Δακρυόεν γελάσαι. Sorridere tra le lacrime nell'Alcesti di Euripide

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.SORRIDERE TRA LE LACRIME NELL ’ ‘ALCESTI DI EURIPIDE Per quanto riguarda lo statuto drammatico dell’Alcesti, è sempre viva la disputa fra i sostenitori dell’interpretazione cosiddetta tragicomica o prosatirica del dramma 1 e quanti invece tendono a marginalizzare ogni componente antitragica, nella convin- zione che l’ Alcesti sia a tutti gli effetti un’autentica tragw/diva, sulla linea delle tra- gedie a lieto fine dell’ultimo Euripide, come Oreste, Ifigenia taurica, Ione, Elena 2 . L’atipicità di questo dramma, per il quale è a mio parere impossibile formulare una convincente e unitaria definizione 3 , risiede in gran parte nel fatto che le strutture portanti - tragiche - sono ripetutamente minate, messe in discussione, sollecitate a rivedere se stesse attraverso procedimenti di diverso genere, variamente attivati dallo 1 Ecco alcune delle definizioni formulate ad opera di chi ha inteso valorizzare la dimensione ibrida del dramma: «Ein Mittel zwischen Tragödie und Komödie» (Rauchenstein 1847, 17), «Mi- schspiel» (Wilamowitz 1919, 84), «ein spottend parodirendes Nachspiel» (Schöne 1895, 16), «eine Tragödie der “älteren Art” mit komischen Akzenten» (Weber 1930, 33), «a very foul, but very coherent, piece, suitable for taking the place of a conventional satyric play» (Drew 1931, 295), «a tragedy with a satyric prologue and finale» (Greenwood 1953, 12), «Tragikomödie» (Schmid-Stählin 1940, 339; Kitto 1961, 309; Barnes 1964, 128; Seidensticker 1979, 226 e Sei- densticker 1982, 130 [anche «Märchenkomödie», 132]), «near comedy» (Blaiklock 1952, 1), «a disconcerting mixture of the comic and the tragic» (Grube 1961, 131), « commedia» (Rosenmeyer 1963, 215 [anche «non tragic drama», 247]), «romantic comedy» (Heilman 1968, 93), «Alkestis’s action was a miniature tragedy, Heracles’ a miniature satyr play» (Burnett 1971, 44; e cf. anche Castellani 1979, 494: «a prosatyric play» con «double structure»), «a genuine hybrid combining important elements of both tragedy and satyr play» (Sutton 1973, 391; cf. anche Tyler 1969, 60: «a hybrid of tragedy and comedy»), «fast eine Farce» (Melchinger 1980, 11), «black comedy» (Conacher 1984, 79), «ein heiteres (satyrhaftes) Drama» (Erbse 1984, 25); «a hybrid ‘tragicom- edy’» (Sicking 1998, 62). 2 Considerano l’Alcesti un’autentica tragedia: Lesky 1966, 281-94 (e cf. anche Lesky 1972, 290); von Fritz 1962, 256-321; Matthiessen 1979, 111; Bergson 1985, 7-22; Seeck 1985, passim; Pa- duano 1968, 1969 e 1993; Gregory 2000, 59-74; l’intervento più ampio e sistematico resta tuttora quello di Riemer 1989, che in molti punti polemizza contro l’approccio di Seidensticker 1982. 3 Le divergenze interpretative dipendono in grande misura dalla concezione del tragico che ciascun critico si è formato (per un’efficace messa a punto metodologica su questo aspetto, in relazione al teatro euripideo nel suo complesso, si rimanda a Mastronarde 2000). Per chi intende il termine ‘tragedia’ in senso ristretto e specifico (ovvero, un dramma di tono alto, con tragica katastrophé e con personaggi eroici, secondo il modello soprattutto sofocleo) l’Alcesti rappresenta per vari a- spetti una deviazione (cf. ad es. Michelini 1987, che, più in generale, insiste sul carattere consa- pevolmente anti-sofocleo di gran parte del teatro euripideo); per quanti invece hanno un concetto di tragico più inclusivo, e dunque ammettono che il genere possa a sua volta statutariamente in- globare elementi di diversa provenienza, senza snaturarsi ma anzi rinnovando se stesso (cf. ad es. Gregory 2000), l’ Alcesti anticipa per vari aspetti soluzioni drammaturgiche esperite da Euripide nelle sue cosiddette romantic tragedies dell’ultimo periodo (in questa prospettiva si pone anche Fusillo 1992), rimanendo in ogni caso in linea con le caratteristiche che contraddistinguono l’inte- ro genere, come la struttura drammatica, il forte rilievo dato alla rappresentazione della morte, la caratterizzazione e il ruolo del Coro, l’aspetto lessicale: una volta fatto salvo questo contenitore formale ‘tragico’, né il tipo di vicenda rappresentata, con eventuale lieta katastrophé , né la pre- senza di alcune peculiari scene o personaggi che insinuano occasionali elementi di gevloion, sa- rebbero in grado, secondo questi studiosi, di compromettere in misura significativa la struttura fondamentalmente tragica dell’insieme.

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DAKRUOEN GELASAI. SORRIDERE TRA LE LACRIME NELL’ ‘ALCESTI’DI EURIPIDE

Per quanto riguarda lo statuto drammatico dell’Alcesti, è sempre viva la disputafra i sostenitori dell’interpretazione cosiddetta tragicomica o prosatirica del dramma1

e quanti invece tendono a marginalizzare ogni componente antitragica, nella convin-zione che l’Alcesti sia a tutti gli effetti un’autentica tragw/diva, sulla linea delle tra-gedie a lieto fine dell’ultimo Euripide, come Oreste, Ifigenia taurica, Ione, Elena2.L’atipicità di questo dramma, per il quale è a mio parere impossibile formulare

una convincente e unitaria definizione3, risiede in gran parte nel fatto che le struttureportanti - tragiche - sono ripetutamente minate, messe in discussione, sollecitate arivedere se stesse attraverso procedimenti di diverso genere, variamente attivati dallo

1 Ecco alcune delle definizioni formulate ad opera di chi ha inteso valorizzare la dimensione ibridadel dramma: «Ein Mittel zwischen Tragödie und Komödie» (Rauchenstein 1847, 17), «Mi-schspiel» (Wilamowitz 1919, 84), «ein spottend parodirendes Nachspiel» (Schöne 1895, 16),«eine Tragödie der “älteren Art” mit komischen Akzenten» (Weber 1930, 33), «a very foul, butvery coherent, piece, suitable for taking the place of a conventional satyric play» (Drew 1931,295), «a tragedy with a satyric prologue and finale» (Greenwood 1953, 12), «Tragikomödie»(Schmid-Stählin 1940, 339; Kitto 1961, 309; Barnes 1964, 128; Seidensticker 1979, 226 e Sei-densticker 1982, 130 [anche «Märchenkomödie», 132]), «near comedy» (Blaiklock 1952, 1), «adisconcerting mixture of the comic and the tragic» (Grube 1961, 131), «commedia» (Rosenmeyer1963, 215 [anche «non tragic drama», 247]), «romantic comedy» (Heilman 1968, 93), «Alkestis’saction was a miniature tragedy, Heracles’ a miniature satyr play» (Burnett 1971, 44; e cf. ancheCastellani 1979, 494: «a prosatyric play» con «double structure»), «a genuine hybrid combiningimportant elements of both tragedy and satyr play» (Sutton 1973, 391; cf. anche Tyler 1969, 60:«a hybrid of tragedy and comedy»), «fast eine Farce» (Melchinger 1980, 11), «black comedy»(Conacher 1984, 79), «ein heiteres (satyrhaftes) Drama» (Erbse 1984, 25); «a hybrid ‘tragicom-edy’» (Sicking 1998, 62).

2 Considerano l’Alcesti un’autentica tragedia: Lesky 1966, 281-94 (e cf. anche Lesky 1972, 290);von Fritz 1962, 256-321; Matthiessen 1979, 111; Bergson 1985, 7-22; Seeck 1985, passim; Pa-duano 1968, 1969 e 1993; Gregory 2000, 59-74; l’intervento più ampio e sistematico resta tuttoraquello di Riemer 1989, che in molti punti polemizza contro l’approccio di Seidensticker 1982.

3 Le divergenze interpretative dipendono in grande misura dalla concezione del tragico che ciascuncritico si è formato (per un’efficace messa a punto metodologica su questo aspetto, in relazione alteatro euripideo nel suo complesso, si rimanda a Mastronarde 2000). Per chi intende il termine‘tragedia’ in senso ristretto e specifico (ovvero, un dramma di tono alto, con tragica katastrophé econ personaggi eroici, secondo il modello soprattutto sofocleo) l’Alcesti rappresenta per vari a-spetti una deviazione (cf. ad es. Michelini 1987, che, più in generale, insiste sul carattere consa-pevolmente anti-sofocleo di gran parte del teatro euripideo); per quanti invece hanno un concettodi tragico più inclusivo, e dunque ammettono che il genere possa a sua volta statutariamente in-globare elementi di diversa provenienza, senza snaturarsi ma anzi rinnovando se stesso (cf. ad es.Gregory 2000), l’Alcesti anticipa per vari aspetti soluzioni drammaturgiche esperite da Euripidenelle sue cosiddette romantic tragedies dell’ultimo periodo (in questa prospettiva si pone ancheFusillo 1992), rimanendo in ogni caso in linea con le caratteristiche che contraddistinguono l’inte-ro genere, come la struttura drammatica, il forte rilievo dato alla rappresentazione della morte, lacaratterizzazione e il ruolo del Coro, l’aspetto lessicale: una volta fatto salvo questo contenitoreformale ‘tragico’, né il tipo di vicenda rappresentata, con eventuale lieta katastrophé, né la pre-senza di alcune peculiari scene o personaggi che insinuano occasionali elementi di gevloion, sa-rebbero in grado, secondo questi studiosi, di compromettere in misura significativa la strutturafondamentalmente tragica dell’insieme.

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happy end. Nella parte che segue, mi soffermerò selettivamente su alcuni di questiprocedimenti, che nel loro insieme sono in realtà ben più numerosi: I) fenomeni diprolessi drammatica; II) innesto di scene che intrattengono un rapporto conflittualecon l’azione tragica principale; III) interventi di correzione e/o rovesciamento neiconfronti dei modelli tragici tradizionali.

I. La ‘prefigurazione comica’.

I.1 L’azione principale dell’Alcesti, com’è noto, consiste in una grande spettacola-rizzazione della morte: una morte, che viene prima annunciata, poi descritta nei suoi

accurati preparativi, quindi realizzata sulla scena sotto gli occhi degli spettatori, se-condo un procedimento decisamente insolito nel teatro antico, e infine pianta4. Tut-tavia Euripide, attraverso una peculiare e accorta articolazione delle scene, fa in mo-

do - in corrispondenza dei momenti più patetici o luttuosi - di inserire rassicurazioniallo spettatore circa il lieto fine della vicenda, quasi a impedirgli fino in fondo quelcoinvolgimento emotivo attraverso i meccanismi dell’e[leo" e del fovbo" in cui le

teorizzazioni aristoteliche facevano consistere lo specifico della forma tragica. Inaltri termini, le scene di pathos presentano tutti gli ingredienti contenutistici e for-mali del teatro tragico propriamente detto, ma il drammaturgo ha voluto che il pub-

blico assistesse a questa rappresentazione in condizioni emotive5 diverse rispetto allospettatore tragico, attraverso un procedimento che convenzionalmente definirò come‘prefigurazione comica’, per distinguerlo dai meccanismi di ‘prefigurazione tragica’,

prediletti soprattutto da Eschilo nelle sue costruzioni drammatiche6.La prima attestazione ha luogo alla fine del prologo. Appena prima che Thanatos

entri nella casa, Apollo, sconfitto nell’agone verbale, preannuncia la sua imminente

rivincita:

4 Cf. in proposito Murnaghan 2000, 107-16.5 Benché nelle scene luttuose dell’Alcesti i protagonisti agiscano sulla scena a tutti gli effetti come ipersonaggi di una tragedia, lo spettatore è posto su un piano di maggiore consapevolezza intellet-tuale. Da qui derivano le letture sistematicamente ‘ironiche’, che costituiscono la risposta di unatipologia di lettore fortemente intellettualizzato (come peraltro non era lo spettatore antico) al ten-tativo di correzione del registro emotivo che Euripide mette in atto nel dramma (un esempio di in-terpretazione comico-ironica estesa all’integrità del dramma era già in Schmid-Stählin 1940; tra isostenitori di questa linea interpretativa vi sono anche Smith 1960, 127-45; Scully 1973; Vellacott1975, 99 ss.; Seidensticker 1982, 131 ss.; Conacher 1984, 73-81; una presa di distanza contro si-mili estremizzazioni si legge in Gregory 2000; sul tema cf. anche Schein 1988, 179-206, Bergson1985, 14-16; Stanton 1990, 43-54, con un bilancio degli studi anteriori; Padilla 2000, 179-211).

6 A proposito del modulo drammatico, diffuso in Eschilo, consistente nell’anticipazione - spessoattraverso il meccanismo della paura profetica - degli eventi luttuosi successivi, cf. Paduano 1978,31-49 (in relazione alla funzione prolettica dell’angoscia nella parodo dei Persiani) e Di Benedet-to 1999, 96 ss.

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AP. h\ mh;n su; pauvsh/ kaivper wjmo;" w]n a[gan·toi'o" Fevrhto" ei\si pro;" dovmou" ajnh;rEujrusqevw" pevmyanto" i{ppeion meta;o[chma Qrhv/kh" ejk tovpwn dusceimevrwn,o}" dh; xenwqei;" toi'sd'Æ ejn jAdmhvtou dovmoi"biva/ gunai'ka thvnde sÆ ejxairhvsetai.kou[q' hJ parÆ hJmw'n soi genhvsetai cavri"dravsei" qÆ oJmoivw" tau'tÆ ajpecqhvsh/ tÆ ejmoiv (Alc. 64-71).

APOLLO: «Eppure tu recederai da questa crudeltà senza limiti. Verrà alle dimore di Fere-te un uomo, inviato da Euristeo a prendere le cavalle dai luoghi tempestosi di Tracia. Egli,ospitato in casa di Admeto, ti strapperà a forza questa donna. Così non riceverai da me rico-noscenza alcuna: farai ugualmente quel che voglio e sarai da me odiato».

A questo proposito alcuni critici hanno giustamente istituito un parallelo con unaconvenzione comica attestata, per esempio, nel prologo dell’Aspis di Menandro,anche in questo caso in contesto luttuoso7. Dopo che Davo ha raccontato che il pa-

drone Cleostrato è caduto in battaglia, sopraggiunge la dea Tyche, in funzione diprologo, a chiarire al pubblico che il giovane non è morto, come è stato erroneamen-te riferito dal servo, ma farà la sua comparsa in scena nel corso del dramma8. Poiché

l’inizio appare troppo lugubre, il commediografo avverte la necessità di rassicurarelo spettatore, giunto per assistere a una commedia, che le convenzioni verranno ri-spettate: non ci sarà alcuna situazione luttuosa, secondo quanto è appunto richiesto

dal genere. Si tratta del meccanismo esattamente rovesciato rispetto a quello che, daun lato, Euripide applica nel prologo di un’autentica tragedia, l’Ippolito, dove Afro-dite proclama che provocherà in quel giorno la rovina sia di Ippolito che di Fedra

portando a termine un’azione di vendetta ormai da tempo avviata9, e per vari aspettisimile al meccanismo che, sul versante opposto, si ritroverà nel prologo dello Ione,dove il lieto scioglimento della vicenda è preannunciato dal dio Ermes in funzione di

prologizon10.La prefigurazione comica ha il suo precedente nelle Eumenidi di Eschilo, la pri-

ma tragedia a lieto fine che ci sia pervenuta. Anche qui, come nell’Alcesti, il motivo

compare nel prologo, sempre in bocca ad Apollo e, tra l’altro, sempre nei confronti

7 Cf., da ultimo, Del Corno 1998, 159-60.8 Cf. Men. Aspis 11-14 ou|to" dihmavrthken· oJ de; Kleovstrato"/ ejkei’en eJtevroi" ejkbohqhvsa"

o{ploi"/ gevgonÆ aijcmavlwto", zh'/ de; kai; swqhvsetai/ o{son oujdevpw.9 Cf. Eur. Hipp. 21-57. Su una linea per certi aspetti simile si pone anche il prologo delle Troiane(cf. in partic. vv. 41 ss., 65 ss., 75 ss. ), dove però la profezia si spinge anche a eventi successivialla vicenda tragica rappresentata (ovvero, la tempesta che travolgerà gli Achei al loro ritorno daTroia).

