•Un reperto quattrocentesco: la Cronichetta di Neri degli Strinati e il capitolo Eccelsa patria...

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223 IV UN REPERTO QUATTROCENTESCO: LA CRONICHETTA DI NERI DEGLI STRINATI E IL CAPITOLO ECCELSA PATRIA MIA, PERÒ CHE AMORE DI ANTONIO DI MATTEO DI MEGLIO Un altro codice non sono riuscito a trovare: quello che nella libreria dell’Annunziata aveva il numero 509 e che il catalogo indicava come Storia di Goro Dati. Non si tratta d’un gran testo; e nemmeno raro: a Firenze se ne trovano parecchie copie. Ma quel codice Andreini conteneva anche la cronachetta di Neri Strinati: un pezzo unico [...]. Il codice Andreini [...] recava al primo posto la cronaca dello Strinati, al secon- do la Storia del Dati: dunque non pare fosse il codice registrato nel catalogo dell’Annunziata che aveva certamente la Storia al primo posto. Da questa persua- sione nacque l’ipotesi che il codice 509 dell’Annunziata fosse proprio quello utiliz- zato prima del 1724; e di conseguenza il desiderio di rintracciarlo. Ma non m’è suc- cesso: sparito quando ancora apparteneva all’Annunziata? Oppure nel passare alle biblioteche governative? Non so: ma indubbiamente la perdita non è piccola, e sa- rebbe davvero da ringraziare chi venisse a capo della faccenda. 1 Con queste parole Pier Giorgio Ricci esprimeva il suo rammarico per l’infruttuosa ricerca di uno dei codici appartenuti a Pier Andrea Andreini, donato da questi alla biblioteca dell’Annunziata e, infine, con la soppressione degli ordini religiosi, pas- sato alle biblioteche governative. In séguito, anche Fulvio Pezzarossa, nel censire tutte le edizioni a stampa dei libri di ricordi e di memorialistica, a proposito della cronachetta di Neri Strinati osservava: «Rosso Antonio Martini [...] nella libreria dell’abate Pier Andrea Andreini rinvenne il codice quattrocentesco, successiva- mente smarrito, che univa la preziosa Cronichetta di Neri degli Strinati alla Storia fio- rentina di Goro Dati». 2 Ebbene, dopo due secoli di oblio e di ricerche infruttuose, il manoscritto deperditus è finalmente stato ritrovato, cercando, come spesso accade, tutt’altro. Lavorando all’edizione critica delle rime di Antonio di Matteo di Meglio, 3 e in particolare del capitolo quadernario Eccelsa patria mia, però che amore, mi sono imbat- tuta nel codice della Nazionale di Firenze Conventi Soppressi C 1 1588, prezioso 1 RICCI 1963: 123-24. 2 Cfr. PEZZAROSSA 1980: 56; e ancora, al num. 292 del catalogo: «STRINATI NERI DI AL- FIERI, Cronichetta, 1250-1312 [...] dal ms. dell’Abate Andreini, ora disperso, su cui l’aveva tra- scritta il discendente Belfradello nel XV sec.». HATFIELD 1970: 126 riporta, ricostruendolo congetturalmente, il passo delle memorie di Belfradello relativo alla sua appartenenza alla Compagnia dei Magi, pubblicato nell’edizione settecentesca (Guerra di Semifonte 1753: 133), e in nota anch’egli afferma di non essere riuscito a trovare il codice da cui fu tratta la stampa. 3 Su questo importante, ma ancora poco conosciuto, poeta del primo Quattrocento fio- rentino, cfr. FLAMINI 1891: 204-206, 223-236 e passim; Lirici toscani 1975: II 57-141 [pubblica tutte le rime del Megli]; piú di recente, alcune poesie sono state edite criticamente e correda- te da commento: BESSI 1990 2 ; PALLINI 2002; RUINI 2005; un profilo bio-bibliografico è stato recentemente tracciato da RUINI 2007: 97-123; cfr., infine, il capitolo V.

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IV

UN REPERTO QUATTROCENTESCO: LA CRONICHETTA DI NERI DEGLI STRINATI E IL CAPITOLO

ECCELSA PATRIA MIA, PERÒ CHE AMORE DI ANTONIO DI MATTEO DI MEGLIO

Un altro codice non sono riuscito a trovare: quello che nella libreria dell’Annunziata aveva il numero 509 e che il catalogo indicava come Storia di Goro Dati. Non si tratta d’un gran testo; e nemmeno raro: a Firenze se ne trovano parecchie copie. Ma quel codice Andreini conteneva anche la cronachetta di Neri Strinati: un pezzo unico [...]. Il codice Andreini [...] recava al primo posto la cronaca dello Strinati, al secon-do la Storia del Dati: dunque non pare fosse il codice registrato nel catalogo dell’Annunziata che aveva certamente la Storia al primo posto. Da questa persua-sione nacque l’ipotesi che il codice 509 dell’Annunziata fosse proprio quello utiliz-zato prima del 1724; e di conseguenza il desiderio di rintracciarlo. Ma non m’è suc-cesso: sparito quando ancora apparteneva all’Annunziata? Oppure nel passare alle biblioteche governative? Non so: ma indubbiamente la perdita non è piccola, e sa-rebbe davvero da ringraziare chi venisse a capo della faccenda.1

Con queste parole Pier Giorgio Ricci esprimeva il suo rammarico per l’infruttuosa ricerca di uno dei codici appartenuti a Pier Andrea Andreini, donato da questi alla biblioteca dell’Annunziata e, infine, con la soppressione degli ordini religiosi, pas-sato alle biblioteche governative. In séguito, anche Fulvio Pezzarossa, nel censire tutte le edizioni a stampa dei libri di ricordi e di memorialistica, a proposito della cronachetta di Neri Strinati osservava: «Rosso Antonio Martini [...] nella libreria dell’abate Pier Andrea Andreini rinvenne il codice quattrocentesco, successiva-mente smarrito, che univa la preziosa Cronichetta di Neri degli Strinati alla Storia fio-rentina di Goro Dati».2 Ebbene, dopo due secoli di oblio e di ricerche infruttuose, il manoscritto deperditus è finalmente stato ritrovato, cercando, come spesso accade, tutt’altro.

Lavorando all’edizione critica delle rime di Antonio di Matteo di Meglio,3 e in particolare del capitolo quadernario Eccelsa patria mia, però che amore, mi sono imbat-tuta nel codice della Nazionale di Firenze Conventi Soppressi C 1 1588, prezioso

1 RICCI 1963: 123-24. 2 Cfr. PEZZAROSSA 1980: 56; e ancora, al num. 292 del catalogo: «STRINATI NERI DI AL-

FIERI, Cronichetta, 1250-1312 [...] dal ms. dell’Abate Andreini, ora disperso, su cui l’aveva tra-scritta il discendente Belfradello nel XV sec.». HATFIELD 1970: 126 riporta, ricostruendolo congetturalmente, il passo delle memorie di Belfradello relativo alla sua appartenenza alla Compagnia dei Magi, pubblicato nell’edizione settecentesca (Guerra di Semifonte 1753: 133), e in nota anch’egli afferma di non essere riuscito a trovare il codice da cui fu tratta la stampa.

3 Su questo importante, ma ancora poco conosciuto, poeta del primo Quattrocento fio-rentino, cfr. FLAMINI 1891: 204-206, 223-236 e passim; Lirici toscani 1975: II 57-141 [pubblica tutte le rime del Megli]; piú di recente, alcune poesie sono state edite criticamente e correda-te da commento: BESSI 19902; PALLINI 2002; RUINI 2005; un profilo bio-bibliografico è stato recentemente tracciato da RUINI 2007: 97-123; cfr., infine, il capitolo V.

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sia per la tradizione del componimento del Referendario fiorentino, sia per una serie di testi, tre e quattrocenteschi, di cui il manoscritto è un nuovo testimone e – almeno a quanto mi risulta – ignoto ai precedenti studiosi ed editori. Il Conventi Soppressi va ad incrementare la tradizione delle seguenti opere: la cosiddetta Istoria di Goro Dati,4 la Sfera,5 le Noie di Antonio Pucci,6 la coppia di sonetti di Jacopo Alighieri e maestro Paolo dell’Abbaco,7 il Sonetto del cavallo perfetto,8 tre orazioni di Stefano Porcari,9 il Lamento di Pisa di Puccino d’Antonio Pucci e, infine, il capitolo quadernario del Megli ora ricordato. Inoltre, cosa ben piú rilevante, nelle carte di guardia anteriori ho rinvenuto la Cronichetta di Neri Strinati, e non mi è stato diffici-le identificare in quel manoscritto il testimone che prima Ricci e poi Pezzarossa avevano dato per perduto. Vista la sua importanza, ritengo opportuno darne la descrizione con tavola del contenuto.10

1. Il codice

Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Conventi Soppressi, C 1 1588

Cart., 1467-1479, giusta la subscriptio di Belfradello Strinati: 29 marzo 1467 (c. Vr) e le no-tizie di cronaca relative agli anni 1478-1479 (cc. 139v-140v);11 cc. XIII (la prima moderna non numerata, le altre antiche), 147, I’ (moderna): questa suddivisione tra guardie e corpo del codice deriva dalla numerazione moderna, che in realtà non tiene conto del fatto che le cc. I-VII non sono delle vere guardie, bensí un’unità codicologica autonoma aggiunta all’inizio del manoscritto in un momento imprecisabile della sua storia, ma certamente dopo la compila-zione della tavola delle materie, in cui il testo contenuto nelle carte in questione è stato ag-

4 Il testo è edito da PRATESI 1904, poi ristampato in LANZA 1991: 209-298; una ristampa

anastatica, relativa al solo ultimo libro, in DATI 1991; cfr. inoltre MCCORMICK 1981; LANZA

1991: 86-96 e VITI 1987, cui rinvio anche per ulteriori riferimenti bibliografici. 5 Ancora in predicato tra Gregorio e Leonardo Dati la paternità dell’opera: propende

per il primo Filiberto Segatto (SEGATTO 1983), mentre Lucia Bertolini (BERTOLINI 1984), pur riconoscendo che l’escussione dei testimoni è numericamente a favore di Goro, suggeri-sce un piú approfondito studio sulla figura di Leonardo Dati e sui suoi eventuali interessi astrologici; d’obbligo, inoltre, il rinvio a BERTOLINI 1988. L’opera si legge in La Sfera 1865: 1-82.

6 Cfr. MCKENZIE 1912; MCKENZIE 1950; PUCCI 1931. 7 Cfr. CROCIONI 1898. 8 Cfr. MARTELLI 1966 (con edizione critica). Su questo celebre topos, soprattutto

nell’àmbito dell’umanesimo latino, cfr. FEO 1993-1994: 101-106; BISANTI 2007: 89-91. 9 Cfr. MIGLIO 1979: 388-397. 10 Avverto che dall’elenco analitico delle opere ho escluso tutti quei testi non eminen-

temente letterari, quali tavole per calcolare la data della Pasqua, ricette culinarie e rimedi medicamentosi, istruzioni su come coltivare l’orto, ecc., notizia dei quali, comunque, si trova nell’antica tavola del contenuto (c. VIr-v) da me trascritta integralmente.

11 Alcuni testi del codice potrebbero anche essere stati trascritti successivamente, perché furono evidentemente copiati a riempimento di spazi in precedenza rimasti vuoti (cfr. cc. 75r, 80r, ecc.).

Un reperto quattrocentesco

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giunto in calce alla carta. Bianche le cc. Vv, VII, VIIIv, IX-XI, XIIv, 66v-67v, 82v, 114v, 116, 131v, 145-153r. Numerazione coeva a penna nell’angolo in alto a destra, erronea per salto da 114 a 116, da 140 a 145 e da 150 a 152. Fascicolazione: I20 (la carta di guardia XII è solidale col primo fascicolo), II12, III(20-1) (manca la carta finale), IV(16-1) (manca la c. iniziale), un bifolio: probabili guardie finali dell’unità codicologica precedente o iniziali di quella successiva; V (16-

1) (manca la carta finale), VI(16-3) (mutilo in fine), VIII4, VIII(20-4) (mutilo alla fine), IX10, X(8-3) (mutilo alla fine), XI(20-2) (manca la carta iniziale e quella tra 151 e 152, sostituita da una staf-fa). Filigrane: fleur en forme de tulipe simile a BRIQUET 6647 (Pisa, 1461), mont simile a BRIQUET 11725 (Firenze, 1423-24), croix greque simile a BRIQUET 5577 (Firenze, 1485), fleche rapporta-bile al tipo BRIQUET 6274 (Treviso, 1477), étoile simile a BRIQUET 6071 (Lucca, 1477; var. sim. Firenze, 1478). Grafia: mercantesca di piú mani, quella di Belfradello Strinati, piú corsi-veggiante e meno sorvegliata verga le cc. Ir-Vr, 138r-144v, e interviene alla fine di c. VIr e all’inizio di c. 51r per apporre la capitulatio. Scritto parte a piena pagina e parte in due colon-ne. A c. 153v una nota: «Questo fu di giovanni di chrystiano pregasi alegitore di no(n)lo stracare et di rendelo presto». Vistosi interventi di restauro hanno interessato soprattutto le guardie iniziali. Legatura moderna, cartone marroncino marmorizzato e mezza pelle. Nel compartimento inferiore del dorso un cartellino reca l’attuale segnatura, in quello superiore, resti di un altro cartellino, piú antico, con tracce della medesima segnatura.12

Contiene di Antonio di Matteo di Meglio: cc. 79v-80rb [Eccelsa patria mia, però che amore] (inc. proemio: Ebbono e fiorentini una rotta da filippo maria ducha di mila-no; expl. presono partito che poi per lla grazia di dio fu buono; inc. testo: Eccielsa patria mia pero che amore; expl. per che nulla varrebbe il penter tardo).

