Aqui no se rinde nadie

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“Aqui no se rinde nadie!”. Proposta di discussione dei gruppi di lavoro autoconvocati dei comunisti e delle comuniste di Roma VERSIONE CORRETTA CON GLI EMENDAMENTI PERVENUTI AL 30/6/13 (Roma, 14-30 giugno 2013) Minima moralia di Bertolt Brecht L’ingiustizia oggi cammina con passo sicuro. Gli oppressori si fondano su diecimila anni. La violenza garantisce: com’è, resterà. Nessuna voce risuona tranne la voce di chi comanda, e sui mercati lo sfruttamento dice alto: solo ora io comincio. Ma fra gli oppressi molti dicono ora: quel che vogliamo non verrà mai. Chi è ancora vivo non dica: mai! Quel che è sicuro non è sicuro. Com’è, così non resterà. Quando chi comanda avrà parlato parleranno i comandati. Chi osa dire: mai? A chi si deve se dura l’oppressione? A noi. A chi si deve se sarà spezzata? Sempre a noi. Chi viene abbattuto, si alzi! Chi è perduto, combatta! Chi ha conosciuta la sua condizione, come lo si potrà fermare? Perché i vinti di oggi sono i vincitori di domani E il mai diventa: oggi! Indice: 1. Le elezioni e noi comunisti/e..............................2 2. Un Partito nuovo parte e avanguardia della classe: rifondare la coscienza di classe mentre rifondiamo anche il Partito.....2 3. La democrazia comunista come pre-condizione necessaria.....3 4. La crisi del capitalismo................................... 5 5. La gestione capitalistica (non la soluzione!) della crisi. .6 1

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“Aqui no se rinde nadie!”.Proposta di discussione dei gruppi di lavoro autoconvocati dei comunisti e delle comuniste di Roma

VERSIONE CORRETTA CON GLI EMENDAMENTI PERVENUTI AL 30/6/13

(Roma, 14-30 giugno 2013)

Minima moraliadi Bertolt Brecht

L’ingiustizia oggi cammina con passo sicuro.Gli oppressori si fondano su diecimila anni.La violenza garantisce: com’è, resterà.Nessuna voce risuona tranne la vocedi chi comanda,e sui mercati lo sfruttamento dice alto:solo ora io comincio.Ma fra gli oppressi molti dicono ora:quel che vogliamo non verrà mai.

Chi è ancora vivo non dica: mai!Quel che è sicuro non è sicuro.Com’è, così non resterà.Quando chi comanda avrà parlatoparleranno i comandati.Chi osa dire: mai?A chi si deve se dura l’oppressione? A noi. A chi si deve se sarà spezzata? Sempre a noi.Chi viene abbattuto, si alzi!Chi è perduto, combatta!Chi ha conosciuta la sua condizione,come lo si potrà fermare?

Perché i vinti di oggi sono i vincitori di domaniE il mai diventa: oggi!

Indice:

1. Le elezioni e noi comunisti/e..............................22. Un Partito nuovo parte e avanguardia della classe: rifondarela coscienza di classe mentre rifondiamo anche il Partito.....23. La democrazia comunista come pre-condizione necessaria.....34. La crisi del capitalismo...................................55. La gestione capitalistica (non la soluzione!) della crisi. .6

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6. I nostri rapporti con il “centrosinistra” (ovvero: la fine di un antico problema, spazzato via dai fatti della crisi capitalistica)................................................77. La fine del modello di Partito “istituzionale-burocratico”. 98. I “tre cerchi” concentrici: la costruzione del Partito comunista, la costruzione del fronte anticapitalista-antiliberista, la costruzione del fronte popolare a difesa della Costituzione...........................................1010. Conclusioni..............................................12

1. Le elezioni e noi comunisti/eLa sconfitta dei/lle comunisti/e e della sinistra di opposizionenelle elezioni del 2013 rappresenta evidentemente un punto criticoe di svolta che richiede ancora una volta la mobilitazione ditutte le energie positive di cui disponiamo.

Diciamo “ancora una volta”, perché fu solo la mobilitazionegenerosa e intelligente del popolo dei/lle militanti comunisti/eche ci permise di tenere aperta la prospettiva del comunismocritico nel lungo inverno degli anni ’80, che nei primi anniNovanta ci permise di reagire allo sciagurato scioglimento del PCIrilanciando il processo della rifondazione comunista, chesuccessivamente ci permise di resistere sempre alle ricorrentiscissioni, le quali (e non per caso) sono sempre provenute“dall’alto”, cioè da frazioni significative dei gruppi dirigentiistituzionali, fino all’ultima scissione di Vendola e di SEL, equasi sempre sullo stesso tema: il rapporto con il centrosinistrae la prospettiva della governabilità.

Non ci deve spaventare dunque la sconfitta elettorale in sé,meno che mai essa deve condurci alla demoralizzazione oall’abbandono: “Aqui no se rinde nadie!”.

Anche in altre fasi della loro grande storia i comunisti e lecomuniste hanno conosciuto gravi sconfitte, ancora più drammatichedella nostra, nonché fasi di emarginazione e isolamento; da questeperò sono sempre riusciti a riemergere rilanciando la loroproposta e la loro presenza nella società italiana sulla base diuna rinnovata analisi del capitalismo e dei compiti deirivoluzionari: è quanto, ad esempio, i/le comunisti/e sepperofare, lungo la strada indicata da Gramsci, a fronte della piùgrave sconfitta della nostra storia, il fascismo, da cui uscimmovittoriosamente, appunto grazie a una nuova analisi della societàitaliana e a una nuova linea politica: fu questo che ci permise

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prima di tenere duro, poi di dare vita alla Resistenza e diconquistare la Costituzione.

Una rinnovata analisi del capitalismo e dei nostri compiti dirivoluzionari/ie, una nuova analisi della società italiana e unanuova linea politica: ecco quello che dobbiamo fare anche noi oggiche siamo solo dei nani rispetto ai giganti della tradizionecomunista, il cui apporto dobbiamo saper valorizzare eriattualizzare senza gettarlo nella pattumiera della storia.

Ciò che ci deve spaventare è dunque soltanto che, per inerziao rassegnazione, si confermino nei Partiti comunisti, nellasinistra anticapitalista, fra i/le comunisti/e senza Partito glierrori teorici e politici e i comportamenti sbagliati che ci hannoportato prima al lungo declino degli anni 2000 e poi allasconfitta del 2013. Ciò che ci deve spaventare è la chiusura in séstessi dei nostri gruppi dirigenti e la loro tendenzaall’autoconservazione, anche dopo che essi hanno purtroppodimostrato coi fatti la loro totale inadeguatezza. Ciò che ci devespaventare è la rassegnazione e il silenzio della base militantecomunista. Ciò che ci deve spaventare è la dispersione dei/llecomunisti/e.

