Barchiesi, Roma e l'Eneide: Impero e cittadinanza, in Camerotto e Pontani, Classici Contro vol. 1

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N. 1 Collana diretta da Alberto Camerotto e Filippomaria Pontani COMITATO SCIENTIFICO Gerard Boter (Vrije Universiteit Amsterdam) Carmine Catenacci (Università G. D’Annunzio, Chieti-Pescara) Joy Connolly (New York University) Carlo Franco (Venezia) Laurent Pernot (Université de Strasbourg) Luigi Spina (Università Federico II, Napoli) CLASSICI CONTRO

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N. 1

Collana diretta da Alberto Camerotto e Filippomaria Pontani

COMITATO SCIENTIFICO

Gerard Boter (Vrije Universiteit Amsterdam)Carmine Catenacci (Università G. D’Annunzio, Chieti-Pescara)Joy Connolly (New York University)Carlo Franco (Venezia)Laurent Pernot (Université de Strasbourg)Luigi Spina (Università Federico II, Napoli)

CLASSICI CONTRO

CLASSICI CONTRO

a cura diAlberto Camerotto e Filippomaria Pontani

MIMESISClassici Contro

Volume pubblicato con il contributo dell’Università Ca’ Foscari VeneziaDipartimento di Studi Umanistici – Dipartimento di Filosofi a e Beni Culturali

© 2012 – MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine)Collana: Classici Contro, n. 1Isbn: 9788857512051www.mimesisedizioni. it / www.mimesisbookshop.comVia Risorgimento, 33 – 20099 Sesto San Giovanni (MI)Telefono +39 0224861657 / 0224416383Fax: +39 02 89403935E-mail: [email protected]

INDICE

PREMESSA di Alberto Camerotto e Filippomaria Pontani p. 7

STRANIERI E CITTADINI

BARBARI D’OLTREMAREdi Andrea Rodighiero (Università di Verona) p. 15

CHI ERAVAMO, CHI SAREMO: SUL BUON USO DI MEMORIA E OBLIOdi Luigi Spina (Università Federico II, Napoli) p. 29

L’ENEIDE, I TROIANI E I LATINI:PARADIGMI MITOLOGICI DELL’IDENTITÀ CULTURALEdi Maurizio Bettini (Università di Siena) p. 37

ROMA E L’ENEIDE: IMPERO E CITTADINANZAdi Alessandro Barchiesi (Università di Arezzo) p. 43

LA CITTÀ

INTELLETTUALI E BENE COMUNE NELLA POLISdi Salvatore Settis (Scuola Normale Superiore, Pisa) p. 61

IL RITORNO DELL’AGORÀ.UNA RIFLESSIONE SULLA DEMOCRAZIA ANTICA E MODERNAdi Dino Piovan (Liceo Corradini, Thiene) p. 67

LO SPIRITO DELLA LITURGIAdi Filippomaria Pontani (Università Ca’ Foscari, Venezia) p. 81

SOCRATE TRA PUBBLICO E PRIVATOdi Andrea Capra (Università Statale di Milano) p. 97

LE DONNE O DELL’UTOPIA IMPOSSIBILEdi Marcella Farioli (Liceo Wiligelmo, Modena) p. 107

PAROLE ALTRE PER LA CITTÀdi Alberto Camerotto (Università Ca’ Foscari, Venezia) p. 123

DEL POTERE (NONVIOLENTO) CHE SPESSO SI IGNORA DI AVEREdi Andrea Cozzo (Università di Palermo) p. 137

IL POTERE

GIUDICI EPICI E GIUSTIZIA EROICAdi Anna Santoni (Scuola Normale Superiore, Pisa) p. 155

IL PENSIERO PROFONDO E LA CATASTROFE TRAGICAdi Davide Susanetti (Università di Padova) p. 169

LE DEFORMITÀ ELETTIVE: IL TIRANNO E L’EROEdi Carmine Catenacci(Università G. D’Annunzio, Chieti-Pescara) p. 177

IL RE ‘SALVATORE’?di Carlo Franco (Liceo Franchetti, Mestre-Venezia) p. 187

IL LINGUAGGIO DELLA CORTEdi Gianpiero Rosati (Università di Udine) p. 201

ALESSANDRO BARCHIESI

ROMA E L’ENEIDE: IMPERO E CITTADINANZA

L’Eneide è uno dei pochi testi antichi1 che abbiano sempre condi-viso (con qualche oscillazione, ma senza mai tramontare del tutto) la vicenda di quello che possiamo chiamare Classicismo Europeo. Dal-la nostra posizione storica possiamo cercare di riassumere la vicenda in due parole. L’emergere dei grandi stati-nazione dell’Europa mo-derna, in forme politiche diverse tra loro, ma con crescenti ambizioni egemoniche e imperiali, ha alimentato un’opera di reinvenzione del passato greco-romano, pre-cristiano, e ha dato stabilità, soprattutto attraverso le istituzioni scolastiche e la diffusione dell’insegnamento, a una concezione del passato greco-romano come ‘classicità’. La for-ma stabile di questa concezione, che solo di recente ha cominciato a entrare in crisi, sembra essere questa: la cultura europea ha il privile-gio di avere ‘due’ tipi di passato, uno religioso, nazionale, sviluppato attraverso il Medioevo e legato a un’identità statale o etnica; e uno ‘classico’, potenzialmente più ampio, alternativo all’eredità cristiana e etnica: questo secondo tipo di passato ha funzioni di autorità e di bellezza che vengono sentite come generalizzabili, e che consentono

