Un Rousseau cattolico socialista. Riflessioni sul cristianesimo di Buchez

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2015 – Dipartimento di Studi Europei (DEMS) via Maqueda, 324 – 90134- Palermo portale.unipa.it/dipartimenti/dems Supplemento a Storia e Politica, VII - 2015 EISSN 2037-0520 ISBN: 978-88-940096-1-3 Il presente volume è stampato con fondi del Dipartimento DEMS Immagine in copertina: Jean Béraud - Sortie des ouvrières de la Maison Paquin, rue de la Paix. Huile sur toile, Musée Carnavalet, Paris Stampa: Tipografia dell’Università – Palermo – www.tipografiadelluniversita.com Finito di stampare nel mese di aprile 2015.

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2015 – Dipartimento di Studi Europei (DEMS) via Maqueda, 324 – 90134- Palermo portale.unipa.it/dipartimenti/dems Supplemento a Storia e Politica, VII - 2015 EISSN 2037-0520 ISBN: 978-88-940096-1-3 Il presente volume è stampato con fondi del Dipartimento DEMS Immagine in copertina: Jean Béraud - Sortie des ouvrières de la Maison Paquin, rue de la Paix. Huile sur toile, Musée Carnavalet, Paris Stampa: Tipografia dell’Università – Palermo – www.tipografiadelluniversita.com Finito di stampare nel mese di aprile 2015.

Pensiero cristiano, questione sociale e liberalismo in Francia nel XIX secolo

A cura di Claudia Giurintano

Alessandro Bellavista, Eric Biagi, Andrea Lanza, Manuela Albertone, Emanule Iula, Eugenio Guccione,

Ludovic Frobert, Mario Tesini, Fausto Proietti, Marie Lauricella,

Claudia Giurintano, Salvatore Muscolino, Fabrizio Simon, Rosanna Marsala, Federica Falchi, Giorgio Scichilone,

Manlio Corselli

Seminario internazionale

Palermo 30-31 ottobre 2014 Complesso monumentale dello Steri

Università degli Studi di Palermo

INDICE Claudia Giurintano Presentazione e ringraziamenti 3 Alessandro Bellavista, Eric Biagi Saluti 22 Andrea Lanza Un Rousseau cattolico socialista. Riflessioni sul cristianesimo di Buchez 29 Manuela Albertone Pensare la rivoluzione: Buchez e l’Histoire parlementaire de la Révolution française 58 Ludovic Frobert Christianisme, socialisme et économie politique. Ballanche, Buchez, Ott 87 Emanuele Iula La governamentalità tra XVIII e XIX secolo. La lezione foucaultiana 117 Eugenio Guccione Dello spirito della rivoluzione… un omaggio clandestino di Ventura a Lamennais 149 Mario Tesini Armand de Melun: ethos aristocratico e riforma sociale 162 Fausto Proietti Il tema del comune nella riflessione politica di alcuni autori cattolici durante la Monarchia di Luglio 181 Marie Lauricella La radicalisation de la pensée buchezienne: Anthime Corbon et la liberté républicaine par la corporation (1863) 214

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Claudia Giurintano Henri-Robert Feugueray: «la République dans l’atelier» 237 Salvatore Muscolino La Teodicea sociale di Frédéric Bastiat 297 Fabrizio Simon Gli autori francesi nelle prime due serie della “Biblioteca dell’Economista” 312 Rosanna Marsala Il concetto cristiano di corporazione in Léon Harmel 350 Federica Falchi Anna Wheeler e William Thompson: rapporti e influenze tra il cooperativismo inglese e il cooperativismo francese 374 Giorgio Scichilone Il cattolicesimo liberale nell’Inghilterra vittoriana: Lord Acton and his circle 409 Manlio Corselli De Gaulle e «la fin de siècle» 435 Indice dei nomi 456

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ANDREA LANZA

UN ROUSSEAU CATTOLICO SOCIALISTA RIFLESSIONI SUL CRISTIANESIMO DI BUCHEZ

Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono venuto non per abolire ma per portare a compimento (Mt 5,17)

Come al solito, nelle loro conversazioni torrenziali, un ar-

gomento tira l’altro. Così, a un certo punto, Bouvard e Pécuchet si ritrovano di fronte ai dilemmi posti dalla sovranità del popolo e non possono che cercare una spiegazione nel libro emblema-ticamente associato a questo argomento: Ils prirent le Contrat social de Rousseau. Pécuchet alla jusqu’au bout; puis, fermant les yeux et se renversant la tête, il en fit l’analyse: on suppose une convention par laquelle l’individu aliéna sa liberté. Le Peuple, en même temps, s’engageait à le défendre contre les inégalités de la Nature, et le rendait propriétaire des choses qu’il détient. Où est la preuve du contrat? Nulle part! et la communauté n’offre pas de ga-rantie. Les citoyens s’occuperont exclusivement de politique. Mais comme il faut des métiers, Rousseau conseille l’esclavage. Les sciences ont perdu le genre humain. Le théâtre est corrupteur, l’argent funeste, et l’État doit imposer une religion, sous peine de mort. «Comment! se dirent-ils, voilà le pontife de la démocratie!» Tous les réformateurs l’ont copié (Flaubert 1952: 865).

Così i due personaggi flaubertiani, nelle cui parole non c’è nulla di quello che pensano ma solo la copia di mille riassunti, si mettono alla lettura dei socialisti e delle loro teorie. Come tutte le pagine di questo romanzo satirico-filosofico, anche que-sta non fa che mettere nella bocca dei due uomini dalla curiosi-tà sconfinata e superficiale una serie di luoghi comuni del loro tempo. Luoghi comuni che divergono, fino in realtà a opporsi, per convergere poi, in questo caso nell’idea che Rousseau sia l’ispiratore di ogni riformatore, ovvero di ogni socialista. Ne emerge un’immagine contraddittoria in cui si fondono parte dei modi di evocare Rousseau a quell’epoca. Osservare la Francia

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dell’Ottocento attraverso il prisma di questi usi teorici e retorici di Rousseau può essere un suggestivo modo di entrare nei di-battiti dell’epoca, nei modi di pensare la politica e di schierarsi, di elaborare le diverse dottrine e di combattere le battaglie teo-riche e contingenti. Si può cioè usare il modo di rapportarsi a Rousseau, di evocarlo, brandirlo, stigmatizzarlo o ignorarlo per interrogare i pensatori e le categorie con cui li classifichiamo. Nelle pagine che seguono proverò a farlo a partire dal caso di Philippe Buchez, un pensatore francese della prima metà dell’Ottocento che mette in difficoltà qualsiasi velleità di classi-ficazione1. Nato nel 1796, dalla Restaurazione alla Seconda Re-pubblica, Buchez segue un percorso teorico-politico di grande interesse e di una certa influenza in ambienti diversi, propo-nendosi di essere repubblicano, democratico, socialista e catto-lico. Questi quattro modi d’essere non possono per lui che con-catenarsi e completarsi.

Non è affatto casuale se, nei riferimenti autobiografici come nei testi biografici scritti dal suo entourage, ricorra con insistenza il riferimento a due aspetti opposti dei suoi genitori, quasi a voler indicare una sorta di radicamento nella storia fa-miliare di questa poliedricità del suo posizionamento: suo padre sostenne e partecipò alla Rivoluzione, tanto da venir allontana-to dalla funzione che svolgeva presso le entrate locali con la Re-staurazione e da morire per l’umiliazione subita2, mentre sua madre era una cattolica pia e osservante, morta al tempo dell’adolescenza di Philippe. La volontà e lo sforzo di coniugare l’eredità politica, sociale e identitaria della Rivoluzione con la tradizione universalista e ortodossa del cristianesimo cattolico è in effetti al cuore stesso del pensiero e dell’attività politica di Buchez, almeno dalla seconda metà degli anni Venti. È, infatti,

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!1 Limitandosi ai maggiori studiosi di Buchez, si può ricordare che Eugenio Guc-cione, cui si deve il merito di aver richiamato in Italia l’attenzione su questo au-tore, sottolinea il ruolo di Buchez nella nascita di un pensiero democratico cri-stiano (cfr. Guccione 1993 e 1986). Armand Cuvillier pone Buchez nell’alveo del cooperativismo (cfr. innanzitutto Cuvillier 1922: 356-371). François-André Isambert tende invece a sottolineare tre differenti momenti del percorso politi-co-intellettuale di Buchez: repubblicana cospirativa; sansimoniana; socialista cattolica (cfr. Isambert 1967 e 1966). 2 Barbara Patricia Petri ne sottolinea la particolare devozione per «le idee di Rousseau», senza tuttavia indicare fonti (Petri 1958: 1).

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nel 1825 che, provenendo dagli ambienti repubblicani, Buchez attraversa l’esperienza che più lo marca, come marca del resto una parte importante, sebbene minoritaria, della sua genera-zione: l’esperienza sansimoniana. Entrato in contatto con il gruppo parigino all’indomani della morte di Saint-Simon, Bu-chez giocherà per un breve ma intenso periodo un ruolo impor-tante.