Contiene inoltre: cc. Ir-Vr [NERI DEGLI STRINATI, Cronichetta adesposta e acefala];13 c. VIr-v tavola del contenuto: «Questa è lla tavola che tti mostra di ciò che tratta questo libro e dove egli è. La prima cosa sí tti mostra per piú anni in che dí sarà la Pasqua della resurresione del nostro si-gniore Giesò Cristo e davvi la regola, a charte 1.14 Uno libro che fecie Ghoro di Stagio Dati cittadino fiorentino che tratta della lungha ghuerra ch’ebono e Fiorentini chon Giovannj Ghaleazo Vischontj, chonte di virtú, e di-cie di siti di Lonbardia e d’altre chose notabili che in quello tenpo furono in Italia, a charte 1. Anchora v’è uno altro volume che fecie il detto Ghoro di Stagio he·ssi chiama la Spera, che tratta delle terre marine e quanto e dall’una all’altra e quale vento vi ti mena e gli i-schogli che sono i·mare, e dall’altre chose assai da farne memorie e piacievoli e onore-voli, a charte 41. Chome si debbono choltivare le terre di ciaschuno mese dell’anno, seminare semenze, fare ’nesti, trasporre frutti e piante, i lloro ghoverno, a charte 78. Una ricietta a ffare inchiostro fine che llo fanno e frati degli Agnoli, a charte 65. La reghola a volere sapere a quanti dí torna la luna a punti, a charte 66.

12 Bibliografia del manoscritto: PAPANTI 1873: 50; SOULIER 1903-1904; LEVI 1917;

MORPURGO 1929: 266b; BECCARI 1972: XXXIII n. 10. 13 Cfr. Guerra di Semifonte. 14 La trascrizione è semidiplomatica.

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Anchora la detta reghola che dicie per assaj anni e ’nsegniati chome, a charte 68. Le Noe [sic] d’Antonio Pucci, che·tti amaestra di molti begli e onesti costumi, a charte 71. Quando sarà Charnasciale e quando sarà la Pasqua di resurresso, a charte 72. Jl chalendario d’ogni mese, le feste che sono, e quelle si ghuardano, a charte 72. Lamento della città di Pisa quando venne nelle mani di Fiorenza, a charte 74. Quatro tenpi dell’anno: primavera, state, autonno e verno, a charte 75. Alchuno sonetto buono, Salve Regina, Credo, Benedizione della tavola, Sette opere di misirichordia, Sette sagramentj della chiesa e Dieci chomandamentj che fecie Iddio pa-dre per che ssi oservassino, a charte 76. Taddeo [Te Deum volgarizzato], Sette pecchati mortali et Virtú chardinali e teologontie [sic], a charte 76. e quando fu chonfinato Chosimo e lLorenzo de’ Medici e altri. Chopia d’una lettera scrisse il chonte Francesco Sforza a’ Fiorentinj quando fu eletto dal popolo di Milano per loro signiore, a charte 77. Chonfessione della messa cioè lo ’ntroibo ad altare Dei, a charte 77. Messer Piero Crescienzio, dottore bologniese, richolse tutti i dettj di chj parllo, di ’gre-choltura, ciò fu Virgilio, Chunumella, Palladio, Marziale e altri, a charte 78. Una morale fecie messere Antonio, referendario de’ Signorj fiorentini, qando furono rotti a Zachonara da Filippo Maria, ducha di Milano, a charte 79. Richolto d’una cronicha fiorentina in sommario quando furono le cose, a charte 80. Credo che fecie Dante Aldighierj a Ravenna allo inquisitore, a charte 83. Una morale che parlla della natura della femina e di suo giesti, a charte 84. Una pistola scrive santo Bernardo al signiore Ramondo del governo, a charte 85. Copia di nostra antichità, cioè della chasa degli Strinati Alfierj, qua dinansi di mano di me, Belfradello di Nicholò di Tommaso di Strinato Alfierij, a charte Jnnansj.15 Vivande, savori di piú ragioni, tocchetti, migliacci, torte, gielatine, a charte 85. Unghuenti, impiastri, medicine, arghomenti, unzioni e altre medicine, a charte 88. Praticha d’arismeticha cioè Abbacho, ragionj universali e buone, a charte 90. E dí chomandatj di digiunare e i dí chomandati ghuardare; Salve Regina disposta in vol-ghare e lla Magnifichat disposta, a charte 99. e il Taddeo disposto in volghare e una lettera che i·rre Ruberto, re di Napoli iscrisse al ducha d’Attene, signiore di Firenze, e quando fu disfatta la città di Fiesole per Attila, fragielli indei [sic]; e chome Firenze fu rifatto16 per Charllo Magnio, re di Francia, cho ll’aiuto de’ Romani, e lle famiglie che venono ad abitare in Firenze, e chome i·rre Char-llo Magnio di Francia fecie in Firenze cierti chavalierj, e chi e furono e della morte di messer Buondelmonte, a charte 100. Chome la terra si divise Ghuelfi e Ghibellinj, e chj e furono, a charte 100. Anni 1003 fatto imperadore Arrigho primo di Baivera e stette in Firenze cholla donna e i cittadini eletti a farlli chonpagnia, a charte 102. Quando fu chonfermata a Roma per llo papa l’ordine di santo Franciescho e di santo Domenicho, frati predichatorj, a charte 102. Chome i·rre Manfredi, figliuolo di Federigho Barbarossa inperadore, re di Puglia e dj

15 Questa voce è stata aggiunta dopo che la tavola delle materie era stata completata: si

trova, infatti, nel margine inferiore, scritta con inchiostro leggermente diverso e dalla stessa mano, ma meno sorvegliata e piú corsiva.

16 I nomi di città in lingua antica potevano anche essere maschili.

Un reperto quattrocentesco

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Cicilia fu rotto da Charllo d’Angiò; e poj seghuita una cronicha di Richordano Malispini fiorentino, a charte 102. L’esordio dello amaestramento dell’Abacho; e poi seghuita e insegnia piú ragionj dj piú chondizionj chon buoni asempli, a charte 117. Sermoni fecie messere Stefano Porchari da Roma, esendo podestà di Firenze il sulla [sic] ringhiera de’ Signiorj alla loro entrata, a charte 132. Quando si bandí pacie tra Filippo Maria, ducha di Milano, a charte 136. Quando fu chonfinato Chosimo e lLorenzo di Giovanni de’ Medici, Averardo, Giulia-no suo figliuolo, e altri, a charte 136. Anni 1434, sendo ghonfaloniere Niccholò di Chocco, tornò, a charte 136. Quando papa Ugienio venne in Firenze chacciato di Roma, a charte 137. Una morale di buoni assenpri a quelli che sono sanza regola, a charte 137. Una divisione che venne fra’ nostri cittadini in Firenze, a charte 137. Una lettera scrisse i·rre Ruberto, re di Napoli al ducha d’Attene suo nipote, allora si-gniore di Firenze negli anni 1342, a charte 100. Chopia d’una lettera scrisse il chonte Francesco Sforza alla chomunità di Firenze quan-do fu eletto ducha di Milano, e poi quando Ghalezo [sic] chonte di Pavia, suo figliuolo, venne in Firenze, ch’era d’età d’annj sedici: stettesi chasa Cosimmo, a charte 77. Quando venne in Firenze messer Ghaleazo, figliuolo del chonte di Melano, cioè ducha di Melano, e quando la sorella andò a marito a Napoli, a charte 77. Protesto e diceria di risposte apartenentj a chi è ghonfaloniere di chonpagnia, 138. Divisione di citadini annjn [sic] Dominj 1478: in Firenze ucisione assaj, a charte 139».17

C. VIIIr: Cittadini che furono ristituiti dell’anno 1466 e quali chi era chonfinato e chi amunito [...] questi furono ristituiti vinto in Palagio questo dí 20 di settenbre 1466 Iddio ne sia lodato; cc. 1r-40v: [GORO DATI, Istorie] Libro primo. Proemio di quello che debba trattare i lli-bro (inc. Da poi che per fugire ozio o sonno nell’ora del meriggio mi prieghi di ragionare di qualche materia utile; expl. Iddio à ghuardata et adservata quella città et acresciuta so-pra tutte le altre città di Ytalia amen); cc. 41r-65vb: [La Sfera]18 Comincia il primo chapitolo della Spera; c. 71ra-vb: [ANTONIO PUCCI, Le noie (lacunoso e incompleto: mancano i vv. 187-240 e il testo si interrompe al v. 261)] (inc. I’ priego la divina maestà superna; expl. alchuno lo schoncia dove gli altrj offende); c. 72rb: *[Sonetto del cavallo perfetto (due copie scritte una di seguito all’altra)];19

17 Gli ultimi tre testi sono stati aggiunti nella tavola in un secondo momento, forse dallo

stesso Belfradello. 18 Priva di nome d’autore è però attribuita nella tavola del contenuto del codice (c. VIr) a

Goro Dati. Tuttavia, tale attribuzione potrebbe essere stata fatta, per cosí dire, “per attra-zione”, indotta cioè dal testo precedente, cosí come accaduto in altri manoscritti che presen-tano la medesima sequenza, ipotesi, questa, già avanzata dal Bandini. Sul problema, cfr. SE-

GATTO 1983: 168-169 e BERTOLINI 1984: 34-35. 19 Solo per inciso, varrà la pena di notare che le due copie del sonetto differiscono l’una

dall’altra e per l’ordine in cui sono disposti i versi e per la presenza di varianti; in particolare, nella seconda copia vi sono dei numeri accanto all’inizio dei versi della seconda quartina e dell’ultima terzina, che servono a rettificarne l’ordine. Per i problemi ecdotici del testo, cfr.

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cc. 74ra-75rb: [Lamento di Pisa fatto per Puccino figliuolo d’Antonio di Puccino] (inc. Pensando e rimembrando e dolci tenpi; expl. e lle mie menbra fragiellate tutte);20 c. 76vb: [brevi annotazioni cronachistiche relative agli anni 1433-1434, verosimilmente attribuibili a Belfradello Strinati]; c. 77r: Copia d’una lettera iscrisse il chonte Franciescho Isforza alla chomunità di Firen-ze quando entrò i·Milano chiamato dal popolo loro signiore (inc. Ecielentes et potentes domini tanqua [sic] patris adorantissimi per altre lettere avete inteso la filice e groriosa novella delli fatti di Milano; expl. a chonservazione e anplificazione dello stato loro chome potranno vedere per effetto ecc. Ex Mediolani die 26 februarii 1450); [notizie di cronaca relative al soggiorno fiorentino di Gian Galeazzo Sforza nel 1459 e a quello della sorella Ippo-lita Maria che andava in sposa ad Alfonso duca di Calabria, figlio di Ferrante d’Aragona, nel 1464]; c. 80rb: *[anonimo] (inc. Se Dio avessi il mondo stabilito; expl. per che ogni cosa sa rende-re al giudicio);21 cc. 80v-82r: [anonimo] Racholto della cronicha fiorentina in sommario di molte chose passate (inc. Toschana contiene in sé xxvij veschovadi; expl. diede ai Viniziani Trevigi e il trivigiano e ai Fiorentini Pescia e il Borgo a Bugiano e tutta Val di Nievole);22 cc. 83r-84rb: [ANTONIO BECCARI, Credo di Dante] Inchomincia qui il proemio del credo di Dante Aldighieri poeta fiorentino nel quale proemio chontiene la ragione che llo mosse a ffare il sopradetto credo (inc. Al tenpo che Dante fecie il libro suo molte perso-ne no llo intendevano; expl. e da indi inanzi rimase grandissimo amicho dello inquisito-re) Chomincia il detto credo (inc. Jo scrissi già d’amore piú volte rime; expl. che Paradiso al nostro fine ci doni);23 c. 84rb-va: [anonimo] Una morale che parlla della natura delle femmine (inc. Deh giente ciecha o intelletto vano; expl. per che di se medesimo è il difetto); cc. 84va-85rb: SAN BERNARDO, Epistola a Ramondo da Castello (volgarizzamento); c. 96r-v: Qui appresso saranno scritti quelli cittadini che furono amunitj per Ghibellini da’ Chapitanj di Parte Ghuelfa di febraro e di marzo 1377. Al tenpo furono de’ Chapi-tani messer Benghi Buondelmonti e messer Lapo da Chastiglionchio e i loro chonpagni; Qui apresso saranno scritti gli amunitj da dí 20 di marzo 1377 per insino a dí 20 di mag-gio 1378. Al tenpo di messer Ristoro Chanigiani e Stoldo Altoviti e·lloro chonpagni; Seghuono gli amunitj per lli Chapitani di Parte Ghuelfa; c. 100ra-rb: Chopia d’una lettera che rre Ruberto re in Napoli scrisse al ducha d’Attene suo nipote e figliuolo d’uno suo fratello, quando egli sentí che il detto ducha d’Attene era signiore di Firenze (inc. Non senno non virtú no lungha amicizia non servigi; expl. data i·Napoli a dí 19 di settembre 1342. Il quale ducha d’Attene e chonte di Brienne era

MARTELLI 1966. L’asterisco contrassegna i testi assenti dalla tavola del contenuto oppure ad essa aggiunti in un secondo momento.

