Come riformare la costituzione e i diritti. Considerazioni, disegni di legge e mozioni per una...

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Oskar Peterlini Prokopp & Hechensteiner Come riformare la costituzione e i diritti Considerazioni, disegni di legge e mozioni per una società più equa

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Oskar Peterlini

Prokopp & Hechensteiner

Come riformare la costituzione

e i diritti

Considerazioni, disegni di legge e mozioni per una società più equa

Prokopp & Hechensteiner

Oskar Peterlini

Considerazioni, disegni di legge e mozioni per una società più equa

Come riformare la costituzione

e i diritti

© 2012Oskar Peterlini

eProkopp & Hechensteiner s.a.s.

S. Paolo presso Bolzanowww.prokopp-hechensteiner.com

Composto in carattereStrada di Albert Pinggera eMarat di Ludwig ÜbeleISBN: 978-88-6069-014-2Printed in Italy

Tutti i diritti riservati

1 Prefazione 9

1.1 La crisi delle democrazie 91.2 Il parlamento depotenziato 101.3 Le leggi elettorali rafforzano i partiti 111.4 L’iniziativa legislativa soprattutto del Governo 131.5 Varie iniziative realizzate, le altre siano stimolo per il futuro 14

2 Presentazione e destino delle principali proposte 17

2.1 Sulla riforma costituzionale, l’assetto dello Stato e del Parlamento 172.2 Sulla legislazione elettorale 212.3 Sulla democrazia diretta 242.4 Sulla tutela sociale, la famiglia e la previdenza 252.5 Sulla tutela dell’ambiente 282.6 Sul riassetto della finanza mondiale 292.7 Al servizio dei cittadini 322.8 Sull’impegno per la pace 37

3 Riforma costituzionale, assetto dello Stato e del Parlamento 39

3.1 Tutela costituzionale di flora, fauna e ambiente 393.2 Composizione del Senato della Repubblica 413.3 Composizione della Commissione parlamentare

per le questioni regionali 463.4 Modifica degli statuti delle regioni a statuto speciale 503.5 Modernizzare l’Italia in senso federale 553.6 Riduzione del numero di deputati e senatori 56

4 La legislazione elettorale 59

4.1 Diritto di voto da parte dei cittadini italiani residenti all’estero 594.2 Nuove norme per l’elezione della Camera dei deputati 634.3 Elezione della Camera dei deputati per la regione Trentino-Alto Adige 744.4 Elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia 794.5 Garantire la minoranza slovena nel consiglio

regionale del Friuli-Venezia Giulia 824.6 Nuove disposizioni in materia di elezione del Senato della Repubblica 83

5 La democrazia diretta 101

5.1 Iniziativa legislativa popolare, iniziativa legislativa costituzionale, istituti di democrazia diretta 101

6 Tutela sociale, famiglia e previdenza 119

6.1 Sostegno delle madri lavoratrici 1196.2 L’erogazione anticipata dell’assegno di

mantenimento a tutela del minore 1246.3 Riduzione dell’ IVA sui prodotti di rima necessità per l’infanzia 1366.4 Disciplina delle forme pensionistiche complementari 1384.5 Regolamentazione del TFS e TFR in Trentino-Alto Adige/Südtirol

e in Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste per il pubblico impiego 1446.5 Affidamento condiviso 1506.6 Misure a sostegno della famiglia 1546.7 Misure per favorire le adozioni nazionali ed internazionali 1596.8 Spese sostenute per l’assistenza domiciliare all’infanzia 1616.9 Esclusione dell’uxoricida dalla reversibilità 1656.10 Disposizioni in favore della famiglia 167

7 Tutela dell’ambiente 172

7.1 Convenzione per la protezione delle Alpi 1727.2 Ratifica del Protocollo sui Trasporti 1757.3 Ratifica ed esecuzione dei Protocolli di attuazione della

Convenzione per la protezione delle Alpi 1787.4 Ratifica ed esecuzione del Protocollo di attuazione della Convenzione

per la protezione delle Alpi del 1991 nell’ambito dei trasporti 182

8 Misure economiche e riassetto della finanza mondiale 185

8.1 Promuovere una Nuova Bretton Woods 1858.2 A sostegno dell’economia reale 1888.3 Separare le banche commerciali da quelle di investimento 1928.4 Per la separazione delle attività bancarie ordinarie

da quelle speculative 1948.5 Sezione separata del tribunale delle imprese a Bolzano 198

9 A servizio dei cittadini 203

9.1 Riunioni Pubbliche 2039.2 Riconoscimento della lingua italiana dei segni 2059.3 Iscrizione anagrafica dei soggiornanti in istituti

di ricovero in Trentino Alto Adige 2099.4 Iscrizione anagrafica dei soggiornanti in istituti di ricovero o di cura 2109.5 Riconoscimento agli effetti civili di festività religiose 2129.6 Ripristino della festività di San Giuseppe 2159.7 Conti Dormienti 2199.8 Introduzione del lavoro occasionale nel settore agricolo 2259.9 Disposizioni per il sostegno delle bande musicali 2309.10 In materia di diciture in lingua tedesca sui pacchetti di sigarette 2389.11 Il test di lingua tedesca per il permesso di soggiorno in Alto Adige 2409.12 Disposizioni in materia di attività sportiva dilettantistica 2429.13 Lotteria immobiliare a sostegno della domanda di abitazione 2439.14 Dislocazioni territoriali e ordinamento degli uffici

giudiziari nel Trentino-Alto Adige 249

10 Impegno per la pace 252

10.1 Fermare lo sfruttamento dei popoli indigeni e tribali 25210.2 A tutela delle lingue storiche regionali o minoritarie d’Europa 25810.3 Rimozione dei residuati bellici esplosivi 268

Bibliografia 276

9

1 Prefazione

In questo volume s’illustrano i disegni di legge e le mozioni presentati dall’au-

tore di questo volume al Senato della Repubblica come primo firmatario nella

XVIa legislatura (2008 – 2013). I temi spaziano dalla riforma costituzionale,

la legislazione elettorale, la democrazia diretta, la tutela sociale, la famiglia, la

previdenza, la tutela dell’ambiente, la finanza mondiale, il servizio ai cittadini

fino all’impegno per la pace.

1.1 La crisi delle democrazie

Le democrazie moderne e in particolar modo anche quella italiana sono espo-

ste a un crescente squilibrio tra i poteri dello Stato. L’attività legislativa, che per

Costituzione è riservata al Parlamento (art. 70 Cost.), si trasferisce sempre più

nelle mani dell’esecutivo, sia per motivi organizzativi, di complessità delle ma-

terie che per l’apparato a disposizione del Governo, spogliando in questo modo

il Parlamento dalle sue primarie prerogative.

A differenza però di altri Paesi mediterranei, come la Spagna, la Grecia e

il Portogallo, l’Italia subito dopo la seconda guerra mondiale, è diventata una

democrazia relativamente stabile. Già negli anni 50 ha contribuito alla costi-

tuzione della Comunità europea, diventandone uno dei Paesi fondatori. L’Italia

ha conosciuto una rapida, anche se irregolare, crescita economica e una cor-

rispondente modernizzazione:1 dal 1950 al 1990 il reddito pro capite in Italia è

aumentato più che negli altri paesi e il tasso di crescita l’ha portata al secon-

do posto nel mondo dopo la Corea del Sud. Per fare un confronto europeo, il

reddito è cresciuto così velocemente che alla fine di quel periodo si avvicinò a

quello pro capite della Germania e della Francia.2

1 Cfr. Bull, M., Rhodes, M. (a cura di) (2009): Italy – A Contested Polity, pp. 1–13.2 Cfr. De Cecco, M. (2009): Italy’ Dysfunctional Political Economy. Dornbusch, R.,

Nölling, W., Layard, R. (a cura di) (1993): Postwar Economic Reconstruction and Lessons for the East Today.

10

Nonostante un’esemplare Costituzione ispirata a profondi valori etici e de-

mocratici, con la quale i Padri costituenti intendevano bloccare ogni tentazio-

ne dittatoriale, l’Italia soffre oggi di una fragile democrazia. Dispone si di una

giustizia indipendente, di un Parlamento eletto democraticamente e di un Go-

verno che si basa sulla fiducia parlamentare, però i tre poteri non sono in equi-

librio tra di loro. Allo squilibrio si aggiunge il quarto potere: quello dei mass

media. Soprattutto nell’ambito dei media radiotelevisivi privati si registra un

quasi monopolio.3

1.2 Il parlamento depotenziato

Il Parlamento viene sempre più limitato nello svolgimento delle sue attività di

rappresentante del popolo dalla preponderanza del Governo che ricorre con

sempre maggiore frequenza all’emanazione di decreti d’urgenza, che il Parla-

mento può solamente emendare e ratificare a posteriori, e dello strumento di

fiducia per l’approvazione dei disegni di legge, con la quale il dibattito parla-

mentare e le possibilità di emendare sono soffocati. Il Parlamento è costretto a

votare i cosiddetti maxi-emendamenti del Governo senza poter minimamente

incidere sul testo.

Rimane di conforto che, raffrontando le grandi democrazie a livello inter-

nazionale, solamente negli Stati Uniti d’America la rappresentanza popolare

riveste il suo ruolo centrale in Parlamento. Lamenta, infatti, Gianfranco Pa-

squino (2007),4 che l’Italia si trova purtroppo sul polo opposto. Il Parlamento

italiano può essere considerato centrale solo per quanto riguarda la necessità

di un esplicito voto di fiducia al momento iniziale, ma non lo è per niente nel

decesso del Governo, come lo è invece in Germania o in Spagna.

Boltho, A., Vercelli, A., Yoshikawa, H. (a cura di) (2001): Comparing Economic Systems: Italy and Japan.

3 Cfr. Hibberd, M. (2009): Conflict of Interest and Media Pluralism in Italian Broadcasting.

4 Pasquino, G. (2007): Parlamento e Governo nell’Italia repubblicana, p. 6.

11

Nella rappresentanza politica il Parlamento non occupa il ruolo centrale

che gli spetterebbe, che viene da una parte limitato dal Governo e dall’altra dai

partiti che, di fatto, sono loro che svolgono proprio questo ruolo, senza per altro

essersi dati una legge che attuasse l’art. 49 della Costituzione, come lamentava

da anni Leopoldo Elia.5 Fino allo scandalo di Tangentopoli e alla riforma del-

la legge elettorale nel 1993, in Italia esisteva sì una moltitudine di partiti, ma

quello più potente, la DC, dominava da ben 50 anni (1944 – 1994) con diverse

coalizioni intorno al centro. Il PCI rappresentava il partito di opposizione più

forte, seguendo di poco i risultati della DC e addirittura superandoli, una volta,

nelle elezioni europee del 1984. Veniva però tenuto fuori con successo da ogni

alternanza nel Governo, così come – a destra – l’MSI/DN.6 Nonostante i go-

verni alternanti, in Italia regnava pertanto una stabilità politica particolare, la

stabilità dei partiti.

1.3 Le leggi elettorali rafforzano i partiti

Con la legge elettorale del 1993,7 fu introdotto un sistema elettorale prevalen-

temente maggioritario (con una riserva proporzionale di un quarto) e avviato

il cammino verso un sistema bipolare, che raccolse le forze politiche intorno a

due grandi schieramenti di destra e di sinistra. La legge, ma non solo essa, por-

tò a una spaccatura della DC, che dovette decidere se porsi dall’una o dall’altra

parte. Lo scandalo di tangentopoli fece la sua parte nella fine del sistema dei

partiti tradizionali. La storica posizione predominante dei partiti rimase invece

in piedi anche nel nuovo assetto. 8

5 Elia, L. (1992): Per una legge sui partiti, p. 407 ss. Elia, L. (2007): A quando una legge sui partiti?, p. 2–4.

6 Elia, L. (1970): Conventio ad excludendum, in: Governo, Forme di, p. 634, ss.7 L. 4 agosto 1993, n. 276. 8 Peterlini, O. (2012b it): Funzionamento dei sistemi elettorali e minoranze

linguistiche.

12

Nel 2005 con la nuova legge elettorale (il cosiddetto Porcellum),9 i partiti

politici rafforzarono ancora di più la loro posizione determinante.10 La critica

riguarda la selezione dei parlamentari e quindi direttamente la rappresentanza

democratica del Parlamento. I candidati sono nominati (a parte qualche lode-

vole eccezione) dai vertici dei partiti e posti sulle liste nei circondari elettorali

nell’ordine da loro definito. Gli elettori non possono cambiare l’ordine dei no-

mi in queste liste cosiddette bloccate così che non rimane loro nessuna possi-

bilità di scelta dei candidati. 11

A parte qualche eccezione per la scelta o la conferma del candidato premier

(in modo più o meno populistico), in Italia i partiti non usano lo strumento

delle primarie o altre forme partecipative dei cittadini per scegliere i candidati.

L’attuale sistema elettorale in Italia non prevede né piccoli collegi eletto-

rali, dove i candidati possono stabilire un rapporto diretto con i loro elettori,

ne voti di preferenza, con i quali gli elettori possono scegliere i loro candidati

prediletti. I votanti possono con la loro crocetta selezionare solamente il sim-

bolo di lista. Solo per il Senato in Trentino Alto Adige e per Senato e Camera in

Valle d’Aosta sono previsti collegi uninominali. Voti di preferenza sono invece

previsti esclusivamente per le elezioni dei candidati al collegio estero. Con il

voto al partito gli elettori votano automaticamente la lista dei candidati, che

non appare nemmeno sulla scheda ma è affissa solamente all’esterno nei locali

elettorali.

In questo modo le centrali dei partiti possono collocare i loro funzionari o

candidati di punta ai primi posti delle liste nelle varie circoscrizioni e non solo

in una ma in più o anche in tutte le circoscrizioni. Gli eletti in più circoscrizioni

9 L. 21 dicembre 2005, n. 270, Gazzetta Ufficiale n. 303.10 Cfr. Bardi, L. (2009): Electoral Change and its Impact on the Party System in

Italy.11 Peterlini, O. (2009 de): Südtirols Vertretung am Faden Roms, pp. 103–106;

Peterlini, O. (2007a, de): Föderalistische Entwicklung und Verfassungsreform in Italien, pp. 1 e 45–57. Peterlini, O. (2008 it): Evoluzione in senso federale e riforma costituzionale in Italia, pp. 44–57.

13

possono poi scegliere, dove accettare la propria elezione. In questo modo de-

terminano anche, chi succede al posto loro e in quale collegio.12

La conseguenza di questo sistema è che già prima delle elezioni si conosce

oltre il 90% dei deputati che saranno eletti. L’altra conseguenza è che le pro-

spettive di un parlamentare non sono nelle mani dei votanti, ma in quelle delle

direzioni dei partiti. Per essere rieletti i parlamentari devono occuparsi meno

dei loro elettori quanto più dei responsabili al vertice del loro partito, che deci-

dono la posizione sulle liste nelle varie regioni con ciò la graduatoria dei can-

didati.

È evidente il pericolo per la rappresentanza democratica. Come lamentava

giustamente quasi 50 anni fa Giovanni Sartori (1963) i parlamentari temono

più le sanzioni dei vertici di partito che quelle degli elettori.13 A dimostrazione

di tale tesi, Pasquino ricorda che i grandi uomini politici italiani hanno riser-

vato i loro discorsi politici più importanti per le assemblee di partito. Nessuno

dei grandi leader politici è di estrazione parlamentare. Non lo è mai stato, nep-

pure con De Gasperi e Togliatti, Nenni, Fanfani e Moro, Craxi e De Mita o An-

dreotti. E non lo è diventato – ricorda Pasquino – dopo la comparsa di capi di

Governo privi di esperienza parlamentare come Berlusconi e Prodi.14

1.4 L’iniziativa legislativa soprattutto del Governo

La maggior parte delle leggi trattate in Parlamento è, di fatto, d’iniziativa go-

vernativa con un crescente numero di legislazione d’urgenza e, nei tempi più

recenti, anche di procedure abbreviate dal voto di fiducia. L’elaborazione e la

presentazione di un disegno di legge da parte di un singolo parlamentare si

presentano sempre più difficili. Alla menzionata complessità della materia, si

aggiunge il problema della copertura finanziaria che in tempi di crisi economi-

12 Peterlini, O. (2009 de) pp. 103–106; (2007a, de) pp. 1 e 45–57; (2008 it) pp. 44–57.

13 Sartori, G. (1963) pp. 281–386.14 Pasquino, G. (2007) pp. 7–9.

14

ca e di risparmio finanziario su tutti i fronti diventa spesso insuperabile. I dise-

gni di legge d’iniziativa parlamentare sono pertanto spesso destinati a impol-

verarsi nei cassetti degli uffici invece di essere incardinati nelle commissioni

competenti e diventare legge.

Ed è proprio per questo motivo che ho ritenuto importante raccogliere in un

volume il mio modesto contributo legislativo presentato in questa legislatura

che in gran parte si basa anche su iniziative delle precedenti legislature fin dal

2001, quando sono stato eletto per la prima volta al Senato della Repubblica.

1.5 Varie iniziative realizzate, le altre siano stimolo per il futuro

Personalmente ho avuto la fortuna che varie iniziative hanno trovato attuazio-

ne e sono diventate leggi,15 come per esempio la ratifica dei Protocolli di attua-

zione della Convenzione delle Alpi 16 e il Protocollo dei trasporti,17 che hanno

aspettato 20 anni alla loro ratifica, da me promossa con tutta una serie di ddl.18

Un’altra parte dei miei disegni sono stati emendati e approvati, come la riforma

costituzionale, per la quale il mio ddl. n. 24 formava il testo base,19 al momento

15 Nelle seguenti note la «S.» (per Senato) e il numero si riferiscono sempre al relativo Atto Senato della XVI Legislatura (2008–13).

16 Convenzione delle Alpi: http://www.convenzionedellealpi.it/convenzione/TestoDellaConvenzione_it.htm

17 http://www.senato.it/leg/16/BGT/Schede_v3/Attsen/00017624_iniz.htm, scaricato il 27.10.2012.

S. 3086 Ratifica ed esecuzione del Protocollo di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi del 1991 nell’ambito dei trasporti, fatto a Lucerna il 31 ottobre 2000.

S. 47 Ratifica ed esecuzione del Protocollo di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi del 1991 nell’ambito dei trasporti, fatto a Lucerna il 31 ottobre 2000.

18 S. 22 Ratifica ed esecuzione dei Protocolli di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi, con annessi, fatta a Salisburgo, il 7 novembre 1991.

S. 3085 Ratifica ed esecuzione dei Protocolli di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi, con annessi, fatta a Salisburgo il 7 novembre 1991.

19 S. 24 Modifiche agli articoli 55 e 57 e abrogazione dell‘articolo 58 della Costituzione in materia di composizione del Senato della Repubblica e di elettorato attivo e passivo.

15

in trattazione alla Camera. Comunque è rimasto nel testo l’intendo di intro-

durre un Senato più rappresentativo delle Regioni e di ridurre il numero dei

parlamentari, come proposto anche in un altro mio ddl. 20 Il concetto di inver-

tire l’automatismo per il voto all’estero, da me proposto nel ddl. n. 26,21 è stato

ripreso dal Testo base del relatore Malan sulla riforma elettorale, del 10 10 2012.

Altri miei disegni sono stati assorbiti in ddl. approvati, come p. es. la ratifi-

ca del Protocollo relativo ai residuati bellici esplosivi. 22 Il Senato ha anche ap-

provato il mio ddl. per il riconoscimento della lingua italiana dei segni. 23

Una serie di mie proposte riguarda la legge elettorale.24 I vari ddl. presentati

da tutte le parti politiche al Senato hanno finalmente trovato sbocco in un te-

sto base in discussione alle Camere. Tra le varie proposte trovano riscontro le

mie norme a tutela delle minoranze linguistiche, la reintroduzione del voto di

preferenza,25 nonché la già menzionata proposta di capovolgere l’automatismo

20 S. 2821 Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei deputati e dei senatori.

21 S. 26 Modifiche alla legge 27 dicembre 2001, n. 459, in materia di esercizio del diritto di voto da parte dei cittadini italiani residenti all‘estero. Ripreso dal Testo base del relatore Malan sulla riforma elettorale, del 10 10 2012.

22 S. 632 Ratifica ed esecuzione del Protocollo del 28 novembre 2003 relativo ai residuati bellici esplosivi (Protocollo V) allegato alla Convenzione del 10 ottobre 1980 sulla proibizione o la limitazione dell‘uso di alcune armi convenzionali che possono essere considerate dannose o aventi effetti indiscriminati.

23 S. 37 Riconoscimento della lingua italiana dei segni.24 S. 27 Nuove norme per l‘elezione della Camera dei deputati. S. 28 Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30

marzo 1957, n. 361, in materia di elezione della Camera dei deputati per la regione Trentino-Alto Adige.

S. 29 Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di elezione della Camera dei deputati, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di elezione del Senato della Repubblica, per l‘introduzione del voto di preferenza e l‘abolizione delle candidature plurime.

25 S. 29 Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di elezione della Camera dei deputati, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di elezione del Senato della Repubblica, per l‘introduzione del voto di preferenza e l‘abolizione delle candidature plurime.

16

di elezione all’estero, dando preferenza al voto espresso nella regione di origine

in Italia e solo su richiesta nella residenza estera.26 Il prossimo capitolo forni-

sce una prospettiva più dettagliata sui ddl. e le mozioni e le vicende che hanno

vissuto.

Anche se talune altre iniziative hanno invece seguito il destino sopra la-

mentato, non devono finire nel dimenticatoio. Il mio auspicio è che fungano da

stimolo per migliorare la Costituzione e i diritti.

Oskar PeterliniRoma – Bolzano nell’ottobre 2012

26 S. 26 Modifiche alla legge 27 dicembre 2001, n. 459, in materia di esercizio del diritto di voto da parte dei cittadini italiani residenti all‘estero.

17

2 Presentazione e destino delle principali proposte

Si presentano qui di seguito le sintesi dei disegni di legge e delle mozioni, an-

notando in particolare le vicende dei disegni di legge che sono stati approvati

e diventati legge. Per uno studio più dettagliato si rimanda ai prossimi capitoli,

dove s’illustrano i singoli disegni di legge e si riporta il loro testo. I disegni e le

mozioni sono raggruppati in otto settori.

2.1 Sulla riforma costituzionale, l’assetto dello Stato e del Parlamento

Tutela costituzionale di flora, fauna e ambienteIl disegno di legge mira a inserire la tutela della flora, della fauna e dell’ambien-

te, nonché la dignità degli animali, nella Costituzione italiana, ampliando l’ar-

ticolo 9, secondo comma, della Costituzione.27 Nella relazione si fa riferimento

alle esperienze maturate dal presentatore che già nel 1986 riuscì a fare appro-

vare una sua proposta di legge della provincia autonoma di Bolzano, ispirata

all’impostazione dei paesi più progrediti nel settore (legge provinciale 8 luglio

1986, n. 16).28 La citata legge provinciale è stata allora in Italia la prima legge

che ha riconosciuto la tutela degli animali quale interesse pubblico.

Il Protocollo sulla protezione e il benessere degli animali, allegato al Trat-

tato che istituisce la Comunità europea, approvato ad Amsterdam nel 1997, ra-

tificato ai sensi della legge 16 giugno 1998, n. 209, riconosce gli animali come

esseri senzienti ed afferma che la Comunità e gli Stati membri tengono piena-

mente conto delle esigenze del benessere degli animali. Si fa inoltre riferimen-

27 S. 23 Modifica dell‘articolo 9 della Costituzione, in materia di tutela ostituzionale della flora, della fauna e dell‘ ambiente, nonché della dignità degli animali.

28 Interventi per la protezione degli animali, Bollettino ufficiale della Regione Trentino Alto Adige n. 31 del 22 luglio 1986, Legge provinciale 8 luglio 1986, n. 16: http://www.qzlife.it/news/184606/LEGGE_PROVINCIALE_N_____DEL__________.html, , scaricato il 25.8.12.

18

to alla Costituzione tedesca, che ha inserito nel 2002 gli animali fra i soggetti

ai quali deve essere rivolta tutela (Art.20a). Anche la Confederazione elvetica,

all’articolo 120 della propria Costituzione, nell’ambito del capitolo sull’inge-

gneria genetica, afferma «la dignità della creatura e della sicurezza dell’uomo,

dell’animale e dell’ambiente».

Composizione del Senato della RepubblicaIl disegno di legge si prefigge di proseguire il cammino intrapreso dal Parla-

mento e dalle diverse Commissioni bicamerali sin dagli inizi degli anni ottanta

per dare al nostro Paese un assetto più partecipato in senso federale.29 Si per-

segue quest’obiettivo senza rinunciare all’elezione diretta dei Senatori federali

che diventano al contempo Consiglieri regionale e Senatori, garantendo una

partecipazione diretta delle regioni alla formazione della volontà democratica

e legislativa, anche a livello nazionale. Il disegno di legge vuole creare un im-

portante presupposto in senso federale, trasformando una delle due Camere in

Camera rappresentativa dalle Regioni, in forma di un Senato federale.

I paesi centrali d’Europa come la Svizzera, la Germania e l’Austria offrono

tre diversi modelli di Camera delle regioni. Ci riferiamo al essenzialmente al

modello svizzero per garantire l’elezione diretta. L’Assemblea federale consta

di due Camere, il Consiglio nazionale e il Consiglio degli Stati; le due Camere

sono dotate delle stesse competenze (art 148).30

L’iniziativa per la riforma costituzionale è stata intrapresa dal Senato subi-

to all’inizio della nuova legislatura nel 2008. La 1° Commissione Affari costi-

tuzionali in data 10.6.2008 ha incardinato nell’ordine del giorno e intrapreso

l’esame del disegno di legge costituzionale n. 24 (Peterlini) che reca modifiche

29 S. 24 Modifiche agli articoli 55 e 57 e abrogazione dell‘articolo 58 della Costituzione in materia di composizione del Senato della Repubblica e di elettorato attivo e passivo.

30 Costituzione elvetica: http://www.admin.ch/ch/i/rs/1/101.it.pdf, scaricato il 17.10.2012.

19

agli articoli 55 e 57 della Costituzione prevedendo un Senato federale. La Com-

missione delibera di usare il ddl. 24 come testo base.31 Il disegno di legge è stato approvato dal Senato in prima lettura il 25 luglio

2012, in una versione ampliata da parte della 1° Commissione e radicalmente

emendata in Aula, con una risicata maggioranza (PdL, Lega e altri) e trasmesso

alla Camera dei deputati. La versione approvata prevede una forma di semipre-

sidenzialismo e un timido tentativo di introdurre un Senato federale, che oltre

agli stessi Senatori direttamente eletti si amplia a 21 delegati regionali con di-

ritti limitati. 32

Composizione della Commissione parlamentare per le questioni regionaliLa Commissione parlamentare per le questioni regionali è prevista dalla Costi-

tuzione all’articolo 126. La legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, che ha mo-

dificato il titolo V della parte seconda della Costituzione, all’articolo 11 prevede

la possibilità di integrare (tramite i regolamenti di Camera e Senato) la compo-

sizione della Commissione parlamentare per le questioni regionali con i rap-

presentanti delle regioni, delle province autonome e degli enti locali, nell’attesa

della revisione delle norme del titolo I della parte seconda della Costituzione.33

Con il disegno di legge s’intende dare attuazione alla norma contenuta nel cita-

to testo di riforma della Costituzione, integrandola con un rappresentante per

ciascuna delle regioni e delle province autonome e da diciotto rappresentanti

dei comuni e delle province.34

31 Senato della Repubblica, 1° Commissione per gli Affari costituzionali, Relazione introduttiva sul ddl. no 24 del relatore Carlo Vizzini, 10.6.2008.

32 Senato, ddl. cost. n. 24 (Peterlini e altri), sull’iter legislativo vedi: http://www.senato.it/leg/16/BGT/Schede/Ddliter/29633.htm, scaricato il 10.9.2012.

33 Per ulteriori informazioni cfr. il sito della Camera dei deputati: http://www.camera.it/_bicamerali/questreg/notint.htm, scaricato il 10.9.2012.

34 S. 35 Modifica dell‘articolo 52 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, in materia di composizione della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

20

Introduzione dell’intesa per la modifica degli statuti specialiCon questo disegno di legge si intende sostituire lo strumento del parere, at-

tualmente previsto dagli statuti speciali per effetto della riforma introdotta

dalla legge costituzionale n. 2 del 2001, con lo strumento rafforzato dell’intesa,

consentendo altresì alle regioni e alle province autonome di intraprendere ini-

ziative di modifica degli statuti attualmente inibite dal rischio dello stravolgi-

mento del testo in sede di esame parlamentare.35

Il carattere pattizio che sta alla base dei rapporti tra Stato e regioni a sta-

tuto speciale si dovrebbe manifestare nel principio della previa intesa per le

modifiche delle carte fondamentali, quali sono gli statuti speciali. L’introduzio-

ne dell’intesa, disposta dal disegno di legge costituzionale, riguarda gli statuti

speciali di tutte le cinque regioni a statuto speciale.

Modernizzare l’Italia in senso federaleLa mozione intende impegnare il Governo a incoraggiare, con spirito di lea-

le di collaborazione, un confronto parlamentare sui temi delle riforme istitu-

zionali, per giungere alla necessaria approvazione di un testo condiviso dalla

più ampia maggioranza parlamentare; a sostenere la riduzione del numero dei

parlamentari e a favorire l’istituzione di una Camera espressione delle istanze

regionali.36

La mozione è stata approvata dal Senato il 2 dicembre 2009.37

35 S. 41 Disposizioni concernenti la procedura per la modifica degli statuti delle regioni a statuto speciale.

36 Atto n. 1-00210 confronto parlamentare sui temi delle riforme istituzionali, approvato il 24 11 2009.

37 Resoconto stenografico della seduta n. 295 del 02/12/2009: http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=16&id=446702, scaricato il 20.9.2012.

21

Ridurre il numero di deputati e senatoriSi ritiene non più procrastinabile l’intervento teso alla diminuzione del numero

dei deputati e dei senatori, quale segno concreto al Paese per abbattere consi-

derevolmente i costi della politica.38 In particolare, si propone la modifica degli

articoli 56 e 57 della Costituzione, ovvero la riduzione del numero dei deputati,

che passerebbero dall’attuale numero di 630 a 300 componenti, nonché dei se-

natori che, invece, verrebbero portati da 315 a 150. L’intervento prevede anche

un correttivo all’articolo 59 della Costituzione in tema di numero dei senatori a

vita nominabili da parte del Presidente della Repubblica, che passerebbero da-

gli attuali cinque senatori al numero di tre.

La riduzione è stata inclusa nel ddl. n. 24 in forma meno radicale e appro-

vata dal Senato.39

2.2 Sulla legislazione elettorale

Diritto di voto da parte dei cittadini italiani residenti all’esteroPer rafforzare il legame con il territorio di provenienza e per far sì che le pros-

sime elezioni politiche avvengano alla presenza di norme che garantiscano il

corretto esercizio del voto all’estero, il disegno di legge prevede un’inversione

del diritto di opzione per l’esercizio del voto in Italia o all’estero.40 Mentre fino-

ra chi non esercita l’opzione può votare automaticamente all’estero, in futuro

dovrebbe votare in Italia. L’opzione deve essere esercitata entro un termine e

38 S. 2821 Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei deputati e dei senatori.

39 Approvato in testo unificato dal Senato il 25 luglio 2012 e trasmesso all’altro ramo. http://nuovo.camera.it/126?tab=2&leg=16&idDocumento=5386&sede=&tipo=, scaricato il 20.10.2012. Il numero dei deputati scenderebbe a 508 (ora 630), dei quali otto (finora 12) dal Collegio Estero (Art 56 Cost.). Il nuovo Senato Federale (Art 57 Cost.) si comporrebbe di 250 senatori (finora 315), senza prevedere rappresenta estera. (finora sei)e 21 delegati regionali con diritti limitati.

40 S. 26 Modifiche alla legge 27 dicembre 2001, n. 459, in materia di esercizio del diritto di voto da parte dei cittadini italiani residenti all‘estero.

22

con modalità definite e concede al cittadino residente all’estero di esprimere

la preferenza per il voto nella circoscrizione Estero. La sua mancanza compor-

ta che l’esercizio del diritto di voto avvenga in Italia, in una delle circoscrizioni

nazionali.

Il concetto è ripreso anche nel testo base per la riforma elettorale (Malan) al

momento in trattazione al Senato.41

Nuove norme per l’elezione della Camera dei deputatiIl disegno di legge prevede l’abrogazione della legge 21 dicembre 2005, n. 270,

limitatamente alla parte che regola l’elezione della Camera dei deputati, ripor-

tando in vigore le disposizioni introdotte con la legge 4 agosto 1993, n. 277, il

cosiddetto Mattarellum, alle quali vengono apportate delle modifiche che con-

ducono ad un sistema elettorale maggioritario ad un turno, non contaminato

quindi da aggiustamenti di carattere proporzionale.42 In tale contesto viene in-

fatti eliminata la previsione della quota proporzionale del 25 per cento che non

può che indurre ad una valutazione negativa per una serie di ragioni, prima tra

tutte quella legata all’adozione di liste bloccate.

Elezione della Camera dei deputati per la regione Trentino-Alto AdigeIl disegno di legge prevede che per l’elezione della Camera dei deputati nel

Trentino-Alto Adige/Südtirol i seggi siano assegnati tramite collegi uninomi-

nali, cinque alla provincia di Trento e cinque alla provincia di Bolzano.43 In ogni

caso, il numero preciso di essi sarà stabilito con decreto del Presidente della

Repubblica che terrà conto delle aree territoriali e, quindi, distribuirà i seggi in

proporzione alla popolazione, definendo collegi omogenei che tengano conto

41 Testo base Malan, art. 3, Commissione affari costituzionali: http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=ListEmendc&leg=16&id=29623, scaricato il 22.10.2012.

42 S. 27 Nuove norme per l‘elezione della Camera dei deputati.43 S. 28 Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30

marzo 1957, n. 361, in materia di elezione della Camera dei deputati per la regione Trentino-Alto Adige.

23

anche della distribuzione territoriale dei diversi gruppi linguistici. Pertanto, lo

scopo del presente disegno di legge è di favorire la rappresentanza parlamen-

tare dei gruppi e delle minoranze linguistiche, così come dettato dal principio

costituzionale.

Elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’ItaliaIl disegno di legge è dettato dall’esigenza di tutelare le minoranze etniche e lin-

guistiche, fortemente penalizzate dalle disposizioni vigenti per l’elezione dei

membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia.44 Nemmeno le minoranze

numericamente più forti riescono, infatti, a raggiungere il quoziente per eleg-

gere un proprio rappresentante a Strasburgo. Il quoziente è di circa 400.000

voti, mentre la popolazione tedesco-ladina a Bolzano conta circa 300.000 per-

sone e la popolazione francofona nella Valle d’Aosta conta circa 90.000 elettori.

Anche se l’articolo 12, nono comma, della legge 24 gennaio 1979, n. 18, prevede

la possibilità di collegamento con altri partiti che si presentano a livello nazio-

nale, tale possibilità non garantisce l’eguaglianza sostanziale richiesta dall’ar-

ticolo 3 della Costituzione e tanto meno corrisponde al dettato dell’articolo 6

della stessa Carta, secondo il quale la Repubblica italiana deve tutelare le mi-

noranze linguistiche con norme specifiche. Da qui la necessità di istituire un

proprio collegio elettorale, a tutela delle specificità linguistiche delle zone inte-

ressate.

Garantire la minoranza slovena nel consiglio regionale del Friuli-Venezia GiuliaIl Consiglio regionale – secondo questo ddl. – è eletto a suffragio universale

diretto, libero, uguale e segreto, secondo le norme stabilite con legge regiona-

le, che deve garantire l’elezione di almeno un rappresentante della minoranza

slovena.45 Questo principio, a differenza della minoranza ladina in Trentino e

44 S. 33 Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l‘elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all‘Italia.

45 S. 34 Modifica all‘articolo 13 dello Statuto speciale della Regione Friuli Venezia Giulia, di cui alla legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, in materia di

24

in Alto Adige, non è ancorato costituzionalmente nello statuto del Friuli Vene-

zia Giulia.

Nuove disposizioni in materia di elezione del Senato della RepubblicaCome prima per la Camera, il disegno di legge intende incidere sulla normati-

va elettorale vigente abrogando le disposizioni della legge 21 dicembre 2005, n.

270, per la parte che regola l’elezione del Senato della Repubblica, e riportando

sostanzialmente in vigore le disposizioni introdotte con il testo unico di cui al

decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, nella versione previgente alla ri-

forma elettorale del 2005, con altre parole il Mattarellum.46

2.3 Sulla democrazia diretta

Prima di tutto il ddl. vuole superare il concetto limitativo della democrazia re-

cuperando i due strumenti essenziali di una democrazia diretta completa: da

una parte rendendo più efficace l’iniziativa popolare per dare spazi d’azione ai

cittadini, dall’altra introducendo il referendum confermativo facoltativo per

consentire ai cittadini di fermare delle leggi che presumibilmente non hanno

il consenso della maggioranza dell’elettorato.47 Si propone inoltre di ridisegna-

re le regole e procedure per lo svolgimento dei referendum, più rispettose del-

le esigenze dei cittadini moderni, per esempio limitando i diritti d’intervento

della Consulta, ampliando le materie ammissibili a referendum, prevedendo

l’obbligo d’informazione e altre misure per agevolare la partecipazione. Si pro-

pone di estendere l’iniziativa popolare anche alle leggi costituzionali. Un punto

cardine del ddl. è di abolire il quorum di partecipazione.

elezione del consiglio regionale.46 S. 2938 Nuove disposizioni in materia di elezione del Senato della Repubblica.47 S. 1428 Modifiche agli articoli 70, 71, 73, 74, 75 e 138 della Costituzione, in

materia di formazione delle leggi e revisione della Costituzione, introduzione dell‘iniziativa legislativa popolare e dell‘iniziativa legislativa costituzionale e di democrazia diretta.

25

Aumento della maggioranza al 60 per cento per le leggi costituzionaliIl sistema elettorale maggioritario impone un ripensamento della maggioran-

za necessaria per l’approvazione, in seconda votazione, delle leggi costituzio-

nali. Si propone di innalzare la maggioranza necessaria dal cinquanta al ses-

santa per cento per evitare che modifiche costituzionali di grande importanza

per l’assetto giuridico fossero votate solo da una maggioranza senza coinvolgi-

mento di una fascia più larga in Parlamento. Conseguentemente si propone di

innalzare la maggioranza necessaria, per non dare luogo a referendum, dai due

terzi, ora previsti, a tre quarti dei componenti delle due Camere.

2.4 Sulla tutela sociale, la famiglia e la previdenza

L’Italia si annovera tra i Paesi con la più bassa natalità del mondo e nello stesso

tempo sale l’aspettativa di vita. La popolazione registra pertanto un costante

invecchiamento mettendo in crisi non solo l’assetto sociale ma anche specifi-

catamente il finanziamento delle pensioni. Uno dei motivi di questa situazione

è che nel nostro Paese permane la carenza di misure a sostegno della famiglia,

nello specifico di misure che favoriscano la maternità e le donne lavoratrici con

figli. Occorre rendere compatibile il lavoro delle donne, spesso indispensabile

per la sopravvivenza della famiglia, con l’educazione dei figli. Si propone con

vari ddl. una serie di misure, p. es. a sostegno delle madri lavoratrici, per l’ab-

battimento e la ridistribuzione del carico fiscale a favore delle famiglie nume-

rose, per un’anticipazione da parte dell’INPS dell’assegno di mantenimento a

tutela del minore, la riduzione dell’IVA sui prodotti di prima necessità per l’in-

fanzia.48 Un punto importante proposto è di accreditare anni previdenziali alle

donne per ogni figlio.

48 S. 25 Disposizioni per la tutela ed il sostegno delle madri lavoratrici. S. 30 Disposizioni concernenti l‘erogazione anticipata dell‘assegno di mantenimento a tutela del minore. S. 31 Riduzione dell‘aliquota IVA sui prodotti di prima necessità per l‘infanzia. S. 2113 Disposizioni in materia di spese sostenute per

26

Purtroppo in Italia, a differenza di altri paesi europei, non si tiene conto de-

gli effetti di risparmio a lungo termine di queste misure, che andrebbero ad al-

leggerire il peso pensionistico e assistenziale, privilegiando invece il risparmio

a breve.

Disciplina delle forme pensionistiche complementariIl legislatore favorisce il risparmio previdenziale con grandi sgravi fiscali per

i contributi ai fondi pensione. Il disegno di legge, pertanto, mira a limitare le

ipotesi nelle quali il risparmio previdenziale accumulato possa essere liquidato

in forma una tantum, invece di essere trasformato in rendita vitalizia.49

Affidamento condivisoCon la legge 8 febbraio 2006, n. 54 è stato capovolto il sistema in materia di af-

fidamento in base al quale i figli erano affidati, come regola, o all’uno o all’altro

dei genitori. In caso di separazione o divorzio dei genitori, i figli sono affidati,

come regola, ad entrambi i genitori. Nella prassi però rimangono tante diffi-

coltà da superare, una delle quali è la residenza. Il disegno di legge introduce

la doppia residenza anagrafica presso l’indirizzo di entrambi i genitori (e, con-

seguentemente, l’iscrizione sia nello stato di famiglia anagrafico paterno sia in

quello materno) per i figli che, essendo affidati a entrambi i genitori, con suddi-

visione paritaria delle «visite» e trascorrendo tempi uguali presso l’abitazione

della madre e del padre, hanno di fatto due dimore abituali (articolo 43 del co-

dice civile) coincidenti, appunto, con le abitazioni dei genitori.50

l‘assistenza domiciliare all‘infanzia. S. 2996 Disposizioni in favore della famiglia. Atto n. 1-00023 (mozione)Misure a favore della famiglia.

49 S. 36 Modifiche al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, in materia di disciplina delle forme pensionistiche complementari (in trattamento in 11° Commissione Lavoro e Previdenza).

50 S. 43 Disposizioni in materia di residenza anagrafica dei figli affidati ad entrambi i genitori separati o divorziati (in trattamento in 2° Commissione Giustizia).

27

Misure per favorire le adozioni nazionali e internazionaliIl presente disegno di legge contiene misure per favorire le adozioni naziona-

li e internazionali e modifica il comma 3 dell’articolo 6 della legge 4 maggio

1983, n. 184, e successive modificazioni, intervenendo sulla norma che regola

la differenza di età tra adottante e adottato. Il primo obiettivo consiste nell’in-

nalzamento del limite di età da quarantacinque a cinquanta anni. La questione

del limite di età nelle adozioni nazionali e internazionali, peraltro, è stata già

oggetto di modifica con l’innalzamento del limite da quaranta a quarantacin-

que anni operato dalla legge 28 marzo 2001, n. 149, con la quale il legislatore ha

voluto adeguare anche l’istituto dell’adozione ad un fenomeno sociale che negli

ultimi anni si è andato diffondendo e che ha visto sempre più coppie spostare

«in avanti» l’età del primo figlio. Il secondo obiettivo è dato dalla formulazione

poco chiara del comma 6 dell’articolo 6, della citata legge n. 184 del 1983 che

consente la deroga al limite di età fissato a quarantacinque anni (con la modi-

fica introdotta dalla presente proposta cinquanta anni) nel caso in cui uno dei

due coniugi abbia un’età superiore di non più di dieci anni rispetto a quella sta-

bilita. La norma, così formulata, ha indotto i tribunali per i minorenni ad inter-

pretazioni non sempre univoche. Pertanto si propone il riferimento al coniuge

più giovane d’età e si risolve anche il problema dell’interpretazione da parte de-

gli uffici giudiziari minorili.51

Esclusione dell’uxoricida dalla reversibilitàNell’ordinamento giuridico italiano il trattamento pensionistico di reversibilità

è concesso in via originaria al coniuge superstite. In questo modo, purtroppo,

si arriva alla distorsione per cui l’uccisore del proprio coniuge, l’uxoricida lato

sensu, riceve la pensione di reversibilità del coniuge di cui è stato omicida, sot-

traendola in tutto o in parte ai legittimi eredi. Pertanto, con il disegno di legge,

51 S. 836 Misure per favorire le adozioni nazionali e internazionali e modifica all’articolo 6 della legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di differenza di età tra adottante e adottato.

28

si prevede che i familiari che siano stati condannati, con sentenza passata in

giudicato, per il delitto di omicidio, non hanno diritto alla pensione di reversi-

bilità e, se sono già titolari della stessa, ne perdono il beneficio.

Il ddl. è stato assorbito dal S. 2417 che ha ripreso in toto la proposta ed è ap-

provato definitivamente. 52 L’art. 1 della Legge 125/11 del 27 luglio 2011 recita:

«1. Non hanno diritto alla pensione di reversibilità o indiretta ovvero all’inden-

nità una tantum i familiari superstiti che sono stati condannati, con sentenza

passata in giudicato, per i delitti di cui agli articoli 575, 584 e 586 del codice pe-

nale in danno dell’iscritto o del pensionato.

2. I soggetti di cui al comma 1 che sono titolari di una pensione di reversibi-

lità o indiretta perdono il diritto al relativo trattamento a decorrere dalla data di

entrata in vigore della presente legge.»53

2.5 Sulla tutela dell’ambiente

Con tutta una serie di ddl. si promuoveva la ratifica dei Protocolli di attuazione

della Convenzione per la protezione delle Alpi, fatta a Salisburgo il 7 novem-

bre 1991. 54 Purtroppo il Governo era in ritardo di oltre 20 anni quando grazie a

varie iniziative qui riportate, nell’ottobre 2012 è stato finalmente ratificato l’ul-

timo dei nove Protocolli, quello sui trasporti.55 I Protocolli configurano un es-

52 S. 2278 Disposizioni in materia di esclusione dell‘uxoricida dal trattamento pensionistico di reversibilità. Assorbito da S. 2417 20 luglio 2011, approvato definitivamente ed è legge.

53 Legge n. 125/11 del 27 luglio 2011, GU n. 180 del 4 agosto 2011.54 S. 22 Ratifica ed esecuzione dei Protocolli di attuazione della Convenzione per la

protezione delle Alpi, con annessi, fatta a Salisburgo, il 7 novembre 1991. S. 47 Ratifica ed esecuzione del Protocollo di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi del 1991 nell‘ambito dei trasporti, fatto a Lucerna il 31 ottobre 2000. S. 3085 Ratifica ed esecuzione dei Protocolli di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi, con annessi, fatta a Salisburgo il 7 novembre 1991, approvato definitivamente. Legge n. 50/12 del 5 aprile 2012, GU n. 103 del 4 maggio 2012.

55 S. 3086 Ratifica ed esecuzione del Protocollo di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi del 1991 nell‘ambito dei trasporti, fatto a Lucerna il 31

29

senziale rapporto fra la tutela dell’ecosistema alpino, le tematiche dello svilup-

po compatibile e i problemi di ammodernamento delle nostre reti infrastruttu-

rali: foreste montane, pianificazione territoriale e sviluppo sostenibile, difesa

del suolo, energia, protezione della natura e tutela del paesaggio, agricoltura di

montagna, trasporti, insieme a quelli sulla composizione delle controversie e al

Protocollo del turismo.

2.6 Sul riassetto della finanza mondiale

Promuovere una Nuova Bretton WoodsLa minaccia della crisi finanziaria si affacciava già sin dal 2001. Il sottoscrit-

to promuoveva fin dal 2001 varie iniziative per promuovere a livello mondiale

una nuova convenzione secondo il modello di Bretton Woods. La minaccia alle

condizioni di vita dei popoli di tutto il mondo e anche come fonte di destabi-

lizzazione strategica è stata denunciata dal Parlamento italiano già dal 2001 (si

vedano in proposito, fra le altre, nella XIV legislatura, la mozione 1-00320 pre-

sentata alla Camera dei deputati dall’onorevole Lettieri e la mozione 1-00059

presentata al Senato dal senatore Peterlini),56 che ha chiesto al Governo e alla

comunità internazionale di agire per creare un nuovo sistema finanziario atto

ad evitare future crisi e promuovere la ricostruzione dell’economia reale.

Le mozioni intendono a impegnare il Governo ad agire in sede internazio-

nale per promuovere una riorganizzazione del sistema monetario e finanzia-

rio internazionale e cooperare con le principali potenze mondiali per stabili-

re un nuovo sistema, sul modello della Nuova Bretton Woods come proposta

dall’economista americano Lyndon La Rouche, caratterizzato sulla base dei se-

guenti aspetti:

1. la riorganizzazione del sistema finanziario.

ottobre 2000, approvato dal Senato il 18 settembre 2012 e definitivamente dalla Camera il 17 ottobre 2012, in attesa di pubblicazione.

56 Atto n. 1-00059 (mozione), pubblicato il 27 febbraio 2002, Seduta n. 131.

30

2. nuove regole dovranno garantire la stabilità necessaria per la produzione

e il commercio internazionale.

3. un sistema creditizio e non puramente monetario.

La recente mozione è stata approvata.57

Separare le banche commerciali da quelle di investimentoLa crisi economica globale continua a mietere vittime. Proprio in questi mesi

l’Italia e l’Europa intera stanno vivendo una nuova fase del dissesto del sistema

finanziario mondiale, originata da molti anni di politiche che hanno penalizza-

to le attività produttive a favore invece di un’espansione senza precedenti del-

la bisca sui mercati finanziari internazionali. È doveroso costatare, purtroppo,

che già dai primi mesi più drammatici della crisi, nei numerosi vertici interna-

zionali dal 2009 si è persa l’occasione per adottare misure forti che avrebbero

potuto rappresentare una rottura netta ed efficace con le politiche passate: tra

queste certamente vi è il ritorno alla separazione delle attività bancarie, tipifi-

cata dalla famosa Glass-Steagall Act varata sotto la presidenza Usa di Franklin

Delano Roosevelt nel 1933 che pose fine agli eccessi finanziari all’origine della

Grande depressione. Si propone pertanto di reintrodurre questa misura di se-

parazione anche nella legislazione italiana.58

Sezione separata del tribunale delle imprese a BolzanoE’ nota la tradizione di ponte commerciale e finanziario di Bolzano sin dall’ini-

zio del secolo XVI, nonché del collegio giudicante esperto di affari commercia-

li istituito nel 1635, definito «Magistrato mercantile di Bolzano», un tribunale

57 Atto n. 1-00029 (mozione) Riassetto della finanza mondiale, testo 2 approvato il 24.2.2009, http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=16&id=396333, scaricato il 22.10.2012.

58 S. 3112 Delega al Governo per la separazione delle attività bancarie ordinarie da quelle speculative. Atto n. 1-00287 (mozione) separazione tra banche commerciali e banche d‘investimento.

31

speciale in materia commerciale dotato di una disciplina giudiziaria partico-

larmente vantaggiosa e veloce per i commercianti.

Ad avviso del proponente, dunque, anche al fine di garantire il diritto co-

stituzionale all’utilizzo della propria madrelingua dinanzi al Tribunale (artico-

lo 100 dello Statuto di autonomia e DPR 574/1988), è opportuno che Bolzano

torni ad essere, anche in ossequio alla propria tradizione storica, economica e

giuridica, il Foro competente per dirimere le controversie di natura imprendi-

toriale per salvaguardare i vantaggi dell’Alto Adige quale localizzazione econo-

mica e, in generale, per tutelare gli interessi delle imprese che provengono da

paesi esteri di lingua tedesca e desiderano operare in Italia. In tale direzione va

il presente disegno di legge che, in particolare, prevede un intervento sul de-

creto legislativo 168/2003, come modificato dal decreto sulle liberalizzazioni,

includendo Bolzano nel novero dei Tribunali e Corti d’Appello presso cui sono

istituite le sezioni specializzate in materia di impresa, con una sede distaccata

da quella di Trento.59 Vi è da sottolineare, peraltro, che in sede di esame da par-

te del Senato della legge di conversione del decreto legge sulle liberalizzazioni,

anche il Governo, per il tramite del Ministro per i rapporti con il Parlamento e

il Sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei Ministri, ha preso posizione

sulla questione del diritto di utilizzo della madrelingua innanzi ai tribunali, e si

è impegnato, in sede del dibattito in Aula, riservandosi di fare tutto ciò che è in

suo potere al fine di assicurare le garanzie processuali necessarie ai residenti

nella Provincia autonoma di Bolzano, anche attraverso un confronto con i sog-

getti interessati, nel rispetto dei principi costituzionali e del quadro normativo

già esistente in materia.

In tale sede si è riusciti a trasferire il tribunale delle imprese originariamen-

te previsto per il Trentino Alto Adige a Venezia, nella città di Trento.60

59 S. 3168 Modifica al Decreto Legislativo 27 giugno 2003, n. 168, concernente le sezioni specializzate in materia di impresa del Tribunale e delle Corti d‘Appello.

60 Decreto Legge 24 gennaio 2012, n. 1, Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, come convertito dalla L. 24 marzo 2012, n. 27.

32

2.7 Al servizio dei cittadini

Riunioni PubblicheIl disegno di legge prende spunto da due spiacevoli episodi nei quali i carabinie-

ri hanno denunciato i parroci di due paesi sudtirolesi per omissione dell’avviso

al questore dello svolgimento di una cerimonia religiosa, omissione sanziona-

ta, ancora oggi, penalmente.61 Si intende pertanto modificare e sopprimere al-

cuni articoli in materia di riunioni pubbliche del testo unico delle leggi di pub-

blica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, risalenti all’epoca

fascista, ancora vigenti nel nostro ordinamento. Tali disposizioni, se applicate

ai giorni nostri, risultano anacronistiche e fuori dal tempo. Già la Corte costi-

tuzionale, in alcune sentenze ha ampiamente ritenuto parte di queste norme

costituzionalmente illegittime in riferimento all’articolo 17 della Costituzione.

Riconoscimento della lingua italiana dei segniIn Europa la lingua dei segni ha avuto un riconoscimento al più alto livello con

due risoluzioni del Parlamento europeo, del 17 giugno 1988 e del 18 novem-

bre 1998, relative appunto alla lingua dei segni dei sordi e con la risoluzione

dell’Unesco resa a Salamanca nel giugno 1994. I sordi utilizzano figure profes-

sionali quali l’interprete LIS e gli operatori (per esempio gli assistenti alla co-

municazione) garantendo attraverso l’uso della LIS risultati ottimali per la for-

mazione di soggetti affetti da sordità.

Con il ddl. già approvato dal Senato la Repubblica riconosce la lingua italia-

na dei segni (LIS) come lingua non territoriale propria della comunità dei non

udenti,62 in applicazione degli articoli 3 e 6 della Costituzione, ai sensi della

Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, adottata dal Consiglio d’Eu-

ropa a Strasburgo il 5 novembre 1992, ed in ottemperanza alle risoluzioni del

61 S. 32 Modifiche al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, in materia di riunioni pubbliche.

62 S. 37 Riconoscimento della lingua italiana dei segni.

33

Parlamento europeo del 17 giugno 1988, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle

Comunità europee C 187 del 18 luglio 1988, e del 18 novembre 1998, pubblicata

nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee C 379 del 7 dicembre 1998.

Iscrizione anagrafica dei soggiornanti in istituti di ricoveroMolte persone anziane e disabili, prive di nucleo familiare o la cui famiglia non

sia più in grado di provvedere a cure e assistenza adeguate, si recano soven-

te presso strutture di accoglienza, che possono essere istituti di cura, case di

riposo o residenze sanitarie assistenziali (RSA). L’iscrizione anagrafica in al-

tro comune per trasferimento di residenza determina notevoli problemi, sia

per i comuni sia per i cittadini. Per esempio la perdita della tomba o del loculo

nel cimitero; la perdita, per il comune, della quota pro-capite, nonostante esso

debba coprire parte delle spese per le persone che soggiornano nelle strutture

citate. Pertanto, i due disegni di legge prevedono (il n. 38 limitato al Trentino

Alto Adige,63 il n. 39 per tutto il territorio nazionale64), che tutti coloro che sog-

giornano in istituti di ricovero o di cura di qualsiasi natura possano mantenere

la propria residenza, anche se tale soggiorno si dovesse protrarre per oltre due

anni.

Riconoscimento agli effetti civili di festività religioseCon vari ddl. si vorrebbe ripristinare gli effetti civili di talune festività molto

importanti per la tradizione e la storia stessa del nostro Paese. Si tratta di feste

religiose, espressione della tradizione di fede e di cultura della comunità, tutto-

ra festeggiate in molti Paesi europei. Queste ricorrenze sono state festeggiate

in Italia fino al 1977, anno in cui per legge i giorni della loro celebrazione – in-

sieme a quelli di altre festività – hanno cessato di essere festivi agli effetti civili.

63 S. 38 Disposizioni in materia di iscrizione anagrafica, per trasferimento di residenza, dei soggiornanti in istituti di ricovero o di cura nelle province autonome di Trento e di Bolzano.

64 S. 39 Disposizioni in materia di iscrizione anagrafica, per trasferimento di residenza, dei soggiornanti in istituti di ricovero o di cura.

34

Con la loro reintroduzione si potrebbe inoltre promuovere un aumento delle

attività di svago e di turismo se le ricorrenze si abbinano ai fine settimana, il

che può incidere positivamente sullo sviluppo economico del Paese.65

Conti DormientiLa legislazione italiana è priva di norme che impongano agli istituti finanziari

in generale, e in particolare alle banche, di registrare le generalità degli eredi

beneficiari degli intestatari di depositi di valore quali per esempio conti corren-

ti, libretti di risparmio, titoli di credito, fondi d’investimento e oggetti di valore

nelle cassette di sicurezza. Si prenda ad esempio chi, dopo aver aperto un conto

corrente bancario, non ne faccia più uso per un numero imprecisato di anni; in

casi come questo le banche non sempre riescono o s’impegnano a scoprire cosa

sia accaduto a questo cliente «silenzioso». Ne consegue che si accumulano in-

genti somme presso gli istituti finanziari, i cosiddetti «conti dormienti», spes-

so all’insaputa dei legittimi eredi, dopo la morte del titolare.

Il disegno di legge intende prescrivere a tutte le imprese d’investimento e le

banche presso le quali si possono depositare contanti, valori, fondi e beni mo-

bili, di registrare oltre i dati del titolare anche le generalità degli eredi dell’in-

testatario del deposito al momento della stipulazione del contratto.66 Trascorsi

cinque anni durante i quali non ci siano stati contatti tra l’istituto finanziario

e il cliente depositante, l’istituto finanziario è obbligato ad avviare una ricerca

del cliente e dei suoi eredi beneficiari. Si dispongono adeguate forme di pubbli-

cità circa i depositi giacenti.

65 S. 42 Riconoscimento agli effetti civili di festività religiose. S. 48 Ripristino della festività di San Giuseppe il 19 marzo.

66 S. 44 Norme in materia di risparmi e di depositi bancari e finanziari non rivendicati giacenti presso le banche e le imprese di investimento.

35

Introduzione del lavoro occasionale nel settore agricoloL’agricoltura, settore fondamentale dell’economia italiana, risente purtroppo di

una normativa in materia di rapporti di lavoro che non tiene in considerazione

alcune peculiarità di questo comparto. Primo fra tutti, il problema della neces-

sità di personale non omogenea nell’arco dei dodici mesi, ma concentrata solo

in alcuni periodi dell’anno come quelli della vendemmia, della raccolta delle

olive e della frutta, della fienagione, di alcune operazioni colturali e della ge-

stione degli alpeggi, nel periodo estivo; quindi, una realtà con un forte carattere

di stagionalità che richiede un’elevata percentuale di manodopera concentra-

ta in brevi intervalli. Il disegno di legge mira a introdurre il rapporto di lavoro

occasionale nel settore agricolo, semplificando le procedure di reperimento di

manodopera.67

Disposizioni per il sostegno delle bande musicaliIl ddl. vuole riconoscere il valore artistico, sociale, culturale e formativo delle

bande musicali, patrimonio ed espressione delle comunità locali, ne promuo-

ve lo sviluppo salvaguardandone l’autonomia e ne favorisce l’apporto originale

per il conseguimento delle finalità di carattere sociale, civile e culturale indivi-

duate dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali.68

Test di lingua tedesca per il permesso di soggiorno in Alto AdigeIn regione Trentino-Alto Adige sono equiparate le lingue italiano e tedesco, in

base all’art. 99 e 100 dello statuto di autonomia.69 Il disegno di legge mira a

stabilire che il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lun-

go periodo nella regione Trentino-Alto Adige sia subordinato al superamento,

da parte del richiedente, di un test di conoscenza della lingua italiana oppure

della lingua tedesca, cioè prevedendo l’opzione, le cui modalità di svolgimento

67 S. 45 Disciplina del lavoro occasionale in agricoltura.68 S. 1144 Disposizioni per il sostegno e la valorizzazione delle bande musicali.69 DPR 31 agosto 1972, n. 670 Approvazione del testo unico delle leggi

costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige.

