Alle origini della siderurgia lecchese. Ricerche archeometallurgiche ai Piani d'Erna - Conclusioni...

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Conclusioni storico-archeologicheCostanza Cucini, Marco Tizzoni

Allo stato attuale delle ricerche nell'areaalpina italiana, l'atelier siderurgico dei Pianid'Erna non si inscrive in un quadro già deli-neato. Sono infatti inesistenti impiantimetallurgici noti o stud,iati per quest'epoca enon vi è sino ad ora nessun insediamentoproduttivo comparabile. Leccezionalità delsito risiede, tra le altre cose, nel fatto che quisi svolgeva la riduzione primaria del ferro,mentre sono numerosi i luoghi dove, all'op-posto, veniva elaborato il semilavorato ovenivano riparati oggetti in ferro. Questilaboratori sono semplici forge da fabbro e laloro pres enza eÍa necessaria in qualunqueabitato di una certa entità, essi non devonodunque essere considerati quali indicatori disiti produttori di metallo.

Ai Piani d'Erna non è stato individuatoun vero e proprio abitato, o per lo meno l'a-rea produttiva non costituiva un quartiereartigianale inserito in un contesto abitativo,si trattava piuttosto di un sito "industriale"apparentemente avulso da un insediamento,nato quindi solo a scopo metallurgico. Aquali bisogni o richieste commerciali potevarispondere, allora, I'attività di questo atelier?

Il contesto geografico in cui esso s'inseri-sce fa propendere subito per una produzionedestinata all'esportazione e porta ad esclude-re o a limitare fortemente un uso internoall'area montana. Infatti il sito non solo è

marginale rispetto alla vera e propria monta-gna e distante dai principali abitati ivi esi-

stenti, quali ad esempio Introbio, ma anchei suoi giacimenti minerari sono ben miseracosa se paragonati al vero e proprio bacinoferrifero valsassinese, come le miniere del

Monte Varrone. Dunque una produzionesimile doveva soddisfare bisogni legati alcommercio e alla circolazione delle mercinell'area dell'alta pianura. Si può rpotrzzareche il sito approrvigionasse le forge dei sot-tostanti insediamenti sin dal II sec. a.C. e

della Lecco romanal, ma probabilmenteanche quelle degli abitati sparsi lungo ilcorso dell'Adda e nel triangolo lariano. E'certo però che doveva rifornire i siti chedisponevano di forge per l'affinazione, masoprattutto quelle per l'elaborazione dioggetti, o anche forge miste in cui cioè si

svolgevano entrambe queste ultime fasi dellacatena produttiva siderurgica.

Non sappiamo sotto che forma il ferrovenisse messo in commercio, ma è moltoprobabile che si trattasse di masse metallicheanaloghe a quelle rinvenute nel corso delloscavo, e non di veri e propri semilavoratistrutturati come i lingotti o le " cî,rrrency bar" .

In base agli scarti di forgia recuperati - batti-ture e gromp - e soprattutto all'assenza discorie a calotta, si deve pensare che non si

trattasse di semilavorati con una messa informa già termomeccanicamente evoluta. Iblumi erano di metallo di buona qualità,pronto per essere utllizzato, avevano subitouna prima sgrossatura e un compattamento,ma non erano stati forgiati in lingotti diforma convenzionale. Si trattava comunquedi semilavorati molto omogenei in termini dicomposizione, sebbene con un grado di epu-razione ridotto, e con una certa standardtzza-zione di peso. Inoltre nell'area scavata mancaqualunque struttura che possa indicare lapresenza di un fucinale con i suoi apparati.

I Per la collocazione della Leucerzi della Tizbu/a Peutingerinna si veda BoNona Mtzzou 1994, p. 180; f identificazione del-l'attuale città di Lecco con la Leuceris della Thbu/a Peutingeriana è confutata in DRccÒ 2001, pp.28-29. Sembra piutto-sto dubbio che un insediamento come quello di Lecco potesse controllare le attività produttive del territorio circosranre,nellacuipartemontanasitrovanoiPiani d'Erna;essononpuòdunqueesseredefinitocittà,RosstcNnNt 1998, p.32I.

