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Normatività nella decisione pubblica
Giovanni Cogliandro
1. Virtù e conseguenze
I decisori pubblici agiscono facendo riferimento a principi di diversa natura. Quando un
giudice svolge il suo ruolo istituzionale e sistemico di interprete del diritto egli non
dovrebbe fare appello solo ai principi della moralità politica riguardo a diritti e doveri che
si avrebbero in un modello di società giusta, ma, almeno a parere di Kyristis1, dovrebbe
anche considerare i principi che governano la ripartizione del potere effettivo tra i
partecipanti al più generale progetto di governo, includendo in questa sua considerazione
anche se stesso e il proprio potere. Tali principi consentirebbero al giudice di dare la giusta
considerazione prospettica agli effetti delle sue decisioni sulla vita futura delle persone
oggetto dei suoi pronunciamenti, includendo in questa visione ragionevole dei futuri
assetti anche le decisioni di ciascuna delle altre istituzioni che partecipa al disegno
complessivo del governo. Questa sarebbe una conseguenza pratica della consapevolezza
che le decisioni giudiziarie sono parte di un progetto di governo, affermazione che oggi
appare vieppiù pericolosa, poichè la loro forza normativa è indipendente da quella dei
principi di giustizia sostanziale. I principi che in una teoria politica comprensiva
governano la ripartizione dei poteri potrebbero dare al giudice ragioni adeguate per
favorire una decisione che tenga conto di parametri sempre ulteriori rispetto alla sua
visione comprensiva della giustizia sostanziale. Di conseguenza una teoria ideale della
decisione giudiziaria potrebbe essere considerata come derivante da una combinazione dei
principi di giustizia, considerati all’interno del più ampio disegno istituzionale, in cui da
alcuni principi morali e da una cosiderazione oggettiva delle loro conseguenze concrete
viene determinato un obbligo giuridico. Sarebbe opportuno provare ad adottare un punto
di vista consequenzialista oggettivo2 che identifica come virtù dei decisori politici la
1 DIMITRIOS KYRISTIS, Shared Authority. Courts and Legislatures in Legal Theory, Hart Publishing 2015. 2 Per un’influente analisi del conseguenzialismo oggettivo in filosofia morale rimando a JULIA DRIVER, Uneasy
Virtue, Cambridge University Press, 2001, in particolare sulla definizione che ne offre: ‚A subjective
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riconoscibile efficacia nel produrre sistematicamente conseguenze migliorative a favore
dei più svantaggiati, senza frustrare le eccellenze.
Per far questo può aver senso avere un atteggiamento ispirato dalla teoria
dell’uguaglianza di Dworkin ma non è necessario condividere la sua teoria che pone al
centro dell’operatività del diritto l’attività delle Corti. Dworkin non accetta fino in fondo la
posizione di Rawls e considera il rapporto tra morale e politica uno dei capisaldi del
liberalismo, che deve avere, a suo modo di vedere, una fondazione etica, come ha ribadito
da Virtù sovrana3 fino a Giustizia per i ricci4. Dworkin contesta l’affermazione di Berlin (dal
quale riprende il titolo del suo ultimo libro) che libertà ed eguaglianza siano due posizioni
inconciliabili, e si rivolge contro Nozick, il primo tra i critici della teoria rawlsiana della
giustizia e dell’uguaglianza. Secondo Dworkin lo stato non può avere una posizione
neutrale nei confronti del mercato e non può assolvere solo al ruolo di custode della libertà
negativa.
Egli parte da una concezione forte di egualitarismo e sostiene che il contenuto della legge
sia l'insieme dei diritti morali giudizialmente applicabili, con la conseguenza che
l’esecutività giudiziaria di un diritto è per Dworkin il vero segno della legalità efficace nel
migliorare l’equità sociale. Waldron ha condotto una critica approfondita di questa
visione, che accomuna filosofi del diritto analitici di tendenze molto diverse tra di loro: la
sua preoccupazione può essere condensata nella diagnosi che la contemporanea filosofia
del diritto si sia troppo concentrata sui giudici trascurando le procedure della legislazione.
