Un contesto medievale di archeologia urbana: le indagini nell’area della chiesa di San Giovanni...

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UN CONTESTO MEDIEVALE DI ARCHEOLOGIA URBANA:

LE INDAGINI NELL’AREA DELLA CHIESA DI

SAN GIOVANNI BATTISTA A MATERA.

F. SOGLIANI, I. MARCHETTA

Nell’anno 2007, in occasione dei lavori di riqualificazione e consolidamen-

to (Fondi PISU) di via San Biagio e piazzetta San Rocco a Matera (fig. 1), il

controllo archeologico della rimozione della pavimentazione attuale ha ri-

velato la presenza di emergenze archeologiche di una certa rilevanza.

Figura 1. Ubicazione dell’area di scavo.

La scoperta ha determinato l’apertura di un importante cantiere di ar-

cheologia urbana, che ha portato al rinvenimento di una vasta area cimite-

riale di età medievale, nell’area interessata dalla cava di estrazione del ma-

teriale da costruzione per la vicina chiesa di S. Maria La Nova (attuale S.

204 F. Sogliani, I. Marchetta

Giovanni Battista)1

. L’unicità di un intervento di archeologia urbana stra-

tigrafica a Matera, seppur motivato da esigenze di carattere pubblico che lo

configurano pur sempre come scavo d’emergenza, e in particolare la sua

importanza per la ricostruzione insediativa di questa parte della città nel

Medioevo, ne ha giustificato l’inserimento in un più ampio programma di

ricerca promosso dalla Scuola di Specializzazione di Matera volto a chiari-

re, attraverso la raccolta dei dati archeologici, le dinamiche insediative del

centro urbano nella diacronia tra antichità e post-medioevo, configurando-

si peraltro come occasione di avvio dell’intero Progetto. La prospettiva

metodologica sottesa all’intero percorso progettuale, parte dalla necessità

di dotare anche la città di Matera di uno strumento strategico di notevole

impatto sia culturale che urbanistico quale è appunto la Carta Archeologi-

ca2

. E’ ormai noto, grazie ad esperienze già mature in tal senso avviate in

1

L’intervento è stato promosso dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Basi-

licata sotto la direzione di Annamaria Patrone, che qui si ringrazia per la consueta dis-

ponibilità e attenzione per ogni aspetto delle indagini, in collaborazione con la Scuola

di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera, con il coordinamento di Massimo

Osanna e di chi scrive; le attività di scavo sono state seguite da Isabella Marchetta.

L’indagine archeologica è stata integrata dal rilievo con Laser scannng, effettuato da Ma-

rina Panza e Antonio Bixio, con il coordinamento di Antonio Conte, che si ringrazia

per la gentile collaborazione (Dipartimento di Architettura, Pianificazione ed infra-

strutture di Trasporto, Unibas). Per i dati preliminari v. I. MARCHETTA, Progetto

CAM attraverso le attività sul campo: lo scavo in via San Biagio presso il sagrato della

chiesa di San Giovanni Battista. Relazione preliminare, in: R. COLUCCI / I. MARCHET-

TA / M. OSANNA / F. SOGLIANI, Un progetto di archeologia urbana a Matera. Ricerche

preliminari per la redazione della Carta Archeologica di Matera (CAM) tra Antichità e

Medioevo, in: Siris 9 (2008), pp. 122-129.

2 Il Progetto CAM (Carta Storico-Archeologica di Matera) è frutto di una collaborazione

istituzionale tra la Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera, la Soprin-

tendenza ai Beni Archeologici della Basilicata e il Comune di Matera (Direzione Proget-

to: Massimo Osanna; Coordinamento: Anna Maria Patrone, Francesca Sogliani; Coor-

dinamento GIS: Dimitris Roubis; Collaborazioni: Rosanna Colucci, Lara Cossalter,

Maria Danese, Isabella Marchetta). La sezione dedicata all’età post-antica è coordinata

da chi scrive; a Matera in età post-antica sono state dedicate due Tesi di Specializzazione

in Archeologia e Storia dell’Arte tardoantica e medievale discusse nell’A.A. 2006-2007

presso la Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Matera (relatore chi scrive):

M. BILÒ, Progetto CAM - carta archeologica di Matera. Repertorio degli strumenti bib-

liografici e cartografici per la ricostruzione della topografia urbana in etaà post antica e

I. MARCHETTA, Progetto CAM - carta archeologica di Matera. La fisionomia della città

post-antica e del suo territorio attraverso lo studio dei manufatti archeologici del Museo

”D. Ridola” di Matera. La ricerca è collegata, relativamente alla fase post-antica, al

Progetto di ricerca dell’Università della Basilicata dedicato alla Forma Urbis della città

in età Medievale (Prof. F. Panarelli) e post-medievale: progetto PRIN 2004 Costruzione

Un contesto medievale di archeologia urbana 205

altre realtà urbane italiane3

, come tale strumento, nella sua doppia accezio-

ne di carta delle potenzialità archeologiche e carta del rischio archeologico,

si riveli quale mezzo imprescindibile per la pianificazione urbanistica at-

tuale. Funzionale alla salvaguardia del patrimonio archeologico e all'elabo-

razione di programmi di valorizzazione dei siti e dei beni archeologici,

fornisce allo stesso tempo ausilio alla efficace gestione del territorio attra-

verso lo sviluppo di indirizzi di programmazione territoriale in termini di

tutela del patrimonio culturale comune, di economia di interventi infra-

strutturali e di valorizzazione dei paesaggi storici. Altresì le sue finalità

scientifiche si manifestano nella possibilità di raggiungere una conoscenza

ottimale del territorio, sia urbano che extraurbano, che permetta di com-

prendere l’articolazione delle scelte insediative avvenute nel passato, fun-

zionali alle esigenze e alle potenzialità delle singole aree. L’elaborazione di

una Carta circoscritta alle realtà urbane ed extraurbane costituisce senza

dubbio uno sforzo considerevole, in particolar modo se ci si deve confronta-

di una banca dati per la costruzione di un modello di restituzione virtuale della città di

Matera tra Medioevo ed Età moderna. Sul Progetto CAM v. il contributo preliminare

in R. COLUCCI / I. MARCHETTA / M. OSANNA / F. SOGLIANI, Un progetto di archeolo-

gia (come nota 1) e F. SOGLIANI, D. ROUBIS, Strategies and new technologies for urban

archaeology: Matera, a town of Unesco World Heritage, in In/Visible Towns Archae-

ology and Cultural Heritage in Urban Areas, Proceedings of Vienna 15th International

Congress Cultural Heritage and New Technologies (Vienna, 15-17 2010), Wien 2011,

pp. 283-298 (e-book edition http://www.stadtarchaeologie.at/ ?page_id=4268). Per la

ricomposizione dei dati insediativi tra tardoantico e altomedioevo, v. da ultimo F. SOG-

LIANI, Matera tra tarda antichità e alto medioevo, in G. VOLPE (a cura di), Paesaggi e in-

sediamenti urbani in Italia meridionale fra tardoantico e altomedioevo, Secondo Semi-

nario XVIII Réunion de l’Association pour l’Antiquité Tardive (Foggia – Monte S. An-

gelo 27-28 maggio 2006), Bari 2010, pp. 175-191.

3

Dalle prime esperienze degli anni ’80 del secolo scorso in Lombardia si è ora giunti alle

attuali e più complesse elaborazioni in Toscana, Lazio, Veneto ed Emilia Romagna ed

in altre regioni italiane, anche se su scale differenziate. Per una recente sintesi

sull’argomento si rimanda a R. FRANCOVICH / A. RICCI (a cura di), Archeologia e ur-

banistica, (XII Ciclo di Lezioni sulla Ricerca Applicata in Archeologia, Certosa di Pon-

tignano, Siena, 26 gennaio-1 febbraio 2001), Firenze 2002. Si ricorda in particolare la

sperimentazione in tal senso operata dal Comune di Modena, che ha prodotto il proget-

to C.A.R.T. (Carta Archeologica del Rischio Territoriale, http://www.ibc.regione. e-

milia-romagna.it/approf/cart/introduzione.htm), la realizzazione della Carta delle Po-

tenzialità Archeologiche di Faenza, C. GUARNIERI (a cura di), Progettare il passato. Fa-

enza tra pianificazione urbana e Carta Archeologica, (Quaderni di Archeologia

dell’Emilia Romagna 3), Firenze 2000 e l’esperienza senese, BENJAMIN TIXIER, La

piattaforma GIS di Siena: un esempio di uso integrato delle fonti, in: G. VOLPE, P.

FAVIA, V Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Foggia-Manfredonia 30

settembre-3 ottobre 2009), Firenze 2009, pp. 73-77, con bibliografia precedente.

206 F. Sogliani, I. Marchetta

re con una esiguità di dati raccolti in occasione di indagini non sistematiche o

quantomeno non condotte secondo moderne tecniche di studio. Si è voluto

tuttavia affrontare questa sfida per quanto riguarda la città di Matera ed il ter-

ritorio gravitante attorno ad essa, per costruire una base di indagine che rap-

presenti in primo luogo la sintesi degli studi che hanno analizzato l’evoluzio-

ne urbana alla luce dei dati archeologici e della conservazione della stratifica-

zione urbana. Lo scopo è la redazione di uno strumento, allo stesso tempo

scientifico e tecnico, funzionale ad una valutazione preventiva dell’impatto

potenziale degli interventi edilizi moderni sul patrimonio archeologico e ar-

chitettonico urbano antico e alla predisposizione degli indirizzi di program-

mazione delle opere strutturali ed infrastrutturali, oltrechè indispensabile

per qualsiasi politica di valorizzazione e gestione culturale dei beni archeo-

logici e monumentali che arricchiscono, identificandolo, il centro urbano.

Fondamentale in questo percorso si è rivelato il confronto incrociato

con i dati della documentazione scritta e l’interpretazione storica, in parti-

colar modo per le fasi cronologiche post-antiche per le quali la lettura inte-

grata di fonti materiali e fonti documentarie conduce verso ricostruzioni

maggiormente plausibili in termini di cronologie e di sviluppi interpretativi.