20 Cfr. Lamenti storici pisani 1968: 67-80 (testo e commento), 105-111 (tradizione e appa-rato). Nel Conventi Soppressi il testo è mancante dell’ultimo verso.

21 Per questo noto sonetto, cfr. l’edizione critica Sonetti di Filippo Brunelleschi 1977. 22 Tale cronaca copre l’arco cronologico compreso fra il 450 d.C e il 1336. 23 Benché Ezio Levi (LEVI 1917: 119 n. 1) avesse dato notizia di questo manoscritto

come latore del cosiddetto Credo di Dante, esso non figura tra i codici utilizzati da Laura Bel-lucci per l’edizione critica del testo, il cui autore, com’è noto, fu Antonio Beccari (BECCARI

1967: IX-XXVIII elenco dei manoscritti). L’editrice dimostra però di essere venuta a cono-scenza del manoscritto, poiché lo cita nella successiva edizione commentata (BECCARI 1972: XXXIII n. 10).

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venuto in Firenze insino a dí 18 di maggio 1326 chon 400 chavagli per vicharo di Char-llo ducha di Chalavria e figliuolo de·rre Ruberto che gli fu data la signioria di Firenze per che cci difendesse da i Pisani e chosí fe’; e poi lasciò Firenze libera e tornossi in Pu-glia. E mentre che il detto ducha d’Attene stette in Firenze chol detto Charllo fu savio signiore e portossi bene; poi quando fu signiore lui non fu chosí il per che il [sic] Fioren-tini i·rimossono della signioria); cc. 100rb-114rb: [anonima cronaca fiorentina] (inc. Anni 430 per Attila o Totile fragielli in-Dej [sic] fu disfatta la città di Firenze e non vi restò saldo se nonne l’oratorio di san Giovanni; expl. la reina Giovanna e moglie de˙ rre Andreaso e fratello de·rre Lodovicho Re d’Ungheria figliuoli di Charllo Martello fratello de rre Ruberto e figliuoli di Charllo sechondo); c. 130vb: *Messer Piero di Dante a maestro Pagholo dell’Abaco [JACOPO ALIGHIERI] (inc. Udendo ragionare dell’alto ingiegnio; expl. e sé piú tosto l’uno che l’altro è morto); Risposta fa il maestro Pagholo [PAOLO DELL’ABBACO] (inc. Le dolci rime che dentro so-stegnio; expl. fa stare per pattegiar morto di fore);24 c. 132r-136r: STEFANO PORCARI [tre orazioni (inc. Quante volte io raghuardo e degnissimi e giochondissimi chospetti vostri; expl. giustizia inchomutabile filicità e riposo di questa florentissima repubicha ne seghuirà. Inc. Jo mi richordo magnifici signiori venerabili chollegi e prudentissimi cittadini altra volta in questo luogho; expl. v(ir)tú amore e chari-tà e grazia si chonoscie ne vostri amplisimi e singhulari vostri ingiegni e chosí piaccia all’altissimo Iddio che sia. Inc. Molte chonsiderazioni m’occhorre all’animo magnifici e potenti signiori e prudentissimi cittadini degnie a recitare in questo felicissimo giorno; expl. la quale chosa farvi choncieda Qui benedictus est in sechula sechulorum Amen)]; c. 136va-137ra: [notizie di cronaca degli anni 1433-1434, alcune delle quali già presenti a c. 76vb]; c. 137rb: [anonimo] Una morale di buoni assenpri (inc. Chi à in sé difetto non si pascha; expl. insegnia loro vivere se ànno intelletto); c. 137va-vb: [notizie di cronaca dell’anno 1466 relative alla congiura di Luca Pitti]; c. 138r: Protesto innanzj alla signoria di Firenze a chi fussi Ghonfaloniere di Chompa-gnia; c. 138v: Dicieria a nostri magnifici signori quando la signoria fa le parole a ghonfalonie-ri; c. 139r: Uscita de’ magnifici signori che fanno le parole a’ chollegi ghonfalonieri che ri-manghono in uficio; Entrata de’ signori quando rinuovono i chollegi in uficio de’ confa-lonieri; Uscita de’ 12 quando oferano e rivolghonsi a’ ghonfalonieri fatto l’esordio;25 cc. 139v-140v: [notizie di cronaca degli anni 1478-79 di mano di Belfradello Strinati].26

Dall’Inventario dei manoscritti della SS. Annunziata di Pellegrino Soulier risulta che il

24 Botta e risposta sono pubblicate in edizione critica e commentata con una breve in-

troduzione da CROCIONI 1898: 36-48. Come risulta dall’elenco dei codici fornito dal Cro-cioni, questo manoscritto gli era sconosciuto e va ad aggiungersi alla coppia – il BR 1114 e il Senese H XI 54 – che, contrariamente al resto della tradizione, attribuisce il primo sonetto a Pietro Alighieri (ivi: 38 n. 3, 44).

25 Trattasi di formule introduttive e conclusive da usarsi nelle occasioni istituzionali in cui era richiesto un discorso da parte degli eletti alle varie cariche.

26 Questo testo apparve in calce alla Cronichetta di Neri Strinati nella già citata edizione del 1753 (cfr. Guerra di Semifonte 1753: 129-133) e qualche anno dopo fu ristampato col titolo di Perbreve Chronicum Belfradelli Strinati in POLIZIANO 1769: 75-82.

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codice apparteneva a tale convento: «1588, C, 1. Memorie storiche varie, e tavole per trovare le feste dell’anno. Del secolo XV, in-f°».27 Alla fine del secolo XVIII presso la SS. Annunziata fu redatto da Giuseppe Donati un catalogo manoscritto dei libri posseduti dalla biblioteca,28 ora conservato presso la Nazionale di Firenze con segnatura Conventi Soppressi, C III 6667bis (Catalogus codicum manuscriptorum Bibliothecae D. Annunciatae de Florentia a frate Joseph Donato O.S. compactus), in cui, a c. 178r, si legge: «509. Dati Goro di Stagio. Storia ». Dal numero 500 in poi (c. 177v) l’inventario registra una preziosa notizia: «I seguenti Libri sono quelli donati dal Sig(nor)e Ab(ate) Andreini alla nostra Libreria». Trattasi del collezionista fiorenti-no, antiquario e letterato Pietro Andrea Andreini (1648-1729),29 membro dell’Accademia Etrusca di Cortona; sposatosi nel 1670 con Isabella Teresa di Lo-renzo Marsuppini, rimase ben presto vedovo e non si risposò piú, abbracciando la carrierra ecclesiastica – stante l’appellativo di “abate” con cui tutte le fonti concor-demente lo nominano – e dedicandosi al collezionismo di oggetti antichi e reperti archeologici, tanto che mise insieme una compagine di notevole valore e divennne un esperto antiquario, ai cui consigli e alle cui perizie ricorrevano tra la fine del se-colo XVII e l’inizio del XVIII personalità di spicco quali Scipione Maffei, il cardi-nale Leopoldo de’ Medici, che lo nominò suo antiquario personale,30 e la regina Cristina di Svezia che, durante il soggiorno romano dell’Andreini (1690-1692), si rivolse a lui per l’acquisto di alcuni importanti pezzi della propria collezione.31 Tra-sferitosi a Napoli dalla fine del 1673, dal 1686 al 1687 ricoprí in quella città la cari-ca di Console della nazione fiorentina. Una volta tornato a Firenze, sistemò la pre-ziosa collezione nella propria casa al Canto dei Soldani e, il 23 febbraio del 1729, già ammalato, fece testamento in favore delle sue due figlie, Laura e Caterina.32 Fu sepolto nella Chiesa dei Servi e il primo dicembre Raniero Tommasi, nobile corto-nese e membro dell’Accademia Etrusca di Cortona, recitò l’orazione funebre.33 Le disposizioni testamentarie prevedevano che i libri fossero donati al convento dell’Annunziata «dove rimasero tranquilli fino alla seconda soppressione dei con-venti; poi furono divisi tra Magliabechiana e Laurenziana, andandone perduta l’unità della raccolta che s’era mantenuta per piú secoli».34 Al contrario di altri co-

27 Cfr. SOULIER 1903-1904: 172. 28 A c. 181v il catalogo è sottoscritto dal compilatore e reca la data 26 novembre 1789. 29 Ho tratto le notizie biografiche e storico-artistiche da MAZZUCCHELLI 1753-1763: I 2,

713-714; DE TIPALDO 1834-1845: VI 448a-449b; BATTISTA 1993: 54-55; Archivio del collezioni-smo mediceo 2000: 110-120, 356-59; IASIELLO 2003: 206-207; Indice Biografico Italiano 2007: I 131; Pittura napoletana 2007: 28 e n. 11, 81, 188.

30 Cfr. BATTISTA 1991: 54. 31 Ivi: 55. 32 Ivi: 57. L’atto, come ci informa Laura Battista, si trova in ASF, Notarile moderno,

prot. 23938, notaio Cavalloni, c. 66r. Ulteriori informazioni sull’Andreini in BATTISTA 1991. 33 Cfr. MAZZUCCHELLI 1753-1763: I 2, 714; BATTISTA 1993: 57. Il testo dell’orazione è

leggibile in TOMMASI 1730. 34 Cfr. RICCI 1963: 117. I codici dell’Annunziata entrarono nella Biblioteca Magliabe-

chiana tra il 1810 e il 1811, cfr. ROSSI 1998: 105-106, 117-118.

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dici facenti parte della biblioteca Andreini e identificati da Pier Giorgio Ricci in virtú di ex libris oppure grazie alla segnalazione di Vincenzio Follini,35 il nostro manoscritto non fornisce alcun indizio in questo senso e, difatti, confluí nel fondo Conventi Soppressi anziché nel fondo Magliabechiano, poi Nazionale, in cui Fol-lini sistemò, nella medesima classe, tutti i codici di cui aveva identificato la prove-nienza Andreini; lo stesso Ricci, avvalendosi delle ricerche di Follini, ne ha dato un esauriente elenco.36 Sempre Ricci ci informa, inoltre, che non fu Pier Andrea, né il suo avo, il notaio Andrea Andreini (morto nel 1624) a creare la biblioteca di fami-glia, «quei manoscritti [...] facevano anzi parte di una bibliotechina di tipo enciclo-pedico, secondo l’antiquato schema trecentesco e quattrocentesco: qualche classi-co volgarizzato, qualche libro di scienza, qualche opera di svago, qualche letteratu-ra devota. Tale struttura è già indizio di per sé che la raccolta s’era formata in tem-pi piú remoti di quelli del notaio Andreini e lascia credere che egli abbia ereditato quei libri dal padre, Antonio; anzi, che dovessero trovarsi in casa Andreini anche prima, almeno sin dai tempi di un altro Andrea vissuto al cadere del Quattrocen-to».37 Sfortunatamente non è possibile risalire ancora piú indietro nell’albero gene-alogico degli Andreini, né è possibile capire chi, dopo Belfradello Strinati, copista della Cronichetta contenuta nelle carte di guardia anteriori, sia entrato in possesso del libro, dal momento che Belfradello morí nel 1497 senza eredi.38 Resta dunque un lasso di tempo compreso tra tale data e i primi anni del 1500, durante il quale si perdono le tracce del manoscritto. L’unico indizio utile potrebbe essere fornito dalla nota di possesso presente a c. 153v: «Questo fu di giovanni di chrystiano [...] »; purtroppo però nessun Cristiano figura tra i membri della famiglia Strinati, né tra gli Andreini, almeno stando ai documenti in nostro possesso, e una ricerca nei libri di età conservati presso l’Archivio di Stato di Firenze non ha fornito risultati

35 Nel manoscritto BNCF II IV 56, cc. 205r-213r Vincenzio Follini scrisse le Notizie della

famiglia Andreini con albero genealogico (c. 206r) estratto dall’Archivio delle Gabelle, Filza di Giustificazioni di Cancelleria dell’anno 1653. Sul Follini, cfr. da ultimo MURA 2000: 38-44.