Waldron si vuole differenziare da Dworkin, anche se ne condivide alcune tesi
sull’interpretazione e sul ruolo dei diritti: egli sostiene che le Assemblee legislative
svolgono una funzione strettamente connessa con la determinazione del contenuto morale
del diritto, con la loro capacità di risolvere le controversie sociali su ciò che dovrebbe
essere fatto5. Secondo Waldron il potere legislativo è stato trascurato dalla filosofia del
consequentialist defines the rightness of an action in terms of the subjective states of the agent. An example
of a subjective consequentialist theory is expectabilism, which holds that an action is right if and only if the
agent expects that the consequences of the action will be good. An objective consequentialist, on the other
hand, defines a right action as that which produces good actual consequences – thus, what the agent expects
to be produced is irrelevant in determining rightness – though it will certainly be relevant in terms of
apportioning praise and blame.‛ (DRIVER, cit., p xiv). 3 R. DWORKIN, Virtù sovrana. Teoria dell'uguaglianza, Feltrinelli 2002. 4 R. DWORKIN, Giustizia per i ricci, Feltrinelli 2013. 5 J. WALDRON, The Dignity of Legislation, Cambridge University Press, 1999; tale testo è stato concepito come il
completamento dell’influente monografia pubblicata nello stesso anno J. WALDRON, Law and Disagreement,
Oxford University Press 1999: mentre la prima analizza e valuta le diverse dottrine della legislazione che si
sono succedute nei secoli, la seconda tenta un’interpretazione sistematica e inclusiva del disaccordo e della
legittimazione.
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diritto, che in questo può ricevere fecondi spunti da una sempre più intensa intersezione
con la filosofia politica, ed anche in questo si trova d’accordo con Dworkin.
Il legislatore si distingue dalle Corti e dagli esecutivi in primo luogo per l’ambizione alla
massima rappresentanza intesa come espediente per esibire una garanzia della bontà del
suo operato. La composizione delle Assemblee legislative impressionano per l’imponenza
dei loro numeri: dai più di 500 negli Stati Uniti, ai quasi 3000 della Cina, passando per le
centinaia di membri della House of Lords che (nominati e non eletti) affiancano i membri
della House of Commons nel Regno Unito. Al paragone di tali numeri impallidiscono le
composizioni dei governi, che oscillano tra i venti e i cinquanta membri nella maggior
parte delle nazioni occidentali, a prescindere dalla forma di Stato6. Questa riverenza quasi
sacrale per la rappresentanza potrebbe affondare le sue radici in un profondo disagio della
civiltà, un confronto rimosso con la mitologia dei legislatori dell’antichità. All’antichità fa
riferimento Dworkin per inventare la figura del giudice sapiente Ercole, da lui
contrapposto al Rex di Hart e Fuller. ma proprio l’antichità ci offre invece le figure dei
monarchi legislatori o della normazione ancestrale e sacra, da Mosè a Solone7, da Licurgo a
Numa Pompilio8. Il legislatore oggi e negli ultimi secoli si vuole garantire con la più ampia
rappresentanza possibile la possibilità di essere più vicino alla verità, anche se il Teorema
di Condorcet sembra mostrare come il numero dei componenti di un’Assemblea sia
inversamente proporzionale alla sua capacità di conseguire una efficace competenza
capace di influire in meglio sul bilanciamento dei diritti e dei doveri che si va a modificare.
Condorcet ha sostenuto che non vi è alcuna garanzia che i rappresentanti eleggibili
abbiano una probabilità maggiore di 0,5 di giungere a un più giusto risultato: «Una
assemblea molto numerosa non può essere composta di uomini molto illuminati. E’ inoltre
probabile che in coloro che siedono in questa assemblea su molte questioni si combinino
6 Waldron si diffonde su queste rilevazioni numeriche nelle prime pagine di Law and Disagreement. 7 Vi fa riferimento tra gli altri V. E. Orlando per concedersi un’ironia durante i lavori dell’Assemblea
Costituente svolge il suo ordine del giorno il 23 aprile 1947: "E perché, allora, dobbiamo noi assumere la
veste di legislatori mitici, di semidei, come dei Mosè o dei Soloni, per pregiudicare la competenza dei
legislatori futuri?". Questa ironia è tuttavia un profondo cortocircuito che attraversa il legislatore costituente
ma anche il legislatore ordinario. 8 Plutarco nelle Vite parallele trattando di Licurgo e Numa Pompilio sottolinea come entrambi i legislatori
sacri abbiano agito in vista dell’obiettivo di conseguire la saggia temperanza nel governo del popolo.
Licurgo fu il legislatore che con la sua riforma dell'ordinamento politico e dei costumi sociali ha plasmato la
struttura dello Stato spartano e ha posto le basi per un'egemonia plurisecolare sulla Grecia. Numa Pompilio,
il successore di Romolo che secondo la leggenda fu anche discepolo di Pitagora, delineò le principali
istituzioni religiose di Roma e, con le sue iniziative in ambito civile, donò alla città uno dei suoi rari periodi
di pace.
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grande ignoranza con molti pregiudizi . Quindi ci sarà un gran numero di questioni sulle
quali la probabilità della verità conseguita da ogni elettore sarà inferiore a ½»9.