1 Ho riutilizzato per il nostro incontro teatrale alcune parti della mia introdu-zione all’Eneide pubblicata col titolo Le sofferenze dell’impero nel volu-me BUR con traduzione e note di Riccardo Scarcia (Radici BUR, Milano 2006, pp. L-LII). Il ragionamento che sviluppo ha dei punti di contatto con quello di F. Dupont, Rome, La ville sans origines, Paris 2011 (che non conosce il mio lavoro del 2006) e con il bel libro di J. Reed, Virgil’s Gaze. Nation and poetry in the Aeneid, Princeton 2007. Parte di questa introduzione si basa sul lavoro preparatorio che ho compiuto per un saggio sull’Eneide dal titolo Vergilian Geopoetics. Ringrazio gli amici organiz-zatori di Classici Contro che hanno realizzato il mio sogno di una serie di scudi intitolati ai grandi libri dell’antichità (conservo gelosamente quello intestato all’Eneide, ma nella messa in scena teatrale avevo scelto di indos-sare come scudo il mio testo antico preferito, le Storie di Erodoto).

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una sorta di ‘traffi co’ fra le élites e le istituzioni formative del mondo europeo. Questa seconda identità è abbastanza importante da poter essere esportata attraverso i vettori del colonialismo e dell’imperiali-smo. Navigatori al largo di Capo Horn e funzionari dell’Impero bri-tannico in India si tengono strette le loro copie di Platone e di Orazio. Gesuiti avventurosi insegnano a rappresentare drammi senecani agli indios del Paraguay. La nostra idea di classico raggiunge il suo apice con la scuola di massa e l’imperialismo coloniale che caratterizzano l’era del dominio europeo sul pianeta, fra la guerra dei Sette Anni e le guerre mondiali della prima metà del novecento.

È naturale che questa idea e questa funzione del classico sia entra-ta in crisi con il crollo dell’egemonia europea, ma non è questa la mia tematica. Il punto che mi interessa è la particolare posizione assunta dall’Eneide di Virgilio in questo quadro interpretativo. Vorrei affer-mare che l’Eneide ha avuto notevole infl usso e importanza perché le veniva attribuita una funzione mediatrice, quasi di cerniera fra gli ambiti che ho delineato. A livello religioso: un poema ‘politeista’ a cui venivano però assegnati valori e contenuti in qualche modo com-patibili con la cultura cristiana. A livello di identità collettiva: un po-ema ‘fra repubblica e impero’, in cui si possono leggere un messag-gio di identità nazionale (la ‘romanità’ viene immaginata come più nazionale e statale rispetto alla frammentazione politica del mondo greco) come pure un’evidente ambizione imperiale. Sul piano etico: una storia che insegna a stabilire un nesso fra individuo e comunità, proprio quando la crescita quasi minacciosa dell’idea di ‘individuo moderno’ rischia di far saltare vecchi equilibri. Queste funzioni stra-tegiche dell’Eneide nell’immaginario europeo emergono molto bene dalle imitazioni virgiliane, anche in contesti assai diversi fra loro2. Le epiche ispaniche e lusitane del Nuovo Mondo, precedute da un testo straordinario come la Siphylis di Fracastoro, trascrivono il fa-talismo dell’Eneide e le sue ambiguità patetiche nel quadro di un nuovo scontro tra civiltà e barbarie3. L’epica coloniale di Camões dimostra che la forza del ‘viaggio’ come tema virgiliano non è in-

2 Due studi fondamentali sulla ricezione sono oggi D. Quint, Epic and empi-re, Princeton 1993, e C. Baswell, Vergil in Medieval England, Cambridge 1998.

3 Cfr. P. Hardie in M. Gale (ed.), Latin epic and didactic poetry, Swansea 2004, pp. 223-234.

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feriore a quella dell’Odissea. Tasso scopre nell’Eneide il confl itto tra un localismo barbarico, pagano e multiforme, e un globalismo cristiano che minaccia di schiacciare non solo la diversità aliena, ma anche la diversità del progetto umanistico in Europa4. Milton si ispira all’Eneide proprio quando la sua concezione ‘satanica’ di un indivi-dualismo irrefrenabile, paleo-capitalista, minaccia di mettere in crisi la tradizione dell’epos virgiliano e della sua ricezione cristiana5. Per-fi no molto più tardi, la tormentata genesi dell’opera Les Troyens di Berlioz ci parla della rilevanza di Virgilio per la brutale avventura del colonialismo francese del XIX secolo.

Da questa vicenda di appropriazioni successive, l’Eneide esce fuo-ri come un’opera quintessenziale della cultura europea: ma questa idea è anche una trappola senza via d’uscita per le interpretazioni contemporanee. Se il poema viene letto come una storia che per-mette di pensare le origini di Roma, e il signifi cato storico di Roma viene identifi cato con una profezia delle nazioni-stato europee, si avrà un’interpretazione ripetitiva, che ci rimanda circolarmente alle domande con cui noi stessi la implementiamo. Si corre il rischio qui di dimenticare il processo in nome dei risultati: l’identità romana di cui si parla nell’Eneide a noi suona familiare, perché è canonizzata nella concezione europea e scolastica del classico, ma ai tempi di Virgilio si tratta di una dinamica ancora sperimentale, non di una sta-bile conquista. È molto meglio leggere l’Eneide come un contributo a questo processo, piuttosto che come un rispecchiamento di una già consolidata ‘identità romana del nuovo impero’.