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il tentativo di calcolare la produzionesiderurgica del sito ha portato ad una stimadi 2 t di ferro prodotto, a fronte di unaquantità di scorie stimabile attorno alle 5 t.Non abbiamo termini di paragone alpini ita-liani per stabilire se siamo di fronte a ungrande centro di produzione o ad. un mode-sto atelier, anche se il confronto con siti d'ol-tralpe quali Les Martys nella MontagneNoire e Les Clérimois in Francia, o

Huttenberg nel Norico induce a riteneresenza dubbio piùt probabile quest'ultimaipotesi2.

Erano dei grossisti che commercialtzzava'no il prodotto? Il rifornimento delle forgenell'area di Lecco e dintorni era gestito da

una rete d'intermediari che operavano anchevia lago o anche lungo il fiume Addal Tuttequeste domande sono destinate per ilmomento a rimanere senza risposta, poichénon si conoscono siti di forge nella zona.

Si apre a questo punto una problematicaben più complessa, che coinvolge I'interoquadro del territorio alpino lombardo nelperiodo che portò alla completa romanizza-zione sia dell'area della pianura sia di quellapedemontana: quale ruolo poteva giocare unsito come quello dei Piani d'Erna, collocatotra il mondo celtico-ro manrzzato della pia-nura e quello montano per molti versi anco-ra "indigeno"?

Lassenza di un abitato ci nega l'apportodella cultura materiale per definire la comu-nità che vi operava. I frammenti di anforaDressel 6A, i soli reperti ceramici rinvenutinel sito, non bastano da soli ad identificarele genti che lavoravano il ferro ai Pianid'Erna. Possono però informarci sui circuiticommerciali in cui una località apparente-mente fuori mano, come quella in esame,

era inserita. Nella prima età imperiale i flus-si di merci adriatiche giungevano sino all'a-rea montana, la presenza di quest'anfora è

quindi importante anche dal punto di vistadella ricostruzione della rete di comunica-ziom fluviali e terrestri e dei traffici com-merciali. Vi devono essere state delle fortimotivazioni perché si decidesse il trasportodi questo pesante ed ingombrante carico

lungo un ripido sentiero montano sino ad

un sito produttivo di modesta entità..

In ogni caso, la Dressel 6A non è indicedell'appartenenza etnica elo culturale del

gruppo che lavorava ar Piani d'Erna, ma solo

del fatto che se ne apprezzasse il contenuto.È i.rrr... la tecnologia impiegata che è indi-cativa di un ambito culturale (ma non neces-

sariamente etnico) preciso, quello delmondo celtico: di origine celtica è il grandeforno del Periodo I, un tipo attestato in tuttaI'Europa celtica a partire dal periodo hall-stattiano La Tène antico. Lo scavo ha

dimostrato che questo forno si sviluppòlocalmente o in ambito sub-regionale: la sua

evoluzione morfologica e tecnologica ebbe

luogo in epoca romana - metà" I sec. a.C. I

-.ià I sec. d.C. È questo il risultato forse

piùt sorprendente dello scavo dei Pianid'Erna, quello che ha le maggiori implica-zioni per la storia della siderurgia antica inambito alpino italiano ed europeo. Gli anti-chi metallurgisti dei Piani d'Erna o dellevicine vallate giunsero a modificare la strut-tura di riduzione che impiegavano, ben col-laudata da secoli in una vasta aÍea, per ren-derla più efficiente e limitare le perdite dimetallo. Si ebbe qui un'evoluzione tecnolo-gica, forse determinata da fattori locali, qualiad esempio il tipo di minerale. Anche se nonsi può escludere che tale mutamento sia

stato determinato dall'arrivo di un impren-ditore che avrebbe operato un "cambio

gestionale" nell'insediamento produttivo. Si

potrebbe persino ipotrzzare la gestione delsito da parte di una comunità di un vicinovillaggio nel Periodo I, durante il quale veni-va seguita la tradizione celtica "antica", perpoi passare sotto la gestione diretta di unimprenditore che avrebbe potuto introdurresignificative innovaziom tecnologiche forse

apprese altrove.Anche se è innegabile una forte somi-

ghanza tra i forni del Periodo II di Erna e

quelli dell'area di Rothal (Bayerisch-

Schwaben)3, tuttavia, piìr che a un direttocontatto tecnologico tra le due aree, chi scri-ve penserebbe piuttosto ad una convergenzafrutto di una comune matrice tecnologica.