Punto di partenza del ragionamento politico di Waldron è ciò che egli chiama "le
circostanze della politica"10. La prima tra queste è la costatazione che, anche dopo aver
condotto un’ampia riflessione collegiale, ispirata ai principi della Ragione pubblica esposti
da Rawls, i cittadini e i loro rappresentanti non saranno d'accordo su questioni
fondamentali concernenti la politica, i principi, la giustizia e il diritto, sulle quali sarà già
tanta se si sarà convenuto di considerare reciprocamente ragionevoli le opposte posizioni
(o teorie comprensive) della fazione opposta. La seconda è che, nonostante questo
disaccordo, i cittadini hanno e percepiscono il bisogno di decisioni e linee d'azione comuni
per quanto riguarda queste stesse indecidibili fondamentali questioni. Fondamentale per
l’intera filosofia politica di Waldron è la sua assunzione che vi sia (e sempre vi sarà?) un
diffuso disaccordo su tutte le questioni rilevanti per la politica, disaccordo che persiste
anche dopo una deliberazione condotta con la massima buona fede.
2. Sovranità e Supplenza
Il legislatore assembleare delibera tenendo conto dei diversi interessi e delle prospettive di
tutta la società, introducendo una legge intesa come vincolante per tutti i cittadini e
riconosciuta come tale da funzionari e giudici: la sovranità dovrebbe essere essenzialmente
temperata dalla deliberazione in un’aula di rappresentanti e questa evidenza si comprende
solo esaminando la struttura fondamentale della sovranità quale è stata modificata dal
parlamentarismo, come si tende a rilevare in particolare nelle situazioni di crisi o di
squilibrio sistematico11.
Waldron accusa i filosofi del diritto contemporanei proprio di questa carenza, di avere
quindi una eccessiva sfiducia (o fiducia) nel concetto di deliberazione legislativa perché
non hanno compenetrato il parlamentarismo e i suoi arcani in misura analoga a quanto
invece realizzato dalla filosofia politica12. Infatti, anche se molteplici versioni del
9 CONDORCET, Trattato sull'Applicazione dell'Analisi alla Probabilità delle Decisioni a Maggioranza (1785), in
CONDORCET, Selected Writings, Keith Michael Baker ed. & trans. (1976), p 49, cit. in J. WALDRON, Five to Four,
in 123 Yale Law Journal 1692 (2014), alla nota 77. 10 J. WALDRON, Law and Disagreement, cit., p 102. 11 Si veda al riguardo J. GOLDSWORTHY, Parliamentary Sovereignty: Contemporary Debates (Cambridge Studies
in Constitutional Law), Cambridge University Press 2010. 12 Waldron in questo probabilmente fa anche una apologia del suo metodo interdisciplinare che da diversi
decenni interseca le due discipline. Probabilmente la sua critica vale più per la tradizione di Common Law che
5
positivismo definiscono la legge in termini di fonti, nella analisi di Waldron la proprietà di
essere fonte della legge è per il positivista la cosa più interessante che si possa dire di
un’istituzione e tutte le altre caratteristiche che può possedere diventano insignificanti,
compresa la caratteristica essenziale di avere la capacità di generare il diritto.
L’ermeneutica di Dworkin invece non trascura le caratteristiche che in realtà permettono a
un'istituzione di avere questa qualità generativa, anche se Dworkin commette l’errore di
restringere il campo di applicazione delle sue considerazioni alla sola teoria del diritto. A
nostro parere al riguardo è possibile generalizzare l'intuizione critica di Waldron,
giungendo a sostenere che il centralismo della figura del giudice in Dworkin offra una
concezione riduttiva della stessa legalità, proprio perché muove da un artificio originario,
funzionale all’espansione dei diritti, quindi alla teoria normativa dell’uguaglianza politica:
la nostra tesi è che questo slancio normativo non sia sviluppato nelle sue potenzialità in
quanto risente delle contingenze degli anni ‘60 e ‘70 del XX secolo. In quegli anni negli
Stati Uniti (ma anche in Europa) la magistratura aveva una autocomprensione proattiva
nel rendere più efficaci le tutele dei diritti dinanzi al ritardo della sensibilità del legislatore.
