato proveniente da un Liber Sextus del XIV secolo, «Segno e testo», 10 (2010), pp. 265­283. Va ad ogni modo rilevato che le iniziali filigranate presenti nel manoscritto risultano compatibili con l’ipotesi di una loro realizzazione nella Francia meridionale, soprattutto per l’uti­lizzazione dell’inchiostro violetto (in modo particolare si veda l’iniziale a c. 173v): sulla

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Veniamo ora alla nota da cui siamo partiti. A c. 204r, occupata solo in minima parte (metà della prima colonna) dalla fine del testo, una mano ha aggiunto la seguente nota:

Anno Domini mill(esim)o IIIc LXIIdo die lune p(ro)xima ante fe­stum b(ea)ti Nicholay / mens(is) decembr(is) fuerunt capti in bello p(ro)pe locum de Lennaco p(er) magni-/ficum virum d(omi)n(u)m Gastonem co(m)item Fuxi et eius exe(r)citum, videlic(et) mag-/nifici viri d(omi)ni comites Arman(ia)ci, Comienar(um), Pardiaci et viceco­mes / Fezen(ia)ci, d(omi)n(u)s de Barta, d(omi)n(u)s de Lebreto cum septem eiusdem gen(er)is / et d(omi)n(u)s de feudo Mar(que)sio et pl(ur)es alii de quib(us) nomi(n)a scriber(e) esset / longum.

La nota rievoca un ben preciso episodio della storia della Francia meridionale che si colloca nella secolare contesa della regione del Béarn tra i conti di Foix e i conti d’Armagnac: la battaglia presso Launac (oggi nella Haute Garonne) tra il celeberrimo Gastone III di Foix, noto come Gaston Febus (1343­1391)15, campione della feudalità tardo­medievale, e un’alleanza di baroni capeggiati dal conte Giovanni I d’Armagnac. La battaglia, che pure si era presentata sfavorevole a Gastone III, per

questione cfr. F. Manzari, La miniatura ad Avignone al tempo dei papi (1310-1410), Modena 2006, p. 27.

15 Su di lui cfr. P. Tucoo­Chala, Gaston Fébus prince des Pyrénées (1331-1391), Pau 1993 e C. Pailhès, Gaston Fébus. Le prince et le diable, Paris 2007. La grafia Febus, qui adot­tata, invece della forma latinizzata Phoebus, si deve preferire, perché è quella utilizzata da Gastone III stesso nei suoi atti, dal momento che fu lui ad attribuirsi questo appellativo intorno al 1360. Sulla sua origine e sul suo significato cfr. P. Tucoo-Chala, Origine et signification du surnom de Gaston III de Foix dit “Fébus”, «Annales du Midi», 66 (1954), pp. 61­69. Il fatto che nella nostra nota Gastone III sia citato come comes Fuxi e non con il soprannome non sembra essere indicativo di qualcosa, sia perché a questa altezza cro­nologica non era ancora molto diffuso sia perché lo stesso Froissart, molti anni dopo, non cita mai Gastone III, nel III libro delle sue storie, con l’appellativo di Febus.

Cesena, Biblioteca Malatestiana S.II.2, c. 204r

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la schiacciante superiorità numerica dell’avversario, si era poi tramu­tata in una folgorante vittoria, grazie alle sue capacità strategiche, e i baroni che lo avevano affrontato furono fatti tutti prigionieri. In segui­to Gaston Febus li libererà in cambio di un ingente riscatto in denaro, grazie al quale assicurerà il proprio potere fino alla morte16. L’evento, proprio per l’imprevista vittoria e ancor più per la rilevanza delle for­ze scese in campo, destinato ad avere una lunga eco nelle generazioni future, suscitò una profonda impressione già nei contemporanei: l’an­notazione, di cui ci stiamo occupando, sembra appunto nata sull’onda emozionale prodotta da quella notizia e dalla volontà di fissarne subito memoria nel primo spazio bianco incontrato: deve dunque trattarsi di una nota coeva all’evento narrato, scritta in un centro non lontano dal luogo fatidico dello scontro, i cui esiti dovevano essersi immediata­mente propagati per la regione. Anche le caratteristiche grafiche d’altro canto sembrano confermare quanto detto, poiché la nota è stata verga­ta in una corsiva cancelleresca molto calligrafica, dai tratti spezzati, con forte contrasto tra pieni e filetti, ormai prossima alla bâtarde francese17: le aste alte ascendenti sopra il rigo si chiudono “a bandiera”; le aste di­scendenti sotto il rigo sono desinenti a chiodo e leggermente inclinate a destra; il tratto finale della m scende sotto il rigo piegando a sinistra (l. 3, Gastonem, comitem); la d con l’asta superiore si chiude in un occhiello sinistrogiro (es. l. 1, die); la s finale di parola è chiusa (es. l. 4, comites); la g ha occhiello inferiore aperto (l. 5, generis; l. 7, longum); l’et, in nota tachigrafica, ha la forma di un piccolo 2 (l. 3, et eius exercitum; l. 6, et plures alii). La sicurezza e la rapidità del tratto, oltre che la natura corsiva della scrittura, indicano inoltre che è stata eseguita da un professionista: data la natura del codice in cui è stata apposta e l’uso del latino, si potrebbe pensare ad un ecclesiastico impegnato nella pubblica amministrazione (sia essa laica o ecclesiastica), forse anche ad un notaio18 o comunque

