«Senza aver penne non si può volare» – Un ‘sommario’ della Città di Vita di Matteo...

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GIORNALE CRITICO DELLA FILOSOFIA ITALIANA QUADERNI 25

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GIORNALE CRITICO DELLA FILOSOFIA ITALIANAQUADERNI

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Direzione

Aldo Brancacci, Massimo Ferrari,Sebastiano Gentile, Gianna Gigliotti,Maurizio Torrini (coordinatore)

Comitato scientifico

Carlo Borghero, Michele Ciliberto,Tullio Gregory, Helmut Holzhey,Sir Geoffrey E.R. Lloyd, Denis O’Brien,Dominic O’Meara, Gianni Paganini,Gennaro Sasso, Loris Sturlese,Giuseppe Tognon, Mauro Visentin

Redattore

Alessandro Savorelli

Un ‘sommario’ della Città di vitadi Matteo Palmieri

Alessandra Mita Ferraro

«SENZA AVER PENNENON SI PUÒ VOLARE»

Le Lettere

Copyright © 2012 by Casa Editrice Le Lettere – FirenzeISBN 978 88 6087 642 3www.lelettere.it

a Cesare Vasolifautor studiorum meorum

PREMESSA

L’edizione del ms. App. 211 = Gamma S 5 28, del Fondo Camporidella Biblioteca Estense di Modena che qui si presenta, costituisceun tassello ulteriore nel mosaico, affascinante ma dai contorni anco-ra sfumati, nella conoscenza e nella storia del poema in terza rima diMatteo Palmieri.

Ho già ricostruito altrove la biografia e ampiamente analizzatotutte le opere dello Speziale fiorentino. A distanza di qualche annol’interesse, mai spento, per il poema mi ha spinto ad aggiungereancora una pagina.

Firenze, 8 agosto 2012

INTRODUZIONE

I

IL MANOSCRITTO MODENESE CAMPORIAPP. 211 = GAMMA S 5 28 E GLI ALTRI MANOSCRITTI

DELLA TRADIZIONE TESTUALE

La Città di vita è l’ultimo grande momento creativo di MatteoPalmieri, quando si fece, come dice Marsilio Ficino, poeta teologo1.Il suo alacre impegno e la dedizione alla vita pubblica, che ne fe-cero uno degli uomini chiave del regime mediceo ai tempi di Co-simo, di Piero e di Lorenzo, si accompagnarono sempre ad unaproduzione intellettuale che quell’impegno e quella dedizione ri-specchiavano, e le opere che realizzò risposero sempre perfetta-mente al clima politico e alle necessità di Firenze2.

Il manoscritto Gamma S 5 28 del Fondo Campori della Biblio-teca Estense di Modena che qui presento è uno dei 5 testimoniche tramandano il testo della Città di vita. Si tratta in realtà diuna sintesi redatta negli ultimi due decenni del Quattrocento checomprende un sommario del poema, alcuni capitoli affiancati dalcommento latino di Leonardo Dati e dalla Canzone Morale diLeonardo Bruni3.

1 L’espressione si legge in una lettera scritta da Ficino nell’aprile del 1474a Palmieri, riportata da A. DELLA TORRE, Storia dell’Accademia platonica diFirenze, Firenze, Carnesecchi, 1902, rist. anast. Torino, Bottega d’Erasmo,1968, pp. 492-493.

2 Per la ricostruzione puntuale della vita, delle opere e del contesto storicoculturale in cui visse Matteo Palmieri rimando al mio Matteo Palmieri. Unabiografia intellettuale. Prefazione di Cesare Vasoli, Genova, Name, 2005, d’orain poi MP. Riprendo qui, riveduto e aggiornato nella bibliografia, parte delcapitolo V (Palmieri poeta teologo, pp. 353-478).

3 Pubblicata in H. BARON, Leonardo Bruni Aretino. Humanistisch-philosophi-sche Schriften, Leipzig-Berlin, 1928 (nuova ed. Wiesbaden, 1970), pp. 149-154.

INTRODUZIONE14

Tale testimone non è finora stato oggetto di studio ma è pre-zioso per tracciare la fortuna del poema palmieriano.

È un manoscritto cartaceo, in quarto, composto da 42 cc. (for-nite di moderna numerazione), una copertina in pergamena sullaquale è disegnato un ritratto di Matteo a colori (simile al ritrattodel Botticini del Pluteo laurenziano XL 53, il testimone più pre-zioso) recante la scritta «Matteus Palmerius obiit salutis anno1472»4. A c. 2v compare una copia a colori (rosso e verde) del di-segno che rappresenta il sistema cosmologico palmieriano, copia‘modesta’ del disegno del Laurenziano5.

Sul foglio di guardia si legge:

Di Luigi Fiacchi6.Questo sommario della Città di vita del Palmieri fu trovato da mel’anno 1815 in pessimo stato colle sopraccarte malamente rotte,delle quali facendolo rilegare conservai la prima perché contienel’epoca della morte del Palmieri, e il di lui ritratto benché moltosvanito.Il sommario è fatto da un Proconsolo dell’Arte degli Speziali7 con-

4 Nel Pluteo XL 53 della Biblioteca Laurenziana di Firenze (su cui tornerò)il ritratto, che però è privo di colore, è a c. 303r; con la veste rossa, invece, è raf-figurato l’Autore a c. 11r. L’unica trascrizione semidiplomatica dell’opera è quel-la della Rooke che ho deciso di trascurare rifacendomi direttamente al mano-scritto laurenziano (ormai consultabile anche in rete nella raccolta dei Pluteidella Biblioteca Medicea Laurenziana), che ho in alcune parti trascritto utiliz-zando gli stessi criteri seguiti per l’edizione del ms. modenese, riportando innota fra parentesi tonda la mia traduzione dei passaggi latini. M. ROOKE, Librodel Poema Chiamato Città di Vita Composto da Matteo Palmieri Florentino,Transcribed from the Laurentian MS XL 53 and compared with the Magliabe-chian II II 41, a cura di M. Rooke, 2 voll., Northampton (Mass.), The Collegia-te Press, 1927-1928 (voll. 8 e 9 del Smith College Studies in Modern Languages,ottobre 1926-luglio 1928).

5 Pluteo XL 53, cc. 10rv.6 Luigi Fiacchi (1754-1825) fu uno dei migliori allievi del Collegio Euge-

niano di Firenze. Protetto dal granduca Pietro Leopoldo fu, ormai sacerdotedal 1777, uno dei professori delle Scuole Leopoldine. Entrato in contatto coni membri dell’Accademia della Crusca, ne divenne socio nel 1812 e biblioteca-rio nel 1824. Attento lettore delle Tre Corone e dei rimatori trecenteschi, sioccupò anche di traduzioni curando fra gli altri quello del De amicitia di Cice-rone, apparso a Firenze nel 1809. Fu anche apprezzato favolista e poeta. Il gran-duca gli affidò il compito di curare l’edizione delle opere di Lorenzo il Magni-fico. Voce di F. D’INTINO, Dizionario biografico degli italiani, 76 voll. [A-Mor],Roma, 1960-2012, 47, 1997, pp. 316-317.

7 In realtà, si tratta del proconsolo dell’Arte dei giudici e notai ma l’errorenasce dalla provenienza di Matteo membro di quell’arte.

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temporaneo del P[almieri], come si vede a carta 32-33 del codice,ove si danno ancora buone notizie del Poema8.

Dunque l’Abate Fiacchi nel 1815 rinvenne il sommario e ne curòil restauro necessario per le pessime condizioni del testimone,danneggiato probabilmente dall’inondazione dell’Arno del 15579.

Il manoscritto catturò l’attenzione anche di Domenico Tordiche ne copiò alcune parti oggi conservate nel fascicolo G (Fasci-colo Tordi) del XIV M 168, della Biblioteca di Orvieto, del qualeho già scritto diffusamente10.

L’importanza del manoscritto è legata alla vicenda a cui andòincontro l’opera: sebbene i temi sui quali Matteo riflette nella Cit-tà di vita siano quelli di grande attualità che, da lì a qualche anno,avrebbero occupato i protagonisti dell’Accademia Platonica (ilrapporto tra volontà e libero arbitrio, tra grazia e sommo bene, ilvalore dell’astrologia), la censura in cui l’opera incorse dopo lamorte dell’Autore denuncia come le tesi presentate fossero state

8 Nel ms. è inserita anche una carta sciolta (c. 43), dove è riportato unpassaggio dall’Istoria degli scrittori fiorentini di G. NEGRI (Ferrara, BernardinoPomatelli, 1722, rist. anast. Forni, 1976 dell’edizione del 1885): «Di questopoema in terzetti composto col titolo di Città di vita trovansi tre esemplari apenna, uno nella libreria medicea di S. Lorenzo in Firenze, il secondo nell’am-brosiana di Milano in carta pecora, in fronte al quale ha osservato il Muratoribibliotecario esservi una lettera dell’A[utore] scritta a Lionardo Dati segreta-rio del Papa Paolo II, li 24 marzo 1466. Il terzo testo trovasi in Firenze, pressol’erede del senatore Carlo Strozzi, avente lo stesso nome. Introdusse un terzogenere di angeli imprigionati ne’ corpi a cagion del peccato. G. Negri, Istoriadegli scrittori fiorentini, Ferrara 1722. Pomatelli a pag. 404 dice parlando delPalmieri: ‘Denigrò negli ultimi anni lo splendore del suo sapere col fuoco a cuifu condannata meritamente una sua opera, nella quale, ad imitazione dellaCommedia di Dante, parlando degli angeli, trascorse, non ben fondato teolo-go, nell’errore di Pitagora e di Origene della trasmigrazione delle anime, inse-gnando che queste altro non erano che gli Angioli mantenuti neutrali nella lorribellione, che con circolazione continua animavano i corpi umani mutandoalbergo dall’uno all’altro’».

9 L’alluvione del 1557 danneggiò seriamente gli archivi dell’Arte dei giudi-ci e notai, che aveva sede nei pressi della Badia fiorentina o del Palazzo delPodestà. Ancora nel 1746 il Magistrato del Proconsolo, in risposta ad una Istru-zione di Pompeo Neri, affermava che le scritture più antiche erano in confu-sione «per essere state sotto la piena del fiume Arno dell’anno 1557». Statutidel Comune di Firenze nell’Archivio di Stato. Tradizione archivistica e ordina-menti. Saggio archivistico e inventario a cura di Giuseppe Biscione, Roma,Poligrafico dello Stato, 2009, p. 316n.

10 MP, pp. 435-439.

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da un certo momento avvertite come eterodosse, pericolose, inquanto vi si riconobbero legami con la teologia origeniana.

Matteo stesso fu consapevole fin da subito dei rischi che le sueaffermazioni implicavano. Quando nel 1464 finì di scrivere il poe-ma, chiese all’amico Leonardo Dati, vescovo di Massa Marittima,di redigerne un commento. Leonardo esaudì la richiesta ma loinvitò a rivedere il testo in alcuni luoghi, cosa che effettivamente ilPalmieri fece. Non conosciamo però gli interventi di Matteo, poi-ché nessuna copia della prima redazione ci è giunta. Dal 1466 laCittà di vita circolò a Firenze: la lessero Ficino, Rinuccini e quasicertamente altri membri dell’Accademia Platonica. Probabilmen-te come era accaduto per la Vita civile11, Matteo continuò a rivede-re e limare il testo la cui redazione definitiva, trascritta con ilcommento e la sua biografia, risale al 1472.

Alamanno Rinuccini, nell’orazione funebre in occasione deifunerali pubblici che Firenze gli tributò, fece un accenno al poe-ma, che probabilmente non aveva letto, ma decise di non decla-mare un vero e proprio elogio dell’opera al quale aveva pensato inuna versione non letta dell’orazione12.

Dopo circa un decennio o anche meno dalla scomparsa delPalmieri, Vespasiano da Bisticci fece riferimento alle presunte ideein odore di eresia contenute nel poema e alla volontà, per questomotivo, dell’Autore di far custodire in luogo sicuro, perché certeidee non fossero divulgate, la copia contenente il commento delDati. Certo per il Cartolaio, se mai Matteo aveva sbagliato, era perlicenza poetica e buona fede. Non fu questo però lo spirito concui ci si riferì al poema nel Cinquecento, quando tutti ormai locollegavano strettamente al pensiero di Origene13.

L’autore del sommario si pone sulla stessa linea e sembra avereun intento apologetico quando scrive che, se Matteo nel suo poe-ma potrebbe sembrare «voler tractare contro alla fede nostra cap-tolicha», in realtà è solo perché «la tracta come poeta. Et i poeti

11 MP, pp. 191-204.12 Per questo rimando a MP, p. 165 e Appendice I. Il passaggio è riportato

e commentato oltre.13 Nel corso del XVI secolo molti scrittori presentarono Palmieri eretico a

causa delle idee origeniane o ariane presenti nel poema; ma per la complessa eaffascinante fortuna del poema si veda MP, pp. 419-478.

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alchuna volta tractano cho14 se per tessere et hornar lor opere chein verità non le sentono coll’animo»15.

Il manoscritto fornisce una presentazione dell’opera:

Matteo Palmerio divide la sua vulghar poesia in tre libri o ver chan-tiche et in cento capitoli. XXXIII ne dà alla prima, XXXIII allaseconda et XXXIIII alla terza. I capitoli sono di CL versi et in rimaternarii, chome fe’ Dante nostro poeta.

La sua materia sustantialmente è questa. E’ finge che CiprianoRucellai a sua di huomo doctissimo in grecho et in latino et già dipiù anni morto, in sogni due volte gli apparissi et confortollo et strin-selo affar questa opera, et mostrogli molte chose della vita beata etla oppinion dell’anima, la qual dipoi Matteo innesta et exprime inquesto suo poema16. Et tucta questa sua opera n’è referta et condita.Et questa fu la chagion lo mosse a pigliar la penna et exprimere suascientia et molti suo’ concepti17.

Dopo seguono il riassunto, l’indice del poema, i titoli di tutti i cen-to capitoli e una scelta di passi dalle tre cantiche. Riporta anchealcune parti del commentario di Leonardo Dati, elemento prezio-so se si considera che, dopo la morte di Matteo, l’opera continuaad essere letta ma tutte le testimonianze si riferiscono alle sole terzi-ne del Palmieri, mentre non vi è una sola citazione del commento.

A conclusione della selezione dei capitoli trascritti (cc. 33v-34r)leggiamo:

Questo poema di Matteo apparisce comentato in latino da messerLionardo Dati chanonicho fiorentino nel anno MCCCCLXIV, madi poi lo commento fu fatto per segretario di papa e vescovo diMassa, huomo docto et di buona scientia. Et è questo commentoinserto nel libro di Matteo dirimpecto al testo. Et è segnato pernumeri dal testo al commento per meglio et più facilmente ritrovarel’uno et l’altro. Ma in verità io ho l’oppinione che Matteo solo selcommentassi lui stesso benché lo titoli e mettilo in bocha di meser

14 In margine «Poeticha gharrulitas semper de falsitate hornata est» («laloquacità dei poeti è sempre ammantata di menzogna»).

15 Ms. Campori App. 211, c. 6r.16 Qui in margine leggiamo «Naturale est ut viri sapientes adeo conchupi-

scant suam doctrinam ostendere ut quasi negant illam edicere» («è naturaleche i sapienti amino a tal punto mostrare la propria dottrina, da rifiutare quasidi farla conoscere a tutti»). Ibid., 3r.

17 Ivi.

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Lionardo o per più suo o di meser Lionardo honore forse lo fe’ per-ché dimestici erano et coetanei studiosi. Qual di loro lo commentas-si, io non lo [[so]] di certo, ma questa è mia oppinione.