L’assimilazione tra la Roma augustea e gli imperialismi europei nei secoli XVII-XIX è un nesso per noi diffi cile da dimenticare. In tutta Europa, e poi nelle Americhe e in altre parti remote del mondo, il linguaggio fi gurativo del classicismo augusteo si trasforma nel lin-guaggio ‘freddo’ e civilizzato del potere coloniale.

4 S. Zatti, L’uniforme cristiano e il multiforme pagano. Saggio sulla ‘Ge-rusalemme Liberata’, Milano 1983; J. Tylus, Tasso’s trees: epic and local culture, in M. Beissinger et al. (edd.), Epic traditions in the contemporary world, Berkeley-Los Angeles 1999, pp. 108-130.

5 D. Selden, The Satanic cogito, «Literary Imagination» 8, 2006, 345-386.

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Ma cosa signifi ca dire che i Romani avevano un impero e un progetto coloniale? Nicola Terrenato ha spiegato giustamente6 che le differenze importano più delle somiglianze. Le tensioni culturali dell’Impero romano non correvano soprattutto fra colonizzatori e co-lonizzati, ma fra interessi locali e interessi globali. Da una parte una conservazione di piccoli sistemi di potere e sfruttamento economico negli ambiti locali, dall’altra la crescente tentazione delle élites di co-stituire reti più ampie di successo e di potere economico. Il controllo romano si esercita per lo più come arbitraggio su queste tensioni: i fattori che mancano, rispetto agli imperi moderni, sono la possibilità di uno sfruttamento intensivo delle risorse, e la sovraimposizione di gruppi etnici o addirittura ‘razziali’ su una popolazione locale che venga totalmente asservita o emarginata. Il ruolo delle élites locali rimane molto forte, il ruolo dei fattori etnici negli incontri coloniali è assai ridotto rispetto all’esperienza moderna. Signifi cativamente, Terrenato riconosce che l’unica area in cui la comparazione rileva similarità fra antico e moderno è la questione delle identità culturali: anche l’impero romano, come gli imperi coloniali moderni, fa cre-scere questioni di identità culturale, e l’identità può divenire merce di scambio, terreno di conquista, miraggio di acculturazione. L’imita-zione, una pratica culturale che sta al centro sia dell’imperialismo che della produzione letteraria, assume un’importanza decisiva ed è og-getto di continui dibattiti. Il ruolo dell’urbanesimo e dell’humanitas nel processo di romanizzazione è un esempio signifi cativo, e qualche storico ha persino suggerito che la lettura dell’Eneide – un testo in cui civilizzazione, città, e identità culturale sono temi importanti – abbia giocato un ruolo in queste trasformazioni7. Questo approccio è forse troppo orientato sui fattori culturali, ma anche se accettiamo un modello interpretativo che tenga conto maggiore di fattori materiali e di dinamiche sociali, l’Eneide ha ancora una sua rilevanza: infatti il fattore sociale che più incide sulla genesi di una cultura imperiale romana è anche, curiosamente, il tema principale del racconto virgi-liano: la mobilità delle persone attraverso lo spazio.

6 N. Terrenato, The deceptive archetype: Roman Colonialism in Italy and Postcolonial thought, in H. Hurst-S. Owen, Ancient Colonizations. Anal-ogy, similarity and difference, London 2005, pp. 59-72.

7 G. Woolf, Becoming Roman: The origins of provincial civilization in Gaul, Cambridge 1998.

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Fortunatamente, quello della mobilità umana è un tema che gli studi storici hanno cominciato a prendere sul serio nell’occuparsi di Impero romano (anche qui, naturalmente, non si tratta di neutrali scelte ‘scientifi che’, ma dall’effetto più o meno conscio di un cam-biamento di atmosfera culturale). Attraverso qualche studio recente8 è possibile formulare uno scenario ipotetico che dovrebbe interessa-re anche i lettori di Virgilio. Supponiamo (è computo controverso, ma ragionevole: sarebbe possibile anche partire da un ‘guesstimate’ molto più elevato) che la popolazione di abitanti liberi dell’impero fosse, nell’epoca di Augusto, fra i cinque e i sei milioni. Se ora cer-chiamo di immaginare il numero di persone che erano state trasferite più o meno forzosamente sulla base di programmi statali di colo-nizzazione e ripopolazione, si arriva a una stima di due milioni, due milioni e mezzo di abitanti ‘mobili’ nel corso dei due ultimi secoli nella sola Italia romana. A questo si può aggiungere una stima di due-quattro milioni di schiavi messi in movimento dalle conquiste romane. Se questo contesto demografi co ha qualche consistenza, lar-ghe parti dell’Impero, in particolare l’Italia, le province occidentali, e l’Africa, dovevano offrire uno spettacolo di cambiamento davvero impetuoso e in qualche caso angosciante. Se continuiamo a pensare al mondo ‘antico’ come a un mondo sostanzialmente stabile, fatto di continuità tradizionali e localismi indisturbati, commettiamo uno sbaglio. La percentuale di popolazione ‘mobile’ – militari, coloni, veterani, contadini espropriati e/o inurbati, disoccupati in cerca di lavoro, funzionari, mercanti, profughi delle varie guerre, più natu-ralmente gli schiavi – doveva essere tale da pesare notevolmente sul totale della popolazione. Più che le immagini delle società tradizio-nali del Mediterraneo prima della rivoluzione industriale, vengono in mente i massicci movimenti di popolazione tipici di Londra e Tokyo al principio dell’età moderna. In particolare, le espropriazioni di terre e le assegnazioni di nuove terre ai veterani, nel periodo cesariano e in quello triumvirale, ebbero un impatto molto forte sulla realtà e sull’immaginario dell’Italia romana9: ricordiamo che proprio su que-