16 Su questa battaglia cfr. P. Tucoo­Chala, Gaston Fébus et la vicomté de Béarn (1343-1391), Bordeaux 1959, pp. 82­92; Tucoo­Chala, Gaston Fébus prince des Pyrénées cit., pp. 95­112; Pailhès, Gaston Fébus cit., pp. 77­81.

17 Mi riferisco specificamente alla descrizione che di questa scrittura offre G. Cencetti, Lineamenti di storia della scrittura latina, Bologna 1997, pp. 208­209. Sulla pro­blematicità del termine paleografico bastarda cfr. G. Guerrini Ferri, La bastarda: note per la storia di un nome, «Nuovi annali della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari», 20 (2006), pp. 31­47.

18 Sul notariato nel Béarn cfr. D. Bidot­Germa, Un notariat médiéval: droit, pouvoir et société en Béarn, Toulouse 2008. Si osservi tuttavia come i notai della regione, pur edotti nelle litterae, fossero soliti redigere i loro atti in lingua occitanica (ivi, p. 198). D’altro

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a qualcuno che avesse a che fare con l’esercizio del diritto. Per ora è impossibile dire se questo anonimo scrivente fosse anche possessore del codice, poiché la sua mano non sembra ritornare nelle annotazioni marginali, né è identificabile con quella che ha eseguito l’indice sul verso della medesima c. 204.

Ci troviamo dunque di fronte a una di quelle che Armando Petrucci ha definito “scritture avventizie”19, in quanto «scritturazione, all’inter­no di spazi rimasti vuoti in codici già compiutamente scritti e corredati di ogni altro possibile accessorio, grafico e non, di microtesti di diversa natura ed estensione, ad opera di scriventi occasionali», solo in parte assimilabili a quelle che, sempre Petrucci, ha definito «tracce»20, con particolare riferimento alle più antiche attestazioni scritte del volgare. Certamente, a parte l’omogeneità linguistica tra la nota e il testo, in entrambi i casi il latino, questa annotazione condivide con le cosiddette tracce molti punti in comune: l’inserimento in spazi avventizi, l’estra­neità grafica rispetto al testo “principale”, l’estraneità del testo aggiunto rispetto a quello presente nel codice­contenitore21.

Ad ogni modo questa succinta, e potremmo aggiungere, aset­tica nota storica non aggiunge nulla a quanto già narrato, con do­

canto, proprio nella regione è stata rilevata la prassi, da parte dei notai, di appuntare nei loro registri, fatti estranei a quella che era la loro attività quotidiana, ma pertinenti ad eventi loro contemporanei (ivi, pp. 338­339). Al riguardo si veda anche J. Laffont, Les notaires chroniquers de leur temps. À propos des “mentions personnelles” des notaires dans les minutiers anciens, «Le Gnomon. Revue internationale d’histoire du notariat», 1991, nr. 81, pp. 13­21 (sebbene l’articolo soffra di alcune imprecisioni, è pregevole per l’atten­zione rivolta specificamente a questo genere di testimonianze). Infine occorre tenere presente che, sebbene il loro numero fosse molto ridotto rispetto alla categoria, sono comunque attestati notai formatisi nella vicina università di Toulouse, tutti ad ogni modo ecclesiastici (Bidot­Germa, Un notariat médiéval cit., pp. 318­320).

19 A. Petrucci, Spazi di scrittura e scritte avventizie nel libro altomedievale, in Ideologie e pra-tiche del reimpiego nell’alto medioevo (Spoleto, 16­21 aprile 1998), Spoleto 1999 (Settimane di studio del Centro italiano di studio sull’alto medioevo, 46), pp. 981­1005: 981 (sulle annotazioni propriamente storiche si veda anche p. 1002).