10 Cf. Eur. Ion 69 ss.

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di una potenza ctonia che minaccia la vita del protagonista, in questo caso le Erin-ni11. Nel suo breve discorso d’incoraggiamento a Oreste, il dio delfico proclama chenella città di Atene, con l’intervento di giudici e di discorsi persuasivi, si troverannoi mezzi per liberarlo definitivamente dalle sue sofferenze:

[AP. ] kajkei' dikasta;" tw'nde kai; qelkthrivou"muvqou" e[conte" mhcana;" euJrhvsomen,w{stÆ ej" to; pa'n se tw'nd j ajpallavxai povnwn (Aesch. Eum. 81-83).

Ciò che in Eschilo era rassicurazione personale, abbastanza generica nella formu-lazione, di un importante personaggio scenico al protagonista stesso per incoraggiar-lo nella fuga che stava per intraprendere - dunque un motivo pienamente calato nellasituazione scenica - nell’Alcesti diviene una profezia rivolta da un personaggio chefa sostanzialmente le veci di un prosopon protatikon agli spettatori (l’interlocutoreThanatos, non a caso, nemmeno recepisce e rielabora questo messaggio). L’Alcestisembra dunque segnare una tappa intermedia in un processo che approderà alla con-venzione drammatica attestata nel prologo dell’Aspis menandreo. Per di più Euripidenon ha limitato il meccanismo della prefigurazione comica al prologo, come avvienenelle Eumenidi, ma, conformemente al contesto in gran parte luttuoso dell’azionescenica, lo ha esteso all’intero dramma, con l’intento di modulare e controllare larisposta emotiva dello spettatore.

I.2 La conferma della veridicità delle parole di Apollo arriva agli spettatori nel terzoepisodio. Subito dopo la morte di Alcesti, che per il fatto di avvenire in scena haemotivamente sollecitato lo spettatore, quando le minacce di Thanatos appaionoormai irrimediabilmente compiute, sopraggiunge in scena Eracle, e la parte introdut-tiva del suo discorso al Coro, che verte con dovizia di dettagli proprio sull’imminen-te fatica del furto delle cavalle tracie imposta da Euristeo, già menzionata da Apollonel prologo, ha il compito di segnalare al pubblico che è lui l’annunciato salvatore12.L’eroe viene quindi ospitato in casa di Admeto, e anche questo realizza puntualmen-te la profezia del dio delfico.La prefigurazione comica agisce anche nello stasimo immediatamente successi-

vo, il terzo, una serena parentesi bucolica avulsa dall’atmosfera luttuosa della casa,

11 Le Eumenidi, tra l’altro, presentano anche altri punti di contatto con l’Alcesti, non ultima la komi-kè katastrophé, che ha indotto alcuni critici a stabilire un confronto, a proposito della processionefinale, con la Pace di Aristofane: cf. Seidensticker 1982 e Taplin 1986. Più in generale, per unadiscussione delle analogie presenti tra Eumenidi e Alcesti, che alcuni critici spiegano in termini diripresa diretta da parte di Euripide, cf. Riemer 1989, 14 ss.; Luschnig 1995, 62-64; Heinze 2000,77-85.

12 Cf. Alc. 481-506.

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nella quale sta avendo luogo la preparazione del rito funebre13. Dopo aver rievocatoil felice passato in cui Apollo era servo ed ospite di Admeto, il Coro, senza alcun

riferimento alla tragedia in corso, termina il suo canto con un atto di fede e disperanza che ha lo scopo di guidare la risposta emotiva del pubblico: un uomodevoto agli dèi quale è il loro sovrano non potrà non avere fortuna (ejn toi" ajga-

qoi'si de; pavntÆ e[nestin· sofiva" a[gamai. pro;" dÆ ejma'/ yuca'/ qavrso" (qravso"Barnes, Diggle) h|stai qeosebh' fw'ta kedna; pravxein, Alc. 602-05).

I. 3 Mentre la sepoltura di Alcesti è in corso, Eracle, scoperta l’identità della defun-ta, proclama che si recherà da Thanatos e gli strapperà la sua vittima: s’interrogasulle modalità da seguire, ma non ha dubbio alcuno sul successo della sua impresa

(Alc. 853 ss.: pevpoiqÆ a[xein a[nw/ [Alkhstin, w{ste cersi;n ejnqei'nai xevnou,/ o{" mÆej" dovmou" ejdevxatÆ oujdÆ ajphvlasen). Di nuovo, appena prima di una delle scene piùpatetiche - l’epiparodo con il lamento funebre di Admeto e del Coro (vv. 841-934) e

il monologo del sovrano culminante con la sua presa di consapevolezza (a[rti man-qavnw v. 940), che lo innalza definitivamente alla dignità di eroe tragico -, lo spetta-tore riceve ulteriori rassicurazioni circa la lieta katastrophé.

Sennonché, in corrispondenza dell’ultimo corale (Alc. 962-1005), s’inverte il pro-cedimento: il quarto stasimo, che fa seguito al ritorno di Admeto dall’ekphorá, èinteramente dominato dalla consapevolezza dell’ineluttabilità di Ananke, contro cui

nessun rimedio esiste. La fiducia che il Coro aveva espresso nel terzo stasimo su unfelice esito della vicenda di Admeto appare qui del tutto estinta: i Cittadini di Ferenon hanno dubbi circa l’irrevocabilità della morte di Alcesti, e il canto termina con

la preconizzazione del culto della tomba della regina, divenuta benigno nume tutela-re (Alc. 995 ss.). Questo stasimo è immediatamente seguito dal lieto scioglimento:ovvero l’ingresso in scena di Eracle che riconduce Alcesti alla casa di Admeto. Eu-

ripide ha dunque inteso capovolgere il modulo tipicamente sofocleo dello stasimoiporchematico, posto appena prima della tragica katastrophé. In quattro tragedie diSofocle (Antigone, Aiace, Edipo re, Trachinie) l’eroe, in una situazione di grave

difficoltà, ha l’illusione di poter risolvere il problema e il Coro asseconda questostato d’animo con un canto di speranza o di gioia liberatrice, il cui scopo è di accen-tuare, attraverso il meccanismo dell’ironia tragica, l’evento luttuoso che verrà rap-

presentato in scena od annunciato nell’episodio successivo. Nell’Alcesti si verificaesattamente il contrario: le constatazioni sconsolate del Coro, intimamente persuasoche non esistano mezzi di nessun genere per contrastare la morte, fanno riprecipitare

13 Per una recente analisi del significato e della funzione drammatica dello stasimo nell’economiadel dramma, cf. Lorch 1988, 116-22 e Thorburn 2000, 35-49.

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lo spettatore nella situazione dell’incipit luttuoso: non a caso quest’ultimo stasimopresenta molti elementi in comune - sul piano sia tematico che lessicale - con la pa-rodo, quasi a confermare che quanto là si temeva ora è divenuto realtà ineludibile14.Si tratta dunque di uno stratagemma drammatico con funzione inversa rispetto alletragedie sofoclee menzionate sopra: disilludere, sia pure temporaneamente, Coro espettatore allo scopo di prepararli, con un meccanismo di capovolgimento, allohappy end immediatamente successivo. All’ironia tragica sofoclea Euripide contrap-pone dunque una forma del tutto peculiare di ironia antitragica, a cui non poco con-tribuisce, nella scena successiva, il gioco bonariamente ironico di Eracle nei con-fronti di Admeto, ricco di doppi sensi15. Se è vero, come notava Bernard Shaw, chela tragedia-tipo termina con una morte e la commedia-tipo con un matrimonio16,questo dramma, iniziando con una morte e terminando con un ricongiungimentodella coppia protagonista che simula simbolicamente il rito nuziale (Eracle consegnaAlcesti ad Admeto, Admeto la prende per mano e le toglie il velo)17, rappresentaun’atipica contaminazione delle due forme, ed è dunque particolarmente adatto, nelsuo doppio e reciprocamente inverso movimento, a concludere la tetralogia tragica.

II. Un esempio di paratragedia nella tragedia: il kw'mo" di Eracle.

II. 1 La natura composita dell’intreccio e la volontà da parte dell’autore di ‘allegge-rire’ l’atmosfera luttuosa favoriscono l’innesto di scene mutuate da contesti letterarioriginariamente estranei alla semnovth" tragica. Si tratta a tutti gli effetti di contami-nazioni, che sono pienamente riassorbite all’interno della struttura tragica principale.Le due maggiori inserzioni sono costituite dal III stasimo, uno squarcio di autenticapoesia bucolica18, unico nel suo genere in tragedia, che ha la funzione, come si èdetto, di allentare la tensione patetica provocata dalla morte di Alcesti attraversol’evasione in un mondo di idilliaca comunione fra uomo e natura, e soprattutto dalkomos di Eracle nel IV episodio (vv. 747 ss.), che rappresenta il tributo più direttoda parte di Euripide al genere satiresco.Com’è noto, l’Eracle dell’Alcesti al suo arrivo non si rende conto (non per insi-

pienza propria, ma per un difetto di informazione, dovuto alle reticenti e ingannevoli

14 Per un’analisi di tali paralleli cf. Tyler 1969, 62 ss.15 Cf. infra, III.16 Citato da Taplin 1986, 164 n. 7.17 Sul finale del dramma come ripetizione del rito nuziale fra Admeto e Alcesti, cf. in partic. Steidle1968, 150 s. n. 94.

18 Cf. supra, I.2. Rientra nell’ideologia bucolica, in particolare, il motivo della comunione fra uomi-ni e animali, divenuto topico in Teocrito e nelle Pastorali di Longo: cf. in proposito Pattoni 2005,459 n. 59, 460 s. n. 61 e 503 s. n. 146.

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parole di Admeto) di essere giunto sulla scena di una tragedia: poiché gli viene fattocredere che la casa è in lutto per un’estranea, accetta l’ospitalità di Admeto ed es-

sendogli stata imbandita una mensa assume con entusiasmo le vesti tradizionalmentecomico-satiresche del simposiasta19.

II. 2 Questo episodio nel suo complesso è stato oggetto di divergenti interpretazioni:a chi l’ha ritenuto un pezzo puramente comico20 si sono contrapposti quanti hannocercato di livellarlo all’atmosfera tragica dominante21. In realtà, la scena non è affat-

to omogenea, ed è metodologicamente errato analizzarla, come finora si è fatto, co-me un unicum indistinto. Ad un esame più attento, infatti, si distingue in essaun’articolazione tripartita, che corrisponde ad altrettante sequenze drammatiche, il

cui movimento è progressivamente dal gevloion al semnovn: la rJh'si" ajggelikhv delServo che racconta il simposio di Eracle nello spazio retroscenico, la rJJh'si" di Era-cle al servo, e infine il dialogo fra i due, che porta al chiarimento dell’equivoco.

Naturalmente s’impone a questo riguardo il confronto - più volte proposto daicommentatori - con i vv. 409-589 del Ciclope euripideo, che presenta invece unastruttura bipartita, secondo lo schema decurtato rJh'si" ajggelikhv + dialogo: dappri-

ma il simposio di Polifemo nello spazio retroscenico viene raccontato da Odisseo,che come il servo dell’Alcesti ha svolto l’ingrato compito di coppiere; subito dopo fail suo ingresso il simposiasta, che dialoga con i personaggi in scena, Odisseo e Sile-

no.

19 Eracle era un personaggio molto noto al pubblico della commedia (per un esaustivo esame a que-sto riguardo, cf. Mastromarco-Totaro 2006, 282-83 n. 327) e del genere satiresco (cf. in propositoil fittissimo numero di drammi, sicuri ed incerti, riportati nell’elenco delle dramatis personae s.v.Herakles in Krumeich-Pechstein-Seidensticker 1999, 663 s.; la predilezione di questo genere tea-trale per il personaggio di Eracle è confermata dalle numerose rappresentazioni vascolari: cf. i-bid., tabb. 7a-c, 9, 11a [Satiro travestito da Eracle], 13a, 20a-b, 27a-b, 30b). Si veda anche Papa-dopoulou 2005, 39-50, con ulteriori riferimenti bibliografici.

20 Cf. Dale 1954, XXI: «[...] Herakles gormandising off stage is a stock piece of comedy and so is theassertion of hedonistic materialism in his address to the servant»; anche Grube 1961 riconosce chela scena è «pure comedy» (p. 131) e che «the introduction of the comic at this point may well ha-ve shocked the Athenian sense of propriety» (p. 141); sugli elementi comico-satirici del perso-naggio di Eracle si sono soffermati anche Biffi 1961, 89-102 (cf. ad es. la sua definizione dell’in-tera scena con il servo come «intermezzo comico» a p. 101); Sutton 1973, 384-91; Seidensticker1982, 132 ss.; Hourmouziades 1984, in partic. pp. 168-69. Ancora più drastico nel suo giudizioBeye 1959, 116-17, secondo il quale la scena intende essere consapevolmente offensiva, sia neiconfronti del servo, sia di Eracle, che si indignerà di essere stato tenuto all’oscuro della morte diAlcesti e dunque indotto a un inadeguato atteggiamento: lo scopo sarebbe, secondo lo studioso,quello di mostrare l’inadeguatezza di Admeto nei rapporti con i suoi simili.

21 Così, ad es., Bergson 1985, 12-15.

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Va precisato che tale banchetto presenta nei due drammi tratti evidenti di ajkai-riva: nel Ciclope è tematizzato il rovesciamento del kw'mo"22, nell’Alcesti si tratta diun kw'mo" che ha luogo in una situazione di divieto (cf. Alc. 343 ss.). Non si trattadunque di un convito festoso o liberatore, come per lo più avviene per le scene dibanchetto della commedia greca e latina23, bensì di un simposio inopportuno cheviene avvertito e descritto con irritazione e disgusto dall’exanghelos-coppiere per ilsuo carattere di sconvenienza. E in entrambi i casi questo simposio non si collocaallo scioglimento del dramma, a sottolineare la lieta katastrophé, come spesso nellacommedia, bensì in un momento critico dell’azione (Polifemo ha appena divorato icompagni di Odisseo, e il funerale di Alcesti è in corso di svolgimento): si trattadunque di un momento di passaggio che prepara allo scioglimento finale (ènecessario che il Ciclope si ubriachi perché, una volta addormentato, venga accecatonel sonno; è necessario che Eracle si ubriachi, per suscitare l’indignazione del servoche porta al chiarimento dell’equivoco e al successivo recupero di Alcesti). D’altraparte, nemmeno lo stesso comasta riesce ad esplicare appieno il suo ruolo conven-zionale24: Polifemo, che vorrebbe recarsi dai suoi fratelli per coinvolgerli nel suosimposio, viene impedito da Odisseo e Sileno; e l’invito di Eracle al servo a unirsi alui nel bere cade nel vuoto, a causa dello sviluppo drammatico successivo. Si tratta,insomma, di situazioni di komos in entrambi i casi deviate, distorte, bloccate, in cuial solipsistico komos manca l’elemento della condivisione fra sympotai,determinante per l’instaurarsi di una dimensione autenticamente conviviale.

II. 3 Nell’Alcesti la prima sezione della scena, ovvero la rJh'si" ajggelikhv del Qe-ravpwn, è quella che presenta analogie maggiori con le situazioni comico-mimiche.Lo stesso incipit, con le lamentele del servo nei confronti del padrone, è un modulodrammaturgico diffuso negli inizi di commedia25: e qui, essendo il Coro uscito di

22 Su questo aspetto si è soffermato Rossi 1971, 10-38.23 Cf. ad es. Ar. Ach. 1085 ss., Pax 1191 ss., Av. 1579 ss., Lys. 1216 ss., Nub. 1353 ss.; Eccl. 1112ss., Men. Dysc. 847 ss., Sa. 673 ss., dove il banchetto ha luogo fuori scena (o è solo immaginato)ed è descritto o riferito in un discorso di un personaggio, nonché i finali di Plaut. As., Pers., St.Per un esame delle scene simpotiche in commedia, cf. E.L. Bowie 1995, 113-25; A.M. Bowie1997, 1-21; Konstantakos 2005, 183-217.