Nel principio del commento expone meser Lionardo l’originedi Matteo et di sua antenati, et dimostragli nobili et d’anticha pro-genie, et dimostra la statura et forma di Matteo, la sua vita, i suoicostumi et studii, la sua scientia et reputatione civile, et ha operatoin gran facti et offitii supremi publici intrinseci et exstrinseci in im-bascerie al papa et al re di Napoli. Et recita più libri et opere da luidegnamente composte. Tre nella sua adolescientia in vulghar sermo-ne composte. Di poi in eloquio latino la vita di Nicholò Acciaiuoli.Dopo questo dissertissimamente scripse le battaglie tra pisani et noiquando s’ebbe Pisa. Scripse l’ordine de’ tempi in storia da l’originedel mondo et d’Adamo infino all’età sua et più orationi et pistoleelegantemente scripse.

Apparisce questo poema esser facto et composto da Matteo inanni nove o dieci o circha perché nel MCCCLV lo cominciò et nelMCCCCLXV gli diè expeditione. Benché di poi più anni lo tenesseper examinarlo, correggerlo et sollimarlo. Ma poi nel MCCCCLXXIIet MCCCCLXXIII lo fe’ scriver in chavretti d’octima lectera et felloleghare et miniare in gran volume et coverto di chuoio barbero ver-de con guardie chanterute et bullette d’otton dorate et choreggie diseta pagonaze, et così perfecto ornatissimamente et leghato et sug-giellato lo donò al nostro collegio de’ giudici et notai fiorentini conconditione che mai si publichassi né aprissi innanzi alla sua morte.Et così fu acceptato et serrato nella cassa de’ nostri schuittinii inSanta Croce et di poi fu aperto alla morte di Matteo, credo fusse delmese di aprile MCCCCLXXV, et dal mio antecessor proconsolo ri-cheggiendolo, per sua benignità, mi fu achomodato et di poi sottotucto il tempo del mio proconsolato l’ho in diposito et guardia te-nuto, et ho auto assai agio a vederlo et considerarlo, et però n’hotracto questo somario et al fine quasi dell’offitio mio il decto poemaa buon fine ho rinchiuso et serrato nella decta nostra chapsa de’nostri schuittinii in Santa Croce di Firenze18. Anima eius requieschatin pace.

Dunque l’estensore del sommario, fiorentino di nascita o di ado-zione come suggerisce quel noi in riferimento allo scontro di Fi-renze con Pisa, sembra addirittura avere idee originali a proposito

18 Anche una copia dei libri degli iura del Comune di Firenze si conservavain Santa Maria Novella; altre chiese di riferimento erano Ognissanti e SantaCroce. Statuti del Comune, cit., pp. 155-156.

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del testo, azzardando l’ipotesi che Matteo stesso abbia scritto ilcommentario del poema19. Ma su questo ritorneremo.

Siamo davanti ad un documento scritto presumibilmente neglianni Ottanta e precedente al racconto che Vespasiano da Bisticcifa nelle Vite. L’autore deve essere identificato con il proconsolodell’arte dei notai, di cui non conosciamo il nome, che era suc-ceduto nella carica al proconsolo – non sappiamo esattamentequando – che aveva accettato dalle mani di Matteo il preziosocodice, il nostro Laurenziano, Pluteo XL 5320. Qui abbiamo an-che una descrizione minuta del manoscritto, della quale ignorava-mo i particolari a causa dei danni subiti nell’alluvione del 1557. Sitrattava veramente di un preziosissimo dono che il proconsolo ac-cettò dall’umanista con la clausola, della quale parla anche il Car-tolaio, di farlo circolare solo dopo la sua morte. In effetti qualidubbi avrebbe potuto avere nei confronti di un sì prezioso mano-scritto, donato da uno degli uomini più illustri della città? In fon-do la sola ragione plausibile per una richiesta del genere, alla qualepoteva ben sottostare il proconsolo, era quella in base alla qualeMatteo non voleva, ormai vecchio, incorrere in dispute teologiche,né tanto meno offuscare la memoria dell’amico vescovo LeonardoDati. Così affidando il suo lavoro, sul quale egli doveva necessa-riamente avere delle perplessità non risolte, al primo fra i consolicittadini di tutte le arti, si rimetteva al giudizio dei posteri.

I due primi proconsoli custodi del manoscritto non hannonutrito alcuna seria preoccupazione in merito all’ortodossia delleposizioni riportate nel poema, altrimenti l’autore lo avrebbe anno-tato sull’ultima carta insieme alla sua idea, in realtà non peregrina,per cui sarebbe stato Palmieri stesso a stendere il commento. Sisarebbe spiegata, così, come la bizzarria di un filosofo e non di unuomo di chiesa, la sua adesione alla teoria eterodossa, idea portan-te del poema, della preesistenza dell’anima separata dal corpo. Ma

19 Non è irrilevante osservare che negli Statuti dell’Arte dei giudici e notai,anche se la disposizione era comune a tutti gli statuti delle Arti, era prescrittal’osservanza della fede cattolica e l’ubbidienza ai capitoli papali ed imperialiche colpivano gli eretici. G. FILIPPI, L’arte dei Giudici e notai e il suo statutodell’anno 1566, in «Giornale Ligustico», XV fasc. I-II (1888), pp. 1-24, p. 9.

20 Le ricerche sul Libro della coppa, fonte preziosa per l’Arte dei giudici enotai, non ha prodotto risultati, Archivio di Stato di Firenze, Arte dei giudici enotai, 26.

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le cose non andarono così. Non solo il proconsolo non ne erapreoccupato ma il codice era mostrato con vanto ai visitatori. Losappiamo con certezza perché negli stessi anni, a circa un decen-nio dalla morte di Matteo, il fine dantista e domenicano di SantaMaria Novella, Domenico da Corella, che certamente aveva cono-sciuto Matteo durante il Concilio del 1439, riferisce come il mano-scritto della Città di vita ornasse la sala del Proconsolo21. Questi i

21 Domenico di Giovanni nacque a Corella, un paese vicino a Dicomano,in provincia di Firenze, probabilmente nel 1403. Nel 1422 è citato in un capi-tolo dei domenicani di Santa Maria Novella. Lettore presso lo Studio fiorenti-no, fu eletto priore del suo convento nel 1436; due anni dopo era Provincialedella Provincia romana fino al 1443. Durante il Concilio fiorentino partecipòalle riunioni ed era in Firenze, dove è registrato anche nel 1440, quando papaEugenio IV dimorò presso il convento. Oratore affermato e stimato, mantennebuoni rapporti anche con il Patriarca di Gerusalemme e fu tra i firmatari del-l’atto di unione della Chiesa Greca con la Latina. Nell’aprile del 1446 era Vi-cario del Convento. Nel settembre del 1450 maestro Domenico fu eletto nuo-vamente Provinciale della Provincia romana e rimase in carica fino al 1455. Dal1451 fu anche, fino al 1453, Vicario generale dell’ordine ma non fu elettoGenerale nel Capitolo che pure presiedé a Nantes nel maggio del 1453. Dopoquella data si ritirò dagli impegni degli uffici per dedicarsi agli studi. Nell’annoscolastico 1469-1470 ma, con ogni probabilità anche in periodi successivi, in-segnò nello Studio Fiorentino teologia e, contemporaneamente, commentòpubblicamente, nel Salone dei papi nel Convento di Santa Maria Novella, laCommedia con un compenso di cento fiorini «incepit legere unam lectionemin theologia, et opus Dantis poetae florentini, et cum omni studio et diligentiaet absque ulla intermissione, prout manifestum» (A. GHERARDI, Statuti dell’Uni-versità e Studio fiorentino, Firenze, Tip. Cellini, 1881, pp. 475-476). Morì a Fi-renze il 27 ottobre 1483, come sappiamo dal suo necrologio. Fra le sue opere,centrale è il Theotocon o De laudibus B. Mariae Virginia, quattro libri in esame-tri virgiliani completati nel 1468 e dedicati a Piero de’ Medici, introdotti daun’ode saffica che funge da prefazione al poema. Cercò il favore dei Medicicon il De origine Urbis Floretinae, una narrazione poetica divisa in sei libri del-l’origine e della storia di Firenze dalla fondazione alla venuta di Carlo I d’An-giò nel 1267, che si conserva a Firenze nel Laurenziano, Pluteo LXXXXI, Sup.L. Scrisse poi lodi in onore di San Vincenzo Ferreri e di Santa Caterina da Sie-na. Orlandi aggiunge anche che l’Echard ha attribuito a Domenico un DantisCantica, forse commento della Commedia di cui non sappiamo nulla: S. OR-LANDI, Necrologio di S. Maria Novella, 2 voll., Firenze, Olschki, 1955, soprat-tutto I, pp. XXVIII, 187-190, necrologio n. 711 e II, pp. 305-315. Il necrologioè riportato anche da I. TAURISANO, Il culto di Dante nell’Ordine Domenicano,Firenze, Tipografia Domenicana, 1917 (già apparso in «Il Rosario - Memorie Do-menicane», XXXIII (1916), pp. 7-9) in Appendice, Documento V, pp. 44-46, masi vedano anche pp. 29-30; L. AMATO, Il manoscritto di dedica del ‘De origineurbis Florentiae’ di Domenico di Giovanni da Corella, in «Moderni e antichi:quaderni del Centro di studi sul classicismo», II-III (2004-2005), pp. 491-517.

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versi nei quali lo leggiamo (già notati dal Richa, dal Bandini e dallaRooke22):

Ingredior casu dignam Proconsulis aulamIn qua magnorum sunt simulacra VirorumLaurea praeclari quos alta Poematis ornatEt fine praepollens gloria fine beat23.

L’estensore della sintesi dice di averlo potuto consultare a lungoed egli stesso esprime rammarico per il racconto sulle anime diMatteo ma, saggiamente, rimanda ogni giudizio ad esperti teologi,dei quali tuttavia non fa alcun cenno24.

Eppure il codice di cui parlano il Bisticci, il Richa, il Bandini ela Rooke, il Pluteo XL 53 non era certamente una delle copie checircolavano in città. Altri erano gli esemplari letti: quelli giunti anoi e forse altri oggi perduti. Il prezioso codice era stato, una voltaconfezionato (ovvero dopo il 1473), consegnato da Matteo al pro-consolo dell’Arte dei giudici e notai e per questa ragione non vi è

22 G. RICHA, Notizie istoriche delle Chiese fiorentine, X voll., Firenze, Stam-peria di Pietro Gaetano Viviani, 1754-1762, rist. anast. Roma, Multigraficaeditrice, 1989, I, p. 161; A. M. BANDINI, Catalogus codicum latinorum Bibliothe-cae Mediceae Laurentianae, Florentiae, Ex Tipis Caesareis, 1774-1777, vol. VItalicos Scriptores exhibens, coll., 74-96, (la biografia del Palmieri è alle colonne79-81), qui col. 74 nota 4; M. ROOKE, Libro, cit., Preface, cit., I, p. XIII, scrivea proposito del Corella «saw it [il ms.] here, and praised it»; MP, pp. 433-435e 470-473.

23 «Entro per caso nella degna corte del Proconsolo / nella quale sonoconservate le immagini dei grandi uomini / ornati dalla sublime corona delfamoso poema / e arricchiti da una straordinaria gloria senza fine».

24 L’aurore delle carte sciolte, conservate nel Fascicolo G sopra ricordato,aveva cercato di dare un nome a questo primo, attento e interessato lettore delcodice. Commentando il passaggio più interessante, quello dove si ipotizza siastato lo stesso Matteo a scrivere il commento, si legge: «Il Dati pare dunque unprestanome» e ancora, dopo alcuni commenti, «fatto circa il 1480». Dopo variaccenni ai lavori su Palmieri dello Zeno e del Salvini ed altre notizie, leggiamo:«Proconsoli del 1475 [...] 1° gennaio Michael Buoni de Schiattensibus, PaulusLaurentii de Benivienis (e sul margine sinistro: è questo), Pierus Pieri Bonac-cursi». Si sarebbe trattato per lui del Proconsolo Paolo Benivieni. Tuttavia daun esame più attento, sebbene come già detto non sia riuscita a dare un nomeall’autore della sintesi palmieriana, posso però escludere che si tratti di PaoloBenivieni. Era lui, infatti, il proconsolo in carica quando Palmieri morì nel-l’aprile del 1475 e certo, se fosse lui l’estensore del sommario, non solo lo avreb-be presumibilmente annotato ma non avrebbe scritto, a proposito della scom-parsa di Matteo, «credo fusse nel mese di aprile...».

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nessun riferimento specifico a questa opera nel testamento delloSpeziale25.

Il più conosciuto testimone del poema Città di vita è il Lauren-ziano, già più volte ricordato e menzionato da Alamanno Rinucci-ni nell’orazione funebre, che giaceva sul corpo di Matteo e, comeè ormai certo, era custodito presso la corporazione dei Giudici eNotai. Dal 1557 è conservato nella Biblioteca Laurenziana: è ilPluteo XL 53, firmato dal copista Neri di Filippo Rinuccini. Ènoto anche agli storici dell’arte per la bellezza delle miniature eper l’accuratezza del formato. Originariamente, prima degli inter-venti di restauro, il codice si presentava, come il sommario ci illu-stra, con una copertina di cuoio «barbero» verde decorato condelle «bullette d’ottone» e dei lacci di seta color ocra26. In perga-mena, è riccamente decorato con miniature e contiene tre interepagine recanti illustrazioni in oro e a colori su ciascuna pagina; ilcommentario di Leonardo Dati corre a fianco e ai piedi delle ter-zine. Due delle lettere che questi scrisse a Matteo sono inclusecome prologo, oltre all’introduzione al poema, che è sempre delDati. Il ricco apparato iconografico è in linea con le raffigurazionitipiche dei manoscritti astrologici, che sono la sfera celeste, i segnizodiacali e simboli delle costellazioni, unite alle divinità classicheche definiscono i pianeti. I disegni, parte integrante del testo, sonoa penna con tocchi di acquerello attribuiti quasi unanimementedagli storici dell’arte a Francesco Botticini. A c. 11r si trova lo scu-do della famiglia Palmieri27.

Un altro codice, ora conservato nella Biblioteca Nazionale diFirenze, è il Fondo Nazionale, già Strozziano, II II 41, una copiasemplice nella decorazione, con le sole iniziali dei tre libri finemen-

25 MP, p. 442.26 Ms. Campori App. 211, c. 34r.27 Per alcune informazioni e riproduzioni del manoscritto si veda L. VEN-

TURINI, Francesco Botticini, Florence, EDIFIR, 1994, pp. 114, 168-176, 220; ladescrizione del codice si deve a I. G. RAO, Matteo Palmieri “Città di vita”, in Iluoghi della memoria scritta. I libri del silenzio. I libri del decoro. I libri dellaporpora, edited by G. Cavallo, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato,1994, p. 181. Il codice è stato recentemente esposto in occasione della mostraGalileo: immagini dell’universo dall’antichità al telescopio, a cura di PaoloGalluzzi, Firenze, Giunti, 2009, p. 299.

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te miniate28. Dalla nota finale siamo informati di alcune correzioniche Matteo stesso apportò e dell’esistenza di un altro esemplare,di proprietà dell’autore, oggi perduta: «Finito el terzo et ultimolibro del poema chiamato cictà di vita. Opera composta da Mat-theo Palmieri fiorentino et finita col nome di Dio. Deo gratiasamen. Copiato di mia mano oggi questo dì, primo di marzo 1465,[stile fiorentino, quindi 1466] di mano di me Niccholò di France-sco Corsi di su quello di Matteo Palmieri, e decto Macteo mellocorresse poi»29.

Un terzo manoscritto, anch’esso del XV secolo, si trova nellabiblioteca Ambrosiana di Milano, F. 139 sup. Si tratta, ritengo,della copia confezionata da Matteo per il Dati: in bella scritturaumanistica, riproduce due lettere che insieme a quelle del Pluteopermettono di ricostruire la genesi del testo. Unito da una legatu-ra in cuoio impresso, il frontespizio è a colori e oro e ha la corniceminiata. Ai piedi della pagina all’interno della decorazione sonoposti due scudi, a destra quello del Palmieri e a sinistra quello delDati. Le iniziali di tutti i capitoli sono anch’esse miniate e il capitolodi apertura delle tre cantiche ha iniziali auree con figure30.