36

saranno determinate con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il

Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca.70

Introduzione di forme di lotteria immobiliare per il finanziamento di interventi a sostegno della domanda di abitazione

Allo scopo di sperimentare l’introduzione nel nostro Paese di forme di lotteria

immobiliare, finalizzate al reperimento di risorse destinate a finanziare inter-

venti a sostegno della domanda di abitazione, oltre che a stimolare la ripresa

del mercato immobiliare privato, il Governo è delegato ad adottare, entro do-

dici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti

legislativi, attenendosi a precisi princìpi e criteri direttivi.71

Dislocazioni territoriali e ordinamento degli uffici giudiziari in Trentino-Alto AdigeSulla scia e a sostegno del voto unanime espresso dall’assemblea del Consiglio

regionale del Trentino-Alto Adige, il disegno di legge,72 vuole introdurre nella

legge n. 148 del 2011 la previsione che, nella riorganizzazione degli uffici giudi-

ziari nel Trentino-Alto Adige/Südtirol, vengano adottate le procedure previste

dall’articolo 107 dello Statuto.73

70 S. 2553 Disposizioni in materia di inserimento del test di conoscenza della lingua tedesca per ottenere il permesso di soggiorno nella Regione del Trentino-Alto Adige.

71 S. 2777 Delega al Governo in materia di introduzione di forme di lotteria immobiliare per il finanziamento di interventi a sostegno della domanda di abitazione.

72 S. 3115 Modifiche alla legge 14 settembre 2011, n. 148, in materia di disciplina delle dislocazioni territoriali e dell‘ordinamento degli uffici giudiziari nel territorio della regione Trentino-Alto Adige.

73 DPR 31 agosto 1972, n. 670 Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige.

37

2.8 Sull’impegno per la pace

Fermare lo sfruttamento dei popoli indigeni e tribaliIl ddl.74 propone la ratifica ed esecuzione della Convenzione dell’Organizzazio-

ne internazionale del lavoro n. 169 su popoli indigeni e tribali, fatta a Ginevra il

27 giugno 1989.75 Trecento milioni di persone, tra il 4 e il 5 per cento della po-

polazione mondiale, appartengono a popoli, nazioni, tribù o comunità che vi-

vono spesso in stretto contatto con la natura in qualità di antichi abitatori delle

loro terre. La Convenzione OIL 169 mette per iscritto i diritti fondamentali dei

popoli indigeni e tribali e impone agli Stati sottoscrittori degli obblighi di am-

pia portata. In sette articoli si occupano specificamente delle questioni della

proprietà fondiaria e dello sfruttamento delle materie prime; di questioni, cioè,

d’importanza vitale per molti popoli indigeni.

A tutela delle lingue storiche regionali o minoritarie d’EuropaCon il ddl.76 propone la ratifica ed esecuzione della Carta europea delle lingue

regionali o minoritarie, fatta a Strasburgo il 5 novembre 1992.77 Fino ad oggi ri-

sulta firmata da 33 Stati membri del Consiglio d’Europa,78 con lo scopo di tute-

lare le lingue storiche regionali o minoritarie d’Europa che rischiano purtroppo

di scomparire. Il diritto ad usare una lingua regionale e minoritaria nella vita,

sia pubblica che privata, rappresenta un diritto inalienabile dell’uomo, previsto

nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato e aperto alla

74 S. 46 Ratifica ed esecuzione della Convenzione dell‘Organizzazione internazionale del lavoro n. 169 su popoli indigeni e tribali, fatta a Ginevra il 27 giugno 1989.

75 Convenzione ILO 169: http://www.gfbv.it/3dossier/diritto/ilo169-conv-it.html, scaricato il 27.10.2012.

76 S. 49 Ratifica ed esecuzione della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, fatta a Strasburgo il 5 novembre 1992.

77 Consiglio d’Europa, Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, http://conventions.coe.int/Treaty/ita/Treaties/Html/148.htm, scaricato il 27.8.2012.

78 Council of Europe: http://conventions.coe.int/Treaty/Commun/ChercheSig.asp?NT=148&CM=8&DF=&CL=ENG, scaricato il 19.12.2012.

38

firma a New York il 19 dicembre 1966, e reso esecutivo ai sensi della legge 25 ot-

tobre 1977, n. 881, e in conformità anche alla Convenzione per la salvaguardia

dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre

1950,79 resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848.

L’Italia ha firmato il trattato ormai undici anni fa, esattamente il 27 giugno

2000, ma non ha ancora approvato lo strumento di ratifica.

Rimozione dei residuati bellici esplosiviIl presente disegno di legge autorizza la ratifica del Protocollo del 28 novembre

2003 relativo ai residuati bellici esplosivi (Protocollo V) allegato alla Conven-

zione del 10 ottobre 1980 sulla proibizione o la limitazione dell’uso di alcune

armi convenzionali che possono essere considerate dannose o aventi effetti in-

discriminati.80 Nel 2000 il Comitato internazionale della Croce rossa (CICR)

ha proposto di lanciare, nell’ambito del Convenzione sulle armi convenziona-

li, un processo di negoziazione inteso a disciplinare, in modo giuridicamente

vincolante, il problema dei residuati bellici esplosivi. Esso ha segnalato che le

munizioni che sono state sparate ma che, contrariamente al loro scopo, non

sono esplose, rappresentano una minaccia considerevole, spesso insidiosa, per

le popolazioni civili. Tali munizioni mettono in pericolo, feriscono o uccidono

civili ancora molto tempo dopo la fine di un conflitto armato.

Questo provvedimento è stato attuato, assorbito nel S. 1780, e approvato

definitivamente: Legge n. 173/09 del 12 novembre 2009, GU n. 280 del 1 dicem-

bre 2009 (suppl. ord.).

79 Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: http://www.privacy.it/legge1955848.html, scaricata il 7.12.2012.

80 S. 632 Ratifica ed esecuzione del Protocollo del 28 novembre 2003 relativo ai residuati bellici esplosivi (Protocollo V) allegato alla Convenzione del 10 ottobre 1980 sulla proibizione o la limitazione dell‘uso di alcune armi convenzionali che possono essere considerate dannose o aventi effetti indiscriminati.

39

3 Riforma costituzionale, assetto dello Stato e del Parlamento

3.1 Tutela costituzionale di flora, fauna e ambiente

Disegno di legge costituzionale n.23, d’iniziativa del senatore PETERLINI, co-

municato alla presidenza il 29 aprile 2008.

Modifica dell’articolo 9 della Costituzione, in materia di tutela costituzionale

della flora, della fauna e dell’ambiente, nonché della dignità degli animali

3.1.1 IllustrazIone

Il presente disegno di legge mira a inserire la tutela della flora, della fauna e

dell’ambiente, nonché la dignità degli animali, nella Costituzione italiana. L’ar-

ticolo 9, secondo comma, della Costituzione, infatti, prevede già che la Repub-

blica «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Si

tratta di ampliare proprio questa formulazione ben pensata dai padri costitu-

zionali nel 1947, ma non più adatta ad una visione più ampia di tutela ambien-

tale comprendente anche gli esseri viventi.

Il primo firmatario del presente disegno di legge ha avuto l’opportunità di

approfondire la materia della tutela degli animali avendo presentato già nel

1986 una legge della provincia autonoma di Bolzano, ispirata all’impostazione

dei paesi più progrediti nel settore (legge 8 luglio 1986, n. 16). La citata legge

provinciale è stata allora in Italia la prima legge che ha riconosciuto la tutela

degli animali quale interesse pubblico, ha istituito asili per animali, promosso

l’attività di tutela, supportato le associazioni protezionistiche ed infine previ-

sto una serie di norme basilari per il rispetto degli esseri viventi. La citata legge

provinciale n. 86 del 1986 ha trovato grande riconoscimento ben oltre i livelli

40

nazionali. Il Protocollo sulla protezione ed il benessere degli animali, allegato

al Trattato che istituisce la Comunità europea, approvato ad Amsterdam nel

1997, ratificato ai sensi della legge 16 giugno 1998, n. 209, riconosce gli animali

come esseri senzienti ed afferma che la Comunità e gli Stati membri tengano

pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali.

Vi è poi il recente esempio giunto dal Bundestag tedesco che ha approvato

il 17 maggio 2002 a larghissima maggioranza una modifica costituzionale inse-

rendo gli animali fra i soggetti ai quali deve essere rivolta tutela.81 Le parole «e

degli animali» sono state aggiunte, infatti, alla frase della legge fondamentale

tedesca nella quale si parla dell’obbligo dello Stato a rispettare e proteggere la

dignità degli esseri umani.82

Anche la Confederazione elvetica, all’articolo 120 della propria Costituzio-

ne, nell’ambito del capitolo sull’ingegneria genetica, afferma fra l’altro che «(

... ) tiene conto della dignità della creatura nonché della sicurezza dell’essere

umano, degli animali e dell’ambiente e protegge la varietà genetica delle spe-

cie animali e vegetali».83 In Italia la legge 14 agosto 1991, n. 281, afferma fin dal

primo articolo che «lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali di af-

81 A favore 543 Abgeordnete, 19 contrari e 15 astensioni: http://www.spiegel.de/politik/deutschland/verfassung-bundestag-nimmt-tierschutz-ins-grundgesetz-a-196723.html, http://www.taz.de/!93419/, http://www.bmelv.de/SharedDocs/Reden/2012/07-24-AI-10-Jahre-Staatsziel-Tierschutz.html#doc3041900bodyText1, scaricati il 17.10.2012.

82 Modifica entrata in vigore l‘1 agosto 2002, Grundgesetz für die Bundesrepublik Deutschland, art. 20a: »Der Staat schützt auch in Verantwortung für die künftigen Generationen die natürlichen Lebensgrundlagen und die Tiere im Rahmen der verfassungsmäßigen Ordnung durch die Gesetzgebung und nach Maßgabe von Gesetz und Recht durch die vollziehende Gewalt und die Rechtsprechung.« http://www.gesetze-im-internet.de/bundesrecht/gg/gesamt.pdf, http://dejure.org/gesetze/GG/20a.html, scaricati il 17.10.2012.

83 Die Schweizerische Bundesverfassung, art. 120, comma 2: »Der Bund erlässt Vorschriften über den Umgang mit Keim- und Erbgut von Tieren, Pflanzen und anderen Organismen. Er trägt dabei der Würde der Kreatur sowie der Sicherheit von Mensch, Tier und Umwelt Rechnung und schützt die genetische Vielfalt der Tier- und Pflanzenarten.« http://www.parlament.ch/d/wissen/li-bundesverfassung/Seiten/default.aspx, scaricato il 17.10.2012.

41

fezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro

abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di

tutelare la salute pubblica e l’ambiente». Manca però ogni riferimento costitu-

zionale. La consapevolezza che gli animali sono soggetti verso i quali l’umanità

rivolge maggiore attenzione per un cammino comune sempre più solidale, di

rispetto e di tutela della dignità, coinvolge sempre maggiori porzioni dell’opi-

nione pubblica. Prenderne atto è un dovere che trova nella modifica costitu-

zionale che proponiamo un punto alto e che accomuna princìpi etici e princìpi

ecologici nella tutela della fauna selvatica e degli animali domestici.

3.1.2 DIsegno DI legge costItuzIonale n.23

Tutela costituzionale di flora, fauna e ambiente

Art. 1.1. Il secondo comma dell’articolo 9 della Costituzione è sostituito dal seguen-

te: «Tutela la flora, la fauna, il paesaggio, l’ambiente ed il patrimonio storico ed

artistico della Nazione. Promuove il rispetto degli animali e la tutela della loro

dignità».

3.2 Composizione del Senato della Repubblica

Disegno di legge costituzionale n. 24, d’iniziativa del senatore PETERLINI, co-

municato alla presidenza il 29 aprile 2008

Modifica agli articoli 55 e 57 e abrogazione dell’articolo 58 della Costituzione

in materia di composizione del Senato della Repubblica e di elettorato attivo e

passivo

42

3.2.1 IllustrazIone

Dall’inizio degli anni novanta in Italia si svolge un ampio dibattito sulla riforma

della Costituzione. Il Parlamento aveva investito varie Commissioni bicame-

rali per dare al nostro Paese un assetto più partecipato in senso federale.84 Nel

2001 fu approvato definitivamente dalle Camere e confermato dal referendum

una importante parte di questo progetto, cioè la riforma del titolo V della par-

te II della Costituzione. Le altre parti, in special modo il titolo II, della seconda

parte della Costituzione, sono rimasti invariati.

Nella XIV legislatura fu avviata un’ulteriore riforma della parte seconda

della Costituzione, approvata e mai promulgata a causa dell’esito negativo del

referendum costituzionale del giugno 2006. Si ritiene importante, pertanto, pro-

seguire nel cammino delle riforme della parte seconda della Costituzione, dal

titolo «Ordinamento della Repubblica» per quanto riguarda la forma di gover-

no, la forma di Stato, il superamento del bicameralismo perfetto.

Il presente disegno di legge si limita a creare un importante presupposto in

senso federale, trasformando una delle due Camere in Camera rappresentati-

va dalle regioni, in forma di un Senato federale. Il disegno di legge si prefigge

di perseguire questo obiettivo senza rinunciare all’elezione diretta del Senato

federale della Repubblica, garantendo però tramite di esso una partecipazione

diretta delle regioni alla formazione della volontà democratica e legislativa, an-

che a livello nazionale.

84 Peterlini, O. (2010a, it): L’autonomia che cambia, Gli effetti della riforma costituzionale del 2001 sull’autonomia speciale del Trentino Alto Adige Südtirol e le nuove competenze in base alla clausola di maggior favore, Casa editrice Praxis 3 Bolzano, pp.74 e seguenti. Peterlini, O. (2012d de): Südtirols Autonomie und die Verfassungsreformen Italiens, Vom Zentralstaat zu föderalen Ansätzen: die Auswirkungen und ungeschriebenen Änderungen im Südtiroler Autonomiestatut (L‘Autonomia dell‘Alto Adige e le Riforme costituzionali in Italia, Il cammino dell’Italia da un assetto centralista verso un approccio con principi federali, gli effetti e le modifiche non scritte nello Statuto speciale del Trentino Alto Adige), New Academic Press Braumüller Wien.

43

I paesi centrali d’Europa come la Svizzera, la Germania e l’Austria offrono

tre diversi modelli di Camera delle regioni. In Germania e in Austria i membri

del Bundesrat sono eletti in forma indiretta, rispettivamente dai governi regio-

nali e in Austria dai Landtage, cioè dai consigli regionali. La Svizzera invece, in-

sieme al Tirolo, una delle più vecchie democrazie d’Europa, con un articolato

legame tra gli organi democratici e la popolazione, ha scelto la via dell’elezione

diretta di ambedue le Camere, da parte dei cittadini.

Sia il Consiglio nazionale (la Camera) che il Consiglio degli Stati (la Ca-

mera delle regioni) sono eletti dal popolo a suffragio diretto. La Svizzera è per-

tanto riuscita a coniugare l’esigenza di una rappresentanza regionale con il più

diretto sistema elettorale senza rincorrere ad un secondo livello. Ed è questo

il modello che il presentatore del disegno di legge vuole suggerire anche per il

contesto italiano. 85

Il primo presupposto è che i senatori facciano parte del Consiglio regionale,

dei Consigli provinciali di Trento e di Bolzano e dell’Assemblea siciliana, con

diritto di intervento e obbligo di relazione. Il disegno di legge invece rinuncia di

dare a loro anche il diritto di voto. Per evitare l’obbligo di presenza in due Par-

lamenti a livello nazionale e regionale, o viceversa, mettere in difficoltà il rag-

giungimento del numero legale in uno dei due organi. Nessun senatore o dele-

gato regionale potrà infatti sedersi contemporaneamente in ambedue le assise

parlamentari.

Per rafforzare ulteriormente questo diretto collegamento con le regioni, si

conferma naturalmente il principio che il Senato è eletto a base regionale e, ri-

spettivamente, a base provinciale nelle province autonome di Trento e Bolza-

no. I senatori sono consiglieri regionali, eletti in addizione al numero già pre-

fissato dalle leggi regionali, però nelle stesse consultazioni. Un altro elemento

per rafforzare il collegamento è che i senatori federali siano eletti – secondo i

85 Costituzione elvetica: http://www.admin.ch/ch/i/rs/1/101.it.pdf, scaricato il 17.10.2012.

44

principi fondamentali definiti dalla legge dello Stato – con i sistemi regiona-

li, le cui leggi sono approvate in piena autonomia dai consigli regionali stessi.

Questo è un ulteriore elemento ricavato dal modello svizzero. L’articolo 150

della Costituzione della Federazione svizzera prevede, infatti, che la procedura

per l’elezione del Consiglio degli stati (la camera delle regioni) «è determinata

dal Cantone».

È bene ricordare in questo contesto che – a differenza della Germania e

dell’Austria, in cui le Camere delle regioni, i Bundesräte, hanno una competenza

di minore rilevanza, che alla fine si riduce in un diritto di veto, superabile dalla

Camera con maggioranza qualificata – la Confederazione elvetica ha evitato di

ridurre la Camera delle regioni nel suo raggio di competenze.

Definisce, infatti, l’articolo 156 della Costituzione Svizzera, che «le decisio-

ni dell’Assemblea federale (cioè il Parlamento) richiedono l’accordo delle due

Camere».

Anche se questo disegno di legge non entra nel merito della ripartizione

delle competenze, sembra importante sottolineare che non si può creare, dopo

decenni di aspettative finalmente evase, una Camera delle regioni per poi con-

ferire ad essa un ruolo completamente secondario. Il bicameralismo perfetto

non deve, pertanto, essere superato, visto anche che l’iter delle leggi non è mol-

to lungo in Italia e garantisce una legislazione più equilibrata di quanto succede

in altri Stati con una Camera sola.

Può essere raggiunto, invece, lo snelli mento degli organi e anche una ri-

duzione dei costi della politica riducendo il numero dei componenti del Parla-

mento. Per il Senato federale si propone una riduzione di un quarto per portare

il numero dei senatori a 240, allineandosi agli standard internazionali.

Ogni regione avrà garantito un minimo di senatori non inferiore a cinque, il

Trentino-Alto Adige/Suedtirol ne avrà tre per ciascuna provincia autonoma, il

Molise ne avrà due, la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ne avrà uno.

Per concentrare e realizzare veramente una nuova rappresentanza parla-

mentare delle regioni, si propone inoltre di limitare la rappresentanza dei par-

45

lamentari eletti all’estero alla Camera dei deputati. La ripartizione dei seggi tra

le regioni avviene in proporzione alla loro popolazione, quale risulta dall’ulti-

mo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti, dopo

avere riservato i numeri minimi di senatori già previsti per le regioni.

3.2.2 DIsegno DI legge costItuzIonale n. 24

Composizione del Senato della Repubblica

Art. 1.1. Al primo comma dell’articolo 55 della Costituzione, le parole: «Senato della

Repubblica» sono sostituite dalle seguenti: «Senato federale della Repubbli-

ca».

Art. 2.1. L’articolo 57 della Costituzione è sostituito dal seguente:

«Art. 57. – Il Senato federale della Repubblica rappresenta le Regioni al fine di

favorire e rafforzare la partecipazione delle stesse alla politica ed alla legisla-

zione nazionale del Paese.

I senatori sono eletti in ciascuna Regione contestualmente all’elezione per il

rinnovo del rispettivo Consiglio regionale o Assemblea regionale e, per la Re-

gione Trentino-Alto Adige/Südtirol, dei Consigli delle Province autonome di

cui fanno parte. Partecipano alla loro attività con diritto di intervento, obbligo

di relazione e senza diritto di voto, secondo le modalità previste dai regolamen-

ti regionali.

L’elezione dei Senatori è a suffragio universale e diretto ed è disciplinata

con legge propria di ciascuna regione, nel rispetto dei princìpi stabiliti da una

legge dello Stato.

Ciascuna Regione è costituita da tanti collegi uninominali quanti risultano

i Senatori da eleggere dalla ripartizione dei seggi di cui al settimo comma.

46

Il Senato federale della Repubblica è composto da duecentoquaranta sena-

tori.

Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a cinque; in

Trentino-Alto Adige/Südtirol le Province autonome di Trento e di Bolzano ne

hanno tre per ciascuna provincia; il Molise ne ha due; la Valle d’Aosta/Vallée

d’Aoste ne ha uno.

La ripartizione dei seggi tra le Regioni, previa applicazione delle disposi-

zioni del sesto comma, si effettua in proporzione alla popolazione delle Regio-

ni, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi

e dei più alti resti».

Art. 3.1. L’articolo 58 della Costituzione è abrogato.

Art. 4.1. Fino alla data di entrata in vigore delle leggi elettorali regionali di cui al terzo

comma dell’articolo 57 della Costituzione, come sostituito dall’articolo 2 della

presente legge, si applica la legge elettorale dello Stato.

3.3 Composizione della Commissione parlamentare per le questioni regionali

Disegno di legge n. 35 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla

presidenza il 29 aprile 2008

Modifica dell’articolo 52 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, in materia di com-

posizione della Commissione parlamentare per le questioni regionali

47

3.3.1 IllustrazIone

La legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante modifiche al titolo V della

parte seconda della Costituzione, all’articolo 11 disciplina la possibilità di inte-

grare la composizione della Commissione parlamentare per le questioni regio-

nali con i rappresentanti delle regioni, delle province autonome e degli enti lo-

cali, nell’attesa della revisione delle norme del titolo I della parte seconda della

Costituzione.

Con il presente disegno di legge si intende dare attuazione alla norma

contenuta nel citato testo di riforma della Costituzione.

La Commissione parlamentare per le questioni regionali, prevista dalla

Costituzione all’articolo 126, è disciplinata dall’articolo 52 della legge 10 feb-

braio 1953, n. 62, e successive modificazioni e dall’articolo 32 della legge 28 ot-

tobre 1970, n. 775, che ha aumentato a quaranta unità i componenti della Com-

missione (venti deputati e venti senatori, designati dalle due Camere con cri-

teri di proporzionalità).

Il testo che si propone si basa su una concezione paritaria che vede la

Commissione integrata da un rappresentante per ciascuna delle regioni e delle

province autonome e da diciotto rappresentanti dei comuni e delle province.

Le designazioni sono effettuate liberamente da ciascuna regione e pro-

vincia autonoma tra i consiglieri e i deputati regionali in carica, mentre per

quanto riguarda la nomina dei rappresentanti dei comuni e delle province vie-

ne mantenuta la formula attualmente utilizzata per la designazione dei rispet-

tivi rappresentanti presso la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,

le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, i cui membri sono de-

signati e revocati dall’Associazione nazionale dei comuni italiani e dall’Unione

delle province d’Italia.

Le cause di incompatibilità previste per la carica di deputato e di senatore

vengono estese anche ai rappresentanti delle regioni, delle province autono-

me e degli enti locali, ad eccezione di quelle derivanti dalla carica di sindaco,

48

di presidente della provincia, di consigliere e deputato regionale, di consigliere

della provincia autonoma.

Viene, inoltre, estesa ai rappresentanti delle regioni e delle province auto-

nome l’insindacabilità delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle

funzioni previste ai sensi del citato articolo 11 della legge costituzionale 18 ot-

tobre 2001, n. 3.

All’articolo 2 si prevede l’abrogazione dell’articolo 32 della legge 28 ot-

tobre 1970, n. 775, mentre l’articolo 3 prevede che la composizione della Com-

missione parlamentare per le questioni regionali resti disciplinata dalle nuove

disposizioni, sino alla modificazione dei regolamenti della Camera dei deputa-

ti e del Senato della Repubblica ai sensi del comma 1 dell’articolo 11 della legge

costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

Vista l’importanza della questione si auspica una rapida approvazione

della presente iniziativa legislativa.

3.3.2 DIsegno DI legge n. 35

Composizione della Commissione parlamentare per le questioni regionali

Art. 1.1. L’articolo 52 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, e successive

modificazioni, è sostituito dal seguente:

«Art. 52. – (Commissione parlamentare per le questioni regionali). –

1. La Commissione parlamentare per le questioni regionali prevista

dall’articolo 126, primo comma, della Costituzione, di seguito

denominata «Commissione», è composta da venti deputati e da venti

senatori designati dalle due Camere con criteri di proporzionalità. Essi

rimangono in carica per la durata della legislatura.

2. La Commissione elegge nel proprio seno il presidente, due vicepresidenti

e due segretari.

49

3. Per le funzioni stabilite dai regolamenti parlamentari ai sensi dell’articolo

11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, la Commissione è

integrata da un rappresentante per ciascuna delle regioni e delle province

autonome e da diciotto rappresentanti dei comuni e delle province.

4. Ciascuna regione e ciascuna provincia autonoma nomina e revoca il

proprio rappresentante tra i consiglieri e i deputati regionali in carica.

5. Dei rappresentanti dei comuni e delle province fanno parte tredici

sindaci designati e revocati dall’Associazione nazionale dei comuni

italiani (ANCI) e cinque presidenti di provincia designati e revocati

dall’Unione delle province d’Italia. Dei tredici sindaci designati dall’ANCI

quattro rappresentano le città individuate dall’articolo 22, comma 1, del

testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto

legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e due sono designati fra i sindaci dei

comuni la cui popolazione è inferiore a mille abitanti.

6. Ai rappresentanti delle regioni, delle province autonome e degli enti

locali si estendono le cause di incompatibilità disposte per la carica

di senatore e di deputato, ad eccezione delle cause di incompatibilità

derivanti dalla carica di sindaco, di presidente della provincia, di

consigliere e deputato regionale, di consigliere della provincia autonoma.

Le Camere giudicano dei titoli di ammissione e delle cause sopraggiunte

di incompatibilità ai sensi dell’articolo 66 della Costituzione.

7. I rappresentanti delle regioni, delle province autonome e degli enti locali

non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei

voti dati nell’esercizio delle funzioni esercitate ai sensi dell’articolo 11

della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

8. Per l’espletamento dei suoi compiti la Commissione utilizza personale,

comprese eventuali collaborazioni esterne, locali e strumenti operativi

messi a disposizione dai Presidenti delle Camere, di intesa tra loro».

50

Art. 2.1. L’articolo 32 della legge 28 ottobre 1970, n. 775, è abrogato.

Art. 3.1. Sino a quando i regolamenti della Camera dei deputati e del Senato della Re-

pubblica non esercitino la potestà di cui all’articolo 11 della legge costituzionale

18 ottobre 2001, n. 3, la composizione della Commissione parlamentare per le

questioni regionali è disciplinata dalla presente legge.

Art. 4.1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pub-

blicazione nella Gazzetta Ufficiale.

3.4 Modifica degli statuti delle regioni a statuto speciale

Disegno di legge costituzionale n. 41 d’iniziativa del senatore PETERLINI, co-

municato alla presidenza il 29 aprile 2008

Disposizioni concernenti la procedura per la modifica degli statuti delle regioni

a statuto speciale

3.4.1 IllustrazIone

La legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2, recante «Disposizioni concer-

nenti l’elezione diretta dei presidenti delle regioni a statuto speciale e delle pro-

vince autonome di Trento e di Bolzano», non ha purtroppo recepito una fonda-

mentale richiesta delle regioni ad autonomia differenziata.

Ci riferiamo alla previsione, in caso di modifica degli statuti, del meccani-

smo dell’intesa tra Governo e consiglio regionale, o provinciale per le province

autonome di Trento e di Bolzano.

51

Il carattere pattizio che sta alla base dei rapporti tra Stato e regioni a sta-

tuto speciale si deve infatti manifestare nel principio della previa intesa per le

modifiche delle carte fondamentali, quali sono gli statuti speciali. L’introduzio-

ne dell’intesa, disposta dal presente disegno di legge costituzionale, riguarda

all’articolo 1 la Sicilia, all’articolo 2 la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, all’articolo 3

la Sardegna, all’articolo 4 il Trentino-Alto Adige/Südtirol e infine, all’articolo 5

il Friuli-Venezia Giulia.

Per la provincia autonoma di Bolzano esiste un’ulteriore ragione a sostegno

della tesi: ci riferiamo all’accordo internazionale De Gasperi-Gruber che esclu-

de modifiche unilaterali, essendo necessario sia il consenso della Repubblica

d’Austria che dei rappresentanti delle minoranze linguistiche tedesca e ladi-

na, come solennemente assicurato il 30 gennaio 1992 dall’allora Presidente del

Consiglio dei ministri Andreotti nella dichiarazione depositata presso le Na-

zioni Unite e consegnata alla Repubblica d’Austria, presupposto fondamentale

per porre fine alla vertenza internazionale.

L’approvazione delle disposizioni del presente disegno di legge consenti-

rebbe di rafforzare il potere di autogoverno locale, condizionando l’approvazio-

ne di ogni modifica statutaria alla volontà del consiglio regionale e dei consigli

provinciali di Trento e di Bolzano che, entro tre mesi dalla trasmissione del te-

sto della modifica approvata dal Parlamento in prima deliberazione, possono

esprimere il loro dissenso. Il diniego alla proposta di intesa deve essere delibe-

rato da una maggioranza qualificata di componenti dell’assemblea legislativa

della regione o della provincia autonoma interessata.

Con questo disegno di legge si intende sostituire lo strumento del parere,

attualmente previsto dagli statuti per effetto della riforma introdotta dalla ci-

tata legge costituzionale n. 2 del 2001, con lo strumento rafforzato dell’intesa,

consentendo altresì alle regioni e alle province autonome di intraprendere ini-

ziative di modifica degli statuti attualmente inibite dal rischio dello stravolgi-

mento del testo in sede di esame parlamentare.

52

Un analogo meccanismo era stato previsto dall’articolo 38 della legge costi-

tuzionale recante modifiche alla Parte II della Costituzione approvata nel no-

vembre 2005 (atto Senato n. 2544-D), sottoposta a referendum popolare con-

fermativo svoltosi il 25 e 26 giugno del 2006 e non entrata in vigore in seguito

all’esito del citato referendum.

La maggioranza dei due terzi dei componenti dell’Assemblea regionale o

provinciale richiesta per esprimere il veto contro l’intesa (disposizione iden-

tica a quella dell’articolo 38 del disegno di legge di riforma della parte secon-

da della Costituzione, rigettato con il referendum) è probabilmente da ritener-

si molto onerosa. In effetti anche un diniego espresso a maggioranza assoluta

può essere preso in considerazione, al fine di tutelare adeguatamente l’integri-

tà dell’autonomia speciale e il diritto di condividere le scelte che riguardano la

sfera di interesse delle regioni o province autonome.

Per quanto riguarda la tecnica legislativa di novellazione, il presente dise-

gno di legge costituzionale prevede interventi precisi sugli articoli di ciascu-

no dei cinque statuti speciali che riguardano il procedimento di revisione dello

Statuto stesso, e non un intervento sull’articolo 116 della Costituzione. Questo

perché dal punto di vista legislativo si ritiene più corretto intervenire sulle di-

sposizioni che specificamente regolano le singole autonomie.

Per i motivi esposti si auspica una tempestiva approvazione del presente

disegno di legge costituzionale.

3.4.2 DIsegno DI legge costItuzIonale n. 41

Modifica degli statuti delle regioni a statuto speciale

Art. 1. (Modifica allo Statuto speciale della Regione siciliana)1. Il terzo comma dell’articolo 41-ter dello Statuto della Regione siciliana, di cui

al regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito dalla legge costi-

tuzionale 26 febbraio 1948, n. 2, è sostituito dal seguente:

53

«I progetti di modificazione del presente Statuto approvati dalle due Came-

re in prima deliberazione sono trasmessi all’Assemblea regionale per l’espres-

sione dell’intesa. Il diniego alla proposta d’intesa può essere manifestato entro

tre mesi dalla trasmissione del testo, con la deliberazione a maggioranza dei

due terzi dei componenti dell’Assemblea regionale. Decorso tale termine senza

che sia stato deliberato il diniego, le Camere possono adottare la legge costitu-

zionale».

Art. 2. (Modifica allo Statuto speciale per la Valle d’Aosta/ Vallée d’Aoste)1. Il terzo comma dell’articolo 50 dello Statuto speciale per la Valle d’Aosta, di

cui alla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, è sostituito dal seguente:

«I progetti di modificazione del presente Statuto approvati dalle due Came-

re in prima deliberazione sono trasmessi al Consiglio della Valle per l’espres-

sione dell’intesa. Il diniego alla proposta d’intesa può essere manifestato entro

tre mesi dalla trasmissione del testo, con la deliberazione a maggioranza dei

due terzi dei componenti del Consiglio della Valle. Decorso tale termine senza

che sia stato deliberato il diniego, le Camere possono adottare la legge costitu-

zionale».

Art. 3. (Modifica allo Statuto speciale per la Sardegna)1. All’articolo 54 dello Statuto speciale per la Sardegna, di cui alla legge costi-

tuzionale 26 febbraio 1948, n. 3, e successive modificazioni, sono apportate le

seguenti modificazioni:

a) il secondo comma è sostituito dal seguente:

«I progetti di modificazione del presente Statuto approvati dalle due

Camere in prima deliberazione sono trasmessi al Consiglio regionale

per l’espressione dell’intesa. Il diniego alla proposta d’intesa può

essere manifestato entro tre mesi dalla trasmissione del testo, con la

deliberazione a maggioranza dei due terzi dei componenti del Consiglio

54

regionale. Decorso tale termine senza che sia stato deliberato il diniego,

le Camere possono adottare la legge costituzionale»;

b) il terzo comma è abrogato.

Art. 4. (Modifica allo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol)1. Il terzo comma dell’articolo 103 del testo unico delle leggi costituzionali con-

cernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, approvato con decreto

del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, e successive modifica-

zioni, è sostituito dal seguente:

«I progetti di modificazione del presente Statuto approvati dalle due Came-

re in prima deliberazione sono trasmessi al Consiglio regionale e ai Consigli

provinciali per l’espressione dell’intesa. Il diniego alla proposta d’intesa può

essere manifestato entro tre mesi dalla trasmissione del testo, con la delibera-

zione a maggioranza dei due terzi dei componenti del Consiglio regionale o di

uno dei Consigli provinciali. Decorso tale termine senza che sia stato delibera-

to il diniego, le Camere possono adottare la legge costituzionale».

Art. 5. (Modifica allo Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia)1. Il terzo comma dell’articolo 63 dello Statuto speciale della regione Friuli-Ve-

nezia Giulia, di cui alla legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, e successive

modificazioni, è sostituito con il seguente:

«I progetti di modificazione del presente Statuto approvati dalle due Came-

re in prima deliberazione sono trasmessi al Consiglio regionale per l’espressio-

ne dell’intesa. Il diniego alla proposta d’intesa può essere manifestato entro tre

mesi dalla trasmissione del testo, con la deliberazione a maggioranza dei due

terzi dei componenti del Consiglio regionale. Decorso tale termine senza che

sia stato deliberato il diniego, le Camere possono adottare la legge costituzio-

nale».

55

3.5 Modernizzare l’Italia in senso federale

Atto n. 1-00210, Pubblicato il 2 dicembre 2009, Seduta n. 294

Esame concluso nella seduta n. 295 dell’Assemblea (02/12/2009)

PETERLINI, PINZGER, THALER AUSSERHOFER, FOSSON, CUFFARO,

D’ALIA, GALPERTI, POLI BORTONE

3.5.1 MozIone n. 1-00210

Il Senato, premesso che:

da molti anni è in corso nel Paese un intenso dibattito sulla seconda parte della

Costituzione, che negli ultimi lustri si è concretizzato in numerosi progetti di

riforma fra loro differenziati per il grado di incisività o per la dimensione dello

scostamento dall’impianto originario della Costituzione;

ogni parte politica si riconosce nel proprio patrimonio di progetti e di ipo-

tesi di riforma ma, d’altro canto, la mancata ricerca di un ampio consenso par-

lamentare e politico su tali proposte ha contribuito a determinare il loro falli-

mento;

non è però diminuita l’esigenza di una revisione del testo costituzionale, in

quanto alcune delle scelte compiute oltre mezzo secolo fa dai padri costituenti

in materia di ordinamento della Repubblica richiedono oggi un adeguamento;

vanno dunque promossi interventi sul testo della Costituzione che permet-

tano di affrontare, nei tempi e con il respiro necessario, alcune questioni istitu-

zionali che il Paese si trova di fronte,

impegna il Governo:ad incoraggiare, con spirito di leale collaborazione, un confronto parlamentare

sui temi delle riforme istituzionali, per giungere alla necessaria approvazione

di un testo condiviso dalla più ampia maggioranza parlamentare;

56

a sostenere la riduzione del numero dei parlamentari, tema sul quale esiste

già un largo consenso tra le forze politiche;

a favorire l’istituzione di una Camera espressione delle istanze regionali,

anche in funzione dell’avvenuta approvazione del federalismo fiscale.86

3.6 Riduzione del numero di deputati e senatori

Disegno di legge costituzionale n. 2821

d’iniziativa del senatore PETERLINI, COMUNICATO ALLA PRESIDENZA L’8

luglio 2011

Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del

numero dei deputati e dei senatori

3.6.1 IllustrazIone

Nel vivo e lungo dibattito sulle riforme costituzionali, il presente disegno di

legge, teso alla riduzione del numero dei parlamentari, si pone quale contribu-

to ulteriore ad una riforma più globale ed organica delle istituzioni, soprattutto

nell’ottica di incidere sui cosiddetti «costi della politica». Il proponente, che

ha anche presentato diversi disegni di legge in tema di riforme costituzionali,

quale quello volto a trasformare una delle Camere in Camera rappresentativa

delle Regioni (Atto Senato n. 24), ritiene che non sia più procrastinabile l’in-

tervento teso alla diminuzione del numero dei deputati e dei senatori, quale

segno concreto al Paese per abbattere considerevolmente i costi della politi-

ca, anche in considerazione dell’adesione sul tema di tutte le forze politiche. In

particolare, si propone la modifica degli articoli 56 e 57 della Costituzione, ov-

vero la riduzione del numero dei deputati, che passerebbero dall’attuale nume-

ro di seicentrotrenta a trecento componenti, nonché dei senatori che, invece,

86 Approvata dal Senato (1-00210) il 2 dicembre 2009.

57

verrebbero portati a centocinquanta rispetto ai trecentoquindici attualmente

previsti. L’intervento prevede anche un correttivo all’articolo 59 della Costitu-

zione in tema di numero dei senatori a vita nominabili da parte del Presidente

della Repubblica, che passerebbero dagli attuali cinque senatori al numero di

tre. Tali modifiche, se approvate, alleggerirebbero sensibilmente i pesanti costi

della politica a partire dal Parlamento, aprendo la strada ad analoghi interventi

anche nell’ambito di altre amministrazioni statali centrali e periferiche, con ciò

facendo riacquistare fiducia ai cittadini nella classe politica. Il proponente au-

spica che il presente disegno di legge costituzionale venga al più presto sotto-

posto all’esame del Parlamento ed approvato, in tal modo dando segno al Paese

di una concreta misura atta ad incidere in controtendenza rispetto ai cosiddetti

«costi della politica», nonché a migliorare l’efficienza del Parlamento.

3.6.2 DIsegno DI legge costItuzIonale n. 2821

Riduzione del numero di deputati e senatori

Art. 1.1. All’articolo 56 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il secondo comma è sostituito dal seguente:

«Il numero dei deputati è di trecento, sei dei quali eletti nella

circoscrizione Estero.»;

b) al quarto comma, la parola: «seicentodiciotto» è sostituita dalla parola:

«duecentonovantaquattro».

Art. 2.1. All’articolo 57 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il secondo comma è sostituito dal seguente:

«Il numero dei senatori elettivi è di centocinquanta, tre dei quali eletti

nella circoscrizione Estero.»;

58

b) al terzo comma, la parola: «sette» è sostituita dalla seguente: «quattro».

Art. 3.1. Al secondo comma dell’articolo 59 della Costituzione, le parole: «cinque cit-

tadini» sono sostituite dalle seguenti: «tre cittadini».

59

4 La legislazione elettorale

4.1 Diritto di voto da parte dei cittadini italiani residenti all’estero

Disegno di legge n. 26 d’iniziativa del senatore PETERLINI comunicato alla

presidenza il 29 aprile 2008

Modifiche alla legge 27 dicembre 2001, n. 459, in materia di esercizio del diritto

di voto da parte dei cittadini italiani residenti all’estero

4.1.1 IllustrazIone

Con l’approvazione della legge 27 dicembre 2001, n. 459, per l’esercizio di voto

dei cittadini italiani residenti all’estero, a seguito delle modifiche costituziona-

li votate nella XIII legislatura, il Parlamento italiano ha voluto favorire i nostri

connazionali residenti all’estero.

Tuttavia il provvedimento presenta alcune anomalie, confermate dai ri-

sultati delle elezioni politiche del 2006, tanto che oggi è messa in discussione

la rappresentatività democratica del nostro Parlamento. Inoltre sono eviden-

ti alcune discriminazioni tra gli elettori italiani e gli elettori italiani residenti

all’estero.

La legge n. 459 del 2001 dà ai cittadini italiani residenti all’estero la possibi-

lità di votare nella circoscrizione Estero, salvo la possibilità di optare per l’eser-

cizio di voto nella circoscrizione del territorio nazionale relativa alla sezione

elettorale in cui sono iscritti (articolo 1, comma 3).

A prima vista, questa libertà di scelta per i cittadini residenti all’estero e la

corrispondente restrizione per i cittadini residenti in Italia, sembrerebbe non

comportare particolari conseguenze. Tenendo però conto del sistema eletto-

60

rale adottato, la questione appare ben più complessa. Peculiarità del sistema

elettorale maggioritario, infatti, è che mentre alcuni collegi vengono assegnati

per minime differenze di voti, per altri collegi il risultato è già noto in parten-

za (i cosiddetti collegi sicuri). Al cittadino residente all’estero è data quindi la

possibilità di scegliere dove far fruttare meglio il proprio voto. Si vota in Italia

nel caso in cui il proprio voto possa risultare determinante; si sceglie la circo-

scrizione Estero in tutti quei casi nei quali il differenziale tra i candidati è così

ampio che un voto in più o in meno non farebbe alcuna differenza.

Il tutto in contrasto con il secondo comma dell’articolo 48 della Costitu-

zione: «Il voto è personale ed eguale, libero e segreto.» È sin troppo evidente,

infatti, come la possibilità di scelta per l’esercizio del proprio voto, riservato ad

una specifica e ben individuata porzione di elettorato, mini alla base il princi-

pio del voto eguale.

Per rafforzare il legame con il territorio di provenienza e per far sì che le

prossime elezioni politiche avvengano in presenza di norme che garantiscano

il corretto esercizio del voto all’estero, il presente disegno di legge prevede una

inversione del diritto di opzione che, anzitutto, deve essere esercitato entro un

termine e con modalità definite e consiste nella facoltà concessa al cittadino

residente all’estero di esprimere la preferenza per il voto nella circoscrizione

Estero. La sua mancanza comporta che l’esercizio del diritto di voto avvenga in

Italia, in una delle circoscrizioni nazionali.

Il presente disegno di legge si compone di tre articoli: gli articoli 1 e 2 sosti-

tuiscono rispettivamente gli articoli 1 e 4 della legge 27 dicembre 2001, n. 459,

allo scopo di evitare una lettura poco chiara, mentre l’articolo 3 prevede delle

modifiche consequenziali alla medesima legge n. 459 del 2001.

4.1.2 DIsegno DI legge n. 26

Diritto di voto da parte dei cittadini italiani residenti all’estero

61

Art. 1.1. L’articolo 1 della legge 27 dicembre 2001, n. 459, è sostituito dal seguente:

«Art. 1. – 1. I cittadini italiani residenti all’estero, iscritti nelle liste

elettorali di cui all’articolo 5, comma 1, votano nella circoscrizione Estero,

di cui all’articolo 48 della Costituzione, per l’elezione delle Camere e per i

referendum previsti dagli articoli 75 e 138 della Costituzione, nei limiti e

nelle forme previsti dalla presente legge, previa opzione da esercitare per

ogni votazione e valida limitatamente ad essa.

2. Gli elettori di cui al comma 1 votano per corrispondenza.

3. Gli elettori di cui al comma 1 votano in Italia, e in tale caso votano nella

circoscrizione del territorio nazionale relativa alla sezione elettorale in

cui sono iscritti, salvo che abbiano esercitato l’opzione di cui al comma

1».

Art. 2. 1. L’articolo 4 della legge 27 dicembre 2001, n. 459, è sostituito dal

seguente: «Art. 4. – 1. In occasione di ogni consultazione elettorale

l’elettore può esercitare l’opzione per il voto nella circoscrizione Estero

di cui all’articolo 1, comma 1, dandone comunicazione scritta alla

rappresentanza diplomatica o consolare operante nella circoscrizione

consolare di residenza entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello

previsto per la scadenza naturale della legislatura.

2. In caso di scioglimento anticipato delle Camere o di indizione di

referendum popolare, l’elettore può esercitare l’opzione per il voto entro il

decimo giorno successivo alla indizione delle votazioni.

3. Il Ministero degli affari esteri comunica, senza ritardo, al Ministero

dell’interno i nominativi degli elettori che hanno esercitato il diritto di

opzione per il voto, ai sensi dei commi 1 e 2. Almeno trenta giorni prima

della data stabilita per le votazioni in Italia il Ministero dell’interno

comunica i nominativi degli elettori che non hanno esercitato l’opzione

62

ai comuni di ultima residenza in Italia. I comuni adottano le conseguenti

misure necessarie per l’esercizio del voto in Italia.

4. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente disposizione

le rappresentanze diplomatiche e consolari, sulla base delle istruzioni

impartite a tale fine dal Ministero degli affari esteri, informano, con

apposita comunicazione, l’elettore della possibilità di esercitare

l’opzione specificando in particolare che l’eventuale opzione è valida

esclusivamente per una consultazione elettorale o referendaria e

che deve essere esercitata nuovamente in occasione della successiva

consultazione.

5. L’elettore che intenda esercitare l’opzione per il voto in Italia per la prima

consultazione elettorale o referendaria successiva alla data di entrata in

vigore della presente disposizione lo comunica, entro il sessantesimo

giorno dalla ricezione della comunicazione, alla rappresentanza

diplomatica o consolare operante nella circoscrizione consolare di

residenza e comunque entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello

previsto per la scadenza naturale della legislatura».

Art. 3.1. Alla legge 27 dicembre 2001, n. 459, sono apportate le seguenti modifiche:

a) all’articolo 5, comma 2, dopo le parole: «residenti all’estero che» è

inserita la seguente:

«non» e le parole: «comma 3» sono sostituite dalle seguenti: «comma

1»;

b) all’articolo 8, comma 4, le parole: «comma 3, non possono essere

candidati» sono sostituite dalle seguenti: «comma 1, possono essere

candidati»;

c) all’articolo 12, comma 3, le parole: «non hanno esercitato» sono

sostituite dalle seguenti: «hanno esercitato» e le parole: «comma 3»

sono sostituite dalle seguenti: «comma 1»;

63

d) all’articolo 12, comma 7, le parole: «non hanno esercitato» sono

sostituite dalle seguenti: «hanno esercitato» e le parole: «comma 3»

sono sostituite dalle seguenti: «comma 1»;

e) all’articolo 13, comma 1, le parole: «non abbiano esercitato» sono

sostituite dalle seguenti: «abbiano esercitato» e le parole: «comma 3»

sono sostituite dalle seguenti: «comma 1»;

f) all’articolo 20, il comma 1 è abrogato

4.2 Nuove norme per l’elezione della Camera dei deputati

Disegno di legge n. 27 d’iniziativa dei senatori PETERLINI, CECCANTI e PIN-

ZGER, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008

Nuove norme per l’elezione della Camera dei deputati

4.2.1 IllustrazIone

La stagione del sistema elettorale maggioritario (con una limitata quota pro-

porzionale) in Italia è durata dodici anni. Nell’autunno del 2005, con l’approva-

zione della nuova legge elettorale (legge 21 dicembre 2005, n. 270), infatti, sono

stati introdotti profondi cambiamenti nel sistema elettorale. Ci si è orientati

per un ritorno al proporzionale nella convinzione che esso potesse garantire

maggiori vantaggi in termini di rappresentatività e rispecchiasse meglio i reali

rapporti di forza tra i vari partiti. Ma, purtroppo, nulla di tutto ciò si è verificato,

anzi, al contrario, la legge n. 270 del 2005 ha prodotto un gravissimo distacco

tra cittadini elettori ed eletti, tra corpo elettorale e rappresentanti in Parlamen-

to, ed ha inoltre reso maggiormente instabile il Governo, che ha riportato una

esile maggioranza al Senato.

La legge 4 agosto 1993, n. 277 – comunemente nota, tra gli addetti ai lavori,

come «Mattarellum», dal nome del deputato che la ideò (Sergio Mattarella) –

aveva prodotto due indubbi vantaggi al sistema politico italiano.

64

In primo luogo, l’impostazione prevalentemente maggioritaria aveva in-

centivato i partiti a unirsi in coalizioni pre-elettorali, per conquistare i seggi

nei collegi uninominali, una tendenza che ha trasformato l’Italia in un sistema

sostanzialmente bipolare, aprendo la strada, con decenni di ritardo rispetto al

resto d’Europa, al principio dell’alternanza.

In secondo luogo, con essa si è avuta una maggiore stabilità dei governi e

delle legislature.

Infatti, è aumentata la durata media degli Esecutivi (nella classifica di lon-

gevità, il governo guidato da Berlusconi dal 2001 è al primo posto, mentre quel-

lo guidato da Prodi nel 1996 è al terzo). Inoltre, due delle tre legislature elette

con il sistema maggioritario (la XIII dal 1996 al 2001 e la XIV dal 2001 al 2006)

sono giunte alla scadenza naturale.

Un altro vantaggio infine era dato da un diretto legame tra eletto ed eletto-

rato (piccoli collegi con conoscenza diretta dei candidati e disponibilità degli

stessi).

Il presente disegno di legge prevede l’abrogazione della legge 21 dicembre

2005, n. 270, limitatamente alla parte che regola l’elezione della Camera dei

deputati, riportando in vigore le disposizioni introdotte con la legge 4 agosto

1993, n. 277, alle quali vengono apportate delle modifiche che conducono ad un

sistema elettorale maggioritario ad un turno, non contaminato quindi da ag-

giustamenti di carattere proporzionale. In tale contesto viene infatti eliminata

la previsione della quota proporzionale del 25 per cento che non può che indur-

re ad una valutazione negativa per una serie di ragioni, prima tra tutte quella

legata all’adozione di liste bloccate; si tratta di un metodo che non risponde

certo ai canoni di un auspicabile spirito democratico e che molto spesso viene

«sfruttato» dalle direzioni dei partiti al fine di agevolare l’elezione di candidati

che incontrerebbero sicuramente enormi difficoltà nel confronto diretto in un

collegio uninominale.

Alla luce di queste considerazioni appaiono evidenti le ragioni che hanno

portato alla formulazione del presente disegno di legge, diretto appunto ad eli-

65

minare la quota proporzionale del 25 per cento nelle elezioni per la Camera dei

deputati e a ridisegnare di conseguenza i collegi elettorali in cui dovrà dividersi

il territorio nazionale, lasciando aperto il sistema per una eventuale, auspica-

bile, riduzione del numero dei deputati con una ulteriore proposta di riforma

elettorale che ci riserviamo di presentare.

Anche per quanto riguarda il Senato della Repubblica, ci si riserva di inter-

venire con un ulteriore disegno di legge.

L’abolizione della quota proporzionale del 25 per cento consente, altresì, di

eliminare tutti quei complessi e perversi «meccanismi» ad essa connessi quali

lo «scorporo» e i collegamenti dei candidati nei collegi uninominali maggiori-

tari con le liste proporzionali, che sono stati spesso fattore di slealtà, con liste

cosiddette «civetta» e mettendo in contrapposizione candidati nei due diversi

ambiti, pur se appartenenti alla medesima formazione politica.

Si propone di usare la stessa metodologia prevista dalla legge elettorale 4

agosto 1993, n. 277, per la definizione dei collegi, metodologia che l’esperienza

applicativa ha dimostrato essere efficace ed equilibrata.

Il disegno di legge in esame, sulla cui formulazione già nella XIII legislatura

si era registrato un ampio consenso sia pure in sede informale (lo scioglimento

anticipato delle Camere ha impedito l’esame di merito), è dunque finalizzato

all’abolizione della quota proporzionale per l’elezione della Camera dei depu-

tati e all’attribuzione di tutti i seggi con il sistema uninominale maggioritario a

turno unico, obiettivo, questo, il cui conseguimento dovrà essere armonizzato

con ulteriori interventi legislativi, primo tra tutti quello finalizzato ad esten-

dere il sistema elettorale maggioritario uninominale anche a tutti i 315 seggi

elettivi del Senato.

Il disegno di legge si configura come una serie di modifiche al testo unico

delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al de-

creto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, già modificato dal-

la legge elettorale 4 agosto 1993, n. 277, e dal conseguente decreto legislativo 20

dicembre 1993, n. 534.

66

L’articolo 1 del presente disegno di legge abroga gli articoli 1, 2, 3 e 6 della

legge n. 270 del 2005.

L’articolo 2 dispone che riacquistano efficacia le disposizioni abrogate o

modificate dalla legge 21 dicembre 2005, n. 270, e l’articolo 3 reca le seguen-

ti modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30

marzo 1957, n. 361, come richiamato in vigore ai sensi dell’articolo 2:

la lettera a) stabilisce che tutti i seggi della Camera dei deputati, eccezion

fatta per le circoscrizioni Estero e Valle d’Aosta, sono ripartiti in altrettanti col-

legi uninominali dove risulta eletto il candidato che riporta il maggior numero

di suffragi;

la lettera b) fissa le modalità di ripartizione dei seggi fra le regioni;

la lettera c) stabilisce che ogni elettore ha a disposizione un solo voto da

esprimersi su apposita scheda dove sono indicati i candidati nel collegio uni-

nominale accompagnati dal rispettivo contrassegno;

la lettera d) stabilisce la costituzione di un Ufficio centrale circoscrizionale

in ogni capoluogo di regione. D’altra parte, non essendo più prevista la quota

proporzionale, che era assegnata in sede circoscrizionale, gli Uffici centrali cir-

coscrizionali avranno esclusivamente una funzione burocratico-organizzativa:

quindi è apparso più opportuno far coincidere la loro dimensione con quella

regionale;

la lettera e) conferma l’obbligo, per i partiti politici o i gruppi politici o i sin-

goli cittadini che intendono presentare candidature nei collegi uninominali, di

depositare preventivamente al Ministero dell’interno i contrassegni con cui in-

tendono caratterizzare le proprie candidature;

la lettera f) disciplina la presentazione di candidature nei singoli collegi ed

esclude le candidature plurime;

la lettera g) abroga l’articolo 18-bis del testo unico di cui al decreto del Pre-

sidente della Repubblica n. 361 del 1957, che disciplinava la presentazione delle

candidature con metodo proporzionale;

67

la lettera h) abroga un’ulteriore norma relativa alla quota proporzionale del

25 per cento;

la lettera i) sostituisce l’articolo 20 del citato testo unico di cui al decreto del

Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, che nel nuovo testo disciplina l’ac-

cettazione delle candidature nei collegi uninominali;

la lettera l) definisce il modello di schede elettorali per l’elezione dei candi-

dati nei collegi uninominali;

la lettera m) abroga la norma che prescriveva la precedenza dello scrutinio

per le candidature nei collegi uninominali rispetto a quello per la quota pro-

porzionale del 25 per cento, di cui il disegno di legge prevede l’abolizione;

la lettera n) abroga le disposizioni sullo scrutinio per l’attribuzione dei seg-

gi in ragione proporzionale;

la lettera o) detta norme di coordinamento;

la lettera p) abroga la norma che stabilisce la separazione delle diverse

schede;

la lettera q) abroga le norme sul computo dei voti di lista della quota pro-

porzionale ai fini dell’attribuzione dei seggi;

la lettera r) abroga la norma sull’attribuzione dei seggi in sede di ufficio

centrale elettorale nazionale per la quota proporzionale;

la lettera s) abroga le norme sulla proclamazione dei deputati eletti con la

quota proporzionale;

la lettera t) abroga la norma che prevedeva l’obbligo di opzione per i depu-

tati eletti in più circoscrizioni, non essendo più possibili candidature plurime;

la lettera u) abroga la disciplina delle assegnazioni dei seggi nel caso in cui

rimanga vacante un seggio attribuito con la quota proporzionale, perché il pre-

sente disegno di legge abolisce, come già sottolineato, la quota proporzionale;

la lettera v) abroga la tabella relativa alle circoscrizioni elettorali, in quanto

esse verranno a coincidere col territorio di ciascuna regione;

la lettera z), infine, prevede la soppressione dei riferimenti alla «lista» o alle

«liste», ovunque ricorrano.

68

L’articolo 4 disciplina l’individuazione della nuova ripartizione del territo-

rio nazionale in collegi in modo del tutto identico a quello già adottato per la

definizione dei collegi uninominali ai sensi dell’articolo 7 della legge 4 agosto

1993, n. 277.

Lo stesso articolo delega il Governo ad adottare entro quattro mesi un de-

creto legislativo che apporti tutte quelle modifiche al testo unico per l’elezione

della Camera dei deputati strettamente conseguenti a quanto previsto dal pre-

sente disegno di legge. L’articolo inoltre autorizza il Governo ad adottare, sem-

pre entro il termine di quattro mesi, il regolamento di attuazione della legge,

nonché a definire la scheda di votazione per l’elezione della Camera dei depu-

tati nei collegi uninominali. Lo stesso articolo, infine, conferma esplicitamente

il meccanismo di aggiornamento permanente dei collegi elettorali in caso di

mutamenti demografici.

L’articolo 5 fissa il termine per l’entrata in vigore della legge nel giorno suc-

cessivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

4.2.2 DIsegno DI legge n. 27

Nuove norme per l’elezione della Camera dei deputati

Art. 1. (Abrogazione degli articoli 1, 2, 3 e 6 della legge 21 dicembre 2005, n. 270)1. Gli articoli 1, 2, 3 e 6 della legge 21 dicembre 2005, n. 270, recante modifiche

alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repub-

blica, sono abrogati.

Art. 2. (Nuova vigenza delle disposizioni abrogate o modificate dalla legge 21 dicembre 2005, n. 270)

1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, riacquistano

efficacia le disposizioni del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione

della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30

69

marzo 1957, n. 361, nel testo vigente anteriormente alla data di entrata in vigore

della legge 21 dicembre 2005, n. 270, e con le modificazioni di cui all’articolo 3

della presente legge.

Art. 3. (Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361. Abolizione della quota proporzionale per l’elezione della Camera dei deputati e attribuzione di tutti i seggi con il sistema uninominale maggioritario a un turno)

1. Al testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei de-

putati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361,

nel testo risultante dalle disposizioni degli articoli 1 e 2 della presente legge,

sono apportate le seguenti modificazioni:

a) l’articolo 1 è sostituito dal seguente:

«Art. 1. – 1. La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale, con

voto diretto ed uguale, libero e segreto, espresso in un unico turno.

