Theodor Mommsen a Susa: pagine inedite da un archivio privato

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53 Silvia Giorcelli Bersani (*) Theodor Mommsen a Susa: pagine inedite da un archivio privato SEGUSIUM - ARCO DI AUGUSTO - SUSA - ANNO LII - pp. 53-74 Una ricerca d’archivio presso la Biblioteca Reale di Torino ha consentito a chi scrive di riportare alla luce numerosi documenti utili a chiarire aspetti inediti della ricerca antichistica nella valle di Susa. Si tratta di alcune carte contenute nell’archivio Promis che conserva i carteggi di Carlo, Domenico e Vincenzo Promis, autorevoli intellettuali che vissero a Torino nel XIX secolo e si distinsero per aver ricoperto incarichi importanti a corte e nelle istituzioni cittadine. Il più illustre dei tre fu Carlo, professore di architettura presso la Re- gia Università, Ispettore ai Monumenti di Antichità nei Regni Sardi e direttore di importanti scavi archeologici cittadini e piemontesi (1) . Interessa in questa sede il fatto che egli fosse intimo amico di Theodor Mommsen e principale referente dell’illustre studioso tedesco in ordine alla compilazione della sezione ‘piemontese’ del Corpus Inscriptionum Latinarum, tomo secondo del volume V (1877). Oggetto di questo intervento è un episodio della loro collaborazione relativa a Susa e alla valle: sullo sfondo, la cultura antichistica torinese e segu- sina nei decenni successivi l’unità d’Italia e i legami degli intellettuali sabaudi (1) V. FASOLI, Carlo Promis. Momenti di cultura nazionale e internazionale nell’opera dell’architetto torinese, in «Bollettino Storico Bibliografico Subalpino», LXXXIX (1991), pp. 265-304 e Carlo Promis professore di architettura civile agli esordi della cultura politecnica, catalogo della mostra (Torino, Biblioteca Reale 18 dicembre 1993-10 gennaio 1004), V. Fasoli, C. Vitulo (a cura di), Torino 1993. (*) Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Studi Storici.

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Silvia Giorcelli Bersani(*)

Theodor Mommsen a Susa: pagine inedite

da un archivio privato

SEGUSIUM - Arco di Augusto - susA - Anno Lii - pp. 53-74

Una ricerca d’archivio presso la Biblioteca Reale di Torino ha consentito a chi scrive di riportare alla luce numerosi documenti utili a chiarire aspetti inediti della ricerca antichistica nella valle di Susa. Si tratta di alcune carte contenute nell’archivio Promis che conserva i carteggi di Carlo, Domenico e Vincenzo Promis, autorevoli intellettuali che vissero a Torino nel XIX secolo e si distinsero per aver ricoperto incarichi importanti a corte e nelle istituzioni cittadine. Il più illustre dei tre fu Carlo, professore di architettura presso la Re-gia Università, Ispettore ai Monumenti di Antichità nei Regni Sardi e direttore di importanti scavi archeologici cittadini e piemontesi(1). Interessa in questa sede il fatto che egli fosse intimo amico di Theodor Mommsen e principale referente dell’illustre studioso tedesco in ordine alla compilazione della sezione ‘piemontese’ del Corpus Inscriptionum Latinarum, tomo secondo del volume V (1877). Oggetto di questo intervento è un episodio della loro collaborazione relativa a Susa e alla valle: sullo sfondo, la cultura antichistica torinese e segu-sina nei decenni successivi l’unità d’Italia e i legami degli intellettuali sabaudi

(1) V. Fasoli, Carlo Promis. Momenti di cultura nazionale e internazionale nell’opera dell’architetto torinese, in «Bollettino Storico Bibliografico Subalpino», LXXXIX (1991), pp. 265-304 e Carlo Promis professore di architettura civile agli esordi della cultura politecnica, catalogo della mostra (Torino, Biblioteca Reale 18 dicembre 1993-10 gennaio 1004), V. Fasoli, C. Vitulo (a cura di), Torino 1993.

(*) Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Studi Storici.

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con la cultura europea, e segnatamente tedesca(2). Nel 1837 Carlo Promis era stato nominato Ispettore ai Monumenti e in quella veste compì numerose mis-sioni nel regno sabaudo per verificare lo stato di salute delle antichità classiche: l’esito di queste missioni egli registrò in un quadernetto privato che la Biblioteca Reale conserva, intitolato Giornale delle Antichità, e che raccoglie sostanzial-mente i verbali di quarant’anni di sopralluoghi compiuti in numerose località piemontesi dove erano conservate iscrizioni romane o vestigia archeologiche e fotografano lo stato di conservazione del patrimonio epigrafico piemontese tra la fine degli anni trenta e gli anni settanta del XIX secolo(3). Carlo Promis aveva maturato negli anni giovanili uno specifico interesse per le iscrizioni latine di età classica che aveva avuto modo di osservare, studiare e disegnare a Roma e nelle campagne romane nel corso di studi e di spensierate scampagnate a piedi o in carrozza: nel Giornale delle Antichità infatti le epigrafi sono quasi sempre riprodotte nella loro interezza monumentale per mezzo di minuziosi e raffinati disegni che rendono questo manoscritto un oggetto davvero raro e prezioso. Apprendiamo, da un appunto vergato a matita nella prima pagina del mano-scritto, che nel 1868 tutto il materiale schedato e raccolto fino a quel momento fu trasferito a Mommsen, che se ne servì evidentemente per la realizzazione del Corpus Inscriptionum Latinarum, proprio in quegli anni in lavorazione. Come è noto, Mommsen aveva ricevuto dall’Accademia di Prussia l’incarico di com-pilare una raccolta completa di iscrizioni romane: questa raccolta, ancora oggi pietra miliare per la ricerca antichistica, segnò un passaggio fondamentale nella metodologia di edizione delle fonti epigrafiche. Con i vari volumi del Corpus, che iniziarono a vedere la luce a partire dal 1863, Mommsen offrì alla comunità scientifica un repertorio completo di migliaia di iscrizioni, analizzate nella loro tradizione manoscritta, censite nella loro ubicazione, trascritte e commentate. È un vero e proprio modus operandi quello che lo studioso tedesco propone e consegna agli studiosi contemporanei e ai posteri: il principio dell’autopsia, l’eliminazione severa dei falsi, l’uso di segni diacritici comuni per la trascrizio-ne. Naturalmente si trattò di un progetto che coinvolse molti studiosi e colla-boratori di Mommsen che furono chiamati a intervenire sulle singoli parti della raccolta e in relazione ad ambiti geografici specifici.

Mommsen, che pure scendeva spesso in Italia in veste di studioso e di «cac-ciatore di epigrafi», aveva tuttavia bisogno dell’aiuto di collaboratori per affron-tare il censimento completo delle iscrizioni: costoro erano studiosi locali, esperti o cultori di antichità, ma anche autorità civili ed ecclesiastiche o cittadini volen-

(2) Richiamo qui alcune considerazioni già espresse nel mio Torino «la capitale d’Italie pour les études sérieuses». Corrispondenza Theodor Mommsen-Carlo Promis, in «Rivista Stori-ca Italiana», III (2012), pp. 960-990 e ora in Ead., Torino «capitale degli studi seri». Carteggio Theodor Mommsen-Carlo Promis, Torino 2014.

(3) Il manoscritto (ms. autografo V) è in corso di studio da parte di chi scrive: ringrazio sinceramente il dott. Giovanni Saccani, Direttore della Biblioteca Reale di Torino, per l’autoriz-zazione allo studio e alla riproduzione di questo testo ancora inedito.

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terosi, chiamati tutti a cooperare, in misura e in modi diversi, a questo grandioso progetto scientifico: fu un’occasione per molti studiosi e appassionati di confron-tarsi con una metodologia di ricerca nuova e rigorosa e di affrancarsi finalmente dalle secche dell’antiquaria e della miope e ristretta storia locale. Tutti, o quasi, rimanevano impressionati dall’incontro con l’illustre professore tedesco, come quel tal Giovanni Costamagna, benese, che nel 1871 scrisse in una lettera a Carlo Promis dopo un breve soggiorno di Mommsen nel territorio cuneese:

«Partì da qua verso le 12 ed io ebbi la fortuna di accompagnarlo fino a Bra ove giungemmo un po dopo le 6. Così in poco tempo, non ostante il tempo minaccioso che finì per sciogliersi in pioggia e grandine e non senza incontrare varie difficoltà esso avea esaminato diverse monete e medaglie antiche, visitato le rovine della Roncaglia, letto e copiato moltissime iscrizioni percorrendo una strada di oltre 10 miglia di lunghezza e tutto ciò senza mangiare né bevere!

