Autotutela amministrativa: riflessioni su una figura ancipite

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Milano • Giuffrè Editore FORO AMMINISTRATIVO C.D.S. Anno XI Fasc. 11 - 2012 ISSN 1722-2400 Clara Napolitano AUTOTUTELA AMMINISTRATIVA: RIFLESSIONI SU UNA FIGURA ANCIPITE Estratto

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Milano4•4Giuffrè4Editore

FORO AMMINISTRATIVO C.D.S.Anno4XI4Fasc.4114-42012

ISSN41722-2400

Clara4Napolitano

AUTOTUTELA AMMINISTRATIVA:RIFLESSIONI SU UNA FIGURA

ANCIPITE

Estratto

* * *

2549 - Sez. V — 3 maggio 2012 — Pres. Barra Caracciolo — Est. Poli — B. (avv. Memmo)c. Comune di Nardò (n.c.) (*).

(Conferma TAR Puglia - Lecce, sez. I, 27 maggio 2011, n. 986).

[856/108] Atto amministrativo - Potere di autotutela della p.a. - Natura e presupposti - Individuazione- Dovere della p.a. di rispondere ad una domanda con la quale si chiede alla p.a. di esercitare dettopotere - Non sussiste.

[856/972] Silenzio della p.a. - Silenzio-rifiuto - Presupposti - Obbligo di provvedere della p.a. - Nel casodi istanza con la quale si sollecita la p.a. ad adottare provvedimenti di autotutela - Non sussiste.

I provvedimenti di autotutela sono manifestazione dell’esercizio di un potere tipicamentediscrezionale che l’Amministrazione non ha alcun obbligo di attivare e, qualora intenda farlo,deve valutare la sussistenza o meno di un interesse che giustifichi la rimozione dell’atto,valutazione della quale essa sola è titolare e che non può ritenersi dovuta nel caso di unasituazione già definita con provvedimento inoppugnabile; pertanto, una volta che il privato, oper aver esaurito i mezzi di impugnazione che l’ordinamento gli garantisce, o per aver lasciatotrascorrere senza attivarsi il termine previsto a pena di decadenza, si trovi di fronte ad unprovvedimento inoppugnabile a fronte del quale può solo sollecitare l’esercizio del potere daparte dell’Amministrazione, quest’ultima, a fronte della domanda di riesame, non ha alcunobbligo di rispondere.

Non sussiste la possibilità di fare ricorso alla procedura del silenzio-rifiuto allo scopo diprovocare il ricorso dell’Amministrazione all’autotutela; tale divieto trova il proprio fonda-mento nell’esigenza di evitare il superamento della regola della necessaria impugnazionedell’atto amministrativo nel termine di decadenza. Siffatto éscamotage presuppone, in defi-nitiva, una sequenza procedimentale in cui sussista un provvedimento non impugnato, el’intrapresa della procedura del silenzio-rifiuto allo scopo di provocare l’adozione di unsecondo provvedimento, volto a mettere nel nulla quello non tempestivamente impugnato; larichiesta dei privati, rivolta all’Amministrazione, di esercizio dell’autotutela, è una meradenuncia, con funzione sollecitatoria, ma non fa sorgere in capo all’Amministrazione stessaalcun obbligo di provvedere.

FATTO E DIRITTO. — (Omissis) Il potere di autotutela amministrativa mediante annul-lamento è un potere di merito dell’amministrazione, incoercibile da parte del giudiceamministrativo.

L’art. 21-nonies l. n. 241 del 1990 ha disciplinato i presupposti e le forme dell’annulla-mento d’ufficio, ma non ha modificato la natura del potere, e non lo ha trasformato dadiscrezionale in obbligatorio, né ha previsto un interesse legittimo dei privati all’autotutelaamministrativa.

Il potere di autotutela resta un potere di merito, che si esercita previa valutazione delleragioni di pubblico interesse, valutazione riservata alla p.a. e insindacabile da parte delgiudice.

Si deve anzitutto osservare che, di regola, il diniego di autotutela è privo di autonomaportata lesiva, e pertanto difetta, in relazione ad esso, un interesse concreto e attuale acontestarlo.

Infatti la lesione discende già dal provvedimento originario, in relazione al quale vieneinvocata l’autotutela, ed è tale atto che deve (avrebbe dovuto) essere tempestivamenteimpugnato.

(*) Segue nota di C. NAPOLITANO, Autotutela amministrativa: riflessioni su una figuraancipite, infra, 2909.

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Ordinariamente, il diniego espresso di autotutela è un atto meramente confermativodell’originario provvedimento, che non compie una nuova valutazione degli interessi ingioco, e che pertanto non può essere un mezzo per una sostanziale rimessione in terminiquanto alla contestazione dell’originario provvedimento.

In secondo luogo il diniego di autotutela si fonda su ragioni di merito amministrativo,che esulano dalla giurisdizione di qualsivoglia giudice.

Il giudice non può valutare se il diniego di autotutela è stato bene o male esercitato,perché se ciò facesse la conseguenza sarebbe un ordine, rivolto all’amministrazione, diriesercizio del potere di autotutela secondo parametri fissati dal giudice, ma è evidente chequesto sarebbe uno sconfinamento in un potere di merito riservato esclusivamente all’a-mministrazione e incoercibile; il diniego espresso di autotutela non è impugnabile perl’assorbente ragione che si tratta di atto espressione di un potere di merito, su cui il giudiceamministrativo non ha giurisdizione.

Solo nel caso — che nella specie non ricorre — in cui l’amministrazione, sollecitata adesercitare l’autotutela — riesamina l’originario provvedimento e a seguito di appropriatoprocedimento amministrativo conferma — con una nuova valutazione degli interessi in giocoe con una motivazione nuova — l’originario provvedimento, si ha un atto di conferma insenso proprio, autonomamente lesivo e pertanto impugnabile.

10.1.1. Sul piano sistematico tali conclusioni sono coerenti con i consolidati principiforgiati dalla giurisprudenza in relazione all’individuazione dei presupposti per la proposi-zione dell’azione di accertamento dell’illegittimità del silenzio-inadempimento (cfr. Cons.Stato, sez. IV, 12 marzo 2010, n. 1469; sez. IV, 16 settembre 2008 n. 4362; sez. IV, 9 agosto2005, n. 4227; sez. VI, 4 febbraio 2002, n. 4453; sez. VI, 1 aprile 1992, n. 201, cui si rinvia amente dell’art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a.), in forza dei quali:

a) i provvedimenti di autotutela sono manifestazione dell’esercizio di un poteretipicamente discrezionale dell’amministrazione che non ha alcun obbligo di attivarlo e,qualora intenda farlo, deve valutare la sussistenza o meno di un interesse che giustifichi larimozione dell’atto, valutazione della quale essa sola è titolare e che non può ritenersidovuta nel caso di una situazione già definita con provvedimento inoppugnabile; pertanto,una volta che il privato, o per aver esaurito i mezzi di impugnazione che l’ordinamento gligarantisce, o per aver lasciato trascorrere senza attivarsi il termine previsto a pena didecadenza, si trovi di fronte ad un provvedimento inoppugnabile a fronte del quale può solosollecitare l’esercizio del potere da parte dell’amministrazione, quest’ultima, a fronte delladomanda di riesame non ha alcun obbligo di rispondere;

b) è esclusa la possibilità di fare ricorso alla procedura del silenzio rifiuto allo scopodi provocare il ricorso dell’amministrazione all’autotutela; tale divieto trova il propriofondamento nell’esigenza di evitare il superamento della regola della necessaria impugna-zione dell’atto amministrativo nel termine di decadenza; siffatto éscamotage presuppone indefinitiva una sequenza procedimentale in cui sussista un provvedimento non impugnato, el’intrapresa della procedura del silenzio rifiuto allo scopo di provocare l’adozione di unsecondo provvedimento, volto a mettere nel nulla quello non tempestivamente impugnato;

c) la richiesta dei privati, rivolta all’amministrazione, di esercizio dell’autotutela, èuna mera denuncia, con funzione sollecitatoria, ma non fa sorgere in capo all’amminist-razione alcun obbligo di provvedere.

Da qui una prima causa di inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del diniegooggetto del presente giudizio. (Omissis).

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Abstract: La nota esamina la discussa figura dell’autotutela amministrativa. L’istituto hauna natura ibrida — che riassume in sé tanto la dimensione di cura dell’interessepubblico quanto quella di ripristino della legalità violata — e, pertanto, ne sonoevidenti le incongruenze e i contrasti applicativi, specie in relazione alla suadoverosità o discrezionalità. Assumendo come punto di partenza il parallelo traattività amministrativa e attività giurisdizionale, passando in rassegna gli interessanti

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arresti giurisprudenziali nazionali ed europei sul tema, e dando rilievo alla dottrinache ha contribuito allo sviluppo dogmatico di questo istituto, il commento proponeuna soluzione al problema tendenzialmente affermativa della doverosità dell’auto-tutela, intesa almeno come obbligo della p.a. di rispondere al privato che richiedal’annullamento di una decisione illegittima, trovando in ciò anche il conforto dellarecentissima novella legislativa all’art. 2 della l. n. 241/’90.The work concerns the discussed figure of the administrative self-annulment. Thisinstitute has a hybrid nature — comprehending both dimensions of taking care ofpublic interest and restoring broken law — and, therefore, inconsistencies andapplication quarrels are clear, especially about its dutifulness or discretion. Assumingas starting point the parallel between administrative and jurisdictional activities,browsing the interesting national and european judjements on the subject, andemphasizing the doctrine which has given its contribution to the dogmatic develop-ment of this institute, the article suggests a solution to the problem that is tendentiallyaffirmative of the dutifulness of administrative self-annulment, intended at least as anobligation for public authorities to answer the citizen who asks for the annulment ofa wrong decision, and that seems to be confirmed also by the latest art. 2, L. No.241/1990.

SOMMARIO: 1. Premessa. — 2. Origini storiche di una riflessione. — 2.1. Problemi postidalla costruzione dogmatica dell’istituto. — 3. L’autotutela nella l. n. 241/’90. — 3.1.Art. 21-nonies: l’annullamento d’ufficio. — 3.2. Art. 21-quinquies: la revoca. — 4.Principio di legalità e autotutela: un rapporto ambivalente. — 5. Spunti di dovero-sità. — 5.1. Ricostruzione per un confronto: Reduzierung auf Null della discrezio-nalità. — 6. Certezza del diritto, affidamento e annullamento: l’angolo visualeeuropeo. — 7. La rinuncia al ricorso giurisdizionale e i suoi riflessi sull’autotutela. —8. Punti di arrivo e punti di partenza.

1. Premessa.

La sentenza in commento (1) vede contrapposti come appellante un com-merciante ambulante e come appellato un Comune salentino che, con ladelibera di approvazione del piano del commercio su aree pubbliche, avevaprevisto lo spostamento del mercato — sia quello serale stagionale, sia quellofestivo diurno — da una sede a un’altra, rilasciando poi a tutti i commerciantiuna nuova autorizzazione recante la diversa ubicazione del mercato di riferi-mento.

Sulla scorta dell’impugnazione vittoriosa (2) di quella delibera da parte dialcuni commercianti — esercitanti il mercato serale giornaliero stagionale — ilricorrente aveva richiesto al Comune di ritrasferire nella sede originaria ancheil mercato festivo diurno. Lo aveva diffidato, insomma, ad annullare quelladelibera anche in parte qua, stavolta in via di autotutela, ricevendo in risposta undiniego espresso motivato.

Avverso questo provvedimento erano rivolte le impugnative del commer-ciante, disattese dal giudice amministrativo tanto in prime cure (3), quanto inappello.

(1) Cons. Stato, V, 3 maggio 2012, n. 2549, in www.lexitalia.it.(2) TAR Puglia, Lecce, I, 17 dicembre 2010, nn. 2871-2883 e n. 2885, che annullano

parzialmente la delibera comunale e le pedisseque nuove licenze, in www.giustizia-ammini-strativa.it.

(3) TAR Puglia, Lecce, I, 27 maggio 2011, n. 986, in www.giustizia-amministrativa.it.

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La vicenda concerne l’esercizio del potere di autotutela, sotto il profilo dellasua incoercibilità e dell’ampia discrezionalità di cui gode l’Amministrazione inmerito. La pronuncia, invero, si colloca nel solco del consolidato orientamentogiurisprudenziale secondo cui, quando il privato si trovi di fronte ad un prov-vedimento inoppugnabile, egli può solo sollecitare l’esercizio del potere diriesame da parte dell’Amministrazione, la quale, peraltro, a fronte della do-manda di riesame, non ha alcun obbligo di rispondere. In particolare, il Consi-glio di Stato ha chiarito che la richiesta del privato in tal senso è una meradenuncia, con funzione sollecitatoria, ma non fa sorgere in capo all’Ammini-strazione alcun obbligo di provvedere.

La strenua, sicura ed assoluta difesa del silenzio della p.a. a fronte di istanzedi autotutela, tuttavia, mal si concilia con la natura di questo potere che, inquanto facente capo ad un ente pubblico, non dovrebbe essere così latamentediscrezionale (4), bensì comunque doveroso — e, dunque, sottoponibile a scru-tinio del giudice — nell’attuazione dell’interesse pubblico.

2. Origini storiche di una riflessione.

L’istituto dell’autotutela, invero, pare vivere in una sorta di equilibrioprecario tra la declinazione del potere e quella del dovere (5): instabilità chetrova la sua ragion d’essere, ancor prima che nella costruzione dogmaticadell’istituto, nella stessa storia dei suoi protagonisti principali — la p.a. e ilsoggetto privato — che rivelano aspetti ambivalenti.

La prima, infatti, da soggetto dotato di potere imperativo e unilaterale, si èspostata sempre più verso una dimensione paritaria nel rapporto con i privati,donde le ricadute sul regime degli atti e sul potere di riesame (6): pertanto, se il

(4) Secondo la pronuncia in commento, il potere di autotutela « è un potere di meritodell’amministrazione, incoercibile da parte del giudice amministrativo », « resta un potere dimerito, che si esercita previa valutazione delle ragioni di pubblico interesse, valutazioneriservata alla p.a. e insindacabile da parte del giudice »; ed ancora, « il diniego di autotutelasi fonda su ragioni di merito amministrativo, che esulano dalla giurisdizione di qualsivogliagiudice. Il giudice non può valutare se il diniego di autotutela è stato bene o male esercitato,perché se ciò facesse la conseguenza sarebbe un ordine, rivolto all’amministrazione, diriesercizio del potere di autotutela secondo parametri fissati dal giudice, ma è evidente chequesto sarebbe uno sconfinamento in un potere di merito riservato esclusivamente all’a-mministrazione e incoercibile; il diniego espresso di autotutela non è impugnabile perl’assorbente ragione che si tratta di atto espressione di un potere di merito, su cui il giudiceamministrativo non ha giurisdizione ».

(5) Dalla celeberrima trattazione di F. BENVENUTI, voce Autotutela (diritto ammini-strativo), in Enc. dir., vol. IV, Milano, 1959, si perviene, quanto alla pervietà dei confinidell’autotutela, alle puntuali osservazioni di B.G. MATTARELLA, Il principio di legalità el’autotutela amministrativa, Relazione al 53º Convegno di studi amministrativi di Varennadel 20-22 settembre 2007 su Il principio di legalità nel diritto amministrativo che cambia, inwww.astrid-online.it, Rassegna n. 58/2007.

(6) G. GHETTI, voce Autotutela della pubblica Amministrazione, in Dig. disc. pubbl.,vol. II, Torino, 1987, p. 80 ss., ricostruisce il percorso evolutivo della p.a., evidenziandone leripercussioni sull’autotutela. Secondo l’Autore, « nell’impostazione tradizionale, dunque,l’autotutela è tra quegli istituti che, nel loro insieme, si inseriscono e formano il quadro diuna pubblica amministrazione che agisce in posizione di preminenza, esercitando poteri diimperio che si ricollegano alla sovranità dello Stato [accentrato] »; tuttavia, « la trasforma-zione dello Stato da accentrato a regionale e lo sviluppo conseguente delle autonomie locali;

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suo jus imperii le consente di scegliere se provvedere o meno a fronte di istanzedi riesame sui propri atti, non bisogna tuttavia dimenticare che l’interessepubblico da essa rappresentato, pur essendo di « parte », resta per definizione« indisponibile ». Per questa ragione, il potere di autotutela — specie se intesonel senso di ripristino dello status quo ante in presenza di provvedimentiillegittimi — non dovrebbe sfuggire interamente alle logiche della doverosità.