Ciò che ci deve spaventare è che tutto resti come prima.

2. Un Partito nuovo parte e avanguardia della classe: rifondare la coscienza di casse mentre rifondiamo anche il Partito.Un Partito parte integrante e trainante della classe, e non solosuo idealistico “organo”, è dunque quello che ci serve. Un talePartito nuovo, che dobbiamo costruire, è assolutamente necessarioaffinché noi possiamo mettere mano al nostro vero compito storicoche è rifondare la coscienza di classe del proletariato (cioè: trasformare ilavoratori dipendenti, ridotti dal capitalismo a essere solo mercefra le merci, in una classe sociale cosciente di sé e capace dilottare per l’egemonia sull’intera società), e ciò va fatto nellaattuale e inedita situazione produttiva: occorre rifondare ilproletariato nello stesso tempo in cui rifondiamo anche ilPartito.

L’attuale frammentazione della nostra classe, indottaintenzionalmente e con successo dal dominio capitalistico, puòessere contrastata e rovesciata solo da un Partito capace divivere e lottare innanzitutto nei posti di lavoro, di costruire apartire dallo sfruttamento la coscienza delle contraddizioni, lacoscienza anticapitalistica, la coscienza politica e, dunque,

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l’organizzazione politica autonoma del nuovo proletariato: ilnuovo Partito Comunista.

Tutto ciò si deve riferire, evidentemente, all’attualericonfigurazione della nostra classe di riferimento. Senza maitrascurare o abbandonare (come il pensiero radicale ci invita dadecenni a fare) la classe operaia delle fabbriche o quella ancoraconcentrata nei trasporti, nei servizi, nel pubblico impiego, nelterziario, nella scuola, nell’università e nella ricerca, sitratta però adesso di riconnettere questi spezzoni di classe inuna nuova presenza diffusa e organizzata dei comunisti nei luoghidel lavoro precario e precarizzato, nel lavoro part-time e a(false) partite IVA, nelle catene infinite del sub-appalto e delle“esternalizzazioni”, nelle cooperative più o meno vere e“sociali”, insomma nelle mille e mille forme in cui sembrarealizzarsi attualmente l’antico e reazionario sogno padronale diserializzare, parcellizzare e isolare da sé stesso il lavorodipendente, per dominarlo. In questo sforzo una delle priorità èrappresentata per noi dal lavoro dei/delle immigrati/e: è questoun volto nuovo di tanta parte del proletariato con cui non abbiamoattualmente nessun rapporto e che deve invece diventare giànell’immediato futuro non solo parte cospicua del Partito nuovo,ma possibilmente parte del suo nuovo gruppo dirigente. L’inchiesta sullavoro a Roma, che come autoconvocati/e abbiamo avviato conl’assemblea operaia di Casal Bertone del 25 maggio, è l’inizioconcreto di questo progetto.

Ma per poter far questo, l’organizzazione del Partito devepoter aderire plasticamente alle nuove forme di organizzazione dellavoro, e a tal fine sembrano necessarie delle forme organizzativenuove e antiche al tempo stesso, cioè cellule o collettivi onuclei comunisti (decidiamo insieme come chiamarli) in ogni luogodi lavoro e anche in ogni “ambiente” in cui vive la nostra classe.Ovunque ci sono almeno tre comunisti/e, lì sorga una cellula!

I Circoli e le Sezioni territoriali, oltre a svolgere unafunzione peculiare e preziosa di “Case del popolo” per favorireogni forma di aggregazione popolare e di classe, dovranno fungereda luogo che annoda e coordina queste nuove, necessarie, istanzedi base nelle quali rifonderemo una presenza comunista organizzatainterna alla società capitalistica attuale. Questi luoghi popolaridebbono, in questo senso, anche “fare cultura”: la gramsciana“riforma intellettuale” deve essere organica alla “riformamorale”.

Una revisione razionale dei luoghi e delle forme del nostroinsediamento organizzativo dunque si impone, assieme a una

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politica di “cura” attenta della vita dei nostri Circoli/Sezioni edel loro tesseramento (una cura che è totalmente, e colpevolmente,mancata i questi ultimi anni). Non può permettersi più che a Romaalcuni Circoli o Sezioni vivacchino senza alcun vero impattosociale, magari a pochi metri da altri Circoli o Sezionialtrettanto deboli, mentre interi quadranti della città sono deltutto privi di un qualsiasi insediamento comunista. Si chiuda concoraggio dove si deve chiudere, si unifichi con coraggio la esiguaforza organizzativa dei comunisti (cominciando dal PRC e dal PdCIma aprendo anche alla vastissima diaspora dei senza tessera), e siaprano con coraggio ancora maggiore nuove sedi comuniste dove nonsiamo presenti! E diamoci come obiettivo di fase di breve periodonon la “conferma” del tesseramento (che permetterebbe ancora divivacchiare, gestendo antiche situazioni sclerotizzate) bensìl’incremento delle tessere attuali, per costringere tutti noi auscire finalmente dalle nostri sedi a vivere e a far vivere ilnuovo Partito – come deve essere – “fuori di sé”.

E già che osiamo parlare di obiettivi da perseguireurgentemente, una riflessione si impone sul nostro giornale: lerecenti sconfitte elettorali ci hanno anche dimostrato (una voltadi più!) la centralità dell’informazione, cioè la decisionespudorata dei nostri avversari di classe di usare il monopolio cheessi hanno conseguito in questo campo come una micidiale armacontro di noi e dunque la necessità da parte nostra di dotarci diun autonomo sistema di informazione e di comunicazione: “Liberaroma” non puòpiù essere abbandonato a se stesso e chiuso, e lo sforzo di“Liberazione” non può continuare ad essere ignorato dal grosso delnostro Partito: diamoci subito l’obiettivo di almeno 500abbonamenti a Roma per la nuova “Liberazione” on line entro l’estate2013.

3. La democrazia comunista come pre-condizione necessariaIn questa prospettiva il problema della democrazia non è unproblema come tutti gli altri ma è la pre-condizione necessaria per poteraffrontare qualsiasi problema di ricostruzione del Partito: la democraziacomunista è infatti il nome che prende la questione del rapportocontraddittorio che esiste fra classe e Partito e fra la basemilitante del Partito e i suoi vertici, a tutti i livelli diresponsabilità.