Pare veramente impossi[bi]le che un uomo possa far tanto!Io non mi separai da lui che +[lac.] partenza del convoglio pieno l’anim[o]

di ammirazione per un si grand’uom[o] che per amore della scienza non sente bisogni, non la perdona a fatica[re] non conosce pericoli.

A Cherasco mentre esso salito su di una esilissima scala alta forse più di 5 metri stava decifrando una lapide io raccapricciava al pensiero che un capo giro lo facesse cadere e ci distruggesse così una esistenza così preziosa; lo stesso sentimento provai nelle vicinanze di Pollenzo quando per un subito rinculare del nostro cavallo il legno minacciò per un momento di rovesciare.

Possa questa lista di rischi e disagi che Egli si impone non essere mai fune-sta per la scienza, per la di lui famiglia!»(4).

A Torino, e per tutta l’area piemontese, interlocutore privilegiato di Mommsen fu senz’altro Carlo Promis e, dopo il 1873, il nipote Vincenzo e, in misura minore, altri autorevoli consoci dell’Accademia delle Scienze di To-rino, all’epoca l’istituzione di punta nell’ambiente torinese insieme alla So-cietà di Archeologia e Belle Arti fondata nel 1874. In ogni area del Piemonte, Mommsen ricorreva all’aiuto di amici dei Promis per ottenere un sostegno lo-gistico, una referenza, una lettera di accesso a collezioni private, a biblioteche e ad archivi che poi visitava da solo o in compagnia, sobbarcandosi spesso viaggi disagevoli in borgate, in paesini e località remote dove si conservavano vestigia antiche: va detto che di questi viaggi in Italia abbiamo ormai una importante messe di testimonianze grazie al lavoro di ricerca in archivi e in biblioteche di numerosi studiosi italiani e stranieri(5).

Come è ovvio, un territorio straordinariamente ricco di vestigia romane come la Valle di Susa, con il suo arco monumentale, la memoria di Cozio, la raccolta di epigrafi nel Seminario, i nuovi scavi a Drubiaglio in frazione Ma-lano, non poteva non interessare dapprima Carlo Promis in veste di Ispettore

(4) Biblioteca Reale di Torino (d’ora in poi BRT), 13/XXI/9. (5) La documentazione della corrispondenza tra Mommsen e i suoi collaboratori in Italia è

ora in parte raccolta nella banca dati Lettere di Mommsen agli Italiani, www.mommsenlettere.org.

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e poi lo studioso tedesco alle prese con i dossier epigrafici del regno sabaudo: ai tempi del censimento mommseniano, il numero delle lapidi conservate nel Seminario vescovile ammontava a una cinquantina(6) e mancava ancora un’in-dagine rigorosa sulla tradizione manoscritta; non esisteva un presidio museale, istituito soltanto nel 1884. Nello specifico, le iscrizioni segusine avevano una storia antica e di esse si erano occupati i più bei nomi dell’antiquaria subal-pina(7): tra questi basti in questa sede ricordare lo storiografo di corte Samuel Guichenon(8), il veronese Scipione Maffei(9), gli ecclesiastici Giovanni Paolo Ricolvi e Antonio Rivautella(10), e poi Ludovico Antonio Muratori che nel No-vus Thesaurus veterum inscriptionum (1739-42) raccolse più di 200 iscrizioni piemontesi, anche segusine(11); meno noti, Giovanni Francesco Bagnolo redat-tore di alcune schede epigrafiche(12), Paolo Antonio Massazza artefice della pri-ma riproduzione dell’arco di Susa(13) e Gian Tommaso Terraneo autore, tra le altre cose, di un’interessante raccolta di iscrizioni segusine dal titolo Marmora Segusina et adjacentium oppidum(14); ancora alla fine del Settecento spiccano figure quali Giuseppe Falconieri, professore di retorica nel Seminario di Susa, che si incaricò di salvaguardare il materiale epigrafico che si andava via via re-cuperando(15) e il conte Gian Francesco Galeani Napione di Cocconato(16) che si interessò alle antichità segusine mentre era intendente delle finanze a Susa: a lui si deve nel 1783 l’ampliamento della copertura applicata all’arco e il primo fac-

(6) E. Cimarosti, Il lapidario del Seminario vescovile di Susa (Torino), in «Sylloge Epi-graphica Barcinonensis», VII (2009), pp. 101-108.

(7) Un cenno ancora in E. Cimarosti, Le iscrizioni di età romana sul versante italiano delle «Alpes Cottiae», Sylloge Epigraphica Barcinonensis, Annexos I, Barcelona 2012, pp. 79-81 e soprattutto A. GiaCCaria, Le antichità romane in Piemonte nella cultura storico-geografica del Settecento, Cuneo-Vercelli 1994.

(8) Cfr. V. CastronoVo, Samuel Guichenon e la storiografia del Seicento, Torino 1965.(9) GiaCCaria, Le antichità romane in Piemonte, cit. (v. nota 7), p. 15.(10) Ivi pp. 16-19.(11) Ivi p. 19.(12) Accademia delle Scienze, Mss. 1389/6 e Mss. 1306, Disegni di iscrizioni di vari luoghi,

cc. 2; GiaCCaria, Le antichità romane in Piemonte, cit. (v. nota 7), pp. 23-26.(13) L’arco antico di Susa descritto e disegnato, Torino 1750, folio, pp. [2], LXVII, tav. 2;

GiaCCaria, Le antichità romane in Piemonte, cit. (v. nota 7), pp. 31-33. (14) Accademia delle Scienze di Torino, Mss. 644; GiaCCaria, Le antichità romane in Pie-

monte, cit. (v. nota 7), pp. 34-42. (15) U. rosa, Appunti di bibliografia archeologica susina, Torino 1888, p. 7, ma della sua

vita si sa poco, tranne la pubblicazione di un saggio dal titolo L’iscrizione dell’arco di Susa spie-gata, in «Calendario statistico per l’anno bisestile 1820», Susa 1820, pp. 10-81, irreperibile ma segnalato da F. ChiapUsso in Schedario del repertorio bibliografico Valsusino, ms. conservato alla Biblioteca Nazionale Universitaria (S VII. 27, n. 313): così GiaCCaria, Le antichità romane in Piemonte, cit. (v. nota 7), pp. 81-82.

(16) Ivi pp. 82-83.

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simile dell’iscrizione presente sulle due facciate(17); infine, all’inizio dell’Otto-cento, ricordiamo il conte Giuseppe Franchi di Pont, professore di Archeologia all’Università di Torino e socio dell’Accademia delle Scienze, autore di una dissertazione sui torsi loricati(18). L’epigrafia segusina fu anche fertile terreno di impegno di falsari, Giuseppe Francesco Meyranesio, Jacopo Durandi e Eu-genio De Levis, né possiamo dimenticare personaggi di minor caratura quali Cesare Sacchetti canonico penitenziere della cattedrale e rettore del Seminario di Susa, che plagiò quasi interamente l’opera di Gian Tommaso Terraneo(19).

È stato osservato che l’apertura, nel 1871, del traforo ferroviario del Frejus innescò a Susa un certo risveglio culturale anche nel campo delle ricerche ar-cheologiche e antiquarie(20): in quel periodo si moltiplicarono le scoperte e le campagne di scavo e sovente i notabili valligiani si impegnarono a finanziare lavori di scavo pubblicando anche le relative notizie; non di rado, la passione archeologica di alcune personalità locali fu incentivata da ritrovamenti fortu-iti, avvenuti nelle loro stesse proprietà. È il caso, ad esempio, delle iscrizioni ritrovate a Foresto nella proprietà di Federico Génin, ora Cascina Tonda(21), nei pressi della quale in età romana si praticava il culto dedicato alle dee Matro-ne(22). L’avvocato Génin, socio corrispondente della Società di Archeologia e Belle Arti e autore di Susa antica (1886), sarebbe di lì a pochi anni diventato sindaco di Foresto e di Susa e deputato alla Camera per il collegio di Susa: fu

(17) Di lui si segnala anche il dibattito con Maffei che nel 1727 aveva proposto di smontare l’arco per farlo trasferire a Torino, v. s. maFFEi, Istoria diplomatica, Mantova 1727, p. XVI.

(18) G. FranChi di pont, Dei torsi segusini, in «Mémoires de l’Académie Impériale des sciences, littérature et beaux arts de Turin pour les années XII et XIII», XV (1905), pp. 434-510, 537-540, GiaCCaria, Le antichità romane in Piemonte, cit. (v. nota 7), p. 79.