20 La prima formulazione di questa definizione è in A. Petrucci, Storia e geografia delle culture scritte, in Letteratura italiana. Storia e geografia. II. L’età moderna, Torino 1988, pp. 1193­1292: 1202­1211. Sulle tracce letterarie in lingue romanze cfr. A. Stussi, Tracce, Roma 2001.

21 Si vedano le osservazioni preliminari fatte da Maddalena Signorini in un re­cente intervento dal titolo Petrarch’s tracce: dates, formes, features, presentato durante il “XVII Colloquium of the Comité International de paléographie latine”, dal titolo Les autographes du Moyen Âge, tenutosi a Ljubljana nei giorni 7­10 settembre 2010, di prossima pubblicazione.

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vizia di particolari, da altre fonti, ma contribuisce a confermar­le, poiché si pone, più di ogni altra, vicina agli eventi ricordati. Inoltre, proprio per la sua natura di memoria, avulsa da ogni intento programmatico (propagandistico, elogiativo, denigratorio, mora­leggiante ecc.) da parte del suo autore, si allinea mirabilmente ai racconti degli storici veri e propri, i quali pongono, non bisogna mai dimenticarlo, la battaglia di Launac come evento chiave del lungo governo del conte Gaston Febus. È, ad ogni modo, a mia conoscenza, l’unica rievocazione storica della battaglia in latino22, dal momento che tutte le altre sono in occitanico o in francese. Esaminiamole rapidamente23.

Le due fonti locali più importanti sono rappresentate dalle cronache di Michel du Berni e di Arnaud Esquerrier, che scrivono a decine d’an­

22 In realtà anche Aymeric de Peyrac, nella sua cronaca universale, scritta in latino, tracciando il ritratto di Gaston Febus, ricorda appunto la vittoria di Launac, dove Giovanni d’Armagnac fu fatto prigioniero: cfr. P. Mironneau, Gaston Fébus et la fortune, «Médiévales», 24 (1993), p. 150: «ce comte [Gaston de Foix] fut en guerre avec Jean, comte d’Armagnac, et le fit prisonnier, avec ses alliés, près de Launac dans le diocèse de Toulouse [...]»; purtroppo della cronaca non esiste un’edizione a stampa completa e la citazione di Mironneau è data solo nella traduzione francese. Si tratta, come si può vedere, di una semplice menzione, fatta in occasione della visita del re Carlo VI a Toulouse nel 1389, ove i due acerrimi nemici, Febus e Giovanni III d’Armagnac, in­contrandosi, danno l’occasione allo storico per offrire di ciascuno una breve biografia. Sulla battaglia vera e propria comunque Aymeric, pur contemporaneo degli avveni­menti e per altro nato e vissuto nel Sud della Francia, non si dilunga, probabilmente perché egli era vicino al partito degli Armagnac, e, non a caso, come è stato rilevato da altri (cfr. Pailhès, Gaston Fébus cit., p. 223), ha lasciato l’unico ritratto decisamente sfavorevole al conte di Foix; dunque, pur non volendo tacere la verità, Aymeric non si sarebbe mai troppo dilungato su un episodio che, rimembrando la cocente sconfitta degli Armagnac, avrebbe allo stesso tempo messo in luce le grandi doti di condottiero che proprio in quella occasione Febus aveva saputo dimostrare. Sul ritratto di Aymeric cfr. Mironneau, Gaston Fébus cit., pp. 149­162; P. Mironneau, Une obscure répartie méridio-nale à Froissart, in Froissart à la cour de Béarn: l’écrivain, les arts et le pouvoir, cur. V. Fasseur, Turnhout 2009 (Texte, Codex et Contexte, 7), pp. 111­125: 120­125. Su Aymeric de Peyrac cfr. Repertorium fontium Medii Aevi, II. Fontes A-B, Romae 1967, p. 431.

23 Non ho preso in considerazione le cronache di Guillaume de la Perrière (Les annalles de Foix, Tholose, chez Nicolas Vieillard 1539, c. 37r), di Bertrand Hélie (Historia Fuxensium comitum, Tolosae, excudebat Nicolaus Vieillardus 1540, c. 44v) e di Pierre Olhagaray (Histoire de Foix, Béarn et Navarre, Paris, Douceur 1609, pp. 282­284), perché si collocano tutte cronologicamente troppo avanti nel tempo e tutte derivano dalle fonti che andiamo ad illustrare.