Un Partito verticale e verticistico, retto di fatto da anni dauna immobile alleanza fra i piccoli (in tutti i sensi) cetiburocratici e istituzionali (o aspiranti tali) che si difendono avicenda “lottizzando” gli incarichi col “manuale Cencelli” (come

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all’ultimo Congresso), un Partito che non verifica mai leeffettive capacità di lavoro e i risultati ottenuti (sostituendotale criterio comunista con le appartenenze correntizie o la“fedeltà” alle lobbies), un Partito che non discute mai e che vota(spesso sotto ricatto) solo in occasione dei Congressi, èanzitutto un Partito del tutto incapace di capire la società e divivere dentro il conflitto di classe e, naturalmente, è anche unPartito del tutto incapace di rinnovarsi e radicarsi nel tessutosociale. Va da sé quindi che un tale Partito non sia stato ingrado di capire prima e di contrastare poi la terribile nuovaframmentazione determinata dalle attuali forme dell’organizzazionecapitalistica (toyotismo, filiere internazionali,estrenalizzazioni, delocalizzazioni, flessibilizzazione, etc.).

Fra le principali sciagure delle attuali correnti (ormaidegenerate in piccoli gruppi di potere personale) c’è anche ilfatto di aver imposto al Partito compagni/e manifestamenteincapaci di svolgere i loro incarichi dirigenti, senza che fossepossibile rimuoverli/e perché “designati” dai loro capi-corrente.Noi autoconvocati/e ci impegniamo a non ripercorrere questoerrore, a non costituirci in corrente fra le correnti, ma alcontrario a combattere con decisione e senza fare sconti a nessunol’attuale struttura correntizia che ha ridotto le correnti alobbies, a consorterie che tanto male ha fatto al Partito.

Tutti i maggiori partiti comunisti della storia, in Russiacome in Italia, erano costituiti da diverse frazioni che peròfunzionavano da centri di elaborazione del dibattito che poi erasvolto e sintetizzato nelle istanze centrali, con mandatirevocabili e verifiche costanti tra i militanti. Le attualicorrenti però non sono nulla di tutto questo. Fuori dal garantireuna auspicabile dialettica di impostazioni nel dibattito, hannoassunto le caratteristiche di cordate funzionali solo adautopromuovere un proprio mini-gruppo dirigente senza nessunaconnessione con l’autocritica e la verifica del lavoro e dellecapacità, ma basate unicamente sulla cooptazione e promozionedall’alto dei fedelissimi al proprio apparato.

Per questi motivi la nostra battaglia contro le correnti è daintendersi unicamente per promuovere una rinnovata democraziacomunista, cioè basata sulla più ampia partecipazione ediscussione e su sntesi politiche comuni per tutti (il centralismodemocratico). Oggi come al tempo della Comune di Parigi e come neimomenti più alti del movimento comunista, questi sono i principiida mettere in atto fino da ora:

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- pratica convinta e abituale del principio “una testa un voto” inogni istanza decisionale e in ogni momento delle vita del Partito;- scelta nominativa degli incarichi su scheda bianca e con votosegreto;- verifica del lavoro svolto, dell’impegno e delle capacitàdimostrate da ciascuno/a; - revocabilità dei dirigenti a tutti i livelli da partedell’organo che li ha eletti (anche fra un Congresso e l’altro); - ragionevole rotazione degli incarichi (specie istituzionali) eassoluta incompatibilità fra incarichi diversi; - democrazia “di genere”; - pubblicità dei principali atti politici del Partito, e liberoaccesso di tutti/e le compagne e i compagni ai luoghi pubblici didiscussione politica e ai media che il Partito si viene costruendoe a quelli di cui fin d’ora dispone (blog, mailing list, etc.);- formazione politica continua e ricorrente in ogni momento dellavita di ciascun/a militante, anche per giungere presto allapromozione di una nuova leva di quadri dirigenti comunisti.

Per quanto ci riguarda, questi principi elementari didemocrazia saranno da noi praticati fin da subito nel nostrolavoro politico. E non perderemo un solo istante a partecipare a“lotte interne” o a cercare ridicole “cariche” di qualsiasi tipo,perché tutte le nostre (ancora troppo scarse) energie debbonoessere oggi rivolte a costruire il Partito nuovo e radicarlo nellaclasse, insieme a tutti/e quelli/e che vorranno partecipare aquesto processo unitario e dal basso, quale che sia stata inpassato la loro eventuale appartenenza partitica o correntizia. Lasituazione è troppo grave per perdere tempo ed energie consciocchezze personalistiche: le burocrazie autoreferenziali vannocombattute e non riprodotte.

Le cariche di Parito e i ruoli dirigenti, politici esindacali, sono funzioni troppo importanti rri comunisti perridurli a questa macchietta. Per questo motivo per il lavoro checi proponiamo non ci servono infatti né cariche né riconoscimentio medagliette frutto di queste logiche: ci basta la nostra vogliadi combattere il capitalismo per il comunismo e un percorsocristallino di ricostruzione di un partito comunista all’altezzadello scontro di classe oggi e per il socialismo nel XXI secolo.

4. La crisi del capitalismoDa sempre per i comunisti l’analisi della fase che attraversa ilcapitalismo e le conseguenze sui rapporti di forza tra le classisono il punto di partenza per comprendere da dove ripartire e in che

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direzione muoversi. È ormai, anche per gli economisti classici, unfatto acclarato che la fase attuale è caratterizzata da unapesantissima crisi di sovrapproduzione che da anni scava neltessuto produttivo dei paesi a capitalismo maturo con la tendenzaall’espansione in tutte le economie di mercato.

Questo ha prodotto cinque fattori di risposta alla crisi e alprogressivo restringimento dei margini di profitto per icapitalisti:1) Un aumento della concorrenza internazionale tra i poli e lepotenze capitaliste per la spartizione delle aree geo-strategichee delle risorse del pianeta allo scopo di mantenere, oconquistare, posizioni di supremazia sul mercato globaleinternazionale. Questa concorrenza, dopo la dissoluzione delblocco socialista dell’Est europeo, è diventata competizionesempre più aperta con una scalata di posizioni dell’asse franco-renano sostenuto dai vincoli della moneta unica gravanti sui paesialleati della UE, una perdita progressiva di posizioni del polo aguida USA compensata da una forte spinta alla militarizzazione diquesta competizione e, sul versante asiatico, da un declino dellapotenza giapponese e una fortissima ascesa dell’economia dellaRepubblica Popolare cinese. In questo quadro, soprattutto inItalia e nei paesi capitalisti più colpiti per la propriadebolezza economica (i cosiddetti PIIGS), l’euro ed i trattatieuropei si sono rivelati unicamente uno strumento per applicarenel nostro continente le politiche liberiste, cancellare i dirittie schiacciare i salari mantenendo così competitiva la “locomotivatedesca”. Oltretutto anche quest’ultima vedrà presto la rugginedei suoi binari come conseguenza delle stesse politiche diausterità e impoverimento che impone ai paesi europei cherappresentano il suo principale sbocco di mercato.2) L’affermarsi di un modello produttivo flessibile in tutti ipaesi capitalisti, basato sulle caratteristiche di una filieraproduttiva distribuita ormai a livello internazionale (e non piùconcentrata solo su base nazionale), su forti incentivi alledelocalizzazioni delle strutture produttive e alladeregolamentazione del mercato del lavoro. In ogni singolo paese,ovviamente, questo processo avviene con caratteristiche peculiarie tempi differenti dettati dalla posizione nella gerarchiainternazionale e dalle politiche neo-liberiste adottate. Nelnostro paese si produce una frammentazione estrema sia dellaproduzione che della composizione interna alla classe lavoratricesalariata, frammentazione che assume una connotazione più marcata