24 Sul carattere deviato di questo «antisimposio», in cui Polifemo è «l’unico simposiasta» cf., daultimo, Napolitano 2005, 51. Più in generale, a proposito della degradazione del personaggio delCiclope nel genere comico e in quello satiresco si rimanda alla trattazione di Mastromarco 1998, 9ss.

25 Per alcuni incipit di commedie con le lamentele di un servo cf. Aristoph. Eq. 40 ss., Vesp. 54 ss.,Pax 50 ss.; Ter. Phorm. 35 ss. e 80 ss.; Plaut. Amph., Asin., Cas., Curc., Epid., Mostell., Per.,Poen., Pseud., Rud. Anche l’esame stilistico e linguistico di questa rhesis, che contiene vari col-loquialismi, conferma l’abbassamento del registro dalla lexis tragica a quella comico-satirica (sul-la tendenza all’espressione colloquiale nei drammi satireschi, cf. Krumeich-Pechstein-

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scena per l’ekphorá di Alcesti, si tratta a tutti gli effetti di un secondo inizio26. Nelcaso specifico, l’indignata descrizione da parte del servo del comportamento inde-

cente di Eracle fa da contraltare ‘leggero’ alla rhesis ‘seria’ della serva di Alcesti nelprimo episodio27: là un narratore simpatetico e ammirato di un’eroina tragica, qui unnarratore dissociato e contrariato di un personaggio in atteggiamento antitragico.

Per quanto riguarda l’aspetto contenutistico, la rhesis del Servo seleziona e con-densa insieme vari motivi che nel Ciclope si trovano disseminati nell’intera scena,tanto nel discorso di Odisseo quanto nel dialogo successivo, e che erano in gran par-

te topici nelle situazioni di simposio inopportuno:a) Il Qeravpwn fa riferimento all’insistenza con cui Eracle chiede di essere servi-

to, come segno di intemperanza o indecenza del personaggio: Alc. 755 ajllÆ, ei[ ti

mh; fevroimen, w[trunen fevrein; nel Ciclope tale atteggiamento del simposiasta èoggetto di drammatizzazione scenica, attraverso le continue richieste che gli si versida bere (cf. in partic. v. 558 KU. [...] do;" ou{tw" e 568 s. KU. fevrÆ e[gceovn nun. OD.

ejgcevw, sivga movnon).b) Il Qeravpwn fa riferimento al fatto che l’ospite beve vino schietto, non

temperato con acqua (Alc. 757 pivnei melaivnh" mhtro;" eu[zwron mevqu), il che da un

Greco è notoriamente percepito come segno di barbarie28. Lo stesso particolare sitrova anche in Cycl. 557-58, nel dialogo tra Sileno e Polifemo: SI. pw'" ou\n kevkra-tai; fevre diaskeywvmeqa./ KU. ajpolei'"· do;" ou{tw", nonché nel Ciclope di Aristia,

dove a Polifemo viene attribuita un’espressione divenuta proverbiale: ajpwvlesa"to;n oi\non ejpiceva" u{dwr (fr. 4 Sn. = TrGF I, p. 86)29.c) In entrambe le rheseis l’exanghelos descrive l’azione del vino nei termini di un

qermaivnein, di un ‘riscaldamento’: cf. Alc. 758-59 e{w" ejqevrmhnÆ aujto;n ajmfiba'sa

flo;x/ oi[nou e Cycl. 423 s. kai; dh; pro;" wj/da;" ei|rpÆ· ejgw; dÆ ejpegcevwn/ a[llhn ejpÆa[llh/ splavgcnÆ ejqevrmainon potw'/.

d) Il comasta ha il capo incoronato: Alc. 760 stevfei de; kra'ta mursivnh"

klavdoi", Cycl. 558 pri;n a[n gev se/ stevfanon i[dw labovnta.

Seidensticker 1999, 15 s.); in partic., a proposito della diffusione in commedia del modulo espres-sivo «non ho mai visto nessuno peggiore di costui», utilizzato dal Servo ai vv. 749-750 (tou'dÆou[pw xevnou/ kakivonÆ ej" thvndÆ eJstivan ejdexavmhn), si rimanda al commento della Dale ad loc.

26 Sulla struttura bipartita del dramma cf. Castellani 1979, 487-96.27 Cf. Alc. 152-98.28 Sul rapporto vino-acqua ritenuto corretto, cf. ad es. Page 1955, 308. Il motivo è anche nella com-media: cf., tra i vari, Crat. fr. 299 K.-A., Ar. Ach. 75, 1229; Eccl. 1123; Eq. 85, 105, 354 s.; fr.364 K.-A. (= 350 K.).

29 Cf. Apostol. 3.60 (E.L. Leutsch, F.G. Schneidewin, Corpus Paroemiographorum Graecorum,Göttingen 1839/51, II, 200 s.), con il commento di Krumeich-Pechstein-Seidensticker 1999, 219s.

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e) Il comasta intona un canto stonato: Alc. 760 a[mousÆ uJlaktw'n, Cycl. 425-26a[/dei de; para; klaivousi sunnauvtai" ejmoi'"/ a[mousÆ, ejphcei' dÆ a[ntron, 488-90 kai;dh; mequvwn/ a[carin kevladon mousizovmeno"/ skaio;" ajpw/dov"30.f) Tale canto del comasta viene posto a contrasto con i pianti degli astanti,

rispettivamente i servi che intonano il compianto funebre nell’Alcesti, e i compagnidi Odisseo in lutto per la morte dei loro compagni e timorosi della propria sorte nelCiclope (si noti in entrambi i drammi il riproporsi della coppia polare a/[dein/klaivein: Alc. 760 ss. dissa; dÆ h\n mevlh kluvein:/ oJ me;n ga;r h/\de, tw'n ejn jAdmhvtou

kakw'n/ oujde;n protimw'n, oijkevtai dÆ ejklaivomen/ devspoinan, Cycl. 425 s. a/[dei de;para; klaivousi sunnauvtai" ejmoi'").

II. 4 Se nell’Alcesti la rhesis del servo rappresenta una concessione al genere sati-resco, ben diverso è lo sviluppo successivo, che si distacca in modo sempre più nettodal tipo di situazione drammatica rappresentata nel Ciclope. Polifemo esce dalla suagrotta e trova in scena personaggi autentici da dramma satiresco, ovvero il coro diSatiri guidato da Sileno, il quale ha tutto l’interesse a che il Ciclope beva, per poterrealizzare il piano dell’accecamento. Pertanto, l’intento di kwmavzein del simposiastaè assecondato da Sileno e da Odisseo, e non c’è nessuno stacco tra la descrizione delsuo comportamento nello spazio retroscenico e l’azione drammatica successiva: lostesso Polifemo entra in scena cantando, a conferma di quanto descritto da Odisseo ecome segno di continuità con la scena precedente. Non solo: vari particolari che nel-l’Alcesti stanno nel racconto del servo, e cioè l’insistenza dell’ospite nel chiedere dabere e i particolari del vino schietto e della corona sul capo del comasta, qui vengo-no rimandati all’uscita in scena, che si pone dunque come un proseguimento a tuttigli effetti, e anzi in termini di assai maggiore ilarità, di quanto descritto da Odisseo(in particolare, ricevono rilievo particolari osceni - e dunque di caratterizzazioneautenticamente comica - come il ruttare fragoroso e i continui riferimenti agli impul-si sessuali che il Ciclope ha urgenza di soddisfare).Nulla di tutto ciò nell’Alcesti. Eracle esce dalla casa e anziché un Coro di Satiri

trova un servo in lutto per la morte della sua padrona (dunque in una situazione tra-gica) e per nulla compiacente: l’eroe è così costretto a sospendere l’atteggiamentodel comasta (il testo non fa mai specifica allusione a un suo gesto di bere sulla sce-na, come avviene nel Ciclope). Non c’è pertanto continuità tra la descrizione di Era-cle nella rhesis e la sua rappresentazione sulla scena; al contrario, per potere avere

30 Lo stesso motivo compare anche in Eur. fr. inc. 907 K. krevasi boeivoi" clwra; su'kÆ ejphvsqien/a[mousÆ uJlaktw'n w{ste barbavrw/ maqei'n, per il quale è stata proposta l’attribuzione al Sileno sati-resco (cf. Krumeich-Pechstein-Seidensticker 1999, 464).

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come sumpovth" il servo nonostante la sua riluttanza (l’invito a unirsi all’atmosferaconviviale era topico in contesti simposiali)31, gli rivolge un discorso che si articola

in un’autentica lezione di tevcnh ajlupiva", contro il dolore tragico.Si tratta di una raffinata parodia dei discorsi consolatori in tragedia. L’intento di

distanziazione ironica si coglie anzitutto nello scambio degli interlocutori. In trage-

dia il consolandus è di norma l’eroe tragico e nella funzione di paramuqhthv" c’è ilCoro32 oppure un personaggio secondario, solitamente la nutrice o un servitore33.Nell’Alcesti la situazione è esattamente ribaltata: il destinatario della consolatio è un

servo e la funzione di paramuqhthv" è assegnata a un personaggio molto importanteper lo sviluppo drammatico.Anche la costruzione dell’intero discorso tradisce l’intento parodistico. Ai vv.

782-85 Eracle muove infatti dalle stesse riflessioni teoriche dei paramuqhtaiv tragicie le condensa in alcune topiche sentenze: «Tutti i mortali devono morire, e nessunodi loro sa se vivrà il giorno di domani: è oscuro il cammino della sorte, non si può

apprendere e non si insegna con l’arte». Formulazioni, queste, che presuppongono ilvasto sapere sulla caducità delle umane sorti elaborato dalla cultura greca sin dalleorigini, e che il genere tragico riprende ed attribuisce a personaggi secondari nel

tentativo di arginare il pathos del protagonista34.Dopo tale preambolo la parodia diventa scoperta nella parte propositiva del di-

scorso di Eracle, al v. 788, dove viene suggerita come antidoto contro l’umana soffe-

renza la soluzione del divertirsi (eu[fraine sautovn), del bere (pi'ne) e del pensareche la vita ci appartiene giorno per giorno (to;n kaqÆ hJmevran/ bivon logivzou sovn):alle esortazioni dei paramuqhtaiv tragici, che si richiamavano alla necessità del

tlh'nai, del sopportare, e all’opportunità di moderare l’eccessivo dolore35, Eraclesostituisce una delle soluzioni topiche elaborate dalla produzione letteraria grecaextra-tragica, soprattutto d’ambito simposiale.

31 Cf. infra, n. 42.32 Come ad es. si verifica nelle parodo di Aesch. PV, Soph. El, Eur. El., Hel., Hyps.33 Così, ad es., in Eur. Med. e Hipp. Talora la funzione di paramuqhthv" è svolta da un personaggiogiunto sulla scena con questo specifico compito, come nell’esodo dell’Eracle euripideo, dove ilsofferente è lo stesso Eracle, e il ruolo di consolator è svolto da Teseo. Cf. in proposito Pattoni1988, 246-49.

34 Cf. Alc. 782-85 brotoi'" a{pasi katqanei'n ojfeivletai,/ koujk e[sti qnhtw'n o{sti" ejxepivstatai/th;n au[rion mevllousan eij biwvsetai:/ to; th'" tuvch" ga;r ajfane;" oi| probhvsetai, con i numero-si paralleli a questo proposito raccolti da Susanetti 2001, 244-45.

35 A puro titolo esemplificativo, si veda, nella scena immediatamente successiva in questo stessodramma, la consolatio del Coro ad Admeto (vv. 889 ss. e in partic. 892: CO. tla'qÆ· ouj su; prw'to"w[lesa"... AD. Ijwv moiv moi./ CO. gunai'ka· sumfora; dÆ eJtevrou" eJtevra/ pievzei fanei'sa qna-tw'n). Per altre attestazioni tragiche del motivo, cf. Ciani 1975, 93-95, 99-100, 109-11.

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Il motivo del vino come rimedio in grado di disperdere gli affanni - un tematradizionale che faceva la sua comparsa già nei Cypria (fr. 10 Kinkel oi\novn toi, Me-

nevlae, qeoi; poivhsan a[riston/ qnhtoi'" ajnqrwvpoisin ajposkedavsai meledw'na")- era stato sviluppato da Alceo in una serie di canti in cui le gioie del simposio eranoindividuate come uno «strumento di equilibrio esistenziale»36. Se Archiloco, in uncelebre frammento che alcuni temi ha in comune con la riflessione sul dolore umanoche è propria del genere tragico, additava nella tlhmosuvnh la «medicina» ai maliestremi (Archil. fr. 13.5-10 W.2ajlla; qeoi; ga;r ajnhkevstoisi kakoi'sin/ w\ fivlÆ ejpi;kraterh;n tlhmosuvnhn e[qesan/ favrmakon. a[llote a[llo" e[cei tovde: nu'n me;n ej"

hJmeva"/ ejtravpeqÆ, aiJmatoven dÆ e{lko" ajnastevnomen,/ ejxau'ti" dÆ eJtevrou" ejp-

ameivyetai. ajlla; tavcista/ tlh'te, gunaikei'on pevnqo" ajpwsavmenoi), Alceo,rielaborando il tema con intento correttivo37, riponeva la «medicina ai mali» nelvino:

ouj crh' kavkoisi qu'mon ejpitrevphn,prokovyomen ga;r oujde;n ajsavmenoi,w\ Buvkci, farmavkwn dÆ a[ristonoi\non ejneikamevnoi" mequvsqhn (Alc. fr. 335 V.)38.

Ebbene, l’Eracle euripideo segue le orme di Alceo. Se Alceo prendeva le distanzeda Archiloco, Eracle, polemizzando contro le formulazioni consolatorie tragiche, fa

propri gli insegnamenti della lirica simpotica. Il discorso dell’eroe a partire dal v.788 presenta in filigrana temi simposiali diffusi nella poesia alcaica:

- L’invito di Eracle a bere pensando che la vita ci appartiene giorno per giorno (v.

788 pi'ne, to;n kaqÆ hJmevran/ bivon logivzou sovn) ricorda l’attacco del fr. 346 V. diAlceo pwvnwmen: tiv ta; luvcnÆ ojmmevnomen: davktulo" ajmevra, dove davktulo"ajmevra implica con ogni probabilità, almeno a livello metaforico e come

significato secondario, la valenza generica di ‘tempo’, con allusione simbolicaalla vita, come intenderà anche Asclepiade in AP 12.50 nella sua scoperta

36 Cf. Privitera 1970, 105 e Degani-Burzacchini 1977, 229, che citano a confronto anche Theogn.883 s. tou' pivnwn ajpo; me;n calepa;" skedavsei" meledw'na",/ qwrhcqei;" dÆ e[seai pollo;n ejla-frovtero", nonché vari passi delle Baccanti euripidee (cf. in partic. vv. 278-85, 772-74, 866-72,907-11). Per un orientamento generale sul tema, e per ulteriori indicazioni bibliografiche, cf. an-che Meyerhoff 1984, 199-210.

37 Cf. in proposito la convincente analisi in Degani-Burzacchini 1977, 228 s.38 Sulla base principalmente di questo frammento (e in parte anche dei frr. 38a e 346, 3) Liberman1999, 158 propone di integrare nel modo seguente l’incipit del fr. 358: oi\-/non favrmakon] oi\dÆa[ris[ton] e[mmenai/ povnwn.

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imitazione del frammento alcaico: pivnwmen Bavkcou zwro;n povma: davktulo" ajwv"./h\ pavli koimista;n luvcnon ijdei'n mevnomen;/ pivnomen ktl. (vv. 5-7)39.

- Il v. 799 «bisogna che chi è mortale pensi anche da mortale» (o[nta" de; qnhtou;"qnhta; kai; fronei'n crewvn) richiama Alc. fr. 38a.4 V. ajllÆ a[gi mh; megavlwn ejp[,che doveva contenere un’analoga riflessione sulla necessità di vivere secondo

misura40.- D’altra parte, il motivo del bere ininterrotto, con una coppa che scaccia l’altra,espresso da Alceo nel fr. 346.5 s. V. (<aj> dÆ ajtevra ta;n ajtevran kuvlix/ wjqhvtw)

trova corrispondenza con i vv. 797 s. tou' nu'n skuqrwpou' kai; xunestw'to"

frenw'n/ meqormiei' se pivtulo" ejmpesw;n skuvfou, dove Eracle per lo stessoconcetto ricorre alla metafora nautica del pivtulo"... skuvfou (propriamente

‘remeggio’, ‘battere del remo’), in riferimento al ritmo cadenzato della tazza, cheripetutamente viene riempita, portata alle labbra e svuotata, equiparato al ritmicomovimento dei remi che sospingono un’imbarcazione41.

