Deleuze interprete di Nietzsche: la morale giudaico-cristiana dal risentimento alla cattiva...

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SAPIENZA - UNIVERSITÀ DI ROMA Facoltà di Filosofia Corso di Laurea Magistrale in Filosofia e Studi Teorico-Critici Deleuze interprete di Nietzsche: la morale giudaico-cristiana dal risentimento alla cattiva coscienza Materia Tesi: Storia delle dottrine teologiche Relatore: Prof. Gaetano Lettieri Correlatore: Prof. Daniele Guastini Tesi di Laurea di: Cristiano Carchidi Matricola: 1096570 Anno Accademico 2011-2012

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SAPIENZA - UNIVERSITÀ DI ROMA Facoltà di Filosofia

Corso di Laurea Magistrale in Filosofia e Studi Teorico-Critici

Deleuze interprete di Nietzsche:

la morale giudaico-cristiana dal risentimento

alla cattiva coscienza

Materia Tesi: Storia delle dottrine teologiche

Relatore:

Prof. Gaetano Lettieri

Correlatore:

Prof. Daniele Guastini

Tesi di Laurea di:

Cristiano Carchidi

Matricola: 1096570

Anno Accademico 2011-2012

Indice

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INDICE Introduzione 1

Capitolo 1: Nietzsche e la genealogia, l’importanza del metodo 4

1.1 La genealogia come critica, il senso e il valore 4

1.2 La genealogia e la storia 10

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana 16

2.1 Il risentimento 18

2.1.1 Topologia del risentimento 25

2.1.2 Tipologia 28

2.1.3 L’azione del prete ebraico 31

2.2 La cattiva coscienza 33

2.2.1 Dal risentimento alla cattiva coscienza 33

2.2.2 Pena, dolore, colpa 35

2.2.3 L’intervento del prete cristiano 40

Capitolo 3: Problema del prete e ideale ascetico 45

3.1 Dall’ebraismo al cristianesimo 45

3.2 La psicologia del redentore 53

3.3 La psicologia di San Paolo 57

Capitolo 4: Ascesi come potenza 64

4.1 L’ideale ascetico 64

4.2 Il Nichilismo 72

4.3 La volontà di potenza 78

Capitolo 5: Il valore della differenza 85

5.1 Il corpo e l’esistenza 85

5.2 L’eterno ritorno del differente 92

5.3 La morte dell’uomo e il superuomo 102

Conclusioni 108

Bibliografia 115

Introduzione

1

Introduzione

Per dare una panoramica dell’interpretazione di Nietzsche della morale giudaico-

cristiana, ho preso come riferimento il testo di Gilles Deleuze Nietzsche e la

filosofia, concentrandomi principalmente su quei passi che fanno riferimento alla

Genealogia della morale. È fondamentale in un discorso del genere chiarire fin da

subito quale sia il metodo genealogico e da dove derivi il suo valore per

un’interpretazione della storia. Il primo capitolo sarà dedicato alla descrizione

della genealogia come nuova metodologia storica.

Oltre al testo di Deleuze sarà utilizzato un breve saggio di Michael Foucault

Nietzsche, la genealogia, la storia. Seguendo il testo di Nietzsche si ricerca su

quale campo siano potuti nascere determinati valori morali e quale sia il valore

della morale in se stessa. Deleuze definisce esplicitamente la filosofia di

Nietzsche come filosofia del senso e del valore e chiarisce come non si possa dare

una critica prescindendo da questi concetti. Nella Genealogia della morale,

Nietzsche inizia la critica dei valori morali partendo dall’analisi dei valori -buono

e cattivo- e ponendoli in relazione con i successivi -buono e malvagio-. Ricerca

sia etimologicamente sia storicamente dove si possano essere prodotte differenza

e trasformazione di una morale che nasce come “Morale dei signori”, nella quale

l’attività trova massima espressione, e diviene una “Morale degli schiavi”, dove la

reattività che conduce direttamente al nichilismo prende il sopravvento.

Tenteremo di descrivere ciò che Deleuze definisce come rapporti di forze (attive e

reattive), in cui esse si qualificano in base al ruolo gerarchico che assumono. Si

analizzeranno in seguito, sulla scorta di Deleuze, i concetti di risentimento e

cattiva coscienza che per Nietzsche sono così centrali nella storia che procede dal

Giudaismo al Cristianesimo fino ad arrivare alla modernità (socialismo,

comunismo, democrazia).

Si potrebbe fare un confronto tra religione ebraica e religione cristiana,

ricercandone i relativi rapporti per riconoscere i momenti in cui si produce una

fuoriuscita del cristianesimo dal Giudaismo. Un ruolo centrale rivestirà Paolo di

Tarso. Secondo Nietzsche, come scrive chiaramente Deleuze, il risentimento e la

Introduzione

2

cattiva coscienza sono “prodotti” dall’azione di colui che è l’indirizzatore dei

sentimenti morali: il prete, ebraico e cristiano. Si analizzerà dunque la figura del

prete, con particolare attenzione ai tentativi di descrizione psicologica data da

Nietzsche di Gesù Cristo e di San Paolo (soprattutto quest’ultimo sarà preso come

esempio del “prete-potente”). Commentando passi delle epistole di Paolo si

metterà in rilievo come la rivoluzione cristiana sia stata possibile soprattutto

grazie alla genialità del tipo-prete per eccellenza, capace di trasformarsi da

persecutore a fautore della “Religione universale” e di diventare probabilmente il

primo “profeta” del nichilismo. Il Cristianesimo viene interpretato, dunque, come

operazione eminentemente politica piuttosto che strettamente teologica.

Dall’analisi del prete dovrebbe emergere quello che Nietzsche definisce l’ideale

ascetico, punto focale da cui si snodano i concetti di nichilismo e volontà di

potenza.

Il risentimento, la cattiva coscienza e l’ideale ascetico risulteranno essere delle

maschere attraverso cui si impone il nichilismo che Deleuze distinguerà in

negativo, reattivo e passivo. Il nichilismo verrà definito come volontà del nulla

che inizialmente nega la vita reale in favore di un al di là in cui pone i valori e

crea la figura del Dio-unico. Dopo l’assassinio di Dio da parte dell’uomo il

nichilismo non si diffonderà più come volontà del nulla, ma in senso reattivo

come nulla di volontà. L’uomo che ha perso la credenza nel Dio unico e nei valori

superiori non riesce a trovare un senso all’esistenza ed eclissa la sua volontà fino a

spegnersi passivamente (momento buddhistico, nichilismo passivo).

Definendo il nichilismo come volontà del nulla o nulla di volontà, ciò che

Nietzsche pensa (secondo Deleuze) sempre in azione è una volontà che resta tale

anche quando vuole il nulla. Si tenterà, dunque, di descrivere questo particolare

tipo di volontà che Nietzsche definirà volontà di potenza. Si vedrà come Deleuze

abbia tentato di interpretare il concetto della volontà di potenza nietzschiana,

chiarendo fin da principio che essa non è in nessun modo una volontà, in senso

psicologico e antropomorfico, che vuole la potenza. Deleuze ribalterà i termini del

concetto con una geniale interpretazione della volontà di potenza come potenza di

volontà.

Introduzione

3

Infine, nell’ultimo capitolo, si tenterà di far emergere la particolarità

dell’interpretazione deleuziana della filosofia di Nietzsche e soprattutto ciò che di

questa filosofia più ha influito sul pensiero del filosofo francese. Saranno ripresi i

concetti di corpo ed esistenza per rintracciare il nuovo senso affermativo che,

secondo Deleuze, è operante nell’idea di una trasvalutazione di tutti i valori. Se

corpo ed esistenza sono sempre stati intesi in senso reattivo, come coscienza e

sopravvivenza, Deleuze tenterà di fare emergere da questi fenomeni il senso

affermativo che prevede una trasvalutazione della qualità negativa della volontà di

potenza che ne ha sempre interpretato il senso in modo da prosciugarne la forza

vitale annichilendolo. Arriveremo quindi ad introdurre l’interpretazione forse più

originale e complessa offerta da Gilles Deleuze sulla filosofia di Nietzsche,

intendere la concezione dell’eterno ritorno come eterno ritorno del differente.

Deleuze pensa che Nietzsche, concependo esclusivamente il divenire, rintracci nel

suo fluire costante il suo essere che si esprime nel ritornare. Secondo Deleuze ciò

che è identico nell’eterno ritorno è il ritorno stesso, mentre ciò che ritorna è

eternamente differente. L’eterno ritorno verrà dunque presentato come pensiero

etico e selettivo, contrapposto all’idea greca della ciclicità del tempo.

Si vedrà come il pensiero di Deleuze abbia attinto parecchio dalla dottrina

dell’eterno ritorno inteso come ritorno del differente. Nei suoi testi più importanti,

Differenza e ripetizione e La logica del senso, partirà dalla concezione

dell’eternamente differente per negare la possibilità che si diano identità

conoscibili o sensi finali e unitari invece che molteplici e differenti.

L’ultimo paragrafo del capitolo finale sarà dedicato ad un confronto tra i due

pensatori che forse più hanno subito l’influenza di Nietzsche, Gilles Deleuze e

Michael Foucault, partendo da una scritto dedicato dal primo al secondo in cui

Deleuze ,trattando l’idea foucaultiana della morte dell’uomo, arriva a concepire la

possibilità di un superuomo, inteso non come uomo superiore ma come nuovo

tipo della forma uomo.

Capitolo 1: Nietzsche e la genealogia, l’importanza del metodo.

4

Capitolo 1

Nietzsche e la genealogia, l’importanza del metodo.

1.1. La genealogia come critica, il senso e il valore.

La Genealogia della morale è il testo in cui convergono e prendono forma i

pensieri sulla storia della morale che per Nietzsche hanno sempre avuto

un’importanza capitale e la cui valutazione lo ha coinvolto in quasi tutte le sue

opere, eccezion fatta per la Nascita della Tragedia. Soprattutto in scritti quali

Umano troppo umano, Aurora e Al di là del bene e del male, i pensieri sulla

morale rappresentano il filo conduttore attraverso cui Nietzsche cerca di indagare

il suo tempo, che vede in continua decadenza. La grande novità introdotta da

Nietzsche nella Genealogia della morale, è il metodo attraverso cui indaga la

storia della morale giudaico-cristiana, il metodo genealogico, senza la cui

comprensione è difficile capire come Nietzsche sviluppi alcune interpretazioni

della morale dominante.

Il metodo genealogico ha naturalmente a che fare con la storia, ma vuole essere

prima di tutto un metodo critico del tutto nuovo rispetto alla tradizione della

critica filosofica che arriva fino a Kant. La differenza si pone nella centralità che

Nietzsche dà ai concetti di senso e di valore e nella interpretazione di essi non

come un qualcosa di dato una volta per sempre, ma come entità che cambiano

continuamente polarizzazione in base alla forza che se ne impadronisce.

Vediamo come Gilles Deleuze nel testo Nietzsche e la filosofia, in maniera molto

complessa, cerca di spiegare la differenza tra la nuova critica iniziata da Nietzsche

e la critica tradizionale

“Nel caso di Nietzsche dobbiamo prendere le mosse dal fatto che la filosofia dei

valori, com’è da lui istituita e intesa, è la vera realizzazione della critica, il solo

modo di realizzare la critica totale, ossia di fare filosofia «a colpi di martello». La

nozione di valore implica infatti un sovvertimento critico”1.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!1 G. Deleuze, Nietzsche et la philosophie, Presses Universitaires de France, Paris 1962; trad. it. Nietzsche e la

filosofia, Piccola Biblioteca Einaudi, Milano, 1992, p.3

Capitolo 1: Nietzsche e la genealogia, l’importanza del metodo.

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La differenza della critica dei valori che si ha con Nietzsche consiste nel fatto che

mentre prima di lui i valori erano considerati dei principi e ogni valutazione

utilizzava i valori dati per valutare i fenomeni (senza porli in questione), per

Nietzsche invece è il valore stesso che deve essere valutato per capire da dove

proviene. Il problema di Nietzsche è quello di comprendere come un valore sia

stato creato, inventato o ancora meglio prodotto:

“La valutazione si profila quale elemento differenziale dei valori ad essa

corrispondenti: elemento critico e creativo al tempo stesso. Le valutazioni

restituite al loro proprio elemento, non sono valori, ma modi di essere, di esistere,

da parte di chi giudica e valuta: fungono così da principi a quei valori in base a cui

si giudica e valuta”2.

Ciò che fa la genealogia è investigare sullo sviluppo di questi valori, su come si

sono formati, escludendo la possibilità di coglierli così come si presentano nella

loro idealità. La genealogia coglie nella genesi e nello sviluppo di un concetto non

la continuità che dall’inizio porta già in sé la (il) fine, ma le differenze che si

producono, i punti di vista che convergono e divergono, il conflitto tra forze che

vogliono impadronirsi di un valore per soggiogarlo al proprio senso.

“Genealogia vuol dire valore dell’origine e, al tempo stesso origine dei valori.

Genealogia si contrappone tanto al carattere assoluto dei valori, quanto al loro

carattere relativo o pratico. Genealogia significa elemento differenziale dei valori

da cui deriva il loro stesso valore. Genealogia vuol dire dunque origine e nascita,

ma anche differenza o distanza nell’origine. Genealogia vuol dire nobiltà e

bassezza, nobiltà e viltà, nobiltà e decadenza nell’ordine. Il nobile e il vile, l’alto e

il basso, questo è l’elemento propriamente genealogico o critico”3.

Nel concepire una genealogia della morale, intesa come giudaico-cristiana,

Nietzsche non pone la critica sul piano dei valori dati da questa morale specifica.

Ciò che più gli preme è indagare il valore della morale in genere e ricercare

costantemente la genesi dei valori considerati prettamente morali. I termini buono

e cattivo e buono e malvagio, ad un’analisi più attenta possono ricondurre a verità

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!2 Ibidem, p. 4. 3 Ibidem, p. 5.

Capitolo 1: Nietzsche e la genealogia, l’importanza del metodo.

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diverse da quelle considerate eternamente date dal significato che siamo soliti

attribuire a questi concetti.

Ciò che interessa a Nietzsche nella critica dei valori morali è “Ricondurre ogni

cosa e l’origine di qualunque valore a dei valori; ma anche ricondurre questi

valori a qualcosa che ne sia l’origine, che decida il loro valore”4. Ogni valore

presuppone dunque una valutazione: il senso non è conferito dal suo essere ma

dall’intervento di una forza che gli ha conferito una direzione specifica, un verso.

Il lavoro del genealogista è dunque critico e creativo al tempo stesso; non è un

lavoro obiettivo simile a quello di un giudice che emette le sentenze in un

tribunale, come quello di Kant che utilizza il principio dell’universalità. Non è

neanche il lavoro di un meccanico che utilizza degli arnesi nella maniera degli

utilitaristi inglesi (i quali rappresentano il bersaglio critico della Genealogia fin

dall’inizio della Prefazione in cui Nietzsche stabilisce l’enorme distanza da una

visione della morale simile a quella di Paul Reè), Nietzsche critica la visione

“ingenua” degli utilitaristi inglesi che analizzano i valori della morale in base ad

un principio di utilità da loro arbitrariamente inserito nel contesto. Ciò che

interessa a Nietzsche è cogliere la differenza e la distanza dello sviluppo rispetto

all’origine di un concetto o di un valore, non la sua universalità o utilità. Il

genealogista deve dunque avere una parte attiva, compiere una continua

interrogazione, interpretare.

“In questo libro troviamo all’opera «un essere sotterraneo», uno che perfora,

scava, scalza di sottoterra. Posto che si abbia occhi per un tale lavoro in

profondità, lo si vedrà avanzare lentamente, cautamente, delicatamente

implacabile, senza che si tradisca troppo la pena che ogni lunga privazione di luce

e d’aria comporta”5.

Dunque l’interpretazione è il compito proprio del genealogista che deve essere

capace di cogliere il senso di un fenomeno o di un valore e di conseguenza

scoprire quale sia la forza che se ne è appropriata e la direzione che gli ha

conferito. Il senso è sempre molteplice perché sono molteplici le forze che

momentaneamente s’impadroniscono dell’oggetto. Interpretare il senso

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!4 Ibidem, p. 4. 5 F. Nietzsche, Aurora, Adelphi Edizioni, Milano, 2006, p. 3.

Capitolo 1: Nietzsche e la genealogia, l’importanza del metodo.

7

presuppone il passaggio successivo che è la valutazione dell’interpretazione. Le

forze sono sempre plurali perché sono costantemente in contrasto tra loro in una

lotta continua tra dominante e dominato. L’interpretazione è possibile per la

distanza che c’è tra forza e forza, questa distanza è la macchia cieca su cui si può

inserire il lavoro del genealogista. La distanza tra le forze è la loro differenza, il

rapporto tra le forze è volontà intesa come potenza. “La volontà, volontà di

potenza è l’elemento differenziale della forza” 6 . In ogni azione, in ogni

valutazione è presupposta una volontà che agisce su un’altra volontà, una delle

quali obbedisce mentre l’altra comanda. L’interpretazione e la valutazione

genealogica devono cogliere il pluralismo presente in ogni cosa:

“Nell’idea pluralistica di una cosa a più sensi, nell’idea di più cose, di un «questo

e poi quello» per la medesima cosa, possiamo scorgere la più grande conquista per

la filosofia: la conquista del vero concetto, la sua maturità, piuttosto che la sua

rinuncia o la sua infanzia, proprio perché la valutazione di questo e quello, il

delicato soppesare le cose e i sensi di ciascuna di esse, la stima delle forze che

definiscono in ogni istante gli aspetti di una cosa e i suoi rapporti con le altre-

insomma proprio perché tutto questo (o quello) proviene dall’arte più alta della

filosofia, l’arte dell’interpretazione. Interpretare e valutare significa soppesare”7.

Ogni forza per potersi appropriare di un oggetto deve presentarsi travestita da

altro, indossare una maschera; la difficoltà del lavoro genealogico è proprio quello

di cogliere il significato di ciò che agisce sotto ogni maschera e ciò verso cui

tende il suo travestimento. La difficoltà di cogliere l’origine è rappresentata dal

fatto che essa è celata dietro una trasfigurazione e il lavoro genealogico non può

agire direttamente sull’origine ma deve interrogare lo stato attuale di sviluppo,

unico momento per cogliere le differenze che nel processo agente dall’origine alla

maturità ha prodotto il significato che appare nel momento in cui lo si guarda.

Il genealogista non ricerca, dunque, l’origine ma la differenza tra essa e lo stato

attuale della cosa, i punti di rottura che nello sviluppo storico produce l’attuale.

“Perché mi ritorna sempre questo pensiero e mi arride in colori sempre più vari? Il

pensiero che una volta i pensatori, quando erano sulla strada diretta all’origine

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!6 G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, p.11. 7 Ibidem, pp. 7-8.

Capitolo 1: Nietzsche e la genealogia, l’importanza del metodo.

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delle cose, credevano di trovare sempre qualcosa di ciò che avrebbe avuto per

ogni agire e giudicare un significato inestimabile; che fosse anzi costantemente

presupposta una dipendenza della salvezza umana da una piena cognizione

dell’origine delle cose: mentre noi oggi al contrario, quanto più perseguiamo

l’origine, tanto meno ne siamo partecipi con i nostri interessi; anzi, tutte le

valutazioni e «gli interessi» che abbiano posto nelle cose cominciano a perdere il

loro senso, quanto più regrediamo con la nostra conoscenza a giungere alle cose

stesse. Con la piena cognizione dell’origine aumenta l’insignificanza

dell’origine”8.

È interessante integrare il problema del rapporto tra genealogia e ricerca

dell’origine (presentato da Deleuze) con le parole di Michael Foucault, il quale,

all’interno della Microfisica del potere, inserisce un breve saggio intitolato:

Nietzsche, la genealogia, la storia. Nei primi due paragrafi di questo brevissimo

scritto, il filosofo francese focalizza la sua attenzione sul problema dell’origine

inerente alla ricerca genealogica. Foucault dimostra come Nietzsche usi raramente

il termine Ursprung per designare l’obiettivo della sua ricerca. Non è l’origine

come Ursprung, come identità, essenza e purezza nell’origine; essa non è intesa

da Nietzsche in nessun modo come momento iniziale che si dà in tutta la sua

veridicità: “Ricercare una tale origine, è tentare di ritrovare «quel che era già», lo

«stesso» di un’immagine esattamente adeguata a sé”9. Ma non è questo il lavoro

del genealogista, il quale si distacca dal pensiero metafisico di un’origine del tutto

uguale allo stato attuale per scoprire che “Dietro le cose c’è «tutt’altra cosa»: non

il segreto essenziale e senza data, ma il segreto che sono senza essenza, o che la

loro essenza fu costituita pezzo per pezzo a partire da figure molto estranee”10.

Nel fare una genealogia dei valori morali non si cerca l’origine, intesa come

momento essenziale di un valore che procede dal nulla e come una linea retta

giunge fino al momento attuale senza modificare il proprio significato, ma molto

più sottilmente per il genealogista: “bisogna saper riconoscere gli avvenimenti

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!8 F. Nietzsche, Aurora, cit., p. 39. 9 M. Foucalt, Nietzsche, la généalogie, l’histoire, in «Hommage à Jean Hyppolite», Paris 1971; trad. it. Nietzsche, la genealogia, la storia, in Microfisica del potere, Einaudi, 1977, Torino, p.31. 10 Ibidem, p.32.

Capitolo 1: Nietzsche e la genealogia, l’importanza del metodo.

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della storia, le sue scosse, le sue sorprese, le vacillanti vittorie, le sconfitte mal

digerite, che rendono conto degli inizi, degli atavismi e delle eredità”11.

È in questo punto che s’instaura la differenza con una ricerca dell’origine di

carattere metafisico, del resto:

“La storia, colle sue intensità, cedimenti, furori segreti, le sue grandi agitazioni

febbrili come le sue sincopi, è il corpo stesso del divenire. Bisogna essere

metafisico per cercarle un’anima nell’idealità lontana dell’origine”12.

Secondo Foucault il vero lavoro del genealogista è quello di scovare i momenti di

rottura inerenti alla storia di una cosa, i momenti di discontinuità in cui una certa

interpretazione domina sulle altre e dà al valore un determinato senso. Se non è

l’origine intesa come Ursprung che guida la ricerca genealogica, sono istanze

come la provenienza (Herkfunt) e l’emergenza (Entstehung) che interessano al

genealogista. Herkfunt designa la provenienza come legata strettamente alla

nascita, al sangue, alla tradizione. La ricerca della provenienza non si attua per

trovare le somiglianze tra l’origine e la realtà attuale di una cosa, ma proprio per

trovare e indicarne le differenze nella storia evolutiva che produce un determinato

fenomeno così com’è nella sua diversità: “la provenienza permette anche di

ritrovare sotto l’aspetto unico d’un carattere o d’un concetto la proliferazione

degli avvenimenti attraverso i quali (grazie ai quali, contro i quali) si sono

formati”13. La provenienza designa il particolare modo in cui la storia si è iscritta

in un corpo, inteso come campo su cui si scontrano forze che gli conferiscono un

certo significato. Entstehung sta a designare l’emergenza come apparizione. Il

concetto di emergenza, riferito ad un significato, si pone in netto contrasto con

una presunta storia fatta di continuità che non subisce interruzioni.

“Come se dagli abissi del tempo l’occhio fosse apparso per la contemplazione,

come se la punizione fosse sempre destinata a fare esempio. Questi fini,

apparentemente ultimi, non sono nulla di più che l’episodio attuale d’una serie di

asservimenti: l’occhio fu dapprima asservito alla caccia e alla guerra; la punizione

fu volta a volta sottomessa ai bisogni di vendicarsi, di escludere l’aggressore, di

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!11 Ibidem, p.34. 12 Ibidem, p.34. 13 Ibidem, p. 35.

Capitolo 1: Nietzsche e la genealogia, l’importanza del metodo.

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liberarsi nei confronti della vittima, di spaventare gli altri. Ponendo il presente

all’origine, la metafisica fa credere al lavoro oscuro d’una destinazione che

cercherebbe di farsi strada sin dal primo momento”14.

Ancora una volta con l’uso del termine emergenza, Nietzsche, cerca di attuare una

sorta di superamento della visione metafisica della storia. L’emergenza mette al

centro la forza, il conflitto tra le forze e la vittoria di una sulle altre. La forza

vittoriosa si appropria dell’oggetto per caratterizzarlo. È proprio in questo luogo

che si inserisce la figura della volontà di potenza.

1.2. La genealogia e la storia “La genealogia è la storia come carnevale concertato”

M. Foucault

Che per Nietzsche la storia sia la continua griglia di analisi attraverso cui deve

passare una seria valutazione della realtà attuale, appare chiaro fin da uno dei suoi

scritti giovanili facente parte delle Considerazioni Inattuali: Sull’utilità e il danno

della storia per la vita. In questo testo è già presente sotto forma di crisalide uno

dei più importanti spunti della sua futura, matura filosofia: la storia come

conoscenza ed il suo rapporto con la vita. Non è qui possibile soffermarci sul

rapporto tra storia e vita, ma va detto che ciò che Nietzsche cercò di fare con

questo scritto è riuscire ad asservire la storia alla vita o, per meglio dire, far sì che

non sia la vita che s’immerge nella storia, ma tutto al contrario che sia la storia

utile alla vita.

“Può cominciare la nostra considerazione sul valore della mancanza di valore

nella storia. In essa si esporrà infatti perché un’istruzione senza vivificazione,

perché un sapere in cui l’attività si infiacchisce, perché la storia in quanto preziosa

superfluità di conoscenza e in quanto lusso, ci debbano essere sul serio […]

odiosi”15.

La storia resta fondamentale per cogliere la realtà, ma arreca con sé un gran

pericolo che Nietzsche chiama: ipertrofia storica. Con questa definizione vuol far

cadere l’accento su come “solo in quanto la storia serva la vita, vogliamo servire !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!14 Ibidem, pp. 37-38. 15 F.Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, Adelphi Edizioni, Milano 2007, p.3.

Capitolo 1: Nietzsche e la genealogia, l’importanza del metodo.

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la storia: ma c’è un modo di coltivare la storia e una valutazione di essa, in cui la

vita intristisce e degenera”16 . Il bersaglio della polemica di Nietzsche erano gli

storici dell’epoca i quali, non riuscendo a congiungere in un rapporto equilibrato

storia e vita, da dotti ed eruditi quali erano, creavano un forte squilibrio a favore

della storia che mette in pericolo l’agire, la vita.

La storia rimane però per Nietzsche, elemento costitutivo e costituente la realtà,

unico terreno da cui è possibile partire per una seria analisi della vita (come si può

vedere facilmente dalla critica del pericolo in cui rischia di cadere il senso critico

della storia, nel momento in cui si vuole costruire un presente senza tempo).

Obiettivo del testo è sicuramente quello di evitare un uso sproporzionato e non

prospettico della storia in cui essa andrebbe ad assumere un carattere assoluto e

soprattutto una continuità razionale. Modalità pericolosa di trattare la storia è

appunto quella di sovrapporla alla vita, di renderla più importante di quest’ultima

e con questo di mettere in pericolo l’azione. Utilizzando alcuni versi del Leopardi,

Nietzsche pone il paragone tra l’umano senso storico e quello dell’animale, nel

quale esso è del tutto assente ed ogni attimo è assolutamente nuovo. Vuole

mostrare quanto un istanza, l’oblio, sia fondamentale per l’azione e la vita e come

senza di esso: “un uomo che volesse sentire sempre e solo storicamente sarebbe

simile a colui che venisse costretto ad astenersi dal sonno, o all’animale che

dovesse vivere solo ruminando e sempre per ripetuta ruminazione”17.

In questo primo testo che tratta esplicitamente di storia, Nietzsche la distingue

sotto tre forme, ognuna necessaria ad uno specifico “tipo” di uomo: la storia

monumentale che serve all’attivo e al potente, la storia antiquaria che serve a chi

conserva e venera e, infine, la storia critica per chi ha bisogno di cancellare il

passato per aprirsi un varco nel presente. Ognuno di questi tipi di storia spetta ad

uno specifico tipo di persona. È causa di grande pericolo che una qualunque di

queste tipologie di storia venga utilizzata da un diverso tipo di uomo. Sia la storia

monumentale sia la storia antiquaria che quella critica, modi di utilizzare la storia

per la vita, rischiano, se degenerano, di cadere nel pericolo fatale, non asservire

più la vita, ma negarla, bloccarla, sommergerla.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!16 Ibidem, p.3. 17 Ibidem, p.8.

Capitolo 1: Nietzsche e la genealogia, l’importanza del metodo.

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“In che giova dunque all’uomo d’oggi la considerazione monumentale del

passato, l’occuparsi delle cose classiche e rare delle epoche precedenti? Egli ne

deduce che la grandezza, la quale un giorno esistette, fu comunque una volta

possibile, e perciò anche sarà possibile un’altra volta; egli percorre più

coraggiosamente la sua strada, poiché ora il dubbio che lo assale nelle ore di

debolezza, di volere forse l’impossibile, è spazzato via”18.

La storia monumentale ricerca le vette più alte dell’umanità in cui ritrovare la

stessa altezza che il potente trova in sé nel presente e che lo assicura che ciò che

di grande è avvenuto nel passato può ripetersi nuovamente. Ma cosa succede nel

caso in cui la storia monumentale diventa assoluta e sovrasta gli altri due tipi di

storia? Nietzsche risponde che: “se la considerazione monumentale del passato

domina sulle altre forme di considerazione, voglio dire sull’antiquaria e sulla

critica, lo stesso passato ne soffre danno: intere, grandi parti di esso vengono

dimenticate, spregiate, e scorrono via come un grigio e ininterrotto flusso, mentre

emergono come isole solo singoli fatti abbelliti”19.

Il rischio di un’ipertrofia della considerazione storica monumentale del passato è

quella di escludere ciò che non sta in vetta, di fare un continuum tra i punti più

alti, escludendo il resto e finendo quindi per falsare la storia.

Passando a trattare la storia antiquaria Nietzsche dice: “della storia ha bisogno in

secondo luogo colui che custodisce e venera - colui che guarda indietro con

fedeltà e amore, verso il luogo onde proviene, dove è divenuto; con questa pietà

egli per così dire paga il debito di riconoscenza per la sua esistenza”20. La

considerazione antiquaria della storia, consiste nel rispetto assoluto per la

tradizione, nel sentirsi fermamente e fortemente attaccati alle proprie origini, da

cui non ci si vuole staccare e che anzi si mettono in risalto e non si vogliono

dimenticare. Figli della tradizione, della patria, dei propri avi, il rischio in cui

incorrono è quello di sopravvalutare l’importanza che hanno le radici nel presente

e, per usare una metafora, nella crescita della pianta:

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!18 Ibidem, p.19. 19 Ibidem, p.21. 20 Ibidem, p.24.

Capitolo 1: Nietzsche e la genealogia, l’importanza del metodo.

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“La storia antiquaria degenera nel momento stesso in cui la fresca vita del

presente non la anima e la ravviva più. Ora la pietà s’inaridisce, ora l’abitudine

erudita continua ad esistere senza la pietà e gira in modo egoistico e compiaciuto

intorno al proprio centro. Allora si osserva il ripugnante spettacolo di una cieca

furia collezionistica, di una raccolta incessante di tutto ciò che è una volta

esistito”21.

La degenerazione della considerazione storica antiquaria, consiste

nell’annullamento della possibilità di ogni azione, considerando il passato come in

ogni caso più importante e valoroso del presente e del futuro, l’agire passa quindi

in secondo piano rispetto alla venerazione e ripetizione costante del passato.

Introducendo la visione critica della storia, Nietzsche sembra inizialmente trovare

in essa la giusta soluzione. La storia critica come storia recisa, tentativo di crearsi

un presente che non derivi dal proprio passato, ma che lo nega e lo vuole

dimenticare. È però presente in essa un pericolo per certi versi opposto ai

precedenti, la storia critica rischia di annullare la storia e, senza di essa, non avere

più il terreno da cui poter muovere per l’azione.

Dicevamo, dunque, che il metodo genealogico, introdotto da Nietzsche stesso

nella Prefazione della sua Genealogia della morale, è un metodo innovativo di

indagare la storia che Nietzsche “scopre” circa tredici anni dopo la stesura della

“II Inattuale”. Michael Foucault, forse l’unico vero prosecutore della ricerca

genealogica, utilizza questo metodo in varie ricerche, compiute nel periodo

maturo della sua carriera, sul potere, sul soggetto sulla sessualità, ecc. Nel già

citato saggio intitolato Nietzsche, la genealogia, la storia descrive il metodo

genealogico in Nietzsche, il suo rapporto con la storia e con gli storici del tempo.

Nel settimo e ultimo paragrafo di questo breve scritto, Foucault introduce tre

nuovi sensi in cui si può intendere la storia, così come concepita da Nietzsche

nella Genealogia della morale e li mette in rapporto di superamento con le

precedenti visioni storiche che abbiamo visto utilizzare da Nietzsche nella II

Considerazione inattuale.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!21 Ibidem, p.27.

Capitolo 1: Nietzsche e la genealogia, l’importanza del metodo.

14

Il primo tipo di storia che Foucault presenta è “l’uso parodistico e distruttore di

realtà”, che si contrappone alla “storia monumentale”. Dove quest’ultima coglie

nel passato una sorta di continuità con i momenti più elevati di esso e così facendo

annulla la possibilità di creare qualcosa di interamente nuovo. Quest’uso beffardo

della storia riconosce la parodia che sta dietro questa presunta continuità e ne

segue il processo che è un mero passaggio di maschera in maschera.

Il secondo uso della storia compie, secondo Foucault, una dissociazione

sistematica della nostra identità. Mentre nella storia come parodia era centrale la

negazione di una sorta di continuità ideale della storia, è qui in questione

l’identità:

“La storia genealogicamente diretta, non ha per fine di trovare le radici della

nostra identità, ma di accanirsi al contrario a dissiparla; non si mette a cercare il

luogo unico da dove veniamo, questa prima patria dove i metafisici ci promettono

che faremo ritorno; essa si occupa di far apparire tutte le discontinuità che ci

attraversano”.