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ni di distanza dalla battaglia. Michel du Berni24 scrive il racconto dei conti di Foix nel 1445, strutturandolo in una successione di biografie, come corredo alla ricerca d’archivio commissionatagli dall’allora conte di Foix, Gastone IV, per dimostrare la legittimità del titolo di conte “per grazia di Dio”, contestatagli dal re di Francia. Secondo Hélène Biu la narrazione, fino alla battaglia di Launac compresa, sarebbe modellata sul racconto, oggi perduto, di Honorat Bovet, priore di Selonnet, con­temporaneo di Gaston Febus, nel quale elementi fantastici, espedienti meramente letterari e suggestioni delle chansons de geste verrebbero a me­scolarsi ai fatti realmente accaduti. Proprio per quanto riguarda la bat­taglia di Launac, l’elemento fantastico è senz’altro ravvisabile nell’ap­parizione in sogno di san Volusiano, protettore del Béarn e del Foix, prima della battaglia, mentre la fuga nel bosco di Giovanni d’Armagnac dopo la disfatta e la sua cattura da parte di un pellegrino tedesco, già precedentemente aiutato da Gaston Febus, sembra rientrare nel cliché del perdente codardo e, all’opposto, dell’uomo virtuoso premiato per le sue buone azioni. Eppure nel racconto dello scontro epico tra i due eserciti, du Bernis (e con lui Bovet) è considerato nel complesso una fonte attendibile:

Et feyt lodit parlament et arrengada la batalha de sa partida, davant Launac, esperan lo comte d’Armanhac am sas gens [...] Lo comte d’Armanhac venc am tota sa gent en batalha arrengada et se assem­blec am la batalha del comte de Foix, aixi et en tal maniera que de cas­cuna partida se feriren. Et ja fos que lo comte de Foixs agues petita gent a esgart del comte d’Armanhac que era en gran nombre, mas la del comte de Foix eran bona gent, habila en armas et a luy fizels: feri­ren asprement contra la batalha del comte d’Armanhac. Et miyausan la adjutori de Diu et l’ome blanc que lo comte de Foix se vezia davant, per lo bon dreyt que avia et la bona querelha, lodit comte de Foix conquistec la batalha et vincec son ennemic lo comte d’Armanhac et totz sos aliatz [...] Conquiza la batalha per lodit comte Febus et a luy dada la fe per los valados deldit comte d’Armanhac, aquels et lor mestre com prisonies esconfitz foguen menatz al comtat de Foixs, et

24 La sua “cronaca” fu per la prima volta pubblicata da J. A. C. Buchon, Choix de chroniques et mémoires sur l’histoire de France, Paris 1839, pp. 575­598. Di recente il testo ha conosciuto una nuova edizione, corredata da una ricca introduzione e da un glossario: H. Biu, Du panégirique à l’histoire. L’archiviste Michel de Bernis, chroniqueur des comtes de Foix (1445), «Bibliothèque de l’École des chartes», 160 (2002), pp. 385­476. Su Michel du Berni cfr. anche Repertorium fontium Medii Aevi, II cit., p. 517, e Tucoo­Chala, Gaston Fébus et la vicomté de Béarn cit., pp. 22­23.

225UN’INEDITA RIEVOCAZIONE DELLA BATTAGLIA DI LAUNAC

totz los castels ne foren garnitz: et lo comte d’Armanhac foc menat et metut dins lo castel de Foix, et apres lo comte de Comenge, on lodit comte d’Armanhac estec gran temps entro que aguec pagada la finansa; et lo castel de Maseras foc acabat. Et per memoria habedora deldit comte d’Armanhac et dels autres sos valadors presonies escon­fitz, foc feyt lo seguent metre:

L’an mil CCC sexanta e dos,lo comte de Foix valent e pros,ajustat am sa baronia,en dezembre, lo sinquen dia, prengeren batalha campald’Armanhac son ennemic mortalet de Comenge son cosin,lo comte apelat Martin,et apres lo comte de Mont Lazurque y era per son mal azur;et pres lo vescomte de Fesensaguetet de Labric tot lo tropet,et pres lo senhor de la Barta; et ligetz mes avant a la carta que lo comte de Foix Gastonpres lo senhor de Fieumarcon,de Barbasa mossen Manaude mossen Pey de Montaud, de Tarrida mossen Bertran,et l’autre son frayre plus gran,et mossen Lorc de Lorcate mossen Vezia de Jumac,de Santeralha mossen Fortie mossen Geraut de Pauli25.