39 E cf. l’incipit dell’epigramma pi'nÆ, jAsklhpiavdh (v.1), che riecheggia l’incipit in Alc. fr. 38a V.pw'ne [.......] Melavnipp(e).

40 Una diversa declinazione del vivere secondo misura si trova nel fr. 21 K.-A. di Amipsia: cambial’obiettivo (non più la consolatio in contesto di sofferenza, bensì l’accettazione della povertà), marimane conforme al genere simpotico la soluzione proposta (amore e cibo):A. au[lei moi mevlo",su; dÆ a/\de pro;" thvndÆ · ejkpivomai dÆ ejgw; tevw".B. au[lei suv, kai; su; th;n a[mustin lavmbane.“ouj crh; povllÆ e[cein qnhto;n a[nqrwpon,ajllÆ ejra'n kai; katesqivein· su; de; kavrta feivdh/”.Sulle fonti liriche di questa testimonianza comica, cf. Kugelmeier 1996, 72-73; un puntuale ericco commento a questo frammento è in Totaro 1998, 181-83.

41 Il senso del passo è dunque: «da questo stato d’animo cupo e accigliato ti porterà lontano ilremeggio della tazza, con il suo incalzante battere». Così già intendeva lo scolio al v. 798:metasthvsei se eij" e{tera hJ sunech;" perifora; kai; oJrmh; tou' pothrivou; e cf. anche la testi-monianza di Athen. 10.443d, secondo cui ai bevitori troppo appassionati il poeta elegiaco Dioni-sio, detto il Bronzeo, del V sec. a.C., avrebbe conferito l’epiteto di ‘rematori delle tazze’: ou| tou;"ejkpaqw'" metalambavnonta" ouj kakw'" oJ Calkou'" ejpikalouvmeno" Dionuvsio" ejn toi'"ejlegeivoi" kulivkwn ejrevta" e[fh (Dyonis. fr. 5 West)· “kaiv tine" oi\non a[gonte" ejn eijresiva/Dionuvsou/ sumposivou nau'tai kai; kulivkwn ejrevtai”. Il senso di questa piuttosto intricata e assaidiscussa metafora si lascia complessivamente cogliere, nonostante alcuni dettagli non sianodefinibili con certezza; Hayley (citato da van Lennep 1949, 125) spiega pivtulo" come «thesplash ot the wine poured into the cup», Dale 1954, 110 lo interpreta come «the rhytmical elbow-lifting and gurgling of the carouse», con ejmpeswvn (scil. soi oppure se) nel senso di «it will gethold of you», unendo insieme i due principali significati di pivtulo": quello di rumore prodottodal remo che s’abbatte sull’acqua (cf. Hesych. p 91 Schm.) e quello di cadenzato movimentoimpresso dal braccio (significato che sarebbe anzi quello originario, come ha ricostruito Barrett1964, 418 s. con dovizia d’esempi e che è accolto per questo passo anche da Torraca 1963b, 80 eSusanetti 2001, 247); per una panoramica sulle soluzioni qui proposte, cf. Conacher 1988, 186,che alla fine opta per valorizzare un ulteriore significato del sostantivo pivtulo", ovvero «the ideaof attack or onslaught», secondo l’interpretazione che si legge anche in LSJ9 (s.v. pivtulo" , 3b:

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- Un’altra probabile eco alcaica è ravvisabile nella burlesca consolatio - anche quiin contesto parodico - di Eracle ad Admeto nell’esodo, quando l’eroe si prendebenevolmente gioco dell’amico esortandolo a rassegnarsi alla morte della moglie:la ricorrenza del verbo prokovptein al v. 1079 ([HR.] tiv dÆ a]n prokovptoi", eij

qevlei" ajei; stevnein;) si pone sulla stessa linea di Alc. fr. 335.2 V. (prokovyomenga;r oujde;n ajsavmenoi), e il susseguente invito di Eracle a prendersi una nuovadonna per scacciare il dolore della precedente si pone su di una linea analogaall’invito di Alceo ad affogare nel vino i dispiaceri, data la relazione topica oi\no"/e[rw" nel genere simpotico.

- Altre corrispondenze, più che al modello alcaico, saranno piuttosto da attribuireai topoi del genere simposiale: si tratta in particolare dell’invito di Eracle al servoa bere con lui (pivh/ meqÆ hJmw'n v. 795), secondo moduli convenzionali attestati inAlceo ad es. nel fr. 38a.1 V. pw'ne [.......]MelavnippÆ a[mÆ e[moi42.

- Sulla stessa linea si pone l’invito a cingersi di ghirlande al v. 796 (stefavnoi"pukasqeiv"), che riecheggia analoghi motivi nella poesia alcaica (ad es. Alc. fr.362.1-2 V. ajllÆ ajnhvtw me;n peri; tai;" devrais<i>/ perqevtw plevktai"

ujpaquvmidav" ti") e, più in generale, simpotica43.

«the mad fit of the wine-cup»), e quindi traduce: «the mad fit of the wine-cup, when it hasassailed you, will soon unmoor you from your sullen and clotted state of mind» (p. 125). A mesembra che in questa metafora nautica Euripide abbia inteso valorizzare e fondere insieme dueelementi complementari legati all’immagine del pivtulo": 1. come i remi, a cui si imprime unregolare impulso, conducono il rematore lontano, così le tazze, che si succedono con cadenzaregolare, trasportano il bevitore altrove, lontano dalle tristezze (dunque, tazza = remo, bevitore =rematore); 2. come il remo s’abbatte (ejmpesei'n) sul mare e vince la sua resistenza, così la tazzas’abbatte sulle tristezza e sulle sofferenze della vita (ovvero tou' nu'n skuqrwpou' kai;xunestw'to" frenw'n v. 797) e le sconfigge (dunque, tristezze e sofferenze = mare, secondo unanota ben nota metafora: cf. ad es. Alc. fr. 208 V., Aesch. Sept. 758 ss., PV 886, Soph. Trach. 112-19, OC 1240-48, Eur. Alc. 91 s., Med. 362 s., Hipp. 822-24, Ion 927 s.). In questo modo si ricavaun quadro abbastanza coerente dell’insieme. Non credo infatti che sia appropriato ritenere che ildestinatario dell’azione dell’ejmpivptein sia il soggetto bevente, come è diffusa opinione deicommentatori: innanzitutto perché questa interpretazione presuppone l’equiparazione mare =bevitore, che è in conflitto con la testimonianza di Ateneo (secondo cui il bevitore è il rematore enon il mare); secondariamente perché si suggerirebbe una opposizione tra tazza e bevitore (qualeè quella tra remo e mare) che qui avrebbe poco senso: la tazza è anzi lo strumento che aiutal’uomo a vincere il suo nemico, l’angoscia, come farebbe un’arma nei confronti di un avversario:il verbo ejmpesei'n è non a caso frequentemente utilizzato nel senso di attacco ostile contro unnemico (cf. LSJ9 2).

42 Si tratta di un motivo convenzionale nella poesia simpotica: cf. ad es. Anacr. fr. 56 Gent., Simon.fr. 512.7 P., Sol. fr. 24 G.-P., Theogn 763, 989, 1042, 1047, Carm. conv. fr. 19 Fabbro (con ilcommento a p. 171 ss.), Anth. Pal. 7.452.2 (Leonid.), 12.50 (Asclep.), 11.19.1 (Strat.), 11.23.5(Antip. Thess.); cf. inoltre Giangrande 1968, 104 ss. e Vetta 1980, LII s.

43 Anche questo è naturalmente un tema topico della produzione simpotica: per il suo accostamentoal motivo del bere e dell’eros cf. ad es. Carm. conv. 19.1 Fabbro suvn moi pi'ne sunhvba sunevra

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Tuttavia, proprio perché l’obiettivo è la parodia delle consolationes tragiche difronte alla morte all’interno di un contesto tragico, proponendo come alternativa le

soluzioni terapeutiche elaborate dal genere simpotico contro l’umana sofferenza, ilmeditato edonismo di Eracle si tiene ben lontano dall’orizzonte strettamente mate-riale del Ciclope euripideo, il quale, in un passo sovente richiamato a confronto dalla

critica, aveva declinato in tono blasfemo e greve la sua etica del carpe diem: aJgw;ou[tini quvw plh;n ejmoiv, qeoi'si dÆ ou[,/ kai; th' megivsth/, gastri; th'/de, daimovnwn./wJ" toujmpiei'n ge kai; fagei'n toujfÆ hJmevran,/ Zeu;" ou\to" ajnqrwvpoisi toi'si

swvfrosin,/ lupei'n de; mhde;n auJtovn (Cycl. 334-39)44. E dei temi erotici che dove-vano essere topici nel dramma satiresco in contesto di komos, come conferma lastessa scena del Ciclope, che termina con Polifemo che in mancanza di flautiste o

giovani ragazzi rientra nell’antro portandosi in braccio il vecchio Sileno per abusare

sustefanhfovrei e AP 11.19.1-3 (Strat.) kai; pive nu'n kai; e[ra... /... / kai; stefavnoi" kefala;"pukaswvmeqa. Il nesso topico stefavnoi" pukasqeiv" ricorre nell’Alcesti ancora al v. 832: si trattadi un segno di festa, in quanto tale appropriato all’abbigliamento dell’attore comico (cf. AP13.6.1-4 tou'tÆ ejgw; to; perisso;n eijkovnisma/ tou' kwmw/dogevlwto" eij" qrivambon / kissw/' kai;stefavnoisin ajmpukasqe;n/ e{staka), ma quanto mai inadeguato a un addobbo tragico: di qui ilrincrescimento di Eracle, che riprende dal v. 796 proprio questo particolare. Non ci sono dunqueragioni per ritenere sospetta la ripetizione (come fanno, tra i vari, Weber, Dale, Diggle che ai vv.795 s. accolgono l’espunzione tavsdÆ uJperbalw;n tuvca",/ stefavnoi" pukasqeiv" di Herwerden);per una difesa del testo tràdito, cf. anche Torraca 1963b, 79 s.

44 Come ha visto Garner (1990, 69-70; e ora cf. anche Bagordo 2003, 156), la lezione di Eracle nellesue premesse generali si avvicina, anche per le scelte linguistiche, alla pensosa lezione di Apolload Admeto nell’epinicio terzo di Bacchilide:“Qnato;n eu\nta crh; diduvmou" ajevxeingnwvma", o{ti tÆ au[rion o[-yeai mou'non aJlivou favo", 80cw[ti penthvkontÆ e[tea zw-a;n baquvplouton telei'".{Osia drw'n eu[fraine qumovn· tou'to ga;rkerdevwn uJpevrtaton” (Bacchyl. 3.78-84).All’incipit del discorso di Apollo qnato;n eu\nta (v. 78) corrisponde l’epilogo di Eracle o[nta"qnhtouv" (v. 799; e cf. anche ta; qnhta; pravgmata v. 780 e qnhtw'n v. 783); il motivo topico del‘domani’, espresso da Apollo al v. 79 (au[rion), ritorna puntualmente anche nel discorso di Eracle(au[rion v. 784); e l’invito apollineo eu[fraine qumovn (v. 83) corrisponde pienamenteall’omologo consiglio di Eracle eu[fraine sautovn (v. 788). Più in generale, il discorso di Apolloin Bacchilide è preceduto e seguito da motivi che sono riecheggiati da Eracle nel contesto del suodiscorso: cf. in partic. ejfavmeron (v. 73) e kaqÆ hJmevran (Alc. 788), fronevonti (v. 85) e fronei'n(Alc. 799), ajlaqeiva/ (v. 96) e ajlhqw'" (Alc. 802). Che Euripide potesse aver presente il passo bac-chilideo si è indotti a crederlo anche dal ricorrere del termine o{sio": si noti in particolare al v. 83dell’epinicio l’invito del dio ad Admeto ad essere o{sio"; non è forse un caso che nell’incipit deldramma euripideo Apollo riferisca ad Admeto questa stessa qualità: oJsivou ga;r ajndro;" o{sio" w]nejtuvgcanon/ paido;" Fevrhto", vv. 10-11. Eracle sembra dunque tradurre in termini più prosaici(come è appropriato in una situazione in cui il parlante è non dio ma semidio, e l’interlocutore ènon il re, ma un servo del re) il discorso che Apollo aveva fatto ad Admeto stesso.

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sessualmente di lui, nell’Alcesti rimane un castigato riferimento ai vv. 790 s., espres-so in termini di pia devozione alla dea Afrodite.

II. 5 L’operazione di sottile parodia continua nell’epilogo del discorso di Eracle45.Dopo aver esordito con una diffusa massima sapienzale (v. 799) che riassume e di-stilla la meditazione antica in merito alla humana fragilitas, Eracle conclude con unaformulazione che di nuovo segna la presa di distanza rispetto all’habitus convenzio-nalmente tragico:

[HR.] wJ" toi'" ge semnoi'" kai; sunwfruwmevnoi"a{pasivn ejstin, w{" gÆ ejmoi; crh'sqai krith'/,ouj bivo" ajlhqw'" oJ bivo" ajlla; sumforav (Alc. 800-02).

[ERACLE ] «Per tutte le persone austere e accigliate, se vuoi avvalerti del mio giudizio,la vita non è veramente vita ma disgrazia».

Attraverso il personaggio del servo in lutto, è come se fosse il genere tragicostesso a essere preso di mira. La semnovth" è infatti una delle specificità dell’eroetragico46 e in quanto tale compare spesso in commedia in contesti di paratragodía(un esempio per tutti è il commento di Euripide nelle Rane all’atteggiamento austerodi Eschilo al suo primo ingresso in scena: ajposemnunei'tai prw'ton, a{per

eJkavstote/ ejn tai'" tragw/divaisin ejterateuveto, vv. 833 s.)47. E il particolare delsunwfruwmevnon, il cipiglio corrucciato, coglieva probabilmente un dettagliovisibile della maschera tragica del servo, e della maschera tragica più in generale:sunwfruwmevnh è ad esempio definita dal Coro la Nutrice di Deianira nelleTrachinie, allorché esce dalla reggia ad annunciare la morte della sua padrona48. La

45 Se la precedente rhesis del servo costituiva il contraltare antitragico alla rhesis della serva nelprimo episodio, il paramuqhtiko;" lovgo" di Eracle rappresenta a sua volta la variante antitragicadella consolatio che il Coro tenterà nei confronti di Admeto nella scena immediatamente succes-siva: alternandosi ai lamenti lirici dell’attore, il Coro darà voce ad alcuni dei più comuni topoiconsolatori, declinandoli secondo le convenzioni tragiche («nessun vantaggio c’è nel dolore in-consolabile» v. 875, «non metti limite alla tua sofferenza» v. 890, e soprattutto il non hoc tibi solivv. 892 ss., 903 e 931 ss.).

46 Per alcuni personaggi tragici espressamente caratterizzati come semnoiv, cf. ad es. Aesch. PV 953,Eur. Hipp. 490, 1064, 1364, Andr. 234, IA 901, 996, 1344, Eur. fr. 924, 2-3 K. (tiv perissa; fro-nei'"; eij mh; mevllei"/ semnuvnesqai parÆ oJmoivoi").

47 Ar. Ran. 833-34, e cf. anche Ar. Nub. 363 s., Crates 28 K.-A. toi'" de; tragw/doi'" e{tero" semno;"pa'sin lovgo" a[llo" o{d j e[stin, Amphis fr. 13 K.-A. w\ Plavtwn,/ wJ" oujde;n oi\sqa plh;nskuqrwpavzein movnon,/ w{sper kocliva" semnw'" ejphrkw;" ta;" ojfru'", Men. Asp. 414 Aijscuvlo"oJ semnav - , ecc.