Questo modo di usare la storia si contrappone alla storia antiquaria, il cui

obiettivo era proprio quello di riconoscere la propria identità interamente

nell’universo del proprio passato. Ciò che vuole fare il metodo genealogico è

“mettere in luce i sistemi eterogenei che, sotto la maschera del nostro io, ci

interdicono ogni identità”. Ancora una volta la continuità nell’identità non è altro

che una maschera, in questo caso, di un “noi stessi”22.

Il terzo e ultimo uso della storia che traccia il genealogista è “Il sacrificio del

soggetto della conoscenza”23. Il soggetto, lo storico stesso, ha sempre ricercato

l’obbiettività, una coscienza storica neutra mentre, secondo Foucault, questa

coscienza storica è compresa da Nietzsche, tutto all’opposto, come un continuo

dispiegarsi di volontà di sapere che nell’uso scientifico della storia non trova altro

che un’ulteriore maschera, mentre la reale storia è fatta di “istinto, passione,

accanimento inquisitorio, raffinatezza crudele, cattiveria; scopre la violenza dei

partiti presi”24. Ciò che compie la volontà di sapere non è una speculazione di un

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!22 M.Foucault, Nietzsche, la genealogia, la storia, p.51. 23 Ibidem, p.52. 24 Ibidem, p.52.

Capitolo 1: Nietzsche e la genealogia, l’importanza del metodo.

15

soggetto libero che giunge alla contemplazione di una verità universale. Essa si

manifesta come violenza, come accanimento, “disfa l’unità del soggetto”25.

Questo uso della storia attua un superamento rispetto alla storia critica che, nella

preoccupazione per la verità, tralascia completamente la vita. Per Foucault

Nietzsche riprende proprio questa modalità, ma la pone in tutt’altra direzione: “si

tratta di rischiarare la distruzione del soggetto della conoscenza nella volontà,

indefinitamente dispiegata, di sapere”26.

Il metodo genealogico è dunque per Foucault, il superamento di una visione

storica che ingenuamente prende per dati la continuità e l’identità storica oltre che

la scientificità e obbiettività del soggetto-storico.

Una volta affrontato il problema metodologico che comporta la Genealogia della

morale, nel prossimo capitolo sarà possibile discuterne l’applicazione alla morale

giudaico-cristiana di cui, come abbiamo visto, Nietzsche non fa una critica

sistematica rispetto ai valori da essa rappresentati, ma ne critica il valore stesso in

quanto morale.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!25 Ibidem, p.52. 26 Ibidem, p.54.

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

16

Capitolo 2

Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana. “Questo mi ha insegnato una volta la vita: e di qui, saggissimi, io risolvo anche l’enigma del vostro cuore. In

verità io vi dico: un bene e male che fosse imperituro- non esiste! Esso deve superarsi continuamente, da se

stesso. Con i vostri valori e le vostre parole di bene e male, voi esercitate violenza, voi che determinate i

valori: e questo è il vostro segreto e il luccicare, tremare, debordare dell’anima vostra. Ma una forza più

grande cresce dai vostri valori, e un nuovo superamento: per essa si frantuma l’uovo e il suo guscio.

E colui che vuole essere creatore di “bene e male”: in verità costui dev’essere in primo luogo un distruttore, e

deve infrangere valori. Quindi il massimo male inerisce alla bontà suprema: questa però è la bontà

creatrice.”27

Così parlò Zarathustra. Della vittoria su se stessi.

Dopo aver cercato di descrivere il metodo genealogico introdotto da Nietzsche

nella ricerca filosofica, l’attenzione si sposta sull’argomento stesso di tale ricerca:

la morale. Affidando lo studio della morale all’interpretazione genealogica,

Nietzsche si è consapevolmente assunto il rischio di essere frainteso e, pur di

onorare le sue “scoperte”, ha portato il ragionamento sulla morale fino alle

estreme conseguenze, trovando in essa un problema o forse il problema

dell’umanità. La morale è per Nietzsche un’imposizione di valori da parte di chi

domina per continuare a farlo, e non fa e non vuole altro che sopprimere o

annullare fino a che può le forze altrimenti estrinsecabili dell’umanità.

Fin da Umano troppo umano, passando per Aurora e arrivando alla maturità con

scritti quali Al di là del bene e del male e la Genealogia della morale, la morale è

stata il centro degli studi di Nietzsche e ha assunto un’importanza tale da

condizionare i suoi rapporti sociali fino a reciderli. Il terrore di Zarathustra era

arrivare a disprezzare l’uomo: “il problema dell’origine dei valori morali è per me

un problema di prim’ordine, perché da esso dipende il futuro dell’umanità”28.

Nella Genealogia della morale, proprio grazie al metodo che abbiamo tentato di

descrivere, trovano pieno compimento i pensieri sull’origine della morale (che

negli scritti precedenti non hanno trovato la giusta sistematicità).

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!27!F.Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi Edizioni, Milano 2010, p.132!28 F.Nietzsche, Ecce homo, Adelphi Edizioni, Milano 2006, p.90.

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

17

Come ha evidenziato Deleuze, la Genealogia della morale è l’unico o comunque

il più sistematico tra i testi del filosofo tedesco. Il libro è composto da tre

dissertazioni, ognuna delle quali è predisposta ad uno specifico argomento

“polemico” (sottotitolo del testo è infatti: uno scritto polemico).

La prima dissertazione si occupa del fenomeno del ressentiment:

“La verità della prima dissertazione è la psicologia del cristianesimo: la nascita

del cristianesimo dallo spirito del ressentiment, non, come in genere si vuol

credere, dallo “spirito”- un movimento di rivalsa nella sua essenza, la grande

rivolta contro il dominio dei valori aristocratici”29.

La seconda dissertazione si concentra sull’“origine” della cattiva coscienza e del

concetto di colpa e “presenta la psicologia della coscienza: quest’ultima non è,

come si vuol credere «la voce di Dio nell’uomo», - è l’istinto della crudeltà che si

volge all’interno appena non può scaricarsi all’esterno. La crudeltà portata per la

prima volta alla luce come uno dei più antichi e ineluttabili fondamenti della

civiltà”30. La terza e ultima dissertazione indaga sull’influenza che ha avuto

l’ideale ascetico non soltanto sulla morale ma anche sull’arte e sulla scienza: “la

terza dissertazione risponde alla domanda da dove provenga l’immensa potenza

dell’ideale ascetico, dell’ideale del sacerdote, sebbene questo sia l’ideale dannoso

per excellence, una volontà della fine, un’ideale della décadence”31.

In questo secondo capitolo si tenterà di descrivere i fenomeni del risentimento e

della cattiva coscienza, partendo dalla determinazione della differenza tra i

concetti morali di bene e male e i concetti etici di buono e cattivo.

L’interpretazione “energetica” di Gilles Deleuze dei concetti nietzschiani di

risentimento e cattiva coscienza sarà centrale e farà da filo conduttore del discorso

che continuerà nel terzo capitolo con la discussione sull’ideale ascetico e la sua

particolare volontà di potenza.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!29 Ibidem, p.113. 30 Ibidem, p.113. 31 Ibidem, p.114.

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

18

2.1 Il risentimento

“Buono e malvagio, buono e cattivo”32 – questo il titolo della prima dissertazione

della Genealogia della morale. Come risulta evidente, obbiettivo di Nietzsche è

ricercare genealogicamente la genesi di questi concetti e soprattutto la differenza

che intercorre tra la determinazione di soggetti buoni o cattivi e la successiva e

moralizzata differenza tra bene e male come concetti assoluti.

Dopo aver polemizzato, come abbiamo visto nel primo capitolo, con i moralisti

inglesi che ricercano l’origine dei valori morali nella sfera dell’utilità e pongono

azioni altruistiche come buone in sé che diventano valori stabili grazie a

meccanismi psicologici quali l’abitudine e l’oblio, Nietzsche ricerca quale sia il

vero terreno di origine dei valori: buono e malvagio, buono e cattivo. Ciò che

muove il suo interesse è la ricerca delle cause per cui questi concetti si sono

determinati e le ragioni per le quali nei secoli il loro significato sia mutato fino a

diventare l’opposto. Nietzsche pensa che sia importante capire Chi pone questi

valori, da Dove ne provenga l’imposizione. Ritrova, al contrario di ciò che si è

fatto nelle interpretazioni morali precedenti a lui (inglesi soprattutto), questi valori

antitetici come originariamente affermativi, prodotti da una considerazione di se

stessi da parte di soggetti forti potenti e vigorosi: i signori. Questi, come

corrispettivo della loro forza affermativa, si definiscono buoni e impongono

valori, come forse precedentemente hanno imposto un certo linguaggio.

“Sono stati gli stessi «buoni», vale a dire i nobili, i potenti, gli uomini di

condizione superiore e di elevato sentire ad aver avvertito e determinato se stessi

come buoni, cioè di prim’ordine, e in contrasto con tutto quanto è ignobile e

d’ignobile sentire, volgare e plebeo. Prendendo le mosse da questo pathos della

distanza si sono per primi arrogati il diritto di forgiare valori, di coniare le

designazioni dei valori: che cosa importava loro l’utilità33”. E ancora “il pathos

della nobiltà e della distanza, come ho già detto, il perdurante e dominante

sentimento fondamentale e totale di una superiore schiatta egemonica in rapporto

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!32!F. Nietzsche, Genealogia della morale, Adelphi Edizioni, Milano, 2004, p.13!33 Ibidem, p.15.

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

19

a una schiatta inferiore, a un «sotto»- è questa l’origine dell’opposizione tra

«buono» e «cattivo»”34.

Secondo Nietzsche, successivamente, con il declinare della forza aristocratica di

porre (e soprattutto mantenere) valori e l’avvento dell’ebraismo prima e del

cristianesimo dopo, questi valori hanno subito uno spostamento semantico: il non-

egoistico è stato opposto all’egoistico ed è stato pian piano integrato e identificato

con il concetto di «buono», arrivando infine a confondersi con il proprio opposto.

Un’accurata ricerca filologica ha permesso a Nietzsche di rintracciare l’origine

etimologica dei due concetti, buono e cattivo, in varie lingue anche molto distanti

tra loro. Le designazioni del concetto di «buono» nelle diverse lingue hanno avuto

una genesi simile:

“Trovai allora che esse (designazioni di buono) si riconducono tutte a una identica

metamorfosi concettuale -che ovunque «nobile», «aristocratico», nel senso di ceto

sociale, costituiscono il concetto fondamentale da cui ha tratto necessariamente

origine e sviluppo l’idea di «buono» nel senso di «spiritualmente nobile», e

«aristocratico», nel senso di «spiritualmente bennato», «spiritualmente

privilegiato»: uno sviluppo che corre sempre parallelo a quell’altro, il quale

finisce per far trapassare il concetto di «volgare», «plebeo», «ignobile» in quello

di «cattivo»”35.

L’esempio più importante di trasformazione a livello semantico: “è dato dalla

stessa parola tedesca «schlecht» [cattivo] che è identica a «schlicht» [semplice]- si

confronti «schlechtweg» [semplicemente], «schlechterdings» [assolutamente]- e

designava originariamente l’uomo semplice, comune, ancora senza uno sguardo

obliquo, gravido di sospetto, unicamente in antitesi all’uomo nobile. Pressappoco

intorno all’epoca della Guerra dei trent’anni, abbastanza tardi, dunque, questo

significato si modifica in quello oggi corrente.- Questo mi parve, in ordine alla

genealogia della morale, una cognizione sostanziale; se essa è stata raggiunta

soltanto tardivamente lo si deve all’influenza rallentatrice che ha esercitato il

pregiudizio democratico, all’interno del mondo moderno, relativamente a tutti i

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!34 Ibidem, p.15. 35 Ibidem, p.17.

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

20

problemi delle origini”36. Ciò che si evince da questo importante esempio è come

sia un “potere” o, per meglio dire, una forza che, dominando su altre, riesce a

imporsi in ogni ambito partendo da quello del linguaggio, considerato anch’esso

da sempre in maniera idealistica come già dato e designante direttamente il

significato della cosa che rappresenta con il proprio suono.

I valori di buono e cattivo sono imposizioni che si trasformano e cambiano

significato in base a chi in un determinato momento storico li domina e indirizza.

Vediamo velocemente altri esempi in cui la trasformazione semantica dei concetti

di buono e cattivo deriva non direttamente dal loro significato, ma dai caratteri

che li costituiscono: l’aristocrazia greca descritta da Teognide definiva i suoi

componenti come “i veridici”: “la parola coniata in tal senso, “έστλος”, significa,

secondo la radice, qualcuno che è, che ha realtà, che è reale, che è vero; in

seguito, con una trasposizione soggettiva, il vero in quanto veridico: in questa fase

della metamorfosi concettuale essa diventa l’espressione caratteristica e il termine

di riferimento dell’aristocrazia e travalica in tutto e per tutto nel significato di

«aristocratico», per distinguerlo dall’uomo volgare, mentitore, come lo chiama e

lo descrive Teognide...”37 . In altri termini greci come «κακóς» e «δειλóς» che

designano «il plebeo» contrapposto all’«αγαϑóς» “è sottolineata la codardia”.

Infine, “credo mi sia consentito interpretare il latino bonus «il guerriero»: posto

che a buon diritto riconduco bonus a un più antico duonus (confronta

bellum=duellum=duen-lum, in cui mi sembra conservato quel duonus). Bonus

quindi come uomo della disputa, della disunione (duo), come guerriero: si vede

quello che nell’antica Roma costituiva in un uomo la sua «bontà»”38.

Nietzsche considera una regola il fatto che lo spostamento semantico avvenga da

una principio politico ad uno spirituale e non trova un’eccezione nel fatto che sia

la casta sacerdotale che successivamente assurge al potere e di conseguenza

connoti il significato dei concetti di valori in senso sacerdotale: “ed ecco che si fa

avanti per la prima volta il termine di «puro» e «impuro», come segno distintivo

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!36 Ibidem, p.17. 37 Ibidem, p.18. 38 Ibidem, p.19.

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

21

delle classi: e anche in questo caso vengono a svilupparsi più tardi termini come

«buono» e «cattivo» in un significato non più attinente al ceto”39.

Toccando il problema del potere sacerdotale arriviamo al vero centro della prima

dissertazione: il sacerdote è il fautore, secondo Nietzsche, del rovesciamento di

significato subito dai valori un tempo eticamente intesi di «buono» e «cattivo»

che assumono un significato prettamente moralizzato. Il potere sacerdotale ha la

necessità di rovesciare i valori stabiliti dalla società cavalleresco-aristocratica

poiché non ha altre possibilità di conservarsi. Storicamente la prima aristocrazia

sacerdotale che è riuscita ad assumere su di sé il potere, capovolgendo le tavole

dei valori stabiliti affermativamente dai “signori”, è stata quella ebraica,

“Gli ebrei, quel popolo sacerdotale che ha saputo infine prendersi soddisfazione

dei propri nemici e dominatori unicamente attraverso una radicale trasvalutazione

dei loro valori, dunque attraverso un atto improntato alla più spirituale

vendetta”40. In questa impotenza, in questo “unico” modo che avevano gli ebrei

per conquistare il potere si coglie la potenza del ressentiment, l’unica possibilità

che avevano gli Ebrei di ribaltare la situazione storica a proprio favore era

rappresentata dal ribaltamento delle tavole di valori imposti dall’aristocrazia

guerriera:

“Sono stati gli ebrei ad aver osato con una terrificante consequenzialità,

stringendolo ben saldo con i denti dell’odio più abissale (l’odio dell’impotenza), il

rovesciamento dell’aristocratica equazione di valore

(buono=nobile=potente=bello=felice=caro agli dei), ovverossia «i miserabili

soltanto sono i buoni; solo i poveri, gli impotenti, gli umili sono i buoni, i

sofferenti, gli indigenti, gli infermi, i deformi sono anche gli unici devoti, gli unici

uomini pii, per i quali soli esiste una beatitudine- mentre invece voi, voi nobili e

potenti, siete per l’eternità i malvagi, i crudeli, i lascivi, gl’ insaziati, gli empi e

sarete anche eternamente gli sciagurati, i maledetti e i dannati!»…”41 .

Siamo così giunti al punto focale del paragrafo: il concetto di risentimento,

introdotto da Nietzsche in queste pagine della Genealogia della morale come

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!39 Ibidem, p.20. 40 Ibidem, p.22. 41 Ibidem, p.23.

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

22

carattere principale di quel movimento da lui inteso come trasvalutante i valori.

Movimento che, partendo dall’impotenza (dovuta alla mancanza di forza

necessaria all’azione), utilizza gli unici mezzi attraverso i quali può conquistare

“potenza” per liberarsi dal giogo al quale dovrebbe naturalmente sottostare.

Per comprendere il più precisamente possibile il concetto e il significato di ciò

che Nietzsche designa come ressentiment, è necessario appoggiarsi alla geniale

interpretazione che ne dà Gilles Deleuze traducendolo in un linguaggio

“energetico”. Deleuze intende il risentimento come l’impossibilità di una reazione

che non riuscendo ad essere agita diventa qualcosa di sentito. È necessario prima

di procedere, comprendere l’utilizzo del concetto di forza e la distinzione tra

Azione e Reazione.

Deleuze introduce il discorso sulle forze descrivendo ciò che rappresentano per

Nietzsche i concetti di coscienza e di corpo. La coscienza è da intendere per

Nietzsche, come per Freud: “una regione dell’io sulla quale si esercita l’influenza

del mondo esterno. Essa peraltro, più che in rapporto all’esteriorità, ossia in

termini di realtà, viene definita in rapporto alla superiorità, ossia in termini di

valori”42. Questa nuova concezione della coscienza pone anche in un nuovo

rapporto il conscio e l’inconscio. Per Nietzsche la coscienza è sempre coscienza di

un inferiore rispetto ad un superiore che non è cosciente; la coscienza si pone in

un rapporto di sottomissione verso un inconscio che l’asserve e di cui la stessa

coscienza è funzione. Nietzsche pensa che la coscienza emerga solo nei casi in cui

deve riconoscere un corpo superiore rispetto a sé. Il corpo è dunque il prodotto di

un costante rapporto di forze di cui la coscienza è parte, anzi, la parte “inferiore”.

Un qualsiasi corpo si forma nel momento, prodotto dal caso, di un incontro tra

forze che si ordinano e subordinano. Il caso è il rapporto stesso tra le forze ed

“essenza” della forza.

“Essendo composto da una pluralità di forze irriducibili il corpo è un fenomeno

molteplice la cui unità si determina in base a “un dominio”; in esso le forze

superiori o dominanti si definiscono come attive, mentre quelle inferiori o

dominate come reattive. Attivo e reattivo sono qualità originarie che esprimono il

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!42 G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, p.59.

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

23

rapporto tra forza e forza; le forze che entrano in rapporto tra loro non possiedono

infatti una quantità a prescindere da una qualità, ma a una differenza di quantità

corrisponde sempre anche una qualità”43.

Dunque, si deve ad una differenza di quantità la differenza di qualità tra le forze.

“La qualità non è dunque di per se stessa separabile dalla differenza di

quantità”44; ed è proprio questa differenza di quantità che costituisce la qualità

della forza, in un continuo rapporto tra forze.

È necessario introdurre un ultimo elemento, per concludere il discorso

strettamente indirizzato alla descrizione delle forze: la volontà di potenza. Questo

nuovo concetto di volontà (che affronteremo direttamente nel quarto capitolo) è il

vero elemento che pone la differenza tra le forze: “il vittorioso concetto di

«forza», con cui i nostri fisici hanno creato il Dio e il mondo, abbisogna ancora di

un completamento: gli si deve assegnare un mondo interno, che io chiamo

«volontà di potenza»”45. È la volontà di potenza, dunque, l’elemento differenziale

della forza che conferisce una certa qualità e che permette alle forze di comandare

o obbedire: “la volontà di potenza è l’elemento dal quale derivano sia la

differenza di quantità di forze che stanno in rapporto tra loro, sia la qualità che, in

questo rapporto, è proprio a ciascuna forza”46. La volontà di potenza permette che

si produca una differenza nel rapporto tra le forze:

“Essa è il principio della sintesi delle forze, la quale, essendo in relazione con il

tempo, fa sì che queste ripercorrano le medesime differenze e che le differenze si

riproducano. La sintesi delle forze, della loro differenza e del loro riprodursi è

l’eterno ritorno, di cui la volontà di potenza costituisce il principio”47.

Non ci si può spingere oltre in questo discorso che rischia di allontanare dal

punto focale del paragrafo: il risentimento come non-reazione. Descritte le forze

attive e reattive, il loro principio costituente e il prodursi della differenza nel loro

rapportarsi vicendevolmente, si può procedere con lo studio delle forze finalizzato

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!43 Ibidem, p.61. 44 Ibidem, p.65. 45 F.Nietzsche, Frammenti postumi 1884-1885, Volume VII, Adelphi Edizioni, Milano 1990, p.241 46 G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, p.75. 47 Ibidem, p.75.

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

24

alla comprensione del trionfo (storicamente inteso da Nietzsche) delle forze

reattive sotto forma di ressentiment e successivamente di cattiva coscienza.

È fondamentale per il nostro discorso sul risentimento comprendere una

caratteristica delle forze reattive che, forze inferiori che obbediscono, sono

comunque delle forze e come tali si estrinsecano. L’obbedire è una delle due

caratteristiche delle forze di cui l’altra, opposta, è il comandare.

“Le forze inferiori vengono definite reattive; esse non perdono affatto la loro

forza, la loro quantità di forza, anzi, la esercitano e ne garantiscono i meccanismi

e le finalità, le condizioni di vita e le funzioni, i fini di conservazione, di

adattamento e di utilità”48.

La critica di Nietzsche contro il pensiero moderno e contro ogni forma di

meccanicismo e finalismo che contrassegnavano tra le altre istituzioni del

pensiero anche la scienza del suo tempo, si basa sul fatto che esse considerano le

forze solo in maniera reattiva, appunto in termini di adattamento, conservazione

utilità. È ovviamente molto più difficile caratterizzare le forze attive che sono

plastiche e non appartengono alla coscienza. Tutte le funzioni “coscienti” quali, la

memoria, la nutrizione, la conservazione e l’abitudine, sono essenzialmente

reattive ed è naturalmente da queste che parte la coscienza per farsi un’idea del

mondo. L’attività pura è difficile da cogliere. Per Nietzsche è una forza plastica,

creatrice ed affermatrice; è possibile forse intuirla come ciò che conferisce al

corpo la vera forza che gli permette di trasformarsi e ricrearsi al di là della mera

sopravvivenza. Un buon esempio può essere riferito alla memoria, sempre

considerata in maniera reattiva. Nietzsche introduce già in Sull’utilità e il danno

della storia per la vita per poi riprenderlo nella Genealogia della morale, il

concetto di dimenticanza attiva, meglio noto come oblio. Questa forza

sconosciuta e inconoscibile è segno dell’attività pura. Non il ricordare ogni cosa,

ma proprio il saper assorbire e “digerire” il superfluo che ormai è passato.

“Il risentimento denota un tipo le cui forze reattive prevalgono su quelle attive

nell’unico modo che è loro possibile, cessando cioè di essere agite. Dobbiamo

stare attenti a non definire il risentimento come forza di una reazione e non

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!48 Ibidem, p.61.

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

25

dobbiamo dimenticare il principio per cui l’uomo del risentimento è colui che non

re-agisce. Il termine risentimento contiene un’indicazione rigorosa: la reazione

cessa di essere agita per diventare qualcosa di sentito”49.

È importante non considerare le forze reattive come non-forze: “allo stato normale

o di salute, il compito delle forze reattive consiste sempre nel limitare l’azione-

scomponendola, ritardandola ed ostacolandola- in funzione di un’altra forza che

agisce su di noi; inversamente, le forze attive fanno esplodere la reazione in un

dato istante, in un momento favorevole, in una direzione determinata e al fine di

un adattamento rapido e preciso, dando origine così ad un’immediata risposta”50.

Il tipo attivo-in salute non è un tipo in cui agiscono solo forze attive, ma è un tipo

in cui le forze reattive vengono agite. Perché ci sia salute è necessario che ci sia

un giusto rapporto tra forze attive e reattive in modo che le prime comandino e le

seconde obbediscano lasciandosi agire.

Il problema del tipo-del-risentimento è che in esso il normale rapporto tra le forze

viene capovolto, le forze reattive riescono a dominare su quelle attive nell’unico

modo possibile: “La reazione cessa di essere agita per diventare qualcosa di

sentito, le forze reattive prevalgono su quelle attive sottraendosi alla loro

azione”51. A questo punto, il problema che si pone Deleuze è capire come possano

queste forze reattive, costituzionalmente meno “potenti” delle forze attive,

prendere il sopravvento sottraendosi. Data la difficoltà della spiegazione e

trattandosi di un discorso che si appoggia su un linguaggio per così dire

“energetico” che cerca di descrivere una dinamica delle forze, Deleuze si serve

del discorso ugualmente “energetico” di Freud e pone un paragone con la così

detta ipotesi topica.

2.1.1 Topologia del risentimento

Deleuze, fine studioso di Psicoanalisi, ritrova nell’ipotesi topica freudiana gli

elementi del discorso nietzschiano sui due apparati reattivo e attivo come conscio

e inconscio. Tale ipotesi è utilizzata da Freud per spiegare come avviene la !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!49 Ibidem, pp.167-168. 50 Ibidem, p.167. 51 Ibidem, p.168.

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

26

ricezione di uno stimolo e la successiva conservazione della traccia da esso

lasciata. Queste due funzioni appartengono a due sistemi diversi che

corrispondono a coscienza e inconscio: la prima avverte lo stimolo che viene

durevolmente conservato dal secondo. La coscienza risulta essere, dunque,

quell’apparato costituitosi come risultato di un’evoluzione, posto al limite tra

esterno e interno e dotato di capacità recettiva. Per Nietzsche, secondo Deleuze,

l’apparato reattivo si distingue in coscienza e inconscio:

“L’inconscio reattivo è costituito dalle tracce mnestiche, dalle impronte durature.

È un sistema digestivo, vegetativo e ruminante, caratterizzato dall’«impossibilità

di liberarsi nuovamente dell’impressione una volta incisa». Non v’è dubbio che

persino in questa digestione senza fine le forze reattive eseguano il compito loro

attribuito: si fissano sull’impronta indelebile, investono la traccia”52.

A questo primo sistema reattivo, inconscio, deputato alla conservazione sottesa

della traccia se ne aggiunge un secondo: “ma questa prima specie di forze reattive

è palesemente insufficiente, in quanto non vi sarebbe mai possibilità di

adattamento se l’apparato reattivo non disponesse di un altro sistema di forze, un

sistema in cui la reazione si sposta dalle tracce allo stimolo presente o

all’immagine diretta all’oggetto. Questa seconda specie di forze reattive fa

tutt’uno con la coscienza, corteccia costantemente rinnovantesi di una recettività

sempre fresca, ambito per «un mondo di nuove cose sconosciute»”53.

Se i due sistemi restano separati e badano ai propri compiti, la reazione può essere

agita (come dovrebbe) fintanto che le forze reattive si occupano del proprio

oggetto, cioè lo stimolo che incontra la coscienza. Perché i due apparati

funzionino, portando così la conseguente salute, è necessario che le tracce

rimangano sul terreno dell’inconscio e non invadano la coscienza. Per far ciò è

necessario anche che la forza propriamente attiva “si faccia carico della coscienza

e di ricostituirne in ogni istante la freschezza, la fluidità, l’elemento chimico

mobile e leggero. Questa facoltà attiva e sovra-cosciente è l’oblio”54.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!52 Ibidem, p.169. 53 Ibidem, p.169. 54 Ibidem, p.170.

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

27

L’oblio, come si era già detto, è per Nietzsche attività pura che ha la funzione

fondamentale di tenere ben separati coscienza dello stimolo e ritenzione inconscia

della traccia: “nel medesimo istante, la reazione, prendendo a proprio oggetto lo

stimolo della coscienza, si ritrova ad essere agita, mentre nell’inconscio la

reazione alle tracce rimane insensibile”55. Il rischio in cui s’incorre nel caso di

disfunzione dell’attività obliante è enorme: “nel medesimo istante dunque la

reazione alle tracce diventa sensibile e la reazione allo stimolo cessa di essere

agita”56. I due sistemi, che dovevano necessariamente rimanere separati per

svolgere al meglio le proprie funzioni, si compenetrano; la coscienza viene invasa

dalle tracce e non c’è più possibilità di reazione attiva allo stimolo.

Questa è la descrizione della situazione che può portare le forze attive a non far

agire una reazione: “non hanno più la possibilità di esplicare la loro attività, sono

separate da ciò che è in loro potere”57. Si può ora comprendere qual è l’unico

modo in cui le forze reattive possono prevalere sulle forze attive anche se

rimangono inferiori a quest’ultime: “quando nell’apparato reattivo la traccia si

sostituisce allo stimolo, la reazione si sostituisce all’azione prendendone il

sopravvento”58. La lotta per il predominio rimane comunque lotta tra forze

reattive nel senso che alcune di esse impediscono ad altre di essere agite.

Tra grandi difficoltà siamo giunti alla definizione data da Deleuze per il

risentimento: “una reazione che, diventata sensibile, cessa di essere agita”59.

Diventata sensibile, è questo il passaggio decisivo per una giusta comprensione

del risentimento. Non è più possibile reagire concretamente ma solo in astratto; il

risentimento è un senso di vendetta che deve necessariamente rimanere a livello

“spirituale” perché non ha la forza per potersi manifestare in concreto. L’energia

che in un normale stato di salute si estrinseca, nell’uomo del risentimento diviene

sensibile trasformando la re-azione in ri-sentimento.

Ovviamente questo discorso (anche a livello terminologico) sembra esulare dal

resto del testo, ma nella descrizione del tipo reattivo, dei caratteri propri del

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!55 Ibidem, p.171. 56 Ibidem, p.170. 57 Ibidem, p.171. 58 Ibidem, p.171. 59 Ibidem, p.172.

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

28

risentimento e dell’importanza che assume il tipo del sacerdote ebraico visto come

iniziatore del risentimento, sarà fondamentale tenere ben ferme queste definizioni

e distinzioni di concetti quali forza, reattività e attività.

2.1.2 Tipologia

Le forze reattive dal momento in cui prendono il sopravvento sulle forze attive,

costituiscono un tipo, “Una realtà sia biologica che psichica, sia storica che

sociale e politica”60. Deleuze cerca di tracciare la tipologia del risentimento dopo

averne descritto la topologia, convinto che Nietzsche fosse interessato a tracciare

una sorta di psicologia tipologica “sul piano del soggetto” 61 , cogliendo la

possibilità di un miglioramento solo partendo da una trasformazione di un tipo.

Nietzsche introducendo il concetto di risentimento, lo accomuna ad uno stato di

malattia con dei sintomi ben precisi. L’uomo del risentimento è dotato di una

memoria prodigiosa, non riesce a dimenticare. Lo stimolo si fissa nella memoria

confondendosi con le tracce. Non è fondamentale l’intensità della forza dello

stimolo che lo investe, “egli non ha bisogno di generalizzare per concepire il

mondo intero come oggetto del suo risentimento, in quanto l’impossibilità di

«reagire» è costitutiva del suo tipo: la reazione non si compie e invece di essere

agita viene sentita. Se la prende con il suo oggetto, qualunque esso sia, vuole

vendicarsene e fargli pagare questo infinito ritardo”62.

La vendetta del risentimento rimane sul piano spirituale, il risentimento è “spirito

di vendetta”. Deleuze collega la vendetta “spirituale” al problema della memoria

delle tracce: “L’uomo del risentimento è di per sé causa del proprio dolore: la

sclerosi, l’indurimento della sua coscienza, la rapidità con la quale ogni stimolo si

fissa e si cristallizza, il peso delle tracce che lo invadono costituiscono altrettante

crudeli sofferenze. E ad un livello più profondo, la memoria delle tracce è in sé e

per sé fonte di odio; il suo veleno e il suo disprezzo nei confronti di un oggetto

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!60 Ibidem, p.173. 61 Ibidem, p.173. 62 Ibidem, p.174.

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

29

servono a compensare la propria incapacità di sottrarsi alle tracce dello stimolo

relativo a tele oggetto”63.

Altre caratteristiche del tipo-del-risentimento sono: “l’impotenza di ammirare, di

rispettare, d’amare”64, ogni stimolo che incontra lo deve sminuire, ciò che è bello

è da lui sentito come un’offesa alla stessa stregua dell’altro che in ogni caso viene

disprezzato. La passività lo costituisce, essendo la vittoria della reattività.

Passività è tutto ciò che viene sentito invece che agito, l’uomo del risentimento

non ama ma vuole essere amato, non si dà per altro ma vuole che altro gli sia dato.

Il profitto e l’utilità sono gli obiettivi che persegue, non in maniera attiva e

affermativa, ma sempre passiva: profitto e utilità come vantaggio. L’affermazione,

l’attività, l’aggressività sono le caratteristiche cui l’uomo-del-risentimento deve

necessariamente opporsi per costituirsi. L’uomo del risentimento ha bisogno

dell’altro per “affermarsi”, si definisce come buono solo come conseguenza del

fatto che pone l’altro da sé come malvagio. “Il pathos aggressivo fa parte

necessariamente della forza, così come il sentimento di vendetta e rancore fa parte

della debolezza”65.