2. I seggi sono ripartiti tra le circoscrizioni ai sensi dell’articolo 56 della

Costituzione, e sono attribuiti, fatti salvi i seggi spettanti alla Valle

d’Aosta e alla circoscrizione Estero, in altrettanti collegi uninominali nei

quali risulta eletto il candidato che ha riportato il maggior numero di voti;

in caso di parità di voti risulta eletto il più anziano di età.»;

b) all’articolo 3, le parole: «singole circoscrizioni, di cui alla tabella A

allegata al presente testo unico,» sono sostituite dalle seguenti: «singole

regioni»;

c) l’articolo 4 è sostituito dal seguente:

«Art. 4. – 1. Il voto è un diritto di tutti i cittadini, il cui libero esercizio

deve essere promosso e garantito dalla Repubblica.

2. Ogni elettore dispone di un voto, da esprimere su apposita scheda

recante il cognome e il nome di ciascun candidato accompagnato dal

rispettivo contrassegno.»;

d) l’articolo 13 è sostituito dal seguente:

«Art. 13. – 1. Presso la Corte d’appello o il tribunale di ogni capoluogo

70

di regione è costituito, entro tre giorni dalla pubblicazione del decreto

di convocazione dei comizi, l’Ufficio centrale circoscrizionale, composto

da tre magistrati, dei quali uno con funzioni di presidente, scelti dal

presidente della Corte d’appello o del tribunale.»;

e) all’articolo 14, i commi primo, secondo e terzo sono sostituiti dai

seguenti:

«I partiti o i gruppi politici organizzati, nonché i singoli candidati che

intendono presentare candidature nei collegi uninominali, debbono

depositare presso il Ministero dell’interno il contrassegno con il quale

dichiarano di voler distinguere le candidature nei collegi uninominali.

All’atto del deposito del contrassegno i partiti e i gruppi politici

organizzati devono indicare la propria denominazione.

I partiti che notoriamente fanno uso di un determinato simbolo

sono tenuti a presentare le loro candidature con un contrassegno che

riproduca tale simbolo.

Non è ammessa la presentazione di contrassegni identici o confondibili,

ovvero di quelli riproducenti simboli usati tradizionalmente da altri

partiti.»;

f) all’articolo 18, i commi 1 e 2 sono sostituiti dai seguenti:

«1. La presentazione delle candidature nei collegi uninominali è fatta per

singoli candidati. Nessun candidato può accettare la candidatura in più

di un collegio. La candidatura della stessa persona in più di un collegio è

nulla.

2. Per ogni candidato nei collegi uninominali deve essere indicato il

cognome, il nome, il luogo e la data di nascita, il collegio uninominale per

il quale viene presentata la candidatura e il contrassegno o i contrassegni,

tra quelli depositati presso il Ministero dell’interno, con cui si intende

contraddistinguerlo; per le candidate donne può essere indicato il solo

cognome o può essere aggiunto il cognome del marito.»;

g) l’articolo 18-bis è abrogato;

71

h) l’articolo 19 è abrogato;

i) l’articolo 20 è sostituito dal seguente:

«Art. 20. – 1. Le candidature nei collegi uninominali devono essere

presentate alla cancelleria della Corte d’appello o del tribunale dei

capoluoghi di regione dalle ore 8 del trentacinquesimo giorno alle ore 20

del trentaquattresimo giorno antecedenti a quello della votazione. A tale

scopo, per il periodo suddetto, la cancelleria della Corte d’appello o del

tribunale resta aperta quotidianamente, compresi i giorni festivi, dalle

ore 8 alle ore 20.

2. Insieme alle candidature nei collegi uninominali, devono essere

presentati gli atti di accettazione delle candidature, i certificati di

iscrizione nelle liste elettorali dei candidati e la dichiarazione di

presentazione di candidature nei collegi uninominali firmata dal

prescritto numero di elettori.

3. La dichiarazione di cui al comma 2 deve essere corredata dai certificati,

anche collettivi, dei sindaci dei singoli comuni ai quali appartengono i

sottoscrittori che ne attestino le iscrizioni nelle liste elettorali dei comuni

del collegio o, in caso di collegi ricompresi in un unico comune, di sezioni

elettorali di tali collegi. I sindaci devono, nel termine improrogabile di

ventiquattro ore dalla richiesta, rilasciare tali certificati.

4. La firma degli elettori deve avvenire su appositi moduli riportanti

nome, cognome, data e luogo di nascita dei candidati, il contrassegno

o i contrassegni della loro candidatura nonché nome, cognome, data e

luogo di nascita dei sottoscrittori e deve essere autenticata da uno dei

soggetti di cui all’articolo 14 della legge 21 marzo 1990, n. 53, e successive

modificazioni. Deve essere indicato il comune nelle cui liste l’elettore

dichiara di essere iscritto. Per tale prestazione è dovuto al notaio o

cancelliere l’onorario di 0,50 euro per ogni sottoscrizione autenticata.

5. Nessun elettore può sottoscrivere più di una candidatura in collegi

uninominali.

72

6. Nella dichiarazione di presentazione della candidatura nei collegi

uninominali deve essere specificato con quale contrassegno o quali

contrassegni, tra quelli depositati presso il Ministero dell’interno, la

stessa intenda distinguersi.»;

l) l’articolo 31 è sostituito dal seguente:

«Art. 31. – 1. Le schede sono di carta consistente, sono predisposte a cura

del Ministero dell’interno con le caratteristiche essenziali del modello

definito con regolamento adottato ai sensi dell’articolo 17, comma l, della

legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, e riproducono in

fac simile i contrassegni di tutte le candidature nei collegi uni nominali,

regolarmente presentate.

2. Le schede per l’elezione dei candidati nei collegi uninominali

riportano accanto al cognome e al nome di ogni candidato il rispettivo

contrassegno.

3. Le schede devono pervenire agli uffici elettorali debitamente piegate.»;

m) all’articolo 45, l’ottavo comma è abrogato;

n) all’articolo 68, i commi 3 e 3-bis sono abrogati e l’ultimo periodo del

comma 7 è soppresso;

o) all’articolo 71:

1) al primo comma, numero 2), le parole: «dei voti di lista e» sono

soppresse;

2) al secondo comma, le parole: «o per le singole liste per l’attribuzione

dei seggi in ragione proporzionale» sono soppresse;

p) all’articolo 72, il secondo comma è abrogato;

q) all’articolo 77, comma 1, i numeri 2), 3), 4) e 5) sono abrogati;

r) l’articolo 83 è abrogato;

s) all’articolo 84, il comma 1 è abrogato;

t) l’articolo 85 è abrogato;

u) all’articolo 86, i commi 4 e 5 sono abrogati;

73

v) la tabella A è abrogata;

z) le parole: «di lista», «di liste», «della lista» e «delle liste», ovunque

ricorrano, sono soppresse.

Art. 4. (Disposizioni attuative)1. Il Governo è delegato ad adottare, entro quattro mesi dalla data di

entrata in vigore della presente legge, ai sensi dell’articolo 14 della legge

23 agosto 1988, n. 400, un decreto legislativo per la determinazione,

nell’ambito di ciascuna circoscrizione elettorale regionale, dei collegi

uninominali previsti dalla presente legge, sulla base dei princìpi e criteri

direttivi previsti dalle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 7 della legge

4 agosto 1993, n. 277.

2. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo si attiene alle

medesime procedure e modalità previste dai commi 2, 3 e 4 dell’articolo 7

della legge 4 agosto 1993, n. 277.

3. Il Governo è delegato ad adottare, entro quattro mesi dalla data di

entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo con cui

sono apportate al citato testo unico di cui al decreto del Presidente della

Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, come modificato dalla presente legge,

le modificazioni e le abrogazioni strettamente conseguenti a quanto

previsto dalla presente legge.

4. Entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il

Governo adotta il relativo regolamento di attuazione ai sensi dell’articolo

17, comma 1, lettera b), della legge 23 agosto 1988, n. 400; con il predetto

regolamento, è definito il modello della scheda di votazione per l’elezione

della Camera dei deputati nei collegi uninominali.

5. Resta fermo quanto previsto al comma 6 dell’articolo 7 della legge 4

agosto 1993, n. 277.

74

Art. 5. (Entrata in vigore)1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pub-

blicazione nella Gazzetta Ufficiale.

4.3 Elezione della Camera dei deputati per la regione Trentino-Alto Adige

Disegno di legge n. 28 d’iniziativa dei senatori PETERLINI e PINZGER, comu-

nicato alla presidenza il 29 aprile 2008

Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30

marzo 1957, n. 361, in materia di elezione della Camera dei deputati per la re-

gione Trentino-Alto Adige

4.3.1 IllustrazIone

Già nel testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Re-

pubblica sono previste disposizioni speciali per le regioni Valle d’Aosta e Tren-

tino-Alto Adige/Südtirol, nelle quali vivono minoranze linguistiche, costitu-

zionalmente riconosciute e protette.

La legge elettorale prevede, infatti, per l’elezione dell’unico senatore della

Valle d’Aosta e per l’elezione dei senatori della regione Trentino-Alto Adige/

Südtirol le elezioni in collegi uninominali, fatto salvo un seggio proporzionale

nella regione Trentino-Alto Adige/Südtirol. Questa previsione di collegi uni-

nominali corrisponde anche alla misura 111 del cosiddetto Pacchetto conte-

nente misure a favore delle popolazioni altoatesine, concordato con l’Austria.

In base all’ultimo censimento generale della popolazione e alla ripartizione

dei seggi effettuata ai sensi dell’articolo 56 della Costituzione, al Trentino-Alto

Adige/Südtirol spettano dieci seggi. Il presente disegno di legge prevede che

anche per l’elezione della Camera dei deputati nel Trentino-Alto Adige/Südti-

75

rol i seggi siano assegnati tramite collegi uninominali, cinque alla provincia di

Trento e cinque alla provincia di Bolzano. In ogni caso, il numero preciso di essi

sarà stabilito con decreto del Presidente della Repubblica che terrà conto del-

le aree territoriali e, quindi, distribuirà i seggi in proporzione alla popolazione,

definendo collegi omogenei che tengano conto anche della distribuzione terri-

toriale dei diversi gruppi linguistici.

Pertanto, lo scopo del presente disegno di legge è quello di favorire la rap-

presentanza parlamentare dei gruppi e delle minoranze linguistiche, così come

dettato dal principio costituzionale.

Il disegno di legge si compone di un unico articolo che modifica il testo uni-

co delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al

decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e in particolare

il titolo VI, il quale non si intitola più «Disposizioni speciali per il Collegio Val-

le d’Aosta», ma «Disposizioni speciali per il Collegio della Valle d’Aosta/Vallée

d’Aoste e per i Collegi del Trentino-Alto Adige/Südtirol», oltre a modificare e

introdurre ulteriori disposizioni nel predetto testo unico.

4.3.2 DIsegno DI legge n. 28

Elezione della Camera dei deputati per la regione Trentino-Alto Adige

Art. 1.1. Al testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei de-

putati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361,

sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 1, comma 2, dopo le parole: «alla circoscrizione Estero» sono

inserite le seguenti: «, alla regione autonoma Trentino-Alto Adige/

Südtirol e alla regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste»;

b) l’articolo 2 è sostituito dal seguente:

«Art. 2. – 1. L’elezione nel collegio «Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste», che

76

è circoscrizione elettorale, e nei collegi della regione autonoma del

Trentino-Alto Adige/Südtirol, che è anche essa circoscrizione elettorale,

è regolata dalla norme contenute nel titolo VI del presente testo unico»;

c) dopo l’articolo 2 è inserito il seguente:

«Art. 2-bis. – 1. La circoscrizione elettorale della regione Trentino-

Alto Adige/Südtirol è costituita da tanti collegi uninominali quanti

risultano i deputati da eleggere a seguito della ripartizione dei seggi tra

le circoscrizioni, effettuata ai sensi dell’articolo 56 della Costituzione.

In ogni caso il numero dei collegi spettanti alla circoscrizione è

proporzionalmente ripartito tra le province autonome di Trento e di

Bolzano e, all’interno delle province, i collegi sono ripartiti in modo da

comprendere un numero di abitanti omogeneo, tenendo conto delle aree

territoriali e della distribuzione territoriale dei diversi gruppi linguistici»;

d) la rubrica del titolo VI è sostituita dalla seguente: «Disposizioni speciali

per il Collegio della Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e per i Collegi del

Trentino-Alto Adige/Südtirol»;

e) nel titolo VI, dopo l’articolo 93, sono inseriti i seguenti:

«Art. 93-bis. – 1. L’elezione nei collegi uninominali della regione

Trentino-Alto Adige/Südtirol è regolata dalle disposizioni del presente

testo unico, in quanto applicabili, e dalle norme seguenti:

a) le candidature sono presentate per ogni singolo collegio uninominale

dai singoli candidati. Nessun candidato può accettare la candidatura in

più di un collegio o circoscrizione. La candidatura della stessa persona in

più di un collegio o circoscrizione è nulla;

b) per ogni candidato nel collegio uninominale deve essere indicato il

cognome, il nome, il luogo e la data di nascita, il collegio uninominale

per il quale viene presentato e il contrassegno o i contrassegni tra

quelli depositati presso il Ministero dell’interno con cui si intende

contraddistinguerlo. Per le candidate donne può essere indicato solo il

proprio cognome, o può esser aggiunto il cognome del marito;

77

c) la dichiarazione di presentazione dei candidati nei collegi uninominali

deve contenere l’indicazione dei nominativi di un delegato effettivo e di

un supplente;

d) la dichiarazione di presentazione dei singoli candidati nei collegi

uninominali deve essere sottoscritta da non meno di 300 e da non più di

600 elettori iscritti nelle liste elettorali di comuni ricompresi nel collegio

o, in caso di collegi ricompresi in un unico comune, iscritti alle sezioni

elettorali di tali collegi. In caso di scioglimento della Camera dei deputati

che anticipi di oltre centoventi giorni la scadenza della legislatura, il

numero delle sottoscrizioni è ridotto alla metà. Le sottoscrizioni sono

autenticate da uno dei soggetti di cui all’articolo 14 della legge 21 marzo

1990, n. 53, e successive modificazioni;

e) i candidati che abbiano conseguito un seggio in occasione delle

ultime elezioni alla Camera dei deputati o al Senato della Repubblica

sono esentati dalla raccolta delle firme per la presentazione delle loro

candidature per la Camera dei deputati e per il Senato della Repubblica

in uno dei collegi della regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol o

nel collegio della Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste;

f ) la candidatura è accettata con dichiarazione firmata ed autenticata da

un sindaco, da un notaio o da uno dei soggetti di cui all’articolo 14 della

legge 21 marzo 1990, n. 53, e successive modificazioni. Per i cittadini

residenti all’estero l’autenticazione della firma è richiesta ad un ufficio

diplomatico o consolare;

g) l’accettazione della candidatura è accompagnata da apposita

dichiarazione dalla quale risulti che il candidato non ha accettato

candidature in altri collegi o circoscrizioni;

h) le schede sono di carta consistente, sono predisposte a cura del

Ministero dell’interno con le caratteristiche essenziali che riproducono

in fac-simile i contrassegni di tutte le liste regolarmente presentate nel

collegio e il nome del relativo candidato.

78

Art. 93-ter. – 1. L’ufficio elettorale regionale procede, con l’assistenza del can-

celliere, alle seguenti operazioni:

a) effettua lo spoglio delle schede eventualmente inviate dalle sezioni;

b) somma i voti ottenuti da ciascun candidato nelle singole sezioni, come

risultano dai verbali.

2. Il presidente dell’ufficio elettorale regionale, in conformità ai risultati

accertati, proclama eletto per ciascun collegio il candidato che ha ottenuto il

maggior numero di voti validi. In caso di parità di voti, è proclamato eletto il

candidato più anziano di età.

Art. 93-quater. – 1. Quando, per qualsiasi causa, resti vacante un seggio di de-

putato in uno dei collegi uninominali del Trentino-Alto Adige/Südtirol e della

Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, il presidente della Camera dei deputati ne dà im-

mediata comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro

dell’interno perché si proceda ad elezione suppletiva nel collegio interessato.

2. I comizi sono convocati con decreto del Presidente della Repubblica, su

deliberazione del Consiglio dei ministri, purché intercorra almeno un anno fra

la data della vacanza e la scadenza normale della legislatura.

3. Le elezioni suppletive sono indette entro novanta giorni dalla data della

vacanza dichiarata dalla Giunta delle elezioni.

4. Qualora il termine di novanta giorni di cui al comma 3 cada in un periodo

compreso tra il 10 agosto e il 15 settembre, il Governo è autorizzato a prorogare

tale termine di non oltre quarantacinque giorni; qualora il medesimo termine

cada in un periodo compreso tra il 15 dicembre e il 15 gennaio, il Governo può

disporre la proroga per non oltre trenta giorni.

5. Il deputato eletto con elezione suppletiva cessa dal mandato con la sca-

denza costituzionale o l’anticipato scioglimento della Camera dei deputati.

6. Nel caso in cui si proceda ad elezioni suppletive, le cause di ineleggibilità

previste dall’articolo 7 del presente testo unico non hanno effetto se le funzioni

esercitate siano cessate entro i sette giorni successivi alla data di pubblicazione

del decreto di indizione delle elezioni».

79

4.4 Elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia

Disegno di legge n. 33 d’iniziativa dei senatori PETERLINI, CUFFARO, THA-

LER AUSSERHOFER, FOSSON, D’ALIA e PINZGER, comunicato alla presi-

denza il 29 aprile 2008

Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l’elezione dei membri

del Parlamento europeo spettanti all’Italia

4.4.1 IllustrazIone

Il presente disegno di legge è dettato dall’esigenza di tutelare le minoranze et-

niche e linguistiche, fortemente penalizzate dalle disposizioni vigenti per l’ele-

zione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia. Nemmeno le mi-

noranze numericamente più forti riescono infatti a raggiungere il quoziente per

poter eleggere un proprio rappresentante a Strasburgo. Il quoziente è di cir-

ca 400.000 voti, mentre la popolazione tedesco-ladina a Bolzano conta circa

300.000 persone e la popolazione francofona nella Valle d’Aosta conta circa

90.000 elettori.

Anche se l’articolo 12, nono comma, della legge 24 gennaio 1979, n. 18, pre-

vede la possibilità di collegamento con altri partiti che si presentano a livel-

lo nazionale, tale possibilità non garantisce l’eguaglianza sostanziale richiesta

dall’articolo 3 della Costituzione e tanto meno corrisponde al dettato dell’arti-

colo 6 della stessa Carta, secondo il quale la Repubblica italiana deve tutelare le

minoranze linguistiche con norme specifiche.

Il presente disegno di legge mira proprio all’introduzione di tale meccani-

smo di tutela, volendo evitare cioè che il collegio elettorale di una piccola re-

gione venga allargato, con la conseguente messa in minoranza della popola-

zione francofona e, rispettivamente, di quella ladino-tedesca.

80

Da qui la necessità di istituire un proprio collegio elettorale a tutela delle

specificità linguistiche delle zone interessate.

In Belgio, nel 1996, è stata creata una circoscrizione a sé stante per il terri-

torio ove risiede la minoranza germanofona, al fine di favorire l’elezione di un

suo rappresentante al Parlamento europeo.

Sarebbe un segnale molto positivo, anche per l’immagine dell’Italia all’este-

ro, se il Parlamento cogliesse l’occasione per assegnare un certo numero di

seggi alle minoranze etniche, seguendo così l’esempio del Belgio.

4.4.2 DIsegno DI legge n. 33

Elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia

Art. 1.1. All’articolo 2 della legge 24 gennaio 1979, n. 18, e successive modificazioni,

sono apportate le seguenti modifiche:

a) dopo il primo comma è inserito il seguente:

«La provincia autonoma di Bolzano e la regione autonoma Valle d’Aosta

formano rispettivamente una circoscrizione elettorale»;

b) è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«Alla provincia autonoma di Bolzano e alla regione autonoma Valle

d’Aosta è assegnato rispettivamente un rappresentante».

Art. 2.1. Al nono comma dell’articolo 12 della legge 24 gennaio 1979, n. 18, le parole:

«di lingua francese della Valle d’Aosta, di lingua tedesca della provincia di Bol-

zano e» sono soppresse.

81

Art. 3.1. Al secondo comma dell’articolo 21 della legge 24 gennaio 1979, n. 18, è ag-

giunto, in fine, il seguente periodo: «Il seggio, rispettivamente, della circoscri-

zione della provincia autonoma di Bolzano e della circoscrizione della regione

autonoma Valle d’Aosta è attribuito alla lista che ha ottenuto la maggiore cifra

elettorale circoscrizionale».

Art. 4.1. La tabella A allegata alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, e successive modifica-

zioni, è sostituita dalla tabella A di cui all’allegato alla presente legge.

Allegato (articolo 4)«Tabella A

CIRCOSCRIZIONI ELETTORALI

CIRCOSCRIZIONI CAPOLUOGO DELLA

CIRCOSCRIZIONE

Italia nord-occidentale (Piemonte, Liguria, Lombardia) Milano I

Italia nord-orientale (Veneto, provincia autonoma di Trento, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna)

Venezia II

Italia centrale (Toscana, Umbria, Marche, Lazio) Roma III

Italia meridionale (Abruzzo, Molise, Cam-pania, Puglia, Basilicata, Calabria)

Napoli IV

Italia insulare (Sicilia, Sardegna) Palermo V

Valle d’Aosta Aosta VI

Provincia autonoma di Bolzano Bolzano VII

82

4.5 Garantire la minoranza slovena nel consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia

Disegno di legge costituzionale n. 34 d’iniziativa del senatore PETERLINI, co-

municato alla presidenza il 29 aprile 2008

Modifica all’articolo 13 dello Statuto speciale della Regione Friuli Venezia Giu-

lia, di cui alla legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, in materia di elezione

del consiglio regionale

4.5.1 IllustrazIone

Il presente disegno di legge costituzionale è dettato dalla necessità di mantene-

re e salvaguardare le diverse identità regionali, garantendo a ciascun ente terri-

toriale la facoltà di determinare autonomamente il proprio sistema elettorale.

In una prospettiva federale, democratica e pluralistica, la libera determinazione

della propria legge elettorale è un principio fondamentale, dal quale non si può

prescindere.

Nel quadro della specifica realtà giuridica giuliana, la presente proposta

mira poi a garantire alla minoranza slovena stanziata sul territorio del Friuli-

Venezia Giulia il diritto a venire comunque rappresentata a livello regionale.

Molti sistemi elettorali, infatti, rendono molto arduo, se non addirittura

impossibile, l’elezione di candidati appartenenti alla minoranza, tenendo so-

prattutto conto del fatto che la stessa non è concentrata sul territorio.

L’esclusione degli appartenenti alla minoranza dagli organi elettivi regio-

nali comporta, naturalmente, un peggioramento della situazione degli sloveni

in Friuli-Venezia Giulia, facendo mancare loro la possibilità di un dialogo de-

mocratico nelle istituzioni.

Alla luce di tali considerazioni, si propone la presente modifica dell’articolo

13 dello Statuto del Friuli-Venezia Giulia.

83

4.5.2 DIsegno DI legge costItuzIonale n. 34

Garantire la minoranza slovena nel consiglio regionale del Friuli-Venezia Giu-

lia

Art. 1. 1. Il primo comma dell’articolo 13 dello Statuto speciale della Regione Friuli-

Venezia Giulia, di cui alla legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, e successi-

ve modificazioni, è sostituito dal seguente:

«Il Consiglio regionale è eletto a suffragio universale diretto, libero, ugua-

le e segreto, secondo le norme stabilite con legge regionale, che deve garantire

l’elezione di almeno un rappresentante della minoranza slovena».

4.6 Nuove disposizioni in materia di elezione del Senato della Repubblica

Disegno di legge n. 2938 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla

presidenza il 30 settembre 2011

Nuove disposizioni in materia di elezione del Senato della Repubblica

4.6.1 IllustrazIone

Il presente disegno di legge, che fa seguito ad un’altra iniziativa del proponente

in relazione alle elezioni della Camera dei deputati (atto Senato n. 27, recante

«Nuove norme per l’elezione della Camera dei deputati»), è teso alla modifi-

ca della normativa vigente concernente l’elezione del Senato della Repubbli-

ca, a Costituzione invariata. Tuttavia rimane urgente la necessità di una rifor-

ma istituzionale, avviata da una legge di revisione costituzionale, con il relativo

procedimento aggravato, per una forma diversa dell’elezione del Senato, quale

84

quella in tema di Senato federale avanzata pure dal proponente con disegno di

legge costituzionale (atto Senato n. 24, recante «Modifiche agli articoli 55 e 57

e abrogazione dell’articolo 58 della Costituzione in materia di composizione

del Senato della Repubblica e di elettorato attivo e passivo»). È di tutta eviden-

za, in ogni caso, l’esigenza di modificare la legge elettorale vigente. Tale esigen-

za nasce a seguito dell’esperienza fortemente negativa che si è registrata con

l’applicazione delle norme attualmente in vigore. La legge 21 dicembre 2005,

n. 270, di modifica del sistema elettorale per l’elezione della Camera dei depu-

tati e del Senato della Repubblica, ha infatti radicalmente modificato il quadro

e l’assetto normativo previgente come definito dalla legge 4 agosto 1993, n. 276

(il cosiddetto «Mattarellum»), segnando una netta discontinuità rispetto al

passato, e trasformando in particolare il sistema da «maggioritario corretto» a

«proporzionale con clausola di sbarramento e premio di maggioranza».

La riforma elettorale approvata con la menzionata legge del 2005 è stata,

ab origine, oggetto di innumerevoli rilievi critici, sia in sede scientifica, sia in

sede di confronto politico-parlamentare, e ha concretamente mostrato tutti i

suoi punti di debolezza fin dalla sua prima applicazione, ovvero in occasione

delle elezioni politiche del 2006. Nella cieca convinzione che potessero garan-

tire maggiori vantaggi in termini di rappresentatività e che potessero rispec-

chiare meglio i reali rapporti di forza tra i partiti, sono state introdotte norme,

come quelle del 2005, che purtroppo hanno generato solo un forte e dramma-

tico distacco tra elettori ed eletti, tra corpo elettorale e rappresentanti in Par-

lamento, e che peraltro hanno reso maggiormente instabile il Governo, che ha

riportato una maggioranza davvero esile al Senato; in particolare, poi, il siste-

ma introdotto con la legge n. 270 del 2005 ha compresso in modo significa-

tivo la riconoscibilità dei candidati da parte dell’elettore, facendo aumentare

la distanza tra la base elettorale e la sua rappresentanza parlamentare. E, co-

me intuibile, la compressione della rappresentanza in un momento di generale

«scollamento» fra le istituzioni e la società civile non può non amplificare, in

85

ultimo, la sfiducia dei cittadini per la politica e le istituzioni, accrescendo la di-

saffezione al voto.

Alla luce di tali considerazioni, quindi, il presente disegno di legge inten-

de incidere sulla normativa elettorale vigente abrogando le disposizioni della

legge 21 dicembre 2005, n. 270, limitatamente alla parte che regola l’elezione

del Senato della Repubblica, e riportando sostanzialmente in vigore le disposi-

zioni introdotte con il testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993,

n. 533, nella versione previgente alla riforma elettorale del 2005. Si rende or-

mai improcrastinabile superare l’attuale sistema e approvare nella legislatura

in corso, all’esito di un ampio dibattito parlamentare che sia condiviso il più

possibile dalle diverse forze politiche, una nuova legge elettorale, affinché si

arrivi ad una riforma che riesca a contemperare le esigenze della rappresentan-

za, della stabilità di governo, nonché di un efficiente funzionamento delle isti-

tuzioni parlamentari, con le peculiarità del sistema politico italiano.

La modifica proposta – e che, come già ricordato, fa seguito ad un altro

disegno di legge presentato dal proponente in relazione alle elezioni delle Ca-

mera dei deputati fin da inizio legislatura – va dunque intesa quale ulteriore

contributo al dibattito ormai da tempo in corso nel Paese sull’argomento, con

l’auspicio che la delicata questione di una nuova legge elettorale venga al più

presto sottoposta all’esame del Parlamento.

4.6.2 DIsegno DI legge n. 2938

Nuove disposizioni in materia di elezione del Senato della Repubblica

Titolo I

DISPOSIZIONI GENERALI

86

Art. 1.1. Il Senato della Repubblica è eletto su base regionale. I seggi sono ripartiti

tra le regioni a norma dell’articolo 57 della Costituzione sulla base dei

risultati dell’ultimo censimento generale della popolazione, riportati

dalla più recente pubblicazione ufficiale dell’Istituto nazionale di

statistica, con decreto del Presidente della Repubblica, da emanare, su

proposta del Ministro dell’interno, previa deliberazione del Consiglio dei

ministri, contemporaneamente al decreto di convocazione dei comizi.

2. Il territorio di ciascuna regione, con eccezione del Molise e della

Valle d’Aosta, è ripartito in collegi uninominali, pari ai tre quarti dei

seggi assegnati alla regione, con arrotondamento per difetto. Per

l’assegnazione degli ulteriori seggi spettanti, ciascuna regione è costituita

in unica circoscrizione elettorale.

3. La regione Valle d’Aosta è costituita in unico collegio uninominale. Il

territorio della regione Molise è ripartito in due collegi uninominali.

4. I collegi uninominali della regione Trentino-Alto Adige sono definiti

dalla legge 30 dicembre 1991, n. 422.

Art. 2.1. Il Senato della Repubblica è eletto a suffragio universale, favorendo l’equili-

brio della rappresentanza tra donne e uomini con voto diretto, libero e segreto,

sulla base dei voti espressi nei collegi uninominali. I seggi nei collegi uninomi-

nali sono attribuiti con sistema maggioritario. Gli ulteriori seggi sono attribuiti

proporzionalmente in circoscrizioni regionali tra i gruppi di candidati concor-

renti nei collegi uninominali.

Art. 3.1. I comizi elettorali sono convocati con decreto del Presidente della

Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei ministri.

87

2. Il decreto di convocazione dei comizi per l’elezione dei senatori deve

essere pubblicato nella Gazzetta Ufficiale non oltre il quarantacinquesimo

giorno antecedente quello della votazione.

Art. 4.1. Sono eleggibili a senatori gli elettori che, al giorno delle elezioni, hanno com-

piuto il quarantesimo anno di età e non si trovano in alcuna delle condizio-

ni d’ineleggibilità previste dagli articoli 7, 8, 9 e 10 del testo unico delle leggi

recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del

Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni.

Titolo II

DEGLI UFFICI ELETTORALI CIRCOSCRIZIONALI E REGIONALI

Art. 5.1. Il tribunale nella cui giurisdizione si trovano uno o più collegi previsti

dalla tabella delle circoscrizioni si costituisce in tanti uffici elettorali

circoscrizionali quanti sono i collegi medesimi.

2. Se in un collegio si trovano le sedi di due o più tribunali, l’ufficio si

costituisce nella sede avente maggiore popolazione.

3. Ogni ufficio elettorale circoscrizionale esercita le sue funzioni con

l’intervento di tre magistrati, dei quali uno presiede, nominati dal

presidente del tribunale entro dieci giorni dalla pubblicazione del decreto

di convocazione dei comizi.

Art. 6.1. La corte d’appello o il tribunale del capoluogo della regione si costituisce in

ufficio elettorale regionale con l’intervento di cinque magistrati, dei quali uno

presiede, nonché di quattro esperti con attribuzioni esclusivamente tecniche,

88

nominati dal presidente della corte d’appello o dal presidente del tribunale en-

tro tre giorni dalla pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi.

Titolo III

DELLE CANDIDATURE, DEI DELEGATI, DEI RAPPRESENTANTI DEI CAN-

DIDATI E DEI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI DI CANDIDATI

Art. 7.1. I partiti o gruppi politici organizzati nonché singoli candidati che intendono

presentare candidature per la elezione del Senato devono depositare presso il

Ministero dell’interno il contrassegno o i contrassegni con i quali dichiarano di

voler distinguere le candidature medesime, con l’osservanza delle norme di cui

agli articoli 14, 15, 16 e 17 del testo unico delle leggi recanti norme per la elezio-

ne della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica

30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni.

Art. 8.1. La presentazione delle candidature per i singoli collegi è fatta per gruppi

ai quali i candidati aderiscono con l’accettazione della candidatura.

Ciascun gruppo deve comprendere un numero di candidature non

inferiore a tre e non superiore al numero dei collegi della regione.

La presentazione può avvenire anche per singoli candidati, che non

partecipano al riparto dei seggi in ragione proporzionale.

2. A pena di nullità dell’elezione, nessun candidato può accettare la

candidatura in più di un collegio uninominale o la candidatura

contestuale al Senato e alla Camera dei deputati.

3. Per ogni candidato devono essere indicati cognome, nome, luogo e data

di nascita, il collegio per il quale viene presentato e il contrassegno, tra

quelli depositati presso il Ministero dell’interno, con il quale si intende

contraddistinguerlo.

89

4. Le candidate, all’atto dell’accettazione della candidatura, possono

scegliere se indicare il proprio cognome solo o con l’aggiunta di quello del

coniuge.

5. La dichiarazione di presentazione del gruppo dei candidati deve

contenere l’indicazione dei nominativi di due delegati effettivi e di

due supplenti. La dichiarazione di presentazione delle candidature

individuali può contenere l’indicazione di un delegato.

6. La dichiarazione di cui al comma 5 deve essere sottoscritta: a) da almeno

1.000 e da non più di 1.500 elettori iscritti nelle liste elettorali di comuni

compresi nelle regioni fino a 500.000 abitanti; b) da almeno 1.750 e da

non più di 2.500 elettori iscritti nelle liste elettorali di comuni compresi

nelle regioni con più di 500.000 abitanti e fino a 1.000.000 di abitanti; c)

da almeno 3.500 e da non più di 5.000 elettori iscritti nelle liste elettorali

di comuni compresi nelle regioni con più di 1.000.000 di abitanti. In caso

di scioglimento del Senato della Repubblica che ne anticipi la scadenza di

oltre centoventi giorni, il numero delle sottoscrizioni di cui alle lettere a),

b) e c) è ridotto alla metà. Per le candidature individuali la dichiarazione

di presentazione deve essere sottoscritta da almeno 1.000 e da non più di

1.500 elettori iscritti nelle liste elettorali del collegio.

7. L’accettazione della candidatura deve essere accompagnata da apposita

dichiarazione dalla quale risulti che il candidato non ha accettato

candidature in altri collegi.

8. La documentazione relativa ai gruppi dei candidati ed alle candidature

individuali deve essere presentata per ciascuna regione alla cancelleria

della corte d’appello o del tribunale sede dell’ufficio elettorale regionale

dalle ore 8 del trentacinquesimo giorno alle ore 20 del trentaquattresimo

giorno antecedente quello della votazione.

9. La presentazione del gruppo di candidature deve essere effettuata,

nel caso di pluralità di contrassegni, congiuntamente dai rispettivi

rappresentanti di cui all’articolo 17 del testo unico delle leggi recanti

90

norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto

del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive

modificazioni.

Art. 9.1. L’ufficio elettorale regionale verifica se le candidature siano state

presentate nei termini e nelle forme prescritte.

2. I delegati di ciascun gruppo di candidati possono prendere cognizione,

entro la stessa giornata, delle contestazioni fatte dall’ufficio elettorale

regionale e delle modificazioni da questo apportate.

3. La stessa facoltà di cui al comma 2 è concessa al singolo candidato o al

suo delegato.

4. L’ufficio elettorale regionale si riunisce nuovamente il giorno successivo

alle ore 12 per udire eventualmente i delegati ed ammettere nuovi

documenti nonché correzioni formali e deliberare in merito.

5. Le decisioni dell’ufficio elettorale regionale in ordine all’ammissione

dei gruppi di candidati e delle candidature individuali sono comunicate,

nella stessa giornata, ai delegati.

6. Contro le decisioni di eliminazione dei gruppi di candidati o delle

candidature, i delegati possono ricorrere all’Ufficio centrale nazionale

previsto dall’articolo 12 del testo unico delle leggi recanti norme per la

elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della

Repubblica 30 marzo 1957, n. 361.

7. Per le modalità ed i termini per la presentazione dei ricorsi nonché per

le decisioni degli stessi e per le conseguenti comunicazioni ai ricorrenti

ed agli uffici elettorali regionali si osservano le norme di cui all’articolo

23 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica

n. 361 del 1957, e successive modificazioni.

91

Art. 10.1. L’ufficio elettorale regionale, appena scaduto il termine stabilito per la pre-

sentazione dei ricorsi o, nel caso in cui sia stato presentato ricorso, appena ri-

cevuta la comunicazione della decisione dell’Ufficio centrale nazionale, compie

le seguenti operazioni:

a) stabilisce mediante sorteggio, da effettuare alla presenza dei delegati

appositamente convocati, il numero d’ordine da assegnare ai candidati

ammessi. I nominativi dei candidati ed i relativi contrassegni sono

riportati sulle schede di votazione e sul manifesto di cui alla lettera d)

secondo l’ordine risultato dal sorteggio;

b) assegna per ciascun collegio un numero d’ordine a ciascun candidato

secondo l’ordine di ammissione;

c) comunica ai delegati le definitive decisioni adottate;

d) procede, per ciascun collegio, per mezzo della prefettura nel cui ambito

ha sede l’ufficio elettorale circoscrizionale:

1) alla stampa delle schede di votazione, recanti le generalità dei

candidati ed i relativi contrassegni, i quali devono essere riprodotti sulle

schede medesime con i colori depositati presso il Ministero dell’interno

ai sensi dell’articolo 7;

2) alla stampa del manifesto con il nome dei candidati, con i relativi

contrassegni e numero d’ordine, ed all’invio del manifesto ai sindaci dei

comuni del collegio, i quali ne curano l’affissione nell’albo pretorio ed in

altri luoghi pubblici entro il quindicesimo giorno antecedente quello della

votazione.

2. I nominativi dei candidati ed i relativi contrassegni sono riportati nelle sche-

de di votazione e sul manifesto secondo l’ordine di cui alla lettera b) del comma

1.

3. Le schede sono di carta consistente, di identico tipo e colore per ogni col-

legio, sono fornite a cura del Ministero dell’interno, hanno le caratteristiche

essenziali del modello descritto nelle tabelle A e B allegate alla presente legge

92

e riproducono le generalità dei candidati ed i contrassegni secondo l’ordine di

cui alla lettera a) del comma 1.

4. Le schede devono pervenire agli uffici elettorali debitamente piegate.

5. La scheda elettorale per l’elezione uninominale nel collegio della Valle

d’Aosta deve recare doppie diciture in lingua italiana ed in lingua francese.

Art. 11.1. La designazione dei rappresentanti dei gruppi di candidati presso gli

uffici elettorali regionali e dei rappresentanti dei candidati presso l’ufficio

elettorale circoscrizionale e le singole sezioni è effettuata dai delegati

con le modalità e nei termini previsti dall’articolo 25 del testo unico

delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di

cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e

successive modificazioni.

2. I rappresentanti presso gli uffici elettorali regionali devono essere

iscritti nelle liste elettorali di un comune della regione; i rappresentanti

dei candidati presso i seggi e presso l’ufficio elettorale circoscrizionale

devono essere iscritti nelle liste elettorali del collegio.

Titolo IV

DELLA VOTAZIONE

Art. 12.1. All’elezione dei senatori partecipano gli elettori che hanno compiuto il

venticinquesimo anno di età.

2. Il presidente, gli scrutatori e il segretario del seggio, nonché i militari

delle Forze armate e gli appartenenti a Corpi organizzati militarmente

per il servizio dello Stato, alle Forze di polizia ed al Corpo nazionale dei

vigili del fuoco, sono ammessi a votare, rispettivamente, nella sezione

93

presso la quale esercitano le loro funzioni o nel comune in cui si trovano

per causa di servizio.

3. I rappresentanti dei candidati alle elezioni del Senato della Repubblica

votano nella sezione presso la quale esercitano il loro ufficio, purché

siano elettori del collegio.

4. I rappresentanti dei candidati nei collegi uninominali e delle liste dei

candidati alle elezioni della Camera dei deputati votano per l’elezione del

Senato della Repubblica nella sezione presso la quale esercitano le loro

funzioni, purché siano elettori del collegio senatoriale.

Art. 13.1. Il voto si esprime tracciando, con la matita, un solo segno, comunque appo-

sto, nel rettangolo contenente il contrassegno ed il cognome e nome del candi-

dato prescelto. Sono vietati altri segni o indicazioni.

Titolo V

DELLE OPERAZIONI DELL’UFFICIO ELETTORALE CIRCOSCRIZIONALE

Art. 14.1. L’ufficio elettorale circoscrizionale, costituito ai sensi dell’articolo 5,

procede con l’assistenza del cancelliere alle operazioni seguenti:

a) effettua lo spoglio delle schede eventualmente inviate dalle sezioni;

b) somma i voti ottenuti da ciascun candidato nelle singole sezioni, come

risultano dai verbali.

2. Il presidente dell’ufficio elettorale circoscrizionale, in conformità ai

risultati accertati, proclama eletto per ciascun collegio il candidato che

ha ottenuto il maggior numero di voti validi. In caso di parità di voti, è

proclamato eletto il candidato più anziano di età.

3. Dell’avvenuta proclamazione il presidente dell’ufficio elettorale

circoscrizionale invia attestato al senatore proclamato e dà immediata

94

notizia alla segreteria del Senato, nonché alla prefettura o alle prefetture

nelle cui circoscrizioni si trova il collegio, perché, a mezzo dei sindaci, sia

portata a conoscenza degli elettori.

4. L’ufficio elettorale circoscrizionale dà immediata comunicazione della

proclamazione del senatore eletto all’ufficio elettorale regionale, a mezzo

del verbale.

Art. 15.1. Di tutte le operazioni dell’ufficio elettorale circoscrizionale viene redatto,

in triplice esemplare, apposito verbale; uno degli esemplari è inviato

subito alla segreteria del Senato, che ne rilascia ricevuta; il secondo è

trasmesso alla cancelleria della corte di appello o del tribunale sede

dell’ufficio elettorale regionale.

2. Il terzo esemplare è depositato nella cancelleria del tribunale dove ha

sede l’ufficio elettorale circoscrizionale. Gli elettori del collegio hanno

facoltà di prenderne visione nei successivi quindici giorni.

Titolo VI

DELLE OPERAZIONI DELL’UFFICIO ELETTORALE REGIONALE

Art. 16.1. Per l’assegnazione dei seggi spettanti a ciascuna regione non assegnati

nei collegi uninominali, l’ufficio elettorale regionale, costituito presso

la corte d’appello o il tribunale ai sensi dell’articolo 6, appena in

possesso delle comunicazioni o dei verbali trasmessi da tutti gli uffici

elettorali circoscrizionali della regione, procede, con l’assistenza del

cancelliere e alla presenza dei rappresentanti dei gruppi di candidati,

alla determinazione della cifra elettorale di ciascun gruppo di candidati

e della cifra individuale dei singoli candidati di ciascun gruppo non

risultati eletti ai sensi dell’articolo 14.

95

2. La cifra elettorale dei gruppi di candidati è data dalla somma dei voti

ottenuti dai candidati presenti nei collegi uninominali della regione con

il medesimo contrassegno, sottratti i voti dei candidati già proclamati

eletti ai sensi dell’articolo 14. La cifra individuale dei singoli candidati è

determinata moltiplicando per cento il numero dei voti validi ottenuti

da ciascun candidato non risultato eletto ai sensi dell’articolo 14, e

dividendo il prodotto per il totale dei voti validi espressi nel collegio.

3. Per l’assegnazione dei seggi, l’ufficio elettorale regionale divide la cifra

elettorale di ciascun gruppo successivamente per uno, due, tre, quattro...,

fino alla concorrenza del numero dei senatori da eleggere, scegliendo

quindi fra i quozienti così ottenuti i più alti in numero eguale ai senatori

da eleggere, disponendoli in una graduatoria decrescente. I seggi sono

assegnati ai gruppi in corrispondenza ai quozienti compresi in questa

graduatoria. A parità di quoziente il seggio è attribuito al gruppo che ha

ottenuto la minore cifra elettorale. Se a un gruppo spettano più seggi di

quanti sono i suoi candidati, i seggi esuberanti sono distribuiti secondo

l’ordine della graduatoria di quoziente.

4. L’ufficio elettorale regionale proclama quindi eletti, in corrispondenza

ai seggi attribuiti ad ogni gruppo, i candidati del gruppo medesimo che

abbiano ottenuto la più alta cifra individuale, esclusi i candidati eletti ai

sensi dell’articolo 14.

5. Dell’avvenuta proclamazione il presidente dell’ufficio elettorale

regionale invia attestato al senatore proclamato e dà immediata notizia

alla segreteria del Senato, nonché alla prefettura o alle prefetture della

regione, perché, a mezzo dei sindaci, sia portata a conoscenza degli

elettori.

96

Art. 17.1. Di tutte le operazioni dell’ufficio elettorale regionale viene redatto, in duplice

esemplare, apposito verbale; un esemplare è inviato subito alla segreteria del

Senato, che ne rilascia ricevuta; l’altro è depositato nella cancelleria della corte

d’appello o del tribunale sede dell’ufficio elettorale regionale, con facoltà agli

elettori della regione di prenderne visione nei successivi quindici giorni.

Art. 18.1. Quando, per qualsiasi causa, resti vacante il seggio di senatore in

uno dei collegi in cui la proclamazione abbia avuto luogo con sistema

maggioritario, il presidente del Senato ne dà immediata comunicazione

al Presidente del Consiglio dei ministri ed al Ministro dell’interno perché

si proceda ad elezione suppletiva nel collegio interessato, con le modalità

di cui all’articolo 14.

2. I comizi sono convocati con decreto del Presidente della Repubblica, su

deliberazione del Consiglio dei ministri, purché intercorra almeno un

anno fra la data della vacanza e la scadenza normale della legislatura.

3. Le elezioni suppletive sono indette entro novanta giorni dalla data della

vacanza dichiarata dalla giunta delle elezioni.

4. Qualora il termine di novanta giorni di cui al comma 3 cada in un periodo

compreso tra il 1º agosto e il 15 settembre, il Governo è autorizzato a

prorogare tale termine di non oltre quarantacinque giorni; qualora il

termine suddetto cada in un periodo compreso tra il 15 dicembre e il 15

gennaio, il Governo può disporre la proroga per non oltre trenta giorni.

5. Il senatore eletto con elezione suppletiva cessa dal mandato con la

scadenza costituzionale o l’anticipato scioglimento del Senato.

6. Nel caso in cui si proceda ad elezioni suppletive, le cause di ineleggibilità

previste dall’articolo 7 del testo unico delle leggi recanti norme per

la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente

della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni,

97

non hanno effetto se le funzioni esercitate siano cessate entro i sette

giorni successivi alla data di pubblicazione del decreto di indizione delle

elezioni.

7. Quando, per qualsiasi causa, resti vacante il seggio di senatore attribuito

con calcolo proporzionale nelle circoscrizioni regionali, l’ufficio elettorale

regionale proclama eletto il candidato del medesimo gruppo con la più

alta cifra individuale.

Titolo VII

DISPOSIZIONI SPECIALI PER IL COLLEGIO DELLA VALLE D’AOSTA

Art. 19.1. L’elezione uninominale nel collegio della Valle d’Aosta è regolata dalle di-

sposizioni dei precedenti articoli, in quanto applicabili, e dalle norme seguenti:

a) la candidatura deve essere proposta con dichiarazione sottoscritta da non

meno di 300 e non più di 600 elettori del collegio. In caso di scioglimento

del Senato della Repubblica che ne anticipi la scadenza di oltre centoventi

giorni, il numero delle sottoscrizioni della candidatura è ridotto della

metà;

b) la dichiarazione di candidatura è depositata, insieme con il contrassegno,

dalle ore 8 del trentacinquesimo giorno alle ore 20 del trentaquattresimo

giorno antecedenti quello della votazione, presso la cancelleria del

tribunale di Aosta.

Art. 20.1. Il tribunale di Aosta, costituito in ufficio elettorale circoscrizionale

ai sensi dell’articolo 5, esercita le sue funzioni con l’intervento di tre

magistrati.

2. È proclamato eletto il candidato che ha ottenuto il maggior numero di

voti validi.

98

3. In caso di parità di voti, è eletto il candidato più anziano di età.

Titolo VIII

DISPOSIZIONI FINALI

Art. 21.1. Nel caso di coincidenza delle elezioni della Camera dei deputati con

quelle del Senato, esse sono indette per il medesimo giorno.

2. Lo svolgimento delle operazioni elettorali è regolato dalle disposizioni

seguenti.

3. L’elettore iscritto nelle liste elettorali per le elezioni delle due Camere,

dopo che è stata riconosciuta la sua identità personale, ritira dal

presidente del seggio le schede relative alle due votazioni, che devono

essere di colore diverso, e, dopo aver espresso il voto, le riconsegna

contemporaneamente al presidente il quale le pone nelle rispettive urne.

4. Le operazioni di votazione proseguono fino alle ore 15 del lunedì, fermo

restando quanto disposto dagli articoli 64 e 64-bis del testo unico

delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di

cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e

successive modificazioni; gli elettori che a tale ora si trovano ancora nella

sala sono ammessi a votare.

5. Le operazioni di cui all’articolo 67 del testo unico delle leggi recanti

norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del

Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, devono essere

effettuate immediatamente dopo la chiusura della votazione.

6. Il presidente procede quindi alle operazioni di scrutinio, con precedenza

di quelle relative all’elezione del Senato. Tali operazioni devono svolgersi

senza interruzione ed essere ultimate entro le ore quattordici del

martedì successivo alla votazione; se non sono compiute entro tale ora,

si applicano le disposizioni dell’articolo 73 del testo unico delle leggi

99

recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto

del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive

modificazioni.

7. I verbali delle operazioni per l’elezione del Senato devono essere

compilati distintamente da quelli per l’elezione della Camera dei deputati

e redatti in duplice esemplare.

8. Se non è possibile l’immediato recapito, i plichi contenenti i verbali e i

documenti allegati devono rimanere nella sala della votazione, che viene

chiusa e custodita secondo le prescrizioni di cui all’articolo 64 del citato

testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del

1957, per essere recapitati con ogni urgenza, a cura del presidente, al

mattino.

Art. 22.1. Nell’ipotesi prevista dall’articolo 21, comma 1, l’ufficio elettorale comunale,

entro quindici giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del de-

creto di convocazione dei comizi, appone sull’esemplare della lista di sezione,

depositato presso il comune, apposita annotazione, mediante stampigliatura,

a fianco dei nominativi degli elettori che possono votare soltanto per l’elezione

della Camera dei deputati. L’elenco di detti nominativi è trasmesso, a cura del

sindaco, immediatamente alla commissione elettorale circondariale, che prov-

vede ad apporre analoga annotazione stampigliata sull’esemplare della lista

destinato all’ufficio elettorale di sezione.

Art. 23.1. Nel caso in cui le elezioni per il Senato e per la Camera dei deputati non si

svolgano contemporaneamente, il membro della Camera ancora in funzione,

che accetta la candidatura per l’altra Camera, decade dal mandato.

100

Art. 24.1. Per le aperture di credito inerenti al pagamento delle spese per l’elezione del

Senato della Repubblica e della Camera dei deputati è autorizzata la deroga

alle limitazioni previste dall’articolo 56 del regio decreto 18 novembre 1923, n.

2440, e successive modificazioni.

Art. 25.1. Gli emigrati per motivi di lavoro, che rimpatriano per le elezioni, hanno di-

ritto al trasporto ferroviario gratuito dalla stazione di confine al comune in cui

votano e viceversa.

Art. 26.1. Per l’esercizio del diritto di voto e per tutto ciò che non è disciplinato dal-

la presente legge si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del testo

unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui

al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive

modificazioni.

Art. 27.1. Sono abrogate le disposizioni del testo unico di cui al decreto legislativo 20

dicembre 1993, n. 533, nonché ogni altra disposizione incompatibile con la pre-

sente legge.

Art. 28. (Entrata in vigore)1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pub-

blicazione nella Gazzetta Ufficiale.

101

5 La democrazia diretta

5.1 Iniziativa legislativa popolare, iniziativa legislativa costituzionale, istituti di democrazia diretta

Disegno di legge costituzionale n. 1428 d’iniziativa dei senatori PETERLINI,

ADAMO, CECCANTI, NEGRI, PERDUCA, PINZGER, PORETTI e PROCACCI,

comunicato alla presidenza il 4 marzo 2009

Modifiche agli articoli 70, 71, 73, 74, 75 e 138 della Costituzione, in materia di

formazione delle leggi e revisione della Costituzione, introduzione dell’inizia-

tiva legislativa popolare e dell’iniziativa legislativa costituzionale e di demo-

crazia diretta

5.1.1 IllustrazIone

I diritti referendari in Italia spesso sono identificati con i referendum abroga-

tivi, la cui storia è iniziata 35 anni fa col referendum sul divorzio, nel 1974, se-

guito da altre 13 tornate referendarie con 59 quesiti referendari nonché da due

referendum confermativi costituzionali (del 2001 e del 2006). Nei casi citati si è

trattato sempre di referendum abrogativi e, nella prospettiva di una democrazia

diretta, moderna ed integrale, si rischia in questo modo di ridurre lo strumento

referendario ad un unico tipo di referendum, che all’interno della democrazia

diretta non è certamente quello più importante. La democrazia diretta, invece,

è un concetto ben più ampio rispetto ai limitati diritti referendari oggi presenti

in Italia. L’Assemblea costituente del 1947 non ha voluto affidare all’elettorato

italiano gli strumenti dell’iniziativa legislativa popolare con votazione vinco-

lante e quelli del referendum confermativo facoltativo per le leggi ordinarie del-

102

lo Stato, per non parlare dell’iniziativa popolare costituzionale. Dopo 60 anni

di Repubblica bisogna iniziare a rimediare a questa carenza.

Lo stesso referendum abrogativo sembra da tempo entrato in crisi, non per-

ché mancassero gli argomenti politici scottanti ed il bisogno di partecipazione

dei cittadini, ma gli ultimi 5 referendum, a partire dal 1997, recanti 16 quesiti re-

ferendari, sono tutti stati invalidati a causa della mancanza del quorum di par-

tecipazione. Ne è conseguita una progressiva perdita di fiducia nello strumento

referendario in quanto tale. Forse una certa disaffezione è anche dovuta al fatto

che del referendum si sono impadroniti soprattutto i partiti, non la cittadinanza

libera o le associazioni ed i comitati ad hoc. I partiti, inoltre, montando campa-

gne astensioniste, hanno smobilitato il proprio elettorato a partecipare e poi,

in Parlamento, in varie occasioni, hanno cercato di neutralizzare i risultati dei

referendum. Oltre allo strumentario troppo limitato, in un’ottica di democrazia

diretta moderna, le stesse regole di svolgimento dei referendum sono carenti.

Sembra che il solo referendum abrogativo con regole applicative restrittive oggi

vigenti – basta pensare al quorum – abbia toccato un limite nella sua capacità

propulsiva della partecipazione popolare.

In Italia, inoltre, è stato mortificato il diritto all’iniziativa popolare legisla-

tiva, cioè l’espressione libera e propositiva del popolo sovrano, che porta al-

la delibera collettiva referendaria su proposte di legge importanti, firmate da

centinaia di migliaia di persone. Lo strumento con valenza propositiva oggi vi-

gente – la proposta di legge di iniziativa popolare – è solo un’ombra di questo

diritto, perché non si può votare la proposta presentata con grande dispendio

di energia per la raccolta delle firme, nel caso in cui fosse respinta dal Parla-

mento. Anzi, la maggior parte di queste proposte non viene neanche discussa

nel Parlamento. Più del 90 per cento delle proposte presentate nella legislatura

1996 – 2001 non sono ancora state trattate, per non parlare di quelle presentate

dal 2002 in poi.

Dall’altra parte, come momento positivo rispetto alle partecipazione popo-

lare ai referendum, vanno segnalati i referendum confermativi costituzionali del

103

2001 e del 2006, uno sulle modifiche costituzionali volute dal «governo Prodi»,

1996 – 2001, l’altro sulle modifiche volute dal «governo Berlusconi II», 2001

– 2006. Entrambi i referendum sono stati svolti senza quorum di partecipazio-

ne, perché nei referendum confermativi costituzionali questa barriera non è pre-

vista, sebbene si trattasse di questioni fra le più importanti, cioè di modifiche

sostanziali della Costituzione. In tal modo prefigurano il vero tipo di votazione

referendaria, come praticata in altri paesi, in cui decidono coloro che si recano

alle urne per votare, mentre gli astenuti implicitamente delegano la decisione

agli altri.

1. Le principali lezioni da trarre da 35 anni di referendumSe volessimo trarre le principali lezioni da questo primo periodo di applicazio-

ne di strumenti referendari nel nostro sistema politico, potremmo riassumerli

in tre punti principali:

1. C’è oggi in Italia una gamma incompleta di diritti referendari, cioè man-

cano gli strumenti principali presenti in paesi con democrazia diretta comple-

ta: l’iniziativa popolare ed il referendum confermativo facoltativo anche per le

leggi ordinarie. Inoltre manca anche l’iniziativa popolare di modifica della Co-

stituzione, che fu il primo diritto rivendicato e poi conquistato dal movimento

popolare per la democrazia diretta nel 1860 in Svizzera, un diritto fortemente

istituzionalizzato anche negli USA a partire del 1900.

2. Le regole di applicazione dei diritti referendari sono troppo restrittive.

Quindi occorre riformare o sostituire la legge di applicazione del referendum

25 maggio 1970, n. 352. Alcuni esempi: i poteri troppo estesi di intervento della

Consulta nella materia dei quesiti referendari, il divieto di coincidenza dei re-

ferendum con le elezioni, la mancanza di garanzia del risultato, la raccolta delle

firme con obbligo di autenticazione da parte di un ufficiale pubblico, la man-

canza di rimborsi a comitati di promotori, la mancanza dell’obbligo di informa-

zione da parte dello Stato, la mancanza di trasparenza e di limiti nei finanzia-

menti delle campagne referendarie.

104

3. Il quorum di partecipazione del 50 per cento, inutile e dannoso, ha con-

tribuito a screditare lo strumento del referendum agli occhi di milioni di elettori

italiani che da anni non si recano più alle urne. Il quorum di partecipazione fa sì

che artificialmente gli astenuti si sommino ai contrari, quindi gioco facile per

i partiti o i gruppi di interesse contrari ad un quesito a invitare l’elettorato ad

ignorare i referendum, andarsene al mare o in montagna, entrando in tacita co-

alizione con i non interessati. Oggi, tra frustrazione popolare e desiderio dello

Stato forte, si sceglie l’antipolitica o si votano i leader forti, anziché rafforzare gli

strumenti che danno più potere ai cittadini.