28 Il codice è stato citato per la prima volta in tempi moderni dallo Zeno,che se ne servì per il suo studio. Una copia del poema, che io non ho visto,tratta dal Magliabechiano e dal Laurenziano si trovava, fra i mss. Hamiltonianidella Deutsche Staatsbibliothek di Berlino, segnalata da P. O. KRISTELLER, Iteritalicum, 1963-1997, 6 voll., London – Leiden, E.J. Brill, III, (numero XIX). A.ZENO, Matteo Palmieri, in «Giornale de’ Letterati d’Italia», Venezia, 1712, X,pp. 424-471; XI, pp. 289-292, (qui X, p. 453).

29 E. FRIZZI, La Città di vita, poema inedito di Matteo Palmieri, in «Il Pro-pugnatore», XI (1878), pp. 140-167, p. 150 e n. G. BOFFITO, L’eresia di MatteoPalmieri, in «Giornale storico della letteratura italiana», XXXVII (1901), pp.1-69, (qui pp. 2-3) e M. MARTELLI, Palmeriana, in «Interpres» V (1983-1984),pp. 277-301, (qui pp. 292-293).

30 Il ms. non è mai stato oggetto di studio, il solo a citarlo fu il Boffito, chelo giudicò il più elegante fra i testimoni della Città di vita: L’eresia, cit., p. 3.Con inchiostro diverso vi sono poi alcuni segni apposti per evidenziare alcuneterzine di argomento prevalentemente morale. Nel restauro del 1995 è statasbagliata la ricostruzione dei colori dello scudo del Dati. Si tratta di tre tested’uomo accompagnate dal rastrello a quattro pendenti nel capo. Attualmentele teste sono nere in campo grigio ma le teste e il rastrello sarebbero dovuteessere rosse. Immagino non sia stata condotta alcuna ricerca prima del restau-ro e probabilmente le teste apparivano annerite. Il valore di questo testimone,all’interno dello stemma, ancora da definire per l’edizione critica del testo, ac-quista adesso una posizione rilevante. Sullo scudo del Dati, Le famiglie di Fi-

INTRODUZIONE24

Un quarto manoscritto è conservato a Roma, nella BibliotecaVaticana: è il Barberiniano Latino, 4109. Questo testimone, segna-lato da Kristeller alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso,non è mai stato descritto né studiato31. Si tratta di un codice carta-ceo del XV secolo (cm. 35 x 23 circa) formato da cc. 260 numera-te a penna in alto a destra con 2 di guardia all’inizio e 6 di guardiaalla fine. La legatura in pelle è moderna. Sulla costola è apposto:«Palmieri - Città di vita». La stesura in scrittura umanistica è rego-lare e si sviluppa su un’unica colonna; le iniziali di ogni capitolosono miniate in oro e colore. Il frontespizio è a colori e oro, ha lacornice miniata e si presenta molto simile a quello che correda iltestimone ambrosiano. Anche i disegni con cui si aprono il secon-do (c. 89r) e il terzo libro (c. 173v) sono molto simili32. A cc. 1r-3vtroviamo l’indice del poema: «Cominciano e capitoli del poemachiamato città di vita. Sono cento capitoli divisi in tre libri». Inci-pit, c. 4r: «Comincia el primo libro del poema chiamato Città divita composto da Mattheo Palmieri Fiorentino et contiensi in que-sto primo capitolo come Sybilla promette allo auctore essere suaguida in questa opera». Explicit c. 260v: «Finito el terzo e ultimolibro del poema chiamato Città di vita opera composta da Mat-theo Palmieri Fiorentino e finita col nome di Dio».

renze. Testi e ricerche araldiche di Roberto Ciabani, con la collaborazione diBeatrix Elliker, 4 voll., Firenze, Bonechi, III, pp. 884-885; sul codice la succin-ta descrizione di R. CIPRIANI, Codici miniati dell’Ambrosiana, Vicenza, NeriPozza Editore, 1968, p. 50.

31 P. O. KRISTELLER, Iter Italicum, cit., II, p. 464, per il Vaticano; ID., Fran-cesco da Diacceto and Florentine Platonism, in Miscellanea Giovanni MercatiIV: Letteratua classica e umanistica (Studi e Testi), Roma, Città del Vaticano,1946, pp. 260-304, ripubblicato poi in The Sixteenth Century, Studies in Re-naissance Thought and Letters. Reprint of the Edition Published in 1956, 4 voll.,Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1969-1996, I, 1969, p. 328. Dalla Bi-bliografia retrospettiva dei fondi manoscritti della Biblioteca Vaticana, (1968-1980) – (1981-1990), 4 voll., a cura di M. Ceresa, continuata poi fino al 1994 daM. Buonocore, Roma, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1994,p. 149, si evince che il testo non è mai stato studiato né descritto.

32 Sarebbe necessario, per dire di più, un raffronto dei due esemplari ma ladecorazione, i colori, e i disegni riprodotti dei due codici sono talmente similida presumere la dipendenza l’uno dall’altro. Ai due scudi del Palmieri e delDati, presenti nell’Ambrosiano, qui corrisponde uno stemma che non so attri-buire. Si tratta in ogni modo di un codice confezionato con gran cura.

II

IL POEMA

a) La struttura del poema

La Città di vita prende le mosse da un espediente: come LeonardoDati stesso racconta, Cipriano Rucellai, con il quale Matteo avevaseguito le lezioni di Carlo Marsuppini33, era apparso in sogno alNostro in ben due occasioni, chiedendogli di raccontare il cammi-no delle anime dopo la morte. Una prima volta quando Matteoera a Pescia nel 1451: allora Cipriano lo invitò a recarsi con lui allachiesa del monastero di Santa Brigida, nel luogo chiamato Paradi-so in Pian di Ripoli, a sud di Firenze, dove un gran numero di cit-tadini si stava recando per una sacra indulgenza34. Lo Spezialeaccettò e lungo il cammino il suo compagno disse:

Quum iter facerent, quanta est nostra negligentia, [...] qui singulisannis ad hunc Paradisum venimus, et non adhuc observavimus,quemadmodum in Paradiso nos observaverit Deus? Ego vero, post-quam meum corpus reliqui, haec omnia cognovi, et ut illa te do-ceam, ad te missus sum. Averte igitur, quod in creationis principiocreavit Deus innumeros Angelos, qui statim divisi sunt. In ea divi-

33 «Scribendi causam operis Auctor talem mihi fuisse narravit. Kalenda-rum augusti die, salutis nostro anno MCCCCLI vallis nebulae Praeturam ipsegerens, degebat in Opido Pisciae. In ea ipsa die, indulgentia sacra, magna po-pulorum frequentia devotissime visitata erat in Ecclesia Monasterii S. BrigidaeFlorentiae suburbana. Id Monasterium Paradisum vocatur. Cyprianus Oricel-larius, [...] per visionem apparuit». A. M. BANDINI, Catalogus, cit., col. 81 e conalcune lievi differenze in M. ROOKE, Libro, cit., Appendices A, II, 1928, p. 261;M. MARTELLI, Letteratura fiorentina del Quattrocento, Firenze, Le Lettere,1996, p. 256; Voce di P. VITI nel DBI, cit., 71, 2008, pp. 14-20.

34 Per un resoconto più dettagliato MP, pp. 356-359.

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35 «Quanta è la nostra negligenza che ogni anno veniamo a questo ‘Paradi-so’, e non abbiamo tenuto conto finora del modo in cui Dio ci governi nel suoParadiso! Io, dopo aver lasciato il mio corpo, ho conosciuto questo, e sono statomandato a te per insegnartelo. Sappi, dunque, che nel principio della creazio-ne Dio creò innumerevoli angeli, che subito si divisero tra loro: una parte seguìLucifero, che voleva porre la sua sede in Aquilone; una parte, invece, guidatada Michele aderì a Dio. Una terza parte, infine, stette per sé, non seguendo néle parti di Dio né quelle di Lucifero. Dopo la vittoria di Dio, Lucifero e i suoifurono cacciati all’Inferno. Michele e la sua parte rimasero in cielo servendoDio. Quelli che rimasero per conto loro furono posti nei Campi Elisi, finché leanime scelte tra loro non furono fatte scendere nei corpi umani per metterlealla prova una seconda volta e provare cosa avrebbero scelto nella piena libertàdel proprio giudizio. E poiché impararono a scegliere nella loro purezza, Diomise nei loro corpi il desiderio della carne, sotto la spinta del quale fosserocostrette a rivelare di chi prenderebbero le parti, se di Dio o di Lucifero. Eperché ogni Angelo possa condurla con sé dai suoi, a ciascun essere dette nelcorpo un Angelo di Dio ed uno di Lucifero, cosicché ognuno di loro cerca dipersuadere alla via che porta ai suoi. E se agisce bene, torna a Dio con l’Angelobuono, se fa male, va con l’Angelo cattivo verso la perdizione». Il passo delcommento del Dati è trascritto da A. M. BANDINI, Catalogus, cit., coll. 81-82.La prima parte del luogo (fino a «Luciferum imitantes») è tradotta da M. MAR-TELLI, Letteratura fiorentina, cit., pp. 256-257 del luogo.

sione pars eorum, Luciferum sedem in Aquilonem ponere volentemsequuti sunt; pars vero cum Michaele, adhaeserunt Deo, tertia parsvero per se steterunt medii, nec Deum, nec Luciferum imitantes.Deo victore, Lucifer cum suis expulsi sunt in Infernum. Michaelcum suis in Caelo remansere, Deo ministrantes, qui per se mediisteterunt reservati sunt in Elysis, donec ex his infunduntur animaehumanis corporibus ad probandum iterum eas, quid in sui arbitriilibertate eligant. Et quia in sua puritate eligere noverunt, inmisitDeus earum corporibus concupiscentiam carnis, qua impellentecogantur fateri, Deum an Luciferum imitentur. Et ut quisque An-gelorum possit illam ad suos secum ducere, unicuique in corporeexsistenti dedit unum Angelum Dei, et unum Luciferi, quorumquisque viam ad suos persuadeat. Et si bene agit, redit cum bonoAngelo ad Deum, et si male facit, vadit cum malo Angelo in perdi-tionem35.

Matteo gli chiese dove fosse il luogo in cui stava e Cipriano risposeche era più in alto della Luna, sull’estrema circonferenza dovetuttavia non arriva mai a toccare Mercurio. Ancora dal raccontodell’amico Matteo seppe che gli spiriti come lui potevano veniresulla terra tutte le volte che lo desideravano. Giunti alle porte diFirenze Cipriano, fermatosi sul ciglio del campo, aggiunse:

INTRODUZIONE 27

Misero a noi! Quanto mal segnorizoron quelli che si fer ribelliper porre in Aquilon loco più degno!36.

Queste parole svegliarono Matteo che, scosso e in lacrime, avreb-be annotato quanto aveva visto. Quattro anni più tardi a Napoli,per la seconda volta, Cipriano apparve nuovamente in sogno aMatteo, all’alba del giorno di Pentecoste. Lo Speziale venne rim-proverato perché, dopo il loro primo incontro, non aveva ancoraportato a termine quanto gli era stato chiesto: rendere pubblichele verità che gli erano state narrate. Cipriano aggiunse che eranostati gli angeli di Dio ad inviarlo e ripeté, per la seconda volta, ladescrizione di come le anime arrivino sulla terra dai Campi Elisi edi come ricevano influenze diverse dai pianeti e dagli elementi coni quali formano il corpo. Un angelo buono ed uno cattivo sono leguide del loro pellegrinaggio che si espleta in quaranta mansioni.Alla domanda di Matteo «che cosa vuoi che io faccia?», Ciprianorispose: «Canta, come fece Dante in terza rima, quanto ti ho rife-rito». All’obiezione di Matteo, l’amico concluse dicendo «inizia, eDio ti condurrà a buon fine»37.

L’opera non rappresenta, né per genere né per idea, un uni-cum. Non è originale il racconto di una visione, come neppure laripresa del modello dantesco38. La Vita civile si era chiusa con lavisione di Dante a Campaldino, e diventa facile trovare dei paral-lelismi: a entrambi appare un amico e condiscepolo di studi, en-

36 A. M. BANDINI, Catalogus, cit., col. 82.37 M. ROOKE, Libro, cit., Appendice A, II, 1928, p. 262 e A. M. BANDINI,

Catalogus, cit., col. 83.38 Non mi soffermo sulle imitazioni dantesche per le quali la bibliografia è

sterminata, quanto invece sulla visione, le cui radici sono nel mondo classico:per fare solo due nomi, Giovanni Morelli nei suoi Ricordi descrive, in una dellepagine più belle del suo lavoro, la visione avuta dopo la morte del figlio predi-letto Alberto. Anche Giovanni Cavalcanti nelle Istorie Fiorentine descrive unavisione avuta prima dell’introduzione del catasto; M. PALMIERI, Vita civile, IV,241-279, pp. 200-208; G. MORELLI, Ricordi, a cura di V. Branca, Milano, Ru-sconi, 1986, pp. 316-324 e G. CAVALCANTI, Istorie Fiorentine, cit., p. 110. Perun iniziale orientamento sulla fortuna dei sogni nella tradizione antica e me-dievale, si vedano i molti contributi riuniti i negli atti del Seminario Internazio-nale Europeo, Roma, 2-4 ottobre 1983, a cura di T. Gregory, Roma, Edizionidell’Ateneo, 1985; B. NARDI, Dante profeta, in Dante e la cultura medievale,Roma-Bari, Laterza, 1983, pp. 265-326.

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trambi hanno svelato per volere divino quanto è riservato a chi haoperato nel mondo39.

La scelta del volgare inserisce Matteo nel clima culturale deglianni Sessanta, quando intorno a Cosimo e poi a Lorenzo de’ Me-dici si sviluppa in volgare una produzione letteraria che traduceun’intenzione politica: così, accanto allo stesso Lorenzo, troviamoCristoforo Landino, che infatti dedica un intero corso accademicoalle opere volgari del Petrarca tra il 1467 e il 1470, Pulci e Polizia-no. Come la Commedia, anche la Città di vita è il racconto del viag-gio compiuto dal poeta nell’Oltretomba per ricordare a tutti gliuomini i pericoli o le gioie cui vanno incontro in base al compor-tamento e alle scelte attuate nella vita terrena.

Se mi vien grazia infusa da l’Etterno,per darmi lume dalla sancta luce,in ciel mi guidi e mostrimi lo ’nferno.

La gran Città di vita, che conduceciò che creò quel padre la governacanto col male e ben vi si riduce40.

e ancora:

Questa è la gran città dove dimoratutto quel vive, intende, sente o spira,et quel si danna o per lo mondo honora.

Di questo nostro verso si e’ non erraintendo canti esta Città di vita,dove quel vuo’ saper tutto si serra41.

Rifacendosi al contenuto della prima visione di Cipriano Rucellai,Matteo illustra quale sia la vera natura degli uomini e quale il lorodestino. L’assunto, di impronta origeniana, si fonda sulla dottrinasecondo cui gli angeli, un tempo tutti uniti intorno a Dio, si sareb-bero divisi in tre gruppi. Il primo sarebbe rimasto fedele a Dio, ilsecondo avrebbe scelto Lucifero e una terza parte non sarebbe

39 M. PALMIERI, Vita civile, edizione critica a cura di Gino Belloni, Firenze,Sansoni, 1982, IV, 241-279, pp. 200-208; MP, pp. 181-304.

40 M. PALMIERI, Città di vita, I, I, 1-2, c. 11v.41 Ibid., I, II, 39 e 43, cc. 18rv.

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stata capace di decidere. A quest’ultimo gruppo Dio avrebbe con-cesso un’altra possibilità: la vita umana sulla terra.