Siamo giunti così alla formula utilizzata da Nietzsche nella Genealogia della

morale per simboleggiare la differenza tra l’uomo affermativo, “il signore”, che si

definisce buono di per sé e considera l’altro come cattivo solo come conseguenza,

e l’uomo del risentimento, “lo schiavo”, che usa il paralogismo “tu sei cattivo,

dunque io sono buono”. Da questa formula si evince la reattività che deve

necessariamente partire dalla “negazione” dell’altro per potersi affermare. Il

“signore”, tutto all’opposto, non parte dall’altro per darsi valore, ma

affermativamente da se stesso. L’affermazione di se stesso come “buono” in

quanto valoroso, aggressivo, creatore di valori è il punto di partenza per “il

signore” da cui scaturisce il fatto che l’altro da sé, il debole, il miserabile, colui

che non ha la forza di affermare ma solo quella di negare è cattivo in quanto

diverso da sé, in quanto Altro .

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!63 Ibidem, p.174. 64 Ibidem, p.176. 65 Ibidem, p.178.

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

30

Il popolo ebraico è il primo popolo della storia che compie la trasvalutazione dei

“valori aristocratici”: è il popolo negatore per eccellenza, che ha bisogno di

vedere l’altro come malvagio per potersi affermare come buono e così facendo

conquistarsi il suo status. Il popolo ebraico porta la dialettica come suo manifesto,

deve negare per poter affermare. “Tu sei cattivo; io sono il contrario di quello che

sei tu; dunque io sono buono”66, per interpretare questo paralogismo Nietzsche

utilizza un esempio figurato:

“che gli agnelli nutrano avversione per i grandi uccelli rapaci, è un fatto che non

sorprende: solo che non v’è in ciò alcun motivo per rimproverare ai grandi uccelli

rapaci di impadronirsi degli agnellini. E se gli agnelli si vanno dicendo tra loro:

«Questi rapaci sono malvagi; e chi è il meno possibile uccello rapace, anzi il suo

opposto, un agnello- non dovrebbe forse essere buono?» Su questa maniera di

erigere un ideale non ci sarebbe nulla da ridire salvo il fatto che gli uccelli rapaci

guarderanno a tutto ciò con un certo scherno e si diranno forse: «con loro non ce

l’abbiamo affatto noi, con questi buoni agnelli; addirittura li amiamo: nulla è più

saporito di un tenero agnello». – Pretendere dalla forza che non si estrinsechi

come forza, che non sia un voler sopraffare, un voler abbattere, un voler

signoreggiare, una sete di nemici e di opposizioni e di trionfi, è precisamente così

assurdo come pretendere dalla debolezza che essa si estrinsechi come forza”67.

Il tipo-del-risentimento è spirito di una vendetta che non può compiere perché non

ne ha la forza sufficiente. Gli ebrei sono il popolo con il più grande spirito di

resistenza e adattamento nella storia, sono dotati di un senso di sopravvivenza che

va oltre ogni cosa. Nietzsche pensa che l’uomo del risentimento, debole per

costituzione, non sarebbe stato capace di ribaltare i valori antichi, capovolgerli a

proprio vantaggio, senza essere indirizzato a sua volta da uno “spirito” attivo in

sommo grado, da una volontà di potenza capace di distruggere ma soprattutto di

creare valori. L’iniziatore e indirizzatore del risentimento è, per Nietzsche, il prete

ebraico.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!66 Ibidem, p.184. 67 F. Nietzsche, Genealogia della morale, pp.33-34.

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

31

2.1.3 L’azione del prete ebraico

Nell’interpretare il paralogismo utilizzato da Nietzsche per intendere il

movimento che porta all’accusa del risentimento contro “l’altro”, inteso come

cattivo, Deleuze parla di un agnello logico che fonda il suo sillogismo “sulla

finzione di una forza separata da ciò che è in suo potere”68.

È la finzione che permette il trionfo delle forze reattive tramite uno sdoppiamento

della forza in: forza e soggetto che la estrinseca. Nietzsche ha sempre combattuto

la possibilità di un soggetto dotato di una volontà libera e capace di scegliere il

quantum di forza da utilizzare o in caso da reprimere. Deleuze scompone il

movimento della finzione interno al risentimento in tre differenti momenti. Il

primo è l’introduzione arbitraria di una causa, e consiste nella separazione della

forza dalla sua manifestazione. Si considera la forza come causa efficiente della

sua manifestazione. Nietzsche utilizza come esempio l’errore linguistico dei

naturalisti che parlano del “fulmine che illumina” come se il fulmine fosse la

causa della luce che successivamente si produce e non tutt’uno con essa. Si

considera la forza come causa efficiente della sua manifestazione. Secondo

momento è l’invenzione di un sostrato agente e la neutralizzazione della forza:

una volta sdoppiata la forza e la sua manifestazione, viene creato un soggetto

libero che potrebbe scegliere a suo arbitrio se, quando e quanta forza estrinsecare.

“La forza viene così neutralizzata e trasformata in atto di un soggetto che potrebbe

anche non agire”69. Questo non è altro che un ulteriore momento della critica

persistente in Nietzsche alla “finzione” di un soggetto libero come sostrato

“slegato” dalla necessità. Terzo e ultimo momento è la moralizzazione del

soggetto libero: questo è l’atto finale del movimento che porta allo scacco delle

forze reattive. Resa neutra la forza e introdotto un soggetto libero di estrinsecarla

o meno, si etichetta questo soggetto come meritevole o colpevole in base

all’utilizzo della forza che manifesta. Colpevole se essa è attiva, meritevole se

essa è reattiva.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!68 G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, p.184. 69 Ibidem, p.185.

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

32

Attraverso questi tre momenti siamo giunti, secondo Deleuze, allo slittamento dai

concetti eticamente intesi di buono e cattivo (forze qualificate), alla

moralizzazione attraverso i concetti di bene e male (forze sostanzializzate).

La finzione risulta l’azione fondamentale per il “potenziamento” del risentimento

che porta alla vittoria delle forze reattive su quelle attive. Sono le forze reattive,

come abbiamo visto dalla formula “tu sei cattivo dunque io sono buono”, che

hanno la necessità di contrapporsi alle forze attive per poter raggiungere un grado

di potenza che in realtà non hanno. L’unico mezzo a disposizione delle forze

reattive per contrapporsi a quelle attive e affermative è la finzione, come

proiezione e ribaltamento della situazione reale.

Ciò che Nietzsche chiama finzione delle forze reattive è “La finzione di un mondo

sovrasensibile che si contrappone al mondo sensibile, di un Dio che contraddice la

vita”70. È solo attraverso la svalutazione e negazione del mondo reale e la

successiva creazione di un mondo fittizio e ideale che il risentimento riesce a

trionfare.

Ritorniamo alle domande iniziali del capitolo: Chi è l’ideatore di questa finzione?

Da dove proviene? La risposta di Nietzsche è quanto mai chiara: è il prete ebraico

l’iniziatore di questa lunga e, alla fine, vittoriosa guerra sotterranea. “É il

sacerdote colui che conferisce una forma al risentimento, che conduce l’accusa e

porta sempre più a fondo la vendetta, e che osa addirittura rovesciare i valori; in

particolare, costui è il prete ebraico, il prete nella forma ebraica”71.

Solo attraverso l’azione del “genio” sacerdotale ebraico è stato possibile, secondo

Nietzsche, la trasvalutazione dei valori aristocratici e la vittoria delle forze reattive

che il suo genio indirizza. È importante comprendere però, che Nietzsche intende

il prete ebraico come ciò che è più lontano dall’essere una forza reattia.

È, al contrario, pura attività creatrice che si serve degli “schiavi”, dei deboli, dei

miserabili, del risentimento stesso e dunque delle forze reattive per raggiungere la

sua potenza:

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!70 Ibidem, p.188. 71 Ibidem, p.189.

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

33

“La sua volontà è volontà di potenza, la sua volontà di potenza è nichilismo. Se è

vero che il nichilismo, la potenza di negare, ha bisogno delle forze reattive, è vero

anche il contrario, e cioè che il nichilismo, la potenza di negare, conduce le forze

reattive al trionfo”72.

Il prete ebraico sposa gli istinti decadenti e il nichilismo perché sono gli unici

mezzi che ha per raggiungere la potenza. Ciò che vuole evidenziare Nietzsche è il

sistema attraverso cui il sacerdote assume il suo ruolo capitale all’interno della

tradizione ebraica costituita dalla potenza “signorile” degli antichi re di Israele*.

2.2 La cattiva coscienza

2.2.1 Dal risentimento alla cattiva coscienza

Nel paragrafo precedente abbiamo visto come con il termine risentimento,

Nietzsche simbolizzi l’odio e lo spirito di vendetta che, guidati dal “genio”

sacerdotale ebraico, hanno portato al trionfo delle forze reattive sulle forze attive

con due movimenti diversi: “Il risentimento si prefigge un duplice scopo: privare

la forza attiva delle condizioni materiali in cui essa può esercitarsi; separarla

formalmente da ciò che è in suo potere”73. Abbiamo visto come, secondo Deleuze,

l’uomo del risentimento attui il suo duplice scopo con l’unico mezzo a sua

disposizione: la finzione. Il genio del risentimento attraverso l’invenzione di un

soggetto, la sua moralizzazione e la creazione di un mondo dietro al mondo riesce

a compiere una prima trasvalutazione dei valori, invertendo le gerarchie: il reale

viene negato, il “potente” diventa “malvagio”, e solo ciò che è diverso dal

malvagio può essere considerato “buono”. La reattività, per sua natura obbediente,

trionfa sull’attività che in uno stato di salute comanda.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!72 Ibidem, p.189. 73 G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, p.192. * Credo non sia più necessario, oggi, parlando del rapporto tra Nietzsche e la tradizione ebraica dover

dimostrare la lontananza di Nietzsche rispetto alla nefasta storia tedesca a lui successiva. Deleuze coglie una

frase che simboleggia questa lontananza meglio di dotti argomenti: “Ma insomma, cosa credete che provi

quando il nome di Zarathustra esce dalla bocca degli antisemiti?” [F.Nietzsche, Lettere a Fritsch del 23 e 29

Marzo 1887, cit in Deleuze Nietzsche e la filosofia, p.190].

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

34

Abbiamo anche visto che la reattività non cessa mai di essere una forza neanche

nel momento in cui è posta sul piano dell’obbedienza. Allo stesso modo la forza

attiva, anche se sopraffatta dall’organizzazione reattiva, non può cessare di essere

una forza: una forza attiva è una forza affermativa che deve necessariamente

estrinsecare la sua “potenza”. Cerchiamo di seguirne il divenire:

“Qualsiasi sia la ragione per la quale una forza attiva si ritrova falsata, privata

delle condizioni in cui può esercitarsi e separata da ciò che è in suo potere, essa si

volge al proprio interno e contro se stessa; diventa realmente reattiva attraverso un

interiorizzarsi e un volgersi contro di sé”74. Nel momento in cui la forza attiva

non può sfogarsi verso l’esterno compie, grazie alla sua plasticità, una

trasformazione: “tutti gli istinti che non si scaricano all’esterno si rivolgono

all’interno - questa è quella che io chiamo interiorizzazione dell’uomo: in tal

modo soltanto si sviluppa nell’uomo quella che più tardi verrà chiamata la sua

«anima». L’intero mondo interiore, originariamente sottile come fosse teso tra due

epidermidi, si è stemperato e dischiuso; ha acquistato profondità, latitudine,

altezza a misura che è stato impedito lo sfogo dell’uomo all’esterno”75.

Se in precedenza il risentimento era costituito da un odio sfrenato verso l’esterno,

l’altro, il cattivo, la cattiva coscienza inverte la direzione del risentimento e

attraverso la trasfigurazione di concetti quali “colpa”, “peccato”, “responsabilità”

rivolge questo odio verso l’interno producendo dolore. Il dolore è il sintomo della

malattia che, secondo Nietzsche, costituisce la cattiva coscienza. Il dolore è anche

il mezzo attraverso cui essa si fa spazio nell’uomo divenuto sempre più sensibile

ad esso. La cattiva coscienza è il trionfo del risentimento:

“Benché nel risentimento la forza attiva accusi e si proietti, quest’ultimo non

sarebbe tale se non portasse l’accusato stesso a riconoscere i propri torti, «a

rivolgersi all’interno»; l’introiezione della forza attiva non è il contrario della

proiezione, ma la conseguenza e l’esito della proiezione reattiva. Con la cattiva

coscienza non ci imbatteremo in un nuovo tipo; tutt’al più potremo individuare

nel tipo reattivo, nel tipo dello schiavo, delle varietà concrete in cui il risentimento

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!74 Ibidem, p.192 75 F. Nietzsche, Genealogia della morale, p.74

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

35

si presenta quasi allo stato puro; oppure delle varietà in cui la cattiva coscienza,

raggiungendo il pieno sviluppo, si sovrappone al risentimento”76.

È dal risentimento (che separa la forza attiva da ciò che è in suo potere e

impedisce alle forze reattive stesse di essere agite) che proviene la cattiva

coscienza, questa è un prolungamento di quello. Il soggetto della cattiva coscienza

è lo stesso soggetto del risentimento; anche l’odio è lo stesso. La differenza sta in

ciò che produce: il dolore. Come abbiamo visto, la forza attiva che non trova più

libero sfogo si volge all’interno: “il dolore, invece di essere governato da forze

reattive, è prodotto dalla vecchia forza attiva; ne deriva un fenomeno curioso,

insondabile: una moltiplicazione, un’autofecondazione, un’iper-produzione del

dolore. La cattiva coscienza è la coscienza che moltiplica il proprio dolore”77. Per

produrre dolore, la cattiva coscienza si serve di mezzi che anticamente

appartenevano alle forze attive: la pena, la colpa, la responsabilità.

Come abbiamo visto, compito del lavoro genealogico è indagare la genesi di un

fenomeno attraverso le reinterpretazioni che subisce nel momento in cui ad

un’interpretazione dominante se ne sostituisce un’altra più “potente”. Nella

seconda dissertazione della Genealogia della morale, Nietzsche applica il metodo

genealogico ai concetti di pena e di colpa. Seguiamone il percorso per arrivare a

comprendere come la cattiva coscienza si sostituisce al risentimento e porta al

definitivo trionfo le forze reattive.

2.2.2 Pena, dolore, colpa

In alcuni paragrafi precedenti abbiamo visto quanto sia importante per Nietzsche

il concetto di oblio, facoltà attiva che permette la dimenticanza come funzione

vitale fondamentale. È stata descritta la situazione (che Nietzsche vedeva come

estremamente pericolosa) in cui questa facoltà fa difetto lasciando spazio ad un

ispessimento della memoria, parlando in senso figurato. La seconda dissertazione

della Genealogia della morale riparte da questo tema, ribadendo l’importanza

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!76 G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, p.193 77!Ibidem, p.193!

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

36

della dimenticanza attiva e descrivendo la situazione che ha portato alla

formazione e al potenziamento della memoria a spese dell’oblio:

“Appunto questo animale necessariamente oblioso, nel quale il dimenticare

rappresenta una forza, una forma di vigorosa salute, si è ora plasmato con

l’educazione una facoltà antitetica, una memoria, mediante la quale in determinati

casi l’oblio viene sospeso - in quei casi cioè in cui si tratta di fare una

promessa”78.

Rendere l’uomo in grado di promettere è l’obiettivo a cui mira ciò che Nietzsche

definisce “l’allevamento” dell’uomo. Servendosi delle armi dell’educazione

(passando attraverso il processo che Nietzsche definisce “eticità dei costumi”):

“l’allevamento” dell’uomo dovrebbe condurre a rendere l’uomo prevedibile,

obbediente e calcolabile. In questa capacità di promettere e di mantenere la

propria promessa, Nietzsche individua la genesi del concetto di responsabilità. Per

allevare un uomo capace di essere responsabile è stato necessario opporre al più

naturale oblio dell’animale-uomo la formazione di una solida memoria anche a

costo di atroci sofferenze. Seguiamo l’ipotesi genealogica di Nietzsche:

“Forse nell’intera preistoria dell’uomo addirittura nulla è più spaventoso e sinistro

della sua mnemotecnica, «si incide a fuoco qualcosa affinché resti nella memoria»

- è questo un assioma della più antica psicologia sulla terra […]. Quando l’uomo

ritenne necessario formarsi una memoria, ciò non avvenne mai senza sangue,

martiri, sacrifici; i sacrifici e i pegni più spaventosi (in cui si ricomprendono i

sacrifici dei primogeniti), le più ripugnanti mutilazioni (per esempio le

castrazioni), le più crudeli forme rituali religiose (e tutte le religioni sono, nel loro

fondo, sistemi di crudeltà) - tutto ciò ha la sua origine in quell’istinto che colse nel

dolore il coadiuvante più potente della mnemotecnica”79.

È il dolore dunque, il nuovo elemento, che risulta essere il mezzo fondamentale

grazie al quale è stato possibile il formarsi di una memoria sia sociale che

individuale. È a questo punto che, delineata per sommi capi la preistoria della

funzione mnemonica, Nietzsche introduce per la prima volta nel testo i concetti di

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!78 F. Nietzsche, Genealogia della morale, p.46 79 Ibidem, pp.48-49

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

37

pena e di colpa. Prende come punto di partenza l’ingenuità insita nei procedimenti

di ricerca storica di coloro che definisce i genealogisti della morale per tracciare

la sua originalissima ipotesi sulla reale genealogia di questi fenomeni: “Questi

genealogisti della morale si sono mai, sino a oggi, anche solo lontanamente

immaginati che, per esempio, quel basilare concetto morale di colpa ha preso

origine dal concetto molto materiale di debito? O che la pena come

compensazione si è sviluppata completamente a parte da ogni presupposto sulla

libertà e non libertà del volere?”80.

Insomma Nietzsche ritiene che il pensiero (forse “umano, troppo umano”) di

considerare un’azione, per quanto sbagliata, come una deliberazione di un

soggetto dotato di una volontà libera, che potrebbe agire diversamente e che

quindi meriti la sua pena, sia uno dei gravi errori che affliggono la ragione umana.

La pena, secondo la geniale ipotesi nietzschiana, ha una genesi del tutto diversa da

quella di una sua possibile origine dalla finalità del suo utilizzo attuale, la

punizione. La pena, come anche Foucault ha genialmente dimostrato in

Sorvegliare e punire, è un fenomeno che ha rivestito varie causalità in base alla

grandezza della forza che se ne è impadronita e alle finalità che ha rappresentato.

“Per il più lungo tratto di tempo della storia umana non si sono assolutamente

inflitti castighi perché si ritenesse l’autore del male responsabile della sua azione,

dunque non con il presupposto che si debba punire unicamente il colpevole - si

punisce, viceversa, allo stesso modo con cui ancora oggi i genitori castigano i loro

figli, per ira di un danno sofferto, alla quale si dà sfogo sul danneggiante - una

collera, tuttavia, mantenuta nei limiti e modificata dall’idea che ogni danno abbia

in qualche modo il suo equivalente e realmente possa essere soddisfatto, sia pure

mediante la sofferenza di chi lo ha provocato”81.

La particolarissima equazione danno-sofferto=sofferenza-provocata, la possibile

riparazione di un danno con il provocare dolore al danneggiante, riconduce la

pena e la colpa sul terreno genetico rintracciato da Nietzsche attraverso la

macchina genealogica: il rapporto creditore e debitore. Con l’analisi di questo

antico rapporto, presente probabilmente già dai primordi della storia sociale

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!80 Ibidem, p.51 81 Ibidem, p.51

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

38

umana, ritorniamo all’atto del promettere: è qui che il debitore promette di

saldare il proprio debito verso il creditore e in caso contrario si offre in pegno,

sopportando la pena. Nietzsche coglie perfettamente la particolarità di questo

rapporto di equivalenza, in cui il creditore che non viene ripagato può infliggere

ogni tipo di sofferenza alla sua controparte. La particolarità è insita nella

mancanza di riparazione del debito, o meglio in una forma di restituzione del tutto

particolare; al danno subito si risponde con un danno provocato, anche se

quest’ultimo non ripaga del primo. Nietzsche rintraccia in questa restituzione-

tramite-sofferenza subita, un’antica verità psicologica: la crudeltà di chi, da

creditore, infligge sofferenza al debitore e che produce piacere da parte di chi

infligge la sofferenza.

“Egualmente qui è stata per la prima volta ribadita quella sinistra catena di idee,

divenuta forse indissolubile «colpa e sofferenza». Diciamolo ancora una volta: in

che senso può essere la sofferenza una compensazione di «debiti»? In quanto far

soffrire arrecava soddisfazione in sommo grado, in quanto, il danneggiato

barattava il danno, con l’aggiunta dello scontento per il danno, per uno

straordinario contro-godimento: il far soffrire – una vera e propria festa, un

qualcosa che, come ho detto era tanto più in pregio quanto maggiore era il suo

contrasto con il rango e la posizione sociale del creditore”82.

Nietzsche coglie, attraverso un’ipotesi, la differenza del rapportarsi alla sofferenza

e al dolore tra l’uomo moderno-cristiano (che “inventa un Dio” per poter

sopportare dolore e sofferenza, ma che non accetta la sofferenza nel mondo e così

facendo non fa altro che moltiplicare il dolore interiorizzandolo e rendendosi

colpevole) e la prospettiva greca che, all’opposto, riesce ad accettare la sofferenza

e anzi quasi ne gode trasfigurandone il senso in un piacere per gli Dei, spettatori

amorali, che gioiscono per le pene degli uomini.

Con la formazione degli stati il rapporto creditore-debitore si è trasformato

istituzionalizzandosi. Lo stato promette sicurezza e salvaguardia del cittadino in

cambio di una promessa di rispetto della legge istituzionalizzata. Il delinquente

risulta essere colui che non rispetta la promessa e diventa un debitore che attacca

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!82 Ibidem, p.53

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

39

il suo creditore. Il creditore-stato rompe la promessa ed esclude da sé il

delinquente. Con il crescere della “potenza” delle comunità la durezza della pena

diminuisce in maniera inversamente proporzionale. Ancora una volta viene

mostrato un nuovo utilizzo della pena all’interno del rapporto creditore-debitore.

Tra i molti che assume, Nietzsche si concentra su uno solo dei sensi della pena:

“La fiducia nella pena […]. Il valore della pena deve essere quello di destare nel

colpevole il sentimento della colpa, in essa si cerca il caratteristico instrumentum

di quella reazione psichica che prende il nome di cattiva coscienza, rimorso”83.

Non è su questo terreno che, secondo Nietzsche, nasce il reale rimorso. La pena

non può provocare nel delinquente un reale rimorso: proprio perché è anticamente

frammista alla festa e al piacere per la sofferenza non è così lontana dalla

tipologia dell’azione a lui imputata. È su tutt’altro terreno che Nietzsche coglie

l’origine del senso di colpa, ritornando al rapporto tra creditore e debitore, ma in

una diversa configurazione: il rapporto tra una stirpe debitrice e propri antenati

creditori. Con il crescere della comunità cresce l’ammontare del debito-

immaginario verso i propri antenati che acquistano un credito sempre maggiore

fino ad essere trasfigurati in vere divinità. Con il crescere del debito cresce la

considerazione di grandezza della divinità, “l’avvento del Dio cristiano, in quanto

massimo dio che sia stato sino a oggi raggiunto, ha portato perciò in evidenza,

sulla terra, anche il maximum del senso di debito”84.

Si arriva, con il Cristianesimo, ad una moralizzazione della colpa che si innesta

sul terreno della cattiva coscienza: un possibile riscatto del debito appare sempre

più irraggiungibile, la colpa viene interiorizzata e si rivolge contro il debitore che

soffre l’impossibilità di ripagare il proprio amato creditore:

“Finché eccoci all’improvviso di fronte al paradossale e spaventoso espediente in

cui la martoriata umanità ha trovato un momento di sollievo, quel tratto geniale

del cristianesimo: Dio stesso che si sacrifica per la colpa dell’uomo, Dio stesso

che si ripaga su se stesso, Dio come l’unico che può riscattare l’uomo da ciò che

per l’uomo stesso è divenuto irriscattabile - il creditore che si sacrifica per il suo

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!83 Ibidem, p.70 84 Ibidem, p.81

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

40

debitore, per amore (dobbiamo poi crederci?), per amore verso il suo

debitore!...”.85

2.2.3 L’intervento del prete cristiano

La cattiva coscienza è la prosecuzione del cammino iniziato dalla coscienza

reattiva con il risentimento. Questa coscienza reattiva proietta il suo odio verso

l’esterno per compiere una vendetta che può rimanere solo immaginaria

(spirituale), guidata dalla “saggezza” del prete ebraico. La coscienza che

attraverso il risentimento compie una proiezione della reazione-immaginaria verso

l’esterno subisce una trasformazione per cui il risentimento cambia direzione.

Abbiamo visto che le forze attive, nel momento in cui non possono far agire le

forze reattive e dunque estrinsecarsi verso l’esterno, si interiorizzano provocando

e accrescendo il dolore. Come abbiamo visto per il risentimento, le sole forze

reattive non avrebbero potuto, con la loro sola “potenza”, giungere alla

trasvalutazione dei valori, creando un’organizzazione reattiva capace di annullare

l’attività. È stato necessario l’intervento del prete ebraico per trasformare

l’impotenza in potenza, per condurre le forze reattive a conquistare potere sulle

forze attive e prevaricanti.

Anche per quanto riguarda il passaggio successivo, che conduce la reattività dal

non-poter-reagire al reagire-contro-se-stessi, dal risentimento alla cattiva

coscienza, è stato necessario l’intervento di un genio pari, di un plasmatore e

affermatore di sé: è stato necessario l’intervento del prete-cristiano: “è il prete-

cristiano a far uscire la cattiva coscienza dal suo stato grezzo o animale, a

presiedere all’interiorizzazione del dolore; è lui, prete-medico, a guarire il dolore

infettando la piaga; è lui, prete-artista, a condurre la cattiva coscienza alla sua

forma superiore, al dolore come conseguenza di un peccato”86.

Il prete cristiano è per Nietzsche il modificatore di direzione del ressentiment.

Insomma, il filosofo tedesco, descrive due aspetti diversi del soggetto-prete. Il

primo aspetto è proprio di colui che conferisce una prima direzione al

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!85 Ibidem, p.82 86 G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, pp.196-197

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

41

risentimento, trasformando il dolore dei sofferenti in odio che successivamente

direziona contro l’altro, l’attivo; attraverso il risentimento rende reattive le forze

attive e prepara il passaggio successivo. Il secondo aspetto viene assunto dal

soggetto-prete rendendo necessario il passaggio dell’accusa dall’esterno

all’interno, modifica la direzione del risentimento e moltiplica il dolore attraverso

un brillante stratagemma:

“Egli inventa la nozione di peccato. È grazie al concetto di peccato che la colpa

viene interiorizzata e sentita come senso di colpa, rimorso. “Così il dolore diventa

conseguenza di un peccato -viene interiorizzato; il suo seno è ora esclusivamente

intimo”87.

Il cristianesimo compie il passaggio successivo rispetto all’ebraismo, conferisce

alla sofferenza una nuova direzione, non più verso l’esterno sotto forma di odio

dell’altro per impotenza, ma verso l’interno come sofferenza da senso di colpa

provocato dal peccato (reso inestinguibile). Il mezzo utilizzato dal prete ebraico

per compiere la trasvalutazione dei valori attivi era la finzione. Sempre attraverso

la finzione il prete cristiano riesce a compiere il passaggio successivo

interiorizzando il dolore e trasformando il risentimento in cattiva coscienza.

Seguiamo Gilles Deleuze nella sua particolare ipotesi del modo attraverso il quale

sarebbe stato possibile al cristianesimo imporsi come forza reattiva, sotto la guida

del prete cristiano simboleggiato da San Paolo (la cui figura ha così tanto

interessato Nietzsche e che riprenderemo, per descriverla, nel successivo

capitolo). Deleuze si chiede come, secondo Nietzsche, si sia compiuto quel

passaggio che appunto ha condotto dal risentimento alla cattiva coscienza. La

risposta proviene da un fenomeno che Nietzsche descrive in azione, ma senza

definirlo dettagliatamente: la cultura. Deleuze descrive un triplice passaggio della

cultura nel suo intrecciarsi con la storia, la cultura considerata dal punto di vista

preistorico, la cultura considerata da punto di vista post-istorico, la cultura

considerata dal punto di vista storico. Seguiamo Deleuze:

“Cultura significa addestramento e selezione, nella sua dinamica Nietzsche

definisce la cultura con l’espressione «eticità dei costumi», cui si accompagna

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!87 Ibidem, p. 198

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

42

sempre la gogna, la tortura, gli atroci mezzi atti ad addestrare l’uomo. In questo

addestramento violento l’occhio del genealogista distingue però due momenti: 1)

ciò a cui un popolo, una razza o una classe obbedisce è sempre storico, arbitrario,

grottesco, stupido e limitato ed è per lo più espressione delle peggiori forze

reattive; 2) ma nel fatto che si obbedisca a qualcosa- e poco importa a cosa- si

manifesta un principio che va oltre i popoli, le razze, le classi: si obbedisce alla

legge perché è legge, per cui l’aspetto formale della legge indica una certa attività,

una certa forza attiva che viene esercitata sull’uomo con il compito di addestrarlo.

Due aspetti devono essere tenuti ben distinti, benché risultino inseparabili

all’interno del processo storico: da una parte la pressione storica di uno Stato, di

una Chiesa, ecc. sugli individui da assoggettare; dall’altra l’attività dell’uomo

come essere generico, l’attività della specie umana che si esercita sull’individuo

come tale”88.

Se prima si è utilizzato il termine “allevamento” riferendolo all’uomo era da

intendersi nel senso di un’attività che si impone su strutture reattive (ad esempio

attraverso la legge). La cultura come attività generica è ciò a cui si riferisce

Nietzsche quando utilizza il termine preistorico. La cultura, attività generica che

inizialmente s’impone sulla reattività con forza, necessita di rendere solida la

coscienza: è la cultura che crea la memoria come facoltà di promettere. È la

cultura, intesa come attività generica, che nella sua forma ancora preistorica ha

costituito il rapporto tra creditore e debitore. È evidente che non è dal lato della

cultura (in questo senso preistorico), che va ricercata l’origine del risentimento e

della cattiva coscienza. Come spiega Nietzsche un fenomeno come la giustizia,

sempre che sia possibile conferirgli una configurazione, non potrebbe mai essere

ricercato sul terreno del risentimento, in quanto è precedente ad esso ed è

manifestazione dell’attività. Obiettivo della cultura è quello di produrre un

individuo-sovrano.

A questo punto Deleuze si chiede quale sia il fenomeno che opponendosi alla

cultura, in senso preistorico, ne inverte la direzione e porta al trionfo le forze

reattive sulle forze attive costituendo il risentimento e la cattiva coscienza;

“Abbiamo però trascurato un punto importante: in realtà sono le forze inferiori e !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!88 Ibidem, p. 200

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

43

reattive a trionfare. Abbiamo trascurato la storia. Allora dobbiamo riconoscere che

la cultura è da tempo scomparsa e contemporaneamente non è ancora cominciata.

L’attività generica si perde nella notte del passato, mentre il suo prodotto è

avvolto dalla notte del futuro. Nella storia, l’essenza della cultura, catturata da

forze estranee di tutt’altra natura, assume un senso assai diverso e l’attività

generica si confonde con un movimento che la snatura, snaturandone anche il

prodotto. Anzi, la storia consiste proprio in questo snaturamento e coincide con la

«degenerazione della cultura». In luogo dell’attività generica, la storia ci presenta

razze, popoli, classi, Chiese, Stati; sull’attività generica s’innestano

organizzazioni sociali, associazioni, comunità di carattere reattivo, parassiti che le

si sovrappongono per assorbirla. Grazie al loro falso movimento cui inducono

l’attività generica, le forze reattive danno vita a quelle forme collettive che

Nietzsche chiama «greggi»”89.

Secondo Deleuze, dunque, è l’incontro della cultura preistorica (intesa come

attività generica) con la storia umana che produce la decadenza della prima

favorendo dell’ascesa della seconda e diffondendo, come conseguenza, i sintomi

del risentimento e della cattiva coscienza. La storia capovolge la normale

selezione e gerarchia e sostituisce all’attività pura, (che dovrebbe portare ad una

sempre maggiore organizzazione passando attraverso l’autosoppressione degli

elementi che la costituiscono) basata sull’accrescersi vitale della volontà di

potenza insita nel mondo, grandi costruzioni reattive quali lo Stato e la Chiesa,

che non mirano a produrre quello che Nietzsche definisce “l’individuo-sovrano”

ma l’uomo da “gregge”, addomesticato e reso obbediente. Vediamo

schematicamente come, secondo Deleuze, il sacerdote guida questo movimento

che porta dall’attività generica al predominio delle organizzazioni reattive. In un

primo momento le forze reattive utilizzano l’attività generica per formare delle

associazioni reattive che hanno le sembianze di un gregge (Chiesa); in un secondo

momento il prete, pastore del gregge, interviene sull’uomo debole rendendolo

reattivo e creando la cattiva coscienza tramite l’introiezione di un rapporto tra

creditore e debitore in cui il debitore (reso uomo-da-gregge) sente di avere un

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!89 Ibidem, p.207

Capitolo 2: Un’interpretazione della morale giudaico-cristiana.

44

debito inestinguibile nei confronti del creditore (Dio). Nel terzo e ultimo

momento:

“Il prete non si limita ad avvelenare il gregge; egli lo organizza e lo difende,

inventa i mezzi per farci sopportare il dolore moltiplicato e interiorizzato, rende

sopportabile la colpa che egli stesso inietta, ci fa partecipi di una apparente attività

e di una apparente giustizia al servizio di Dio, ci coinvolge nell’aggregazione e

risveglia in noi «il desiderio di veder prosperare la comunità»” 90 .

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!90!Ibidem, p.213

Capitolo 3: Problema del prete e ideale ascetico.

45

Capitolo 3

Problema del prete e ideale ascetico.