I dati desunti dall’indagine archeologica effettuata nell’area antistante la

chiesa di S. Giovanni Battista, integrano significativamente quanto noto

sulle fasi di frequentazione di quest’area extramuranea della città, attestan-

done una continuità d’uso, per l’età medievale, dalla fondazione del primo

impianto religioso (fine XII secolo) all’abbandono del carcere borbonico

nella metà del XX secolo4

. L’intervento archeologico è stato inoltre inte-

grato dal rilievo delle strutture ipogee poste al di sotto della piazzetta San

Rocco, ricavate nel banco tufaceo, con funzione di fosse granarie, ed in segui-

to modificate attraverso la realizzazione di diaframmi in muratura, che han-

no determinato in età recente cambi d’uso degli ambienti. Tali fosse, assieme

ad altre tre individuate limitatamente alla loro apertura superficiale nell’area

circostante il cimitero, confermano l’antica destinazione d’uso di questa

parte della città, nota dal XIII con il toponimo di S. Maria ai Foggiali.

L’esteso cimitero venuto in luce nell’area esterna al prospetto meridio-

nale della chiesa di S. Giovanni Battista5

, è da associare, tra XII e XV seco-

lo, all’edificio di culto allora intitolato a S. Maria (S. Maria la Nova), in uso

4

La ricostruzione delle vicende insediative del complesso religioso attraverso la documen-

tazione scritta è in Francesco PANARELLI, Le origini del monastero, in questo volume.

5

L’intitolazione a S. Giovanni Battista risale alla fine del XVII sec. (1695).

Un contesto medievale di archeologia urbana 207

fino alla data del suo provvisorio abbandono, avvenuto nel 1480, ed anche,

dalla metà del XIV secolo agli inizi del XVI secolo, al contiguo Ospedale di

S. Rocco (attuale sede del Polo Universitario materano), edificato in con-

comitanza con l’epidemia di peste del 1348. Sembra significativo a tal pro-

posito un decreto ecclesiastico del 1582 che conferma la vocazione assi-

stenziale di quest’area, attestando la presenza di chiese e ospedali. L’hospi-

tium di S. Rocco realizzato a spese dell’Universitas della città di Matera,

verrà ceduto ai Padri Riformatori che lo trasformeranno in monastero di

tipo regolare nei primi anni del XVI secolo, mentre l’area a sud-ovest della

chiesa di S. Maria La Nova, limitrofa al cimitero, verrà interessata dalla co-

struzione del nuovo Ospedale, inaugurato nel 16106

. Il cimitero continuerà

ad essere utilizzato in concomitanza con queste opere ed anche con la

nuova fase edilizia della chiesa di S. Maria La Nova, dalla fine del XVII

(1695) secolo riconsacrata sotto l’intitolazione di S. Giovanni Battista. La

dismissione avverrà molto probabilmente alla metà del secolo successivo,

quando un documento del 14 maggio 1746 testimonia l’avvio della costru-

zione del nuovo cimitero parrocchiale nello spazio retrostante la nuova sa-

grestia, quindi lungo il lato settentrionale della chiesa7

.

Qualche ipotesi sulle due prime fasi di utilizzo del cimitero è possibile

fare in base alle notizie sulla composizione sociale della comunità di reli-

giose, riflessa nella documentazione scritta. Nei privilegi concessi alle Mo-

nache di Accon nel primo trentennio del XIII secolo compaiono, accanto

alle sorores penitentes, anche dei presbiteri, nominati dal vescovo, incaricati

della cura spirituale ed anche materiale delle monache. Ad essi doveva esse-

re affidata la gestione amministrativa e il controllo sui diritti e doveri delle

chiese dipendenti dal monastero, tra i quali vi era anche lo ius sepeliendi,

ricordato in particolare in una clausola del privilegio emanato da Papa

Gregorio IX nel 1237 (..Sepulturamque ipsius loci liberam esse decernimus, ut

eorum devotionem et estreme voluntati, qui illic se sepeliri deliberaverint, nisi

forte excommunicati vel interdicti sint, aut puplice usurarii, nullus obsistat

salva tamen iustitia illarum ecclesiarum a quibus mortuorum corpora [assu-

6

Per i documenti che attestano la costruzione ex novo dell’hospitium , completato nel

1615, v. C. FOTI, Ai margini della città murata. Gli insediamenti monastici di San Do-

menico e Santa Maria la Nova a Matera, Venosa 1996, p. 225.

7

Il suolo destinato ad accogliere il nuovo cimitero è considerato “capiente e sufficiente

così per il nuovo cimiterio come anco per farci un’altra camera attaccata al detto per

tenerci carboni e bare”: C. FOTI, Ai margini della città (come nota 6), p. 238.

208 F. Sogliani, I. Marchetta

muntur];)8

. Sicuramente, accanto ai corpi delle monache, piuttosto nume-

rose come appare dagli elenchi presenti nei diversi atti concernenti il mo-

nastero di S. Maria La Nova, nel cimitero trovarono sepoltura anche i per-

sonaggi che a vario titolo gravitavano attorno alla comunità, come appun-

to i presbiteri anzidetti, ed anche i singoli cittadini che contribuirono fi-

nanziariamente all’ampliamento patrimoniale delle moniales, come gli

oblati ed i rappresentanti delle famiglie altolocate della Matera tardome-

dievale, i quali compaiono in qualità di procuratores e di testimoni nei nu-

merosi atti amministrativi del monastero.

Particolare interesse desta quindi lo studio del cimitero9

, la cui esten-

sione doveva essere in origine ben più vasta rispetto alla porzione messa in

luce dagli scavi, occupando anche la fascia antistante l’ingresso principale

della chiesa, ubicato sul lato corto occidentale e l’area a nord di essa. Il caso

esaminato si inserisce nella vasta tematica dell’archeologia funeraria, negli

ultimi decenni ampiamente frequentata nelle ricerche finalizzate all’analisi

e alla comprensione dei costumi funerari post-antichi10

, espressioni caratte-

rizzanti delle pratiche messe in atto dalle singole comunità nel momento

del funerale, inteso come esperienza collettiva e simbolica11

.

8

V. Cristina ANDENNA, Le moniales novarum Penitentium, in questo volume.

9

V. infra contributo di I. MARCHETTA.

10

F. PIUZZI, Consuetudini funerarie e struttura sociale dall’analisi di sepolture medievali e

post-medievali in contesti archeologici stratigrafici. Alcuni casi regionali, in: Archeolo-

gia Medievale, XVI (1989), pp. 695-717.

11

La pubblicazione di un consistente numero di cimiteri medievali e tardomedievali costi-

tuisce ormai un utile termine di riferimento: E. MICHELETTO, Cuneo: complesso con-

ventuale di S. Francesco, in: Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino, LXXX, fasc. I

(1982), pp. 301-302; C. AGRIPPA / E. BOLDRINI / L. CAPPELLI / M. L. CECCARELLI LE-

MUT / C. CUCINI / CUTERI / FRANCOVICH / S. GUIDERI / G. PAOLUCCI / R. PARENTI /

A. ROVELLI / A. VANNINI, Un villaggio di minatori e fonditori di metallo nella Toscana

del medioevo: S. Silvestro (Campiglia Marittima), in: Archeologia Medievale, XII

(1985), pp. 313-402; D. AROBBA / R. CARAMIELLO / C. FALCETTI / G. MURIALDO, Evi-

denze archeologiche e archeobotaniche di funzioni rituali nella cripta protoromanica di

S. Eusebio di Perti (Finale Ligure, SV), in: P. PEDUTO, R. FIORILLO (a cura di), Atti del

III Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Salerno, 2-5 ottobre 2003), Firenze

2003, pp. 705-710; F. MALLEGNI / E. BEDINI / A. VITELLO / L. PAGLIALUNGA / F.

BERTOLI, Su alcuni gruppi umani del territorio piemontese dal IV al XVIII secolo: as-

petti di paleobiologia, in L. MERCANDO / E. MICHELETTO (a cura di), Archeologia in

Piemonte. Il Medioevo, III, Torino 1998, pp. 233-262; A. CROSETTO, Sepolture e usi

funerari medievali, in L. MERCANDO / E. MICHELETTO (a cura di), Archeologia in Pie-

monte. Il Medioevo, III, Torino 1998, pp. 209-232; P. ARTHUR / L. CALCAGNILE / T.

Un contesto medievale di archeologia urbana 209

Nel corso del Medioevo si verifica un processo di normalizzazione da

parte della Chiesa in merito ai dettami riguardanti le sepolture; essa eserci-

ta una sorta di giurisdizione e di privilegio, individuando la norma dei ci-

miteri presso gli edifici ecclesiastici. Nascono i cimiteri dentro e intorno

alle chiese, spesso in spazi appositamente delimitati all’interno delle città.

Tale abitudine non è in realtà che l’esito finale di un lungo processo di tra-

sformazione della consuetudine funeraria che, dalla netta separazione dello

spazio dei vivi da quello dei morti, normata dalla legislazione nell’anti-

chità, procede verso l’ingresso dei defunti nelle città, consolidandosi nella

creazione dei cimiteri attorno agli edifici ecclesiastici, non senza essere pas-

sato attraverso le sepolture in urbe che hanno costituito una delle tracce

più evidenti dell’urbanesimo tardoantico e altomedievale12

. Analogamente

l’antica repulsione per i morti lascia il posto ad un atteggiamento nuovo,

ANDERSON / B. BRUNO / G. QUARTA / M. D'ELIA, Sepolture multiple e datazioni al

radiocarbonio ad alta risoluzione di resti osteologici provenienti dal villaggio di Quatt-

ro Macine, Giuggianello (LE), in: Archeologia Medievale, XXXIV (2007), p. 297; F.

BERTOLDI, M. LIBRENTI (a cura di), Nonantola 2. Il cimitero bassomedievale della chiesa

di San Lorenzo nel Borgo di Nonantola, Firenze 2007; F. MELIA, Il complesso architet-

tonico della Cattedrale di Satrianum. Le sepolture, in: M. OSANNA, L. COLANGELO, G.

CAROLLO, Lo spazio del potere. La residenza ad abside, l’anaktoron, l’episcopio a Tor-

re di Satriano, Venosa 2009, pp. 273-280; M. MILANESE et Alii, Il cimitero medievale di

San Michele – Lo Quarter (Alghero, SS). Campagne di scavo 2008-2009, in: G. VOLPE,

P. FAVIA (a cura di), Atti del V Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Foggia-

Manfredonia, 30 sett.-3 ott. 2009), Firenze 2009, pp. 541-548; F. REDI, A. FORGIONE, C.

MANTELLO, La chiesa di S. Cerbone a Baratti (LI) e l’archeologia funeraria di un insedi-

amento medievale, in: G. VOLPE, P. FAVIA (a cura di), Atti del V Congresso Nazionale

di Archeologia Medievale (Foggia-Manfredonia, 30 sett.-3 ott. 2009), Firenze 2009, pp.

525-530; F. REDI, A. FORGIONE, F. SAVINI, Un esempio significativo di archeologia fu-

neraria: il mausoleo romanico della chiesa di S. Paolo di Barete (AQ), in: G. VOLPE, P.