Quanto, invece, al soggetto privato, egli è tradizionalmente ritenuto comesoggetto portatore di un interesse qualificato e tutelato dall’ordinamento, l’in-teresse legittimo (7), che, nella sua origine storica, da espediente per conferireuna sorta di dignità processuale alle situazioni soggettive vantate dal privato neiconfronti della pubblica Amministrazione diverse dai « diritti civili e politici »(la cui tutela veniva affidata esclusivamente al giudice ordinario dalla leggeabolitiva del contenzioso amministrativo del 1865) (8), con la Carta del ‘48diviene « il solo modo possibile in cui gli interessi del privato sono protetti afronte del potere amministrativo: esso è pertanto la situazione giuridica sogget-tiva che « dialoga » con il potere (unilaterale altrui) » (9), perdendo il suocarattere « ancillare » (10) nei confronti del diritto soggettivo.

Come anticipato, anche l’interesse legittimo si connota per una intrinsecaambivalenza. Esso è, infatti, dotato di una doppia anima (11), di protezionedell’interesse sia privato che pubblico: privato, perché il soggetto agisce sullaspinta di un proprio egoistico interesse; pubblico, perché egli ha una posizionequalificata e tutelata dall’ordinamento per pretendere che l’Amministrazioneagisca in ossequio alla legge.

Curiosamente, però, l’ordinamento non fornisce — o, meglio, non forniscesempre — questa tutela quando il privato richieda alla p.a. di riesaminare unproprio atto, denunciato come illegittimo: questa, la posizione anche del giudiceamministrativo.

il diminuire della qualità e della quantità degli atti della pubbliche amministrazioni nei qualisi possa rinvenire, nella sostanza e talora anche nel modo di svolgimento del procedimentodi formazione, l’estrinsecazione di poteri di imperio; il parallelo sviluppo di tecnicheprocedimentali che si fondano sulla ricerca del consenso preventivo del futuri destinataridell’atto e, quindi, sulla contrattazione; l’estendersi dell’attività amministrativa in settoritradizionalmente riservati ai privati, nei quali l’amministrazione opera per produrre e fornireservizi ai cittadini o per i quali deve ricorrere non ad atti singoli e puntuali, ma bensì aprovvedimenti programmatori e di progetto; questo insieme di mutamenti e di circostanzeporta a chiedersi quali siano attualmente il valore ed il significato dell’autotutela dellapubblica amministrazione », cit. p. 81-82.

(7) L. MARUOTTI, Questioni di giurisdizione ed esigenze di collaborazione tra legiurisdizioni superiori, in P.L. PORTALURI (a cura di), L’Europa del diritto: i Giudici e gliordinamenti, Napoli, 2012, lo definisce un « miracolo dell’ordinamento ».

(8) Per una completa ed esaustiva disamina dei profili storici dell’interesse legittimosi rinvia al fondamentale contributo di B. SORDI, Giustizia e amministrazione nell’Italialiberale. La formazione della nozione di interesse legittimo, Milano, 1985.

(9) F.G. SCOCA, Contributo sulla nozione di interesse legittimo, Milano, 1990, cit. p. 25ss.

(10) Così P.L. PORTALURI, Interessi e formanti giurisprudenziali: l’anti-Ranelletti? inwww.giustizia-amministrativa.it.

(11) Così O.M. CALSOLARO, Per la pregiudiziale amministrativa: la « doppia anima »dell’interesse legittimo, in questa Rivista TAR, 2006, 7-8, p. 2641 ss.

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2.1. Problemi posti dalla costruzione dogmatica dell’istituto.

Si è detto che le implicazioni problematiche dell’autotutela derivano anchedalla costruzione dogmatica dell’istituto (12): il raffronto tra tutela giustiziale etutela amministrativa offerta al privato le fa emergere limpidamente (13).

Prima di procedere, è necessaria una premessa metodologica: l’approccioche si compendia nel parallelismo tra processo e procedimento amministrativoc.d. di secondo grado trova il suo fondamento proprio nella natura ibridadell’autotutela, che è stata più volte messa in luce dalla dottrina (14). Se è vero,infatti, che l’intervento in via di autotutela è consentito alla p.a. in virtù dellafunzione di perseguimento dell’interesse pubblico da essa rivestita — nel sensoche « si è sempre in presenza di una attività formalmente amministrativa,esercizio di un potere amministrativo » — ciò non esclude che il suo contenuto« possa essere considerato come materialmente giurisdizionale », laddove permateria giurisdizionale si intenda la « dichiarazione del diritto » (15): lo iusdicere, appunto. Il nucleo essenziale di questa tesi, dunque, raffigura l’autotu-tela, da un lato, come attività amministrativa in senso pieno, giacché sussistequella cura dell’interesse di parte che è tipica dell’amministrare; dall’altro, comeattività paragiurisdizionale, sostitutiva dell’attività del giudice (16): proprio que-st’ultimo dato, peraltro, costituisce il trait d’union con l’analoga figura nel dirittoprivato (17).

(12) Il riferimento è ancora a F. BENVENUTI, voce Autotutela (diritto amministrativo),cit., il quale ha ricondotto la nozione nell’alveo di « quella parte di attività amministrativacon la quale la stessa pubblica amministrazione provvede a risolvere i conflitti, potenziali oattuali, insorgenti con altri soggetti, in relazione ai suoi provvedimenti od alle sue pretese »,cit. p. 539. All’Autore si deve l’articolazione dell’istituto nel noto schema: autotuteladecisoria — che a sua volta si articola in spontanea (nella quale si collocano annullamentid’ufficio e revoche), contenziosa (su ricorso degli interessati) e necessaria (nella qualerientrano controlli e sanzioni) — e autotutela esecutiva.

(13) La scelta di mettere a confronto l’esperienza amministrativa procedurale conquella processuale reca in sé profili di utilità per l’approdo ad una soluzione di doverositàdell’apertura — e della relativa conclusione — di procedimenti di autotutela a fronte diapposita istanza da parte dei privati. Questo approccio metodologico conduce a suggestiveconclusioni nello studio di M. MONTEDURO, Sul processo come schema di interpretazione delprocedimento: l’obbligo di provvedere su domande « inammissibili » o « manifestamenteinfondate », in Dir. amm., 2010, 1, p. 103 ss., il quale assume come punto di partenza dellasua indagine « l’identità di posizione, di fronte alla domanda del cittadino, tra giudice edamministrazione », cit. nota 1, p. 104, già rilevata in M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo,vol. II, Milano, 1970.

(14) Si v., in proposito, F. BENVENUTI, voce Autotutela (diritto amministrativo), cit.; G.CORAGGIO, voce Autotutela (diritto amministrativo), in Enc. giur. it., vol. IV, Roma, 1988.

(15) F. BENVENUTI, voce Autotutela (diritto amministrativo), cit. p. 539.(16) Così, G. CORAGGIO, voce Autotutela (diritto amministrativo), cit.(17) In ambito civilistico, afferma il carattere della paragiurisdizionalità dell’autotu-

tela, nel senso di strumento ordinato alla « composizione della lite », E. BETTI, voceAutotutela (diritto privato), in Enc. dir., vol. IV, Milano, 1959, p. 529 ss.. Il Maestro teorizza,accanto all’autotutela esecutiva o unilaterale — che si compendia nelle più tradizionaliipotesi di legittima difesa, stato di necessità e diritto di ritenzione — un’autotutela conven-zionale o consensuale — che, a differenza della prima, si basa sul consenso delle parti, e haora funzione di accertamento (arbitrato, confessione stragiudiziale, inventario), ora diesecuzione (cessione dei beni ai creditori, anticresi), ora costitutiva di garanzie con funzione

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Sulla scorta di quanto premesso si pensi al provvedimento amministrativo,che non è altro che una regolazione specifica di una fattispecie, sia esso emanatod’ufficio o su istanza di parte: la p.a., cioè, in un sol tempo, persegue l’interessepubblico e applica una regola di diritto al caso di specie (18). Se quel provve-dimento è illegittimo, il privato che intenda dolersene ha due possibilità:ricorrere al giudice amministrativo entro il termine di legge o continuare adialogare con la p.a., presentando motivata istanza di annullamento in autotu-tela.

Nel primo caso, qualora il giudice ravvisi che effettivamente quell’atto ècontra legem, lo annullerà senza operare altre valutazioni.

Nel secondo caso, invece, l’Amministrazione ricevente si trova nell’ambi-gua e conflittuale posizione di « giudice di se stessa »: quale delle due dimensionideve prevalere? Quella dell’applicazione del diritto o quella della tutela dell’in-teresse pubblico (19)? In altre parole, l’Amministrazione ha l’obbligo di prov-vedere alla verifica della corretta applicazione della regola di diritto al casoconcreto, oppure può limitarsi a restar ferma sulle proprie posizioni di rappre-sentanza di un interesse, restando silente? Qui soccorre la torsione ordinamen-tale per l’applicazione dell’istituto, che conduce a non pochi problemi, nono-stante il chiaro dettato della sentenza in commento.

Ad oggi, invero, l’autotutela è ancora qualificata tanto come dovere, tantocome potere: nessuno dei due inquadramenti, tuttavia, si sottrae a rilievi critici.

Nel primo caso, infatti, si configurerebbe un’elusione dei termini impugna-

cautelare (pegno, clausola penale) — con la conseguenza che, per quanto riguarda laseconda categoria di atti di autotutela, egli si pone il dubbio della loro confondibilità con gliatti di autonomia privata più genericamente volti alla tutela di interessi. Secondo G.CORAGGIO, voce Autotutela (diritto amministrativo), cit., peraltro, non esisterebbe unaeffettiva linea di demarcazione tra atti di autotutela e atti di autonomia privata, perché inogni caso il privato pone in essere negozi e in ogni caso vi è una volontà di disposizione dellesituazioni soggettive. Ciò implica che, se anche è vero che gli effetti che si riconnettono adalcuni atti di autotutela sono assimilabili a quelli delle sentenze, strutturalmente non sarebbepossibile individuare differenze sostanziali con gli altri atti di autonomia « poiché accanto almomento della conoscenza non può non esservi quello della volontà », cit. p. 3; secondol’Autore, le medesime considerazioni valgono per il diritto amministrativo, cosicché gli attidi autotutela, pur avendo effetti di « dichiarazione del diritto », secondo l’insegnamento diBenvenuti, si risolvono pur sempre in atti amministrativi che sono espressione di una volontàdi gestione dell’interesse pubblico. Sugli atti di autotutela privata, v. anche L. BIGLIAZZI GERI,voce Autotutela (diritto civile), in Enc. giur. it., vol. IV, Roma, 1988, la quale ne dà, invece,una lettura più restrittiva, tesa ad espungere dal novero degli stessi gli atti di autonomiaprivata — che escludono l’immediatezza propria degli strumenti di vera autotutela — inquanto « quel che conta è, comunque, la lesione (in senso lato) di un interesse giuridica-mente rilevante », cit. p. 1. Questa lettura, peraltro, implicherebbe che non si possanoaccostare autotutela privata e autotutela amministrativa, dato che la seconda presenterebbeconfini ben più ampi e generici, capaci di ricomprendere fattispecie fra loro completamentediverse nei presupposti e negli scopi, molti dei quali non rientranti nei confini della prima.

(18) P. GASPARRI, Corso di diritto amministrativo. Vol. II. La funzione amministrativa,Padova, 1964, p. 101 ss., connota il provvedimento amministrativo in generale di una certa« giurisdizionalità », riferendosi ad esso come una « pronuncia », la quale ha sempre uncontenuto di « giudizio ».

(19) È la domanda che si pone anche B.G. MATTARELLA, Il principio di legalità el’autotutela amministrativa, cit., dalla quale scaturisce la seconda: « quelli dell’amministra-zione, che agisce in via di autotutela, sono poteri o obblighi? », cit. p. 7.

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tori decadenziali (20), con conseguente violazione del principio della certezzadel diritto: pertanto, si esclude che sussista un generico obbligo di provvedere aduna istanza di annullamento in autotutela, e pur tuttavia questa soluzione paredissonante con i principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97Cost., ai sensi dei quali — in linea con il principio di doverosa attenzionedell’Amministrazione verso ogni istanza — la p.a. dovrebbe procedere quanto-meno ad una sommaria delibazione sulla richiesta di riesame (21).

Nel secondo caso, viceversa, si finirebbe per ammettere che l’Amministra-zione gode di un potere sostanzialmente inesauribile nel farsi portatrice dell’in-teresse pubblico, in nome del quale sarebbe libera di riconsiderare o meno ilprecetto contenuto nel suo provvedimento o, nel farlo, sarebbe nelle condizionidi potervi provvedere quando e come vuole, poiché detta operazione nonrientrerebbe altro che nella sua normale attività (22): non si darebbe più, in altreparole, un generico potere di autotutela, ma semplicemente un nuovo modulo diamministrazione attiva (23).

Non manca, peraltro, chi si colloca al di fuori di entrambe le aree sud-dette (24).

(20) L’intervento, allora, sarebbe coercibile con un ricorso avverso il silenzio del-l’Amministrazione ex art. 117 c.p.a., d. lgs. n. 104/’10: soluzione, questa, fermamente esclusadalla sentenza in commento e dalla giurisprudenza in essa richiamata, in quanto « taledivieto trova il proprio fondamento nell’esigenza di evitare il superamento della regola dellanecessaria impugnazione dell’atto amministrativo nel termine di decadenza ».

(21) Questa la tesi di G. MORBIDELLI ne Il tempo del procedimento, in V. CERULLI IRELLI

(a cura di), La disciplina generale dell’azione amministrativa, Napoli, 2006, p. 121 ss.. Il piùgenerale principio di doverosità dell’azione amministrativa, integrato con le regole diragionevolezza e buona fede, conduce all’assunto secondo cui l’Amministrazione nondovrebbe essere obbligata a provvedere solo nei casi di istanze « tipizzate » dalla legge, maanche in « fattispecie ulteriori nelle quali ragioni di giustizia e di equità impongonol’adozione di un provvedimento », quale può essere, eventualmente, un’istanza di annulla-mento in autotutela (ipotesi tradizionalmente non « tipizzata »): cfr. Cons. Stato, VI, 11maggio 2007, n. 231, in www.dejure.giuffre.it.

(22) F. TRIMARCHI BANFI, L’annullamento d’ufficio e l’affidamento del cittadino, in Dir.amm., 2005, 5, p. 843 ss., ritiene che il potere di autotutela sia nettamente discrezionale,inquadrabile nella funzione di amministrazione attiva: questa natura sarebbe impostadall’esistenza dell’affidamento del privato destinatario del provvedimento (illegittimo) diprimo grado, senza il quale l’Amministrazione sarebbe tenuta senza esitazione ad annullarlo.

(23) L’antitesi tra questi due moduli, peraltro, sembrerebbe fare capo a due diversetradizioni giuridiche. La prima — che connota il modello di doverosità — risiederebbe inFrancia, ordinamento nel quale il riesame del provvedimento assume funzione paragiuri-sdizionale e nel quale, dunque, l’impugnativa giudiziale e quella amministrativa convergonoverso il medesimo obiettivo di puro e semplice ripristino della legalità violata. Viceversa, laseconda — che assimila il riesame all’amministrazione attiva, svincolandolo così da ognidoverosità — farebbe capo all’Italia e alla Germania, ordinamenti nei quali, oltre all’ille-gittimità del provvedimento, si richiede un interesse pubblico attuale e concreto al suoannullamento. V. in proposito A. CASSATELLA, Una nuova ipotesi di annullamento doveroso?,nota a TRGA Trento, I, 16 dicembre 2009, n. 305, in questa Rivista TAR, 2010, 3, p. 810 ss.; lastessa sentenza è commentata da L.M. CARUSO, Potere di autotutela, principio di affidamentoe discrezionalità della pubblica Amministrazione, in Giur. merito, 2010, 5, p. 1408 ss., nonchéda G. MANFREDI, Doverosità dell’annullamento vs. annullamento doveroso, in Dir. proc.amm., 2011, 1, p. 316 ss.

(24) E. CANNADA BARTOLI, Annullamento e annullabilità, in Enc. dir., vol. II, Milano,1958, p. 484 ss., ritiene che l’annullamento sia un atto non doveroso, né discrezionale, bensì

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Si potrebbe pensare, allora, ad una opzione mediana. Dato che la p.a. ha insé quelle dimensioni inscindibili di organo di applicazione del diritto e allo stessotempo di tutela dell’interesse pubblico, quello dell’autotutela sarebbe un potere« a esercizio doveroso » (25). Non v’è, infatti, chi non abbia fatto rientrarel’autoannullamento nell’ipotesi di procedimento « ad emanazione vinco-lata » (26). In questo modo, vengono in rilievo tanto la dimensione del « do-vere », tanto quella del « potere » amministrativo (27). Si tratta, tuttavia, di unasoluzione del tutto eccezionale, nel panorama che sostiene la piena discrezio-nalità amministrativa nel procedere o meno all’autotutela e che, tradizional-mente, fa prevalere la dimensione del « potere » su quella del « dovere ».