Le evoluzioni successive di alcune componenti di questo gruppo hanno fortemente contribuito a dare un’idea limitata dell’eterogenea esperienza sansimoniana. Da una parte il tec-nocratismo autoritario che caratterizzerà alcuni ex-sansimoniani sotto la Monarchia di Luglio e soprattutto duran-te il Secondo Impero, dall’altra la vena mistico-religiosa pro-mossa dal «père Enfantin» e lo scandalo portato dalle pratiche d’emancipazione femminile hanno concorso a lasciarne delle immagini caricaturali e semplificatrici. Il gruppo che anima la scuola sansimoniana negli ultimi anni degli anni Venti e all’inizio della Monarchia di Luglio, in un momento di efferve-scenza politica e intellettuale provocata dalle speranze dello slancio rivoluzionario, è tuttavia molto composito. La figura di Buchez non è l’unica a sostenere una posizione repubblicana democratica nelle discussioni interne al gruppo sansimoniano, così come negli sforzi di propagare la nuova dottrina sociale, negli ambienti studenteschi parigini, nelle classi artigiano-operaie delle grandi città e fra le donne in cerca di un’emancipazione dal servaggio familiare. Una parte non se-condaria del sansimonismo professa apertamente il repubbli-canesimo e i principi democratici associati alla Rivoluzione, ba-sti pensare a qualcuno come Laurent (de l’Ardèche), che imme-diatamente prima di aderire a quel movimento scrive quella che è spesso considerato il testo inaugurativo di una storiografia della Rivoluzione finalizzata alla rivalutazione della fase giaco-bina3, o, soprattutto, a Pierre Leroux e Jean Reynaud che, la-

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!3 Sull’influenza di questo testo negli ambienti repubblicani radicali, cfr. Galante Garrone 1975: 15-23; Galante Garrone 1948: 21-27; Bracco 1989: 328-335). In particolare l’articolo di Regina Pozzi (Pozzi 1984), permette di comprendere le diverse dimensioni della rinascita del mito giacobino e il ruolo giocato dalle ri-costruzioni storiografiche nei dibattiti politici, dedicando una certa attenzione al testo di Laurent (de l’Ardèche). Sulle influenze reciproche fra ambienti repubbli-cani radicali e sansimoniani, cfr. anche Bracco (1983: 27-29 e 73-75).

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sciato il sansimonismo, riuniranno intorno a sé un certo nume-ro di giovani sansimoniani nel progetto politico, culturale e scientifico dell’Encyclopédie Nouvelle. Dalla fine degli anni Tren-ta, poi, Pierre Leroux costituirà il punto di riferimento principa-le per il socialismo repubblicano che si diffonde in diversi am-bienti politici e operai parigini e non solo. Se Buchez non è, quindi, affatto isolato nel tentativo di coniugare i principi politi-ci repubblicano-democratici e i principi di comprensione della società e della storia esposti da Saint-Simon, ed elaborati e si-stematizzati grazie anche ai contributi di altre figure fondamen-tali della scuola (da Comte a Bazard, da Enfantin a Buchez stesso), egli si dimostra originale tanto per la volontà di artico-lare sansimonismo democratico e cristianesimo quanto, soprat-tutto, per la maniera in cui vi perviene e su cui torneremo più lungamente nell’ultimo paragrafo.

Allontanatosi dal nucleo centrale della scuola nel momen-to in cui Enfantin prevale e fa della scuola sansimoniana una chiesa4, Buchez diviene uno dei protagonisti dell’elaborazione di un pensiero socialista repubblicano5 e l’iniziatore di una pratica associativa di produzione, pur senza porsi al centro di un’estesa rete di interlocutori6. In questa operazione, Buchez si distingue per il suo modo di articolare storia e più precisamente progresso7, società e religione, e in particolare per la determina-tezza a rifiutare i tentativi di fondare nuove religioni post-cristiane e a porsi nell’alveo del cattolicesimo romano. Questa originalità e le sue implicazioni emergono anche dall’os-servazione del suo rapporto con Jean-Jacques Rousseau.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!4 Sulle prime evoluzioni del sansimonismo, cfr. Charlety (19652: 57-171); Picon (2002: 33-130); Larizza Lolli (1976); Prochasson (2004: 126-173). 5 Sull’articolazione fra queste due prospettive nella Francia degli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento come origine del socialismo repubblicano, mi permetto di rinviare a Lanza 2010. 6 Gli abbonati alla sua rivista L’Européen sono per esempio stimati in un centi-naio e le copie distribuite circa cinquecento, cfr. Castella (1909: 23). 7 Per un’efficace sintesi della concenzione bucheziana del progresso, in cui gio-ca un ruolo fondamentale l’idea di «but d’activité commune», cfr. Michel [1895] 2003: 237-243; e anche l’introduzione di Auguste Ott, il discepolo più vicino a Buchez, al proprio Manuel d’histoire universelle (Ott 1840: I, 1-64); su Auguste Ott, cfr. Giurintano (2003).

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Prima di osservare l’immagine di Rousseau che emerge dai testi bucheziani è, però, necessario ripercorrere i molteplici significati attribuiti al nome del ginevrino a partire dalla Rivolu-zione. È durante la Rivoluzione, infatti, che, dopo un’iniziale lotta per l’appropriazione dell’eredità roussoiana cui partecipa-no anche gli aristocratici, si assiste a una vittoria da parte dei giacobini che riescono a imporre l’idea di un Rousseau rivolu-zionario. Per misurare la trasformazione che Rousseau subisce in modo molto rapido, si può pensare all’importanza cruciale che assume un testo secondario nella prima ricezione di Rous-seau, come del resto anche nell’autopresentazione di Rousseau stesso, qual è il Contrat social, rispetto all’Emile o alla Nouvelle Héloïse. Quest’appropriazione da parte giacobina viene in qual-che modo consacrata anche in termini negativi: la critica di Constant a Rousseau è emblematica di una sovrapposizione fra Rousseau, divenuto ormai un autore prioritariamente politico e il cui pensiero politico sarebbe sintetizzato dal Contrat social, e il giacobinismo, fra Rousseau e la dittatura senza limiti di una minoranza in nome di una maggioranza8.

Durante la Restaurazione, la memoria della Rivoluzione si nutre della riedizione degli autori settecenteschi a iniziare da Voltaire e Rousseau; paradossalmente, è una reazione malde-stra da parte delle gerarchie cattoliche a rilanciare l’immaginario legato a questi due nomi; la condanna emessa nel 1817 dall’arcidiocesi parigina in occasione delle edizioni a basso costo delle opere dei due filosofi, provoca una fortuna dei due nomi come emblemi del libero pensiero. È in quella occa-

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!8 Le filiazioni di tale critica sono molteplici, raggiungendo il proprio culmine nei dibattiti marcati dalle interrogazioni poste dalla guerra fredda. Esemplare a questo proposito il riferimento fondamentale a Rousseau da parte di Jacob Talmon; esemplare tanto più che Talmon stesso individua come propria dell’utopia totalitaria una concezione razionalista secondo cui la perfettibilità dell’umanità è caratterizzata da una (molto poco roussoiana) progressiva cono-scenza della natura e di sé (cfr. Talmon [1952] 1967: 7-23) e in cui la totalità che caratterizza il totalitarismo democratico è individuata nell’unità omnicom-prensiva della volontà generale e nell’insieme “delle risorse e dell’ingegno uma-no” sottoposto alla direzione statale (cfr. Talmon [1952] 1967: 207) - ovvero nel-la (molto poco roussoiana) coincidenza di sovrano e principe.

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sione che nasce la canzonetta che Hugo mette nella bocca di Gavroche «la faute de Voltaire, la faute de Rousseau». Si arriva così agli anni Trenta, in cui Rousseau è un nome osteggiato o esibito in quanto simbolo della rivoluzione, di una filosofia che ha minato le basi dell’autorità temporale e spirituale dell’ordine sociale tradizionale.