48 Cf. Soph. Trach. 868 ss. [CO.] Xuvne" de;/ thvndÆ wJ" ajhvqh" kai; sunwfruwmevnh/ cwrei' pro;" hJma'"grai'a shmaivnousav ti. Anche questo particolare tragico è sovente oggetto di parodia da parte dei

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stessa espressione ouj bivo" ajlhqw'" oJ bivo" (v. 802) richiama moduli espressivi diffusiin tragedia; basti richiamare, in questo stesso dramma, il commento del Coro alla

sorte del vedovo Admeto: ajrivsth"/ ajplakw;n ajlovcou th'sdÆ ajbivwton/ to;n e[peita

crovnon bioteuvsei (vv. 241-43).A sua volta queste considerazioni conclusive di Eracle si richiamano, con riprese

lessicali puntuali, all’incipit del suo discorso, con l’invito al servo ad adottare unatteggiamento benevolo (eujproshgovrw/ freniv) nei confronti degli ospiti, mettendoal bando ogni atteggiamento improntato al semnovn, al pefrontikovn e allo sku-

qrwpovn:

HR. ou|to", tiv semno;n kai; pefrontiko;" blevpei";ouj crh; skuqrwpo;n toi'" xevnoi" to;n provspolonei\nai, devcesqai dÆ eujproshgovrw/ freniv (Alc. 773-75)49.

ERACLE «Ehi, tu! Perché hai quest’aria così seria e pensierosa? Un servo non deveessere così cupo con gli ospiti, ma accoglierli con animo affabile».

A me sembra che anche questa cornice del discorso di Eracle, che racchiude alsuo interno la lectio symposialis, possa essere letta come una scanzonata presa didistanze ad opera del genere satiresco, qui impersonato da Eracle, che per l’appuntoè abbigliato da simposiasta, con la corona di fiori sul capo, nei confronti del generetragico, qui impersonato dal servo, che indossa il tipico costume da attore tragico:maschera con espressione accigliata e afflitta, abito nero in segno di lutto e caporasato (l’indicazione precisa del costume del servo è da lui stesso fornita al v. 818 s.,quando richiama l’attenzione di Eracle su un fatto di indiscutibile evidenza: «siamoin una situazione di pevnqo": vedi il capo rasato e l’abito nero», koura;n blevpei"/melampevplou" stolmouv" te).Per avere un’idea più precisa di quale sia la situazione-tipo tragica che qui Euri-

pide intende parodiare, è a mio parere istruttivo rileggere la scena III del prologodell’Ippolito, un dramma che, pur posteriore di dieci anni all’Alcesti, esemplifica

comici: cf. ad es. Ar. Ach. 1069, Nub. 582, Pax 395, Ran. 925 (in riferimento ai rJhvmata boveia...ojfru'" e[conta kai; lovfou" eschilei), Lys. 8 (con concomitante riferimento allo skuqrwpavzein:cf. Alc. 774 ouj crh; skuqrwpo;n... ei\nai: sulla stessa linea cf. anche Plut. 756), ecc.

49 Il v. 773 è una variazione del v. 800, anche dal punto di vista ritmico (i termini semnovn/ semnoi'"occupano la stessa sede metrica, come pure i sintagmi kai; pefrontiko;" blevpei" e kai; sunw-fruwmevnoi"). E tra l’altro il pefrontiko;" blevpei", come il dettaglio del sunwfruwmevnoi", siriferisce senz’altro alla maschera del servo e alla sua gestualità tragica).

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efficacemente un modello di scena tragica certamente già anteriore all’Alcesti, da cuiEracle sta qui scherzosamente prendendo le distanze50.Il richiamo di Eracle, in Alc. 773, alla necessità di tenersi lontano dal semnovn e a

conservare una eujproshvgoro" frhvn, è vicino nella formulazione alle parole delservo di Ippolito, che a consigli molto simili ricorre allo scopo di distogliere ilpadrone da atteggiamenti di superbia forieri di tragiche vicissitudini. Il servoesordisce ricordando a Ippolito un novmo" che vige per chi è nato mortale (brotoi'sino}" kaqevsthken novmo" v. 91), secondo cui è necessario astenersi da atteggiamentisgradevoli improntati alla semnovth":

QE. misei'n to; semno;n kai; to; mh; pa'sin fivlon (Hipp. 93).

Bisogna dunque essere eujproshvgoroi:

QE. ejn dÆ eujproshgovroisivn ejstiv ti" cavri" (Hipp. 95).

E questa norma è valida, continua il servo, non solo nelle relazioni degli uominicon i loro simili ma anche nei rapporti con gli dèi (v. 97): occorre pertanto che Ippo-lito onori Afrodite (vv. 99 ss.), giacché solo a lei compete di diritto, in quanto dea, lasemnovth":

QE. pw'" ou\n su; semnh;n daivmonÆ ouj prosennevpei"; (Hipp. 99)SERVO «Come mai tu non rivolgi il tuo saluto a una grande dea?»QE. semnhv ge mevntoi kajpivshmo" ejn brotoi'". (Hipp. 103)SERVO «Essa è grande, e insigne è il suo nome presso i mortali».QE. timai'sin, w\ pai', daimovnwn crh'sqai crewvn. (Hipp. 105)SERVO «Bisogna, ragazzo mio, onorare gli dèi!»

Si tratta della versione in stile tragico della raccomandazione che al v. 790 s.Eracle fa al servo: bisogna onorare Cipride (tivma .../ Kuvprin, con i due termini inposizione di rilievo all’inizio di due trimetri consecutivi). Naturalmente, sel’Afrodite tragica del servo di Ippolito è definita, secondo una tipica lexis tragica,semnhv ge kajpivshmo" ejn brotoi'", «veneranda e insigne tra i mortali», l’Afroditecomica di Eracle è plei'ston hJdivsth… brotoi'sin (si noti il colloquialismo deldoppio enfatico superlativo), e naturalmente eujmenhv".

50 Del resto le scene prologiche sono abbastanza standardizzate, soprattutto in Euripide. E, a benvedere, anche nell’Alcesti, essendo il Coro uscito di scena per l’ekphorá, lo spettatore ha a tutti glieffetti l’impressione di un nuovo incipit, e dunque come di un ulteriore prologo (a proposito dellastruttura bipartita del dramma, cf. supra, II.3 e n. 26).

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Un’Afrodite insomma che non ha la terribilità delle divinità tragiche, ma, al con-trario, la rassicurante benignità degli dèi comici.

Mentre nell’Ippolito la lezione del servo era volta a distogliere il protagonista dal-la sua hamartía e dunque dalla tragica katastrophé - a bloccare, in altre parole, con ilrichiamo al rispetto della dèa, l’inevitabile procedere del dramma verso la tragedia -

qui la lezione di Eracle appare parodisticamente declinata allo scopo di distogliereun personaggio servile da un atteggiamento tragico a uno ‘antitragico’. Il servo nondesidera altro che piangere Alcesti, ed Eracle vuole convincerlo a unirsi al suo ko-

mos. Threnos e komos sono fra loro topicamente antitetici: in Alc. 343 s. la primamanifestazione di lutto che Admeto promette ad Alcesti è per l’appunto la soppres-sione dei banchetti, delle brigate di convitati, delle corone di fiori e dei canti (kw'moi,

sumpotw'n oJmilivai, stevfanoi, mou'sa), ovvero precisamente tutto ciò che Eraclesta declamando come rimedio contro il lutto51. L’effetto parodistico consiste dunqueanche in questo caso nell’inversione dei ruoli: la funzione di ‘bloccare’ lo sviluppo

tragico che nella tragedia propriamente detta era tipica dei servitori (o di altri perso-naggi in analoga funzione di moderatori) qui passa ad Eracle, il quale, in comunecon il servo dell’Ippolito, Eracle ha anche il preambolo didattico. Lo scambio di

battute fra il Servo e Ippolito ai vv. 91-92:

QE. oi\sqÆ ou\n brotoi'sin o}" kaqevsthken novmo";IP. oujk oi \da· tou' de; kaiv mÆ ajnistorei'" pevri; (Hipp. 91 s.)

SERVO «Tu conosci la legge che vige per chi è mortale?»

IPPOLITO «Non la conosco: cos’è questo che mi chiedi?»

viene infatti per intero ‘assorbito’ nel discorso di Eracle, il quale al v. 780 primafa la domanda al servo, e poi si dà da sé la risposta, che pare a lui scontata:

[HR.] ta; qnhta; pravgmatÆ oi\da" h}n e[cei fuvsin;oi\mai me;n ou[· povqen gavr ; ajllÆ a[kouev mou. (Alc. 780 s.).

[ERACLE] «Conosci qual è la natura52 delle cose umane?Credo di no: come potresti? Dunque stammi a sentire».

51 Cf. Alc. 353 s.: ADM. pauvsw de; kwvmou" sumpotw'n qÆ oJmiliva"/ stefavnou" te mou'savn qÆ h} ka-teicÆ ejmou;" dovmou".

52 Si noti che, se il servo dell’Ippolito parlava di novmo", Eracle ricorre al concetto di fuvsi". In en-trambi i casi l’atteggiamento superbo e scontroso viene dunque visto come una violazione di unordine (naturale o convenzionale, che sia).

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II. 6 In entrambi i drammi la lezione contro la semnovth" viene riconosciuta vali-da, come norma generale, sia da Ippolito che dal Servo, ma ritenuta inapplicabile alproprio specifico caso, e dunque respinta53.Nell’Ippolito il fatto che il protagonista non segua i consigli del servo conferma

l’inevitabilità della tragica katastrophé già annunciata da Afrodite nel prologo. Nel-l’Alcesti, all’opposto, la reazione del servo segna l’inizio del lieto scioglimento, an-che questo già annunciato da Apollo nel prologo. Lo snodo drammatico è costituitodalla battuta del Servo ai vv. 803 s.:

QE. ejpistavmesqa tau'ta· nu'n de; pravssomenoujc oi|a kwvmou kai; gevlwto" a[xia (Alc. 803 s.).

SERVO: «Queste cose le sappiamo, ma la situazione in cui ora ci troviamo non è tale daessere adatta al komos e al riso».

Il discorso del Qeravpwn si fa qui accentuatamente autoreferenziale. Poichél’oggetto del discorrere è l’actio drammatica in corso, in questa formulazione èimplicita una valenza metatestuale. In sostanza, il Servo sta dicendo a Eracle: «Quinon stiamo recitando un dramma satiresco, in cui si ride e si fa baldoria: haisbagliato genere». Ed Eracle, chiarito l’equivoco, non potrà che dare ragione alServo (la tevcnh ajlupiva" simpotica che egli ha professato non funziona per i luttigravi), ma propone a sua volta una soluzione alternativa rispetto alla tevcnh ajlupiva"

tragica, che aveva nel pianto rituale prima e poi nel superamento del lutto attraversola tlhmosuvnh il suo punto di forza: e cioè la soluzione tutta fiabesca - ma anche indefinitiva satiresca - della lotta contro un demone malvagio, in questo casoimpersonato dalla Morte54. Dunque, la tragedia si prende la sua rivincita sul genere

53 Ippolito, quando il servo enuncia la legge generale, aderisce con piena convinzione alle sueosservazioni (cf. Hipp. 94 ojrqw'" ge: tiv" dÆ ouj semno;" ajcqeino;" brotw'n, v. 96 pleivsth ge, kai;kevrdo" ge su;n movcqw/ bracei', v. 98 ei[per ge qnhtoi; qew'n novmoisi crwvmeqa). La dissociazionedel giovane ha luogo nel momento in cui il servo applica la legge generale al caso presente estigmatizza la scarsa considerazione che il giovane ha nei confronti di Afrodite (si veda la vivacereazione del contrariato Ippolito al v. 100: tivnÆ; eujlabou' de; mhv tiv sou sfalh'/ stovma).Nell’Alcesti la risposta del servo (ejpistavmesqa tau'ta, Alc. 803) smaschera l’inutilità deldiscorso di Eracle: essendo egli un servo tragico, questi insegnamenti, tipici per l’appunto deiservi tragici, non possono che essergli ben noti. Ma nella situazione attuale (nu'n Alc. 803) un talgenere di tevcnh ajlupiva" appare inapplicabile: quasi a dire che i rimedi ‘alcaici’ valgono perdolori d’altro genere, non comunque per i dolori propri della scena tragica.

54 Uno dei soggetti preferiti dei drammi satireschi, com’è noto, è proprio la lotta di un eroe positivocontro un orco, un essere malvagio o mostruoso, qui impersonato da Thanatos, che non a caso èfisicamente presente nel prologo. Il Kerkyon satiresco di Eschilo terminava con la lotta fra Cer-cione e Teseo; l’Amykos di Sofocle con la sconfitta ad opera di Polluce in una gara di pugilato;

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simposial-satiresco, ma viene di nuovo ‘scavalcata’ dal genere satiresco, in cuiEracle assume il ruolo di eroe muscoloso e atleticamente prestante che gli è

caratteristico in questo genere drammatico.È per l’appunto tale interagire tra contesto tragico ed elementi satireschi a costi-

tuire la specificità di questa scena, in bilico tra il qrh'no" da una parte (ma un qrh'no"

frustrato dall’immissione del kw'mo" nella tragw/diva: si ricordi che ai vv. 548-50Admeto aveva dato ordine che Eracle non fosse disturbato dai lamenti dei servi) e ilgevlw" dall’altra (ma un gevlw" trattenuto, che si insinua tra gli interstizi del dramma,

costringendo l’azione tragica in corso a prendere le distanze da se stessa, e anche asorridere di sé medesima). Per questa operazione autoriflessiva, in cui i due generitragici (cioè la tragedia propriamente detta e il dramma satiresco, per il quale gli

antichi avevano coniato la significativa definizione di tragw/diva paivzousa)55 siconfrontano su temi importanti quali la morte e il dolore, Euripide si è servito di unpersonaggio trasversale, Eracle, il quale, per il fatto d’essere abituato a percorrere

tutti i generi drammatici56, era il più adatto a farli interagire e confrontare, oltre che arifunzionalizzarsi, di volta in volta, all’azione in corso57.

Busiride nell’omonimo dramma satiresco di Euripide era sconfitto da Eracle stesso nella lotta. Sulrilievo dato all’atletica nel dramma satiresco, cf. Seaford 1991, 86 s.

55 [Demetr.] de elocut. 169 oujde; ga;r ejpinohvseien a[n ti" tragw/divan paivzousan, ejpei; savturongravyei ajnti; tragw/diva"; cf. in proposito Di Marco 2000, 31 ss. e Burzacchini 2005, 132 n. 5,con ulteriori indicazioni bibliografiche.

56 Cf. supra, n. 19 per quanto riguarda la commedia e il dramma satiresco; per una recente trattazio-ne del personaggio di Eracle in tragedia, soprattutto nel teatro di Euripide, cf. Papadopoulou 2005.

57 L'aggressione esercitata dal dramma satiresco nei confronti della tragedia è efficacemente espres-sa nel campo figurativo da due coppe attiche della metà del V secolo (si tratta di due oinochoaidescritte da Beazley 1963, 1258, 1 e 2; una foto del primo vaso si trova in Seaford 1984, pl. IV; ecf. anche Robertson 1992, 229). In una di esse un satiro, di nome Kissov", «Edera», sta aggreden-do una ninfa che dorme (che si chiama Tragw/diva), nell’altra invece una ninfa che si sta vestendo.Marshall 2000, 230 interpreta queste raffigurazioni vascolari come «a visual depiction of the fun-ction of satyr drama, and the relationship between the two genres»: come l’edera anche il drammasatiresco ha bisogno del sostegno della tragedia, in quanto vive parassitariamente al suo fianco. Amio parere anche questa scena dell’Alcesti può essere letta nei termini di un relazionarsi reciprocodei due generi: Eracle, che rappresenta il genere satiresco, invade gli spazi della casa in lutto, ov-vero gli spazi tragici: ma è un’aggressione che si risolve in una conclusione conciliatoria, in cuitragico e antitragico trovano equilibrio e reciproca risoluzione. Se non mi spingo troppo oltre,l’intera scena può essere dunque letta secondo la seguente chiave interpretativa: da una parte larhesis del Servo (ovvero come la tragedia vede il dramma satiresco: sconveniente, grossolano,volgare), dall’altra la rhesis di Eracle (ovvero come il dramma satiresco vede la tragedia: austera,accigliata, incapace di cogliere e far proprie le semplici e quotidiane gioie della vita), quindi ildialogo tra i due personaggi, ovvero la conciliazione fra punti di vista antagonisti nella soluzionedi un moderato e pensoso happy end che trasforma il già celebrato rito funebre in un’atipica formadi rito nuziale.