È per questo motivo, d’altronde, che, se il giudice amministrativo, nelpronunciarsi sull’impugnazione di un provvedimento illegittimo, deve annul-

meramente facoltativo, in ragione di un interesse dell’Amministrazione stessa, che nonavrebbe bisogno di giustificazione relativamente ad altri interessi.

(25) Così, B.G. MATTARELLA, Il principio di legalità e l’autotutela amministrativa, cit.,secondo il quale « la componente del potere e quella dell’obbligo coesistono in tutti i poteriamministrativi », cit. p. 7.

(26) Così TAR Lazio, Roma, II, 20 aprile 2006, n. 2883, in www.giustizia-amministra-tiva.it. La pronuncia si distingue per aver inquadrato il procedimento di autotutela come « ademanazione vincolata » quando l’istanza provenga da un soggetto titolare di un interesselegittimo volto al ripristino della legalità violata da parte del primo atto (fattispecie relativaall’annullamento doveroso dell’aggiudicazione di una gara d’appalto viziata da nullità): « lap.a. non ha l’obbligo di pronunciarsi sull’atto di diffida del privato finalizzato all’adozione diun provvedimento di annullamento d’ufficio, stante l’ampia discrezionalità che connotal’esercizio del potere di autotutela; tuttavia, tale principio non può trovare applicazioneallorquando la p.a. sia tenuta a svolgere un’attività di contenuto sì discrezionale, ma ademanazione vincolata, sicché il silenzio-rifiuto dell’amministrazione non esprime semplice-mente un mero inadempimento, come accade per l’attività discrezionale, bensì assumevalore di vero e proprio atto di diniego ».

(27) La scelta di parlare di « dovere » prima ancora che di « potere » non è casuale.Già nella concezione più tradizionale, risalente a F. BENVENUTI, Funzione amministrativa,procedimento, processo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1952, p. 118 ss., il potere amministrativo ètipicamente funzionalizzato, nel senso che ogni atto endoprocedimentale è teleologicamenteorientato al raggiungimento dell’interesse pubblico nella sua comparazione con gli interessisecondari e trova la ragione del suo svolgersi proprio in questo fine. Le successive tappedottrinali — cfr. G. ROSSI, Principi di diritto amministrativo, Torino, 2010, e anche F.GOGGIAMANI, La doverosità della pubblica amministrazione, Torino, 2005 — hanno, poi,valorizzato la componente del « dovere » rispetto a quella del « potere », ribaltando la logicadel « potere-dovere » in quella del « dovere-potere », nel senso che l’Amministrazione godedi un potere legislativamente preordinato esclusivamente per l’adempimento di un dovere,e non viceversa. Il potere è servente rispetto al dovere, e ciò — contrariamente a quantosostenuto dalla maggior parte della dottrina e della giurisprudenza — è verificabile proprioin seno al potere di autotutela: alla p.a. il legislatore ha attribuito il potere di ritirare i propriatti dall’ordinamento in attuazione di un dovere di ripristino della legalità e di attuazione diinteressi pubblici in ossequio ai principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità dicui all’art. 97 Cost. Come afferma G. ROSSI, Diritto amministrativo. Principi, Milano, 2005, ildovere di perseguire il pubblico interesse è causa del potere concesso all’Amministrazioneche per la realizzazione di quel fine deve esercitarlo; e ancora: « dalla esatta configurazionedel dovere come causa, fine e misura del potere conferito deriva una conformazione elimitazione di questo e l’amministrazione più che detentrice di un potere vincolato nel finepuò dirsi, piuttosto, obbligata da un dovere eventualmente potestativo nel mezzo », cit. p.122-123.

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larlo, a tanto non è obbligata la p.a., chiamata, invece, nell’ipotesi analoga, avalutare l’incidenza di una seconda variabile rispetto al ripristino della legalitàviolata: la sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all’annulla-mento del suo provvedimento (28). Ed è per questo stesso motivo che, ad oggi,se essa non ravvisa nell’istanza di autotutela un apprezzabile interesse pubblicoconcreto ed attuale all’annullamento del provvedimento ormai inoppugnabile,essa è libera — pur nella illegittimità dello stesso — di lasciarlo in vitanell’ordinamento. E questa è la soluzione supportata dalla pronuncia in com-mento: questa scelta è libera, discrezionale ed insindacabile. Questa scelta è nel« potere » dell’Amministrazione.

Tuttavia, il sistema in questo modo entra in impasse: dato lo stesso presup-posto (l’illegittimità del provvedimento amministrativo), le conseguenze pos-sono giungere anche ad essere opposte (annullamento contra — addirittura —silenzio) a seconda del soggetto cui ci si rivolge (giudice contra p.a.).

3. L’autotutela nella l. n. 241/’90.

Come uscirne, allora? Sul punto, non vi è univocità di vedute. La via che cisi propone di seguire è quella di provare ad avvicinare l’amministrare (29) alloius dicere, seguendo i percorsi giurisprudenziali e dottrinari che vedono nel-l’operato della p.a. una imprescindibile — se non, addirittura, quantitativamenteprevalente — componente di doverosità, assimilando la posizione dell’Ammi-nistrazione destinataria dell’istanza di annullamento in autotutela a quella delgiudice amministrativo, investito della domanda di annullamento giurisdizio-nale (30).

Necessario è, però, analizzare il parametro normativo di riferimento, che,tuttavia — lo si dice già da ora — non riesce di per sé a sciogliere i nodifondamentali del problema, provocando un effetto di valutazione caso per caso,

(28) Ex multis, TAR Campania, Napoli, V, 15 ottobre 2010, n. 19651; TAR Puglia,Lecce, I, 7 settembre 2010, n. 1937; Cons. Stato, IV, 3 agosto 2010, n. 5112; Cons. Stato, VI,9 febbraio 2009, n. 717, in www.giustizia-amministrativa.it. Per B.G. MATTARELLA, Il principiodi legalità e l’autotutela amministrativa, cit., la dimensione della tutela dell’interesse pubblicoassume carattere recessivo rispetto a quella dell’applicazione del diritto e, quindi, dell’ob-bligo di provvedere: « lo dimostra chiaramente l’istituto dell’annullamento d’ufficio, che haper presupposto non solo l’esistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale, ma anchel’illegittimità del provvedimento: l’esigenza di restaurazione dell’ordine giuridico violatoconsente di produrre effetti altrimenti irraggiungibili », cit. p. 7.

(29) L’espressione « amministrare » in senso forte è ripresa da S. SPUNTARELLI, Ilprincipio di legalità e il criterio di imparzialità nell’amministrare, in Dir. amm., 2008, 1, p. 223ss., la quale, tuttavia, lo usa in una accezione differente e più specifica, per « sottolinearel’inesistenza nell’ordinamento nazionale di una specificità ontologica dell’attività ammini-strativa alla quale corrispondano soggetti e forme « per natura » amministrative », di modoche possa estendersi anche ai soggetti privati investiti di compiti pubblici il rispetto deiprincipi che regolano l’agire amministrativo.

(30) L’approccio trova conforto anche nell’assunto di M. MONTEDURO, Sul processocome schema di interpretazione del procedimento, cit., secondo il quale « procedimento » e« processo » sono species riconducibili all’unico genus di « procedura ». L’Autore, nell’ope-rare il raffronto tra questi due poli, non si esime da una puntuale distinzione tra i lemmi« istanza » e « domanda » — estendendo l’analisi anche a categorie affini — e le relativeripercussioni sulle procedure prese in esame, cfr. p. 114 ss.

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senza una regola generale che sia in grado di guidare con sicurezza l’interpretenella vicenda dell’autotutela (31).

V’è di vero che — prima del 2005 — l’ordinamento non conosceva alcunanorma che concernesse l’istituto dell’autotutela: i caratteri fino a quel momentonoti (primo fra tutti, il potere discrezionale della p.a., la quale è tenuta avalutare, ai fini dell’annullamento dell’atto, oltre all’illegittimità dello stesso,anche la sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto) erano dicreazione giurisprudenziale.

Con la l. n. 15/’05 di riforma della l. n. 241/’90 il legislatore ha finalmenteintrodotto norme disciplinanti l’istituto dell’autotutela nelle sue due principalideclinazioni: il potere di autoannullamento e quello di revoca dell’atto ammi-nistrativo (32).

Il risultato, tuttavia, non è stato salutato come la soluzione agli intricatiproblemi di cui s’è detto (33): piuttosto, ha avuto il sapore di un’occasionemancata. Ma era forse il miglior risultato raggiungibile date le premesse storicheda cui si è partiti.

3.1. Art. 21-nonies: l’annullamento d’ufficio.

Due le ragioni che conducono all’esame dell’annullamento d’ufficio (34)prima della revoca, a dispetto dell’ordine numerico impresso dal legislatore allenorme: anzitutto, l’autoannullamento costituisce l’ipotesi-principe dell’autotu-tela, poiché trova il suo principale presupposto nell’illegittimità del provvedi-mento amministrativo e, quindi, i suoi caratteri sono più facilmente raffrontabili

(31) Sul punto, cfr. M.T.P. CAPUTI JAMBRENGHI, Il principio del legittimo affidamento,in M. RENNA, F. SAITTA (a cura di), Studi sui principi del diritto amministrativo, Milano, 2012,p. 159 ss., la quale afferma che « non sembra che le riflessioni del giudice amministrativo intema di doverosità dell’esercizio dell’autotutela siano giunte alla individuazione di unaregola univoca, posto che spesso si procede sul tema seguendo un metodo « case by case » »,cit. p. 176.

(32) Per una disamina dei provvedimenti di autotutela qui considerati, cfr. M. IMMOR-DINO, I provvedimenti amministrativi di secondo grado, in F.G. SCOCA (a cura di), Dirittoamministrativo, Torino, 2008, p. 314 ss.; si v. anche, riguardo al profilo procedimentale diapplicazione degli artt. 21-quinquies e 21-nonies, F. COSTANTINO, Contrarius actus e compe-tenza ad adottare il provvedimento di annullamento d’ufficio di un atto viziato da incompe-tenza alla luce della l. n. 15 del 2005, nota a Cons. Stato, V, 20 febbraio 2006, n. 701, in questaRivista, 2006, 6, p. 1839 ss.

(33) F. SATTA, La riforma della legge 241/90: dubbi e perplessità, in www.giustamm.it.(34) Sulla figura dell’annullamento e sul suo rapporto con la revoca, v. S. ROMANO,

Teoria dell’annullamento nel diritto amministrativo, ora in ID., Scritti minori, Milano, 1990, p.387 ss.. In merito all’annullamento d’ufficio, il Maestro afferma che esso è « di regola »facoltativo e viene qualificato come un atto di autotutela: « ciò è esatto, purché si intenda insenso che non ingeneri degli equivoci, riavvicinando più di quanto non sia giusto l’annulla-mento di cui è parola a quello che abbiamo detto di giustizia [e cioè quello pronunciato inseguito al ricorso dell’interessato], e, viceversa, contrapponendolo non adeguatamenteall’altro che è pronunciato da un ente diverso a meri fini di controllo », cit. p. 392. Taleprecisazione, secondo G. CORAGGIO, voce Autotutela (diritto amministrativo), cit., si è resanecessaria per sottolineare la neutralità dell’effetto di « annullamento », tale da renderloutilizzabile nelle varie branche del diritto, lasciando impregiudicate la natura e la strutturadegli atti e dei procedimenti ai quali accede, cosicché solo da questi ultimi si può desumereuna sistematica per categorie sostanziali, altrimenti non individuabile, cfr. p. 8.

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con quanto succede, parallelamente, nel mondo delle impugnazioni giurisdizio-nali; in secondo luogo, l’art. 21-nonies (35) ha creato, per via della sua estremagenericità (36), non pochi problemi all’interprete che, di fatto, continua arapportarsi con l’autotutela nello stesso modo in cui lo faceva ante 2005, comenulla fosse cambiato.

Si è detto più sopra che, nel caso in cui venga impugnato dinanzi al giudiceamministrativo un provvedimento adottato contra legem, questi, ravvisandonel’illegittimità, deve annullarlo e rimuoverne gli effetti nell’ordinamento. Ilmeccanismo è automatico: dall’illegittimità discende l’obbligo di annullare giu-dizialmente il provvedimento.

Viceversa, il sistema dell’autotutela amministrativa — si è detto ancora —dato che a pronunciarsi sulla richiesta di annullamento è chiamata la p.a. stessa,consente un certo spatium deliberandi mediante l’inserimento della variabiledell’apprezzamento dell’interesse pubblico attuale e concreto a che quel prov-vedimento venga rimosso dall’ordinamento (37).

Questa possibilità prevista per la p.a. tende ad allontanare l’annullamentodall’ambito degli atti di autotutela — intesa come tutela della legalità — peravvicinarlo agli atti di autonomia privata, di modo che l’Amministrazione —piuttosto che al ripristino dell’ordinamento giuridico violato col suo provvedi-mento illegittimo — sarebbe semplicemente chiamata a rimodulare la gestionedell’interesse pubblico in vista delle esigenze di volta in volta emergenti (38).

Il trittico « illegittimità — interesse pubblico — annullamento », così comecreato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, è stato dunque trasfuso dal legisla-tore nell’art. 21-nonies, norma che, di conseguenza, contrariamente a quantoaccade dinanzi al giudice, « rifugge ogni automatismo » (39).

La norma richiede, peraltro — e neanche questa è una novità — chel’interesse pubblico all’annullamento sia attuale (cioè non meramente poten-

(35) Si riporta per comodità di lettura il contenuto della norma: « 1. Il provvedimentoamministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies può essere annullato d’ufficio,sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo contodegli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovveroda altro organo previsto dalla legge. 2. È fatta salva la possibilità di convalida del provve-dimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termineragionevole ».

(36) F. SATTA, La riforma della legge 241/90, cit., sottolinea il carattere confuso egeneralissimo della norma, osservando che « quali criteri abbiano guidato il legislatore nonè dato capire ».

(37) Sulla retroattività dell’annullamento e sui suoi limiti, v. S. ROMANO, Teoriadell’annullamento, cit., spec. p. 395-396.

(38) Secondo G. CORAGGIO, voce Autotutela (diritto amministrativo), cit., l’assimila-zione degli atti di autotutela amministrativa agli atti di autonomia privata « sottolinea lafunzione di amministrazione attiva che è propria di questi atti » e, nonostante essa siaautorevolmente contestata, non sarebbe dubitabile — specie nel caso di vizi di merito delprovvedimento — la necessità della sussistenza di un interesse pubblico attuale all’annulla-mento, « senza che da ciò si traggano le conclusioni necessarie e cioè che l’« inopportunitàoriginaria » come l’originaria contrarietà al diritto costituiscono un presupposto necessarioma non l’essenza dell’atto, la cui vera funzione è nella piena soddisfazione dell’interessepubblico attuale attraverso una rinnovazione della gestione, e che in questo dato si manifestal’eccezionalità del fenomeno rispetto ai poteri di diritto privato », cit. p. 4.

(39) Così, TAR Campania, Napoli, VII, 7 maggio 2008, n. 3511, in www.giustizia-amministrativa.it.

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ziale, né tanto meno passato) e concreto (cioè la rimozione dell’atto dal mondogiuridico deve condurre a vantaggi sostanziali) (40).

In particolare, l’attualità dell’interesse pubblico richiesta dalla norma for-nisce l’aggancio per un ulteriore apprezzamento lasciato alla discrezionalitàdell’Amministrazione: il termine entro cui si può procedere all’autoannulla-mento. Si inserisce, cioè, oltre all’illegittimità del provvedimento e alla sussi-stenza dell’interesse pubblico alla sua rimozione, una terza variabile di valuta-zione: il fattore temporale.

Il tempo, nella vicenda dell’autotutela, ha un ruolo-chiave: esso agisce come« fattore di condizionamento » (41) del potere amministrativo.

La richiesta dell’attualità dell’interesse pubblico all’annullamento, infatti,trova la sua naturale origine nel fatto che l’intervento amministrativo in via diautotutela non è soggetto a termini decadenziali, come invece accade per leimpugnazioni giurisdizionali.

Al giudice amministrativo è preclusa qualunque valutazione di opportunitàdell’annullamento dell’atto illegittimo e — a conti fatti — non potrebbe esserealtrimenti, poiché il suo intervento può essere richiesto dal cittadino ricorrentesolo ed esclusivamente entro rigorosi termini impugnatori, decorsi i quali il suopotere di adire l’autorità giudiziaria è completamente castrato: la certezza e laristrettezza del termine di impugnazione di un atto amministrativo in viagiudiziale (60 gg.) garantirebbero, di per sé, l’attualità dell’interesse all’annul-lamento e contribuirebbero a escludere, di conseguenza, l’apprezzamento daparte del giudice di ragioni per procedere all’intervento cassatorio ulterioririspetto alla mera illegittimità del provvedimento (42).