2. Le innovazioni oggi necessarieQuindi, se l’obiettivo è di ricucire lo scollamento fra la popolazione e le istitu-

zioni ma anche con le forze politiche, bisogna modificare il sistema di demo-

crazia diretta come si presenta oggi. Se s’intende promuovere attivamente la

partecipazione politica, all’insegna dell’articolo 118, quarto comma, della Co-

stituzione, e si intende dispiegare gli effetti positivi della democrazia diretta,

bisogna riscrivere i relativi articoli della Costituzione, cioè soprattutto gli arti-

coli 73, 74, 75 e 138 per ampliare lo stesso strumentario referendario. Tale pro-

getto deve partire dai seguenti punti cardine:

1. Prima di tutto bisogna superare il concetto limitativo della democrazia

diretta che regna oggi, riconoscere, cioè, il potere legislativo effettivo ai cittadi-

ni recuperando i due strumenti essenziali di una democrazia diretta completa:

da una parte l’iniziativa popolare per dare spazi d’azione ai cittadini, dall’altra il

referendum confermativo facoltativo per consentire ai cittadini di fermare delle

leggi che presumibilmente non hanno il consenso della maggioranza dell’elet-

torato. Ciò significa dare in mano ai cittadini sia l’acceleratore sia il freno di

emergenza in politica: accelerare quando riforme importanti e urgenti non

partono e non vanno avanti nel Parlamento, frenare quando la maggioranza

politica cerca di imporre le sue scelte a una presumibile maggioranza contraria

nell’elettorato. Si tratta di diritti che nel 1947/48 furono trascurati dalla Costi-

105

tuente, ingiustamente. Oggi non si tratta più di avvalersi del referendum come

puro strumento di difesa, come voluto dalla Costituente, ma di intendere gli

strumenti referendari, il veicolo più importante di stimolo della partecipazione

politica, come lo vuole l’articolo 118, quarto comma, che afferma testualmente:

«Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono l’autono-

ma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di

interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà». Il referendum abro-

gativo per più di 30 anni è servito da surrogato dell’iniziativa popolare cioè del

referendum propositivo ma, stando alle esperienze nostre e a quelle di altri pae-

si, non è possibile. I cittadini hanno bisogno di un proprio spazio d’azione e di

strumenti referendari adatti per indirizzare la politica e chi governa.

2. Le regole di applicazione vanno ridisegnate in chiave democratica, più

rispettose delle esigenze dei cittadini moderni, per esempio limitando i dirit-

ti d’intervento della Consulta, ampliando le materie ammissibili a referendum

includendo, per esempio, la politica estera e la materia tributaria, istituendo

l’obbligo di informare con un opuscolo ufficiale ogni famiglia, adottando re-

gole più severe per la par condicio, introducendo una spesa massima consentita

per le spese della campagna e delle contro campagne, prevedendo la massima

trasparenza nei finanziamenti, liberalizzando la forma di raccolta delle firme

e così via. Il problema oggi non sta nella «proliferazione dei referendum», per-

ché strumenti troppo facilmente accessibili. Il problema sta nel fatto che og-

gi in Italia i cittadini, nei loro comuni, nelle regioni e a livello nazionale, non

intendono la democrazia diretta come strumento normale di articolazione e

partecipazione politica. Quindi bisogna assegnare agli strumenti referendari

il ruolo che hanno avuto da tanti decenni in altre società democratiche: essere

espressione della volontà popolare senza mediazione partitica. Così i referen-dum avranno una nuova valenza politica che va oltre l’assetto politico in Par-

lamento, che si configura in dato momento storico e, quindi, integra la demo-

crazia rappresentativa: una valenza propositiva con l’iniziativa popolare, una

valenza oppositiva col referendum confermativo. L’attuale referendum abrogativo

106

sarebbe semplicemente assorbito nell’iniziativa popolare, senza non introdur-

re o modificare una legge, ma annullando una norma.

3. L’iniziativa popolare legislativa (articolo 73)Fra i principali motivi per potenziare gli strumenti referendari (iniziativa po-

polare legislativa e referendum confermativo facoltativo) si trova la necessità di

aprire nuovi spazi di partecipazione ai cittadini, dando seguito all’articolo 118,

quarto comma, della Costituzione e recuperando la spinta di impegno attivo

per il bene comune. L’iniziativa popolare, secondo la disciplina attuale, non ha

il necessario impatto nella vita democratica, poiché non impegna il Parlamen-

to, come ampiamente dimostrato dalle cifre delle proposte di legge di iniziati-

va popolare presentate durante le ultime legislature. Queste proposte, anche

dopo dieci anni dalla loro presentazione sono in maggior parte ancora inevase.

Anche a livello regionale lo strumento della proposta di legge si è rivelato un

istituto che ispira scarsissima motivazione fra i cittadini, quindi è applicato ra-

ramente, sempre a causa della mancanza di votazione popolare nel caso in cui

la proposta fosse respinta o non trattata dal rispettivo Consiglio regionale. Per

questo motivo una regione e una provincia a statuto speciale (Friuli-Venezia

Giulia e Provincia autonoma di Trento), nelle loro leggi regionali/provinciali

sulla democrazia diretta, hanno introdotto l’obbligo del rispettivo Consiglio re-

gionale di trattare le proposte di legge di iniziativa entro un determinato termi-

ne, pena il passaggio della proposta alla votazione popolare referendaria. Tale

regolamento sembra però insoddisfacente dal momento che non attribuisce ai

cittadini un’effettiva potestà legislativa. Giustamente la regione autonoma del-

la Valle d’Aosta e la provincia autonoma di Bolzano si sono spinte oltre, isti-

tuendo l’iniziativa popolare legislativa vera e propria, con cui si consente ai cit-

tadini, dopo aver raggiunto il quorum di sottoscrizione, di presentare ai rispet-

tivi Consigli regionali una proposta di legge redatta in articoli. Se il testo nella

sua interezza o nella sua sostanza non fosse recepito dal Consiglio, automati-

camente in queste regioni si passerebbe alla votazione popolare. Tale istituto,

107

accanto al referendum confermativo facoltativo e costituzionale, rappresenta lo

strumento principale dei regolamenti di democrazia diretta che funzionano a

piena soddisfazione dei cittadini da 140 anni in Svizzera (tutti livelli di Gover-

no) e da più di 100 anni in 26 stati degli Stati Uniti d’America (livello degli Stati

federati e dei comuni).

Il Parlamento deve avere il diritto alla controproposta. In una qualsiasi ma-

teria ammissibile a referendum (sia propositivo sia confermativo), il Parlamen-

to, rispetto alle proposte di riforma provenienti dai cittadini e lo status quo, può

avere i propri disegni di riforma, che possono trovarsi in pieno contrasto con la

proposta avanzata dai cittadini. La controproposta parlamentare accoglie que-

sti interessi e offre al cittadino elettore la scelta fra due proposte di riforma e

lo status quo su cui deve potersi esprimere. Qualora il Parlamento approvasse

una propria proposta di legge in materia, il comitato promotore dell’iniziativa

popolare, composto secondo il presente disegno di legge da almeno nove cit-

tadini aventi diritto al voto, decide a maggioranza se ritirare il disegno di legge

d’iniziativa popolare o far valere il diritto alla votazione popolare deliberativa.

Spetterà quindi al comitato promotore stesso valutare se la sua proposta di leg-

ge d’iniziativa popolare sia in sufficiente misura stata accolta dal Parlamento

oppure sia stata approvata una legge in contrasto con i princìpi e le finalità del

testo originale sottoposto dal Comitato promotore.

Data la possibilità che entrambe le proposte possano ottenere la maggio-

ranza dei voti validi, occorre comunque inserire una terza «domanda di ballot-

taggio» del seguente tipo: «Quale proposta deve entrare in vigore se i cittadini

preferiscono entrambe le proposte al diritto vigente?» Se fossero approvate, sia

la proposta popolare sa la controproposta parlamentare decide il risultato di

questa terza domanda. Se anche nella terza domanda nessuna delle proposte

ottenesse la maggioranza, l’iniziativa popolare in quanto tale sarebbe bocciata

e resterebbe in vigore la legge che si intendeva emendare. Anche in questo caso

un referendum propositivo costituirebbe comunque un’espressione significativa

108

ed importante della cittadinanza di cui il Parlamento terrà conto nei suoi suc-

cessivi tentativi di riformare la materia oggetto della votazione referendaria.

4. Il referendum confermativo facoltativo (articolo 74)Il «referendum confermativo facoltativo», che oggi nell’ordinamento giuridico

italiano esiste solo per i casi di modifica della Costituzione da parte del Parla-

mento, approvati da una maggioranza inferiore ai due terzi dei Parlamentari,

va esteso alle leggi ordinarie dello Stato. Questo strumento rappresenta, sia in

teoria sia nella lunga prassi politica degli Stati con regolamenti moderni della

democrazia diretta, un vero e proprio «freno di emergenza» in mano ai cittadi-

ni. Con il referendum confermativo facoltativo un numero minimo di cittadini (o

anche cinque Consigli regionali), appena approvata una legge, ma prima della

sua entrata in vigore, richiede con la propria firma, entro un periodo di tempo

relativamente breve, che tutto l’elettorato deve poter pronunciarsi su tale legge.

Dal referendum confermativo è esclusa la legge finanziaria. Tale istituto è quello

più frequentemente utilizzato nell’ordinamento svizzero e statunitense. Confe-

risce ai cittadini un potere di veto o di verifica. Richiedere il referendum confer-

mativo significa nient’altro se non che esiste un forte dubbio sul consenso della

maggioranza del Parlamento. Con il referendum confermativo facoltativo anche i

parlamentari stessi hanno la possibilità di verificare se le loro proposte di rego-

lamentazione di una data materia corrispondono alla «volontà generale».

In base alla presente proposta di modifica dell’articolo 75 della Costituzio-

ne, secondo comma, si intende consentire per un periodo limitato l’entrata in

vigore di «leggi urgenti», comunque contestabili mediante referendum confer-

mativo facoltativo. Afferma il proposto articolo: «Se le Camere ne dichiarano

l’urgenza, la legge è promulgata nel termine da esso stabilito e si può chiedere

l’indizione di un referendum confermativo ai sensi dell’articolo 74 soltanto dal

momento che la legge è entrata in vigore. Se si arriva al referendum confermati-

vo popolare con esito sfavorevole alla legge, essa viene abrogata entro un anno

dall’avvenuta approvazione in sede parlamentare e non può più essere riappro-

109

vata.» Questa norma viene incontro all’esigenza del Parlamento di affronta-

re esigenze di urgente regolamento. La legge approvata entra in vigore e resta

in vigore fino allo svolgimento del referendum confermativo facoltativo. Se sot-

toposta a referendum confermativo facoltativo verrebbe abrogata come nel caso

del referendum abrogativo oggi in vigore. Una volta sconfessata una tale legge

«urgente» da parte dell’elettorato, non può essere ripresentata in Parlamento,

garantendo di tal maniera la deliberazione popolare.

5. L’iniziativa popolare costituzionalePer l’esercizio della legislazione costituzionale da parte dei cittadini si propone

un iter più esigente rispetto all’iniziativa popolare legislativa per le leggi or-

dinarie. La facoltà di iniziativa per tali leggi (redatto in articoli) spetta in una

prima fase ad almeno 50.000 cittadini, le cui firme vanno raccolte nell’arco di

sei mesi. Questo per presentare una proposta di «preesame» di ammissibilità.

Ma il numero effettivo minimo di cittadini che devono firmare tale proposta è

innalzato ad un milione. Introducendo due fasi si intende evitare l’esperienza

frustrante per tanti comitati promotori e tantissimi firmatari che le richieste di

referendum venissero bocciate dalla Corte costituzionale, solo dopo la raccolta

delle firme (in questo caso non meno di 1 milione di firme). Nella forma qui

proposta, invece, 50.000 elettori hanno il diritto di ottenere la verifica di am-

missibilità di una loro proposta di modifica costituzionale da parte della Corte

Costituzionale. Con questa certezza di seguito si può affrontare con pieno im-

pegno la raccolta del milione di firme richieste. Anche in questo caso il Parla-

mento può presentare una sua controproposta che verrebbe sottoposta all’elet-

tore nel referendum alla stregua dell’iniziativa popolare per le leggi ordinarie.

6. Alcune ragioni per l’abolizione del quorum di partecipazioneNel presente disegno di legge è previsto che in tutte le votazioni referendarie

siano approvate le proposte se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente

espressi. La votazione referendaria deve essere libera e decisiva, cioè i cittadini

110

dovranno sapere che se partecipano ad una votazione referendaria sono loro a

decidere se non vi partecipano, che implicitamente delegano il voto e la deci-

sione referendaria agli altri. Come si legittima l’abolizione del quorum? Le ra-

gioni più importanti sono le seguenti:

1. A causa del quorum, chiunque non si reca a votare conta automaticamente

come un «No», mentre in realtà ci sono tantissimi motivi personali che pos-

sono impedire la partecipazione ad un referendum: la mancanza di conoscenza

dell’argomento, l’indecisione, il disinteresse e mille altre ragioni private. Nel

caso delle elezioni tutti questi motivi sono ragioni di astensione dal voto o della

non-partecipazione, ma non equivalgono ad un voto contrario. Nelle elezioni

contano solo i voti validi per i partiti e i candidati. Anche la non-partecipazio-

ne al voto referendario quindi va considerata per quello che è: un’astensione

dal voto senza influenza sul risultato.

2. Attraverso il boicottaggio del referendum, la partecipazione al voto scende

facilmente sotto il 50 per cento degli aventi diritto al voto richiesto per la vali-

dità del risultato della consultazione. Gli oppositori, sfruttando il meccanismo

del quorum, cercano di invalidare la consultazione invitando gli elettori a diser-

tare le urne, contando su coloro che non andrebbero comunque a votare. Perciò

gli oppositori non devono più convincere i cittadini con argomenti e proposte

alternative, ma si fermano ad appelli al boicottaggio. Solo in assenza di quorum

contano veramente gli argomenti, perché sia i promotori che gli oppositori so-

no tenuti a convincere la maggioranza dei cittadini.

3. I cittadini attivi politicamente si impegnano ad informarsi e a farsi

un’opinione per poi recarsi a votare. I non interessati e i fautori del boicottag-

gio non vanno alle urne. In caso di referendum invalidato a causa del mancato

raggiungimento del quorum, i primi vengono di fatto puniti per il loro impegno

civico, mentre i secondi, boicottatori e disinteressati, vengono premiati per

una scelta che di fatto danneggia il confronto democratico.

4. In un certo senso, a causa del quorum di partecipazione, anche il diritto

al voto segreto viene indebolito: chi nonostante un boicottaggio si reca ugual-

111

mente alle urne da parte degli oppositori viene automaticamente considerato

un avversario politico.

5. In Italia non è previsto quorum nel caso di referendum molto importan-

ti quale il referendum confermativo facoltativo relativo alle leggi costituziona-

li (articolo 138, secondo comma) e nel caso delle leggi sulla forma di governo

(leggi elettorali e di democrazia diretta) a livello regionale.

6. Per il voto elettorale a nessun livello governativo è previsto un quorum mi-

nimo di partecipazione: solo chi vota può decidere. Non esiste il «numero le-

gale» nelle elezioni politiche.

7. Il timore che una piccola minoranza molto attiva possa imporre i suoi in-

teressi ad una maggioranza passiva non è motivato. Le ricerche sul comporta-

mento degli elettori evidenziano che nelle votazioni contese il tasso di parteci-

pazione è alto e la maggioranza dei cittadini esprime chiaramente il suo rifiuto

alla proposta di una minoranza. I partiti e le forze sociali, che pretendono di

rappresentare la maggioranza della società, sono comunque sempre liberi di

mobilitare i loro sostenitori a votare contro un quesito referendario, che si pre-

sume rifletta solo l’interesse di una minoranza

8. In Svizzera, negli Stati Uniti d’America, in Baviera ed in altri paesi non

esiste il quorum di partecipazione. Nonostante la partecipazione alle votazio-

ni referendarie in Svizzera oscilli «solo» attorno al 40 per cento, nessuna forza

politica rivendica seriamente un quorum di partecipazione, sapendo che si apri-

rebbe un varco a manovre tattiche e a strumentalizzazioni politiche.

9. La democrazia diretta deve promuovere e non scoraggiare la partecipa-

zione dei cittadini. Uno degli obiettivi principali della democrazia diretta è la

promozione della partecipazione dei cittadini, ribadita dall’attuale articolo 118,

quarto comma, della Costituzione. Un alto livello di partecipazione non viene

raggiunto imponendo l’obbligo legale di raggiungere una quota predetermina-

ta e non è certo perché esiste il quorum che si convincono a votare cittadini non

interessati. Avviene invece il contrario: i cittadini interessati e motivati, dopo

una serie di esperienze con referendum falliti per mancato raggiungimento del

112

quorum, si sentono frustrati e perdono la fiducia in questo strumento. In que-

sto senso paradossalmente essi sono scoraggiati proprio dal quorum di parteci-

pazione perché si devono confrontare con una percentuale di concittadini che

boicottano la votazione. È quindi un circolo vizioso. Benché originalmente il

quorum fosse inteso come uno stimolo alla partecipazione, è innegabile che og-

gi esso determini il rifiuto del dibattito e dell’impegno. I gruppi più penalizzati

da questo meccanismo sono proprio le minoranze sociali che non riescono a

sollecitare ampie fasce di popolazione.

10. Il quorum scaturisce dalla sfiducia nei cittadini. Oggi gli strumenti re-

ferendari sono strumenti di partecipazione attiva e non più di sola «difesa in

casi estremi». Le procedure di democrazia diretta devono essere disegnate di

modo tale da incoraggiare la comunicazione a tutti i livelli e, in questa ottica,

un quorum di partecipazione, con le relative campagne di boicottaggio, tende ad

essere di ostacolo per una buona comunicazione. È più facile rifiutare ogni di-

battito, istigando i cittadini a non votare, piuttosto che affrontare apertamente

un dibattito pubblico e una votazione senza quorum.

Il quorum di partecipazione del cinquanta per cento non è una norma fonda-

mentale del nostro ordinamento costituzionale, tanto è vero che è previsto solo

da uno dei due tipi di referendum nazionali oggi istituzionalizzati. Rifacendosi

agli esempi funzionanti in vari altri paesi, in Italia è ora di abolire il quorum di

partecipazione sia a livello nazionale sia regionale sia comunale.

La cancellazione del quorum di partecipazione è però da sostituire con un’al-

tra norma di notevole importanza, cioè la necessità di raggiungere la maggio-

ranza dei voti validi non solo a livello nazionale, ma anche nella maggioranza

delle regioni. Questa norma, che dà atto alla traiettoria di fondo del sistema

politico italiano verso uno Stato regionale più avanzato, evita un’espressione

referendaria sbilanciata sotto il profilo geografico, richiedendo che i voti favo-

revoli non possono essere concentrati in poche regioni. Ad esempio un referen-dum accolto solo nelle otto regioni del Nord non potrebbe passare, perché in

almeno 11 regioni su 20 la maggioranza dovrà essere stata raggiunta.

113

7. Aumento della maggioranza al 60 per cento per le leggi costituzionaliIl sistema elettorale maggioritario impone un ripensamento della maggioranza

necessaria per l’approvazione, in seconda votazione, delle leggi costituziona-

li. Si propone di innalzare la maggioranza necessaria dal cinquanta al sessan-

ta per cento per evitare che modifiche costituzionali di grande importanza per

l’assetto giuridico fossero votate solo da una maggioranza senza coinvolgimen-

to di una fascia più larga in Parlamento. Rispettivamente si innalza la maggio-

ranza necessaria, per non dare luogo a referendum, dai due terzi, ora previsti, a

tre quarti dei componenti delle due Camere.

5.1.2 DIsegno DI legge costItuzIonale n. 1428

Formazione delle leggi, revisione della Costituzione, introduzione dell’iniziati-

va legislativa popolare e dell’iniziativa legislativa costituzionale, modifiche agli

istituti di democrazia diretta

Capo I

Modifiche agli articoli 70, 71, 73, 74, 75 della costituzione e introduzione

dell’iniziativa legislativa popolare

Art. 1.1. L’articolo 70 della Costituzione è sostituito dal seguente:

«Art. 70. - La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Came-

re nonché dai cittadini aventi diritto al voto ogni volta che una parte del popolo

sovrano ne faccia richiesta.».

Art. 2.1. L’articolo 71 della Costituzione è sostituito dal seguente:

«Art. 71. - L’iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro del-

le Camere, ad un numero minimo di elettori, da stabilire con legge dello Stato,

114

ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale. Hanno di-

ritto di esercitare l’iniziativa delle leggi e di partecipare alla votazione popolare

tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati. La legge determina

le modalità di attuazione dell’iniziativa popolare e del diritto alla votazione re-

ferendaria deliberativa.».

Art. 3.1. L’articolo 73 della Costituzione è sostituito dal seguente:

«Art. 73. - Il popolo esercita l’iniziativa delle leggi mediante la proposta di leg-

ge di iniziativa popolare, da parte di un numero minimo di elettori da stabilire

con legge dello Stato, di un progetto redatto in articoli. La durata massima utile

per la raccolta delle firme richieste per l’iniziativa popolare viene stabilita dal-

la legge dello Stato. La proposta di legge di iniziativa popolare, che deve essere

formulata secondo il principio dell’unità della materia, viene presentata ad una

Camera e segue l’iter legislativo previsto dall’articolo 72.

Qualora una proposta di legge ad iniziativa popolare, di cui al primo com-

ma, non venga tradotta in legge dal Parlamento entro un congruo periodo di

tempo, da stabilire con legge, la proposta è sottoposta alla votazione popolare

deliberativa, previa dichiarazione di ammissibilità da parte della Corte costi-

tuzionale, che decide con sentenza in seguito al deposito da parte del comita-

to promotore di un numero di firme di elettori non inferiore a cinquantamila.

Qualora il Parlamento modifichi la proposta di legge di iniziativa popolare o

approvi un proprio disegno di legge in materia, il comitato promotore dell’ini-

ziativa popolare, composto da un numero minimo di elettori da stabilire con

legge dello Stato, decide a maggioranza se ritirare il disegno di legge ad ini-

ziativa popolare o far valere il diritto alla votazione popolare deliberativa. In

questo ultimo caso ambedue le proposte vengono sottoposte a votazione refe-

rendaria. In questo caso le domande da sottoporre all’elettore sono tre: se pre-

ferisce la proposta popolare al diritto vigente; se preferisce la controproposta

115

del Parlamento al diritto vigente; quale proposta deve entrare in vigore se gli

elettori preferiscono entrambe le proposte al diritto vigente.

Una proposta è approvata se ha raggiunto la maggioranza dei voti valida-

mente espressi sia nella maggioranza delle regioni sia sull’intero territorio na-

zionale. Se viene approvata sia la proposta popolare sia la controproposta par-

lamentare decide il risultato della terza domanda. La legge determina altresì le

modalità relative ai criteri di ammissione dei referendum propositivi effettuata a

cura della Corte costituzionale su richiesta del comitato promotore in data pre-

cedente alla raccolta delle adesioni».

Art. 4.1. L’articolo 74 della Costituzione è sostituito dal seguente:

«Art. 74. - È sospesa l’entrata in vigore di una legge o di un atto avente valore

di legge per sottoporlo a referendum confermativo, quando lo richiedono entro

dieci giorni dall’avvenuta approvazione un comitato, composto da un numero

minimo di elettori da stabilire con legge dello Stato, o un consiglio regionale.

È indetto il referendum confermativo quando, di seguito, entro tre mesi dall’av-

venuta approvazione in sede parlamentare o governativa della legge o dell’atto

avente valore di legge tale richiesta è sostenuta da un numero minimo di citta-

dini aventi diritto al voto, da stabilire con legge dello Stato, o da cinque consigli

regionali.

Non è ammesso il referendum confermativo per le leggi di bilancio. Hanno

diritto di partecipare al referendum confermativo tutti i cittadini chiamati ad

eleggere la Camera dei deputati.

La proposta soggetta a referendum confermativo entra in vigo-

re se la richiesta di referendum confermativo non viene sostenu-

ta dal numero minimo di cittadini stabilito con legge dello Stato o quan-

do una maggioranza dei voti validamente espressi si esprime a favore.

La legge determina le modalità di attuazione del referendum confermativo.».

116

Art. 5.1. L’articolo 75 della Costituzione è sostituito dal seguente:

«Art. 75. - Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro

un mese dall’approvazione parlamentare o popolare.

Se le Camere, ciascuna a maggioranza assoluta dei propri componenti, ne

dichiarano l’urgenza, la legge è promulgata nel termine da esso stabilito e si

può chiedere l’indizione di un referendum abrogativo soltanto dal momento che

la legge è entrata in vigore. Se si arriva al referendum popolare con esito sfavo-

revole alla legge, essa viene abrogata e non può più essere riapprovata entro la

medesima legislatura.

Le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed entrano in vigore

il quindicesimo giorno successivo alla data della loro pubblicazione, salvo che

le leggi stesse stabiliscano un termine diverso».

Capo II

MODIFICHE ALL’ARTICOLO 138 DELLA COSTITUZIONE E INTRODUZIO-

NE DELL’INIZIATIVA LEGISLATIVA COSTITUZIONALE

Art. 6.1. L’articolo 138 della Costituzione è sostituito dal seguente:

«Art. 138. - Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costitu-

zionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad

intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate con il sessanta per cento

dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi sono poi

sottoposte a referendum confermativo popolare quando, entro tre mesi dalla lo-

ro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o

un numero minimo di elettori, da stabilire con legge dello Stato, o cinque Con-

sigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è ap-

provata dalla maggioranza dei voti validi.

117

Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda vo-

tazione da ciascuna delle Camere a maggioranza dei tre quarti dei suoi compo-

nenti.

I princìpi fondamentali della Costituzione, i diritti umani sanciti dalle fon-

ti internazionali, le libertà e i diritti dei cittadini fissati nella prima parte della

Costituzione non possono essere ridotti o disconosciuti, così come non posso-

no esserne indebolite le garanzie di tutela disposte nella seconda parte. Le leg-

gi di revisione della Costituzione sono formulate tenendo conto del principio

dell’unità della materia.

La Corte costituzionale si pronuncia sulla conformità della revisione a tali

imperativi entro novanta giorni dalla prima approvazione in entrambe le Ca-

mere.

Il popolo esercita l’iniziativa delle leggi di revisione della Costituzione me-

diante la proposta da parte di un numero minimo di elettori, da stabilire con

legge dello Stato, di un progetto redatto in articoli come è previsto dall’articolo

73.

La durata massima utile per la raccolta delle firme richieste per l’iniziativa

legislativa costituzionale popolare è stabilita con legge dello Stato. Entro no-

vanta giorni dalla presentazione della proposta di legge alla Camera, la Corte

costituzionale si pronuncia sull’ammissibilità della proposta; successivamente

un numero minimo di elettori, da stabilire con legge dello Stato, può richiedere

che la proposta di legge sia sottoposta a referendum popolare.

Qualora una proposta di legge costituzionale ad iniziativa popolare non

venga tradotta in legge entro un congruo periodo di tempo, da stabilire con leg-

ge dello Stato, la proposta è sottoposta al referendum popolare.

Il Parlamento può presentare una controproposta in materia, che deve es-

sere approvata secondo l’iter di cui al primo comma. In questo caso entrambe le

proposte dichiarate ammissibili da parte della Corte costituzionale, sono sot-

toposte alla votazione referendaria.

118

Nel caso di cui all’ottavo comma, le domande per l’elettore sono tre: se pre-

ferisce la proposta popolare al diritto vigente; se preferisce la controproposta

del Parlamento al diritto vigente; quale proposta deve entrare in vigore se gli

elettori preferiscono entrambe le proposte al diritto vigente.

Una proposta è approvata se ha raggiunto la maggioranza dei voti valida-

mente espressi sia nella maggioranza delle regioni sia sull’intero territorio

nazionale. Se viene approvata sia la proposta popolare che sia contropropo-

sta parlamentare decide il risultato della terza domanda. La legge determina le

modalità di attuazione dell’iniziativa legislativa costituzionale popolare e del

referendum confermativo popolare».

119

6 Tutela sociale, famiglia e previdenza

6.1 Sostegno delle madri lavoratrici

Disegno di legge n. 25 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla

presidenza il 29 aprile 2008

Disposizioni per la tutela ed il sostegno delle madri lavoratrici

6.1.1 IllustrazIone

In Italia il tasso di natalità è molto basso, è sceso rapidamente negli ultimi de-

cenni e si è confermato negli anni recenti tra l’1,2 e l’1,3 figli per donna. L’Italia,

pertanto, si annovera tra i Paesi con la più bassa natalità del mondo. Dall’altra

parte sale l’aspettativa di vita, che ha raggiunto una media di oltre ottanta anni.

La popolazione registra pertanto un costante invecchiamento. Uno dei motivi

di questa situazione è che nel nostro Paese permane la carenza di misure a so-

stegno della famiglia, nello specifico di misure che favoriscano la maternità e le

donne lavoratrici con figli. Occorre rendere compatibile il lavoro delle donne,

spesso indispensabile per la sopravvivenza della famiglia, con l’educazione dei

figli.

I Paesi nordici e la vicina Francia, con le loro politiche familiari, sono riu-

sciti ad avere tassi di crescita più alti.

Tale basso tasso di natalità ha risvolti catastrofici sulla sostenibilità e fi-

nanziabilità del sistema pensionistico, delle spese per la sanità e per le persone

non autosufficienti, in quanto un numero sempre minore di giovani lavorato-

ri deve sostenere una spesa sociale in costante crescita. Il presente disegno di

legge ha lo scopo di porre al centro degli interessi primari la famiglia ed il so-

stegno per i figli, attraverso alcune modifiche previdenziali.

120

Normativa attualeL’articolo 1, comma 40, della legge 8 agosto 1995, n. 335, concernente la rifor-

ma del sistema pensionistico prevede un riconoscimento dei figli agli effet-

ti dell’età pensionabile, per i trattamenti pensionistici determinati esclusiva-

mente secondo il sistema contributivo nei confronti dei lavoratori neoassunti

dal 1º gennaio 1996, privi di contribuzione precedente, oppure per coloro che

esercitano, dal 1º gennaio 2001 in poi, la facoltà di opzione per la liquidazione

della pensione con il sistema di calcolo contributivo. Quando si verifica l’even-

to maternità, indipendentemente dall’assenza o meno dal lavoro al momento

del verificarsi di tale evento, viene riconosciuto alla lavoratrice un anticipo di

età rispetto ai cinquantasette anni previsti per la pensione di vecchiaia pari a

quattro mesi per ogni figlio e nel limite massimo di dodici mesi, età destinata

ad essere aumentata in base a quanto previsto dalla legge 24 dicembre 2007,

n. 247, «Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza,

lavoro e competitività per favorire l’equità e la crescita sostenibili, nonché ulte-

riori norme in materia di lavoro e previdenza sociale». In alternativa a tale be-

neficio, attualmente, la lavoratrice può optare per la determinazione della pen-

sione con applicazione del coefficiente di trasformazione indicato nella tabella

A allegata alla legge n. 335 del 1995, relativo all’età di accesso al trattamento

pensionistico, maggiorato, e pertanto più favorevole, di un anno in caso di uno

o due figli e di due anni nell’ipotesi di tre o più figli.

Nei confronti delle dipendenti statali, regionali, provinciali, comunali e

di altri enti pubblici e dei soggetti iscritti ai fondi sostitutivi, nei casi di cor-

responsione di retribuzione ridotta o di nessuna retribuzione nei periodi di

astensione facoltativa dal lavoro (articolo 32 del testo unico delle disposizioni

legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di

cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151) scatta il diritto, per la differenza

di retribuzione mancante alla misura intera o per l’intera retribuzione mancan-

te, alla contribuzione figurativa da accreditare secondo l’articolo 8 della legge

23 aprile 1981, n. 155. Di tale situazione il datore di lavoro è tenuto a dare co-

121

municazione in sede di denuncia mensile dei contributi. I relativi oneri van-

no addossati alla gestione previdenziale assicurazione generale obbligatoria di

iscrizione del soggetto durante i periodi oggetto dell’accreditamento figurativo.

L’articolo 34 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo

2001, n. 151, affronta l’argomento del trattamento economico dei congedi pa-

rentali e prevede per le lavoratrici e per i lavoratori un’indennità pari al 30 per

cento della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di

sei mesi, fino al terzo anno di vita del bambino. Per i periodi ulteriori prevede

una indennità pari al 30 per cento della retribuzione purché si abbia un reddito

inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione.

Modifiche proposteIl presente disegno di legge intende modificare le disposizioni di legge citate,

prevedendo:

1) una riduzione dell’età pensionabile per la donna di un anno per ogni

figlio, con un limite massimo di cinque anni, oppure l’applicazione di un

coefficiente – più favorevole – di trasformazione, riferito ad un fittizio

aumento del pensionamento, aumentato di un anno per ogni figlio

(articolo 1);

2) l’estensione del periodo di congedo parentale – che attualmente è di sei

mesi – a dodici mesi (articolo 2, lettera a) e lettera b);

3) un nuovo trattamento economico dei periodi di congedo parentale, come

già proposto dalla 11ª Commissione permanente (Lavoro e previdenza

sociale) del Senato della Repubblica durante l’esame del disegno di

legge finanziaria 2008. In particolare viene aumentata la percentuale di

retribuzione dal 30 al 70 per cento per le famiglie bisognose (articolo 2,

lettera b));

4) nei confronti delle dipendenti del settore privato (assicurati INPS,

ENPALS, eccetera) per l’accredito per periodi di astensione facoltativa

l’applicazione delle stesse disposizioni operanti nel settore pubblico

122

(dipendenti statali, regionali, comunali, eccetera) integrando con

copertura figurativa la differenza tra la retribuzione percepita (30 per

cento della retribuzione ordinaria) e l’intera retribuzione percepita dal

soggetto prima dell’astensione facoltativa (articolo 3).

6.1.2 DIsegno DI legge n. 25

Sostegno delle madri lavoratrici

Art. 1.1. All’articolo 1, comma 40, della legge 8 agosto 1995, n. 335, la lettera c) è so-

stituita dalla seguente:

«c) a prescindere dall’assenza o meno dal lavoro al momento del verificarsi

dell’evento maternità, è riconosciuto alla lavoratrice un anticipo di età rispetto

al requisito di accesso alla pensione di vecchiaia di cui al comma 19 pari a do-

dici mesi per ogni figlio e nel limite massimo di cinque anni. In alternativa al

detto principio dell’anticipo la lavoratrice può optare per la determinazione del

trattamento pensionistico con l’applicazione del moltiplicatore di cui all’alle-

gata tabella A, relativo all’età di accesso al trattamento pensionistico, maggio-

rato di un anno per ogni figlio, fino a un massimo di cinque anni».

Art. 2.1. Al testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno

della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo

2001, n. 151, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 32:

1) il comma 1 è sostituito dal seguente:

«1. Per ogni bambino, nei primi suoi otto anni di vita, ciascun genitore

ha diritto di astenersi dal lavoro secondo le modalità stabilite dal

presente articolo. I relativi congedi parentali dei genitori non possono

123

complessivamente eccedere il limite di dodici mesi. Nell’ambito del

predetto limite, il diritto di astenersi dal lavoro compete alla madre

lavoratrice, trascorso il periodo di congedo di maternità di cui al capo

III, o al padre lavoratore, per un periodo continuativo o frazionato non

superiore a dodici mesi.»;

2) il comma 2 è abrogato;

b) l’articolo 34 è sostituito dal seguente:

«Art. 34. – (Nuove norme in materia di trattamento economico e normativo dei periodi di congedo parentale). – 1. Per i periodi di congedo parentale di cui

all’articolo 32, alle lavoratrici e ai lavoratori è dovuta fino al terzo anno

di vita del bambino un’indennità pari al 30 per cento della retribuzione,

per un periodo massimo complessivo tra i genitori di dodici mesi.

L’indennità è calcolata secondo quanto previsto all’articolo 23, ad

esclusione del comma 2 dello stesso.

2. Nel caso in cui le risorse economiche del nucleo familiare di

appartenenza del bambino risultino pari o inferiori ai valori

dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), di cui al

decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, come risultanti assumendo il

valore 30.000 euro annui con riferimento a nuclei monoreddito con tre

componenti, l’indennità di cui al comma 1 è pari al 70 per cento della

retribuzione. Per nuclei familiari con diversa composizione, il requisito

economico è riparametrato sulla base della scala di equivalenza di cui alla

tabella 2 del medesimo decreto legislativo n. 109 del 1998, e successive

modificazioni, tenendo conto delle maggiorazioni ivi previste.

3. L’indennità di cui ai commi 1 e 2 è corrisposta per tutto il periodo

di prolungamento del congedo per la cura di minori con handicap in

situazione di gravità, ai sensi dell’articolo 33.

4. Per i periodi di congedo parentale di cui all’articolo 32 ulteriori rispetto a

quanto previsto ai commi 1 e 3 è dovuta un’indennità pari al 50 per cento

124

della retribuzione, a condizione che ricorrano le condizioni di reddito di

cui al comma 2.

5. L’indennità per congedo parentale è corrisposta con le modalità di cui di

cui all’articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito,

con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33, e con gli stessi

criteri previsti per l’erogazione delle prestazioni dell’assicurazione

obbligatoria contro le malattie.

6. I periodi di congedo parentale sono computati nell’anzianità di servizio a

tutti gli effetti.

7. Nel caso in cui ricorrano le condizioni di reddito di cui al comma 2, i

periodi di congedo parentale sono considerati, ai fini della progressione

nella carriera, come attività lavorativa, quando i contratti collettivi non

richiedano a tale scopo particolari requisiti.

8. Ai congedi parentali si applica quanto previsto all’articolo 22, commi 4, 6

e 7».

Art. 3.1. All’articolo 8 della legge 23 aprile 1981, n. 155, è aggiunto, in fine, il seguente

comma:

«Nei confronti delle dipendenti e dei dipendenti del settore privato per l’ac-

credito per periodi di astensione facoltativa si applicano le stesse disposizioni

operanti nel settore pubblico, integrando con copertura figurativa la differenza

tra la retribuzione percepita e l’intera retribuzione percepita dal soggetto prima

dell’astensione facoltativa».

6.2 L’erogazione anticipata dell’assegno di mantenimento a tutela del minore

Disegno di legge n. 30 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla

presidenza il 29 aprile 2008

125

Disposizioni concernenti l’erogazione anticipata dell’assegno di manteni-

mento a tutela del minore

6.2.1 IllustrazIone

Con il presente disegno di legge si vuole intervenire in materia di prestazioni

assistenziali a favore dei minori. La realtà sociale dell’Italia è marcata da una

sempre più crescente instabilità coniugale, il modello tradizionale familiare

viene sfaldato da separazioni e da divorzi progressivamente aumentati negli

ultimi decenni.

I dati ISTAT relativi al 1995 ci parlano di 52.323 separazioni e 27.038 divor-

zi. Nel 2003 le separazioni sono state 81.744 e i divorzi 43.856, con un incre-

mento rispettivamente del 2,6 per cento e del 4,8 per cento in confronto all’an-

no precedente. Negli ultimi dieci anni entrambi i fenomeni sono aumentati di

circa il 59 per cento.

In altre parole, se nel 1994 si verificavano circa 154 separazioni e 80 divorzi

ogni 1.000 matrimoni, dieci anni dopo le proporzioni sono cresciute, arrivando

rispettivamente a 266 separazioni e a 139 divorzi ogni 1.000 matrimoni.

La propensione a ricorrere alla separazione o al divorzio non è unifor-

me sul territorio nazionale: al Nord si rileva quasi il doppio delle separazioni e

dei divorzi rispetto al Mezzogiorno. A livello regionale, i valori massimi si rag-

giungono in Valle d’Aosta, in Liguria e nel Lazio. I valori più bassi si riscontra-

no in Basilicata e in Calabria.

Il naufragio di tanti matrimoni coinvolge direttamente i figli; nel 2003, il

69,5 per cento delle separazioni e il 60,4 per cento dei divorzi hanno riguardato

coppie con figli avuti durante l’unione. I figli coinvolti nella crisi coniugale dei

propri genitori sono stati, in quell’anno, 90.031 nelle separazioni e 41.431 nei

divorzi. Oltre la metà delle separazioni e oltre un terzo dei divorzi hanno coin-

volto almeno un figlio minore.

126

Le separazioni e i divorzi con figli minori che nel 2003 si sono concluse pre-

vedendo una corresponsione monetaria per il loro sostentamento economico

costituiscono rispettivamente il 91,2 per cento e 1’89,7 per cento del totale.

Nel 2003, l’importo medio mensile del sostentamento economico a bene-

ficio dei figli minori è stato pari a 460,30 euro nelle separazioni e a 396,5 euro

nei divorzi. Secondo l’ISTAT, l’ammontare del contributo mensile varia, ovvia-

mente, in base al numero di figli minori, oscillando mediamente da 382,6 euro

nelle separazioni con un minore affidato a 700 euro nelle separazioni con al-

meno tre figli minori.

I numeri citati sono impressionanti e dimostrano una situazione di estrema

delicatezza per quanto riguarda i minori. La contribuzione al mantenimento

della prole nell’istituto dell’affidamento esclusivo viene riconosciuta al coniuge

affidatario, nella maggior parte dei casi la madre, economicamente più debole,

e purtroppo non sempre viene percepita come un obbligo, ma piuttosto come

una mera facoltà.

Anche nel mutato quadro normativo, il quale prevede l’istituto dell’affida-

mento condiviso come regola, il giudice può ancora disporre l’assegno periodi-

co a favore del genitore che sostiene le spese maggiori. La disciplina proposta

con la presente iniziativa legislativa quindi rimane attuale sia per quei casi di

affidamento esclusivo già conclusisi prima dell’entrata in vigore della legge 8

febbraio 2006, n. 54, ove non si chiedesse l’applicazione delle nuove norme, sia

per le separazioni ed i divorzi che si vedono applicati le regole dell’affidamento

condiviso.

In quest’ultimo caso la potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genito-

ri. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educa-

zione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capa-

cità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo

la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di

ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la

potestà separatamente.

127

Il giudice determina i tempi e le modalità della presenza dei figli presso cia-

scun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve

contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli.

Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra

i genitori.

Con riguardo al mantenimento dei figli, la legge prevede che, salvo accor-

di diversi, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura

proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corre-

sponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di propor-

zionalità, da determinare considerando sia le attuali esigenze del figlio che il

tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i geni-

tori, nonché i tempi di permanenza presso ciascun genitore e le risorse eco-

nomiche di entrambi i genitori. Infine, il giudice prende in considerazione la

valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

L’assegno, il quale può essere versato direttamente ai figli maggiorenni ma non

ancora economicamente indipendenti, è automaticamente adeguato agli indici

ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.

L’Italia, con la citata legge n. 54 del 2006, ha seguito l’esempio di numerosi

Paesi europei che hanno modificato il proprio diritto di famiglia, riconoscendo

la condivisione della potestà genitoriale come la soluzione più idonea a tute-

lare gli interessi dei figli minori coinvolti nella crisi del legame coniugale dei

propri genitori.

Purtroppo, occorre però ricordare i numerosi casi di mancata correspon-

sione dell’assegno di mantenimento. Pur avendo una normativa di per sé ben

ponderata e molto attenta alle esigenze dei minori, molti genitori affidatari si

trovano in difficoltà economiche per l’inadempimento dell’ex coniuge.

Risulta, inoltre, particolarmente difficile quantificare i casi di mancata cor-

responsione dell’assegno di mantenimento, in quanto si tratta di un fenomeno

in molti casi sommerso. In questo senso è stata disposta un’indagine dall’uni-

versità «La Sapienza» di Roma e dall’assessorato per le pari opportunità del

128

comune di Roma per la rilevazione del fenomeno di inadempimento economi-

co in nuclei separati o divorziati che si sono rivolti alle diciannove municipali-

tà cittadine. Le considerazioni conclusive della ricerca confermano la difficoltà

del reperimento dei dati: «Ciò mostra come il fenomeno dell’inadempimento,

nonostante sia un problema di ampia rilevanza sociale, non ha a tutt’oggi una

propria specifica visibilità neppure nei servizi sociali a fronte dei vari problemi

che accompagnano le separazioni e i divorzi delle famiglie italiane. Siamo dun-

que di fronte ad un fenomeno in larga parte sommerso che presenta, quando

si tenta di metterlo in luce, un insieme di sfaccettature e interconnessioni con

diverse problematiche sia individuali che relazionali e sociali. La popolazione

sulla quale abbiamo focalizzato la nostra ricerca risulta appartenere ad una fa-

scia di donne che, per diversi motivi, ha deciso di non agire legalmente i propri

diritti nei confronti dell’ex coniuge inadempiente, o se li ha agiti, non ha otte-

nuto soddisfazione».

Per tutelare i minori, la loro crescita ed educazione che deve proseguire con

decoro e dignità, si è deciso di intervenire con questo disegno di legge con il

quale si predispone un’erogazione anticipata al genitore affidatario (o altro

soggetto affidatario) delle somme destinate al mantenimento, con un tetto

massimo di 500 euro, aumentabile di 150 euro per ogni figlio dopo il primo, nel

caso in cui il genitore obbligato non corrisponda le medesime.

La provincia autonoma di Bolzano ha già provveduto ad emanare una leg-

ge in tal senso per fare fronte alle continue omissioni del genitore obbligato.

Si tratta della legge provinciale 3 ottobre 2003, n. 15, e come si evince dalla

relazione alla legge stessa: «sulla scorta di analoghe iniziative assunte in Pa-

esi stranieri (quali la Svizzera, la Germania e l’Austria) ... si propone l’inter-

vento della provincia autonoma di Bolzano nelle situazioni in cui la violazione

dell’obbligo al mantenimento possa costituire grave pregiudizio per i figli mi-

nori, mediante l’erogazione in via anticipata della prestazione dovuta e la suc-

cessiva rivalsa sull’obbligato. L’intervento previsto, pur dichiaratamente volto

a tutelare la dignità del minore mediante la prevenzione di situazioni di grave

129

disagio, potrebbe al contempo costituire valido stimolo per il genitore obbliga-

to al mantenimento, ad adempiere correttamente e tempestivamente ai propri

obblighi. Se, infatti, la contribuzione al mantenimento dei figli può non essere

intesa come un obbligo nei confronti dell’ex coniuge – pur essendolo ad ogni

effetto – altrettanto non vale nei confronti della pubblica amministrazione, che

subentrerebbe nel diritto di credito».

Infatti, il meccanismo utilizzato dalla legge provinciale prevede oltre all’at-

tività di erogazione anche quella di recupero; quindi, il legislatore ha introdotto

un sistema misto: mentre l’erogazione è delegata ai comuni e da questi subde-

legata alle comunità comprensoriali, l’esercizio della surroga nel diritto di cre-

dito nei confronti del genitore obbligato al mantenimento permane in capo alla

provincia, la quale tramite il proprio ufficio delle entrate provvede al recupero.

Per introdurre gli stessi princìpi nella normativa nazionale si è elaborato

l’articolato che si sottopone ora all’esame del Senato.

All’articolo 1 sono definite le finalità dell’intervento legislativo, mirante

all’erogazione anticipata al genitore affidatario delle somme per il manteni-

mento del minore non corrisposte dal genitore obbligato.

L’articolo 2 disciplina il trasferimento del diritto di credito, ai sensi dell’ar-

ticolo 1201 del codice civile, in capo all’Istituto nazionale della previdenza so-

ciale (INPS), il quale si rivale direttamente sul genitore obbligato per la riscos-

sione delle somme erogate e degli interessi maturati.

All’articolo 3 sono stabiliti i soggetti aventi diritto alla prestazione: cittadi-

ni italiani o di uno Stato membro dell’Unione europea, con residenza in Italia

da almeno un anno.

All’articolo 4 si fissano i presupposti del diritto alla prestazione, rappresen-

tati dall’esistenza di un titolo esecutivo fondato su un provvedimento dell’au-

torità giudiziaria.

L’articolo 5 stabilisce che il reddito del richiedente al momento della richie-

sta di anticipazione dell’assegno di mantenimento non deve superare i 29.000

euro lordi all’anno.

130

Con l’articolo 6 si stabiliscono le modalità per l’erogazione della somma

nonché l’istituzione di una speciale gestione dell’INPS con una specifica dota-

zione finanziaria.

L’assegno sarà concesso dai comuni ed erogato dall’INPS. Con uno o più

decreti del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto

con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono adottate le disposizioni per

l’attuazione della norma.

L’articolo 7 fissa un tetto all’erogazione dell’assegno in misura non supe-

riore a 500 euro mensili, aumentabile fino ad un massimo di 150 euro per ogni

figlio dopo il primo.

I successivi articoli 8, 9, 10 e 11 disciplinano le modalità di presentazione

della domanda, la decorrenza, la durata e la perdita della prestazione.

L’articolo 12 introduce una norma di salvaguardia per le competenze delle

regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano.

L’articolo 13 prevede la necessaria copertura finanziaria. La totale assenza

di dati relativi al fenomeno dell’inadempimento dell’obbligo di mantenimento

ha comportato delle notevoli difficoltà nell’elaborare un calcolo, anche se solo

indicativo, degli oneri dell’intervento legislativo in questione. Ci siamo basati

sul dato fornito dall’ISTAT sul numero delle separazioni e dei divorzi con figli

minori che si concludono con l’assegno.

Trasformiamo queste percentuali dell’anno 2003 in numeri assoluti. Di

questi presumiamo che il 20 per cento sia il dato relativo all’inadempimento,

supportati anche da alcuni studi di associazioni di genitori. Moltiplichiamo i

casi di inadempimento con l’ammontare medio dell’assegno. La cifra che sca-

turisce verrà coperta al 50 per cento con la surrogazione legale, ovvero con il re-

cupero delle cifre anticipate dall’INPS, e per la restante parte, relativa alla im-

possibilità del recupero nei confronti di soggetti disoccupati o in difficoltà eco-

nomiche di vario genere, mediante corrispondente riduzione del fondo specia-

le di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle

finanze. Dal nostro calcolo risulta l’ammontare di euro 2.367.071. Considerato

131

che ci basiamo su dati incerti con un sommerso presumibilmente alto e in vista

del continuo aumento del numero delle separazioni e dei divorzi, prevediamo

per la copertura finanziaria la somma di tre milioni di euro.

La totale carenza legislativa nazionale sul tema, nonostante quanto dispo-

sto dalla raccomandazione n. R(82)2 del Consiglio d’Europa, adottata nel lon-

tano 4 febbraio 1982, impone l’intervento del legislatore, tanto auspicato da

parte dei numerosi genitori e minori purtroppo interessati e in serie difficoltà

economiche.

In effetti, alcuni Consigli regionali si stanno muovendo per sopperire a

questa lacuna con iniziative legislative volte ad anticipare l’assegno di mante-

nimento con l’intervento pubblico.

6.2.2 DIsegno DI legge n. 30

L’erogazione anticipata dell’assegno di mantenimento a tutela del minore

Art. 1. (Oggetto e finalità)1. La presente legge disciplina l’erogazione anticipata, al genitore o ad altro

soggetto affidatario, delle somme destinate al mantenimento del minore, qua-

lora esse non vengano corrisposte dal genitore obbligato nei termini e alle con-

dizioni stabiliti dall’autorità giudiziaria.

Art. 2. (Surrogazione)1. L’erogazione dell’assegno di mantenimento in via anticipata ai sensi dell’ar-

ticolo 1 comporta il trasferimento, ai sensi dell’articolo 1201 del codice civile, in

capo all’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), del diritto di credito

nei confronti del genitore obbligato al mantenimento, in misura corrisponden-

te agli importi erogati al beneficiario, il quale rilascia espressa dichiarazione in

merito.

132

2. L’INPS si rivale direttamente sul genitore obbligato al mantenimento per

la riscossione delle somme erogate in via anticipata e degli interessi maturati.

Art. 3. (Aventi diritto)1. Ha diritto di richiedere la prestazione di cui all’articolo 1 il genitore o altro

soggetto affidatario del minore, se il minore è cittadino italiano o cittadino di

uno Stato membro dell’Unione europea che risiede e ha dimora abituale da al-

meno un anno in Italia.

2. Non ha diritto alla prestazione di cui all’articolo 1 il genitore affidatario

che convive con il genitore obbligato al mantenimento.

Art. 4. (Presupposti del diritto alla prestazione)1. Presupposti del diritto alla prestazione di cui all’articolo 1 sono:

a) la dichiarazione espressa di accettazione della surrogazione resa dal

beneficiario, valida per tutti i pagamenti effettuati in attuazione della

presente legge;

b) l’esistenza di un titolo esecutivo fondato su un provvedimento

dell’autorità giudiziaria italiana, che stabilisce l’importo e le modalità di

contribuzione al mantenimento da parte del genitore non affidatario;

c) l’esibizione di un atto di precetto ritualmente notificato, non ottemperato

nel termine di trenta giorni, o la sentenza dichiarativa del fallimento

dell’obbligato al mantenimento.

Art. 5. (Requisiti economici)1. L’anticipazione dell’assegno di mantenimento non spetta ai soggetti che, al

momento della richiesta di anticipazione, posseggono redditi propri assogget-

tabili all’imposta sul reddito delle persone fisiche superiori a euro 29.000 an-

nui.

2. Dal computo dei redditi di cui al comma 1 sono esclusi i trattamenti di

fine rapporto, le competenze arretrate comunque denominate e il reddito de-

133

rivante dalla casa di abitazione. Non concorre alla formazione dei redditi l’im-

porto dell’assegno di mantenimento.

Art. 6. (Istituzione di un fondo a tutela dei figli di genitori inadempienti degli obblighi di mantenimento)

1. Per le finalità di cui all’articolo 1, è istituito, presso l’INPS, un fondo

speciale con una dotazione finanziaria complessiva di 3 milioni di euro.

2. L’assegno di mantenimento è concesso dai comuni. I comuni provvedono

ad informare gli interessati invitandoli a certificare il possesso dei

prescritti requisiti.

3. L’assegno di mantenimento, ferma restando la titolarità in capo ai

comuni, è erogato dall’INPS sulla base dei dati forniti dai comuni

medesimi, secondo modalità definite con i decreti di cui al comma 4.

4. Con uno o più decreti di natura non regolamentare del Ministro del

lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro

dell’economia e delle finanze, sono adottate le disposizioni per

l’attuazione del presente articolo.

Art. 7. (Ammontare della prestazione)1. L’ente erogante corrisponde l’assegno di mantenimento in misura non supe-

riore a 500 euro mensili, aumentabile fino ad un massimo di 150 euro per ogni

figlio dopo il primo.

Art. 8. (Domanda)1. La domanda per la corresponsione anticipata dell’assegno di mantenimento

è presentata al comune nel cui territorio risiede l’avente diritto.

2. Se la domanda di cui al comma 1 è incompleta e non è integrata dal ri-

chiedente, senza giustificati motivi, entro trenta giorni dalla data di ricevimen-

to della richiesta di integrazione, la stessa decade.

134

Art. 9. (Decorrenza e durata della prestazione)1. La prestazione prevista dalla presente legge decorre dal primo giorno

del mese di presentazione della relativa domanda, se questa è stata

presentata entro il ventesimo giorno del mese stesso; negli altri casi,

decorre dal primo giorno del mese successivo.

2. L’erogazione della prestazione ha durata semestrale, è effettuata

mensilmente e può essere rinnovata su semplice richiesta corredata di

autocertificazione della sussistenza dei requisiti prescritti.

3. Qualora la prima concessione della prestazione sia stata ottenuta tramite

la presentazione della sentenza dichiarativa del fallimento dell’obbligato

al mantenimento, per il rinnovo di cui al comma 2 deve essere presentato

l’atto di precetto di cui alla lettera c) del comma 1 dell’articolo 4.

4. Il beneficiario dell’anticipazione dell’assegno di mantenimento è tenuto

a comunicare all’INPS, entro e non oltre trenta giorni dal loro verificarsi,

l’eventuale avvio o ripristino dei pagamenti da parte dell’obbligato al

mantenimento.

Art. 10. (Ricorsi)1. Con i decreti di cui all’articolo 6, comma 4, è altresì definita la procedura tra-

mite la quale il richiedente può presentare ricorso avverso il diniego della pre-

stazione prevista dalla presente legge.

Art. 11. (Accertamento della permanenza dei requisiti e perdita del diritto)1. Qualora, in caso di controllo, il beneficiario non risponda entro il termine

di trenta giorni dalla data di ricevimento della richiesta di informazioni,

il comune sospende l’erogazione della prestazione prevista dalla presente

legge.

2. Il comune pronuncia la decadenza dal diritto alla prestazione qualora:

a) nel termine di tre mesi dalla data della sospensione il beneficiario non

dimostri di essere nuovamente in possesso di tutti i requisiti di legge;

135

b) il beneficiario della prestazione non rispetti l’obbligo di comunicare

tempestivamente all’ente erogante qualsiasi variazione, anche di

carattere temporaneo, del proprio stato e della propria situazione

personale, reddituale e patrimoniale, potenzialmente idonea a incidere

sul perdurare dei requisiti prescritti per l’accesso alla prestazione.

Art. 12. (Competenze delle regioni e delle province autonome)1. Restano salve le competenze delle regioni e delle province autonome di Tren-

to e di Bolzano.

Art. 13. (Disposizioni finanziarie)1. All’onere derivante dall’attuazione della presente legge, valutato in 3

milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2008, si provvede:

a) per la metà dell’importo, pari a 1.500.000 euro, mediante le

corrispondenti entrate esigibili per effetto della surrogazione

dell’INPS, ai sensi dell’articolo 2, nel credito verso i genitori obbligati al

mantenimento;

b) per la restante parte, pari a 1.500.000 euro, mediante corrispondente

riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008

– 2010, nell’ambito del fondo speciale di parte corrente dello stato

di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno

2008, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al

medesimo Ministero.

2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con

propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Art. 14. (Entrata in vigore)1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pub-

blicazione nella Gazzetta Ufficiale.

136

6.3 Riduzione dell’ IVA sui prodotti di rima necessità per l’infanzia

Disegno di legge n. 31 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla

presidenza il 29 aprile 2008

Riduzione dell’aliquota IVA sui prodotti di prima necessità per l’infanzia

6.3.1 IllustrazIone

Il presente disegno di legge prende spunto da alcuni dati allarmanti. La popola-

zione italiana ha una natalità tra le più basse del mondo, da ormai quasi una ge-

nerazione. Come conseguenza, l’Italia va accumulando un imponente «debito»

demografico, un debito facilmente misurabile e comparabile. In Francia, na-

zione con una popolazione simile a quella italiana, nel 2002 sono nati 767.000

bambini, in Italia 539.000, il 42 per cento in meno.

Le recentissime proiezioni dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU)

prevedono che nel 2050, ad avere più di 60 anni, sarà il 41 per cento della popo-

lazione italiana e il 33 per cento di quella francese. Secondo l’ISTAT, nei pros-

simi 50 anni ci sarà un aumento di 5 milioni di persone con 80 anni e oltre e,

nonostante una non trascurabile immigrazione, una diminuzione di 11 milioni

della popolazione con meno di 80 anni.

Le conseguenze sulla struttura sociale, sui meccanismi di solidarietà in-

tergenerazionale, sul sistema del welfare sono notevoli e si accentueranno nei

prossimi decenni. Con queste tendenze come potrà sopravvivere l’economia e

la società italiana?

Le ragioni della denatalità sono di varia natura. Non avere figli può essere

una libera scelta della coppia oppure essere una conseguenza della diminuzio-

ne della fecondità. In più, si è affermata la tendenza di rinviare il momento pro-

creativo, il che riduce inevitabilmente il numero dei figli.

137

Ma la denatalità in molti casi può anche essere frutto di povertà, soprat-

tutto per quanto riguarda la decisione di avere un secondo o un terzo figlio. In

effetti, il calo complessivo della natalità è dovuto proprio alla fortissima ridu-

zione dei figli successivi al primo.

In base ad alcuni dati forniti dalla Banca d’Italia, negli ultimi dieci anni si

è avuto un boom dell’indebitamento delle famiglie italiane, che in base a dati

aggiornati al settembre dello scorso anno ha toccato il 30 per cento del prodot-

to interno lordo contro il 18 per cento del 1996. Il boom dell’indebitamento dei

cittadini, come afferma il Codacons, si è registrato in modo particolare negli

ultimi quattro anni, quando cioè si sono verificati gli aumenti più forti dei prez-

zi e delle tariffe e le famiglie sono ricorse sempre più al credito al consumo per

arrivare a fine mese, anche per gli acquisti di media entità.

Occorre mettere in campo tutte quelle misure utili a ridare potere d’acqui-

sto ai redditi delle famiglie e a sanare la disastrosa situazione che ha portato in

un solo anno al raddoppio del business del credito al consumo, passato da 40 a

80 miliardi di euro.