Oggi a volte questo si verifica ma senza alcuna riflessione organizzativa, ad esempio in
Italia si assiste a una schizofrenia dei giudicati in particolare su materie eticamente
sensibili. Forse alla luce di questo deficit di ragione pubblica la teoria andrebbe aggiornata,
giovandosi di un ripensamento della teoria dell’uguaglianza di Dworkin, delle emergenti
teorie liberali antiperfezioniste (come quella di Quong) e del percorso di Waldron come si
tratteggia a partire dalle due monografie del 199913, poi con costanza nei molteplici articoli
sul tema del Rule of Law14, come anche nell’ultimo saggio sulle maggioranze semplici del
201415. Nella sua dimensione sistemica la legalità richiede che il governo della legge nel
suo complesso sia strutturato in modo da garantire che il potere pubblico sia esercitato
correttamente, quindi con una considerazione rafforzata del ruolo dei funzionari (officials)
per quella europea, e non è un caso che autori di estrazione diversa si trovino a rivalutare la riflessione
tedesca e italiana su queste tematiche quale si è svolta negli ultimi anni (penso in particolare a Dyzenhaus e a
Bellamy). Si vedano ad esempio D. DYZENHAUS, The Constitution of Law: Legality in a Time of Emergency,
Cambridge University Press 2006; R. BELLAMY, Political Constitutionalism: A Republican Defence of the
Constitutionality of Democracy, Cambridge University Press 2007; da ultimo L. VINX, The Guardian of the
Constitution. Hans Kelsen and Carl Schmitt on the Limits of Constitutional Law, Cambridge University Press 2015. 13 J. WALDRON, The Dignity of Legislation, Cambridge University Press, 1999; tale testo è stato concepito come
il completamento dell’influente monografia pubblicata nello stesso anno J. WALDRON, Law and Disagreement,
Oxford University Press 1999: mentre la prima analizza e valuta le diverse dottrine della legislazione che si
sono succedute nei secoli, la seconda tenta un’interpretazione sistematica e inclusiva del disaccordo e della
legittimazione. 14 Tra questi il più noto è The Concept and the Rule of Law in 43 Georgia Law Review 1 (2008-2009); si vedano
anche J. WALDRON, The Rule of Law and the Importance of Procedure in Nomos numero 50: Getting to the Rule of
Law, ed. James Fleming, New York University Press 2011, disponibile sul sito SSRN:
http://ssrn.com/abstract=1688491 (consultato il giorno 30 luglio 2015); J. WALDRON, Thoughtfulness and the
Rule of Law, disponibile sul sito SSRN: http://ssrn.com/abstract=1759550 (consultato il giorno 30 luglio 2015); 15 J. WALDRON, Five to Four: Why Do Bare Majorities Rule on Courts?, cit.
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oltre che di quello dei giudici. I funzionari saranno sempre soggetti alla valutazione dei
giudici, come anche gli altri cittadini, nel circolo virtuoso di una continua evoluzione in
corso che porta a una sempre maggiore contrazione dei privilegi derivanti dalla passata
supremazia dell’amministrazione e dal regime speciale proprio del diritto amministrativo.
Non appare sufficiente che i giudici svolgano una azione di supplenza politica
indirizzando tramite il loro operato la coercizione statale, ma il progetto comune di
governare dovrebbe chiaramente orientarsi verso la giustizia e l’uguaglianza sostanziale.
Non basta che le teorie del diritto si concentrino sui determinanti dei diritti e doveri che
sono giuridicamente applicabili, perdendo così la dimensione sistemica della legalità, ma i
cittadini devono essere rispettati come uguali tra di loro nel modo in cui anche tutti gli
stakeholders di una decisione di competenza del potere esecutivo-amministrativo vanno
rispettati come uguali; trattare un cittadino come meno che uguale è agire come se non
avesse una partecipazione in quello che sta succedendo. I cittadini come anche i funzionari
devono essere governati nella nostra condotta e rimandano il controllo della loro condotta
ai giudici in quanto esperti della legge in modo tra loro uguale. Anche se in realtà possono
differire nella loro competenza, e anche se questo gap di competenze si allarga sempre più
in virtù della sempre maggiore parcellizzazione delle competenze tecniche, le Corti
applicano sempre la fictio dell’eguaglianza, analoga alla rappresenztazione della neutralità
per la quale ogni giudice rappresenta la legge e la rappresenta in maniera uguale a tutti i
suoi colleghi.
L’espediente di affidare le decisioni più delicate alle Corti costituisce un modo di
neutralizzare le responsabilità delle decisioni affidandosi a un criterio ibrido tra
competenza e rappresentanza, cercando di oltrepassare con strategia argomentative
diverse l’incompletezza della deliberazione nel contesto della ragione pubblica, concetto
chiave della filosofia politica contemporanea, in particolare a partire dall’opera di Rawls16.