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con i processi di precarizzazione dispiegati dalla seconda metàdegli anni ‘90.3) Un aumento smisurato del capitale speculativo rispetto a quelloproduttivo. Con la saturazione dei mercati, le imprese monopolisterispondono al restringimento dei margini di profitto nell’economiareale spostando capitali sempre più ingenti verso quellaspeculativa. In Italia questo processo è stato accompagnato da unapolitica di forte privatizzazione svendita delle risorse e delpatrimonio pubblico. Al capitalista non importa se l’accumulazioneavvenga attraverso la realizzazione di profitti per investimentiproduttivi o attraverso semplici scambi in borsa di azioni efutures. Così avanza per anni l’illusione di poter generare denarodal denaro senza passare per l’economia reale. Il volume degliaffari delle Borse diventa in ogni paese 5-10-20 volte quello chesi realizza nell’economia produttiva. Finché questa bolla nonesplode nel 2007 negli USA con la crisi dei “titoli tossici” e lacrisi deflagra in tutti i paesi del mondo investendo l’Europa.4) La crescente polarizzazione di classe per mezzo deltrasferimento di ricchezza dai salari ai profitti e dellacentralizzazione del capitale con le cosiddette fusioni eacquisizioni, vale a dire attraverso l’espropriazione da partedelle grandi holding finanziarie non solo delle masse popolari maanche di settori della stessa borghesia, compiuta sulla base deiprezzi monopolistici e del massiccio e organico intervento statalea sostegno del capitale attraverso la socializzazione dei costi –si pensi ai salvataggi di banche e imprese in crisi, con ricchiguadagni per i proprietari – e, quando necessario, attraverso ilricorso a terrorismo e guerra.5) La modifica dei rapporti sociali dentro e fuori i luoghi dilavoro, con un’imperante tendenza alla reazione che si configuranella ristrutturazione neocorporativa e autoritaria dei rapportisui luoghi di lavoro (la FIAT è un esempio come tanti altri), nelricorso alla criminalizzazione e alla repressione violenta dellapovertà oltre che del malcontento e del dissenso sociale (dallaGrecia, dove si organizzano carceri per i debitori, all’Italia,dove si approvano regolamenti per punire l’accattonaggio e ilavori di strada) e nell’invasione della sfera privata, financhealla dimensione biologica, da parte del potere (dal controllo suiluoghi di lavoro, alle assicurazioni sulla morte dei dipendentifino ai brevetti biotecnologici su flora e fauna).

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5. La gestione capitalistica (non la soluzione!) della crisiL’unica via di uscita da una crisi di questa portata che icapitalisti conoscono è lo schiacciamento dei salari ai livelli disussistenza e la disoccupazione di massa, a livello interno, el’aumento delle ingerenze neocoloniali e degli interventi militarisul piano esterno. Ma ben lungi dal risolvere la crisi, questifattori stanno ridisegnando gli equilibri internazionali e internidei singoli paesi capitalismo colpiti dalla crisi in chiaveregressiva senza poter dare più alcuna prospettiva dimiglioramento delle proprie condizioni di vita alla stragrandemaggioranza della popolazione.

Questa crisi organica del capitalismo non è risolvibile consemplici palliativi di sostegno al consumo o nuove regole percontenere la competizione tra poli e interessi capitalisticiconcorrenti.

Le ipotesi socialdemocratiche e neomoderate non sono in crisiperché siamo in presenza di una situazione soggettivamente pre-rivoluzionaria ma, al contrario, perché il capitale non ha oggi il“surplus” da redistribuire ed è anzi in preda di una feroce guerrainternazionale tra potenze e frazioni della borghesia peraccaparrarsi fette dei profitti una a danno delle altre.

Nei paesi come l’Italia il debito pubblico viene utilizzatocome arma di ricatto sui lavoratori dipendenti e precari perimporre ulteriori restrizioni salariali, cancellazione delcosiddetto welfare (le conquiste sociali di decenni di lotte delmovimento operaio e comunista) e la svendita dei settoristrategici e la svendita dei settori strategici. Nel nostrocontinente le politiche di austerity vengono imposte dalla Troika(UE-BCE-FMI), attraverso misure come il Fiscal Compact, riducendola sovranità popolare residua alla scelta di quale boia insaponila corda per il collo del moderno proletariato.

Con il ricatto dello spread e dei rigidi vincoli della UE sista procedendo a un ulteriore gigantesco spostamento coatto diricchezza dalla forza lavoro al capitale per tamponare gli effettidella crisi e il restringimento dei profitti. Quello di Montiprima e quello Letta-Alfano ora non sono governi meramente“tecnici” né provvisori, ma sono esecutivi apertamente “politici”funzionali agli interessi del capitalismo monopolistico efinanziario nostrano ed internazionale. Stanno ponendo le basicostituenti quindi di una nuova fase, dettando la lineaprogrammatica (anticipata dalla lettera Draghi-Trichet dell’agosto2011) per i governi futuri e di cui il PD è uno dei puntellistrutturali e non accidentali. Tutto questo avviene con un

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tentativo di alimentare la passivizzazione, la sfiducia e laguerra tra poveri nei diversi settori del complesso corpo socialesalariato per renderlo “informe” e docile alle esigenze delcapitalismo.

A causa di queste politiche draconiane, tuttavia, la classedominante nel nostro paese si trova nel pieno di una crisi diconsenso verso la sua funzione dirigente senza che questo producaperò forme di rivolta sociale contro il capitalismo, anche per lamarginalità e gli errori compiuti dai comunisti negli ultimi ventianni. Ci troviamo insomma anche noi nella situazione drammatica (epericolosa) che Gramsci descriveva con le parole: “Il vecchio èmorto e il nuovo non può nascere”.