Vi è inoltre un’altra dimensione che gioca un ruolo nelle ricezioni e nei modi di rapportarsi a Rousseau di cui si deve te-ner conto parlando di Buchez: il fatto che si sia imposto duran-te la rivoluzione e in quanto autore del Contrat social fa sì che Rousseau venga non solo osteggiato dai tradizionalisti controri-voluzionari, da Maistre e da Bonald per esempio, ma che sia evocato con sospetto o con sarcasmo dalle prime generazioni che noi oggi definiamo socialiste, ovvero da Fourier e da Saint-Simon e dalle loro scuole. Leggendo il Contrat social come la chiave del pensiero politico di Rousseau, e facendo quindi di una teoria dei fondamenti del diritto una concezione della so-cietà e delle sue trasformazioni storiche, tradizionalisti, fourie-risti e sansimoniani evitano Rousseau o lo evocano di tanto in tanto come esempio di artificialismo, di erronea concezione del-la società che sarebbe seconda rispetto agli individui, risultato di un contratto. Questa concezione caratterizza non solo il rap-porto a Rousseau di Saint-Simon, ma anche quello di Comte e, più in generale, nelle formalizzazioni a loro legate della scienza sociale francese, fino a Espinasse o al primo Durkheim9. Per ragioni diverse ma analoghe, l’immagine di Rousseau che emer-ge nelle pagine degli economisti politici francesi, a iniziare, per esempio, da quelle di Frédéric Bastiat (Bastiat 1851: 536-537). I testi di Buchez s’inseriscono in questo quadro concorrendo a loro volta a definirlo ulteriormente; in particolare, sebbene il nome di Rousseau non ricorra spesso nelle sue pagine e in quelle dei membri della sua scuola, Buchez gioca un ruolo im-portante in due modi, in particolare contribuendo a far entrare Rousseau nelle schiere socialiste e a diffondere l’opposizione fra Rousseau e Voltaire come rappresentativi di due rivoluzioni moralmente e politicamente distinte.

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!9 Mi permetto di rinviare su questo argomento a Lanza (2015).

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Per Buchez, come per i suoi contemporanei, Rousseau rappresenta innanzitutto l’idea di sovranità politica, poiché ha dato di questa un’esposizione «nette, avec autant d’autorité et sous forme d’un système unique et complet. A Rousseau donc l’honneur de cette formule!» (Buchez 1866: II, 179). E Buchez aggiunge immediatamente, ponendo quindi Rousseau in rap-porto all’altra dimensione che gli sta a cuore: «La définition du souverain donnée par Rousseau paraît une réminiscence de la définition que l’Eglise catholique donnait de sa propre souve-raineté» (Buchez 1866: II, 179) con la differenza, sempre sotto-lineata da Buchez, che Rousseau non giustifica il fondamento di questa sovranità. Altrove, nel secondo volume del medesimo trattato, Buchez stesso relativizza questa mancanza, per mo-strare come anche in Rousseau la legge, ovvero l’atto del sovra-no, è l’espressione della volontà generale, ma anche necessa-riamente «des principes de justice imprimés par Dieu au coeur de l’homme» (Buchez 1866: II, 179). In tal modo, se non la so-vranità in sé, l’oggetto della sua espressione viene, in fondo, ri-condotto, secondo Buchez, da Rousseau a Dio. Tuttavia, questo punto resta evidentemente problematico per Buchez, la cui teo-ria della sovranità distingue chiaramente una sovranità assolu-ta propria solo a Dio e una relativa propria dei governi umani. Nelll’Encyclopédie du XIXe siècle, Buchez scrive per esempio: «La souveraineté absolue n’appartient qu’à Dieu»; e aggiunge: «Il existe une souveraineté sans limite de temps, sans limite de conditions, à laquelle tout est possible et devant laquelle tout est devoir et obéissance, jusqu’à la liberté même. La souverai-neté absolue est Dieu lui-même ; elle n’est nulle part ailleurs» (Buchez 1844: 1)10. Inoltre, nella prospettiva di Buchez, la so-vranità assoluta è accessibile all’uomo attraverso la legge mora-le, che precede e trascende ogni principio nazionale; l’autorità della legge morale esercita un ruolo indiretto rispetto al potere secolare, da cui deriva la concezione del potere spirituale come potere esercitato unicamente attraverso l’educazione e il con-

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!10 È necessario anche ricordare che l’opposizione fra una sovranità assoluta e una relativa, esposta già da Lamennais all’inizio del decennio precedente su L’Avenir, si ritrova in molti autori del socialismo repubblicano (da Leroux, a Reynaud o a Pecqueur); cfr. Lanza (2010: 233-235).

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vincimento dell’opinione pubblica11. Buchez non manca di met-tere in evidenza questo limite in Rousseau. E, come sintetizzerà ancora nel Traité de politique et de science sociale, ciò che è per lui incomprensibile in Rousseau è proprio l’idea di unanimità nell’atto di riconoscersi nella volontà generale e nella legge. Tale processo d’identificazione completa è impossibile secondo Bu-chez da pensare in una società dagli interessi divergenti: On ne comprend point d’abord l’unanimité dans l’acceptation quand on pense à la multitude des intérêts divers, aux passions et surtout aux inégalités d’intelligence qui divisent les masses appelées à se pro-noncer. On la comprend encore moins quand on réfléchit qu’elles doi-vent, en outre, consentir à quelque chose qui les gêne ou qui leur répugne (Buchez 1866: II, 183)12.

Ed è soprattutto per questo motivo che, sebbene la dot-trina roussoiana sia stata utile, fondamentale, durante la Rivo-luzione, promuovendo il principio di unità, resta ormai legata a quel momento, a quelle esigenze e a quelle esagerazioni: La doctrine de Rousseau a été expérimentée sous la Convention et par la Convention elle-même. Elle a peut-être sauvé l’indépendance natio-nale et notre avenir social; mais elle n’a pu convenir qu’à un temps ex-ceptionnel de guerres extérieures et de guerres civiles (Buchez 1866: II, 194).

Non è questo l’unico nodo roussoiano che, per Buchez, si rivela problematico. Come gli altri socialisti della sua epoca, Buchez non può accettare l’idea associata a Rousseau e desun-ta dal Contrat social secondo cui la società nascerebbe da un

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!11 cfr. Buchez (1844: 3); e anche Buchez (1866, II: 331). 12 La citazione può sorprendere chi conosce gli scritti di Buchez, che tende ge-neralmente a presumere una convergenza di interessi, se ben intesi, cioè se compresi nelle loro dimensioni inseparabilmente materiali e morali. Occorre quindi da una parte precisare che su questo giudizio pesa senz’altro l’esperienza del 1848, dall’altra che, seguendo una lettura diffusa al suo tempo ma non solo, sembra estendere l’idea di adesione universale dalle sole Leggi all’insieme delle norme positive; del resto, i repubblicani democratici francesi di metà Ottocento, pur rifacendosi alla Costituzione del 1793, di questa, sembra-no totalmente ignorare la distinzione, per altro fondamentale, fra leggi -necessariamente ratificate da ogni cittadino - e decreti unicamente parlamenta-ri.

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contratto, da individui che esisterebbero isolati e che decide-rebbero razionalmente di unirsi13. Buchez lo espliciterà nel Trai-té de politique et science sociale, aggiungendo che Rousseau at-tribuisce per questo motivo alla società «un but individuel» (Bu-chez 1866: I, 83 e 84). Se Buchez evoca il problema, egli non vi insiste mai.

Vi è infine un ulteriore aspetto che appariva problematico tanto ai socialisti, quanto, e ancor più, ai cattolici dell’epoca: l’uso strumentale della religione che il Contrat social sembra prescrivere. In questo caso la posizione di Buchez appare parti-colarmente originale; non si limita, infatti, a una minimizzazio-ne, ma procede a una sorta di rovesciamento, concentrandosi sull’attenzione che Rousseau porta per la dimensione religiosa. Per cogliere l’originalità di questa posizione può essere utile confrontarla con quella espressa da Lamennais nella sua prima importante opera. Nell’Essai sur l’indifférence en matière de re-ligion, Rousseau è forse il pensatore cui è dedicato più spazio, trattato come autore di grande interesse sebbene, in fondo, in-capace di uscire dalle proprie contraddizioni. Il ginevrino e il suo Contrat social sono citati già in apertura del secondo capito-lo a suffragio dell’impossibilità di fondare uno Stato su altro che una religione (Lamennais [1817] 1839: 22) e, nel medesimo capitolo, si ricorda come Rousseau abbia sostenuto l’impossibilità di essere virtuoso senza religione (Lamennais [1817] 1839: 35). La discussione delle sue tesi è però da cercare nei capitoli IV, V e VI, interamente dedicati alla confutazione dell’idea di religione naturale quale pericolosa fonte d’indifferenza. Rousseau è il protagonista di questi capitoli, es-sendo «le plus habile défenseur» di tale idea (Lamennais [1817] 1839: 38). I riconoscimenti del valore del nemico si alternano in Lamennais agli affondi contro le contraddizioni di questo «in-

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!13 Non si tratta qui, evidentemente, di discutere l’interpretazione più aderente alla concezione originaria di Rousseau, ma di costatare la realtà delle letture che si sono storicamente imposte o opposte fra loro. Tuttavia, può essere utile rilevare come la lettura con cui Buchez si confronta (o che subisce) si struttura a partire da una priorità attribuita al Contrat social da cui deriva una determi-nata interpretazione delle altre opere. Per una ricostruzione volta a restituire l’importanza della dimensione storica e la coerenza della filosofia della storia di Rousseau, declinata in modalità complementari a seconda dei fini e dei generi dei singoli scritti, cfr. Silvestrini (2013).