La ragione pubblica è costitutivamente incompleta: in primo luogo, la ragione pubblica è
indeterminata, non è in grado di fornire conclusioni chiare su una questione particolare. In
questi casi la ragione pubblica si esaurisce, in quanto i suoi contenuti sono insufficienti per
produrre una risposta condivisa17. In secondo luogo, la ragione pubblica potrebbe essere
inconcludente per quanto riguarda una certa questione, cioè, si avrebbero una pluralità di
risposte diverse che tutte in maniera equivalente potrebbero essere apparentemente
16 Sia Liberalismo politico, come anche Il Diritto dei popoli presentano in appendice alla loro edizione italiana lo
scritto di Rawls ‚Un riesame dell’idea di ragione pubblica‛ del 1997, ed. orig. J. RAWLS, The Idea of Public
Reason Revisited, in Chicago Law Review (1997), 64 (3) pp. 765-807. 17 Si veda al riguardo M. SCHWARTZMAN, The Completeness of Public Reason, in Politics, Philosophy, &
Economics, 3, 2004, pp. 191–220.
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giustificate dall’appello alla ragione pubblica, e la ragione pubblica da sola non può dire
quale risposta è corretta o l'alternativa più ragionevole18.
L’indeterminatezza è l’accusa più grave dal punto di vista della filosofia politica, in
quanto, anche se la ragione pubblica è inconcludente solo per quanto riguarda alcune
questioni, questa constatazione sarebbe forse fatale per la possibilità di riferirsi in generale
alla ragione pubblica come cornice di ogni situazione deliberativa. Alcuni degli argomenti
rispetto ai quali la ragione pubblica è inconcludente o indeterminata includono oggi
questioni ad elevatissimo tasso di conflittualità come l’aborto, la ricerca sulle cellule
staminali, il matrimonio tra omosessuali, la prostituzione, la giustizia per le generazioni
future, il trattamento degli animali, e altre questioni in cui per ottenere una risposta
morale o politica si deve far riferimento a opposte considerazioni metafisiche su che cosa
sia una persona. Sono praticamente tutte le interrogazioni che costituiscono il dibattito
accademico in filosofia politica. Non è un caso che oggi si assista a una rinnovata
considerazione della centralità dell’antropologia, già delineata da Kant due secoli e mezzo
addietro. Praticamente tutte le questioni morali o politiche dipendono dalla nozione di
verità circa la persona, o sullo sviluppo umano: da qui si manifesta l’ineludibile carica di
incompletezza che costituisce sempre un problema profondo e pervasivo per la ragione
pubblica. Del resto Waldron in Law and Disagreement esplicitava, sin dalle prime pagine,
come la filosofia del diritto fosse una categoria del più vasto insieme della filosofia politica
e come i due compiti precipui della filosofia politica fossero l’analisi dell’idea di giustizia e
la considerazione della ineluttabilità del disaccordo tra uomini e corpi politici.
3. Ragione pubblica e status normativi
Quali risposte sono a disposizione di un filosofo che, nel quadro del parlamentarismo
democrativo, si voglia analista e sostenitore di una teoria normativa della ragione pubblica
e di un ragionevole perfezionismo? La maggior parte dei sostenitori liberali delle diverse
concezione della ragione pubblica sono inclini ad accettare l’accusa che essa possa essere
una procedura inconcludente, ma negano che questa sia davvero un’obiezione al suo
impiego come struttura di sfondo della deliberazione19. Se in merito a una questione
morale o politica la ragione pubblica sembra produrre un numero di risposte egualmente
18 G. GAUS, Justificatory Liberalism: An Essay on Epistemology and Political Theory, Oxford University Press 1996. 19 Si veda ad esempio quanto affermato in: J. RAWLS, Political Liberalism, Columbia University Press 1996, pp.
240-241; G. GAUSS, The Order of Public Reason: A Theory of Freedom and Morality in a Diverse and Bounded World,
Cambridge University Press 2011, pp. 303-333; J. QUONG, Liberalism Without Perfection, Oxford University
Press 2011, pp. 204-212.
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ragionevoli, la sfida è allora quella di trovare un modo sempre più condivisibile e
appropriato per scegliere tra queste risposte concorrenti. Questa comprensione riflessiva
della ragione pubblica potrebbe quindi richiedere nella prassi un procedimento di
approssimazione, un rinnovamento dei criteri e postulare delle procedure di intesa con
forme sempre nuove, tuttavia, anche se qualunque metodo si scelga sarà sempre
perfettibile, in tal modo l'idea alla base della ragione pubblica sarà confermata piuttosto
che compromessa. Da questo punto di vista credo che sbaglino alcuni critici del concetto di
ragione pubblica come Sandel20, Horton21 o Reidy22 quando suppongono che il fondamento
e lo scopo della ragione pubblica sia quello di fornire una risposta unica per ogni
questione che si pone dinanzi al legislatore. Ritengo che invece si abbia di fronte il
problema ben più difficile e stimolante di tentare di mostrare che il fondamento della
ragione pubblica sia garantire che le regole o principi che si possono adottare possano
essere ragionevolmente giustificate a tutti gli interlocutori coinvolti del discorso
istituzionale. Del resto non solo la teoria della democrazia di Dworkin, Shapiro23 o
Christiano24 ma anche le cosiddette concezioni agonistiche della democrazia, quali esposte
a partire dagli anni novanta da Laclau e Mouffe25, come anche le diverse concezioni
deliberative della democrazia sono posizioni antitetiche che mostrano come la
conflittualità sia ineludibile dall’esistenza collettiva di esseri umani con visioni
incompatibili del bene e del giusto. Il primato dell’agonismo compreso come fondamento
della democrazia deliberativa consente di rimouvere la legittimità di concezioni
radicalmente antagonistiche che si ripresentano pericolosamente e trovano nuove forme di
rappresentanza. Anche solo limitare a questo la normatività della decisione democratica
mi sembra unod ei compiti dell’elaborazione teorica contemporanea.