La delegittimazione del sistema politico favorisce così losviluppo di differenti forme di antipolitica e populismo che siscagliano contro la degenerazione e la corruzione del sistemapolitico dominante, sorvolando sulle questioni sociali e di classeche sono alla base delle sofferenze delle masse salariate chepagano i costi della crisi.

Le classi dominanti ridisegnano allora anche la geografiapolitica imponendo le ricette della BCE attraverso governi dieccezione permanente realizzando appieno quel modello di“monopartitismo competitivo” che sembra caratterizzare l’ingressoin questa sorta di Terza Repubblica. La crisi economica delcapitalismo, il basso livello di credibilità dell’attuale sistemaeconomico-sociale e gli attuali stravolgimenti politici possonoessere un’occasione per i comunisti per invertire il processo dimarginalizzazione in cui sono costretti. La subalternità allecompatibilità capitalistiche e al progetto “euro-atlantico” del PD,la coazione a ripetere di formule già sperimentate e fallimentaririschia invece di portare i comunisti a un’autoconsunzione.

6. I nostri rapporti con il “centrosinistra” (ovvero: la finedi un antico problema, spazzato via dai fatti della crisi capitalistica)Questa situazione politica generale è tale da spazzare via anchela tradizionale discussione sul problema delle alleanze politico-elettorali, che ha diviso la sinistra di opposizione e i comunistie che è stata spesso alla base delle scissioni.

Tale problema si pone (si poneva) nei termini seguenti: i/lecomunisti/e debbono fare parte dello schieramento delcentrosinistra, sia pure in posizione critica, oppure no dato che

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essi debbono costruire un polo di vera opposizione di sinistraanche rispetto al centrosinistra e alle sue politiche?

Chi optava per la prima soluzione (“i/le comunisti/e debbonofare parte dello schieramento del centrosinistra”) era spinto daconsiderazioni politiche talvolta serie ma molte altre volte daconsiderazioni meno nobili (il posto al caldo delle istituzioni);ma, volendoci limitare qui a quelle di ordine più genuinamentepolitico, ricordiamo: l’idea di dover rinnovare una politica dialleanze “tipo CLN” contro Berlusconi, la priorità della lotta“antifascista” e per la Costituzione, la volontà di non perderecontatti con settori popolari e di classe ancora presenti nel PD enella CGIL, il Sindacato che quel Partito di fatto egemonizza e,non ultima, la considerazione che – dati gli infami sistemielettorali vigenti – stare fuori dal centrosinistra comportava pernoi un prezzo altissimo, cioè il rischio (e, sempre più, lacertezza) di restare esclusi dalle istituzioni rappresentative atutti i livelli, con gravi conseguenze sulla visibilità e sulfinanziamento del Partito comunista.

Ma ora bisogna fare i conti con un serio bilancio autocriticonon eludendo la risposta alla domanda se questi obiettivi sonostati raggiunti con quella tattica delle alleanze colcentrosinistra o se quei problemi (giustamente individuati) sisono ulteriormente aggravati.

E ancora va detto che senza nessun dubbio possibile almeno apartire dal Governo Monti, (e secondo alcuni di noi anche daprima), questo quadro di ragionamento è comunque completamente saltato enessuno può più fare riferimento ad esso senza rischiare di farridere: il PD prima ha sostenuto lo stesso Governo “tecnico”appoggiato da Berlusconi votando in Parlamento, senza colpoferire, le peggiori politiche antipopolari (non esclusa laliquidazione dell’art.18 dello Statuto!) e addirittura la modificadella Costituzione per adeguarla ai diktat della BCE e del pensierounico neo-liberista più estremista. Infine, dalle ultime elezioni,prima ha rinunciato a eleggere un Presidente della Repubblicaanti-berlusconiano e fedele alla Costituzione (pure avendo il PD,non dimentichiamolo mai, poco meno della maggioranza assoluta dei“grandi elettori” a Camere riunite!), poi ha dato addirittura vitaad un Governo insieme a Berlusconi, ai fascisti, agli uomini diMonti. Questo Governo presieduto da Letta-nipote si è distintosubito per la continuità della sua politica rispetto a quellaantipopolare del precedente (una continuità che rivendicaapertamente), e comincia a pagare anche vergognosi prezzidirettamente al suo partner di Arcore e, ciò che è più grave, è

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fortemente impegnato a vibrare il colpo di grazia allaCostituzione (già violentata con la modifica dell’art.81)lavorando alacremente, con il concorso diretto e la regia (già diper sé anti-costituzionale) di Giorgio Napolitano,all’istaurazione della repubblica presidenziale che liquidi ilcarattere parlamentare, cioè democratico, della Repubblica,mettendo così l’ultimo tassello che mancava all’attuazioneintegrale del “Piano” di Licio Gelli. C’è oggi qualcuno che puòproporre seriamente di “allearsi” contro Berlusconi con questeforze alleate di Berlusconi? C’è oggi qualcuno che può proporreseriamente di difendere la Costituzione alleandosi con chi la stadistruggendo? C’è oggi qualcuno che può proporre seriamente didifendere il lavoro assieme ai Marchionne e ai Colaninno, la pacee l’autonomia dagli USA assieme alla Bonino, la legalità assiemead Alfano, l’autonomia dalla BCE assieme agli uomini della Bancad’Italia, e così via? E soprattutto: l’aver avallato il centro-sinistra in che cosa ha reso più sopportabile per le classilavoratrici questo scenario?

In altre parole è del tutto evidente come un schieramento di“sinistra moderata” (cioè una sinistra non comunista ma tuttaviaseriamente intenzionata a difendere il lavoro dipendente e dunquela democrazia e la pace) semplicemente in Italia non esiste più.Esiste invece, o è in via di accelerata costruzione, un P.U.B. (unPartito Unico della Borghesia); è un partito virtuale ma già alpotere, che ha un suo preciso programma economico-sociale(l’obbedienza al capitale finanziario e alla troika UE-BCE-FMI),una sua precisa ideologia (il liberismo oltranzista eantioperaio), dei suoi efficaci strumenti di formazionedell’opinione (“Repubblica” primo fra tutti, ma praticamente tuttoil sistema radio-televisivo), dei suoi luoghi decisionali mondialie nazionali più o meno occulti, e ora ha anche un suo capo egarante dell’alleanza in Giorgio Napolitano. E non per caso –riflettiamo anche su questo punto davvero non trascurabile! – ogniproposta della sinistra di opposizione di trovare una qualcheforma di alleanza elettorale (per ultimo il tentativo fatto daIngroia nei confronti di Bersani) è stato respinto dalcentrosinistra con atteggiamenti assolutamente sprezzanti (come èsuccesso anche a noi a Roma, con Zingaretti prima e con Marinopoi). Prima noi comunisti/e capiamo questo fatto e meglio sarà pernoi.