3.1 Dall’ebraismo al cristianesimo

Nel secondo capitolo abbiamo visto come per Nietzsche si siano generati i

fenomeni del risentimento e della cattiva coscienza. Questi concetti rivestono una

grande importanza negli ultimi scritti del filosofo di Röcken, diventando le

categorie fondamentali attraverso cui guardare l’attualità per seguire il movimento

che, per come da lui concepito, conduce l’uomo moderno sempre più nel terreno

della décadence. Questo movimento verso il basso è un processo livellatore che

mira a spuntare le differenti “altezze” per generare un’identità livellata. Abbiamo

anche visto chi secondo Nietzsche sia iniziatore e fautore dei due processi,

l’istinto sacerdotale nella sua duplice forma: ebraica e cristiana. Il prete, che mira

alla potenza, ha compiuto la trasvalutazione degli antichi valori affermativi dei

signori nei valori reattivi di una morale da schiavi. Ha condotto una “guerra

sotterranea” contro i signori, i potenti, gli affermativi, attraverso la finzione,

l’unico mezzo a sua disposizione data la sua “impotenza”. L’istinto sacerdotale ha

contrapposto la finzione di un “mondo dietro al mondo”, di un aldilà, di un Dio

retributivo, ai vitali valori “reali-naturali” ai quali gerarchicamente sarebbe stato

inferiore. Per riuscire nella sua impresa ha dovuto inizialmente svalutare il mondo

e far forza sul maggior numero degli oppressi, stanchi della realtà, ai quali ha

promesso un altro-della-finzione. Il prete ha dovuto creare una morale reattiva per

sprigionare il suo spirito di vendetta (che non poteva scatenarsi nel concreto

tramite la forza). Lo spirito sacerdotale, condotto dall’odio più sfrenato verso i

potenti-per-costituzione, si è servito della debolezza (estranea al suo tipo) per

avere la meglio sui forti. L’odio è stato, dapprima, rivolto all’esterno ed era

giudaico (risentimento) per poi essere trasferito all’interno con il cristianesimo

(cattiva coscienza) e provocare dolore alleviabile solo dal prete stesso,

emanazione terrena del Dio dell’amore.

Cerchiamo ora di seguire il percorso che ha portato Nietzsche, studiando la storia

ebraico-cristiana, alla “scoperta” dei fenomeni del risentimento e della cattiva

Capitolo 3: Problema del prete e ideale ascetico.

46

coscienza e all’individuazione del sacerdote come centro propulsore della

trasvalutazione dei valori affermativi in quelli reattivi. In vari passi disseminati

disordinatamente nei testi, Nietzsche parla del popolo ebraico in maniera

ambivalente, con un misto di ammirazione profonda e di disprezzo. Per Nietzsche

gli ebrei rivestono un’importanza storica fondamentale in quanto sono gli artefici

della prima trasvalutazione dei valori aristocratici:

“Gli ebrei sono il popolo più notevole della storia mondiale poiché, posti dinanzi

al problema dell’essere o non essere, hanno preferito, l’essere a qualsiasi prezzo:

questo prezzo fu la radicale falsificazione di ogni natura, di ogni naturalità, di

ogni realtà, dell’intero mondo interiore come di quello esteriore […]. In maniera

irrimediabile hanno successivamente rovesciato nella contraddizione coi loro

valori naturali la religione, il culto, la morale, la storia, la psicologia. Incontriamo

ancora una volta, e in proporzioni indicibilmente più grandi, lo stesso fenomeno,

sebbene soltanto come copia: a confronto col “popolo dei santi” manca infatti alla

Chiesa cattolica ogni pretesa di originalità. Precisamente per questo gli ebrei sono

il popolo più fatale della storia del mondo: nei loro postumi effetti hanno

falsificato a tal punto l’umanità che ancora oggi il cristiano può sentire in maniera

antisemita, senza comprendere se stesso come l’ultima conseguenza

dell’ebraismo”91.

Nietzsche, sempre fermo nel sancire la nefasta funzione storica che ha rivestito il

popolo ebraico attraverso la trasvalutazione degli antichi valori, riconosce agli

ebrei una forza vitale fuori dal comune e definendoli il popolo più notevole e

fatale della storia, dimostra (come in altri passi) una certa ammirazione nei loro

confronti.

Didier Franck, nel testo Nietzsche e l’ombra di Dio, cerca di trovare una

spiegazione al perché di questa ambivalente valutazione. Innanzitutto Franck

precisa che Nietzsche ha una valutazione differente della storia ebraica perché si

riferisce spesso a momenti differenti di essa. Nietzsche ha studiato la storia

ebraica dal testo di Julius Wellhausen Prologomena zur Geschichte Israels.

Questo testo, a prescindere dalla validità attuale, ha costituito un momento

importante nell’interpretazione della storia di Israele. È di nostro interesse !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!91!F. Nietzsche, L’Anticristo, Adelphi Edizioni, Milano, 2006, p.29!

Capitolo 3: Problema del prete e ideale ascetico.

47

soprattutto l’elemento di novità introdotto dai Prologomena, relativamente al

punto in cui Wellhausen cerca di dimostrare (non è per noi importante se ci sia

riuscito o meno, ma conoscere la storia da cui Nietzsche è partito per sviluppare le

sue idee) come la legge ebraica sia un fenomeno tardivo della storia di Israele;

non costituente ma costituito. Il testo di Wellhausen dimostra, secondo Franck,

come la legge sia un fenomeno successivo alla costituzione politica di Israele e

non possa essere stato opera del solo Mosè. Franck ricerca il momento interno

della storia di Israele in cui Nietzsche individua il bivio davanti al quale gli Ebrei

si dovettero porre tra il non essere più o il continuare ad essere propendendo per

l’ultima soluzione.

“La situazione d’indigenza che mise gli ebrei davanti alla domanda dell’essere e

del non essere, alla quale risposero preferendo a ogni costo l’essere, cioè

istituendo dei valori conservativi o reattivi, è dunque quella in cui si trova Israele

dopo la distruzione del Tempio e la presa di Gerusalemme da parte delle armate di

Nabucodonosor. La trasvalutazione ebraica si confonde allora con la nascita

dell’ebraismo, in altre parole con quella legge che, secondo San Paolo, il Cristo

viene a compiere”92.

Ciò che è per noi importante da capire è perché e in che modo l’istituzione della

legge abbia dato vita ad una trasvalutazione di valori da attivi a reattivi. Per come

evidenziato da Franck, secondo il canone ebraico la legge è il titolo del

Pentateuco. Il problema diventa dunque determinare come il Pentateuco, raccolta

di leggi, sia potuto divenire La legge, come: “abbia finito col prendere un senso

assoluto”93. Per comprendere il passaggio da un insieme di leggi alla legge

assoluta, bisogna indicare l’istituzione socio-sacrale da cui inizialmente l’insieme

di leggi dipendeva. Frank precisando che non potesse essere la monarchia a

costituire questo potere (in quanto in Israele il re è sempre stato condizionato dal

potere divino e non viceversa), indica nell’alleanza tra le dodici tribù e Jahveh il

luogo in cui dev’essere rintracciato. Siamo arrivati ad un punto decisivo del

discorso, l’alleanza dell’allora popolo di Israele, le dodici tribù, con Jahveh

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!92!D.Franck, Nietzsche et l’ombre de Dieu, Presses Universitaires de France, 1998; trad. it. Nietzsche e l’ombra di Dio, Lithos editrice, Roma 2002, p.353!93!Ibidem, p.353!

Capitolo 3: Problema del prete e ideale ascetico.

48

sancito dall’Arca, è il patto con Jahveh che costituisce Israele come suo popolo

esclusivo. Le leggi risultano, in questo momento, una semplice emanazione di

questo patto. Ciò che avviene con la distruzione del tempio di Gerusalemme fu

sentito come la fine dell’alleanza (già annunciata dai profeti), in quanto il popolo

eletto dal Dio che è anche Dio della storia è stato sconfitto e condotto in esilio. Le

leggi rimasero in vigore, mantenute dalla continuità nella speranza di quella nuova

alleanza vaticinata da Geremia ed Ezechiele. Le leggi da questo momento

divennero indipendenti dalla tradizione. In questo vuoto di potere s’inserì il

sacerdote Esdra il quale: “si recò nella provincia di Gerusalemme e, per stabilirvi

durevolmente la pace e l’ordine, proclamò che la comunità gerosolimitana sarebbe

stata retta da allora in poi dalla «legge di Dio»” 94 . Questa operazione

eminentemente politica di Esdra capovolse la situazione storica e il rapporto con

Jahveh: mentre inizialmente il rapporto tra Dio e popolo era sancito dall’alleanza

e le leggi ne erano una conseguenza, ora, caduta l’alleanza, le leggi e il loro

rispetto costituivano la comunità e il suo rapporto con Dio. Da questo momento la

legge divenne assoluta, valida incondizionatamente e universale. È in questo

preciso momento storico, legato alla missione di Esdra e all’assolutizzazione delle

leggi che si compie quella che Nietzsche definisce la prima trasvalutazione dei

valori.

Ciò che muta radicalmente è la natura di Dio stesso: “fintanto che l’alleanza resta

in vigore, obbedire alle sue leggi significa rispondere all’iniziativa divina da cui

proviene l’alleanza, e Dio è attivo. Ma una volta rotta l’alleanza, Dio, dopo aver

rivelato la legge, «non può fare altro che reagire al comportamento dell’uomo di

fronte alla legge». L’assolutizzazione della legge è dunque, almeno, il divenire

reattivo di Dio”95. Ciò che si compie con la trasvalutazione ebraica è una

“trasmutazione radicale del senso della giustizia”96. Se sotto l’alleanza la giustizia

era una libera funzione di Dio, sciolta l’alleanza la giustizia diventa retributiva e

funzione della legge, dunque reattiva come lo stesso Dio. Nietzsche comprende

perfettamente questo punto:

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!94!Ibidem, p.355!95!Ibidem, p.356!96!Ibidem, p.356!

Capitolo 3: Problema del prete e ideale ascetico.

49

“In origine, soprattutto all’epoca del potere regio, anche Israele si trovava nel

giusto, vale a dire nel naturale rapporto con tutte le cose. Il suo Jahveh era

l’espressione della coscienza del potere, del piacere di sé, della speranza riposta in

sé: ci si attendeva da lui vittoria e salvezza, con lui si confidava nella natura, che

essa desse ciò di cui il popolo aveva bisogno- soprattutto la pioggia… Jahveh era

Dio d’Israele e di conseguenza Dio della giustizia: è questa la logica di ogni

popolo che ha la potenza e una buona coscienza di essa […]. Ma ogni speranza

restò inadempiuta. Il vecchio Dio non poteva più nulla di ciò che poteva una

volta. Che cosa accadde? Si trasformò il suo concetto - si snaturalizzò il suo

concetto: esso fu mantenuto a questo prezzo. - Non fu più un’unità con Israele,

un’espressione del sentimento di sé proprio di un popolo: restò soltanto un Dio

sottoposto a condizioni… Il suo concetto diventa uno strumento nelle mani di

agitatori sacerdotali, che ormai interpretano ogni buona ventura come premio,

ogni calamità come castigo per una disobbedienza a Dio, per il «peccato»: quella

mendacissima maniera d’interpretare un presunto «ordinamento etico del mondo»,

con la quale, una volta per tutte, viene capovolto il concetto naturale di «causa» e

«effetto»”97.

Dunque questo radicale capovolgimento interno al popolo ebraico risulta essere

manifestazione dello spirito di vendetta sacerdotale il quale, partendo da una

“naturale” situazione di impotenza riesce, sovvertendo gli antichi valori e

trasformando radicalmente il rapporto tra il popolo e il suo Dio (e di conseguenza

la funzione della giustizia), ad erigersi a capo del popolo diventando

assolutamente necessario in quanto legislatore e giudice. Il prete ebraico,

attraverso la finzione del peccato, riesce a sottomettere il popolo a sé

costituendosi come tramite terreno di Dio. Da questo momento ogni forma di

disobbedienza verso Dio diviene mancata obbedienza verso il prete e costituisce

un peccato da cui solo il prete può salvare incrementando lo stato di sottomissione

del peccatore. Alla domanda, cosa fa il prete ebraico? Si può rispondere che:

“Elevando la legge al di sopra dell’alleanza dalla quale Israele traeva tutta la sua

vita e la sua potenza, il prete subordina così questa a quella, che è loro estranea,

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!97!F. Nietzsche, L’Anticristo, pp.30-31!

Capitolo 3: Problema del prete e ideale ascetico.

50

perché, invariabile assoluta, essa ignora il divenire. E una volta astratto il valore

della vita dalla vita stessa, essa non può che trovarsi svalorizzata”98.

È questo il punto centrale per Nietzsche: la vita è sempre volontà di potenza che si

accresce superando ogni resistenza alla vita, ma, nel momento in cui la resistenza

non può essere superata, la vita resta volontà di potenza che si riversa sulla

propria conservazione rivolgendosi contro se stessa. Una volontà di potenza che si

rivolge contro se stessa e dunque contro la vita nega la vita stessa e istituendo

valori al di fuori di essa (la legge), riesce a conservarsi attraverso la finzione. Il

sacerdote ebraico è il creatore del risentimento perché è la prima forma nella

storia di una volontà di potenza che nega la vita per incrementare la potenza e

conservare la vita. Per far ciò è necessario al prete ebraico creare valori contro la

vita, abbassare al minimo grado la forza vitale in modo da istituirsi come potere

assoluto, per questo fine è stato necessario al prete creare la forza reattiva (utilizza

la forza per inaridire le fonti della forza) e rivolgere l’odio all’esterno per

compiere la più spirituale delle vendette.

Vediamo che per Nietzsche la storia ebraica è solo la prima fase della

trasvalutazione dei valori aristocratici da parte del potere sacerdotale e, per usare

le sue parole: “sappiamo chi ha raccolto l’eredità di questa trasvalutazione

giudaica…”99. È il cristianesimo che compie la mossa decisiva, che conduce al

definitivo trionfo ciò che ha solo il suo inizio con gli ebrei: la rivolta degli schiavi

nella morale. Abbiamo già visto nel precedente capitolo come questa rivolta viene

perseguita dal prete cristiano: al risentimento segue la cattiva coscienza. L’odio

giudaico rivolto verso l’esterno viene reindirizzato dal nuovo tipo sacerdotale

verso l’interno in modo da produrre un dolore da cui lui stesso è l’unico che può

salvare. Per comprendere bene come per Nietzsche sia avvenuto questo passaggio

bisogna capire come lui intende il cristianesimo e il conseguente rapporto tra

ebraismo e cristianesimo. Seguiamo Gilles Deleuze su questo punto che è capitale

per il nostro discorso. Deleuze cerca di seguire la valutazione di Nietzsche nei

confronti di questa complessa relazione da due differenti punti di vista:

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!98!D.Franck, Nietzsche e l’ombra di Dio, p.360 99!G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, p.198!

Capitolo 3: Problema del prete e ideale ascetico.

51

“Da una parte il cristianesimo è il risultato dell’ebraismo, ne prosegue e ne

realizza l’opera: tutta la potenza del risentimento conduce al Dio dei poveri, dei

malati e dei peccatori. In pagine famose Nietzsche si sofferma sulla carica di odio

di San Paolo e sulla bassezza del Nuovo Testamento; la stessa morte di Cristo è

una svolta che riconduce ai valori ebraici e che instaura una pseudo-opposizione

tra l’amore e l’odio che rende l’amore più seducente, come se fosse indipendente

dall’odio e ad esso contrapposto, e ne fosse quindi la vittima. Da un altro punto di

vista -continua Deleuze- il cristianesimo apporta un contributo nuovo: non si

limita a dar compiutezza al risentimento, ma ne cambia la direzione attraverso

l’invenzione della cattiva coscienza. Ma nemmeno in questo caso si dovrà credere

che la nuova direzione del risentimento nella cattiva coscienza si contrapponga

alla direzione originaria; si tratta soltanto di una tentazione e di una seduzione

supplementari. Il risentimento diceva è «colpa tua», la cattiva coscienza dice «è

colpa mia»; ma si sa che il risentimento non si appaga finché il suo contagio non

si sia diffuso; il suo scopo è di far diventare reattiva la vita intera, di far diventare

malati i sani; non gli basta accusare: è necessario che l’accusato si senta colpevole

[…] è l’unica condizione indispensabile affinché il prete eserciti la propria

potenza: per sua natura egli deve dominare su coloro che soffrono”100.

Nietzsche individua continuità e rottura del cristianesimo nei confronti

dell’ebraismo allora dominante. L’amore professato dal cristianesimo non è altro

in realtà che un’ulteriore trasfigurazione di quell’odio giudaico e, se il

cristianesimo è riuscito vincitore nei confronti dell’ebraismo e del mondo intero,

non è, secondo Nietzsche, per una reale validità dei suoi presupposti e valori, ma è

un’ulteriore vittoria di quell’antico odio sacerdotale che ad un certo punto si

rivolge contro se stesso. Il primo cristianesimo rappresenta una rivolta nei

confronti della casta sacerdotale allora dominante, quella ebraica:

“Il «popolo santo» (quello ebraico), che per tutte le cose aveva conservato

soltanto valori sacerdotali, parole sacerdotali, […] questo popolo produsse per il

suo istinto un’ultima formula, la quale era logica fino all’autonegazione: esso

negò, come cristianesimo, anche l’ultima forma della realtà, «il popolo santo», «il

popolo degli eletti», la stessa realtà ebraica. Il caso è di prim’ordine: il piccolo !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!100!Ibidem pp.198-199!

Capitolo 3: Problema del prete e ideale ascetico.

52

moto di ribellione, che viene battezzato col nome di Gesù di Nazareth, è ancora

una volta l’istinto ebraico - in altri termini, l’istinto sacerdotale che non sopporta

più il prete come realtà, l’invenzione di una forma di esistenza ancora più astratta,

di una visione del mondo ancora più irreale di quanto sia condizionata

dall’organizzazione di una Chiesa. Il cristianesimo nega la Chiesa…”101.

Se Nietzsche ha dimostrato una valutazione ambivalente nei confronti della

religione e del popolo ebraico, non si può certo sostenere la stessa tesi per quanto

riguarda il suo rapporto con il cristianesimo. Nietzsche vede il cristianesimo come

sua vera antitesi, in tutti i suoi testi è presente un costante riferimento polemico ad

esso (fatta eccezione per la Nascita della tragedia, in cui il cristianesimo non è

ancora esplicitamente suo bersaglio come testimonia egli stesso nel famoso

Tentativo di autocritica posto successivamente come prefazione all’opera). Come

abbiamo visto, nella Genealogia della morale il cristianesimo è fautore della

conversione del risentimento ebraico nella cattiva coscienza. Il testo

dell’Anticristo, come risulta evidente dallo stesso titolo, è una dichiarazione di

guerra nei confronti del cristianesimo. Per Nietzsche il cristianesimo ha effetti

talmente nefasti da aver contagiato l’intera Europa con la particolarissima

“malattia” che porta in dote. Il cristianesimo, inizialmente una piccola setta nata

all’interno del popolo ebraico, fuoriesce dal suo terreno natale e riesce nei secoli a

sovvertire la forma di potere più duratura nel tempo: l’impero romano. La

diffusione del cristianesimo a livello mondiale ha indebolito l’umanità sostituendo

agli antichi valori aristocratici i “nuovi” valori servili, il cristianesimo prosegue

ciò che era iniziato con l’ebraismo, compie la definitiva trasvalutazione di tutti i

valori: il cristianesimo diffonde il nichilismo.

Nell’Anticristo e in molti altri testi, Nietzsche si sofferma sulla nascita del

cristianesimo e ne individua una frattura interna evidente fin dall’origine:

“Già la parola cristianesimo è un equivoco, - in fondo è esistito un solo cristiano

ed è morto sulla croce”102 . Per Nietzsche il cristianesimo, per come si è

sviluppato, non è che un fraintendimento della dottrina dell’uomo da cui prende il

nome: Gesù Cristo che, secondo il filosofo tedesco, è stato l’unico cristiano il cui !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!101!F. Nietzsche, L’Anticristo, p.35!102!Ibidem, p.50!

Capitolo 3: Problema del prete e ideale ascetico.

53

originale messaggio è stato frainteso o sovvertito. Ciò che ha raggiunto la vittoria

con il cristianesimo è ancora una volta l’istinto sacerdotale. In questo caso

Nietzsche individua in San Paolo il soggetto in cui s’incarna l’antico spirito di

vendetta; è Paolo il vero iniziatore del movimento inizialmente settario che ha

conquistato il mondo. Vedremo nei prossimi paragrafi la differenza “psicologica”

tra i due tipi: la psicologia del redentore e il tipo-Paolo.

3.2 La psicologia del redentore

“Il tipo «Gesù»… Gesù è esattamente l’opposto di un eroe: è un idiota. Si sente la sua incapacità

di intendere una realtà: egli si muove nel giro di cinque o sei concetti da lui prima uditi e a poco a

poco capiti [cioè falsamente] - in essa ha la sua esperienza, il suo mondo, la sua verità - il resto gli

è estraneo. Dice parole che tutti adoperano, ma non le intende come tutti, capisce solo quei cinque

o sei sfuggenti concetti. Che i veri e propri istinti virili - non solo quelli sessuali, ma anche quelli

della lotta, della fierezza, dell’eroismo - non siano mai maturati in lui, che sia un ritardato e sia

rimasto infantilmente nell’età puberale: ciò fa parte del tipo di certe nevrosi epilettoidi. Gesù è nei

suoi istinti più profondi antieroico: non si batte mai; chi vede in lui qualcosa come un eroe, come

Renan, ha volgarizzato il tipo fino a renderlo irriconoscibile. Si sente d’altra parte la sua incapacità

di intendere alcunché di intellettuale: la parola «spirito» diventa in bocca a lui un equivoco.

Neanche il più lontano soffio di scienza, di gusto, di disciplina mentale, di logica ha sfiorato

questo santo idiota: non più di quanto lo abbia toccato. Natura? Leggi di natura? Nessuno gli ha

rivelato che c’è una natura. Egli conosce solo effetti morali: un segno della cultura più bassa e

assurda. Si deve tener fermo ciò: egli è un idiota in mezzo a un popolo avvedutissimo… Solo che i

suoi discepoli non lo erano - Paolo non era in nessun modo un idiota! Da tutto ciò dipende la storia

del cristianesimo”103.

In questo breve testo, facente parte degli ultimi lasciti scritti da Nietzsche, credo

sia espressa con forti tinte quella che definiva nell’Anticristo la psicologia del

redentore. Definendolo con la dostoevskiana formula del santo-idiota, credo che

Nietzsche voglia distinguere nettamente il tipo-del-redentore da ogni possibile

incarnazione di ciò che per lui rappresenta l’odio sacerdotale incarnato dal prete.

Il Gesù di Nietzsche è l’unico vero cristiano perché la sua dottrina è rappresentata

dalla sua vita e dalla sua morte, dal modo in cui ha vissuto e dal modo in cui è

morto. In questa pratica di vita è racchiuso il vero messaggio cristiano, un !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!103!F. Nietzsche, Frammenti postumi 1888-1889, Adelphi Edizioni, Milano 1974, VIII, tomoIII, fr.14 [38]!

Capitolo 3: Problema del prete e ideale ascetico.

54

messaggio, che è stato successivamente reinterpretato e volutamente frainteso per

essere utilizzato in vista di tutt’altro fine. Nietzsche è convinto che ciò che è

giunto a noi tramite i Vangeli non sia altro che una deformazione del tipo. Gesù

insegna l’unico Evangelo:

“Che cosa significa lieta novella? La vita vera, la vita eterna è trovata - non viene

promessa, esiste, è in voi: come vita nell’amore, nell’amore senza detrazioni o

esclusioni, senza distanza. Ognuno è figlio d’Iddio - Gesù non pretende

assolutamente nulla per sé solo - ognuno in quanto figlio di Dio, è uguale

all’altro...”104.

Il modo in cui è stata interpretata questa figura da chi, come Renan, ne rintraccia

le caratteristiche del genio-eroe è ciò che più si allontana dalla realtà del tipo. Se

Nietzsche utilizza una formula così forte come quella di santo-idiota, santo-

anarchico è proprio per opporsi a questa tradizionale formulazione del

personaggio di Cristo. Nietzsche vede nel tipo le caratteristiche dell’idiota in

quanto uomo che, a causa di una difficoltà costitutiva del vivere nel reale, di

soffrire, di accettare il mondo, si rinchiude nella propria interiorità “come fuga

nell’«inafferrabile», nell’«inconcepibile», come ripugnanza a ogni formula, a ogni

concetto spazio-temporale, a tutto ciò che è stabile, costume, istituzione, Chiesa,

come uno starsene di casa in un mondo con cui non viene più in contatto alcuna

specie di realtà, in un mondo meramente «interiore», un mondo «vero», un mondo

«eterno»…«il regno di Dio è in voi»”105.

Nietzsche vede nel redentore un soggetto dalla forte irritabilità fisiologica, dotato

di estrema sensibilità per la sofferenza e il dolore, un uomo che non oppone

resistenza, un uomo che ha realmente insegnato l’amore “Come unica, come

ultima possibilità di vita”106.

Gesù non era un fanatico, come voleva Renan, non era il tipo-fondatore di

religione. Ciò che Gesù insegna è evitare ogni contrasto, non conosce formule e

non diffonde dogmi, conosce solo la vita che sperimenta, ogni sua frase è

simbolica, allegoria di quel mondo interiore in cui si è rifugiato. Per Nietzsche è

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!104!F. Nietzsche, L’Anticristo, p.38!105!Ibidem, p.38!106!Ibidem, p.39!

Capitolo 3: Problema del prete e ideale ascetico.

55

una figura simile a quella del Buddha, esprime un nichilismo passivo che ama la

vita e insegna la morte. Deleuze evidenzia lo stretto rapporto tra la figura reale di

Gesù (il tipo descritto da Nietzsche) e la concezione buddhistica di un nichilismo

passivo. In questa passività del nichilismo Deleuze coglie la particolarità del tipo-

del-redentore che lo nobilita rispetto a chi, come Paolo, trasfigura la figura e la

riporta in uno stato di nichilismo che è ancora negativo o reattivo.

La possibilità della comprensione del Cristo-Buddha è stata negata dai tempi e

dall’ambiente in cui è comparso ma nel recupero di questa figura, Deleuze vede

l’importanza dell’esempio di un estinguersi passivo che, come vedremo, è la base

fondamentale per sperare in una nuova trasvalutazione dei valori. Il tipo

personale del Cristo non è caratterizzato da alcun tipo di risentimento o

sentimento di vendetta, non vuole la guerra, non conosce la colpa, vuole

sopprimere il peccato. Per far ciò si spinge fino all’estrema contraddizione vitale

di rinunciare ad ogni difesa arrivando perfino a perdonare i suoi accusatori e

assassini. Il tipo del redentore vuole simbolizzare con la sua morte come sia

possibile la sua dottrina, una dottrina che acquista per lui valore proprio con

questa morte, con l’accettazione della sua morte. E quel comandamento che

risulta impossibile “ama il tuo nemico” forse solo per il suo tipo è stato una volta

possibile:

“Questo lieto messaggero morì come visse, come aveva insegnato - non per

redimere gli uomini, ma per indicare come si deve vivere. La pratica della vita è

ciò che egli ha lasciato in eredità agli uomini: il suo contegno dinanzi ai giudici,

agli sgherri, agli accusatori e a ogni specie di calunnia e di scherno - il suo

contegno sulla croce. Egli non resiste, non difende il suo diritto, non fa un passo

per allontanare da sé il punto estremo, fa anzi qualcosa di più, lo provoca… e

prega, soffre, ama con loro, in coloro che gli fanno del male… le parole rivolte al

ladrone sulla croce racchiudono in sé l’intero Vangelo. «Questi in verità è stato un

uomo divino, un ‘figlio d’Iddio’!» - dice il ladrone. «Se tu lo senti» - risponde il

redentore - «tu sei in paradiso, anche tu sei un figlio d’Iddio…». Non difendersi,

Capitolo 3: Problema del prete e ideale ascetico.

56

non sdegnarsi, non attribuire responsabilità… ma neppure resistere al malvagio -

amarlo…”107.

Se questo è ciò che Nietzsche pensa della psicologia di Gesù di Nazareth, bisogna

ora soffermarsi su come sia stata possibile una deformazione tale da consegnare

alla tradizione un tipo quasi opposto al Gesù storico. Una deformazione che ha

portato il Cristo ad essere simbolo di una religione che ha avuto come premesse e

conclusioni peccato e salvezza ultraterrena che Gesù, con la sua vita, voleva

negare. Ancora una volta se è stata possibile una tale deformazione, bisogna

comprendere l’ambiente in cui è stata possibile. La dottrina che Gesù voleva

insegnare era la pratica di vita. Non credendo alle formule, egli si esprimeva

attraverso simboli che vennero interpretati da chi colse il messaggio, si era tra

ebrei e i suoi seguaci erano ebrei che conoscevano soltanto idee ebraiche:

“Quello strano mondo malato in cui ci introducono i Vangeli […], deve avere in

tutti i modi reso più rozzo il tipo: i primi discepoli, in particolare, dovevano prima

tradurre nella loro propria grossolanità un tale essere completamente immerso nei

simboli e nell’inconcepibile, per poter comprendere in generale qualche cosa, -

per essi il tipo cominciò a sussistere soltanto dopo essere stato plasmato

unitariamente in forma più note… il profeta, il messia, il futuro giudice, il maestro

di morale, il taumaturgo, Giovanni Battista - furono altrettante occasioni per

travisare il tipo…”108. Se i suoi discepoli non compresero il messaggio e non

s’interessarono alla sua vita, ciò che destò il più vivo interesse fu la sua morte. La

“croce” divenne il mistero dei misteri. Come poteva il figlio di Dio esser morto

crocifisso?

Il momento fu storicamente decisivo, l’odio ebraico si manifestò ancora una volta,

si cercò il colpevole e fu individuato in quel ceto sacerdotale che non riconobbe il

messia. “Soltanto allora si spalancò l’abisso: «Chi lo ha ucciso? Chi era il suo

naturale nemico?» - Questa domanda eruppe come un fulmine. Risposta:

l’ebraismo dominante, la sua classe più elevata. Da questo momento ci si sentì in

rivolta contro l’ordine, più tardi si vide in Gesù il ribelle contro l’ordine”109. Se

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!107!Ibidem, p.46!108!Ibidem, p.40!109!Ibidem, p.52!

Capitolo 3: Problema del prete e ideale ascetico.

57

Gesù era morto per insegnare a non odiare, la sua morte ebbe come conseguenza

tutto l’opposto del messaggio: una vendetta, una rivolta, la trasfigurazione del

tipo. Se, per come Nietzsche li descrive, i primi discepoli erano così grossolani da

non comprendere il tipo, non fu loro possibile neanche trasfigurarlo in vista di una

nuova dottrina. Fu allora che intervenne Paolo di Tarso, dotato di tutt’altro

spessore intellettuale e culturale rispetto ai “veri” discepoli. Fu Paolo a spostare

l’accento dall’importanza della vita all’importanza della morte e a sovvertire il

significato del messaggio gesuano. Fu sempre Paolo a simbolizzare Cristo come

vittima sacrificale in vista della remissione dei peccati.

“E di colpo si fece del Vangelo la più spregevole di tutte le irrealizzabili

promesse, la spudorata dottrina dell’immortalità personale… Lo stesso Paolo la

insegnava come premio!...”110.

3.3 La psicologia di San Paolo

“Che in essa (nella Bibbia) sia descritta la storia di una delle anime più ambiziose,

più moleste e di un cervello tanto superstizioso quanto accorto, la storia

dell’apostolo Paolo - chi mai lo sa a eccezione di qualche dotto?- Tuttavia senza

questa storia singolare, senza i perturbamenti e le burrasche di un tale cervello, di

una tale anima, non esisterebbe cristianità; avremmo avuto appena notizia di una

piccola setta giudea, il maestro della quale morì sulla croce”111.

Queste poche righe sono tratte da un brano di Aurora dal titolo particolarmente

significativo: Il primo cristiano. Paolo ha sempre rivestito per Nietzsche il ruolo

di una figura dalla fondamentale importanza. Nietzsche pensa che il cristianesimo

inizi con Paolo; che sia stato Paolo (che non ha mai personalmente conosciuto il

“suo” redentore) ad aver maggiormente deformato la figura di Gesù Cristo e che

sia sempre lui il responsabile della definitiva trasvalutazione dei valori iniziata dal

ceto sacerdotale ebraico. Ciò che si conosce di Paolo di Tarso è espresso negli

Atti degli apostoli e nelle lettere da lui scritte (cronologicamente i primi testi

riconosciuti dal Canone neotestamentario). Paolo era un fariseo, si presenta lui

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!110!Ibidem, p.54!111!F. Nietzsche, Aurora, p.49!

Capitolo 3: Problema del prete e ideale ascetico.

58

stesso come progenie di Abramo appartenente alla tribù di Beniamino. Era dotato

di una grande cultura ed era fanatico osservatore della Legge ebraica. È stato un

persecutore dei primi cristiani fino al momento in cui, diretto a una missione

persecutoria contro di loro, viene colto da una “visione” di Gesù Cristo e si

converte alla Sua parola. Per questa dottrina, con lo stesso fanatismo del passato,

si legittima come apostolo e s’impegna fino alla morte (avvenuta sotto Nerone tra

il 58 e il 59 d.C.) a professarne il messaggio o più precisamente la sua

interpretazione di esso.

Ho fatto ovviamente un riassunto estremamente sommario della vita di Paolo

perché ciò che più ci interessa della sua figura è l’interpretazione che ne dà

Nietzsche. Iniziamo col dire che il filosofo tedesco conia un nuovo termine per

descrivere la funzione devastante che ha avuto Paolo sull’avvenire

dell’insegnamento di Cristo, lo chiama: disangelista. Paolo è venuto, secondo

Nietzsche, a trasfigurare la figura del redentore per imporre la sua dottrina.