Viceversa, nell’ipotesi di autotutela amministrativa, il fattore temporalenon avrebbe un ruolo nettamente inibitorio del potere amministrativo di ripen-sare la propria attività — anche perché non ci sono termini decadenziali, perprocedervi — ma, appunto, di « condizionamento » dello stesso.

In altri termini, il fluire del tempo dall’adozione del provvedimento illegit-timo comporta che l’ordinamento richieda, per l’annullamento in via ammini-strativa di quella misura, l’emersione di un interesse pubblico sempre più forte,attuale e concreto, ulteriore rispetto al mero ripristino della legalità violata.

(40) Cfr. F. BENVENUTI, voce Autotutela (diritto amministrativo), cit., secondo cui« l’esercizio del potere di autotutela spontanea è condizionato alla sussistenza di un interessepubblico, perché in tal modo si viene a dire che con l’esercizio di quel potere non si tendené alla restaurazione obiettiva dell’ordine giuridico violato né alla soddisfazione di quegliinteressi che il legislatore ha ritenuto degni di tutela attraverso la disciplina di una materia,ma che esso tende, come ogni altro atto amministrativo, a soddisfare un interesse concretoed immediato dell’amministrazione. In altre parole, cioè, si viene a dire che anche l’atto diautotutela deve essere giustificato dalla soddisfazione di un particolare interesse, diverso siada quello dell’atto che ne è oggetto, sia da quello che attiene più genericamente all’ammin-istrazione, e che ne costituisce infatti la causa propria », cit. p. 544.

(41) Così, F. CARINGELLA, Affidamento e autotutela: la strana coppia, Intervento alconvengo tenuto a Palazzo Spada il 20 ottobre 2007 in occasione della presentazione delTrattato di diritto amministrativo europeo, M.P. CHITI, G. GRECO (a cura di), in www.giustizia-amministrativa.it.

(42) Sul versante sostanziale, di opinione contraria circa la correlazione tra il termine« ragionevole » per procedere all’annullamento e l’« attualità » dell’interesse pubblico è S.D’ANCONA, Termine ragionevole nell’annullamento d’ufficio: riflessioni in tema di effettivitàdella tutela, in questa Rivista TAR, 2008, 5, p. 1521 ss.

CONSIGLIO DI STATO 2957

Ciò perché, a fare da controlimite al potere dell’Amministrazione, opera unquarto fattore: l’affidamento (43) che i privati — controinteressati all’annulla-mento — avevano riposto nel provvedimento (44).

L’assenza di un termine decadenziale vero e proprio perché la p.a. possaprocedere all’autoannullamento esclude, infatti, che l’approccio al tema dell’au-totutela possa avvenire in una « two steps analysis, ossia in funzione di unavalutazione disaggregata del rispetto del tempo e dello scrutinio comparativodegli interessi » (45): si deve escludere, cioè, che, decorso il termine, l’Ammi-nistrazione non debba procedere alla valutazione dell’affidamento dei privati e,dunque, allo scrutinio tra l’interesse pubblico e quelli privati, perché priva delpotere di annullare.

Ciò per una ragione semplicissima: un termine vero e proprio non esiste. Loha confermato, a seguito delle elaborazioni giurisprudenziali, proprio il legisla-tore del 2005, il quale si è limitato a dire che il provvedimento illegittimo puòessere annullato dall’Amministrazione, sussistendone le ragioni di interessepubblico, « entro un termine ragionevole ».

Egli, cioè, ha rimesso alla p.a. il potere di autoannullare il proprio attosecondo un giudizio di ragionevolezza: la terminologia è quanto mai indetermi-nata e non si può attribuire una funzione di « mannaia » del potere amministra-tivo a un fattore temporale assolutamente indefinito.

Preferibile (anzi, obbligatorio, si potrebbe dire) dare rilievo all’approcciodel « one step analysis », nel quale il tempo non vive di vita propria, erodendo ilpotere di per sé, ma si correla — come una sorta di cerniera — all’interessepubblico da un lato e agli interessi privati dall’altro, condizionando l’eserciziodell’autotutela: per dirla con altre parole, « il decorso del tempo consolidaprogressivamente l’affidamento e rende in proporzione necessario, al fine di

(43) Sul punto, cfr. M.T.P. CAPUTI JAMBRENGHI, Il principio del legittimo affidamento,cit., secondo la quale « il tempo che intercorre tra il provvedimento attributivo di vantaggie la sua revoca o il suo annullamento d’ufficio [...] rileva ai fini del riconoscimento della baseaffidante e della conseguente lesione dell’affidamento. [...] Il fattore temporale, quindi,finisce per rilevare come criterio-limite di ponderazione degli interessi in gioco, da effet-tuarsi caso per caso secondo canoni di ragionevolezza, sfuggendo a parametri certi dipredeterminazione, sulla base dei quali poter valutare la meritevolezza dell’affidamento »,cit. p. 169-170.

(44) Per un’interessante disamina sul legittimo affidamento in Europa, si v. D.CORLETTO, Provvedimenti di secondo grado e tutela dell’affidamento, in ID. (a cura di),Provvedimenti di secondo grado e tutela dell’affidamento in Europa, Padova, 2007, p. 1 ss., ein www.univr.it. L’Autore passa in rassegna le diverse cause di emersione del legittimoaffidamento, così come isolate dalla giurisprudenza comunitaria. Secondo una prima lettura,l’affidamento potrebbe ingenerarsi già dalla sola venuta ad esistenza del provvedimentoamministrativo, che godrebbe della presunzione di legittimità: in tal senso, si v. CGCE,sentenza 26 febbraio 1987, in C-15/85, Consorzio Cooperative d’Abruzzo c. Commissione.Secondo un’altra impostazione sarebbe invece il concreto atteggiarsi dell’Amministrazionea ingenerare « fondate speranze » nel privato: in tal senso, si v. Trib. CE, sentenza 21 luglio1998, in cause T-66/96 e T-221/97, Mellett c. Cour de justice. Analogamente, si v. ancheCGCE, sentenza 19 maggio 1983, in C-289/81, Vassilis Mavridis c. Parlamento europeo. Ilcomportamento capace di ingenerare affidamento può consistere anche in un’inerzia colle-gabile alla mancata adozione di un atto sfavorevole al privato: cfr. CGCE, sentenza 1 ottobre1987, in C-84/85, Regno Unito c. Commissione. Tutte le sentenze sono in curia.europa.eu.

(45) F. CARINGELLA, Affidamento e autotutela, cit.

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giustificarne la frustration, l’emersione di un interesse pubblico correlativamentepiù spesso » (46).

Il terzo e il quarto fattore, dunque, considerati insieme, sarebbero tesi aimbrigliare il potere dell’Amministrazione, la quale, oltre alla considerazionedell’interesse pubblico all’annullamento dell’atto illegittimo, è tenuta a operareun contemperamento di questo con gli interessi dei destinatari del provvedi-mento e dei controinteressati allo stesso, in ragione del tempo trascorso dal-l’adozione dell’atto oggetto dell’istanza di riesame.

I quattro presupposti per annullare un provvedimento in via di autotutela,dunque, come enucleati in via pretoria prima del 2005, sono stati semplicementetrasfusi da un legislatore piuttosto « pigro » nella norma di riferimento evengono a tutt’oggi confermati dalle pronunce giurisprudenziali (47).

È evidente, allora, che i nodi problematici dell’autotutela non sono statiaffatto risolti: il legislatore si è affidato a concetti giuridici indeterminati la-sciando, di fatto, alla p.a. un ampio margine di discrezionalità sia in relazionealla valutazione dell’interesse pubblico, sia in relazione al contemperamento congli interessi privati. L’interprete è ancora costretto a ragionare secondo la logicadel « caso per caso », in assenza di parametrazioni del potere a dati oggettivi.

3.2. Art. 21-quinquies: la revoca.

L’istituto della revoca, a differenza dell’annullamento d’ufficio, non hanulla a che vedere con il ripristino della legalità violata: esso, infatti, nonpresuppone l’illegittimità dell’atto (48).

Per questa ragione, la revoca ha caratteri piuttosto differenti rispettoall’annullamento in via di autotutela: primo fra tutti, la irretroattività. Se, infatti,l’istituto di cui all’art. 21-nonies, concernendo provvedimenti contra legem, miraa rimuoverli dal mondo giuridico come se non fossero mai stati emanati (edunque con efficacia ex tunc), viceversa, la revoca presuppone che l’atto revo-cando sia perfettamente legittimo e che, pertanto, esso debba essere ritirato permotivi sopravvenuti, che possono comportarne anche la mera inopportunità. Larevoca, dunque, ha efficacia ex nunc e, per via di questi suoi caratteri, ètradizionalmente applicabile agli atti amministrativi ad efficacia durevole (49).

Dati questi presupposti, fare un parallelo di questo istituto con i poteri delgiudice amministrativo rischierebbe di farne venire a galla gli aspetti antidemo-cratici e di puro privilegio che, evidentemente, sono concessi all’Amministra-zione, detentrice di uno jus pœnitendi che non è certo nella disponibilità

(46) Così, F. CARINGELLA, Affidamento e autotutela, cit.(47) Cfr., ex multis, Cons. Stato, V, 7 aprile 2010, n. 1946, in www.dejure.giuffre.it: « ai

sensi dell’art. 21-nonies, l. 7 agosto 1990 n. 241, condizioni per l’esercizio in autotutela daparte dell’Amministrazione del potere di annullamento d’ufficio sono: a) l’illegittimitàdell’atto amministrativo; b) la sussistenza di ragioni di interesse pubblico; c) l’esercizio delpotere entro un termine ragionevole; d) la valutazione degli interessi dei destinatari e deicontrointeressati rispetto all’atto da rimuovere ».

(48) Per questo motivo, B.G. MATTARELLA, Il principio di legalità e l’autotutelaamministrativa, cit., sostiene che « il suo tradizionale inquadramento nell’autotutela ammi-nistrativa, quindi, è alquanto abusivo », cit. p. 12.

(49) Salvo quanto si dirà in seguito circa una modifica normativa intervenuta sull’art.21-quinquies, che complica il quadro generale dell’istituto e la sua impostazione dogmatica.

CONSIGLIO DI STATO 2959

dell’autorità giudiziaria. Se, infatti, il provvedimento amministrativo applica unaregola di diritto ad una fattispecie concreta, similmente a quanto può fare unasentenza, nella piena legittimità di esso l’Amministrazione può « pentirsi » erevocarlo, eliminandolo dal mondo giuridico, fatti salvi gli effetti già prodotti,anche dopo anni (50).

Ancora una volta, ciò che un giudice non può fare, lo può fare l’Ammini-strazione e, si badi, senza neanche particolari briglie.

I presupposti per l’applicazione dell’istituto (51), infatti, sono limitati a treipotesi, progressivamente isolate dalla giurisprudenza: sopravvenienze di fatto,sopravvenienze di diritto, jus pœnitendi vero e proprio.

La p.a., in altre parole, è libera di revocare un provvedimento legittimoanzitutto nel caso in cui la situazione di fatto subisca delle modifiche e questorenda quell’atto non più rispondente all’interesse pubblico, evidentementediverso da quello originario.

In secondo luogo, il provvedimento può essere revocato nel caso di modificadelle norme sulle quali esso è basato o, comunque, norme disciplinanti quellaparticolare fattispecie: una sorta di illegittimità successiva (52), nei riguardi dellaquale la p.a. interviene salvando gli effetti prodotti dall’atto in costanza dilegittimità.

Infine — ed è questa l’ipotesi più pericolosa per la certezza del diritto el’affidamento dei privati, anche perché non c’è alcun correttivo specifico, néalcun parametro oggettivo — l’Amministrazione è libera di revocare un prov-vedimento semplicemente perché ci ha ripensato. La « diversa valutazione

(50) Se nell’annullamento d’ufficio il « termine ragionevole » sembra consegnare allap.a. le chiavi dell’applicazione dell’istituto, l’effetto è amplificato nell’ipotesi della revoca,nella quale il « termine » non esiste neanche in queste vesti di ragionevolezza.

(51) Anche questi di creazione pretoria, poi recepiti dal legislatore del 2005 e trasfusinel 21-quinquies, del quale si riporta il testo per comodità di lettura: « 1. Per sopravvenutimotivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o dinuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo adefficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero daaltro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimentorevocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggettidirettamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo.1-bis. Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida surapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati è parametratoal solo danno emergente e tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da partedei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interessepubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazionedella compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico ».

(52) Ha insegnato S. ROMANO, Teoria dell’annullamento, cit., che ai fini della distin-zione tra annullamento e revoca (sulla quale v. anche la successiva nota 54), non sarebbeessenziale discriminare tra originarietà o meno del vizio del provvedimento: secondo ilMaestro non si può aderire alla tesi per cui si annulla un atto a causa di un vizio originario,mentre lo si revoca quando, al momento della sua emanazione, esso sia valido, per poidivenire inopportuno. « Questa opinione appare praticamente esatta nella maggior parte deicasi, ma si rivela difettosa quando si pensa che l’invalidità di un atto può non essereoriginaria, ma posteriore alla sua formazione: siffatta invalidazione successiva, che è,generalmente e sin dal diritto romano, ammessa per i negozi privati, sembra che debbaaltresì ammettersi per gli atti amministrativi e non solo per ragioni di legittimità, ma anchedi merito », cit. p. 390.

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dell’interesse pubblico originario » di cui all’art. 21-quinquies, cioè, altro non èche la nuova veste dello jus pœnitendi e la legittimazione positiva del suoesercizio. Privilegio, questo, dagli esiti quasi devastanti — in assenza di bounda-ries — poiché corrispondente ad una posizione giuridica soggettiva che persinonel diritto privato trova limitatissimo spazio: il diritto potestativo (53).

Peraltro, la figura della revoca ha subito un’ulteriore estensione normativadei suoi confini nel 2007, con una riforma che ha alterato la linearità delladistinzione della stessa con l’annullamento d’ufficio.

Il comma 1-bis dell’art. 21-quinquies, infatti, consente la revoca anche degliatti a efficacia istantanea, implicitamente ammettendo l’efficacia retroattivadell’istituto, vestendone i presupposti in maniera in qualche modo assimilabileall’illegittimità (54).

L’ampiezza di poteri dell’Amministrazione nell’ambito della revoca —riconosciuta, invero, già prima della positivizzazione di quest’atto — ha indottoparte della dottrina finanche ad escluderla dal novero degli atti di autotu-tela (55).

Tuttavia, si deve almeno dare atto dell’introduzione in via normativa — daparte di quello stesso legislatore « pigro » del 2005 — di un correttivo all’eser-cizio così latamente discrezionale della revoca: l’obbligo dell’indennizzo delprivato, quando il suo legittimo affidamento sia stato leso (56).

(53) B.G. MATTARELLA, Il principio di legalità e l’autotutela amministrativa, cit., so-stiene, al contrario, che la revocabilità dell’atto amministrativo è una sorta di finto privilegio,perché anche nel diritto privato la revocabilità degli atti di svolgimento di funzioni è laregola: « la scienza giuridica, che all’inizio del Novecento costruì la teoria dell’atto ammi-nistrativo sulla falsariga di quella del contratto, atto bilaterale e non unilaterale, incorse,quindi, in un errore di prospettiva: invece di assimilare la revocabilità dell’atto amministra-tivo alla revocabilità dell’atto unilaterale privato, la contrappose all’irrevocabilità dell’ade-sione al contratto. Ciò che era normale sembrò così un privilegio », cit. p. 12.

(54) Secondo B.G. MATTARELLA, Il principio di legalità e l’autotutela amministrativa,cit., la norma « contempla l’ipotesi che la revoca sia dovuta a una contrarietà in qualchemodo « oggettiva » del provvedimento all’interesse pubblico, in quanto conoscibile dagliinteressati, situazione che sembra una via di mezzo tra illegittimità e merito. Normadeterminata da comprensibili e anche apprezzabili ragioni di interesse pubblico, ma piutto-sto mal scritta, che cancella qualche scaffale di biblioteca relativo alla distinzione traannullamento e revoca », cit. p. 13. Già S. ROMANO, Teoria dell’annullamento, cit., avevariconosciuto che la linea di demarcazione fra l’annullamento e la revoca, « molto netta intalune ipotesi, può in altre apparire sottilissima e non facilmente ravvisabile », cit. p. 390: ciòin quanto, se generalmente si fa ricondurre l’annullamento all’esistenza di vizi di legittimitàe la revoca all’esistenza di vizi di merito, il Maestro prospetta la possibilità che si facciaricorso all’annullamento anche per vizi di merito del provvedimento, purché essi siano talida invalidare l’atto in quanto non rispondente ai fini delle Amministrazioni.