(19) Ivi pp. 80-81. La sua fama è legata alla pubblicazione delle Memorie della Chiesa di Susa, Torino 1788 ove vengono presentate 36 iscrizioni romane con brevi note e commento (in larga parte già note ai tempi di Guichenon e di Maffei ma alcune venute alla luce di recente, CIL V 7253, 7281, 7266, 7265, 7312); Mommsen lo valutò positivamente, v. CIL V p. 814; Ermanno Ferrero riuscì a smascherare il plagio e lo comunicò all’Accademia delle Scienze di Torino, E. FErrEro, Giantommaso Terraneo, Cesare Sacchetti e l’epigrafia di Susa, in «Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino», XXIII (1888-1889), pp. 456-467.

(20) Cimarosti, Le iscrizioni di età romana, cit. (v. nota 7), p. 80.(21) CIL V 7224, 7227, 7228, 7241.(22) È appena il caso di ricordare in questa sede che il sito di Foresto è importante perché ha

restituito le tracce di un piccolo compitum, in antico restaurato in quanto vetustate conlabsum, che conferma anche archeologicamente il culto alle Matrone cui sono dedicate cinque delle sei iscrizioni colà rinvenute. Un pezzo di architrave marmoreo decorato a motivi floreali, trovato nel cimitero di Foresto negli anni Settanta del secolo scorso, è stato interpretato come parte del fregio che sormontava il colonnato di un tempietto; tra le iscrizioni ivi rinvenute, CIL V 7228 ricorda un intervento di restauro da parte di T. Vindonus Ieranus. Il sito è, come noto, molto interessante perché attesta la presenza della divinità delle Matrone e documenta una forma di «cultualità di strada» da parte sia degli abitanti del territorio sia dei viaggiatori di passaggio: su tale culto v. s. GiorCElli BErsani, Un paradigma indiziario, in G. GiorCElli BErsani, s. roda, Iuxta fines Alpium. Uomini e dèi nel Piemonte romano, Torino 1999, pp. 79-80.

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quindi uomo di punta nella politica e cultura locali e riferimento imprescindi-bile per Carlo Promis(23). Insieme a lui, altri notabili collaborarono alla scoperta della facies romana di Susa e della valle: le pagine degli Atti e delle Memorie dell’Accademia delle Scienze ospitarono più volte scritti di Felice Chiapusso avvocato e studioso (di cui si ricorda il contrasto politico con il Génin ben ri-costruito da Rita Martinasso)(24), di Gustavo Couvert giornalista(25), di Norberto

(23) F. GEnin, Susa antica, Saluzzo 1905 e id., Susa e Moncenisio, Torino 1909.(24) Felice Chiapusso (1841-1908), socio corrispondente della Società di Archeologia e Bel-

le Arti, fu autore di Oggetti ritrovati in Susa, in «Atti Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti», I (1877), fasc. 3, pp. 209-212 e Intorno alla distruzione di un arco antico in Susa, ibidem, VII (1898), pp. 3-22: un suo profilo in t. Forno, L’Eco Susina primo giornale della Valle di Susa, in I giornali valsusini dell’Ottocento, La biblioteca di Segusium vol. 1, Almese 2003, pp. 21-44; r. martinasso, La Gazzetta di Susa e La Dora Riparia, agguerriti settimanali segusini dei primi anni Ottanta dell’Ottocento, Ibidem, pp. 45-74.

(25) Gustave Couvert (1855-1916), medico, occupò molte illustri cariche a Susa e si rese benemerito dell’Illustrazione delle Alpi Cozie; fu ispettore dei monumenti per il Circondario di Susa e raccolse preziose notizie d’arte, di storia e di archeologia locale, pubblicando i risultati dei suoi studi; ricordiamo, tra questi, Tomba dell’età romana scoperta a Susa, in «Atti della Società

Fig. 1. Missione 1837, dettaglio.

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Rosa giornalista e poeta(26) e del figlio Ugo Ispettore degli scavi d’antichità e monumenti per Circondario di Susa dal 1898(27), personaggi assai noti, politici impegnati e studiosi non ingenui che potrebbero essere stati in contatto con Mommsen, attraverso Carlo Promis.

Il Giornale delle Antichità di Carlo Promis conserva alcune pagine dedi-cate ai sopralluoghi a Susa, a Foresto e ad Avigliana (v. sezione Documenti). L’architetto torinese raggiunse Susa due volte, il 2-4 novembre 1837 e il 29-30 luglio 1839 (fig. 1): l’obiettivo della prima visita fu lo stato di salute dell’arco onorario «al quale molto danno minacciano i noci e gelsi circostanti, la terra che da un fianco lo investe ed i focolari che negli angoli degli stilobati vi ho visti accesi dai contadini»(28). In quell’occasione non esaminò le lapidi del Se-

Piemontese di Archeologia e Belle Arti», VII (1905), pp. 312-313; Nuovi scavi a Susa, ibidem, 7, 1908, pp. 406-417; di lui si legga la commemorazione in «Bollettino della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti» 1917, p. 91; fu autore anche di Giornali e giornalisti nella Valle di Susa, in «Rivista d’Italia», XVIII, 4 (1915), pp. 627-638; in merito al suo impegno nella stampa liberare laica, si rimanda al citato volume I giornali valsusini, cit. (v. nota 24), pp. 11-20.

(26) Norberto Rosa (1803-1862) fu procuratore a Susa, alternò l’attività di giornalista e di scrittore all’impegno in politica come deputato al parlamento subalpino, fu provveditore agli studi, consigliere comunale e provinciale; si preoccupò, invano di suggerire azioni di tutela delle località di interesse archeologico in Valle di Susa, v. G. Blandino, Norberto Rosa, in «Segu-sium», 5 (1968).

(27) I giornali valsusini, cit. (v. nota 24), p. 49 ss.(28) promis, Giornale delle Antichità, cit. (v. nota 3), p. 21.

Fig. 2. Missione 1839, dettaglio.

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minario «aspettando una più commoda occasione» ma appurò l’antichità delle fondamenta del ponte sulla Dora Riparia «le quali elevansi a tre filari di cunei sopra il pelo delle acque medie, hanno la solita larghezza (di sei metri scarsi?) e quei buchi con modiglioni ne’ quali appuntavasi l’armatura»(29). La secon-da volta, un anno e mezzo dopo, appurò lo stato dei lavori di ripulitura intor-no all’arco, che evidentemente erano stati nel frattempo avviati «a spese del R(egio) Demanio in somma di poco più di 4000 fr.» (fig. 2). Quell’anno erano anche venuti alla luce due frammenti epigrafici, gettandosi le fondamenta del Palazzo provinciale(30), mentre a Condove un’altra iscrizione era stata scoperta in una casa privata, in realtà proveniente da Caprie «dove dicesi esista il nucleo piramidale di un sepolcro Romano»(31).

Molti anni dopo, alla fine degli anni Sessanta del secolo, Carlo si trovò di nuovo a percorrere la valle, questa volta su commissione: i lavori di censimen-to delle epigrafi erano stati avviati da Mommsen e l’architetto torinese ebbe il compito di andare a verificare di persona le iscrizioni per conto dello studioso tedesco: Mommsen si fidava dell’acribia dell’amico torinese e tuttavia Carlo riconosceva il superiore magistero di Mommsen: infatti, in una nota a margine su una lettera ricevuta da Mommsen, scrive che le iscrizioni di Susa, «guaste e crasse come sono, debbono essere lette appunto da lui»(32). A quel tempo le iscrizioni erano conservate nel lapidario del Seminario e si trovavano «dans un état pitoyable, car on les tira des lieux où elles étaient enduites de fumée, de crasse, d’huile et consommées par le frottement des pieds des passants, et com-me il y a peu de lumière elles sont d’une lecture presque impossible»(33). Scrive anche Promis nel Giornale delle Antichità:

«Dopo pranzo andammo nel seminario (accanto alla Cattedrale) dove stan-no infisse nel muro del portico, ma in quel muro non colpito dalla luce, n° 60

(29) Ivi.(30) CIL V 7316 e 7303, poi disperse e di cui restano solo due schizzi di Promis confluiti

nelle carte di Gazzera, v. Cimarosti, Le iscrizioni di età romana, cit. (v. nota 7), rispettivamente pp. 336-337 e 314-315; v. infra sezione Documenti.

(31) CIL V 7220.(32) BRT 16/XXV/6 del 28 agosto 1869, v. GiorCElli BErsani, Torino «capitale degli studi

seri», cit., p. 144 (v. nota 2).(33) La lettera è conservata alla Staatsbibliothek di Berlino (d’ora in poi DSB), Nl.