36 Sono i codici 56, 60, 62, 63, 168 e 435 della classe II IV del fondo Nazionale. 37 Cfr. RICCI 1963: 117 e 118-119 (elenco completo delle opere presenti nella biblioteca

Andreini). 38 Cfr. BNCF, Collezione genealogica Passerini, s.v. “Alfieri Strinati”, 158bis, in cui, ol-

tre alle notizie biografiche su molti componenti della famiglia, si trova anche l’albero genea-logico: Belfradello morí senza eredi nel 1497 (tavola III). Stando alle informazioni che Bel-fradello scrisse di suo pugno in calce alla Cronichetta, egli ricoprí molti importanti uffici della Repubblica (fu dei Signori per il quartiere San Giovanni nel bimestre novembre-dicembre 1475, podestà di Montepulciano nel settembre-novembre 1471, gonfaloniere di compagnia dall’agosto del 1477), incarichi che ricoprí grazie al favore di Lorenzo il Magnifico («entraj de’ n(ost)ri magnifici Signorj nel quartierj di S(an)to Giovan(n)j [...] mediante Lorenzo di Piero di Chosimo de’ Medicj che da .lluj lo riputo e no(n) da altri», c. Vr). La sua fede medi-cea d’altronde è provata anche da altri testi presenti nel codice, di cui fu verosimilmente sia copista che autore (mi riferisco al Perbreve chronicon sulla congiura dei Pazzi e alle annotazioni relative all’esilio e al ritorno di Cosimo de’ Medici); anche l’apparteneza di Belfradello alla Compagnia dei Magi (cfr. c. 140v) è un altro inequivocabile indizio circa il suo schieramento politico (su questo aspetto, cfr. HATFIELD 1970).

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utili all’identificazione del personaggio.39 Non sappiamo se prima o dopo la morte dell’abate Andreini l’anonimo editore della Stamperia imperiale di Firenze – pro-babilmente Rosso Antonio Martini40 – ebbe accesso al nostro codice, grazie alla segnalazione del senatore Filippo Buonarroti; sta di fatto che lo fece trascrivere in vista della pubblicazione della Cronichetta di Neri degli Strinati insieme alla Storia della guerra di Semifonte.41 Che l’editore abbia avuto per le mani proprio il Conventi Soppressi è confermato dalla descrizione che ne viene data («Egli fu [sc. Filippo Bonarroti], che ce la additò [sc. la Cronichetta], e che ci diede tutto il comodo di po-terla fare diligentemente trascrivere da uno de’ Codici Manoscritti dell’Abate Pier Andrea Andreini, che di quel tempo era in sua mano. In questo Codice dietro a questa Cronica era trascritta la Storia Fiorentina di Goro di Stagio Dati anch’essa di mano del medesimo Belfradello Strinati, che copiò questa Cronichetta l’anno 1467»);42 ed è altrettanto certo che all’epoca il manoscritto conteneva l’intera Croni-chetta, i cui primi fogli – corrispondenti alle pp. 97-102 dell’edizione a stampa – sono andati perduti: il testo è a tutt’oggi acefalo e inizia in corrispondenza di p. 103 dell’edizione fiorentina. Solo a titolo di curiosità segnalo che nell’esemplare dell’edizione fiorentina della Cronichetta conservato presso la Nazionale di Firenze (segnato 4.3.264) si trovano postille e integrazioni a matita che vanno a supplire molte lacune corrispondenti ai puntini sospensivi utilizzati dall’editore, anche in quella porzione di testo che oggi non si trova piú nel manoscritto. Inoltre, lo stes-so postillatore ha aggiunto altri nomi all’albero genealogico degli Strinati pubblica-to nell’introduzione alla Cronichetta.43 Bisogna dunque concludere che poco dopo la metà del Settecento il manoscritto conteneva ancora quella parte iniziale della Cro-nichetta che, in séguito e per cause ignote, è andata perduta.

Dal contenuto e dalla facies codicologica è lecito ipotizzare che “l’as-semblaggio” del codice – difficile comunque da ascrivere alla categoria dei compo-siti a norma di manuale codicologico, come del resto tutti i libri di ricordi e di cro-nache familiari, formatisi per stratificazioni successive e a loro modo “organizzate” – sia iniziato a metà del Quattrocento (una prova a suffragio, anche se non diri-mente, viene dalle datazioni delle filigrane) da persona che aveva interessi preva-lentemente storico-politici e che, viste le notizie di cronaca di cui sono punteggiate le carte, era vicino agli ambienti del potere, aveva cioè accesso ad informazioni di prima mano (basti solo come esempio il proemio al capitolo quartenario del Megli, sul quale tornerò tra breve) o aveva ricoperto egli stesso cariche pubbliche – a questo proposito richiamo l’attenzione sul formulario per i discorsi da tenersi

39 La mia ricerca si è limitata alla consultazione della base dati http//:www.

stg.brown.edu/projects/tratte, in cui è schedato un solo Giovanni di Cristiano, nato nel 1325.

40 Cfr. PEZZAROSSA 1980: 56. 41 Cfr. Guerra di Semifonte 1753: 97-133, il testo è preceduto dall’albero genealogico della

famiglia Alfieri Strinati. 42 Ivi: LIII. 43 Ivi: 97.

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all’inizio e alla fine di incarichi istituzionali, contenuto alle cc. 138r-139r e vergato dalla mano di Belfradello Strinati. Successivamente e per stratificazioni lo stesso Belfradello aggiunse il Perbreve chronicon sulla congiura dei Pazzi, e altrove negli spa-zi rimasti bianchi furono copiati altri testi da mani diverse e in momenti non preci-sabili, ma comunque tutti riferibili al secolo XV. Ciò è evidente dal confronto tra la tavola del contenuto e le opere effettivamente tràdite dal codice, per cui le di-screpanze coincidono con i testi assenti dalla originaria tavola del contenuto (indi-cati con un asterisco nella descrizione) e con quelli che nella tavola si trovano in calce alla carta, vergati da una mano leggermente diversa e con inchiostro di colore differente (c. Vr-v).

Il contenuto del manoscritto ricorda certi zibaldoni fiorentini contenenti testi volgari o volgarizzamenti di carattere storico-morale,44 da cui risulta «evidente l’interesse civile e politico della raccolta, adatta sia alla formazione del cittadino sia a procurare formulari per assolvere a pratiche necessità [...]; di fatto viene a essere una silloge esemplare di testi civili, alcuni eminenti, come i testi del Porcari».45 Per quanto il tasso di letterarietà del nostro codice sia evidentemente inferiore a quello di altre miscellanee umanistiche46 (basti pensare alla presenza di numerosi testi di servizio e di uso quotidiano, come gli ammaestramenti dell’abaco e le ricette culi-narie e mediche), pure mostra di avere in comune con quei manufatti uno spiccato interesse per la storia fiorentina – ne fanno fede l’opera di Goro Dati e le altre no-tizie di cronaca che spesseggiano in piú punti del manoscritto – e per la letteratura moraleggiante, come le Noie di Antonio Pucci e la lettera di san Bernardo a Ra-mondo, o piú eminentemente politica – le orazioni di Stefano Porcari, nonché lo stesso capitolo quadernario del Megli.

2. Il capitolo quadernario ‘Eccelsa patria mia, però che amore’ di Antonio di Meglio

Trattasi di un sirventese o piú precisamente di un capitolo quadernario,47 il cui schema metrico è rappresentabile come segue: AbbC CddE EffG, GhhI, ecc. Consta di 45 quartine e di un verso finale isolato, inserito, come di consueto anche

44 Mi riferisco agli zibaldoni contenenti alcune epistole ed orazioni di Cicerone, la lettera

del Petrarca a Niccolò Acciaiuoli (Fam., XII 2), l’epistola di san Bernardo a Raimondo di Ca-stel S. Ambrogio, la Certatio inter Scipionem, Alexandrum et Annibalem, secondo il testo dell’Aurispa, alcune orazioni di Leonardo Bruni, nonché la Novella di Seleuco e Antioco, le ora-zioni di Stefano Porcari, componimenti poetici di carattere politico-morale, ad esempio di Niccolò Cieco, ecc. Rispondono a queste caratteristiche, fra gli altri, i codici BNCF II II 76 e II II 81, Parma, Palatino 306, BR 1074 e 2544, Tours, Bibliothèque Municipale, Marcel 2103 e Verona, Biblioteca Capitolare, CCCCXCI (335).

45 Cfr. PASCALE-FARSI 1991: 151 (ma anche le successive schede 96-149 hanno per og-getto codici del tutto simili). Per questa tipologia di manoscritti, cfr. inoltre TANTURLI 1978: 213-214 e 232; Marsilio Ficino 1984: 19-21; BAUSI 1988: 182-183 e n. 149; capitolo I: 102-104.

46 Per la definizione di ‘miscellanea umanistica’ nel Quattrocento e per l’individuazione di alcune caratteristiche e problemi connessi all’argomento, cfr. GENTILE-RIZZO 2004.

47 Cfr. BAUSI-MARTELLI 1993: 89-90, 109-110.

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nei capitoli ternari, affinché nessuna rima resti irrelata. Prima di procedere a qua-lunque considerazione sul testo, sarà opportuno leggerlo cosí com’è tràdito dal manoscritto Conventi Soppressi:48

Ebbono e Fiorentini una rotta da Filippo Maria, ducha di Milano, nell’anno 1423 a Zagonara,49 volendo socchorere il traditore chonte Alberigho,50 il quale aveva preso soldo dai Fiorentini e finse essere istato asediato dall’esercito del ducha di Milano: fecie uno trattato doppio ed era chonfederato chol detto ducha. Andandovi e Fio-rentini51 co lloro esercito, egli uscí fuori insieme co lle gienti del ducha e perchos-sono e Fiorentini. Avenne che lle gienti del ducha di Milano facievano grandi aqui-sti in Romagnia di nostri luoghi e terre. Era in quello tenpo in Firenze grande isbi-gotimento e grande ischompiglio per chi voleva porre gravezze a uno modo e chi a uno altro: questa contenzione facieva il Chomune abandonare, perché molti citta-dini richiesti,52 cho·lla Signoria raunati, non si achordavano, e chosí bastò53 piú giorni in Firenze; il perché messer Antonio, Referendario de’ nostri Signori, fecie questo seghuente chapitolo in quadernario e nel Chonsiglio de’ detti richiesti lo dis-se, per che, chome piaque a Iddio, subito s’achordorono e presono partito che poi per lla grazia di Dio fu buono, e disse cosí:

Eccielsa patria mia, però che amore Di te m’increscie tanto

48 Il capitolo è tràdito dai manoscritti BML Plut. 41, 31 [= L] e Vat. Barb. lat. 4051 [=

B], entrambi già segnalati in FLAMINI 1891: 670, 691; per L, autografo di ser Domenico da Prato, cfr. GENTILE 1989: 80; per B, assai noto agli studiosi di testi albertiani, cfr. capitolo I: 43-44; MARCELLI 2004: 187-188; ulteriori informazioni ora in MASSALIN 2008: 182-187. Le rubriche, rispettivamente, recitano: «Rimolatino di messer Antonio di palagio per lo quale co(n)forta firenze dopo la rotta di zagonara»; «Versi di mes(ser) Antonio di matteo havaliere della Magnificha Signoria Florentina fatti p(er) chonforto de Nostrj cittadinj p(er) la Rotta di zaonara». Il capitolo è già stato edito in Commissioni 1867-1873: II 75-80 (Commissione XLV), di seguito anche quello di Domenico da Prato, entrambi secondo la lezione di L; Lirici tosca-ni: II 83-87 (sulla base del solo L); LANZA 1991: 124-133 e 309-316 (testi); DOMENICO DA

PRATO 1993: 155-161; PIGLI 1991; commenta e pubblica alcuni passi FLAMINI 1891: 77-83. Trattandosi della trascrizione di un testimone e non di un’edizione critica, ho adottato un criterio il piú possibile conservativo per la resa della grafia, limitando gli interventi alla divi-sione delle parole, allo scioglimento dei compendi, alla modernizzazione dell’uso delle maiu-scole, alla distinzione di u da v, all’inserimento dei segni diacritici e della punteggiatura. Con le parentesi uncinate ho segnalato le aggiunte e con quelle quadre le espunzioni.