FAVIA (a cura di), Atti del V Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Foggia-

Manfredonia, 30 sett.-3 ott. 2009), Firenze 2009, pp. 531-534.

12

P. ARIÈS, L’uomo e la morte dal Medioevo a oggi, Roma-Bari 1989. Sul tema archeolo-

gico delle sepolture in urbe, v. R. MENEGHINI / R. SANTANGELI VALENZANI, Sepolture

intramuranee e paesaggio urbano a Roma tra V e VII secolo, in: L. PAROLI / P. DELOGU

(a cura di), La Storia economica di Roma nell’alto Medioevo alla luce dei recenti scavi

archeologici, Roma 1993, pp. 89-111; G.P. BROGIOLO / G. CANTINO WATAGHIN (a cura

di), Sepolture tra IV e VIII secolo, (7° Seminario sul tardo antico e l’alto medioevo in

Italia centro settentrionale (Gardone Riviera 24-26 ottobre 1996), Mantova 1998; V. FI-

OCCHI NICOLAI, Elementi di trasformazione dello spazio funerario tra tarda antichità e

alto medioevo, in: Uomo e spazio nell’alto medioevo, Settimane di studio del Centro Itali-

ano di studi sull’alto medioevo (Spoleto, 2002), Spoleto 2003, pp. 921-969; C. LAMBERT,

Spazi abitativi e sepolture nei contesti urbani, in: J. ORTALLI / M. HEINZELMANN (a cura

di), Abitare in città. La Cisalpina tra impero e medioevo, Wiesbaden, 2003, pp. 229-239;

210 F. Sogliani, I. Marchetta

che oscilla tra l’indifferenza e la familiarità con i corpi dei defunti. Nel

medioevo appare quindi ben evidente la stretta relazione tra la chiesa e il

cimitero, che si espletava sia all’interno delle mura dell’edificio che nelle

aree immediatamente circostanti. Per quanto riguarda queste ultime, esi-

steva una sorta di gerarchia che distingueva la parte esterna all’abside (in

exhedris ecclesiae) e il vestibolo, o sagrato (pradisus) come luoghi destinati

ad accogliere le tombe venerate o privilegiate e le due aree antistanti gli al-

tri muri perimetrali della chiesa, come aree in cui trovavano posto le altre

sepolture. Più complessa appare la destinazione a cimitero degli spazi in-

terni della chiesa; già dal VI secolo gli Atti conciliari registrano frequente-

mente il divieto di seppellire dentro la chiesa, in special modo presso

l’altare, nel coro, mentre imponevano di seppellire accanto alla chiesa. Tale

norma verrà affermata nei testi giuridici per tutto il medioevo ed oltre, fi-

no al secolo XVIII, ammettendo tuttavia delle considerevoli eccezioni, che

riguardavano i vescovi, gli abati, i preti e, con il consenso del vescovo, i fi-

deles laici, cioè coloro che si erano distinti come fondatori o benefattori

della chiesa e pertanto avevano acquisito la dignità di corpi consacrati, as-

similati ai preti unti del Signore13

. I continui divieti canonici riflettono al-

tresì la consuetudine sempre più frequente di farsi seppellire all’interno

delle chiese, senza rispettare le categorie di diritto, circostanza che sembra

trovare riscontro nelle cosiddette laudabiles consuedtudines, cioè le “offerte”

che i parroci riscuotevano dai fedeli che desideravano essere sepolti dentro

le mura della chiesa14

.

Le tombe in questi cimiteri sono generalmente semplici fosse scavate

nel terreno con inumati, non abbigliati, sepolti entro bare lignee senza al-

cun corredo. Non mancano tuttavia sepolture con cassa costruita, in pietra

o laterizio, o quelle scavate nella roccia. L’uso di deporre il defunto abbi-

gliato riacquista una certa importanza nel tardo medioevo: a partire dal

XIII d. C. sono sempre più frequenti le attestazioni di elementi di abbiglia-

mento come fibbie da cintura in ferro o bronzo, bottoni, anelli o collane.

13

Il concilio di Reims del 1683, riprendendo quanto già affermato nel precedente concilio

di Rouen del 1581, distingue nelle seguenti due categorie coloro che possono aspirare al-

la sepoltura in chiesa: 1) i preti e i benemeriti delle chiese; 2) “Coloro che, per la loro

nobiltà, il loro esempio e i loro meriti hanno reso servizio a Dio e alla religione” che,

sono ammessi solo con l’approvazione del vescovo; v. P. ARIÈS, L’uomo e la morte

(come nota 12), pp. 52-58.

14

Sulle pratiche funerarie per la salvazione dell’anima nel tardomedioevo, v. M. BACCI,

Investimenti per l’aldilà. Arte e raccomandazione dell’anima nel Medioevo, Bari 2003.

Un contesto medievale di archeologia urbana 211

Per quanto riguarda il caso di studio presentato in questa sede, in base

all’analisi stratigrafica del riempimento della cava che ospitava le deposi-

zioni, è stato possibile individuare tre fasi di utilizzo del cimitero. La più

antica è coeva alla frequentazione della chiesa di S. Maria la Nova e anno-

vera 84 inumazioni (metà XIII-XIV secolo), la seconda è attribuita all’ul-

timo periodo di presenza delle monache nel complesso di edifici, prima del

loro trasferimento presso la Santissima Annunziata al Piano e conta 11

inumazioni (XIV-XV secolo) ed infine una terza fase, per cui si contano 26

inumazioni, di età post-medievale15

.

Per le prime due fasi, sono attestate sia tombe in fossa terragna, in un

solo caso contenente la cassa lignea, sia tombe a cassa litica in calcare, tutte

orientate e distribuite seguendo un’intensa attività deposizionale nell’area a

ridosso del fianco meridionale della chiesa. L’organizzazione iniziale del

cimitero doveva senza dubbio prevedere un’assetto ordinatamente articola-

to, cui doveva sovrintendere personale addetto in grado di sfruttare al me-

glio lo spazio a disposizione, condizionato dall’invaso della cava di estra-

zione dei blocchi per la costruzione della chiesa, utilizzata appunto in se-

guito come cimitero; lo sviluppo successivo evidenzia un affollarsi delle

sepolture piuttosto significativo, il cui riflesso si coglie nelle deposizioni

multiple all’interno delle casse litiche e sulla loro superficie nonché nei ta-

gli di precedenti fosse terragne per nuove deposizioni., quindi con parziali

o totali sovrapposizioni che confermano l’uso prolungato dell’area. Nel

contempo non risulta apprezzabile, in tale distribuzione, la selezione di

aree specifiche destinate ad accogliere le sepolture di gruppi sociali definiti.

Relativamente all’ultima fase, caratterizzata come sembra da una disor-

ganizzazione delle pratiche funerarie, lo scavo ha evidenziato circa 10 nu-

clei di sepolture multiple, concentrati nella parte centrale dell’area, che po-

trebbero ricondursi ad un ciclo endemico che tra seicento e settecento ha

investito in più momenti la città. Le sepolture sono state realizzate intac-

cando e sconvolgendo le deposizioni ed i contenitori funerari preesistenti,

che non dovevano essere sicuramente provviste di elementi di segnalazione

in superficie, per lo meno in materiale non deperibile. Esse mostrano una

disposizione spaziale piuttosto casuale, con diversi livelli di sovrapposizio-

ne e diverso orientamento, ma al contempo lasciano ipotizzare una sequenza

temporale di deposizione piuttosto breve.

15

Per la descrizione delle diverse fasi del cimitero, v. contributo di I. MARCHETTA infra.

212 F. Sogliani, I. Marchetta

I dati derivanti dall’analisi del cimitero di Santa Maria la Nova giungo-

no ad integrare quanto noto di altri cimiteri tardomedievali identificati a

Matera, ubicati presso la chiesa di San Pietro Barisano, Santa Barbara, S.

Giovanni in Monterrone (fig. 2).

Figura 2. Ubicazione delle aree cimiteriali rinvenute nel centro urbano 1: San Ni-

cola dei Greci; 2: San Pietro Barisano; 3: San Giovanni Battista; 5: Piaz-

za San Francesco; 6: San Giovanni in Monterrone; 7: rione Le Malve).

In particolare il cimitero all’interno della chiesa di S. Pietro Barisano16

,

presenta analogie cronologiche e tipologiche piuttosto strette con S. Maria

la Nova, evidenti sia nella presenza di tombe “a loggetta”17

, che nell’attri-

16

B. BRUNO, Archeologia medievale nei Sassi di Matera, in: S. PATITUCCI UGGERI (a cura

di), Scavi Medievali in Italia 1996-99 (Atti della Seconda Conferenza Italiana di Archeo-

logia Medievale, 16-18 dicembre 1999), Roma 2001, pp, 136-148.

17

La tipologia di tomba a “loggetta”, diffusa come appare nell’area urbana, è presente an-

che nelle necropoli disseminate lungo la gravina come ad esempio quella identificata nel

villaggio rurale bassomedievale Madonna della Loe, v. E. LAPADULA, Indagine archeo-

logica nell’insediamento del vallone della Madonna della Loe (Matera). Risultati preli-

minari, in: Siris III (2002), p. 221, fig. 12.

Un contesto medievale di archeologia urbana 213

buzione di una delle fasi di frequentazione del cimitero all’età angioina, ac-

certata peraltro dal rinvenimento di un tesoretto di 24 monete in bronzo

di Carlo d’Angiò, databili tra il 1266 e il 1285, accanto ad uno degli inuma-

ti. Anche il cimitero di San Pietro Barisano avrà una continuità di utilizzo,

attestata da una fase di XVI secolo che si prolunga, con la realizzazione di

ossari, fino al XVIII. Altri cimiteri tardomedievali erano presenti presso la

chiesa di Santa Barbara e di San Giovanni in Monterrone, caratterizzati pe-

rò da una inferiore densità di sepolture e dalla realizzazione di tombe sca-

vate nella roccia in posto, così come una fase di XII secolo è stata identifi-

cata presso la necropoli altomedievale di S. Lucia alle Malve18

.

Sicuramente l’analisi dettagliata dei reperti scheletrici del cimitero di S.

Maria la Nova19

, unitamente all’approfondimento degli aspetti tipologici e

delle caratteristiche distributive degli altri cimiteri urbani e suburbani di

Matera databili ad età tardomedievale e post-medievale consentirà, giovan-

dosi peraltro del confronto con altri contesti funerari recentemente inda-

gati archeologicamente in altre aree della penisola20

, di delineare meglio le

modalità d’uso degli spazi urbani e periurbani a scopo funerario dall’età

medievale fino alla soppressione napoleonica della metà del XIX secolo.