(55) G. CORAGGIO, voce Autotutela (diritto amministrativo), cit., afferma che « non viè nulla in questi atti, dunque, che possa richiamare l’autotutela neanche in senso improprio:non un fine giustiziale, non un conflitto (a meno di non diluire fino a confonderlo con ilnaturale contrasto d’interessi che si agita in ogni scelta amministrativa), mentre predominal’esigenza di una buona amministrazione spinta fino al sacrificio di situazioni giuridicheprivate consolidate da tempo », cit. p. 5.

(56) Vi è indennizzo quando la revoca è legittima, ma non è illegittima la revocaquando non preveda contestualmente l’indennizzo al privato. Così, ex multis, Cons. Stato,VI, 17 marzo 2010, n. 1554, in www.dejure.giuffre.it: « è legittima la revoca di un provvedi-mento amministrativo nel caso in cui non sia stato contestualmente previsto un indennizzo,

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4. Principio di legalità e autotutela: un rapporto ambivalente.

Per un’analisi complessiva dell’autotutela e del suo atteggiarsi nell’ordina-mento non può prescindersi dal suo rapporto con il principio di legalità, cheinforma di sé tutta l’attività amministrativa in generale. Detto rapporto assumeuna prima connotazione, più intuibile, nel caso in cui si intenda il principio dilegalità in senso formale: la legge ha attribuito alla p.a. il potere di ritirare ipropri atti e, in forza di detta base legislativa, essa può emettere provvedimentidi secondo grado quali che essi siano (chiaramente, dettati dalle circostanze delcaso concreto), purché puntualmente previsti dal parametro legislativo (57).Diverso è, ovviamente, l’angolo visuale del rapporto tra legalità e autotutela,qualora la prima venga intesa in senso ben più penetrante del potere ammini-strativo, quale fonte di criteri e regole che servono a guidare l’azione dell’Am-ministrazione e che trovano il loro fondamento nella legge (58).

Prediligendosi l’analisi di questo secondo aspetto, v’è da sottolineare che ilrapporto tra legalità e autotutela assume connotazioni differenti per via di unaprecisa variabile: invero, le due dimensioni che si fondono nella figura dellapubblica Amministrazione — quella di applicatrice di una regola di diritto equella di curatrice di un interesse pubblico fortemente tutelato dalla legge —provocano un diverso rapporto con il principio di legalità (59) a seconda di qualedi esse prevalga di volta in volta.

atteso che la mancata previsione dell’indennizzo di cui all’art. 21-quinquies della l. n. 241 del1990 in un provvedimento di revoca, non ha efficacia viziante o invalidante di quest’ultima,ma semplicemente legittima il privato ad azionare la pretesa patrimoniale innanzi al g.a. chepotrà scrutinarne i presupposti ».

(57) Secondo G. ROSSI, Diritto amministrativo. Principi, cit., in tal caso il principio« può essere considerato come espressione della regola che impone in termini generali edinderogabili che ciascun intervento autoritativo di un organo amministrativo, poggi su di unpreventivo conferimento del relativo « potere » operato da una fonte normativa a ciòabilitata (in tale accezione, il principio viene spesso denominato, in dottrina ed in giurispru-denza, come principio di tipicità o di normatività del provvedimento amministrativo) », cit.p. 121.

(58) In tal senso, il principio di legalità è stato ritenuto intimamente connesso alprincipio di imparzialità dell’azione amministrativa: cfr. S. SPUNTARELLI, Il principio dilegalità, cit. Il criterio di imparzialità, peraltro, non di rado ha consentito di ravvisare unobbligo di provvedere della p.a. a fronte di una istanza di autotutela, cfr. G. MANFREDI,Doverosità dell’annullamento vs. annullamento doveroso, cit., spec. p. 330.

(59) Distinguono tra principio di legalità formale e sostanziale, tra gli altri, A. POLICE,Principi e azione amministrativa, in F.G. SCOCA (a cura di), Diritto amministrativo, cit., p. 192ss.; S. SPUNTARELLI, Il principio di legalità, cit., p. 223 ss.; G. ROSSI, Diritto amministrativo.Principi, cit., p. 121 ss., il quale afferma che la legalità formale « sta ad indicare che ilrapporto tra legge ed amministrazione è impostato non solo sul divieto di quest’ultima dicontraddire la legge, ma anche sul dovere della stessa di agire nei casi ed entro i limiti fissatidalla legge attributiva del relativo potere. Il principio di legalità sostanziale, invece, indica lanecessità che l’amministrazione agisca non solo entro i limiti di legge, ma altresì inconformità alla disciplina sostanziale posta dalla legge stessa, la quale incide anche sullemodalità di esercizio dell’azione e, dunque, penetra all’interno dell’esercizio del potere ».L’Autore, in particolare, coglie le problematiche poste dalla transizione dal modello formalea quello sostanziale: « così inteso [in senso sostanziale], il principio di legalità pone ladifficoltà di contemperare due esigenze diverse: da un lato, quella di garanzia e di tutela deiprivati, dall’altro quella di uno spazio adeguato da assicurare all’amministrazione al fine di

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Infatti, nel primo caso, il principio di legalità funge da corroboratore e dafondamento per l’attività amministrativa di ripristino della legalità violatamediante annullamento dell’atto illegittimo. Viceversa, nel secondo caso, essofunge da argine all’agire della p.a. e da garanzia per gli interessi dei privatitravolti dal provvedimento di riesame.

Pertanto, come alla p.a. e all’autotutela può attribuirsi natura ancipite, nellacompresenza delle dimensioni del potere e del dovere, del privilegio e dell’ob-bligo, altrettanto può dirsi del principio di legalità che, nel suo rapporto con lafigura dell’autotutela, si pone allo stesso tempo in posizione di convergenza e diopposizione (60).

Quanto alla prima, non può passare inosservato come il rispetto delledisposizioni legislative e della loro corretta applicazione alle fattispecie concretesia alla base dell’annullamento d’ufficio: lo si è visto, l’illegittimità del provve-dimento funge da presupposto essenziale.

In questo caso, dunque, è proprio per l’affermazione del principio di legalitàche all’Amministrazione è conferito il potere di annullare d’ufficio il proprioprovvedimento; nella stessa vicenda, però, il principio di legalità si esplica anchecome limite a questa attività, imponendo regole procedurali che — si spera —tutelino anche gli interessi privati da abusi del suddetto potere.

Ecco, allora, farsi strada — in contrapposizione all’illegittimità — gli altripresupposti dell’autotutela ex art. 21-nonies: l’interesse pubblico attuale econcreto all’annullamento, il termine ragionevole, il contemperamento con gliinteressi dei privati destinatari e controinteressati.

Il limite intrinseco e, ad oggi, insuperabile di questo sistema, allora, dovesta? Sta nel fatto che l’apprezzamento di quelli che dovrebbero essere i binaridell’autoannullamento (e che, dunque, dovrebbero essere almeno agganciati aparametri oggettivi) è rimesso alla discrezionalità dell’Amministrazione stessa,che può decidere autonomamente dello spessore dell’interesse pubblico all’an-nullamento, come della ragionevolezza del termine per intervenire, come delcorrelativo spessore degli interessi privati contrapposti (61).

Il privilegio, fatto uscire dalla porta, rientra dalla finestra.

evitare che la sua attività, eccessivamente vincolata, diventi incapace di adattarsi alle diversesituazioni concrete, finendo col danneggiare lo stesso cittadino ». Per una più completadisamina sul punto, cfr. S. FOIS, Legalità (principio di), in Enc. dir., 1973, p. 659 ss.; G. CORSO,Il principio di legalità, in M.A. SANDULLI (a cura di), Codice dell’azione amministrativa,Milano, 2011, p. 4 ss. In particolare, l’ultimo Autore qui citato inquadra esaustivamente laproblematica del principio di legalità nei suoi agganci con la Costituzione.

(60) B.G. MATTARELLA, Il principio di legalità e l’autotutela amministrativa, cit.:« quando l’autotutela è il rimedio all’assenza di giudice o di giurisdizione ed è strumentaleall’applicazione del diritto, il principio di legalità gioca ovviamente a favore di essa, ne èquasi il fondamento. Quando, invece, l’autotutela è un modo per rafforzare la tutela di uninteresse, essa esprime un privilegio di un soggetto, il correlativo sacrificio dell’interesse diun altro soggetto e un’attenuazione del ruolo del giudice: di conseguenza, il principio dilegalità opera da limite », cit. p. 8.

(61) Questa impasse del sistema ha fatto giungere una pronuncia al risultato para-dossale di affermare che il 21-nonies non costituisce applicazione del principio di legalità ma,al contrario, funge da deroga allo stesso, consentendo alla p.a. di mantenere in vita unprovvedimento affetto da illegittimità, per cui esso andrebbe inteso come « regolante solo icasi in cui l’amministrazione ha potestà discrezionale, o comunque ha qualche potere didisporre », cfr. TAR Friuli, Trieste, 7 luglio 2006, n. 475, in www.dejure.giuffre.it.

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Nella revoca, poi, il rapporto con il principio di legalità è ancora piùsfumato, principalmente per via del fatto che — come si è più sopra detto —questo istituto non presuppone assolutamente l’illegittimità dell’atto. Anzi,l’atto è revocabile proprio perché legittimo.

La dimensione dell’Amministrazione come curatrice di un interesse forte-mente tutelato, in nome del quale essa può « ripensare » nei suoi contenuti dimerito un provvedimento già emanato — e senza limiti temporali, pare —emerge con molta più forza. Unico correttivo: l’indennizzo del privato colpitodal provvedimento di riesame.

Il problema, allora, potrebbe porsi per la revoca dopo le interpolazioni del2007, che avvicinano l’istituto a quello dell’annullamento d’ufficio nei suoicontenuti fondamentali, ma senza alcun accenno al contemperamento coninteressi privati contrapposti né, ovviamente, al termine per revocare legittima-mente un provvedimento.

5. Spunti di doverosità.

L’autotutela così come positivizzata sembrerebbe non dare all’interpretealcuna via di fuga dalla discrezionalità dell’Amministrazione (62) sul se proce-dere o meno a riesaminare i propri atti ed, eventualmente, ad autoannullarli orevocarli. Ad oggi, cioè, non sussisterebbe l’obbligo di provvedere alle istanze diautotutela e questa è la soluzione ampiamente accolta anche dai giudici diPalazzo Spada nella pronuncia in commento.

Tuttavia, ciò non ha impedito ad una parte della giurisprudenza di isolareanche ipotesi nelle quale l’autotutela si colora di doverosità: in tali ipotesi, cioè,si configura non solo l’obbligo (63) della p.a. di rispondere all’istanza di auto-

(62) Cfr. TRGA Trento, I, 16 dicembre 2009, n. 305, in www.dejure.giuffre.it: « lalocuzione utilizzata dal legislatore rende manifesto che l’esercizio del potere di autotutelaresta catalogato nel quadro della riserva amministrativa ed è dunque affidato al meditatoapprezzamento dell’Amministrazione ».

(63) Si segnala, qui, che la scelta del termine « obbligo », anziché quella di « dovere »,non è casuale: si assume come linea guida quella dottrina che concretizza il generale« dovere » di provvedere della p.a. (che, in forza del principio di doverosità dell’azioneamministrativa, informa di sé l’agire amministrativo in toto, quasi fosse una specie di lineadi condotta) in uno specifico « obbligo » nel momento in cui l’Amministrazione entra incontatto con il privato tramite l’istanza da lui proposta. In tal caso, la p.a. non ha soltanto ungenerico « dovere » di agire, bensì un più concreto « obbligo » che si correla con la posizionegiuridica attiva del soggetto che — mediante l’istanza — è specifico e ben determinato: ilprivato. In tal senso, F. GOGGIAMANI, La doverosità della pubblica amministrazione, cit., p.279 ss.. Non manca, nel panorama dottrinale, chi considera la distinzione tra « dovere » ed« obbligo » di provvedere come « meramente terminologica »: cfr. N. PAOLANTONIO, Contri-buto sul tema della rinuncia in diritto amministrativo, Napoli, 2003, cit. p. 196. V’è altresì chinega in radice l’esistenza di una situazione giuridica passiva di « dovere » poiché essasarebbe una situazione giuridica irrelata (a differenza dell’« obbligo », che trova invece il suocontraltare nel « diritto »): cfr. L. FERRARA, Dal giudizio di ottemperanza al processo diesecuzione, Milano, 2003, p. VII dell’Introduzione. L’Autore, sulla scorta del pensiero di S.ROMANO, Doveri. Obblighi, in Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1983, (il qualesostiene che il dovere « resta fuori l’orbita di ogni rapporto giuridico con singole cose osingole persone ») afferma che « non sembra insensato ritenere che la nozione romaniana didovere non sia oggi spendibile se non per indicare in termini generici la funzione pubblica »,cit. p. 110. V’è anche chi, in un certo senso, riabilita la nozione di « dovere », perché si

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tutela e, dunque, di provvedervi; ma anche — e soprattutto — quello diprovvedere rispondendo all’istanza con esito positivo. L’obbligo di riesame,finora considerato in via eccezionale, sembra aver subìto anche una generaliz-zazione da parte di una recente dottrina (64).

In linea di massima, nelle ipotesi che si passano qui in rassegna, ciò accadequando, nel contemperamento tra l’interesse pubblico all’annullamento e gliinteressi privati contrapposti (65), si verifichi una prevalenza dell’uno sugli altri,per particolare forza del primo o per essenziale debolezza dei secondi.

Quanto alla prima ipotesi, è diventato ormai principio costante quellosecondo il quale, quando entrano in gioco interessi pubblici « ritenuti dalla leggesotto ogni profilo indisponibili dall’Amministrazione » (66) — quali quelli finan-ziari e di spesa pubblica — la p.a. deve necessariamente perseguirli, indipen-dentemente dal grado di consolidamento delle posizioni giuridiche private. Adesempio, quando siano stati adottati provvedimenti che comportano un indebitoesborso di denaro pubblico, l’interesse pubblico alla loro eliminazione dalmondo giuridico — con relativo recupero delle somme — è in re ipsa (67). Anzi,in questo caso, è proprio la legge, a determinare una ipotesi di autotuteladoverosa (68).

In secondo luogo, la giurisprudenza ha ammesso il dovere-potere della p.a.di annullare gli atti di gara — anche dopo l’aggiudicazione definitiva — qualorala procedura non abbia rispettato i principi dell’ordinamento nazionale ecomunitario in tema di libera concorrenza: anche questi sono considerati inte-ressi pubblici in re ipsa (69).

correla (non al « diritto », bensì) all’« interesse legittimo »: cfr. M. CLARICH, Termine delprocedimento e potere amministrativo, Torino, 1995, p. 28.

(64) M. IMMORDINO, I provvedimenti amministrativi di secondo grado, cit., afferma che,quanto alla discrezionalità dei poteri di riesame, « il principio di risarcibilità dell’interesselegittimo per l’illegittimo esercizio del potere, obbliga ormai l’amministrazione, a fronte diuna istanza di ritiro di un provvedimento da parte dell’interessato, a verificarne la legittimità,compiendo una prognosi delle eventuali conseguenze della rimozione dell’atto illegittimosulla quantificazione da parte del giudice amministrativo del danno risarcibile », cit. p.323-324.

(65) Cfr. TAR Puglia, Lecce, III, 9 luglio 2009, n. 1789, in www.dejure.giuffre.it,relativamente al principio di parificazione dei soggetti privati, siano essi destinatari ocontrointeressati al provvedimento di autoannullamento.

(66) Cfr. TAR Friuli, Trieste, 7 luglio 2006, n. 475, cit.(67) Cfr., ex multis, Cons. Stato, V, 22 marzo 2010, n. 1672, in www.dejure.giuffre.it:

« l’interesse pubblico all’annullamento d’ufficio dell’illegittimo inquadramento di un pub-blico dipendente è in re ipsa e non richiede specifica motivazione, in quanto l’atto oggettodi autotutela produce un danno per l’Amministrazione consistente nell’esborso di denaropubblico senza titolo, con vantaggio ingiustificato per il dipendente, né in tali casi rileva iltempo trascorso dalla emanazione del provvedimento di recupero dell’indebito ».

(68) L’art. 1, comma 136, l. n. 311/2004 prevede una ipotesi di autotutela doverosa,speciale rispetto a quella di cui al capo IV-bis della l. n. 241/’90, quando vi siano provvedi-menti che comportano illegittimi oneri finanziari per la p.a.. Sul punto, v. anche TRGA

Trento, I, 14 dicembre 2011, n. 310, in www.dejure.giuffre.it.(69) Cfr., ex multis, TAR Sicilia, Catania, III, 14 luglio 2009, n. 1308, in www.dejure-

.giuffre.it: « quando si accerti la violazione dell’interesse pubblico ad una più ampia parte-cipazione alla gara e dell’interesse degli altri soggetti operanti nel settore a partecipare allagara, in applicazione del principio generale di effettiva concorrenza, sottesi all’obbligo diinvitare un numero minimo di imprese alla gara, l’interesse pubblico perseguito è oggetti-

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Una terza ipotesi è rinvenibile nell’attuazione del principio di imparzialitàsancito dall’art. 97 Cost.: l’intervento in via di autotutela su istanza si rendeobbligatorio nel caso in cui, in ragione di un mutato orientamento dell’Ammi-nistrazione, sia stata modificata in melius la posizione di altri soggetti che sitrovino in situazioni analoghe a quella del soggetto istante (70).