8 W. Scheidel, Human mobility in Roman Italy I: The free population, «Jour-nal of Roman Studies» 94, 2004, pp. 1-26, e relativa bibliografi a.

9 Per una rivalutazione dello sfondo sociale del tema virgiliano della pro-prietà perduta vd. J. Osgood, Caesar’s Legacy: Civil War and the Emer-gence of the Roman Empire, Cambridge 2006.

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sto sfondo Virgilio ha ambientato la sua prima, audace opera poetica, le Bucoliche.

Questo poi era lo scenario di quella che usiamo chiamare per bre-vità (con un termine oggi contestato e accusato di etnocentrismo) la Romanizzazione: lo stesso programma politico di Augusto e la sua maniera di comunicare sono meglio spiegabili se si tiene conto di questa vasta platea di ‘dislocati’ e ‘rilocati’, che vanno a formare un nuovo tipo di ceto dominante in molte parti dell’Impero10.

Una conseguenza che si impone e che può essere molto utile per capire l’Eneide – i suoi primi lettori, le sue intenzioni, persino la sua qualità poetica e sentimentale – è che nella prima età augustea qualcosa come il 40 per cento o più dei seniores romani sarebbero vissuti in una comunità diversa da quella in cui erano nati, e diffi cil-mente ancora accompagnati dalla loro famiglia estesa di un tempo. Come in tutte le epoche precedenti di mobilità intensifi cata, questi spostamenti erano avvenuti in un’epoca di intensa crisi militare e politica. La mobilità della gente dipendeva da intensa belligeranza e accelerati processi di formazione dello stato e delle élites. Il senso della famiglia e della comunità – temi importanti per Virgilio – furo-no certamente condizionati dalla dislocazione: la nuova popolazio-ne migrante non aveva più accesso a una famiglia ‘estesa’, ricca di fratelli, sorelle, cugini, mentre cresceva l’autonomia di una famiglia ‘nucleare’ che doveva affrontare cambiamenti importanti.

Sarebbe troppo deterministico voler leggere l’opera di Virgilio come una risposta diretta o una rappresentazione passiva di questi cambiamenti, che furono prima sociali e poi culturali. Ma è probabile che di questo scenario vada tenuto conto se si vuole capire lo straor-dinario, immediato impatto che il poema ha avuto su tutta l’estensio-ne, anche geografi ca e sociale, dei lettori di lingua latina attraverso l’Impero. Copie e frammenti dell’Eneide, anche da graffi ti o supporti inusuali quali papiri e tavolette di legno, affi orano ovunque abbiamo qualche accesso alla vita quotidiana dei romani nel I secolo d.C.: non solo Pompei, ma Vindolanda, la Spagna, persino l’Egitto, e le sinistre rovine di Masada. Forse non è illegittimo pensare che la circolazione

10 Vd. in particolare i contributi di N. Purcell e G. Woolf in K. Galinsky (ed.), The Cambridge Companion to the Age of Augustus, Cambridge-New York 2005.

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di questo testo abbia a che fare con il bisogno crescente di modelli di interazione fra romani, romanizzati, romanizzandi, e stranieri o barbari tout court. Sappiamo molto poco di questo mondo poroso, che ricopre gran parte del territorio imperiale. Quello Romano è un imperialismo che appare riluttante a creare anche elementari forme di omogeneità e coerenza; certamente non opera sulla base di libri o manuali, e si confronta con un’impressionante varietà di culture e di gradi di sviluppo. Come avvenne, possiamo chiederci, che sulla base di una miriade di piccoli incontri e di microstorie coloniali venne a esistere e a svilupparsi uno ‘stile’ dell’imperialismo romano e delle reazioni che esso provoca e comporta11? Conviene allora rileggere l’Eneide come un testo che parla anche della genesi di uno stile di dominio e di uno stile di convivenza.