Pur nella consapevolezza che spesso non è possibile, come nel nostro caso,

scavare per intero i cimiteri e pertanto valutare appieno l’indice di rappre-

sentatività del campione esaminato, lo studio in corso sul cimitero di S.

Maria la Nova/S. Giovanni, in particolare dal punto di vista antropologi-

co, consentirà di ampliare le conoscenze sul rituale funerario e sugli aspetti

demografici e sociali di parte della comunità cittadina nella diacronia.

F.S.

18

B. BRUNO, Archeologia medievale (come nota 16), pp. 141-148.

19

Nuove e più complete informazioni deriveranno dallo studio antropologico dei reperti

scheletrici, in corso di studio, di cui si darà conto in un prossimo contributo. Per un

inquadramento sul recupero e lo studio di resti umani da contesti di scavo, v. S. MAYS,

The Archaeology of Human Bones, London 1990; D.H. UBELAKER, Human skeletal

remains: Excavation, Analysis, Interpretation, Washington D.C. 1999; A. CANCI, S.

MINOZZI, Archeologia dei resti umani. Dallo scavo al laboratorio, Roma 2005; H. DU-

DAY, Lezioni di archeonatologia. Archeologia funeraria e antropologia sul campo, Ro-

ma 2005; F. MALLEGNI (a cura di), Memorie dal sottosuolo e dintorni. Metodologie per

un recupero e trattamenti adeguati dei resti umani erratici e da sepolture, Pisa 2005.

20

V. supra nota 11.

214 F. Sogliani, I. Marchetta

I dati di scavo

La chiesa. Come è emerso dalla documentazione scritta21

, un primitivo

impianto della chiesa di Santa Maria la Nova sembrerebbe risalire ad una

data precedente al 1204, momento in cui è testimoniata la vendita di una

vigna ad Angelo de Ulmis Abbati ecclesie Sante Marie Nove. A questa data il

luogo di culto era forse officiato da monaci che lo tennero fino al 1212 quan-

do fu concesso alle monache di Accon. Successivamente tre bolle papali22

, re-

datte tra il 1232 e il 1238, confermano la proprietà dell’edificio alle monache

orientali e l’attività edilizia intorno alla chiesa in questo arco di tempo23

.

La campagna di scavo, effettuata tra il 2006 e il 2007, ha consentito di

individuare le fasi d’uso di questi spazi dal momento della costruzione del

nuovo impianto romanico fino al suo abbandono in favore del poco di-

stante Convento dell’Annunziata. L’indagine archeologica ha infatti con-

sentito di documentare anche le fasi di cantiere relative alla costruzione del-

l’impianto di metà XIII secolo, poiché al termine delle operazioni di scavo

è venuta in luce una cava di calcarenite che occupava l’intera area esplora-

ta, con buona probabilità ricollegabile all’edificio romanico (fig. 3).

La capacità della cava, nel tratto indagato, è di ca. 250 m3

; la cava pre-

senta una forma irregolare e una profondità variabile (dai 160 cm nel pun-

to di massima profondità ai 60 cm) che tendeva ad assestarsi a circa un me-

tro in corrispondenza del perimetrale meridionale della chiesa. La sua

estensione e forma sembrano fortemente condizionate da alcune preesi-

stenze ipogee oltre che dalla qualità del banco roccioso.

Sebbene non sia possibile stabilire se la cava si sviluppasse limitatamen-

te a quest’area o anche lungo gli altri lati dell’edificio, non vi sono dubbi

che essa possa ricollegarsi alla costruzione della chiesa. L’omogeneità del

piano di posa delle fondazioni, rintracciato a poco meno di un metro di

profondità dal calpestio antico, fa pensare che fosse stata predisposta una

21

Francesco PANARELLI, Le origini del monastero, in questo volume; Cristina ANDENNA,

Le Moniales Novarum Penitentium, in questo volume.

22

V. supra nota 21.

23

Sulla parete absidale è murata la probabile pietra di fondazione dell’impianto su cui è

incisa la data MCCXXIX, probabilmente la data di posa della prima pietra. L’8 gennaio

1233 la fabbrica era ancora incompleta e le monache assegnavano a un tal Melo Spano,

sindaco della loro confraternita, il compito di amministrare le rendite al fine di com-

pletare la costruzione dell’edificio ecclesiastico. Sui tempi della edificazione si veda il

contributo di L. DE ROSA in questo volume.

Un contesto medievale di archeologia urbana 215

vera e propria platea di fondazione e che al tempo stesso si fosse sfruttato il

banco per estrarre i materiali costruttivi delle murature perimetrali (fig. 4).

Figura 3. Panoramica dell’area al termine delle indagini.

Il modulo degli strappi, evidenziato da numerosi testimoni sulla super-

ficie della cava, aveva ricorrenza uniforme di cm 50 x 30 x 25, e trovava ri-

spondenza nei blocchi utilizzati per la fondazione (fig. 5). Inoltre un calco-

lo approssimativo del numero dei blocchi estratti nel tratto di cava venuto

in luce, evidenzia che questa poteva assolvere all’esigenza costruttiva per

l’innalzamento del perimetrale meridionale, ovvero un muro lungo 19 me-

tri e alto 11. L’insieme dei dati indicherebbe quindi che siamo di fronte al

cantiere estrattivo relativo all’edificio del 1233.

Nessun dato sembra invece testimoniare la presenza di un impianto re-

ligioso precedente e anche l’analisi preliminare dei materiali di scavo spin-

ge la datazione alla prima metà del XIII secolo, lasciando aperta la questio-

ne della prima fondazione della chiesa. La discussione sulla cronologia e

l’ubicazione di un ipotetico primo impianto fu sollevata nel 1969 quando,

in occasione di alcuni lavori di ammodernamento interni alla chiesa, l’arch.

216 F. Sogliani, I. Marchetta

Zampino effettuò alcuni sondaggi al di sotto del piano pavimentale. I saggi,

disposti nell’attuale navata sinistra della chiesa e a ridosso dei pilastri, rive-

larono la presenza, presso tutte le colonne, di un basamento in blocchi di

tufo poggiato su un livello di quota inferiore di ca. 90 cm.

Tale livello fu interpretato come il calpestio originario della chiesa, ma

la documentazione di scavo24

, assai scarna, non consente una lettura critica

del dato che permetta di ipotizzare un collegamento con i dati desunti dal-

l’indagine archeologica che si presenta in questa sede.

Né sembra possibile supporre che la fabbrica di metà XIII secolo abbia

sfruttato le fondazioni di una precedente costruzione, poiché un’attenta

lettura stratigrafica del prospetto murario del perimetrale sud dell’edificio,

non ha evidenziato alcuna cesura tra la fondazione e i primi filari d’alzato

venuti in luce. La tecnica costruttiva, infatti, risultava omogenea per

l’intera lunghezza del muro. La fondazione del perimetrale meridionale,

inoltre, poggiava direttamente sul piano della cava che, come già detto, co-

stituiva la platea di fondazione dell’intero complesso architettonico. La

mancanza della fossa di fondazione e la tecnica costruttiva della muratura

testimoniano l’assoluta contemporaneità dell’intervento edilizio.

Il muro in fondazione consisteva di quattro filari di blocchi disposti, al-

ternativamente per testa e per taglio. I primi due filari, a gradoni poco ag-

gettanti, erano realizzati meno accuratamente con interstizi irregolari; i

successivi livelli erano a facciavista con messa in opera più attenta. Il fronte

meridionale originario della chiesa aveva quindi uno zoccolo realizzato

con filari di blocchi ammorsati tramite i conci disposti per testa, che arri-

vava a 70 cm dal piano di fondazione. A questa altezza, su un basamento

appena aggettante, s’impostavano le sei lesene che scandivano il perimetra-

le, oggi parzialmente occultate dall’arcone settecentesco che incornicia il

portale d’ingresso25

.

24

La documentazione relativa all’intervento è costituita da una lettera in cui il Soprinten-

dente Zampino proponeva il ripristino dell’antica quota di calpestio venuta in luce al

Vicario Generale, al parroco della chiesa e all’Arcivescovo della città, e da una foto

d’archivio gentilmente fornita dall’architetto della Soprintendenza ai Beni Monumenta-

li B. La Fratta in occasione delle indagini recenti.

25

In corso di scavo si è verificata la presenza di 3 lesene nelle campate a est del portale a

ca. 2 metri di distanza l’una dall’altra mentre, ad ovest di questo ne erano visibili solo 2

distanti ca. 4 metri l’una dall’altra. Secondo la ricorrenza del modulo la lesena interme-

dia è occultata dal secondo pilastro.

Un contesto medievale di archeologia urbana 217

Lo spazio esterno, antistante all’ingresso meridionale, era pavimentato

con uno spesso strato di tufina compatta, piuttosto omogeneo (unità stra-

tigrafica 2). A causa dei numerosi interventi di ristrutturazione che la chie-

sa ha subito nel corso dei secoli e dell’impianto di un fitto cimitero, questo

piano è venuto in luce in pessime condizioni di conservazione, esteso solo

in una piccola porzione dell’area e privo di rapporti fisici con altre unità

stratigrafiche datanti, ad eccezione delle tombe a cassa 58 e 59.

Tuttavia la sua cronologia è confermata dalla presenza, in strato, di un

frammento ceramico, assegnabile per confronto alla prima metà del XIII

secolo26

(Fig. 6).

Figura 4. Segni dell’estrazione dei blocchi sul piano della cava.

26

Si tratta del fondo di un piatto decorato “a sgraffio” di un tipo documentato a Brindisi, pur-

troppo fuori contesto, S. PATITUCCI UGGERI, Le ceramiche bizantine della Puglia nor-

manno-sveva, in: C. MARANGIO / A. NITTI (a cura di), Scritti in memoria di Benita Sciarra

Bardaro, Fasano 1994, pp. 85-100, in particolare fig. 6b; a Bari presso la piazza Mercanti-

le, P. FAVIA, Rapporti con l’Oriente e mediazioni tecnologiche nella produzione cera-

mica bassomedievale della Puglia centrosettentrionale: gli influssi bizantini, la presenza

saracena e le elaborazioni locali, in: Atti del XL Convegno Internazionale della cerami-

ca (Savona-Albisola Marina, 11-12 Maggio 2007), fig. 10, p. 8; e a Otranto, F. D’ANDRIA

/ D. WITHEHOUSE (a cura di), Excavations at Otranto, II. The finds, Galatina 1992, fig.