Ciò che si deve capire approfonditamente (per usciredefinitivamente dalla subalternità politica e dalle oscillazionitatticistiche che portano solo alla sconfitta) è però il fatto

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seguente: tale riposizionamento strategico del centrosinistra nonsolo ha antiche radici, ma non avviene affatto per caso, bensì perla necessaria obbedienza che – proprio di fronte all’aggravarsidella crisi capitalistica - le forze del centrosinistra debbono ai“poteri forti” del capitalismo italiano ed europeo (ma ancheinternazionali) a cui esse rispondono e di cui esse fanno anziparte organicamente.

Quindi è in base a una precisa analisi di classe, e non a unpregiudizio settario, che la scelta di campo delle comuniste e deicomunisti deve porsi fuori dall’orizzonte del centrosinistra e inopposizione alle sue politiche. Tanto più oggi che tali alleanzesono impossibili anche a livello locale (dove un tempo si potevaforse “incidere” diversamente) per via dell’imposizione del pattodi stabilità e delle nuove leggi dell’ultimo governo monti cheobbligano le amministrazioni locali, pena sanzioni e ulterioritagli dei fondi destinati ai servizi, a rispettare i vincoli dibilancio del fiscal compact e dei trattati europei. Chi non svendee non privatizza il patrimonio pubblico, chi non taglia i servizie l’assistenza sociale non può governare nemmeno a livello locale.

Capire tutto questo (lo ripetiamo: prima noi comunisti/e locapiamo, meglio sarà per noi) non significa affatto rassegnarsi asubire; al contrario, capire come stanno effettivamente le cose èla prima condizione necessaria per combattere con speranza divittoria. Non c’è dubbio che la battaglia per l’egemonia suilarghi settori popolari ancora influenzati dal centrosinistra siail primo dei nostri compiti. E non c’è dubbio che andranno difronte a difficoltà crescenti quelle forze, come SEL, che si sonoposizionate strategicamente all’interno del centrosinistra,ottenendone in cambio visibilità e parlamentari e consiglieri eassessori, ma che vedranno presto svelata la propria doppiezza.Così come non c’è dubbio che le contraddizioni fra quellepolitiche del centrosinistra e gli interessi più profondi dellelarghe masse lavoratrici siano di carattere esplosivo, e che dunquel’egemonia del centrosinistra e dello stesso PD sul suo elettoratosia assai più fragile di quanto i recenti risultati elettoralipotrebbero far credere (d’altra parte anche su quel terrenol’aumento dell’astensione, il fenomeno Grillo ma anche laclamorosa perdita di voti del P.U.B. in valori assoluti parlanomolto chiaro).

La battaglia per costruire un’alternativa credibile aidisastri del centrosinistra, visti i risultati fin qui ottenuti,non può essere condotta dall’interno del centrosinistra stesso;essa necessita invece che sia costruito, prima nei fatti e poi

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anche nella coscienza delle masse, un vero polo di opposizionepolitica e sociale alternativo al monopartitismo competitivo ealle sue politiche. La consistenza di questo polo e anche larapidità con cui il malcontento sociale (oggi del tutto privo diriferimenti politici: cos’altro è Grillo se non questo vuoto?)riuscirà a connettersi ad esso sono variabili che dipendono anche da noicomunisti/e e dalla nostra capacità di lavoro politico. E unaposizione di forte coerenza politica e di proposta programmaticaorganicamente alternativa alla crisi capitalistica può anchedeterminare repentini orientamenti di massa a sinistra che oggi cipaiono quasi impossibili, ma che invece si sono già verificati piùvolte nella storia (si pensi al caso recente di Syriza in Grecia,passata in pochi mesi, in virtù della sua opposizione al GovernoBCE del Pasok, da pochi punti percentuali alla probabile imminentemaggioranza dei voti).

Su questa strada difficile e necessaria almeno il posizionamentopolitico strategico, di autonomia e conflitto nei confrontidell’alleanza PD-PdL-BCE, dovrebbe però essere finalmente chiaro enon provocare più divisioni nel nostro campo.

Su queste basi di avvicinamento è possibile lavorare alla piùampia ricomposizione dei comunisti in un partito all’altezza delloscontro di classe oggi e di una vasta rete anticapitalista eantiliberista contro le politiche di austerity, come due campidistinti e connessi utilmente.

7. La fine del modello di Partito “istituzionale-burocratico”Se questo è il quadro politico entro cui si svolgerà il nostroagire di comunisti/e in una fase storica non breve (quella segnatadalla crisi capitalistica e dalla impossibilità delle forzeborghesi, comprese quelle ex-riformiste, di porvi rimedio),occorre allora prendere atto di alcune condizioni nuove in cuinecessariamente dovremo operare.

La prima fra queste è la fine di un modello di partito chedefiniamo “istituzionale-burocratico” che molti/e avevano, più omeno inconsapevolmente, introiettato negli anni: secondo quelmodello il Partito serve per andare nelle istituzioni (ad ognilivello), giacché dalle istituzioni, e solo da queste, il Partitotrarrebbe finanziamento e in sostanza vita. Questo schemafondamentale (e questo errore fondamentale) determinava unapericolosissima alleanza organica fra gli istituzionali e iburocrati del Partito: i primi dirigevano di fatto il Partito e lorappresentavano, i secondi li servivano, garantendo loro il

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consenso del Partito e, in cambio, ricavandone i finanziamentinecessari per i propri stipendi, in attesa magari, un giorno, diaccedere anch’essi a qualche ruolo istituzionale. Questo modellocausa poi “a cascata” conseguenze assai negative sulla vitademocratica del Partito e perfino sulla sua etica comunista:personalismi, carrierismi, cooptazioni “dall’alto”, trascuratezzanel tesseramento e nell’autofinanziamento, immeritata promozionedi elementi borghesi e piccolo-borghesi senza lavoro nei posti dimaggiore responsabilità, disprezzo costante e radicale per lademocrazia nel Partito e le sue decisioni politiche, e in alcunicasi perfino comportamenti non comunisti che non vogliamo quineppure rievocare; ebbene: tutto ciò oggi non esiste più e noi osiamoperfino dire, correndo il rischio di essere accusati di estremismoinfantile, che non è affatto detto che – almeno sotto questoaspetto – la nostra esclusione dalle istituzioni sianell’immediato un male. Noi dobbiamo essere coscienti che nonsempre i comunisti sono stati nelle istituzioni, né sempre hannoricevuto da lì i soldi necessari per fare politica; e soprattuttodobbiamo capire che oggi e nel futuro (un futuro che non sappiamodire quanto lungo sarà) il Partito comunista dovrà necessariamentevivere fuori delle istituzioni (le leggi elettorali servivano, esono servite, esattamente a ottenere questo!), ma ciò significatornare a vivere nella società e fra le masse, traendo dai proprirapporti con la propria classe anche le risorse necessarie per leproprie attività. Certo, noi ci batteremo con forza per rientrarenelle istituzioni, ma non ad ogni costo, perché la priorità è pernoi il Partito e la sua politica, non la presenza nelleistituzioni. Certo, perderemo per strada (come abbiamo già persoin passato), qualche altro piccolo pezzo che non concepisce sestesso se non in una prospettiva di carriera istituzionale, ma -diciamo la verità - non sarà una gran perdita; soprattutto se saràcompensata dall’afflusso di nuove energie proletarie e dalrecupero di uno stile di lavoro e di vita degno della nostratradizione.