49 La rotta di Zagonara avvenne in realtà il 28 luglio del 1424. 50 chonte Alberigo: cfr. WALTER 1964; un dettagliato elenco delle sue condotte militari nel

sito http://www.condottieridiventura.it (messo in rete: aprile 2003). 51 Ms: fiorentino. 52 cittadini richiesti: trattasi della Pratica, procedura straordinaria di governo, cui partecipa-

vano, tra gli altri, anche privati cittadini politicamente preparati ed influenti, cfr. GUIDI 1981: I 87-91; e si veda anche poche righe dopo: «Chonsiglio de’ detti richiesti».

53 bastò: ben attestato nel fiorentino antico, stando al GDLI, s.v. ‘bastare’ col significato di ‘durare’, ‘persistere’, ‘continuare’; qui il soggetto sono l’isbigotimento e l’iscompiglio, con nor-male accordo fra due sogg. e verbo al singolare.

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Che non potrei dir quanto,

Sfogarẹ parlando mi chonvienẹ nel54 chore, 4 Sí pieno d’ansi<e>tà e di dolore Per ll’e<n>fortuni tuoi,

Che non so qualẹ me[glio] annoi55

O vivere o morirẹ chon chotalẹ pena: 8

La qualẹ se forse oltre a doverẹ mi mena A dimostrammi aldacie Per parllare effichacie,

Mi schusi l’affezionẹ, chagionẹ del duolo. 12

Madre mia chara, qualẹ ch’i’ sia figliuolo, De<h>, dimmi: onde prociede Che ’l tiranicho piede Schalpiti i menbri tuoi chon tal baldanza, 16 Fermando i tuoi malivoli speranza Della sommersïone Di tua riputazione,

Che Italia far tremarẹ solea già tutta? 20 È lla gram provedenza sí distrutta

Ch’esserẹ ne’ tuoi charẹ figli

Solea, chon talẹ consigli Che a’ piú potente56 già missono il freno? 24

È quello chorale amorẹ venuto meno Ch’avevi il57 nome degnio, Che nello azurro segnio

Anchorạ si porta cho llettere d’oro? 28 Fatti avarizia o invidia ora il tesoro Aschondere al bisognio? Omè, ch’io mi verghognio

A ’maginarẹ dove il tuo nome chascha, 32

S’egli adivienẹ che talẹ dischordia nascha Per giusta o ria chalunia Che serri la pechunia

Delli tuoi civi, or che versarẹ bisognia! 36

Non dottorị che Parigi abbia o Bolognia,

O quale Studî sai, Sanz’essa dara’ mai

Modo58 a salvarẹ tua libertà chonsiglio. 40

54 nel: erroneo per il attestato nel resto della tradizione. 55 L’apparente ipermetria del verso è facilmente sanabile qualora si pensi che alla lettura

meglio diventava me’, motivo per cui ho espunto l’ultima sillaba. 56 potente: per questa forma di plurale maschile in -e nell’antico toscano, cfr. ROHLFS, 366. 57 il: erroneo per al attestato nel resto della tradizione. 58 modo: errore per buono testimoniato dagli altri codici, indotto evidentemente dalla

complessa costruzione del verso mediante un forte iperbato, in cui aggettivo e sostantivo sono separati da un’intera proposizione finale implicita.

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De<h>, non credianọ portarẹ simil periglio Li tuoi che gli altri vinti,

Ma morti e fuorị sospinti

Del cierchio, sanza mai sperarẹ ritorno! 44 Non vi dicho, sanza59 il danno il grand’ischorno60 De’ gridi: “O gniffi, o Lapi,61 Volete ora essere chapi Del ghoverno d’Italia o traditori? 48

Usurierị, soddomiti e rubatori, Saria il chiamare piú onesto”.

E bastando purẹ questo, Sanza l’offese delle propie mani! 52 Le giunte lepri da’ bramosi chani

Sentonọ minorẹ strazio. Stancho saria, non sazio

Ciaschunọ d’op[e]rarẹ nelli tuoi danni sc<h>erno. 56

Qualẹ piú ti mostra amorẹ, voltarẹ quaderno Vedresti in uno mumento, E mostrasi chontento

Del malẹ, ch’altro che i tuoi non possonọ farti, 60

Ch’è, solọ per gharegiare, abandonarti. De<h>, che non piaccia a Iddio Che chaso tanto rio, Omè, t’avegnia, per lla Sua piatade! 64 Ma cierto, che ’n altra aversitade62

Vid’iọ tuoi figli arditi, Sanza richiesta, uniti

Venirẹ persone e oro a profferersi, 68

Faciendo chome quelli ch’eranọ cierti Che, sottoposti altrui, Il loro era di chui Vinti gli avesse, e figlie e suore e spose. 72 L’anticha madre Roma, che tti puose,63 Già non ti enpié di vili, Ma d’arditi e verili, Perché operassi quel che llei, in suo vecie. 76

59 sanza: errore per oltra, attestato dal resto della tradizione, causato dall’as-sonanza di

sanza del verso precedente. 60 Verso ipermetro. 61 O gniffi, o Lapi: cfr. sotto, pp. 000-000. 62 altra aversitade: è necessario postulare una dialefe d’eccezione per evitare l’ipometria,

anche se, cosí facendo, si ottiene un endecasillabo con accenti di 5a, 7a, 10a. 63 L’anticha...puose: gli altri due manoscritti riportano una lezione un po’ diversa: «Lantica

madre che di se ti puose» (L), «anticha madre tua che se ti puose» (B). Il verso inaugura una sezione del capitolo in cui, rievocando la mitica fondazione romana di Firenze, Antonio di Meglio elenca una serie di personaggi storici che furono disposti ad estremi sacrifici pur di salvaguardare la patria. Va da sé che la lezione di CS risulta preferibile.

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Le magnianime chose ch’ella fecie

Per chonservarẹ sua groria, de<h>, riduci[ti] a memoria64 E grandi ’stremi che per quel sostenne! 80

A Pirro, a Brenno, Ânibal, a chi venne

Piú fiero a ttôrlle istato, Mai li fu domandato Chonchordia, in65 qual fu magiore stretta; 84 Né ’ngiuria passò mai sanza vendetta. Ahi, magnianima madre, Quante op[e]re alte o llegiadre Usasti in ciò, che mai tenpo le spegnie! 88 Chon che trionfi, suoi66 vitricie insegnie

Tornava’ saperẹ puoi,

Finọ ch’ebbe vinti67 e suoi Nell’afezione di sua groria e onore; 92

Né ssí sentiro mai averẹ nel chore

Dellạ avarizia il vizio. Churio, Attilio e Fabrizio Ne faccia fé, cho’ mille di tal sorte. 96

Quanti per llei asaltarẹ churavan morte68 Churzio, Orazio o Torquato O Muzio adimandato Esser ne può, cho˙ numero infinito. 100

Dapoi ch’ebbonọ da llei l’amor partito,

Il propio lorọ fondâro,

Dove poi la lasciâro

A quellọ che se ne vede oggi si creda, 104 Ché stato69 ed è d’ogni raghazo in preda Che seghuito abbia aúto, E però è douto Che chapiti chosí chi niegha il vero, 108

E vuolẹ mostrare a ssé che ’l biancho è nero. Per Dio, intendetevi insieme!70 O grorïoso seme Scieso di pianta tanto eccielsa e chara,71 112 Strignietevi insieme e per suoi asempri apara72

64 L’ipermetria è sanabile espungendo l’ultima sillaba di riduciti. 65 chonchordia in: dialefe d’eccezione. 66 suoi: chiaro errore per sue, indotto forse dal sostantivo precedente. 67 Ms: uinti, errore di lettura del copista per uniti. 68 Il copista ha qui frainteso il verso, forse mal leggibile nel suo antigrafo; B L: «Quanto,

per lei salvar, curasson morte». 69 stato: participio non concordato col soggetto, come accadeva spesso in lingua antica. 70 Verso ipermetro. 71 chara: probabile banalizzazione per chiara, attestato dagli altri manoscritti. 72 Verso ipermetro.

Nicoletta Marcelli

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Pigliarẹ [il] buonọ [e i’] rio lasciando, Chon senpre imaginando Per quale op[e]re si sciende o per qual monti. 116 Il tirannicho sanghue de’ Vischonti Da primo, mezo e sezo T’è per anticho vezo

Senpre [e] stato choralẹ nimicho e ffero, 120 Perché ssa ch’a tua chagione lo ’mpero Gli è delle mani uscito; Or pensa a qual partito saresti, sotto posto73 a questo sanghue! 124 Volti<n>si i visi fieri al malvagio Anghue,

O carị, buonị cittadini:

Noi siamọ purẹ Fiorentini,

Liberị toschanị, d’Italia spechio e llume! 128 Risurgha il giusto segnio,74 per chostume Aiuto75 senpre a ttenpo, Né piú s’aspetti tenpo,

Però che nel tardarẹ tutt’è il periglio. 132 Spieghisi omai il trïonfante Giglio Chontro l’argoglio altero D’esto tiranno fero E de’ seghuaci a tte fatt’o<r> rubelli. 136 E a que’ tiranni chonticielli,76 Se mai il nostro torna,77 Spezi loro le chorna

Che non ti possinọ piú chozare giamai! 140

[H]o filicie da dirẹ, se ttu saprai

ridurgli a terminẹ tale

che non possinọ farẹ male!

E questo è il modo a sichurarẹ tuoi beni: 144 Agli indomiti bravi isproni e freni

Si vuolẹ, voi m’intendete;

E sse voi no llọ farete,

Nel champo fia notrire la gramigna, 148

[H]o nonne spegnierẹ bruchi per lla vignia. Né altro piú vo’ dire,

Se non chon quellọ morire

73 sotto posto: valgano le osservazioni fatte per stato al v. 105. 74 segnio: errore per sdegnio. 75 aiuto: lezione erronea in luogo di avuto o aúto. 76 Verso ipometro. 77 Verso particolarmente criptico, che Roberta Gentile ha pensato di chiosare con «se

mai Firenze tornerà potente come un tempo» (DOMENICO DA PRATO 1993: 227). Sarei in-cline a dare una spigazione meno generica, anche se sostanzialmente non differente, ovvero ‘se mai torna il nostro giglio’, dal momento che giglio è il sogg. della quartina precedente.

Un reperto quattrocentesco

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Chatonẹ fuggí la servitú v’amenti. 152 E vedrete se gli ori o gli arïenti

Si vogliono orạ negare,

E78 purẹ le taze alzare,

E ristringnierẹ le spalli, o starsi a bada, 156

[H]o dirẹ: « S’ella debbe andarẹ male, vada! ». Di<r> vili e[d] atti tristi,

Di pigrizia e duolọ misti

Da sbigottirẹ chi gli ode o chi lli vede! 160 Non per79 chonsigli di romani erede, Non da llancia o da schudo;

E quellọ che mmi parẹ crudo E di che piú mi duole e piú adonto 164

È vederẹ farẹ de’ veri amici conto

Qualẹ de’ non chonosciuti

Ma ’m sorta80 equalị tenuti

– Che l’altro numerọ d’ogni schiuma à cholto81– 168

E voltarẹ lorọ le spalli e non piú il volto, Chon dire: «Ogniuno vuole Pelarci!», o tta’ parole

– Che Iddio lo sa chom’ora achagionẹ bene! – 172

Chome fusse tenuto, ogniunọ che vive82 Dal suo propio salvarne, Dovessi scielta farne,

E quali achôrrẹ cho’ modi e parlarẹ grati.83 176

O chari cittadinị, siete preghati

Che il mio dirẹ non sia invano! E il fine chonchiudiàno

Che s’abbi a buonị riparị presto righuardo, 180 Perché nulla varrebbe il pentér tardo.

Rinviando ad una sede piú opportuna l’edizione critica e commentata del capitolo, ritengo tuttavia che non sia inutile proporre alcune riflessioni di carattere ecdotico, la prima delle quali riguarda la lunga didascalia, che sconfina quasi nel territorio della prosa proemiale, trascritta dal copista prima del testo poetico vero e proprio. Assente negli altri due testimoni che costituiscono, al momento, l’intera tradizione

78 Erronea la congiunzione coordinante al posto della disgiuntiva attestata negli altri

manoscritti. 79 per: banalizzazione in luogo di par. 80 ’m sorta: da correggere in ’n sorta. 81 cholto: il copista ha di certo scambiato la consonante iniziale t di tolto con la c. 82 vive: evidente errore per viene. 83 Dal suo propio...grati: il passo è estremamente oscuro, né la lezione di B ed L pare mol-

to piú perspicua: «del suo proprio ad salvarne, / doversi scelta farne, / e quelli ancor con modi ad parlar grati».