Mommsen, Promis, Carlo, Bl. 29-30). Promis, nella stessa lettera, cita la lastra di Saufeio Silone (CIL V 7255), quella di [De]cumius della tribù Voltinia (V, 7268), un miliario «portant le numero XIII» (CIL V 8076). Tra le carte del citato faldone BRT 24/IV si conserva un fascicoletto datato 1868 (BRT 24/IV/15, senza data) contenente le iscrizioni di Susa «tutte a stampa, raccolte dal Medico Ponsero»: si tratta di un elenco di trentasei iscrizioni, metà delle quali false o introvabili, di cui non si dà alcuna indicazione, che Promis non sembra utilizzare né tantomeno Mommsen, il quale tuttavia cita il Ponsero nell’Index auctorum (CIL V p. 814). Il responsabile del mediocre fascicoletto potrebbe essere Giuseppe Ponsero autore di Piccolo cenno sopra l’arco trionfale di Susa, Taurinis 1841, di Sconto sulle mura di cinta di Susa, in cui si trovarono nel Sett. 1846 due marmi, Susae 1847 e di Relazione sovra un sepulcro antico recentemente scoperto nei contorni di Susa, Susae 1852.

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iscrizioni, le quali sono quasi tutte ridotte a semplici frammenti; una di esse, intiera ma assai logora è di un Saufeius della tribù Cornelia TR. COH. VIIII. PR. Un’altra di un Cumius della Voltinia. Sono poi quasi tutte unte e bisunte in modo da parere che state siano nell’oglio [sic] e tanto nere e crasse e logore che difficilissimamente si posson leggere. Vi ci vorrebbe della potassa, una gior-nata lucidissima, (parola illeggibile), essendo in gran parte inclinate ed anche imbiancate. Vi ci vuole insomma molto tempo che io non avendo, preferii di non copiar nulla».

Il lapidario era stato avviato, a partire dal 1794, dal già citato Giuseppe Fal-conieri(34): lo appuriamo anche da un appunto del 17 agosto 1794 dello stesso Falconieri: «Il pensiero poi di fare raccolta di lapidi e scoprirne come feci di tre e apportarle tutte nell’atrio del Seminario fu mio, la spesa del Seminario»(35).

A dire il vero, ad Avigliana Carlo era giunto l’8 aprile 1869 con lo stesso Mommsen(36): la pagina del Giornale delle Antichità riporta disegni e trascri-zioni di otto iscrizioni rinvenute tutte tra Avigliana e la Dora l’anno prima ed esaminate nelle abitazioni del pittore Teodoro Gerardi e del padre cappuccino Placido Bacco(37). La visita di Mommsen sollecitò la necessità di provvedere ad una sistemazione acconcia delle iscrizioni: infatti Carlo annota il 17 aprile, pochi giorni dopo il sopralluogo:

«Il Conte Sclopis mi disse che occorreva fare una Società per comprare le lapidi di Avigliana, e farle trasportare sotto il portico del palazzo de’ Musei, e che ne scrivessi al Sr Gerardi, come feci; mi rispose alli 22, poi alli 24 fu da me e dopo tentennato un poco pronunciò L. 2500 e che le avrebbe portate esso stesso a Torino (ma non disse se a sue spese, se alle nostre). Disse poscia che la lapide n° 2 era del P(adre) Placido col quale bisognava intendersi»(38).

Il conte Federico Sclopis(39) era allora presidente all’Accademia delle Scien-ze e mirava evidentemente ad incrementare la già cospicua collezione torinese di epigrafi romane che, dagli anni venti del Settecento, si trovava nel palazzo della Regia Università (almeno una parte), a disposizione di studenti, professori e visitatori di passaggio: di questo allestimento abbiamo notizie nelle relazioni

(34) GiaCCaria, Le antichità romane in Piemonte, cit. (v. nota 7), pp. 81-82; Cimarosti, Il lapidario del seminario, cit. (v. nota 6), pp. 101-108.

(35) Estratto di alcune lettere scritte dal ch. Giuseppe Falconieri professore di Rettorica a Susa al c.te Napione nell’anno 1794 (Torino, Accademia delle Scienze, Mss. 1389/6), trascritte da Costanzo Gazzera; v. anche CIL, V p. 814 (v. nota 15).

(36) promis, Giornale delle Antichità, cit. (v. nota 3), p. 36.(37) V. infra sezione Documenti. Per l’epigrafia segusina v. ora principalmente E. Cimaro-

sti, Aggiornamenti epigrafici alla «Carta archeologica della Valle di Susa», in «Rivista di Studi Liguri», LXXII-LXXIII (2006-2007), pp. 91-140; Ead., Il lapidario, cit., (v. nota 6). pp. 101-108; Ead., Le iscrizioni di età romana, cit. (v. nota 7); Ead., Testimonianze di Età Romana. Guida alla lettura delle epigrafi della Valle di Susa, «Segusium», numero speciale, Borgone 2008.

(38) promis, Giornale delle Antichità, cit. (v. nota 3), p. 36.(39) G. s. pEnE Vidari, Federico Sclopis (1798-1878), in «Studi Piemontesi», VII, 1 (1978),

pp. 160-172.

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di viaggiatori dell’epoca e conserviamo documentazione pittorica del lapidario nel cortile(40). In realtà, nel 1832, dopo la costruzione della nuova ala su Piaz-za Carignano, anche le collezioni archeologiche furono trasferite nella sede dell’Accademia delle Scienze, ad eccezione del materiale epigrafico e delle sta-tue di Susa(41). Il problema risiedeva nel fatto che le iscrizioni rinvenute nei fon-di privati erano gestite in modo assai personalistico da privati stessi: del Génin si è già detto, Teodoro Gerardi era un pittore con interessi antiquari(42) e aveva anche pubblicato un articolo con la notizia della scoperta, da parte di padre Bacco, delle due basi del servus della XL Galliarum(43). Questo padre cappucci-no Placido Bacco fu un protagonista delle antichità valligiane(44): «Sin dalla più tenera età spinto mi sentii ad erudirmi del nostro bel Piemonte, segnatamente della parte più occidentale: nel divisarne la storia facevo tempo alle tradizioni conformandole ai documenti e ai monumenti che per lo spazio di anni Quaranta circa andava discoprendo a destra e a sinistra della Dora da Avigliana alle cime di Susa», scriveva nell’introduzione del manoscritto n. 8 conservato presso la Biblioteca Civica di Susa, importante per il ricco corredo di immagini che pre-senta. A lui si deve soprattutto la scoperta a Malano di Avigliana della statio Fines Cotti, stazione doganale di esazione della XL Galliarum di cui sorvegliò gli scavi nell’estate del 1874 su richiesta di Ariodante Fabretti(45). La passione divorante per le antichità gli procurò spesso canzonature e rimproveri della gente del posto, poco o nulla interessata alle rovine antiche, ad eccezione di Norberto Rosa, a cui per riconoscenza padre Bacco regalò un rilievo di età ro-mana raffigurante un prigioniero barbaro legato ad un trofeo d’armi, rinvenuto

(40) L’allestimento si vede riprodotto in un acquarello di Luigi Premazzi datato 1841 (BRT, varia 2017, tav 8) e possediamo anche una tavola degli architetti F. E. Callet e J. B. Lesueur nel volume Architecture italienne septentrionale, Paris 1855, tavv. VII e IX.

(41) Sulle vicende del trasferimento della collezione epigrafica da ultima v. GiorCElli BEr-sani, Torino «capitale degli studi seri», cit. (v. nota 2), pp. 43-58.

(42) In Biblioteca Reale si conservano tre lettere di Raffaele Garrucci a C. Promis, riguar-danti proprio le scoperte epigrafiche di Avigliana: BRT, 13/XVIII, 30, 31, 32. Il gesuita Raffaele Garrucci (1812-1885) fu socio di prestigiose accademie italiane ed europee e si dedicò allo studio delle antichità classiche e cristiane, anche quelle segusine, pubblicate in «Proceedings of Society of Antiquaries of London», IV (1869), v. C. FEronE, Garrucci, Raffaele, in Dizionario Biografico degli Italiani, LII (1999), pp. 388-390.