“Alla «buona novella» seguì immediatamente la peggiore tra tutte: quella di

Paolo. In Paolo s’incarna il tipo antitetico alla «buona novella», il genio nell’odio,

nella visione dell’odio, nella spietata logica dell’odio. Che cosa non ha sacrificato

all’odio questo disangelista? Innanzitutto il redentore: lo inchiodò alla sua croce.

La vita, l’esempio, la dottrina, la morte, il senso e il diritto dell’intero Vangelo -

nulla di tutto ciò esistette più quando questo falsario comprese, per odio,

unicamente ciò di cui aveva bisogno. Non la realtà, non la verità storica…”112.

Cogliamo subito alcune intuizioni di Nietzsche: Paolo contrappone la sua dottrina

a quella di Gesù Cristo per “odio”. L’apostolo dei Gentili comprende le parti degli

insegnamenti che potevano essergli necessari e, cambiandone il senso, utilizza i

nuovi significati per dare sfogo al suo odio. Vediamo come continua Nietzsche:

“E ancora una volta l’istinto sacerdotale degli Ebrei perpetrò un identico, grande

delitto contro la storia - egli cancellò, né più né meno, lo ieri, l’avanti ieri del

cristianesimo, inventò per sé una storia del primo cristianesimo. E più ancora,

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!112!F. Nietzsche, L’Anticristo, p.55!

Capitolo 3: Problema del prete e ideale ascetico.

59

falsificò di nuovo la storia d’Israele, affinché apparisse come la preistoria della

sua azione; tutti i profeti hanno parlato del suo «redentore»”113.

Dunque, l’odio che guidava Paolo derivava da quell’identico spirito sacerdotale,

ricco di odio e proteso alla vendetta, che caratterizzava il ceto dominante ebraico.

Paolo, guidato da questo poderoso istinto, utilizzò la nascente storia del

cristianesimo per plasmarla nella sua nuova dottrina. Fece ancora di più, colse

tutto ciò che poteva essergli utile nell’Antico Testamento, tutto ciò che poteva

utilizzare, e lo pose in collegamento con quanto da lui annunciato; quasi fosse il

preambolo di ciò che veniva dopo. Ciò che annunciavano i profeti nell’Antico

Testamento (infedeltà di Israele-punizione divina-attesa messianica) fu avvertito e

caratterizzato da Paolo come riferimento costante al suo “profeta”.

Paolo trova il suo problema, il suo avversario, il suo nemico nella legge giudaica

che tanto aveva amato e difeso. Il suo problema era probabilmente il suo istinto, la

sua interiorità. Paolo non sopportava la legge perché per lui, uomo estremamente

turbato, non era possibile rispettarla nella sua totalità. Una volta postosi il

problema del peccato, capì che la legge lo provocava rendendo impossibile la sua

totale adempienza. La legge colpiva la carne perché Paolo, fanatico com’era,

soffriva ardentemente nel mancato rispetto della legge.

L’interpretazione di Nietzsche diventa estrema quando cerca di comprendere cosa

successe “sulla via di Damasco”, (avvenimento raccontano nella prima Lettera ai

corinzi [1Cor 15]) quando Paolo ebbe la sua personalissima visione del Cristo che

gli chiedeva pietosamente “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”(Atti 9-4)114.

Nietzsche si pone il problema del perché, dato per assodato che una visione

“reale” di Gesù non fosse possibile, Paolo abbia cambiato totalmente direzione al

suo pensiero e alla sua azione. Nietzsche sostiene che ciò che successe a Paolo fu

sì un evento del tutto unico, ma assolutamente non una visione celeste: ebbe

un’intuizione, nel senso più forte del termine. Paolo fu pervaso da un’idea a dir

poco geniale, mentre si dirigeva a perseguitare i discepoli di quest’uomo

crocifisso, lo colse il pensiero dei pensieri. Paolo capì che il Cristo in croce,

simbolo di ciò che perseguitava, sarebbe potuto essere per lui un mezzo, il più !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!113!Ibidem, p.55!114!La Bibbia di Gerusalemme, Centro editoriale dehoniana 2010, [Atti degli apostoli, 9-4], p.2605!

Capitolo 3: Problema del prete e ideale ascetico.

60

potente, per porsi contro la legge e svuotarla. Capì che “far-credere” nella divinità

di un uomo crocifisso dalla legge sarebbe stato innalzare un paradosso

difficilmente scioglibile. Paolo comprese che professare che quel Gesù - morto

sulla croce perché trasgressore della legge - fosse in realtà il “figlio di Dio” che si

è sacrificato per gli uomini avrebbe svuotato di senso la legge.

Paolo introduce lo spirito ponendo la questione in termini dialettici: con il nuovo

messaggio si annuncia che lo spirito svuota e supera la lettera. Da questo

momento, per Paolo, ciò che conta è la fede in Gesù Cristo e nel suo essere risorto

dai morti. Ciò che gli ebrei pensavano di poter raggiungere (la salvezza)

attraverso le opere stando sotto la legge è ora svuotato di senso e anche se non del

tutto annullato, risulterà superfluo rispetto alla fede.

In Paolo si attua il superamento della legge giudaica. Da questo momento la

salvezza non dipende più dalle opere, ma dalla fede in Gesù Cristo e nel suo

sacrificio per la salvezza degli uomini. Se la Legge era il segno distintivo

dell’antica alleanza dei giudei con Dio e la nuova alleanza è slegata dalla legge e

caratterizzata dalla fede, allora è possibile per Paolo un secondo movimento di

assoluta sovversione. Gesù Cristo sulla croce si è sacrificato per tutti gli uomini,

non solo per Israele: “Maledetto chi è appeso al legno, perché in Cristo Gesù la

benedizione di Abramo passasse alle genti e noi ricevessimo la promessa dello

Spirito mediante la fede” (Gal.3-13)115. Questo è un altro momento decisivo

dell’opera di trasvalutazione compiuta da Paolo: la fede in Gesù Cristo è possibile

per tutti. Il Dio che era Padre di Israele e aveva con esso sancito un patto

testimoniato dall’arca e successivamente dalla legge, si rivolge ora a tutti gli

uomini pronti ad accogliere la fede in quel Gesù crocifisso. Paolo così facendo si

pone in conflitto con i primi cristiani, rappresentati dai dodici apostoli compagni

del Cristo.

Siamo arrivati a comprendere la portata assolutamente rivoluzionaria di Paolo

che, attraverso lo svuotamento della legge ebraica e il capovolgimento del

concetto di elezione, rende universale il messaggio e scioglie definitivamente il

nascente cristianesimo dal terreno ebraico da cui comunque naturalmente è sorto.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!115!Ibidem, [Gal. 3,13],p.2774!

Capitolo 3: Problema del prete e ideale ascetico.

61

Nietzsche indica quali fossero i veri intenti del “tredicesimo” apostolo poiché:

“Paolo voleva il fine, di conseguenza volle anche i mezzi…”116. Questi “mezzi”

utilizzati da Paolo non sono per Nietzsche altro che finzioni, geniali finzioni.

Paolo è il tipico genio sacerdotale perché è il genio del capovolgimento; Nietzsche

rintraccia nell’apostolo quel trasvalutatore di tutti i valori che successivamente lui

stesso crede di poter rovesciare. In Paolo rintraccia ovunque la categoria della

finzione; in ogni suo movimento ciò che Paolo compie è un capovolgimento.

Secondo Nietzsche però, ciò che più risulterà decisivo nella successiva diffusione

del messaggio è lo spostamento di quello che è il centro di gravità della vita: “se

si trasferisce il centro di gravità della vita non nella vita, ma nell’«al di là» - nel

nulla - si è tolto il centro di gravità alla vita in generale. La grande menzogna

dell’immortalità personale distrugge ogni ragione, ogni natura nell’istinto - tutto

quanto negli istinti è benefico, promotore di vita, mallevadore dell’avvenire, desta

ormai diffidenza. Vivere in modo che non ha più senso alcuno vivere, questo

diventa ora il senso della vita…”117. Paolo compie la più spirituale delle vendette

perché si vendica contro la vita stessa. Egli comprese ciò di cui aveva bisogno per

raggiungere il suo fine:

“Quel che lui stesso non credeva, gli idioti, tra cui egli gettò la sua dottrina, lo

credettero. - Il suo bisogno era la potenza: con Paolo, il sacerdote volle ancora una

volta pervenire alla potenza - potevano servirgli soltanto quei concetti, quelle

dottrine e quei simboli, con cui si tiranneggiano masse, si formano mandrie”118.

Spostando l’importanza massima della vita in un momento successivo ad essa è

chiaro come si svaluti il mondo in favore del nulla. Il passo geniale compiuto da

Paolo è aver spostato l’accento sulla morte di Cristo più che sulla sua vita, sulla

sua resurrezione dai morti più che sul suo insegnamento. La geniale trovata della

morte di Gesù come sacrificio espiatorio per la salvezza di tutti gli uomini è la

mossa decisiva con cui Paolo assolutizza il peccato rendendolo interiore,

inevitabile e scontabile unicamente tramite la fede.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!116!F. Nietzsche, L’Anticristo, p.56!117!Ibidem, p.56!118!Ibidem, p.56!

Capitolo 3: Problema del prete e ideale ascetico.

62

Finora abbiamo visto come Paolo abbia trovato e utilizzato simboli e concetti e

quanto in lui si manifesti esemplarmente ciò che Nietzsche definisce l’istinto

sacerdotale. Dobbiamo ora esaminare quale sia il vero bersaglio di tale istinto e di

Paolo come suo massimo rappresentante. Se necessità di Paolo era pervenire alla

potenza e se, come abbiamo visto in precedenza, la potenza che non si può

estrinsecare come tale per mancanza di forza necessita della finzione, rendere le

masse reattive è ciò che è necessario al potere sacerdotale per erigersi come tale.

Il bersaglio di Paolo è per Nietzsche la scienza, la scienza intesa come sapienza e

conoscenza del mondo:

“Una religione, come il cristianesimo, che non si trova a contatto con la realtà in

nessun punto, e che crolla non appena la realtà anche soltanto in un punto afferma

il suo diritto, deve logicamente essere nemica mortale della «sapienza del

mondo», voglio dire della scienza - essa approverà tutti i mezzi con cui può essere

avvelenata, calunniata, screditata la disciplina dello spirito, la purezza e il rigore

nelle questioni di coscienza dello spirito, la nobile freddezza e libertà dello spirito.

La «fede» come imperativo è il veto contro la scienza - in praxi la menzogna a

qualsiasi costo… Paolo comprese che la menzogna - «la fede» - era necessaria:

più tardi la Chiesa ricomprese Paolo. - Quel «Dio» che Paolo si era inventato, un

Dio che «confonde la sapienza del mondo», […] è in verità soltanto la risoluta

decisione dello stesso Paolo: chiamare «Dio» la propria volontà, thora, ciò è

originariamente ebraico. Paolo vuole confondere la «sapienza del mondo»: i suoi

nemici sono i buoni filologi e medici di Alessandria; - è a loro che fa guerra”119.

Per concludere, Paolo è per Nietzsche una figura della massima importanza,

perché è il simbolo del risentimento tipicamente sacerdotale che, sentendo

necessario l’accrescimento della potenza, utilizza la sua genialità tramite la

finzione per svalutare una realtà che non può accettare e crearne una copia irreale

in cui utilizzare la reattività per pervenire alla potenza. Paolo innalza il nulla sopra

la realtà, svaluta il mondo e, così facendo, crea valori-disvalori sempre reattivi.

Ponendo la fede al di sopra delle opere e rendendo l’elezione un criterio generale

di puro-dono-divino, Paolo indirizza il messaggio verso tutti con la

consapevolezza che esso attecchirà più facilmente tra chi su questa terra non vive !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!119!Ibidem, p. 66!

Capitolo 3: Problema del prete e ideale ascetico.

63

di benessere e speranza. Il tredicesimo apostolo crea un soggetto del tutto nuovo,

dotato di una nuova identità tutta protesa verso altro. Paolo utilizza il nulla per

assolutizzarlo. Vedremo nel seguente capitolo come, secondo Nietzsche, sia

l’ideale ascetico che rende possibile il trionfo del sacerdote mediante un

sistematico ribaltamento della realtà teso alla conquista di sempre maggiore

potenza (attraverso l’innalzamento del nulla). Paolo è stato l’esempio perfetto di

prete-potente, “Paolo è stato il più grande tra tutti gli apostoli della vendetta”120.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!120!Ibidem, p.63!

Capitolo 4: Ascesi come potenza.

64

Capitolo 4

Ascesi come potenza.

4.1 L’ideale ascetico

Ecce homo, uno degli ultimi testi scritti da Nietzsche, rappresenta una particolare

forma di autobiografia. Come si può facilmente intuire dai nomi dati ai capitoli

che lo compongono, in esso, Nietzsche attraverso un linguaggio altamente

simbolico, cerca di annunciare se stesso. In questo libro presenta una descrizione

di come si diventa ciò che si è (come ci dice il sottotitolo del testo), ponendo se

stesso come riferimento. Ad inizio e fine libro, sotto i titoli di: perché sono così

saggio, perché sono così accorto, perché sono un destino, Nietzsche con modi

particolarmente enfatici, cerca di presentarci la sua persona e la fondamentale

portata storica che essa è destinata a rappresentare. Il filosofo tedesco vuole

rappresentare se stesso come primo immoralista. Ciò contro cui combatte è la

morale, solitamente nella sua accezione giudaico-cristiana.

Abbiamo seguito i protagonisti della sua particolare interpretazione storica: i

dispositivi del risentimento e della cattiva coscienza, le forze reattive che si

sostituiscono in tutto a quelle attive e la psicologia del prete che fa da motore e

conduttore a questi particolari dispositivi. Ciò che manca per completare il

percorso che Nietzsche ha sistematizzato nelle tre dissertazioni della Genealogia

della morale è la condizione in cui sola è stato possibile il succedersi di tali

fenomeni storici. Nietzsche introduce nella terza dissertazione l’ideale ascetico,

che in realtà “era presente fin dall’inizio”121. Abbiamo avuto modo di vedere nei

precedenti capitoli come sia stato Paolo a compiere ciò che Nietzsche definisce

trasvalutazione di tutti i valori. Il percorso di svilimento della vita inizia con il

risentimento ebraico, la cui assolutizzazione della legge produce una situazione in

cui la vita si conserva in modo reattivo. Prosegue poi con il cristianesimo, in cui

fin dai Vangeli è presente sempre e soltanto Israele che trova il suo Messia da

contrapporre al mondo. Si compie con Paolo, vero genio del risentimento e della

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!121!G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, p.217!

Capitolo 4: Ascesi come potenza.

65

cattiva coscienza, il definitivo trionfo delle forze reattive su quelle attive che ora

si dirigono all’interno producendo dolore. Per Nietzsche il cristianesimo inizia

con Paolo perché non sarebbe potuto iniziare con il tipo-Gesù.

Come evidenzia Gilles Deleuze, Nietzsche sembra distinguere più tipi di

religione. In queste distinzioni la religione non è sempre una forza reattiva ma,

avendo una pluralità di sensi, deve la sua qualità al tipo di forze con cui entra in

rapporto. Vi sono rari casi in cui la religione, entrando in rapporto con forze di

altro genere (attive), si pone come forza attiva di selezione ed educazione (lo

stesso esempio del Cristo-di-Nietzsche, legato all’insegnamento di una pratica di

vita da cui sono esclusi risentimento e cattiva coscienza, potrebbe assumere tale

significato).

“Se il senso della religione dipende dalle forze che sono in grado di

impadronirsene, la stessa religione è a sua volta una forza che può presentare

un’affinità più o meno accentuata con le forze che se ne impadroniscono o di cui

essa si impadronisce”122.

Quando Nietzsche in alcuni passi parla di religioni attive, si riferisce a religioni

investite da forze che le fanno funzionare come mezzi per scopi del tutto differenti

da quelli tipicamente-religiosi: “…questo filosofo si servirà delle religioni per la

sua opera di plasmazione culturale ed educativa, allo stesso modo in cui utilizzerà

le condizioni politiche ed economiche del momento”123 o “la religione stessa

potrebbe essere utilizzata come un mezzo per crearsi una quiete rispetto al rumore

e alla difficoltà di governare nel senso più grossolano del termine, nonché una

purezza di fronte alle necessarie sozzure di ogni politica attiva”.124 E ancora “la

religione porge anche a una parte dei governanti una guida e un’occasione per

prepararsi a governare e a comandare un giorno, cioè a quelle classi e a quei ceti

in lenta ascesa nei quali, grazie a felici usanze matrimoniali, la forza e il piacere

della volontà, la volontà di auto-dominio, va continuamente potenziandosi - e a

costoro la religione offre sufficienti impulsi e allettamenti per incamminarsi sulle

strade di una superiore spiritualità, per sperimentare i sentimenti del grande auto-

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!122!Ibidem, p.215!123!F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, Adelphi Edizioni, Milano, 2006, p.66!124!Ibidem, p.66!

Capitolo 4: Ascesi come potenza.

66

superamento, del silenzio e della solitudine - ascetismo e castità sono infatti mezzi

quasi indispensabili per educarsi e nobilitarsi, quando una razza vuol trionfare

sulla sua origine plebea e si sforza per elevarsi al dominio che eserciterà un

giorno”125.

In casi differenti, quando ad esempio domina su altre forze ed esprime se stessa

come fine, la religione assume il suo significato primario.

Il nostro problema è stato fin dall’inizio comprendere la genesi dei fenomeni del

risentimento e della cattiva coscienza, ora bisogna capire come essi siano stati

genialmente messi in moto (abbiamo già visto Chi li ha messi in moto), come sia

stato possibile il loro trionfo. Ebbene è l’intrecciarsi di questi fenomeni all’interno

delle varie “storie delle religioni” che ha prodotto un sovvertimento dei naturali

rapporti tra le cose in favore del nulla, del falso, del non-esistente. Deleuze coglie

in Nietzsche l’idea di un legame inscindibile tra la religione e le due istanze del

risentimento e della cattiva coscienza. Seguiamo la sua spiegazione di questo

particolare rapporto di forze:

“Considerati allo stato grezzo, il risentimento e la cattiva coscienza rappresentano

infatti le forze reattive che si impadroniscono degli elementi della religione per

liberarli dal giogo sotto il quale sono tenuti dalle forze attive, mentre, allo stato

formale, il risentimento e la cattiva coscienza rappresentano le forze reattive di cui

la religione si appropria e dalla quale vengono sviluppate dal momento in cui essa

incomincia a esercitare la sua nuova sovranità; risentimento e cattiva coscienza

sono così i gradi superiori della religione come tale. L’inventore del cristianesimo

non è Cristo ma Paolo, l’uomo della cattiva coscienza e del risentimento […]. La

religione non è solo una forza: mai le forze reattive potrebbero trionfare, portando

la religione sino al suo grado superiore, se la religione non fosse di per sé animata

da una volontà, la volontà di condurre al trionfo le forze reattive”126.

Deleuze interpreta dunque la religione come la condizione attraverso cui si

possono sprigionare il risentimento e la cattiva coscienza ma anche come la forza

che può condurre questi due fenomeni e attraverso essi imporre il suo potere. La

lontananza dal risentimento e dalla cattiva coscienza resero impossibile a Gesù di !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!125!Ibidem, pp.66-67!126!G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, pp.216-217!

Capitolo 4: Ascesi come potenza.

67

Nazareth il fondare una religione; per far questo Paolo era l’elemento necessario.

Distinguendo nella religione una volontà diversa da una forza, una volontà che

vuole far trionfare le forze reattive, Deleuze introduce la sua interpretazione di ciò

che Nietzsche definisce ideale ascetico.

Come abbiamo visto nei paragrafi riguardanti le due tipologie di prete, ebraico e

cristiano, Nietzsche pensa ad un particolare rapporto di interazione tra le forze

reattive e il potere sacerdotale, inteso come particolare forma della volontà di

potenza. Il prete conduce le forze reattive al trionfo perché non incarna una forza

reattiva. Abbiamo visto in precedenza come le forze reattive non potrebbero avere

la meglio senza essere spinte da una volontà capace di applicare proiezione e

finzione. L’ideale ascetico, tramite la finzione di un al di là del mondo, permette

al risentimento e alla cattiva coscienza di proliferare rendendo possibile la

svalutazione della vita a favore del nulla.

Seguiamo Deleuze nella sua interpretazione dell’ideale ascetico:

“In un primo senso, l’ideale ascetico denota l’unione in cui vengono a intrecciarsi

e a rafforzarsi reciprocamente il risentimento e la cattiva coscienza; in secondo

luogo esso denota l’insieme dei mezzi di cui la malattia del risentimento e il

dolore della cattiva coscienza si servono per diventare sopportabili, per

organizzarsi e propagarsi: il prete asceta è insieme giardiniere, allevatore, pastore

e medico. Infine, nel suo senso più profondo, l’ideale ascetico esprime la volontà

che fa trionfare le forze reattive: «l’ideale ascetico esprime una volontà»”127.

Abbiamo detto che affinché le forze reattive trionfino è necessaria la categoria

della finzione. L’ideale ascetico è il produttore per eccellenza della finzione,

intesa come negazione della realtà a favore di ciò che non è reale, che non ha

sostanza, che è nulla. Quando Deleuze, interpretando Nietzsche, parla di una

volontà immanente dell’ideale ascetico, si riferisce ad un particolarissimo tipo di

volontà insito nell’uomo, per cui solo è stato possibile lo sviluppo e il dominio

dell’ideale ascetico: “nella circostanza che l’ideale ascetico ha avuto in generale

un così grande significato per l’uomo, si esprime il fondamentale dato di fatto

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!127!Ibidem, p.217!

Capitolo 4: Ascesi come potenza.

68

dell’umano volere, il suo horror vacui: quel volere ha bisogno di una meta - e

preferisce volere il nulla, piuttosto che non volere”128.

Secondo Nietzsche è a causa della sofferenza dell’uomo-nel-mondo, della

sofferenza davanti alla realtà che la finzione si è resa necessaria, come lo è sempre

stata. La differenza consiste nel modo di rapportarsi alla realtà che in ogni caso

implica sofferenza. Se Nietzsche intravedeva nei Greci un popolo realmente

affermativo, anche nel suo rapporto con la divinità, era per la loro capacità di

sopportare la sofferenza, per i loro mezzi per affrontarla. La tragedia greca

(Sofocle-Eschilo) è la massima rappresentazione di questo stato di cose. Nella

tragedia si esprimeva perfettamente la visione greca della vita e della sofferenza

che in essa era necessaria e inevitabile, ma che poteva essere accettata,

trasfigurata e resa forza vitale. I Greci partivano dal presupposto simbolico

espresso dal detto silenico che esprime in maniera così elegante Calderòn de la

Barca: “Sarebbe stato meglio non essere mai nati ed una volta nati morire

presto”129. Questo presupposto non serviva da base per svalutare o respingere la

realtà, ma tutto all’opposto per accettarla e viverla nella sua interezza.

La differenza che si ha con la morale cristiana, espressione - secondo Nietzsche -

dell’ideale ascetico tramite risentimento e cattiva coscienza, è proprio la risposta

che si dà a questa sofferenza. Con l’avvento del cristianesimo, che in ciò è unico

anche rispetto all’ebraismo, assistiamo ad un modo del tutto nuovo di rapportarsi

alla sofferenza. Gli ebrei, come i greci, erano e restano attaccati alla vita terrena,

alle cose in senso stretto, alle gioie e prosperità che la vita può offrire. È il

cristianesimo di Paolo (come simbolo del prete ascetico ricolmo di potenza) che

cerca di dare un significato alla sofferenza, di interpretarla. Da questa

particolarissima interpretazione, per cui era necessario l’ideale ascetico, si prese

partito contro il mondo e contro la vita, si creò un mondo-altro, un mondo di

finzione. In questo capovolgimento totale, in cui ciò che è vero-reale diventa

falso-ideale, quello che avviene è una trasvalutazione di tutti i valori,

dimostrazione di una volontà che tende al nulla.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!128!F. Nietzsche, Genealogia della morale, p.89!129!Calderòn de la Barca, La vita è sogno, Adelphi Edizioni, Milano, 1997, p. 56!

Capitolo 4: Ascesi come potenza.

69

“Questo appunto significa l’ideale ascetico: che qualcosa mancava, che

un’enorme lacuna circondava l’uomo - egli non sapeva giustificare, spiegare,

affermare se stesso, soffriva del problema del suo significato. Soffriva anche

d’altro, era principalmente un animale malaticcio: ma non la sofferenza in se

stessa era il suo problema, bensì il fatto che il grido della domanda «a che scopo

soffrire?» restasse senza risposta. L’uomo, l’animale più coraggioso e più abituato

al dolore, in sé non nega la sofferenza; la vuole, la ricerca persino, posto che gli si

indichi un senso di essa, un «perché» del soffrire. L’assurdità della sofferenza,

non la sofferenza, è stata la maledizione che fino a oggi è dilagata sull’umanità - e

l’ideale ascetico offrì ad essa un senso! È stato fino a oggi l’unico senso; un

qualsiasi senso è meglio che nessun senso; l’ideale ascetico è stato sotto ogni

aspetto il «faute de mieux» par excellence che sia mai esistito sino a ora. In esso la

sofferenza venne interpretata”130.

Il cristianesimo, secondo Nietzsche, ha attecchito in maniera così imponente

perché si è diretto ai più sofferenti, ai malati, ai reietti, perché erano loro che

necessitavano di un’interpretazione per la loro sofferenza, coloro che erano troppo

deboli per sopportarla. Per questo motivo Deleuze parla di uno stretto legame tra

forze reattive e volontà del nulla, perché le une non potrebbero trionfare senza

l’altra e viceversa. Le forze reattive necessitano di una finzione, di credere in

qualcosa, anche se questo qualcosa è poi nient’altro che nulla. Solo grazie alla

finzione dell’ideale ascetico è stato possibile il trionfo del risentimento come

proiezione all’esterno e della cattiva coscienza come spostamento all’interno della

forza. Si è prima creato un altro a cui contrapporsi per scatenare l’odio e si è

successivamente creato un concetto come quello di colpa-peccato che ha

permesso all’odio di dirigersi verso l’interno e produrre dolore come cattiva

coscienza. Allo stesso modo l’ideale ascetico come volontà del nulla necessita

delle forze reattive perché solo esse permettono alla vita di dirigersi contro se

stessa e di nientificarsi.

Nella terza dissertazione Nietzsche pone il quesito “Cosa significano gli ideali

ascetici?”, le sue interrogazioni sono poste sempre nella forma del “chi?”, mai del

che cosa?”. La vera domanda è: a che tipologia di uomo l’ideale ascetico è più !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!130!F. Nietzsche, Genealogia della morale, p.156!

Capitolo 4: Ascesi come potenza.

70

necessario e sotto quale forma si estrinseca? Anche se conosciamo già in parte la

risposta è bene seguire il testo, soffermandoci solo brevemente su ciò che è meno

vicino al nostro tema. Nietzsche si chiede inizialmente quale sia il senso

dell’ideale ascetico per gli artisti e la risposta è abbastanza esaustiva: “che

significano gli ideali ascetici? - negli artisti, nulla oppure troppe cose diverse”131.

Dopo aver chiarito quale è stato il ruolo dell’ideale ascetico in un artista come

Richard Wagner, Nietzsche passa a vagliare quale sia il rapporto dei filosofi con

l’ascetismo. Partendo da un discorso su Schopenhauer come pessimista radicale e

sofferente della vita, Nietzsche spiega quale sia la sua posizione nei confronti dei

filosofi come asceti:

“Che significa, dunque, l’ideale ascetico in un filosofo? Come si sarà indovinato

da un pezzo, - è questa la mia risposta: alla sua vista sorride il filosofo, come di

fronte a un optimum delle condizioni di suprema e arditissima spiritualità- e con

ciò non nega l’«esistenza», sibbene afferma in essa la sua esistenza e unicamente

la sua esistenza, e questo forse sino al punto da non restargli lontano l’empio

desiderio: pereat mundus, fiat philosophia, fiat philosophus, fiam!...”132.

I filosofi si sono serviti dell’ideale ascetico come di quella sola forma sotto cui

potevano legittimarsi come tali, utilizzandone la condizione per trasfigurarsi:

“Lo spirito filosofico ha sempre dovuto innanzitutto travestirsi e mascherarsi nei

tipi anteriormente stabiliti dell’uomo contemplativo, come sacerdote, mago,

indovino, come un uomo religioso in generale, per essere in qualche misura anche

soltanto possibile: per lungo tempo l’ideale ascetico è servito al filosofo come

forma fenomenica, come presupposto esistenziale - costui dovette rappresentarlo,

per poter essere filosofo, dovette credere in esso, per poterlo rappresentare”133.

È in questo caso la filosofia che si è servita dell’ideale ascetico, anche se per

Nietzsche superata la necessità del camuffamento essa dovrebbe abbandonarlo per

non svilirsi e perdere la sua forza vitale e affermatrice.

Siamo giunti, infine, al centro della questione: l’ideale ascetico si manifesta in

tutta la sua potenza nella figura del prete e, viceversa, il sacerdote trova

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!131!Ibidem, p.89!132!Ibidem, p.100!133!Ibidem, p.109!

Capitolo 4: Ascesi come potenza.

71

nell’ascesi la sua massima potenza. Il prete, come abbiamo visto in precedenza, è

di tutt’altra natura rispetto ad una forza reattiva, ed è per questa ragione che riesce

a condurla. Il sacerdote tramite l’ascesi vuole la sua potenza. Trovato il suo

debole seguito, può far agire liberamente i suoi mezzi per svilire la vita; creando

la finzione e rendendola assoluta offre la sua interpretazione della sofferenza con

il risultato di produrne maggiormente: “Il prete asceta ripone in quell’ideale non

soltanto la sua fede, bensì anche la sua volontà, la sua potenza, il suo interesse.

Con quell’ideale si erige e cade il suo diritto all’esistenza”134. Bisogna chiarire

questo punto: mentre per il filosofo l’ideale ascetico è una condizione in cui

potersi camuffare per prosperare, per il sacerdote l’ideale ascetico è la sua più

stretta natura, è a lui affine. Attraverso l’ideale ascetico, il sacerdote ricerca la

potenza:

“Il prete asceta è il desiderio, fatto carne, di essere-in-altro-modo, di un essere-in-

altro-luogo, e invero il grado supremo di questo desiderio, il suo caratteristico

ardore e la sua passione: ma appunto la potenza del suo desiderare è il ceppo che

lo inchioda qui; appunto in tal modo egli diventa lo strumento costretto a lavorare

per creare le condizioni più favorevoli per essere-qui ed essere-uomo- appunto

con questa potenza tiene ancorato all’esistenza l’intero gregge di ogni genere di

falliti, di malcontenti, di malriusciti, di sciagurati, di sofferenti di sé. Mi si

comincia a capire: questo apparente nemico della vita, questo negatore-

appartiene precisamente alle più grandi forze conservatrici ed affermativamente

creatrici della vita…”135.

Nietzsche definisce il mezzo principale utilizzato dal prete per assoggettare la

massa come aberrazione del sentimento. Il sacerdote ha come obiettivo

l’ottundimento del dolore e per ottenerlo provoca alterazioni negli altri sentimenti

legandoli a stimoli falsificati. Creando una morale che pone i valori in un mondo

di finzione, il prete non fa che modificare il comportamento dell’uomo e per far

ciò deve intervenire sui sentimenti, sulle passioni. L’uomo del gregge su cui è

intervenuto il prete asceta è reso malato più di quanto già non lo fosse: in lui i

sentimenti affermativi vengono soppressi o ancora peggio interiorizzati e sostituiti

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!134!Ibidem, p.110!135!Ibidem, pp.114-115!

Capitolo 4: Ascesi come potenza.

72

da quelli reattivi. Con l’istituzione del peccato, il conseguente senso di colpa non

fa che aumentare il dolore nell’uomo già debole. Il senso di colpa è il mezzo

attraverso il quale il prete si rende indispensabile, in quanto lui solo può

“assolverlo”. Attraverso il senso di colpa, il prete rende l’uomo sempre più malato

e conquista così per sé il suo potere nella sua indispensabilità. Presentandosi come

asceta, negatore del mondo e della vita, il prete riesce a imporre la sua

interpretazione del dolore e renderla dominante. Osserviamo più da vicino questa

particolare interpretazione e i suoi effetti nefasti:

“L’interpretazione- indubbiamente- comportò nuova sofferenza, più profonda, più

intima- più venefica, più corrosiva, rispetto alla vita: dispose ogni sofferenza sotto

la prospettiva della colpa… Ma ciò nonostante- l’uomo venne in questo modo

salvato, ebbe un senso, non fu più, da quel momento in poi, una foglia al vento, un

trastullo dell’assurdo, del «senza-senso», ormai poteva volere qualcosa. E

soprattutto senza che avesse la minima importanza in che direzione, a che scopo,

con che mezzo egli volesse; restava salvata la volontà stessa. Non ci si può

assolutamente nascondere che cosa propriamente esprime tutto questo volere, che

sulla base dell’ideale ascetico ha preso il suo indirizzo: questo odio contro

l’umano, più ancora contro il ferino, più ancora contro il corporeo, questa

ripugnanza ai sensi, alla ragione stessa, il timore della felicità e della bellezza,

questo desiderio di evadere da tutto ciò che è apparenza, trasmutamento, divenire,

morte, desiderio, dal desiderare stesso- tutto ciò significa, si osi rendercene conto,

una volontà del nulla, un’avversione alla vita, una rivolta contro i presupposti

fondamentalissimi della vita, e tuttavia è e resta una volontà!... e per ripetere in

conclusione quel che già dissi all’inizio: l’uomo preferisce ancora volere il nulla,

piuttosto che non volere”136.

4.2 Il Nichilismo

Cerchiamo ora di capire cosa intende Nietzsche per il nulla che questa volontà

vuole, successivamente cercheremo di intendere quale sia questa volontà che

vuole il nulla.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!136!Ibidem, p. 157!