È dovere, quindi, della politica e del legislatore predisporre misure idonee

per alleviare, specie per le famiglie al di sotto della soglia di povertà e con una

sola fonte di reddito, il costo di omogeneizzati, pannolini, prodotti per l’igiene e

quant’altro necessita alla vita dei bambini. Tali spese, come è noto, incidono in

misura rilevante (20 per cento circa) sul bilancio di una famiglia monoreddito.

Con il presente disegno di legge si propone di ridurre l’imposta sul valore

aggiunto su tali prodotti al 4 per cento in modo da fare scendere i costi da so-

stenere per i figli fino al secondo anno d’età.

6.3.2 DIsegno DI legge n. 31

Riduzione dell’ IVA sui prodotti di prima necessità per l’infanzia

138

Art. 1.1. Alla tabella A, parte II, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26

ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente

numero:

«41-quinquies) pannolini, omogeneizzati, latte in polvere, prodotti per

l’igiene, creme contro gli arrossamenti e le irritazioni della pelle, destinati alla

infanzia».

Art. 2.1. All’onere derivante dall’attuazione della presente legge, valutato in 8 milioni

di euro annui a decorrere dall’anno 2008, si provvede mediante corrisponden-

te riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008 –

2010, nell’ambito del fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione

del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2008, allo scopo parzial-

mente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero.

2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con

propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Art. 3.1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pub-

blicazione nella Gazzetta Ufficiale.

6.4 Disciplina delle forme pensionistiche complementari

Disegno di legge n. 36 d’iniziativa dei senatori PETERLINI e PINZGER, comu-

nicato alla presidenza il 29 aprile 2008

Modifiche al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, in materia di discipli-

na delle forme pensionistiche complementari

139

6.4.1 IllustrazIone

La funzione della previdenza complementare è quella di permettere al lavorato-

re di integrare, con le prestazioni pensionistiche aggiuntive, la pensione di base

corrisposta dagli enti di previdenza obbligatoria.

PremesseL’articolo 38 della Costituzione italiana stabilisce che i lavoratori hanno diritto

che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso

di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Se-

condo la Corte costituzionale anche il sistema di previdenza complementare,

organizzato tramite gli appositi fondi, rientra nella tutela di tale diritto.

La riforma della previdenza obbligatoria operata dalla legge 8 agosto 1995,

n. 335, introducendo il sistema di calcolo contributivo delle pensioni e le rifor-

me conseguenti, ha accentuato la necessità di affiancare al primo «pilastro»

della previdenza obbligatoria il secondo e il terzo «pilastro», della previdenza

complementare ed integrativa. In linea di principio i giovani percepiranno, in-

fatti, la metà della pensione dei loro padri.

Pertanto, la legge 23 agosto 2004, n. 243, ha riformato il regime pensioni-

stico introdotto dalla legge n. 335 del 1995 ed ha delegato il Governo a modifi-

care anche il regime della previdenza complementare, con lo scopo dichiarato

di aumentare il ricorso alla stessa e, conseguentemente, le fonti di finanzia-

mento, fissando quali criteri per l’attuazione della delega:

l’adozione di misure finalizzate ad incrementare l’entità dei flussi di finan-

ziamento alle forme pensionistiche complementari;

il perfezionamento dell’unitarietà e dell’omogeneità del sistema di vigilan-

za sull’intero settore della previdenza complementare;

la ridefinizione della disciplina fiscale della previdenza complementare;

la previsione, per tutte le forme pensionistiche complementari, dell’obbligo

di esporre, nel rendiconto annuale e, in modo sintetico, nelle comunicazioni

140

inviate all’iscritto, se e in quale misura siano presi in considerazione aspetti

sociali, etici ed ambientali.

Il decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, adottato in attuazione del-

la delega, disciplina le forme pensionistiche complementari modificando, con

ampliamenti e abrogazioni, il decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, che ori-

ginariamente regolava dette forme di previdenza.

L’entrata in vigore della riforma, che originariamente era prevista dal 2008,

è stata anticipata al 1º gennaio 2007.

Dal 1º gennaio 2007 i lavoratori del settore privato possono dunque sceglie-

re se mantenere in azienda o conferire a forme di previdenza complementare o

integrativa il trattamento di fine rapporto che andrà a maturare.

ObiettiviAl momento del pensionamento il montante accumulato dovrebbe essere tra-

sformato in rendita vitalizia per integrare le pensioni.

Secondo l’articolo 11 del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, l’iscrit-

to può scegliere di percepire la prestazione pensionistica:

interamente in rendita, mediante l’erogazione della pensione complemen-

tare;

parte in capitale (fino ad un massimo del 50 per cento della posizione ma-

turata) e parte in rendita.

Nel caso in cui, convertendo in rendita almeno il 70 per cento della posizio-

ne individuale maturata, l’importo della pensione complementare sia inferiore

alla metà dell’assegno sociale INPS (attualmente pari a euro 381,72 mensili),

l’iscritto può scegliere di ricevere l’intera prestazione in capitale.

I motivi che hanno spinto il legislatore ad adottare un sistema di «silen-

zio assenso» e favorire l’afflusso del TFR ad un fondo pensione complementa-

re risiedono nella considerazione che questo non può essere considerato alla

stregua di un qualsiasi altro investimento: si tratta di un investimento previ-

denziale per il proprio futuro mirato a garantire in vecchiaia un tenore di vita

141

non troppo discostante da quello raggiunto nel periodo lavorativo, con i sacri-

fici che noi tutti conosciamo.

L’obbiettivo, pertanto, è di favorire il risparmio previdenziale oltre che col

TFR anche con contributi da parte del datore di lavoro e da parte del lavora-

tore stesso e poi – al momento del pensionamento – trasformarlo in rendita

vitalizia che vada ad aumentare la propria pensione. Se invece al momento del

pensionamento il capitale accumulato venisse in toto o in gran parte liquidato si

rinuncerebbe all’obiettivo di una pensione integrativa con conseguenze dram-

matiche per tutta una generazione. Pertanto, la rinuncia ad una liquidità im-

mediata non è da definire uno «svantaggio». Questa decisione è piuttosto da

considerare come un atto di tutela nei nostri confronti, finalizzata alla fruizione

vitalizia del capitale accumulato nel fondo pensione in aggiunta all’erogazione

della pensione pubblica.

Inoltre, il legislatore favorisce il risparmio previdenziale con grandi sgravi

fiscali per i contributi ai fondi pensione, che vengono dedotti dal reddito impo-

nibile e pertanto sono esenti dalla tassazione.

Il disegno di legge, pertanto, mira a limitare le ipotesi nelle quali il rispar-

mio previdenziale accumulato possa essere liquidato in forma una tantum, inve-

ce di essere trasformato in rendita vitalizia. La legge, infatti, prevede due ipo-

tesi:

a) che fino alla metà del montante possa essere liquidato in forma una tantum;

b) che tutto il montante possa essere liquidato in forma una tantum, se la

pensione che ne risulta non raggiungesse certi limiti, e cioè, sia minore

del 50 per cento dell’assegno sociale.

Per quanto riguarda il primo punto, cioè la possibilità di farsi liquidare il

50 per cento in forma una tantum, il legislatore già ha penalizzato questa ipotesi

prevedendo che chi prelevi più del 30 per cento sia penalizzato dal punto di vi-

sta fiscale. Il danno in questo caso sarebbe allora doppio: danno fiscale e inol-

142

tre, una consistente riduzione della pensione. Si propone, pertanto, di limitare

la possibilità di liquidazione ad un 30 per cento in coerenza con la legge fiscale.

Il secondo punto sembra a prima vista logico ed è basato sul seguente ra-

gionamento: se gli importi accumulati risultassero così bassi da rendere poco,

sarebbe meglio liquidarli in una forma una tantum. I calcoli che seguono dimo-

strano invece il contrario. Le somme del risparmio accumulato, al di sotto del-

le quali si potrebbe ricorrere alla liquidazione una tantum, sono consistenti e si

aggirano, a secondo dell’età e del sesso, tra i 62.000 e gli 86.000 euro. Questo

significa che le persone al momento del pensionamento possono sì soddisfare,

magari con questa somma, un singolo momentaneo interesse, ma si depaupe-

rerebbero dalla propria pensione integrativa. Nonostante la sua esiguità, que-

sta è comunque – negli obiettivi della legge – da preferire alla soddisfazione

di un unico momentaneo desiderio. Lo schema sotto riportato evidenzia qua-

li sono i montanti finanziari necessari, a secondo dell’età e del sesso, per fare

scaturire una rendita vitalizia del 50 per cento dell’assegno sociale.

SESSO MASCHI FEMMINE

ETÀ Coefficente conversio-ne per 1.000 euro

di montante finanziario

Montantefinanziario

Coefficente conversio-ne per 1.000 euro

di montante finanziario

Montantefinanziario

57 46,160 78.325,00 41,872 86.346,0058 47,328 76.392,00 42,778 84.517,0059 48,574 74.432,00 43,740 82.658,0060 49,903 72.450,00 44,764 80.767,0061 51,320 70.449,00 45,854 78.847,0062 52,828 68.438,00 47,015 76.900,0063 54,436 66.417,00 48,250 74.932,0064 56,154 64.385,00 49,566 72.942,0065 57,991 62.345,00 50,974 70.927,00

assegno sociale euro 5.061,6850% assegno sociale euro 2.530,84 = 70% rendita vitalizia

100% rendita vitalizia euro 3.615,48 pagabile in rate annuali

Come si può constatare, le cifre del montante finanziario sono molto alte e

gli importi di misure minori accumulati potrebbero essere liquidati ai lavora-

tori in forma una tantum. Chi aveva già una certa età quando ha iniziato con il

143

risparmio previdenziale, per i ritardi con i quali è entrato in vigore il sistema,

ha pochi anni di risparmio e non raggiungerà mai queste cifre. Ne consegue che

tutti gli iscritti degli ultimi anni saranno liquidati in forma una tantum. Questo

non può essere lo scopo della legge sulla previdenza complementare.

Esempio:Nel caso di un uomo di sessantacinque anni, qualora abbia maturato al mo-

mento del pensionamento un montante di 62.345 euro, trasformando l’intero

montante in rendita, utilizzando il coefficiente 57,991, avrebbe una rendita an-

nuale vitalizia di 3.615,48 euro. Il 70 per cento di questo importo corrisponde a

2.530,84 euro che corrisponde al 50 per cento dell’assegno sociale.

Ciò significa che in caso di un montante superiore all’importo di 62.345 eu-

ro la rendita sarebbe più alta ed il 70 per cento sarebbe superiore al 50 per cen-

to dell’assegno sociale, con la conseguenza di non potersi erogare l’importo in

forma di capitale, mentre con un importo minore si potrà percepire tutto in for-

ma una tantum.

Quindi è molto importante attuare una modifica dell’articolo 11 del decre-

to legislativo n. 252 del 2005 perché, oltre a fare in modo che i cittadini non si

pentano in futuro di una decisione presa affrettatamente, che va a restringere la

pensione, si consente allo Stato di mettere a frutto quelle risorse non depaupe-

rate, perché prese in anticipo, dai cittadini. Si propone pertanto, come limite al

di sotto del quale può essere liquidata in forma una tantum la somma accumula-

ta, una rendita che ne scaturirebbe inferiore a 600 euro annui.

6.4.2 DIsegno DI legge n. 36

Disciplina delle forme pensionistiche complementari

144

Art. 1.1. All’articolo 11 del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, il comma 3 è

sostituito dal seguente:

«3. Le prestazioni pensionistiche in regime di contribuzione definita e di

prestazione definita possono essere erogate in capitale, secondo il valore at-

tuale, fino ad un massimo del 30 per cento del montante finale accumulato, e

in rendita. Nel computo dell’importo complessivo erogabile in capitale sono

detratte le somme erogate a titolo di anticipazione per le quali non si sia prov-

veduto al reintegro. Nel caso in cui la rendita derivante dalla conversione di al-

meno il 70 per cento del montante finale sia inferiore a 600 euro annui, la stes-

sa può essere erogata in capitale».

4.5 Regolamentazione del TFS e TFR in Trentino-Alto Adige/Südtirol e in Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste per il pubblico impiego

Disegno di legge n. 40 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla

presidenza il 29 aprile 2008

Regolamentazione del trattamento di fine servizio e del trattamento di fine

rapporto nella regione Trentino-Alto Adige/Südtirol e nella regione Valle d’Ao-

sta/Vallée d’Aoste in relazione al personale operante nel settore pubblico

6.4.3 IllustrazIone

L’articolo 2, commi 5 e 8, della legge 8 agosto 1995, n. 335, ha previsto che, per

il personale dipendente delle pubbliche amministrazioni, assunto a partire dal

1º gennaio 1996, il trattamento di fine servizio fosse regolato in base a quan-

to stabilito dall’articolo 2120 del codice civile in materia di trattamento di fine

rapporto.

145

Lo stesso articolo 2, al comma 7, demanda alla contrattazione collettiva na-

zionale il compito di definire le modalità di applicazione della disciplina in ma-

teria di trattamento di fine rapporto nei confronti dei lavoratori già occupati

alla data del 31 dicembre 1995.

Il processo di attuazione, molto complesso per gli aspetti giuridici e di ca-

rattere finanziario che comportano il passaggio dal trattamento di fine servi-

zio di natura previdenziale vigente nel pubblico impiego al trattamento di fine

rapporto di natura retributiva vigente nel lavoro privato, ha richiesto un tem-

po molto lungo, caratterizzato da interventi normativi che hanno limitato al

solo personale a tempo determinato ovvero a tempo indeterminato, assunto,

quest’ultimo, dopo la data del 31 dicembre 2000, l’applicazione obbligatoria del

trattamento di fine rapporto.

I contenuti dell’accordo collettivo, relativo sia al personale nuovo assunto

che a quello già in servizio alla data del 31 dicembre 2000, sono stati poi recepi-

ti, così come disposto dal citato articolo 2, comma 6, della legge n. 335 del 1995,

nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 dicembre 1999, pub-

blicato nella Gazzetta Ufficiale n. 111 del 15 maggio 2000, che, a sua volta, è stato

oggetto di modifiche ed integrazioni operate sia indirettamente, con la disci-

plina introdotta dall’articolo 74 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, sia te-

stualmente, con le novelle di cui al successivo decreto del Presidente del Con-

siglio dei ministri 2 marzo 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 118 del 23

maggio 2001.

Le province autonome di Trento e di Bolzano, in virtù della competenza le-

gislativa primaria ad esse riservata in materia di ordinamento del persona-

le pubblico dipendente degli enti locali, prima dell’entrata in vigore del cita-

to decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 dicembre 1999, hanno

dato attuazione alle disposizioni contenute nell’articolo 2 della legge n. 335

del 1995. La conseguente regolamentazione del trattamento di fine rapporto

è contenuta, rispettivamente, nella legge della provincia di Trento 3 febbraio

146

1997, n. 2 (articolo 9), e nella legge della provincia di Bolzano 3 maggio 1999,

n. 1 (articolo 22).

Questo passaggio è stato regolato nello spirito e con le cautele previste dal

comma 5 dell’articolo 2 della citata legge n. 335 del 1995, che non ha esteso

ai lavoratori dipendenti delle amministrazioni pubbliche il trattamento di fine

rapporto «ai sensi e per gli effetti» dell’articolo 2120 del codice civile ma so-

lamente «in base» a quanto previsto in tale articolo, proprio nel rispetto delle

peculiarità giuridiche e delle compatibilità di gestione del trattamento di fine

servizio.

Le citate leggi provinciali, pertanto, non essendo la materia previdenzia-

le di competenza della legislazione provinciale, hanno dovuto tener conto del

mantenimento della contribuzione previdenziale dovuta all’INPDAP, al quale i

lavoratori (e le amministrazioni) restano obbligatoriamente iscritti. L’obbligo

di iscrizione permarrà sino alla concreta attuazione delle disposizioni integra-

tive dell’articolo 2, comma 8, della legge n. 335 del 1995, introdotte dall’articolo

74 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, con cui si riconduce alla gestione di-

retta delle amministrazioni la corresponsione del trattamento di fine rapporto,

facendo venir meno la contribuzione all’Istituto previdenziale.

Per l’effetto delle richiamate disposizioni, è stato istituito il cosiddetto

«TFR provinciale», che si configura come un trattamento ibrido in quanto, per

un verso, riveste alcune delle caratteristiche tipiche del trattamento di fine rap-

porto (è calcolato come il TFR ed è erogato dal datore di lavoro che, per que-

sto, è anche sostituto d’imposta) mentre per l’altro verso, non essendo venuto

meno l’obbligo contributivo all’INPDAP, quest’ultimo rimane obbligato a liqui-

dare una quota della prestazione (corrispondente all’indennità premio di ser-

vizio) in base alla normativa vigente per tutti gli iscritti prima dell’entrata in

vigore delle leggi provinciali.

Per quanto attiene alla previdenza complementare, con il nuovo trattamen-

to di fine rapporto sono state create le condizioni che hanno permesso a nu-

merosi dipendenti delle amministrazioni pubbliche del Trentino-Alto Adige di

147

aderire al fondo pensione regionale, denominato «Laborfonds», impegnando

il datore di lavoro a versare, in aggiunta al contributo previsto dal contratto,

anche una parte del «TFR provinciale», nei limiti di quella integrazione dell’in-

dennità premio di servizio erogata dall’INPDAP già prevista dalle norme pre-

vigenti.

Permanendo l’attuale disciplina del «TFR provinciale», se per il personale

in servizio alla data di introduzione del TFR era possibile da parte del datore

di lavoro sostenere il peso della quota da versare al fondo pensione, perché nei

limiti della integrazione del trattamento di fine servizio erogata dall’INPDAP,

diventa insostenibile per le amministrazioni interessate l’impegno al versa-

mento dell’intera quota del TFR per i nuovi assunti, così come previsto dal de-

creto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, in aggiunta al contributo che esse stesse

sono tenute a versare aIl’INPDAP.

La situazione presente nella regione Valle d’Aosta/Vallèe d’Aoste è diffe-

rente da quella rappresentata per la regione Trentino-Alto Adigej/Südtirol e le

province autonome di Trento e di Bolzano poiché, in assenza di legislazioni lo-

cali in materia, sono state applicate le disposizioni contenute nel citato decreto

del Presidente del Consiglio dei ministri 20 dicembre 1999, e successive modi-

ficazioni.

Per tutte le considerazioni esposte, nel rispetto delle esigenze di equilibrio

dei conti pubblici non solo nel breve ma anche nel medio e nel lungo perio-

do, con il presente disegno di legge si intende dare attuazione alla disposizione

introdotta all’articolo 2, comma 8, della legge n. 335 del 1995 dall’articolo 74,

comma 4, della legge n. 388 del 2000, che prevede la cessazione della contribu-

zione previdenziale in materia di trattamento di fine servizio, comunque deno-

minato, in favore delle competenti gestioni dell’INPDAP e, nell’attesa, confer-

mare gli effetti della legislazione provinciale nel frattempo intervenuta.

Il riferimento all’equilibrio finanziario di medio e lungo periodo permet-

te, infatti, di rappresentare la situazione che vede nel tempo l’INPDAP, in par-

ticolare per quanto riguarda la gestione ex INADEL, assumere impegni di gran

148

lunga superiori a quelli che possono garantire le attuali aliquote contributive e

che verrebbero invece ripartiti con le amministrazioni datrici di lavoro in caso

di approvazione del presente provvedimento.

A fronte di un contributo complessivo dovuto dalle amministrazioni, pari

al 6,10 per cento da computare sull’80 per cento della retribuzione, l’INPDAP è

tenuto a contabilizzare, come TFR da corrispondere al lavoratore alla cessazio-

ne dal servizio, il 6,91 per cento da computare sul 100 per cento della retribu-

zione e a rivalutare il montante con il 75 per cento della variazione dell’indice

ISTAT, maggiorato di 1 punto e mezzo su base annua.

Al ddl. si accluse una scheda tecnica che evidenzia gli effetti finanziari e

economici di quanto proposto e nella quale si riportano, in sintesi, i seguenti

valori finanziari, in migliaia di euro, elaborati sulla base di un tasso di inflazio-

ne programmata pari all’1,7 per cento annuo.

Dipendenti interessati presenti nella regione Trentino-Alto Adige/Südti-

rol. Ammontare della contribuzione dovuta all’INPDAP, in moneta corrente:

– anno 2008: euro 17.279;

– anno 2009: euro 19.775;

– anno 2010: euro 22.199.

Per un totale nel decennio di euro 331.314.

Dipendenti interessati presenti nella regione Valle d’Aosta.

Ammontare della contribuzione dovuta all’INPDAP, in moneta corrente:

– anno 2008: euro 2.487;

– anno 2009: euro 2.908;

– anno 2010: euro 3.247.

Per un totale nel decennio di euro 47.930.

6.4.4 DIsegno DI legge n. 40

Regolamentazione del TFS e TFR in Trentino-Alto Adige/Südtirol e in Valle

d’Aosta/Vallée d’Aoste per il pubblico impiego

149

Art. 1.1. Per il personale degli enti della regione Trentino-Alto Adige/Südtirol,

delle province autonome di Trento e di Bolzano nonché della regione Val-

le d’Aosta/Vallèe d’Aoste, di cui all’articolo 2, comma 8, terzo e quarto perio-

do, della legge 8 agosto 1995, n. 335, assunto in data successiva al 31 dicembre

2000, la contribuzione previdenziale in materia di trattamento di fine servizio

comunque denominato in favore delle competenti gestioni dell’Istituto nazio-

nale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica (INPDAP)

cessa con decorrenza 1º gennaio 2008.

2. Per assicurare la invarianza della retribuzione netta complessiva e di

quella utile ai fini previdenziali dei dipendenti nei confronti dei quali si applica

quanto disposto dal comma 1, la retribuzione lorda è ridotta in misura pari al

contributo previdenziale obbligatorio soppresso a carico del lavoratore; conte-

stualmente, al recupero della predetta riduzione si provvede mediante un cor-

rispondente incremento figurativo ai fini previdenziali e del trattamento di fine

rapporto.

3. Alla data di cessazione dal servizio, gli enti di cui al comma 1 provvedono

a corrispondere al personale di cui al medesimo comma l’intero trattamento di

fine rapporto, compresa la quota spettante a titolo di trattamento di fine servi-

zio o di fine rapporto maturata presso l’INPDAP e determinata secondo le mo-

dalità indicate nel comma 4. Alla quota maturata presso l’INPDAP, derivante

dal trattamento di fine servizio spettante al 31 dicembre 2007, si applicano gli

stessi abbattimenti di imponibile previsti dalla normativa fiscale in materia di

indennità di fine servizio.

4. Al personale di cui al comma 1, già titolare del rapporto previdenziale con

l’INPDAP, sono valutati i servizi e i periodi utili ai fini del trattamento di fine

servizio ovvero del trattamento di fine rapporto. Il computo di quanto maturato

alla data del 31 dicembre 2007 per il personale in regime di trattamento di fine

servizio è effettuato secondo la normativa previgente alla data di entrata in vi-

gore della presente legge. La somma così calcolata è rivalutata in base alle di-

150

sposizioni di cui all’articolo 2120 del codice civile. Alla cessazione del rapporto

di lavoro, l’INPDAP trasferisce all’ente datore di lavoro il montante maturato

entro i termini previsti dall’articolo 3 del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79,

convertito, con modificazioni, della legge 28 maggio 1997, n. 140.

5. Per il personale di cui al comma 1, che ha aderito ai fondi di previdenza

complementare prima dello gennaio 2008 e per il quale trova applicazione il

decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 dicembre 1999, pubblica-

to nella Gazzetta Ufficiale n. 111 del 15 maggio 2000, e successive modificazioni,

il montante maturato al 31 dicembre 2007, costituito dagli accantonamenti fi-

gurativi delle quote del trattamento di fine rapporto nonché da quelli relativi

all’aliquota dell’1,5 per cento di cui all’articolo 2, comma 4, del citato decreto

del Presidente del Consiglio dei ministri, continua ad essere rivalutato dall’IN-

PDAP ai sensi dell’articolo 2, comma 5, dello stesso decreto del Presidente del

Consiglio dei ministri ed è conferito al fondo pensione di riferimento alla ces-

sazione del rapporto di lavoro.

6. All’articolo 2, comma 8, della legge 8 agosto 1995, n. 335, il quinto perio-

do è soppresso.

6.5 Affidamento condiviso

Disegno di legge n. 43 d’iniziativa dei senatori PETERLINI, PINZGER e COSSI-

GA, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008

Disposizioni in materia di residenza anagrafica dei figli affidati ad entrambi i

genitori separati o divorziati

151

6.5.1 IllustrazIone

Con la legge 8 febbraio 2006, n. 54, viene capovolto il sistema in materia di

affidamento in base al quale i figli venivano affidati, come regola, o all’uno o

all’altro dei genitori, secondo il prudente apprezzamento del presidente del tri-

bunale o del giudice o secondo le intese raggiunte dai coniugi, e soltanto come

eccezione ad entrambi i genitori. In caso di separazione o divorzio dei genitori, i

figli saranno affidati, come regola, ad entrambi i genitori e, soltanto come ecce-

zione, ad uno di essi quando in tal senso spinga l’interesse del minore e l’affida-

mento condiviso determini una situazione di pregiudizio per il minore stesso.

Le nuove norme attuano il principio della bi-genitorialità, principio affer-

matosi da tempo negli ordinamenti europei e presente altresì nella Convenzio-

ne sui diritti del fanciullo sottoscritta a New York il 20 novembre 1989, ratifica-

ta e resa esecutiva in Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176.

Con l’introduzione dell’istituto dell’affidamento condiviso si realizza sem-

pre più di frequente e comunemente una suddivisione su base paritaria del co-

siddetto «regime delle visite» (per esempio a settimane alterne o previsioni si-

milari): ciò fa sì che i figli si trovino ad avere due dimore abituali e quindi due

residenze (articolo 43 del codice civile), che coincidono con le abitazioni dei

genitori presso le quali trascorrono tempi uguali, senza una prevalenza dell’una

sull’altra.

Il fatto che l’ordinamento italiano non consenta la possibilità di avere due

indirizzi di residenza benché non vi sia alcuna norma che lo vieti espressamen-

te, né nel codice civile né nella normativa vigente in materia anagrafica (legge

24 dicembre 1954, n. 1228 e regolamento di cui al decreto del Presidente della

Repubblica 30 maggio 1989, n. 223) – obbliga ad una «forzatura giuridica» im-

ponendo, appunto, al soggetto (figlio minore di genitori separati o divorziati)

un unico indirizzo di residenza anagrafica, situazione che sempre più spesso

non coincide con quella reale laddove, trascorrendo tempi uguali presso l’abi-

152

tazione di ciascun genitore, i figli hanno di fatto non un’unica dimora abituale

bensì due.

La questione, ovviamente, non ha rilevanza solo formale ma sostanziale ed

ha ripercussioni, giuridiche da un lato e pratiche dall’altro, importanti.

Alcuni degli aspetti significativi ed esplicativi possono essere i seguenti:

1. l’indirizzo di residenza è importante perché a tale indirizzo sono inviate

tutte le notificazioni e le comunicazioni «ufficiali» inerenti la persona: stante

che non sempre e non necessariamente la comunicazione tra i genitori è pun-

tuale ed efficace, il fatto che il figlio sia residente presso l’uno o presso l’altro

può avere ripercussioni pratiche, concrete, importanti sull’esercizio quotidiano

della potestà e dell’affidamento;

2. l’entità e lo stesso accesso ad ogni forma di agevolazione, contributo,

sovvenzione pubblica (compresi, ad esempio, quelli inerenti all’istruzione sco-

lastica, ma non solo) è ancorata dalla normativa alla composizione anagrafica

della famiglia (cosiddetto «stato di famiglia»), vuoi direttamente, vuoi – nella

maggior parte dei casi – tramite il parametro dell’indicatore della situazione

economica equivalente (ISEE), nel calcolo del quale la composizione anagra-

fica della famiglia (e quindi la residenza) ha un’incidenza importante di cui,

allo stato, può beneficiare solo il genitore con il quale i figli anagraficamente

risiedono.

Il presente disegno di legge, pertanto, prevede la doppia residenza anagra-

fica presso l’indirizzo di entrambi i genitori (e, conseguentemente, l’iscrizione

sia nello stato di famiglia anagrafico paterno sia in quello materno) per i fi-

gli che, essendo affidati ad entrambi i genitori, con suddivisione paritaria delle

«visite» e trascorrendo tempi uguali presso l’abitazione della madre e del pa-

dre, hanno di fatto due dimore abituali (articolo 43 del codice civile) coinciden-

ti, appunto, con le abitazioni dei genitori.

Parliamo, dunque, di doppia residenza e non di doppio domicilio poiché il

doppio domicilio non dà alcuna garanzia circa l’invio all’indirizzo di entrambi i

genitori delle comunicazioni e notificazioni (sia da parte dei privati sia da par-

153

te degli enti e uffici pubblici i quali, ovviamente, fanno riferimento ai registri

anagrafici comunali della popolazione residente per le comunicazioni e noti-

ficazioni) né consente l’accesso alle agevolazioni ancorate, appunto, allo stato

di famiglia anagrafico. Inoltre la norma prevede per i genitori già divorziati o

separati di ottenere la doppia iscrizione anagrafica dei figli tramite istanza da

inoltrare all’ufficio anagrafico, evitando di dover ricorrere al tribunale per otte-

nere una modifica delle condizioni del divorzio o della separazione, che com-

porterebbe un inutile aggravio di lavoro per gli organi giudiziari, oltre ad ulte-

riori spese alle parti e l’inevitabile dilungarsi dei tempi.

L’approvazione del presente disegno di legge consentirebbe di adeguare la

legislazione italiana all’evoluzione della società e della famiglia e concorrereb-

be a realizzare una politica di reale sostegno alla famiglia stessa, sulla base di

criteri di equità e giustizia e dando, nel contempo, riconoscimento giuridico

ad una realtà sempre più diffusa come, peraltro, risulta già avvenga in altri Pa-

esi europei, come per esempio in Francia, dove l’affidamento congiunto come

forma privilegiata venne istituito nel 1993. Sei anni dopo il governo incaricò

una commissione qualificatissima di verificare gli esiti della nuova normativa.

Constatato che l’applicazione dell’affidamento congiunto superava felicemente

il 90 per cento, il Parlamento francese accolse anche il suggerimento di cancel-

lare le ultime tracce di residua monogenitorialità, stabilendo la possibilità di

una doppia residenza per il minorenne. Ciò avvenne con la legge n. 2002-305

del 4 marzo 2002.

In tal modo si eliminerebbe, all’origine, un motivo di potenziale attrito,

quando non di conflitto, tra gli ex-coniugi e un’occasione di eventuali possibili

strumentalizzazioni da parte dell’uno o dell’altro genitore, con evidente van-

taggio di tutte le parti in gioco, in primo luogo, ovviamente, dei figli.

154

6.5.2 DIsegno DI legge n. 43

Affidamento condiviso

Art. 1.1. In caso di separazione o di divorzio, i figli affidati ad entrambi i genitori e che

trascorrono periodi di uguale durata presso l’abitazione della madre e del pa-

dre hanno la doppia residenza anagrafica e, conseguentemente, l’iscrizione sia

nello stato di famiglia anagrafico materno sia in quello paterno. Entrambi gli

indirizzi di residenza sono indicati nelle certificazioni e nei documenti d’iden-

tità del minore.

2. In presenza delle condizioni di cui al comma precedente, l’iscrizione del

figlio minore nello stato di famiglia anagrafico è ottenuta dal genitore interes-

sato mediante istanza in carta libera al competente ufficio anagrafico comuna-

le, corredata da copia della sentenza di separazione o divorzio.

6.6 Misure a sostegno della famiglia

Atto n. 1-00023, Pubblicato il 24 settembre 2008

Seduta n. 59

PETERLINI , D’ALIA , CINTOLA , CUFFARO , FOSSON , PINZGER , THALER

AUSSERHOFER , COSSIGA , RAMPONI , BAIO

6.6.1 MozIone n. 1-00023

Il Senato,

premesso che:

la famiglia si è sempre più qualificata nel suo ruolo di «mattone fondamentale»

della società ma, purtroppo, fino agli anni Novanta l’interesse per le politiche

155

familiari è stato piuttosto scarso, la programmazione politica si è orientata ver-

so un modello di welfare rivolto all’assistenza delle persone in stato di difficoltà

piuttosto che alla valorizzazione e al sostegno della famiglia nel suo complesso;

proprio in ragione di questo vuoto di attenzione nei confronti delle fami-

glie e del notevole cambiamento culturale, negli ultimi 30 anni, è iniziato un

lento e inesorabile processo di denatalità: nel 1970 il numero medio di figli per

donna era di 2,2; il tasso di fecondità è gradualmente sceso e si aggira ora in-

torno ai 1,3 figli per donna, uno dei più bassi al mondo. Dall’altro lato si registra

un allungamento della vita ed un progressivo aumento di bisogno assistenziale

rappresentato dai disabili e dagli anziani non autosufficienti cui la famiglia, da

sola, è stata chiamata a rispondere;

accanto a questi fenomeni si è assistito alla modificazione della composi-

zione familiare: maggiore diffusione delle convivenze more uxorio, delle fami-

glie monogenitoriali e delle famiglie ricostituite e quindi allargate, all’aumento

delle patologie familiari e al radicarsi delle famiglie povere;

anche sul fronte fiscale, nel passato, la famiglia non è stata oggetto della

necessaria attenzione, non sono stati individuati gli interventi più opportuni,

non sono state investite le risorse necessarie. Tale percorso è iniziato con il de-

creto-legge 28 febbraio 1983, n. 55, convertito dalla legge 26 aprile 1983, n. 131,

sulla finanza locale, che ha imposto la partecipazione al costo dei servizi a do-

manda individuale: asili nido, case di riposo, soggiorni di vacanza, eccetera ed

è proseguito nel corso degli anni Ottanta con l’imposizione di ticket sanitari,

la progressiva riduzione del valore degli assegni al nucleo familiare, eccetera;

analogo discorso viene fatto per il problema dell’abitazione, che risulta oggi

centrale per le famiglie italiane, basti pensare che esse spendono buona parte

del loro reddito per il pagamento dei canoni di locazione e delle rate dei mutui.

È preoccupante, a tal proposito, il fenomeno della continua erosione del potere

d’acquisto delle famiglie ed in particolare di quelle dei pensionati e le condizio-

ni di crisi colpiscono maggiormente le famiglie composte da lavoratori flessi-

bili e da quelli monoreddito, le donne sole con figli e i pensionati;

156

le istituzioni non possono intervenire soltanto quando la famiglia non è più

in grado di affrontare i bisogni e quindi non è in grado di fronteggiare i proble-

mi. Lo Stato, nelle sue articolazioni, deve valorizzare le responsabilità assun-

te dalla famiglia rispetto allo svolgimento dell’attività di cura nei confronti dei

componenti deboli, deve sostenere l’importanza del suo ruolo di mediazione

tra generazioni e considerare attentamente che lo sviluppo e la stessa econo-

mia del Paese può crescere solo se si investe sul potenziale sociale espresso

dalle famiglie;

negli ultimi anni, la responsabilità della famiglia sulle nuove generazio-

ni è accompagnata da gravi fragilità, che sono determinate dalla mancanza di

un supporto sociale organizzato nelle fasi di crescita delle nuove generazioni,

dall’infanzia all’adolescenza, all’età adulta. Un indicatore sensibile, quale quel-

lo delle risorse economiche investite dal sistema pubblico per le voci «famiglia

e figli», attesta la scarsità dell’impegno in questo senso. Mentre il nostro Pa-

ese investe appena l’un per cento del Prodotto interno lordo ed il 4 per cento

dell’intera spesa per la protezione sociale, gli altri Paesi europei impegnano il

doppio della loro spesa sociale con punte in Germania, Svezia e Francia che si

aggirano intorno al 10 per cento;

la disoccupazione, soprattutto tra i giovani, e la precarietà del lavoro, anche

tra i meno giovani, registrano dati poco confortanti. L’Italia, infatti, si carat-

terizza come un Paese ad elevata disoccupazione giovanile. Il tasso di disoc-

cupazione riferito all’intera popolazione di 15 – 24 anni è pari al 27,1 per cen-

to (contro una media dell’Unione europea del 17,4 per cento) ed è lievemen-

te superiore rispetto al dato calcolato solo sui ragazzi che hanno lasciato il si-

stema dell’istruzione e della formazione, pari al 26 per cento (contro la media

dell’Unione europea del 20,1 per cento);

dare centralità alla famiglia in un Paese come il nostro – dove essa è co-

stretta ad un sovraccarico funzionale dovuto alle profonde trasformazioni so-

ciali ed economiche degli ultimi decenni – significa porla al centro delle poli-

tiche pubbliche, perché produce funzioni di grande valore sociale. Le famiglie

157

vanno sostenute e aiutate nello svolgimento dei loro compiti di riproduzione,

permettendo alla donna di esercitare il diritto al lavoro e alla realizzazione pro-

fessionale. Con la legge 8 marzo 2000, n. 53, relativa ai congedi parentali, si

è consolidato il riconoscimento del valore sociale della maternità e paternità,

ma anche in questo caso permangono limiti legati alla necessità di ampliare i

diritti per i rapporti flessibili, di rendere esigibili i diritti scarsamente utilizzati

ed infine di agevolare le imprese che ne favoriscono l’applicazione e l’utilizzo;

altra vera e propria emergenza per le famiglie italiane è rappresentata dai

carichi assistenziali delle persone non autosufficienti, spesso anziane (nel

2004, secondo dati elaborati dal Censis e dall’Agenzia dei servizi sanitari re-

gionali, gli anziani non autosufficienti erano pari a 2.272.768). È evidente che

la famiglia rappresenta attualmente il punto di riferimento, spesso l’unico, per

rispondere a questa tipologia di bisogni;

il ruolo della famiglia è contemplato non solo dagli articoli 29, 30 e 31 del-

la Costituzione, che riconoscono la famiglia come società naturale fondata sul

matrimonio ma, con la modifica del Titolo V, la famiglia rientra pienamente

nel concetto della sussidiarietà orizzontale, ossia il primo livello ed espressio-

ne della società civile nel suo rapporto con le istituzioni;

la legge finanziaria per il 2008 ha previsto un primo accantonamento di ri-

sorse economiche, ma ora occorre prevedere gli ulteriori strumenti economi-

co-finanziari adeguati a perseguirne le finalità,

impegna il Governo:

a valutare la reale consistenza del maggior gettito tributario e dedicarlo

all’abbattimento del carico fiscale a favore delle fasce sociali meno abbienti e

al sostegno della famiglia;

a varare provvedimenti a favore dell’occupazione, soprattutto per i giovani,

potenziando le scelte già avviate con la legge finanziaria per il 2008 per rendere

più attrattiva per le imprese l’assunzione a tempo indeterminato, anche con in-

centivi fiscali e previdenziali; di contro, ad aumentare il prelievo fiscale e pre-

158

videnziale nei confronti di quelle imprese che prescelgono forme occupazionali

di tipo precario;

a prevedere, come già avviene in tanti Paesi europei, un sistema di rispar-

mio agevolato per l’acquisto della prima casa (Bausparen), coinvolgendo, in ra-

gione delle rispettive competenze, anche le Regioni; ad incentivare i giovani

(come in Germania, in Austria ed in altri Paesi) a cominciare molto presto a

seguire un piano di risparmio sistematico per la casa, per ritrovarsi, quando

decidono di formare la famiglia, già un congruo budget per l’acquisto e per poter

proseguire il piano con un debito minore;

a favorire la maternità con incentivi economici, a prolungare per la don-

na lavoratrice il periodo di astensione retribuita, finora di cinque mesi, age-

volando per le madri che vogliono proseguire l’astensione dal lavoro il conge-

do parentale e aumentando la percentuale di stipendio; a promuovere l’offerta

di orari flessibili di lavoro nelle aziende e negli enti pubblici e forme di lavoro

part-time; a sostenere la prosecuzione volontaria nell’INPS o la contribuzione

in fondi pensione delle madri lavoratrici per garantire una pensione anche a

chi si dedica alla famiglia e promuovendo forme pensionistiche a favore delle

casalinghe;

ad incentivare, tramite le Regioni e le Province autonome, la presenza su

tutto il territorio nazionale di asili nido, promuovendo in particolar modo quel-

li aziendali;

ad istituire un fondo previdenziale per la non-autosufficienza (con uno

sguardo ai modelli europei, la cosiddetta Pflegeversicherung), alimentato anche

da una contribuzione obbligatoria da parte dei cittadini per assicurare la dispo-

nibilità di fondi per la cura e l’assistenza delle persone non autosufficienti in

continuo aumento in seguito all’allungamento della vita;

ad agevolare, nell’ambito della tassazione familiare, le famiglie meno ab-

bienti, anche tenendo conto del numero dei componenti a cominciare dai red-

diti più bassi.

159

6.7 Misure per favorire le adozioni nazionali ed internazionali

Disegno di legge n. 836 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla

presidenza il 26 giugno 2008

Misure per favorire le adozioni nazionali e internazionali e modifica all’ar-

ticolo 6 della legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di differenza di età tra

adottante e adottato.

6.7.1 IllustrazIone

Il presente disegno di legge contiene misure per favorire le adozioni nazionali e

internazionali e modifica il comma 3 dell’articolo 6 della legge 4 maggio 1983,

n. 184, e successive modificazioni, che disciplina appunto l’adozione naziona-

le e internazionale, intervenendo sulla norma che regola la differenza di età tra

adottante e adottato.

Il disegno di legge si propone di raggiungere un duplice scopo. Il primo

consiste nell’innalzamento del limite di età da quarantacinque a cinquanta an-

ni. La questione del limite di età nelle adozioni nazionali e internazionali, pe-

raltro, è stata già oggetto di modifica con l’innalzamento del limite da quaranta

a quarantacinque anni operato dalla legge 28 marzo 2001, n. 149, con la quale

il legislatore ha voluto adeguare anche l’istituto dell’adozione ad un fenome-

no sociale che negli ultimi anni si è andato diffondendo e che ha visto sempre

più coppie spostare «in avanti» l’età del primo figlio. Si rendeva necessario,

infatti, conformare anche la scelta della genitorialità legata all’adozione ad una

trasformazione già in atto nella società, dovuta all’aumento dell’aspettativa di

vita (raddoppiata rispetto al XIX secolo e continuamente in aumento – più 2,5

anni ogni dieci), alla frequente posticipazione dei matrimoni per lo studio e per

conciliare meglio lavoro e famiglia, alla costituzione di nuove famiglie dopo i

divorzi. Tutte queste ragioni rendono ormai superata la prescritta differenza di

età tra gli adottanti e l’adottato.

160

Il secondo motivo è dato dalla formulazione poco chiara del comma 6

dell’articolo 6, della citata legge n. 184 del 1983 che consente la deroga al limite

di età fissato a quarantacinque anni (con la modifica introdotta dalla presente

proposta cinquanta anni) nel caso in cui uno dei due coniugi abbia un’età supe-

riore di non più di dieci anni rispetto a quella stabilita. La norma, così formula-

ta, ha indotto i tribunali per i minorenni ad interpretazioni non sempre univo-

che. Pertanto, con il riferimento al coniuge più giovane d’età si risolve anche il

problema dell’interpretazione da parte degli uffici giudiziari minorili.

La stessa Corte costituzionale, del resto, si è più volte pronunciata sull’ar-

ticolo 6 della legge n. 184 del 1983 in tema di differenza di età tra adottante ed

adottato, segnalando quanto i bisogni dei minori e la necessità di dare a que-

sti una famiglia sia prioritario rispetto a regole, quale la differenza di età, che

talvolta possono essere derogate se dalla mancata adozione derivi un danno

grave per il minore. Così la Corte è intervenuta sull’incostituzionalità del ci-

tato articolo 6 una prima volta nel 1992, – sentenza n. 148 del 1º aprile 1992

– dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’articolo in oggetto laddove non

consentiva l’adozione di uno o più fratelli in stato di adottabilità, nel caso in

cui per uno di essi l’età degli adottanti superasse di più di quarant’anni l’età

dell’adottato e dalla separazione fosse derivato per i minori un danno grave;

una seconda volta nel 1996 – sentenza n. 303 del 24 luglio 1996 – disponendo

che nel caso in cui la differenza di età di uno solo degli adottanti superi il limi-

te di quarant’anni il giudice, se dalla mancata adozione derivi un danno grave

per il minore, deve disporre comunque l’adozione; una terza volta nel 1998 –

sentenza n. 348 del 9 ottobre 1998 – ed un’ultima volta nel 1999, – sentenza

n. 283 del 9 luglio 1999 – sempre in tema di superamento dei limiti di età per

uno solo degli adottanti.

161

6.7.2 DIsegno DI legge n. 836

Misure per favorire le adozioni nazionali ed internazionali

Art. 1.1. All’articolo 6 della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, il

comma 3 è sostituito dal seguente:

«3. La differenza minima di età fra l’adottando e il più giovane degli adot-

tanti non può essere inferiore ad anni diciotto. La differenza massima di età

non può superare i cinquanta anni per il coniuge più giovane di età.».

6.8 Spese sostenute per l’assistenza domiciliare all’infanzia

Disegno di legge n. 2113 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla

presidenza il 15 aprile 2010

Disposizioni in materia di spese sostenute per l’assistenza domiciliare

all’infanzia

6.8.1 IllustrazIone

L’assistenza domiciliare all’infanzia, concepita come un servizio integrativo e

complementare rispetto a quello fornito dai tradizionali servizi per i bambini

in età pre-scolare, è stata sperimentata in Italia soprattutto per quanto riguar-

da i bambini più piccoli (età inferiore ai tre anni). L’esperienza più significativa

in tal senso è quella altoatesina, costruita facendo riferimento ai più collaudati

modelli austriaci e tedeschi.

L’idea di base è quella di selezionare e formare madri disponibili ad accudi-

re più bambini (sei, inclusi i propri), al fine di far fronte ad una domanda di ac-

cudimento infantile in forte crescita ed alla quale gli asili nido pubblici e privati

faticano a far fronte. Contemporaneamente, ed è il secondo principio ispirato-

162

re del servizio, si recupera la disoccupazione di donne che, a causa della dedi-

zione alla famiglia, hanno interrotto rapporti di lavoro e che vorrebbero rien-

trare nel ciclo produttivo, riqualificarsi, senza perdere l’opportunità di coprire

un ruolo importante che è quello di accudire i figli.

Questo servizio permette di andare incontro alle necessità specifiche di

ogni bambino sia dal punto di vista delle sue abitudini, sia da quello della fles-

sibilità delle prestazioni, la cui durata e la cui frequenza vengono concordate

direttamente con le famiglie.

Nel caso altoatesino, l’ente pubblico non interviene direttamente nella ge-

stione del servizio che è interamente svolto da istituzioni private senza scopo

di lucro (cooperative sociali o associazioni). Esso entra in gioco soltanto nel-

la verifica e certificazione degli standard igienico-sanitari cui deve rispondere

l’abitazione dell’assistente (Tagesmütter), il luogo dove si svolge la prestazione, e

nella concessione di contributi a seconda del reddito, a parziale copertura del-

le spese che gli utenti del servizio sono chiamati a sostenere, nonché a parziale

copertura delle spese di gestione sostenute dagli enti del terzo settore, che ero-

gano il servizio. L’ente pubblico stabilisce inoltre i criteri guida che informano

la selezione e la valutazione delle assistenti domiciliari all’infanzia. Tutte le as-

sistenti e i bambini durante il periodo di custodia sono tutelati da un’assicura-

zione infortuni e responsabilità civile a cura della cooperativa organizzatrice,

che si occupa anche della specifica formazione, dell’aggiornamento professio-

nale delle operatrici e del monitoraggio del loro lavoro. Al termine del percor-

so formativo (che consta di una parte teorica e di un tirocinio), dopo un esame

finale, viene attribuita una qualifica che, tuttavia, non è ancora riconosciuta a

livello nazionale.

Alcune esperienze pilota italiane (non ultima quella attivata nel corso del

2004 sui territori dei comuni di Milano e di Brescia, inserita nel quadro del

progetto Equal «Empowerment dei lavoratori stranieri e gestione delle diversi-

tà») hanno inoltre pensato di integrare questa idea con l’offerta di una signifi-

cativa opportunità di riqualificazione a donne immigrate che desiderino accu-

163

dire i propri figli e nel contempo necessitino di svolgere un’attività lavorativa.

Una delle prime esperienze italiane ad individuare la possibile doppia valenza

strategica dell’istituzione di un servizio di assistenza domiciliare all’infanzia,

che reclutasse primariamente donne straniere, è stata quella proposta dall’en-

te Donneuropee Federcasalinghe del Veneto nel 1999, finanziata nell’ambito

dell’iniziativa comunitaria Occupazione e valorizzazione delle risorse umane

– Settore NOW – con la realizzazione del progetto «Assistenti domiciliari d’in-

fanzia – Madri di giorno – Tagesmütter», con l’obiettivo esplicito di incremen-

tare l’offerta di servizi per la prima infanzia, offrendo nel contempo un percor-

so di occupazione o reinserimento nel mondo del lavoro a donne disoccupa-

te (straniere e non) attraverso la professionalizzazione del lavoro di cura del

bambino in età pre-scolare.

Sarebbe, pertanto, auspicabile che tali esperienze da progetti diventassero

veri e propri servizi, si traducessero cioè in un inquadramento stabile e struttu-

rato all’interno della rete dell’offerta pubblica, garantendo un servizio di grande

rilevanza sociale e, al tempo stesso, offrendo un’opportunità significativa di ri-

qualificazione alle donne che, a causa dell’importante ruolo che rivestono nella

riproduzione familiare, rischiano l’espulsione dal mercato del lavoro.

Il presente disegno di legge, attraverso la concessione della possibilità di

detrarre le spese sostenute per il pagamento del servizio domiciliare all’infan-

zia – vengono infatti riconosciute ai genitori che se ne avvalgono, in sostituzio-

ne del servizio reso dall’asilo nido, le stesse agevolazioni fiscali previste dall’ar-

ticolo 2, comma 6, della legge 22 dicembre 2008, n. 203 – si prefigge lo scopo

di raggiungere più obiettivi: lo sviluppo dei servizi stessi (perché ne aumenterà

la domanda), una maggiore partecipazione delle mamme al mondo del lavoro

e l’incremento della natalità.

164

6.8.2 DIsegno DI legge n. 2113

Spese sostenute per l’assistenza domiciliare all’infanzia

Art. 1.1. All’articolo 2, comma 6, della legge 22 dicembre 2008, n. 203, è aggiunto, in

fine, il seguente periodo: «Tra le spese che beneficiano della detrazione di cui

al periodo precedente rientrano anche quelle sostenute dai genitori per il pa-

gamento del servizio di assistenza domiciliare all’infanzia, gestito da un ente

fornitore di servizio accreditato, per i bambini fino al compimento del quarto

anno di età».

2. Alle minori entrate derivanti dall’attuazione delle disposizioni della pre-

sente legge, valutate complessivamente in 1.450.000,00 euro per l’anno 2010,

in 1.600.000,00 euro per l’anno 2011 e in 1.700.000,00 euro annui a decorrere

dall’anno 2012, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanzia-

mento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio trienna-

le 2010 – 2012, nell’ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della

missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell’eco-

nomia e delle finanze per l’anno 2010, allo scopo parzialmente utilizzando l’ac-

cantonamento relativo al medesimo Ministero.

3. Il Ministro dell’economia e delle finanze provvede al monitoraggio delle

minori entrate di cui alla presente legge, anche ai fini dell’applicazione dell’ar-

ticolo 17, commi 12 e 13, della legge 31 dicembre 2009, n. 196.

4. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con

propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

165

6.9 Esclusione dell’uxoricida dalla reversibilità

Disegno di legge n. 2278 d’iniziativa dei senatori SPADONI URBANI, MALAN,

BUTTI, D’AMBROSIO LETTIERI, ESPOSITO, IZZO, PETERLINI e ZANOLET-

TI, comunicato alla presidenza il 15 luglio 2010

Disposizioni in materia di esclusione dell’uxoricida dal trattamento pensioni-

stico di reversibilità

6.9.1 IllustrazIone

Le modalità per l’attribuzione della pensione di reversibilità da attribuire al co-

niuge superstite ed ex coniuge in concorso tra loro è disciplinato dall’articolo

9, commi 2 e 3, della legge 1º dicembre 1970, n. 898, modificato dall’articolo 13

della legge 6 marzo 1987, n. 74.

Nell’ordinamento giuridico italiano il trattamento pensionistico di reversi-

bilità è concesso in via originaria al coniuge superstite. In questo modo, pur-

troppo, si arriva alla distorsione per cui l’uccisore del proprio coniuge, l’uxorici-da lato sensu, riceve la pensione di reversibilità del coniuge di cui è stato omici-

da, sottraendola in tutto o in parte ai legittimi eredi.

Pertanto, con il presente disegno di legge, si prevede, all’articolo 1, che i fa-

miliari che siano stati condannati, con sentenza passata in giudicato, per il de-

litto di omicidio, non hanno diritto alla pensione di reversibilità e, se sono già

titolari della stessa, ne perdono il beneficio.

L’articolo 2 introduce due modifiche all’articolo 9 della legge 1º dicembre

1970, n. 898, prevedendo il divieto per l’uxoricida (latu sensu, includendo anche

la donna che uccide il proprio marito) di ottenere dagli enti previdenziali il be-

neficio della pensione di reversibilità.

166

Si ritiene che sia un atto doveroso di giustizia verso i figli e gli altri aventi di-

ritto, ma anche una modifica necessaria per evitare il paradosso di un omicida

che riceve sostentamento dalla propria vittima.

6.9.2 DIsegno DI legge n. 2278

Esclusione dell’uxoricida dalla reversibilità

Art. 1.1. Non hanno diritto alla pensione di reversibilità o indiretta ovvero all’in-

dennità una tantum i familiari che sono stati condannati, con sentenza passa-

ta in giudicato, per il delitto di cui all’articolo 575 del codice penale in danno

dell’iscritto o del pensionato.

2. I soggetti di cui al comma 1 che sono titolari di una pensione di reversibi-

lità o indiretta perdono il diritto al relativo trattamento a decorrere dalla data di

entrata in vigore della presente legge.

Art. 2.1. All’articolo 9 della legge 1º dicembre 1970, n. 898 e successive modificazioni,

sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 2 è sostituito dal seguente:

«2. In caso di morte dell’ex coniuge e in assenza di un coniuge supersti-

te avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge, ad eccezione

dell’uxoricida, rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento

o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a

nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell’articolo 5, alla

pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il tratta-

mento pensionistico sia anteriore alla sentenza»;

b) il comma 3 è sostituito dal seguente:

167

«3. Qualora esista un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di

reversibilità, ad eccezione dell’uxoricida, una quota della pensione e degli altri

assegni a questi spettanti è attribuita dal tribunale, tenendo conto della dura-

ta del rapporto, al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di

scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e che sia titolare

dell’assegno di cui all’articolo 5. Se in tale condizione si trovano più persone, il

tribunale provvede a ripartire fra tutti la pensione e gli altri assegni, nonché a

ripartire tra i restanti le quote attribuite a chi sia successivamente morto o pas-

sato a nuove nozze.».

6.10 Disposizioni in favore della famiglia

Disegno di legge n. 2996 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla

presidenza il 28 ottobre 2011

Disposizioni in favore della famiglia

6.10.1 IllustrazIone

Il nostro Paese ha il tasso di natalità più basso del mondo ed è il fanalino di coda

in Europa per quanto concerne le politiche di sostegno alle famiglie e all’infan-

zia. Gli ultimi dati diffusi dall’Istituto nazionale di statistica (Istat) in relazio-

ne a famiglie e natalità in Italia rivelano un quadro demografico di rinnova-

ta sofferenza. I dati del 2009 e del 2010 confermano che è nuovamente in atto

una fase di calo delle nascite: se i nati nel 2009 erano stati 568.857, nel 2010

essi sono scesi a 561.944, circa 15.000 in meno in due anni. Il calo delle nascite

registrato, peraltro, investe tendenzialmente tutte le regioni, anche quelle del

Centro-Nord che erano state protagoniste delle variazioni positive degli ultimi

quindici anni.

168

Le ragioni della denatalità sono di varia natura. Non avere figli può essere

una libera scelta della coppia, come anche una conseguenza della diminuzio-

ne della fecondità. Si è affermata, inoltre, la tendenza a rinviare il momento

procreativo, anche per la grave crisi economica in corso, con tutte le inevitabili

conseguenze in termini di numero dei figli. La crisi della natalità a lungo ter-

mine incide sulla struttura sociale, sui meccanismi di solidarietà intergenera-

zionale e sul sistema del welfare in modo notevole e tali gravi effetti non potran-

no che accentuarsi nei prossimi decenni. È dunque ormai improcrastinabile un

intervento del legislatore teso ad introdurre misure idonee a sostegno delle fa-

miglie, in primis per alleviare la situazione di quelle al di sotto della soglia di po-

vertà. Il presente disegno di legge è teso ad introdurre misure concrete a soste-

gno delle famiglie, prevedendo sgravi fiscali, in tal modo contribuendo con un

segnale forte a quell’auspicabile inversione di tendenza nell’ambito della crisi

della natalità.

In particolare, il testo proposto prevede, all’articolo 1, la concessione alle

donne residenti, cittadine italiane o comunitarie, di un assegno pari a 2.000

euro per ogni figlio nato o adottato nell’anno in corso.

All’articolo 2, si prevede di alleviare il costo di omogeneizzati, pannolini,

prodotti per l’igiene, e quanto necessario alla vita dei bambini fino al secon-

do anno di età, riducendo l’imposta sul valore aggiunto su tali prodotti al 4 per

cento; spese che, come noto, incidono in misura rilevante sul bilancio di una

famiglia monoreddito.

L’articolo 3 prevede l’introduzione di speciali detrazioni per le spese relative

agli asili nido e alle scuole materne (fino a 1.000 euro), per l’acquisto di libri di

testo per le scuole dell’obbligo e secondarie superiori (fino a 500 euro), nonché

le spese sostenute per la locazione di immobili in Italia e nei Paesi dell’Unione

europea per motivi di studio, per ciascun figlio di età compresa tra i 18 ed i 28

anni.

L’articolo 4, infine, prevede l’innalzamento della soglia di reddito sotto la

quale i familiari risultino fiscalmente a carico del contribuente. L’attuale soglia

169

di reddito, pari a euro 2.840,51 viene innalzata a 6.000 euro. Il proponente, che

ha già presentato altri disegni di legge concernenti misure in favore della ma-

ternità e delle donne lavoratrici, che rendano compatibile il lavoro delle donne

– spesso indispensabile per la famiglia – con l’educazione e dei figli, auspica

che il presente disegno di legge, insieme alle altre proposte avanzate in argo-

mento, venga preso in esame al più presto dal Parlamento.

6.10.2 DIsegno DI legge n. 2996

Disposizioni in favore della famiglia

Art. 1.1. Alle donne residenti, cittadine italiane o dell’Unione europea, è concesso, per

ogni figlio nato ovvero adottato nell’anno 2011, un assegno pari a 2.000 euro.

2. Per la concessione dell’assegno di cui al comma 1, il reddito complessivo

del nucleo familiare, riferito all’anno 2010, non deve superare i 50.000 euro. Per

nucleo familiare s’intende quello individuato ai sensi dell’articolo 1 del decreto

del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro delle finanze, del 22 gen-

naio 1993, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 21 del 27 gennaio 1993.

3. L’assegno di cui al comma 1 è concesso dai comuni ed erogato dall’Isti-

tuto nazionale della previdenza sociale secondo le modalità di cui all’articolo

21 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni,

dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e successive modificazioni.