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III. La bella morte al femminile e i pianti funebri al maschile: la correzione

dei modelli tradizionali.

III. 1 La tendenza al rovesciamento riscontrabile in forma palese già nell’azionedrammatica, che inizia con una morte e termina con la rinnovata unione dei dueprotagonisti58, agisce in maniera più sottile ma pur nitidamente percepibile anchenella caratterizzazione dei personaggi. Questo dramma inscena dall’inizio alla fine ilsistematico ribaltamento dei codici eroico-aristocratici che erano tipici dell’epos eche la tragedia anteriore ad Euripide aveva fatto propri. Nell’Iliade a morire sono gliuomini, in battaglia, e a piangerli sono le loro donne (si ricordino in particolare i duelamenti di Andromaca, in Il. 22.477-514 e 24.725-45, per la morte di Ettore, che ècaduto per difendere la patria dal nemico); qui è una donna che muore per difenderel’oi\ko"59 e a piangerla è il marito. E come i lamenti di Andromaca per Ettore eranoriecheggiati da un coro di donne (su questa linea si pone il verso formulare w{"

e[fato klaivousÆ [scil. hJ jAndromavch], ejpi; de; stenavconto gunai'ke" in Il. 22.515 e24.746), qui, per simmetria speculare, il pianto dell’uomo per la morte della consorteè accompagnato da un coro maschile (è la situazione dell’epiparodo, ai vv. 861-934,con il ritorno di Admeto e del Coro dall’ejkforav)60.

58 Su questo aspetto cf. ad es. Luschnig 1990 (in partic. § V: «The transformation of the funeral intoa wedding», pp. 37-39).

59 Tra l’altro - e la cosa non è probabilmente accidentale - Alcesti non muore nei penetrali dellacasa, in modo riservato e raccolto, come molte eroine femminili, soprattutto sofoclee, che entranonello spazio retroscenico per morire (Giocasta, Deianira, Euridice), ma incontra la morte fuoridall’oi\ko", negli spazi aperti e dunque pubblici, sotto gli occhi del Coro che rappresenta la comu-nità, così come negli spazi aperti del campo di battaglia e sotto gli occhi dei loro compagni mori-vano gli eroi iliadici (e così come, sulla scena tragica, muoiono o arrivano ormai morenti l’Aiacesofocleo, l’Eracle delle Trachinie e Ippolito nell’omonimo dramma euripideo). L’inversione deiruoli all’interno della coppia Alcesti-Admeto, con la tendenziale femminilizzazione di Admeto,era stata già notata in partic. da Segal 1992a e 1992b, e da Siropoulos 2001; ciò che qui mi pro-pongo di far emergere è la presenza, in filigrana, dei modelli letterari di riferimento a cui Euripideattinge nella costruzione dei protagonisti di questo dramma, allo scopo di evidenziare la presa didistanze del più giovane drammaturgo nei confronti delle forme tragiche anteriori, che dall’eposomerico erano più direttamente influenzate.

60 Come ulteriore elemento di correzione rispetto al modello omerico, si noti che, mentre nell’Iliadeè Andromaca a verbalizzare il lamento funebre e il gruppo di donne risponde con i suoi gemiti(ejpi; de; stenavconto gunai'ke", per l’appunto), nell’Alcesti, invece, nella prima coppia stroficadell’epiparodo, il rapporto appare invertito, in quanto è Admeto ad essere subordinato al Coro,riecheggiandone gli interventi trenodici con formulazioni interiettive (cf. Alc. 872-76: CO. provbaprovba, ba'qi keu'qo" oi[kwn. AD. aijai'./ CO. pevponqa" a[xiÆ aijagmavtwn. AD. e] e[./ CO. diÆ ojduvna"e[ba", savfÆ oi\da. AD. feu' feu'./ CO. ta;n nevrqe dÆ oujde;n wjfelei'"... AD. ijwv moiv moi, ktl. , inresponsione strofica con i vv. 889-94: CO. tuvca tuvca duspavlaisto" h{kei. AD. aijai'./ CO.

pevra" dev gÆ oujde;n ajlgevwn tivqh". AD. e] e[./ CO. bareva me;n fevrein, o{mw" de;... AD. feu' feu'./CO. tla'qÆ· ouj su; prw'to" w[lesa"... AD. ijwv moiv moi, ktl.).

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L’inversione dei ruoli fra uomo e donna era già nel sostrato folklorico61. Tuttaviatale rovesciamento Euripide lo ha tematizzato nel corso del dramma, facendo in mo-

do che la costruzione del personaggio di Alcesti assuma tratti che erano tipici dell’i-deologia aristocratica. Per tutto il dramma ricorre ripetutamente, in riferimento adAlcesti, l’epiteto epico per eccellenza, ajrivsth, con un’insistenza e ripetitività di

nessi che autorizza a parlare di un’autentica formula alla maniera omerica. Natural-mente a[risto" è un termine generico, che di per sé non necessariamente rimandaall’etica eroica. Anzi, si trova associato ad Alcesti precisamente nell’Iliade in riferi-

mento alla sua bellezza: Eu[mhlo", to;n uJpÆ jAdmhvtw/ tevke di'a gunaikw'n/ [Al-

khsti" Pelivao qugatrw'n ei\do" ajrivsth (Il. 2.714-15). È tuttavia significativo chegran parte delle attestazioni di questa formula in Euripide si trovino in contesti carat-

terizzati da temi o moduli espressivi - in alcuni casi topici, in altri casi riconducibilia specifici modelli testuali - che mirano ad equiparare l’eroina a personaggi iliadici oa loro diretti epigoni tragici caratterizzati in senso eroico-aristocratico. Euripide

sembra, cioè, aver voluto correggere Omero, estendendo l’attribuzione dell’epitetoajrivsth dall’ambito estetico a quello più propriamente ideologico e conferendo aquest’ultimo un eccezionale rilievo62. Nella parte che segue mi limiterò a segnalare

alcuni dei casi più significativi, tratti soprattutto dalla prima parte del dramma, in-centrata attorno alla protagonista femminile63.

III. 2 A delineare le coordinate eroiche del personaggio di Alcesti è anzi tutto larhesis della Qeravpaina nel primo episodio, non a caso introdotta da un distico delCorifeo in cui ad Alcesti vengono riferiti gli epiteti eujklehv" e ajrivsth. L’Ancella, a

61 Le testimonianze dell’antico racconto popolare, che spazia dalla ‘fiaba nordica’, attestata conmolte varianti in area germanica, nelle regioni baltiche e in Russia, alla leggenda bizantina di Di-genis Akritas, al Mahabharata, nonché a un variegato complesso di narrazioni greche e slave, so-no state raccolte e indagate in uno studio fondamentale di Lesky 1925, 1-86, il quale a sua voltaha aperto la via a successive ricerche (cf. in partic. Megas 1933, 1-33; Weber 1936, 117-64;Gaster 1939, 66-90; Beekes 1986, 225-39; per i temi costitutivi del racconto, cf. Thompson 1956,D 1855.2 («death postponed if someone can be found»), T 211.1.1 («wife dies so that husband’sdeath may be postponed»); R 185 («mortal fights with Death»). Per alcune utili sintesi cf. Torraca1963a, 54-65 e Brillante 2005, 9-13.

62 Alcesti rimane naturalmente anche in Euripide bellissima: lo sottolinea l’Ancella ai vv. 173 s.(a[klauto" ajstevnakto", oujde; toujpio;n/ kako;n meqivsth crwto;" eujeidh' fuvsin) e soprattutto loproclama Admeto ai vv. 332 s., in una formulazione che ricorda la definizione omerica dell’eroi-na: oujk e[stin ou{tw" ou[te patro;" eujgenou'"/ ou[tÆ ei\do" a[llw" ejkprepestavth gunhv. Ma Euri-pide, come vedremo, va ben oltre, nella caratterizzazione del personaggio, rispetto a questo so-strato già omerico.

63 Per un più esteso esame, cf. quanto ho scritto in Modelli omerici nell’‘Alcesti’ di Euripide: testoe intertesto, in L. Castagna-R. Gazich (a cura di), Studi in onore di G. Aricò, Milano 2007 (c.d.s.).

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sua volta, proprio all’attacco del suo discorso, riprende con espansione retorica ascopo confirmatorio la formula ajrivsth:

CO. i[stw nun eujklehv" ge katqanoumevnhgunhv tÆ ajrivsth tw'n uJfÆ hJlivw/ makrw'/.

QE. pw'" dÆ oujk ajrivsth; tiv" dÆ ejnantiwvsetai; (Alc. 150-52).

Attraverso la narrazione che s’accinge a dispiegare, l’Ancella si propone preci-samente di dimostrare che la fama dell’ ajrethv di Alcesti, già da tempo di pubblicodominio, è stata confermata dalle sue ultime azioni all’interno dell’oi\ko", che riem-piranno di ammirazione l’ascoltatore (Alc. 153-57). Non è un caso che dopo taleprogrammatico preambolo, proprio all’inizio del racconto dell’ajrethv della sua regi-na, l’Ancella collochi una scena di vestizione. Alcesti si lava, prende dalla casse dicedro gli abiti e si abbiglia con cura:

[QE.] ejpei; ga;r h[isqeqÆ hJmevran th;n kurivanh{kousan, u{dasi potamivoi" leuko;n crovaejlouvsatÆ, ejk dÆ eJlou'sa kedrivnwn dovmwnejsqh'ta kovsmon tÆ eujprepw'" hjskhvsato. (Alc. 158-61).

Anche le aristie dei guerrieri iliadici iniziavano con una scena di vestizione, di-venuta topica nella letteratura successiva ispirata ai modelli epici, dallo Scutumpseudoesiodeo, con la vestizione di Eracle, alla ripresa del modulo nei Sette eschilei,con l’armarsi di Eteocle che doveva avvenire in forma ridotta sulla scena ai vv. 675s. Alla vestizione del guerriero epico-tragico finalizzata alla sua aristia guerresca,con la descrizione più o meno dettagliata dell’armatura, è fatta così corrispondere lavestizione di una sposa che affronta la morte, con la conseguenza che il suo abbi-gliarsi è finalizzato - per la nota analogia simbolico-antropologica fra rito nuziale erito funebre64 - all’incontro con Ade, nemico e nuovo sposo al tempo stesso, che nelsuo delirio, ai vv. 259 ss., ella vede in atto di strapparla dalle braccia di Admeto, percondurla nella sua casa, il regno dei morti65. Euripide ha dunque creato un esempiodi ajrethv domestica come corrispettivo femminile dell’ajrethv militare dell’eroe epi-co-tragico.

III. 3 Un altro segnale dell’adozione, in riferimento ad Alcesti, di temi e situazio-ni presenti nel modello iliadico è nella scena conclusiva evocata dall’Ancella nella

64 Cf., tra i più recenti lavori sul motivo nel genere tragico, Rehm 1994 (in partic. pp. 84-96).65 Ai vv. 744-46 il Coro insignisce Alcesti dell’onore della paredria, facendola sedere accanto allaregina degli Inferi, Proserpina, nella dimora di Ade.

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sua rhesis, come ultimo atto dell’aristia di Alcesti, con la descrizione del lamentodei servi che si stringono attorno alla loro regina e la piangono quasi fosse già morta.

In questo contesto pre-trenodico la Qeravpaina evidenzia la gentilezza con cui lasua padrona trattava persino i più umili della casa:

[QE.] pavnte" dÆ e[klaion oijkevtai kata; stevga"devspoinan oijktivronte"· hJ de; dexia;nprouvteinÆ eJkavstw/ kou[ti" h\n ou{tw kako;"o}n ouj prosei'pe kai; proserrhvqh pavlin (Alc. 192-95).

Anche il secondo Servo che compare in scena - il Qeravpwn preposto da Admetoal servizio di Eracle - in una rhesis per vari aspetti specularmente inversa rispetto aquella dell’Ancella del primo episodio66, ricorda, in una sorta di lamento funebre adistanza, l’amabilità con cui la regina era solita prendere le difese degli schiavi, mi-tigando la collera del marito:

[QE.] hJ dÆ ejk dovmwn bevbhken, oujdÆ ejfespovmhnoujdÆ ejxevteina cei'rÆ ajpoimwvzwn ejmh;ndevspoinan, h} Æmoi; pa'siv tÆ oijkevtaisin h\nmhvthr· kakw'n ga;r murivwn ejrruveto,ojrga;" malavssousÆ ajndrov" [...] (Alc. 767-71).

È un tratto, questo, che riceve grande rilievo nei lamenti funebri in onore di

Patroclo e di Ettore da parte delle due donne che nel rispettivo contesto socialehanno una posizione di maggiore debolezza o inferiorità: Briseide, che è unaschiava, sottolinea la costante dolcezza di Patroclo (meivlicon aijeiv) a partire dal

momento della sua riduzione in schiavitù (Il. 19.295-300) ed Elena in Il. 24.767-75si sofferma a lungo a descrivere la gentilezza con cui Ettore la proteggeva quandoaltri parenti la trattavano duramente. Le corrispondenze appaiono evidenti soprat-

tutto tra il lamento funebre del Servo e il qrh'no" di Elena per Ettore: Euripidericorre al verbo ejrruveto (Alc. 770) per esprimere l’atteggiamento di protezione delcapo-famiglia che nella formulazione iliadica era reso con katevruke" (Il. 24.771),

mentre il concetto di ‘lenire’, che nell’ipotesto omerico era tradotto in unacomplessa formulazione che conferiva evidenza soprattutto all’efficacia mitigante

66 Le due rheseis intendono essere simmetriche e rovesciate al tempo stesso, a segnare due momenticontrapposti dell’azione drammatica, lo spoudaion e il geloion: la prima rhesis descrive il com-portamento composto e dignitoso dell’eroina tragica allo scopo di suscitare ammirazione negli a-scoltatori, la seconda descrive l’atteggiamento scomposto di un personaggio che ha, sia pure tem-poraneamente, tralignato rispetto all’habitus tragico. Per questi paralleli, cf. Garner 1990, 65 s. eLange 2002, 224.

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delle parole di Ettore (ejpevessi paraifavmeno".../ sh/' tÆ ajganofrosuvnh/ kai; soi'"ajganoi'" ejpevessi Il. 24.771 s.), nel discorso del Servo euripideo viene richiamato informa sintetizzata dal participio malavssousa (Alc. 771).Il Coro, a sua volta, nel canto che segue alla rhesis dell’Ancella e che fa da pas-

saggio all’ingresso in scena dell’eroina, ripete per due volte l’epiteto ajrivsth da cuiil racconto dell’aristia di Alcesti era stato introdotto (ta;n ajrivstan gunai'ka vv. 235s. e ajrivsth" [...] ajlovcou th'sde v. 241; cf. vv. 151 s.), sanzionando attraverso lavoce della collettività l’eccellenza della sua regina.

III. 4 Anche il modo di esprimersi di Alcesti nel monologo sul letto nuziale, in-globato all’interno della rhesis dell’Ancella, ne qualifica con evidenza la matriceeroica. Al v. 180 ella proclama che «muore perché ha riguardo (ojknou'sa) a tradire il

letto e lo sposo», e ricorre a questo proposito all’intenso termine prodou'nai. Più ingenerale, per tutto il dramma la timhv nei confronti dello sposo è la motivazioneprincipale che viene attribuita alla scelta sacrificale di Alcesti. Secondo l’Ancella, la

regina muore perché ha onorato il marito (povsin protimw'sa v. 155), e Alcesti stes-sa lo conferma all’inizio della sua rhesis ai vv. 282 ss.: ejgwv se presbeuvousa...qnh/vskw. L’insistenza sulla timhv anziché sulla componente dell’eros, ovvero il fatto

che Alcesti proclami «muoio perché ti onoro», anziché dire quel che alcuni critici sisarebbero aspettati (o avrebbero preferito): «muoio perché ti amo»67, si può spiegare,a mio parere, nella stessa prospettiva. Euripide intende qui costruire un personaggio

in cui la matrice eroica è prevalente. L’insistenza sul tema dell’eros ne avrebbe fattoun personaggio diverso, troppo sbilanciato nella direttrice elegiaco-romanzesca, adiscapito della dimensione eroica.