Soprattutto su questi ultimi versi vorrei soffermarmi26, poiché pre­sentano uno schema narrativo che si ritrova in molti brani che raccon­tano questo episodio e che abbiamo già incontrato nella nostra nota marginale: la data, il luogo (qui, per la verità, la città di Launac è stata citata all’inizio) e l’elenco, più o meno esteso, dei nobili sconfitti e fat­ti prigionieri. Infatti, anche nella nostra nota marginale, oltre al conte d’Armagnac, primo della lista per evidenti motivi, si possono ricono­

25 Biu, Du panégirique à l’histoire cit., pp. 434­437 (parr. 69­89).26 Ricordo che l’opera di Michel du Berni è parte in prosa, parte in versi, questi

ultimi concentrati soprattutto nella prima parte, probabilmente sul modello di Bovet: Biu, Du panégirique à l’histoire cit., pp. 391­395.

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scere il conte di Comminge27 (comes Comienarum), qui pure in secon­da posizione (v. 7), il conte di Montlezun o di Pardiac (Pardiaci, qui ai vv. 9­10), un altro Jean d’Armagnac, visconte di Fezensaguet (vicecomes Fezeniaci, qui al v. 11), il signore di Labarthe (dominus de Barta, qui al v. 13), il sire d’Albret, Arnaud­Amanieu (dominus de Lebreto, qui al v. 12) che sempre viene ricordato insieme ai fratelli e cugini che con lui si era­no alleati e con lui avevano condiviso la medesima sorte; in ultimo, pri­ma della frase et plures alii de quibus scribere esse longum compare il dominus de feudo Marquesio, forse identificabile con il senhor de Fieumarcon citato a v. 16, cioè Othon de Lomagne.

La lista di questi nobili signori caduti nella polvere28 sembra es­sere l’elemento che più deve aver colpito l’immaginario comune: la ritroviamo, ma molto più estesa, anche nell’altro storico dei conti di Foix, Arnaud Esquerrier. Questo notaio aveva contribuito insieme a Michel du Berni a risistemarne gli archivi; in seguito, divenuto tesoriere di Gastone IV, era stato incaricato da questi di redigere una cronaca ce­lebrativa dei conti di Foix, lavoro cui attese a partire dal 1456. Si tratta dunque di un’opera su commissione, a differenza di quella di Michel du Berni composta su iniziativa del tutto personale. Anche quest’opera è organizzata per biografie, ma non sembra che vi siano rapporti, almeno diretti, con la cronaca di Michel du Berni, che per altro non godette di grande fortuna, a differenza di quella dell’Esquerrier, anche se pure questa non fu data alle stampe prima della fine del sec. XIX29. A quanto sembra l’Esquerrier, che pure non fu testimone diretto della battaglia, si basò prevalentemente sul materiale documentario dell’archivio ed è reputato come du Berni una fonte abbastanza sicura30:

27 Pierre Raimond II (1341­1375).28 Sebbene Biu, Du panégirique à l’histoire cit., p. 401, abbia invocato per l’opera

di Michel du Berni una costruzione retorica fondata sulla “estetica della lista” (su questo aspetto cfr. J. Blanchard ­ J. C. Mühlethaler, Écriture et pouvoir à l’aube des temps modernes, Paris 2002, pp. 130­132), occorre dire che, per quanto riguarda l’episodio di Launac, l’elenco dei prigionieri sembra non essere una caratteristica propria di questo solo cronista.

29 L’edizione di questo testo, con un’ottima introduzione, è ancora quella offerta da F. Pasquier ­ H. Courteault, Chroniques romanes des comtes de Foix composées au XVe siècle par Arnaud Esquerrier et Miégeville, Foix ­ Paris ­ Toulouse ­ Pau 1895. Su Esquerrier cfr. anche Repertorium fontium Medii Aevi, II. Fontes A-B, Romae 1967, p. 396 e Tucoo­Chala, Gaston Fébus et la vicomté de Béarn cit., p. 23.

30 Certamente è da ricordare che mentre il racconto di Esquerrier è incentrato sulla figura del suo signore, nonché committente dell’opera, Gastone IV, il protagonista della cronaca di du Berni è senz’altro da considerarsi Gaston Febus.