Capitolo 4: Ascesi come potenza.

73

“Nel termine nichilismo, nihil non sta a significare il non-essere, ma esprime

anzitutto un certo valore del nulla, quel valore che la vita assume dopo essere stata

negata e svalutata. La svalutazione presuppone sempre una finzione, attraverso la

quale soltanto è possibile falsificare e svalutare la vita, contrapporvi qualcosa di

modo che essa diventi irreale, si configuri come un’apparenza e assuma

globalmente il valore di nulla”137.

Il prete asceta è il creatore del nichilismo perché è l’iniziatore della finzione di un

mondo sovrasensibile contrapposto al mondo sensibile e reale. La morale

giudaico-cristiana è nata da questa finzione per poi fondare i cosiddetti valori

superiori che hanno la loro genesi in una svalutazione della vita e della realtà.

Ogni valutazione e svalutazione derivano la loro possibilità da una volontà. Nel

negare il mondo sensibile, nel porre un’esistenza ultraterrena e nell’erigere valori

basati su queste modalità di rapportarsi alla vita è sempre presente e operante una

volontà. In questo senso Deleuze può dire: “Nel caso del nichilismo nihil sta a

significare la negazione come qualità della volontà di potenza”138. Questo nihil

non è un nulla, non è uno zero di attività, ma è una qualità, un’accezione negativa

della volontà. Se a livello teorico il nichilismo, come inteso da Nietzsche, può

essere così definito, vedremo che a livello pratico-sociale assume diversi altri

significati. Nietzsche crede che non basti l’opera del prete asceta a far trionfare il

nichilismo: l’ideale ascetico deve trasfigurarsi. Quando Zarathustra annuncia che

“Dio è morto” intende annunciare che il Dio cristiano è ormai assente dalla vita

dell’uomo sulla terra, ma non per questo l’uomo è guarito da un male che da tanto

tempo e sempre più lo affligge. Nietzsche pensa che con la morte di Dio non sia

affatto giunto il momento della fine del cristianesimo o della sua tradizione. Se

con il Dio cristiano si giustificava e si redimeva la vita, le si dava un senso, con la

sua morte si assiste ad un nuovo momento storico-umano, il senso non c’è più. La

morale cristiana ha raccolto l’eredità del Padre ma non per questo ha dato un

nuovo significato alla vita o ne ha in qualche maniera accresciuto la forza.

Con la morale cristiana che prende il posto del Padre si assiste, secondo

Nietzsche, al trionfo del nichilismo che, se da una parte rappresenta la volontà del !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!137!G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, p.221!138!Ibidem, p.222!

Capitolo 4: Ascesi come potenza.

74

nulla (un’accezione della volontà che è comunque un volere), dall’altra parte

assume il significato di una volontà che tende a diventare nulla. La morale

cristiana ha creato valori che sono per Nietzsche in realtà dei dis-valori. La morale

cristiana ha svalutato la vita in funzione di un al di là e, in questo modo, ha creato

valori che partivano da questo presupposto. Nietzsche utilizza come presupposto

per valutare i valori, la loro funzione nell’accrescimento della forza vitale

dell’uomo. Se parla di una morale che ha reso e rende gli uomini malati, lo fa in

questo senso. I valori della morale giudaico-cristiana svalutando la realtà in favore

dell’irrealtà non possono in alcun modo favorire la vita che viene svigorita e

dispregiata. Come abbiamo visto in questo percorso, ciò che si afferma è

comunque una volontà, anche se una volontà del nulla, dell’irrealtà, della

finzione. Veniamo ora ad un secondo significato che assume il nichilismo: la

negazione della volontà. In questo ultimo senso il nichilismo si presenta in tutta la

sua attualità.

“Il nichilismo ha anche però un secondo e più comune significato, che consiste

nell’indicare non una volontà ma una reazione, una reazione contro il mondo

sovrasensibile e contro i valori superiori, di cui si negano l’esistenza e la validità:

non più svalorizzazione della vita in nome di valori superiori, ma svalorizzazione

degli stessi valori superiori, dove svalorizzazione non è più il valore di nulla che

la vita assume, ma il nulla di valore dei valori superiori.[…] il nichilista nega Dio,

il bene, nega anche il vero e ogni forma del sovrasensibile: niente è vero, niente è

bene, Dio è morto. Il nulla di volontà non solo è sintomo di una volontà del nulla

ma, al limite, è la negazione di ogni volontà, un taedium vitae; non c’è più volontà

dell’uomo, della terra…”139.

Se inizialmente abbiamo a che fare con una volontà del nulla, che agisce come

forza negatrice, successivamente entrano in gioco le forze reattive che necessitano

di questa volontà per “affermarsi” e che cercano infine di estrometterla per poter

trionfare. Deleuze distingue due sensi del nichilismo ai quali in seguito ne

aggiungerà un terzo come esito del secondo: il nichilismo si configura come

negativo, reattivo e infine passivo. Con l’ebraismo e il cristianesimo, risentimento

e cattiva coscienza, abbiamo la volontà di negare il mondo, di svalutare la vita in !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!139!Ibidem, p.222!

Capitolo 4: Ascesi come potenza.

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favore di valori superiori che consistono nel nulla. In questo caso, il nichilismo si

manifesta come volontà di negare, volontà del nulla che è e resta una volontà e

assume il significato di nichilismo negativo. Con la morte di Dio assistiamo alla

nascita dell’Uomo e il nichilismo da negativo diventa reattivo. Se Feuerbach

afferma che: “L’essenza dell’uomo è l’essere supremo dell’uomo; esso viene sì

chiamato Dio dalla religione e considerato un essere oggettivo, ma in verità non è

che l’essenza propria dell’uomo. Questo è perciò il punto di svolta della storia

universale: d’ora in avanti per l’uomo Dio non apparirà più come Dio, ma sarà

l’uomo ad apparire come Dio”140. Con ciò non è stata ancora annunciata la morte

di Dio, ma solo una sua trasfigurazione: Dio non è morto ma è divenuto Uomo.

Secondo Deleuze però, bisogna intenderci sul Chi, chi è l’Uomo che ha sostituito

Dio? La risposta è ancora una volta: l’uomo reattivo.

“Allorché la vita reattiva ne diventa la componente essenziale, il cristianesimo

perviene a uno strano esito: ci investe della responsabilità della morte di Dio,

generando così il proprio ateismo, l’ateismo della cattiva coscienza e del

risentimento. La vita reattiva sostituisce la volontà divina, l’Uomo reattivo

sostituisce Dio, l’Uomo-Dio, l’Uomo europeo sostituisce il Dio-Uomo. L’uomo

ha ucciso Dio; ma quale uomo? L’uomo reattivo, «l’uomo più brutto». La volontà

divina, la volontà del nulla non poteva tollerare una vita che non fosse reattiva, ma

quest’ultima non tollera nemmeno Dio, non sopporta la sua compassione, prende

alla lettera il suo sacrificio, lo fa cadere nella trappola della sua stessa

misericordia e gli impedisce di resuscitare sedendosi sulla pietra che chiude il

sepolcro. Non c’è più correlazione tra la volontà divina e la vita reattiva in quanto

Dio viene ora spostato, sostituito con l’uomo reattivo”141.

Il nichilismo reattivo si può cogliere sul letto di morte della dialettica e, con esiti

differenti, esso si presenta in autori quali Feuerbach, Stirner, Schopenhauer e

Marx. L’esito è la perdita di Dio e dei valori superiori che, se con Feuerbach e

Marx diventa un tentativo di dare un senso all’esistenza e trasformarla in un

qualcosa di differente da ciò che è, con Stirner assume le sembianze dell’Unico

che è consapevole del nulla-del-senso e con Schopenhauer trova il suo

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!140!Feuerbach, L’essenza della religione, Laterza, 1969, p.33!141!G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, p.232!

Capitolo 4: Ascesi come potenza.

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compimento definitivo nella possibilità di salvezza dalla sofferenza della vita

attraverso la catarsi artistica e la pratica cristiana della compassione. Il nichilismo

reattivo è inaugurato dall’assassinio di Dio da parte dell’uomo più brutto, l’uomo

reattivo che compie l’estremo gesto perché non può accettare un simile testimonio.

Dio era diventato troppo invadente nei confronti dell’uomo:

“Dio è morto, ma di che cosa? È morto di compassione, afferma Nietzsche […]

che cos’è la compassione? È la tolleranza degli stati della vita prossimi allo zero,

è l’amore per la vita, ma per la vita debole, malata, reattiva; è l’annuncio della

vittoria finale dei poveri, dei sofferenti, degli impotenti, degli umili cui, nel suo

farsi divina, concede questa vittoria. Chi prova compassione, se non colui che

tollera soltanto la vita reattiva, che ne ha bisogno per trionfare, che ha bisogno di

edificare i propri templi sul terreno paludoso di tale vita? Chi, se non colui che

odia tutto quanto vi è di attivo nella vita, e che se ne serve per negarla, svalutarla,

per contrapporla a se stessa? Nel simbolismo di Nietzsche la compassione sta

sempre a indicare l’unione formata dalla volontà del nulla e dalle forze reattive, la

loro reciproca affinità e tolleranza”142.

Deleuze indica nella compassione ciò che per Nietzsche è sintomo di una volontà

che tende al nulla. L’uomo uccide Dio e ne prende il posto, non ammette più

valori superiori ma solo una vita reattiva. Siamo giunti all’esito finale del

nichilismo, quando il nichilismo reattivo si compie diviene nichilismo passivo o

momento della coscienza buddhistica. In vari passi disseminati in quasi tutti i suoi

testi, Nietzsche pone in contrapposizione la religione cristiano-paolina alla prassi

buddhistica, arrivando a sostenere una certa somiglianza tra il Buddha e il tipo

Gesù. Per nichilismo passivo si può intendere la tendenza al nulla come

rassegnazione, atarassia, assenza di emozioni, nirvana, uno stato-zero della

volontà. La religione buddhistica è sì una religione della decadenza, ma

tipologicamente molto differente dal cristianesimo di Paolo. Secondo Nietzsche,

un risultato simile raggiunge la filosofia epicurea:

“Per quanto sempre nella magnificenza dell’esagerazione orientale, è espressa

semplicemente una valutazione identica a quella del chiaro, freddo, ellenicamente

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!142!Ibidem, p.224!

Capitolo 4: Ascesi come potenza.

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freddo, ma sofferente Epicuro: l’ipnotico senso del nulla, la quiete del sonno

profondissimo, insomma l’assenza di dolore. Questo può considerarsi per i

sofferenti e per i radicalmente scontenti già come bene supremo, come valore dei

valori, questo deve essere stimato da costoro come positivo, deve essere avvertito

come il positivo stesso. (Secondo la stessa logica del sentimento, il nulla, in tutte

le religioni pessimistiche, è chiamato Dio)”143.

In un breve testo, conosciuto come Frammento di Lenzerheide, Nietzsche affronta

direttamente il tema del nichilismo (titolo del testo è Il nichilismo europeo), per

cercare di dimostrare come la moderna Europa sia ormai contagiata da questo

pericoloso stato morboso, che, derivato dalla negazione del mondo da parte della

religione cristiana, si è ingigantito con la perdita della credenza in Dio e nei valori

superiori. Vediamo come Nietzsche introduce la prospettiva dalla quale può

giudicare la modernità come nichilista all’interno di un discorso sul senso della

morale:

“La morale ha dunque protetto la vita dalla disperazione e dal salto nel nulla

presso quegli uomini e quelle classi che sono stati violentati e oppressi da altri

uomini: giacché è l’impotenza nei confronti degli uomini e non l’impotenza nei

confronti della natura, che genera la più disperata amarezza nei confronti

dell’esistenza. La morale ha trattato come nemici coloro che detenevano il potere,

i violenti, i signori in genere, dai quali l’uomo comune doveva essere protetto,

cioè anzitutto incoraggiato, rafforzato. La morale ha quindi insegnato a odiare e a

disprezzare nel modo più profondo quella che è la caratteristica fondamentale dei

dominatori: la loro volontà di potenza”144.

Il senso della morale è stato dunque quello di proteggere i più deboli dalla

disperazione che è causata dalla vita intesa come volontà di potenza. Ma questo è

solo uno dei sensi (forse il più apprezzabile), che Nietzsche coglie nella morale,

seguiamo il suo pensiero:

“Abolire, negare, dissolvere questa morale: ciò significherebbe conferire

all’istinto più odiato un sentimento e una valutazione opposti. Se il sofferente,

l’oppresso perdesse la fede nell’avere il diritto di disprezzare la volontà di !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!143!F. Nietzsche, Genealogia della morale, pp.128-129!144!F. Nietzsche, Il nichilismo europeo, Adelphi Edizioni, Milano, 2006, pp.15-16!

Capitolo 4: Ascesi come potenza.

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potenza, entrerebbe nello stadio della più nera disperazione. Ciò avverrebbe se

risultasse che anche in quella «volontà di morale» è camuffata solo questa

«volontà di potenza», che anche quell’odio e quel disprezzo è ancora una volontà

di potenza. L’oppresso si renderebbe conto di stare sullo stesso piano

dell’oppressore, e di non avere alcun privilegio né rango superiore all’altro”145.

Secondo Nietzsche, la morale giudaico-cristiana è stata capace di compiere questo

rovesciamento: per prima cosa ha diretto le forze reattive contro le forze attive

annullando quest’ultime; successivamente, ha capovolto il valore reale di queste

forze applicando un metro di giudizio basato su valori fittizi; così facendo ha reso

necessaria se stessa nei confronti dei suoi sostenitori e ha indebolito l’uomo “di

tutti i ceti”.

Ciò che Nietzsche sente come sua missione, come suo destino, è riportare valori e

valutazioni ad un metro reale: “Nella vita non c’è niente che abbia valore al di

fuori del grado di potenza - dato appunto che la vita altro non è che volontà di

potenza. La morale ha preservato dal nichilismo i disgraziati attribuendo a

ciascuno un valore infinito, un valore metafisico, e inserendolo in un ordinamento

che non concorda con quello della potenza e gerarchia terrene”146.

Nel prossimo paragrafo si cercherà di descrivere questa volontà di potenza che per

Nietzsche è l’unico parametro da cui è possibile partire per valutare la vita.

4.3 La volontà di potenza

Nel primo capitolo abbiamo definito la volontà di potenza come elemento

differenziale e genetico della forza. Abbiamo potuto vedere come la volontà di

potenza sia una volontà (o meglio un’intensità) immanente alla forza, cui

conferisce una qualità intrinseca e una qualità prodotta dalla differenza di quantità

che si manifesta nell’incontro, prodotto dal caso, con un’altra forza.

È giunto il momento di affrontare direttamente il concetto di volontà di potenza,

attraverso il quale Nietzsche (che ha introdotto questo concetto nella filosofia)

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!145!Ibidem, p.16!146!Ibidem, p.16!!

Capitolo 4: Ascesi come potenza.

79

pensa di aver trovato un nuovo criterio di valutazione del reale. Per comprendere

cosa sia e come si manifesti la volontà di potenza è opportuno iniziare con il dire

ciò che essa non è. La volontà di potenza non è una volontà che vuole la potenza.

Per comprendere la volontà di potenza, bisogna partire da questa caratterizzazione

in negativo. È fondamentale non pensare alla volontà di potenza come ad una

volontà antropomorfica in cerca della potenza, del dominio, del potere

(intendendo anche questi concetti in un’accezione antropomorfica). Intendere la

volontà di potenza in questo modo è il più grave fraintendimento che si possa fare

(e che è stato fatto). Se nella volontà di potenza fosse presente e agente una

volontà che vuole la potenza, essa si batterebbe per raggiungere i valori stabiliti

(onore, denaro, successo) e si manifesterebbe esclusivamente nella lotta per il

dominio. Intendere in questo modo la volontà di potenza significherebbe non

riuscire a cogliere la portata rivoluzionaria del concetto di potenza, sarebbe

intendere la volontà di potenza nel suo senso più grezzo. Deleuze si spinge, in

questo senso, fino ad affermare che nel concetto di volontà di potenza, ciò che

vuole è la potenza:

“Senza dubbio, nel desiderare di dominare, nell’immagine che gli impotenti

hanno della volontà di potenza, ritroviamo comunque una volontà di potenza, ma

al suo grado più basso. La volontà di potenza al suo grado più alto, nella sua

forma intensa o intensiva, non consiste nel bramare e nemmeno nel prendere, ma

nel dare e nel creare. Il suo vero nome, dice Zarathustra, è la virtù che dona. E il

fatto che la maschera sia il dono più bello è testimonianza della volontà di potenza

come forza plastica, come la più alta potenza dell’arte. La potenza non è ciò che la

volontà vuole, ma ciò che vuole nella volontà, vale a dire Dioniso”147.

In questo breve passo di Deleuze, ritroviamo alcune caratteristiche fondamentali

della volontà di potenza: grado ed intensità. La volontà di potenza può essere

intesa come intensità pura, come ciò che della volontà non vuole la potenza ma

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!147!G. Deleuze, Conclusions: sur la volonté de puissance et l’éternel retour, in l’ile déserte et autres textes, Les Editions de Minuit, Paris 2002; trad.it. Conclusioni sulla volontà di potenza e l’eterno ritorno, in L’isola deserta e altri scritti, Biblioteca Einaudi, Torino 2007, p.148!

Capitolo 4: Ascesi come potenza.

80

che si manifesta come volere al massimo grado, “elevare ciò che si vuole

all’ennesima potenza”148.

Era fondamentale, prima di procedere alla descrizione della volontà di potenza,

fissare i limiti a questo concetto che è facilmente fraintendibile. Una volta intesa

la volontà di potenza come “grado d’intensità”, ritorniamo alla nostra prima

caratterizzazione e cerchiamo di estrapolare dai difficili passi in cui Deleuze si

sforza di interpretare la volontà di potenza, le molteplici possibilità di questa

interpretazione stessa.

Abbiamo accennato al ruolo fondamentale che spetta alla volontà di potenza nella

distinzione delle forze. Si può intendere la volontà di potenza come elemento

genealogico della forza e della differenza tra le forze. È in questo senso che:

conferisce una qualità alla forza e, nel rapporto tra forze che è generato dal caso,

produce la differenza di quantità a cui corrisponde la differente qualità. La

difficoltà nel definire cosa sia la volontà di potenza dipende dal suo carattere

plastico e metamorfico che è rintracciabile nella genesi dei rapporti di forza e

nella sua produzione creativa in senso lato. Come abbiamo visto in precedenza

Deleuze, nello sforzo di definirne il ruolo genetico e creativo, assegna alla volontà

di potenza la funzione di principio della sintesi delle forze. Deleuze pensa che

Nietzsche abbia un problema in comune con i post-kantiani: anche riconoscendo

l’enorme importanza della scoperta kantiana della sintesi, si cercava di trovare per

essa un principio genetico tale che permettesse di cogliere la differenza tra gli

elementi della sintesi che Kant troppo facilmente riduceva. Nietzsche riprende il

concetto di sintesi ma lo intende come sintesi di forze che ha la volontà di potenza

come principio immanente e l’eterno ritorno come manifestazione attraverso cui

solo è possibile cogliere il differente che si produce nella ripetizione.

Il termine principio può facilmente trarre in inganno e far retrocedere il concetto

in un oscuro senso metafisico, per cui va inteso come un particolare principio di

un superiore empirismo che non è riscontrabile di per sé nella sua purezza ma

unicamente nella sua determinazione:

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!148!Ibidem, p.152!!!

Capitolo 4: Ascesi come potenza.

81

“Essa è un principio plastico, che non si estende al di là di ciò che condiziona, che

si trasforma e che di volta in volta si determina attraverso ciò che determina. In

realtà non si può mai separare la volontà di potenza dalla quantità, dalla qualità,

dalla direzione di una determinata forza; mai superiore alle determinazioni di cui

impronta un rapporto tra forza, essa rimane sempre plastica e in metamorfosi”149.

Partendo dalla plasticità della volontà di potenza, Nietzsche può porla in contrasto

con la Volontà nella sua accezione psicologica che, fino a Schopenhauer e

soprattutto con quest’ultimo, è stata intesa come unitaria e astratta, separata cioè

da ciò che determina e da ciò attraverso cui si manifesta. Nella famosa sentenza di

Nietzsche “non esistono fatti ma solo interpretazioni”, 150 si può cogliere

l’eccezionalità della volontà di potenza che nella sua plasticità conferisce un senso

ai fenomeni e dà un’importanza radicale all’interpretare e al valutare. Un fatto è

già un’interpretazione; in questa concezione così radicale viene a cadere la

validità di ogni scienza o filosofia che pretende di valutare i fatti, le cose, al di là

del senso e della direzione che questi assumono.

Come ha dimostrato perfettamente Michael Foucault, l’interpretazione come

strumento filosofico è una delle maggiori novità introdotte da Nietzsche a livello

metodologico. Per Nietzsche tutto è prospettico perché tutto è riducibile alla

volontà di potenza e ad una gerarchia che distingue tra gradi differenti di essa. Per

Nietzsche non possono esistere cose o fatti perché quello che in filosofia era

precedentemente il rapporto tra il segno e il senso viene da lui trasformato in

quello tra il segno e una molteplicità di sensi: “in modo che ogni interpretazione

sia già quella di un’altra interpretazione, all’infinito”151. Ovviamente ciò non sta a

significare che per Nietzsche ogni interpretazione sia dello stesso valore di

un’altra (come se derivasse la sua concezione da uno scetticismo nichilista), la

differenza si pone nel criterio della valutazione:

“… Smettono di avere come criterio il vero e il falso. Il nobile e il vile, l’alto e il

basso diventano principi immanenti delle interpretazioni e delle valutazioni. Alla

logica si sostituisce una topologia e una tipologia: alcune interpretazioni !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!149!G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, pp.75-76!150!F.Nietzsche,!Vol. V, tomo 1: Aurora e Frammenti postumi (1879-1881), a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, tr. di Mazzino Montinari e Ferruccio Masini, Adelphi, Milano 1964 151!G. Deleuze, Conclusioni sulla volontà di potenza e l’eterno ritorno, p.147!

Capitolo 4: Ascesi come potenza.

82

presuppongono una maniera bassa o vile di pensare, di sentire e persino di

esistere, altre testimoniano di una nobiltà, di una generosità, di una

creatività…”152.

Non è casuale che Nietzsche abbia utilizzato il metodo genealogico solo dopo

aver scoperto la volontà di potenza. C’è una correlazione stretta tra la volontà di

potenza e il lavoro del genealogista che interpreta e valuta. Come abbiamo visto

nel primo capitolo sul metodo genealogico, per interpretare un fatto è necessario

scavare nel rapporto di forze che lo costituisce e per scovarne il senso è necessario

conoscere la qualità della forza che se ne impossessa e il rapporto di

dominanza/dominato che stabilisce con le altre forze con cui entra in contatto.

Abbiamo visto come le forze siano qualitativamente caratterizzate in attive e

reattive e come sia la volontà di potenza a caratterizzarle. La volontà di potenza

stessa ha delle qualità che sono l’affermativo e il negativo (da non confondere con

l’attività e la reattività caratteristiche della forza): “affermare e negare, apprezzare

e svalutare sono espressioni della volontà di potenza così come l’agire e il reagire

sono espressioni della forza”153. Come le forze reattive sono sempre delle forze

così la volontà di potenza che nega è e resta una volontà, una volontà che vuole il

nulla. Il nichilismo diventa possibile nel momento in cui la qualità negativa della

volontà di potenza trova forze reattive da poter utilizzare per il suo scopo

(svalutare la vita e promuovere il nulla).

“Da una parte è evidente che in ogni azione c’è affermazione e in ogni reazione

c’è negazione; ma d’altra parte l’azione e la reazione sono più che altro dei mezzi,

degli strumenti di cui la volontà di potenza si serve per affermare o per negare

[…]. Infine, a livello più profondo, l’affermazione e la negazione risultano essere

superiori all’azione e alla reazione in quanto sono qualità immediate del divenire

stesso: l’affermazione non è l’azione ma la potenza del divenire attivo nella sua

concretezza, mentre la negazione non è la semplice reazione, ma un divenire

reattivo”154.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!152!Ibidem, p.147!153!G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, p.80!154!Ibidem, p.81!

Capitolo 4: Ascesi come potenza.

83

A questo punto è lecito chiedersi che cosa sia affermato o negato dalla volontà di

potenza e, essendo questa spesso definita da Nietzsche come “essenza della vita”,

se ciò che afferma o nega è la vita stessa, la vita intesa come costante divenire. Per

Nietzsche l’affermazione è affermazione del molteplice nel divenire, è Dioniso

che muore e rinasce, è la forza plastica creativa e trasfigurante che abbiamo in

precedenza caratterizzato come attività generica. Il nichilismo, viceversa,

rendendo reattivi l’uomo e il mondo nega il divenire e svilisce la vita dandole un

senso esterno ad essa. Per questo motivo Nietzsche dice che il nichilista non può

sopportare l’idea dell’eterno ritorno, l’essere del divenire è il ritornare: “se

pensiamo il puro divenire non possiamo più credere in un essere distinto e

contrapposto al divenire: dovremo allora credere in un essere del divenire stesso,

Qual è l’essere di ciò che diviene, di ciò che non comincia né finisce di divenire?

Ritornare è l’essere di ciò che diviene «che tutto ritorni, è l’estremo avvenimento

del mondo del divenire a quello dell’essere: culmine della contemplazione”155.

Dopo aver cercato di descrivere il carattere differenziale e genealogico che

assume la volontà di potenza nella determinazione dei rapporti di forze e delle

rispettive qualità, Gilles Deleuze ci indica che questa (la volontà di potenza) può

essere intesa anche come sentimento di potenza. In questa particolare accezione

già Nietzsche presenta la volontà di potenza come “sentimento, sensazione,

affettività”. Per sentimento di potenza si può intendere la capacità di essere affetta

di una forza, il suo patire l’azione di un’altra forza. Solo questa capacità rende

possibile il rapportarsi delle forze e la conseguente produzione di una differenza

tra queste: “l’elemento differenziale delle forze si manifesta come loro sensibilità

differenziale”156. La volontà di potenza si manifesta in questa duplice accezione

di sensibilità della forza e di divenire sensibile della forza.

“Le affezioni di una forza sono attive nella misura in cui questa si appropria di ciò

che le resiste, nella misura in cui si fa obbedire da forze inferiori. Esse sono al

contrario subite o meglio agite, quando la forza è affetta da forze superiori alle

quali obbedisce. Anche in tal caso l’obbedire è una manifestazione della volontà

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!155!Ibidem, p.72!156!Ibidem, p.94!

Capitolo 4: Ascesi come potenza.

84

di potenza. Ma una forza inferiore può provocare la disgregazione e la scissione di

forze superiori, l’esplosione dell’energia che esse avevano accumulato”157.

Solo comprendendo che nei rapporti di forza, a prescindere dalla gerarchia che si

stabilisce, è in atto un agire e un patire (essere agito) è possibile capire come

l’obbedire sia in ogni caso una manifestazione della volontà di potenza intesa

come capacità della forza di essere affetta. Le forze reattive si manifestano come

capacità di obbedire o di essere agite e come capacità di separare le forze attive da

ciò che è in loro potere. Nietzsche fa della religione e della morale giudaico-

cristiane il bersaglio di molti suoi scritti perché, con la loro falsificazione della

realtà a favore di istanze irreali e la loro produzione di valori superiori con cui

legare a sé la massa resa reattiva, rappresentano il più geniale dei modi che ha

trovato la volontà di potenza nella sua accezione negativa per negare la vita e il

suo immanente divenire. Il nichilismo, secondo Nietzsche, si è potuto diffondere

attraverso le trasfigurazioni dell’ideale ascetico che ha condotto il divenire

reattivo delle forze attive e la scomposizione di queste ultime da parte delle prime.

Questo intero processo non sarebbe stato realizzabile prescindendo dalla volontà

di potenza e dalla sua plasticità che determina le forze e la loro qualità. Come

abbiamo ripetuto più volte, la volontà di potenza produce la sintesi delle forze, ma

il processo stesso è possibile solo concependo l’essere come divenire, come eterno

ritorno del differente.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!157!Ibidem,p.94!

Capitolo 5: Il valore della differenza.

85

Capitolo 5

Il valore della differenza.

5.1 Il corpo e l’esistenza

Gilles Deleuze interpreta la filosofia di Nietzsche come “l’alba di una contro-

cultura”158. Il filosofo francese pensa che l’importanza fondamentale di Nietzsche

per la filosofia contemporanea e per la filosofia a-venire risieda nella possibilità

che fornisce di pensare il differente. Secondo Deleuze la volontà di potenza è il

principio della differenza e l’eterno ritorno è la condizione affinché il differente si

produca. Deleuze tenta in tutta la sua filosofia di pensare il differente, l’altro, ciò

che si nasconde dietro i codici (che siano essi scientifici, religiosi, sociali).

L’importanza di Nietzsche risiede, per Deleuze, anche nell’esser stato capace di

fornire un nuovo metodo, quello genealogico, con cui è possibile indagare la

realtà oltre l’identità apparente dei meri fatti.

Deleuze nell’Anti-Edipo, testo del 1972 scritto in collaborazione con Guattari,

critica aspramente la Psicoanalisi accusandola di essere nata come un contro-

potere che ha scoperto l’importanza dell’inconscio, ma che, allo stesso tempo, si è

ripiegata in una struttura di potere che ha represso lo stesso inconscio

asservendolo ad un io che fosse funzionale al potere istituzionale. Deleuze da

parte sua ha tentato in tutta la sua filosofia di rintracciare, sulla scorta

dell’insegnamento nietzschiano, l’attività della forza, l’affermazione della volontà

di potenza. Se l’uomo si trova in un processo di decadenza contrassegnato dal

divenire-reattivo delle forze, prodotto dall’accezione negatrice della volontà di

potenza (la volontà del nulla), la missione di una possibile contro-cultura si deve

basare sulla ri-scoperta della qualità attiva della forza e della qualità affermatrice

della volontà di potenza. Il recupero del corpo in senso affermativo è uno dei

punti da cui dovrebbe partire una possibile contro-cultura che vuole basare la sua

azione su una rivalutazione delle forze attive e della potenza affermatrice.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!158!Ibidem p.310!

Capitolo 5: Il valore della differenza.

86

Un corpo, secondo Deleuze, è il frutto di un incontro prodotto dal caso tra una

molteplicità di forze che entrano in un rapporto. Che sia biologico, fisico o

sociale, il corpo è sempre manifestazione di un costante rapporto di forze.

Nietzsche denuncia il dilagante nichilismo che si manifesta nell’ideale ascetico,

attraverso risentimento e cattiva coscienza, perché in esso rintraccia una modalità

della volontà di potenza che, trovando soddisfacimento unicamente nella

negazione della vita, in essa nega e rende debole un corpo.

Deleuze cita Spinoza: “noi non sappiamo ancora cosa può un corpo”159. Questa

espressione tradotta nel linguaggio di Nietzsche significa che noi del corpo

conosciamo soltanto le forze reattive mentre non diamo importanza e non

sviluppiamo le forze attive e affermatrici. Deleuze evidenzia come per Nietzsche

la coscienza non sia che una singola parte dell’organismo, la meno importante.

Più tardi Freud (che ha sempre stranamente sostenuto di non aver letto Nietzsche)

sistematizzerà questo pensiero attraverso la scoperta dell’inconscio, la cui

importanza è stata quasi sempre negata o comunque non-vista. Si è sempre

pensato in maniera cosciente ed in riferimento al conscio. Concetti quali volontà,

libero arbitrio, soggetto, sono stati definiti e compresi unicamente dal punto di

vista della coscienza e quindi travisati e fraintesi. Nietzsche sostiene che la

coscienza, essendo quella parte dell’io che subisce l’azione del mondo esterno, sia

fondamentalmente reattiva. In questo essere-reattiva della coscienza non bisogna

cogliere un qualcosa di negativo, ma all’opposto finché la coscienza rimane

reattiva e svolge la sua funzione di reazione-adattamento al mondo esterno

l’organismo funziona ed è in piena salute. La coscienza rappresenta una funzione

dell’organismo che è importante nella sua accezione reattiva, ma che si deve

limitare a questa e non invadere il campo delle forze attive e vitali. L’attività pura

è inconscia, è l’oblio come forza del dimenticare ed è l’istinto come forza

dell’agire:

“Quel che rende il corpo un qualche cosa di superiore a tutte le reazioni, in

particolare a quella della reazione dell’io definita coscienza, è l’attività

necessariamente inconscia delle forze: «tutto questo fenomeno “corpo” è,

misurato dal punto di vista intellettuale, tanto superiore alla nostra coscienza, al !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!159!Ibidem p.59!

Capitolo 5: Il valore della differenza.

87

nostro “spirito”, al nostro consapevole pensare, sentire e volere, quanto l’algebra

alla tavola pitagorica»”160.

Nietzsche utilizza spesso il linguaggio della filologia, per cui di frequente le sue

valutazioni oscillano tra la salute e la malattia (in senso lato e non solo). Un corpo

è in salute se i rapporti di forza all’interno dell’organismo sanciscono la normale

dominanza delle forze attive su quelle reattive e di conseguenza dell’inconscio sul

conscio. In un rapporto di forze che sancisce la salute del corpo le forze inconsce

e quindi attive del corpo fanno di quest’ultimo un sé in cui le funzioni di

adattamento, conservazione, memoria, ecc., sono forze reattive che devono

svolgere il loro compito dedito alla conservazione e alla sopravvivenza.