Si fa spesso riferimento alla necessità di ampliare i riferimenti esperienziali o l’evidenza
empirica delle quali la riflessione politica normativa difetterebbe: tuttavia l’esperienza non
determina a sufficienza le teorie e la stessa evidenza empirica è compatibile con diverse
teorie, con diversi modi di spiegarla. E’ interessante notare come questa constatazione,
unita alla non plausibilità della interpretazione del giuspositivismo come teoria empirica
20 M. SANDEL, Liberalism and the Limits of Justice, Cambridge University Press 1998. 21 J. HORTON, Rawls, Public Reason, and the Limits of Liberal Justification, in Contemporary Political Theory,
2003, pp. 5–23. 22 D. REIDY, Rawls's Wide View of Public Reason: Not Wide Enough, in Res Publica, 2000, pp. 49–72. 23 I. SHAPIRO, Democratic Justice,Yale University Press 2001; ID., The State of Democratic Theory, Princeton
University Press 2003. 24 Th. CHRISTIANO, The Constitution of Equality. Democratic Authority and Its Limits, Oxford University Press
2008. 25 CH. MOUFFE, Sul politico. Democrazia e rappresentazione dei conflitti, Bruno Mondadori 2007; E. LACLAU e CH.
MOUFFE, Egemonia e strategia socialista. Verso una politica democratica radicale, il Melangolo 2011.
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del diritto, aveva indotto Uberto Scarpelli26 e altri autori a considerare il giuspositivismo
non una teoria conoscitiva empirica, ma piuttosto una dottrina normativa del diritto.
Secondo questo orientamento, oggi sempre più diffuso, anche il giuspositivismo come
teoria empirica dipenderebbe in realtà da una previa valutazione normativa: la
valutazione favorevole al diritto prodotto dallo Stato moderno e in particolare al diritto
codificato, maggiormente apprezzato di qualsiasi altro tipo storico di diritto per la sua
maggiore razionalità e certezza. I giuspositivisti, secondo questa interpretazione, sono
sostenitori incondizionati della datità della legge, sono degli apostles of the made law
secondo l’espressione coniata da un antigiuspositivista come Fuller, ma fatta propria
anche da un giuspositivista normativo come Scarpelli. Sulla scia del realismo e del
positivismo giuridico esclusivista da Hobbes a Austin e oggi a Shapiro la legge è tale in
quanto promana da una autorità riconosciuta come tale, e in quanto tale va difesa senza
riferimenti a possibili contenuti concettuali moralmente valutabili. Questa valutazione
(originariamente intesa come un giudizio favorevole) è stata in seguito criticata da più
parti ed etichettata come legalismo etico o giuspositivismo ideologico: questo è avvenuto
soprattutto dopo i terribili eventi resi possibili da sistemi giuridici internamente coerenti
che ha dato nuovo slancio alla tradizione del diritto naturale27. Tale critica sembra oggi
superata da un’intera famiglia di dottrine giuspositiviste, definite giuspositivismo etico o
normativo, e rappresentata da autori come Waldron, Campbell28, Coleman e in Italia lo
stesso Scarpelli e – per certi aspetti – Ferrajoli. Per tali autori l’opzione per la filosofia
giuspositivista dipende anche da valutazioni normative favorevoli allo Stato moderno e in
particolare alle forme di Stato riconducibili alle caratteristiche proprie dello Stato di
diritto. Questa valutazione sembra effettivamente pregiudiziale all’adozione dello stesso
metodo conoscitivo giuspositivista: il giuspositivismo metodologico, in altri termini,
sembra davvero presupporre il giuspositivismo ideologico e informare a questo le
strutture e le gerarchie tra norme presunte neutrali ma che sono e devono essere
(parafrasando con ironia lo Hume della ragione che «è e deve essere» schiava delle
passioni29) faziose, in quanto faziosa è la natura umana.