Nicoletta Marcelli

240

del capitolo quadernario del Megli,84 essa contiene preziosi e circostanziati dettagli sui motivi che spinsero il poeta della Signoria a scrivere il componimento e l’occasione in cui esso fu recitato dall’autore stesso.85 Siamo all’indomani della pe-sante sconfitta subíta dalla Repubblica fiorentina a Zagonara, presso Bagnacavallo, contro lo storico nemico Filippo Maria Visconti (28 luglio 1424), sconfitta della quale sarebbe stato responsabile in larga parte, stando alla rubrica, Alberico da Barbiano, condottiero al soldo dei Fiorentini, reo di aver stipulato un «trattato doppio», ovvero un accordo con l’esercito del duca di Milano, tradendo cosí la Repubblica fiorentina: assediato nel castello di Zagonara dalle truppe viscontee al comando di Guido Torelli e di Agnolo della Pergola, il conte Alberico patteggiò una tregua di quindici giorni, allo scadere dei quali, se non fosse giunto in suo aiu-to l’esercito fiorentino, egli avrebbe dovuto consegnare se stesso e tutti i suoi pos-sedimenti al nemico. Ma, sempre nella prosa proemiale, si afferma chiaramente che l’assedio fu una sorta di pretesto per permettere ad Alberico di passare dalla parte del Visconti e contemporaneamente tendere un tranello micidiale ai Fioren-tini; tale notizia conferma e al tempo stesso rende esplicito ciò che nelle fonti sto-riche, almeno in quelle principali, è dato di leggere solo in filigrana. Questo il reso-conto di Giovanni Cavalcanti:

Guido Torello stimò l’assedio di Zagonara fusse il salvamento di Furlí. Adunque strignendo aspramente, il conte [sc.: Alberico] domandò patti, e furongli conceduti e dati; e dimandò termine quindici dí futuri, che, se soccorso non gli venisse, al duca la persona e la terra darebbe, e da lui piglierebbe soldo: e cosí si fermò per scrittura i patti tra il conte Alberigo e le duchesche genti per il duca.86

I Dieci di Balía in una lettera del 26 luglio 1424 a Rinaldo degli Albizzi e a Vieri Guadagni inviano ragguagli sulla situazione militare:

Il Conte Alberigo è stato rinchiuso in Zagonara, e attorno vi sono Agnolo dalla Pergola, Niccolò Guerriere, e Belmammolo, e Cristofano dell’Avello, con circa 1900 in 2000 cavalli, e altrettanti fanti, che da Lugo e dalle terre vicine si sono con-

84 Cfr. sopra, n. 48. 85 Cosí il testo: «il perché messer Antonio, referendario de’ nostri Signori, fecie questo

seghuente chapitolo in quadernario e nel Chonsiglio de’ detti richiesti lo disse». Del resto, recitare componimenti di fronte alle piú alte cariche della Signoria fiorentina e nelle piú di-verse occasioni ufficiali era, appunto, il compito del Referendario o miles curialis.

86 Cfr. CAVALCANTI 1944: II 12, 32. Oltre al Cavalcanti, le principali fonti per l’episodio sono Leonardo Bruni (BRUNI, Rerum: 447), Neri di Gino Capponi (CAPPONI 1723-1751: 1163), Cino Rinuccini (RINUCCINI 1840: LX), Jacopo Bracciolini (BRACCIOLINI 1598: V 143-146), Niccolò Machiavelli, Istorie fiorentine (MACHIAVELLI 1971: 718-719). Di recente MA-

SCANZONI 2004 ha prodotto un ampio resoconto di natura storico-militare e topografica sulla battaglia di Zagonara che, pur trascurando molte fonti fiorentine coeve – ad esempio Giovanni Cavalcanti – e pur non facendo menzione del tradimento di Alberico da Barbia-no, ha il pregio di fornire preziose notizie ricavate dalle cronache romagnole dell’epoca circa la dinamica della battaglia e la dislocazione degli eserciti.

Un reperto quattrocentesco

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dotti, e molto lo stringono. Domattina, col nome di Dio, v’andrà il nostro campo a soccorrello [...].87

Rinaldo e Vieri, a loro volta, rispondono:

Quanto dite de’ fatti del Conte Alberigo, abbiamo inteso, e dubitiamo non sia cosa ficta, e di volontà di detto conte per avere scusa, ecc.88

La reticenza di questa lettera è certamente da imputarsi alla necessità di segretezza che spingeva a scrivere, come di consueto nelle legazioni e commissarie, in modo criptico e laconico, per allusioni piú che per chiare asserzioni; ciò però non impe-disce di leggere tra le righe la convinzione di Rinaldo degli Albizzi e di Vieri Gua-dagni circa la malafede di Alberico, la stessa convinzione che esprime Ludovico degli Obizzi, capitano stipendiato dai Fiorentini, quando invita alla prudenza e a non portare aiuto ad Alberico, per non incorrere in una sicura disfatta militare:

E’ mi pare somma stoltizia a lasciare i grandissimi fatti per istare ancora incerti de’ piccoli. Noi anderemo; e il tempo è contrario alla gente dell’arme; però che l’arme per sé medesime sono pesanti, e l’acqua addosso: caricheremo tanto d’ingordo noi e i cavalli, che, non che potessimo far fatti d’arme, ma noi e i cavalli non potremo stare ritti. Io sono di questo parere, di non levarci dall’assedio [sc. di Forlí], perché il conosco infallibile questo desiderato acquisto: e se il conte Alberigo si accorda col duca (ché credo non tanto che s’accordi, quanto tengo che di già possasi essere ac-cordato), non starà però nelle sue mani la nostra fortuna.89

Parole profetiche, queste, che rimasero però inascoltate a causa della presunzione e dell’inettitudine strategica di Carlo Malatesta, capitano agli stipendi di Firenze,90 il quale si pronunciò spavaldamente a favore dell’impresa e riuscí a convincere tutti, facendo leva sul coraggio degli altri condottieri e tacciando l’Obbizzi di viltà.91 Il risultato fu che Ludovico insieme con altri condottieri perse la vita nel campo di battaglia e il Malatesta fu fatto prigioniero. Non appena giunse a Firenze la notizia della terribile disfatta, il panico cominciò a diffondersi tra la popolazione e anche tra le piú alte cariche della Repubblica. Cosí Giovanni Cavalcanti descrive la conci-tazione e la drammaticità di quel momento:

Quanto maggiori erano i cittadini nella Repubblica, tanto maggiormente piú aveva-no paura; e piú temevano, perché piú colpa si sentivano, e perché piú potevano perdere. Dicevano coloro i quali erano esclusi dagli onori e dal governo della Repubblica: “Ora saziatevi, lupi famelici, i quali sareste crepati, se questa città si fusse un poco riposata.

87 Cfr. Commissioni 1867-1873: II 132 (Commissione XLV 579). 88 Ivi: 133. 89 Cfr. CAVALCANTI 1944: II XIV 33-34. 90 Su di lui, cfr. ora FALCIONI 2007. 91 Un giudizio particolarmente severo sul Malatesta espresse Sozomeno da Pistoia (SO-

ZOMENO 1908: 14-15): «Nam semper dictus Karolus in omni pugna ab eo inita superatus fuit; et stoliditas fuit eum ad stipendia conduci».

Nicoletta Marcelli

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Voi sempre andate cercando nuove guerre, innecessarie cagioni e abbominevoli in-giurie [...]. Ora saziatevi di noi: pascetevi di queste misere carni; altro non ci avete lasciato da vi-vere con le nostre famiglie; voi cercate sempre guerra; e poi, come voi le governate, voi stessi vel vedete. Voi ci avete tolte le nostre ricchezze sotto nome di difendere la libertà della pa-tria: ma ora il vostro necessario dispendio ci dona refrigerio, perché noi vi veggiamo sotto breve tem-po tornare a pari con noi. A chi ricorrerete? quale aiuto vi scamperà dalle forze de’ vo-stri nimici? con qual arme difenderete la vostra ingrata superbia?92

I passi da me evidenziati in corsivo sembrano riecheggiare alcuni versi del capitolo del Megli, in cui il poeta in forma di discorso diretto, dà voce alle lamentele dei cittadini che, colpiti finanziariamente dal disastro militare, paventavano ora un ul-teriore e ingente esborso di denaro:

Et vedrete se gli ori o li arïenti Si voglion or negare, O pur le teste alzare, O ristrigner le spalle, o stare a bada, O dir: «Se ella debba andar mal, vada!», O dir’ vili e atti tristi, Di pigritia et duol misti, Da sbigottir chi gli ode o chi gli vede! [...] Et di che piú mi duole e piú n’adonto È veder far de’ veri amici conto Qual de’ non cognosciuti,

Ma ’n sorta equal tenuti, (che l’altro numer d’ogni schiuma ha tolto), Con volger lor le spalle e non piú il volto, O dir loro: «Ognun vuole Pelarci», o tai parole – Che Iddio si sa com’ora accaggion bene! –93

Solo per inciso si noti la diversa lezione del Conventi Soppressi al v. 155 «E vedre-

te se gli ori o gli arïenti / si vogliono orạ negare / e purẹ94 le taze alzare»: credo che taze sia errore di lettura del copista per taxe, normale forma attestata nel Quattro-cento,95 laddove gli altri codici hanno teste; bisogna ammettere che tale variante appare quanto mai interessante, soprattutto se si pensa all’occasione in cui il capi-tolo fu recitato, cioè il Consiglio dei Richiesti che aveva il delicato e ingrato compi-

92 CAVALCANTI 1944: XXI 39. Le armi con cui difendere la Repubblica furono chieste

“in prestito” a papa Martino V, subito dopo la disfatta, cfr. Commissioni 1867-1873: II 137 (Commissione XLV 587).

93 Salvo diversa indicazione, il testo citato è quello pubblicato in PIGLI 1991, vv. 152-170.

94 Lezione erronea per o pure, indotta probabilmente dal verso successivo «e ristringnier-si le spalle [...]».

95 Cfr. GDLI, s.v.

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to di reperire denari al fine di assoldare nuove truppe. E del resto, anche sul piano prettamente paleografico, appare piú difficile spiegare una corruttela da teste a taze, che non da taxe a taze con semplice fraintendimento della consonante x che poteva essere scritta nell’antigrafo di CS in modo non del tutto chiaro.

Un altro passo problematico per la costituzione del testo si trova ai vv. 45-50:

Non ti dico, oltra il dapno, il grande scorno De’ gridi: «O gnaffi, o Lapi, Volete ora esser capi Del governo d’Ytalia e guidatori? Usurier, sogdomiti e traditori, saria il parlar piú honesto.

Il v. 46 nella lezione del Conventi Soppressi – né soccorrono con varianti piú ac-cettabili gli altri testimoni96 – recita: «Non vi dicho sanza il danno il gran dischorno / de’ gridi o gniffi o lapi»; arduo dare una spiegazione sensata: quello che piú risul-ta oscuro, a mio avviso, è lapi, giacché, ammettendo che gniffi sia variante fonetica per gnaffi, cioè ‘persone poco raccomandabili, birbanti’,97 si protrebbe chiosare il passo con ‘Non ti dico oltre al danno, cioè oltre alla sconfitta subíta, l’onta delle urla <accusatrici>: – o disonesti ... –’, ma resterebbe sempre quel lapi che mal si spiega anche stampando Lapi, cosí come hanno fatto tutti i precedenti editori, in-tendendo forse con il nome proprio un antonimico per tutti i governanti fiorenti-ni; forse, dico, perché nessuno di essi ha sentito il bisogno di spiegare l’espressione.98 In effetti Antonio di Meglio potrebbe alludere qui al personaggio di Lapo Saltarelli, messo alla berlina da Dante nel Paradiso, XV 128, come esempio del cittadino disonesto e corrotto, traditore e voltafaccia,99 epiteti con cui il poeta apostrofa i cittadini fiorentini nei versi immediatamente successivi («Volete ora essere chapi / Del ghoverno d’Italia o traditori? / Usurier, soddomiti e rubatori, / Saria il chiamare piú onesto»).