6:19, nn. 605-610, 615-616. In particolare sembra assimilabile ad alcuni manufatti da

Otranto prodotti localmente nel XIII secolo. Una produzione locale di ceramica graffi-

ta imitante quella importata, compare ad Otranto nelle stratigrafie di inizi XIII secolo.

218 F. Sogliani, I. Marchetta

Figura 5. Fondazione del perimetrale meridionale.

Un contesto medievale di archeologia urbana 219

In questa fase, la facciata principale era ad ovest dove era ubicato anche

l’ingresso maggiore27

. Esso venne in luce nel 199428

, in occasione di alcuni

interventi di restauro relativi alle contigue fabbriche dell’ex-ospedale citta-

dino29

(fig. 7).

A nord della chiesa erano probabilmente ubicate le fabbriche conven-

tuali, di cui non rimane alcuna traccia. Quel che è certo è che già alla fine

del XVI secolo, secondo la descrizione del cronachista Verricelli30

, l’area

era occupata da un giardino. Tale giardino fu parzialmente smantellato

nell’anno 1862 quando si decise di “togliere finalmente tutto il terrapieno che

cagiona grande umidità nel circuito sì della chiesa che della sagristia; e perciò

atterrare l’antico cimitero, formare in un altro punto del giardinetto i luoghi,

il serbatoio della calce, l’incanalamento delle acque nel pozzo, ed altra cosa

conveniente a raggiungere il fine”31

.

L’analisi del manufatto architettonico, quindi, indica che la fabbrica

inaugurata nel 1233 aveva il suo ingresso principale ad ovest, dove l’area

era ancora sgombra di edifici, e un monastero con un giardino a nord.

Inoltre, così come indicano i dati documentari che ubicano la chiesa di

Santa Maria la Nova presso i foggiali32

, l’intera zona era occupata da nume-

rose fosse granarie e cisterne.

27

Attualmente la facciata principale con ingresso alla chiesa è a sud mentre l’asse interno

non ha subito modifiche. Modifiche al prospetto meridionale vennero effettuate nel

1793, a seguito di lavori di ripristino dell’area. Alla facciata fu addossata una fodera

muraria ad arconi che incorniciava il portale. Al di sopra del portale una nicchia

conteneva la statua del nuovo santo titolare San Giovanni Battista, cfr. C. FOTI, Ai

margini della città (come nota 6).

28

Per una completa trattazione delle fasi edilizie del complesso architettonico si veda C.

FOTI, Ai margini della città (come nota 6), pp. 91-167; da ultimo infra contributo di L.

DE ROSA.

29

La facciata principale della chiesa di Santa Maria la Nova fu inglobata nell’hospitium

costruito a partire dal 1610, in sostituzione del precedente e limitrofo hospitium di S.

Rocco. Nel 1749 l’hospitium fu tramutato in Carcere Regio. Alla fine del XVIII secolo

nell’edificio troverà posto il nuovo Ospedale Civico.

30

E. VERRICELLI, Cronica della città di Matera nel Regno di Napoli (1595 e 1596), edizio-

ne a cura di M. MOLITERNI / C. MOTTA / M. PADULA, Matera 1987, p. 98.

31

Archivio San Giovanni Battista, Libro maggiore dal 9/1/1779 al 18/3/1837; cfr. C. FO-

TI, Ai margini della città (come nota 6), p. 280-281, nota 324.

32

F. UGHELLI, Italia Sacra, tomo VIII coll. 40; C. FOTI, Ai margini della città (come nota

6), pp. 38-94.

220 F. Sogliani, I. Marchetta

Figura 6. Piano in tufina compattata e frammento di ceramica decorata a sgraffio

rinvenuto nello strato.

In particolare i foggiali erano fosse alquanto profonde utilizzate per

raccogliere e custodire le derrate cerealicole33

. La corretta conservazione

33

Sulla sotterranea conservazione delle derrate agricole nel medioevo, tra gli altri, si ve-

dano: A. CORTONESI, Sulla conservazione dei cereali nell’Italia medioevale. Lavoro e

tecniche nelle testimonianze laziali (secc. XIII-XV) in: Rivista di Storia dell’Agricoltura,

XXXI,1 (1991), pp. 33-49; A. CORTONESI, I cereali nell’Italia del Tardo medioevo. Note

sugli aspetti qualitativi e di consumo, in: Rivista di Storia dell’Agricoltura XXXVII,1

(1997), pp. 3-9; L. CIARAVELLINI, Tecnica di coltivazione e di conservazione del grano

nel corso dei tempi, in: Rivista di Storia dell’Agricoltura, IX,2 (1969), pp. 125-137; G.

NOYÈ, Les problèmes posés par l’identification et l’étude des fossez-silos sur un site

d’Italie méridionale, in: Archeologia Medievale, VIII (1981), pp. 421-438; D. ANDREWS,

Underground grain storage in central Italy, in J. OSBORNE, D. WITHEHOUSE, Medieval

Lazio, Studies in architecture, painting and ceramics, Oxford 1982, pp. 123-135; H.

ZUG TUCCI, Le derrate agricole: problemi materiali e concezioni mentali della conser-

Un contesto medievale di archeologia urbana 221

era garantita da un’argilla locale molto ferrosa, che Verricelli cita come

“bolo russo” 34

, ma noto come bolo armeno, “di qualità, colori, sapori et

virtù non miga al vero armeno inferiore (…) che gli abitatori per antico co-

stume mescolando con calcina e tegola ne fanno toniche per cisterne e fos-

se dove si conservano le acque freddissime e i frumenti dalla putrefazione

per molti anni asciutti e ben condizionati”35

.

Figura 7. Rinvenimento della facciata principale durante i lavori di restauro del 1994.

Questa tecnica di condizionamento delle fosse granarie trova riscontri in

Capitanata dove alcuni silos, piuttosto grandi (raggiungevano i sei metri di

vazione, in: Atti delle Settimane del Centro Italiano Studi sull’Alto Medioevo,

XXXVII,II (1990), pp. 865-902.

34

E. VERRICELLI, Cronica (come nota 30), p. 36.

35

Archivio Generale Agostiniano, Carte Rocca, fascicoli T/152, Matera e T/53 Matera e

Montescaglioso. Cfr C. FOTI, Ai margini della città (come nota 6), p. 288.

222 F. Sogliani, I. Marchetta

profondità e i cinque di larghezza) erano rivestiti di mattoncini e poi intona-

cati36

, mentre un rivestimento con paglia o stuoie è documentato a Mandolfo

e più in generale nei contesti marchigiani37

e con incannucciati in Sicilia38

.

La tecnica di rivestimento delle superfici dei foggiali materani garantiva

una perfetta conservazione delle derrate che, secondo Verricelli, riuscivano

a preservarsi per “otto et più anni” mentre la sostituzione della “felcatura”

(foderatura in paglia) doveva avvenire di frequente39

. La forma dei foggiali

indagati nella piazza è a sviluppo cilindrico, la copertura tronco-conica e

completata da un pozzetto d’approvvigionamento fisso al livello del piano

di calpestio40

(fig. 8).

36

R. LICINIO, Uomini e terre nella Puglia Medievale. Dagli Sevi agli Aragonesi, Bari 1983,

pp. 43-45; G. DE TROIA, Il piano delle fosse di Foggia e quelli della Capitanata, Fasano

1992.

37

R. BERNACCHIA, Le fosse da grano a Mandolfo, in: Officina-Quaderni dell’Associazione

Monte Offo, 1 (2006), pp. 47-67.

38

H. BRESC, Fosses à grain en Sicile (XIIe-XVI

e siècle), in Les techniques de conservations

des grains à long terme. Leur rôle dans la dynamique des systèmes des cultures et des

sociétés, sous la direction de M. GAST et F. SIGAUT, Paris 1979, pp. 113-121.

39

R. BERNACCHIA, Le fosse da grano (come nota 37), pp. 54-56; A. CORTONESI, Sulla

conservazione dei cereali (come nota 33), pp. 36-38.

40

Di particolare interesse, relativamente ai modi di approvvigionamento e di utilizzo del-

le fosse durante il XV secolo, risulta la rappresentazione di Guidoccio Cozzarelli (1450-

1516), La misurazione del grano (Witt Library Collection), riportata nell’articolo di

Roberto Bernacchia R. BERNACCHIA, Le fosse da grano (come nota 37), p. 65, dove

compaiono operai e proprietari delle fosse granarie intenti nelle attività di riempimen-

to, prelievo e misurazione delle derrate contenute in pozzetti sotterranei. Nella scena è

evidente che le derrate erano conservate in fosse di duplice tipologia: da un lato una sor-

ta di dolia moderni per piccole riserve, dall’altra pozzetti piuttosto profondi a cui si ac-

cedeva con un sistema di paranchi e secchi di legno. Le fervide attività economiche in-

torno a questi sotterranei granai cittadini per tutti i secoli XII-XV, come la stessa scena

rappresentata da Cozzarelli testimonia, sono sottolineate dal fatto che non si è in

presenza di isolati silos associati a singole abitazioni, ma di un considerevole numero di

unità concentrate in vere e proprie ‘aree-dispensa’ della città. A Matera, come già detto,

erano tanto numerosi lungo l’attuale via San Biagio che la chiesa stessa era identificata

come Santa Maria ai foggiali. Anche nel succitato caso di Mandolfo le fonti documenta-

rie identificano un’area di alta densità di fosse granarie con il toponimo “fossarile Sancte

Lucie” (dalla vicina chiesetta di Santa Lucia) e lo stesso autore cita altri casi nelle Marche

in cui si riscontra la presenza di aree riservate a “fossarile”, IBIDEM, p. 51. Un analogo

caso è documentato anche in territorio pugliese, area del Tavoliere, G. DE TROIA, Il pi-

ano delle fosse (come nota 36). L’importante ruolo socio-economico svolto dal possesso

di queste fosse è altresì sottolineato dall’abbondante documentazione scritta relativa a

Un contesto medievale di archeologia urbana 223

Le voltine che sormontavano i pozzetti, poste a sigillo dell’ambiente

ipogeo, consentivano all’ambiente di rimanere a lungo de-ossigenato e, di

conseguenza, di conservare più a lungo i cereali e il grano.

I vani sotterranei, infatti, successivamente al più antico uso come fosse

granarie o cisterne documentato dalle fonti, furono utilizzati come cantine

e dimore con trasformazioni sostanziali dell’impianto originario41

.