Come la Commedia, il lungo poema è diviso in tre parti ma laprima e la seconda sono ripartite in 33 canti, l’ultima in 34. Nean-che il percorso, eccezionalmente complesso, riproduce pedissequa-mente quello dantesco. Matteo è accompagnato nel suo viaggio dallaSibilla Cumana. Dopo il primo capitolo, nel quale la Sibilla promet-te al poeta di essere la sua guida, passa a spiegare l’essenza di Dioe del mondo e parla della creazione. Nel principio Dio creò gliangeli: alcuni gli si ribellarono e seguirono Lucifero, che si stabilìin Aquilone; un’altra parte con Michele rimase fedele a Dio e unterzo gruppo rimase neutrale. Dio, vinto Lucifero e cacciatolonell’inferno, tenne vicino a sé Michele e i suoi seguaci e pose glispiriti neutrali negli Elisi, per animare poi con essi i corpi umaniuna volta discesi sulla Terra, per vedere che cosa avrebbero sceltonella libertà del loro arbitrio. Matteo, secondo il sistema tolemai-co, pone gli Elisi al di sopra dei pianeti, nel convesso del firma-mento. Nel cielo delle stelle fisse le anime, cioè quella terza partedegli angeli che non aveva scelto, sono intente ad aspettare la di-scesa nei corpi. Durante il cammino, ogni anima è accompagnatada due angeli, uno del cielo e l’altro dell’inferno, che gareggianoper renderla obbediente ai rispettivi consigli.

La Sibilla spiega a Matteo che le anime percorrono, prima diprendere corpo per la prova della vita, un viaggio della durata diun anno, che iniziano dal solstizio d’inverno. Uscite dalle sedi del-l’Empireo dalla porta fatale del Cancro, attraversano le sette sfereplanetarie ricevendo da ciascuna vari influssi, tutti descritti nelcammino. Segue poi la regione degli elementi, dove con le loroqualità, si compone il corpo e si forma l’uomo. Gli spiriti, nel di-scendere dagli Elisi alla terra, fanno dieci fermate o soggiorni: set-te nei pianeti e tre negli elementi. Ogni pianeta, al quale si accedetramite una porta, rappresenta uno stadio del viaggio. Per quantotutte le anime facciano lo stesso percorso, ognuna si distingue dallealtre alla fine: ogni anima – liberamente – sceglie il pianeta che piùle si addice sommando, nel viaggio attraverso gli altri pianeti, lecaratteristiche affini a quelle già scelte, per giungere alla pienezzaprima di incarnarsi. Per esempio, un’anima attratta dalla potenza,quindi da Giove, quando passa per Marte si interessa al valoremilitare: da Mercurio prende l’astuzia, da Saturno la prudenza eda Venere la bellezza e la cortesia, tutti utili accessori per perfezio-

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nare l’indole prefissata42. Chiusi nel corpo, gli spiriti errano inquest’immenso universo dove vivono tutte le cose, e che perciò sichiama Città di vita, facendo trenta soggiorni e camminando perdue vie, l’una a sinistra che porta all’inferno, l’altra a destra cheporta alla vita beata. Le quaranta mansioni complessivamente per-corse simboleggiano la vita dell’uomo, per ciascuna delle qualiPalmieri fornisce un’elaborata giustificazione ricca di dettagliastrologici e astronomici43. Prima di giungere sulla Terra, è neces-sario tuttavia attraversare il fiume Lete che fa dimenticare quantohanno visto durante l’attesa. Una volta sulla Terra, le anime si uni-scono agli elementi assumendo la forma umana. Così spiegata ladiscesa delle anime nei corpi, termina il primo libro.

Nel secondo libro ormai le anime, unite ai corpi, vanno nelbuio della notte più lunga dell’anno, quella del solstizio d’inverno,seguendo la via sinistra dove sono guidate dall’angelo cattivo.Anche Matteo e la Sibilla incontrano Cacogenio; è lui a condurliverso le diciotto mansioni infernali, dove sono le anime dominatedai vizi. Per prime incontrano quelle che non hanno saputo resiste-re alle passioni dei sensi e ai beni della fortuna, poi quelle di chi si èfatto vincere dall’ira, dall’invidia, dall’accidia e dall’ipocrisia. Lemansioni più profonde sono riservate a quanti, per Palmieri, hannocommesso i peccati più gravi: gli indovini, gli eretici e gli idolatri.Arrivato in quel luogo, il più lontano da Dio, che è anche il più in-terno, Matteo vede una scala, in cima alla quale si trovano i beati.

La terza cantica si apre con la descrizione dell’incontro conCalogenio, l’angelo del bene, che assicura di accompagnare i duepellegrini per il resto del cammino, illuminati da uno splendidoSole. Qui nel corso del giorno più lungo dell’anno, quello del sol-stizio d’estate, concludono la loro peregrinazione le anime chehanno imboccato la strada a destra, quella che conduce verso ilparadiso per i restanti dodici stadi. Dopo aver parlato del sommobene, arrivano tutti e tre all’alto Colle delle virtù, ripartito in treordini. Il primo ordine è rappresentato dalle Virtù civili. Vi dimo-

42 M. PALMIERI, Città di vita, I, XV-XVII, cc. 70r-77v. Spunti interessanti sitrovano in B. SOLDATI, Giovanni Pontano e la confutazione del Pico, in La poe-sia astrologica nel Quattrocento, Firenze, Sansoni, 1906, ripubblicato nel 1986a Firenze, Le Lettere, con una presentazione di Cesare Vasoli, pp. 199-203, (quip. 203).

43 Ibid., I, XVIII, cc. 78r-82r.

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rano i filosofi antichi e anche Solone, Pericle, Licurgo, ai quali nonè concesso salire più in alto perché non hanno conosciuto la fede.La seconda sezione comprende le Virtù purgative, dove si lavanole anime che non ebbero queste stesse virtù nella vita terrena; daultimo si giunge al luogo dove risiedono le Vere virtù. La sommitàè abitata dai beati in grado, già da mortali, di unire le virtù conl’amore di Cristo: fra loro sono Giovanni il Battista e la Santa Ver-gine che siede vicino al Figlio, adorato dagli angeli. Il viaggio delpoeta si conclude con la descrizione del Padre Celeste attorniatodal coro degli angeli e affiancato dal Figlio che diffonde amore intutto il creato.

b) Sostrato dottrinale del poema

Nella Città di vita, come nella Commedia, vi sono molte immaginiallegoriche: Matteo preferisce generalmente o gruppi di personeche raramente identifica, limitandole alla funzione di rappresenta-re genericamente un vizio o una virtù, oppure alcuni protagonistidel mondo classico. È il caso dei legisti, tra cui compaiono Draco-ne, Lisia, Licurgo, Aristide e Caronda, Demostene ed Eschine,seguiti dai latini, Numa Pompilio, i Decemviri, Catone il Censoree suo nipote, Catone l’Uticense, Ortensio, Scevola e Sulpicio, Le-lio, Tullio, Paolo, Antonio e Ulpiano; da lontano, Quintiliano se-guito dal grande abreviator, Giustiniano che apre e chiude l’interoragionamento44. Platone fra tutti gli antichi occupa una posizionedi assoluto privilegio, per l’approccio neoplatonico di Matteo alcristianesimo, e a differenza di Dante non lo pone nel limbo.

Ad una cantica sul Purgatorio Matteo ne preferisce, con chiarainfluenza neoplatonica, una sulla preesistenza delle anime, a cuicorrisponde da un punto di vista strutturale uno schema simile aquello dell’Alighieri ma non identico: i cento capitoli che compon-gono l’opera sono suddivisi in tre libri ma trentatré canti formanoi primi due, trentaquattro ne conta il terzo. Anche da un punto di

44 M. PALMIERI, Città di vita, III, XIV, 15, 24-48, cc. 247r-249v. Il rimandoai legisti, con qualche dimenticanza e aggiunta, è di Cherchi che giustamenterileva come la concordanza si ha solo, quando ha luogo, fra autori antichi latinie greci: P. CHERCHI, Petrarca, Valerio Massimo e le “concordanze storiche”, «Ri-nascimento», XLII (2002), pp. 31-65, (qui pp. 47-48).

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vista metrico vi sono lievi variazioni. Mentre il primo e il terzo li-bro sono formati da capitoli di 50 terzine di cui ognuna terminacon un verso di chiusura riprendendo con rime diverse la concate-nazione all’inizio del canto successivo, il secondo libro è compo-sto di capitoli di 50 terzine, che trovano il verso di chiusura soloalla conclusione del trentatreesimo canto. Così da un punto di vi-sta metrico nel libro centrale non si interrompe mai lo schemadelle rime, formando un solo lunghissimo capitolo di 4951 versi,ripartito dal poeta in 33 sezioni. Anche nella lunghezza i canti siallontanano dalla Commedia. Qui hanno lunghezza varia, mentrenella Città di vita sono formati con una perfetta geometria da 151versi nel primo e terzo libro, da 150 nel secondo, dove appuntomanca l’ultimo verso. Qualunque sia la ragione (forse le pene del-l’inferno, sebbene distinte, rappresentano tutte la dannazione epertanto ogni distinzione ontologica cade), certamente lo Spezialeha voluto introdurre, anche dal punto di vista metrico, alcune con-sapevoli innovazioni alla struttura dantesca.

La Città di vita rappresenta una fusione proficua fra la teologiacristiana e alcuni temi platonici, neoplatonici, pitagorici e orige-niani. Palmieri qui affronta e risolve il cuore della teologia medie-vale, la possibilità di conciliare l’influsso astrale con la volontàlibera. Come aveva già fatto nel dialogo giovanile, la preoccupa-zione maggiore mi sembra consista nel dimostrare l’esistenza e ilvalore principale del libero arbitrio dell’uomo. Nella Vita civile letappe del futuro cittadino erano descritte una ad una come unascelta continua: vivere è scegliere. La scelta, la più nobile, era allo-ra quella di divenire consapevolmente ottimi cittadini, assecondan-do la propria natura e preferendo il bene dei più a quello di pochi.Nella vita terrena l’uomo deve sostenere una continua prova, develottare con il destino e con i suoi simili per raggiungere la fama.Nella Città di vita l’idea origeniana della totale libertà della volon-tà costituisce il valore più alto dell’esistenza umana. Vi è certo unasostanziale diversità fra i due testi: nel poema l’attore è – e puòsolo essere – il singolo, mentre nell’opera giovanile i due aspetti, lavita individuale e la collettività, erano uniti in maniera diretta econsequenziale. In ogni modo la prova terrena nelle due opere ri-mane legata a doppio filo con la vita attiva. Anche la prospettivadella ricompensa cambia da uno scritto all’altro, mantenendosi peròunita in un aspetto non secondario. Nel dialogo il premio più alto èassegnato ai reggitori e, più in generale, a quanti si sono adoperati

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per il bene comune. Nel poema il luogo più vicino a Dio è riservatoai Beati: fra tutti risaltano due figure, Giovanni Battista e la Vergi-ne. Entrambi hanno raggiunto santità e bontà – ed è importante –non allontanandosi dalla realtà, non all’interno di una scelta con-templativa ma, accolto l’annuncio del Messia, operando nel mondo.Giovanni è il trascinatore di folle che diffonde, instancabile, l’an-nuncio della venuta di Cristo. Il Battista è riuscito ad indirizzaremolti sulla via della Verità, grazie ai buoni exempli. Egli supera glialtri perché ha reso concretamente più accessibile la via a Cristo45.

Più in alto è solo Maria la cui scelta è quella di una donna: in-terrogata dall’angelo ha scelto di essere la madre di Dio46. L’interoviaggio nella Città di vita è, dunque, presentato come una conti-nua elezione del lettore, che può e deve liberamente seguire unpercorso verso il Paradiso o verso la perdizione.

L’idea del viaggio, non certo originale, ha come fonte primarial’Eneide di Virgilio, di cui il primo capitolo della Città di vita è inpiù luoghi la traduzione. Non solo per la scelta della Sibilla e del-l’antro, dove essa dimora, ma nella ripresa delle figure di Carontee di Tantalo si fa riferimento all’epopea di Enea47. Gli altri autorilatini di riferimento sono Seneca48, Persio49, Ovidio50, Stazio51 e

45 «Salita vidi ad questo sommo bene, / l’anima resse el corpo del Baptista,/ per l’opre giuste con la carne fene. / Più che propheta et più che vangelista /predixe Christo et non contento ad questo / ne dette al senso con mostrarlovista. / Fu nel diserto sì di vita honesto, / mele et locuste per suo cibo prese, /et vestir pelle non gli fu molesto. / All’opre sancte molta gente accese, / conbuoni exempli et predicar la via, / salire in cielo veracemente intese. / Mentreche innanzi questo andar salia, / precursor fu di Christo certo degno / d’esserelecto ad baptezar Messia. / D’esto misterio fece el ciel gran segno / pel qualmostrò che ad questo fare electo / fusse Giovanni nel celeste regno. / Non videancora stato più perfecto / essere in huom che sia di donna nato / di seme d’huo-mo in suo vasel concepto», M. PALMIERI, Città di vita, III, XXXIII, 35-41, c. 297v.

46 Ibid., 43-49, cc. 297v-298r.47 M. PALMIERI, Città di vita, rispettivamente, II, III, 19, c. 132r e II, II, 22, c.

128v con Eneide, VI, 299-304 e II, XV, 43-44, c. 251v con Eneide, VI, 605-607.48 Nel XXI capitolo del primo libro della Città di vita Matteo, riferendosi

alle impressioni che discendono da Venere, parla delle proprietà di Amoreavendo presenti alcuni versi senecani di Phaedra, vv. 275-281.

49 I riferimenti sono al la sesta Satira di Persio.50 La descrizione dell’invidia, che Palmieri colloca nel capitolo XXVI del II

libro, pp. 51-55, è quasi la traduzione letterale delle Metamorfosi, II, 775-781.51 Quanto dice a proposito dell’ira, in Città di vita, II, XXV, cc. 188v-190v,

risente la eco della Tebaide, I, 103-113.

INTRODUZIONE34

l’amato Cicerone, il cui nome è ancora una volta associato allaRepubblica di Platone e del quale elogia il realismo politico52.

La dipendenza dal patrimonio greco risulta più articolata. Unadelle accuse rivolte alla Città di vita vuole Palmieri discepolo diPitagora. Effettivamente nel poema i nessi si fanno interessanti:Pitagora è esplicitamente ricordato nel primo libro a proposito delsignificato del numero XL, simbolo della vita umana53, all’internodel capitolo in cui viene spiegato quale habito piglia l’anima quan-do si trova nel corpo e quando ne è lontana, e dove parla dell’in-fluenza degli elementi. Nella seconda sezione tre sono i rinvii a unadottrina affine a quella pitagorica. A proposito della scelta che cia-scuno deve compiere, imboccando la via che mena in cielo et l’al-tra ad lo inferno e poi, subito dopo, in riferimento alla terza edeterna morte:

El corpo dixe di che son guernitipiglia principio et sì si compie et face,d’essentia d’elementi insieme uniti.

Di questi, l’una parte sempre giace,l’altra non ha graveza che in giù calima di levarsi in sù l’aggrada e piace.

52 A proposito di Platone leggiamo nella terza cantica, nel capitolo dedica-to alla giustizia considerata come verità eterna: «Però non può nel viver che ècorropto / star la communion che Plato intese / in popol giusto, sapiente edocto. / Per questo Tullio tal cittade prese, / quale esser puote governata etrecta / dal senno manca delle ingiuste offese. / Non l’ordinò com’esser puòperfecta / in quella mente che appetendo figne, / ma come in terra dar si puòpiù necta. / Così l’un finxe et l’altro la dipigne, / l’un la disia et l’altro mostraquella / già fu nel globo che la terra cigne» (Città di vita, III, XXII, 40-43, c.269v). Lo stesso giudizio di Cicerone aveva dato Umberto Decembrio nel pro-logo della sua versione della Repubblica; a questo proposito si veda E. GARIN,Medioevo e Rinascimento, Bari, Laterza, 1980, pp. 234-235. Per i riferimentiagli autori latini cfr. E. FRIZZI, La Città di vita, cit., pp. 150-166.