Le forze attive sono difficili da definire, sono inconsce e dominanti, si

manifestano nel loro estrinsecarsi e non devono essere considerate vere e proprie

funzioni in quanto non possono avere un fine che sia esterno a loro stesse. In un

corpo forte e in salute le forze attive dominano le forze reattive che si lasciano

agire. In uno stato di malattia, per come Nietzsche lo intendeva, il corpo degenera

a causa del ruolo dominante assunto delle forze reattive e il conseguente divenire

reattivo delle forze attive che vengono separate da ciò che è in loro potere. Se la

coscienza assume il ruolo dominante (come è avvenuto storicamente) le forze

attive e inconsce sono private della possibilità di scatenarsi e, conseguentemente,

o si rivolgono all’esterno (come nel caso del risentimento) o si ripiegano

all’interno (come nel caso della cattiva coscienza). Nietzsche sostiene che nella

storia della cultura europea il percorso che va da Socrate al cristianesimo abbia

portato ad accrescere enormemente l’importanza della coscienza facendole

svolgere il ruolo dominante all’interno dell’organismo:

“È inevitabile che la coscienza veda l’organismo dal proprio punto di vista e lo

comprenda a modo suo, cioè in maniera reattiva. E la scienza, pur rifacendosi ad

altre forze reattive, segue i percorsi della coscienza, di modo che l’organismo

viene sempre e comunque considerato dal suo lato secondario, dal lato delle sue

reazioni”161.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!160!Ibidem p.63!161!Ibidem p.63!

Capitolo 5: Il valore della differenza.

88

La critica di Nietzsche alla scienza, da lui stesso indicata nella Genealogia della

morale, in passi del Tentativo di Autocritica alla Nascita della tragedia e nel libro

finale della Gaia scienza, si basa sul fatto che egli riscontra nella scienza e negli

scienziati l’ultima trasfigurazione dell’ideale ascetico e del nichilismo. La scienza

è reattiva in quanto non riesce a concepire l’attività pura. La critica di Nietzsche a

Darwin, secondo Deleuze, si basa su questo pensiero che rintraccia nelle categorie

darwiniane di selezione per adattamento un punto di vista che resta reattivo e non

riesce a cogliere la forza attiva e plasmatrice: “Che cos’è attivo? Tendere alla

potenza». L’appropriarsi, l’impadronirsi, il soggiogare, il dominare sono gli

attributi della forza attiva. Appropriarsi vuol dire imporre, creare forme sfruttando

le circostanze. Nietzsche critica Darwin perché interpreta l’evoluzione e il caso in

essa presente in maniera del tutto reattiva. Ammira invece Lamarck il quale ha

avvertito l’esistenza di una forza plastica realmente attiva, più originaria rispetto

ai fenomeni di adattamento: una forza di metamorfosi”162.

Nietzsche considera la tradizione giudaico-cristiana, ma anche socratica-platonica,

come dispositivi che hanno condotto il corpo in un processo di divenire reattivo.

Se anticamente al corpo, inteso come molteplicità, era conferito un valore enorme

nella sua totalità, con l’emergere della morale, che fin da Socrate pone la

coscienza e non l’istinto come guida dell’uomo-nel-mondo, il corpo perde di

valore e diviene reattivo perdendo parte delle sue capacità. Se l’uomo si trova in

una condizione di vivere una vita basata per la sua parte più importante su valori

che non accrescono la forza della vita stessa affermandola, ma tutto al contrario la

negano e ne falsificano le istanze preminenti, questa vita e di conseguenza questo

corpo si troveranno indeboliti ed impoveriti.

Zarathustra indica nel Sé la massima espressione della salute di un corpo tendente

al massimo del suo sviluppo. Il corpo è un elemento molteplice che, caratterizzato

in uno stato di salute da un giusto rapporto tra forze attive e forze reattive,

produce l’unicità del Sé. Così Zarathustra nel corso dell’invettiva contro i

dispregiatori del corpo:

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!162!Ibidem p.64!

Capitolo 5: Il valore della differenza.

89

“Strumenti e giocattoli sono il senso e lo spirito: ma dietro di loro sta ancora il Sé.

Il Sé cerca anche con gli occhi dei sensi, ascolta anche con gli orecchi dello

spirito. Sempre il Sé ascolta e cerca: esso compara, costringe, conquista,

distrugge. Esso domina ed è il signore anche dell’io. Dietro i tuoi pensieri e

sentimenti, fratello, sta un possente sovrano, un saggio ignoto- che si chiama Sé.

Abita nel tuo corpo, è il tuo corpo”163.

L’accrescimento del potere della coscienza reattiva nell’organismo ha portato,

secondo Nietzsche, ad un indebolimento del Sé. Il corpo nella sua molteplicità,

guidato dalle forze attive, tende a costituire il Sé di cui l’io è strumento.

Zarathustra dice: “Io dici tu, e sei orgoglioso di questa parola. Ma la cosa ancora

più grande cui tu non vuoi credere- il tuo corpo e la sua grande ragione: essa non

dice ‘io’ ma fa ‘io’”164.

Deleuze indica ciò che Nietzsche e, successivamente, Freud riescono a cogliere

nel processo decadente dell’uomo in una svalorizzazione del corpo (inteso come

Sé) in cui le molteplici istanze che lo costituiscono si ritrovano gerarchicamente

sovvertite. L’ipertrofia della coscienza reattiva ha causato un indebolimento

dell’Es, separato da ciò che è in suo potere, in favore dell’Io (che in un corpo in

salute dovrebbe costituire una mera funzione del Sé): “Il tuo sé ride del tuo io e

dei suoi balzi orgogliosi. «Che sono mai per me questi balzi e voli del pensiero?

Esso si dice. Una via traversa verso il mio scopo. Io sono la danda dell’io e

l’insufflatore dei suoi concetti». Il Sé dice all’io: «ecco, prova dolore!». E l’io

soffre e riflette come non soffrire più- e proprio per questo deve pensare. Il Sé

dice all’io: «ecco, prova piacere!». E l’io gioisce e pensa come poter ancora gioire

spesso- e per questo appunto deve pensare”165.

Uno dei maggiori errori dei filosofi è stato, secondo Nietzsche, valutare la vita e

l’uomo unicamente dal punto di vista di un io che nella sua assoluta unicità

costituisce il soggetto che, a sua volta, viene considerato come soggetto-libero,

soggetto-agente, soggetto- conoscente. Secondo Deleuze ciò che Nietzsche cerca

di fare è rinnovare il pensiero ricercandone nuove modalità. Michael Foucault

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!163!F.Nietzsche, Così parlò Zarathustra, p.33!164!Ibidem, p.33!165!Ibidem, p.34!

Capitolo 5: Il valore della differenza.

90

riprende da Nietzsche la concezione di un soggetto dissolto, rilegge il fenomeno

della morte di Dio nell’ottica nuova di una morte dell’uomo. Ciò che è morto

nell’uomo è la certezza in un’unicità che lo costituisce. Come vedremo

successivamente, la filosofia dopo Nietzsche si ritrova con il problema della

morte del soggetto e le relative conseguenze.

Tornando al principio, il corpo è prodotto da un incontro casuale di una

molteplicità di forze. Ora bisogna capire ciò che Nietzsche intende con il caso

(che assume nella sua filosofia un ruolo centrale). Deleuze introduce il fenomeno-

caso ponendolo in un fondamentale rapporto con l’esistenza e la necessità. Se

Nietzsche cerca in tutta la sua filosofia di giustificare la vita attraverso la vita

stessa, negando il bisogno stesso che la vita debba essere giustificata, è perché

coglie nella vita un prodotto del caso (il quale è innocente per definizione).

“Affinché si costituisca un corpo- chimico, biologico, sociale, politico- è

sufficiente che due forze qualsiasi, diverse l’una dall’altra, entrino in rapporto tra

di loro. Un corpo è perciò sempre frutto del caso, nel senso nietzschiano del

termine; è la cosa «più meravigliosa», molto più della coscienza e dello spirito.

Ma se il caso, in quanto rapporto tra forza e forza, è anche essenza della forza,

non ha senso chiedersi come nasca un corpo vivente: esso è tale in quanto

prodotto «arbitrario» delle forze che lo compongono”166.

È il modo di accettare e rapportarsi al caso che, secondo Nietzsche, ha posto il

problema della giustificazione dell’esistenza. Per il filosofo tedesco è il caso che,

in quanto innocenza, nega alla vita il bisogno di essere giustificata. Sono le

modalità di tali giustificazioni trovate da cultura e religione che hanno causato un

depauperamento delle forze dell’uomo e del corpo portando al trionfo le forze

reattive. Fin dalla Grecia antica i filosofi si sono sempre posti il problema

dell’esistenza e di una possibile giustificazione dell’inevitabile sofferenza. I greci

interpretavano l’esistenza come un delitto, un atto di hybris, un’eccedenza.

Nietzsche ritrova questa concezione dell’esistenza in Anassimandro che aveva

posto nel divenire e nella molteplicità le categorie d’ingiustizia ed espiazione e

l’essere all’origine del tutto: “principio degli esseri è l'infinito... da dove infatti gli

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!166!G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia p.64!

Capitolo 5: Il valore della differenza.

91

esseri hanno l'origine, ivi hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché

essi pagano l'uno all'altro la pena e l'espiazione dell'ingiustizia secondo l'ordine

del tempo”167. Nietzsche rintraccia in questa valutazione dell’esistenza una prima

forma di riduzione della vita a fenomeno morale e religioso che nasconde una

tendenza a svalutare l’esistenza. Il filosofo tedesco ammira il mondo greco per

l’enorme distanza che lo separa dal cristianesimo nonostante colga in alcuni

pensatori greci una prima forma di moralizzazione del mondo.

“Pur riducendo infatti l’esistenza a qualcosa di delittuoso e perciò di riprovevole,

essi (i greci) non la rendono colpevole e responsabile”168. La morale giudaico-

cristiana, ponendo il peccato e la colpa alla radice dell’esistenza-sofferente,

prendono le distanze dai greci che vedevano nell’esistenza un delitto di cui gli dei

si assumevano la responsabilità per aver condotto gli uomini alla follia. Deleuze a

questo punto ci conduce al centro della valutazione nietzschiana dell’esistenza:

“nel risentimento (è colpa tua) e nella cattiva coscienza (è colpa mia) e nel loro

frutto comune (la responsabilità), Nietzsche individua non soltanto dei semplici

eventi psicologici, ma le categorie fondamentali del pensiero semitico e cristiano,

il nostro modo di pensare e interpretare l’esistenza in generale. Nietzsche si

prefigge di ottenere un nuovo ideale, una nuova interpretazione, un altro modo di

pensare: «volgere in senso positivo l’irresponsabilità»”169.

La novità introdotta da Nietzsche nel simbolo di Dioniso è l’innocenza

dell’esistenza, il carattere non-colpevole della vita, il divenire della molteplicità.

L’esistenza viene pensata come un divenire del molteplice in cui “ogni cosa è in

rapporto con una forza in grado di interpretarla; ogni forza è in rapporto con ciò

che è in suo potere, e da cui è inseparabile. Questo rapporto in cui si afferma e si

viene affermati, risulta essere radicalmente innocente”170.

Questo nuovo modo di valutare la sofferenza come necessaria e l’esistenza come

innocente dovrebbe condurre ad una nuova sensibilità e ad un nuovo modo di

pensare. Nietzsche è riuscito solamente ad indicare la via, tanto che Deleuze può

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!167 H.Diels and W.Kranz, 12,B1. Simplic. Phys, 24, 13 [cifr.A9], trad.it. R.Laurenti in I presocratici. Testimonianze e frammenti, a cura di G.Giannantoni, Laterza, Roma-Bari 1990, p.106-107!168!G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia p.33!169!Ibidem p.33!170!Ibidem p.35!

Capitolo 5: Il valore della differenza.

92

affermare: “Irresponsabilità: il segreto più nobile e bello di Nietzsche”171.

5.2 L’eterno ritorno del differente

Deleuze pensa che il fraintendimento del senso dell’esistenza sia dovuto, secondo

Nietzsche, all’impossibilità che la vita valuti se stessa. L’uomo, il corpo, il

soggetto non sono che prodotti dell’incontro di molteplici forze che vengono

interpretate dal pensiero come unicità. Nietzsche pensa l’essere come continuo

divenire in cui ogni punto è interno al processo, ogni momento è una parte che

non può fuoriuscire dal tutto per guardare il divenire dall’esterno. Data la visione

della vita come divenire del molteplice è possibile comprendere perché per

Nietzsche una qualsiasi valutazione della vita che non prenda in considerazione la

vita stessa nella sua interezza, ma che si assuma il compito di giudicare un

frammento staccato arbitrariamente dal divenire sulla base di criteri (così umani)

quali quelli del giusto e dell’ingiusto, non fa che svalutare la vita stessa

negandone il senso immanente.

La storia di ciò che Nietzsche definirà nichilismo europeo inizia con Socrate che,

nella Nascita della tragedia, viene contrapposto a Dioniso come primo sintomo di

quel processo di décadence che troverà la sua fortuna da una parte in Platone,

negli stoici e negli epicurei e dall’altra parte nelle religioni semitica e cristiana che

avranno in San Paolo il loro massimo esponente. Socrate fu il primo décadents

perché lui per primo ha contrapposto la conoscenza e il pensiero alla vita-del-

corpo. La conoscenza che si pone al di-sopra della vita è un sintomo della vita

reattiva che tende alla conservazione del proprio tipo. Anche se Nietzsche ha

sempre nutrito un profondo rispetto e ha sentito una quasi affinità con i filosofi

della Grecia antica, la portata di novità della sua filosofia non si può certo limitare

ad un ritorno ai Greci.

Abbiamo visto che, secondo Deleuze, Nietzsche considera la differenza

fondamentale tra la filosofia greca e la religione cristiana nel loro differente modo

di rapportarsi all’esistenza. La vera colpa dell’ebraismo e del cristianesimo di

Paolo è stata quella di introdurre nel mondo i concetti di peccato e colpa e di aver

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!171!Ibidem p.33!

Capitolo 5: Il valore della differenza.

93

interpretato l’esistenza attraverso questi concetti. I greci conoscevano molto bene

la sofferenza e Nietzsche ammira in loro proprio il modo di rapportarsi ad essa:

“paragonati al cristianesimo, i Greci sembrano dei bambini”172; ma la loro

interpretazione della sofferenza verte in ogni modo su una valutazione

dell’esistenza come radicalmente ingiusta. Eraclito l’oscuro fu l’unico a concepire

l’esistenza come innocente e Nietzsche utilizzò il suo pensiero in opposizione a

quello di Anassimandro per contrapporre il divenire all’essere. Deleuze scrive:

“Eraclito negò il dualismo dei mondi, «negò in generale l’essere»; più ancora, fece

diventare il divenire affermazione”173. È chiaro il senso in cui Eraclito negò

l’essere, affermando il divenire. Meno chiaro è il senso in cui il divenire diventa

affermazione: “è necessario riflettere a lungo per comprendere che cosa significhi

rendere il divenire affermazione. […] certamente significa affermare il divenire;

ma significa anche affermare l’essere del divenire, significa che il divenire

afferma l’essere o che l’essere si afferma nel divenire”174.

Se Eraclito può negare l’essere, lo può fare solo attraverso l’affermazione del

divenire come molteplice. Il molteplice a sua volta non può darsi se non come

affermazione dell’uno nella metamorfosi. Si può notare come questo pensiero si

colleghi al pensiero di Nietzsche, esposto in precedenza, sull’essere del divenire:

“Qual è l’essere del divenire? -si chiede Deleuze- quale è l’essere che è

inseparabile da ciò che è in divenire? Ritornare è l’essere di ciò che diviene.

Ritornare è l’essere del divenire stesso, l’essere che si afferma nel divenire.

L’eterno ritorno come legge del divenire, come giustizia e come essere”175.

Eraclito considerava il divenire come essenzialmente innocente, non come un

qualcosa d’ingiusto da espiare, ma come un gioco da affrontare. Comprendere il

pensiero del divenire-eracliteo può essere utile per cercare di affrontare il pensiero

dell’eterno ritorno, che è espresso in maniera così enigmatica nella filosofia di

Nietzsche (e che in parte si distacca dalla concezione del filosofo di Efeso).

Le difficoltà nella comprensione dell’eterno ritorno di Nietzsche risiedono in

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!172!Ibidem p.33!173!Ibidem p.36!174!Ibidem p.36!175!Ibidem p.37!

Capitolo 5: Il valore della differenza.

94

diversi fattori. Bisogna anzitutto considerare che Nietzsche cedette alla malattia a

soli quarantotto anni e quando era in procinto di scrivere l’opera che andava

preparando da decenni, La Trasvalutazione di tutti i valori. Ovviamente non è

possibile sapere con certezza se nel testo avrebbe dedicato scritti specifici al tema

dell’eterno ritorno, ma si può supporre dagli appunti raccolti che così sarebbe

stato.

Un altro fattore decisivo è che gli unici accenni fatti da Nietzsche sul tema sono o

altamente simbolici o descritti in via del tutto ipotetica. Un ulteriore fattore della

difficoltà nella comprensione potrebbe risiedere nel fatto che Nietzsche descrive

la dottrina dell’eterno ritorno come un’esperienza vissuta su di sé, come un

pensiero che lo ha attraversato, quasi come una visione estatica: “E d’improvviso,

amica! Ecco che l’Uno divenne Due- E Zarathustra mi passò vicino…”176.

Deleuze ha dedicato molto spazio nei suoi scritti a questo concetto. Nel testo

Nietzsche e la filosofia interpreta l’eterno ritorno secondo due differenti aspetti:

come dottrina cosmologica e fisica e come pensiero etico e selettivo. Abbiamo già

visto nel paragrafo sulla volontà di potenza che per Deleuze l’eterno ritorno di

Nietzsche non è pensabile come eterno ritorno dell’identico, ma solo come eterno

ritorno del differente. Cerchiamo ora di chiarire questa difficile interpretazione.

Iniziamo l’analisi dell’eterno ritorno considerato come dottrina cosmologica e

fisica. Abbiamo detto che Nietzsche considera l’unità come maschera della

molteplicità che si dà nel divenire. Seguiamo Deleuze nell’interpretazione:

“L’esposizione dell’eterno ritorno data da Nietzsche presuppone la critica dello

stato terminale o di equilibrio. Egli ritiene che se l’universo avesse uno scopo o

uno stato finale, questi sarebbero già stati raggiunti. Ora l’attimo presente, nel suo

trapassare, prova che questo stato non è raggiunto e che quindi l’equilibrio delle

forze non risulta possibile”177. Deleuze chiarisce questo pensiero, ponendone alle

fondamenta la considerazione di Nietzsche del tempo passato come infinito e del

presente-attimo come un momento che non è ma che passa.

Partendo da questo presupposto si può capire perché Nietzsche pensasse al

divenire come eterno processo che non poteva avere un inizio e una fine. La

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!176!F.Nietzsche, La Gaia scienza, Adelphi Edizioni, Milano 2005, p.333!177!G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia p. 70!

Capitolo 5: Il valore della differenza.

95

distanza di Nietzsche dal pensiero greco del divenire si può cogliere proprio nel

tentativo dei primi filosofi dell’antichità di rintracciare un inizio e una fine di ciò

che diviene in un atto di hybris e di delitto. Lo stesso Platone, in alcuni passi

molto oscuri, coglie nel presente un momento di essere che costringe il divenire a

cessare. Nietzsche pensando all’impossibilità della contrapposizione di un essere

al divenire, rintraccia l’essere del divenire stesso.

Abbiamo già indicato quale sia l’interpretazione di Deleuze a questo riguardo:

Ritornare è l’essere del divenire. In un brano molto oscuro, chiamato La visione e

l’enigma, Zarathustra incontra una porta carraia con su scritto: attimo. Da questa

porta partono due sentieri, passato e futuro, entrambi (apparentemente) infiniti.

Deleuze considera l’attimo (la porta carraia) come rapporto sintetico di passato e

futuro che distruggendosi fonda altri attimi:

“L’eterno ritorno è così la risposta al problema del passare; esso perciò non va

interpretato come ritorno di un qualcosa, di uno o di un medesimo. Intendere

l’espressione «eterno ritorno» come ritorno del medesimo è un errore, perché il

ritornare non appartiene all’essere ma, al contrario, lo costituisce in quanto

affermazione del divenire e di ciò che passa, così come non appartiene all’uno ma

lo costituisce in quanto affermazione del diverso o del molteplice. In altre parole,

nell’eterno ritorno l’identità non indica la natura di ciò che ritorna, ma, al

contrario, il ritornare del differente”178.

Deleuze interpreta l’eterno ritorno come un processo di sintesi: sintesi del tempo

(passato-presente-futuro), sintesi del diverso, sintesi del divenire e dell’essere che

esso afferma. In quanto sintesi di molteplicità l’eterno ritorno non può riguardare

l’identico ma solo il sempre-differente. Secondo Deleuze su questa intuizione

dell’eterno ritorno come sintesi del differente si basa la critica di Nietzsche nei

confronti di ogni tipo d’ipotesi ciclica. Questa ipotesi (quella ciclica) non riesce a

concepire il differente che eccede il ciclo stesso. Il filosofo francese, a questo

punto, ritrova il principio di questa sintesi del differente nel concetto di volontà di

potenza:

“Possiamo perciò comprendere l’eterno ritorno solo in quanto espressione di un

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!178!Ibidem p.73!

Capitolo 5: Il valore della differenza.

96

principio che sta alla base del riprodursi del differente, del ripetersi della

differenza. Nietzsche presenta tale principio come una delle scoperte più

importanti della sua filosofia. Gli dà un nome: volontà di potenza. La volontà di

potenza «esprime il carattere che non si può sopprimere nell’ordine meccanico

senza sopprimere l’ordine meccanico stesso”179.

La precedente descrizione del concetto di volontà di potenza come sintesi dei

rapporti di forze da cui deriva la differenza di qualità tra le forze stesse, dovrebbe

rendere più facile comprendere come sia la volontà di potenza il principio per cui

l’eterno ritorno viene concepito da Nietzsche come ulteriore sintesi delle qualità

che eternamente si differenziano. Deleuze indica nel pensiero meccanicistico uno

dei bersagli contro cui muove il nuovo pensiero dell’eterno ritorno. L’ipotesi

meccanicistica prevede sì un ritorno, ma un ritorno di quantità che tra lo stato

iniziale e quello finale si compensano o si annullano. Nel meccanicismo si può

rintracciare un limite comune a molte scienze: il considerare sempre e solo la

quantità e l’identità omettendo le qualità che producono la differenza.

Prima di dedicarci all’interpretazione di Deleuze dell’eterno ritorno come

pensiero etico e selettivo, dobbiamo fare un salto indietro e descrivere un

movimento delle forze che è stato solo accennato. Nietzsche pensa che il

problema della decadenza dell’uomo che si manifesta in vari ambiti (scienza,

morale, politica, ecc.) consista nel fatto che ad un certo punto del suo sviluppo

l’animale-uomo abbia privilegiato -per sicurezza, conservazione, sopravvivenza-

le forza reattive a scapito di quelle attive e prevaricanti.

Abbiamo accennato al fatto che Nietzsche, secondo Deleuze, rintraccia nella

storia dell’uomo un divenire-reattivo delle forze attive. Le forze reattive possono

separare le forze attive da ciò che è in loro potere e così renderle reattive a loro

volta. Abbiamo anche detto che le forze reattive sono e restano delle forze e che

esse, nei casi in cui riescono a scomporre le forze attive e quindi a dominarle,

assumono un aspetto ambivalente.

Come abbiamo già visto nella descrizione del tipo-prete, il sacerdote ha la

funzione di condurre le forze reattive e contrapporle a quelle attive separando

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!179!Ibidem p.74!

Capitolo 5: Il valore della differenza.

97

queste ultime da ciò che è in loro potere. Il prete ha inventato una morale, un al di

là, dei valori superiori per poter valutare la vita in maniera opposta a quella che

sarebbe una valutazione reale e così facendo poter sovvertire quelli che sono i

valori terreni e quindi la forza attiva nella sua plasticità. Sempre il prete, nelle sue

varie accezioni, ha così depauperato dalla forza il tipo d’uomo affermativo al

quale si contrapponeva, affermando se stesso e il suo ruolo come guida delle forze

reattive di cui era ricco il suo popolo.

Bisogna ricordare che le forze attive e reattive differiscono tra loro in base alla

qualità della volontà di potenza che le contraddistingue. Ci possono essere forze

attive condotte dalla volontà del nulla ad un divenire reattivo e forze reattive che

oltre ad obbedire possono opporre resistenza e quindi una sorta di attività. Dunque

il divenire reattivo delle forze attive è dovuto all’azione su di esse delle forze

reattive che le scompongono. Allo stesso tempo queste stesse forze reattive non

possono diventare attive fino a quando ciò che compiono attraverso il

prosciugamento della forza nell’attività è una volontà del nulla, è il nichilismo.

Il genio sacerdotale, per quanto possa diventare potente a spese sia dei suoi

seguaci (che sono reattivi) sia dei suoi oppositori (che sono attivi e di cui

prosciuga l’energia), può solo riuscire ad indebolire l’uomo attivo separandolo da

ciò che è in suo potere. Valutando l’uomo forte e affermativo attraverso valori che

si basano su un’accezione nichilista della volontà di potenza, lo rende più debole.

A questo punto Deleuze fornisce una chiave interpretativa molto interessante per

la scoperta dell’eterno ritorno che, per Nietzsche, fu un fatto così epocale: l’eterno

ritorno è l’unico modo di concepire come possibile il divenire-attivo delle forze

reattive e quindi una trasvalutazione dei valori. L’affermazione è il senso

dell’eterno ritorno:

“Dato che non abbiamo mai provato né conosciuto un divenire-attivo, possiamo

concepirlo soltanto come prodotto di una selezione, duplice e simultanea,

dell’attività nella forza e dell’affermazione nella volontà. Ma chi può operare

questa selezione, fungere da principio selettivo? L’eterno ritorno, risponde

Nietzsche”180. Innanzitutto Deleuze chiarisce un primo senso dell’eterno ritorno

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!180!Ibidem p.101!

Capitolo 5: Il valore della differenza.

98

come processo selettivo: pensare la vita come un eterno ritorno fornisce all’uomo

un principio etico (della stessa rigidità di quello kantiano ma radicalmente

differente): “È la nuova formulazione della sintesi pratica: ciò che vuoi, devi

volerlo in modo tale da volerne anche l’eterno ritorno”181. Questo principio si

dirige contro ogni mezza volontà che rende l’uomo incapace di volere la sua

azione all’ennesima potenza e che è sempre pronta ad abbandonare un proprio atto

dopo averlo compiuto. Secondo Nietzsche, basandosi su questo principio etico è

possibile volere la propria azione al massimo grado senza possibilità di

pentimento: “Fate pure ciò che volete- ma siate prima di tutto di quelli che sanno

volere”182. Da questo modo di concepire la volontà si evince l’enorme lontananza

di Nietzsche da ogni morale fino ad allora professata.

Vedere in un atto un qualcosa che si sarebbe potuto non compiere e di cui ci si

dovrebbe pentire è negare la totalità in quanto molteplicità, è fraintendere la

volontà di potenza immaginando un soggetto dotato di una volontà libera e da

essa guidato nelle sue azioni. Secondo Nietzsche la morale giudaico-cristiana ha

avuto bisogno della finzione di un soggetto dotato di una volontà libera per poter

rendere l’uomo più debole e controllabile. Zarathustra insegna il “così volli che

fossi”183, un nuovo modo di rapportarsi del soggetto a se stesso e al suo pensiero,

una trasvalutazione reale dei valori e di ciò che crea questi valori.

“Possiamo vedere meglio in che modo l’eterno ritorno operi la selezione

osservando che essa avviene per mezzo del pensiero dell’eterno ritorno, il quale,

eliminando dal volere tutto ciò che ricade al di fuori dell’eterno ritorno, lo

restituisce alla propria integrità, lo fa diventare creativo realizzando così

l’equazione volere=creare”184. Il nichilismo stesso, che nell’ideale ascetico punta

alla conservazione della vita reattiva, alla luce del pensiero dell’eterno ritorno

trasforma il suo senso e la volontà del nulla diventa affermativa: “Soltanto nel

momento in cui la volontà del nulla viene messa in rapporto con l’eterno ritorno

essa rompe l’alleanza con le forze reattive. Solo l’eterno ritorno dà completezza al

nichilismo applicando la negazione alle stesse forze reattive. Con e nell’eterno !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!181!Ibidem p.102!182!Ibidem p.102!183!F.Nietzsche, Così parlò Zarathustra, p.164!184!G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia pp.102-103!

Capitolo 5: Il valore della differenza.

99

ritorno il nichilismo non si presenta più come conservazione e vittoria dei deboli,

ma come distruzione, auto-distruzione dei deboli”185.

Con questa idea di auto-distruzione non s’intende ancora una volta la volontà di

potenza che si rivolge contro se stessa, ma una vera e propria distruzione-attiva

che conduce le forze reattive al nulla. Deleuze pensa che il nichilismo sia la ratio

cognoscendi della volontà di potenza che possiamo comprendere solo attraverso la

sua accezione negativa. L’affermazione è la qualità sconosciuta, è la ratio essendi

della volontà di potenza, la possibilità della creazione di valori nuovi e

sconosciuti. La trasvalutazione di tutti i valori è possibile solo se avviene una

trasmutazione del nichilismo che si esaurisce nell’affermazione.

“Dall’affermazione derivano nuovi valori: valori sconosciuti fino a oggi, fino al

momento in cui cioè il legislatore prende il posto del «dotto», la creazione prende

il posto della stessa conoscenza, l’affermazione prende il posto di tutte le

negazioni conosciute” 186 . Deleuze, a questo punto, pone una differenza

fondamentale tra «l’ultimo uomo» e «l’uomo che vuole perire»: il primo è

l’ultima forma dell’uomo reattivo che vuole conservarsi, il secondo è il frutto di

una selezione che ne comporta il superamento, è l’uomo che vuole il proprio

tramonto. La prova dell’eterno ritorno conduce gli spiriti forti ad eliminare ciò

che c’è in essi di più debole, condurlo al tramonto.

Deleuze dà molta importanza all’idea di trasmutazione in Nietzsche. È solo

attraverso il passaggio della trasmutazione che ci può essere un reale

cambiamento. Unicamente nell’eterno ritorno è possibile la trasformazione della

negazione in affermazione. Deleuze pensa che Nietzsche si distanzi dal pensiero

morale solo per recuperare un’etica differente.

Il pensiero dell’eterno ritorno è l’unica concezione possibile di una

trasvalutazione dei valori. Concepire l’eterno ritorno significa porsi di fronte al

problema dell’esistenza e rispondere affermativamente. La risposta affermativa al

problema dell’esistenza è per Deleuze il senso dell’azione selettiva dell’eterno

ritorno. Il ritorno che compie la selezione fa ritornare solo ciò che si afferma come

differente. In uno dei suoi libri più complessi e importanti, Differenza e !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!185!Ibidem p.104!186!Ibidem pp.259-260!

Capitolo 5: Il valore della differenza.

100

ripetizione, Deleuze utilizza la dottrina nietzschiana dell’eterno ritorno per far

emergere la differenza che si cela dietro ogni presunta identità. Decostruisce

tramite la categoria della differenza la presunta identità di fenomeni quali

pensiero, soggetto, Idea, rintracciandone l’originaria molteplicità che si manifesta

in una solo apparente unità. Deleuze pone il principio di ripetizione del differente

oltre la possibile riduzione alla generalità della legge.

“Se la ripetizione è possibile, essa inerisce al miracolo piuttosto che alla legge.

Essa è contro la legge: contro la forma simile e il contenuto equivalente della

legge. Se la ripetizione può essere trovata, anche nella natura, ciò accade in nome

di una potenza che si afferma contro la legge, che lavora sotto le leggi, forse

superiore alle leggi. Se la ripetizione esiste, essa esprime nello stesso tempo una

singolarità contro il generale, un’universalità contro il particolare, uno

straordinario contro l’ordinario, una istantaneità contro la variazione, una eternità

contro la permanenza. Sotto ogni aspetto, la ripetizione è la trasgressione. Essa

pone in questione la legge, ne denuncia il carattere nominale o generale, a

vantaggio di una realtà più profonda”187.

Se la ripetizione è trasgressione, ciò che ritorna è l’eccedente, ciò che supera i

limiti, il differente. La qualità attiva della forza è essenzialmente plastica mentre

quella reattiva è conservativa. Se la reattività, in rapporto con la volontà del nulla,

ha il predominio, essa si rifugerà nell’Identità. Solo una concezione dell’eterno

ritorno come affermazione che è affine alle forze attive e che rende attive le forze

reattive, portandole all’auto-distruzione, può produrre la differenza. In uno dei

passi più controversi di Così parlò Zarathustra, La visione e l’enigma, quando il

nano (lo spirito di gravità) che siede sulla spalla di Zarathustra espone la sua

visione dell’eterno ritorno come ritorno del medesimo, Zarathustra prova

disgusto. Secondo Deleuze, il filosofo persiano non riesce ad accettare una

concezione così superficiale dell’eterno ritorno inteso come circolo in cui ciò che

ritorna è l’identico. Alla fine del passo citato Zarathustra ha una visione di un

pastore che ha un serpente che gli pende dalle fauci; schifato e inorridito

Zarathustra urla al pastore di tranciare con un morso la testa dell’animale.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!187!G.Deleuze, Différence et répétition, Presses Universitaires de France, Paris 1968, trad.it. Differenza e ripetizione, A cura di G.Guglielmi, Raffaello Cortina Editore, Milano 1997,p. 9!

Capitolo 5: Il valore della differenza.

101

“Il pastore, poi morse così come gli consigliava il mio grido; e morse bene![…]

Non più pastore, non più uomo, -un trasformato, un circonfuso di luce, che rideva!

Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise”188.

Dunque, il pensiero dell’eterno ritorno presuppone un cambiamento, una

trasvalutazione, che dovrebbe portare alla conversione delle forze reattive in forze

attive, passando per una precedente trasformazione della qualità negativa della

volontà di potenza che diviene affermativa. Il cambiamento è anche ciò che

subisce il pastore dopo aver staccato la testa del serpente: da livido che era diviene

un circonfuso di luce… che rideva. Deleuze può così indicare il segreto della

trasvalutazione nietzschiana nella gioia dionisiaca dell’affermazione del

molteplice.