(43) CIL V 7213 = ILS 1853.(44) Un profilo del personaggio in l. tosEllo, La figura del padre cappuccino Placido Bac-

co ed i suoi rapporti con il padre gesuita Luigi Testa in relazione agli scavi di Avigliana, in Ar-cheologia in Piemonte. Studi in memoria di Luciano Manino, a cura di B. Signorelli, P. Uscello, Quaderni di archeologia e arte in Piemonte 3, Torino, Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti, 2004, pp. 39-74. Un ringraziamento sincero a Rita Martinasso e a Dario Vota, di Segusium.

(45) Sulla struttura doganale della XL Galliarum v. principalmente J. FranCE, Quadragesi-ma Galliarum. L’organisation douanière des provinces alpestres, gauloises et germaniques de l’Empire romain, Roma 2001, pp. 326, 365-366, 369; per il toponimo v. Cat. 27-28, e ancora a. BEtori, G. mEnnElla, La Quadragesima Galliarum ad Fines Cotti, in «Quaderni della Soprin-tendenza Archeologica del Piemonte», XIX (2002), pp. 13-28.

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a Malano(46). Il padre conservava gelosamente i reperti archeologici ed epigrafi-ci e occorreva quindi accordarsi con lui per il loro trasferimento a Torino; que-sta era una situazione molto frequente ovunque in Piemonte che complicava il lavoro di controllo del patrimonio antico. Nel Giornale delle Antichità, Promis annota parte di una lettera di padre Bacco al padre Mongardi, cappellano della chiesa torinese dello Spirito Santo (via Barbaroux 19), datata 11 maggio 1869:

«Nel recarti a salutare il prof. Gastaldi ed il prof. Carlo Promis loro parte-ciperai che per oggetti archeologici avendo intrapreso in due epoche il viaggio per la ferrovia di Susa, il mio lungo colloquio col Sr Avvocato e cavaliere Génin non pervenne a convertirlo, di vendere o regalare quei cippi ed iscrizioni celti-che e romane, di sua spettanza dissotterrate in un suo fondo in Foresto; sarebbe stato molto allietato dalla visita di quei due archeologi ad ammirare i sotterra-nei di quella sua proprietà, ma che colla continuazione di altri scavi voleva far creare una raccolta»(47).

Sia Mommsen sia Carlo Promis non consideravano il padre Bacco un esper-to di antichità né tanto meno un epigrafista, ma un solerte e sincero raccoglitore di pezzi antichi, geloso delle proprie scoperte e fin troppo convinto dei pro-pri mezzi culturali, in realtà modesti; la gestione personalistica delle antichità valligiane costò al padre cappuccino un dissidio con Ariodante Fabretti, allora direttore del Museo torinese e responsabile ufficiale degli scavi a Malano, che non gli perdonò l’aver divulgato i risultati delle campagne di scavo ad altri studiosi senza aver avuto l’autorizzazione(48); e ancora in una lettera di Carlo a Mommens conservata nella Staatsbibliothek di Berlino così si legge: «Le Ca-pucin, que Vous savez, y a été [a Foresto] mais ses apographes je dois Vous les épargner; j’en deduis pourtant que les pierres sont très lisibles»(49). È forse utile in questa sede ricordare che l’Istituto Sociale di Torino conserva alcuni docu-menti che contribuiscono a gettare luce sui rapporti tra i gesuiti padre Bacco, padre Raffaele Garrucci e Carlo Promis in relazione alle iscrizioni di Aviglia-

(46) Archeologia a Torino. Dall’età preromana all’Alto Medioevo, L. Mercando (a cura di), Torino 2003, pp. 176 e 178, fig. 145.

(47) promis, Giornale delle Antichità, cit. (v. nota 3) p. 36.(48) tosEllo, La figura del padre cappuccino, cit. (v. nota 44), pp. 61-62: nel corso dei lavo-

ri di sorveglianza agli scavi di Malano, che gli erano stati assegnati da Ariodante Fabretti, padre Bacco divulgò, senza autorizzazione, alcuni dati di scavo ad insigni personaggi dell’accademia archeologica di Bruxelles.

(49) DSB, Nl. Mommsen, Promis, Carlo, Bl. 26-27, 24 maggio 1869. A onor del vero, e a parte le scaramucce tra studiosi, i risultati della passione di padre Bacco per le antichità, trasferiti in centinaia e centinaia di pagine manoscritte, costituiscono una documentazione di prima mano, come intuì Natalino Bartolomasi che nel 1975 pubblicò parte degli scritti di Bacco: «Letteraria-mente sono un autentico orrore. Bislacche, quanto si può dire, nella loro struttura ortografica, grammaticale e sintattica, ed infelicissime nelle interpretazioni storiche che propugnano, esse non meriterebbero certo l’onore della stampa. Se glielo concediamo, è unicamente perché pre-sentano, come sopra abbiam detto, il valore d’una testimonianza diretta ed unica», v. n. Barto-lomasi, Valsusa antica. Le origini, i Celti, i Romani, Pinerolo 1975, pp. 39 e 535.

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na: l’interesse per i nuovi ritrovamenti era molto forte e ciascuno, per proprio conto, rivendicava una sorta di primazia, poco gradita agli altri. Scriveva padre Garrucci, rivendicando di aver dato per primo notizia a Promis delle lapidi: «una revisione delle lapidi mal copiate, ed egli dopo avermi fatto aspettare tre mesi vi condusse Mommsen, ed io restai così turbato! Potei del resto scrivere in fretta e dare alla luce il mio articolo. Dopo ciò se Ella si trova avere la Torino di questo Carlo Promis, egli ha ivi inserito quante ha saputo di questi scavi di Avigliana, quantunque mi avesse scritto, che non se ne servirebbe per quella storia»(50). Ancora, in Biblioteca Reale si conservano tre lettere sempre di Gar-rucci a Promis che richiamano le scoperte epigrafiche di Avigliana e lasciano trasparire qualche amarezza per il mancato riconoscimento del proprio ruolo nella valorizzazione dei reperti(51). Il carteggio torinese incrociato con quello berlinese rivela che sempre nel 1869 Mommsen aveva chiesto all’amico torine-se un nuovo sopralluogo a Foresto per il controllo dei marmi alle Matrone, di cui esistevano troppi apografi non affidabili: oltre ai già citati di Bacco, c’erano quelli realizzati da Bartolomeo Pugno, canonico e teologo, accademico delle scienze dal 1832, la cui acribia scientifica in campo antichistico non era parti-colarmente apprezzata(52).

Nel 1869 Carlo Promis rimandò il viaggio in Valle di Susa a causa delle condizioni pessime del tempo che, in quegli anni, rendevano evidentemente difficile o sgradevole il raggiungimento del sito: «à votre départ d’ici - scrive a Mommsen nel mese di agosto - commença une pluie continuelle qui dura deux mois et demi, suivie par une chaleur étouffante qui n’a pas encore cessé. C’est pour cette raison que j’ai retardé, mais quod differtur non aufertur. Ce cera pour la fin du mois, ou pour le commencement de septembre»(53). Gli riuscì finalmen-te di salire a Foresto il 28 settembre di quell’anno (con il nipote Vincenzo e con

(50) La lettera è citata da tosEllo, La figura del padre cappuccino, cit. (v. nota 44), pp. 62-63, senza indicazione di segnatura: è di padre Garrucci a padre Luigi Testa (1821-1904), gesuita, professore di filosofia e teologia, che si adoperò nella pubblicazione, nel 1876, del resoconto degli scavi di Malano seguendo i manoscritti di padre Bacco. Garrucci allude alla Storia della antica Torino, pubblicata da C. Promis nel 1869 dove effettivamente, nelle pp. 459-461, sono descritte due epigrafi alle Matrone (CIL V 7228 e 7210) e sono citate le altre di Foresto, senza alcun cenno a dettagli di ritrovamento.

(51) Cfr. nota 42. La prima, datata 23 gennaio 1869 (13/XVIII/30) contiene una richiesta di informazioni sulle iscrizioni di Avigliana; un appunto di Promis in calce alla lettera specifica di aver spedito al Garrucci il 30 gennaio «sette lapidi datemi alli 28 dal P. Placido, colle mie illustra-zioni»; la seconda del 2 febbraio 1869 (13/XVIII/ 31) lascia intendere di essere ancora in attesa di qualche iscrizione; la terza lettera del 12 aprile (13/XVIII/ 32), scritta dopo aver ricevuto tutte le copie da Promis, nella parte finale fa trasparire qualche amarezza («onde mi dispiacque sempre che la mia ferrea (?) libertà mi abbia procacciato tanta inimicizia»).

(52) Su di lui v. CIL V p. 814, in una nota neutra: «et canonicus Bartholomaeus Pugno, cu-ius schedulas quasdam repperi Susae apud advocatum Felicem Chiapusso, plures Taurinis inter Gazzeriana et Promisiana».