2 Ai Marrys il cumulo di scorie prodotto nell'epoca romana, dal 60 a. C. al 260 d. C., supera le 100.000 t, DoMERGUI

2004, p. 177. Ai Clérimois (Yonne) sono state calcolate oltre 12.000 t di scorie per tutta la durata delle attività, dal IVsec. a. C. al V sec. d. C., DuNtrowsi{ - Caesot 1995, p. f22. Non abbiamo stime per Huttenberg.3 tfi/rscsENBARTH - ANres - GRssrr,l,qNN 2001, Abb.7, p. 64.

La grande tradizione siderurgica lombardasembra dunque avere origini antiche, prero-mane. Si può inoltre ipotizzare che nellaGallia Tiansalpina ai Martys, dove in assen-za di una tradizione siderurgica locale ungruppo d'imprenditori provenienti dall'Ita-lia impiantò un grande sito per la riduzionedel ferro, le maestranze impiegate provenis-sero dalla Cisalpinaa.

Quello dei Piani d'Erna è dunque un sitogallo-romano: è a nostro awiso lecitoriprendere questa definizione in uso in Italianell'800 e agli inizi del '900, e ancor oggiampiamente usata oltralpe, poiché appro-priata a definirne le genti e la cultura recno-logica. Quello in esame era un modesto ate-lier, di grande omogeneità e semplicità, poi-ché l'occupazione fu di durata relativamentebreve; esso sembra fondato ex-novo, anchese non è verosimile pensare che il territoriofosse del tutto inabitato al momento del-l'impianto dei primi forni.

Non siamo di fronte ad un villaggio gallo-romano con funzioni complementari - agri-cole, commerciali - ma ad un sito produtti-vo specializzato, che può essere staro la fontedi approwigionamento del metallo permolte forge della sottostante pianura.

Si pone così un'altra questione fondamen-tale, cioè l'origine del sito dei Piani d'Erna,attorno al II sec. a.C.: c'è dietro una piccolacomunità residente in un vicino villaggiolOppure I'impianto sorse per volontà di un"imprenditore", un proprietario che aveva laforza economica e il potere di impiantare unatelier di questo tipo, collegato strettamenreallo sfruttamento delle miniere della zona eche poteva smerciare il prodotto? Nell'ambitodella società celtica c'erano imprenditori conquesta capacità economica, forse provenientedalle grandi proprietà terriere chi, come inepoca molto più tarda, sono caratterrzzate daun'economia differenzíata? E, le maesrranzeimpiegate nella riduzione del minerale eranole stesse che lo avevano scavaro in minieracome ar,rreniva spesso in epoca storica?

Purtroppo gli elementi datanti a nosrradisposizione (due datazioni al radiocarbonio

e i frammenti di un'anfora) indicano sempredegli archi cronologici così ampi da nonconsentire una maggiore precisione perquanto riguarda non solo la nascita del sito,ma anche una precisa correlazione tempora-le con gli eventi storici ed economici a noinori.

Non si può escludere che nella ristruttura-zione dell'atelier nel Periodo II siano presen-ti capitali e imprenditori romani o cisalpiniromanizzati. E ben noto I'investimento dicapitali romani in imprese manifatturiere alnord durante il I sec. a.C.; la straordinariafioritura economica della Cisalpina in etàaugustea vide in azione imprenditori romanidel ceto dei liberti a controllo di settori deimercati padani5. Certamente i giacimentiminerari lombardi non sfuggirono all'inte-resse di Roma, come dimostra ad esempio lapresenza di abitati romani nelle valliCamonica, Sassina ed anche nella remotavalle di Scalve6.