8. I cerchi concentrici dell’azione dei comunisti: la costruzione del Partito comunista, la costruzione del fronte anticapitalista-antiliberista, la costruzione del fronte progressista a difesa della Costituzione.

Contro i governi della BCE e contro tutte le forze che losostengono

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Lottare per la caduta dei governi di “eccezione” voluti dallaBCE è un passaggio indispensabile e ineludibile in questa fase. Maproprio per il loro carattere “costituente” di cui parlavamoprima, l’opposizione a questo tipo di esecutivi rischia di nonessere sufficiente se non si prova a spezzare il quadro politico ead affrontare la questione dei rapporti di forza nei confronti delpadronato. A nostro avviso l’opposizione a questi governi valegata, quindi, in maniera altrettanto “costituente” a unabattaglia serrata contro tutte le forze politiche e le ideologieliberiste che li sostengono (PD-PDL-montiani), per costruire unpolo di classe alternativo ad essi e per sostenere laricomposizione un blocco sociale antagonista agli interessi delcapitalismo come obiettivo fondamentale.

Un programma minimo di classe per un fronte anticapitalistaPer rompere definitivamente con la subalternità all’ideologia

dominante bisogna quindi riportare al centro della proposta un“programma minimo anticapitalista” attorno al quale definire qualialleanze sono utili per rilanciare un punto di vista di classenella crisi del capitalismo.

Ovviamente, come già ai tempi di Marx, non si tratta di unsemplice programma elettorale o di obiettivi “minimali”. Si trattadi un programma di lotta contro il capitalismo attuale che sappiaindividuare dei punti di rottura incompatibili con l’attualedominio capitalistico sebbene non immediatamente rivoluzionari. Ilnodo politico della fase attuale lo si può sintetizzare nellanecessità di modificare gli attuali rapporti di forza tra leclassi (sfavorevoli a quelle subalterne) e di rilanciarel’accumulazione delle forze dei comunisti in settori consistentidella classe legandoli a un progetto di trasformazione sociale.Sulla base di questi obiettivi, e non sulla necessità disopravvivenza di questo o quel gruppo dirigente, si stabilisconorapporti di “alleanze” sociali, politiche e anche elettorali.Questo spazio politico oggi è fuori dalle compatibilità con ivincoli imposti dalla UE e della carta di intenti filo-BCE del PD.

Nello stesso spazio politico e sociale il partito comunista,con la sua autonomia ed i propri simboli, deve essere al centrodella costruzione di una più vasta rete delle forze della sinistraanticapitalista e antiliberista, così come sta avvenendo in tuttii paesi della UE in cui lavoratori ed i popoli lottano contro idiktat della Troika e per la difesa della propria sovranitàpopolare espropriata dal capitale finanziario. Questosignificherebbe non porre più al centro dell’iniziativa politicale trattative per quanti parlamentari ci verranno garantiti in

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questa o quella coalizione, ma basarsi su un vasto movimento dilotta su battaglie come la riduzione d’orario a parità di salario,la patrimoniale sulle grandi ricchezze e rendite, la democraziasui luoghi di lavoro, la reindicizzazione dei salari e dellepensioni, la cancellazione del vincolo del pareggio di bilancio,il ritiro immediato delle truppe e per l’impiego delle spesemilitari per il rilancio dell’istruzione e dei servizi pubblici,la ripubblicizzazione dei beni comuni e dei settori strategiciprivatizzati, il ritorno a una legge proporzionale integrale, ecc…Solo a mò d’esempio.

Indipendenza politica e sindacalismo di classePer essere realmente anticapitalista un polo di questo tipo

deve definirsi strettamente, pur con una necessaria duttilitàtattica, attorno a questo programma che a livello interno rilancila centralità di un punto di vista di classe (su lavoro, salario,diritti e welfare) “indisponibile” alle compatibilità tantopolitiche che sindacali (quindi fissando punti discriminanti e nontrattabili con qualsiasi ipotesi di governo e in qualsiasi accordocon Confindustria). Una battaglia che sul piano sindacale si snodacontro il nuovo patto sociale neo-corporativo tra vertici deisindacati confederali e padronato (accordi 28 giugno 2011 e 31maggio 2013) che faccia il paio con quella sul terreno politico eistituzionale contro il presindenzialismo e la blindatura dellademocrazia da parte dei governi filo-BCE.

Sul piano del conflitto tra capitale e lavoro salariatobisogna puntare alla ricomposizione di un indirizzo sindacale diclasse per le comuniste ed i comunisti trasversale alle attualiappartenenze organizzative che attraversi lo scontro capitale-lavoro nelle sue componenti conflittuali (Fiom e sinistra Cgil,sindacati di base, movimenti). Contendendo la rappresentanza dilavoratori dipendenti e precari al sindacalismo neo-corporativo diCisl e Uil e alla linea di cedimento da vertici della Cgil tenutia briglia dal PD, anche attraverso esperienze autoconvocate e dicollegamento delle mille vertenze contro le crisi e leristrutturazioni aziendali sparse sul territorio nazionale eincomunicanti tra loro. Un’unità delle lotte contrappostaall’unità delle burocrazie.