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conséquent sophiste» (Lamennais [1817] 1839: 41). Se il dialo-go, spesso acceso, con Jean-Jacques è profondo, appassionato, per Lamennais è però chiaro che «le système de Rousseau, compatible en apparence avec toutes les religions, les détruit donc toutes par le fait» (Lamennais [1817] 1839: 44), «car, au fond, Rousseau n’évite pas l’athéisme, où le conduit son systè-me, qu’en multipliant les contradictions» (Lamennais [1817] 1839: 44). Lamennais rievoca a questo punto la citazione del Contrat social sulla necessità di fondare uno stato su una reli-gione, per giudicarla attraverso l’esperienza fallimentare della rivoluzione (Lamennais [1817] 1839: 44). La medesima citazio-ne verrà infine ripresa una terza volta, nel capitolo XI, per insi-stere sulla tensione più profonda di Rousseau: «La raison de cet homme et son cœur l’entrainaient vers le christianisme, que son seul orgueil repoussait» (Lamennais [1817] 1839: 115).

Qualcuno come l’abbé de Genoude, nelle pagine autobio-grafiche intitolate Histoire d’une âme14, insiste ugualmente sulle contraddizioni di Rousseau, ma, pur senza rivalutarlo, indivi-dua in queste contraddizioni l’origine della propria conversione. Le tensioni divergenti che animano gli scritti del ginevrino l’avevano, infatti, spinto a interrogarsi mettendo in questione il proprio convinto materialismo, aprendolo così alla possibilità di volgersi alla vera religione. Anche rispetto a Genoude, Buchez si spinge oltre, rovesciando il significato della tesi della religione naturale per mettere in valore l’importanza data da Rousseau alla dimensione religiosa. Sull’Européen, nel 183215, sostiene infatti che il fatto che Rousseau proclami naturale la predica-zione cristiana testimonia di quanto essa fosse ormai, dopo di-ciotto secoli, entrata negli spiriti delle «générations des euro-péens». In altri termini, laddove i cattolici dei decenni intercorsi dalla pubblicazione delle opere di Rousseau avevano visto un attacco radicale al significato stesso della religione rivelata, Bu-chez vede la consacrazione della vera religione, la possibilità di salvarla dall’indifferenza e dall’ateismo. Così Buchez afferma: «L’école de Rousseau sauva la pensée évangélique du naufrage de l’Église romaine». A questa affermazione segue immediata-

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!14 Genoude (1844: 23 e ss. frammenti pubblicati già negli anni precedenti). 15 [Attribuibile a Buchez], “Science sociale - Esprit des conventionnels”, L’Européen, 29 septembre 1832, 3.

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mente l’esplicitazione della tesi secondo cui tale negazione, ov-vero l’opposizione agli errori della Chiesa romana, non ha più ragione d’essere, ed è necessaria ormai un’affermazione, ovvero un rilancio esplicito e completo della vera religione. In altri ter-mini, in termini sansimoniani e bucheziani, all’epoca critica, durante la quale Rousseau ha garantito una continuità dell’insegnamento morale cristiano, deve seguire un’epoca or-ganica, una messa in pratica sociale del cristianesimo cattolico. A livello teorico, quindi, Rousseau è poco evocato, non venendo mai per esempio citato nell’Essai d’un traité complet de philoso-phie, du point de vue du catholicisme et du progrès e non essen-do mai l’oggetto di un intero articolo o paragrafo degli scritti di Buchez, e quando è evocato non mancano alcune critiche radi-cali. Nonostante questo e nonostante in fondo, come scrive Bu-chez, Rousseau avesse mezza testa protestante16, il ginevrino viene adottato come immagine di una rivoluzione cristiana, del-la Rivoluzione francese come apertura alla realizzazione sociale del cristianesimo cattolico.

Per comprendere meglio l’immagine di Rousseau mobilita-ta da Buchez bisogna allora lasciare da parte questi scampoli di discussione teorica, per concentrarsi sulla messa in prospettiva storica proposta da Buchez a partire dalla riflessione sulla Ri-voluzione. Rimandando alle analisi generali già largamente condotte, a iniziare da quelle di Eugenio Guccione, mi limito quindi a ricordare che Buchez è, con Roux-Lavergne, negli anni Trenta, non solo l’autore di una poderosa storia della Rivolu-zione francese in quaranta volumi composti dall’edizione di un gran numero di fonti, ma è anche l’artefice di un’operazione di grande rilevanza. Attraverso le prefazioni di questi volumi e gli articoli che pubblica in parallelo sulla sua rivista, Buchez pro-pone, infatti, una rilettura della Rivoluzione come momento di avveramento di una missione universale della nazione francese nel cammino storico di realizzazione sociale del cristianesimo. In questo cammino, i giacobini svolgono un ruolo fondamenta-le, che giustifica i loro eccessi. Sebbene in maniera più collate-rale, Rousseau, discusso come abbiamo visto su alcuni nodi

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!16 Il «protestantesimo» di Rousseau è un luogo comune degli ambienti cattolici; Lamennais sintetizza per esempio: «Rousseau, né protestant, n’a fait que déve-lopper les principes des protestants» (Lamennais [1817] 1839: 47).

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teorici fondamentali, subisce una rivalutazione analoga e paral-lela a quella dei giacobini; nel caso di Rousseau si tratta di una rivalutazione in primo luogo morale, che prende corpo soprat-tutto attraverso l’opposizione fra la scuola di Rousseau e la scuola di Voltaire17. Tale opposizione era nell’aria all’inizio della Monarchia di Luglio, in rottura con l’associazione promossa dalle forze cattoliche controrivoluzionarie cui si è accennato in precedenza, ma Buchez la sistematizza, prendendo partito ine-quivocabilmente per Rousseau. Questa opposizione avrà un’ampia fortuna perché proietta la discussione fra due figure chiave della filosofia francese del Settecento sulla Rivoluzione e la Rivoluzione sulla società francese contemporanea che, dopo le giornate di Luglio, riprende il filo della propria storia rivolu-zionaria per dividersi sul modo di intenderla. In questa opposi-zione schematica, Rousseau incarna lo spirito sincero della Ri-voluzione, la democrazia e l’annuncio del socialismo, mentre Voltaire viene associato ai Girondini e a Guizot. L’Atelier, il giornale redatto dagli operai parigini della scuola bucheziana, lo scrivono molto esplicitamente in un articolo significativamente intitolato «Si le peuple doit avoir de l’estime pour Voltaire»18 e in cui Rousseau è il primo testimone chiamato ad accusare Voltai-re. In questo processo la prova definitiva è costituita dal fatto che Guizot sia il fedele interprete del pensiero del juste-milieu inaugurato da Voltaire, «un parallèle qui prouvera invincible-ment notre dire».

L’opposizione fra la scuola di Voltaire e la scuola di Rous-seau è già presente ne L’Européen, ma trova la sua forma più completa nella Histoire parlémentaire de la Révolution française. Fin dal saggio introduttivo del primo volume, le due scuole sono così presentate: La première vulgarisa tout ce que les protestans avaient accumulé d’objections contre le catholicisme et la souveraineté monarchique. El-

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!17 Fin dal lungo scritto introduttivo del primo volume della Histoire parlémentai-re de la Révolution française -HPRF) o, già prima, su L’Européen, Buchez intro-duce l’idea di due scuole che si sarebbero opposte durante il Settecento e che avrebbero combattuto durante la Rivoluzione, la scuola di Rousseau e quella di Voltaire. 18 “Si le peuple doit avoir de l’estime pour Voltaire”, L’Atelier, année 7, n. 8, mai 1847, 507-510.

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le concentra sa verve pour frapper le despotisme, et négligé d’approfondir la cause intime du mal. Aussi recruta-t-elle de nom-breux adeptes, de chaudes amitiés, des patrons infatigables dans la classe riche, et surtout chez les traitans. La seconde avait indistincte-ment battu en brèche les intérêts égoïstes, sous lesquels l’intérêt commun avait disparu; elle tourmentait sans cesse le problème de la conservation sociale, et possédait déjà d’importantes solutions sur la production et sur la distribution des richesses19.

Ancor prima di sottolineare questa differenza politico-morale, Buchez richiama l’attenzione su un’altra dimensione, la dimensione che sappiamo stargli più a cuore, quella religiosa. Se, infatti, entrambi presagivano l’imminenza di una rivoluzio-ne, Rousseau e Voltaire si sono distinti profondamente nel mo-do di farlo. Scrive Buchez: Jean-Jacques tenait ce langage dans un livre de morale religieuse, par lequel il prémunissait l’âme de ses élèves, afin que la lutte prochaine n’étonnât ni leur science ni leur dévouement. Voltaire prédisait aussi, mais à sa manière. Il voyait l’infâme écrasée; il est témoin que ses ef-forts de démolisseur allaient renverser toutes les vieilles murailles

(HPRF: I, 163).