Un altro problema che attualmente nontrova soluzione è quello dell'abbandono:dallo scavo non sono emersi elementi chepossano indicare la causa dell'abbandonodell'atelier, a\ venuta verso la fine del I sec.

d.C. Quando una frana distrusse la forgia, ilsito era già ar,wiato al declino. Si può ipotiz-zare che le maestranze si siano spostate diqualche chilometro per impiantare un altrosito siderurgico a tutt'oggi sconosciuto; laridotta visibilità in superficie del terrenonelle zone montane fa sì che quesra ipotesisia molto plausibile. Bisogna inoltre renereconto dell'impatto ambientale dei forni: leintense attività" siderurgiche doverrero deter-minare un forte disboscamento nell'area cir-costante, mentre i fumi sulfurei che si spri-gionavano durante il processo di riduzione e

di arrostimento del minerale danneggiavanola vegetazione. La carenza di combustibilenell'area può essere stata un altro fattoredeterminante per l'abbandono del sito.Queste osservazioni, più che un ipotetico (e

contraddetto dalla ripresa delle attività inepoca storica) esaurimento dei giacimenti,possono suffragare I'ipotesi di uno sposra-

a Un esempio di trasferimenti di maestranze e tecnologie dalla Lombardia in tutta Europa in epoca srorica è costituitodalla diffusione dell'altoforno alla bergamasca a parrire almeno dal XV secolo, CuctNr Ttz,zc>Nt -TtzzctNt 1993, CucrNrTtzzoNr - TtzzoNt c. s.

5 SnNR CrrrEsa 1998, pp. 327, 335.6 Si vedano ad esempio i siti di Cividate Camuno, Introbio e Vilmaggiore di Scalve, loc. Castello.

1Bl

mento a breve raggio. Non è possibile dire,allo stato attuale delle ricerche, se i giaci-menti, analoghi per genesi e minerali, che si

trovano alle pendici della Grigna meridiona-le siano stati sfruttati in epoca antecedente o

posteriore a quella dei Piani d'Erna.È anche probabile che le miniere di Erna

siano state abbandonate a favore di quelle diDongo sul lago di Como i cui ricchi giaci-menti dovettero attrarre I'attenzione deiprospettori di metalli sino da epoca antica. Èforse proprio a queste miniere che si riferiscela notizia di Plinio il Vecchio relativa alla

qualità del ferro di Como, all'epoca eviden-temente famosoT. Non sembra convincenteinvece indicare come causa dell'abband,onodel sito la crisi del I-II sec. d.C., che avrebbe

causato un generale impoverimento dellaCisalpina, come del resto dell'Italia, e che

viene attribuita alla concorÍenza economicadelle province transalpin.s. È invece eviden-te che, rispetto ad altre aree della penisola, laCisalpina costituisce un caso ben diverso

con uno sviluppo peculiare: si può parlare diuna fase di declino solo dopo I'età severia-

na9. Come è stato sottolineatol0, non risultache I'economia italica sia decaduta nel corso

del I e II secolo, se non per singole zone e

singoli prodotti. E, il ferro era una materiaprima strategica che non doveva conoscere

crisi nella domanda.Labbandono dell'atelier va forse connesso

dunque a una serie di concause che videro losviluppo di altre vicine aree minerarie e

metallurgiche.larea montana e i suoi modi di occupa-

zione e di sfruttamento sono tra i menoconosciuti della Transpadana. In quest'ulti-ma convivono, affìancati o giustapposti, due

diversi modi di organizzazione economica:da un lato la pianura,, la campagna romaniz-zata dove però non venne esportato ilmodello romano-italico di sfruttamento del

territorio caratterizzato dalle uillae, ma ingenerale si mantennero le strutture di orga-

nizzazione della terra di età pre-romana,senza cesure o rotture traumatichel l e dove

le testimonianze archeologiche indicano la

continuità della presenza di una culturalocale, forse anche solo presso le classi subal-