53 «La chiesa spesso questo numer canta, / figurando che l’anima smarrita/ per quaranta mansion ritorna sancta. / Intese ancora Pythagora esta gita, /nel tempo per fuggire a’ suoi nimici, / in ca’ le muse conservo la vita. / Dovealcun cibi non gli fur amici / per di quaranta et poi tutti passaro / mancor leforze et fe sua morte lici. / Lo spirto che venire in carne ha caro, / fino al suocorpo dieci calle sceso / pel gran diserto sosterra l’amaro. / Fra l’ombre obscu-re quivi stando preso / in cieca valle più che l’altre bassa, / per mansion trentavolgerà sospeso. / Così quaranta stati errando passa / l’alma di ciel per primamorte muove, / poi l’altra vien che il corpo morto lassa» (Città di vita, I, XVIII,43-49, c. 80r).

INTRODUZIONE 35

L’habito spirtal nutrito in malis’aggrava d’infection grossa che e’ pigliada quella parte son gli humor carnali.

Se infecto varca alla immortal famigliarimansi in basso tra pensier terreniné può sopra el pensier levar le ciglia.

Et quanto e’ pensier son più gravi et pienidi cosa caschi et più si carchi et pesi,tanto convien se più nel basso meni.

Et quanto più si son dal mal difesi,tanto lo spirto sì riman più puroet salgon lievi et fansi più sospesi.

Così, lasciando el più pesante et duro,passan volando sopra ad ciò che nuoce,in bene eterno d’ogni mal sicuro.

Non se la vera luce in questi ascosaet tornan lieti ne’ paesi amati,lasciando gli altri in valle dolorosa54.

Sebbene una prima lettura di queste terzine induca a ritenere Pal-mieri un seguace della metempsicosi, a ben vedere per Matteo l’in-carnazione dell’anima non è una punizione, poiché il corpo non èla prigione dell’anima, né vi è possibilità di abitare corpi diversi daquelli degli uomini. Siamo dunque lontani dall’idea di rinasciteinfinite in corpi diversi. Qui si danno solo tre possibilità – in que-sto non segue né Pitagora né Origene – concesse da Dio agli ange-li rimasti neutrali. Mostra così che in questo aspetto per Matteo leanime dopo la morte corporale non discendono nell’Averno dadove, dopo aver gioito o sofferto per la vita terrena, rinascono nelcorpo che si meritano: questo era quanto invece si diceva predi-casse Pitagora, se dopo la prima possibilità non hanno ancora scel-to la via che porta alla salvezza, possono attendere per altre duevolte nei Campi Elisi. Nell’attesa l’anima vaga di mansione inmansione, da dove riceve stimoli diversi che essa stessa, senza co-strizioni, seleziona seguendo la propria indole. Giunto il momen-to del passaggio nel corpo, prima che ciò sia compiuto, attraversail fiume Lete dimenticando quanto aveva visto.

54 Ibid., II, III, 39-45 e 49, c. 133r.

INTRODUZIONE36

Anche se, lo abbiamo detto sopra, è complessa la relazione isti-tuita da Matteo tra le qualità ricevute da parte dell’anima dai varipianeti nelle mansioni e quelle che sono destinate a caratterizzareil temperamento dell’uomo sulla terra, non mi sembra vi sia fon-damento per l’accusa di pitagorismo. Matteo presenta Pitagoracome un saggio, un uomo cui guardare, esempio e simbolo di ret-titudine morale. Solo alcuni aspetti della tradizione possono ef-fettivamente aver ispirato lo Speziale in una sua proposizioneoriginale dello stato della vita delle anime prima e dopo la scelta.Come era accaduto nel dialogo, anche qui egli seleziona ciò cheritiene conforme al proprio pensiero. Lo stesso accade all’autoreal cui nome la Città di vita è stata associata fin dai primi lettori:Platone. Questi, «sommo di tutti i philosophi», è citato varie voltenei lavori di Palmieri55. L’ammirazione verso il filosofo della Re-pubblica è provata ma non acritica. La loro separazione è marcatanella «immaginata bontà de’ non mai veduti in terra cittadini»56.Così, è bene sottolinearlo, Matteo non rinuncia mai ad esprimerela propria opinione. Nondimeno condivide l’idea che per renderemaggior servizio alla repubblica due sono i precetti da seguire:mettere al primo posto l’utilità della comunità e non del singolo econsiderare bene primario conservare unita la repubblica in tuttele sue parti57. Ogniqualvolta il discorso ritorni sull’autorità dei reg-gitori e sui meriti concessi loro dopo la morte, Matteo richiamaPlatone. Già nel dialogo è sicuro quando scrive:

Di cielo venire et in cielo ritornare tutti i giusti governatori dellerepublice per tutti e’ secoli del mondo è stato da’ sommi ingegnicertissimamente approvato. Platone in fine della sua quasi divinaRepublica all’anime spogliate de’ corpi degli optimi civili consegnaluogo fra i corpi celesti coi quali in eterno si vive beato58.

Nella Città di vita senza sorpresa, alla luce di quanto detto, Plato-ne dimora nell’ordine delle Virtù civili. Lì, in un continuo confron-to destinato a restare sempre aperto, discorre con gli altri filosofisul sommo bene. In realtà, sebbene la speculazione di molti di loro

55 Per esempio nella Vita civile, I, 132, p. 40.56 Ibid.57 Ibid., III, 136, p. 132.58 Ibid., IV, 238-239, p. 199, ma si veda anche IV 189-190, p. 188-189, la

cui fonte è A. GELLIO, Noctes Atticae, VII, 7, e IV, 205, p. 191.

INTRODUZIONE 37

li abbia portati non lontano dal coglierne l’autentico valore, ele-mento qui nuovo rispetto al dialogo, nessuno ha goduto della fedeindispensabile per comprenderne il profondo significato:

Et questo è quel che tanto questi offended’esta mansion nessun salir si vedeal Sommo Ben, che più felice splende.

Né venirvi alcuno può senza la fede,l’anima et corpo den ripigliar vitaet premio o pena havere insieme crede59.

Per vedere Dio e godere della vera vita è dunque indispensabile lafede. Più volte Matteo lo rammenta nel poema e dedica un interocapitolo, il ventiquattresimo della prima cantica, a tale argomen-to. Inequivocabilmente scrive:

Io volendo el tuo parere seguire,benché virtute speri aver mercedesolo ad te credo et te voglio ubidire.

Ma perché strigni et vuoi solo una fede,sanza la quale è vana ogni virtute,né puossi alcun salvar se non la crede.

E ancora:

Sì facta volontà fu ferma e rata,con la morte per noi Christo sostenne,onde l’humana gente s’è salvata.

El christian popol reda sol divennedel regno eterno e quel convien acquisti,credendo quel che allor la Chiesa tenne60.

Al concetto di fede Matteo lega, conformandosi alla dottrina cat-tolica ortodossa, quello della grazia. Dio nel suo infinito amoredona la Sua grazia a quanti Lo ascoltano; sta poi ad ogni creaturarispondere alla chiamata: se sceglie il Creatore vivrà in eterno, sesceglie il male le sue sofferenze saranno imperiture.

59 M. PALMIERI, Città di vita, III, IV, 38-39, c. 222v. Si veda anche semprenell’ultima cantica, XXIII, 26, c. 258v e XXVI, 50, c. 280v.

60 Ibid., I, XXXV, 8-9, c. 100r.

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La grazia spande Tuo [di Dio] sommo poteread noi quotidiana oggi s’infonda,data pel maggior ben possiamo havere.

Per far nostra alma più purgata et monda,come ad altri ciascun di noi perdona,così tuo perdonare ad noi risponda.

La grazia del Signore che sempre guidatutte le cose al lor perfecto stato,sol verso el ciel ognun diriza et fida61.

La prospettiva rispetto al dialogo è mutata: ora è necessario averconosciuto la fede per godere della vita eterna. In questo aspetto ilpensiero dell’umanista è del tutto ortodosso. È vero tuttavia, e ciònon è forse ultraortodosso, che l’ipotesi secondo la quale le animegodono di una vita separata dal corpo e acquistano conoscenzementre attendono il tempo della discesa nei corpi è di derivazioneplatonica. A ben guardare però l’umanista si rifaceva ad una partedella tradizione cristiana, nuovamente letta nel XV secolo anchenelle sue istanze più originali. Palmieri non fa riferimento ad unasola autorità, anche se si tratta di Platone. Si legano in lui altre fontiche non mi sembra siano mai state prese in considerazione, soprat-tutto la tradizione dei Padri greci, che Matteo legge e medita. Traquesti vi sono le Apologie di Giustino62, la Gerarchia celeste delloPseudo Dionigi Areopagita63 e le opere di Origene. In Giustino

61 Ibid., I, XXIV, 45-46, c. 98v e III, I, 1, c. 213r. In molti altri luoghi Mat-teo ritorna a parlare della grazia: ibid., I, III, 5, c. 21v; III, III, 45-46, c. 220r;III, XXVII, 16-17, c. 281v; III, XXX, 1, 16, c. 288v.

62 San Giustino (100-110c.a – 165c.a). Nacque in Palestina in una famigliadi coloni latini e fu educato al paganesimo. Frequentò differenti scuole filoso-fiche, dalla stoica, alla peripatetica, alla pitagorica, alla platonica per convertir-si intorno al 130 al cristianesimo. A Efeso pochi anni dopo ebbe una accesa di-scussione con un rabbino palestinese, che gli fornì successivamente la materiaper scrivere il suo Dialogo con Trifone. Giunto a Roma aprì una scuola cateche-tica e pubblicò le due Apologie, per scagionare i cristiani dalle accuse di immo-ralismo. Morì martire e venne considerato il fondatore della teologia cristiana.

63 Lo Pseudo Dionigi Areopagita fu un teologo mistico, di cui ignoriamo ilnome, le cui opere furono menzionate per la prima volta all’inizio del VI seco-lo. Nel 533 in un sinodo a Costantinopoli i monofisiti invocarono la sua auto-rità identificandolo con Dionigi Areopagita, il membro dell’Areopago conver-tito da San Paolo e primo vescovo di Atene. Con erronea attribuzione le sueopere, in cui si tenta una sintesi fra il dogma cristiano e la filosofia neoplatoni-ca, ebbero immensa notorietà nel Medioevo. Sono la Gerarchia celeste, la Ge-

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Matteo trovava la giustificazione di come anche i filosofi antichipotessero partecipare della Verità. Dall’inizio del mondo, scriveGiustino, Dio ha concesso grazie al Logos, l’illuminazione agliuomini di ogni tempo: ecco spiegate apprezzabili verità declinateda pensatori di ogni epoca, anche se parziali e imperfette64.

I testi di Giustino circolavano a Firenze almeno dall’inizio delXV secolo. Si trovano due manoscritti delle opere dell’apologetanell’inventario del 1418 della Biblioteca Medicea65. Come è ormaicondiviso dalla critica, la conoscenza e la diffusione delle operedei Padri greci si deve al lavoro infaticabile del Traversari, tradut-tore e ricercatore66. Dei testi che abbiano relazione con i temi delpoema, egli tradusse, o fece circolare, dello Pseudo Dionigi Lagerarchia celeste, e di Origene le Omelie sul Cantico dei Cantici 67 ele 39 Omelie su San Luca68. Nel fondo della biblioteca di San Mar-

rarchia ecclesiastica, i Nomi divini e la Teologia mistica. La loro attribuzione aldiscepolo di Paolo fu messa in discussione solo nel Quattrocento per l’acumefilologico di Lorenzo Valla e nel XVI secolo da Erasmo. D. SBACCHI, La presen-za di Dionigi Areopagita nel Paradiso di Dante, Firenze, Olschki, 2006; P. A.PODOLAK, Dionysiaca et Ficiniana: studi sul trattato ‘De divinis nominibus’ dellopseudo-Dionigi Areopagita. Edizione critica della traduzione e del commento diMarsilio Ficino. Dottorato di ricerca in filologia e letterature greca e latina, tesi didottorato in filologia classica; relatore: Claudio Moreschini, Pisa, 2006.

64 È questo il contenuto delle apologie di Giustino. SAN GIUSTINO, Le dueApologie, a cura di G. GANDOLFO e traduzione di A. RACCONE, Roma, EdizioniPaoline, 1983.

65 F. PINTOR, La libreria di Cosimo de’ Medici nel 1418, Firenze, TipografiaS. Landi, 1902, pp. 8, 13-14.

66 MP, pp. 48-69; AA.VV., Lorenzo Valla e l’umanesimo toscano: Traversari,Bruni, Marsuppini. Atti del Convegno del Comitato nazionale 6. centenario del-la nascita di Lorenzo Valla, Prato, 30 novembre 2007, a cura di M. Regoliosi,Firenze, Polistampa, 2009, stampa 2010.

67 Del 1424 è la trascrizione delle Omelie sul Cantico dei Cantici, la primaopera di Origene di cui il monaco si sia occupato. Ho utilizzato le seguentiedizioni moderne: PS. DIONIGI L’AREOPAGITA, Gerarchia celeste, Teologia Misti-ca, Lettere, a cura di S. Lilla, Roma, Città Nuova, 1986; ORIGENE, Omelie sulCantico dei Cantici, a cura di M. G. Danieli, Roma, Città Nuova, 1990 e G.BONFRATE, Origene: viaggio di parole, in Il viaggio dell’anima, a cura di ManlioSimonetti, Giuseppe Bonfrate e Pietro Boitani, Milano, Fondazione LorenzoValla, Arnoldo Mondadori Editore, 2007, pp. 443-531.

68 Nel gennaio del 1432 Traversari si trovava in visita a Roma, tappa del suoviaggio iniziato l’anno precedente, alle comunità della Penisola. Fu ospite delCardinale di Arles, la cui abitazione era contigua alla Chiesa di Santa Cecilia.È nella biblioteca della Chiesa che il monaco rinvenne le Omelie su Luca tra-dotte da Girolamo. Come egli annota nell’Hodoeporicon, il suo diario di viag-

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co, di cui gran parte delle opere erano eredità di Niccolò Niccoli, sitrovavano poi la prima parte del Commento al Vangelo di Giovannie le Omelie su Ezechiele69. A questi scritti, cui certamente Matteopoteva accedere facilmente, si aggiungono tutti quelli che fannoparte del cosiddetto Origene latino, di cui Matteo credo conosces-se per i contenuti del poema il Commento al Cantico dei Cantici 70.

A riprova dell’interesse rinnovato per Origene, ricordiamocome proprio per volere di Niccolò V, fra il 1450 e il 1455, vennecomprato a Costantinopoli un manoscritto greco del Contra Cel-sum, il Vaticanus graecus 386, tradotto e pubblicato nel 1481 aRoma da Cristoforo Persona.

Le dottrine che Matteo conosceva del Padre greco derivano so-prattutto dall’attenta lettura dell’epistola CXXIV Ad Avitum diSan Girolamo, che aveva continuato a circolare per tutto il medioe-vo e in cui vengono riportati, anche se non in maniera obiettiva, itratti peculiari del pensiero origeniano espressi nel De Principiis71.

gio, «la scoperta, risaputa a Firenze, provocò un’esplosione di entusiasmo, spe-cialmente nel mio grandissimo e zelantissimo amico Niccolò. Le feci immediata-mente trascrivere. Del medesimo autore scopersi anche altre Omelie su tre Sal-mi: ma questo ultimo codice era talmente guasto che vi si potevano leggereappena poche righe», in A. TRAVERSARI, Hodoeporicon, a cura di V. Tamburini,Firenze, Le Monnier, 1985, p. 57. Dini Traversari riferisce che il monaco, arriva-to dopo mille difficoltà a Montecassino, vi vide un codice con XII Omelie su Isaiache attribuì ad Origene. Non copiò il codice, con ogni probabilità, per mancan-za di tempo. Per questo penso che Matteo non conoscesse quest’ultime Omelie.A. DINI TRAVERSARI, Ambrogio Traversari e i suoi tempi in appendice all’Hodoe-poricon dello stesso Traversari, Firenze, Mazzocchi, 1912, p. 107. ORIGENE, Leshomélies sur Luc, Sources Chrétienne, Paris, Les Editions du Cerf, 1962.