227UN’INEDITA RIEVOCAZIONE DELLA BATTAGLIA DI LAUNAC

Et apres ausirets coum fortamen Febus prenguec Armanhac et touta sa gent: so foc l’an mil tres cens sexanta dos, dilus mati, en Decembre, lo cinque dia; davant Launac, sperec lo comte de Armanhac, ab sa tres nobla companhia, comtes et baros, et sa nobla cavalharia, que eran ab lu31, Mossen Jorda, comte de la Ilha, Mossen Sentrailha, com­te de Astarac, los comtes de Cardona et de Pailhas, Mossen Roger Bernard, vescomte de Castelbo, lo viscomte de Cozerans et autres nobles, cavalhers et baros, que assi serian long de explicar. Prenguen lo comte de Armanhac et sa companhia. Dels presoners los noms son: Mossen Johan, comte de Armanhac, que al boscatge s’en fugia [...] Et lo menec pres devant Febus, que era plagat et las de batal­har. [Foren presoners] lo comte de Comenge, lo conte de Montlasu, Labrit, sos frays et sos cosis, et touta sa baronya, Montesquiu et cels del Falga, Vergonhat, Johan de Lantar, Roger de Aspet, Pardelha, Fortic de Santaralha, Bazilhac, Castel Bajac, lo seignor de Pontenas, la Bartha et lo Fiumarco, Fezensaguet et cels del Turto, et Simiel de Campanha, los seignors de Gunat, de Tarrida, Labarriera, Barbeza et mes lo sindic de Latrau, los seignors de Castelnau, Sempsac, los seneschals de Armanhac, de Ribera, Mossen Gayssiot de Castelnau, Moncau et Bilsera32.

Anche qui abbiamo l’indicazione solenne dell’anno e del giorno (ma non così precisa come quella offerta dalla nota cesenate che spe­cifica anche il giorno della settimana e la festività religiosa, elemento quest’ultimo molto importante, come si dirà), l’indicazione di luogo e l’elenco dei cavalieri sconfitti. A questo riguardo è stato notato come Esquerrier fornisca una lista molto più lunga di quella di du Berni, forse ricavata da documenti in cui erano indicati in modo dettagliato i prigionieri in ragione del riscatto da ciascuno di essi pagato. In ogni caso molti nomi non sono stati identificati, ma ai primi posti compaio­no quelli che abbiamo già incontrato sopra, i “papaveri” del prezioso bottino riportato dalla vittoria di Launac: il conte di Comminge, quello di Montlezun, il sire d’Albret, con «sos frays et sos cosis» e, un poco più in là, i signori di Labarthe, di Fieumarcon e di Fezensaguet.

Non molto diverso è il racconto fatto da Miègeville, nativo del Béarn, frate minore presso il convento di Morlaas, cresciuto presso il cardinale Pierre II de Foix, nella seconda metà del sec. XV: né poteva esserlo, dal momento che, com’è noto, la sua cronaca, redatta agli inizi del sec. XVI, si rifaceva a quelle del Du Bernis e dell’Esquerrier.

31 Questo primo elenco fa, in realtà, riferimento agli alleati di Gaston Febus.32 Pasquier ­ Courteault, Chroniques romanes cit., pp. 56­59.

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Nonostante questo il suo editore33 nota una differenza tra la lista dei baroni catturati fornita da Miègeville e quella, meno completa, data da Esquerrier:

Et en l’an mil CCCLXII, en desembre, lo cinquiesme dia, acompan­hat de sos aliatz et [de sa] baronia, ont eran moss. Jorda, comte de la Ylha, moss. Sentolh, comte d’Estarac, los comtes de Cardona et de Palhas, moss. Roger Bernard, vescomte de Castelbo, lo vescomte de Coserans et autres valedors, davant Launac prenguec lo comte Johan d’Armanhac et lo comte de Comenge, moss. Pey Ramon, qu’era fray de madona Alienor, et per son mal asur lo comte de Montlasur, lo ve­scomte de Fesensaguet, et de Labrit tot lo tropel, sons cosins et totas sas baronias, et pres (sic) de Fesensac, lo senescal d’Armanhac et de Ribiera, et lo senhor de Fiumarco, et moss. Johan de Labarta, senhor de la val d’Aura, lo[s] senhor[s] de Faudoas et de Negrapelissa, et lo vescomte de Bruniquel, et moss. Gassio del Castel, et moss. Arsiu de Montesquiu, et Pey de Montaut, donsel, et lo sendic de la Trau, et lo senhor de Castelnau, et moss. Menaud de Barbasa, et moss. Pey de Montaut, et moss. Bertran de Tarrida, moss. Bertran de Lantar, et son freyre plus gran, et moss. Lorc de Lorcat, et lo senhor de Juniac, et lo semhor de Monpesat et de Sentaralha, moss. Forti, et moss. Guiraut de Gauli et lo senhor de Severac, et lo senhor de Tursac, et lo senhor de Potenas, et lo senhor de Lussagnet; al castel de Foix los alotgec; et apres à finansa los metec. D’autres nau cens y a que assi no se fan à nommar34.