Figura 8. Ipogei con coperture troncoconiche rilevate al di sotto della piazza,

presso la chiesa di San Rocco (ubicazione, pianta e sezioni)

passaggi di proprietà, vendita e cessione in dote di queste strutture ipogee e dall’elevato

costo di alienazione. Tuttavia, se inizialmente, almeno fino al pieno XV secolo, tali fos-

se erano addensate in aree comuni, concentrate nelle mani di ricche famiglie o strutture

religiose, che le concedevano anche in enfiteusi, in una fase successiva queste diverranno

parte integrante delle singole unità domestiche.

41

Nel corso della recente campagna di scavo è stato possibile rilevare in dettaglio diverse

strutture ipogee, tutte riadattate a cantine, presumibilmente nel settecento ed in seguito

ad abitazioni o ambienti artigianali, nel XX secolo.

224 F. Sogliani, I. Marchetta

La presenza di numerosi vani ipogei in quest’area era già nota e, in pre-

visione dei lavori di consolidamento della piazza, tali locali erano stati cen-

siti e rilevati, ma per nessuno era possibile determinare, in maniera certa,

l’appartenenza al periodo medievale.

Alcuni dati di scavo hanno finalmente consentito di determinare la

cronologia di un nucleo di tredici fosse granarie contigue che occupavano

lo spazio sottostante all’area di scavo. Infatti, la cava di calcarenite pianifi-

cata per la costruzione della chiesa di Santa Maria la Nova, come si è ac-

cennato, teneva conto dell’ubicazione dei vani ipogei nel suo sviluppo al-

timetrico e longitudinale testimoniando che le fosse preesistevano alla cava

e di conseguenza alla chiesa42

.

Sembra dunque possibile identificare le tredici fosse granarie rinvenute

con alcuni dei foggiali citati dalle fonti (fig. 9).

Dopo circa un secolo dalla sua fondazione, la chiesa di Santa Maria la

Nova vide un progressivo impoverimento mentre, a seguito della peste del

1347, con la costruzione di un edificio accanto alla chiesa per la cura dei

malati, questa zona acquisirà “una forte vocazione assistenziale” connotan-

dosi ancora una volta rispetto ad altre aree urbane.

Proprio questo aspetto le consentirà di rivitalizzarsi, a partire dal 1610,

con il rinnovo delle fabbriche ospedaliere e il conseguente ripristino delle

strutture ecclesiastiche. Il riferimento assistenziale che i complessi religiosi

dell’area rivestirono si mantenne, con una cesura tra fine XV e inizi XVII

secolo, fino al XIX secolo quando il complesso ospedaliero fu convertito

in Carcere Regio, per volontà dei Borboni

Il cimitero. Al termine delle attività di estrazione dei blocchi lapidei e

di innalzamento dei primi livelli di fondazione del muro perimetrale meri-

dionale della chiesa, la cava fu colmata fino al livello di calpestio pianifica-

to per l’edificio (unità stratigrafica 87). Contestualmente furono completa-

te le attività edilizie intono alla chiesa e lo spazio del sagrato meridionale

fu pavimentato con un livello compatto di tufina (unità stratigrafica 2).

Come di consueto negli spazi sacri attigui agli edifici religiosi, cominciaro-

no anche ad effettuarsi delle sepolture.

42

La cava subiva una brusca deviazione nel suo andamento proprio nel tratto in cui erano

ubicate le tredici fosse e si innalzava improvvisamente di quota nel tratto centrale dove,

un piccolo sondaggio, ha rivelato la presenza di una ulteriore cavità sotterranea. Per la

proprietà di fosse e fovee da parte del monastero cf. il contributo di M. GRANIERI in

questo volume.

Un contesto medievale di archeologia urbana 225

Figura 9. Pianta dei foggiali localizzati al di sotto dell’area di scavo

226 F. Sogliani, I. Marchetta

Le fasi di deposizione individuate entro la colmata della cava sono tre:

una relativa all’arco di vita della chiesa, la seconda successiva all’abban-

dono delle fabbriche conventuali ad essa annesse, in favore del nuovo con-

vento della Santissima Annunziata al Piano (fig. 10) ed una terza di età post-

medievale, di cui si darà conto in un prossimo lavoro.

L’area presentava una sequenza di deposizioni più fitta in prossimità del

settore ovest dell’area di scavo, ovvero verso l’originaria facciata principa-

le, e nella zona adiacente alla porta laterale mentre la densità diminuiva nel

settore orientale. Il nucleo più consistente di deposizioni è riferibile alla

fase edilizia originaria della chiesa di Santa Maria La Nova.

Pur disposte disordinatamente con più livelli di sovrapposizione erano

tutte orientate est-ovest e prevedevano l’inumazione in cassa litica o in fos-

sa nuda. In un unico caso è stata documentata la presenza di una bara li-

gnea (CF 265) testimoniata dai alcuni chiodi in situ (fig. 11).

Non sembra esistere una differenziazione sociale connessa al tipo di se-

poltura poiché non sono state evidenziate presenze diversificate di accesso-

ri associati agli inumati deposti in cassa litica e a quelli in semplice fossa

terragna. Infatti i pochi oggetti rinvenuti erano costituiti da semplici ele-

menti metallici relativi all’abbigliamento del defunto, prevalentemente in

ferro con eccezione di alcune fibbie e di due paia di orecchini in bronzo

(fig. 14). Anche il rituale di sepoltura è analogo: i defunti sono supini,

hanno il cranio appena sollevato che guarda ad est e le braccia conserte al-

l’altezza dell’addome o ripiegate sul bacino (fig. 12).

Le tombe a fossa. Il più significativo numero di sepolture riferibili alla

prima fase d’uso della chiesa è del tipo a fossa terragna con deposizione nuda.

Le fosse erano tagliate nello strato che costituiva la colmata della cava

(unità stratigrafica 87) ed erano disposte in modo caotico e sovraffollato,

ma con medesimo orientamento.

In pochi casi è stato attestato il riutilizzo della medesima fossa (DF 182-

221; DF 213-270; DF 9-69) poiché, più generalmente, le fosse erano mono-

some. Tuttavia la loro sovrapposizione risultava molto fitta con inumati

rinvenuti fino alla profondità di 160 cm dal calpestio medievale e deposti

secondo una sequenza caotica e disordinata priva di elementi cronologici

specifici. In corso di scavo si è più volte verificato che una sepoltura più

recente venisse in luce ad una quota di gran lunga inferiore rispetto a quel-

la che la precedeva. Ad esempio la tomba con cassa lignea 265 adagiata sul

piano di cava, tagliava la deposizione 266, costretta lungo la spalletta nord

Un contesto medievale di archeologia urbana 227

Figura 10. Le due fasi di deposizione medievali in corso di scavo con la sequenza

di inumati sepolti nell’ unità stratigrafica 48 (fase d’abbandono) e 87

(fase d’uso della chiesa).

Figura 11. Deposizione in fossa terragna entro cassa lignea deposta sul piano della cava.

228 F. Sogliani, I. Marchetta

Figura 12. Sequenza di deposizioni a ridosso dell’ingresso meridionale della chiesa

orientate E-W, con cranio sollevato e braccia conserte.

di una delle tombe a cassa identificate (CF 68), a sua volta successiva ad una

sequenza di altre cinque sepolture (210-212, 223, 241 e 220).

Un contesto medievale di archeologia urbana 229

Principalmente le tombe a fossa occupavano l’area a ridosso dell’ingres-

so con particolare concentrazione a ovest di questo. Proprio in questa zona

della necropoli, infatti, le casse in blocchi di calcarenite erano obliterate da

un livello di deposizioni particolarmente ‘affollato’. Si contano oltre 30 se-

polture in poco più di 20 m2

, deposte in successione tra metà XIII e XIV

secolo.

La cronologia è definita dai materiali ceramici rinvenuti entro il consi-

stente strato di riempimento della cava (unità stratigrafica 87) e dall’analisi

dei pochi elementi d’abbigliamento relativi alle deposizioni tagliate in que-

sto riempimento, ed evidentemente di poco successive ad esso. La ceramica

contenuta nello strato è costituita da alcuni frammenti ceramici invetriati e

dipinti in rosso e bruno, o in rosso-bruno-verde su ingobbio, relativi a

produzioni non anteriori alla seconda metà XIII secolo, mentre il terminus

ante quem è definito dal rinvenimento, nello strato di frequentazione suc-

cessivo (unità stratigrafica 48), di un frammento di ceramica graffita su in-

gobbio dipinto in verde e giallo con datazione di fine XV-inizi XVI seco-

lo43

(fig. 13). Questa cronologia, compresa tra la seconda metà del XIII e la

fine del XIV secolo, sembra trovare conferma negli elementi di abbiglia-

mento e ornamento che hanno restituito alcune deposizioni in fossa terra-

gna (fig. 14).

La deposizione 10, pertinente a una bambina, aveva un paio di orecchi-

ni in argento e una fibbia in ferro (fig. 14, RP 10/1-2). Gli orecchini, costi-

tuiti da due piccole sfere con decorazione a puntini rilevati, sono confron-

43

Il frammento proveniente dall’unità stratigrafica 48 è graffito nelle zone d’utilizzo del

verde e del giallo. Tale caratteristica ne esclude l’attribuzione alla produzione alle pro-

tograffite pugliesi che limitavano lo sgraffio alle aree verdi nella bicromia rosso-verde,

cfr. C. CASTRONOVI/ S. DI MATTEO, Le produzioni di ceramica graffita nel Salento, in:

Quaderni della ceramica di Cutrofiano IV-V (2000), pp. 11-31. Un piatto simile, con la

decorazione secondaria a losanghe campite in verde e giallo, è stato identificato presso

la chiesa di Santa Maria di Pierno, attribuito al XV secolo, L. CAPPIELLO/S. PAGLIUCA,

Santa Maria di Pierno: il santuario e i resti della Badia, in: Basilicata Regione Notizie

(1999-2), p. 149. Anche tra i materiali di un recente scavo presso il castello di Montese-

rico, Genzano di Lucania (PZ) sono stati rinvenuti alcuni frammenti di piatti con me-

desimo modulo decorativo e cronologia successiva al XV secolo (dato inedito). In Ab-

ruzzo le ingobbiate e graffite, trovano la loro prima fase produttiva a partire dal XV se-

colo, cfr. S. PANNUZI / A. STAFFA, La ceramica postmedievale in Abruzzo: primi dati

archeologici, in: Albisola XIX (1994), pp. 114-117, mentre presso il castello di Salerno

alla produzione graffita locale è stata assegnata una cronologia di metà XIV-inizi XV se-

colo, A. DE CRESCENZO, La ceramica graffita del Castello di Salerno, Napoli 1990.