Quanto, poi, al secondo caso — quello in cui gli interessi privati siano debolied assumano carattere recessivo anche rispetto ad un interesse pubblico che nongoda di particolare tutela da parte dell’ordinamento — le ipotesi si riduconoessenzialmente alle seguenti.

Si pensi al caso in cui la p.a. provveda in via di autotutela annullando unprovvedimento entro un termine talmente breve dalla sua adozione da nonpoter ingenerare alcun affidamento nel soggetto privato destinatario dellostesso. Se il tempo consolida le posizioni giuridiche dei soggetti, è evidente cheun lasso di tempo breve non sarà sufficiente a tal fine.

Si pensi, ancora, indipendentemente dal fattore temporale, al caso in cuimanchino nei soggetti privati i due presupposti perché il loro affidamento possaritenersi legittimo: quello oggettivo (l’esistenza di un provvedimento) e quellosoggettivo (la buona fede) (71).

Emblema della prima evenienza è l’annullamento, da parte della stazioneappaltante, dell’aggiudicazione provvisoria di una gara: la p.a., per l’immanenzadel potere di autotutela nell’ordinamento tramite l’art. 97 Cost. (72), puòprocedervi poiché nel destinatario dell’atto non si è potuto ingenerare alcunlegittimo affidamento, poiché l’aggiudicazione provvisoria può dar luogo sol-tanto ad una mera aspettativa di fatto alla conclusione del procedimento conl’aggiudicazione definitiva.

Nella seconda ipotesi, invece, si esclude che il privato possa riporre legit-timo affidamento in un provvedimento amministrativo quando questo derivi daun suo atteggiamento scorretto che abbia indotto in errore l’Amministrazione oquando egli abbia fornito alla stessa una falsa versione dei fatti, agendo in malafede. In tal caso, cioè, il privato non può dolersi di un intervento in via diautotutela (73). Più di recente, si è escluso l’affidamento del privato istante

vamente riscontrabile nella reintegrazione, attraverso l’atto di annullamento dell’aggiudica-zione che abbia inciso i suddetti valori, del libero esplicarsi del confronto concorrenziale ».

(70) Ex plurimis, TAR Campania, Salerno, I, 23 luglio 2009, n. 5052, in www.giustizia-amministrativa.it, con riferimento ad una più risalente pronuncia affermativa di questoprincipio, Cons. Stato, IV, 14 novembre 1986, n. 730. La pronuncia configura, in tal caso, unaipotesi di autotutela doverosa nel rispetto del principio di imparzialità, ammettendo l’esi-stenza di un obbligo di provvedere della p.a. a prescindere da una specifica base normativache lo prescriva puntualmente.

(71) Cfr. F. CARINGELLA, Affidamento e autotutela, cit.(72) Così Cons. Stato, V, 12 febbraio 2010, n. 743, in www.dejure.giuffre.it: « l’imma-

nenza nell’ordinamento del potere di autotutela decisoria della p.a. trova fondamento nelprincipio costituzionale di buon andamento e imparzialità della funzione pubblica, senzache, a tal fine, occorra una diffusa motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico ».

(73) Cfr. TRGA Trento, I, 16 dicembre 2009, n. 305, cit.: « a quello del destinatario deglieffetti del provvedimento di autotutela può essere riconosciuto il valore rappresentatodall’eventuale affidamento riposto nel comportamento dell’Amministrazione; valore che,peraltro, sarà più contenuto in ragione di un atteggiamento scorretto che abbia indotto inerrore l’Amministrazione, o che abbia perseguito in ogni caso la logica del fatto compiutosulla scorta di una prassi corrente in materia edilizia in base alla quale factum infectum fieri

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quando egli si sia limitato a dare l’impulso iniziale al procedimento amministra-tivo, senza curarsi del suo iter né della sua conclusione, ma rivolgendosi, poi,all’autorità giudiziaria per chiedere il risarcimento del danno da ritardo (74).

La tutela dell’affidamento, dunque, non costituisce un limite insuperabileall’intervento in autotutela da parte della p.a., posto che esso, in particolaricondizioni, può anche essere fortemente ridimensionato.

Tuttavia, al di fuori di queste ipotesi, che ancora non giungono a dettareuna regola generale e solida che smentisca la sostanziale discrezionalità del-l’Amministrazione nella vicenda dell’autotutela, resta il fatto che, a fronte diuna richiesta di riesame di un provvedimento, la p.a. ha, ad oggi, la libertà dirispondere o di non farlo (75).

Il risultato sarà, dunque, di volta in volta, un provvedimento di accogli-mento dell’istanza (che, pertanto, annullerà, revocherà, ritirerà il provvedi-mento di primo grado) o, nel caso di rigetto, potrà essere una mera conferma o

nequit ». In tal senso, v. anche, più di recente, TAR Puglia, Bari, III, 1 giugno 2010, n. 2109,in www.lexitalia.it, in materia di opere abusive costruite su territorio comunale in violazionedelle norme sulla d.i.a., secondo cui « trattandosi di proprietà comunale, l’esercizio dell’au-totutela costituisce doverosa tutela dell’interesse pubblico, che è in re ipsa, con conseguenterecessività della posizione del ricorrente, vuoi per difetto dei presupposti di formazionedell’assenso sulla d.i.a., vuoi comunque per inconfigurabilità della tutela dell’affidamento delprivato in ordine a opere abusivamente realizzate su area pubblica di proprietà comunale edestinata a verde attrezzato (vincolo di inedificabilità) ».

(74) Cfr. CGA, 4 luglio 2011, n. 472, in ww.giustizia-amministrativa.it: « a giudizio diquesto Consiglio, infatti, non ha senso discutere di « legittimo affidamento » in tutti quei casiin cui, come è accaduto nella vicenda de qua, l’odierno ricorrente, con la propria inerziaprotrattasi per oltre dieci anni dal momento in cui avrebbe potuto pretendere il rilascio dellarichiesta concessione, ha manifestato un sostanziale disinteresse verso l’esito del procedi-mento. [...] Va piuttosto riaffermata con forza la regola per la quale, specie laddove, comeper il caso de quo, si verte in materia di interessi pretensivi, l’inutile decorso del tempo perl’adozione di un provvedimento amministrativo, dovuto anche all’inerzia colpevolmenteprotratta del soggetto legittimato a pretenderne il riconoscimento e/o la tempestiva emana-zione, ovvero ad utilizzare i mezzi di tutela a ciò predisposti, piuttosto che consolidarel’affidamento sulla positiva adozione, comporta piuttosto la perenzione dell’interesse sostan-ziale che deve sempre sorreggere la richiesta, nonché l’emanazione dell’atto da parte dellastessa Amministrazione. Tale « regola » si fonda sul principio dell’impulso e/o della coope-razione della parte interessata, che sorregge non solo la disciplina del processo amministra-tivo, ma l’intero svolgimento dell’attività amministrativa che il nostro ordinamento ha volutoispirata a criteri di economicità, efficacia, pubblicità e trasparenza che possono garantirnel’imparzialità ed il buon andamento anche attraverso il reciproco affidamento che lapubblica Amministrazione ed i privati debbono prestarsi in ordine alla serietà ed attualitàdegli interessi per la cui soddisfazione si intraprende un certo tipo di procedimento perl’adozione dei relativi provvedimenti ».

(75) Anche in questo caso, però, il quadro non è ben definito, dato che parte delladottrina e della giurisprudenza hanno riconosciuto che l’istanza di annullamento — seproveniente da un soggetto giuridicamente qualificato — genera la pretesa ad una risposta(quale che essa sia) da parte della p.a.. Si veda, in proposito, S. D’ANCONA, Interessepubblico, discrezionalità amministrativa e istanza di parte nell’annullamento d’ufficio: rifles-sioni sui recenti sviluppi dottrinari e giurisprudenziali fra diritto interno e diritto comunitario,in Riv. it. dir. pubbl. com., 2009, p. 537 ss.; quanto alla giurisprudenza, invece, cfr. TAR Puglia,Lecce, I, 27 ottobre 2005, n. 4633, in www.dejure.giuffre.it, nella quale si afferma che la p.a.ha l’obbligo di provvedere nel caso la richiesta provenga da un altro ente pubblico, inossequio al principio di leale collaborazione.

CONSIGLIO DI STATO 2967

una convalida del provvedimento di primo grado. Infine, ipotesi più pericolosa,il silenzio.

5.1. Ricostruzione per un confronto: Reduzierung auf Null della discrezio-nalità.

Tra le pronunce (la più parte) che propendono per l’assoluta insindacabilitàdel potere di autotutela e quelle (molte di meno) che la ritengono istituzional-mente doverosa perché l’interesse pubblico è in re ipsa, se n’è fatta notareuna (76) che, pur partendo dal presupposto della discrezionalità (77), ha rico-struito l’istituto secondo una particolare chiave di lettura potenzialmente capacedi « ridurla a zero », utilizzando quale parametro normativo una norma dell’or-dinamento tedesco (78), l’art. 48 VwVfG (79) (Verwaltungsverfahrengesetz —legge sul procedimento amministrativo), invocando la quale si può sostenere chel’intervento in via di autotutela è coercibile anche in difetto di una specifica basenormativa, ma in nome di una clausola generale: quando, cioè, il mantenimentodi quel determinato provvedimento amministrativo nell’ordinamento siaschlechthin unerträglich, ossia « semplicemente insopportabile » (80).

Secondo questa ricostruzione, il provvedimento « semplicemente insoppor-tabile » è quello manifestamente illegittimo, che si ha quando non esistanodubbi, teorici o pratici, circa l’esistenza di un suo vizio che, pertanto, è lapalis-siano e non può essere ignorato (81). In tal caso, il privato — esperito invano ilricorso in autotutela — potrà impugnare il rigetto — o il silenzio — dinanzi algiudice amministrativo, il quale non potrà sollevare l’Amministrazione dalle sueresponsabilità consentendole di trincerarsi dietro il silenzio insindacabile.

Esistono, cioè, peculiari vicende nelle quali il contemperamento dei pre-supposti di cui all’art. 21-nonies della l. n. 241/’90 (illegittimità del provvedi-mento; interesse pubblico all’annullamento; termine ragionevole; interessi dei

(76) TRGA Trento, I, 16 dicembre 2009, n. 305, cit.(77) La pronuncia non si sofferma sulla problematica della discrezionalità o meno del

procedimento nell’an (ritenendolo senza dubbio discrezionale), bensì esclusivamente nelquomodo, a voler dire: quando l’Amministrazione si pronuncia su un’istanza di annulla-mento in autotutela, essa, in presenza di determinate condizioni, non ha discrezionalità sulse provvedere in modo positivo o negativo. Per questi aspetti, G. MANFREDI, Doverositàdell’annullamento vs. annullamento doveroso, cit., ritiene che questa pronuncia sia menoinnovativa « di quanto potrebbe sembrare di primo acchito », cit. p. 327: l’aspetto che,secondo l’Autore, più rileva è quello dei limiti del sindacato giurisdizionale, poiché, nellafattispecie de qua, il giudice amministrativo si è sostituito all’Amministrazione nella pon-derazione degli interessi, giudicando della discrezionalità, cfr. p. 333.

(78) L’istituto ex art. 48 VwVfG è stato « trapiantato » nel diritto italiano enfatiz-zando il rapporto tra riesame del provvedimento e principio di buona fede. Cfr. ACASSATELLA, Una nuova ipotesi di annullamento doveroso?, cit., p. 829.

(79) Ai sensi dell’art. 48, comma 1, VwVfG: « Un atto amministrativo illegittimo può,anche dopo esser divenuto inoppugnabile, essere ritirato in tutto o in parte con effetto peril futuro o per il passato. Un atto amministrativo costitutivo o confermativo di un diritto odi un vantaggio giuridicamente rilevante (atto amministrativo che crea effetti favorevoli)può essere ritirato solo entro nei limiti previsti ai nn. 2-4 ».

(80) Sulla vicenda dell’autotutela nell’ordinamento tedesco, si veda anche C. FRAEN-KEL-HAEBERLE, Poteri di autotutela e legittimo affidamento — Il caso tedesco, Trento, 2008.

(81) In tal senso, A. CASSATELLA, Una nuova ipotesi di annullamento doveroso?, cit., p.828.

FORO AMMINISTRATIVO: CONSIGLIO DI STATO - 20122968

privati) può condurre ad un solo, unico ed incontrovertibile risultato: l’annul-lamento del provvedimento in via di autotutela, riducendo a zero lo spatiumdeliberandi dell’Amministrazione (82).

Alla violazione del principio di legalità, dunque, consegue la rimozionedoverosa del provvedimento amministrativo, se la p.a. agisce entro il termineragionevole e gli interessi contrapposti non sono sufficientemente consistenti afronte dell’interesse pubblico al ripristino della legalità violata.

È dovuta, a questo punto, una precisazione. Questa costruzione, che certoè degna di attenzione tanto per l’ipotesi di doverosità dell’autotutela in essacontenuta quanto per il respiro europeo che la connota, si basa su un presup-posto fondamentale completamente diverso rispetto a quelli sinora riscontratidalla giurisprudenza.

Per giungere alla doverosità dell’annullamento, infatti, dei quattro fattori,generalmente riconosciuti, di cui all’art. 21-nonies, in realtà se ne elide uno:l’interesse pubblico attuale e concreto ulteriore rispetto al ripristino dellalegalità violata (83). Più precisamente, il primo ed il secondo (illegittimità edinteresse pubblico) vengono fusi insieme, fino a costituirne uno solo.

A ben vedere, cioè, l’unico presupposto positivo per procedere all’autoan-nullamento si dovrebbe rinvenire nella sola illegittimità dell’atto: esattamentecome se il provvedimento venisse impugnato in sede giurisdizionale. Nonsarebbe, cioè, necessario ravvisare un interesse pubblico concorrente, poiché lap.a. è già privilegiata (84) — rispetto al giudice — perché essa non procedeautomaticamente all’annullamento dell’atto (ormai inoppugnabile), ma lo faprevio apprezzamento degli altri due fattori: il termine ragionevole e gli interessiprivati eventualmente consolidatisi.

Vediamo, allora, i sistemi a confronto, sul presupposto comune dell’impu-gnazione di un atto denunciato come illegittimo.

Nel mondo delle impugnazioni, se il giudice ravvisa effettivamente l’illegit-timità, ha l’obbligo di annullarlo. Non c’è discrezionalità.

Nel mondo dell’autotutela — secondo la lettura che ne dà la pronuncia incommento — la p.a. può scegliere se autoannullare o meno il provvedimento: ladiscrezionalità è massima, tanto nell’an quanto nel quomodo, e il giudiceamministrativo non può sindacarne la legittimità, poiché l’esercizio o meno

(82) Si tratta, questo, di un temperamento alla discrezionalità della p.a. in sede diriesame del provvedimento che avvicina le tradizioni giuridiche di Germania ed Italia aquella della Francia e del suo retrait.

(83) TRGA Trento, I, 16 dicembre 2009, n. 305, cit.: « appare dubbio che la norma inquestione abbia confermato la necessità di un concorrente interesse pubblico attuale adannullare, quale presupposto dell’autotutela in stretta connessione con il dovere di ripristinodella legalità violata, come predicato dal costante indirizzo del Consiglio di Stato »; acontemperare l’interesse al ripristino della legalità violata, infatti, è sufficiente l’interventodel termine ragionevole: « l’esercizio del potere trova, infatti, il limite positivamente trac-ciato dal « ragionevole » termine di adozione della relativa statuizione, il che induce adaffermare che, fermo il rispetto del relativo termine, il ripristino della legalità non subiscaalcuna preclusione di tale natura ».

(84) Ciò che qui viene definito privilegio, in realtà è indicato dal giudice trentino come« limitazione » all’attività dell’Amministrazione. Tuttavia, il fatto stesso che le valutazionidella p.a. non siano legate a parametri oggettivi le rende pienamente discrezionali e, dunque,fonte di privilegio per il soggetto pubblico.

CONSIGLIO DI STATO 2969

dell’autotutela è una scelta rientrante nel merito amministrativo, la cui valuta-zione è rimessa alla sola p.a. detentrice del potere.