69 Catalogo dei Manoscritti filosofici nelle Biblioteche Italiane, vol. II (Bi-blioteca Laurenziana), Firenze, Olschki, 1980, p. 34; cfr. anche p. 36. P. O. KRI-STELLER, Iter Italicum, cit., I, p. 76. ORIGENE, Omelie su Ezechiele, a cura di N.Antonioni, Roma, Città Nuova, 1987.

70 La prima edizione greca del testo avrebbe visto le stampe solo nel 1605.H. CROUZEL, Une controverse sur Origène à la Reinaissance: Jean Pic de la Mi-randole et Pierre Garcia, Paris, Vrin, 1977, pp. 35-68, (qui pp. 41-46). ORIGE-NE, Contro Celso, a cura di A. Colonna, Torino, UTET, 1971. ORIGENE, Com-mento al Cantico dei Cantici, a cura di M. Simonetti, Roma, Città Nuova, 1976.Alcune Omelie sul Vecchio Testamento si leggono anche in un codice della Ric-cardiana e in un altro della Biblioteca di Santa Maria Novella. P. O. KRISTEL-LER, Iter Italicum, I, p. 178 e G. POMARO, in «Memorie Domenicane», 13, p.317, in cui si riportano i testi secondo l’inventario del 5 novembre 1489.

71 ORIGENE, I Principi, a cura di M. Simonetti, Torino, UTET, 1968; SAN

GIROLAMO, Ad Avitum in Lettres, Paris, Le Belles Lettres, 1961, vol. VII, pp. 95-114; F. COCCHINI, Origene: teologo esegeta per una identità cristiana, Bologna,

INTRODUZIONE 41

Uno degli aspetti più originali è la sua concezione antropologi-ca. Tutti gli spiriti sono stati creati uguali da Dio. Pur tuttavia gliuomini si distinguono l’uno dall’altro e i loro destini sono diffe-renti: perché come riferisce Girolamo, per Origene le creaturegodevano all’inizio della più vera beatitudine, derivante dalla vi-cinanza divina. Successivamente, per libera scelta, l’uomo si è al-lontanato dal suo creatore. La condizione indispensabile perriacquistare lo stato perduto è concessa da Dio nella prova terre-na. Ciascuno deve, per suo proprio volere, decidere tra il bene e ilmale avendo non una sola possibilità di conversione ma il numeronecessario al completo riavvicinamento a Dio. Per questo Origenenon parla solo di un mondo ma di una serie illimitata di essi. Datale scelta dipende il luogo in cui l’anima viene a trovarsi: se avràfatto il bene dimorerà nei cieli come angelo, se farà il male dovràsopportare ulteriori prove terrene. Non si tratta del concetto gre-co di metempsicosi, poiché l’anima origeniana si reincarna sem-pre in corpi umani e non è concepita una sola degradazione inesseri inferiori72. Anche nell’etimo del termine psyché Origene tro-va conferma alla sua teoria. Il tema, infatti, è per lui psychos, chesignifica freddo. La radice, egli dice, suffraga la tesi secondo cui lacaduta nel corpo sia una decadenza dallo stato originario di per-fezione, quando l’anima era vicino a Dio e non aveva ancoraraffreddato il suo amore per il creatore73. Una soltanto è per l’uo-mo la strada per salvarsi: scegliere il bene. Operata la scelta vienein aiuto la Grazia, frutto dell’infinito amore di Dio, accordata pereleggere il Bene in un tempo che non è circoscritto alla durata diuna sola vita. Le possibilità sono concesse perché alla fine tutti,anche i demoni e lo stesso Satana, siano purificati. Così, dopo unnumero indeterminato di mondi si giungerà all’ultimo. Il mondovisibile tornerà a quello invisibile. Quando gli esseri razionaliavranno espiato nelle vite successive dei vari mondi il peccato ini-

EDB, 2006; D. PAZZINi, Lingua e teologia in Origene. Il Commento a Giovanni,Brescia, Paideia, 2009; J. DANIELOU, Origene: il genio del cristianesimo, Roma,Arkeios, 2010.

72 Di pitagorismo Origene è stato accusato anche da Girolamo nelle primepagine della sua Lettera (Ad Avitum, cit., pp. 99-100) ma, secondo il suo meto-do, Origene procede per ipotesi senza voler approdare ad alcun dogma. L’ac-cusa è ripetuta anche nel Contra Celsum, (V, 29, cit., p. 442) e nel Commento alVangelo di Matteo, XIII, 1.

73 ORIGENE, Omelie su Ezechiele, cit., p. 39.

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ziale, giungeranno alla perfezione e saranno restituiti alla condi-zione primitiva. Avremo allora la seconda discesa di Cristo, con laconseguente resurrezione di tutti i corpi non materiali ma spiri-tuali: Dio sarà tutto in tutti.

Un elemento centrale dell’interpretazione origeniana pone illibero volere umano come uno dei beni più preziosi. Dio ha creatotutte le creature libere, non solo l’uomo. Il mondo sensoriale sispiega con la caduta delle sostanze intellettuali che abitavano ilmondo intelligibile. Le intelligenze, infatti, in quanto create, sonosoggette al mutamento e ogni loro cambiamento di stato dipendedalla libera volontà. La loro caduta non è che una sorta di pigriziadavanti allo sforzo necessario che la pratica del bene esige. Perciòtrascurando il bene esse sono cadute nel male, che è sempre unallontanarsi dal bene. Origene insiste in tutti gli scritti sulla libertàdell’atto che ha provocato la caduta. L’unico essere che non hapartecipato alla ribellione è il Logos, il Figlio. Le intelligenze, chesono divenute anime, si sono rivestite del corpo per sostenere laprova del mondo. Si potrebbe dire dunque che per Origene ilmondo visibile non è altro che la caduta del mondo intelligibile edelle pure essenze razionali che lo abitavano.

Dalla volontà di ciascuno è dipesa la scelta; le creature che,prima delle altre e senza titubanza, hanno scelto il bene, formanouna gerarchia secondo il grado della loro volontà, così come i Se-rafini, i Cherubini e i Troni che siedono nel più alto dei cieli, pergiungere poi fino agli Angeli che risiedono invece nel più basso eche per questa vicinanza alla Terra rimangono legati al corpo.Quanto agli altri, essi hanno volontariamente commesso il male esi sono allontanati da Dio; sono questi i demoni e gli uomini. Laspecificità di ciascun individuo dipende, pertanto, dalle scelte di-verse operate liberamente da ciascuno.

Il luogo dove forse con maggior sistematicità Origene tratta ilrapporto che intercorre fra il corpo e lo spirito è il Commento alCantico dei Cantici, che Matteo conosceva. Le argomentazioni sibasano sulla concezione platonica della conoscenza del simile colsimile. L’intelligenza contiene delle realtà chiaramente incorporee:per questo essa deve essere della stessa natura, dal momento chene partecipa. Le qualità sensibili corrispondono invece ai diversisensi. La natura dell’anima muta in relazione al suo stato morale74.

74 Ibid., p. 47; SAN GIROLAMO, Ad Avitum, cit., pp. 99, 100-101, 108-109,151 e soprattutto 207-208.

INTRODUZIONE 43

L’universo è pensato come una piramide al cui vertice siede laTrinità75. Scendendo verso la base si incontrano le creature chehanno scelto il bene e che in relazione alla loro fede hanno uncorpo più o meno spirituale. Quanto più si scende verso il basso,al cui estremo è la Terra, tanto più il corpo delle creature si fa pe-sante. Come per Platone, il corpo è il limite al quale l’anima devesottostare finché non sarà definitivamente salva.

Matteo non accetta in tutta la sua articolazione questa teoria:ne mutua alcuni aspetti e li mitiga, nel desiderio di avvicinare ilmondo antico al proprio. Il risultato è l’esposizione di una teoriadai tratti bizzarri: a ciascun uomo sono concesse solo tre possibi-lità, cioè tre successive incarnazioni, per scegliere consapevolmen-te la strada che porta a Dio. Dopo di esse, tuttavia, per Matteo,diversamente da Origene, il destino dell’anima di ciascuno è se-gnato e sarà, per l’eternità, o la vita o il tormento. Quindi alla sal-vezza non giungeranno tutti ma solo quanti avranno scelto il benee non saranno rimasti intrappolati nelle passioni della carne. Ilconcetto di responsabilità acquista dunque, nell’articolazione del-le tre sole occasioni concesse all’uomo, un risalto maggiore di quel-lo esemplificato dallo stesso Origene. Non vi è alcuna possibilità dirimanere neutrali; l’epilogo della terza vita sarà l’arrivo alla vera gioiao all’eterno dolore. Satana eternamente resterà lontano da Dio.

Ora, nei lunghi brani del De Principiis che Girolamo riferi-sce, è espressa chiaramente l’idea della salvezza universale76.Matteo quindi è ben consapevole di allontanarsi da Origene ed èproprio l’originalità del discorso palmieriano a rendere la Cittàdi vita un testo di particolare interesse anche da un punto di vi-sta teologico.

75 Molti sono i luoghi nel poema dove Matteo espone il dogma della Trini-tà. Senza dubbio su questo aspetto è in linea con l’ortodossia e si allontana daOrigene, per il quale vi è una sorta di subordinazione tra le tre Persone. È veroperò che i passaggi dove il padre esprime questa dottrina erano sconosciuti alnostro autore. Si tratta in particolar modo dei passi del Contra Celsum, V, 18,dove si dice che il Figlio non procede dal Padre per via di divisione, ma nellostesso modo in cui la volontà deriva dalla ragione. Idee uguali si leggono in Deprincipiis, I, 2-6, Commento a Geremia, 9, 4, Commento ai Romani, 1, 5 e anco-ra nel Contra Celsum, V, 39, VIII, 15. Nella Città di vita i luoghi in cui Palmieriesprime questo concetto sono I, XXIV, 10-14, 18, 22-24, 27-29, 36, cc. 97r-98r;I, XXV, 31-32, c. 100r.

76 Lo stesso nelle Omelie su Luca, XXV, 15; ORIGENE, Les homélies sur Luc,cit., p. 429.

INTRODUZIONE44

c) Ortodossia ed eterodossia del poema

L’originalità espressa nel poema, lontano dalla linea ufficiale dellaChiesa, concerne non solo, come ho più volte richiamato, le trepossibilità di salvezza ma la resurrezione del corpo, rispetto allaquale Matteo non è del tutto in linea con Origene. Le sue creaturehanno un senso di corporeità diverso tra loro, basato sulla lonta-nanza o vicinanza al Salvatore, anche se, nel momento del giudiziofinale, quando Cristo tornerà sulla terra, ciascuno si rivestirà delproprio corpo e con esso vivrà in eterno. È invece una completaripresa delle idee origeniane la relazione fra le creature e gli ange-li: la vita di ciascuna creatura è accompagnata da un angelo buono(il Calogenio palmieriano, nume del poeta e della Sibilla nel regnodei beati) e da uno malvagio, il tentatore (Cacogenio, che invecescorta i due pellegrini nel regno dei morti). All’angelo custode piùvolte fa riferimento anche Girolamo e ne leggiamo nelle Omelie suEzechiele, su Luca e nel Commento al Cantico dei Cantici 77.

Alla luce di quanto detto si tratta ora di chiedersi se l’umanistatornando ad Origene ritenesse consapevolmente di allontanarsidalla verità della Chiesa o pensasse invece ad una tradizione orto-dossa in cui certe concezioni sull’anima e sugli angeli fossero ac-cettate. Possiamo trovare risposta alla domanda individuandoalcuni dei luoghi dove Matteo riprende il pensiero di Origene, ilcui nome non compare mai nel poema, e verificare quali sono leauctoritates, se ci sono, alle quali egli si rifà. Sarà poi d’interesseverificare il commento del Dati.

In apertura della prima cantica la Sibilla espone a Matteo lateoria delle anime. Il quinto capitolo è quasi interamente dedicatoalla spiegazione di questo concetto. Questa parte viene riportataanche nel manoscritto Campori. Dati, prima di procedere nell’ana-lisi dei singoli versi, riassume con chiarezza:

Tutto contento et postque in precedenti capitulo tractatum est demundi creatione quem factum esse dixit simulacrum alicuius aeter-

77 SAN GIROLAMO, Ad Avitum, cit., p. 106; ORIGENE, Omelie su Ezechiele,cit., pp. 40-41; ID., Commento al Cantico dei Cantici, cit., II, 1, 6, pp. 133-134;si veda anche II, 1, 11-12, pp. 164-165; ID., Les homélies sur Luc, cit., XII, 4,p. 203; XXIII, 8, p. 321; XXV, 3, pp. 414-416.

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ni saequitur in saequenti capitulo tractare de creatione spirituum etquemadmodum statim se diviserunt et facti sunt partim boni aliivero mali, et alii intermedii eo quod non elegerunt bonine an maliesse vellent: et de his intermediis sunt animae nostrae unite corpo-ribus ut cogantur eligere boni ne an mali esse velint78.

Gli uomini sono quella terza parte delle creature di Dio, che almomento della ribellione non seguirono né Lucifero né il Creato-re e, a causa della loro indecisione, devono sostenere la prova ter-rena. Con tali versi la Sibilla inizia la sua esposizione sull’anima:

Senza aver penne [20] non si può [21] volare,così ti dissi e son quegli strumentiti fanno in alto sopra ad voi [22] levare.

Penne intendi pe’ primi [23] fondamenti,danno notitia delle vere cosequasi principii sien come elementi [24].

Perché tal penne [25] non ti sian nascostenostro principio ha mostro el Creatore [26],hor dirò dove te [27] con gli altri pose,

Onde venisti in loco [28] di dolore,per mirar nella selva [29] tenebrosa,fuor [30] del aspecto del divin amore79.

Le penne, che altro non sono che la raffigurazione delle ali del-l’anima platonica descritta nel Fedro80, secondo l’opinione delDati, rispecchiano anche nel poema le capacità dell’anima di su-

78 «Tutto contento e dopo che nel capitolo precedente si è trattato dellacreazione del mondo, che ha detto esser fatto ad immagine di un altro mondoeterno, nel seguente capitolo si occupa della creazione degli spiriti e come sidivisero subito e diventarono in parte buoni, altri invero cattivi, e altri ancora‘intermedi’ poiché non scelsero di voler essere buoni o cattivi: e da questi ‘in-termedi’ le nostre anime sono unite ai corpi perché siano costrette a sceglierese essere buone o cattive». Pluteo XL 53, c. 29v che si legge anche in A. M.BANDINI, Catalogus, cit., col. 85.

79 M. PALMIERI, Città di vita, I, V, 12-15, c. 29v. I numeri si leggono nel co-dice e fungono da richiamo tra il testo e il commento.

80 In PLATONE, Fedro, 246 c leggiamo di come l’anima quando è «perfetta ealata, vola in alto, e tutto il mondo governa; ma l’anima che abbia perdute le ali,è portata, finché non si aggrappi a qualcosa di solido, dove trasferirsi, e preso uncorpo terreno che per la potenza di lei sembra muoversi da sé, ‘essere vivente’ fuchiamato l’insieme, anima e corpo confittovi, e di ‘mortale’ ebbe soprannome».