Avevamo parlato nel precedente capitolo di una nuova sensibilità, un nuovo modo

di sentire. Secondo Deleuze è la trasvalutazione del negativo in affermativo,

l’affermazione dell’eterno ritorno come ripetizione del differente che permette a

Nietzsche di concepire una figura tanto enigmatica quale quella del superuomo.

Per il pensatore francese il superuomo non può essere concepito come l’uomo

superiore. Tale forma di uomo è solo l’idealizzazione dell’uomo reattivo che si

limita a rovesciare i valori stabiliti senza riuscire a reinventarne di nuovi, è

l’ultima forma del nichilismo reattivo. Soltanto una trasvalutazione nietzschiana

di tutti i valori, una trasmutazione della negazione nell’affermazione può condurre

il nichilismo alla sua auto-distruzione. La condizione necessaria affinché si attui

una radicale trasvalutazione è una trasformazione del senso del nichilismo che

assume un’ultima forma come nichilismo attivo. Nietzsche caratterizza l’ultimo

uomo come un ponte verso il superuomo.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!188!F.Nietzsche, Così parlò Zarathustra, p.186!

Capitolo 5: Il valore della differenza.

102

5.3 La morte dell’uomo e il superuomo

A questo punto siamo quasi giunti al compimento del lavoro. Si è cercato di

seguire Gilles Deleuze nella sua interpretazione della morale giudaico-cristiana

nella filosofia di Nietzsche attraverso la rilettura delle tre dissertazioni della

Genealogia della morale. Nel primo capitolo è stato analizzato il metodo

genealogico che secondo Deleuze riveste tanta importanza per l’introduzione nella

filosofia dei concetti di senso e valore e dei conseguenti due nuovi metodi di

ricerca: l’interpretare e il valutare. Attraverso l’analisi di risentimento e cattiva

coscienza siamo giunti al problema dell’ideale ascetico e alla sua stretta affinità

con il potere sacerdotale. Successivamente si è cercato di descrivere l’originale

interpretazione deleuziana del nichilismo nelle sue diverse trasfigurazioni:

negativo-reattivo-passivo. Concepire il nichilismo come volontà del nulla o nulla

della volontà ci ha condotti direttamente ad affrontare i grandi enigmi nietzschiani

della volontà di potenza e dell’eterno ritorno attraversati dall’idea fondamentale di

una trasvalutazione di tutti i valori.

Ora, giunti quasi al termine del percorso, cercheremo di avvicinarci alla

concezione del superuomo. Nell’introduzione al metodo genealogico, oltre a

Gilles Deleuze, c’è stato molto d’aiuto il pensiero di Michael Foucault. Il

pensatore francese confessa esplicitamente l’influenza che ha subito dalla filosofia

di Nietzsche da cui ha tratto, oltre al metodo genealogico, l’interesse per la ricerca

della diversità insita in ogni struttura. Michael Foucault, come Gilles Deleuze,

coglie nella filosofia di Nietzsche quell’esigenza di pensare l’impensato che è il

pensiero del Fuori, il pensiero della differenza. Tra Foucault e Deleuze vi era un

rapporto di profonda ammirazione, che ha condotto il primo a considerare la

possibilità di un secolo deleuziano e il secondo a dedicare alcuni degli ultimi studi

all’interpretazione del pensiero del collega e amico Foucault.

Ciò che più ci interessa di questo incontro è l’interpretazione di Deleuze dell’idea

foucaultiana della morte dell’uomo. Questa intuizione, spesso incompresa, può

portare alla comprensione di una figura tanto enigmatica quale quella del

superuomo che, ricordiamo, per Deleuze non è l’uomo superiore ma l’uomo

trasformato. Il superuomo è l’uomo originariamente reattivo che, passando

attraverso il pensiero selettivo dell’eterno ritorno e il pensiero affermativo della

Capitolo 5: Il valore della differenza.

103

trasvalutazione dei valori, riesce a subordinare le forze reattive a quelle attive e

prevaricanti, a distruggere i valori conosciuti e a crearne di nuovi. Gilles Deleuze

inizia la sua interpretazione del pensiero foucaultiano dai concetti cardine della

filosofia di Foucault: potere e sapere.

Il potere è concepito da Foucault in senso nietzschiano come un rapporto di forze

il quale è sempre a sua volta un rapporto di potere. Il potere non può essere una

forma (come lo stato), ma è ciò che si manifesta solo nell’esercizio. Il potere è

un’affezione nel duplice senso di essere affetto e di produrre un’affezione. Le

forze sono sempre molteplici e si danno in un rapporto che è sempre nel fuori.

Foucault nega la possibilità di pensare l’interiorità in quanto ogni rapporto di

forze è sempre un rapporto esterno, è sempre un rapporto con il fuori. Il sapere

all’opposto è un rapporto tra forme, è la forma che si erge sulle stratificazioni del

potere. Secondo Deleuze il sapere è sempre subordinato al potere, ma allo stesso

tempo non ci può essere potere senza un elemento che ad esso resiste.

Ai concetti di sapere e potere se ne aggiunge un terzo: il pensiero, inteso come il

ripiegamento su di sé che si attua nel rapporto con le forze del fuori. Questo

ripiegamento su di sé come rapporto con le forze del fuori crea un soggetto che

può essere inteso solo come affezione relativa e variabile. L’uomo, il soggetto, il

sé non sono entità invariabili ed eterne ma sono, a loro volta, rapporti di forze che

a tratti si sedimentano in una forma per poi ritornare alla loro fluidità originaria

nel momento in cui cambiano le forze del fuori con cui entrano in rapporto.

“Il principio generale di Foucault è il seguente: ogni forma è un composto di

rapporti di forze. Date delle forze, ci si domanderà quindi innanzitutto con quali

forze del fuori esse entrino in rapporto, e in seguito quali forme ne derivino. Si

diano delle forze nell’uomo: forze dell’immaginare, del ricordarsi, del concepire,

del volere… si obietterà che tali forze presuppongono già l’uomo in quanto forma,

ma non è così, nell’uomo, le forze presuppongono soltanto dei luoghi, dei punti di

applicazione, una regione dell’esistente. […] Si tratta di sapere con quali altre

forze entrino in rapporto le forze dell’uomo, in questa o quella formazione storica,

e quale forma derivi da tale composto. […] esse non entrano necessariamente

nella composizione di una forma-Uomo ma possono avere un diverso

investimento, in un altro composto, un’altra forma: anche considerando un breve

Capitolo 5: Il valore della differenza.

104

periodo, L’Uomo non esiste da sempre, e non esisterà sempre. Affinché appaia o

si delinei la forma-Uomo, è necessario che le forze che sono nell’uomo entrino in

rapporto con forze del fuori del tutto particolari”189.

Deleuze (riferendosi principalmente al pensiero del Foucault de’ Le parole e le

cose) distingue due momenti di cambiamento di quelli che sono i rapporti di forze

dell’uomo con le forze del fuori: la formazione storica “classica” e la formazione

storica del XIX secolo. Il primo di questi due momenti, quello “classico”, si

differenzia per il rapportarsi del pensiero all’infinito. Le forze del fuori con cui

sono in rapporto le forze dell’uomo sono elevabili all’infinito. Le forze dell’uomo

agiscono sulle forze del fuori come limitazione:

“Le forze dell’uomo entrano in rapporto con forze di elevazione all’infinito. E

queste ultime sono proprio forze del fuori, poiché l’uomo è limitato e non può

rendere conto da solo di questa potenza più perfetta che lo attraversa. Così il

composto tra le forze dell’uomo, da una parte, e le forze di elevazione all’infinito

che esse affrontano, dall’altra, non è una forma-Uomo, ma la forma-Dio”190.

Dunque Deleuze definisce il composto prodotto nella formazione classica dal

rapporto tra le forze dell’uomo e le forze del fuori come forma-Dio e la

caratterizza come mondo della rappresentazione infinita. Secondo Deleuze lo

stato delle scienze del XVII secolo manifestava chiaramente questo stato di cose.

Le varie scienze “classiche” hanno tutte il carattere della generalità; il metodo

scientifico si basa sulla distribuzione degli elementi su serie illimitate. Le scienze

dell’epoca sono generali in quanto pensano in un ordine d’infinità: “Non c’è

biologia ma una storia naturale che forma un sistema solo organizzandosi in serie,

non c’è economia politica ma un’analisi delle ricchezze; non filologia o

linguistica ma una grammatica generale”191. Queste caratteristiche di serialità e

continuità infinite delle scienze dell’epoca classica vengono concettualizzate da

Deleuze con il termine foucaultiano di dispiego. Anche gli enunciati classici

hanno questa caratteristica, per cui si dispiegano in serie, si sviluppano

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!189!G.Deleuze, Foucault, Les Editions de Minuit 1986, trad.it. Foucault, A cura di P.A. Rovatti, F.Sossi, Edizioni Cronopio, Napoli, 2002, p.163 190!Ibidem, pp.164-165!191!Ibidem, p.165!

Capitolo 5: Il valore della differenza.

105

all’infinito. Dio appare come il dispiegamento infinito stesso, come il composto di

tutte le forze elevabili all’infinito.

Nella formazione storica del XIX secolo si assiste ad un cambiamento. Cambiano

le forze del fuori con cui le forze dell’uomo entrano in rapporto. Le nuove forze

del fuori hanno, secondo Deleuze, il carattere della finitezza. Le nuove forze del

fuori sono “la Vita, il Lavoro, il Linguaggio: triplice radice della finitezza che fa

nascere la biologia, l’economia politica e la linguistica”192. Questo incontro delle

forze dell’uomo con le nuove forze della finitezza non produce semplicemente la

consapevolezza dell’uomo di essere finito. Deleuze sostiene che l’originalità del

pensiero di Foucault si manifesta, in questo caso, nel cogliere due momenti

separati in questo processo di presa di coscienza da parte dell’uomo della propria

finitezza:

“La forza dell’uomo deve in un primo momento affrontare e catturare le forze

della finitezza come forze del fuori: solo fuori di sé essa si scontra con la

finitezza. In seguito, e soltanto in seguito, in un secondo momento, la trasforma

nella propria finitezza […] solo quando le forze dell’uomo entrano in rapporto con

forze della finitezza venute dal fuori, dall’insieme delle forze si compone la forma

uomo (e non la forma-Dio). Incipit Homo…”193.

Nel XIX secolo, dunque, mutano i rapporti di forza dell’uomo con la Vita, il

Lavoro e il Linguaggio. Ora queste forze non possono più essere pensate come

forze elevabili all’infinito cui le rispettive scienze si rapportano dispiegandone gli

elementi in serie continue. Dunque, secondo Foucault, in un primo momento

s’instaura una nuova dimensione di profondità che spezza la possibilità del

dispiegamento in serie e continui. Non dovendosi più rapportare all’infinità questi

elementi perdono il carattere di rappresentazione infinita e assumono quello

contrario di non-rappresentabilità: “La morte nella vita, la pena e la fatica nel

lavoro, la balbuzie o l’afasia nel linguaggio”194.

La biologia, l’economia politica e la linguistica si formano solo in un secondo

momento, quando incontrano queste forze della finitezza che costringono cose,

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!192!Ibidem, p.167!193!Ibidem, p.167!194!Ibidem, p.168!

Capitolo 5: Il valore della differenza.

106

esseri viventi e parole a ripiegarsi nella nuova dimensione creata dal primo

momento. Se nella formazione classica Deleuze utilizza il concetto di

dispiegamento per contrassegnare il pensiero di Foucault sul rapporto delle forze

dell’uomo con le forze del fuori elevate all’infinito, per la formazione storica del

XIX secolo usa un altro termine caro a Foucault: la Piega. “Ovunque ora, c’è la

Piega che domina […], e cioè il secondo aspetto del pensiero operativo che

s’incarna nella formazione del XIX secolo. Le forze dell’uomo si ripiegano o si

piegano su questa nuova dimensione di finitezza in profondità, che diventa allora

la finitezza dell’uomo stesso”195.

Avendo a che fare con il problema della finitezza le forze dell’uomo non possono

che assumere una forma precaria. È in questo momento, dopo aver rintracciato i

due pensieri operativi che caratterizzano la formazione storica “classica”

(dispiego) e la formazione storica del XIX secolo (Piega), che Deleuze introduce

la concezione di Foucault della morte dell’uomo. Deleuze crede, come Foucault,

che la morte dell’Uomo sia il vero interesse di Nietzsche.

“Finché Dio esiste, e cioè finché la forma-Dio funziona, l’uomo non esiste ancora.

Quando però la forma-Uomo appare, deve già comprendere la morte dell’uomo

almeno in tre modi. Da una parte, dove può l’uomo trovare il garante di

un’identità in assenza di Dio? In secondo luogo, la forma-Uomo si è costituita

solo nelle pieghe della finitezza, immette la morte nell’uomo […] Infine, le stesse

forze della finitezza fanno sì che l’uomo esista solo attraverso la disseminazione

dei piani di organizzazione della vita, la dispersione delle lingue, la disparità dei

modi di produzione, che implicano che l’unica “critica della conoscenza” è una

“ontologia dell’annullamento degli esseri”196.

Deleuze si domanda il perché Foucault faccia trasparire una certa speranza da

questa morte inattesa. Se assumiamo la morte dell’uomo nel senso della morte

della forma-Uomo ci sarà possibile capire la questione che si pone Foucault con

questa idea enigmatica. La morte della forma-Uomo non chiude ma dischiude la

possibilità di una nuova forma che entra in rapporto con nuove forze e non può

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!195!Ibidem, p.169!196!Ibidem, p.172!

Capitolo 5: Il valore della differenza.

107

configurarsi né come Dio né come Uomo. “Questo è il modo corretto di porre

quel problema che Nietzsche chiamava superuomo”197.

Deleuze ritiene che, come Nietzsche, Foucault non abbia potuto dare altro che un

abbozzo di tale figura. Se per Nietzsche l’uomo ha imprigionato la vita, il

superuomo dovrebbe essere la nuova possibile forma, derivante dal rapporto con

le nuove forze del fuori, che può liberare la vita nell’uomo stesso. Il superuomo

risulterebbe, dunque, dall’incontro delle forze dell’uomo con nuove forze del fuori

che, se non possono essere caratterizzate né dall’infinitezza né dalla finitezza, lo

saranno dal finito-illimitato. Deleuze definisce il pensiero operativo in questo

nuovo rapporto di forze come Superpiega. E avanza un’ipotesi: “il finito-

illimitato o la superpiega non è forse ciò che già Nietzsche abbozzava con il nome

di eterno ritorno?”198.

Il superuomo è dunque, secondo Deleuze, la forma che risulterà da questo

rapporto tra le forze dell’uomo e le nuove forze del finito-illimitato. Ma a questo

punto è chiaro che se l’idea della superpiega, del finito-illimitato è ciò che

Nietzsche intendeva con l’eterno ritorno allora, per Deleuze, il superuomo può

essere questa nuova forma che risulterà dall’uomo che si trova di fronte al

pensiero dell’eterno ritorno e risponde affermativamente: “come direbbe Foucault,

il super-uomo è molto meno della scomparsa degli uomini esistenti, e molto di più

di un cambiamento di concetto: è l’evento di una nuova forma, né Dio né uomo,

una forma che possiamo sperare che non sia peggiore delle due precedenti”199.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!197!Ibidem, p.173!198!Ibidem, p.175!199!Ibidem, p.175!

Conclusioni

108

Conclusioni

In questo lavoro si è cercato di mettere in rilievo la fondamentale interpretazione

offerta da Gilles Deleuze della filosofia di Frederich Wilhelm Nietzsche. Deleuze

è stato un interprete fondamentale per vari filosofi quali Bergson, Spinoza e David

Hume, ma è stato dal confronto con la filosofia di Nietzsche che il suo pensiero ha

subito maggiori influenze. In questo scritto si è cercato di decifrare la difficile

interpretazione compiuta da Deleuze nel testo Nietzsche e la filosofia e in altri

scritti dedicati al filosofo tedesco. Deleuze segue l’intera evoluzione del pensiero

nietzschiano e la sua interpretazione cerca di far emergere l’assoluta novità di

questo pensiero che, soprattutto in ambito morale, si è andato sistematizzando in

uno degli ultimi testi di Nietzsche, la Genealogia della morale.

Le tre dissertazioni della Genealogia della morale, come si è visto, cercano di

individuare il percorso compiuto dal nichilismo per diffondersi e le varie

trasfigurazioni attraverso cui è dovuto passare per affermarsi. Prima di addentrarci

nell’interpretazione, offerta da Deleuze, del testo più sistematico di Nietzsche, nel

primo capitolo si è tentato di descrivere il metodo genealogico introdotto dal

filosofo tedesco. Deleuze coglie due elementi davvero fondamentali della filosofia

nietzschiana: l’introduzione nella filosofia dei concetti di senso e valore (che

permettono di raggiungere la vera critica, da cui Kant era rimasto lontano) e il

metodo introdotto per cogliere lo sviluppo e le maschere dietro cui si trasfigurano

questi concetti. Il metodo genealogico, come abbiamo visto, permette di valutare

la storia (e non solo) non partendo dall’idea di una pretesa origine dei fenomeni

cui si deve risalire per poterli conoscere, ma cogliendo nella storia i momenti di

rottura e di discontinuità che portano un fenomeno ad apparire nella sua forma

attuale. Secondo Deleuze, Nietzsche parte da due presupposti. Il primo è che non

esistono fatti ma solo interpretazioni (per cui un fatto si dà già come

interpretazione che varia solo nel momento in cui una diversa interpretazione

investe quel determinato fatto con la sua forza e soggioga la forza che prima lo

caratterizzava). Il secondo presupposto è che qualsiasi fenomeno è il frutto di un

rapporto tra forze molteplici che si dispongono tra loro gerarchicamente in base a

Conclusioni

109

differenze di quantità e di qualità. Il filosofo francese individua nel prospettivismo

la vera novità metodologica introdotta da Nietzsche nella filosofia. Il

prospettivismo permette di spostare le prospettive da cui si osserva un fenomeno e

di coglierne il senso non nella sua identità ma nel suo pluralismo. Il senso è

sempre plurale e deriva da un non-senso originario. In uno dei suoi libri più

importanti, La logica del senso, Deleuze cerca di far emergere questo problema,

denunciando la possibilità di un senso univoco dei fenomeni e la possibilità di una

loro origine causale. L’insegnamento di Nietzsche viene ripreso da Deleuze in

senso anti-metafisico e anti-dialettico e il pensiero viene definito come un grande

labirinto interiore. Nella Logica del senso, insomma, Deleuze cerca di sovvertire

le leggi ordinarie del linguaggio e della logica riconducendo il senso ad un non-

senso originario. Come dichiara esplicitamente, la più importante lezione che ci

ha lasciato Nietzsche è di carattere metodologico. Il filosofo, una volta colta la

pluralità dei sensi che investono un fenomeno, deve saper offrire

un’interpretazione e una valutazione in senso gerarchico delle varie forze che in

esso momentaneamente predominano.

Ritornando a Nietzsche, nel primo capitolo (in cui si è descritto il lavoro del

metodo genealogico) è stato di grande aiuto Michael Foucault con il suo saggio:

Nietzsche, la genealogia, la storia. In questo scritto, come abbiamo visto,

Foucault indica la triplice novità introdotta dal metodo genealogico: negare la

possibilità di un senso univoco dell’origine da cui sola deriva il senso di un

fenomeno; escludere la ricerca di un’identità nell’origine del fenomeno ma

cercare di cogliere nello sviluppo di questo i momenti di discontinuità; dissipare

la possibilità di concepire un soggetto della conoscenza. Insomma abbiamo colto

l’importanza degli studi di Foucault sul metodo genealogico nell’apertura di una

nuova possibilità di leggere la storia concentrandosi sui micro-eventi che la

producono in momenti di rottura e non cogliendone una presunta identità e

continuità. Nel secondo capitolo, ritornando all’interpretazione fondamentale di

Deleuze, ci si è addentrati nello studio delle prime due dissertazioni della

genealogia della morale, in cui si dischiude la critica di Nietzsche al nichilismo

dilagante, seguendone la storia e le sue trasfigurazioni. Come abbiamo visto la

prima dissertazione pone al centro la scoperta nietzschiana del risentimento, la

Conclusioni

110

seconda quella della cattiva coscienza. Gilles Deleuze dà un’interpretazione

particolare di questi fenomeni, proponendone una concezione energetica. Ogni

fenomeno è composto da un rapporto tra molteplici forze che incontrandosi si

dispongono gerarchicamente. Il filosofo francese distingue le forze in attive e

reattive in base alla qualità intrinseca delle forze e alla differenza di quantità che,

emergendo dal rapportarsi di più forze tra loro, produce una differenza di qualità.

Deleuze sostiene che le forze che s’incontrano per caso compongono un corpo (di

qualsiasi tipo) e che la salute o malattia di questo si possono rintracciare in base

alla gerarchia che si stabilisce tra le forze che in esso si rapportano. La volontà di

potenza, infine, sarà considerata come il principio della sintesi delle forze da cui

deriva la differenza di qualità ma anche come affezione che fa sì che le forze si

rapportino tra loro. Dall’incontro di più forze alcune risultano dominanti e altre

dominate. In un corpo in salute, le forze attive dominano le forze reattive che si

lasciano agire. Secondo Deleuze, tutta la critica di Nietzsche alla morale, in

particolare giudaico-cristiana, consiste nel considerarne l’effetto come un

divenire-reattivo delle forze che, in parte è connaturato nell’uomo, in parte è

prodotto dal nichilismo immanente all’insegnamento morale.

Nel secondo capitolo si è seguita l’interpretazione offerta da Deleuze del

risentimento e della cattiva coscienza. Il risentimento viene definito come una

reazione che diventa sensibile e cessa di essere agita. Nietzsche nella prima

dissertazione fa risalire l’origine del risentimento all’azione del prete ebraico che,

prima trasfigurazione dello spirito di vendetta, conduce le forze reattive ad un

primo trionfo rivolgendone l’odio all’esterno. Il tipo del risentimento è spirito di

vendetta che si rivolge all’esterno e i valori che produce si basano

sull’opposizione dei valori affermativi (dei signori) che cercano di falsificare.

Infine Deleuze traccia una topologia e tipologia del risentimento. La topologia

utilizza il linguaggio freudiano che fa risalire l’origine del tipo-del-risentimento

ad un problema di sovvertimento gerarchico nell’uomo tra le forze

inconsce(attive) e quelle consce(reattive). Il tipo formato da questa composizione

topologica delle forze, risulterà debole e capace di affermarsi solo negativamente,

negando e odiando l’altro. Infine è stato necessario chiarire che il risentimento

non è una vendetta compiuta ma solo odio astratto che invece di essere agito viene

Conclusioni

111

sentito e provoca dolore. Il dolore è ciò che permette al prete di istituirsi quale

potere fondamentale. Successivamente abbiamo seguito lo svilupparsi del

risentimento ebraico che, nell’incontro con il cristianesimo, si trasforma e,

attraverso l’introduzione di concetti quali peccato, colpa e responsabilità, riesce ad

interiorizzare quel dolore che il risentimento aveva prodotto. Da qui la definizione

della cattiva coscienza come interiorizzazione del dolore che lo moltiplica e lo

diffonde. Abbiamo visto infine che, se nel risentimento era all’opera lo spirito

sacerdotale ebraico, la cattiva coscienza è prodotta storicamente dalla storia del

cristianesimo e dalla nuova concezione di peccato e colpa come eterni ed

inestinguibili.

Il terzo capitolo è di carattere differente in quanto si occupa di ricondurre le

scoperte di Nietzsche, di risentimento e cattiva coscienza, alla storia reale in cui

questi si sono sviluppati. Si è tentato di esporre lo studio che Nietzsche ha

compiuto sulla storia ebraica (con cui ha un rapporto ambivalente di odio e

ammirazione) e sulla storia del cristianesimo, inteso non come fenomeno nuovo e

a sé stante, ma come dipendente sempre da quella storia ebraica che ad un certo

punto della sua evoluzione ha istituzionalizzato il ruolo del sacerdote. Infine,

sempre nel terzo capitolo, si è tentato di riportare la descrizione psicologica

compiuta da Nietzsche di Gesù Cristo e di San Paolo (facendo riferimento

principalmente all’Anticristo). Mentre Gesù è caratterizzato come un santo-idiota

più vicino alla figura del Buddha che a quella del fondatore di religioni, la figura

di Paolo è della massima importanza nella filosofia di Nietzsche perché San Paolo

di Tarso andrà perfettamente a simbolizzare l’azione storicamente condotta dallo

spirito sacerdotale come spirito di vendetta. È Paolo, secondo Nietzsche, il primo

cristiano e non quel Gesù di cui a Paolo interessava solo la morte. Nietzsche

sostiene che il suo bersaglio polemico sia il Cristo crocefisso più che il Gesù

storico stesso.

Dopo questo excursus sugli studi storico-religiosi di Nietzsche, siamo tornati

all’argomento principale, l’interpretazione di Deleuze dell’ultima dissertazione

della Genealogia della morale. Nella terza dissertazione è presentata da Nietzsche

l’ultima trasfigurazione del nichilismo: l’ideale ascetico. In esso Deleuze coglie

quell’ultima falsificazione attraverso cui la vita, negando se stessa, porta al

Conclusioni

112

definitivo trionfo le forze reattive che privano le forze attive della fonte della loro

forza. Il paragrafo successivo è stato dedicato all’interpretazione deleuziana del

nichilismo che si differenzia in negativo, reattivo, passivo. Il nichilismo si

trasforma, dietro le sue maschere, da volontà del nulla che nega la vita per

affermare valori superiori (altrettante finzioni) a un nulla di volontà che, una volta

persi i valori superiori (e Dio), non trova più un senso e perde ogni certezza.

Nell’ultimo paragrafo del quarto capitolo si è tentato di caratterizzare la volontà di

potenza. Deleuze pensa che proprio la volontà del nulla, il nichilismo, ci permetta

di conoscerla essendo la ratio cognoscendi della volontà di potenza. La

descrizione di questa nuova forma di volontà è uno dei punti più alti

dell’interpretazione di Nietzsche compiuta da Deleuze. La volontà di potenza non

è assolutamente una volontà che tende alla potenza ma -dice Deleuze- si potrebbe

intendere come potenza di volontà. La volontà di potenza è intensità pura,

plastica, che si manifesta solo nella qualificazione e nell’affezione della forza. La

volontà di potenza ha anch’essa due differenti qualità: quella negativa che,

legandosi alle forze reattive, produce il nichilismo e quella affermativa che non

possiamo conoscere se non come ratio essendi della volontà di potenza e quindi

nella sua affermazione nell’azione.

Nell’ultimo capitolo, infine, si è cercato di sviluppare quella che è stata

l’influenza fondamentale di Nietzsche per Deleuze. Nel primo paragrafo il

discorso si è incentrato sulle concezioni di corpo e di esistenza che, secondo il

filosofo francese, Nietzsche è riuscito a riscoprire affermandone nuove possibilità

di sviluppo. Deleuze coglie l’importanza fondamentale che ha per Nietzsche una

concezione dell’esistenza che affermi l’innocenza della molteplicità prodotta dal

caso ed accusa tutte le filosofie precedenti di aver tentato di ricondurre sempre la

molteplicità all’unità e la differenza all’identità. Nel paragrafo sull’eterno ritorno

del differente, si è voluto incentrare il discorso sulla filosofia di Deleuze che così

tanto ha colto da questa intuizione. Secondo Deleuze l’eterno ritorno di cui parla

Nietzsche è un pensiero del tutto nuovo perché non è riconducibile né alla visione

ciclica degli antichi greci, né ad altre antiche teorie filosofiche che prevedevano

un ritorno della vita su se stessa verso una finale identità. Deleuze pensa che ciò

che si afferma nell’eterno ritorno è il divenire che ritorna in eterno ma sempre

Conclusioni

113

ritorna differente. In uno dei suoi scritti più importanti, Differenza e ripetizione,

Gilles Deleuze traccia un solco con le filosofie metafisiche e dialettiche che

ricercano in ogni fenomeno l’identità, la comprensibilità. Come già affermato ne

La logica del senso, essendo il senso molteplice esso si dà sempre nella differenza

che è affermazione della ripetizione. Secondo Deleuze l’importanza fondamentale

della concezione nietzschiana dell’eterno ritorno risiede nel suo essere un pensiero

etico e selettivo. L’eterno ritorno affermando il differente afferma anche la

negazione che, cambiando di senso, diventa parte dell’affermazione. Secondo

Deleuze solo la trasvalutazione dei valori in senso nietzschiano (che rende il

nichilismo affermativo) può aprire nuove possibilità all’uomo, al mondo e al

pensiero: il superuomo.

Il paragrafo finale è stato diretto ad un confronto compiuto dallo stesso Deleuze

con la filosofia di Michael Foucault sulla concezione (foucaultiana) della morte

dell’uomo e della possibilità dell’avvento del superuomo. Deleuze riprende la

concezione (che Foucault ha recepito da Nietzsche) dell’uomo come un

composto-uomo che non è sempre esistito e non esisterà sempre ma che è il

prodotto del rapporto tra un determinato tipo di forze (quelle proprie di ciò che noi

intendiamo uomo) e forze dell’esterno. In base alla tipologia di forze esterne con

cui le forze dell’uomo si sono dovute scontrare nell’evoluzione storica, si sono

succedute diverse forme di soggettività: la forma-Dio (le forze dell’uomo in

rapporto con forze esterne di carattere infinito), la forma-Uomo (cambiano le

forze esterne che divengono finite) e l’ultima forma che prevede la morte

dell’uomo (inteso come forma-Uomo) e annuncia una nuova-forma di là da venire

(che Deleuze riconduce al superuomo).

In conclusione, questo lavoro vuole far emergere l’importanza per la filosofia del

recupero di un’interpretazione complessa ma brillante come quella che Deleuze ci

offre del pensiero di Nietzsche. Gilles Deleuze ha tentato in tutti i suoi lavori di

pensare il differente, il non-pensato, ciò che è affermazione dei molteplici sensi in

cui una cosa, un fenomeno, un corpo si possono dare. Ha utilizzato Nietzsche in

senso anti-dialettico, ponendolo in contrasto con la filosofia a lui precedente e

criticando chi, come Heidegger, avrebbe voluto farlo rientrare in quella storia del

pensiero metafisico contro cui ha sempre combattuto. Deleuze ha tentato in tutta

Conclusioni

114

la sua filosofia (a rischio di esagerazioni) di cercare di far emergere l’importanza

dell’attività, istanza affermativa e affermatrice, che è inconscia e che appartiene a

quelle capacità dell’uomo che ancora non conosciamo e che forse solo l’arte è

riuscita a sviluppare. Infine il filosofo francese ha colto in Nietzsche la più alta

soglia di esplosività filosofica. Un pensiero che definisce nomade, che si pone

all’alba di una contro-cultura e che rappresenta una sorta di contro-filosofia.

Deleuze coglie in Nietzsche un pensiero che crea distruggendo, una macchina da

guerra del linguaggio che rompe con ogni forma di codice e crea la possibilità di

un nuovo modo di filosofare. I grandi movimenti filosofici del novecento,

marxismo e freudismo, dopo aver rotto con i codici del tempo, si sono lasciati

nuovamente ricodificare (il marxismo nello Stato, il freudismo nella famiglia). La

vera novità, secondo Deleuze, è la filosofia di Nietzsche:

“Il suo problema è un altro. Attraverso ogni codice, passato, presente, futuro, si

tratta per lui di far passare qualcosa che non si lascia e non si lascerà mai

codificare. Si tratta di farlo passare su un nuovo corpo, o di inventare un corpo sul

quale tutto ciò possa passare e scorrere: un corpo che sia il nostro corpo, il corpo

della Terra, il corpo dello scritto…”200.

In tutte le sue opere Deleuze cercherà, attraverso l’idea di fluidità, di rendere il

pensiero incodificabile, di rompere con il linguaggio consueto, di far agire un

pensiero nomade che sia capace di creare nuovi concetti per una nuova filosofia.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!200!G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia p.302!

Bibliografia

115

Bibliografia

Opere di Gilles Deleuze

Nietzsche et la philosophie, Presses Universitaires de France, Paris 1962; trad. it.

di F.Polidori, Nietzsche e la filosofia, a cura di F.Polidori, Piccola Biblioteca

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Guglielmi, Differenza e ripetizione, Raffaello Cortina Editore, Milano 1997.

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Zur Genealogie der Moral Eine Streitschrift; trad. it. di F. Masini, Genealogia della

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!Jenseits von Gut und Böse, trad. it. F. Masini, Al di là del bene e del male,

Adelphi Edizioni, Milano, 2006.

Der europäische Nihilismus, trad. it. S. Giametta, Il nichilismo europeo. Frammento di

Lanzhereide Adelphi Edizioni, Milano, 2006.

!Aurora e Frammenti postumi (1879-1881), Vol.V, tomo I, a cura di Giorgio Colli

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Also sprach Zarathustra. Ein Buch füt Alle und Keinen, trad. it. di M. Montinari, Così

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!Die fröhlische Wissenschaft, trad. it. F. Masini, La Gaia scienza e Idilli di Messina, a cura

di F. Masini, Adelphi Edizioni, Milano 2005.!

Bibliografia

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storia, in Microfisica del potere, Einaudi, 1977, Torino

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! !!I presocratici. Testimonianze e frammenti, a cura di G. Giannantoni, Laterza, Roma-Bari 1990.

La Bibbia di Gerusalemme, Centro editoriale dehoniana, EDB, Bologna, 2010.

!Calderòn de la Barca, La vita è sogno, Adelphi Edizioni, Milano, 1997. Feuerbach, L’essenza della religione, Laterza, 1969!