(53) DSB, Nl. Mommsen, Promis, Carlo, Bl. 28, 2 agosto 1869.

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Teodoro Gerardi)(54) e di verificare le sei iscrizioni «très bien conservées»(55) che si trovavano presso l’avvocato Génin (fig. 3). Per controllare i testi, Mommsen salì in valle alcuni anni dopo, nel mese di aprile 1872, da solo (del resto, Car-lo era già in pensione e non in salute) come rivela una lettera nella quale egli scrive a Carlo: «Per ora la prego di procurarmi per domani sera una lettera d’introduzione per Susa. Arriverò domani coll’ultimo treno a Torino e sarò la notte all’Hotel Fides, ripartendo domani l’altro a Susa, e siccome non ci sarà il tempo di venire a casa sua, la prego di farmi trovare quella lettera all’hotel(56)». Non conosciamo l’esito del sopralluogo ma possiamo immagine un’ultima me-ticolosa autopsia delle iscrizioni raccolte nel lapidario del Seminario e, forse, qualche verifica presso le abitazioni di privati dove si conservavano iscrizioni.

(54) Come si ricava dal suo Giornale delle Antichità cit., (v. nota 3), p. 33.(55) DSB, Nl. Mommsen, Promis, Carlo, Bl. 29-30, 29 settembre 1969 con disegni. e con-

fluirono nel CIL ai numeri 7224 e add. p. 1090, 7226, 7227, 7228, 7241, 7295 = add. 8951. (56) BRT 13/XXI/31, aprile 1872.

Fig. 3. Iscrizioni di Foresto.

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Il Corpus Inscriptionum Latinarum sarà pubblicato cinque anni più tardi e il materiale della Valle di Susa fu organizzato nelle due sezioni Fines Cotti (dalla statio di XL Galliarum fino a Bussoleno) e Segusio(57); a numerose iscrizioni Mommsen aggiunse l’indicazione descripsi, che sta a significare «ho visto e schedato l’originale di un’iscrizione inedita», e contuli, cioè «ho controllato l’originale di un’iscrizione edita».

Un ultimo dettaglio prima di una brevissima conclusione. Nelle lettere ber-linesi si fa cenno, ancora nel 1869, anche ai torsi loricati scoperti nel 1802 in un tratto delle antiche mura della città nelle quali erano stati inseriti come materiale di reimpiego: trasportati a Parigi a seguito delle spoliazioni napoleo-niche, i due pezzi furono reintegrati delle parti mancanti e rientrarono a Torino nel 1816(58). La ricchezza delle corazze fa da sempre pensare a due personaggi della famiglia imperiale: la raffigurazione su una delle due corazze di due bar-bari orientali, i mitici Arimaspi, che offrono da bere a due grifi, trasportano sul piano del mito l’idea propagandistica del ruolo pacificatore del governo imperiale; la datazione, su basi stilistiche, è all’età tiberiana(59). Non stupisce la presenza a Susa di un complesso di statue onorarie di vari personaggi della fa-miglia imperiale: l’arco di Augusto, la monumentalizzazione del foro, la statua di Agrippa, l’heroon di Cozio rappresentavano altrettante tappe di un percorso di trasformazione dell’identità di Segusio alla luce dell’ideologia augustea che assegnava alle strutture monumentali cittadine il compito di veicolare simboli-camente e materialmente il ruolo di potere esercitato da Roma nell’impero(60). Interessa qui soltanto ricordare che non solo le iscrizioni ma tutto il materia-le archeologico segusino era oggetto dell’attenzione speciale di Mommsen e dell’Istituto Germanico a Roma, il prestigioso istituto di studi antichi allora diretto da Karl Hübner. L’eccezionalità del ciclo statuario aveva sollecitato la curiosità degli studiosi italiani ed europei che, non riuscendo a raggiungere Susa facilmente, chiedevano apografi e immagini delle grandiose statue lorica-

(57) CIL V p. 814.(58) G. FranChi di pont, De’ torsi segusini, in «Mémoires de l’Académie Impériale des

Sciences, Litterature et Beaux-Arts de Turin», XIII (1805), pp. 434-509; sulle vicende relative alla scoperta dei torsi loricati a del loro trasporto a Parigi e del loro rientro a Torino nel 1816, La porta del Paradiso. Un restauro a Susa, L. Mercando (a cura di), Torino 1993, pp. 74-78; l. lEVi momiGliano, Giuseppe Vernazza e la nascita della storia dell’arte in Piemonte, Alba 2004, p. 32; E. miChElEtto, Il patrimonio archeologico, in Napoleone e il Piemonte. Capolavori ritrovati, catalogo della mostra a cura di B. Ciliento, M. Caldera (Alba ottobre 2005-febbraio 2006) Savi-gliano 2005, pp. 135-144, spec. 140-143.

(59) m. Cadario, Ipotesi sulla circolazione dell’immagine loricata in età imperiale. I torsi giulio-claudi di Susa, in La scultura romana dell’Italia settentrionale. Quarant’anni dopo la mostra di Bologna, atti del convegno internazionale di studi (Pavia 22-23 settembre 2005), S. Maggi, F. Slavazzi (a cura di), Firenze 2008, pp. 281-292; m. dall’aGlio, Urbanistica e cele-brazione del potere a Susa (Torino), in «Journal of Ancient Topography», XVII (2007), pp. 8-22.

(60) Si veda, in questo volume, il contributo di E. Panero; inoltre p. ZankEr, Augusto e il potere delle immagini, Torino 2006 (Augustus und die Macht der Bilder, Beck, München 1987).

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te. Così scrive Carlo Promis a Mommsen, dopo avergli spiegato le condizioni, pensiamo esose, per la realizzazione di nuove fotografie delle corazze da parte del miglior fotografo di Torino:

«Ces deux cuirasses sont gravées, après le Mémoire sur les Torsi Secusi-ni dans le 2ème volume de l’Acad. des Sciences (1802, Classe de Litérature) par l’habile dessinateur et graveur Boucheron. Si cela peut servir à M(onsieur) Hübner, soit; mais, si il tient absolument à la photographie, ja Vous prierai d’avoir la complaisance de m’en écrire. Il y a aussi au Musée une statue, qu’on croit d’ Auguste, ayant le torse entier et la jambe gauche, ayant sul le devant de la cuirasse un trophée entre deux génies ailé. J’en joins ici le calque d’après une esquisse que je garde. Si cela convient à M(onsieur) Hübner, on pourrait le faire dessiner au photographier»(61).

Esistevano, dal 1805, le meravigliose riproduzioni delle corazze realizzate dall’illustre disegnatore e incisore Angelo Boucheron(62), presentate all’Esposi-zione allestita a Torino in onore del passaggio di Napoleone ma Mommsen e i suoi amici tedeschi pretendevano di avere delle immagini, più fedeli; lo studio-so tedesco non era nuovo a questo genere di richieste: dai canonici dell’Ospizio del Gran San Bernardo aveva ottenuto, tramite Carlo Promis, una delle plac-chette bronzee a Iuppiter Poeninus(63), dalla Biblioteca Reale aveva preteso la copia dell’opera di Emanuele F. Pingone e pochi anni dopo richiederà addirit-tura 18 dei 30 volumi dell’Enciclopedia delle Antichità di Pirro Ligorio, noto e abilissimo falsario del XVI secolo, conservati all’Archivio di Stato, ex Archivio Regio(64). Insomma, par di capire che il professore tedesco si muovesse a Torino e dintorni con molta disinvoltura, agevolato dal sostegno di amici, confratelli di accademia, studiosi e da una pletora di amici degli amici che si prodigava per compiacerlo. Non sappiamo se le fotografie siano mai state realizzate e spedite a Hubner ma certo non pochi studiosi illustri guardavano al Piemonte e alle sue istituzioni culturali come a una miniera inesauribile di documenti preziosi.

Lo studio del carteggio Mommsen-Promis rappresenta un ulteriore e inedito spaccato sulla cultura segusina di metà Ottocento. In valle, come in altre zone del Piemonte intorno agli anni dell’unità d’Italia, si sviluppò lentamente ma inesora-bilmente una sensibilità più matura e consapevole verso le testimonianze di epoca classica. Ritengo che essa accompagnasse l’emergere di una più ampia coscienza nazionale nello Stato unitario che compiva allora i primi passi e cui le raccolte di antichità, intese non tanto come collezioni di oggetti artistici, o di anticaglie, ma come fondamenta di una storia patria ancora tutta da scoprire e da scrivere,

(61) DSB, Nl. Mommsen, Promis, Carlo, Bl. 24-25.(62) Su Boucheron v. r. armErio tardino, Boucheron, Angelo, in Dizionario Biografico

degli Italiani, XIII (1971); a.m. riCComini, Angelo Boucheron disegnatore di antichità per il Voyage en Piémont di Aubin Louis Millin, in «Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte», XXIII (2008), pp. 9-20.