Il tema fondamentale della storia sociale riguardo al I secolo a.C. è, almeno per la generazione attuale dei romanisti, il fenomeno del cambiamento sociale che attraversa, con sorprendente omogeneità, tutto il Mediterraneo: un’eredità della diaspora italica e romana che segue alla crisi di età sillana, e in parte un risultato dell’abile ge-stione di questa crisi da parte di Augusto. L’Italia stessa, a questo punto, è più un’estensione del mondo ‘provinciale’ che una colle-zione di tradizionali ‘piccole patrie’, secondo lo sviluppo di traietto-rie autonome, preesistenti alla guerra sociale. La guerra sociale e la guerra civile hanno cambiato l’intero scenario. La nuova situazione pone l’accento sulla mobilità di grandi masse e sull’allargamento delle prospettive. I ritmi dell’urbanizzazione, della trasformazione del paesaggio, del reclutamento di cittadini, e della resistenza locale, sono qualcosa che rileviamo più chiaramente proprio nelle comuni-tà della diaspora romana, in Spagna, Cisalpina, Africa, nelle isole e nell’Egeo. Questo è lo sfondo per le fondazioni di nuove città da parte di Cesare e di Augusto, come lo è per le battaglie decisive nello sviluppo delle grandi guerre civili. Soprattutto, è questa la platea a cui Augusto si rivolge come nuovo protagonista della politica; que-sta, non la città di Roma, è la base del novus status per cui il principe faceva leggi e a cui guardava per ottenere consenso e adulazione; questo è lo spazio collettivo in cui le idee e le rappresentazioni del

11 Cfr. gli interrogativi posti dallo storico sociale Michael Peachin in BMCR 01/06, 2003.

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potere, della legittimità, e delle attese politiche venivano sviluppati. I cambiamenti culturali e materiali nelle province e il coinvolgimento delle province nella lotta politica sono la condizione indispensabile per lo sviluppo di una cultura imperiale, e questa cultura rese possi-bile una stabilizzazione politica che doveva avere una durata senza precedenti12.

Quasi tutti i temi di fondo, e anche le scelte poetiche, dell’Eneide diventano più signifi cativi se si tiene conto dello scenario che ho cercato di sintetizzare. Il tema cruciale del poema può essere visto, con ancora maggiore senso di sintesi, come «una storia sul cambia-mento e sul dolore del cambiamento», e da qui discendono innume-revoli episodi di infl uenza e ricreazione (dal Cygne di Baudelaire, in cui nostalgia e alienazione ci riportano dalla Parigi postcoloniale all’Andromaca virgiliana, sino all’esule slesiano di Heinz Piontek). Nel contesto storico in cui Virgilio opera, questi temi non sono solo delle cifre simboliche universali, ma anche dei riferimenti specifi ci: esilio, colonizzazione, nuove patrie che assomiglieranno o non asso-miglieranno alla madrepatria.

La grande idea che fa da connettivo a questi aspetti è il mito troia-no: un mito che spiega come fu possibile a un popolo estinto attraver-sare una distanza di secoli per trasmettere un impulso alla missione imperiale di Roma. È naturale quindi portare attenzione a tutto ciò che nell’Eneide rende possibile un ‘trasferimento di cultura’ attraver-so il tempo: l’uso di immagini visive, simboli religiosi, profezie, imi-tazioni, corrispondenze. Questa idea della transizione attraverso il tempo ha grande importanza nella ricezione – nella ‘sopravvivenza’ – di Virgilio, dato che il mito troiano si offre come modello ‘profeti-co’ per la ricezione stessa dell’opera: il salvataggio operato da Enea su una Troia in fi amme agisce come modello mitico per il progetto umanistico13 che si nutre dell’Eneide ‘europeizzata’. Ovviamente, questa stessa idea è strategica per una lettura del poema in chiave politica e dinastica: la capacità del mito troiano di ‘attraversare il tempo’ e portare in salvo se stesso attraverso undici secoli di storia è una trasparente allegoria del percorso inverso, quello grazie al quale

12 Di nuovo riadatto le considerazioni di Purcell e Woolf (cfr. la n. 10).13 Th. Greene, The light in Troy, New Haven 1982.

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Augusto riesce a iscrivere se stesso in un passato autorevole e re-moto. Ma per i nostri fi ni è ancora più importante capire che questo tema della traslazione e comunicazione attraverso il tempo trae forza dall’analogia con una pratica collettiva tipica dell’età di Virgilio: il lavoro di trasferimento attraverso lo spazio che caratterizza ciò che chiamiamo Romanizzazione, la creazione di una cultura condivisa e di una comunità imperiale. Questo lavoro, che produce omologazio-ne e solidarietà a distanza, si basa sugli stessi materiali e sulle stesse pratiche che hanno importanza cruciale nella trama dell’Eneide: tra-sporto e diffusione a distanza di valori, simboli, pratiche religiose, immagini, profezie, ludi, e gesti di imitazione. Guardata da questo punto di vista, la trama dell’Eneide è una metafora del processo di romanizzazione dell’impero di cui il poema stesso fu una componen-te signifi cativa.

Un aspetto centrale dell’epos virgiliano, un aspetto in cui Virgilio è diverso dall’Iliade e dall’Odissea, è l’idea che le persone possano sviluppare nuovi legami e nuovi affetti verso luoghi di cui non sono originari. (Nell’Iliade, la guerra produceva eroismo, crudeltà, a volte comprensione reciproca, ma non un superamento della differenza – certo non un abisso – fra i due campi; nell’Odissea, tante peripezie e tanti incontri portano di fatto a un ritorno a casa e a una ricostruzione delle proprie origini). L’idea è centrale già nel proemio dell’opera, che si struttura in una gigantesca frase e in una transizione continua dalle ‘rive troiane’ sino alle ‘mura dell’alta Roma’, e viene ripresa subito dopo, proprio all’esordio narrativo. Nel giro di pochi versi im-pariamo che non solo i Troiani si protendono verso una meta stranie-ra, l’Italia, ma che anche Cartagine, futura rivale del progetto impe-riale di Roma, è il risultato dell’esilio dei Tirii dalla Fenicia. Ancora più notevole, ci viene subito detto che Giunone ama ormai Cartagine «più di Samo» – Giunone in effetti era nata a Samo: cominciamo a capire che in questo poema persino gli dei imparano ad adattarsi a nuovi orizzonti e nuovi confi ni.