Sembra lecito chiedersi da dove Miègeville abbia tratto quei nomi che non sono attestati nelle sue fonti, se da un documento ignoto agli altri due o da una tradizione orale: ad ogni modo, il modello narrativo rimane sempre il medesimo.

Strutturalmente diverso è invece il racconto del principale biogra­fo di Gaston Febus, colui al quale spetta un ruolo fondamentale per la nascita del mito del conte di Foix, Jean Froissart35. Froissart fu un contemporaneo di Gaston Febus ed ebbe modo di conoscerlo perso­

33 Ibidem.34 Ivi, pp. 136­137. Nel trascrivere ho riportato la versione di B (BnF, Collection

Duchesne 102), copia del 1586, ritenuta più accurata di A (BnF, fr. 3920, sec. XVI). Si noti infine che Miègeville usa una formula conclusiva («D’autres nau cens y a que assi no se fan à nommar») assai simile a quella utilizzata dall’estensore della nota («et plures alii de quibus nomina scribere esset longum»).

35 Su Froissart sono utili le indicazioni bibliografiche contenute nel Repertorium fontium Medii Aevi, IV. Fontes D-E-F-Ges, Romae 1976, pp. 564­568.

229UN’INEDITA RIEVOCAZIONE DELLA BATTAGLIA DI LAUNAC

nalmente durante il suo viaggio nel Béarn nel 1388. Sulla fascinazione che il conte seppe esercitare sullo storico forestiero, che a lui dedicò un ritratto a tutto tondo, volto a costruirne la fama postuma di eroe, ma anche di personaggio contraddittorio e pieno di ombre, sono state scritte pagine su pagine36. Tuttavia, sebbene la sua narrazione sia basata su testimonianze dirette da lui personalmente raccolte37 e sia dunque da reputarsi complessivamente attendibile, egli non assistette alla battaglia di Launac, avvenuta 26 anni prima, né verosimilmente ne ebbe sentore laddove si trovava, ma si affidò al racconto della sua guida nel territorio, Espan du Lion, uno degli intimi di Gaston Febus. A questo episodio, così fondamentale per le pretese del conte di Foix, Froissart, che pure non esita a dilungarsi su dettagli della vita di corte e su aneddoti di varia natura, non dedica quello spazio che potremmo aspettarci:

[...] car par une nuit de une Saint Nicholas en yver, l’an mil IIIc LXII, le conte de Foeis prist assez près du Mont de Marsen le conte d’Ar­mignac, le tayon de cestui, le seigneur de Labreth, son nepveu et tous les nobles qui ce jour avec eulx estoient, et les amena à Ortais [...]38.

Della folta schiera di baroni avviliti e umiliati da Gaston Febus solo il principale nemico, Giovanni d’Armagnac, e il sire d’Albret sono spe­cificamente nominati; inoltre Froissart si mostra impreciso nell’indica­zione di luogo, poiché Mont­de­Marsan non è affatto vicino a Launac39. Peraltro Froissart non sembra mettere in relazione la vittoria di Launac, avvenuta il 5 dicembre, alla vigilia della festa di s. Nicola, con i fastosi festeggiamenti che ogni anni Gaston Febus organizzava appunto nella notte tra il 5 e il 6 dicembre, culminanti in una messa solenne «aussi haulte et aussi grande ou plus que le jour de Pasques»: eppure il cro­

36 Di recente si veda Froissart à la cour de Béarn cit., con la bibliografia aggiornata di riferimento.

37 Come egli dichiara nell’introduzione: «Et pour savoir la verité de lointaines marches, sans ce que je y envoiasse autre personne que moy, pris voie raisonable et occasion d’aler devers hault prince et redoubté monseigneur Gaston, conte de Foeis et de Berne» (Chroniques de J. Froissart. Troisième livre, ed. L. Mirot, XII, Paris 1931, p. 2).

38 Chroniques de J. Froissart cit., p. 28. Piuttosto Froissart dedicherà maggiore spazio a illustrare l’utilizzo delle grandi ricchezze che tale vittoria seppe apportare a Gaston Febus (cfr. il cap. III 9).

39 Cfr. l’edizione commentata: Jean Froissart, Chroniques. Livre III (du voyage en Béarn à la campagne de Gascogne) et livre IV (années 1389-1400), edd. P. Ainsworth ­ A. Varvaro, Paris 2004, p. 121 n. 4.