(63) GiorCElli BErsani, Torino «capitale degli studi seri», cit. (v. nota 2), pp. 96-98.(64) Ivi, pp. 113-114.

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fornirono un sostrato documentario e soprattutto un forte riferimento identitario. Lo stesso Mommsen si fece interprete e patrocinatore della causa dell’Italia uni-ta, contribuendo a instillare negli italiani la consapevolezza di essere eredi diretti e legittimi di un patrimonio millenario da scovare, riconoscere e amorevolmente conservare(65). Come nel resto del regno sabaudo, a metà Ottocento anche la Valle di Susa non aveva una diffusa e condivisa coscienza della propria storia più anti-ca ed ebbe tardi presidi museali ove raccogliere e conservare il proprio patrimo-nio antico, né i suoi studiosi erano in grado di andare oltre lodevoli storie locali e diligenti raccolte di fonti: ma la passione antiquaria di alcuni notabili, la scoperta fortuita di reperti archeologici ed epigrafici, gli interessi per le vestigia da parte delle neonate istituzioni torinesi per la tutela, si intrecciarono con l’attività in-tellettuale e soprattutto politica di personaggi di spessore che diedero vita a un intenso dibattito politico e culturale nel quale si intrecciavano problemi locali e nazionali, interessi generali e particolari(66): la vivacità delle testate giornalistiche locali era l’espressione di singole personalità che conducevano le loro battaglie politiche personali e sarebbe molto interessante verificare, nella pubblicistica lo-cale, se e come possa essere eventualmente filtrato un interesse per le antichità locali da spendere in funzione propagandistica.

(65) th. mommsEn, Agli Italiani, Firenze 1870, in «Quaderni di Storia», IV (1967), pp. 197-20.(66) V. vol. I de La biblioteca di Segusium, I giornali valsusini dell’Ottocento, Almese 2003.

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Sezione Documenti (67)

Si presentano qui le trascrizioni delle pagine inedite del Giornale delle Antichità riguardanti i sopralluoghi compiuti da Carlo Promis ad Avigliana, a Foresto e a Susa, corredate di qualche breve nota esplicativa (per i commenti analitici delle iscrizioni si rimanda al volume di Cimarosti, Le iscrizioni di età romana, cit. v. nota 7). Un ringra-ziamento vivissimo a Giovanni Saccani, Direttore della Biblioteca Reale, per averne concesso la pubblicazione.

SUSA(2-4 Novembre 1837)Andai a Susa solamente per riferire un ragguaglio dello stato in cui ora trovasi

l’arco onorario eretto ad Augusto, al quale molto danno minacciano i noci e gelsi circo-stanti, la terra che da un fianco lo investe ed i fuocolari che negl’angoli degli stilobati vi ho visti accesi dai contadini. I capitelli de’ pilastri ne sono ammirabili.

Non esaminai per allora le lapidi del Seminario, aspettando per ciò più commoda occasione. Notai che al ponte sulla Dora Baltea che apre comunicazione tra le due parti della città, l’arco è moderno, ma antiche ne sono le fondamenta le quali elevansi a tre filari di cunei sopra il pelo delle acque medie, hanno la solita larghezza (di sei metri scarsi?) e quei buchi con modiglioni ne’ quali appuntavasi l’armatura.

Fui una seconda volta in Susa il 29-30 luglio del 1839: viddi il cominciamento de’ lavori di recinto e bonificazione all’Arco a spese del R.o Demanio in somma di poco più di 4000 fr.

La state istessa scavandosi per gettar le fondamenta del Palazzo provinciale ossia dell’intendenza si rinvennero questi frammenti di lapidi(68):

i · C · FidoEtViniCiaE · FViniCiVsEtsoliCia ·parEnlettere piccolissime

Questa sottoposta è in Condove in casa il Sr Proposto Peligiani, e già serviva a co-prire in una casa privata una vettina d’olio: è in marmo bianco: fu però qui portata da Chiavrie (Vicus Cabrius) dove fu rinvenuta, e dove dicesi esista il nucleo piramidale di un sepolcro Romano(69).

(67) Dal 31 marzo al 26 giugno 2015 la Biblioteca Reale di Torino ospita la mostra, curata da chi scrive, «Carlo Promis e Theodor Mommsen cacciatori di pietre fra Torino e Berlino». La mostra, realizzata sul progetto «Cultural Heritage of Antropoloty» (finanziata dalla Compagnia di San Paolo), è patrocinata dal Comune di Torino nell’ambito degli eventi «Torino incontra Berlino».

(68) Si tratta di CIL V 7316 e 7303 entrambe irreperibili, rinvenute durante i lavori di scavo nei pressi del Palazzo Provinciale, restano due schizzi di Promis poi passati a Gazzera (Carte sparse), v. Cimarosti, Le iscrizioni di età romana cit. (v. nota 7), pp. 314-315 e 336-337.

(69) CIL V 7220, irreperibile, rinvenuta a Caprie in data e sito sconosciuti, poi custodita

Vs · m · l · masCiVxor · Etlettere mediocri

70

ti · ClaVdiVssEVEri · Et · ViBiaE · lCaprissVs____________________minErVaEV · s · l l m

AVIGLIANA(8 aprile 1869, col Prof. Teodoro Mommsen)

(1a)pUdEns · soCpVBl · xl · sErsCr · FiniBCotti VoVitarCar lVGVds · l · m

Trovate tutte tra Avigliana e la Dora nel 1868, meno la 2a. Stanno in casa del Pit-tore Sr Teodoro Gerardi; in parallelepipedi di gneiss alti 0,63 larghi 0,35 e di sezione quadrata. La 2a stava sotto un gran fascio di antenne da muratore, o pali, accanto alla chiesa di S. Maria Maggiore (scoperta non si sa quando), e dopo veduta la prima, disse il sacrestano che là sotto n’era un’altra, e fu tolta portandola sul banco ch’è accanto alla posteriore facciata della chiesa de’ Cappuccini alla Madonna sul lago della Madonna(70).

(3a)matronisti · iVliVs · prisCi · l ·aCEstEs

Trovata nello stesso luogo e tempo, sta dal Sr Gerardi ed è in bellissimi caratteri. Sotto sta un bassorilievo delle Matrone, in 5 figure stanti e dantisi la mano, assai ben conservate e di buona scuola(71).

(4a)I · O · m.[disegno di frontone]ALYPVS AVgusti lib.V · s

presso la parrocchia di Condove, esiste uno schizzo di Promis passato a Gazzera (Carte sparse), v. Cimarosti, Le iscrizioni di età romana, cit. (v. nota 7), pp. 145-147.

(70) CIL V 7213 a e b: due basi di calcare rinvenute ad Avigliana, frazione Drubiaglio, borgata Malano-Ghetto nel 1868, v. Cimarosti, Le iscrizioni di età romana, cit. (v. nota 7), pp. 155-157.

(71) CIL V 7210, rinvenuta ad Avigliana, frazione Drubiaglio, borgata Malano-Ghetto, nel 1868 durante gli scavi condotti da padre Bacco, v. Cimarosti, Le iscrizioni di età romana, cit. (v. nota 7), pp. 131-132.

(2a)pVdEns · soCpVBl · xl · sErsCr · Fin · CottiVoVit · arCarlVGVd · s · l · m

71

(5a)i. O · Mt. flAVIVSaug. L ALYPVStabul. XL GALICETclauDIA · AVG LIBalexaNDRIA l M

(7a)trophimus (?)CAESarisSER VIlicusSTATIONis. fin.MATROnis. v. s.

Dalla 3a in 8a son tutte in marmo bianco e trovate insieme e presso il Sr Gerardi; la 4a è la faccia àntica della 5a ed ha in alto un’aquila tra gli artigli tenente un festone, tra la dedica ed Alypus una edicola. La 6a è una Mensa Sacra(72).

GRAECIAambiavi f.secunda

Trovasi questa come soglia della porticina laterale della chiesa di S. Maria Maggio-re in Avigliana; è salva la prima linea, e le altre logore dallo stropiccìo de’ piedi. Cf. Zaccaria Excursus pag. 51(73).