Art. 2.1. Alla Tabella A, parte II, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26

ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, è aggiunto in fine il seguente

numero:

170

«41-quinquies) pannolini, biberon, tettarelle, prodotti alimentari destinati

all’infanzia, latte in polvere e liquido per neonati, prodotti per l’igiene destinati

all’infanzia».

Art. 3.1. Al comma 1 dell’articolo 15 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al

decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, sono appor-

tate le seguenti modificazioni:

a) dopo la lettera e), sono inserite le seguenti:

«e-bis) i costi sostenuti per asili nido e scuole materne fino all’importo di

1.000 euro;

e-ter) le spese sostenute per l’acquisto di libri di testo per le scuole dell’ob-

bligo e per le scuole secondarie superiori fino all’importo di 500 euro;

e-quater) le spese sostenute per la locazione di immobili in Italia e nei Paesi

dell’Unione europea per motivi di studio, per ciascun figlio di età compresa tra

i 18 ed i 28 anni, fino all’importo di 200 euro»;

b) alla lettera i-sexies), dopo le parole: «e comunque in una provincia diver-

sa» sono inserite le seguenti: «o in uno dei paesi dell’Unione europea,».

Art. 4.1. All’articolo 12, comma 2, del testo unico di cui al decreto del Presidente della

Repubblica 22 settembre 1986, n. 917, le parole: «2.840,51 euro» sono sostituite

dalle seguenti: «6.000 euro».

Art. 5.1. All’onere derivante dall’attuazione della presente legge, valutato in 1.500.000

euro per ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013, si provvede mediante corrispon-

dente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscrit-

to, ai fini del bilancio triennale 2011 – 2013, nell’ambito del programma «Fondi

di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsio-

171

ne del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2011, allo scopo par-

zialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero.

2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con

propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

172

7 Tutela dell’ambiente

7.1 Convenzione per la protezione delle Alpi

Disegno di legge n. 22, d’iniziativa dei senatori PETERLINI, COSSIGA, D’ALIA

e PINZGER, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008

Ratifica ed esecuzione dei Protocolli di attuazione della Convenzione per la

protezione delle Alpi, con annessi, fatta a Salisburgo, il 7 novembre 1991

7.1.1 IllustrazIone

Il presente disegno di legge riproduce il disegno di legge presentato dal Go-

verno il 21 febbraio 2002, di ratifica ed esecuzione dei protocolli di attuazione

della Convenzione internazionale per la protezione delle Alpi, fatta a Salisbur-

go il 7 novembre 1991, nella sua integralità, con tutti i Protocolli attuativi della

Convenzione (si vedano l’Atto Camera n. 2381 e l’Atto Senato n. 1842 della XIV

legislatura e l’Atto Camera n. 583 e l’Atto Senato n. 651 della XV legislatura).

Attuazione dei Protocolli che appariva del tutto conseguente all’approvazione

della legge di autorizzazione alla ratifica della Convenzione, legge 14 ottobre

1999, n. 403, avvenuta a larga maggioranza da parte delle Camere.

Nella XIV legislatura l’iter di questo importante, essenziale, provvedimento

ha subìto, sino alla sospensione dell’esame da parte delle Camere, le gravi con-

traddizioni dell’allora Governo di centro-destra. Il testo è giunto alla seconda

lettura da parte della Camera dei deputati, privo del Protocollo sui trasporti,

che aveva avuto il parere favorevole di tutte le regioni dell’arco alpino (parere

che era stato previsto e reso obbligatorio appunto in sede di approvazione del-

la legge di ratifica della Convenzione), dell’Associazione nazionale dei comuni

173

italiani (ANCI) e dell’Unione delle province d’Italia (UPI), con una unanimità

di consensi del tutto trasversale agli schieramenti politici.

Gli impegni assunti dall’Italia in sede comunitaria e nell’ambito del proprio

mandato, nel biennio 2000 – 2002, di presidenza della Convenzione delle Alpi

e delle iniziative adottate per l’Anno internazionale della montagna, nel 2002,

hanno formalmente sostenuto l’obiettivo della tutela dell’ecosistema alpino at-

traverso l’adesione e la ratifica di tutti i protocolli di attuazione della Conven-

zione, e segnatamente dei Protocolli che configurano un essenziale rapporto

fra la tutela dell’ecosistema alpino, le tematiche dello sviluppo compatibile e i

problemi di ammodernamento delle nostre reti infrastrutturali: foreste monta-

ne, pianificazione territoriale e sviluppo sostenibile, difesa del suolo, energia,

protezione della natura e tutela del paesaggio, agricoltura di montagna, tra-

sporti, insieme a quelli sulla composizione delle controversie e al Protocollo

del turismo, di cui all’articolo 1 del presente disegno di legge.

Tali impegni sono stati disattesi, o non attuati, su decisione anzitutto del

Governo che ha avuto la maggioranza nella XIV legislatura e che nelle Com-

missioni di merito ha aderito al parere negativo del relatore di maggioranza, se

non addirittura indicato in prima persona parere contrario all’attuazione di ta-

luni o altri Protocolli (come nella Commissione trasporti della Camera dei de-

putati, dove il Governo è arrivato ad esprimere parere contrario al proprio dise-

gno di legge [seduta del 18 aprile 2002]. La Commissione medesima, in sede di

espressione del parere [seduta del 22 aprile 2002], ha rilevato presunti «profili

problematici sotto il profilo della compatibilità con le norme costituzionali ri-

guardanti il riparto di competenze tra Stato e regioni» determinati dalla rifor-

ma del titolo V della parte seconda della Costituzione).

Si tratta di scelte sbagliate che hanno reso più complessi i temi ed urgenti

i tempi per le comunità dell’Arco alpino, per l’Italia e la sua collocazione euro-

pea.

La XVI legislatura ha dunque una prospettiva, a nostro avviso, ineludibile,

affinché le ragioni di tutela e gli obiettivi di sviluppo si collochino in uno spet-

174

tro di riferimento che non può essere separato da quello dell’Europa e dei Paesi

confinanti.

7.1.2 DIsegno DI legge n. 22

Convenzione per la protezione delle Alpi

Art. 1.1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare i seguenti Protocolli

di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi, con annessi, fatta

a Salisburgo il 7 novembre 1991:

a) «Protocollo nell’ambito della protezione della natura e della tutela del

paesaggio, con allegati», fatto a Chambéry il 20 dicembre 1994;

b) «Protocollo nell’ambito dell’agricoltura di montagna, con allegato», fatto

a Chambéry il 20 dicembre 1994;

c) «Protocollo nell’ambito della pianificazione territoriale e dello sviluppo

sostenibile», fatto a Chambéry il 20 dicembre 1994;

d) «Protocollo nell’ambito delle foreste montane», fatto a Brdo il 27

febbraio 1996;

e) «Protocollo nell’ambito della difesa del suolo», fatto a Bled il 16 ottobre

1998;

f) «Protocollo nell’ambito del turismo», fatto a Bled il 16 ottobre 1998;

g) «Protocollo nell’ambito dell’energia», fatto a Bled il 16 ottobre 1998;

h) «Protocollo sulla composizione delle controversie», fatto a Lucerna il 31

ottobre 2000;

i) «Protocollo nell’ambito dei trasporti», fatto a Lucerna il 31 ottobre 2000.

2. Piena ed intera esecuzione è data ai Protocolli di cui al comma 1 a decor-

rere dalla data della loro entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dal

capitolo V dei Protocolli di cui alle lettere a), b), c), d), e), f), g) e i) del medesi-

175

mo comma 1, e dall’articolo 16 del Protocollo di cui alla lettera h) del medesimo

comma 1.

3. Lo Stato, le regioni e gli enti locali provvedono all’adozione degli atti

e delle misure previsti dai Protocolli di cui al comma 1, secondo le rispettive

competenze, fermo restando quanto stabilito dall’articolo 3 della legge 14 otto-

bre 1999, n. 403, sulle attribuzioni della Consulta Stato-regioni dell’Arco alpi-

no, convocata e presieduta dal Ministro per i rapporti con le regioni.

Art. 2.1. All’onere derivante dall’attuazione della presente legge, valutato in 462.765

euro annui a decorrere dall’anno 2008, si provvede mediante corrisponden-

te riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008 –

2010, nell’ambito del fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione

del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2008, allo scopo parzial-

mente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri.

2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con

propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Art. 3.1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pub-

blicazione nella Gazzetta Ufficiale.

7.2 Ratifica del Protocollo sui Trasporti

Disegno di legge n. 47 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla

presidenza il 29 aprile 2008

Ratifica ed esecuzione del Protocollo di attuazione della Convenzione per la

protezione delle Alpi del 1991 nell’ambito dei trasporti, fatto a Lucerna il 31 ot-

tobre 2000

176

7.2.1 IllustrazIone

La Convenzione per la protezione delle Alpi, firmata a Salisburgo il 7 novembre

1991 dai Ministri dell’ambiente dei Paesi dell’arco alpino, è stata resa esecutiva

ai sensi della legge 14 ottobre 1999, n. 403, e rappresenta una convenzione qua-

dro intesa a salvaguardare l’ecosistema naturale delle Alpi e a promuovere lo

sviluppo sostenibile dell’arco alpino, tutelando gli interessi economici e cultu-

rali delle popolazioni residenti nei Paesi aderenti. Al tempo stesso questa area

riveste una grandissima importanza anche per le regioni extraalpine per mol-

teplici ragioni, non ultima quella delle Alpi storicamente attraversate da grandi

vie di comunicazione. La Convenzione delle Alpi ha come obiettivo quello della

salvaguardia a lungo termine. Per il raggiungimento di tale obiettivo è prevista

l’adozione di protocolli specifici per singoli settori da parte dei Paesi contra-

enti. Uno di questi protocolli riguardante la materia dei trasporti, firmato il 31

ottobre 2000 da Austria, Svizzera, Germania, Francia, Principato del Liechten-

stein, Italia e Principato di Monaco, è oggetto del presente disegno di legge.

Lo strumento di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi

in materia di trasporti nasce dalla consapevolezza che, in assenza di adeguati

provvedimenti, il traffico e l’impatto ambientale dovuti ai trasporti siano de-

stinati ad aumentare, provocando una rilevante crescita dei rischi per la salute,

l’ambiente e la sicurezza.

La tutela del territorio alpino, patrimonio naturale ed economico, riguarda

non solo la popolazione che vi risiede ma anche quella che risiede al di fuori di

tale territorio e pertanto l’obiettivo del contenimento del volume di traffico, at-

traverso una gestione ecocompatibile dei trasporti, deve essere perseguito con

misure comuni da tutti gli Stati alpini. L’attuazione di una politica sostenibile

dei trasporti è tesa a ridurre gli effetti negativi e i rischi derivanti dal traffico in-

tra alpino e transalpino ad un livello che sia tollerabile per l’uomo, la fauna, la

flora ed i loro habitat.

177

L’articolo 11 del Protocollo in materia di trasporti recita testualmente: «Le

Parti contraenti si astengono dalla costruzione di nuove strade di grande co-

municazione per il trasporto transalpino». Infatti la strategia generale della

politica dei trasporti delle Parti contraenti del Protocollo deve mirare ad at-

tuare una gestione razionale e sicura dei trasporti tramite una rete di trasporti

integrata, coordinata e transfrontaliera. Le infrastrutture di trasporto esistenti

non sono sfruttate a sufficienza e risulta necessario incrementare i sistemi di

trasporto più ecologici, quali quelli su rotaia, la navigazione e i sistemi com-

binati.

In particolare la ferrovia risulta particolarmente adatta a soddisfare la do-

manda di trasporto a lunga distanza, per cui si auspica che le Parti contraenti

sostengano il miglioramento dell’infrastruttura ferroviaria tramite la costru-

zione e lo sviluppo di grandi assi transalpini e l’ammodernamento della ferro-

via in particolare per i trasporti transfrontalieri. Vista l’importanza della ma-

teria affrontata, auspichiamo una rapida approvazione del presente disegno di

legge.

7.2.2 DIsegno DI legge n. 47

Ratifica del Protocollo sui Trasporti

Art. 1.1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare il Protocollo di attua-

zione della Convenzione per la protezione delle Alpi del 1991 nell’ambito dei

trasporti, fatto a Lucerna il 31 ottobre 2000.

Art. 2.1. Piena ed intera esecuzione è data al Protocollo di cui all’articolo 1 a decorrere

dalla data della sua entrata in vigore in conformità a quanto disposto dall’arti-

colo 24 del Protocollo stesso.

178

Art. 3. 1. All’onere derivante dall’attuazione della presente legge, valutato in 260.000

euro annui a decorrere dal 2008, si provvede mediante corrispondente ridu-

zione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008 – 2010,

nell’ambito del fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del

Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2008, allo scopo parzial-

mente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri.

2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con

propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Art. 4.1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pub-

blicazione nella Gazzetta Ufficiale.

7.3 Ratifica ed esecuzione dei Protocolli di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi

Disegno di legge n. 3085 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla

presidenza il 10 Gennaio 2012

Ratifica ed esecuzione dei Protocolli di attuazione della Convenzione per la

protezione delle Alpi, con annessi, fatta a Salisburgo il 7 novembre 1991

7.3.1 IllustrazIone

Il presente disegno di legge riproduce il disegno di legge presentato dal Gover-

no il 21 febbraio 2002, di ratifica ed esecuzione dei Protocolli di attuazione della

Convenzione internazionale per la protezione delle Alpi, fatta a Salisburgo il 7

novembre 1991, nella sua integralità, con tutti i Protocolli attuativi della Con-

venzione (si vedano l’atto Camera n. 2381 e l’atto Senato n. 1842 della XIV legi-

179

slatura; si vedano inoltre l’atto Camera n. 583 e l’atto Senato n. 651 della XV le-

gislatura). Attuazione dei Protocolli che appariva del tutto conseguente all’ap-

provazione della legge di autorizzazione alla ratifica della Convenzione, legge

14 ottobre 1999, n. 403, avvenuta a larga maggioranza da parte delle Camere.

Nella XIV legislatura l’iter di questo importante, essenziale, provvedimen-

to ha subìto, sino alla sospensione dell’esame da parte delle Camere, le gravi

contraddizioni dell’allora Governo di centrodestra. Il testo è giunto alla secon-

da lettura da parte della Camera dei deputati privo del Protocollo sui trasporti,

che aveva avuto il parere favorevole di tutte le regioni dell’arco alpino (parere

che era stato previsto e reso obbligatorio appunto in sede di approvazione del-

la legge di ratifica della Convenzione), dell’Associazione nazionale dei comuni

italiani (ANCI) e dell’Unione delle province d’Italia (UPI), con una unanimità

di consensi del tutto trasversale agli schieramenti politici.

Gli impegni assunti dall’Italia in sede comunitaria e nell’ambito del proprio

mandato, nel biennio 2000 – 2002, di presidenza della Convenzione delle Alpi

e delle iniziative adottate per l’Anno internazionale della montagna, nel 2002,

hanno formalmente sostenuto l’obiettivo della tutela dell’ecosistema alpino at-

traverso l’adesione e la ratifica di tutti i Protocolli di attuazione della Conven-

zione, e segnatamente dei Protocolli che configurano un essenziale rapporto

fra la tutela dell’ecosistema alpino, le tematiche dello sviluppo compatibile e i

problemi di ammodernamento delle nostre reti infrastrutturali: foreste monta-

ne, pianificazione territoriale e sviluppo sostenibile, difesa del suolo, energia,

protezione della natura e tutela del paesaggio, agricoltura di montagna, tra-

sporti, insieme a quelli sulla composizione delle controversie e al Protocollo

del turismo, di cui all’articolo 1 del presente disegno di legge.

Tali impegni sono stati disattesi, o non attuati, su decisione anzitutto del

Governo che ha avuto la maggioranza nella XIV legislatura e che nelle Com-

missioni di merito ha aderito al parere negativo del relatore di maggioranza, se

non addirittura indicato in prima persona parere contrario all’attuazione di ta-

luni o altri Protocolli (come nella Commissione trasporti della Camera dei de-

180

putati, dove il Governo è arrivato ad esprimere parere contrario al proprio dise-

gno di legge [seduta del 18 aprile 2002]. La Commissione medesima, in sede di

espressione del parere [seduta del 22 aprile 2002], ha rilevato presunti «profili

problematici sotto il profilo della compatibilità con le norme costituzionali ri-

guardanti il riparto di competenze tra Stato e regioni» determinati dalla rifor-

ma del titolo V della parte seconda della Costituzione).

Si tratta di scelte sbagliate che hanno reso più complessi i temi ed urgenti

i tempi per le comunità dell’Arco alpino, per l’Italia e la sua collocazione euro-

pea.

La XVI legislatura ha dunque una prospettiva, a nostro avviso, ineludibile,

affinché le ragioni di tutela e gli obiettivi di sviluppo si collochino in uno spet-

tro di riferimento che non può essere separato da quello dell’Europa e dei Paesi

confinanti.

7.3.2 DIsegno DI legge n. 3085

Ratifica ed esecuzione dei Protocolli di attuazione della Convenzione per la

protezione delle Alpi

Art. 1.1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare i seguenti

Protocolli di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi,

con annessi, fatta a Salisburgo il 7 novembre 1991:

a) «Protocollo nell’ambito della protezione della natura e della tutela del

paesaggio, con allegati», fatto a Chambéry il 20 dicembre 1994;

b) «Protocollo nell’ambito dell’agricoltura di montagna, con allegato»,

fatto a Chambéry il 20 dicembre 1994;

c) «Protocollo nell’ambito della pianificazione territoriale e dello sviluppo

sostenibile», fatto a Chambéry il 20 dicembre 1994;

d) «Protocollo nell’ambito delle foreste montane», fatto a Brdo il 27

181

febbraio 1996;

e) «Protocollo nell’ambito della difesa del suolo», fatto a Bled il 16 ottobre

1998;

f ) «Protocollo nell’ambito del turismo», fatto a Bled il 16 ottobre 1998;

g) «Protocollo nell’ambito dell’energia», fatto a Bled il 16 ottobre 1998;

h) «Protocollo sulla composizione delle controversie», fatto a Lucerna il

31 ottobre 2000;

i) «Protocollo nell’ambito dei trasporti», fatto a Lucerna il 31 ottobre

2000.

2. Piena ed intera esecuzione è data ai Protocolli di cui al comma 1 a

decorrere dalla data della loro entrata in vigore, in conformità a quanto

disposto dal capitolo V dei Protocolli di cui alle lettere a), b), c), d), e), f ), g) e i) del medesimo comma 1, e dall’articolo 16 del Protocollo di cui alla

lettera h) del medesimo comma 1.

3. Lo Stato, le regioni e gli enti locali provvedono all’adozione degli atti e

delle misure previsti dai Protocolli di cui al comma l, secondo le rispettive

competenze, fermo restando quanto stabilito dall’articolo 3 della legge

14 ottobre 1999, n. 403, sulle attribuzioni della Consulta Stato-regioni

dell’Arco alpino, convocata e presieduta dal Ministro per la coesione

territoriale.

Art. 2.1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pub-

blicazione nella Gazzetta Ufficiale.

182

7.4 Ratifica ed esecuzione del Protocollo di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi del 1991 nell’ambito dei trasporti

Disegno di legge n. 3086 d’iniziativa dei senatori PETERLINI, AMORUSO,

DELLA SETA, CECCANTI, MUSSO, FERRANTE, FOSSON, INCOSTANTE,

PINZGER, DI GIOVAN PAOLO, MOLINARI, TONINI e SBARBATI, comunica-

to alla presidenza il 10 Gennaio 2012

Ratifica ed esecuzione del Protocollo di attuazione della Convenzione per la

protezione delle Alpi del 1991 nell’ambito dei trasporti, fatto a Lucerna il 31 ot-

tobre 2000

7.4.1 IllustrazIone

La Convenzione per la protezione delle Alpi, firmata a Salisburgo il 7 novembre

1991 dai Ministri dell’ambiente dei Paesi dell’arco alpino, è stata resa esecuti-

va ai sensi della legge 14 ottobre 1999, n. 403, e rappresenta una convenzione

quadro intesa a salvaguardare l’ecosistema naturale delle Alpi e a promuove-

re lo sviluppo sostenibile dell’arco alpino, tutelando gli interessi economici e

culturali delle popolazioni residenti nei Paesi aderenti. Al tempo stesso que-

sta area riveste una grandissima importanza anche per le regioni extra-alpine

per molteplici ragioni, non ultima quella delle Alpi storicamente attraversate

da grandi vie di comunicazione. La Convenzione delle Alpi ha come obiettivo

quello della salvaguardia a lungo termine. Per il raggiungimento di tale obiet-

tivo è prevista l’adozione di protocolli specifici per singoli settori da parte dei

Paesi contraenti. Uno di questi protocolli riguardante la materia dei trasporti,

firmato il 31 ottobre 2000 da Austria, Svizzera, Germania, Francia, Principato

del Liechtenstein, Slovenia, Italia e Principato di Monaco, è oggetto del presen-

te disegno di legge.

183

Lo strumento di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi

in materia di trasporti nasce dalla consapevolezza che, in assenza di adeguati

provvedimenti, il traffico e l’impatto ambientale dovuti ai trasporti sono desti-

nati ad aumentare, provocando una rilevante crescita dei rischi per la salute,

l’ambiente e la sicurezza.

La tutela del territorio alpino, patrimonio naturale ed economico, riguarda

non solo la popolazione che vi risiede ma anche quella che risiede al di fuori di

tale territorio e pertanto l’obiettivo del contenimento del volume di traffico, at-

traverso una gestione ecocompatibile dei trasporti, deve essere perseguito con

misure comuni da tutti gli Stati alpini. L’attuazione di una politica sostenibile

dei trasporti è tesa a ridurre gli effetti negativi e i rischi derivanti dal traffico

intra-alpino e transalpino ad un livello che sia tollerabile per l’uomo, la fauna,

la flora ed i loro habitat.

L’articolo 11 del Protocollo in materia di trasporti recita testualmente: «Le

Parti contraenti si astengono dalla costruzione di nuove strade di grande co-

municazione per il trasporto transalpino». Infatti, la strategia generale della

politica dei trasporti delle Parti contraenti del Protocollo deve mirare ad at-

tuare una gestione razionale e sicura dei trasporti tramite una rete di trasporti

integrata, coordinata e transfrontaliera. Le infrastrutture di trasporto esistenti

non sono sfruttate a sufficienza e risulta necessario incrementare i sistemi di

trasporto più ecologici, quali quelli su rotaia, la navigazione e i sistemi com-

binati.

In particolare la ferrovia risulta particolarmente adatta a soddisfare la do-

manda di trasporto a lunga distanza, per cui si auspica che le Parti contraenti

sostengano il miglioramento dell’infrastruttura ferroviaria tramite la costru-

zione e lo sviluppo di grandi assi transalpini e l’ammodernamento della ferro-

via in particolare per i trasporti transfrontalieri. Vista l’importanza della mate-

ria affrontata, auspichiamo una rapida approvazione del presente.

184

7.4.2 DIsegno DI legge n. 3086

Ratifica ed esecuzione del Protocollo di attuazione della Convenzione per la

protezione delle Alpi del 1991 nell’ambito dei trasporti

Art. 1.1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare il Protocollo di attua-

zione della Convenzione per la protezione delle Alpi del 1991 nell’ambito dei

trasporti, fatto a Lucerna il 31 ottobre 2000.

Art. 2.1. Piena ed intera esecuzione è data al Protocollo di cui all’articolo 1 a decorrere

dalla data della sua entrata in vigore in conformità a quanto disposto dall’arti-

colo 24 del Protocollo stesso.

Art. 3.1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pub-

blicazione nella Gazzetta Ufficiale.

185

8 Misure economiche e riassetto della finanza mondiale

8.1 Promuovere una Nuova Bretton Woods

Atto n. 1-00029, Pubblicato il 25 settembre 2008, nella seduta n. 61

Esame concluso nella seduta n. 157 dell’Assemblea (24/02/2009). La mozione

è stata approvata nella forma del testo 2.

PETERLINI , D’ALIA , PINZGER , THALER AUSSERHOFER , FOSSON , GIAI,

CINTOLA , CUFFARO , BAIO , BOSONE , MOLINARI , NEGRI , RANDAZZO,

ROILO , GHEDINI , BERTUZZI , GUSTAVINO , BLAZINA , MARITATI , DEL

VECCHIO , CHITI

8.1.1 MozIone n. 1-00029

Il Senato,

premesso che:

l’aggravarsi della crisi finanziaria internazionale evidenziata nelle ultime set-

timane con i crac finanziari di Fannie Mae, Freddie Mac, Lehman Bros. e AIG,

tra le altre, ha costretto il Governo federale degli Stati Uniti e numerose banche

centrali ad operare interventi d’emergenza per evitare una vera e propria rea-

zione a catena che metterebbe in ginocchio l’economia mondiale;

la gravità di questa crisi come minaccia alle condizioni di vita dei popoli di

tutto il mondo e anche come fonte di destabilizzazione strategica è stata de-

nunciata dal Parlamento italiano già dal 2001 (si vedano in proposito, fra le al-

tre, nella XIV legislatura, la mozione 1-00320 presentata alla Camera dei depu-

tati dall’onorevole Lettieri e la mozione 1-00059 presentata al Senato dal se-

186

natore Peterlini), che ha chiesto al Governo e alla comunità internazionale di

agire per creare un nuovo sistema finanziario atto ad evitare future crisi e pro-

muovere la ricostruzione dell’economia reale;

nonostante questi appelli, le autorità politiche e monetarie in Europa e

negli Stati Uniti hanno continuato a permettere – e di fatto a promuovere –

un’economia basata sulla crescita dei valori finanziari fittizi, non legati all’eco-

nomia produttiva, da ultimo con la «bolla» dei mutui subprime e la speculazione

nei settori delle materie prime, dei prodotti energetici e alimentari;

la mancata adozione di misure per cambiare direzione ha portato agli eventi

drammatici degli ultimi giorni e mesi. Ora le autorità si trovano a correre da un

fuoco all’altro, mentre diventa sempre più evidente che il buco creato dalla spe-

culazione non può essere colmato. Purtroppo, piuttosto che seguire l’esempio

della ricostruzione postbellica in Europa oppure del «New Deal» attuato dal

presidente americano Franklin Delano Roosevelt durante la Grande Depres-

sione, oggi le autorità tentano di utilizzare i fondi forniti dallo Stato per coprire

le perdite provocate dai titoli ipotecari (MBS, Mortgage-Backed Securities) e dagli

strumenti derivati che hanno moltiplicato i valori speculativi oltre l’immagina-

bile. Come esempio basti rilevare che lo scopo dichiarato del salvataggio della

AIG ed altri istituti è quello di garantire la copertura dei titoli derivati legati alla

speculazione nel settore dei mutui subprime, piuttosto che proteggere le atti-

vità economiche ordinarie. Un tale tentativo non solo è inutile, ma garantisce

l’ulteriore aggravarsi della crisi a cui intende rimediare e inoltre provoca una

iperinflazione. Infatti, da un’inchiesta recente del Congresso USA si rileva che

la nuova liquidità emessa dalle banche centrali per salvare gli operatori finan-

ziari è stata utilizzata per ulteriori attività speculative che hanno comportato

l’esplosione dei prezzi del petrolio e dei generi alimentari negli ultimi mesi,

impegna il Governo:

ad agire in sede internazionale per promuovere una riorganizzazione del siste-

ma monetario e finanziario internazionale e cooperare con le principali poten-

187

ze mondiali per stabilire un nuovo sistema, sul modello della Nuova Bretton

Woods come proposta dall’economista americano Lyndon LaRouche, caratte-

rizzato sulla base dei seguenti aspetti:

1. la riorganizzazione del sistema finanziario dovrà seguire il modello

dell’amministrazione controllata, in cui i debiti speculativi – che rappresenta-

no la stragrande maggioranza dei valori che gravano sui bilanci delle principali

banche commerciali e d’investimento, oltre a numerosi altri istituti finanziari

e perfino su enti locali italiani – vengano depennati o estinti, salvaguardando

invece, fino a un certo limite, gli investimenti dei piccoli risparmiatori anche

nei fondi pensione e in altri strumenti finanziari non speculativi, e garantendo

il finanziamento delle attività essenziali dell’economia reale. Il bene comune

(General Welfare) deve avere precedenza rispetto agli obblighi finanziari creati

per foraggiare la bolla speculativa;

2. nuove regole dovranno garantire la stabilità necessaria per la produzione

e il commercio internazionale: a) cambi valutari decisi con accordi tra le na-

zioni (fixed exchange rates), evitando le oscillazioni speculative dei mercati; b)

controlli sui trasferimenti di capitali a fine speculativo (capital control), privile-

giando gli investimenti a lungo termine nell’economia produttiva; c) un siste-

ma creditizio che garantisca investimenti a basso tasso d’interesse e a lungo

termine in infrastrutture, industria e alta tecnologia (productive credit) per rom-

pere con la tendenza degli ultimi decenni, in cui si è incoraggiata la ricerca del

profitto facile penalizzando l’attività produttiva;

3. un sistema creditizio e non puramente monetario. Considerando che le

banche centrali emettono arbitrariamente moneta per fini di aggiustamento

monetario, occorre creare un sistema che fornisca credito al fine di promuove-

re lo sviluppo economico. Questo modello trova le sue origini nella Costituzio-

ne degli Stati Uniti e fu adottato dal segretario al tesoro Alexander Hamilton,

nonché ripreso dal presidente Lincoln e dal grande presidente Roosevelt nel

crac e nella depressione degli anni Trenta. Il sistema creditizio e non monetario

fu l’idea ispiratrice del sistema di Bretton Woods, che funzionò con successo

188

finché non fu abbandonato nel 1971 e oggi viene riproposto dall’autorevole eco-

nomista Lyndon LaRouche;

considerata la tragica storia di guerre che sono scoppiate in coincidenza

con le crisi economiche passate, ad agire perché i Paesi europei lavorino in ac-

cordo con le principali potenze mondiali, a partire da Stati Uniti, Russia, Cina

e India, per porre le basi di una cooperazione internazionale capace di realiz-

zare gli obiettivi preposti, superando le opposizioni da parte di chi, tramite una

politica conflittuale, vuole difendere la propria supremazia favorendo divisioni

che impediscono il progresso del mondo nel suo complesso.

8.2 A sostegno dell’economia reale

Atto n. 1-00171, Pubblicato il 21 luglio 2009, nella seduta n. 239 Esame conclu-

so nella seduta n. 246 dell’Assemblea (28/08/2009)

PETERLINI , PINZGER , THALER AUSSERHOFER, D’ALIA, FOSSON, CIN-

TOLA, CUFFARO, GIAI, ADAMO

6.2.1 MozIone n. 1-00171

Il Senato,

premesso che:

dall’8 al 10 luglio 2009 si è tenuto il vertice del G8 a L’Aquila, che ha dato luogo

ad un momento importante di confronto tra i leader dei principali Paesi a livello

internazionale;

il vertice ha rappresentato un successo significativo per l’Italia, rendendo

omaggio a tutti coloro che hanno concorso alla sua organizzazione, e in modo

particolare alle istituzioni di Governo; va dato atto anche del grande senso di

responsabilità di quasi tutte le forze politiche italiane;

189

durante il semestre di Presidenza italiana del G8 il Governo, e segnatamen-

te il Ministero dell’economia e delle finanze, ha promosso un processo di di-

scussione e di confronto con i Governi degli altri Paesi membri in merito alla

necessità di una riforma incisiva del sistema finanziario ed economico inter-

nazionale, in seguito alla grave crisi che continua a scuotere l’economia mon-

diale, provocando l’aumento della disoccupazione, la perdita della capacità

produttiva e disagio in tutti i settori, ma soprattutto tra le fasce più deboli, an-

che nel nostro Paese;

rende onore al nostro Paese in modo particolare il percorso di discussione

lanciato dal Governo per individuare una serie di principi che costituiscono la

base del «Lecce Framework» adottato nella riunione dei Ministri delle finanze

del G8 del 13 giugno a Lecce. Il Lecce Framework è stato citato nel comunicato

ufficiale del G8 de L’Aquila come base per un’ulteriore elaborazione delle mi-

sure necessarie per stabilire concordemente nuove regole per l’economia mon-

diale, al fine di evitare il ripetersi delle pratiche finanziarie che hanno contrad-

distinto le bolle speculative degli ultimi anni e le drammatiche conseguenze di

questo fenomeno sull’economia reale;

infatti il processo di finanziarizzazione dell’economia mondiale, a partire

dagli Stati Uniti e dai Paesi europei, va avanti da quasi quattro decenni, con

un processo che ebbe essenzialmente inizio con lo sganciamento del dollaro

dall’oro, seguito da un processo di deregolamentazione che ha avuto l’effetto di

spostare gli investimenti verso le attività finanziarie a breve termine e toglie-

re sempre di più i capitali dalle attività più produttive. Un susseguirsi di bolle

speculative, sui titoli di Stato, della cosiddetta New Economy, e infine sui tito-

li ipotecari, hanno portato l’intero sistema monetario e finanziario mondiale

sull’orlo del collasso negli ultimi mesi;

la risposta a questa crisi operata dai principali Governi si è concentrata

quasi interamente sul tentativo di stabilizzare il settore bancario e finanziario,

con una spesa che, tra banche centrali e iniziative legislative dei soli Paesi in-

dustrializzati, ha raggiunto la cifra sbalorditiva di decine di trilioni di dollari

190

pur senza fermare l’emorragia di posti di lavoro e di benessere tra le popola-

zioni;

i principi enunciati nel Lecce Framework, indicati come provvisori e propo-

sti come base per una discussione più ampia, si concentrano sulle regole di tra-

sparenza per gli istituti finanziari, sull’aumento di vigilanza, sulla lotta ai para-

disi fiscali e sulla stabilità del sistema;

questi principi, pur importanti per garantire la stabilità, rappresentano sol-

tanto una parte delle misure che bisognerebbe adottare per porre fine al pro-

cesso di finanziarizzazione che ha caratterizzato l’economia mondiale negli ul-

timi decenni;

infatti, di fronte alla crisi attuale, ci sono due possibilità: attuare una «cor-

rezione» inasprendo alcune delle regole per il mondo finanziario ed economi-

co, ma senza attuare un cambiamento di fondo nell’impostazione degli ultimi

anni; oppure portare quelle riforme a livello di cambiamento del sistema, ri-

muovendo le patologie che hanno condotto alla crisi attuale; questo concetto è

stato espresso anche dal Ministro dell’economia Giulio Tremonti, che ha chie-

sto un nuovo sistema «basato sull’etica»;

nel mese di febbraio 2009 il Senato della Repubblica ha discusso una serie

di mozioni sul tema della «nuova Bretton Woods» (si tratta degli atti di indi-

rizzo 1-00029, Peterlini ed altri, 1-00032, Morando ed altri, 1-00035, Bricolo ed

altri, 1-00036, Baldassarri ed altri, e 1-00033, Lannutti ed altri), ovvero di una

riorganizzazione del sistema monetario e finanziario internazionale che per-

metta di fermare gli effetti immediati della crisi e di porre le basi per un’econo-

mia sana e non speculativa in futuro;

tra i punti principali della nuova Bretton Woods vi sono:

1) la riorganizzazione del sistema finanziario, seguendo un modello di am-

ministrazione controllata, in cui i debiti speculativi (i derivati e i «titoli tossi-

ci») vengano depennati o estinti, salvaguardando invece i risparmi delle fami-

glie e garantendo il finanziamento delle attività essenziali dell’economia reale.

Occorre ripristinare la divisione tra banche ordinarie e commerciali, bloccan-

191

do sul nascere la commistione tra la speculazione pura e l’attività dell’econo-

mia reale;

2) nuove regole che garantiscano la stabilità necessaria per la produzio-

ne ed il commercio internazionale: a) cambi valutari decisi con accordi tra le

nazioni (fixed exchange rate), evitando le oscillazioni speculative dei mercati; b)

controlli sui trasferimenti di capitali a fine speculativo (capital control), privile-

giando gli investimenti a lungo termine nell’economia produttiva;

3) un sistema creditizio e non puramente monetario che garantisca investi-

menti a basso tasso d’interesse e a lungo termine in infrastrutture, industria e

alta tecnologia (productive credit) per rompere con la tendenza degli ultimi de-

cenni, in cui si è incoraggiata la ricerca del profitto facile penalizzando l’attività

produttiva;

nonostante l’attenzione posta al tema negli incontri internazionali e in mo-

do particolare al G20 tenutosi a Londra il 1° aprile 2009 e al G8 appena conclu-

sosi a L’Aquila, le riforme proposte in quelle sedi non raggiungono il livello di

riforme sistemiche;

infatti non sono stati messi in discussione i meccanismi alla base della spe-

culazione, che sanciscono il divorzio tra i movimenti finanziari e le attività rea-

li: la cartolarizzazione, in cui si rompe il legame tra istituto finanziatore e clien-

te permettendo alle banche e alle società finanziarie in genere di utilizzare i de-

biti contratti dai cittadini come merce di scambio in un mercato che mira solo

a cercare nuove fonti di profitto attraverso un effetto di leva esasperato; l’am-

pio utilizzo di strumenti derivati, che dal loro scopo iniziale come protezione

per gli agricoltori sono diventati l’elemento centrale di una bolla speculativa

talmente grande da essere quantificata in quadrilioni di dollari, eclissando di

molte volte le attività dell’economia reale;

mentre è essenziale regolamentare tutti gli strumenti finanziari, al fine di

cambiare l’orientamento dell’economia non bastano la sola disponibilità di in-

formazioni più approfondite, criteri quali i limiti ai compensi dei dirigenti ed il

rafforzamento della lotta alla corruzione e all’evasione fiscale; il rischio è che

192

ci si limiti semplicemente a conoscere meglio e portare un’apparente stabi-

lità alle stesse pratiche che sono la radice del problema: la finanziarizzazione

dell’economia;

proprio a causa della grande attenzione dedicata a questi temi da Governi,

Parlamenti e popolazioni in tutto il mondo in questo momento, occorre muo-

versi ora per attuare le riforme sistemiche, prima che le vecchie pratiche si ri-

stabiliscano e i portatori di interessi particolari riescano ad ostacolare le forze

del cambiamento,

impegna il Governo, in vista del vertice del G20 che si terrà a Pittsburgh

negli Stati Uniti, a portare avanti ed espandere in tutte le sedi internazionali

le istanze del Lecce Framework per raggiungere un cambiamento fondamen-

tale del sistema finanziario e monetario internazionale, basato sui principi

della nuova Bretton Woods: la crescita economica dovrà basarsi sul progresso

dell’economia reale e sul miglioramento delle condizioni di vita effettive di tutti

i popoli del mondo, e non sui meccanismi speculativi come fonte di guadagno

illusorio e dannoso per il benessere e la stabilità della società.

8.3 Separare le banche commerciali da quelle di investimento

Atto n. 1-00287, Pubblicato il 29 giugno 2010, Seduta n. 399

PETERLINI , LANNUTTI , D’ALIA , FOSSON , OLIVA , PINZGER , PISTORIO

, POLI BORTONE , THALER AUSSERHOFER , CARUSO , FANTETTI , GARA-

VAGLIA Mariapia , PORETTI , PERDUCA , DE ECCHER

8.3.1 MozIone n. 1-00287

Il Senato,

considerato che:

193

la crisi finanziaria ed economica internazionale ha avuto effetti drammatici

sulle economie di tutto il mondo, determinando una flessione significativa dei

principali indicatori e portando a crescenti difficoltà per le famiglie italiane.

Mentre il sistema bancario italiano ha subito meno la crisi rispetto ai sistemi di

molti altri Paesi, a causa di una minore esposizione ai prodotti più rischiosi che

hanno provocato i buchi spaventosi nei bilanci di numerosi istituti e società a

livello internazionale, la crisi ha comunque evidenziato le difficoltà, invero pre-

senti da numerosi anni, per il cuore del sistema economico italiano, le piccole e

medie imprese (PMI), di reperire le risorse necessarie per continuare ad opera-

re e crescere in un mercato dominato da una logica di profitto a breve termine,

in cui i capitali vengono attirati dalle attività più speculative determinando un

preoccupante e dannoso deficit di risorse per il settore che rappresenta la mag-

gior parte dell’occupazione in Italia, e che contraddistingue un tessuto econo-

mico basato sull’innovazione, la flessibilità, e la solidarietà;

infatti dagli anni Novanta è iniziata una commistione tra le attività finan-

ziarie ordinarie rappresentate dai depositi, i mutui, i prestiti alle imprese, e le

attività speculative che negli ultimi due anni in particolare hanno mostrato la

loro vera natura minacciando di gettare il mondo in una depressione econo-

mica senza paragoni. Di fronte a questa prospettiva Governi e banche centrali

hanno attuato numerosi salvataggi, caricando sui contribuenti ulteriori debiti

prodotti da chi ha speculato per conto proprio;

da oltre due anni il Governo italiano solleva nei vertici internazionali quali

il G8 e il G20 la necessità di nuove regole per il settore finanziario per garanti-

re la protezione dell’economia reale dai fenomeni speculativi, ed è attualmente

in corso un dibattito vigoroso a livello internazionale sul ripristino della sepa-

razione tra banche commerciali e banche di investimento – il principio della

legge Glass-Steagall varata negli USA nel 1933 e delle leggi basate sullo stesso

principio che hanno garantito la stabilità del comparto bancario in Europa fino

agli anni Novanta; negli Stati Uniti i Senatori Maria Cantwell e John McCain

194

hanno proposto un emendamento alla legge finanziaria all’esame del Congres-

so federale a favore del ripristino immediato di questa regola fondamentale;

è necessario garantire che il sistema finanziario sia al servizio dell’econo-

mia reale, a differenza della tendenza degli ultimi anni in cui le attività pura-

mente speculative hanno preso il sopravvento sul resto dell’economia, pro-

vocando anche un forte deficit di investimenti nei beni e servizi necessari per

mantenere e accrescere il tenore di vita della popolazione,

impegna il Governo:

a promuovere la revisione della normativa bancaria italiana, in particolare per

quanto riguarda la separazione tra banche commerciali e banche d’investimen-

to, con lo scopo di garantire che le immissioni e la negoziazione di titoli finan-

ziari e soprattutto di tutti gli strumenti speculativi «derivati» (futures, options,

swaps, eccetera) siano completamente separate dalle attività ordinarie (depo-

siti e finanziamenti) delle banche commerciali, di fatto ripristinando la barriera

che fino agli anni Novanta proteggeva le attività finanziarie ordinarie dai peri-

coli delle attività speculative;

ad agire in tutte le sedi internazionali per promuovere accordi multilatera-

li che stabiliscano un ritorno a tale separazione tra le banche commerciali e le

banche d’investimento, così favorendo un clima di investimento a lungo termi-

ne nell’economia reale.

8.4 Per la separazione delle attività bancarie ordinarie da quelle speculative

Disegno di legge n. 3112 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla

presidenza il 25 Gennaio 2012

Delega al Governo per la separazione delle attività bancarie ordinarie da quelle

speculative

195

8.4.1 IllustrazIone

La crisi economica globale scoppiata nel 2007 – 2008 continua a mietere vit-

time. Proprio in questi mesi l’Italia e l’Europa intera stanno vivendo una nuo-

va fase del dissesto del sistema finanziario mondiale, originata da molti anni

di politiche che hanno penalizzato le attività produttive a favore invece di

un’espansione senza precedenti della bisca sui mercati finanziari internazio-

nali. Ora sono le famiglie e le imprese a pagare per le scelte sbagliate a livello

macroeconomico, che rischiano di minare il tessuto stesso della nostra società.

È doveroso constatare, purtroppo, che già dai primi mesi più drammatici

della crisi, nei numerosi vertici internazionali a partire dal 2009 si è persa l’oc-

casione per adottare misure forti che avrebbero potuto rappresentare una rot-

tura netta ed efficace con le politiche passate: tra queste certamente vi è il ritor-

no alla separazione delle attività bancarie, tipificata dalla famosa Glass-Steagall Act varata sotto la presidenza Usa di Franklin Delano Roosevelt nel 1933 che

pose fine agli eccessi finanziari all’origine della Grande depressione. Il princi-

pio della Glass-Steagall rimase in vigore nei Paesi occidentali, ed anche nel no-

stro Paese, fino agli anni Novanta. Si tratta della netta separazione delle ban-

che commerciali, che raccolgono i depositi dei cittadini ed erogano il credito

agli individui e alle imprese, dalle banche d’affari, gli istituti che operano nei

mercati finanziari, attraverso l’emissione e la compravendita di titoli azionari,

obbligazionari e di strumenti speculativi in genere. A partire dagli anni Novan-

ta tutte queste funzioni bancarie sono state riunite sotto lo stesso tetto: esisto-

no dei colossi che di fatto finiscono per rendere anche l’economia locale dipen-

dente dai circuiti mondiali altamente speculativi e rischiosi. La conseguenza

dell’abrogazione del principio di Glass-Steagall è che si è segnata la strada che

porta dritti alla catastrofe e se non si interviene con decisione il rischio di ag-

gravare la situazione economico-sociale è molto alto. Da quando è esplosa la

bolla dei derivati – gli strumenti iper-speculativi che ormai sono completa-

mente slegati dagli investimenti produttivi, dirottando risorse dall’economia

196

reale ad un vero proprio casinò mondiale – il rischio del fallimento delle gran-

di banche ha portato i governi e le banche centrali ad una serie di salvataggi

emergenziali.

Ci ripetono continuamente che gli interventi sono necessari per evitare un

crac totale, ma la situazione non fa che peggiorare, poiché mentre vengono im-

messe cifre stratosferiche per la finanza (che si contano nelle migliaia di mi-

liardi di dollari e di euro) le risorse non arrivano alla gente, alle famiglie, alle

piccole e medie imprese.

Tutto ciò accade perché i salvataggi sono stati concessi senza condizioni,

non si è chiesto un cambiamento del comportamento delle grandi banche, non

si sono adottate riforme incisive del sistema finanziario.

Fino a pochi mesi fa l’Italia poteva pensare di evitare di subire gli effetti del-

la crisi internazionale, o per lo meno di esserne toccata solo di striscio, per via

di un sistema meno finanziarizzato (nei fatti e anche in termini giuridici), ma

oggi non si può più aspettare: il sistema va cambiato appena possibile.L’Italia

può fare da apripista per gli altri Paesi: torniamo ad una divisione delle banche

per garantire che la gente comune non debba più pagare per le bolle speculative

mondiali. Stabiliamo delle regole chiare di separazione tra le banche ordinarie

(commerciali) da quelle che operano nei mercati speculativi (banche d’affari),

così da farne un modello a livello internazionale. Se ne discute già in Germa-

nia, in Francia, in Svizzera, nel Regno Unito e anche negli Stati Uniti. L’Italia

ha la duplice opportunità di aiutare i propri cittadini nell’immediato e di con-

tribuire al progresso delle altre nazioni, con l’affermazione di un principio di

grande importanza nel contesto internazionale. Occorre salvare l’economia

reale dalla finanza speculativa con la separazione delle banche commerciali e

le banche d’affari. Sarà un primo passo essenziale per riprendere il controllo

dell’economia e costruire le basi per un futuro di stabilità e di progresso.

197

8.4.2 DIsegno DI legge n. 3112

Per la separazione delle attività bancarie ordinarie da quelle speculative

Art. 1. (Delega al Governo)1. La presente legge è finalizzata a stabilire la separazione tra le banche com-

merciali e le banche d’affari, proteggendo le attività finanziarie di deposito e di

credito inerenti l’economia reale, da quelle legate all’investimento e alla specu-

lazione sui mercati finanziari nazionali e internazionali.

2. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entra-

ta in vigore della presente legge e secondo i princìpi e i criteri direttivi di cui

all’articolo 2, uno o più decreti legislativi recanti norme per la separazione tra

le banche commerciali e le banche d’affari, prevedendo il divieto per le banche

che effettuano la raccolta di depositi o di altri fondi con obbligo di restituzione

di svolgere qualsivoglia attività legata alla negoziazione di valori mobiliari in

genere.

Art. 2. (Princìpi e criteri direttivi)1. I decreti legislativi di cui all’articolo 1 si informano ai seguenti princìpi e cri-

teri direttivi:

a) prevedere il divieto per le banche commerciali, ovvero le banche che ef-

fettuano la raccolta di depositi tra il pubblico, di effettuare qualsiasi attività le-

gata alla negoziazione e all’intermediazione dei valori mobiliari, sancendo così

la separazione tra le funzioni delle banche commerciali da quelle delle banche

d’affari;

b) prevedere il divieto per le banche commerciali di detenere partecipazio-

ni o di stabilire accordi di collaborazione commerciale di qualsiasi natura con i

seguenti soggetti: le banche d’affari, le banche d’investimento, le società di in-

termediazione mobiliare e in generale tutte le società finanziarie che non effet-

tuano la raccolta di depositi tra il pubblico;

198

c) prevedere il divieto per i rappresentanti, i direttori, i soci di riferimento

e gli impiegati delle banche d’affari, le banche d’investimento, le società di in-

termediazione mobiliare e in generale tutte le società finanziarie che non effet-

tuano la raccolta di depositi tra il pubblico di ricoprire cariche direttive e dete-

nere posizioni di controllo nelle banche commerciali.

Art. 3. (Pareri delle Commissioni parlamentari)1. Gli schemi dei decreti legislativi di cui all’articolo 1, comma 2, sono trasmessi

alle Camere entro il sessantesimo giorno antecedente la scadenza del termine

previsto per l’esercizio della delega di cui al medesimo articolo 1, comma 2, per

il parere delle Commissioni parlamentari competenti, da esprimere entro qua-

ranta giorni dalla data dell’assegnazione.

Art. 4. (Entrata in vigore)1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pub-

blicazione nella Gazzetta Ufficiale.

8.5 Sezione separata del tribunale delle imprese a Bolzano

Disegno di legge n. 3168 d’iniziativa del senatore PETERLINI, Presentato in

data 21 febbraio 2012

Modifica al Decreto Legislativo 27 giugno 2003, n. 168, concernente le sezioni

specializzate in materia d’impresa del Tribunale e delle Corti d’Appello

8.5.1 IllustrazIone

Il decreto-legge in tema di liberalizzazioni varato dal Governo Monti e conver-

tito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, prevede, all’articolo 2,

l’ampliamento della competenza delle sezioni specializzate in materia di pro-

199

prietà industriale, di cui al decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168, al fine di

istituire delle sezioni specializzate in materia di impresa, nonché l’istituzione

di analoghe sezioni presso i tribunali e le corti di appello aventi sede nel capo-

luogo di ogni regione, ove non esistenti nelle città elencate nel decreto legisla-

tivo 168/2003.

In relazione alla regione del Trentino Alto Adige/Südtirol, si prevede Trento

quale sede competente per l’istituzione delle relative sezioni specializzate, con

ciò determinando gravi ripercussioni a lungo termine nell’Alto Adige sul piano

della localizzazione economica per le imprese, a causa della ennesima perdita

di competenze a danno del Foro di Bolzano con tutte le intuibili conseguenze

negative sul piano del diritto commerciale.

La previsione de qua si pone sulla scia di quanto già avvenuto nel 2005 in

relazione ai processi relativi ai diritti d’autore, ai brevetti e alle altre materie

concernenti la tutela della proprietà industriale ed intellettuale, che sono tran-

sitati alle Sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellet-

tuale senza che, peraltro, la popolazione dell’Alto Adige ne fosse adeguatamen-

te resa edotta. Con il disposto dell’articolo 2 del citato decreto-legge, è stata

avviata la trasformazione di tali Sezioni specializzate in Tribunali delle imprese

con un ulteriore sottrazione di competenze ai Tribunali locali. Trattasi, in par-

ticolare, delle cd. «Class action», del contenzioso societario relativo a società

per azioni e loro controllate, nonché del settore pubblico degli appalti qualora

vi siano coinvolte società per azioni o loro controllate. In concreto, le contro-

versie fra i soci di una Società per Azioni (o di una Srl controllata da una Spa)

non potranno più essere trattate a Bolzano; lo stesso vale per le controversie

fra una Società per Azioni (oppure fra una Srl controllata da una Spa) e un ente

pubblico, ad esempio, per dirimere una controversia relativa al settore dell’edi-

lizia pubblica.

Peraltro, non è da escludere che in futuro le attribuzioni dei Tribunali delle

imprese possano essere ulteriormente ampliate: nulla vieta, infatti, che tutte le

controversie relative ad una Società a Responsabilità Limitata (Srl), e non so-

200

lo quelle relative ad una Srl controllata da una Spa, presto o tardi diventino di

competenza esclusiva dei Tribunali delle imprese.

Vi è da sottolineare che la perdita delle attribuzioni in materia di proprietà

industriale ed intellettuale è stata dolorosa, anche in termini economici, ma la

situazione è destinata a volgere al peggio, se solo si considera che l’Alto Adige

può ben essere paragonato ad un «porto sicuro» dove imprese provenienti dal-

le zone estere di lingua tedesca trovano un agevole approdo in Italia. Tale ca-

ratteristica è stata messa in discussione dal decreto Monti sulle liberalizzazio-

ni, poiché il giudice competente non risiederà più a Bolzano, e senza la garanzia

dell’uso della lingua tedesca. Anche per le imprese altoatesine – e oggi questo

vale già per le società per azioni e le imprese da esse controllate – non sarà irri-

levante il fatto che tutte le controversie in futuro dovranno essere gestite e trat-

tate nella sola lingua italiana.

La violazione del diritto costituzionale all’utilizzo della propria madrelin-

gua dinanzi al Tribunale (come previsto dall’articolo 100 dello statuto di auto-

nomia, nonché dal D.P.R. 574/1988) in tali casi è evidente, come del resto lo è in

relazione alle questioni riferite al diritto d’autore che interessano testi redatti

in lingua tedesca, in quanto trattate in altra città ed esclusivamente in lingua

italiana.

E’ assolutamente indispensabile, dunque, intervenire per evitare la disper-

sione di attribuzioni del Foro di Bolzano, in modo da salvaguardare le cono-

scenze economico-commerciali – e, in particolare, il know-how tecnico in Al-

to Adige – e tutelare la localizzazione economica in Alto Adige.

E’ nota peraltro la tradizione di transazioni finanziarie di Bolzano sin

dall’inizio del secolo XVI, nonché del collegio giudicante esperto di affari com-

merciali istituito nel 1635, definito «Magistrato mercantile di Bolzano», un

tribunale speciale in materia commerciale dotato di una disciplina giudizia-

ria particolarmente vantaggiosa per i commercianti, in ossequio alla quale i

fieranti erano giudicati, senza formalità alcuna, escludendo la presenza di av-

vocati e senza oneri di sorta, da persone esperte di transazioni commerciali.

201

L’esperienza fu così positiva che il Magistrato mercantile si trasformò sempre

più in organo regionale di politica economica, volto ad intervenire, in un perio-

do di mercantilismo imperante, a favore del liberalismo economico inteso co-

me libero commercio delle merci.

Ad avviso del proponente, dunque, anche al fine di garantire il diritto co-

stituzionale all’utilizzo della propria madrelingua dinanzi al Tribunale (artico-

lo 100 dello Statuto di autonomia e DPR 574/1988), è opportuno che Bolzano

torni ad essere, anche in ossequio alla propria tradizione storica, economica e

giuridica, il Foro competente per dirimere le controversie di natura imprendi-

toriale per salvaguardare i vantaggi dell’Alto Adige quale localizzazione econo-

mica e, in generale, per tutelare gli interessi delle imprese che provengono da

paesi esteri di lingua tedesca e desiderano operare in Italia. In tale direzione va

il presente disegno di legge che, in particolare, prevede un intervento sul de-

creto legislativo 168/2003, come modificato dal decreto sulle liberalizzazioni,

includendo Bolzano nel novero dei Tribunali e Corti d’Appello presso cui so-

no istituite le sezioni specializzate in materia di impresa. Vi è da sottolineare,

peraltro, che in sede di esame da parte del Senato della legge di conversione

del decreto legge sulle liberalizzazioni, anche il Governo, per il tramite del Mi-

nistro per i rapporti con il Parlamento e il Sottosegretario alla presidenza del

Consiglio dei Ministri, ha preso posizione sulla questione del diritto di utilizzo

della madrelingua innanzi ai tribunali, e si è impegnato, in sede del dibattito in

Aula, riservandosi di fare tutto ciò che è in suo potere al fine di assicurare le ga-

ranzie processuali necessarie ai residenti nella Provincia autonoma di Bolzano,

anche attraverso un confronto con i soggetti interessati, nel rispetto dei princi-

pi costituzionali e del quadro normativo già esistente in materia.

202

8.5.2 DIsegno DI legge n. 3168

Sezione separata del tribunale delle imprese a Bolzano

Art. 1Al comma 1-bis dell’articolo 1 del decreto legislativo 27 giugno 2003 n.168,

dopo le parole «,ove non esistenti nelle città di cui al comma 1,», sono aggiunte

le seguenti:

«con una sede distaccata nella città di Bolzano, nel rispetto di quanto previ-

sto dall’articolo 100 dello Statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige.»

Art. 2Agli oneri derivanti dall’attuazione dell’articolo , valutati nel limite massimo di

400 mila euro per l’anno 2012, si provvede mediante riduzione degli stanzia-

menti relativi alle spese rimodulabili di cui all’art. 21, comma 5, lettera b) della

legge 31 dicembre 2009, n. 196, dei programmi del Ministero dell’economia e

delle finanze.

203

9 A servizio dei cittadini

9.1 Riunioni Pubbliche

Disegno di legge n. 32 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla

presidenza il 29 aprile 2008

Modifiche al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto

18 giugno 1931, n. 773, in materia di riunioni pubbliche

9.1.1 IllustrazIone

Il presente disegno di legge prende spunto da due spiacevoli episodi nei quali i

carabinieri hanno denunciato i parroci di due paesi sudtirolesi per omissione

dell’avviso al questore dello svolgimento di una cerimonia religiosa, omissione

sanzionata, ancora oggi, penalmente. Tale denuncia ha avuto ampia risonanza

sulla stampa locale e nazionale.

Si intende pertanto modificare e sopprimere alcuni articoli in materia di ri-

unioni pubbliche del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio

decreto 18 giugno 1931, n. 773, risalenti all’epoca fascista, ancora vigenti nel

nostro ordinamento. Tali disposizioni, se applicate ai giorni nostri, risultano

anacronistiche e fuori dal tempo.

Già la Corte costituzionale, in alcune sentenze ha ampiamente ritenuto

parte di queste norme costituzionalmente illegittime in riferimento all’articolo

17 della Costituzione.

Vogliamo ricordarne una, in particolare, la sentenza n. 45 dell’8 marzo 1957,

nella quale la Corte ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 25 del testo unico

delle leggi di pubblica sicurezza, nella parte che implica l’obbligo di avviso, al-

204

meno tre giorni prima, al questore dello svolgimento di cerimonie religiose in

luoghi aperti al pubblico.

Con il presente disegno di legge, si chiede la soppressione dello stesso ob-

bligo di preavviso, in quanto si tratta di un onere burocratico che trovava la sua

ragione nelle diffidenze del regime fascista nei confronti della Chiesa. Attual-

mente tale disposizione appare decisamente superata. Riteniamo, inoltre, as-

solutamente sproporzionato sanzionare penalmente l’omissione del preavviso

per lo svolgimento di riunioni in luogo pubblico.

Fermo restando il principio della necessità del preavviso a cui sono tenuti i

promotori, si ritiene infatti di dovere abolire la sanzione penale per i contrav-

ventori, mantenendo invece la sanzione amministrativa.

La sanzione in questione, come affermato dalla sentenza n. 11 del 10 maggio

1979 della Corte costituzionale, non si applica a coloro che prendono la parola

durante la riunione.

Vista l’importanza e l’attualità della questione si auspica una rapida appro-

vazione del disegno di legge.

9.1.2 DIsegno DI legge n. 32

Riunioni Pubbliche

Art. 1.1. Al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18

giugno 1931, n. 773, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) l’articolo 18 è sostituito dal seguente:

«Art. 18. – 1. I promotori di una riunione in luogo pubblico devono darne

avviso, almeno un giorno prima, al questore.