26 U. SCARPELLI, Cos’è il positivismo giuridico, ed. di Comunità 1965. 27 Si veda al riguardo l’influente testo di H. A. ROMMEN, L' eterno ritorno del diritto naturale, Editrice Studium
1965. 28 T. CAMPBELL, Prescriptive Legal Positivism: Law, Rights and Democracy, Routledge-Cavendish, 2004. 29 La ragione è un’attività che, articolando solo relazioni tra idee, sembra incapace a Hume di guidare la
condotta: i Ingiustificata gli appare quindi com’è noto la prescrizione di origine platonica che prescrive agli
esseri umani di dominare le loro passioni con la ragione: per questo Hume nel Trattato sulla natura umana
(1740) afferma: ‚la ragione è, e deve essere, schiava delle passioni‛ (II.3.3). Hart e dopo di lui Raz e la
filosofia analitica del diritto contemporanea si continuano a confrontare tuttavia sulla pretesa ragionevole
della legge di guidare la condotta, una legge razionalmente interagente con diverse tipologie di ragioni.
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Scarpelli affermava essere compito dei giudici costituzionali «farsi elemento centrale e
portante, matrice razionalizzante dell’intero sistema»30: la soluzione del controllo di
conformità alla Costituzione, quale metodo per conseguire una comprensione unificata
per principi delle norme giuridiche appare tuttavia problematica. Infatti nell’operare della
Corte Costituzionale si vede in modo chiaro il limite della tecnica giuridica e il suo
compenetrarsi cone l’argomentazione politica o ispirata da una visione normativa; ogni
decisione della Corte suscita dibattiti sulle conseguenze non solo giuridiche, ma anche
sulla struttra amministrativa e sulle conseguenti decisioni politiche che produce; inoltre le
norme costituzionali sono inclusive e di conseguenza ancipiti per loro nautra. Norme
risultanti da compromessi sempre più ampi e sovranamente quelle di rango
costituzionale, non rappresentano quasi mai un criterio adeguato per il controllo
dell’attività interpretativa, la quale può pervenire sulla loro base a decisioni anche
divergenti, tutte giustificabili attraverso la disposizione interpretata.
Di recente Brandom si è dedicato31 a un confronto approfondito con la problematica della
normatività nella dinamica della decisione giudiziaria e del suo inserimento nel sempre
delicato legame di queste decisioni con le decisioni precedenti e con il contesto di
riferimento e quindi della loro prescrittività per le future decisioni analoghe. Egli parte
dalla ricostruzione metaforica della chain novel articolata da Dworkin in Law’s Empire
(1986) e muove alcune critiche al modello del giudice Ercole, a partire da una strategia
inferenziale non rappresentazionale della verità. Brandom critica come troppo generico il
pur suggestivo riferimento letterario di Dworkin e la prescrizione normativa implicita che
l’attività giudiziaria sia analoga all’attività degli scrittori che si cimentano nell’attività
della scrittura seriale. Potremmo aggiungere riprendendo le analogie alla grecità di
Dworkin che quest’attività era in parte tipica anche degli aedi dell’antichità greca che,
almeno nell’interpretazione datane da Vico nella Scienza Nuova, ereditavano un testo che si
stratificava diventando sempre più complesso e diventava patrimonio di una corporazione
ma di un intero popolo che lo riascoltava e rielaborava di generazione in generazione32.
30 U. SCARPELLI, Dalla legge al codice, dal codice ai principi, in Rivista di filosofia, 1987.
31 R. BRANDOM, A Hegelian Model of Legal Concept Determination: The Normative Fine Structure of the Judges'
Chain Novel, in Graham Hubbs, Douglas Lind, Pragmatism, Law, and Language, Routledge 2013, pp. 19-39,
disponibile su internet sul sito personale dell’autore http://www.pitt.edu/~brandom/currentwork.html
(consultato il 30 luglio 2015). 32 Riporto per intero il denso passo di Brandom: ‚Ronald Dworkin famously suggested modeling the
development of laws and the legal concepts that articulate them to the writing of a ‚chain novel.‛ Each judge
inherits a more or less settled textual corpus comprising earlier applications and interpretations of some set
of concepts and principles, and is obliged to extend it. Here is how Dworkin puts what he sees as common to
the task of the judge and of the author of the chain novel in medias res: ‚Your assignment is to make of the
text the best it can be, and you will therefore choose the interpretation you believe makes the work more
significant or otherwise better.‛ It is clear that this model is getting at something important about case law
11
Questa strategia si sostanzia filosoficamente a partire dal presupposto che il significato di
un pronunciamento risieda nell’uso che i diversi attori sociali ne fanno e sul loro
riconoscimento reciproco. Hegel a parere di Brandom introduce un modello non riduttivo
per superare da un lato la retorica humiana della fallacia naturalistica e più in generale
offre una risposta allo scetticismo sulla giustificazione della normatività legale. Si tratta di
una struttura in cui gli status normativi sono istituiti da una costellazione adeguata di
atteggiamenti normativi. Questa struttura di autorità e responsabilità reciproca fonda lo
status normativo sulla reciprocità del riconoscimento (Anerkennung), riprese e rielaborata
in questi anni da Honneth33. Hegel introduce l'idea di essere un soggetto di status
normativo, che può intraprendere l’esercizio di responsabilità e autorità a partire
dall'atteggiamento fondamentale normativo del riconoscimento. Riconoscere qualcuno è
trattare tale persona come un soggetto normativo, in grado tanto di assumere
responsabilità che di esercitare l'autorità, capace di dare giudizi e di agire
intenzionalmente.