Secondo l’ipotesi giurisprudenziale poc’anzi descritta, invece, gli steps sonoi seguenti: la p.a. può annullare l’atto se essa interviene nel termine ragionevolee contemperando l’interesse al ripristino della legalità violata con quelli deisoggetti privati; deve farlo, inoltre, se dalla sommatoria di questi fattori risultache il mantenimento in vita del provvedimento illegittimo è « semplicementeinsopportabile ». La discrezionalità c’è in partenza, ma è suscettibile di Redu-zierung auf Null.

Quest’ultimo sistema è certamente perfettibile (specie sotto il profilo delladiscrezionalità nell’an), ma ha dalla sua il pregio di rafforzare la componentegiustiziale dell’autotutela amministrativa, più rispettosa del principio di legalità,pur senza disconoscere le peculiarità della pubblica Amministrazione per il suoruolo di curatrice dell’interesse pubblico, non di rado costituito dalla somma-toria di interessi privati, dei quali si deve tener conto anche in sede di autotutela.

6. Certezza del diritto, affidamento e annullamento: l’angolo visuale euro-peo.

L’anzidetta costruzione dogmatica dell’autotutela come strumento di ripri-stino della legalità, oltretutto, ha ricevuto riconoscimento anche in sede comu-nitaria, seppur in maniera tutt’altro che limpida e diretta. Il percorso effettuatodalla Corte di giustizia sul tema, infatti, conosce notevoli oscillazioni, chetuttavia non impediscono di intravedere che esso è diretto verso l’affermazionedella doverosità del ritiro (85) degli atti da parte degli organi amministrativinazionali quando essi siano viziati da illegittimità comunitaria.

Sul tema, invero, il giudice comunitario si era inizialmente espresso intermini neutrali, limitandosi a richiamare il rispetto dell’autonomia proceduraledegli Stati membri e delle loro discipline legislative sul ritiro degli atti ammini-strativi (86). Negli anni successivi, tuttavia, la sempre maggiore influenza deldiritto comunitario sugli ordinamenti nazionali, sfociata nella progressiva affer-mazione della primauté del primo sui secondi (87), ha avuto significative riper-

(85) Il termine « ritiro » è usato in senso atecnico, in modo da includervi le fattispeciedi revoca ed annullamento. D.-U. GALETTA, Autotutela decisoria e diritto comunitario, in G.FALCON (a cura di), Il diritto amministrativo dei Paesi europei tra omogeneizzazione ediversità culturali, Padova, 2005, p. 45 ss., chiarisce che nella giurisprudenza comunitaria itermini revoca ed annullamento sono utilizzati in maniera promiscua ed atecnica perindividuare il fenomeno di riesame ed eventuale successiva rimozione del provvedimentoillegittimo.

(86) Si v. CGCE, sentenza 12 luglio 1957, in cause riunite 7/56 e 3-7/57, Algera ed altric. Assemblea comune della CECA, in curia.europa.eu.

(87) Com’è noto, le due pronunce fondamentali per l’affermazione della primaziasono state CGCE, sentenza 15 luglio 1964, in C-6/64, Costa c. Enel, secondo cui « iltrasferimento, effettuato dagli Stati a favore dell’ordinamento giuridico europeo, dei dirittie degli obblighi corrispondenti alle disposizioni del Trattato implica una limitazione defini-tiva dei loro diritti sovrani, di fronte alla quale un atto unilaterale ulteriore, incompatibile colsistema dell’UE, sarebbe del tutto privo di efficacia »; nonché CGCE, sentenza 9 marzo1978, in C-106/77, Simmenthal: « il giudice nazionale, incaricato di applicare, nell’ambitodella propria competenza, le disposizioni di diritto europeo, ha l’obbligo di garantire la pienaefficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposi-

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cussioni sull’orientamento della Corte, modificatosi gradualmente in senso piùorientato a favore della « legalità comunitaria » (88).

Nelle pronunce sul tema continua così a leggersi — nelle premesse — delnecessario rispetto per l’autonomia procedurale degli Stati membri e per lacertezza del diritto: ma esso non preclude conclusioni di diverso tenore, orien-tate — seppur in modo assai cauto e velato — per l’obbligo dello Stato membrodi ritirare l’atto illegittimo. Ciò, anche se esso abbia acquisito definitività per ildecorso del termine per la sua impugnazione o, addirittura, per la formazione diun giudicato interno sulla sua legittimità (89), a poco rilevando la certezza deldiritto, l’affidamento dei privati nonché l’autonomia procedurale degli Stati.

L’ambiguità (90) delle argomentazioni della Corte, a ben vedere, non èatteggiamento nuovo. Il giudice comunitario si muove ondivago tra i principidella certezza del diritto e dell’autonomia procedurale degli Stati membri, dauna parte; e, dall’altra, il principio di leale cooperazione di cui all’art. 10 Tr. CE.

Così è accaduto, per quanto qui rileva, nel caso Delena Wells (91), in quelloKuhne & Heitz (92), nonché nelle vicende i-21 Germany GmbH e Arcor c.Bundesrepublik Deutschland (93).

Nel primo caso, la Corte ha esordito enunciando il principio di primazia deldiritto comunitario e quello di leale cooperazione di cui all’anzidetto art. 10 Tr.CE, in forza del quale gli Stati membri hanno l’obbligo di eliminare le conse-guenze di una violazione del diritto comunitario. Tuttavia, alla premessa nonsegue quel che sembrerebbe il naturale esito — la doverosità del ritiro dell’attoanticomunitario — bensì una « prudente virata per evitare la prevedibile rea-zione nazionalistica » (94), con conseguente ripiegamento del giudice comuni-tario sul rispetto dell’autonomia procedurale degli Stati membri e affermazione

zione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere oattendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimentocostituzionale ». Entrambe le pronunce sono in curia.europa.eu.

(88) F. SICILIANO, La legalità amministrativa (comunitaria ed interna) e certezza deldiritto: riflessi sui rapporti amministrativi ed istituzionali, Milano, 2010, p. 51, parla di unalegalità comunitaria forte « in quanto incidente anche sulle norme processuali del nostroordinamento, sì da prevalere sia su atti amministrativi divenuti definitivi, sia addirittura [...]sul giudicato del giudice nazionale ».

(89) Secondo F. SICILIANO, La legalità amministrativa, cit., « la Corte di giustizia ha [...]smantellato due postazioni di sicurezza per la effettiva tutela dell’affidamento legittimo: ladefinitività dell’atto per decorrenza del termine decadenziale di impugnativa ed il giudicatointervenuto sull’atto medesimo », cit. p. 100.

(90) Di « ambiguità » parla G. GRÜNER, L’annullamento di ufficio in bilico tra iprincipi di preminenza e di effettività del diritto comunitario, da un lato, ed i principi dellacertezza del diritto e dell’autonomia procedurale degli Stati membri, dall’altro, nota a CGCE,sentenza 19 settembre 2006, in cause riunite C-392/04 e C-422/04, i-21 Germany GmbH(C-392/04) e Arcor AG & Co. KG (C-422/04) c. Bundesrepublik Deutschland, in Dir. proc.amm., 2007, 1, p. 240 ss. e in www.dejure.giuffre.it.

(91) CGCE, sentenza 7 gennaio 2004, in causa C-201/02, Delena Wells, in curia.eu-ropa.eu.

(92) CGCE, sentenza 13 gennaio 2004, in causa C-453/00, Kuhne & Heitz NV eProductschap voor Pluimvee en Eieren, in curia.europa.eu.

(93) CGCE, sentenza 19 settembre 2006, in cause riunite C-392/04 e C-422/04: i-21Germany GmbH (C-392/04) e Arcor AG & Co. KG (C-422/04) c. BundesrepublikDeutschland, cit.

(94) F. SICILIANO, La legalità amministrativa, cit. p. 91.

CONSIGLIO DI STATO 2971

di un principio di diritto che si connota per la sua sottile ambiguità (95): « spettaal giudice nazionale accertare se il diritto interno preveda la possibilità direvocare o di sospendere » un provvedimento amministrativo anticomunita-rio (96).

Meno sfumata la posizione della Corte nel caso Kuhne & Heitz, concer-nente un atto amministrativo nazionale ritenuto legittimo da una sentenza di ungiudice nazionale di ultima istanza e passata in giudicato, ma sulla base di unainterpretazione della norma comunitaria successivamente ritenuta erronea dallaCorte di giustizia, adita con rinvio pregiudiziale interpretativo. La questioneriguardava la sussistenza o meno, in capo all’Amministrazione, dell’obbligo diritirare quel provvedimento — lo si ripete, già giudicato legittimo dal giudicenazionale con sentenza definitiva — al fine di assicurare l’effettività del dirittocomunitario.

Anche qui, la Corte esordisce enunciando la regola secondo cui la modifi-cabilità di provvedimenti amministrativi domestici — definitivi per inoppugna-bilità o per esaurimento dei mezzi di tutela giurisdizionale — in ragione di unagiurisprudenza successiva comunitaria comprometterebbe gravemente la cer-tezza del diritto, cui invece contribuisce proprio quella definitività. Per cui —prosegue la Corte — « il diritto comunitario non esige che un organo ammini-strativo sia, in linea di principio, obbligato a riesaminare una decisione ammi-nistrativa che ha acquisito tale carattere definitivo ».

Ma la Corte vira poi verso una conclusione non troppo coerente con lepremesse, affermando comunque la preminenza del diritto comunitario e lanecessità della leale cooperazione in forza del principio espresso dall’art. 10 Tr.CE, che dunque obbliga la p.a. a ritirare l’atto viziato da invalidità comunitaria.

Non basta: forse mossa anche in tal caso dalla prudenza nei confronti dellepossibili reazioni nazionalistiche, la Corte « vela » l’obbligo di ritiro e sottoponel’operatività del principio di leale cooperazione a quattro precise condi-zioni (97).

Questa pronuncia ha sancito la prevalenza del giudicato successivo comu-nitario su quello domestico, che ne risulta in tal modo « sgretolato » (98). E,paradossalmente, essa risulta molto più incisiva rispetto al caso di ritiro di unprovvedimento che sia divenuto definitivo per decorso del termine di impugna-zione: in merito al quale il giudice comunitario si è espresso in maniera menosicura, seppure — pare — indirizzata nel senso della doverosità anche in quelcaso.

(95) Così G. GRÜNER, L’annullamento di ufficio, cit.(96) Secondo G. GRÜNER, L’annullamento di ufficio, cit., il principio di leale coope-

razione risulta in tal modo svilito e vanificato dalla disciplina dei procedimenti amministra-tivi di riesame prevista dai singoli ordinamenti nazionali.

(97) Le condizioni sono: 1) che sussista in astratto il potere di ritiro in capo all’autoritànazionale; 2) che esista una sentenza passata in giudicato che abbia pronunciato sull’atto,sancendone la definitività; 3) che tale sentenza, alla luce di una giurisprudenza della Cortesuccessiva alla sentenza medesima, risulti fondata su un’interpretazione errata del dirittocomunitario adottata senza che la Corte sia stata adita in via pregiudiziale alle condizioni dicui all’art. 234, n. 3, Tr. CE; 4) che l’interessato si sia rivolto all’organo amministrativoimmediatamente dopo essere stato informato di questa giurisprudenza della Corte.

(98) Di « effetto di sgretolamento del giudicato indotto dal diritto comunitario » parlaF. SICILIANO, La legalità amministrativa, cit. p. 78.

FORO AMMINISTRATIVO: CONSIGLIO DI STATO - 20122972

In sintesi, sembra doversi concludere che risulta molto più tutelato l’affi-damento del privato destinatario di un provvedimento anticomunitario, madefinitivo per inoppugnabilità, rispetto a quello del privato che invece abbiaottenuto un giudicato interno favorevole sulla legittimità del provvedimento,smentito da un successivo intervento della Corte di giustizia (99).

Non sorprende, allora, la posizione della sentenza i-21 Germany GmbH eArcor c. Bundesrepublik Deutschland, richiamata dal giudice amministrativonazionale (100) per affermare la doverosità del ritiro in autotutela — su istanzadi parte — anche di un provvedimento ormai inoppugnabile.

Anche questa volta la Corte non ha offerto una chiara statuizione delladoverosità del ritiro dell’atto: il suo percorso argomentativo scivola dall’ambi-guità — passando per l’illogicità — nella subliminalità mirata al perseguimentodell’obiettivo della rimodulazione del potere di ritiro interno finalizzato all’af-fermazione della primazia comunitaria (101).

La Corte si è collocata nel solco dell’usuale indirizzo secondo cui, pur afronte di un provvedimento amministrativo incompatibile con le norme comu-nitarie, il principio di autonomia non consente d’interferire nella regolazione deisingoli Stati membri, donde l’esclusione di una doverosità dell’intervento inautotutela (102).

A ben vedere, tuttavia, l’impianto argomentativo della pronuncia contienespunti che parrebbero condurre a una conclusione opposta.

La Corte richiama, infatti, l’art. 48 VwVfG, il quale prevede l’annullabilitàdei provvedimenti amministrativi anche definitivi quando la loro conservazionerisulti « semplicemente insopportabile » a causa della loro manifesta incompa-tibilità con norme di rango superiore, tanto interno quanto comunitario. Sussi-stendo nella specie una violazione manifesta del diritto comunitario, quelgiudice, in ossequio al principio di leale cooperazione di cui all’art. 10 Tr. CE,

(99) Manifesta condivisibili perplessità G. GRÜNER, L’annullamento di ufficio, cit.,secondo il quale « viene da chiedersi perché la Corte di giustizia limiti il menzionato obbligodi riesame — scaturente, fondamentalmente, da un’interpretazione del diritto comunitariorivelatasi erronea a seguito di una successiva pronuncia pregiudiziale della stessa Corte digiustizia — ai soli casi in cui gli atti amministrativi in questione siano già stati erroneamenteritenuti legittimi da una sentenza non soltanto passata in giudicato, ma emessa anche da ungiudice nazionale di ultima istanza. Un medesimo obbligo di riesame, infatti, sembrerebbea maggior ragione doversi postulare con riferimento ad atti amministrativi, pur semprerivelatisi illegittimi in forza di una successiva pronuncia pregiudiziale della Corte di giustizia,ma la cui erronea legittimità non sia stata precedentemente affermata da una sentenzapassata in giudicato emessa da un giudice nazionale di ultima istanza. Ragionando neitermini della sentenza Kuhne & Heitz, sembrerebbe doversi giungere alla conclusione,invero un poco paradossale, per cui gli atti amministrativi nazionali, semplicemente defini-tivi, posseggono una forza di resistenza all’efficacia cogente delle pronunce pregiudizialidella Corte di giustizia persino maggiore degli atti amministrativi confermati da unasentenza passata in giudicato emessa da un giudice nazionale di ultima istanza ».

(100) TRGA Trento, I, 16 dicembre 2009, n. 305, cit., punto 7d) in diritto.(101) Questa ricostruzione si deve a F. SICILIANO, La legalità amministrativa, cit., p. 95

ss.(102) La dottrina, infatti, legge questa pronuncia nel senso del sostanziale rispetto

dell’autonomia degli Stati membri. Cfr. F. GOISIS, L’annullamento d’ufficio dell’atto ammi-nistrativo per illegittimità comunitaria, in Dir. amm., 2010, p. 439 ss., e G. GRÜNER, L’annul-lamento di ufficio, cit., il quale non reputa convincente questo approccio della Corte, chepare annichilire il principio della preminenza del diritto comunitario sui diritti nazionali.

CONSIGLIO DI STATO 2973

ritiene che l’atto causativo di questa violazione dovrebbe essere rimosso, ancor-ché rientri nello spatium deliberandi dei giudici nazionali la valutazione sullamanifesta illegittimità, ai sensi del diritto interno, di una regolazione chiara-mente incompatibile con il diritto comunitario (103).

Letta in filigrana, questa pronuncia non lascia spazi di discrezionalità circail ritiro dell’atto all’autorità interna: la quale — attesa la manifesta illegittimitàdel provvedimento per violazione delle norme comunitarie — è in concretotenuta a rimuovere l’atto in virtù del principio di leale cooperazione e dell’ob-bligo di annullamento ex art. 48 VwVfG (104).

Il giudice comunitario — pur nella precisa scelta strategica di non porsifrontalmente in contrasto con gli Stati membri, ma di aggirare volta per voltal’ostacolo, a costo di far sembrare ambigui i propri percorsi argomentativi —sembra in definitiva voler almeno iniziare una riflessione intorno all’istitutodell’autotutela a presidio della legalità comunitaria (105).

È auspicabile, comunque, che la Corte, prima ancora di « osare l’inosabile »imponendo senza esitazioni il ritiro dei provvedimenti interni, affermi l’obbli-gatorietà per le autorità amministrative nazionali di avviare almeno il procedi-mento di riesame degli atti su istanza di parte (106).