Di questo breve passaggio, per misurarne la portata e il significato, è utile sottolineare che Buchez concentra sul solo Voltaire la retorica che i tradizionalisti indirizzavano contro l’intera rivoluzione, quando non contro la coppia Rousseau e Voltaire20. Inoltre, i valori che Rousseau avrebbe inteso preser-vare dagli sconvolgimenti rivoluzionari sono esattamente quelli che identificano il socialismo di Buchez: scienza e devozione. Rousseau costituisce quindi non solo colui che ha garantito la continuità di una morale cristiana attraverso la crisi rivoluzio-naria, ma anche colui che ha preparato le basi per la realizza-

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!19 P.-J.-B. Buchez, “Introduction. Histoire abrégée des Français”, in HPRF: I, 163-164. 20 L’opposizione fra le due scuole ritorna nella “Préface” del volume II, in una formula sintetica, e successivamente nella “Préface” del volume XI, dove Buchez si dilunga scrive: «la philosophie du dix-huitième siècle se présente […] sous forme de deux signes contradictoires, le fédéralisme et l’unité, Voltaire et Rous-seau».

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zione sociale del cristianesimo, ovvero della futura evoluzione democratica socialista della società europea21.

La lettura proposta da Buchez non è forse senza influenze sulla diffusione di un’immagine di un Rousseau che, coerente-mente all’idea di una continuità storica promossa dal sociali-smo repubblicano, si sovrappone a quella di Gesù. Rousseau come Gesù, infatti, è un profeta dell’eguaglianza, predicatore di una fratellanza umana che si sta infine per realizzare sulla ter-ra. Richard Lahautière, fondatore de La Fraternité e prossimo di Pierre Leroux, sintetizza questa prospettiva, aggiungendovi classicamente Socrate22 come terzo profeta dell’uguaglianza: «Socrate avait entrevu le vice de la société antique. Jésus s’était écrié: “Tous les hommes sont fères!” Rousseau parut et dit: “Tous les hommes sont frères, parce qu’ils sont égaux!”» (La-hautière 1840: 4). Analogamente, la prima pagina dell’introduzione di Laponneraye alle Oeuvres de Maximilien Ro-bespierre, pubblicate nel 1840, è particolarmente esemplare di questa rilettura di Rousseau come profeta della fratellanza an-nunciata e predicata da Gesù e di cui la Rivoluzione francese appare come l’inizio della realizzazione in terra: Jésus, Rousseau, Robespierre, trois noms qui marchent inséparable-ment et qui se déduisent logiquement les uns des autres, comme les trois termes d’un même théorème; trinité sainte et sublime qui résume en elle les principes d’égalité et de fraternité, et qui luit comme un rayon rédempteur au front de l’humanité asservie (Laponneraye 1840 : I, 5).

In questa immagine di Rousseau, due aspetti appaiono complementari: l’annuncio profetico dell’uguaglianza e della

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!21 In questo senso, l’operazione di Buchez ha solo delle molto parziali analogie con quelle condotte da Mérault de Bizy (con il volume del 1820) e da Martin du Theil (con il volume J.-J. Rousseau apologiste de la religion chrétienne pubblicato nel 1828 e riedito in un’edizione accresciuta nel 1841), di cui Raymond Trous-son sottolinea un movente tattico di «annessione e di appropriazione» (Trousson 1983: 13-14). In particolare, l’abate Martin du Theil evoca Rousseau per oppor-re un sentimento popolare religioso contro l’irreligione imposta dalla borghesia atea del 1830 (cfr. Theil 18412: XXIV-XXV). 22 Si ricorderà, per altro, che Rousseau, nel libro IV dell’Émile attacca duramen-te e lungamente la possibilità di comparare e associare le vite e le morti di So-crate e di Gesù.

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fratellanza e la valorizzazione della fede in Dio, inteso come creatore e garante dell’ordine universale, come condizione della morale e quindi anche delle virtù repubblicane. Fra i molteplici esempi in cui questa complementarietà appare con evidenza, si può citare il drammatico racconto con cui Barbès narra i giorni che avrebbero dovuto precedere la sua esecuzione. In particola-re, per quello che qui ci interessa, Barbès si sofferma sulla fede, che dice di aver sempre avuto all’eccezione di «un ancien temps fort court où, dans mes réactions d’écolier contre le jésuitisme de la restauration, j’en étais venu à confondre Dieu avec les mi-sérables choses que nous prêchaient les prêtres»; la propria «foi certaine», sottolinea Barbès, «ainsi que cela est arrivé à beau-coup d’autres individus de notre époque, c’était Rousseau qui me l’avait donnée» (Barbès 1839: 4)23.

Buchez può avere favorito la diffusione di questa rivaluta-zione quasi religiosa di Rousseau, ma la sua posizione, è bene ribadirlo, è sensibilmente diversa. Come si è detto, lungi da va-lutare positivamente in sé la religione naturale o la naturalizza-zione del cristianesimo, Buchez propende per attirare l’attenzione sul ruolo giocato da Rousseau contro gli attacchi alla religione e quindi in difesa della vera religione. Enfatizzan-do l’opposizione fra Rousseau e Voltaire, Buchez contrappone una maniera sincera, altruista ovvero repubblicana e cristiana di vivere e compiere la Rivoluzione, e una moderata, incline al compromesso e al tradimento per interessi personali, propria della vecchia aristocrazia e della nuova borghesia. 2. La democrazia cristiana di Buchez

Questa immagine di Rousseau rispecchia l’originale collo-cazione che sceglie Buchez negli schieramenti politici e cultura-li del suo tempo, coniugando fra loro, come si è detto, quattro modi di essere: il repubblicano, il democratico, il socialista e il cattolico.

La simpatia di Buchez per Rousseau accompagna un’attività politica e teorica dichiaratamente socialista repub-

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!23 Per una riflessione più generale su repubblicanismo, socialismo e religione nella Francia della prima metà dell’Ottocento, cfr. Berenson (1989: 543-560).

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blicana. Questa attività lo porta a stringere legami nelle classi popolari parigine con diversi operai-artigiani, a iniziare da quelli che diverranno i redattori del giornale a lui vicino, L’Atelier, con cui promuove dei tentativi di messa in pratica della sua idea più originale e fertile, quella dell’associazione operaia caratte-rizzata dal capitale inalienabile24. In modo originale, attraverso questa idea, declina il principio, già sansimoniano e poi condi-viso da tutte le correnti socialiste degli anni Quaranta, della ri-forma della proprietà. Una riforma che mina la proprietà indivi-duale degli strumenti di lavoro, ovvero la proprietà che permet-te la dominazione sociale. Come scrive criticamente il fourieri-sta Considerant, «ce procédé de mise à la porte de la Propriété individuelle par la voie polie du remboursement, appartient à M. Buchez, et constitue, du côté des idées pratiques […] le tri-but du ruisseau dont il verse depuis vingt ans les eaux dans le fleuve du Socialisme» (Considerant 1848, 64)25.

Nel 1848, questa sua posizione socialista repubblicana è confermata dalle sue prese di posizione di fronte alle manifesta-zioni del «popolo di Parigi» del marzo e ai lavori della Commis-sione del Luxembourg26, e dal suo sostegno alle candidature repubblicane radicali e socialiste. Nella prima primavera della repubblica, La Revue Nationale vive una lacerazione fra posizio-

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!24 Non è forse superfluo sottolineare a questo proposito che, fin dall’inizio (cfr. per es. P.J.B. Buchez, “Moyen d’améliorer la condition des salariés des villes”, L’Européen, 17 décembre 1831, tome I, n° 3, 36), Buchez distingue chiaramente due tipologie di lavoratori: gli operai delle fabbriche e gli operai liberi «qui exi-gent un assez long apprentissage» e «dont l’habilité fait le principal capital». La soluzione dell’associazione è proposta unicamente per i secondi, poiché in tale situazione chi sfrutta il lavoro lo fa unicamente in virtù della sua posizione di intermediario, senza concorrere con alcuna conoscenza specifica. I lavoratori delle fabbriche, socialmente ancora marginali, esigono altri tipi di soluzioni, in cui non possono essere interamente artefici della propria emancipazione. 25 In questo pamphlet Considerant dedica un intero capitolo alla critica del “Communisme de Buchez” pur riconoscendo il «caractère honorable de l’Ecole de Buchez» (cfr. pp. 69-78). 26 Cfr. Bazault, “Revue de la quinzaine”, Revue Nationale, année I, n. 14, 23 mars 1848, in particolare le parole d’elogio per Louis Blanc e Albert e per il lavoro dei delegati del Luxembourg: « ces discussions prouvent que la question de l’organisation du travail est sériéusement étudiée» (p. 337) e, alla stessa pagine, il grande elogio della manifestazione composta, qualche giorno prima, da 150mila uomini in risposta alla piccola manifestazione reazionaria della vigilia.