Le consonanze tra Eccelsa patria mia e le storie cavalcantiane non si limitano a quanto detto fin qui: basta infatti confrontare i versi finali del capitolo con le paro-le che lo storico fiorentino mette in bocca a Rinaldo Gianfigliazzi – trattasi del di-scorso pronunciato “dalla ringhiera” durante il drammatico «consiglio grandissi-mo» deputato a decidere su come agire all’indomani della sconfitta –, basta un ve-loce raffronto, dicevo, per individuare in entrambi i testi lo stesso richiamo alla

96 «Non ti dico oltra il da(m)pno il grande scorno / De gridi o gnaffi o lapi» (L); «Non

tidico, oltralda(n)no il grande schorno / de gridi ogniaffi o lapi» (B). 97 Il termine, nella variante gnaffi, si trova anche in Poliziano (Canzoni a ballo, 118, 97:

«come i’ veggo ta’ lunatichi, / muffaticci, goffi e rozzi, / certi gnaffi, certi ghiozzi, / buoni apunto a sbavigliare»).

98 Rispettivamente, Commissioni 1867-1873: 76; Lirici toscani 1975: II 84; DOMENICO DA

PRATO 1993: 157; PIGLI 1991: 127. 99 Cfr. D’ADDARIO 1984.

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concordia, all’unità d’intenti,100 e a rifuggire l’avarizia che fa tenere serrate le borse in un momento di grave crisi della politica fiorentina:

Ah, valorosi cittadini, non vi sbigottite, però che solo in una cosa consiste il vostro rimedio; e questo è, che da voi escludiate tutta avarizia: cioè di non volere che le borse degli uomini impotenti abbiano a pagare quello che non vi si trova, e non vi è rimaso. Anzi, si metta mano alle nostre tasche: ed a chi ha da pagare si pongano le gravezze, e riscuotan-si; e non da coloro che non pagano perché non hanno di che [...]. A questo consi-glio tutti i cittadini s’accordarono, e mutarono le gravezze.101

Fatti avaritia o invidia il suo thesoro Abscondere al bisogno? Omè, ch’io mi vergogno A ’mmaginar dove il tuo nome casca, Se adivien che tal discordia nasca Per giusta o ria calunia, Che serri la pecunia De’ tuoi car civi, or che versar bisogna!102

La somiglianza è di certo singolare, al punto da pensare che il Cavalcanti cono-scesse il capitolo del Referendario; inoltre, l’ignoto estensore della rubrica-proemio al capitolo del Megli afferma che il Consiglio dei Richiesti non riusciva a trovarsi d’accordo e che l’intervento dell’Araldo della Signoria fu decisivo: «chome piaque a Iddio subito s’achordorono e presono partito che poi per lla grazia di Dio fu buono». Volendo dar credito a queste parole, si potrebbe supporre che i versi del Referendario abbiano sortito un tale effetto sul Consiglio da spingere il Gianfi-gliazzi a pronunciare il discorso letto poc’anzi, in cui egli avanza la proposta, da tutti poi accettata, di modificare i parametri di applicazione della tassazione diretta. Ma, a questo proposito, Cesare Guasti ebbe giustamente ad osservare una certa discrepanza tra la “diceria” delle storie cavalcantiane e l’effettivo discorso pronun-ciato dal Gianfigliazzi cosí come trascritto nel resoconto notarile di quella sedu-ta;103 in particolare, la lunga tirata sulla necessità di rivedere i criteri di tassazione e l’esortazione a non macchiarsi di avarizia nel verbale è sinteticamente rappresenta-ta dalla breve frase «qui possunt solvant; licet dicatur, distributionem inequalem esse».104

La seconda ed ultima considerazione che mi preme fare riguarda il capitolo quadernario scritto da ser Domenico da Prato «in vice della città di Firenze»,105 che

100 Per il tema dell’invito alla concordia civile, cfr. RUINI 20052. 101 Cfr. CAVALCANTI 1944: II XXIII 41. 102 Sono i vv. 29-36. 103 Il verbale è stampato in Commissioni 1867-1873: II 144-149 n. 1. 104 Ibidem. 105 Cosí recita la rubrica del manoscritto Laurenziano, c. 58r. Sul notaio pratese si veda,

oltre a FLAMINI 1891: 289-290 e passim; CASELLA 1916; GENTILE 1989; DOMENICO DA PRA-

TO 1993; DECARIA 2008.

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costituirebbe la risposta per le rime a quello del Megli. L’uso del condizionale è d’obbligo, o almeno cosí a me pare: non v’è traccia nel Conventi Soppressi della risposta di Domenico, tràdita invece di séguito dal Laurenziano e affiancata al te-sto del Megli nel Barberiniano; tuttavia questo elemento da solo ovviamente non giustifica l’indipendenza dei due componimenti,106 altri sono infatti gli indizi che mi hanno portato a questa conclusione.107 Ma procediamo con ordine.

Il capitolo del notaio pratese ha identica estensione rispetto a quello dell’Araldo (181 versi) e utilizza le stesse rime del modello. Pur con qualche ecce-zione, nella letteratura delle origini come in quella tardo medievale, il “genere” o meglio la categoria della tenzone poetica prevede che nella proposta vi sia, se non l’esplicita menzione del destinatario sollecitato a rispondere, quanto meno un ap-piglio piú o meno evidente che consenta di individuarne l’identità, cosa che non si riscontra affatto nel capitolo di Antonio di Meglio.108 Tale anomalia potrebbe però essere attenuata se si considera che nell’incipit il Referendario si rivolge a Firenze (Eccelsa patria mia, però che amore) e in persona di Firenze Domenico risponde (Fi-gliuol mio, nel chiamar tu prendi errore). In realtà, se anomalia c’è, questa consiste pro-prio nell’ascrivere il testo del Megli alla categoria delle tenzoni letterarie, reali o fit-tizie che dir si vogliano, laddove al contrario, in considerazione del fatto che a comporre il testo fu un miles curialis (cioè la “voce ufficiale” della Signoria fiorenti-na) e per i motivi politico-militari che sollecitarono la recita del quadernario, si do-vrà ricondurre il componimento nell’àmbito della letteratura politica militante. Ciò che si legge ai vv. 17-24 di Domenico da Prato (« Sol condolermi, nullo altro m’avanza. / Io non farò mentione / di tutto in mio sermone, / ma d’una particella, ove riducta / s’è tua domanda, e quella fia constructa. / Fa’ pur che t’assoctigli, / sí che chiara la pigli, / dico l’exposition che chiedi ad pieno ») suona abbastanza strano, dal momento che nel capitolo di Antonio di Meglio non troviamo alcuna

106 Al contrario Claudio Giunta (GIUNTA 2002: 42), esponendo il criterio precedente-

mente enunciato da Salvatore Santangelo (SANTANGELO 1928), ritiene che la vicinanza di due testi all’interno di un manoscritto sia criterio «tra tutti il piú vago ma, come vedremo, anche il piú ragionevole».

107 Alle medesime conclusioni, pur partendo da presupposti diversi e nell’àmbito dell’analisi dedicata ai canzonieri del Pratese, è giunto anche Alessio Decaria (DECARIA

2008: 318-319). 108 Cfr. GIUNTA 2002: 45: «“corrispondenza poetica” può essere, nel Medioevo, il sem-

plice invio di un testo lirico ad un destinatario che non è chiamato direttamente in causa e dal quale – questo è il fatto che va sottolineato – non ci si attende un testo di risposta. In parte si tratta di testi non nati per la tenzone, ma dai quali un altro poeta tolse il pretesto per una replica». Tra gli innumerevoli esempi di tenzone che si potrebbero fare, mi limito ad uno che metricamente e stilisticamente piú si avvicina a quello qui oggetto di studio, ovvero i lamenti politici, in particolare quello di Pisa e la relativa risposta dell’imperatore (1406), entrambi composti da Puccino di Antonio di Puccino da Pisa in forma di capitolo quader-nario (cfr. Lamenti storici 1888: I 227-245, 251-260; Lamenti storici pisani 1968: 67-77, 81-85, in part. 105-106 con l’elenco dei numerosi manoscritti che tramandano il Lamento di Pisa, testo che godette di una grande fortuna per tutto l’arco del Quattrocento).

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domanda in attesa di risposta, né la formulazione di un dubbio in merito al quale si chiedono delucidazioni – la situazione gli era ben chiara in realtà –; vi sono piutto-sto esortazioni ai «car civi» ad agire per il bene della Repubblica, anche se questo doveva necessariamente comportare la subordinazione degli interessi privati di fronte all’utile comune. È possibile, anzi, a mio parere è piú che probabile, che l’operazione di Domenico sia stata autonoma e non abbia avuto alcun legame di-retto con il Megli, che appartenga cioè a quella categoria che Giunta definisce «testi non nati per la tenzone, ma dai quali un altro poeta tolse il pretesto per una repli-ca»:109 alla luce di questo, il riferimento alla domanda dell’Araldo da parte di Do-menico da Prato fu una forzatura necessaria per giustificare la forma letteraria della risposta, e solo avendo ben chiara questa distinzione si potrà parlare per il testo di Domenico di “risposta per le rime”. Leggendo il suo quadernario, infatti, non si può fare a meno di notare che mancano accenni alla situazione politica immedia-tamente successiva alla disfatta militare di Zagonara: il componimento è proiettato in una dimensione tutta letteraria, quasi metastorica, mentre uno spirito diamen-tralmente opposto pervade i versi del sirventese di Antonio di Meglio. Basti il solo esempio della città di Firenze che parla per bocca di Domenico, espendiente pret-tamente letterario e topico in componimenti politico-morali, mentre Antonio di Meglio dedica solo alcuni versi a Firenze, lamentandosi della sua presente condi-zione e rammentandone il glorioso passato – le origini romane (vv. 13-28, 65-76) e i personaggi famosi dell’antica Roma (vv. 77-100) –, mentre il destinatario princi-pale sono i cittadini, cui si rivolge per esortarli a perseverare nello spirito di sacrifi-cio e nell’amore per la patria in un frangente cosí delicato come quello della scon-fitta di Zagonara (vv. 110-181).

La “risposta” per le rime di Domenico, invece, si muove tutta entro i limiti di ben codificati topoi letterari – il ricordo dei Romani famosi attraverso l’espediente retorico dell’ubi sunt (vv. 53-76) e una preghiera finale a Dio che salvi la città dal Visconti (vv. 157-181) –, assumendo fin dall’inizio il tono di un lungo, accorato lamento (vv. 1-40, 81-100, 117-140, 145-156). A fronte di questo, si registrano solo due accenni alla situazione politico-militare,110 il primo al v. 87, in cui si menziona-no le «romagnole squadre», alludendo alle truppe viscontee di stanza in quel terri-torio,111 e il secondo ai vv. 125-129: «Piange mia vista e dentro l’alma langue, / poi

109 GIUNTA 2002: 45. 110 Sono presenti anche tre menzioni del nemico visconteo ai versi 11 «serpente rapace»,

25-26 «veneno lombardo» e 178 «biscion villano». 111 Nel commento al passo in questione, Roberta Gentile ipotizza che Domenico da

Prato possa riferirsi qui anche ad Astorre Manfredi, «signore di Forlí, che passò dalla parte di Milano» (DOMENICO DA PRATO 1993: 228). In realtà Astorre II Manfredi non fu mai si-gnore di Forlí, ma di Faenza, e non da solo, ma insieme al fratello Guidantonio fino alla morte di costui, avvenuta nel 1448; nato nel 1412, Astorre fu avviato sin da piccolo alla vita militare, ma è piuttosto inverosimile che dodicenne già combattesse al soldo dei Fiorentini (e d’altra parte le prime notizie di una sua partecipazione attiva ad una campagna militare si riferiscono al 1430: per questo cfr. LAZZARINI 2007). È probabile, invece, che la studiosa abbia confuso le due città, oppure che volesse riferirsi a Carlo Malatesta, signore di Rimini e

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che i piú vil[i] vicini / tolti m’han già i confini / che mia l’alpe facean pendente il fiume / e tal parte del pian, ch’è un gran volume», con probabile riferimento al monte Falterona, da cui “pende”, cioè scende, il fiume fiorentino per antonomasia, ovvero l’Arno – anche in forza del fatto che qui a parlare è Firenze –, e la pianura che si estende al di là della zona montagnosa sul versante romagnolo in direzione di Forlí e Faenza, territori il cui controllo Firenze perdé proprio in conseguenza della sconfitta di Zagonara.112 Ma a nessuno sfugge che si tratta di accenni troppo poco circostanziati per implicare uno stretto legame con il testo del Referendario e con quella particolare battaglia. La tendenza di Domenico da Prato ad assumere un tono piú letterario e l’assenza di riferimenti puntuali che collochino il testo nell’immediatezza dell’evento storico potrebbero indurre a pensare che sia inter-corso un lasso di tempo relativamente lungo tra la sconfitta militare e l’operazione del Megli da un lato, e la “risposta” di Domenico dall’altro; tuttavia, nessun indizio interno o esterno al testo ci permette di datarlo con esattezza, ad eccezione del terminus ante quem estremo, rappresentato dalla morte di Domenico, avvenuta pro-babilmente tra la fine del 1432 e il 1433.113 In questa stessa ottica, cioè di uno slit-tamento dalla contingenza storica alla letterarietà metastorica, è da leggere a mio avviso la variante piú significativa e piú interessante riportata dal Conventi Sop-pressi per il capitolo Eccelsa patria mia. Ai versi 141-144, nella lezione concorde-mente tràdita da L e B, si legge:

O felice tu, Siena, la qual gli hai

rettore della Romagna, catturato in séguito alla sconfitta di Zagonara e subito dopo militante nelle file dell’esercito visconteo (cfr. FALCIONI 2007 e LAZZARINI 2007). Il Manfredi si rese protagonista di una simile defezione, passando cioè dal soldo dei Fiorentini a quello del Vi-sconti, solo nel maggio del 1447, seguendo Francesco Sforza che aveva abbandonato la Re-pubblica fiorentina per appoggiare il suocero; per questa notizia relativa al Manfredi, scono-sciuta a Isabella Lazzarini, cfr. ASF, Legazioni e Commissarie, 12, cc. 1r-3r, 4r-6r, 7r-v, 9r-10v.