Questa rifl essione ci aiuta a tracciare un collegamento tra il poema e l’orizzonte o la mentalità dei suoi primi lettori. Per loro questo epos non è solo la legittimazione del potere romano sull’Impero: è la rap-presentazione poetica di come si possa affrontare la vita in un mondo allargato, in cui cresce il bisogno di nuove identità che non siano più solo identità locali. Per questo il confl itto fra localismo e identità

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‘globale’ è un aspetto importante della storia narrata da Virgilio. Il poema, come abbiamo visto, si apre con una sorta di atto di speranza nella capacità di superare le proprie origini e di aderire a una nuova patria; ma si chiude anche con una serie di immagini di violenza, che mostrano il prezzo da pagare e la sofferenza infl itta alle comunità locali. L’ultimo gesto attivo del campione italico, Turno, è sollevare una pietra di confi ne per usarla come arma contro Enea.

nec plura effatus saxum circumspicit ingens, saxum antiquum ingens, campo quod forte iacebat, limes agro positus litem ut discerneret aruis. uix illum lecti bis sex ceruice subirent, qualia nunc hominum producit corpora tellus;ille manu raptum trepida torquebat in hostemaltior insurgens et cursu concitus heros.

Non disse di più; scorge attorno un macigno immenso, un maci-gno vetusto, immenso, confi ne d’un campo che stava per caso piantato nel piano, a dirimere discordia dalle colture. A stento sul collo ricurvi l’avrebbero sorretto due volte sei uomini scelti, quali sono oggi i corpi che la terra produce: afferrato con mano tremante l’eroe lo tirava sul nemico, slanciandosi più verso l’alto e sospinto dalla rincorsa14.

Il gesto eroico è omerico, come prova l’aggiunta che solo dodici uomini di oggi potrebbero sollevare la pietra, anche se Turno, iro-nicamente, fi nirà per non farcela. Ma esiste anche un riferimento a particolarità locali. Un italico come Turno dovrebbe sapere che il terminus, la pietra di confi ne, è sacra, e difende la proprietà e l’ordine tradizionale. D’altra parte i Troiani hanno violato questo stesso ordi-ne, ad esempio sradicando un albero sacro a Fauno, il più ‘nativo’ e ‘locale’ fra gli dei di questo poema:

Forte sacer Fauno foliis oleaster amaris hic steterat, nautis olim uenerabile lignum, seruati ex undis ubi fi gere dona solebant Laurenti diuo et uotas suspendere uestis;sed stirpem Teucri nullo discrimine sacrum sustulerant, puro ut possent concurrere campo.

14 Virgilio, Eneide 12.896-903 (trad. R. Scarcia).

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Era lì per caso che sacro a Fauno un oleastro dalle foglie amare era stato, tronco un tempo religioso ai naviganti, dove salvati dalle acque solevano affi ggere doni alla divinità laurente e sospendere le vesti in voto; ma quel fusto consacrato, senza far distinzione, avevano i Teucri tolto, perché potessero affrontarsi in uno spazio sgombro15.

I Troiani hanno dissacrato e rimosso, nullo discrimine, quello che per loro è un ostacolo, ma per i Latini è un radicato oggetto di vene-razione: l’opposizione del dio Fauno sarà in effetti l’ultimo dei tanti ostacoli sul cammino vittorioso di Enea.

Prima ancora dell’atto di violenza che chiude il poema, l’uccisio-ne di Turno (un atto di violenza che non è seguito da alcuna ricon-ciliazione o purifi cazione, contro tutte le tradizioni della letteratura greco-romana), abbiamo quindi due immagini parallele: i due eroi in confl itto letteralmente travolgono i ‘confi ni’ stabiliti del paesaggio, naturale e sacrale, del mondo italico per cui si combatte.

D’altra parte Virgilio non ha fatto nulla per rappresentare l’appar-tenenza a un luogo e la continuità etnica come un valore assoluto. Abbiamo già accennato come tutti i grandi personaggi del poema e persino gli dei siano ‘in transito’ da una patria a un’altra. Lo stes-so vale per i popoli più importanti: persino dei popoli e delle patrie italiche tradizionali si sottolinea più volte l’origine non autoctona, l’effetto di migrazioni, fusioni, cambi di nome e di regime politi-co. Possiamo aggiungere che gli unici personaggi per cui Virgilio sottolinea l’essere ‘nativi’ e residenti stabili di una località sono in effetti dei mostri incivili: il cannibale Polifemo e il bestiale brigante Caco, entrambi destinati a perdere nel confl itto con eroi viaggiatori e civilizzatori, Ulisse ed Ercole. Per altri gruppi etnici viene sottoli-neata piuttosto la mobilità e l’adattabilità a nuove condizioni. Latini e Italici sono già almeno potenzialmente le comunità che faranno da ospite e da contesto per la crescita di Roma, ma non manca nella loro vita una sorta di primitivismo e persino di barbarie da civilizzare. Virgilio ricorre (non senza autoironia) per questa rappresentazione dell’Italia pre-romana a elementi tipici dell’etnografi a greca, là dove venivano rappresentati i barbari dell’Occidente e del Nord. D’altra parte i Troiani stessi non sono affatto rappresentati come una com-