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ni che con i tre giorni di guerra civile in giugno si fa insanabile: il condirettore Bastide si allinea progressivamente con il partito dell’ordine, sostenendo fermamente Cavaignac alla direzione politico-militare della repressione, fino al punto di prendere apertamente posizione per la condanna di Louis Blanc; una parte del giornale ha invece posizioni molto meno nette e condi-vide il radicale disagio degli altri socialisti di fronte alla repres-sione generalizzata. Del resto, qualcuno come Chevé, ancora ad aprile, dopo aver esortato il clero francese a votare i «socialistes intelligents» e i «républicains sincères», aveva scritto chiaramen-te: «Laissez passer la justice de Dieu! C’est que l’ordre pour l’ordre n’a jamais été qu’un leurre, un mensonge»27. Dopo i massacri del giugno, le delusioni per la scuola bucheziana non termineranno: soprattutto le componenti operaie si scontreran-no con le mortificazioni che seguono la progressiva limitazione delle possibilità di un uso realmente innovativo delle risorse de-stinate al credito per le associazioni28. Così, dall’estate 1848, le diverse tendenze non potranno più convivere e la scuola buche-ziana si dissolverà. In una sorta di esilio in patria, Buchez re-sterà fedele alla sua speranza nella scienza e nella devozione come principi di una repubblica proiettata verso la realizzazione della democrazia sociale.

Durante tutto questo percorso, nonostante non mancasse la volontà di accrescerli, i rapporti di Buchez con i cattolici poli-ticamente impegnati appaiono secondari e certe distanze insu-perabili. Lo testimoniano bene, non solo, per esempio, il duris-simo attacco della Revue Nationale contro Montalembert alla vi-gilia della rivoluzione del 184829, o l’imbarazzo sulla stessa rivi-sta di Ott al momento di recensire il libro di Gioberti30, ma

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!27 C. Chevé, “Au clergé. A propos des élections”, Revue Nationale, année I, n. 17, 13 avril 1847, 378. 28 I bucheziani lasceranno definitivamente nell’autunno i ruoli direttivi che ave-vano inizialmente ricoperto in seno al comitato di gestione del grande credito pubblico a favore delle associazioni approvato nel luglio. 29 P.-J.-B. Buchez, “Du discours de M. de Montalembert à la Chambre des Pairs, à propos des affaires de Suisse”, Revue Nationale, année I, n. 10, février 1848. 30 A. Ott, “Gioberti, Restauration des sciences philosophiques - Introduction à l’étude de la philosophie”, Revue Nationale, année I, n. 8, décembre 1847: «Nous regrettons profondément que M. Gioberti ait écrit de telles paroles et beaucoup d’autres semblables, qui se rencontrent à chaque page de son livre. Il n’y pas de

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anche la perseveranza di Buchez nell’affrontare certi argomenti in modo incomprensibile per la maggioranza dei cattolici fran-cesi. Emblematico a questo proposito il fatto che, intervenendo sulla propria rivista nel dibattito sulla libertà d’insegnamento, ovvero sull’oggetto intorno a cui si era concentrato lo scontro fra liberali e cattolici, Buchez inviti più volte a «faire parler l’esprit de la Révolution»31 per trovare la soluzione.

Si sarebbe allora tentati di dire che Buchez non sia politi-camente cattolico, ma che sia cattolico unicamente nelle que-stioni culturali e morali. In effetti, in questi ultimi ambiti, Bu-chez assume pienamente le posizioni degli ambienti cattolici che frequenta attraverso Lacordaire e una parte importante del-le persone che si riuniscono intorno a lui. Si possono ricordare, a questo proposito, la presa di posizione di Buchez nella di-scussione scientifica fra Cuvier e Geoffroy Saint-Hilaire sulle mutazioni delle specie, in cui egli si schiera decisamente col partito che oggi chiameremmo fissista, e per molti versi conser-vatore, di Cuvier32, o, nel 1848, le dichiarazioni contro il divor-zio e contro la partecipazione politica femminile nei clubs33. L’immagine di Rousseau che Buchez forgia e difende, facendone l’ispiratore più sincero della Rivoluzione democratica e cristia-na, ci impone però di interrogare maggiormente il modo di Bu-chez di essere politicamente cattolico.

Buchez è un pensatore politico cristiano? E, se sì, in qua-le senso? Per rispondere a questa domanda è opportuno ritor-

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!plèbe dans les sociétés chrétiennes; tous ceux qui acceptent l’enseignement de Jésus-Christ et pratiquent sa morale sont à égal titre enfants de Dieu» (p. 240); «M. Gioberti n’a pas assez réfléchi à toutes les conséquences qu’entraîne le grand principe de la fraternité évangélique déposé dans l’Evangile. Il s’est en outre forgés des fantômes pour les combattre» (p. 240). 31 P.-J.-B. Buchez, “Du projet de loi sur l’instruction”, Revue Nationale, année I, n. 10, février 1848, 27-276. 32 Sulla posizione della scuola bucheziana, ancora un decennio dopo la grande querelle, cfr. A.-L. Curveilhier, [compte-rendu à] “Vie, travaux et doctrines scientifiques d’Etienne Geoffroy-Saint-Hilaire par son fils Isidore”, Revue Nationale, année I, n. 2, juin 1847, in cui si attribuisce al direttore del Muséum d’Histoire Naturelle un panteismo dualista e, con meno approssimazione, l’idea che l’uomo sia un «animal perfectionné», tesi che porta a non ammettere il dovere insito nella condizione umana (pp. 55-57). 33 Cfr. Revue Nationale, année II, n. 5, 1er juin 1848: contro il divorzio pp. 471-472, contro la partecipazione politica all’Assemblée e nei clubs delle donne pp. 475-477.

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nare sull’esperienza sansimoniana che costituisce la matrice del suo pensiero e che nelle diverse occasioni in cui lui stesso la rievoca viene strettamente associata alla questione religiosa. Buchez infatti sembra fare della religione l’originalità stessa di Saint-Simon: «Parmi ses écrits [di Saint-Simon], il n’en est qu’un qui nous semble appartenir à lui seul [senza idee riprese da Quesnay, Turgot, Boulanger, Condorcet]: ce fut celui qu’il dicta sur son lit de mort, où il fait appel au Christianisme, et déclare reconnaître Jésus-Christ comme Fils de Dieu» (Buchez 1866: II, 315).

Buchez fa riferimento chiaramente all’ultimo scritto di Saint-Simon, al Nouveau Christianisme. Di primo acchito si è portati a pensare che Buchez forzi strumentalmente il testo di Saint-Simon, che come noto insiste sulla necessità di una reli-gione, di un nuovo cristianesimo, senza tuttavia mai riconosce-re in Gesù il Figlio di Dio. Non si tratta, tuttavia, di una forza-tura strumentale; non solo perché da subito, quando entra nel sansimonismo, Buchez è particolarmente interessato alla di-mensione religiosa e al cristianesimo e, come emerge da diversi manoscritti del Fondo Enfantin34, con una sensibilità differente da quella dei suoi compagni, ma anche perché, se ci concen-triamo sui passaggi in cui Buchez spiega il proprio modo d’intendere il cristianesimo e il cattolicesimo35, si può osservare come l’attribuzione a Saint-Simon del riconoscimento di Gesù come Figlio di Dio non sia che la proiezione del proprio stesso percorso logico.

Seguirò un testo particolarmente utile perché affronta la questione in modo molto diretto: «Pourquoi nous sommes ca-tholiques et non pas seulement chrétiens», pubblicato sulla Re-

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!34 Indicative a questo proposito le lettere scambiate fra Buchez e Enfantin contenute in Ms 7643 (Fond Enfantin, Bibliothèque de l’Arsenal, Parigi); l’originalità di Buchez emerge per esempio nella lettera datata 1829 (ma ricopiata e commentata nel 1833), intorno alla maniera d’intendere l’«individuo sociale» (ff. 507v-511v). 35 Contrariamente a Isambert (cfr. “Religion et science de l’histoire chez Buchez (1796-1865)”, Archives de sociologie des religions, n. 20, 1965, 45-61), che insi-ste su una «conversione» nel 1835 al cattolicesimo a partire da una generico cristianesimo, credo invece che l’adesione al dogma cattolico romano sia pro-gressivo e motivata dalla medesima logica storicista.

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vue Nationale nel 184736. Come in diversi altri scritti di Buchez, l’argomentazione a difesa del cristianesimo si sviluppa in un modo che si potrebbe definire coerentemente sansimoniano, o anche sociologico nel senso generale dato alla nozione di scien-za sociale dalle diverse correnti che prendono origine dal san-simonismo. Buchez definisce il cristianesimo innanzitutto come una morale, come la morale della fratellanza. Tale morale è ciò che fa delle società cristiane delle società; è cioè una morale so-cialmente condivisa che funge da fondamento del legame socia-le. Ed è proprio in quanto morale condivisa che è una religione. Inoltre, vista la fortuna millenaria di tale morale e della sua ef-ficacia ancora attiva, la religione cristiana non può che avere un’origine divina: «L’homme ne saurait obliger l’homme; une loi morale qu’un de mes semblables aurait faite, j’aurais le droit de la défaire. Si donc la loi de Jésus-Christ est réellement obliga-toire pour nous, c’est que Jésus-Christ était plus que nous, qu’il était fils de Dieu»37.