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perare il mondo sensibile81. Sono esse il dono che Dio ha fatto agliuomini. La grazia più grande è infatti, la possibilità, con un attovolitivo, di scegliere il Salvatore ed acquistare così la vita eterna.Se l’uomo non avesse tale capacità, qualunque azione non dipen-derebbe dal suo volere ma da una forza a lui estranea. Invece pro-prio nella condizione di scelta è il merito o la condanna per quellecreature che non presero posizione quando alcuni angeli andaro-no con Dio e altri con Lucifero. Il solo stato di salvezza consiste,dunque, in un atto di scelta. Rispetto alla beatitudine, dalla qualequeste anime si sono allontanate, il corpo e questa nostra vita sonoloco di dolore. Proprio per farlo decidere liberamente, Dio fornìl’uomo di ragione:

Et perché [35] cosa far non si potevache eterno bene in ciel sempre godesse,se sempre quel goder non intendeva,

81 Ecco l’esegesi del Dati alle terzine riportate (Pluteo XL 53, cc. 30rv),con la mia traduzione: «[20] Pennas: intelligit principia et fundamenta scien-tiarum per quae elevamur ad altas magnarum rerum contemplationes ut inprimo etiam posuit capitulo» («Penne: intende i principi e i fondamenti dellescienze attraverso i quali ci innalziamo all’elevata contemplazione delle cosegrandi, come affermò anche nel primo capitolo»). «[21] Altius meditando tran-scendere» («Ascendere più in alto con la meditazione»). «[22] Supra cognitio-nem humanarum rerum» («Oltre la conoscenza delle cose umane»). «[23] Perprimas nostras notiones» («Per le nostre prime conoscenze»). «[24] Elementasunt humanarum rerum principia e quibus terrestria creantur, et componun-tur, ob quam similitudinem Priscianus, litteras elementa vocat: ‘quia principiasunt e quibus verba et orationes componuntur’. Lact. VI. ad ostendendumquod principia elementa dicuntur dicit: ‘scientia nobis ab animo est quia ori-tur e caelo ignorantia a corpore quod est ex terra: ita quoniam ex his duobusconstamus elementis etc.’» («Gli elementi sono i principi delle cose umane apartire da cui sono create e composte quelle terrestri; per questa somiglianzaPrisciano chiama elementi le lettere: ‘perché sono i principi di cui si compon-gono le parole e i discorsi’. Lattanzio [Divinae Istitutiones], VI per mostrareche i principi sono detti elementi dice: ‘la conoscenza ci viene dall’anima, poi-ché nasce dal cielo, l’ignoranza dal corpo, che proviene dalla terra: così perchésiamo formati da questi due elementi ecc.»). «[25] Talia principia» («Tali prin-cipi). «[26] In V et VI capitulo tractavit de prima essentia, id est de Deo a quocuncta creata sunt et nos una cum reliquis rebus a deo sumus» («Nel V e VIcapitolo ha trattato della prima essenza, cioè del Dio da cui tutte le cose sonostate create e noi discendiamo da Dio insieme alle altre cose»). «[27] Haecintelligenda sunt secundum huius poematis argumentum, scilicet quod animaesunt ex spiritibus qui in primo bello caelesti neque deum spexerunt nequesequuti sunt Luciferum sed medii steterunt et ideo reservantur in Elysiis cam-pis et ad tempus infunduntur humanis corporibus cum ratione et appetitu et

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Intelligenza bisognò facesse,con lume di ragione et immortale,ad chi l’eterno ben tutto si desse.

Creatura fe’ per questa rationale,l’angelo et l’huomo, acciò che il sommo benegodessono intendendo quel che e’ vale82.

Commentando questo passaggio, Dati rinvia ad auctoritates cheavevano già esposto le tesi riprese da Matteo: Agostino e PietroLombardo. Così, che Dio avesse dato vita a creature capaci di di-scernere il principio del male dal bene, dice Dati, era quanto sileggeva anche nelle Sententiae83. Questi raffronti possono essere

libero arbitrio ad dignoscendum utrum Deum sequi velint an Luciferum»(«Queste parole si devono intendere secondo l’argomento di questo poema,cioè che le anime provengono dagli spiriti che nella prima guerra celeste nonvidero Dio né seguirono Lucifero, ma si collocarono in mezzo e perciò stannonei Campi Elisi e al momento opportuno sono incluse nei corpi umani con laragione, col desiderio e col libero arbitrio, per capire se vogliono seguire Dio oLucifero»). «[28] In corpus et hanc nostram humanam vitam» («Nel corpo ein questa nostra vita umana»). «[29] In hanc elementarem congeriem ad hu-manum corpus, quam congeriem Graeci hylem nos silvam vocamus; et hicadvertendum est ad id quod scribit Plato de descensu animarum scil. animaesub coelo in Elysios collocatae cum appetentia corporis hanc quam in terrisvitam vocamus ab illa specula altissima et perpetua luce despiciunt, et deside-rio latenti cogitaverunt pondere ipso terrenae cogitationis paulatim in inferio-ra dilabuntur» («In questo ammasso di elementi verso il corpo umano, che iGreci chiamano hyle, noi selva; e qui bisogna volgersi a ciò che dice Platonesulla discesa delle anime, cioè le anime collocate sotto il cielo nei campi Elisicon desiderio del corpo disprezzano da quella vetta altissima e dalla luce per-petua questa che in terra chiamiamo vita, e pensarono, essendo nascosto il de-siderio, con lo stesso peso della meditazione terrena a poco a poco si dissolvo-no in quelli inferiori»). «[30] Quia animae in Elysiis existentes sunt de illisspiritibus qui Deum non spexerunt ut iam praemisimus» («Poiché le anime chestanno nei Campi Elisi discendono da quegli spiriti che non videro Dio comeabbiamo detto prima»).

82 M. PALMIERI, Città di vita, I, V, 20-22, cc. 29v-30r.83 «[35] [Ostendendum] in saequentibus nunc ternariis quod sua munifi-

centia, ut suum aeternum bonum impertiret, fecit Deus rationales creaturas,sicut legitur in V Sent., his verbis: ‘et quia eius beatitudinis non valet aliquisesse particeps per intelligentiam fecit Deus rationalem creaturam idest angeloset homines qui summum bonum intelligerent, intelligendo amarent, amandopossiderent, possidendo fruerentur’» («Occorre dire nelle terzine seguenti cheper sua generosità Dio fece le creature razionali, per renderle partecipi del suoeterno bene, come si legge in V Sententiae, con queste parole: ‘E poiché diquella beatitudine nessuno può essere partecipe attraverso l’intelligenza, Diofece creature razionali, cioè angeli e uomini, che capissero il sommo bene, ca-pendolo lo amassero, amandolo lo possedessero, possedendolo ne godesse-ro’»). Pluteo XL 53, c. 31r.

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la prova, anche se debole, che Matteo non pensava di allontanarsidall’ortodossia della Chiesa romana: ad Origene, spogliato degliaspetti radicali, univa il pensiero della tradizione posteriore.

Dio dunque creò, per puro atto di amore, del quale noi noncomprendiamo l’essenza, le creature dotate di volontà libera. Diqueste una parte cadde per la sua malizia:

Ad questo Idio creò la gran militia [37]del celestial [38] esercito et felice,ch’en parte [39] cadde per la sua malitia.

El beneficio [40] di ragion si dice,non è permesso contro voglia dareet qui si fonda la prima [41] radice.

La ’ntelligenza fece accompagnare,con tale arbitrio [42] in sua libertà fusse,potere il ben sì come il mal pigliare.

Questa libertà fu di tanto posseche la prima [43] più lucente creaturaal proprio amore ad Dio contrario mosse84.

La libertà è veramente l’aspetto peculiare delle creature di Dio esull’importanza di questo punto tutta la tradizione è unanime:questa, infatti, dice Dati, è l’opinione di Girolamo, è quanto si leg-ge nella Lettera ai Corinzi di Paolo e nelle Sententiae. Con un attolibero colui che sedeva molto vicino a Dio, Lucifero, si allontanòdal Padre. La divisione tra i due portò alla tripartizione delle crea-ture: un gruppo cadde nelle regioni infernali, un altro rimase fe-dele a Dio restando nel regno del bene, un terzo manipolo simantenne neutrale85.

84 Ibid., I, V, 24-27, c. 30r.85 «[37] Secundum christianos theologos omnes insimul spiritus a deo crea-

ti fuerunt et itidem secundum universale argumentum praesentis poematis, etomnes creati fuerunt felices quantum ad deum sed quantum ad se multi fue-runt qui suo libero arbitrio corruerunt. Creavit igitur deus eodem istanti om-nes simul spiritus; verum caelestes deum spexerunt et in caelestibus hyerarchiiscollocati sunt, infernales Luciferum sequuti in aeternum damnantur. Mediiautem fuerunt, hoc est neque deum neque Luciferum inspicientes, illi e quibusanimae infunduntur corporibus hominum et in terrestri materia probanturdeumne an Luciferum imitentur et ex sua electione salventur aut ad inferoscum Lucifero damnentur. Hos igitur omnes creatos spiritus magnam vocavitmilitiam» («Secondo i teologi cristiani tutti gli spiriti furono creati insieme daDio e parimenti secondo l’argomento generale del presente poema, e tutti fu-

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Leggiamo i versi in cui sono esposte queste idee alle quali ab-biamo ormai più volte fatto riferimento, che sono presenti nelmanoscritto modenese:

Cadde questo [44] campion in tanta alturaet caddon seco tutti e’ suoi seguaci,e ancora al mondo fanno gran paura [45].

El terzo sol delle celeste face,seco di cielo traxe el gran dracone [46]e queste numerar [47] non sian capaci.

rono creati felici per quanto spetta a Dio, ma quanto a se stessi furono moltiquelli che per il proprio libero arbitrio caddero. Perciò Dio creò nel medesimoistante tutti gli spiriti insieme; invero gli spiriti celesti videro Dio e vennero col-locati fra le gerarchie celesti; quelli infernali, avendo seguito Lucifero, sonodannati per l’eternità. I medi, quelli che non videro né Dio né Lucifero, furonoquelli e a partire dai quali le anime sono introdotte nei corpi degli uomini enella materia terrestre viene dimostrato se imitano Dio o Lucifero e se per pro-pria scelta vengono salvati o dannati con Lucifero agli inferi. Perciò tutti questispiriti creati li chiamò gran milizia»). «[38] Qui in cielo omnes creati fueruntut in sacris legitur litteris» («Quelli che in cielo furono creati tutti come si leg-ge nelle Sacre Scritture»). «[39] Illi sunt qui Lucifero consensere, et ad se nonad deum spexerunt» («Sono quelli che complottarono con Lucifero e guarda-rono a se stessi, non a Dio»). «[40] Legale est quod beneficium non conferturin invitum: et est causa cur intellectivis creaturis data fuit arbitrii libertas utpossent eligere et [...]ne eligendo mererentur. Male autem eligendo peccarent,et sic [...] eorum esset libertate solvine an damnati esse vellent» («È conformealla legge che un privilegio non sia rivolto a uno che non lo vuole: ed è la causaper cui alle creature in grado di capire fu data la libertà d’arbitrio, e fosse nelleloro libertà [...] se essere assolti oppure dannati. Invece, scegliendo male, pec-cassero e così [...] spettasse loro essere liberati in libertà se non volevano esseredannati»). «[41] Prima scilicet causa hoc est ut in sua electione positum essetaut non velle salvum fieri» («Prima: certamente la causa è questo, perché nellasua scelta fosse insito oppure no il voler essere salvo»). «[42] Sent. II VI legi-tur: ‘habebant autem angeli liberum arbitrium quo possent everti et converti’.Hieronymus de prodigo filio dicit: ‘dedit deus liberum arbitrium idest pro-priam mentis voluntatem ut viveret unusquisque non ex imperio dei sed obse-quio suo idest non necessitate sed voluntate ut esset virtuti locus’. Paulus adCorynthios V: ‘virtus in infirmitate perficitur’» («Sententiae, II d. VI si legge:‘E gli angeli avevano il libero arbitrio per poter essere abbattuti e trasformati’.Girolamo [Epistole, XXI, par. 6] dice del figlio prodigo: ‘Dio gli diede il liberoarbitrio cioè una propria volontà d’animo affinché ciascuno vivesse non percomando di Dio ma per la propria condiscendenza, cioè vi fosse spazio per lavirtù non per necessità ma per volontà’. Paolo ai Corinzi V [II Corinzi, XII. 9]:‘la virtù si perfeziona nell’infermità’»). «[43] Luciferum dicentem ‘ponam fedemmeam ad Aquilonem et fuero similis altissimo’» («Lucifero disse che avrebbeposto la sua fede in Aquilone e sarà del tutto simile all’Altissimo»). Ibid., c. 31rv.

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Cadde la gloria, questo gran maconesopra [48] di voi per mai godere il cieloné tra voi mal constrigner [49] la ’ntentione.

Fur altri spirti sì di sancto zelo,che quasi [50] specchio ricever la luce,spende Idio sopra ’l celeste [51] stelo.

Fessi di questi vera guida et duce,la sapienza [52] all’universo impera,sì ch’ogni bene ad perfectione conduce.

Questi lustrati [53] dalla luce vera,nella lor purità sempre felici,letitia godon sancta giusta et mera.

La parte [54] terza a Dio non fur nemici,né seguaci della divina voglia,ma stetton [55] dubii a chi si fare amici.

Merito [56] alcun non hanno ancor, né doglia,perché riman lor libero el volerefin che loro election [57] nonne gli spoglia.86

Alle ultime due terzine si rifecero i critici contemporanei e succes-sivi. Sono quelle riportate dal Gelli a metà del Cinquecento nellesue Letture, e quelle che Dati consigliava di rivedere87. Con estre-ma chiarezza Matteo in otto terzine recupera la teoria origenianasopra illustrata: gli uomini sono gli esseri che ancora non hannoscelto tra il bene e il male. Anche in questo caso il Dati cerca diavvalorare la tesi dell’amico con riferimenti alla Sacra Scrittura ead autori di fidata ortodossia88. Era stato San Giovanni nell’Apoca-

86 Ibid., 28-35, cc. 30rv.87 MP, pp. 459-462.88 «[44] Iste: Lucifer in tanta positus altitudine quod lucem ferebat angelis

caeteris» («Questo: Lucifero, posto a una tale altezza poiché dava luce a tutti glialtri angeli»). «[45] Quia infernales sunt demones et maligni spiritus cunctishominibus inimici» («Poiché sono demoni infernali e spiriti maligni, nemicidi tutti gli uomini»). «[46] In Apocalypsi legitur: ‘Draco de caelo cadens se-cum traxit tertiam partem stellarum’» («Nell’Apocalisse si legge: ‘un dragocadendo dal cielo portò con sé un terzo delle stelle’»). «[47] In eadem Apo-calypsi legitur: ‘et vidi turbam magnam quam dinumerare nemo poterat’. Dyo.De an.. her. dicit: ‘sunt plurimae caelestium spirituum mollitiae quae morta-lium nostrorum numerorum infirmum brevemque modum longe transcendunt’»(«Nella stessa Apocalisse [7. 9] si legge: ‘E vidi una grande moltitudine che nes-suno poteva contare’. [Ps.]Dionigi, La gerarchia celeste, dice: ‘Vi sono moltis-sime debolezze degli spiriti celesti che trascendono di gran lunga la misurapiccola e breve dei nostri numeri mortali’»). «[48] Legitur Sent. II. d. VI. decaelo deiectus est diabolus in hunc caligionosum aerem nobis [vicinum] nec