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nista usa la stessa espressione per collocarla nel tempo già usata per la battaglia «de la nuit de Saint­Nicolas en yver»40.

Da tutto ciò si può concludere che per i cronisti locali la battaglia di Launac, anche a distanza di tempo, rivestiva un valore e un rilievo che non poteva essere percepito da uno straniero cresciuto nella ter­ra d’oïl. D’altro canto l’omogeneità narrativa riscontrata tra gli scrittori del Foix­Béarn, tra i quali dobbiamo a questo punto annoverare anche l’anonimo estensore della nota, una volta stabilita la non dipendenza l’uno dall’altro41, non può non derivare dal modo in cui i fatti furono immediatamente trasmessi.

Questa piccola nota, che, come una piccola finestra, si apre im­provvisa su scenari storici ben più ampi e lontani, non è da sola, ma si aggiunge alle innumerevoli annotazioni dello stesso tenore che popola­no le carte di guardia e gli spazi bianchi di manoscritti, registri e imbre­viature notarili. Ora, tramontata l’illusoria convinzione che vi sia una necessaria sovrapposizione tra verità dei fatti e loro rappresentazione scritta42, resta il problema di interpretare storicamente questi documen­ti che non sono «materia storica allo stato bruto»43, ma si pongono comunque su un piano diverso, più elementare, rispetto ad un racconto storico strutturato. Ugualmente si pone il problema di come raccordare questa narrazione “minore” alla narrazione “maggiore” e di individua­re, laddove possibile (poiché questo rappresenterebbe pur sempre un modo per stabilire tale raccordo), gli autori di queste note estempora­nee. Problematiche analoghe, d’altro canto, sono poste da una tipolo­

40 Chroniques de J. Froissart cit., pp. 94­95.41 Come si è detto, la nostra annotazione deve collocarsi immediatamente

a ridosso della battaglia ma è improbabile che possa essere servita da modello per il racconto di qualcuno dei cronisti locali, perché vi sono comunque differenze nel modo di indicare la data della battaglia e nella sequenza dei prigionieri. Per altro du Berni si affida, come si è visto, al racconto di Bovet, quest’ultimo contemporaneo agli eventi narrati; quanto a Esquerrier, è da escludere che possa aver avuto per le mani il codice, che, all’epoca della stesura della cronaca, era già a Cesena, come di­mostra la presenza, come controguardia posteriore, di un frammento in minu­scola umanistica attribuito da Albinia de la Mare alla mano di Iohannes Maguntinus, un copista attivo alla metà del secolo per Malatesta Novello (cfr. A. de la Mare, Lo scriptorium di Malatesta Novello, in Libraria Domini. I manoscritti della Biblioteca Malatestiana: testi e decorazioni, cur. F. Lollini, P. Lucchi, Bologna 1995, pp. 35­93: 79).

42 Si vedano le riflessioni di A. Petrucci, L’illusione della storia autentica: le testimo-nianze documentarie, in L’insegnamento della storia e i materiali del lavoro storiografico. Atti del Convegno di Treviso, 10­12 novembre 1980, Messina 1984, pp. 73­88: 73­75.

43 Prendo questa espressione da Arnaldi, Annali, cronache, storie cit., p. 464.

231UN’INEDITA RIEVOCAZIONE DELLA BATTAGLIA DI LAUNAC

gia di fonte che non è certamente estemporanea, poiché al contrario si incardina strettamente al volume cui si riferisce, ma che offre talora (e anche questo talora sarebbe tutto da approfondire) informazioni di carattere storico: i colophon dei copisti44. Non spetta a me, naturalmente, in questo contesto affrontare una questione che richiederebbe un ap­profondimento che va ben al di là dei confini, assai modesti, di questo scritto: il mio compito si limita a rilevare, per un’esperienza quotidiana con i manoscritti, la ricchezza di informazioni “storiche” che gli spazi avventizi ci restituiscono (ricordi di carestie, di epidemie, di catastrofi naturali; evocazione del conferimento di cariche pubbliche, della cele­brazione di liturgie religiose o laiche, come feste, matrimoni, solennità varie, esecuzioni capitali ecc. ecc.) e la necessità di dare loro una dimen­sione storiografica.

44 Su questa particolare tipologia di fonte e sui problemi interpretativi che pone, sia rispetto alla storia del libro e della scrittura, sia più in generale sui numerosi tipi di informazione che può contenere, mi sono di recente soffermata in Copisti in casa, «Pecia», 13 (2010), pp. 199­249.