112 Mi spinge a dare questa interpretazione del passo di Domenico da Prato una moti-vazione di tipo storico-istituzionale: si ricordi, infatti, che il territorio della cosiddetta “Ro-magna toscana” o Granducale, come la chiama il Repetti, comprendeva le seguenti comuni-tà: Verghereto, Bagno di Romagna, Sorbano, Santa Sofia, Galeata, Premilcore, Portico, Rocca San Casciano, Dovadola, Terra del Sole, Tredozio, Modigliana, Marradi, Palazzuolo e Firenzuola (cfr. REPETTI 1833-1846: IV 809b-810a). Ma già all’inizio del Quattrocento tale territorio era sotto la giurisdizione fiorentina, come si evince dallo studio condotto da Gui-dubaldo Guidi sugli Statuti del 1415 (GUIDI 1981: III 220) e, a proposito del periodo a caval-lo tra il 1415 e il 1450, Augusto Antoniella precisa che: «Nella provincia di Romagna, ristabi-lito fra il 1440 e il 1445 il dominio di Firenze dopo le vicende belliche di quegli anni, tornò a insediarsi a Portico, dal 1441, un podestà con giurisdizione estesa anche alle vecchie circo-scrizioni di Predappio e Dovadòla; dal 1446, poi, si riprese a nominare anche il podestà di Modigliana. Le due podesterie [...] restarono nell’ambito del capitanato di Castrocaro ma a partire dal 1454 venne anche istituito il nuovo capitanato di Bagno di Romagna» (cfr. AN-

TONIELLA 1974: 388). 113 L’ultimo atto rogato da ser Domenico è del giugno del 1432, cfr. GENTILE 1989: 79.

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<I>spenti in modo tale Che non ti fan piú male, C’hai disfatti lor nidi, i quai ti tieni!

Il poeta si riferisce alle discordie interne e ai capi di frange sovversive che la città di Siena è riuscita a debellare cacciandoli dalle loro roccaforti (nidi) e ripristinando in tal modo la concordia e l’ordine pubblico, per cui si esorta Firenze a fare altrettan-to. Ma nel manoscritto Conventi Soppressi la quartina suona in tutt’altro modo:

[H]o filicie da dirẹ, se ttu saprai

ridurgli a terminẹ tale,

che non possinọ farẹ male

e questo è il modo a sichurarẹ tuoi beni.114

Assente ogni riferimento a Siena, qui ci si rivolge a Firenze, augurandole di riuscire a rendere piú sicuro il suo stato, riducendo i suoi nemici interni ed esterni in una condizione tale che non possano piú nuocerle. Nel medesimo punto del capitolo, ai versi 141-142, Domenico scrive:

Siena conforti, e per certo ben fai, perché è or trïumphale [...].

Due le domande che viene spontaneo porsi a questo punto: la prima riguarda il rapporto cronologico che intercorre tra le due differenti lezioni presenti nel testo di Eccelsa patria mia e la natura delle medesime – se l’innovazione cioè sia imputabi-le all’autore, ad un copista attivo (lo stesso Domenico da Prato?) o ad una discre-panza tra testo recitato dal Megli e testo da lui stesso messo per iscritto; la seconda domanda concerne invece l’episodio di storia senese cui allude la lezione di B ed L. Poter rispondere con certezza alla seconda domanda, in particolare poter identifi-care quale fatto storico si celi dietro l’allusione poetica, magari un evento collocabi-le molto al di là del discrimine della battaglia di Zagonara, ci permetterebbe di ri-solvere il primo quesito, quello di natura filologica stricto sensu, benché l’argomento che vado trattando fornisca un emblematico esempio di “filologia integrale”, di una disciplina cioè che conduce alla costituzione di un testo scientificamente affi-dabile solo a condizione di non prescindere dallo studio e dall’apporto di tutte le altre scienze che concorrono alla piena comprensione di un testo, prima fra tutte la storia, e la necessità di contestualizzare ogni prodotto letterario nell’ambiente sto-rico-politico che lo ha generato. Tornando a Siena, due sono gli episodi accaduti nel primo trentennio del Quattrocento, ai quali i versi in questione potrebbero ri-ferirsi, il primo risalente agli anni 1409-10, il secondo collocabile tra la fine del 1426 e la primavera dell’anno successivo.115 Al cadere del primo decennio del

114 Cfr. c. 80ra. 115 La situazione politico istituzionale della Repubblica senese per tutto l’arco del basso

Medioevo, in particolare per i secoli XIV-XV, è indiscutibilmente una delle piú complesse

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Quattrocento, Siena fu impegnata in una guerra contro alcuni feudatari che aveva-no costituito dei potentati privati in seno allo stato repubblicano, in particolare Cocco di Cione di Sandro Salimbeni e il conte Bertoldo da Pitigliano, che avevano rispettivamente occupato Contignano e Radicofani.116 Il secondo evento, cui ac-cennavo prima, si colloca tra la fine del 1426 e l’inizio del 1427: Siena visse allora un periodo di tumulti e disordini, alimentati dalle pressioni esterne di Filippo Ma-ria Visconti e da un nuovo riaccendersi dell’odio di parte all’interno del Comune, che sfociò nel dicembre del 1426 nel tentativo non riuscito di restaurare il governo dei Dodici, precedentemente espulsi dalla città.117 Ma ascoltiamo dalla voce di Sigi-smondo Tizio il racconto del tentato colpo di stato:

Decembris interea die sexta decima Christoforus Iacobi Griffoli, equitis vir nona-rius, cum reus conspirationum adversus regentes argueretur, moliri enim insidias in illos atque cum Petro Bartaloccii Dinio maiestatis reo atque extorre ferebatur, ut Duodecim viros iam eiectos restituerent, a Petro ea de causa licteris acceptis, cum-que ducendi ad ultimum supplicium processus ipso in foro reorum loco publicare-tur de more, casu decidente vexillo tumultus aliquantulum excitatus fuit, ita ut par-tim ad arma prosilirent cives, partim vero secederent, premente metu, ita ut Chri-stoforus spiculatori reste connexus solus remaneret in scalis pretoris [...].118

Come ognuno può notare, questo episodio si colloca due anni dopo la rotta di Za-gonara; stante il fatto che il capitolo del Megli fu recitato alla fine di luglio o, piú verosimilmente, tra il 2 e il 3 agosto del 1424, data in cui si tenne il Consiglio dei Richiesti, nell’immediatezza cioè della sconfitta, e ipotizzando che la variante tràdi-ta da B ed L si riferisca a questo episodio di storia senese, dovremmo ammettere che la lezione originaria sia quella del Conventi Soppressi, cui in séguito, forse per

nel panorama italiano, costellata com’è da una continua serie di rivolgimenti politici, di esili, bandi, vendette di parte, ritorno al potere di fazioni precedentemente escluse, per cui non è facile poter identificare con certezza l’evento cui si allude nel testo del Megli. Ad esempio, nel 1403 poco dopo la morte di Gian Galeazzo Visconti, sotto la cui egida Siena si trovava dal 1399, si verificò la cosiddetta congiura “dei Galeazzi”, frangia di oppositori al regime filo-visconteo, che volevano riportare al potere il governo dei Dodici: costoro furono scon-fitti il 26 novembre del 1403 e condannati all’esilio. Sebbene il fatto costituisca uno snodo fondamentale nella storia della Repubblica senese, mi pare improbabile che a Firenze nel 1424, a distanza cioè di piú di vent’anni, si potesse ancora ricordare quest’evento. Per un inquadramento dell’assetto politico-istituzionale di Siena nel periodo qui oggetto di studio, cfr. almeno PALMIERI NUTI 1948: 86-87; CHIANCONE ISAACS 1970: 54-55 e bibliografia ivi citata; CATONI 2002: 15-16.

116 Cfr. MONTAURI 1937: 766-767; cfr. anche PIGLI 1991: 220-221. 117 In questo quadro sarebbe da leggere anche la predicazione che san Bernardino tenne

nel Campo di Siena dal 15 agosto al 5 ottobre del 1427: ben quattro prediche sono intera-mente dedicate alla condanna di coloro che incitano o seguono lo spirito di parte (cfr. BER-

NARDINO DA SIENA 1989: I prediche X-XII e XXIII); questa interpretazione si trova già nelle Historiae Senenses di Sigismondo Tizio (TIZIO 1998: VI 183).

118 TIZIO 1998: 182 (libro VI rr. 43-51). Cfr. anche MONTAURI 1937: 805-806; BUONSI-

GNORI 1856: II 10-11; TOMMASI 2002: III 356 (anno 1426).

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“modernizzare” il testo, si sarà sostituita quella tràdita da B ed L o ad opera dello stesso Megli, che apportò delle modifiche al capitolo, oppure per intervento di al-tri, ma in ogni caso ad una certa distanza di tempo. Se cosí fosse, dovremmo po-stulare anche che Domenico da Prato compose la sua “risposta” non immediata-mente dopo gli eventi, bensí ad una certa distanza di tempo. Ma le cose andarono davvero cosí? Certo sarebbe allettante trasformare l’ipotesi in certezza; sfortuna-tamente bisognerà riconoscere che i versi in questione contengono un riferimento tanto prezioso quanto vago, troppo vago per permetterci di stabilire con esattezza a quale accadimento si alluda. Delle due ipotesi formulate sopra, inoltre, la prima, quella che identificherebbe nei versi un chiaro cenno alle guerre senesi del 1409-1410, parrebbe piú confacente con quanto detto nel testo poetico, permetterebbe cioè di dare un senso ben piú pregnante a quel nidi e all’espressione li quai ti tieni, interpretandoli non come un generico e figurato riferimento agli avversari interni del potere, ma come precisa allusione ai luoghi riacquistati da Siena con la sconfitta del Salimbeni e del conte di Pitigliano. Come agire dunque in sede di edizione cri-tica? Credo piú semplicemente che la risposta sia da ricercare nel contesto in cui fu recitato il capitolo dal Megli e nella diversità di tono testimoniata dalle varianti. Mentre la lezione del Conventi Soppressi ben si addice alla estemporaneità della recitazione ad alta voce del quadernario, scritto per far presa sull’uditorio incerto e disorientato del Consiglio dei Richiesti, quella di B ed L è certamente il frutto di una stesura meditata a tavolino: si esortano, infatti, i Fiorentini a seguire il modello senese per eliminare i pericoli rappresentati dalle divisioni interne, e l’espediente di evocare Siena quale exemplum è da leggersi sullo stesso piano, a mio avviso, del rife-rimento all’altra grande icona che campeggia nel quadernario, quella di Roma e dei suoi “figli”, da cui Firenze direttamente discende, ma dalla quale si è distaccata, perdendo cosí di vista i piú alti valori della romanità. Per quanto detto fin qui – la diversa natura dei due testi, l’assenza della responsiva nel Conventi Soppressi, le varianti testuali –, sarei incline, se non ad accordare un maggior peso al Conventi Soppressi in sede di edizione critica, quanto meno a riservargli una particolare at-tenzione perché, pur presentando numerose mende, il testo e il proemio fornisco-no una testimonianza, per cosí dire, “in presa diretta” degli avvenimenti storico-politici, laddove, al contrario, gli altri due codici, il Laurenziano e il Barberiniano, ci tramandano un testo cristallizzatosi in una forma piú “letteraria”, ed è verosi-milmente su quest’ultimo, ormai circolante negli ambienti fiorentini, che Domeni-co da Prato modellò la propria risposta.119

119 Non si dimentichi a questo proposito che l’attività notarile di Domenico si svolse

prevalentemente in centri minori e periferici del contado fiorentino, lontano dai luoghi ne-vralgici del potere e dagli ambienti dell’intellighenzia fiorentina (cfr. GENTILE 1989: 78-79).