Lo conferma il fatto che Euripide riferisca ripetutamente ad Alcesti che affrontala morte per salvare lo sposo e dunque l’oi\ko" la terminologia encomiastica che èpropria dei discorsi in onore dei soldati che muoiono per la salvezza della patria. Il

topico uJpe;r th'" patrivdo" qanei'n si trasforma in un uJpe;r tou' povsew" qanei'n: suquesta linea si pongono i vv. 155 povsin protimw'sÆ h] qevlousÆ uJperqanei'n, 178 ejktou'dÆ ajndrov", ou| qnhv/skw pevri68, 284 qnhv/skw... uJpe;r sevqen, 471 proqanou'sa

67 Anche a causa dell’assenza di un’esplicita proclamazione d’amore da parte di Alcesti, Wilamo-witz formulò la celebre tesi secondo cui Alcesti morirebbe delusa e disamorata, e se potesse nonriconfermerebbe la sua decisione: si vedano in proposito Sicking 1998, e G. Paduano, L’unitàdell’‘Alcesti’ e la doppia ricezione, in Pattoni-Carpani 2004, 350; per una recente sintesi delle va-rie posizioni critiche in merito alla scelta dell’eroina, cf. anche Siropoulos 2000, 190 s. Più in ge-nerale, sulla reticenza alle proclamazioni dell’eros in tragedia, che «all’amore concede il protago-nismo solo quando è possibile marcarlo di condanna e deplorazione», cf. Paduano 2005, 90.

68 Al v. 178 Diggle accoglie la proposta di Wilamowitz di correggere in pavro" il pevri tràdito che,nella connessione sintattica con qnh/vskein, non risulterebbe documentato per la tragedia. L’emen-

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fwto;" oi[ch/, 620 h{ti" ge th'" sh'" prouvqane yuch'", tevknon, 1002 au{ta pote;prouvqanÆ ajndrov". Anche il motivo del swvzein è analogamente declinato, allo scopo

di fare di Alcesti la ‘salvatrice’ dello sposo: vv. 340 s. su; dÆ ajntidou'sa th'" ejmh'" ta;

fivltata/ yuch'" e[swsa", vv. 625 s. w\ tonde me;n swvsasÆ, ajnasthvsasa de;/ hJma'"pivtnonta", v. 667 swth'ro".

E allo stesso modo dell’uJpe;r th'" patrivdo" qanei'n, anche l’uJpe;r tou' povsew"

qanei'n è foriero di gloria. Lo proclamava il Corifeo al v. 150 (i[stw nun eujklehv" gekatqanoumevnh), e da ultimo lo ribadisce Admeto al v. 938 (pollw'n de; movcqwn

eujkleh;" ejpauvsato).Alcesti stessa si dimostra consapevole di tale spessore ideologico. Dopo aver pro-

clamato che muore per aver onorato il consorte (ejgwv se presbeuvousa... qnh/vskw v.

282), la Regina prosegue con un discorso analogamente orientato in senso eroico-aristocratico: ha scelto la morte perché non ha voluto vivere privata di Admeto, con ifigli orfani (oujk hjqevlhsa zh'n ajpospasqei'sav sou/ su;n paisi;n ojrfanoi'sin, vv.

287 s.). Per Alcesti una vita senza il marito è dunque un ajbivwto" bivo", una vita non-vita, che non merita d’essere vissuta. Si tratta di una sofisticata variazione - converti-ta al femminile - del principio h] kalw'" zh'n h] kalw'" teqnhkevnai, del «bene vivere

o bene morire», che ha spinto ad esempio l’Aiace sofocleo a preferire la morte. SiaAiace che Alcesti amano la vita (lo dimostrano gli accorati appelli alla luce del soleche questi eroi pronunciano prima della morte)69, ma, secondo una concezione che

risale in definitiva a una comune matrice eroico-aristocratica, essi non possono ac-cettare una vita depauperata (nel caso di Alcesti un’esistenza affettivamente dimidia-ta, priva del marito e con i figli orfani; nel caso di Aiace una vita privata della buona

fama nonché della stima del padre e dei suoi simili)70. Eppure - aggiunge Alcesti - lesarebbe stato possibile risposarsi e continuare a vivere negli agi. In sostanza, ad Al-cesti si prospettava la scelta tra una lunga esistenza, ricca di soddisfazioni materiali

damento, che renderebbe l’idea di «morire in difesa di», comunque espressa dal testo tràdito, an-cora più evidente, in considerazione del concetto di priorità implicito nella preposizione (cf. Eur.HF 536), non è tuttavia necessario: cf. in proposito quanto osserva Susanetti 2001, 182.

69 Cf. Soph. Ai. 856 ss. e Eur.Alc. 244 ss.70 Questa consapevolezza, che ad Alcesti è chiara fin dal momento della sua scelta, sarà fatta propriada Admeto solo al termine del suo personale percorso di apprendimento, in un processo che rap-presenta una variante minore del precetto eschileo del pathei mathos. Soltanto ai vv. 935 ss., ap-pena prima della restituzione di Alcesti ad opera di Eracle, egli esprime - con assai più ricche mo-tivazioni - quello che Alcesti aveva sinteticamente espresso in un verso e mezzo come motivo del-la sua scelta, e che, fatto oggetto di razionalistiche riflessioni e portato alle estreme conseguenze,fa enunciare ad Admeto la paradossale conclusione secondo cui il destino di Alcesti, sul quale si èfinora pianto, è in realtà di gran lunga migliore del suo, e la scelta di lei si è rivelata come la piùlungimirante. Ad Alcesti spetterà infatti la sorte più desiderabile (la fine degli affanni e la buonafama), a lui invece quanto v’è di peggiore al mondo (una vita vuota e infelice, il disprezzo delprossimo e perfino dei figli).

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ed edonisticamente improntata (e[cousÆ ejn oi|" ejterpovmhn ejgwv v. 289), e una vitapiù breve, caratterizzata da morte prematura ma nobilitata dalla fama: e lei ha optatoper la soluzione di tipo aristocratico, come quella che ha contrassegnato i destini diun Achille o di un Eracle.Subito dopo, Alcesti contrappone la sua scelta a quella dei genitori che hanno tra-

dito il figlio, rifiutando il klevo" che sarebbe loro venuto dal morire per lui:

[ALK.] kaivtoi sÆ oJ fuvsa" chj tekou'sa prouvdosan,kalw'" me;n aujtoi'" katqanei'n h|kon bivou,kalw'" de; sw'sai pai'da keujklew'" qanei'n (Alc. 290-92).

Il prouvdosan del padre e della madre di Admeto rappresenta il comportamentoantitetico a quello che Alcesti aveva attribuito a se stessa al v. 180 (prodou'nai...

ojknou'sa), mentre il nesso eujklew'" (kalw'") (kat)qanei'n del v. 291 riprende e ro-vescia l’identica espressione che al v. 150 era stata riferita dal Corifeo ad Alcesti(i[stw nun eujklehv" ge katqanoumevnh). E anche se Alcesti non menziona espressa-

mente la ricerca della gloria tra le motivazioni della sua morte, come fanno talora iguerrieri omerici (come pure alcuni personaggi tragici eschilei e sofoclei caratteriz-zati in senso eroico-aristocratico)71, il fatto che ella ne parli espressamente e con

insistenza come di una prospettiva che i genitori avrebbero potuto far propria e han-no invece rifiutato, significa quanto meno che la donna è pienamente consapevoledel klevo" che a lei ne deriverà.

Nel dramma è tuttavia soprattutto il Coro, in quanto portavoce della collettività,garante e depositaria della fama, a dar voce all’eu[kleia di Alcesti, in particolare nelsecondo stasimo (vv. 445 ss.), dove il klevo" dell’eroina è affidato al canto dei poeti,

proprio come avvenne per il klevo" dei combattenti a Troia ad opera di Omero,nonché nell’ultimo canto corale, dove la defunta regina appare addirittura divinizza-ta, una mavkaira daivmwn, e la sua tomba è fatta oggetto di rituali preghiere (vv. 995

ss.). Soprattutto in questi ultimi versi si notano sorprendenti analogie con gliejpitavfioi lovgoi della retorica encomiastica.Proprio nel 439 a. C., l’anno precedente alla rappresentazione del dramma, Peri-

cle aveva tenuto un discorso in onore dei caduti nella guerra contro Samo, che dove-va far leva su questi motivi, come si desume dalla testimonianza di Plutarco, a suavolta risalente allo storico Stesimbroto:

71 Si ricordino, a titolo puramente esemplificativo, le celebri proclamazioni di Ettore prima di af-frontare Achille, con la consapevolezza di andare incontro a morte sicura, in Il . 22.304-06: nu'nau\tev me moi'ra kicavnei./ mh; ma;n ajspoudiv ge kai; ajkleiw'" ajpoloivmhn,/ ajlla; mevga rJevxa" tikai; ejssomevnoisi puqevsqai; e cf. le osservazioni di Di Benedetto 1983, 69 ss. sul sostrato omeri-co del personaggio di Aiace in Sofocle.

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oJ de; Sthsivmbrotov" fhsin [FGrH 107 F 9] o{ti [scil. oJ Periklh'"] tou;" ejn Savmw/ te-qnhkovta" ejgkwmiavzwn ejpi; tou' bhvmato" ajqanavtou" e[lege gegonevnai kaqavper tou;"qeouv"· oujde; ga;r ejkeivnou" aujtou;" oJrw'men, ajlla; tai'" timai'" a}" e[cousi kai; toi'" ajgaqoi'"a} parevcousin ajqanavtou" ei\nai tekmairovmeqa· tau[t Æ ou \n uJpavrcein kai; toi'" uJpe;r th'"patrivdo" ajpoqanou'sin (Plut. Pericl. 8.9).

In questo discorso Pericle aveva dunque proclamato che i soldati morti a Samosono pari agli dèi (ajqanavtou" e[lege gegonevnai kaqavper tou;" qeouv"): il legamedegli dèi con i viventi si esplica attraverso gli ‘onori’ che essi ricevono e i ‘benefici’che concedono; lo stesso rapporto bipolare (timaiv vs ajgaqav) agisce anche a proposi-to dei morti per la patria, anch’essi, come gli dèi, invisibili. Ebbene, il motivo dellatimhv da tributare ad Alcesti, più volte riproposto dai singoli personaggi nel corso deldramma72, viene ribadito con particolare solennità dalla voce pubblica del Coro nel-l’antistrofe finale del quarto stasimo, dove si proclama che la tomba di Alcesti non èun tumulo qualunque, ma è degna di «essere onorata in modo pari agli dèi» (qeoi'sidÆ oJmoivw" timavsqw v. 997):

[CO.] mhde; nekrw'n wJ" fqimevnwn cw'ma nomizevsqwtuvmbo" sa'" ajlovcou, qeoi'si dÆ oJmoivw"timavsqw, sevba" ejmpovrwn (Alc. 995-98).

Al motivo della timhv segue la menzione dei benefici che proverranno da Alcesti,trasformata in nume benefico:

[CO.] Au{ta pote; prouvqanÆ ajndrov",nu'n dÆ e[sti mavkaira daivmwn·cai'rÆ, w\ povtniÆ, eu\ de; doivh".toi'aiv nin proserou'si fh'mai (Alc. 1002-05).

Questo stasimo riunisce dunque insieme i temi enunciati da Pericle nel suddettoejpitavfio" lovgo": l’equiparazione agli dèi di Alcesti morta per lo sposo (prouvqanÆajndrov" v. 1002, cf. toi'" uJpe;r th'" patrivdo" ajpoqanou'sin in Plut. Pericl. 8.9), instretta connessione con il motivo delle timaiv che le sono dovute (qeoi'si dÆ oJmoivw"timavsqw v. 997; cf. ajqanavtou" e[lege gegonevnai kaqavper tou;" qeouv"... tai'"timai'" a}" e[cousi) e dei benefici che da lei provengono ai viventi (eu\ de; doivh" v.1005; cf. toi'" ajgaqoi'" a} parevcousin). Naturalmente, trattandosi di motivi topici,non possiamo essere affatto certi che Euripide avesse precisamente in mente, duran-

72 Cf. vv. 433 s. ajxiva dev moi/ timh'", ejpei; tevqnhken ajntÆ ejmou' movnh e v. 1092 keivnhn o{poupere[sti tima'sqai crewvn (Admeto), nonché v. 619 to; tauvth" sw'ma tima'sqai crewvn (Ferete).

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te la composizione dello stasimo, questa orazione periclea73. In ogni caso, l’evidenteadozione, in riferimento ad Alcesti, della terminologia encomiastica propria deidiscorsi funebri in onore dei caduti per la patria, alla quale gli spettatori delleDionisie erano sicuramente avvezzi, doveva contribuire in misura significativa arafforzare ai loro occhi l’immagine eroica di Alcesti.

III. 5 A mio parere rientra nella dimensione eroica della protagonista femminileanche il fatto che ella abbia puntuali e vincolanti richieste da rivolgere ad Admeto.Anche a questo proposito alcuni critici hanno frainteso tale aspetto del personaggio,

ritenendo che la gratuità del suo sacrificio venga in qualche misura sminuita dal fattoche ella imponga ad Admeto di non risposarsi. È un’osservazione psicologistica eantistorica che non tiene conto della stratificazione ideologica e culturale del perso-

naggio.Gli eroi iliadici vengono sorpresi dalla morte sul campo di battaglia e non hanno

il tempo di dettare le loro ultime volontà. Ma sulla scena tragica sofoclea non è

infrequente che i personaggi maggiormente caratterizzati in senso eroico, quandohanno la certezza dell’imminenza della morte, impongano in modo autoritario ilproprio volere. Contrariamente ai vari personaggi femminili, soprattutto sofoclei,

che si allontanano dalla scena per darsi la morte in assoluto silenzio (Giocastanell’Edipo re, Euridice nell’Antigone, Deianira nelle Trachinie), l’Aiace sofocleo e-sprime con chiarezza e perentorietà le sue disposizioni testamentarie (cf. Soph. Ai.

567 ejmh;n... ejntolhvn); in particolare, per quanto riguarda Eurisace, nomina Teucrotutore del figlio e gli fa recapitare l’ordine di condurre il fanciullo dai suoi genitori.Ancora più autoritario è l’Eracle delle Trachinie, la cui imposizione - proprio come

la richiesta di Alcesti - va a interferire con il futuro del suo interlocutore: se Alcestitoglie ad Admeto la possibilità di risposarsi, Eracle impone a Illo il matrimonio conIole. Eracle non vuole che nessun altro, all’infuori del figlio, possieda la donna che è

giaciuta al suo fianco (Soph. Trach. 1225-26), ma solo lui deve farla sua sposa, cosìcome Alcesti non vuole che nessun’altra donna si occupi dei suoi figli, ma soloAdmeto deve far loro da madre (Alc. 377). E come Eracle presenta riduttivamente la

sua richiesta come un favore di poco conto (cavrin bracei'an Soph. Trach. 1217), inrapporto agli altri già resi da Illo che sono ben più grandi, così anche Alcestisottolinea l’esiguità della sua richiesta, che è una cavrin... ajxivan me;n ou[pote (Alc.

300), un contraccambio di nessun valore, in rapporto al ben più grande favore - il

73 Cf. in proposito le teorizzazioni di Men. Rhet. (p. 414, 25-27 Spengel) uJmnw'men ou\n aujto;n wJ"h{rwa, ma'llon de; wJ" qeo;n aujto;n makarivswmen, eijkovna" gravywmen, iJlaskwvmeqa wJ" daivmona.Temi encomiastici analoghi si trovano enunciati nel celebre epitafio per i caduti alle Termopili:Sim. fr. 26 P. bwmo;" dÆ oJ tavfo", pro; govwn de; mna'sti", oJ dÆ oi\kto" e[paino".

Dakruoven gelavsai

- 217 -

dono della vita - che lei gli ha fatto74. Non solo: in entrambe le situazionidrammatiche la richiesta viene presentata come «giusta». Nell’osservazione di

Alcesti che quanto lei domanda è conforme a giustizia e Admeto non potrà checonvenirne (divkaia dÆ, wJ" fhvsei" suv Alc. 302) troviamo condensato all’internodella rhesis dell’eroina lo scambio di battute fra Eracle e il figlio, che porta alla

stessa conclusione:

UL. Pravssein a[nwga" ou\n me pandivkw" tavde;HR. [Egwge· touvtwn mavrtura" kalw' qeouv".UL. Toiga;r pohvsw, koujk ajpwvsomai (Soph. Trach. 1247-49).