17 aprile 69 / Il Conte Sclopis mi disse che occorreva fare una Società per comprare le lapidi di Avigliana, e farle trasportare sotto il portico del palazzo de’ Musei, e che ne scrivessi al Sr Gerardi, come feci; mi rispose alli 22, poi alli 24 fu da me e dopo tenten-nato un poco pronunciò L. 2500 e che le avrebbe portate esso stesso a Torino (ma non disse se a sue spese, se alle nostre). Disse poscia che la lapide n° 2a era del P. Placido col quale bisognava intendersi.

Disse che la regione ove si rinvennero è di là della Dora (cioè alla sua sinistra) ed una cinquantina di metri oltre il fiume, regione Malano, sito detto Drubiaglio, in picco-la area, della quale era stata dai contadini scavata, a ora, circa una metà, e che tutto era stato trovato nell’autunno del 68.

(72) Sono illustrate qui 4 iscrizioni CIL V 7209 (un’ara opistografa, quindi le iscrizioni indicate ai nn. 4° e 5°, Ivi, pp. 126-128), CIL V 7214 e add. p. 1090 (irreperibile, la versione qui illustrata sembra meno completa di quella riportata da A. Fabretti che la pubblicò nel 1875, in «Atti della Società di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino», I, fasc. 1, pp. 19-40, p. 24, v. Cimarosti, Le iscrizioni di età romana, cit. (v. nota 7), pp. 158-159), CIL V 7211 (Ivi, pp. 135-137) e Ivi, p. 337 (esiste un cippo potenzialmente solidale, CIL V, 7216).

(73) CIL V 7218, Ivi, pp. 293-294.

(6a)tabVL · XLGALL · D · D ·

(8a)d. m.VIfORTVNataeVLPIA · CHRestePARENTIBVSDVLCISSIMIS

72

[…]matronis saCrVmpro salVtE C · CaEsarisaVGVsti GErmaniCinarCissVs Cl · CaEsaris

Trovata a Malano presso Avigliana e dintorni dal P. Placido come scoperta poco prima.

Torino, 18 aprile 1871. Ma alli 19 aprile 1871 Mommsen mi disse che quel CL non poteva stare e che era eguale a quella del lago maggiore (che sia una […] di P. Placido? Infatti tutte l’altre erano copiate in maiuscole, e questa in bel corsivo, né disse nulla sua ubicazione)(74).

FORESTO v. pag. 33

(1)C · iVliVs · CatV · romanislaptVs m · V · s · l · m

(3)matronisV · s · l · l · msEx · iVliVssECVndinVs · � ×

(5) DEC. IMnym….iE Nymphen, Orelli 4435.m · V · l · Nymficeni, Donati 274, 3.Cippo

27 aprile 1869/ Fu da me il P. Placido Cappuccino e mi diede queste lapidi da lui copiate, poco prima, in Foresto e presso l’Avvocato Génin. Sono però assai incerte; la 6a è quella da me stampata al n° 214 della Storia di Torino(75).

(74) Si tratta in realtà di CIL V 6641 rinvenuta a Verbania, loc. Pallanza: il dubbio di Promis in merito al rinvenimento di questa iscrizione è confermato da Mommsen che nel CIL la colloca tra le novaresi, riferendo l’errata comunicazione di padre Bacco a Promis («nuper repertam esse in vico Malceno qui pars est pagi Drubiaglaji prope Aviglianam inter Taurinos et Susam PLACI-DUS item errore». Come padre Bacco fosse venuto a conoscenza dell’iscrizione non si sa: una riproduzione dell’epigrafe compare anche nella pubblicazione del padre Testa sull’«Emporio Po-polare», Torino 7 febbraio 1876, conservato presso l’Archivum Provinciae Taurinensis Societatis Iesu (così tosEllo, La figura del padre cappuccino, cit. (v. nota 44), pp. 57-59).

(75) Si tratta di CIL V 7244 e add. p. 1090 (Cimarosti, Le iscrizioni di età romana, cit. v. nota 7, pp. 142-144), 7227 (Ivi, pp. 134-135), 7226 (Ivi, pp. 133-134), 7295 e add. p. 1090, 7241

(2)matronis VotVmsolVitt · sanVCiVs marCEllVsl · l · m

(4)iVliiVGiVlia do ·Viro

(6)diVis mt · VindonComÞ Vm…onlaBsVm · Ex · Vo…..EstitVit · l · l · m

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5a / V, Guichenon pag. 55? Numis.Brano di lettera del P. Placido cappuccino ad Avigliana al P. Mongardi, 11 maggio

1869. «Nel recarti a salutare il prof. Gastaldi ed il prof. Carlo Promis loro parteciperai che per oggetti archeologici avendo intrapreso in due epoche il viaggio per la ferrovia di Susa, il mio lungo colloquio col Sr Avvocato e cavaliere Génin non pervenne a con-vertirlo, di vendere o regalare quei cippi ed iscrizioni celtiche e romane, di sua spet-tanza dissotterrate in un suo fondo in Foresto; sarebbe stato molto allietato dalla visita di quei due archeologi ad ammirare i sotterranei di quella sua proprietà, ma che colla continuazione di altri scavi voleva far creare una raccolta» – Al P. Mongardi a Torino, cappellano della chiesa dello Spirito Santo, Via Barbaroux n° 19.

FORESTO v. pag. 32(28 settembre 1869 coi nipoti e col Sr Teodoro Gerardi)

Foresto è a circa 2 chilometri a destra di Bussolino [sic] e ad 8 chilometri da Susa. Ivi l’avvocato Génin ha nella sua casa colonica queste iscrizioni, tutte in marmo bianco e trovate circa il 1840. Foresto è però ancora in pianura.

1.matronis VotVm solVitt · sanVCiVs · marCEllVsl · l · m

3.C · iVliVs · CatVronisl ·aptVsm · V · s · l · m

5.dECV#ianymphEm · V · l ·

Nella 2a il � finale è chiarissimo e forse indica �. l., per la lunghezza del Secundinus non essendosi potuto mettere la L.

La 4a è sepolcrale.La 5a forse dice DECVrIA Nymphe MatronisLa 6a si restituisce dal mio stampato n° 214, pag. 461(76).Dopo pranzo andammo nel seminario (accanto alla Cattedrale) dove stanno infisse

nel muro del portico, ma in quel muro non colpito dalla luce, n° 60 iscrizioni, le quali

e add. p. 1090 Ivi, pp. 144-145), 7228 (Ivi, pp. 137-139).(76) Allude al suo Storia dell’antica Torino Julia Augusta Taurinorum. Scritta sulla fede de’

vetusti autori e delle sue iscrizioni e mura da Carlo Promis, pubblicato a Torino nel 1869.

2.matronisV · s · l · l · msEx · iVliVssECVndinVs · �

4.C · iVlio c. l.IVGoIVLIA · donni l.Viro

6.diVis · mt · VindonEV#ComÞtVm VEtVsConlaBsVm Ex VorEstitVit · l · l · m

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sono quasi tutte ridotte a semplici frammenti; una di esse, intiera ma assai logora è di un Saufeius della tribù Cornelia TR. COH. VIIII. PR(77). Un’altra di un Cumius della Voltinia(78). Sono poi quasi tutte unte e bisunte in modo da parere che state siano nell’o-glio [sic] e tanto nere e crasse e logore che difficilissimamente si posson leggere. Vi ci vorrebbe della potassa, una giornata lucidissima, tavole, essendo in gran parte inclinate ed anche imbiancate. Vi ci vuole insomma molto tempo che io non avendo, preferii di non copiar nulla.

Vi è anche una colonna milliare [sic] in granito rosso col n° XIII dalla Civitas Secu-sium ma orribilmente guasta. La scritta n’è assai lunga(79).

(77) CIL V 7255, trovata a Sant’Antonino di Susa in data ignota, trasferita poi nel lapidario del Seminario vescovile, Cimarosti, Le iscrizioni di età romana, cit. (v. nota 7), pp. 217-219.

(78) CIL V 7268, rinvenuta a Susa il 10 ottobre 1788, poi trasferita nel lapidario del Semina-rio vescovile, Cimarosti, Le iscrizioni di età romana, cit. (v. nota 7), pp. 254-256.

(79) CIL V 8076, rinvenuta in data ignota a San Giorio di Susa, reimpiegata come base di un fonte battesimale, infine trasferita nel Seminario vescovile: segnala il tredicesimo miglio lungo la strada che da Augusta Taurinorum conduceva al valico del Monginevro e si data tra il 236 e il 238 d.C. (durante il breve regno di Massimino il Trace).