terne, sino agli inizi del I sec. d.C. Dall'altrola montagna, che per molti aspetti fa ancoraparte del modo indigeno, alpino e/o celtico.È quest'ultimo un mondo caratterizzatodalla povertà dei suoli, ma dalla presenza difonti alimentari diversificate, dalla lonta-nanza dai centri urbani, sede del poterepolitico e dai quali prende awio la roma-nrzzazione del territorio. Incidentalmentericorderemo come anche in epoca storica glistati di antico regime non siano mai arriva-ti ad un completo controllo amministrati-vo, economico e persino militare dell'areamontana, dove le locali comunità god,evanoin pratica di uno stato di semi-indipenden-za, che però spesso si volgeva a beneficiosolo di poche famigliel2.

Il sito dei Piani d'Erna è posto in unambiente marginale rispetto sia alla pianurache alla montagna, infatti non presenta le

caratteristiche tipiche di nessuna di queste

due zone, ma è ricco di giacimenti minerari,pascoli e boschi. Esso si colloca in unadimensione economico-sociale ancora permolti versi "indigena" rispetto alla pianuraromanizzata) ma ad essa è collegato e com-plementare.

Allo stato attuale degli studi, è probabileche questa fisionomia originale sia in realtà

imputabile semplicemente all'assenza diconfronti per questo tipo d'insediamento.Come si è detto, non ci sono casi coevi sinoad ora studiati in area alpina.

Quello in esame si configura dunquecome un sito produttivo di grande interesse,

in primo luogo perché non ha subito alcunrimaneggiamento dopo il suo abbandono;inoltre vi sono ben documentate tutte le fasi

del lavoro metallurgico che vi si svolgeva,

dall'estrazione del minerale alla produzione

7 Nar. Hist. XXXIV, ú4.8 È quest" l'interpretazione classica del Rostovtzeff, che però riaffiora nel dibattito attuale sul periodo. Per quanto con-

cerne gli assetti agrari contro l'appiattimento della ricostruzione storica sulla crisi dell'Italia imperiale si vedano le pagi-

ne diVEnn 1994.e VERa 1.994, pp.240-241.10 Cassou 1994.rr SnNn Curpsa 1998, p. 336.12 TtzzoNt 1997 e 1998.

del semilavorato pronto per essere commer-cializzato. La sua eccezionalità è dovutaanche al carattere esaustivo dello studio degliscarti e dei prodotti del lavoro siderurgico:gli studi archeometrici e le analisi incrociatecondotti su una campionatura significativaci restituiscono un'immagine attendibile diquello che doveva essere un sito siderurgicogallo-romano in Italia.

SummaryThe iron smelting area of Piani d'Erna was nor

part of a settlement nor there was a settlementnearby. It seems that the blooms made on thissite were used in the forges of the Lecco area andin those of the villages of the Adda river valley.

Iron was made at Piani d'Erna in the periodwhich witnessed the full romanization of theCeltic folks living between the river Po and theAlps and which was accomplished by means ofcultural absorption. The site of Piani d'Erna liesberween the romanized plain and the "indige-nous" Alpine area.

The amphora found at Piani d'Erna showsthat even this remote site had entered theRoman commercial net.

The stratigraphy has shown that in Period IIthe large Celtic furnace was abandoned in favourof a smaller type which can be compared ro rhatfound in Bayerisch-Schwaben.

\ù7e do not know if at the origin of the birth ofthis site there was a village communiry or theentrepreneurial activiry of a wealthy trader. Inlater periods there was an entrepreneurial class ofCeltic origin, but we don't know if it alreadyexisted in the II cent. B.C., nor we know whowere the smelters and/or miners.

The shift of the furnace type in Period IIcould betray the arrival of a Roman or of a

Romano-Celtic entrepreneur.When a small landslide covered part of the

site, toward the end of Period II, iron produc-tion at Piani d'Erna was already declining. Sincethe ore deposits were not exhausted the reasonfor the decline and the following abandonmentof the site could have been the discovery of rich-er iron mines such those at Dongo or theexhaustion of the forest in the area or both.

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