Fuori dai diktat della Troika. Fuori dalla Nato Sul terreno internazionale la linea di demarcazione per la

ricostruzione di una linea di classe per i comunisti, deve passareper una rottura coi vincoli imposti dalla UE e dalla BCE (FiscalCompact, Trattati di Maastricht e di Lisbona), dai ricatti del FMIe per la fuoriuscita dalle guerre e dalle alleanze militari

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imperialiste (ritiro delle truppe, fuori dalla Nato e fuori lebasi ecc…). L’Unione Europea dimostra ormai la sua natura di meraintegrazione monetaria tra le potenze capitaliste dell’area,funzionale solo agli interessi dei maggiori gruppi monopolisti.Un’istituzione antidemocratica necessaria per tentare di limitarela concorrenza interna (a favore dei paesi più forti come laGermania) ed essere competitivi nei confronti delle altre potenzemondiali. Sostanzialmente un’alleanza traballante tra imperialismie sub-imperialismi per i quali una vera confederazione sovra-statuale risulta oggi “impossibile”, perché non possono unirsi deltutto politicamente, per lo meno senza l’imposizione di un dominiodelle potenze più forti, ma anche “reazionaria”, perché le unichedue cose su cui riescono a trovare sintonia è nell’attacco allemasse salariate al proprio interno e nel sostegno alle politichedi ingerenza e guerrafondaie verso l’esterno. Il ParlamentoEuropeo è uno strumento di facciata non decisionale ed il poterereale è nelle mani di organismi non eletti come le Commissionie la BCE. Quindi parlare seriamente di Europa dei popoli e deilavoratori significa prospettare nuove relazioni internazionalisolidali e integrate con altre aree geopolitiche (ad esempio ilMediterraneo), rompere i vincoli e le regole dei Trattati e non“democratizzarli”. Ancor di più vale questo discorso nei confrontidelle alleanze militari imperialiste come la NATO o la UEO e laPESD.

9. La battaglia delle idee CONTRO L’IDEOLOGIA DOMINANTE

 In questa prospettiva di scontro col capitalismo e dicostruzione di un’alternativa di sistema (il socialismo nel XXI secolo), èchiaro come diventi imprescindibile ricominciare anche a ragionaresu un lavoro di ricostruzione e rilancio dell’approfondimentoteorico e culturale, della formazione dei quadri e del rilanciodella battaglia delle idee contro l’ideologia dominante. Unterreno fondamentale il cui abbandono ha provocato anche nellenostre fila crisi di militanza, impoverimento teorico-culturale,sfiducia nella possibilità della trasformazione sociale,svilimento del nostro patrimonio storico e in ultima analisisubalternità e minoritarismo.

La perdurante assenza di una rivista teorica comunista e lamancanza (forse ancora più grave) di una casa editriceorganicamente vicina al partito, sono fatti che parlano da soli.

Molti esempi si potrebbero fare a proposito di questasubalternità politico-culturale, derivata anche da una

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trascuratezza e una superficialità che occorre superare: dallascarsa attenzione dedicata dal partito al grande patrimonio dellateoria marxista, leninista e gramsciana alla sottovalutazionedella battaglia per difendere la memoria e la storiadell’antifascismo e della resistenza, per non dire dell’incapacitàdi mettere seriamente a tema l’esperienza sovietica o quellacinese, elaborando una nostra critica comunista su basi storiche escientifiche serie e non debitrici delle banalità del “pensierounico” borghese.

Ma fra tutti i temi possibili vogliamo richiamare l’attenzionesu una questione: l’internazionalismo. Da sempre i comunisti sisono caratterizzati per la loro capacità di sentirsi parteintegrante della lotta di liberazione dei popoli di tutto ilmondo, ma fino ad oggi, al di la’ di lodevoli eccezioni, poco onulla è stato fatto dal partito per sostegno aperto allarivoluzione socialista cubana, contro il criminale bloqueo, per laliberazione dei 5 cubani incarcerati da 15 anni negli usa perchécolpevoli di aver combattuto il terrorismo. Analoga trascuratezzae analoghi silenzi ci hanno caratterizzato in questi anni aproposito del venezuela o dell’equador, della palestina o dellaturchia, delle ingerenze neocoloniali in siria e così via.

Oggi è per noi urgente e necessario far vivere nel nostropopolo un nuovo internazionalismo che non solo rappresenta (comediceva che guevara) “la tenerezza fra i popoli” ma che dà forza econcretezza anche alla nostra prospettiva rivoluzionaria initalia.

10. CONCLUSIONI

Dobbiamo salvare e rilanciare il PRC. Ma non bastasemplicemente “rifondare rifondazione”.

A noi interessa rifondare un partito comunista degno di questonome. Per ricostruirlo il PRC è un pezzo indispensabile e chedobbiamo salvaguardare da ogni liquidazione o tentativo discioglierlo in contenitori genericamente di sinistra egeneticamente subalterno. Ma dobbiamo essere consapevoli che neldifficile e urgente compito di ricostruire il partito comunistanessuna forza è autosufficiente. Non servono fusioni a freddo o lamera unità di gruppi dirigenti, bisogna innanzitutto cominciare aunire le linee e le strategie prima dei contenitori. Néimprovvisare scioglimenti e fusioni, quindi, senza aver sciolto inodi di fondo come la subalternità alle prospettive filo-capitaliste del centrosinistra, la rottura delle compatibilità col

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capitale finanziario europeo, un indirizzo sindacale minimo pertutti i comunisti/le comuniste indipendente dalle sigle diappartenenza, un investimento “nei” movimenti e non “sui”movimenti, una nuova democrazia operaia e comunista, ecc...

Per fare questo con tutte le altre forze di sinistraanticapitaliste e antiliberiste non serve inventare un ennesimosoggetto politico in cui tutti convergono sperando di superaremezzo sbarramento elettorale o di unire delle debolezze salvo poidividersi alla prima elezione perchè abbiamo prospettive diverse.I fallimenti di Arcobaleno, FdS, Rivoluzione Civile devonoinsegnarci qualcosa. Basta con gli errori del passato. Facciamonedi nuovi, ma quelli vecchi no.

Con tutte le forze della sinistra anticapitaliste eantiliberiste costruiamo un programma di lotte contro i diktatdella BCE che, anche a causa del Fiscal Compact e dei governivoluti da Napolitano, caratterizzeranno i prossimi decenni e nonmesi. Attorno a questo programma minimo facciamo un fronte piùampio possibile contro i governi che sostengono le politiche dellaTroika. Quindi sia che siano a guida PDL (ovviamente) che a guidaPD. Senza più subalternità al centrosinistra. A maggior ragioneoggi che queste politiche sono governate insieme da PD e PDL. 

Dobbiamo essere incompatibili con la gestione capitalisticadella crisi. Solo così torneremo ad essere utili alle classisubalterne che la crisi la stanno interamente pagando. Noncontinuando a ondeggiare se fare o no la stampella ai governi delPD. Per quello ci sono già le forze riformiste che lo fanno.

Un partito comunista degno di questo nome e uno schieramentoanticapitalista che sappia allargare le lotte a livello di massain cui organizzazioni, movimenti, sindacati convergano senzaannullare ciascuno le proprie identità e aprano alla societàsana. 

Di queste due cose abbiamo bisogno, non di una sola.

Per adesioni: [email protected]

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