15 Virgilio, Eneide 12.766-772.

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pleta prefi gurazione dell’identità etnico-culturale dei Romani, a cui pure secondo Virgilio daranno un contributo decisivo. A seconda dei contesti, e delle tensioni che si instaurano nel racconto, i Troiani pos-sono apparire ancora troppo ‘Orientali’, in modo tale da bilanciare l’eccesso di primitivismo degli Italici con un almeno potenziale ec-cesso di incivilimento, che ne farebbe degli orientali in senso negati-vo. In questa prospettiva, l’Eneide suggerisce che una combinazione di elementi disomogenei ha portato al giusto equilibrio tipico della civiltà romana.

Questa civiltà è vista nell’Eneide come una combinazione e conta-minazione di fattori, nessuno esclusivo e neppure preminente. Sono tutti fattori che avevano posti di rilievo nelle idee di etnicità e di etnogenesi tipiche del mondo greco-romano: il sangue condiviso, la provenienza territoriale, l’urbanesimo, i costumi e la cultura mate-riale, la lingua. Nessuno di questi fattori è privo di importanza, ma a nessuno è concesso un privilegio esclusivo. La situazione è com-prensibile se si pensa che il mondo augusteo è caratterizzato da for-me di cittadinanza allargata16, che consentono processi di inclusione e integrazione, e favoriscono nuovi equilibri tra locale e globale, ma escludono la partecipazione politica attiva. La ricostruzione operata dall’Eneide sulle origini di Roma è coerente con questa dinamica di apertura civica e chiusura politica. Nel nuovo impero augusteo, i lettori del poema – e ce ne saranno stati, sin dall’inizio, non solo nell’Urbe ma a Cartagine e Butroto, in Gallia e Cisalpina, in Spagna e nelle isole – trovano di fronte a sé una visione aperta e integrativa delle origini di Roma. Questa visione continua una tendenza impor-tante della cultura repubblicana, quella dell’asilo di Romolo17, ma il protagonista della vicenda è ora non più il fondatore Romolo, origine nazionale e simbolo della romanità ‘nucleare’ legata al territorio, ma piuttosto quello che era a lungo stato per i Romani il loro personag-

16 Magistrale la trattazione di A. Giardina, L’Italia romana: storie di un’iden-tità incompiuta, Roma 1997; vd. anche H. Mouritsen, Italian unifi cation, London 1998.

17 Sulla storia di Romolo come mediazione fra ‘chiusura’ e ‘apertura’ etnica vd. C. Ampolo, in Storia di Roma I, Torino 1988, 172-173; E. Dench, Ro-mulus’ asylum, Oxford 2005.

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gio ‘internazionale’18, Enea, non tanto un eroe fondatore quanto un mediatore, colui che collega il Lazio a Roma, e l’epica omerica alle origini di Roma, prestandosi a una funzione di prestigioso exemplum nei rapporti interstatali e interculturali. Sviluppando questa tradizio-ne, Virgilio descrive un mondo eroico in cui ci sono più compatibilità e inclusioni che esclusioni e differenze etniche. Se guardano alla tra-ma del poema, molte sono le componenti etniche del nuovo impero che possono vedere giustifi cata una loro partecipazione e vicinanza alla comunità romana. A nessuna, però – questa è l’altra faccia della riconciliazione virgiliana tra i popoli – viene concesso un privilegio o una stabile superiorità. Fino a un certo punto, riconosciamo in questo la continuazione di una tradizionale strategia politica e diplomatica della repubblica romana: molti stati e città sono ammessi a condizio-ne di vicinanza e di alleanza subordinata, privilegi e favori possono essere negoziati più volte, ma nessuno viene mai dichiarato ‘consan-guineo’ dei Romani nei termini usuali della diplomazia interstatale greca, neppure tramite l’appello alla leggenda di Enea che è il più ti-pico fra gli strumenti di ‘diplomazia genealogica’. Ma in Virgilio c’è uno sviluppo nuovo. Il popolo Romano appare come l’esito dinamico di una serie di contatti e di fusioni tra popoli, in cui gli antichi proge-nitori troiani hanno agito come catalizzatori. L’enfasi cade non sulla purezza e permanenza del sangue e della genealogia, ma sul destino imperiale che contraddistingue Roma. Tuttavia c’è una signifi cativa eccezione: dalla struttura del racconto emerge una sola famiglia che sia contraddistinta da ‘puro sangue troiano’, ed è la famiglia a cui appartengono Enea, Iulo, Romolo, Cesare, e soprattutto Augusto19. Ecco quindi la situazione del mondo romano come appare ai lettori che vogliano immaginare l’Eneide quale suo mito di fondazione e

18 Vd. soprattutto C. Jones, Kinship diplomacy in the ancient world, Cam-bridge Mass. 1999; A. Erskine, Troy between Greece and Rome: local tra-dition and imperial power, Oxford 2001.