Assolvere alla richiesta è dunque presentato dal(la) morente come un atto di ‘ri-spetto’, ‘devozione’ od ‘onore’ nei suoi confronti:

Soph. Trach. 1222-24:

HR. tauvthn, ejmou' qanovnto", ei[per eujsebei'nbouvlei, patrw/vwn oJrkivwn memnhmevno",prosqou' davmarta, mhdÆ ajpisthvsh/" patriv.

Eur. Alc. 371-73:

ALK. w\ pai'de", aujtoi; dh; tavdÆ eijshkouvsatepatro;" levgonto" mh; gamei'n a[llhn pote;gunai'kÆ ejfÆ uJmi'n mhdÆ ajtimavsein ejmev.

Si noti la corrispondenza fonico-verbale fra i secondi emistichi di Soph. Trach.124 (mhdÆ ajpisthvsh/" patriv) e Eur. Alc. 373 (mhdÆ ajtimavsein ejmev), a cui fa dacontrappeso nel primo emistichio il comune (anche se diversamente orientato) temadel matrimonio (davmarta e gunai'ka, rispettivamente).La richiesta di Alcesti al marito va dunque a mio parere inquadrata in questa ca-

ratterizzazione, di matrice eroico-aristocratica, che Euripide intende conferire al per-sonaggio75. Caratterizzazione della quale il personaggio sembra pienamente consa-

74 Cf. Alc. 299-301 suv nuvn moi tw'ndÆ ajpovmnhsai cavrin·/ aijthvsomai gavr sÆ ajxivan me;n ou[pote/(yuch'" ga;r oujdevn ejsti timiwvteron) con Soph. Trach. 1216 s. provsneimai dev moi/ cavrin bra-cei'an pro;" makroi'" a[lloi" didouv", 1228 s. peivqou· to; gavr toi megavla pisteuvsantÆ ejmoi;/smikroi'" ajpistei'n th;n pavro" sugcei' cavrin (gli altri favori già resi dal figlio consistono neivari adempimenti previsti dal rito funebre, con la preparazione della pira e l’accensione del rogo,sui quali Illo ha appena prima impegnato la propria parola).

75 Non è mia intenzione trarre da questi accostamenti tra l’Alcesti e le Trachinie deduzioni di alcungenere di cronologia relativa. Questa via, in relazione ad altri passi in comune tra i due drammi,era stata battuta da Riemer 1989, 45-103, che propendeva a favore della priorità cronologica diSofocle; in proposito, rimango sempre sulle stesse posizioni espresse nella recensione alla mono-

M.P. Pattoni

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pevole, come rivela l’enunciazione apposta a suggello della rhesis, dove è Alcestistessa ad attribuirsi l’epiteto di ajrivsth:

[ALK.] [...] soi; mevn, povsi,

gunai'kÆ ajrivsthn e[sti kompavsai labei'n,

uJmi'n dev, pai'de", mhtro;" ejkpefukevnai (Alc. 323-25).

Naturalmente Alcesti non ha strumenti di pressione su Admeto paragonabili aquelli dell’Eracle sofocleo, che avvalendosi della patria potestà presenta il suo vole-re come un ordine perentorio, legato a un giuramento, la cui mancata osservanzacomporterebbe per il figlio la maledizione da parte degli dèi. Quella della regina èuna semplice richiesta (aijthvsomai Alc. 300): la cui autorevolezza risulta però stra-ordinariamente accresciuta dal fatto che Euripide ha fatto in modo che Admeto nonsolo accetti subito, incondizionatamente, con un toccante trasporto (e[stai tavdÆ,

e[stai, mh; trevsh/" v. 328), ma vada molto oltre, aggiungendo ulteriori enfatici segnidella sua timhv, come in particolare il lutto che egli porterà per tutta la vita (vv. 336s.). Più avanti, ai vv. 425 ss., Admeto preciserà anche i termini del lutto pubblico:dodici mesi di severe prescrizioni, e in particolare il taglio delle criniere ai cavalli(vv. 428 s.). Non è certamente casuale che Euripide abbia qui inserito il riferimentoa un’onoranza funebre, la tosatura dei cavalli, che nelle testimonianze degli storici sitrova connessa con la morte di re o condottieri, ai quali l’ajrivsth Alcesti viene dun-que implicitamente equiparata: Erodoto ne fa menzione a proposito dei Persiani inlutto per la morte di Masistio (Herodot. 9.24), e Plutarco in riferimento al tebanoPelopida e al macedone Efestione (Plut. Pelop. 33.3 e Alex. 72.3).

III. 6 Se Alcesti ha tratti che ricordano l’Ettore omerico, o comunque gli eroi del-la tradizione epico-tragica, ad Admeto sono per contro attribuiti moduli espressivi

che richiamano l’Andromaca iliadica. Uno di questi è il riconoscimento della distan-za verticale che lo separa da Alcesti. Indicative sono al riguardo ai vv. 276-79 leparole con cui egli supplica la moglie di non morire: «Su, fatti coraggio. Se tu muo-

ri, io non posso sopravvivere: in te sta che io viva o non viva (ejn soi; dÆ ejsme;n kai;zh'n kai; mhv v. 278), perché io venero il tuo amore». E ancora più esplicite sono leproclamazioni di Admeto nel discorso al padre Ferete ai vv. 644-47: «Non hai volu-

to né hai osato morire per tuo figlio, ma avete lasciato che a morire fosse questadonna, un’estranea alla famiglia, l’unica che io possa a buon diritto definire sia ma-

grafia di Riemer (cf. Pattoni 1991, 330-37), tanto più che non è chiaro se si tratti di riecheggia-menti diretti (anche se sarebbe suggestivo crederlo), e non piuttosto di inconsapevole convergenzadi motivi topici e nessi espressivi in relazione alla strutturazione di questi due personaggi, in variamisura legati all’oi\ko".

Dakruoven gelavsai

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dre che padre» (h}n ejgw; kai; mhtevra/ kai; patevrÆ a]n ejndivkw" a]n hJgoivmhn movnhn vv.646 s.).

Tale processo di assolutizzazione affettiva trova il suo modello, com’è noto, nelsesto libro dell’Iliade, nelle celebri parole con cui Andromaca cercava di trattenereEttore dall’ardore guerriero che l’avrebbe condotto alla morte (cf. in partic. Il. 6.429

s. {Ektor ajta;r suv moiv ejssi path;r kai; povtnia mhvthr/ hjde; kasivgnhto", su; devmoi qalero;" parakoivth"). Un modello, quello iliadico, divenuto canonico, comerivela l’altrettanto celebre rielaborazione che ne ha fatto la Tecmessa sofoclea nel

tentativo di allontanare Aiace dal suicidio: «Chi potrebbe essermi patria al postotuo? Chi ricchezza? In te tutta io mi salvo (ejn soi; pa'sÆ e[gwge sw/vzomai, Soph.Trach. 519, che ricorda la formulazione di Admeto al v. 278, ejn soi; dÆ ejsme;n kai;

zh'n kai; mhv).E come Andromaca in Omero e Tecmessa in Sofocle legavano questa afferma-

zione al fatto di non avere più i genitori, e raccontavano le modalità della loro morte,

così Admeto, che ha sia il padre che la madre in vita, li uccide metaforicamente, colmettere in dubbio il fatto di essere nato da loro:

[ADM.] oujk h\sqÆ a[rÆ ojrqw'" tou'de swvmato" pathvr,oujdÆ hJ tekei'n favskousa kai; keklhmevnhmhvthr mÆ e[tikte, doulivou dÆ ajfÆ ai{mato"mastw'/ gunaiko;" sh'" uJpeblhvqhn lavqra/.e[deixa" eij" e[legcon ejxelqw;n o}" ei\,kaiv mÆ ouj nomivzw pai'da so;n pefukevnai (Alc. 636-41).

ADMETO «Tu non sei il mio vero padre, e quella che dice d’avermi partorito e si chiamamia madre non mi ha partorito davvero: sono nato da sangue servile e di nasco-sto sono stato accostato al seno di tua moglie. Venuto alla prova hai mostratochi sei e non ritengo di essere nato tuo figlio».

Queste parole di Admeto hanno suscitato ingiustificate perplessità in molti critici,che vi hanno visto una deminutio della sua regalità. In realtà esse sono - oserei dire -necessarie nelle strategie intertestuali di Euripide, perché dimostrano la viscosità delmodello iliadico: un modello così influente da non poter essere disatteso, nemmenonel particolare della morte (se non reale, simbolica) dei genitori.

III. 7 La tendenza al rovesciamento nei confronti della tradizione letteraria trovaconferma anche nell’esodo76. Cambiano qui i modelli di riferimento. Se la prima

76 Di questa scena finale sono state date interpretazioni assai divergenti (per una rassegna sintetica,ma ricca di dati, dei vari orientamenti critici, cf. Michelini 1987, 328 s.); recentemente c’è stato

M.P. Pattoni

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parte del dramma mira fondamentalmente alla costruzione di un personaggio a tuttotondo, quello di Alcesti, che attinge all’etica eroica iliadica alla maniera di moltipersonaggi eschilei e sofoclei, nella seconda parte assistiamo alla dissoluzione deipersonaggi epico-tragici in personaggi romanzeschi. E così, se finora i modelli te-stuali di riferimento erano stati soprattutto iliadici, nel finale è l’Odissea, il primogrande ‘romanzo’ dell’Occidente, a fornire temi e situazioni77.La scena dell’esodo applica la tipologia odissiaca novsto" - mhcavnhma - ajnag-

nwvrisi", sempre con lo stesso meccanismo del rovesciamento nei confronti delmodello omerico che abbiamo già visto operare nella prima parte, prettamente‘iliadica’. Nell’Odissea c’è un oi\ko" privo dello sposo e la donna, la fedelePenelope, piange e si dispera per rimpianto del marito lontano, che a tratti credemorto. Qui c’è un oi\ko" privo della sposa e il marito, il fedele Admeto, piange e sidispera per rimpianto della moglie che crede definitivamente morta. Là, Penelopedeve resistere agli uomini che vogliono introdursi in casa sua e prendere il postodello sposo. Qui, Admeto deve resistere all’insistenza di Eracle che - sia pure perfinzione - vuole imporgli una donna ad occupare gli spazi della casa che erano statidi Alcesti. Naturalmente le insidie alla fedeltà della protagonista fanno parte di untopico modulo narrativo romanzesco, il quale impone che la castità o la fedeltàdell’eroina venga messa alla prova durante l’assenza del suo uomo, perché essa siadegna del suo amore. La suprema ironia di Euripide è quella di aver capovolto -anche in questo caso - il modulo odissiaco, attribuendo all’eroe maschile il ruolo che- nell’Odissea - era proprio della protagonista femminile: Admeto, dopo averrivestito i panni dell’Andromaca iliadica, ora si cala nel ruolo della Penelopeodissiaca78. In entrambi i casi, tanto nell’Odissea quanto nell’Alcesti, si arriva

anche chi ha accostato questa scena ai misteri eleusini, individuandovi un significato mistico (cf.Assaël 2004, 37-58).

77 Per l’Odissea come modello per le romance tragedies dell’ultimo Euripide, cf. in partic. Steiger1908, 202-17; Matthiessen 1964, 2; Knox 1971, 68-96; Seidensticker 1982, 162-64.

78 Quanto alla fedeltà di Admeto, sono state date interpretazioni opposte da quanti ritengono da luipienamente superata la prova (cf. ad es. Vicenzi 1960, 524; Burnett 1971, 45 s.; Lloyd 1985, 129)e da quanti vi vedono invece un sostanziale fallimento (come, tra i vari, Drew 1931, 305; Smith1960, 141 ss.; Nielsen 1976, 92-102). Non credo che in questa complessa scena Euripide inten-desse porre al centro dell’attenzione del suo pubblico lo specifico problema della fedeltà di Ad-meto: la reazione dell’intellettuale moderno, dissacratore e causticamente ironico, a questa atipicasituazione drammatica è probabile che sia in gran parte diversa rispetto a quella, eminentementeemotiva, dello spettatore antico (cf. Paduano 1969, 174-76), e comunque mi sembra che il giocoscenico qui prenda la mano ad Euripide (in questo caso appellarsi alla «rhetoric of the situation»,secondo quanto già suggerito in Dale 1954, XXII-XXIX, aiuta in parte a comprendere le tonalitàdella scena). Resta comunque un segno importante della vicinanza fra Admeto e la moglie che sialo stesso Admeto a cogliere la somiglianza fisica tra la donna velata che gli sta di fronte e Alcesti(cf. vv. 1061-63), appropriandosi di un ruolo che nel modello odissiaco era svolto soprattutto da

Dakruoven gelavsai

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all’agnizione attraverso un ‘inganno’: l’identità dell’eroe (Odisseo/Alcesti) ritornatoall’oi\ko" viene infatti inizialmente tenuta nascosta all’afflitto consorte (anche

perché il reduce possa di persona verificare la fedeltà dell’amata)79. E la conclusioneè la medesima: il rinnovato legame matrimoniale fra uomo e donna80. La criticaaristotelica, che ha lasciato traccia nella seconda hypothesis al dramma, risalente ad

Aristofane di Bisanzio, individuava nel finale un elemento comico (to; de; dra'makwmikwtevran e[cei th;n katastrofhvn). Ebbene, Euripide qui crea la komikèkatastrophé attingendo al modello letterario per eccellenza dello happy end, il finale

dell’Odissea, rivisitato con sorridente ironia.

Brescia Maria Pia Pattoni

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79 Questo aspetto, ‘romanzesco’ e ‘comico’ al tempo stesso, viene valorizzato in alcune riscritturemoderne che sugli elementi romanzeschi molto insistono; per es. nel Mistero di Alcesti di Mar-guerite Yourcenar Alcesti asseconda il piano di Eracle ed ascolta, nascosta, il monologo di Adme-to afflitto per la sua morte, e può così constatare di persona i sentimenti del marito nei suoi con-fronti (su questa importante innovazione drammatica, cf. M. Telò, ‘Aspettando Ercole’. Universa-lismo mitico e primitivismo romantico in «Le mystère d’Alceste» di M. Yourcenar, in Pattoni-Carpani 2004, 392 s.). Per contro, nelle rivisitazioni autenticamente tragiche, anche se per buonaparte caratterizzate dal ricorso all’ironia e alla deformazione caricaturale in relazione ad alcunipersonaggi, come nell’Alcesti di Samuele di Alberto Savinio, lo stratagemma dell’inganno è deltutto abbandonato, e l’eroina palesa immediatamente al marito la propria identità (sulla dimensio-ne accentuatamente ‘eroica’ di Teresa-Alcesti in Savinio, cf. M.P. Pattoni, Le metamorfosi di Al-cesti: dall’archetipo alle sue rivisitazioni, in Pattoni-Carpani 2004, 281 s. n. 8).

80 Si potrebbero trovare analogie ancora più sottili. Per Penelope, che non ha notizie di lui da grantempo e a intermittenza lo considera ormai morto (cf. ad es. Od. 19.312 ss., pur dopo le rassicu-ranti parole di Odisseo travestito da mendicante), Odisseo è e non è; anche Alcesti è per tutto ildramma in una atipica situazione, diversa da quella di Odisseo, ma egualmente sospesa tra vita emorte (cf. il commento dell’Ancella al v. 141 e di Admeto al v. 521, con le osservazioni ad loc. diSusanetti 2001). Admeto è impressionato dalla somiglianza fisica della figura femminile con Al-cesti (si menzionano specificamente la morfhv e il devma", Alc. 1061-63); anche nel caso di Odis-seo questa somiglianza è rilevata dapprima molto genericamente da Penelope, in relazione soprat-tutto all’età (Od. 19.357-60), poi da Euriclea in relazione all’aspetto fisico e alla voce (devma"fwnhvn te povda" tÆ Od. 19.380-81). Penelope cerca di resistere quanto più può alle pressioni deiProci, ma poi cede e fissa una condizione per il matrimonio, la prova dell’arco, in quanto ‘costret-ta’ dai rapporti di forza; anche Admeto resiste a lungo all ’insistenza di Eracle, ma alla fine cede eaccoglie la sconosciuta: sta alla caratterizzazione del personaggio di Admeto e soprattutto al rilie-vo conferito in questa tragedia al tema della philia, l’unica forza in grado di creare azione dram-matica, il fatto che la costrizione sia in questo caso esercitata dagli obblighi dell’affetto edell’ospitalità nei confronti dell’amico.

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