Il passaggio ulteriore, che in questo testo viene argomen-tato in un primo momento, è la dimostrazione della superiorità del cattolicesimo sulle altre confessioni cristiane. Anche in que-sto caso la dimostrazione è esplicitamente sviluppata a partire dal criterio sociale: Il nous a suffi de faire usage de notre raison et de notre intelligence, et de consulter la grande pierre de touche de toute vérité, l’intérêt moral et social. Cet examen nous a prouvé avec évidence que le catholicisme est la seule expression véritable du christianisme. Au point de vue so-cial, en effet, il y a trois conditions essentielles que doit remplir toute doctrine religieuse: c’est l’unité, l’autorité et la certitude (Ivi: 173).

Ovviamente il protestantesimo, che era stato valorizzato da Saint-Simon, come lo sarà anche da Pierre Leroux, è guar-dato con sospetto da Buchez, che si pone in questo a fianco di Comte:

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!36 P.-J.-B. Buchez, “Pourquoi nous sommes catholique et non pas seulement chrétiens”, Revue Nationale, année I, n. 5, octobre 1847, 172-175. 37 Ivi: 174; può colpire l’uso del tempo passato del verbo essere riferito a Gesù-Cristo.

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Quand on ne veut pas du girondinisme ni du fédéralisme en politique ; quand on met le devoir avant le droit, l’intérêt général avant les in-térêts particuliers, la société avant l’individu, on ne peut pas vouloir dans la religion le protestantisme, c’est-à-dire encore l’individualisme et le fédéralisme (Ivi 174).

Gli esempi di questo tipo di affermazione si potrebbero moltiplicare. Il discepolo di Buchez, Auguste Ott riassume in termini molto simili l’essenza di questo anti-protestantesimo: «Protestantisme en religion, fédéralisme en politique, ces mots n’expriment qu’une même chose: la protestation de l’individu contre la société. Division entre les hommes, rupture des liens sociaux, anarchie intellectuelle et politique, tels en ont toujours été les fruits» (Ott 1840, II: 397). Si può sottolineare a questo proposito come il repubblicanesimo di Buchez e della sua scuo-la li spinga ad associare al protestantesimo federalista e centri-fugo tanto il razionalismo che il deismo settecentesco, salvando tuttavia Rousseau.

La scelta di porsi chiaramente e interamente nell’alveo del cattolicesimo non è tuttavia solo una conseguenza del rifiuto del protestantesimo, ma è ancor più mossa da due motivi: pri-mo, la necessità di scegliere la propria tradizione in un passato contraddittorio la cui sintesi è impossibile; secondo, la necessi-tà di una religione chiara: «Il faut aux peuples des doctrines nettes et positives»38. Entrambi gli argomenti sono apertamente rivolti contro la tesi del «progrès continu», ovvero contro la prin-cipale declinazione repubblicana del modello sansimoniano, quella promossa da Pierre Leroux. In effetti, il modo di Buchez di pensare la storia è molto più vicino a quello di Comte che a quello di Leroux, e questo si rivela nel modo di definire la scien-za storica come scienza che si autogiustifica attraverso la costa-tazione di costanti39 e la filosofia come metodo generale40. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!38 P.-J.-B. Buchez, “Pourquoi nous sommes catholique et non pas seulement chrétiens”, Revue Nationale, année I, n. 5, octobre 1847: 173. 39 «Nous appelons Science de l’Histoire l’ensemble des travaux qui ont pour but de trouver dans l’étude des faits historiques, la loi de génération des phénomè-nes sociaux, afin de prévoir l’avenir politique du genre humain, et d’éclairer le présent au flambeau de ses futures destinées» (Buchez 1833: 1). 40 «Toutes les sciences, quel qu’en soit le nom, sont en réalité des méthodes spéciales destinées à atteindre un but spécial. La philosophie s’en distingue en ce qu’elle est une méthode générale destinée à diriger toutes ces spécialités

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La maggiore vicinanza di Buchez a Comte rispetto a Leroux non manca di essere paradossale se si considera il fatto che la teo-ria del progresso continuo di Leroux attribuisce un ruolo fon-damentale alla morale. Lungi dal fare del passato una tradizio-ne unitaria, tale prospettiva si fonda invece sull’esplicitazione e sulla rivendicazione di una gerarchizzazione logica e morale fra passato, presente e futuro che pone come preminente il presen-te. La tradizione non è cioè data, intelligibile in termini pura-mente scientifici, constatabile attraverso il rilevamento di co-stanti, ma è il risultato di una scelta morale: la scelta morale nel presente, a partire dal proprio essere in vita e essere vita, permette secondo Leroux di scoprire e pensare il passato come una tradizione, di selezionare gli elementi significativi e coeren-ti, di desumere una logica del progresso e un conseguente futu-ro da perseguire. Per questo, la scienza storica è per Leroux una sorta di esegesi della Rivelazione, in cui, potremmo dire mantenendoci fedele a questa immagine, il metodo filologico non può disgiungersi da quello dell’ispirazione. Al contrario, Buchez separa totalmente scienza storica e morale, insistendo di conseguenza, a più riprese e con grande determinazione, a non volersi occupare di questioni teologiche. Anzi, egli esplicita una critica della libertà morale: Le mot liberté a, au moral, les mêmes conséquences que celui de con-currence en industrie. Loin d’être capable de consoler du doute que les hommes puisent dans tout qui les entoure, il vient, au contraire, ériger le scepticisme en principe; loin de calmer la douloureuse irritation qui les tourmente, il vient piquer la plaie vive, et en faire une condition d’existence (Buchez 1833: 40).

In questo senso, Buchez riprende uno dei punti centrali dell’enciclica Mirari Vos di Gregorio XVI, l’avversione radicale a «quell’assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che si debba ammettere e garantire a ciascuno la libertà di coscienza»; l’avversione era spinta a un punto tale che, nel proprio scritto, il pontefice aveva rievocato «il sistema adoperato dalla Chiesa per sterminare la peste dei libri cattivi fin dall’età degli Apostoli,

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!diverses, et à maintenir l’unité d’action et de tendances» (Buchez 1838-1840, I: 170).

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i quali, come leggiamo, hanno consegnato alle fiamme pubbli-camente grande quantità di tali libri (At 19,19)» e aveva ribadito l’anatema contro ogni abbandono alla «insana e sfrenata brama di una libertà senza ritegno» che la Chiesa ha emesso fin da «gli scellerati deliri e i disegni dei Valdesi, dei Beguardi, dei Wiclefiti e di altri simili figli di Belial, che furono l’ignominia e la feccia dell’uman genere». Se Buchez, con toni più miti di quelli del pontefice, riprende la necessità di circoscrivere la libertà mora-le, disattende totalmente l’altro elemento fondamentale di que-sta enciclica: il far conseguire dalla limitazione della libertà di coscienza, una limitazione della libertà d’opinione, o, in altri termini, il mantenere fermamente legati potere spirituale e po-tere temporale. Non solo, lo slittamento di Buchez è più sottile e problematico: separando teologia e scienza relativizza ulterior-mente il campo d’autorità del potere spirituale che riconosce al-la Chiesa. Da una parte Buchez preserva dalla libertà di co-scienza l’oggetto di fede, i dogmi, accettandoli nella forma stabi-lita dalla Chiesa cattolica romana, dall’altra sviluppa una scienza che definisce il fine stesso dell’umanità, rimasto fino a quel momento nell’ombra. Proprio su questo punto, qualcuno che era stato tanto vicino a Buchez come Roux-Lavergne dedica una durissima requisitoria di diverse pagine e non senza stupo-re si chiede: «Comment n’a-t-il pas vu qu’en attribuant à ses doctrines le privilège de nous éclairer sur ce qu’il y a de plus important pour nous, d’uniquement important, il réduisait l’Eglise de Dieu à la condition d’être l’écolière d’un philoso-phe?»41. Con un’estrema durezza nella difesa della cattolicità autentica, Roux-Lavergne costata allora: Nous y avons trouvé [nella seconda edizione dell’Introduction à la scien-ce de l’histoire] quelque chose de pis que l’absence de toute soumission [alla Chiesa cattolica romana]; nous y avons trouvé une formule équi-voque calculée, selon toutes apparences, de manière à donner satisfac-tion aux démocrates et aux catholiques, aux partisans du criterium et à ceux de l’infaillibilité de l’Eglise, pourvu néanmoins qu’ils ne voulus-sent pas y regarder de trop près (Roux-Lavergne 1850: 239).

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!41 Roux-Lavergne (1850: 206-207); a Buchez sono poi interamente dedicate le pp. 217-248.