2. I contravventori sono puniti con la sanzione amministrativa del

pagamento di una somma da 100 euro a 400 euro.

205

3. Il questore, nel caso di omesso avviso ovvero per ragioni di ordine

pubblico o di sanità pubblica, può impedire che la riunione abbia luogo e

può, per le stesse ragioni, prescrivere modalità di tempo e di luogo per la

riunione.

4. I contravventori al divieto o alle prescrizioni dell’autorità sono puniti con

la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 200 euro a

400 euro.

5. Non è punibile chi, prima dell’ingiunzione dell’autorità o per obbedire ad

essa, si ritira dalla riunione.

6. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle riunioni

elettorali.»;

b) all’articolo 20, le parole da: «avvengono manifestazioni» fino a:

«assembramenti predetti» sono soppresse;

c) l’articolo 21 è abrogato;

d) l’articolo 25 è abrogato.

9.2 Riconoscimento della lingua italiana dei segni

Disegno di legge n. 37 d’iniziativa dei senatori PETERLINI, COSSIGA, D’ALIA

e PINZGER, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008

Riconoscimento della lingua italiana dei segni

9.2.1 IllustrazIone

Il presente disegno di legge vuole dare pieno riconoscimento alla lingua italia-

na dei segni (LIS).

La LIS è la lingua visivo-gestuale adoperata dalle comunità dei sordi in Ita-

lia. Essa ha una struttura assai diversa dalla lingua italiana (parlata) dato che,

nel corso della storia, sordi ed udenti non sono stati molto in contatto.

206

La LIS, come le altre lingue segnate, non è dunque una pantomima con se-

gni prodotti a caso come molte persone pensano, bensì è una lingua vera e pro-

pria con una sua grammatica. Analogamente a quanto avviene per le lingue vo-

cali, ogni nazione ha una propria lingua dei segni, con ulteriori varietà regionali

e addirittura con qualche differenza lessicale nell’ambito della stessa città, do-

vuta a quanto ancora sopravvive delle diversità linguistiche un tempo esistenti

tra i vari istituti per sordi.

I sordi in Italia sono oltre 70.000, includendo in questa cifra sia coloro che

sono nati sordi o che sono diventati sordi nei primi anni di vita (e quindi non

hanno potuto acquisire il linguaggio parlato come bambini udenti, a causa del-

la sordità), sia le persone che sono diventate sorde dopo aver appreso il lin-

guaggio parlato. Specie per i primi, i cosiddetti «sordomuti», che possono im-

parare la lingua parlata solo dopo un iter di riabilitazione, nasce la necessità di

uno strumento quale la LIS, con una propria specificità morfologica, sintattica

e lessicale.

In Europa la lingua dei segni ha avuto un riconoscimento al più alto livello

con due risoluzioni del Parlamento europeo, del 17 giugno 1988 e del 18 no-

vembre 1998, relative appunto alla lingua dei segni dei sordi e con la risoluzio-

ne dell’Unesco resa a Salamanca nel giugno 1994. I sordi utilizzano figure pro-

fessionali quali l’interprete LIS e gli operatori (per esempio gli assistenti alla

comunicazione) garantendo attraverso l’uso della LIS risultati ottimali per la

formazione di soggetti affetti da sordità.

L’Unione europea dei sordi (European Union of the Deaf), con sede in Bruxel-

les, creata nel 1985, e che rappresenta attualmente le associazioni di ventiquat-

tro Stati membri dell’Unione europea (Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Fin-

landia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussem-

burgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica ceca, Regno unito,

Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Ungheria) ha più volte sollecitato, con at-

ti formali, tutti gli Stati membri dell’Unione europea ad accettare legalmente la

207

lingua dei segni di ciascun Paese nell’ambito della struttura della Carta euro-

pea delle lingue minoritarie.

La lingua dei segni rappresenta una forma di integrazione dei non uden-

ti nella società degli udenti a condizioni per loro eque. Proprio per rafforzare

la protezione e promozione dei diritti umani delle persone con disabilità e per

abbattere la barriera della comunicazione quale forma di emarginazione, sem-

bra quindi giunto il momento per l’Italia di dare alla LIS pieno riconoscimen-

to, equiparandola ad una qualsiasi lingua di minoranza linguistica. È in questo

senso che la LIS deve essere per noi considerata «lingua non territoriale» della

comunità dei sordi, equiparando tale definizione a quella della Carta europea

delle lingue regionali o minoritarie, fatta a Strasburgo il 5 novembre 1992, ar-

ticolo 1, lettera c).

9.2.2 DIsegno DI legge n. 37

Riconoscimento della lingua italiana dei segni

Art. 1. (Finalità)1. La Repubblica riconosce la lingua italiana dei segni (LIS) come lingua non

territoriale propria della comunità dei non udenti, in applicazione degli artico-

li 3 e 6 della Costituzione, ai sensi della Carta europea delle lingue regionali o

minoritarie, adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 5 novembre 1992,

ed in ottemperanza alle risoluzioni del Parlamento europeo del 17 giugno 1988,

pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee C 187 del 18 luglio

1988, e del 18 novembre 1998, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità

europee C 379 del 7 dicembre 1998.

2. L’uso della LIS gode di tutte le garanzie e tutele dei provvedimenti conse-

guenti al riconoscimento di cui al comma 1.

208

Art. 2. (Regolamento)1. Nell’ambito delle finalità di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, entro sei

mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo, con regola-

mento da adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988,

n. 400, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legi-

slativo 28 agosto 1997, n. 281, e sentito l’Ente nazionale per la protezione e l’as-

sistenza dei sordomuti (ENS), detta le disposizioni per l’attuazione di quanto

previsto dall’articolo 1. Il regolamento deve in ogni caso:

a) prevedere disposizioni volte a consentire l’uso della LIS nei giudizi civili e

penali, stabilendone le modalità tecniche;

b) fissare le modalità atte a consentire l’uso della LIS nei rapporti con le

pubbliche amministrazioni nonché con le amministrazioni regionali e

degli enti locali;

c) fissare le modalità dell’insegnamento della LIS nella scuola dell’obbligo

al fine di rendere effettivo l’adempimento dell’obbligo scolastico per

gli alunni sordomuti, ai sensi dell’articolo 323 del testo unico delle

disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle

scuole di ogni ordine e grado, di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994,

n. 297;

d) fissare le modalità dell’istruzione all’interno dei corsi di laurea

universitari della disciplina facoltativa dell’insegnamento della LIS;

e) dettare ogni altra disposizione atta a consentire, attraverso l’uso della

LIS, piena applicazione, relativamente ai non udenti, delle disposizioni di

cui agli articoli 12, 13, 14, 15, 16, 17 e 18 della legge 5 febbraio 1992, n. 104,

e successive modificazioni, anche attraverso il ricorso alle convenzioni di

cui all’articolo 38 della medesima legge.

209

9.3 Iscrizione anagrafica dei soggiornanti in istituti di ricovero in Trentino Alto Adige

Disegno di legge n. 38 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla

presidenza il 29 aprile 2008

Disposizioni in materia di iscrizione anagrafica, per trasferimento di residen-

za, dei soggiornanti in istituti di ricovero o di cura nelle province autonome di

Trento e di Bolzano

9.3.1 IllustrazIone

Molte persone anziane e disabili, prive di nucleo familiare o la cui famiglia non

sia più in grado di provvedere a cure e assistenza adeguate, si recano sovente

presso strutture di accoglienza, che possono essere istituti di cura, case di ri-

poso o residenze sanitarie assistenziali (RSA). Per tali categorie di persone si

pone spesso il problema relativo al mantenimento o meno della propria resi-

denza, qualora le strutture di accoglienza siano ubicate in altri comuni.

La normativa attuale prevede che, se si tratta di istituto di cura, l’acco-

glienza non determina, né a richiesta dell’interessato, né d’ufficio, alcun tra-

sferimento di residenza, se non sono decorsi due anni dall’allontanamento

dell’abitazione ordinaria (articolo 8, comma 1, lettera b), del regolamento di cui

al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223), mentre se si

tratta di una RSA, di una casa di riposo e simili, il trasferimento va fatto presso

la struttura in cui la persona è accolta.

L’iscrizione anagrafica in altro comune per trasferimento di residenza de-

termina notevoli problemi, sia per i comuni sia per i cittadini. Per esempio la

perdita della tomba o del loculo nel cimitero; la perdita, per il comune, della

quota pro-capite, nonostante esso debba coprire parte delle spese per le perso-

ne che soggiornano nelle strutture citate, e così via.

210

Pertanto, il presente disegno di legge prevede, per le province autonome

di Trento e Bolzano, che tutti coloro che soggiornano in istituti di ricovero o di

cura di qualsiasi natura possano mantenere la propria residenza, anche se tale

soggiorno si dovesse protrarre per oltre due anni.

9.3.2 DIsegno DI legge n. 38

Iscrizione anagrafica, per trasferimento di residenza, dei soggiornanti in istitu-

ti di ricovero nelle province autonome di Trento e di Bolzano

Art. 1.1. Nelle province autonome di Trento e di Bolzano, le persone soggiornanti in

istituti di ricovero o di cura di qualsiasi natura, ubicati in comuni diversi da

quelli di residenza, possono conservare la residenza nel comune di provenien-

za anche se è decorso il termine di due anni dal giorno dell’allontanamento dal

comune d’iscrizione anagrafica.

9.4 Iscrizione anagrafica dei soggiornanti in istituti di ricovero o di cura

Disegno di legge n. 39 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla

presidenza il 29 aprile 2008

Disposizioni in materia di iscrizione anagrafica, per trasferimento di residenza,

dei soggiornanti in istituti di ricovero o di cura

211

9.4.1 IllustrazIone

A differenza del ddl. n. 38 che si limita alle province di Trento e di Bolzano,

questo ddl. n. 39 mira a estendere le agevolazioni a tutto il territorio nazionale.

Molte persone anziane e disabili, prive di nucleo familiare o la cui famiglia non

sia più in grado di provvedere a cure e assistenza adeguate, si recano sovente

presso strutture di accoglienza, che possono essere istituti di cura, case di ri-

poso o residenze sanitarie assistenziali (RSA). Per tali categorie di persone si

pone spesso il problema relativo al mantenimento o meno della propria resi-

denza, qualora le strutture di accoglienza siano ubicate in altri comuni.

La normativa attuale prevede che, se si tratta di istituto di cura, l’acco-

glienza non determina, né a richiesta dell’interessato, né d’ufficio, alcun tra-

sferimento di residenza, se non sono decorsi due anni dall’allontanamento

dell’abitazione ordinaria (articolo 8, comma 1, lettera b), del regolamento di cui

al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223), mentre se si

tratta di una RSA, di una casa di riposo e simili, il trasferimento va fatto presso

la struttura in cui la persona è accolta.

L’iscrizione anagrafica in altro comune per trasferimento di residenza de-

termina notevoli problemi, sia per i comuni sia per i cittadini. Per esempio la

perdita della tomba o del loculo nel cimitero; la perdita, per il comune, della

quota pro-capite, nonostante esso debba coprire parte delle spese per le persone

che soggiornano nelle strutture citate, e così via.

Pertanto, il presente disegno di legge prevede che tutti coloro che sog-

giornano in istituti di ricovero o di cura di qualsiasi natura possano mantenere

la propria residenza, anche se tale soggiorno si dovesse protrarre per oltre due

anni.

212

9.4.2 DIsegno DI legge n. 39

Iscrizione anagrafica, per trasferimento di residenza, dei soggiornanti in istitu-

ti di ricovero o di cura

Art. 1.1. Le persone soggiornanti in istituti di ricovero o cura di qualsiasi natura, ubi-

cati in comuni diversi da quelli di residenza, possono conservare la residenza

nel comune di provenienza anche se è decorso il termine di due anni dal giorno

dell’allontanamento dal comune d’iscrizione anagrafica.

9.5 Riconoscimento agli effetti civili di festività religiose

Disegno di legge n. 42 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla

presidenza il 29 aprile 2008

Riconoscimento agli effetti civili di festività religiose

9.5.1 IllustrazIone

La legge 5 marzo 1977, n. 54, ha abrogato il riconoscimento agli effetti civili di

alcune feste religiose (l’Epifania, San Giuseppe, l’Ascensione, il Corpus Domi-

ni, i SS. Apostoli Pietro e Paolo) perché – secondo, la tesi di allora – il loro ca-

rattere infrasettimanale avrebbe avuto una negativa incidenza sulla produttivi-

tà delle aziende e dei pubblici uffici.

Il presente disegno di legge prevede il ripristino degli effetti civili di talune

festività molto importanti per la tradizione e la storia stessa del nostro Paese.

Si tratta di feste religiose, espressione della tradizione di fede e di cultura del-

la comunità, tuttora festeggiate in molti Paesi europei. È un omaggio alle per-

sone credenti che possono così celebrare nuovamente le ricorrenze religiose,

213

e un giusto riconoscimento dei valori cristiani. È però anche un omaggio per

i non credenti che possono dedicare le giornate alle attività di tempo libero.

Queste ricorrenze sono state festeggiate in Italia fino al 1977, anno in cui per

legge i giorni della loro celebrazione – insieme a quelli di altre festività – han-

no cessato di essere festivi. Ci si può anche chiedere se proprio l’Italia, che tra

i Paesi europei è uno di quelli nei quali la popolazione mantiene più viva la re-

ligiosità espressa secondo la tradizione cristiana, debba guadagnare in termini

di produttività eliminando il disturbo di pochissime feste religiose infrasetti-

manali, quando le stesse sono conservate in molti altri Paesi europei. La festa

dell’Ascensione è riconosciuta agli effetti civili, per esempio, in Austria, Belgio,

Svizzera, Germania, Danimarca, Francia, Norvegia, Olanda, Svezia, in pratica

in tutta l’Europa occidentale continentale. La festa del Corpus Domini lo è per

esempio in Austria e in Germania. La festa di San Giuseppe, al di là del suo

significato religioso importante per i cristiani (San Giuseppe, padre di Gesù),

apre tradizionalmente la primavera. Espressioni del pensiero laico non cristia-

no assegnano alla Pasqua il ruolo di festa della primavera, ma il fatto che essa

possa cadere anche ad aprile inoltrato toglie ad essa il sapore della natura che

si risveglia dopo l’inverno. La festa dei Santi Pietro e Paolo ricorda in Pietro la

specificità italiana di essere la sede del Papato, dell’esercizio del ministero del

primato nella Chiesa cattolica, un fatto che in qualche modo dà all’Italia una

posizione di estremo rilievo, e nello stesso tempo proclama, ricordando Pao-

lo di Tarso, la grande vocazione all’apertura universale del messaggio cristia-

no. Entrambi furono uccisi a Roma dal potere imperiale di allora. Festeggiarli

solo a Roma come patroni, come si fa attualmente, sembra un po’ riduttivo se

si pensa al loro ruolo e al fatto che gli imperatori romani non erano per ruolo

equivalenti ai contemporanei sindaci di Roma

La ratio sottesa alla legge 5 marzo 1977, n. 54, si richiamava ad una volontà

di gestire il Paese con una maggiore austerità: gli anni ’70, infatti, sono gli anni

in cui si inizia a parlare di crisi petrolifera (ricordiamo le domeniche senza au-

to e quelle in cui si poteva circolare solo con i veicoli con targhe pari o solo con

214

quelli con targhe dispari), la disoccupazione inizia a far sentire i suoi effetti e

l’inflazione corrode gli stipendi.

L’Italia rallenta la sua crescita economica e, improvvisamente, si trova a do-

ver fare i conti con gli effetti di una gestione del boom degli anni ’60 quanto-

meno poco accorta. Tra i provvedimenti che vennero presi per cercare di ripri-

stinare una gestione più rigorosa, possiamo annoverare anche la citata legge

n. 54 del 1977, con la quale si ridusse il numero delle festività ritenendo che

esse incidessero in maniera negativa sulla produttività sia delle aziende che del

pubblico impiego.

Negli anni successivi si è assistito ad un’inversione di tendenza, anche per-

ché si è compreso che l’austerità non aveva prodotto l’auspicato aumento di

produttività nelle aziende e che i problemi economici andavano risolti in un’al-

tra maniera: certamente non eliminando alcuni giorni di festività che, in ogni

caso, devono poi essere pagati oppure recuperati e, quindi, aggiunti al periodo

delle ferie ordinarie.

Si può inoltre prevedere un aumento delle attività di svago e di turismo se le

ricorrenze si abbinano ai fine settimana, il che può incidere positivamente sul-

lo sviluppo economico del Paese.

Nel 1985, dunque, è stata reintrodotta la festività dell’Epifania, mentre nel

2001 una mobilitazione forte da parte dell’opinione pubblica ha condotto al ri-

pristino della festa nazionale della Repubblica.

La reintroduzione delle festività soppresse è da considerare con favore alla

luce del fatto che esse appartengono alla nostra cultura, al patrimonio religioso

di tanti cittadini, oltre che alla nostra storia: tali ricorrenze devono poter essere

celebrate anche con effetti civili da tutti gli italiani, così come avviene in molti

Paesi europei, e sul loro significato intrinseco sarebbe auspicabile un’attenta

riflessione.

Alla luce delle considerazioni svolte, il presente disegno di legge preve-

de, all’articolo 1, il ripristino degli effetti civili delle festività di S. Giuseppe,

dell’Ascensione, del Corpus Domini e dei SS. Apostoli Pietro e Paolo su tutto il

215

territorio nazionale. Inoltre prevede un secondo articolo che introduce il gior-

no di lunedì seguente la Pentecoste quale festività agli effetti civili.

9.5.2 DIsegno DI legge n. 42

Riconoscimento agli effetti civili di festività religiose

Art. 1.1. Le ricorrenze religiose di S. Giuseppe in data 19 marzo e dei SS. Apostoli Pie-

tro e Paolo in data 29 giugno nonché, alla loro tradizionale cadenza infrasetti-

manale di giovedì, quelle dell’Ascensione e del Corpus Domini, sono ricono-

sciute festività agli effetti civili.

2. Il primo comma dell’articolo 1 della legge 5 marzo 1977, n. 54, è abrogato.

Art. 2.1. All’articolo 2, primo comma, della legge 27 maggio 1949, n. 260, sono ag-

giunte, in fine, le seguenti parole: «; il giorno di lunedì dopo Pentecoste».

Art. 3.1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pub-

blicazione nella Gazzetta Ufficiale.

9.6 Ripristino della festività di San Giuseppe

Disegno di legge n. 48 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla

presidenza il 29 aprile 2008

Ripristino della festività di San Giuseppe il 19 marzo

216

9.6.1 IllustrazIone

La legge 5 marzo 1977, n. 54, ha abrogato il riconoscimento agli effetti civili di

alcune feste religiose (l’Epifania, San Giuseppe, l’Ascensione, il Corpus Domini, i SS. Apostoli Pietro e Paolo) perché – secondo la tesi di allora – il loro carattere

infrasettimanale avrebbe avuto una negativa incidenza sulla produttività delle

aziende e dei pubblici uffici.

La ratio sottesa alla citata legge n. 54 del 1977, si richiamava ad una volontà

di gestire il Paese con una maggiore «austerità»: gli anni ’70, infatti, sono gli

anni in cui si inizia a parlare di crisi petrolifera (ricordiamo le domeniche senza

auto e quelle in cui si poteva circolare solo con i veicoli con targhe pari o solo

con quelli con targhe dispari), la disoccupazione inizia a far sentire i suoi effetti

e l’inflazione corrode gli stipendi.

L’Italia rallenta la sua crescita economica e, improvvisamente, si trova a do-

ver fare i conti con gli effetti di una gestione del boom degli anni ’60 quantome-

no poco accorta. Tra i provvedimenti che vennero adottati per cercare di ripri-

stinare una gestione più rigorosa, possiamo annoverare anche la citata legge

n. 54 del 1977, con la quale si ridusse il numero delle festività ritenendo che

esse incidessero in maniera negativa sulla produttività sia delle aziende che del

pubblico impiego.

Negli anni successivi si è assistito ad un’inversione di tendenza, anche per-

ché si è compreso che l’austerità non aveva prodotto l’auspicato aumento di

produttività nelle aziende e che i problemi economici andavano risolti in un’al-

tra maniera: certamente non eliminando alcuni giorni di festività che, in ogni

caso, devono poi essere pagati oppure recuperati e, quindi, aggiunti al periodo

delle ferie ordinarie.

Nel 1985, dunque, è stata reintrodotta la festività dell’Epifania, mentre nel

2001 una mobilitazione forte da parte dell’opinione pubblica ha condotto al ri-

pristino della festa nazionale della Repubblica.

217

Ripristinare il giorno di San Giuseppe come festivo vuole dire dare maggio-

re visibilità ai padri e riconoscere il loro ruolo nell’ambito della famiglia. Oc-

corre ricordare e dare importanza al nucleo familiare per lo sviluppo del sin-

golo individuo e dell’intera società. Considerato che varie disposizioni della

Costituzione esaltano l’importanza della famiglia, sembra doveroso istituire,

o nel caso del 19 marzo ripristinare, un giorno in onore di essa. Infatti, l’arti-

colo 2 della Costituzione tutela i valori delle formazioni sociali ove si svolge la

personalità del singolo e l’articolo 31 prevede che lo Stato agevoli con misure

economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia. Con il ripristi-

no del giorno di San Giuseppe, in effetti, si darebbe un segnale forte in questa

direzione. Il legislatore darebbe prova della propria consapevolezza del valore

della famiglia.

La festa di San Giuseppe, al di là del suo significato religioso importante per

i cristiani (San Giuseppe, padre di Gesù), apre tradizionalmente la primavera.

Espressioni del pensiero laico non cristiano assegnano alla Pasqua il ruolo di

festa della primavera, ma il fatto che essa possa cadere anche ad aprile inoltrato

toglie ad essa il sapore della natura che si risveglia dopo l’inverno.

Storia e tradizioni Nella tradizione popolare, San Giuseppe, sposo della Vergine Maria, è il San-

to protettore dei poveri e dei derelitti, poiché i più indifesi hanno diritto al più

potente dei Santi. In questo giorno, si ricorda la sacra coppia di giovani sposi,

in un paese straniero ed in attesa del loro Bambino, che si videro rifiutata la ri-

chiesta di un riparo per il parto.

Questo atto, che vìola due sacri sentimenti: l’ospitalità e l’amore familia-

re, viene ricordato in molte regioni con l’allestimento di un banchetto speciale.

Così in alcuni paesi della Sicilia, il 19 marzo di ogni anno, si usava invitare i po-

veri al banchetto di San Giuseppe. In questa occasione, un sacerdote benediva

la tavola ed i poveri erano serviti dal padrone di casa.

218

Oltre a proteggere i poveri e le ragazze, San Giuseppe, in virtù della sua pro-

fessione, è anche il protettore dei falegnami, che da sempre sono i principali

promotori della sua festa. La festa del 19 marzo è anche associata a due mani-

festazioni specifiche, che si ritrovano un po’ in tutte le regioni d’Italia: i falò e

le zeppole.

Poiché la celebrazione di San Giuseppe coincide con la fine dell’inverno, si è

sovrapposta ai riti di purificazione agraria, effettuati nel passato pagano.

In quest’occasione, infatti, si bruciano i residui del raccolto sui campi ed

enormi cataste di legna vengono accese ai margini delle piazze. Quando il fuo-

co sta per spegnersi, alcuni lo scavalcano con grandi salti e le vecchiette, men-

tre filano, intonano inni per San Giuseppe.

CultoLa Chiesa cattolica ricorda San Giuseppe il 19 marzo e il 1º maggio col titolo di

lavoratore.

Inoltre il 29 dicembre si festeggia la Sacra famiglia (Giuseppe, Maria e Ge-

sù).

Il culto di San Giuseppe, padre putativo di Gesù e simbolo di umiltà e de-

dizione, nella Chiesa d’Oriente era praticato già attorno al IV secolo; intorno al

VII secolo la Chiesa copta ricordava la sua morte il 20 luglio.

In Occidente il culto ha avuto una marcata risonanza solo attorno all’anno

Mille, come attestato dai martirologi, primo fra tutti quello del monastero di

Richenau, ricordandolo al 19 marzo, data diventata festa universale nella Chie-

sa con Gregorio XV nel 1621.

La prima chiesa dedicata a San Giuseppe sembra essere quella di Bologna

eretta nel 1130. Nel 1621 i Carmelitani posero l’intero ordine sotto il suo pro-

tettorato.

L’8 dicembre 1870 Pio IX lo proclamò patrono della Chiesa universale, di-

chiarando esplicitamente la sua superiorità su tutti i Santi, seconda solo a

quella della Madonna.

219

Papa Leone XIII scrisse la prima enciclica interamente riguardante il Santo:

la Quamquam pluries, del 15 agosto 1889.

Il 26 ottobre 1921, Benedetto XV estese la festa della Sacra famiglia a tutta

la Chiesa.

La festa di Giuseppe artigiano fu istituita nel 1955 da Pio XII e fissata il 1º

maggio: la festa dei lavoratori fino a quel momento era appannaggio della cul-

tura social-comunista.

Nel 1962 Giovanni XXIII introdusse il suo nome nel canone della Messa,

oltre ad affidargli lo svolgimento del Concilio vaticano II.

Quindi, il presente disegno di legge equipara il 19 marzo (già festa naziona-

le ai sensi della legge 27 maggio 1949, n. 260, nel suo testo originario) alle al-

tre festività religiose, riconosciute quali giorni festivi, ai sensi dell’articolo 1 del

decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1985, n. 792.

9.6.2 DIsegno DI legge n. 48

Ripristino della festività di San Giuseppe

Art. 1.1. Il giorno 19 marzo, ricorrenza di San Giuseppe, è considerato giorno festi-

vo equiparato alle festività riconosciute ai sensi dell’articolo 1 del decreto del

Presidente della Repubblica 28 dicembre 1985, n. 792. Agli effetti retributivi,

per il ripristino di detta festività, si applicano le norme vigenti per le festività

nazionali.

9.7 Conti Dormienti

Disegno di legge n. 44 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla

presidenza il 29 aprile 2008

220

Norme in materia di risparmi e di depositi bancari e finanziari non rivendicati

giacenti presso le banche e le imprese di investimento

9.7.1 IllustrazIone

La legislazione italiana presenta una lacuna in quanto è priva di norme che im-

pongano agli istituti finanziari in generale, ed in particolare alle banche, di re-

gistrare le generalità degli eredi beneficiari degli intestatari di depositi di valo-

re quali per esempio conti correnti, libretti di risparmio, titoli di credito, fondi

d’investimento nonché oggetti di valore nelle cassette di sicurezza. Si prenda

ad esempio chi, dopo aver aperto un conto corrente bancario, non ne faccia

più uso per un numero imprecisato di anni; in casi come questo le banche non

sempre riescono o si impegnano a scoprire cosa sia accaduto a questo cliente

«silenzioso».

Ne consegue che si accumulano ingenti somme presso gli istituti finanziari,

i cosiddetti «conti dormienti», spesso all’insaputa dei legittimi eredi. Il proble-

ma va affrontato dando una soluzione che definisca in modo chiaro come deb-

bano procedere gli istituti finanziari per poter contattare gli eredi beneficiari

dei depositi di valore nel caso in cui il contatto con il cliente si sia interrotto,

onde evitare che gli averi dei depositanti rimangano in possesso degli istituti

finanziari per un tempo indefinito.

Il disegno di legge vuole includere tutte le imprese di investimento e ban-

che presso le quali si possono depositare contanti, valori, fondi e beni mobili

rappresentati da oggetti di valore quali i gioielli, ma anche opere d’arte ed altri

beni, senza esclusione alcuna.

Nel capo I viene definito il campo di applicazione della legge, che introduce

l’obbligo per l’istituto finanziario di registrare, pena una sanzione amministra-

tiva il cui ammontare è indicato all’articolo 10, le generalità degli eredi dell’in-

testatario del deposito al momento della stipulazione del contratto.

221

Con il capo II vengono definite le modalità della procedura di restituzione

dei depositi giacenti presso le imprese di investimento o le banche.

Trascorsi cinque anni durante i quali non ci siano stati contatti tra l’istituto

finanziario e il cliente depositante, l’istituto finanziario è obbligato ad avviare

una ricerca del cliente e dei suoi eredi beneficiari (articoli 2, 3 e 4). Gli articoli

5, 6 e 7 dispongono adeguate forme di pubblicità circa i depositi giacenti, e l’ar-

ticolo 8 chiarisce a chi vadano addebitate le spese. Nel caso venga certificato il

decesso dell’intestatario e non risultino eredi dello stesso si procede a devolve-

re il deposito al comune di ultima residenza del de cuius (articolo 9).

Le disposizioni transitorie stabiliscono che siano soggetti alla nuova disci-

plina che si intende introdurre anche i beni depositati presso gli istituti finan-

ziari prima dell’entrata in vigore della legge. Stabilisce altresì che per i depositi

in essere gli istituti finanziari hanno a disposizione un anno per informare i

loro clienti depositanti dell’obbligo di registrazione delle generalità dei propri

eredi (articolo 11).

9.7.2 DIsegno DI legge n. 44

Conti Dormienti

Capo I

PRINCÌPI GENERALI

Art. 1. (Finalità ed obblighi)1. La presente legge ha lo scopo di salvaguardare i beneficiari di depositi presso

imprese di investimento e banche, nel caso di decesso dei titolari dei deposi-

ti stessi, introducendo l’obbligo legale di indicare nel contratto di deposito gli

eredi beneficiari.

222

2. A tale fine tutte le imprese di investimento e le banche, al momento della

stipulazione di un contratto, sono obbligate a registrare le generalità degli eredi

beneficiari degli intestatari dei depositi di ogni natura.

3. Il depositante ha l’obbligo di comunicare le generalità degli eredi bene-

ficiari dei beni depositati e di informare l’impresa di investimento o la banca

su ogni eventuale variazione, anche riguardante il domicilio o il recapito delle

persone interessate.

Capo II

RESTITUZIONE DEI DEPOSITI GIACENTI

Art. 2. (Comunicazioni all’intestatario del deposito o agli eredi beneficiari)1. Nel caso in cui per cinque anni consecutivi decorrenti dalla data di libera di-

sponibilità dei valori depositati non siano state compiute operazioni ad inizia-

tiva del depositante o di terzi da questo delegati, la banca o l’impresa di inve-

stimento inviano un avviso all’intestatario del deposito stesso, mediante let-

tera raccomandata con avviso di ricevimento indirizzata all’ultimo domicilio

conosciuto.

Art. 3. (Certificazione di esistenza in vita)1. Qualora nei tre mesi successivi all’invio dell’avviso di cui all’articolo 2 l’im-

presa di investimento o la banca non ricevano notizie dell’intestatario del de-

posito, esse richiedono ai competenti servizi anagrafici del comune dell’ultima

residenza conosciuta una certificazione che ne attesti l’esistenza in vita e il do-

micilio.

Art. 4. (Accertamento della successione e avviso agli aventi diritto)1. Ove l’intestatario del deposito risulti deceduto, o non siano state ottenute

le informazioni richieste, la banca o l’impresa di investimento provvedono a

contattare la persona o le persone indicate come eredi beneficiari nel contrat-

223

to di deposito. Qualora, sulla base delle informazioni ottenute, venga accertata

la sussistenza del diritto alla successione, l’impresa di investimento o la banca

provvedono a rendere effettiva la titolarità del deposito in capo agli interessati.

2. In caso di documentazione incompleta l’impresa di investimento o la

banca chiedono alla cancelleria del tribunale e all’ufficio del registro territo-

rialmente competenti di comunicare quanto risulti circa la successione dell’in-

testatario del deposito. Possono altresì chiedere agli uffici anagrafici del comu-

ne ove è stata aperta la successione di rilasciare un certificato relativo allo stato

di famiglia del defunto. Qualora, sulla base delle informazioni acquisite, venga

accertata l’esistenza di eredi, la banca o l’impresa di investimento comunicano

loro l’esistenza del deposito mediante lettera raccomandata con avviso di rice-

vimento.

Art. 5. (Pubblicazione del deposito)1. Se dalle ricerche effettuate a norma dell’articolo 4 non risulti l’esistenza di

eredi dell’intestatario del deposito, o qualora essi siano irreperibili, l’impresa

di investimento o la banca provvedono alla pubblicazione di un avviso, recante

esclusivamente il nome, la data e il luogo di nascita dell’intestatario del depo-

sito giacente, da esporre nei locali aperti al pubblico degli istituti stessi per un

periodo di due mesi.

Art. 6. (Elenco dei depositi)1. L’elenco dei depositi intestati a defunti, o presunti defunti, relativamente ai

quali siano state inutilmente esperite le ricerche prescritte dagli articoli 2, 3 e 4

è pubblicato entro il 31 marzo di ciascun anno sulla Gazzetta Ufficiale a cura delle

associazioni di categoria degli istituti finanziari, mediante avviso cumulativo.

Tale avviso è altresì pubblicato su due quotidiani a diffusione nazionale, di cui

uno economico, nonché in forma elettronica secondo le modalità stabilite dalla

Banca d’Italia.

224

Art. 7. (Libretti di deposito)1. Per i libretti di deposito al portatore, da cui non risulta l’identità del deposi-

tante, trascorso il termine indicato all’articolo 2 le banche o le imprese di inve-

stimento procedono a norma degli articoli 5 e 6. In questo caso la pubblicazio-

ne e l’avviso cumulativo contengono la sola indicazione dei dati identificativi

del libretto, nonché la data ed il luogo in cui esso è stato aperto.

Art. 8. (Spese)1. Le spese relative alle procedure di ricerca degli intestatari dei depositi e dei

loro eredi beneficiari, opportunamente contabilizzate, vengono addebitate sui

depositi medesimi.

Art. 9. (Devoluzione dei depositi giacenti)1. Decorso senza esiti un anno dalla pubblicazione degli avvisi previsti dagli

articoli 5 e 6, il deposito giacente presso la banca o l’impresa di investimento e

non rivendicato, viene devoluto al comune di ultima residenza dell’intestatario

del deposito stesso.

2. Il Ministro dell’economia e delle finanze stabilisce, con proprio decreto,

le modalità per l’attuazione delle disposizioni di cui al comma 1.

Art. 10. (Sanzioni)1. La violazione delle disposizioni di cui ai capi I e II sono punite con la sanzione

amministrativa pecuniaria pari al triplo del valore del deposito risultante all’at-

to della sua rilevazione.

Capo III

NORME TRANSITORIE

225

Art. 11. (Depositi in essere)1. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge le imprese di

investimento e le banche sono obbligate a richiedere a tutti i clienti intestatari

di depositi informazioni circa le generalità dei propri eredi beneficiari.

2. Le disposizioni di cui al capo II si applicano anche ai depositi già esistenti

alla data di entrata in vigore della presente legge.

9.8 Introduzione del lavoro occasionale nel settore agricolo

Disegno di legge n. 45 d’iniziativa del senatore PETERLINI comunicato alla

presidenza il 29 aprile 2008

Disciplina del lavoro occasionale in agricoltura

9.8.1 IllustrazIone

L’agricoltura, settore fondamentale dell’economia italiana, risente purtroppo di

una normativa in materia di rapporti di lavoro che non tiene in considerazione

alcune peculiarità di questo comparto. Primo fra tutti, il problema della neces-

sità di personale non omogenea nell’arco dei dodici mesi, ma concentrata solo

in alcuni periodi dell’anno come quelli della vendemmia, della raccolta delle

olive e della frutta, della fienagione, di alcune operazioni colturali e della ge-

stione degli alpeggi, nel periodo estivo; quindi, una realtà con un forte carattere

di stagionalità che richiede un’elevata percentuale di manodopera concentrata

in brevi intervalli di tempo.

Un settore di questo genere necessita di una normativa adeguata che si fac-

cia carico di queste esigenze garantendo una flessibilità occupazionale, non-

ché un alleggerimento degli oneri contributivi e burocratici attualmente troppo

gravosi specialmente per le piccole aziende agricole a gestione familiare. Que-

ste ultime hanno sempre supplito a queste «emergenze agricole» chiamando a

226

raccolta amici, parenti e conoscenti che, ben lieti di trascorrere qualche giorno

in campagna, magari a vendemmiare, accettavano ottenendo in cambio solo

ospitalità, una bella cena tra amici oppure un omaggio di prodotti dell’azien-

da. Per la normativa in vigore queste prestazioni rappresentano forme di lavo-

ro subordinato che, se non inquadrate nelle complesse procedure previste dal

nuovo registro d’impresa, rischiano di essere considerate «lavoro nero».

Il presente disegno di legge mira a introdurre il rapporto di lavoro occasio-

nale nel settore agricolo, semplificando le procedure di reperimento di mano-

dopera.

Con l’articolo 1 si definisce l’ambito di applicazione della legge, cosa si in-

tende per lavoro occasionale, in quali periodi può svolgersi, che durata può

avere e le categorie di personale che possono accedervi.

L’articolo 2 stabilisce gli adempimenti ai quali si devono attenere i datori di

lavoro nei casi di lavoro occasionale: comunicazione in via telematica alle sedi

dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) territorialmente com-

petenti, le quali poi provvedono alla trasmissione delle comunicazioni al cen-

tro dell’impiego e all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni

sul lavoro (INAIL); stipula di polizza sulla responsabilità civile per infortunio

e morte; rispetto delle norme sulla sicurezza sul lavoro e contributo del 10 per

cento a favore deIl’INPS.

Le retribuzioni minime sono definite sulla base di criteri stabiliti a livel-

lo provinciale fra le organizzazioni di categoria. Inoltre, in questo articolo, si

stabilisce che le retribuzioni per alcuni lavori occasionali non sono soggette a

ritenute IRPEF e non costituiscono base di calcolo relativamente all’imposta

regionale sulle attività produttive, mentre si stabilisce che la ritenuta IRPEF per

i lavori di alpeggio è fissata al 50 per cento dell’aliquota.

L’articolo 3 precisa che i redditi in oggetto sono cumulabili con i redditi de-

rivanti da trattamenti pensionistici e che i titolari di indennità di disoccupa-

zione o di cassa integrazione dovranno comunicare all’ente erogatore il netto

227

mensile percepito con il lavoro occasionale, affinché dalla indennità sia detrat-

to un terzo della retribuzione percepita ai sensi delle disposizioni della legge.

Vista l’importanza del disegno di legge se ne auspica una rapida approva-

zione.

9.8.2 DIsegno DI legge n. 45

Introduzione del lavoro occasionale nel settore agricolo

Art. 1. (Definizione di lavoro occasionale in agricoltura)1. Ai fini della presente legge si considerano rapporti di lavoro occasionale in

agricoltura i rapporti di lavoro tra un imprenditore agricolo o un coltivatore di-

retto e il personale assunto per:

a) l’espletamento dei lavori nei periodi di raccolta dei prodotti agricoli

di cui al comma 2, nonché per fare fronte a comprovate situazioni di

temporanea inabilità al lavoro da parte dell’imprenditore agricolo o del

coltivatore diretto;

b) lavori agricoli di allevamento estensivo in alpeggio nel periodo di cui al

comma 3.

2. Per periodi di raccolta dei prodotti agricoli si intendono la vendemmia, la

raccolta delle olive e della frutta e le fasi di fienagione, di potatura e di dirado

manuale della vite, nonché situazioni di particolari emergenze agricole.

3. Per lavori agricoli di allevamento estensivo in alpeggio si intende l’atti-

vità zootecnica che si esplica con transumanza del bestiame in montagna, ol-

tre i 1.000 metri di altitudine, nel periodo tra il 15 maggio e il 15 ottobre di ogni

anno.

4. Il rapporto di lavoro occasionale di cui alla lettera a) del comma 1 ha una

durata massima di cinquanta giornate lavorative annue per dipendente.

5. Il rapporto di lavoro occasionale di cui alla lettera b) del comma 1 ha una

durata massima di centoventi giornate lavorative annue per dipendente.

228

6. Il personale assunto ai sensi del presente articolo, ad eccezione del per-

sonale assunto per fare fronte a comprovate situazioni di temporanea inabilità

da parte dell’imprenditore agricolo o del coltivatore diretto, deve essere reperi-

to nelle seguenti categorie: studenti, casalinghe, pensionati, disoccupati, lavo-

ratori in cassa integrazione guadagni straordinaria, soggetti portatori di han-

dicap o provenienti da centri di recupero, lavoratori impiegati in altre attività

nonché lavoratori stranieri provenienti da Paesi comunitari o extracomunitari.

7. I lavoratori provenienti da Paesi extracomunitari assunti ai sensi del pre-

sente articolo non sono computati ai fini delle quote massime di stranieri da

ammettere nel territorio dello Stato per lavoro subordinato stabilite annual-

mente ai sensi dell’articolo 3, comma 4, del testo unico delle disposizioni con-

cernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello stra-

niero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modifi-

cazioni.

8. Le reciproche prestazioni tra imprenditori nonché l’utilizzo di parenti e

affini fino al quinto grado sono esclusi dall’applicazione del presente articolo e

non sono soggetti ad alcun obbligo di legge.

Art. 2. (Adempimenti a carico del datore di lavoro)1. Il datore di lavoro comunica l’avvenuta assunzione del personale di cui all’ar-

ticolo 1 della presente legge secondo le modalità previste dall’articolo 01, com-

ma 9, del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2, convertito, con modificazioni,

dalla legge 11 marzo 2006, n. 81.

2. Per il personale assunto ai sensi dell’articolo 1 deve essere stipulata una

polizza sulla responsabilità civile per infortunio e morte, con una compagnia

assicurativa autorizzata all’esercizio dell’attività sul territorio nazionale, se-

condo i massimali annualmente determinati dall’Istituto nazionale per l’assi-

curazione contro gli infortuni sul lavoro.

3. Il datore di lavoro è tenuto a osservare la normativa vigente sulla sicurez-

za negli ambienti di lavoro.

229

4. La retribuzione giornaliera minima per il lavoro occasionale in agricol-

tura è determinata in base ai contratti collettivi provinciali integrativi di lavoro

per gli operai agricoli e florovivaisti.

5. Sulla retribuzione corrisposta al personale di cui all’articolo 1 della pre-

sente legge è dovuto un contributo nella misura del 10 per cento, riducibile ai

sensi delle disposizioni di cui al comma 5 dell’articolo 9 della legge 11 marzo

1988, n. 67, e successive modificazioni, a favore della gestione di previdenza

agricola dell’Istituto nazionale della previdenza sociale. Tale contributo è da

versare in soluzione unica entro il 31 gennaio dell’anno successivo a quello in

cui è stata effettuata la prestazione lavorativa.

6. Le retribuzioni per lavoro occasionale in agricoltura per i lavoratori di cui

alla lettera a) del comma 1 dell’articolo 1 non sono soggette a ritenute ai fini

dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e non costituiscono base di calco-

lo relativamente all’imposta regionale sulle attività produttive.

7. Le retribuzioni per lavoro occasionale in agricoltura per i lavoratori di cui

alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 1 sono soggette a ritenute ai fini dell’im-

posta sul reddito delle persone fisiche nella misura del 50 per cento dell’aliquo-

ta corrente per il periodo d’imposta di riferimento e non costituiscono base di

calcolo relativamente all’imposta regionale sulle attività produttive.

8. Il datore di lavoro per i lavori di cui alla lettera a) del comma 1 dell’artico-

lo 1, salvo quanto previsto dalla presente legge, è esonerato da ogni altro adem-

pimento nei confronti delle pubbliche amministrazioni.

Art. 3. (Cumulabilità dei redditi)1. I redditi da lavoro occasionale in agricoltura di cui alla presente legge sono

cumulabili con i redditi derivanti da ogni altro trattamento pensionistico o di

quiescenza.

2. I disoccupati iscritti nelle liste di collocamento e i lavoratori in cassa

integrazione guadagni straordinaria sono tenuti a comunicare l’avvenuta in-

staurazione del rapporto di lavoro occasionale in agricoltura e la remunerazio-

230

ne netta percepita all’ente che eroga l’indennità di disoccupazione o di cassa

integrazione, che provvede a detrarre, il mese successivo alla comunicazione,

dall’indennità un importo pari ad un terzo della retribuzione netta di lavoro oc-

casionate percepita dall’interessato.

Art. 4. (Lavoro interinale in agricoltura)1. Le imprese di somministrazione di lavoro temporaneo possono applicare

sulle retribuzioni dei lavoratori interinali occupati in agricoltura le riduzioni

contributive ai sensi delle disposizioni di cui al comma 5 dell’articolo 9 della

legge 11 marzo 1988, n. 67, e successive modificazioni.

Art. 5. (Entrata in vigore)1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pub-

blicazione nella Gazzetta Ufficiale.

9.9 Disposizioni per il sostegno delle bande musicali

Disegno di legge n. 1144 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla

presidenza il 22 ottobre 2008

Disposizioni per il sostegno e la valorizzazione delle bande musicali

9.9.1 IllustrazIone

Il presente disegno di legge riprende l’atto Camera 866, presentato dall’Ono-

revole Vannucci ed altri, il 7 maggio scorso alla Camera dei deputati. Lo scopo

della presentazione anche al Senato dell’analogo testo, è quello di rafforzarne

il valore del contenuto. In un progetto politico teso a valorizzare il territorio

non si possono trascurare alcuni aspetti fortemente caratterizzanti le comuni-

tà territoriali, quali le attività musicali e bandistiche da esse espresse. Queste

231

attività, infatti, oltre a rappresentare l’identità e la specificità dei luoghi e della

popolazione locale, forniscono strumenti di socializzazione e di aggregazione

unici, capaci di cogliere quegli aspetti qualitativi del territorio che spesso sfug-

gono ad altri approcci.

Non vi è evento importante, celebrazione, anniversario civile o religioso

nella vita di ogni città o paese in Italia che non sia ufficializzato dalla banda

musicale e, quando questa non è presente, l’evento non assume le stesse gio-

iose solennità e importanza. Le bande, quindi, segnano la storia delle nostre

città e, di converso, la storia del nostro Paese. Tuttavia, attualmente in Italia le

bande musicali non sono valorizzate né sostenute e continuano a vivere auto-

finanziandosi o grazie alla generosità di coloro che ne apprezzano il valore cul-

turale e sociale.

Infatti il sostegno rivolto a queste realtà da parte della normativa vigente è

inesistente. Il presente disegno di legge intende attribuire il meritato ricono-

scimento alle attività bandistiche. L’articolo 1 prevede, infatti, che la Repubbli-

ca riconosce il valore artistico, sociale, culturale e formativo delle bande musi-

cali, patrimonio ed espressione delle comunità locali, ne promuove lo sviluppo,

salvaguardando ne l’autonomia, e ne favorisce l’apporto originale per il conse-

guimento delle finalità di carattere sociale, civile e culturale individuate dallo

Stato, dalle regioni e dagli enti locali. A tale fine, si prevede che i gruppi ban-

distici costituiti in associazione siano ammessi a particolari misure di promo-

zione e di incentivo. Le bande musicali che intendono candidarsi al godimento

di tali agevolazioni devono ottenere la qualifica di «associazione banda musi-

cale», secondo le modalità di cui all’articolo 2, da parte della Consulta naziona-

le per le bande musicali, istituita dall’articolo 6 del presente disegno di legge,

presieduta dal Ministro per i beni e le attività culturali o da un suo delegato, e

composta da due rappresentanti indicati dalle regioni.

Al fine di incentivare su scala internazionale la conoscenza e gli scambi tra

le culture popolari espresse dalle varie regioni ed entità territoriali locali, l’arti-

colo 7 prevede che il Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con il

232

Ministro degli affari esteri, promuova programmi concernenti scambi di bande

musicali nazionali con analoghe formazioni straniere, in particolare europee.

Per il finanziamento degli interventi di cui al presente disegno di leg-

ge all’articolo 3 è istituito, presso il Ministero per i beni e le attività cultura-

li, un fondo, denominato Fondo per la promozione, il sostegno e la valorizza-

zione delle bande musicali, al quale è annualmente devoluta una percentua-

le, non superiore al 30 per cento, delle vincite non riscosse del gioco del lotto

e delle lotterie nazionali. Tale percentuale è stabilita con decreto del Ministro

dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per i beni e le attività

culturali, da adottare entro il 30 giugno di ogni anno. I contributi concessi al-

le associazioni bande musicali devono comunque intendersi come cumulabili

con analoghe provvidenze concesse da regioni, province e comuni. Sono pre-

viste, inoltre, diverse agevolazioni di natura fiscale, tra cui quelle dirette a favo-

rire le erogazioni liberali in favore delle associazioni bande musicali, da parte

di persone fisiche e di società, nonché l’equiparazione delle associazioni bande

musicali alle associazioni sportive dilettantistiche ai soli fini delle agevolazioni

di cui alla legge 16 dicembre 1991, n. 398.

9.9.2 DIsegno DI legge n. 1144

Disposizioni per il sostegno delle bande musicali

Art. 1. (Princìpi generali)1. La Repubblica riconosce il valore artistico, sociale, culturale e formativo delle

bande musicali, patrimonio ed espressione delle comunità locali, ne promuo-

ve lo sviluppo salvaguardandone l’autonomia e ne favorisce l’apporto originale

per il conseguimento delle finalità di carattere sociale, civile e culturale indivi-

duate dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali.

2. La libertà artistica delle bande musicali è riconosciuta e tutelata ai sensi

dell’articolo 33 della Costituzione.

233

Art. 2. (Associazione banda musicale)1. Ai fini delle agevolazioni e degli incentivi previsti dalla presente legge, la

qualifica di «associazione banda musicale» è attribuita dalla Consulta nazio-

nale di cui all’articolo 6, su richiesta dell’associazione medesima.

2. La Consulta nazionale di cui all’articolo 6, entro tre mesi dalla data della

sua costituzione, determina i requisiti per l’attribuzione della qualifica di asso-

ciazione banda musicale, sulla base dei criteri generali stabiliti al comma 3 del

presente articolo.

3. Ai fini dell’attribuzione della qualifica di associazione banda musicale,

l’associazione deve:

a) avere uno statuto contenente i requisiti previsti dalla legislazione vigente

in materia di associazioni senza fini di lucro;

b) essere costituita da strumentisti a fiato e a percussioni;

c) programmare e attuare la propria attività su base annuale.

4. La qualifica di associazione banda musicale è rinnovata ogni tre anni,

previa verifica dei requisiti stabiliti al comma 3 e con le modalità di cui al com-

ma 1.

Art. 3. (Fondo per la promozione, il sostegno e la valorizzazione delle bande musicali)1. Per gli interventi di cui alla presente legge è istituito presso il Ministero per i

beni e le attività culturali il Fondo per la promozione, il sostegno e la valorizza-

zione delle bande musicali, di seguito denominato «Fondo».

2. I criteri e le modalità di utilizzazione delle risorse del Fondo sono deter-

minati con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, da adottare en-

tro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentite la Confe-

renza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome

di Trento e di Bolzano e la Consulta nazionale di cui all’articolo 6.

3. Con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con

il Ministro per i beni e le attività culturali, da adottare entro il 30 giugno di ogni

anno, è determinata la percentuale, in misura non superiore al 30 per cento,

234

delle vincite non riscosse del gioco del lotto e delle lotterie nazionali, devolu-

ta al Fondo per la copertura degli oneri derivanti dall’attuazione della presente

legge.

4. Con il decreto di cui al comma 2 sono, altresì, individuate le modalità di

determinazione dei contributi annui da destinare alle associazioni bande mu-

sicali assicurando:

a) una quota base da assegnare comunque, previa domanda, a titolo di

concorso alle spese di impianto e di funzionamento;

b) una quota aggiuntiva da assegnare alle formazioni musicali che si

sottopongono almeno ogni quattro anni al giudizio tecnico di una

giuria nell’ambito di concorsi, giornate di classificazione e campionati,

organizzati dalle associazioni bande musicali o dalle federazioni delle

medesime associazioni e riconosciuti dalla Consulta nazionale di

cui all’articolo 6, ottenendo esito pari o superiore al 60 per cento del

punteggio massimo, secondo le modalità stabilite dal regolamento di

attuazione di cui all’articolo 6, comma 3.

5. I contributi concessi alle associazioni bande musicali di cui all’articolo 2

sono cumulabili con contributi eventualmente concessi al medesimo titolo da

regioni, province e comuni.

Art. 4. (Agevolazioni fiscali a sostegno dell’attività delle bande musicali)1. Le associazioni bande musicali e le federazioni delle medesime associazioni

sono equiparate, ai fini delle agevolazioni tributarie e nei rapporti con il diret-

tore, gli insegnanti e i collaboratori di sezione e delle scuole delle bande, alle

associazioni sportive dilettantistiche di cui alla legge 16 dicembre 1991, n. 398.

2. All’articolo 10, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui

al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e succes-

sive modificazioni, relativo agli oneri deducibili, è aggiunta, in fine, la seguente

lettera:

235

«l-quinquies) le erogazioni liberali in denaro, fino all’importo di 2.000 eu-

ro, a favore delle associazioni bande musicali o delle federazioni delle medesi-

me associazioni».

3. All’articolo 100, comma 2, del citato testo unico delle imposte sui reddi-

ti, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, e successi-

ve modificazioni, relativo agli oneri di utilità sociale, è aggiunta, in fine, la se-

guente lettera:

«o-ter) le erogazioni liberali, per un ammontare complessivo non superiore

a 5.000 euro, ovvero sino a un importo massimo pari al 5 per cento del reddito

d’impresa dichiarato, a favore delle associazioni bande musicali o delle federa-

zioni delle medesime associazioni».

4. Le indennità di trasferta e i premi corrisposti ai componenti delle asso-

ciazioni bande musicali non costituiscono redditi imponibili ai fini dell’impo-

sta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF). È in ogni caso escluso l’obbligo di

contribuzione all’Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori

dello spettacolo e dello sport professionistico (ENPALS) a carico dei medesimi

soggetti.

5. Gli atti costitutivi e gli statuti delle associazioni bande musicali e delle

federazioni delle medesime associazioni, nonché gli atti connessi allo svolgi-

mento delle loro attività, sono esenti dall’imposta di bollo e dall’imposta di re-

gistro.

6. Le donazioni e le attribuzioni di eredità o di legato alle associazioni ban-

de musicali o alle federazioni delle medesime associazioni sono esenti da ogni

imposta a carico dei medesimi soggetti.

7. Sui contributi corrisposti alle associazioni bande musicali o alle federa-

zioni delle medesime associazioni dagli enti pubblici non si applica la ritenuta

d’acconto di cui all’articolo 28, secondo comma, del decreto del Presidente del-

la Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni.

8. I proventi derivanti da attività commerciali effettuate dalle associazio-

ni bande musicali o dalle federazioni delle medesime associazioni non co-

236

stituiscono reddito imponibile ai fini dell’imposta sul valore aggiunto (IVA),

dell’imposta sul reddito delle società (IRES) e dell’imposta regionale sulle at-

tività produttive (IRAP).

9. Per l’acquisto degli strumenti musicali, dei relativi accessori e dell’at-

trezzatura funzionale per l’attività e per il funzionamento delle bande musicali,

delle associazioni bande musicali e delle federazioni delle medesime associa-

zioni, si applica l’IVA con aliquota del 4 per cento.

Art. 5. (Cofinanziamento di iniziative regionali di valorizzazione e di formazione professionale)

1. Una percentuale non superiore al 40 per cento del Fondo è destinata al co-

finanziamento di iniziative per la valorizzazione e la promozione delle attività

concertistiche delle associazioni bande musicali nonché per la formazione e il

perfezionamento professionali delle figure impegnate nelle attività bandistiche

attivate dalle regioni.

2. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, da adottare en-

tro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, di concerto con

il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e sentita la Conferen-

za permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di

Trento e di Bolzano, sono individuati i criteri e le modalità di accesso delle re-

gioni al cofinanziamento di cui al comma 1.

Art. 6. (Consulta nazionale per le bande musicali)1. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro tre

mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Mini-

stro per i beni e le attività culturali, è istituita la Consulta nazionale per le bande

musicali, di seguito denominata «Consulta», presieduta dal Ministro per i beni

e le attività culturali o da un suo delegato, e composta da due rappresentanti

indicati dalle regioni.

237

2. La Consulta, che si avvale del personale, dei mezzi e dei servizi messi a

disposizione dal Ministero per i beni e le attività culturali, ha i seguenti com-

piti:

a) riconoscere la qualifica di associazione banda musicale ai sensi di quanto

stabilito dall’articolo 2;

b) provvedere al censimento e alla tenuta di un’anagrafe delle bande

musicali e alla diffusione della conoscenza delle attività da esse svolte;

c) promuovere ricerche e studi sulle bande musicali in Italia e all’estero;

d) fornire ogni utile elemento per la promozione e lo sviluppo della cultura

bandistica;

e) fornire e incentivare la produzione di musica originale per banda da parte

di autori italiani;

f ) patrocinare progetti sperimentali elaborati dalle bande musicali,

dalle associazioni bande musicali e dalle federazioni delle medesime

associazioni legalmente riconosciute ai sensi dell’articolo 2, anche in

collaborazione con gli enti locali;

g) promuovere e sostenere, anche con la collaborazione delle regioni e

delle associazioni bande musicali o delle federazioni delle medesime

associazioni legalmente riconosciute ai sensi dell’articolo 2, iniziative di

formazione e di aggiornamento per gli addetti del settore;

h) stabilire i criteri e le modalità per la ripartizione annua del Fondo;

i) predisporre lo schema di regolamento per l’attuazione della presente

legge, avvalendosi anche dell’opera di commissioni tecnico-artistiche

appositamente attivate, formate da un esperto indicato da ognuna

delle associazioni bande musicali o dalle federazioni delle medesime

associazioni legalmente riconosciute ai sensi dell’articolo 2. Lo schema

di regolamento è predisposto dalla Consulta entro due mesi dalla data

della sua istituzione ai sensi del comma 1 ed è trasmesso al Ministro per i

beni e le attività culturali;

238

l) certificare mediante apposite norme le modalità di appartenenza delle

associazioni bande musicali alle varie categorie.

3. Lo schema di regolamento di cui al comma 2, lettera i), è approvato, entro

un mese dalla data della sua trasmissione, dal Ministro per i beni e le attività

culturali con proprio decreto.

Art. 7. (Promozione degli scambi nazionali e internazionali tra gruppi bandistici)1. Il Ministro per i beni e le attività culturali, sentito il Ministro degli affari este-

ri, promuove programmi concernenti scambi di bande musicali con analoghe

formazioni straniere, in particolare europee, al fine di incentivare la conoscen-

za reciproca della cultura musicale bandistica.

2. Una percentuale non superiore al 10 per cento delle risorse del Fondo è

destinata alla promozione e al sostegno di iniziative pubbliche e di attività cul-

turali di scambio che coinvolgono gruppi bandistici provenienti da diverse aree

o regioni italiane nonché da Stati esteri.

9.10 In materia di diciture in lingua tedesca sui pacchetti di sigarette

Disegno di legge n. 2010 d’iniziativa dei senatori PETERLINI, PINZGER, THA-

LER AUSSERHOFER, CUFFARO, STRADIOTTO, MOLINARI, VERONESI,

SANTINI, IZZO e ZANOLETTI, comunicato alla presidenza il 10 febbraio 2010

Modifica al decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 184, in materia di diciture, in

lingua tedesca, sui pacchetti di sigarette

239

9.10.1 IllustrazIone

Il decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 184, recante attuazione della diretti-

va 200l/37/CE in materia di lavorazione, presentazione e vendita dei prodotti

del tabacco, stabilisce che è obbligatorio riportare sui pacchetti dei prodotti da

fumo i tenori di catrame, nicotina e monossido di carbonio; l’avvertenza gene-

rale «il fumo uccide» oppure «il fumo danneggia gravemente te e chi ti sta in-

torno»; un’avvertenza supplementare («il fumo provoca cancro mortale ai pol-

moni», «fumare in gravidanza fa male al bambino», per citarne solo un paio); il

numero del lotto o altro segno equivalente che permetta l’individuazione della

provenienza e della data di produzione del prodotto; il bollo fiscale.