230 F. Sogliani, I. Marchetta

tabili con quelli rinvenuti a Torre di Mare44

, mentre la fibbia in ferro con

gancio uncinato trova un corrispettivo nel contesto dell’Esedra della Cryp-

ta Balbi assegnato alle seconda metà del XIV secolo45

.

Figura 13. Tavola dei materiali ceramici relativi alle due fasi di deposizione me-

dievali.

Nella deposizione 110, una grande fibbia circolare in ferro associata a

due anelli laterali è databile alla fine del XIII-metà XIV secolo46

(fig. 14, RP

110/1-2). La fibbia in bronzo associata alla deposizione 127, più antica e

con tipi meglio seriati, consente una lettura cronologica più precisa per

questa fase di deposizioni (fig. 14, RP 127/1).

44

E. LAPADULA, Accessori dell’abbigliamento e oggetti di ornamento di età bassomedie-

vale dal cimitero di Torre di Mare (MT), in: R. FRANCOVICH / M. VALENTI (a cura di),

IV Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, Firenze 2006, p. 438, n. 10.

45

P. SFLIGIOTTI, Manufatti in metallo, osso, terracotta e pietra, in: D. MANACORDA (a

cura di), Archeologia urbana a Roma: il progetto della Crypta Balbi. 5. L’esedra della

Crypta Balbi nel medioevo (XI-XV secolo), Firenze 1990, p. 543, n. 745.

46

L’uso di tali fibbie si estende ad un lungo periodo compreso tra la fine del XIII secolo e

la prima metà del XV secolo. Per la cronologia del tipo si veda F. SOGLIANI, Utensili,

armi e ornamenti di età medievale da Montale e Gorzano, Moderna 1995, pp. 115-117.

Un contesto medievale di archeologia urbana 231

Figura 14. Tavola degli elementi di corredo associati alle deposizioni. RP 234/1,

5/3, 127/1, 191/1-2; 301/1: fibbie e orecchini in bronzo; RP 10/1:

orecchini in argento; restanti: fibbie in ferro.

232 F. Sogliani, I. Marchetta

È una fibbia a ovale schiacciato con una modanatura centrale trilobata e

placca d’aggancio con decorazione fitomorfa incisa a tratto sottile, con-

frontabile con una proveniente da Segesta47

e, in regione, con una da Torre

di Mare, Metaponto (MT) datate tra metà XIII-XIV secolo48

. Il tipo è pre-

sente già nel XII secolo, come dimostra il rinvenimento di Otranto49

, per

affermarsi pienamente tra la metà del XIII e il XIV secolo50

(fig. 15).

Figura 15. Fibbia in bronzo incisa associata alla DF 127

La tipologia a fossa è documentata anche nella seconda fase di deposi-

zioni individuata in corso di scavo e relativa all’ultimo momento di fre-

quentazione della chiesa prima del trasferimento delle monache in un’altra

sede. Quest’ultimo livello veniva in luce piuttosto compromesso dai lavori

che investirono l’area a più riprese. Delle 11 sepolture pertinenti a questa

fase, solo la DF 152 era completa, mentre le restanti erano in pessimo stato

di conservazione. Anche in questo caso l’inumato era deposto supino con

il cranio ad ovest e le braccia conserte sul petto.

47

A. MOLINARI, Segesta II. Il castello e la moschea (scavi 1989-1995), Palermo 1997, p.

178, n. IX.1.

48

E. LAPADULA, Oggetti e accessori dell’abbigliamento di età bassomedievale in Terra

d’Otranto, in: R. FIORILLO / P. PEDUTO (a cura di), III Congresso Nazionale di Archeo-

logia Medievale, Salerno 2005, pp. 437-438.

49

F. D’ANDRIA / D. WITHEHOUSE (a cura di), Excavations at Otranto (come nota 26), fig.

10.9, n. 84.

50

Per un quadro di diffusione in area meridionale cfr. E. LAPADULA, Oggetti e accessori

dell’abbigliamento (come nota 48), p. 150; per una panoramica sull’Italia Settentrionale

si veda F. PIUZZI, Su tre fibbie basso medievali dal Castello della Motta di Savorgnano

(Povoletto – UD), in: Archeologia Medievale XXV (1998), pp. 281-286.

Un contesto medievale di archeologia urbana 233

La minore densità di occupazione della necropoli testimonia il progressivo

abbandono della chiesa, ormai insicura e fatiscente, che culminò nel trasferi-

mento delle monache presso il poco distante convento della SS. Annunziata.

Le tombe a cassa litica. Le tombe in cassa di tufo erano numericamen-

te ridotte rispetto a quelle in fossa terragna ed erano monosone, bisome o

plurime (fig. 16).

Figura 16. Ubicazione delle tombe a cassa nell’intera area dei scavo.

Probabilmente furono pianificate come monosome e riutilizzate solo in

una seconda fase. Infatti quelle rinvenute nel settore più orientale del sag-

gio, meno caotico e affollato, conservavano l’originaria copertura e conte-

nevano un unico scheletro (fig. 17). Le casse erano costruite con blocchi

parallelepipedi poggiati sulla base minore disposti su due filari poggiati sul

banco di calcarenite con piano di deposizione costituito dal banco cavato o

da uno strato di terra di una ventina di centimetri.

Una prima tomba (CF 274), con la copertura integra, era ubicata al centro

del saggio in direzione della porta (fig. 18); altre quattro, leggermente arretra-

te, erano orientate allo stesso modo, parallele al muro perimetrale e disposte

ordinatamente. Le spallette delle prime due (CF 225 e 278 ) si allettavano su

un livello che costituiva il calpestio di metà XIII sec. (unità stratigrafica 298).

La stessa copertura, realizzata con blocchi disposti trasversalmente, mostrava

tracce di usura da calpestio. Uno dei contenitori funerari (CF 225) presenta-

va, sul lato ovest, una nicchia semicircolare crucisignata, destinata ad acco-

gliere la testa del defunto (fig. 19). Il tipo, noto come tomba a “loggetta”, è dif-

fuso in area materana e trova corrispettivi nel coevo cimitero annesso al pri-

234 F. Sogliani, I. Marchetta

mo impianto della chiesa di San Pietro Barisano51

e nelle tombe relative al vil-

laggio rurale bassomedievale del vallone della Madonna della Loe 52

.

Figura 17. Sequenza di deposizioni in cassa nel settore est dell’area di scavo.

In una delle tombe, CF 161, è stata rinvenuta, in giacitura secondaria

una fibbia circolare53

in bronzo con l’anello decorato a piccoli tratti paral-

leli. Altre due fibbie di questo tipo, ma con dimensioni più ridotte, sono

state rinvenute in associazione con la DF 191 in posizione originaria: la

prima al centro del bacino, la seconda sul lato destro dell’inumato (fig. 14,

RP 191/1-2). Il confronto regionale è con le tombe di Torre di Mare, ma il

tipo è attestato in tutta la penisola54

. La massima diffusione di questi manu-

51

B. BRUNO, Archeologia medievale (come nota 16), p. 138.

52

E. LAPADULA, Indagine archeologica (come nota 17) p. 221, fig. 12.

53

Il reperto è stato rinvenuto ai piedi del defunto probabilmente a causa della costruzione

di un muro di consolidamento, USM 81, costruito al di sopra delle casse funerarie.

54

Si vedano, per esempio, i contesti di Campiglia Marittima e Rocca San Silvestro in cui i

tipi sono stati seriati su contesti con datazioni certe, M. BELLI, Manufatti metallici: un

Un contesto medievale di archeologia urbana 235

fatti è relativa ai secoli XIII-XIV secolo, ma i tipi decorati e con manifattu-

re più accurate, caratterizzano principalmente i corredi trecenteschi.

Figura 18. Contenitore funerario con copertura integra nel settore est dell’area di

scavo.

confronto fra Rocchetta Pannocchieschi e Campiglia Marittima, in: G.P. BROGIOLO (a

cura di), II Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, Firenze 2000, 2001, p. 479.

236 F. Sogliani, I. Marchetta

Figura 19. Tomba a cassa con “loggetta” crucisignata.

Un contesto medievale di archeologia urbana 237

Le tombe a cassa scavate nel settore ovest del saggio, contrariamente a

quelle più orientali, risultavano caratterizzate da molti livelli di deposizio-

ne sovrapposti e private, in antico, dell’originaria copertura.

La più vicina all’ingresso (CF 208) era addossata al perimetrale che ne

costituiva la quarta spalletta e conteneva una successione di 6 sepolture, la

più antica delle quali era deposta sul piano della cava (DF 89-90, 282, 305).

Il numero di inumati sovrapposti era così numeroso che le ultime deposi-

zioni obliteravano del tutto il contenitore funerario, pur rispettandone

l’andamento, testimoniando una continuità d’uso di circa 150 anni55

.

La cronologia sembra confermata anche dal rinvenimento di un ele-

mento di corredo associato all’ultima deposizione contenuta entro la cassa.

Si tratta di un tipo di fibbia a doppio occhiello con rivetto centrale (fig. 14,

RP 89/1) attestato tra fine XV e XV secolo.

La medesima situazione si documenta per la tomba a cassa più vicina

all’angolo S-W dell’edificio (CF 44) che contiene sette sepolture sovrappo-

ste56

(fig. 20). Qui ulteriori dati confermano la lunga fase d’uso, poiché la

terza inumazione deposta ha restituito due fibbie in ferro (fig. 14, RP

116/1-2) datate tra fine XIII-prima metà XV secolo57

, mentre i reperti ce-

ramici presenti nello strato di obliterazione dell’ultima deposizione della

sequenza non si spingono oltre la fine del XIV secolo58

. L’arco di tempo in

55

Sperimentalmente l’Università del Salento, Dipartimento per i Beni Culturali, ha

utilizzato la datazione al radiocarbonio per determinare l’intervallo di tempo intercorso

tra la deposizione del primo inumato e l’ultimo nella tomba XXIV del villaggio di

Quattro Macine, a Giuggianello (LE). È stato così stimato un intervallo di tempo di cir-

ca 150 anni per la deposizione dei 5 inumati, P. ARTHUR ET ALII, Sepolture multiple

(come nota 11), pp. 297-301. Questo dato viene accolto per le tombe a cassa rinvenute

nello scavo di San Giovanni Battista con le dovute cautele, poiché le deposizioni succes-

sive sembrano sovrapporsi alle precedenti prima della completa decomposizione, quindi

con intervalli di tempo ridotti rispetto a quelle di Giuggianello.