L'idea di base è che gli stati normativi sono stati sociali. Brandom deduce dal sistema di
Hegel l’idea che gli stati normativi quali la responsabilità e l'autorità sono prodotti
dell'attività umana. In questo vi è una interessante rivisitazione della teoria dell’autorità di
Raz34: gli status normativi non sono presenti nel mondo, ma affinché l'altro possa essere
efficacemente responsabile ed autorevole, è necessario che i cittadini lo trattino e lo
considerino come responsabile e autorevole. Per essere un soggetto normativo è al tempo
stesso necessario e sufficiente essere riconosciuto come tale da quanti egli riconosce come
tali. Quando in questo modo sussistono atteggiamenti riconoscitivi reciproci, si può
istituire un patto di riconoscimento che può fondare lo status autoritativo e normativo,
status che fonda in generale la soggettività. Essere se stesso è essere considerato tale da
coloro che lo sono, come riconoscere gli altri è attribuire loro un certo tipo di autorità,
l'autorità di riconoscere costitutivamente gli altri.
Secondo Waldron, nonostante ci sia sempre il rischio di una soluzione insoddisfacente o di
una finzione di soluzione, giungere a patti rappresenta la condizione ineludibile per
convivere pacificamente in una società ben ordinata, ovvero in una società in cui esiste
(and about common law, which is case law all the way down). In the 25 years since its original
promulgation, I think we have also come to see some of its drawbacks. For one thing, it is not clear how
helpful it is to understand the fixed end of the analogy with the development of law in terms of a chain
novel. The dimensions along which it is appropriate to assess literary works and legal traditions are too
disparate and divergent. More significantly with respect to our concerns, such formulations as the one just
cited are hard to argue with precisely because of their extreme generality.‛ R. BRANDOM, A Hegelian Model of
Legal Concept Determination, cit., p 31. 33 A. HONNETH, La lotta per il riconoscimento, Il Saggiatore 2002. 34 J. RAZ, The Morality of Freedom, Oxford University Press 1986.
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una struttura giuridica che si esplica nella forma della legge positiva. Il compromesso
normativo tra concept e rule of law consente di stabilire principi equi per il governo di
individui appartenenti a gruppi culturali differenti, sulla base di principi di libertà basati
sul rispetto della proprietà privata. Se, al contrario, non fosse possibile giungere a patti,
l’impossibilità di stabilire principi di libertà e principi regolanti la proprietà privata
rappresenterebbe allo stesso tempo l’impossibilità di realizzare una base comune,
mutuamente riconosciuta e quindi sicura su cui gli individui possano basarsi per vivere la
propria vita e far uso delle risorse necessarie alla loro sussistenza.
Qualsiasi istituzione abilitata a tutelare i diritti può commettere errori, ed è meglio che
questi errori siano effettuati da un’istituzione che rappresenta e rispetta le differenze di
opinione tra la popolazione in generale, rispetto a una che non lo fa: non possiamo sapere,
ai fini della progettazione delle istituzioni politiche, se le Corti sono sempre efficaci nel
loro controllo su decisioni politiche prese secondo il criterio della maggioranza, perché
non siamo mai in grado di affermare che il giudice è nel giusto mentre il Parlamento ha
sbagliato.
Pensare forme di armonia e riconoscimento in società sempre più conflittuali, come appare
oggi necessario in maniera sempre più evidente che negli anni scorsi, rimane quindi un
compito urgente per la filosofia politica e per consentire la stessa esistenza di strutture che
garantiscano la giustizia sociale, come anche il discernimento sulle diverse forme di
normatività all’interno del quadro sempre fragile della ragione pubblica.
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