È risaputo che le sigarette sono soggette a diversi tipi di trattamento del ta-

bacco e addizionate con additivi vari che dovrebbero essere riportati tutti in

etichetta al fine di informare adeguatamente i consumatori, vista l’alta nocività

del prodotto.

Secondo un’indagine condotta dall’Università di Berlino gli additivi utiliz-

zati nelle sigarette sarebbero oltre 600. La presenza o meno di queste sostanze,

la loro diversa concentrazione e combinazione influenzano il gusto, la gradevo-

lezza, l’umidità e il grado di combustione del tabacco. Studi inoltre dimostrano

che gli additivi sarebbero in parte determinanti nel processo di dipendenza da

fumo e ne aumenterebbero la tossicità. Scopo dell’etichetta, quindi, è tutelare

ed informare l’acquirente in modo corretto e il più possibile trasparente.

Sovente, però, si riscontra una certa inadeguatezza delle direttive comuni-

tarie sulle disposizioni applicative a livello nazionale in tema di etichettatura,

che non sempre tutelano ed informano il cittadino consumatore come dovreb-

bero.

L’articolo 6 del decreto legislativo n. 184 del 2003, al comma 6 stabilisce co-

me deve essere stampato il testo delle avvertenze e delle indicazioni relative

ai tenori delle sostanze. Tuttavia non è prevista la stampa in lingua tedesca.

Pertanto, data la fondamentale importanza dell’etichettatura a tutela dei con-

240

sumatori e dato che nella provincia di Bolzano vige il bilinguismo, ossia il rico-

noscimento della lingua tedesca quale seconda lingua ufficiale che si estende

dalla segnaletica, alla toponomastica, alla comunicazione, all’insegnamento, e

così via, sarebbe opportuno, per i prodotti del tabacco destinati alla commer-

cializzazione nella provincia di Bolzano, prevederne la stampa anche in lingua

tedesca.

9.10.2 DIsegno DI legge n. 2010

In materia di diciture in lingua tedesca sui pacchetti di sigarette

Art. 1.1. All’articolo 6, comma 6, del decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 184, dopo

la lettera d) è aggiunta la seguente:

«d-bis) per i prodotti destinati alla commercializzazione nella provincia di

Bolzano, anche nella lingua tedesca».

9.11 Il test di lingua tedesca per il permesso di soggiorno in Alto Adige

Disegno di legge n. 2553 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla

presidenza il 9 febbraio 2011

Disposizioni in materia di inserimento del test di conoscenza della lingua te-

desca per ottenere il permesso di soggiorno nella regione Trentino-Alto Adige

241

9.11.1 IllustrazIone

Il decreto del Ministro dell’interno 4 giugno 2010 (pubblicato nella Gazzetta Uf-ficiale 11 giugno 2010, n. 134) prevede che gli immigrati che presentano richiesta

di permesso di soggiorno, entro due anni da detta richiesta, dovranno portare

il proprio livello di apprendimento della lingua italiana al livello A2 del CEFR

(Common european framework of reference for languages – Quadro comune europeo

di riferimento per la conoscenza delle lingue) – e superare il relativo esame.

Poiché nella regione Trentino-Alto Adige vige il bilinguismo, il presente di-

segno di legge mira a stabilire che il rilascio del permesso di soggiorno CE per

soggiornanti di lungo periodo nella regione Trentino-Alto Adige sia subordi-

nato al superamento, da parte del richiedente, di un test di conoscenza della

lingua italiana o della lingua tedesca, le cui modalità di svolgimento saranno

determinate con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro

dell’istruzione, dell’università e della ricerca.

9.11.2 DIsegno DI legge n. 2553

Il test di lingua tedesca per il permesso di soggiorno in Alto Adige

Art. 1.1. All’articolo 9 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina

dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero di cui al decreto le-

gislativo 25 luglio 1998, n. 286, dopo il comma 2-bis è inserito il seguente:

«2-ter. Il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo

periodo nella regione Trentino-Alto Adige è subordinato al superamento, da

parte del richiedente, di un test di conoscenza della lingua italiana o della lingua

tedesca, le cui modalità di svolgimento sono determinate con decreto del Mi-

nistro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e

della ricerca.»

242

Art. 2.1. Il decreto del Ministro dell’interno di cui all’articolo 9, comma 2-ter, del te-

sto unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, come introdotto

dall’articolo 1 della presente legge, è adottato entro due mesi dalla data di en-

trata in vigore della legge medesima.

9.12 Disposizioni in materia di attività sportiva dilettantistica

Disegno di legge n. 2574 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla

presidenza il 23 febbraio 2011

Disposizioni in materia di attività sportiva dilettantistica

9.12.1 IllustrazIone

Le associazioni sportive dilettantistiche si avvalgono spesso della legge 16 di-

cembre 1991, n. 398, per poter fruire di un sistema forfetario ed agevolativo di

calcolo delle imposte dirette ed indirette.

Uno dei requisiti, per avvalersene, è quello di non aver superato nell’anno il

tetto di 250.000 euro di proventi.

Dato che molte associazioni sportive dilettantistiche hanno assunto im-

portanza e dimensioni notevoli, il presente disegno di legge prevede una mo-

difica all’importo di cui all’articolo 1, comma 1, della legge n. 398 del 1991, da

ultimo modificato ai sensi dell’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289,

che tratta appunto di attività sportiva dilettantistica. Tale modifica consiste

nell’aumentare il limite, da 250.000 euro a 300.000 euro del tetto annuo im-

posto.

243

9.12.2 DIsegno DI legge n. 2574

Disposizioni in materia di attività sportiva dilettantistica

Art. 1.1. A decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore della

presente legge, l’importo fissato dall’articolo 1, comma 1, della legge 16 dicem-

bre 1991, n. 398, come modificato ai sensi dell’articolo 90, comma 2, della legge

27 dicembre 2002, n. 289, è elevato a 300.000 euro.

9.13 Lotteria immobiliare a sostegno della domanda di abitazione

Disegno di legge n. 2777 d’iniziativa dei senatori PETERLINI, GUSTAVINO,

GALPERTI, DI GIACOMO, RUSCONI, SBARBATI, RUTELLI, BAIO, SANTINI,

ZANOLETTI, MOLINARI, FANTETTI, POLI BORTONE, D’ALIA e STRADIOT-

TO, comunicato alla presidenza il 14 giugno 2011

Delega al Governo in materia di introduzione di forme di lotteria immobiliare

per il finanziamento di interventi a sostegno della domanda di abitazione

9.13.1 IllustrazIone

È nota a tutti la propensione degli italiani per la casa di proprietà, considerata

come un bene essenziale, per sé e per i propri figli, a cui dedicare i sacrifici e i

risparmi di un’intera vita di lavoro.

Anche grazie a questa propensione il comparto dell’edilizia è stato spesso

uno dei settori trainanti dell’economia del nostro Paese, contribuendo in misu-

ra significativa al suo sviluppo economico.

244

In questi ultimi anni, però, questa spinta propulsiva sembra essersi blocca-

ta, se non esaurita; anche il mercato immobiliare italiano presenta un quadro

critico, evidenziando preoccupanti segnali di stagnazione e contrazione: tende

ad aumentare l’invenduto nell’ambito delle nuove costruzioni e si registra una

sensibile riduzione delle compravendite, con conseguente significativo abbas-

samento dei valori degli immobili.

E tutto ciò accade mentre non è venuta meno la domanda insoddisfatta di

abitazioni residenziali a costi sostenibili da parte dei cittadini appartenenti alle

fasce sociali «deboli», a partire soprattutto dalle coppie giovani, cui la preca-

rietà della situazione lavorativa impedisce spesso l’accesso al credito.

Si assiste pertanto ad un apparente paradosso: mentre aumenta il numero

complessivo di unità immobiliari sfitte o invendute, cresce parallelamente la

domanda di abitazioni a costi socialmente sostenibili, sia per quanto riguarda

gli affitti, sia per quanto concerne l’edilizia convenzionata.

A questa domanda dovrebbero rispondere, auspicabilmente in coordina-

mento con il più volte annunciato «Piano casa» del Governo, i piani e gli in-

terventi di housing sociale promossi dalle aziende regionali per l’edilizia resi-

denziale pubblica e più complessivamente dal sistema delle amministrazioni

locali (dalle regioni ai comuni). Purtroppo, però, accade frequentemente che

programmi di piani di intervento debbano fare i conti con le limitate risorse fi-

nanziarie a disposizione. La ristrettezza di risorse è per altro accentuata anche

dalle difficoltà che lo Stato ha incontrato nella dismissione del patrimonio de-

cisa con le cartolarizzazioni.

Nella seduta dell’8 febbraio 2011 delle Commissioni 1ª e 5ª riunite in occa-

sione della conversione in legge del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225,

recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi ur-

genti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie, il Gover-

no, nella persona del sottosegretario Alberto Giorgetti, ha accolto come rac-

comandazione un ordine del giorno (G/2518/1 e 5) a prima firma del senato-

re Peterlini e sottoscritto dai senatori Pinzger, Thaler e Fosson, che impegna

245

l’esecutivo «a prevedere la «lotteria degli immobili» anche in Italia, a definirne

le misure per l’applicazione e la regolamentazione, per dare così slancio al set-

tore immobiliare».

Il presente disegno di legge si propone come contributo per l’attuazione

di quell’ordine del giorno, nell’ottica di facilitare il superamento della difficile

situazione dell’edilizia residenziale pubblica e del mercato immobiliare che è

stata sopra descritta.

Il comma 1 dell’articolo 1 delega il Governo a sperimentare l’introduzione di

forme di lotteria immobiliare, individuando i meccanismi volti ad incentivare

i piani di edilizia sociale e convenzionata nell’ambito delle politiche di housing

sociale, oltre che a facilitare l’attuazione dei piani di cartolarizzazione del patri-

monio pubblico. Inoltre, sull’esempio di quanto accade in altri Paesi, il disegno

di legge prevede di coinvolgere in questa sperimentazione i privati cittadini che

vogliono alienare unità immobiliari di loro proprietà: in questo caso si preve-

dono parametri e vincoli particolarmente rigorosi a tutela sia del cittadino che

cede l’immobile, che delle persone fisiche che acquistano i biglietti elettronici.

Il comma 2 dell’articolo 1 individua i contenuti prioritari dei decreti attuativi

della delega con particolare riguardo per:

• le caratteristiche della gara pubblica per l’affidamento ad una o più

società della gestione delle lotterie previste nel comma 1;

• i requisiti tecnici fondamentali della piattaforma di gestione delle

lotterie, che dovrebbe prevedere forme di stretta integrazione tra

telefonia mobile e internet;

Il comma 3 dell’articolo 1 stabilisce che i decreti attuati impegnino lo Stato, le

regioni, le province, i comuni e gli enti pubblici a impegnare i proventi derivanti

dalle lotterie ad investimenti in conto capitale, per impedire la loro allocazione

su partite di spesa corrente. Per quanto riguarda il bilancio dello Stato, è previ-

sto l’obbligo di riservare una quota dei proventi al finanziamento di progetti di

innovazione e ricerca in ambito universitario.

246

L’articolo 2 dispone che sia costituito presso il Ministero dell’economia e

delle finanze un Osservatorio per la valutazione e il monitoraggio della traspa-

renza delle procedure e dei soggetti, composto da rappresentanti del Ministe-

ro dell’economia e delle finanze e del Ministero dell’ambiente e della tutela del

territorio e del mare, da esponenti dell’antimafia e dell’antiriciclaggio, nonché

in sede tecnica da rappresentanti dell’Associazione nazionale costruttori edi-

li (ANCE) e degli ordini degli architetti e degli ingegneri. È del tutto evidente

l’importanza di tale organismo, in considerazione del fatto che l’oggetto del di-

segno di legge può sollevare legittime preoccupazioni in relazione alle norma-

tive vigenti in materia di governo del territorio e di eco-sostenibilità ambienta-

le, nonché di trasparenza finanziaria ed antiriciclaggio.

9.13.2 DIsegno DI legge n. 2777

Introduzione di forme di lotteria immobiliare per il finanziamento di interventi

a sostegno della domanda di abitazione

Art. 1. (Delega al Governo per l’introduzione di forme di lotteria immobiliare)1. Allo scopo di sperimentare l’introduzione nel nostro Paese di forme di lot-

teria immobiliare, finalizzate al reperimento di risorse destinate a finanziare

interventi a sostegno della domanda di abitazione, oltre che a stimolare la ri-

presa del mercato immobiliare privato, il Governo è delegato ad adottare, entro

dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti

legislativi, attenendosi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) prevedere la possibilità per gli enti pubblici e le amministrazioni locali

che realizzano piani di edilizia sociale o convenzionata di ampliare

fino al 15 per cento l’entità dei piani stessi, fatta salva la compatibilità

complessiva degli interventi con i più rigorosi standard di tutela

territoriale ed ambientale, destinando la quota aggiuntiva di unità

247

abitative così realizzate a montepremi di lotterie da effettuare in ambito

locale;

b) prevedere la possibilità per lo Stato, le regioni, le province, i comuni e

gli enti pubblici, nell’ambito di piani di cartolarizzazione del patrimonio

immobiliare pubblico, di destinare una quota, in percentuale determinata

di volta in volta dal Ministero dell’economia e delle finanze, sentite anche

le agenzie del demanio e del territorio, del patrimonio individuato per la

dismissione a montepremi di lotterie immobiliari;

c) prevedere la possibilità per i privati cittadini di alienare immobili di loro

proprietà con la formula di lotterie immobiliari da svolgere dentro un

quadro definito di regole e vincoli;

d) prevedere per ogni lotteria un arco temporale rigorosamente definito e un

limite minimo della raccolta, non inferiore al 60 per cento del valore di

mercato dell’immobile o degli immobili che costituiscono il montepremi

e un limite massimo non superiore al 40 per cento del medesimo valore

di mercato, al netto dell’eventuale prelievo fiscale in capo al cedente

l’immobile o gli immobili;

e) prevedere che, nel caso in cui il limite massimo di cui alla lettera d) sia

raggiunto prima della data prevista per la chiusura della lotteria, la stessa

si chiuda ante termine;

f ) prevedere, nel caso di mancato raggiungimento del limite minimo di

cui alla lettera d), la facoltà per il proprietario dell’immobile di ritirare lo

stesso dalla lotteria; in tal caso il titolare del biglietto elettronico potrà

far valere il suo titolo di gioco in altra lotteria gestita dal medesimo

concessionario;

g) prevedere i parametri per la determinazione del costo massimo per

l’acquisto dei biglietti elettronici ed eventualmente il numero massimo

di biglietti acquistabili da una singola persona fisica per concorrere

all’estrazione del montepremi, previa attivazione di rigorose procedure

248

di controllo atte a garantire la maggiore età di chi intende acquistare il

biglietto elettronico.

2. I decreti legislativi di cui al comma 1 devono prevedere altresì:

a) la concessione, tramite gara ad evidenza pubblica, della gestione delle

lotterie previste dal comma l ad una o più società, che deve farsi carico

di tutti gli oneri di organizzazione, distribuzione, pubblicità a fronte di

un aggio riconosciuto, su determinazione del Ministero dell’economia e

delle finanze, in misura percentuale sulla raccolta;

b) i requisiti di competenza tecnica, solidità economico-finanziaria e

trasparenza degli assetti proprietari necessari per la partecipazione alla

gara;

c) i criteri e i parametri per la stesura della convenzione che deve essere

sottoscritta dalle società concessionarie della gestione del servizio,

specificando che tutte le procedure di gioco devono essere gestite on line, sulla base di una piattaforma informatica omologata dalla Società

generale di informatica (SOGEI) secondo un modello che preveda una

forte integrazione tra telefonia mobile e internet, quale canale d’accesso

obbligato per l’acquisto dei titoli di gioco in formato elettronico.

3. I decreti legislativi di cui al comma 1 devono prevedere infine per lo Sta-

to, le regioni, le province, i comuni e gli enti pubblici l’obbligo di utilizzare i

proventi derivanti dalle lotterie di cui al comma 1, lettere a) e b), per spese in

conto capitale; per quanto riguarda lo Stato, il Ministero dell’economia e delle

finanze, con propria determinazione, stabilisce annualmente una percentuale

dei suddetti proventi non inferiore al 10 per cento da destinare al finanziamen-

to di progetti di innovazione e ricerca in ambito universitario.

4. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 1 sono trasmessi alle

Commissioni parlamentari competenti per materia le quali esprimono il loro

parere entro un mese dalla data della trasmissione.

249

Art. 2. (Creazione di un Osservatorio per la valutazione e il monitoraggio della trasparenza delle procedure e dei soggetti)

1. Al fine di garantire che tutte le operazioni e le procedure necessarie all’im-

plementazione delle lotterie di cui alla presente legge siano condotte nel pieno

rispetto della normativa vigente in materia di governo del territorio e di eco-

sostenibilità ambientale, nonché di trasparenza finanziaria ed antiriciclaggio,

è costituito presso il Ministro dell’economia e delle finanze un Osservatorio

per la valutazione e il monitoraggio della trasparenza delle procedure e dei sog-

getti, composto da rappresentanti del Ministro dell’economia e delle finanze e

del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, da esponenti

dell’antimafia e dell’antiriciclaggio, nonché in sede tecnica da rappresentanti

dell’Associazione nazionale costruttori edili (ANCE) e degli ordini degli archi-

tetti e degli ingegneri.

2. I decreti legislativi di cui all’articolo 1, comma 1, determinano, altresì, in

maniera puntuale le competenze e il numero dei membri dell’Osservatorio di

cui al comma 1 del presente articolo, prevedono le relative modalità di convo-

cazione e di organizzazione dei lavori, nonché finanziano l’attività dello stesso

Osservatorio con fondi attinti dai proventi delle lotterie immobiliari.

9.14 Dislocazioni territoriali e ordinamento degli uffici giudiziari nel Trentino-Alto Adige

Disegno di legge n. 3115 d’iniziativa dei senatori PETERLINI, THALER AUS-

SERHOFER e PINZGER, comunicato alla presidenza il 25 Gennaio 2012

Modifiche alla legge 14 settembre 2011, n. 148, in materia di disciplina delle

dislocazioni territoriali e dell’ordinamento degli uffici giudiziari nel territorio

della regione Trentino-Alto Adige

250

9.14.1 IllustrazIone

Il presente disegno di legge, che riprende un disegno di legge approvato in data

18 gennaio 2012 dal Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige all’unanimi-

tà, è teso ad apportare un correttivo alla manovra economico-finanziaria dello

scorso agosto, ed in particolare all’articolo 1 della legge 14 settembre 2001, n.

148, di conversione del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, che prevede la de-

lega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli

uffici giudiziari.

Si tratta di una norma incostituzionale in relazione al Trentino-Alto Adi-

ge, in quanto si prevede un intervento in materia di giustizia nel territorio della

regione a prescindere dalle procedure, invece necessarie, disposte dall’artico-

lo 107 del relativo Statuto di autonomia, di cui al decreto del Presidente della

Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, e che nel dettaglio porterebbe alla soppres-

sione di 22 uffici territoriali del giudice di pace, 12 in Trentino e 10 in Alto Adi-

ge, mantenendo solo quelli dei capoluoghi di provincia, nonché delle 8 sezio-

ni distaccate di tribunale dislocate nelle valli della regione. Lo Statuto peraltro

demanda al solo presidente della regione il potere di nomina e di revoca dei

giudici di pace (articolo 94), aspetto su cui pure interverrebbe la delega richia-

mata.

Va sottolineato che il potere di modificare gli assetti degli uffici giudizia-

ri, sia della magistratura ordinaria sia di quella onoraria, conferito al Governo

con la delega, urta, per ciò che concerne il territorio della regione Trentino-Alto

Adige, non solo con norme costituzionali, ma anche con il principio della lea-

le collaborazione fra organi e istituzioni dello Stato, costantemente affermato

dalla Corte costituzionale. Ne consegue che l’unico strumento legislativo co-

stituzionalmente idoneo a disciplinare la materia in oggetto è quello previsto

dall’articolo 107 dello Statuto speciale, ovvero lo specifico decreto legislativo

adottato dal Governo, sentito il parere obbligatorio della commissione pari-

tetica prevista dalla citata norma. Alla grave lesione all’autonomia del Tren-

251

tino-Alto Adige si affiancano i disagi che nei fatti vivrebbero i cittadini-utenti

della giustizia. Basti pensare che con la soppressione del tribunale di Merano,

ad esempio, un cittadino di Resia dovrebbe affrontare un viaggio di oltre 100

chilometri per arrivare fino a Bolzano; lo stesso vale per il Trentino, dove da al-

cune località il capoluogo si raggiunge in circa due ore e mezzo di tragitto con i

mezzi pubblici.

I proponenti, sulla scia e a sostegno del voto unanime espresso dall’assem-

blea del Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige, sottopongono quindi

all’attenzione del Parlamento il presente disegno di legge, teso ad introdurre

nella legge n. 148 del 2011 la previsione che, nella riorganizzazione degli uf-

fici giudiziari nel Trentino-Alto Adige/Südtirol, vengano adottate le procedu-

re previste dall’articolo 107 dello Statuto, con l’auspicio che venga esaminato e

approvato al più presto in via definitiva.

9.14.2 DIsegno DI legge n. 3115

Disciplina delle dislocazioni territoriali e dell’ordinamento degli uffici giudi-

ziari nel territorio della regione Trentino-Alto Adige

Art. 1.1. Dopo il comma 5 dell’articolo 1 della legge 14 settembre 2011, n. 148, è inse-

rito il seguente:

«5-bis. A salvaguardia delle competenze attribuite dallo Statuto speciale

per il Trentino-Alto Adige, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31

agosto 1972, n. 670, e dalle relative norme di attuazione in materia di organiz-

zazione degli uffici giudiziari, ai fini dell’esercizio della delega di cui al comma 2

del presente articolo, le disposizioni in materia di distribuzione degli uffici giu-

diziari nel territorio della regione Trentino-Alto Adige/Südtirol sono adottate

con la procedura prevista dall’articolo 107 dello Statuto speciale».

252

10 Impegno per la pace

10.1 Fermare lo sfruttamento dei popoli indigeni e tribali

Disegno di legge n. 46 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla

presidenza il 29 aprile 2008

Ratifica ed esecuzione della Convenzione dell’Organizzazione internazionale

del lavoro n. 169 su popoli indigeni e tribali, fatta a Ginevra il 27 giugno 1989

10.1.1 IllustrazIone

Trecento milioni di persone, tra il 4 e il 5 per cento della popolazione mondiale,

appartengono a popoli, nazioni, tribù o comunità che vivono spesso in stret-

to contatto con la natura in qualità di antichi abitatori delle loro terre. Spesso

questi popoli sono vittime di sfruttamento, repressione, discriminazione e sot-

trazione delle basi della loro esistenza da parte degli Stati sul cui territorio essi

abitano. Il 75 per cento di tutte le materie prime non rinnovabili si trova sulle

terre dei popoli indigeni e gli Stati dell’occidente industrializzato partecipano

a quasi tutti i megaprogetti di sfruttamento relativi alle terre degli indigeni. La

Convenzione n. 169, fatta a Ginevra il 27 giugno 1989 nell’ambito dell’Orga-

nizzazione internazionale del lavoro (OIL), organizzazione di settore delle Na-

zioni Unite (di cui fanno parte, accanto ai Governi, anche rappresentanti degli

imprenditori e dei lavoratori) è finora l’accordo internazionale più completo ri-

guardante la tutela dei popoli indigeni. Tale Convenzione è stata sottoscritta

soltanto da diciannove dei centosettantanove Stati membri dell’OIL. Le poten-

ze industriali dell’Occidente, tra cui anche l’Italia e la Germania, hanno dichia-

rato che la Convenzione non li riguarda, in quanto sul loro territorio non vivono

popoli indigeni. Attraverso progetti di cooperazione e di sviluppo con gli Stati

253

del sud, in realtà, gli Stati europei hanno una grandissima influenza sul desti-

no dei popoli indigeni. Ciò vale soprattutto nell’epoca della «globalizzazione».

Se gli Stati dell’occidente ratificassero questa Convenzione, sarebbero co-

stretti a conformare alle sue norme la propria politica estera. Per questo motivo

i rappresentanti dei popoli indigeni chiedono nuovamente che anche l’Italia, e

con essa gli altri Stati d’Europa, aderiscano al gruppo degli Stati sottoscrittori.

La Convenzione OIL 169 è una rielaborazione della Convenzione OIL 107 del

1957, anch’essa dedicata alla tutela dei popoli indigeni, ratificata da ventiset-

te Stati. La sua revisione si deve alle critiche degli interessati. Secondo queste

critiche, lo scopo della Convenzione OIL 107, cioè l’integrazione dei popoli in-

digeni nelle società maggioritarie, dovrebbe cedere il passo ad un concetto di

ampia autodeterminazione. All’elaborazione della Convenzione OIL 169 han-

no collaborato, seppure indirettamente, i rappresentanti di numerosi popoli

indigeni. Tuttavia uno dei suoi limiti più gravi sta nella necessità di approva-

zione e ratifica della Convenzione medesima da parte dei Parlamenti nazionali

dei singoli Stati.

La Convenzione OIL 169 mette per iscritto i diritti fondamentali dei popoli

indigeni e tribali e impone agli Stati sottoscrittori degli obblighi di ampia por-

tata. In sette articoli si occupano specificamente delle questioni della proprietà

fondiaria e dello sfruttamento delle materie prime; di questioni, cioè, d’impor-

tanza vitale per molti popoli indigeni. L’accordo riconosce, specificamente, agli

articoli 2 e 3, la piena garanzia dei diritti umani e delle libertà fondamentali

senza discriminazioni; all’articolo 4 il diritto all’identità culturale e il diritto al-

le strutture e alle tradizioni comunitarie; all’articolo 6 il diritto alla partecipa-

zione dei popoli interessati alle decisioni che li riguardano e il diritto alla de-

finizione del proprio futuro; agli articoli 7, 8 e 9 l’uguaglianza di fronte all’am-

ministrazione e alla giustizia; agli articoli 13 e 19 il diritto alla terra e alle risor-

se; all’articolo 20 il diritto all’occupazione ed a condizioni di lavoro adeguate;

all’articolo 21 il diritto alla formazione.

254

Fino ad oggi la Convenzione è stata ratificata dai Parlamenti dei seguenti

diciannove Stati:

Norvegia (il 19 giugno 1990); Messico (il 5 settembre 1990); Colombia (il 7

agosto 1991); Bolivia (l’11 dicembre 1991); Costa Rica (il 2 aprile 1993); Para-

guay (il 10 agosto 1993); Perù (il 2 febbraio 1994); Honduras (il 28 marzo 1995);

Danimarca (il 22 febbraio 1996); Guatemala (il 5 giugno 1996); Paesi Bassi (il

2 febbraio 1998); Fiji (il 3 marzo 1998); Ecuador (il 15 maggio 1998); Argentina

(il 3 luglio 2000); Repubblica Bolivariana del Venezuela (il 22 maggio 2002);

Dominica (il 25 giugno 2002); Brasile (il 25 luglio 2002); Spagna (il 15 febbraio

2007); Nepal (il 14 settembre 2007). Negli Stati sottoscrittori si possono con-

statare alcuni sviluppi positivi: lo Stato boliviano, per esempio, con una mo-

difica costituzionale ha affermato la propria natura multietnica e multicultu-

rale e ha riconosciuto il diritto dei popoli indigeni alla partecipazione alle de-

cisioni che li riguardano. Il Messico ha disposto che nei processi penali siano

prese in considerazione le consuetudini dei popoli indigeni. Peraltro, l’OIL ha

preso atto di gravi abusi nei confronti dei lavoratori indigeni del Messico e ha

fatto pressioni per un miglioramento della situazione. Risultati assolutamente

positivi si registrano invece in Norvegia, ove è stato istituito il Parlamento del

popolo indigeno dei Saami, che partecipa a tutte le decisioni riguardanti tale

popolo. Al Parlamento dei Saami è trasmesso anche, per un giudizio, il rap-

porto norvegese sullo stato dell’applicazione della Convenzione. I Paesi Bassi

hanno ratificato la Convenzione nel 1998. Questo Stato ha già dichiarato che si

atterrà ai criteri stabiliti dalla Convenzione per quanto riguarda i voli militari a

bassa quota sul Labrador in Canada ed il commercio del legname tropicale. Nel

Parlamento austriaco, invece, i tentativi di adesione sono regolarmente falli-

ti. Sebbene solo pochi Stati abbiano finora ratificato la Convenzione OIL 169,

l’influsso di questo strumento si estende su di una più vasta cerchia di Stati. Ad

esempio, la Duma russa ha chiesto all’OIL una consulenza per una possibile

nuova legislazione riguardante i popoli indigeni di quel Paese. A non tacere del

Cile, il cui Presidente ha fissato un termine per rivedere le politiche esistenti a

255

tutela dei popoli indigeni. Con molta probabilità la Convenzione sarà ratificata

in breve tempo. Da parte indigena, la Convenzione è stata generalmente accol-

ta con favore. Sebbene le siano imputate anche parziali tendenze assimilatorie,

la Convenzione è vista con favore, riscontrando in essa, in generale, eviden-

ti progressi rispetto alla versione precedente. Questo trattato chiarisce che in

nessun caso un trattamento particolare dei popoli indigeni in ambiti specifi-

ci deve condurre ad una sorta di apartheid. Gli appartenenti ai popoli indigeni

hanno sì il diritto alla propria cultura, ma non possono in nessun caso essere

costretti alla tradizionale vita tribale. L’articolo 8 garantisce loro la possibilità

di scegliere il proprio modo di vita. Sotto molti aspetti la Convenzione OIL 169

è troppo generica e lascia molti spazi all’interpretazione. Ciò dipende anche dal

fatto che il trattato deve valere per tutti i popoli indigeni, le cui condizioni ef-

fettive sono anche molto diverse. Agli Stati che non vogliano applicare con se-

rietà la Convenzione si presentano pertanto molte scappatoie per eluderne le

disposizioni.

Un altro punto critico è il fatto che ai popoli indigeni è sì riconosciuto il di-

ritto ad essere consultati nei processi decisionali che li riguardano, ma non

quello ad una competenza di codecisione attiva o ad un diritto di veto. Le istan-

ze statali non indigene hanno sempre l’ultima parola; gli indigeni, cioè, dipen-

dono ancora dalla buona volontà dei governi. Anche se il trattato sottolinea che

le decisioni vanno prese «di comune accordo», si configura qui una posizione

giuridica piuttosto debole.

Nel 1993 anche la Germania ha rifiutato la ratifica della Convenzione OIL

169, affermando che sul territorio tedesco non vivono popoli indigeni e soste-

nendo che l’oggetto del trattato non la riguarda. Identica posizione ha assunto

l’Italia nel Consiglio europeo del giugno 2000. In Germania, in risposta a suc-

cessive interrogazioni, tale brusco rifiuto è stato in parte mitigato: secondo tale

posizione, per il diritto internazionale non si potrebbe escludere un’adesione

della Germania alla Convenzione, ma ciò «non avrebbe senso». Inoltre, negli

ultimi anni vi sono state delle campagne realizzate da parte di organizzazioni

256

non governative e la visita della Commissione ONU per i diritti umani. Da que-

sta prospettiva anche la Spagna si sta avvicinando all’adesione.

In realtà l’adesione di numerosi Stati, soprattutto se economicamente po-

tenti, sarebbe invece importante. Ciò risulta chiaramente considerando la du-

plice intenzione del trattato, destinato in primo luogo a regolare i rapporti tra

Stati e popoli indigeni; ma anche a contribuire alla creazione di un elenco di

norme di validità universale. Un altro argomento a favore dell’adesione di Sta-

ti senza popoli indigeni è la possibilità di un controllo reciproco tra Stati. Se-

condo l’articolo 22 dello Statuto OIL, infatti, gli Stati aderenti alle Convenzioni

possono elevare reclami all’OIL. Sebbene non sia usuale, questo tipo di san-

zione permette comunque di avvalersene per presentare petizioni ed esercitare

pressioni di natura politica. Inoltre le organizzazioni non governative avrebbe-

ro la possibilità di pubblicare con regolarità rapporti sullo stato di applicazione

della Convenzione.

Poiché la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni fi-

nora non è stata approvata, anche se l’elaborato è stato recentemente discusso

dalla Sottocommissione per l’invio dello stesso al Consiglio ONU per i diritti

umani, la Convenzione OIL 169 è tuttora il più ampio e completo trattato in-

ternazionale a garanzia dei diritti dei popoli indigeni. Si tratta di un importante

strumento per assicurare la sopravvivenza dei popoli indigeni di questa terra.

Resta da sperare che anche altri Stati europei la ratifichino, seguendo l’esempio

norvegese, danese ed olandese.

257

10.1.2 DIsegno DI legge n. 46

Fermare lo sfruttamento dei popoli indigeni e tribali

Art. 1.1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare la Convenzione

dell’Organizzazione internazionale del lavoro n. 169 su popoli indigeni e triba-

li, fatta a Ginevra il 27 giugno 1989.

Art. 2.1. Piena ed intera esecuzione è data alla Convenzione di cui all’articolo 1 a de-

correre dalla data della sua entrata in vigore, in conformità a quanto disposto

dall’articolo 38 della Convenzione stessa.

Art. 3.1. All’onere derivante dall’attuazione della presente legge, valutato in 50.000

euro per l’anno 2008, si provvede mediante corrispondente riduzione dello

stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008 – 2010, nell’ambito del

fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell’eco-

nomia e delle finanze per l’anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando l’ac-

cantonamento relativo al medesimo Ministero.

2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con

propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Art. 4.1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pub-

blicazione nella Gazzetta Ufficiale.

258

10.2 A tutela delle lingue storiche regionali o minoritarie d’Europa

Disegno di legge n. 49 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla

presidenza il 29 aprile 2008

Ratifica ed esecuzione della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie,

fatta a Strasburgo il 5 novembre 1992

10.2.1 IllustrazIone

La Carta europea delle lingue regionali o minoritarie è stata redatta in seno al

Consiglio d’Europa e aperta alla firma a Strasburgo il 5 novembre 1992. Fino ad

oggi risulta firmata da 33 Stati membri del Consiglio d’Europa, con lo scopo di

tutelare le lingue storiche regionali o minoritarie d’Europa che rischiano pur-

troppo di scomparire.

Il trattato, in vigore dal 1º marzo 1998 dopo il raggiungimento delle cinque

ratifiche previste, risulta ratificato solo da 23 Stati, mentre i restanti non hanno

ancora avviato o esaurito le procedure allo scopo previste.

Il diritto ad usare una lingua regionale e minoritaria nella vita, sia pubbli-

ca che privata, rappresenta un diritto inalienabile dell’uomo, previsto nel Pat-

to internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato e aperto alla firma a

New York il 19 dicembre 1966, e reso esecutivo ai sensi della legge 25 ottobre

1977, n. 881, e in conformità anche alla Convenzione per la salvaguardia dei di-

ritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,

resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848.

L’Italia ha firmato il trattato sei anni fa, esattamente il 27 giugno 2000, ma

non ha ancora approvato lo strumento di ratifica.

Il presente disegno di legge ripropone il testo già approvato in prima lettu-

ra dalla Camera dei deputati (atto Camera n. 1723, atto Senato n. 2545 – XIV

259

legislatura) e ripresentato nella XV legislatura (atto camera 201 e atto senato

1029).

La Carta chiarisce quali debbano essere gli obiettivi e i princìpi ai quali gli

Stati firmatari sono tenuti ad adeguare la propria politica legislativa. Prima di

tutto, riconoscere le lingue regionali come espressione di ricchezza culturale;

rispettare l’area geografica di ciascuna lingua regionale o minoritaria; agevo-

lare e incoraggiare l’uso, orale e scritto, delle lingue in questione, sia nella vita

privata che in quella pubblica; prevedere forme e mezzi per l’insegnamento e lo

studio di queste lingue, nonché promuovere studi e ricerche nelle università o

presso istituti equivalenti.

Il recepimento della Carta è una delle condizioni richieste dalle istituzioni

europee, segnata mente dal Consiglio d’Europa, per l’adesione di nuovi Pae-

si al contesto comunitario, ed è quindi opportuno che un Paese fondatore del

Consiglio d’Europa, quale è l’Italia, provveda sollecitamente all’esecuzione di

questo importante strumento internazionale; va dato atto peraltro che l’Italia,

ancora prima di sottoscrivere la Carta nel 2000, ne aveva già dato di fatto un’at-

tivazione sostanziale, approvando la legge 15 dicembre 1999, n. 482.

Vista l’importanza del disegno di legge, ormai non più procrastinabile, au-

spichiamo un rapido svolgimento e la conclusione dell’iter parlamentare della

presente iniziativa legislativa di ratifica.

10.2.2 DIsegno DI legge n. 49

A tutela delle lingue storiche regionali o minoritarie d’Europa

Art. 1.1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare la Carta europea delle

lingue regionali o minoritarie, fatta a Strasburgo il 5 novembre 1992, di seguito

denominata «Carta».

260

Art. 2.1. Piena ed intera esecuzione è data alla Carta, a decorrere dalla data della sua

entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dall’articolo 19 della Carta

stessa.

Art. 3.1. Ai fini di quanto previsto dall’articolo 2, paragrafo 2, e dall’articolo 3, para-

grafo 1, della Carta, e a decorrere dalla data di cui all’articolo 2 della presente

legge, le disposizioni della Carta stessa si applicano su tutto il territorio nazio-

nale alle lingue regionali o minoritarie di cui all’articolo 2 della legge 15 dicem-

bre 1999, n. 482, nei termini indicati nell’allegato A alla presente legge.

Art. 4.1. Ai fini di quanto previsto dall’articolo 4 della Carta, sono comunque fatte sal-

ve eventuali disposizioni nazionali vigenti più favorevoli.

Art. 5.1. In attuazione dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera a), della Carta, in occasione

del prossimo rinnovo del contratto di servizio tra il Ministero delle comuni-

cazioni e la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo sono

introdotte misure dirette ad assicurare, anche attraverso l’utilizzo di frequen-

ze dedicate, la diffusione delle lingue friulana e sarda, senza nuovi o maggiori

oneri a carico del bilancio dello Stato.

Art. 6.1. È istituita, senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica, la Consul-

ta Stato-minoranze linguistiche, di seguito denominata «Consulta», composta

dal presidente o dall’assessore delegato di ciascuna regione o provincia in cui

risiede una minoranza linguistica riconosciuta ai sensi della legge 15 dicem-

bre 1999, n. 482, da due rappresentanti dell’Associazione nazionale dei comuni

261

italiani e da due rappresentanti dell’Unione delle province d’Italia, scelti fra i

rappresentanti degli enti che abbiano nel proprio territorio una minoranza lin-

guistica, nonché da sei rappresentanti delle amministrazioni statali designati

dal Presidente del Consiglio dei ministri, fra gli appartenenti alle amministra-

zioni maggiormente interessate, e da un rappresentante per ogni associazione

comparativamente più rappresentativa di almeno due minoranze linguistiche

riconosciute.

2. La Consulta è periodicamente convocata, almeno due volte l’anno, dal

presidente della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e

le province autonome di Trento e di Bolzano, che la presiede.

3. La Consulta esercita la vigilanza in ambito nazionale sul rispetto dei

princìpi della Carta e della legislazione nazionale in materia. La Consulta pro-

pone al Governo il rapporto di cui all’articolo 15 della Carta e trasmette al Go-

verno apposite relazioni annuali da inviare al Parlamento e ai consigli regionali

delle zone di appartenenza delle singole minoranze interessate. La Consulta

esprime pareri e formula proposte al Governo e alle regioni in materia di tutela

delle minoranze linguistiche.

Art. 7.1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pub-

blicazione nella Gazzetta Ufficiale.

Allegato A (articolo 3)

DISPOSIZIONI DELLA CARTA EUROPEA

DELLE LINGUE REGIONALI O MINORITARIE

262

Articolo 8, paragrafo 1:a(i): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slo-

vene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il

ladino, l’occitano e il sardo;

b(i): lingue delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige e slovene;

b(ii): lingua delle popolazioni parlanti il francese;

b(iii): lingua delle popolazioni parlanti il ladino;

b(iv): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche (con esclu-

sione di quelle dell’Alto Adige), greche, croate e di quelle parlanti il franco-pro-

venzale, il friulano, l’occitano e il sardo;

c(i): lingue delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige e slovene;

c(ii): lingua delle popolazioni parlanti il francese;

c(iii): lingua delle popolazioni parlanti il ladino;

c(iv): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche (con esclu-

sione di quelle dell’Alto Adige), greche, croate e di quelle parlanti il franco-pro-

venzale, il friulano, l’occitano e il sardo;

d(i): lingue delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige e slovene;

d(ii): lingua delle popolazioni parlanti il francese;

d(iii): lingua delle popolazioni parlanti il ladino;

f(ii): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slo-

vene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il

ladino, l’occitano e il sardo;

f(iii): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slo-

vene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il

ladino, l’occitano e il sardo;

g: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene

e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladi-

no, l’occitano e il sardo;

263

h: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene

e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladi-

no, l’occitano e il sardo;

i: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene

e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladi-

no, l’occitano e il sardo.

Articolo 9, paragrafo 1:a(i): lingua delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige;

a(ii): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slo-

vene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il

ladino, l’occitano e il sardo;

a(iii): lingue delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige e slovene;

a(iv): lingua delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige;

b(i): lingue delle popolazioni germaniche e ladine dell’Alto Adige;

b(ii): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slo-

vene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il

ladino, l’occitano e il sardo;

b(iii): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slo-

vene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il

ladino, l’occitano e il sardo;

c(i): lingue delle popolazioni germaniche e ladine dell’Alto Adige;

c(ii): lingua delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige;

c(iii): lingue delle popolazioni germaniche e ladine dell’Alto Adige;

d: lingue delle popolazioni germaniche e ladine dell’Alto Adige.

Articolo 9, paragrafo 2:c: lingue delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige, slovene e di quelle

parlanti il francese e il ladino.

264

Articolo 10, paragrafo 1:a(i): lingua delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige;

a(ii): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slo-

vene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il

ladino, l’occitano e il sardo;

a(iii): lingue delle popolazioni slovene e di quelle parlanti il ladino;

a(iv): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche (con esclu-

sione di quelle dell’Alto Adige), greche, croate e di quelle parlanti il franco-pro-

venzale, il friulano, l’occitano e il sardo;

b: lingue delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige, slovene e di quelle

parlanti il francese e il ladino;

c: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene

e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladi-

no, l’occitano e il sardo.

Articolo 10, paragrafo 2:a: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene

e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladi-

no, l’occitano e il sardo;

b: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene

e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladi-

no, l’occitano e il sardo;

c: lingue delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige e di quelle parlanti

il francese;

d: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene

e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladi-

no, l’occitano e il sardo;

e: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene

e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladi-

no, l’occitano e il sardo;

265

f: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e

croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino,

l’occitano e il sardo;

g: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene

e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladi-

no, l’occitano e il sardo.

Articolo 10, paragrafo 3:a: lingue delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige e di quelle parlanti

il francese;

b: lingue delle popolazioni slovene e di quelle parlanti il ladino.

Articolo 10, paragrafo 4:a: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene

e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladi-

no, l’occitano e il sardo;

b: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene

e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladi-

no, l’occitano e il sardo;

c: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene

e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladi-

no, l’occitano e il sardo.

Articolo 10, paragrafo 5:lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e cro-

ate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino,

l’occitano e il sardo.

266

Articolo 11, paragrafo 1:a(i): lingue delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige, slovene e di quel-

le parlanti il francese e il ladino;

a(iii): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche (con esclu-

sione di quelle dell’Alto Adige), greche e di quelle parlanti il friulano e il sardo;

b(ii): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slo-

vene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il

ladino, l’occitano e il sardo;

c(ii): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slo-

vene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il

ladino, l’occitano e il sardo;

d: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene

e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladi-

no, l’occitano e il sardo;

e(i): lingue delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige e slovene e di

quelle parlanti il francese e il ladino;

e(ii): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche (con esclu-

sione di quelle dell’Alto Adige), greche, croate e di quelle parlanti il francese, il

franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo.

Articolo 11, paragrafo 2:lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e cro-

ate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino,

l’occitano e il sardo.

Articolo 11, paragrafo 3:lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e cro-

ate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino,

l’occitano e il sardo.

267

Articolo 12, paragrafo 1:a: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene

e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladi-

no, l’occitano e il sardo;

b: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene

e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladi-

no, l’occitano e il sardo;

c: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene

e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladi-

no, l’occitano e il sardo;

d: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene

e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladi-

no, l’occitano e il sardo;

e: lingua delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige;

f: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e

croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino,

l’occitano e il sardo;

g: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene

e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladi-

no, l’occitano e il sardo;

h: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene

e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladi-

no, l’occitano e il sardo.

Articolo 12, paragrafo 3:lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e cro-

ate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino,

l’occitano e il sardo.

268

Articolo 13, paragrafo 1:c: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e

croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino,

l’occitano e il sardo.

Articolo 13, paragrafo 2:a: lingua delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige;

b: lingua delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige;

c: lingua delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige;

d: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene

e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladi-

no, l’occitano e il sardo;

e: lingua delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige.

Articolo 14:a: lingue delle popolazioni slovene e croate;

b: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene

e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladi-

no, l’occitano e il sardo.

10.3 Rimozione dei residuati bellici esplosivi

Disegno di legge n. 632 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla

presidenza il 22 maggio 2008

Ratifica ed esecuzione del Protocollo del 28 novembre 2003 relativo ai residua-

ti bellici esplosivi (Protocollo V) allegato alla Convenzione del 10 ottobre 1980

sulla proibizione o la limitazione dell’uso di alcune armi convenzionali che

possono essere considerate dannose o aventi effetti indiscriminati

269

10.3.1 IllustrazIone

Il presente disegno di legge autorizza la ratifica del Protocollo del 28 novembre

2003 relativo ai residuati bellici esplosivi (Protocollo V) allegato alla Conven-

zione del 10 ottobre 1980 sulla proibizione o la limitazione dell’uso di alcune

armi convenzionali che possono essere considerate dannose o aventi effetti in-

discriminati.

Il Protocollo relativo ai residuati bellici esplosivi (Protocollo V), adottato

il 28 novembre 2003 in occasione della riunione degli Stati partecipanti alla

Convenzione sulle armi convenzionali, prende lo spunto dalla constatazione

che dopo la cessazione dei conflitti armati i residuati bellici esplosivi causano

gravi problemi umanitari.

Nel 2000 il Comitato internazionale della Croce rossa (CICR) ha

proposto di lanciare, nel quadro della Convenzione sulle armi con-

venzionali, un processo di negoziazione inteso a disciplinare, in mo-

do giuridicamente vincolante, il problema dei residuati bellici esplosivi.

Esso ha segnalato che le munizioni che sono state sparate ma che, contraria-

mente al loro scopo, non sono esplose, rappresentano una minaccia conside-

revole, spesso insidiosa, per le popolazioni civili.

Tali munizioni mettono in pericolo, feriscono o uccidono civili ancora mol-

to tempo dopo la fine di un conflitto armato.

Questi residuati bellici esplosivi rappresentano un enorme ostacolo agli

sforzi di ricostruzione e rendono più difficili la fornitura dell’aiuto umanitario e

la gestione o il riassetto di superfici agricole e forestali.

Trovandosi su territori che sono stati teatro di numerosi conflitti nel passa-

to, essi impediscono il ritorno della popolazione civile che era stata costretta a

fuggire.

La minaccia permanente che grava sulla popolazione civile a causa dell’im-

piego di bombe a grappolo durante il conflitto del Kosovo nel 1999 ha suscitato

numerosi appelli politici a favore di una normativa internazionale in materia.

270

Le informazioni, di vasta diffusione, sulle conseguenze dei proiettili ine-

splosi registrati durante i conflitti in Eritrea ed Etiopia (1998), Serbia e Mon-

tenegro (1999), Afghanistan (2001), Iraq (2003), e infine, Libano, hanno dato

ulteriore peso a tali appelli.

Questo nuovo Protocollo, in vigore dal 12 novembre 2006, intende ridurre

il più possibile i pericoli e gli effetti dei residuati bellici esplosivi per le popola-

zioni civili, soprattutto mediante rimedi da adottare dopo i conflitti.

Esso prevede, per gli Stati sul cui territorio si trovano residuati bellici

esplosivi, l’obbligo di bonifica del territorio e, per quelli che hanno impiegato

tali munizioni esplosive, l’obbligo di contribuire alla bonifica fornendo un’as-

sistenza tecnica, finanziaria o in termini di personale. Esso stabilisce inoltre

l’obbligo di registrare e archiviare le informazioni riguardanti le munizioni

esplosive impiegate e di scambiare informazioni allo scopo di facilitare la bo-

nifica. Il Protocollo definisce infine una serie di misure per avvertire le popola-

zioni civili del potenziale di rischio rappresentato dai residuati bellici esplosivi

e prevede un’assistenza e collaborazione a livello internazionale.

Un allegato tecnico precisa i diversi obblighi da rispettare, formulando rac-

comandazioni che non sono giuridicamente vincolanti, e fornisce direttive ge-

nerali sulla fabbricazione, la manipolazione e l’immagazzinamento delle mu-

nizioni esplosive. Il Protocollo V è compatibile con il nostro ordinamento giu-

ridico.

Sia le considerazioni umanitarie, sia l’attuale assenza nel diritto umanitario

internazionale di regole pertinenti, depongono a favore di una ratifica. Nella

scorsa legislatura il Parlamento italiano ha ratificato, con legge 28 aprile 2004,

n. 131, la modifica all’articolo 1 della Convenzione sulla proibizione o limitazio-

ne dell’uso di alcune armi convenzionali che possono essere considerate ec-

cessivamente dannose o aventi effetti indiscriminati (CCW), un atto non esau-

stivo ma un ulteriore e importante passo in avanti dopo l’approvazione della

legge 29 ottobre 1997, n. 374, sulla messa al bando delle mine antipersona. Un

percorso lungo, da fare in comune, che abbia come obiettivo la messa al ban-

271

do, nel mondo, di armi indiscriminate come l’ennesimo mostro bellico cluster bomb.

L’Onu ha raccolto l’appello della Croce rossa internazionale per fermare la

strage di civili provocata dalle bombe a grappolo. Da Ginevra, il sottosegreta-

rio generale delle Nazioni Unite con delega per gli Aiuti umanitari, Jan Ege-

land invoca una moratoria urgente per l’uso delle cluster bombs «fino a quando la

comunità internazionale non avrà adottato effettivamente gli strumenti legali

necessari a far fronte a queste preoccupazioni umanitarie».

Il Protocollo V relativo ai residuati bellici esplosivi

Il Protocollo V si compone di 11 articoli che definiscono regole giuridicamente

vincolanti e di un cosiddetto allegato tecnico che contiene raccomandazioni ri-

guardanti le misure preventive da adottare e le procedure ottimali da applicare.

Le disposizioni giuridicamente vincolanti disciplinano i rimedi da adottare

dopo i conflitti armati allo scopo di ridurre per quanto possibile i rischi ineren-

ti ai residuati bellici esplosivi. Queste misure consistono essenzialmente nella

demarcazione delle zone a rischio e nella bonifica del territorio dai residuati

bellici esplosivi. Esse servono pure a proteggere le popolazioni civili, singoli

civili nonché le missioni e le organizzazioni umanitarie. Il Protocollo concerne

principalmente i futuri residuati bellici esplosivi e invita gli Stati partecipan-

ti a collaborare allo scopo di eliminarli. Il cosiddetto allegato tecnico contiene

raccomandazioni, senza carattere giuridicamente vincolante, sulle misure pre-

ventive da prendere e le procedure ottimali da applicare. Esso si riferisce alla

registrazione, all’archiviazione e alla comunicazione di informazioni, agli av-

vertimenti, alla sensibilizzazione, ai rischi, alla demarcazione e alla sorveglian-

za, come pure alla fabbricazione, alla manipolazione e all’immagazzinamento

di munizioni esplosive.

272

Disposizioni generali e campo d’applicazioneL’articolo 1 contiene prescrizioni generali e definisce il campo d’applicazione

del Protocollo.

L’articolo 2 definisce le munizioni esplosive come munizioni classiche con-

tenenti esplosivi.

L’articolo 3 è relativo alla bonifica, all’eliminazione o alla distruzione dei re-

siduati bellici esplosivi e l’articolo 4 concerne la registrazione, la conservazione

e la comunicazione di informazioni che rappresentano elementi normativi es-

senziali del Protocollo.

Gli Stati contraenti e le Parti coinvolte in un conflitto armato sono tenuti, in

virtù dell’articolo 5, a prendere tutte le precauzioni possibili, sul territorio inte-

ressato che essi controllano, per proteggere la popolazione civile, singoli civili

e beni di carattere civile contro i rischi inerenti ai residuati bellici esplosivi e

agli effetti di tali residuati.

Sono considerate «precauzioni possibili» le precauzioni che sono pratica-

bili o che a livello pratico si possono prendere tenuto conto di tutte le condi-

zioni del momento, segnatamente delle considerazioni di ordine umanitario

e militare. Si tratta degli avvertimenti, delle azioni di sensibilizzazione delle

popolazioni civili ai rischi inerenti ai residuati bellici esplosivi, della demar-

cazione, dell’installazione di recinzioni e della sorveglianza del territorio in cui

si trovano tali residuati. In virtù dell’articolo 6, le Parti devono proteggere per

quanto possibile le organizzazioni e missioni umanitarie contro gli effetti dei

residuati bellici esplosivi. La disposizione si riferisce alle organizzazioni e mis-

sioni umanitarie che operano o opereranno, con il consenso dello Stato parte-

cipante, nella zona che quest’ultimo controlla. Su richiesta di un’organizzazio-

ne o di una missione umanitaria, la Parte interessata deve fornire, sempre nel-

la misura del possibile, informazioni sull’ubicazione di tutti i residuati bellici

esplosivi.

L’articolo 7 concerne i residuati bellici esplosivi preesistenti, ossia le muni-

zioni inesplose e le munizioni esplosive abbandonate che esistevano all’entrata

273

in vigore del Protocollo per lo Stato partecipante, e conferisce a ciascuno Stato

partecipante il diritto di sollecitare presso altri Stati contraenti, Stati che non

sono legati dal Protocollo V, come pure istituzioni e organizzazioni internazio-

nali competenti, e di ricevere da queste un’assistenza per risolvere i problemi

posti da tali residuati bellici esplosivi. Ciascuno Stato partecipante che sia in

grado di farlo fornisce un’assistenza per risolvere i problemi causati dai resi-

duati belli ci esplosivi preesistenti, secondo i bisogni e le possibilità.

L’articolo 8 invita gli Stati partecipanti che sono in grado di farlo a fornire

un’assistenza per la demarcazione e la bonifica, l’eliminazione o la distruzione

dei residuati bellici esplosivi. Esso contiene inoltre prescrizioni sulle cure da

prestare alle vittime dei residuati bellici esplosivi e l’integrazione di tali perso-

ne nonché sul loro reinserimento sociale ed economico. La disposizione lascia

a ciascuno Stato il compito di giudicare, in una situazione concreta, se dispone

di personale e di mezzi tecnici e finanziari necessari per fornire un’assisten-

za. Una simile assistenza può essere fornita mediante organismi delle Nazioni

Unite, il CICR, Società nazionali della Croce rossa e della Mezzaluna rossa e la

loro Federazione internazionale, ma anche mediante organizzazioni non go-

vernative o a livello bilaterale.

Inoltre, ciascuno Stato partecipante ha il diritto di prendere parte a uno

scambio più ampio possibile di equipaggiamenti, materiale e informazioni

scientifiche e tecniche.

Sono tuttavia eccettuate le tecnologie legate all’armamento.

Gli Stati partecipanti si impegnano inoltre a fornire alle banche dati

dell’azione di lotta contro le mine informazioni concernenti i diversi mezzi e

tecniche di rimozione dei residuati bellici esplosivi nonché elenchi di esperti,

organismi specializzati o centri nazionali per la bonifica. Le domande d’assi-

stenza possono essere presentate mediante il sistema delle Nazioni Unite, il

quale può pure prestare il suo sostegno per valutare la situazione e raccoman-

dare l’assistenza che è opportuno fornire. Nel caso delle domande indirizzate

274

alle Nazioni Unite, il Segretario generale dell’Organizzazione può procedere a

una valutazione dei bisogni.

L’articolo 9 e la terza parte dell’allegato tecnico ad esso relativo, concerno-

no misure preventive generali e invitano gli Stati partecipanti a prendere simili

misure allo scopo di ridurre per quanto possibile l’apparizione di residuati bel-

lici esplosivi.

Secondo l’articolo 10, è possibile convocare una conferenza degli Stati par-

tecipanti per dibattere qualsiasi questione concernente il funzionamento del

Protocollo. È tuttavia necessaria l’approvazione di una maggioranza di alme-

no 18 Stati partecipanti. La conferenza degli Stati partecipanti è autorizzata a

verificare lo stato e il funzionamento del Protocollo, a esaminare le questioni

concernenti l’applicazione nazionale del Protocollo, compresa la presentazione

o l’aggiornamento di rapporti nazionali annuali, e a preparare le conferenze di

revisione.

In virtù dell’articolo 11, ciascuno Stato partecipante è tenuto a chiedere al-

le proprie forze armate e alle autorità o servizi interessati di stabilire istruzioni

e modalità operative appropriate e di vigilare affinché il loro personale riceva

una formazione conforme alle disposizioni pertinenti del Protocollo. Gli Stati

partecipanti si impegnano inoltre a consultarsi e a cooperare tra di loro a livello

bilaterale, per il tramite del Segretario generale delle Nazioni Unite, o seguen-

do altre procedure internazionali appropriate, allo scopo di risolvere i proble-

mi che possano emergere a proposito dell’interpretazione e dell’applicazione

del Protocollo. Conformemente all’articolo 5, paragrafi 3 e 4, della Convenzio-

ne sulle armi convenzionali del 10 ottobre 1980 (ratificata ai sensi della legge 14

dicembre 1994, n. 715), ogni nuovo Protocollo entra in vigore sei mesi dopo la

data in cui venti Stati avranno notificato il loro consenso ad essere legati da tale

Protocollo. Per ogni Stato che notifica il suo consenso quando venti Stati l’han-

no già fatto, il Protocollo entra in vigore sei mesi dopo la data della sua notifica.

275

10.3.2 DIsegno DI legge n. 632

Rimozione dei residuati bellici esplosivi

Art. 1.1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare il Protocollo del 28

novembre 2003 relativo ai residuati bellici esplosivi (Protocollo V) allegato alla

Convenzione del 10 ottobre 1980 sulla proibizione o la limitazione dell’uso di

alcune armi convenzionali che possono essere considerate dannose o avere ef-

fetti indiscriminati, ratificata ai sensi della legge 14 dicembre 1994, n.715.

Art. 2.1. Piena ed intera esecuzione è data al Protocollo di cui all’articolo 1 a decorrere

dalla data della sua entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dall’arti-

colo 8 della Convenzione del 10 ottobre del 1980.

Art. 3.1. All’onere derivante dall’attuazione della presente legge, valutato in 50.000

euro per l’anno 2008, si provvede mediante corrispondente riduzione dello

stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008 – 2010, nell’ambito

del «Fondo speciale» di parte corrente dello stato di previsione del Ministero

dell’economia e delle finanze per l’anno 2008, allo scopo parzialmente utiliz-

zando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero.

2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con

propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Art. 4.1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pub-

blicazione nella Gazzetta Ufficiale.

276

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