56

Il dato è suscettibile di una ulteriore verifica poiché lo strato di distruzione che copriva

la deposizione più recente conteneva molti frammenti ossei pertinenti ad altre sepo-

lture. L’esame antropologico consentirà una lettura definitiva sulla reale consistenza

della sequenza di deposizioni.

57

Per la cronologia del tipo si veda F. SOGLIANI, Utensili, armi e ornamenti (come nota

46), pp. 115-117.

58

L’ultima sepoltura in giacitura primaria, coperta da uno strato di terra mista ad ossa,

costituisce la testimonianza dell’alterazione delle tombe durante i lavori di restauro che

investirono l’area nel 1793, ovvero quando un grande arcone fu addossato alla facciata late-

rale della chiesa per incorniciare il portale. Lo strato di distruzione, unità stratigrafica

238 F. Sogliani, I. Marchetta

cui la cassa è stata riutilizzata è, quindi, compreso tra la prima metà del

XIII secolo, ovvero il momento della realizzazione della cava, e la fine del

XIV secolo.

Figura 20. Sequenza di deposizioni entro il CF 44 (a sinistra la più recente).

Contiguo a questa tomba vi era un secondo contenitore funerario (CF

58) dello stesso tipo e, poco distante, ma allineato, un terzo (CF 59). Que-

sti ultimi due differiscono dalle tombe precedenti poiché le casse litiche,

pur tagliate nella medesima unità stratigrafica, erano meno profonde e

contenevano due deposizioni, la prima delle quali ammucchiata ai piedi del

deposto più recente (fig. 21). La pratica era comune nel medioevo ma stu-

pisce l’assenza, in entrambi i casi, del cranio del primo inumato.

Il CF 58, sebbene riutilizzato una sola volta, era privo delle lastre di

chiusura, mentre nel CF 59, la copertura era costituita da uno strato di

malta compatto. In entrambi i casi gli inumati erano ricoperti con uno

spesso strato di terra, purtroppo privo di materiali datanti. Al contrario lo

strato che obliterava il CF 58 conteneva due frammenti ceramici con data-

zione anteriore al XIV secolo59

.

29, ha restituito alcuni frammenti di ceramica invetriata post-medievale, evidentemente

relativi al momento dell’alterazione della tomba, e ceramiche invetriate, ingobbiate e

dipinte in rosso-giallo-verde con cronologia anteriore alla seconda metà del XIV secolo.

59

Sono stati rinvenuti due soli frammenti ceramici pertinenti a una forma chiusa invetria-

ta, ingobbiata e dipinta in rosso e verde e ad un piatto in protomaiolica dipinta in bruno.

Un contesto medievale di archeologia urbana 239

Figura 21. Deposizioni in cassa 58-59 con riduzioni ai piedi del deposto posteriore.

Nella parte centrale dell’area di scavo sono venute in luce altre tre tom-

be a cassa disposte meno ordinatamente ma tutte orientate E-W e con pia-

no di deposizione rappresentato dal riempimento della cava e non dal pia-

no cavato.

Nell’area più prossima alla porta, il contenitore funerario 168, riutiliz-

zato più volte risultava tagliato da uno più recente, il CF 271. È evidente

che anche la tipologia a cassa ha avuto un lungo periodo di attestazione.

240 F. Sogliani, I. Marchetta

Figura 22. Serie di deposizioni affollate presso il CF 168. A destra il nuovo CF,

271 che le intercetta.

Un contesto medievale di archeologia urbana 241

Figura 23. Le due deposizioni entro il CF 125.

La successione stratigrafica delle deposizioni affollate in questo piccolo

spazio del cimitero ha dimostrato efficacemente la densità d’uso dello spa-

zio sacro e il suo lungo utilizzo. Al contenitore funerario, infatti, si so-

vrapponeva la deposizione in fossa terragna 110, una delle poche con cor-

redo, la deposizione 169, deposta al di sopra della cassa, e le DF 176 e 170,

interne alla tomba. La lunga sequenza di sepolture sembra concludersi con

le DF 249-267, titolari della tomba, deposte l’una sopra l’altra, apparente-

mente insieme o con un breve intervallo di tempo. Entrambi gli scheletri

erano contratti lungo la spalletta sud del CF 68, costretti nell’angolo della

cassa lapidea mentre ancora erano cadaveri, per far posto ad una nuova de-

posizione, DF 176. Questa, sistemata al centro dello spazio funerario, su-

pina e con le braccia piegate sull’addome, era intercettata dal taglio di co-

struzione della cassa lapidea 271 anch’essa multipla (fig. 22).

Le due tombe (CF 68 e 271), con relativa sequenza di inumazioni, co-

privano una delle più antiche sepolture in fossa terragna (DF 275), con

inumato deposto direttamente sul piano di cava.

242 F. Sogliani, I. Marchetta

Anche il CF 125, rinvenuto decentrato rispetto agli altri, conteneva una

sequenza di deposizioni piuttosto numerosa (DF 123, 124, 191 e 260) e, al

contempo, s’impostava al di sopra di una successione di due deposizioni in

fossa terragna (DF 262, 263). La sua cronologia si definisce in base agli

elementi di abbigliamento associati alla seconda deposizione della sequenza

(DF 191), coerenti con la datazione dell’intera necropoli. La sequenza di

deposizioni precedenti al CF e in esso contenute sembra datarsi, quindi,

nel corso di 150 anni con attestazione ulteriore della contemporaneità di

entrambe le tipologie di deposizione (fig. 23).

Conclusioni

Quello che sembra emergere dai dati di scavo è dunque la presenza di un

cimitero cittadino molto affollato con sequenze di inumazioni molto serrate

e piuttosto caotiche sebbene disposte con medesimo orientamento. Tale si-

tuazione mostra quanto intenso fosse lo sfruttamento delle aree sepolcrali

annesse alle strutture ecclesiastiche, evidentemente anche da parte di laici.

Un’ulteriore area di sepoltura fu identificata anche sul fronte occidenta-

le della chiesa, presso l’originaria facciata a lungo nascosta. Le indagini, ef-

fettuate nel 1994 dalla Soprintendenza Archeologica, rivelarono la presen-

za di due ossari, alcune tombe in fossa terragna e una tomba a cassa con-

frontabile con quelle scoperte di recente sul fronte meridionale. Purtroppo

l’esplorazione dell’area, condotta in situazione di assoluta emergenza, non

riuscì ad esaurire l’intera stratigrafia e l’assenza di elementi diagnostici non

permise di determinare la cronologia del nucleo sepolcrale60

(fig. 24).

Tuttavia, in attesa delle indagini sui resti scheletrici, sembra possibile

ipotizzare che tra XIII e XV secolo l’area cimiteriale occupasse il perime-

tro S-W dell’edificio e che una piccola area sepolcrale occupasse anche la

zona a nord del fabbricato, dove presumibilmente erano ubicate le fabbri-

che conventuali.

Una nuova, seppur sporadica, fase d’uso del cimitero si registrerà sul fi-

nire del XVIII secolo, in concomitanza con le operazioni di recupero

dell’edificio religioso successive al trasferimento della parrocchia di San

Giovanni Battista. A quella data, comunque, il nuovo cimitero era già sta-

60

L’area oggetto di futuri lavori di ripristino, fu indagata con un piccolo saggio di con-

trollo preliminare. Non fu quindi esplorata fino al piano di calcarenite (dato inedito

dall’archivio del Museo Archeologico Nazionale Domenico Ridola)

Un contesto medievale di archeologia urbana 243

to pianificato presso la sagrestia della chiesa61

per cui le sepolture rinvenute

sono da considerarsi episodiche.

Figura 24. Area indagata durante i lavori del 1994.

La necropoli identificata presso San Giovanni Battista s’inserisce in un

contesto cittadino che comincia ad espandersi oltre le mura e che vede il

fiorire degli ordini monastici religiosi nei dintorni del polo urbano artico-

lato nella Civita62

e nei due quartieri, al di fuori di essa, Sasso Barisano e

Sasso Caveoso.

61

V. Sogliani supra, nota 7.

62

Solo a partire dall’XI secolo il centro proto-urbano ubicato sulla Civita viene fortificato

e si definiscono gli spazi extra-urbani e urbani. L’attestazione nel 1054 dell’uccisione di

244 F. Sogliani, I. Marchetta

Nel XIII secolo, la Civita sembra configurarsi come un luogo privilegia-

to prevalentemente destinato agli edifici istituzionali mentre il popolamen-

to più intenso si sviluppa nei Sassi, organizzati in pittagi, aggregati intorno

agli edifici religiosi delle chiese di Santa Agata e Lucia, Santa Lucia alle Malve,

Santa Maria delle Virtù, San Pietro Barisano e Santa Maria degli Armeni63

.

La costruzione della chiesa di Santa Maria la Nova (1233), insieme a

quella di San Domenico (1267), determinarono una difformità nello svi-

luppo dell’aggregato urbano poiché entrambi gli edifici religiosi furono

realizzati “al piano” e quindi ben oltre i limiti definiti dalla cinta muraria

seppur non isolate dalla Civita. S. Maria la Nova occupa, perciò, uno spa-

zio extraurbano privilegiato che costituirà una delle direttrici della futura

espansione cittadina e rivestendo peraltro un ruolo socio-economico rile-

vante, testimoniato dalla considerevole presenza dei foggiali.

I.M.

Referenze fotografiche: figg. 3, 7,10-11, 13, 15, 23-24: Mario Calia (Soprintendenza per i

Beni Archeologici della Basilicata-Museo Ridola Matera), le restanti a cura dell’autore. Pia-

nte e rilievi: figg. 1, 8: geom A. Vigilante per conto del Comune di Matera; fig. 9: E. Viti;

figg. 11, 14, 20: N. Montemurro: fig. 16, 21: I. Marchetta, N. Montemurro. Elaborazione

grafica: I. Marchetta, C. Di Simino.

un certo Sico Materiensis sotto le mura della città sembra essere il primo documento che

identifica fisicamente le mura. Sebbene la città appaia munitissima sin dal IX secolo, tale

definizione potrebbe riferirsi alla conformazione naturale del sito protetto dalle pro-

fonde gravine. Tuttavia, per la città di Matera, la lettura del tessuto urbano è complessa

poiché questo si struttura in due quartieri sviluppati ai piedi della stessa Civita, i Sassi

Barisano e Caveoso, esterni al circuito murario pianificato in questa fase. Sulla fisiono-

mia insediativa di Matera in età post-antica, in base ai dati archeologici, v. il recente la-

voro di F. SOGLIANI, Matera tra tarda antichità (come nota 2).

63

Da ultimo, v. R. DEMETRIO, Matera. Forma et imago urbis, Matera 2009.