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Roux-Lavergne non è il solo. Anche, per esempio, Mada-me de Swetchine, padrona di casa di uno dei salotti più rino-mati del cattolicesimo parigino durante la Monarchia di Luglio, sembra pensarla in questo modo. Scrivendo al Marchese de la Bourdonnaye, pur felicitandosi della decisione di quest’ultimo di leggere Buchez, sente il bisogno di avvisarlo di ciò che si dice del suo cattolicesimo: «J’ai su que même les personnes qui lui étaient favorables lui reprochaient d’y mêler beaucoup d’erreurs, et que lui-même n’avait rien de la simplicité et de la fidelité d’un vrai chrétien». Per aggiungere delle parole ancor più taglienti: «Ces catéchistes sans mission, dont le nombre croît, ne préparent guère que des dangers, et tout en admettant que, pour beaucoup de gens, ils peuvent dégrossir le bloc de la vérité, je ne leur reproche pas moins vivement d’usurper ce nom de catholique qui trompe sur l’étiquette»42.

Queste accuse contro Buchez appaiono forse eccessive, arrivando quasi a metterne in dubbio la sincerità della fede. Occorre, invece, mantenere separati il livello della fede e il livel-lo della sua articolazione con il discorso politico e sociale. A questo secondo livello, Buchez sposa il cattolicesimo per ri-spondere allo stesso problema che pone il sansimonismo e cui cercano di rispondere, per esempio, anche Leroux e Comte: se si concepisce la società come un’unità, come un organismo - nel significato del tempo, ovvero di unità composta da parti in-terdipendenti capaci di produrre il proprio ordine, o più preci-samente i propri ordini che si susseguono progressivamente nella storia - e si ritiene che tale unità sia direttamente legata alla condivisione di un principio morale - come anche si dice all’epoca, di un dogma -, si apre la questione della necessità di una religione, che non può essere una religione astratta, ma che deve essere una religione che sorge dalla storia stessa dell’umanità43. In modi diversi e divergenti, Comte e Leroux ar-ticolano le proprie idee di religione nuova, in un’ottica di supe-

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!42 Lettera del 22 agosto 1839, riprodotta integralmente in Swetchine (1866: 184-185). 43 In questo senso la lettura di Frank Paul Bowman appare profondamente limitante ; Bowman, osservando che i bucheziani si dicano cattolici nonostante Buchez frequenti poco i sacramenti, scrive che «se sono cattolici, è piuttosto per una definizione della comunità degli individui di cui l’identità è corporativa (siamo tutti membri di uno stesso corpo)» (Bowman 1987: 196).

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ramento del cristianesimo; per giustificare e fondare il proprio modo di intendere la religione dell’umanità, sviluppano delle teorie della conoscenza umana nella storia: il modello delle tre età in Comte, la concezione del simbolo in Leroux. Così facen-do, secondo Buchez, cadono però nel materialismo e nel pantei-smo; dietro queste corruzioni, Buchez vede l’individualismo protestante e «le juif Spinosa» (Buchez 1838-1840, II: 312)44.

Declinando a suo modo l’insegnamento sansimoniano, Buchez insiste invece sulla necessità di restare fedele fino in fondo alla religione storicamente data, alla sua forma ortodossa e universale, rileggendo la storia come la realizzazione del cri-stianesimo cattolico45. Questa rilettura non solo permette di considerare la Rivoluzione compiuta dalla nazione francese, «la figlia maggiore della Chiesa Cattolica», un passo essenziale del-la realizzazione sociale del cristianesimo, ma implica anche un nuovo modo di pensare il cristianesimo. Questo nuovo modo può essere messo in luce nel modo d’intendere il peccato origi-nale. Scrive Buchez: Lorsque l’Église a dit que les suites du péché originel subsistaient en-core malgré le sacrifice de Jésus-Christ, elle a entendu parler de deux choses; d’abord de l’organisation sociale qui était encore établie selon

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!44 Come già osservato, questo trattato è senza dubbio l’opera di Buchez di mi-nor valore, e l’ambizione che la muove si scontra con la conoscenza ristretta e solo indiretta delle tradizioni filosofiche classiche e moderne. Armand Cuvillier scrive pudicamente: “on me permettra de ne pas insister longuement sur cet ouvrage qui ne fait guère que reprendre des théories déjà indiquées et qui, du point de vue philosophique, ne présente d’ailleurs rien de bien original” (Cuvil-lier 1948: 37). Per una lunga recensione meno indulgente, che presenta una dura contestazione della ristrettezza delle fonti e un’impietosa rassegna dei maggiori errori storici e logici, cfr. J. Simon, “[Recensione a] Traité complet de philosophie au point de vue du catholicisme et du progrès par M. Buchez”, Re-vue des Deux Mondes, avril 1841, IV série, t. XXVI, 601-626. 45 Fra le interpretazioni della religione in Buchez, quella che insiste maggior-mente sul suo carattere sociologico è senz’altro quella di François-André Isam-bert che riassume così il percorso il percorso biografico teorico del socialista cattolico: «Il progetto bucheziano si distingue dal panteismo sansimoniano, in-contra il cristianesimo, si riserva un posto nell’antagonismo delle confessioni cristiane, poi proseguendo il suo cammino in una cosmogonia che si vuole in-sieme scientifica e teologica, affronta un dogma col quale tenta di accordarsi senza rinnegarsi, e cerca infine di mantenere i propri punti fermi in una filoso-fia cristiana che mantiene i suoi legami con il positivismo» (Isambert 1967: 133 - sulla concezione bucheziana della religione, cfr. pp. 133-195).

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le système romain, c’est-à-dire selon un système fondé sur ce principe, que les hommes étaient en majorité les enfans du péché46; et, secon-dement, que chacun de nous naissait avec un corps dont il aurait toujours à combattre les penchans animaux47.

Buchez evoca il sacrificio di Cristo, ma il seguito della fra-se sembra non considerare il senso primo del suo sacrificio e della sua resurrezione secondo la tradizione cristiana, ovvero la promessa della Salvezza, la vittoria sulla morte, l’esistenza di una temporalità altra da quella del secolo. Del resto, è sintoma-tica l’interpretazione che Buchez dà del famoso passo, discusso anche dagli altri socialisti dell’epoca, a iniziare ancora una volta da Leroux, in cui Gesù afferma che il suo Regno non è di que-sto mondo. L’interpretazione di Buchez appare originale perché si concentra sul mondo come situazione sociale: «il s’agissait du monde social à transformer»48. Qualche riga più in basso, l’interpretazione è ulteriormente esplicitata: «l’histoire nous montre en effet que ce fut alors49 que la société romaine finit et que parurent les germes dont le développement devait conclure à la société moderne»50. Realizzare socialmente il cristianesimo non significa allora soltanto lavorare al miglioramento della so-cietà tramite la diffusione della morale fraterna, può allora si-gnificare anche che il Regno di Dio è la società che si sta co-struendo, la società dell’uguaglianza, della libertà e della fratel-lanza. Così Rousseau, predicando l’uguaglianza e difendendo i fondamenti religiosi della morale, ha garantito alla crisi rivolu-zionaria di potersi aprire a un futuro progressista e contribuito a una nuova era cristiana, a una forma sociale migliore, la de-mocrazia, intelligibile attraverso lo studio scientifico del movi-mento storico. È questa di Buchez una nuova forma del pen-siero cristiano al suo incontro con la politica delle società de-

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!46 Buchez si riferisce qui alla giustificazione della schiavitù, che stimava riguar-dare quattro quinti almeno della popolazione dell’impero romano. 47 P.-J.-B. Buchez, “Idée Générale de la théorie du Progrès”, L’Européen, 25 no-vembre 1835, 43. Per una posizione opposta assunta nell’interpretazione del peccato originale nella Francia dell’epoca, cfr. il saggio di Mario Tesini in questo stesso volume. 48 Ivi: 41. 49 Buchez si riferisce qui all’anno mille, facendo coincidere la fine definitiva del mondo antico coi famosi mille anni annunciati nel libro dell’Apocalisse. 50 Ivi: 41.

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(THE CATHOLIC SOCIALIST ROUSSEAU. CONSIDERATIONS ON BUCHEZ’S CHRISTIAN RELIGION)

Keywords: Philippe Buchez, Christian religion, Socialism, France 19th Century, Jean-Jacques Rousseau. The paper analyzes various aspects on Jean-Jacques Rousseau’s fig-ure in the texts of Buchez and on his school, to nourish a reflection on their way to articulate politics and Christianity. In particular, the au-thor shows how Rousseau has been appreciated as a protector of reli-gion, a defender of the historical continuity of Roman Catholicism and as the inspiring thinker of a revolution that created the conditions for the Christian social democracy. Behind this image of Rousseau, there is a conception of the social and historical role of religion that can be considered a declination of the saint-simonian sociological model. ANDREA LANZA EHESS – Parigi [email protected]