19 Un aspetto ben sottolineato da M. Bettini, Un’identità ‘troppo compiuta’: Troiani, Latini, Romani e Iulii nell’Eneide, «Materiali e Discussioni» 55, 2005, pp. 77-102. Si tratta in effetti dell’unica famiglia del poema che abbia una chance di sopravvivere oltre la sua trama: sul signifi cato ideolo-gico dell’insistenza su morti immature e fi gli scomparsi vd. l’importante saggio di D. Quint, The brothers of Sarpedon, «Materiali e Discussioni» 47, 2001, pp. 35-66.

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charter myth: esiste per molti la possibilità di diventare ‘Romani’, e storicamente molti sono stati accettati e molti ancora lo saranno; il trattamento accordato nel poema a Greci, Italici, e anche popoli più lontani, garantisce un’apertura verso l’integrazione e verso il dialo-go; ma quasi a garanzia protettiva di questa apertura multiculturale, a nessuno può essere concesso di diventare ‘Troiano’ cioè Giulio. Il privilegio che nasce dal racconto epico viene tesaurizzato a favore della casa imperiale, non di una etnia o nazione. La compatibilità fra le genti e la visione aperta della romanità viene quindi bilanciata da una forte asserzione dell’autorità imperiale: evidentemente, è così che il discorso politico augusteo giustifi ca l’esistenza dell’impero, non solo come necessità o persino prezzo da pagare, ma anche come vantaggio rispetto al modello delle poleis e delle repubbliche, che in passato erano state aperte al loro interno, e portatrici di cittadinanza attiva, ma durissime nell’escludere alieni, meteci, stranieri di ogni genere.

Questa visione dell’Eneide come testo proto-imperiale è ovvia-mente radicatissima nella storia della sua fortuna e della sua ricezio-ne. Fin dai tempi di Servio il poema veniva letto in duplice chiave, come una storia sui primordi del mondo romano, e come una storia sui primordi dell’Impero romano, una storia in cui per varie chiavi, esemplari, analogiche e allegoriche, i cittadini dell’Impero possono esperire che cosa si provava a vivere sotto il primo e il più grande di tutti – non Enea, quindi, ma Augusto.

Voglio chiudere però dicendo che questo aspetto non era stato l’unico e forse neppure il più importante. Leggendo a posteriori, già ai tempi di Servio era facile pensare all’Impero come a una struttura defi nitiva, nata perfetta e pienamente rispecchiata nella letteratura e nell’arte del periodo augusteo. Se si legge storicamente, però, si deve pensare a un periodo molto più sperimentale e a una dinamica molto più estesa, che non riguarda solo gli istituti politici di Roma e la famiglia imperiale. È questa la lettura dell’Eneide in cui si può ancora fare dei progressi: liberando il testo dalla sua canonicità e riportandolo al gioco delle forze materiali e storiche di quel periodo: colonizzazione, migrazioni, ricerche di nuove identità, l’invenzione dell’humanitas Romana come ‘pacchetto di valori’ che accompagna la romanizzazione (ed ellenizzazione) dell’occidente. In questa pro-spettiva, archeologia e storia sociale hanno molto da insegnare agli

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interpreti di Virgilio. Sarà utile però ricordare che, come ogni svolta nella fortuna del classico, anche questa non è libera dall’ipoteca del contemporaneo e del moderno. L’Eneide che vediamo è diversa da quella del passato perché la stiamo guardando attraverso una pro-spettiva particolare. Ci interessiamo più di migrazioni, imperi, co-lonizzazione, identità etnica, confl itti di culture, globalizzazioni e localismi, e meno di monolitici stati-nazione e di nette separazioni fra opposizione e consenso. Nessuna epoca ha il monopolio dell’ana-cronismo o della storicizzazione perfetta: facciamo bene, per l’epoca in cui viviamo, a non trascurare la possibilità di rileggere Virgilio in un teatro post-coloniale. Deve essere chiaro che l’interrogativo proveniente dal contemporaneo serve a suggerire domande nuove, non risposte preconfezionate. Quasi tutti gli elementi che entrano in gioco in questa costellazione di idee – impero e imperialismo, co-lonie e colonizzazioni, identità etniche e (multi-)culturali, diaspora e acculturazione, ibridazione e confl itto di culture – hanno in realtà un valore profondamente diverso se si sposta lo sguardo dal XXI secolo all’antichità mediterranea. Ma è proprio per mettere a fuoco le differenze che questi esperimenti comparativi sono utili. È stato lo stesso per gli importanti sviluppi che hanno segnato l’antichistica nella seconda metà del XX secolo: l’interesse nuovo per le donne, per i gruppi marginali, per l’economia schiavistica, per l’identità ses-suale e la sua storia. I risultati migliori sono stati ottenuti traendo da queste agende ‘modernizzanti’ uno stimolo per de-familiarizzarci dall’antico che ci era stato insegnato e reso familiare dalle genera-zioni precedenti, per poi muovere oltre l’ingenua identifi cazione fra l’oggetto di studio e il nostro orizzonte. Per quelle vie, si è arrivati a creare un confronto critico tra mondi diversi, non a inventare versio-ni ‘anticheggianti’ di marxismo, psicoanalisi e femminismo. Leggere l’Eneide di Virgilio ‘dopo’ l’esperienza post-coloniale non signifi ca colonizzare il passato sulla base della nostra esperienza moderna, ma serve a guardare il testo da angolazioni non ancora sperimentate.

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