7. La rinuncia al ricorso giurisdizionale e i suoi riflessi sull’autotutela.

Un ultimo veloce sguardo a quello che accade nel mondo delle impugna-zioni in una ipotesi particolare: la rinuncia al ricorso originario, nelle moredell’appello, da parte del ricorrente vittorioso.

La ragione è presto detta: date le forzature compiute sul piano sostanzialeper guidare l’operare della p.a. in funzione dell’intervento in autotutela nelpubblico interesse, ad oggi — salvo il correttivo di cui in seguito si dirà — questesono tutte poste nel vuoto sul piano processuale.

Per spiegar meglio ciò che accade, torniamo al parallelismo tra il mondodelle impugnazioni e quello dell’autotutela.

(103) Cfr. CGCE, sentenza i-21 e Arcor, cit., punto n. 72: « l’art. 10 CE, in combinatodisposto con l’art. 11, n. 1, della direttiva 97/13, fa obbligo al giudice nazionale di valutare seuna regolamentazione chiaramente incompatibile con il diritto comunitario, come quella sucui sono fondati gli avvisi di liquidazione oggetto delle cause principali, sia manifestamenteillegittima ai sensi del proprio diritto. Se tale si rivelerà, il detto giudice ne dovrà trarre tuttele conseguenze di diritto nazionale circa il ritiro degli avvisi ».

(104) CGCE, sentenza i-21 e Arcor, cit., spec. punti nn. 50 e 63: l’autorità ha l’obbligodi ritirare i provvedimenti amministrativi il cui mantenimento risulti « semplicementeinsopportabile »; inoltre, seppur per il principio di certezza del diritto il diritto comunitarionon esiga, in linea di massima, un siffatto obbligo di ritiro degli atti amministrativi per gliStati membri, se tuttavia, nel rispetto dei principi di effettività e di equivalenza, tale obbligoè previsto dal diritto interno per gli atti il cui mantenimento risulti « semplicementeinsopportabile » per contrasto con le norme interne, identico obbligo deve sussistere a paritàdi condizioni in presenza di un atto amministrativo non conforme al diritto comunitario.Secondo F. SICILIANO, La legalità, cit., p. 96, questa sentenza segna l’emersione della regoladell’obbligo di ritirare il provvedimento illegittimo per violazione di norma comunitariaanche quando esso sia divenuto definitivo per inoppugnabilità secondo le regole del dirittointerno.

(105) In tal senso, F. SICILIANO, La legalità amministrativa, cit., p. 89.(106) È quanto auspica anche G. GRÜNER, L’annullamento di ufficio, cit.

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Nel primo, il privato impugna il provvedimento amministrativo che lo haleso e, se il giudice ne ravvisa l’illegittimità, lo annulla con efficacia ex tunc.

Nel secondo, il privato impugna il provvedimento per le medesime ragionidinanzi all’Amministrazione e questa ha la discrezionalità per procedere o menoal suo annullamento, operando valutazioni circa la rispondenza all’interessepubblico di questa scelta.

Nell’ipotesi della rinuncia al ricorso, il meccanismo giunge ad un risultatoparadossale: il privato impugna il provvedimento dinanzi al giudice amministra-tivo, il quale lo annulla ex tunc per ragioni di illegittimità; nelle more del giudiziod’appello, instaurato dall’Amministrazione od eventualmente dal controinteres-sato processuale, il ricorrente — vittorioso in prime cure — rinuncia al ri-corso (107), ponendo nel nulla la sentenza pronunciata dal TAR che avevaannullato il provvedimento amministrativo per illegittimità; sul piano sostan-ziale, la vicenda si riflette con la riviviscenza del provvedimento, le cui ragioni diillegittimità permangono, senza che, tuttavia, vi sia un obbligo per la p.a. diprocedere all’autoannullamento.

Per comprendere appieno il paradosso in cui cade il sistema, non bisognadimenticare un particolare — cui si è più sopra accennato — e cioè che il privatoagisce sulla scorta del proprio interesse legittimo, che altro non è che unacommistione indissolubile tra il suo interesse egoistico e quello pubblico allalegalità dell’agire della pubblica Amministrazione, per definizione indisponibile.

Mediante la rinuncia sul piano processuale, invece, il privato ha il potere didisporre liberamente della propria situazione giuridica soggettiva sul pianosostanziale, cioè tanto del suo interesse egoistico quanto di quello pubblico: ilproblema è, però, che la rinuncia è motivata da ragioni del ricorrente del tuttoprivate, che consistono nella soddisfazione — magari per vie traverse — delproprio interesse egoistico, a fronte della quale l’interesse pubblico alla legalitàdell’agire amministrativo perde capacità di traenza.

Un assetto, questo, che, sebbene poco appagante, è stato fino a poco tempofa pienamente riconosciuto dalla giurisprudenza, sulla scorta dell’unico refe-rente normativo presente nell’ordinamento (108), che non prescriveva la neces-sità dell’adesione delle altre parti processuali alla rinuncia all’azione da parte delricorrente, con conseguente automatica estinzione del giudizio.

Con l’emanazione del nuovo codice del processo amministrativo, il legisla-tore ha introdotto, tuttavia, un correttivo (109), la cui efficacia deve essere

(107) Secondo G. VIRGA, nota a Cons. Stato, V, 15 dicembre 2000, n. 6663, inwww.giustamm.it, ciò avviene in base ad accordi spesso non trasparenti con il controinte-ressato.

(108) Art. 46, r.d. 17 agosto 1907, n. 642: « 1. In qualunque stadio della controversiasi può rinunciare al ricorso mediante dichiarazione sottoscritta dalla parte o dall’avvocato,munito di mandato speciale e depositato nella segreteria, o mediante dichiarazione verbale,di cui è steso processo. 2. Il rinunziante deve pagare le spese degli atti di procedura compiuti.3. La rinunzia dev’essere notificata alla controparte, eccetto il caso in cui sia fatta oralmenteall’udienza ».

(109) Ci si riferisce all’art. 84 c.p.c., il quale stabilisce che: « 1. La parte può rinunciareal ricorso in ogni stato e grado della controversia, mediante dichiarazione sottoscritta da essastessa o dall’avvocato munito di mandato speciale e depositata presso la segreteria, omediante dichiarazione resa in udienza e documentata nel relativo verbale. 2. Il rinunciantedeve pagare le spese degli atti di procedura compiuti, salvo che il collegio, avuto riguardo adogni circostanza, ritenga di compensarle. 3. La rinuncia deve essere notificata alle altre parti

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ancora verificata ma che è pur sempre un segnale dell’opportunità di porre unargine al principio dispositivo del processo amministrativo (110) in favore di unamaggiore e più attenta considerazione degli interessi pubblici in esso coinvolti.

La nuova disciplina, infatti, prevede che la rinuncia ha effetto — e, diconseguenza, il processo si estingue — solo « se le parti che hanno interesse allaprosecuzione non si oppongono »: l’art. 84 c.p.a. dimostra, cioè, « la configura-bilità di un interesse anche delle altre parti (inclusa la p.a.) alla prosecuzione delgiudizio e quindi all’accertamento della legittimità dell’azione amministra-tiva » (111).

Sembrerebbe, dunque, che il ricorrente abbia perso la piena disponibilitàdell’azione giurisdizionale, di modo che il sistema processuale pare essersimeglio attagliato alle situazioni sostanziali ad esso sottese.

Come, dunque, nel mondo dell’autotutela la p.a. non dismette le suefunzioni di curatrice del pubblico interesse e agisce in nome di esso, così nelmondo delle impugnazioni ora le è data voce per poter procedere in giudizioanche contro la volontà del ricorrente — e indipendentemente da accordi dicostui con il controinteressato — per accertare la legittimità del suo operato.

La divaricazione tra regole processuali e situazioni sostanziali (112) cono-scerebbe, dunque, una progressiva diminuzione mediante una più forte inci-denza del principio di legalità e della sua necessaria affermazione sia nel mondodelle impugnazioni che in quello dell’autotutela, con l’aggiunta, in quest’ultimocaso, del necessario apprezzamento di alcune altre variabili per assicurare che ilripristino di una legalità violata non comporti costi eccessivi e sproporzionati.

8. Punti di arrivo e punti di partenza.

La pronuncia del Consiglio di Stato in commento — pur ferma nel suosvolgersi a favore dell’ampia discrezionalità della p.a. — offre lo spunto perriflessioni le quali mostrano che, in realtà, l’istituto dell’autotutela ha ancoradelle zone d’ombra.

L’Amministrazione è un soggetto ambivalente: applica la regola di dirittoalla fattispecie concreta, ma allo stesso tempo è curatrice dell’interesse pubblicotutelato dall’ordinamento; l’autotutela, pertanto, oscilla tra la dimensione delladoverosità e quella della discrezionalità; correlativamente, il principio di legalitàne costituisce ora il fondamento, ora il limite.

Tuttavia, si può dare ascolto alle suggestioni dottrinali che militano per lageneralizzazione dell’obbligo di provvedere (qui inteso come semplice obbligo

almeno dieci giorni prima dell’udienza. Se le parti che hanno interesse alla prosecuzione nonsi oppongono, il processo si estingue. 4. Anche in assenza delle formalità di cui ai commiprecedenti il giudice può desumere dall’intervento di fatti univoci dopo la proposizione delricorso ed altresì dal comportamento delle parti argomenti di prova della sopravvenutacarenza d’interesse alla decisione della causa ».

(110) Come sostiene G. VIRGA, nota a Cons. Stato, V, 15 dicembre 2000, n. 6663, cit.,è vero che il processo amministrativo è strutturato quale processo di parti e vige pertanto ilprincipio dispositivo, ma non bisogna dimenticare che esso coinvolge situazioni per loronatura indisponibili.

(111) P.L. PORTALURI, Le « macchine pigre » ed un codice ben temperato, in www.giu-stizia-amministrativa.it.

(112) Così P.L. PORTALURI, Interessi e formanti giurisprudenziali, cit.

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di rispondere al privato istante) (113) e a quelle che, più in generale, leggono ilprincipio di legalità come la « determinazione « positiva » delle funzioni dasvolgere e degli interessi da tutelare » (114) (quasi a dire che non basta che lap.a. emani il provvedimento di secondo grado a sua discrezione, ma con essodeve sostanzialmente perseguire al meglio l’interesse pubblico), nonché darerilievo a quegli arresti giurisprudenziali che, seppur pochi rispetto al convinci-mento consolidato, continuano a raffigurare fattispecie nelle quali l’annulla-mento d’ufficio sarebbe stato l’unica strada da percorrere per il perseguimentodel pubblico interesse.

Non appaia troppo ardito, allora, sostenere la doverosità dell’azione am-ministrativa in via di autotutela, se almeno letta in termini di attivazionenecessaria del procedimento e di sua conclusione con provvedimento espresso:il quale diviene sostanzialmente vincolato in senso cassatorio nel caso in cui ilmantenimento in vita dell’atto scrutinato sia « semplicemente insopporta-bile » (115).

Questa lettura non contrasterebbe con la lettera dell’art. 21-nonies della l.n. 241/’90, poiché trova la sua base fondante nel principio generale espressodall’art. 2 della medesima legge, che sancisce l’obbligo di concludere il proce-dimento con provvedimento espresso quando esso consegua « obbligatoria-mente » ad una « istanza » (116); una volta avviato « obbligatoriamente » il

(113) M. MONTEDURO, Sul processo come schema di interpretazione del procedimento,cit., distingue, all’interno della locuzione « obbligo di provvedere » (che egli intende in sensoampio), singoli istituti: « l’obbligo di procedere (vincolo a carico della p.a. di valutare sesussistano i presupposti per avviare il procedimento e, in caso positivo, di avviarlo eproseguirlo); l’obbligo di rispondere alla domanda del cittadino (vincolo a carico della p.a.cui autorevoli studiosi attribuiscono natura autonoma, correlandolo ad un diritto soggettivopieno del cittadino all’emanazione del provvedimento espresso a prescindere dal contenutofavorevole o sfavorevole di quest’ultimo [...]); l’obbligo di provvedere (vincolo a carico dellap.a., a procedimento avviato, di fornire non una risposta purchessia ma di concludere ilprocedimento con una decisione sostanziale sulla fondatezza della domanda e, dunque,sull’assetto degli interessi in gioco) », cit. p. 125.

(114) G. ROSSI, Diritto amministrativo. Principi, cit., p. 112.(115) Il riferimento è TRGA Trento, n. 305 del 2009, cit., che predica la Reduzierung

auf Null della discrezionalità amministrativa. Come detto, tuttavia, quella pronuncia ritieneche l’autotutela sia discrezionale nell’an e che — da discrezionale — diventi vincolata nelquomodo in presenza di determinate condizioni. Si vorrebbe pensare, qui, invece, all’esattoopposto, ovvero: un’autotutela vincolata nell’an inteso quale « obbligo di rispondere », cheè strutturalmente discrezionale nel quomodo, salvo non occorrano le condizioni di manifestaillegittimità del provvedimento — o, comunque, di prevalenza dell’interesse pubblico alripristino della legalità violata sugli altri — che ne rendano doveroso l’esercizio « inpositivo ».

(116) Secondo M. MONTEDURO, Sul processo come schema di interpretazione delprocedimento, cit., l’avverbio « obbligatoriamente » può essere inteso in senso ampio, e cioè:« l’obbligo di concludere il procedimento e l’obbligo di avviarlo corrono su binari paralleli,nel senso che la domanda del cittadino (« una istanza ») da un lato fa conseguire « obbli-gatoriamente » il procedimento amministrativo, che dunque dovrà sempre essere aperto dallap.a. per esaminare la domanda, dall’altro fa conseguire sempre l’obbligo della p.a. diconcludere quello stesso procedimento attraverso un provvedimento espresso e motivato,reso entro un termine certo e prefissato, sia pure tale provvedimento limitato al rigetto « inrito » della domanda per ragioni procedurali o formali o per difetto di legittimazione delcittadino », cit. p. 172. Quanto al termine « istanza », anche se quella di autotutela sarebbe

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procedimento, l’Amministrazione pondera discrezionalmente gli interessi ingioco come postulato proprio dall’art. 21-nonies: nel caso, poi, in cui il provve-dimento di primo grado non superi la « prova di resistenza », l’esito del proce-dimento non potrà che essere quello appena visto. Qui la discrezionalità siriduce a zero.

La recentissima novella recata dall’art. 1, comma 38, l. 6 novembre 2012, n.190 all’art. 2 cit., peraltro, sembra davvero confermare la praticabilità di questavia di diritto. Stabilendo che « se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammis-sibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le pubbliche amministra-zioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto informa semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimentoal punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo », la norma introduce l’obbligoper la p.a. di rispondere sempre, con un provvedimento espresso e motivato, atutte le istanze dei cittadini.

Quanto questa disposizione apra la strada alla doverosità dell’avvio e dellaconclusione di un procedimento in autotutela appare a chi scrive sin troppoevidente (117).

Questa ricostruzione parrebbe trovare conforto — oltre che in quello dilegalità — nel principio di doverosità della p.a., « definibile come necessità diperseguire il fine pubblico nel miglior modo possibile » (118), cui fa da contral-tare la discrezionalità dell’attività amministrativa che, dal ruolo centrale cheaveva in passato nel diritto amministrativo, pare averne ormai assunto uno« notevolmente residuale » (119).

Le nuove chiavi di lettura offerte da dottrina e giurisprudenza, pertanto,consentono di colmare le lacune di un legislatore che, forse, non ha potuto faraltro che esprimersi per concetti giuridici indeterminati, lasciando tuttaviainterrogativi che, potenzialmente, potranno trovare una risposta ben diversa daquella che finora (nonché dalla sentenza in commento) è stata data alla que-stione sulla doverosità dell’autotutela.

CLARA NAPOLITANO

una istanza non tipizzata dall’ordinamento (e quindi includibile nel novero delle « denunce »destinate solo ad eccitare i poteri d’ufficio della p.a.), cfr. M.S. GIANNINI, Diritto ammini-strativo, cit., p. 835 ss., che ravvisa sempre nell’istanza una « manifestazione di volontà », alcontrario della denuncia che rientra in quegli atti aventi « natura di manifestazioni optativeo di opinione ». A ben vedere, in effetti, l’istanza di autotutela è tale proprio in quanto ilcittadino manifesta all’Amministrazione una determinata situazione di illegittimità e mani-festa la volontà che il provvedimento sia rimosso in via di autotutela.

(117) È interessante, anche, il parallelo che s’instaura — o, meglio, si stringe — fraprocedimento amministrativo e processo giurisdizionale, tra sentenza e provvedimento.

Alle sentenze rese in forma semplificata l’ordinamento fa corrispondere adesso prov-vedimenti amministrativi con struttura non dissimile.

(118) G. ROSSI, Diritto amministrativo. Principi, cit., p. 123.(119) G. ROSSI, Diritto amministrativo. Principi, cit., p. 320.

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