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lisse a riportare l’immagine del drago che dal cielo avrebbe trattola terza parte degli esseri. La fonte è addirittura nella Sacra Scrit-tura. E non solo: Dionigi, ma anche Gregorio, Platone e il concit-tadino Dante, avevano espresso i medesimi contenuti. Matteo inrealtà, così soccorso, recuperando alcuni temi origeniani si inseri-va in quella corrente che faceva capo ad Agostino, Gregorio Ma-gno e Pietro Lombardo, tutti autori la cui ortodossia non era mai

est ei concessum habitare in caelo quia clarius locus est et amenus, nec in terranobiscum ne homines nimium infestaret. Aug. De ci. Dei. Li. VII, cap. XIIII,scribit: ‘deorum sedes in caelo est, hominum in terra, in aere demonum’. Inepistula Petri apostoli legitur: ‘Deus angelis peccantibus non pepercit sed car-ceribus caliginis inferi retrudens tradidit reservari in iudicio punendos, et idemscribit Aug. De ci. Dei. XI. Cap. XXIII’»] («Si legge nelle Sententiae, II d. VI[cap. 2]: ‘il diavolo fu scacciato dal cielo in quest’aria nebbiosa vicino a noi: enon gli fu concesso abitare in cielo perché è un luogo più luminoso e bello, néin terra con noi, perché non molestasse troppo gli uomini’. Agostino, De civi-tate Dei, VII cap. XIIII scrive: ‘la sede degli dei è in cielo, quella degli uominiin terra, dei demoni nell’aria’. Nella lettera di Pietro apostolo [II Lettera, 2, 4]si legge: ‘Dio non perdonò gli angeli peccatori, ma respingendoli nelle carceridella nebbia infernale stabilì che fossero messi da parte nel giudizio finale’, eugualmente scrive Agostino, De civitate Dei, XI cap. XXIII»). «[49] Ne homi-nes nimium infestaret ut habetur sent. II» («Perché non molestasse troppo gliuomini, come compare in Sententiae, II, d. VI cap. 3»). «[50] In eodem II. sent.legitur: ‘in conversis quasi in speculo relucere cepit dei sapientia qua illuminatisunt’, et hoc idem legitur in Dyonisio» («Nelle stesse Sententiae II si legge:‘Cominciò a risplendere negli [angeli] convertiti, come in uno specchio, la sa-pienza di Dio da cui sono stati illuminati’. E questa stessa cosa si legge in [Ps.]Dionigi, La gerarchia celeste, III, 2»). «[51] Supra omnes angelos, et caelestesornatus intelligit» («Sopra tutti gli angeli, e intende le bellezze celesti»). «[52]Sapientia aeterna quae in deo patre est et illuminat omnem creaturam: et ideolegitur omne datum optimum et omne donum perfectum de sursum est proce-dens a patre luminum» («La sapienza eterna che è in Dio padre e illumina ognicreatura: perciò si legge che ogni dono è ottimo e ogni regalo perfetto, prove-nendo dall’alto dal padre della luce»). «[53] Dyo. de an. hie. dicit: ‘celestiumcreaturarum proprium esse purgari, illuminari et perfici, et sic ostendit nuncauctor quod illustrati a luce vera quae est ipsa sapientia patris perficiuntur, idest gaudent laetitiam sanctam iustam et puram; meram enim puram significat»(«[Ps.] Dionigi, La gerarchia celeste [III, 2], dice: ‘È proprio delle creaturecelesti purificarsi, illuminarsi e perfezionarsi’; e così ora l’autore mostra che,illuminati dalla vera luce che è la stessa sapienza del padre, si perfezionano cioègodono una gioia santa, giusta e pura; infatti mera significa pura»). «[54] Esthic advertendum quod si tertia pars caelestium spirituum cecidit cum draconeut habetur in Apocalypsi et supra iam dictum est, et tertia pars remanere incoelo iuxta illud Gregori dicentis in om. dom. III post pentec.: ‘Tot enim ho-mines credimus ascensuros in caelum quot ibi angelos remansere’ iuxta illud‘statuit deus terminos gentium secundum numerum angelorum eius’ sequiturquod alia tertia pars neque remansit in coelo neque cecidit, et est quaedam alia

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stata posta seriamente in discussione89. L’aspetto precipuo all’uo-mo, per il quale diviene la più importante delle creature, è il liberoarbitrio. A questo proposito Matteo aveva presenti anche le pagi-ne di Giustino dedicate a questo concetto. Con rara incisivitàl’Apologeta aveva infatti richiamato più volte la sua attenzione sulvalore della libera scelta. Un esempio è nella prima Apologia, ove

pars corpori iungitur ut praedictum est scriptum esse in II Sent., quo in locohanc partem animas vocat. Vere ergo dicitur quod haec tertia pars quae animasfacit neque remansit neque cecidit. Et Plato, ut monstravimus, dicit quod ani-mae reservantur in Elysiis Campis qui sunt sub stellato coelo supra planetas.Bene igitur colligitur quod animae sunt e tertia parte caelestium spirituum, etest illa tertia pars quae reservatur in Campis Elysiis qui positi sunt inter coelumfirmamenti et planetas. Dantes vero noster hunc tertium angelorum chorumintellexit licet alio modo: unde in III cap. suae primae Comediae, dicit: ‘mi-schiate sono né quel cattivo coro degli angeli che non furon rubelli, né fur fe-deli ad Dio, ma per sé foro’» («Qui bisogna notare che se un terzo degli spiriticelesti cadde con il drago, come compare nell’Apocalisse ed è già stato dettosopra, e una terza parte rimase in cielo – secondo quanto dice Gregorio nel-l’Omelia della III domenica dopo Pentecoste: ‘Infatti crediamo che ascenderan-no al cielo tanti uomini quanti angeli rimangono là’ e subito dopo quello: ‘Diostabilì i confini dei popoli secondo il numero dei suoi angeli’ –, segue che l’al-tra terza parte né rimase in cielo né cadde, e vi è un’altra parte che si congiungeal corpo, come si è già detto esser stato scritto nella II Sent., dove chiama que-sta parte anime. A ragione dunque si dice che questa terza parte che componele anime, né rimase né cadde. Anche Platone, come abbiamo mostrato, diceche le anime stanno nei Campi Elisi che sono sotto il cielo stellato sopra i pia-neti. Bene dunque si conclude che le anime provengono dalla terza parte deglispiriti celesti, ed è quella terza parte che sta nei Campi Elisi, che si trovano trail cielo delle stelle fisse e i pianeti. Invero il nostro Dante intese questo terzostuolo di angeli, benché in un altro modo: perciò nel terzo coro del primo librodella Commedia dice: ‘mischiate sono a quel cattivo coro / de gli angeli chenon furon rubelli, / né fur fedeli a Dio, ma per sé foro’»). «[55] Quia nequedeo neque Lucifero adheserunt» («Poiché non seguirono né a Dio né a Luci-fero»). «[56] Haec scilicet tertia pars quae media stetit non adhuc damnataest; neque salva, donec eligat, et ideo animae ordinantur ad eligendum una cumcorpore in sua libera voluntate» («Questa terza parte cioè che rimase in mezzonon è ancora condannata; né salva finché non sceglie, perciò le anime sono si-stemate per scegliere insieme al corpo secondo la loro libera volontà»). «[57]Haec dixit ad ostendendum quod post corporis mortem nulla est infernaliumanimarum redemptio» («Ha detto queste cose per mostrare che dopo la mortedel corpo non vi è nessuna redenzione delle anime infernali»). L. DATI, Com-mento, cit., cc. 31v-32r.

89 Anche Agostino, pur criticando nel De civ. Dei, XI, 23 la concezioneorigeniana nel suo complesso, ammette tuttavia che gli uomini riparino allarovina degli angeli caduti, come si legge sempre nello stesso De civ. Dei, XXII,1 ed Ench., 9, 29. Identica l’opinione di Pietro Lombardo nel passo che Datiriporta delle Sententiae, II. dist. I cap. 5.

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un intero paragrafo è dedicato alla dimostrazione che gli avveni-menti non soggiacciono inesorabilmente al fato90.

Nel poema è la Sibilla che espone al poeta la condizione delleanime che attendono nei Campi Elisi la prova terrena dicendo:

Quivi ne’ campi [67] Elysii fu raccoltala legion degli angeli intra due [68]per farne prova la seconda [69] volta.

Et come [70] in prati molte volte fueape vedute in mezo della staterisonar presso alle viole sue,

Poi infiorarsi nelle bocche amatemurmurando nell’opera el dilecto,al qual da la natura fur create,

Così gli spirti, [71] in questo loco [72] decto,vanno volando pel piacente sito [73],finché sarà [74] da loro el corpo electo91.

Per Origene la serie infinita di mondi trova spiegazione nel risul-tato della condizione finale di salvezza per tutte le creature. Pal-mieri non arriva a sostenere questa dottrina nella sua radicalità:non pensa, insomma, che Satana possa essere salvato. Al contem-po non accetta neppure l’idea che all’uomo sia concessa una solaopportunità: per tre volte, lo ripeto ma anche l’Autore vi ritornaspesso nel poema, l’anima potrà riprendere il suo corpo nel-l’agone terrestre92. Sul valore del numero molte sono le possibilicongetture. Credo tuttavia, al di là di ogni ipotesi che spieghi ilsignificato del numero tre, che sia centrale il desiderio di instaura-re un legame tra la religiosità del mondo antico, considerata piùpura e autentica perché più vicina alla venuta di Cristo, con quella

90 GIUSTINO, I Apologia, cit., XLIII, 2-7, pp. 89-90; cfr. anche II Apologia,VII, 5-6, p. 132.

91 M. PALMIERI, Città di vita, I, V, 36-43, c. 30v. Gli altri luoghi dell’opera incui lo Speziale esprime il suo pensiero sul libero arbitrio sono i seguenti: dellibro I, i capitoli: XI, 25-27, cc. 55rv; XIII, 17-18, 33-35, cc. 63rv; XIV, 33-37,42, cc. 68rv; XVII, 21, c. 76v; XXI, 39, c. 90v; XXVI, 18, c. 102v. Nel libro III,i capitoli: I, 3, c. 213v; III, 4, c. 218v; XII, 48, c. 244r; XXXI, 43-45, c. 292v. Siveda anche D. ALIGHIERI, Convivio, IV, XII, 14-18.

92 Quindi anche la morte può tornare tre volte: lo ribadisce all’inizio dellaseconda cantica prima di entrare nell’inferno, in una delle terzine più riuscite(«Perdete ogni speranza voi ch’entrate / per vostra colpa nella terza morte [3]eterna pena all’anime damnate»: M. PALMIERI, Città di vita, II, II, 1, c. 127v).

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del XV secolo. Forse Matteo, unendo le due tradizioni, dà o tentaalmeno una risposta a quel desiderio di rinnovamento religioso checaratterizza la seconda metà del secolo.

Nell’attesa tra un passaggio e l’altro, le anime sostano nei Cam-pi Elisi. Prima di scendere sulla terra, tuttavia, percorrono le sferedei pianeti da cui ciascuna riceve le influenze del pianeta stesso.La sosta, più o meno lunga in uno di essi, ancora una volta fruttodi libera scelta, è destinata a caratterizzare per l’influsso predomi-nante il temperamento dell’anima. Alla fine dei pianeti scorre ilLete, che le anime devono attraversare per dimenticare quantoconoscono:

Dell’anime di qui vedrai partireo troverrai che mai si sien partitemolte ne van per due volte morire.

Tutte alla prima morte son sempre itee andran quanto genererà lo semeche primo sparse Adamo ad vostre vite.

Ma tanto è cieca l’humana spemeche sendo questa morte certa e vera,vita si chiama a perderla si teme.

Gli spirti tutti questo loco serra,per legge scender debbono a incarnarsiacciò si mostri qual più merta o erra.

Molti vedrane scendono ad provarsi,quale è di loro el bene o male eleggee questo e quel si dee di tutti farsi.

Così vuole el Signor che tutto regge,tutti gli spirti stettono infra duerifacciano pruova sotto questa legge.

Quando vien l’hora del venire in giue,vanno volando per quel bel boschettopresso ad un fiume, in quella valle rue.

D’abbeverarsi in quel tutti han diletto;satiarli Lethe, quel sicuro fiume,che quel pria seppon rende lor negletto93.

Sfumate le tre possibilità, resta la dannazione eterna: in questoaspetto Matteo si allontana considerevolmente da Origene perché,

93 M. PALMIERI, Città di vita., I, XI, 10-12, 17-21, cc. 54v-55r.

INTRODUZIONE 55

ammettendo comunque una dannazione eterna, viene meno al-l’idea centrale del teologo antico per cui un Dio, sola ed estremaBontà, non può mai, anche nel caso di Lucifero, arrendersi all’ideache una Sua creatura possa non scegliere il bene. Non vi sonodubbi, invece, che per Matteo sofferenze eterne siano riservate airecidivi. Il concetto è espresso varie volte nel poema:

Per questo el Creatore eccelso e magno,anime [80] felle, acciò co’ corpi uniteperdita eterna [81] faccino o guadagno.

Vedrai le genti fra tormenti e guaine’ lor sepolcri star chiusi e copertisicché nessun de’ morti n’uscì mai.

Vedrai ciaschedun paghato de’ suoi mertipel mal che lo dilecto condennatone’ guai che son col suo peccato inserti,

Mentre e col corpo spirito incarnato.

Mentre col corpo l’alma si mantienepuote passar dall’una all’altra stradama non può poi che l’altra morte viene.

Quando la truova questa che ben vadain infinito bene eterna volae se mal muore in mal convien che cada.

Dunque arriva questa volta solaquivi rimane e stavi per eterno,sicché d’uscirne mai non ha parola.

Fermo decreto dura nello ’nferno,l’anime tutte son lagiù serrrate:in pene stieno et mal per sempiterno94.

94 Rispettivamente Città di vita, I, V, 46, c. 30v; I, XXIX, 49-50, c. 112r; II,I, 47-50, c. 188r. Gli altri luoghi in cui Matteo ritorna sulle pene eterne sono II,1-2, c. 127v; III, 4 e 6, 50, cc. 131v, 133r; V, 2, c. 137v; XII, 41, c. 157v; XXVII,2, c. 194r; XXIX, 6, c. 199v; XXXIII, 6, c. 210v; nel Libro III, XXX, 6, c. 288v.Questi, invece, sono i passaggi in cui parla di salvezza eterna, tutti nel III libro,capitoli II, 18, c. 216v; XI, 49, c. 241v; XXVIII, 50, c. 285v; XXX, 12-13, c.288v; XXXII, 9, c. 293v; XXXIII, 6, c. 296r; XXXIV, 11-12, 14, cc. 299rv. «[80]Augustinus super Genesim ad litteram ostendit animam cum angelis sine cor-pore fuisse creatam, postea ad corpus accedere non compulsa[m] sed natura-liter id volens, ut naturale est nobis velle vivere. Et idem de civitate Dei libro 8capitulo 24 ait: angelorum et demonum spiritus animas vocat dicens “quoniamanimas facere non poterant evocantes animas vel demonum vel eas indiderunt

INTRODUZIONE56

Sulla natura dell’anima nella Città di vita leggiamo che le animeinfernali sono soggette al peso del corpo mentre le celesti sono dipiù leggera natura. Le anime infernali:

Et come in giù la mette tale effettoo più o men secondo ch’ella pesa,così più lieve sale in più dilecto.

L’anime carche son delle lor some,tutte hanno nome poi che preson carne,tutte provincia ove son nate o dome.

Tucte van retro ad quel ch’al senso parve,nel corpo ognuna si richiude e serrasicché non par di sé possa altro farne95.

Quelle che dimorano in cielo:

Quando ella vince si rifà più bellaperegrinando in sù per questo monte,con le virtù la fan salir più snella96.

Dunque il corpo spirituale non prenderà il posto del materiale,come per Origene, ma nel momento del giudizio finale, quandoCristo tornerà sulla terra, tutte le anime riacquisteranno il loro

imaginibus per quos idola bene faciendi et male vires habere potuissent»(«Agostino nel Genesi alla lettera [in De Genesi ad litteram libri duodecimAgostino parla di questi argomenti nel libro 7 ai cc. 23 ss.] mostra che l’animaè stata creata con gli angeli senza corpo e poi ha preso posto nel corpo nonspinta ma in maniera naturale volendolo, come è naturale per noi volere vive-re. E lo stesso nel capitolo 8 del libro 24 [libro 8 cap. 24. 1] del De civitateDei chiama anime gli spiriti di angeli e demoni, dicendo: ‘poiché non aveva-no potuto creare le anime, evocando le anime di angeli o demoni, le intro-dussero nelle immagini attraverso cui gli idoli potessero avere la forza di agirebene e male»). «[81] Bonum vel malum operantes salvantur vel damnentur»(«Operando il bene o il male si salvano o sono dannate»). L. DATI, Commento,cit., c. 32v.

95 Ibid., rispettivamente I, XXVIII, 21, c. 108v; II, IV, 43-44, cc. 136rv. Glialtri passi in cui è espresso il concetto di corporeità, legato allo stato moraleper le anime dannate, sono II, II, 43, c. 133r; XXXV, 7, c. 189r.

96 Ibid., III, III, 40, c. 220r. Qui viene espresso invece il grado di corporeitàper le anime celesti, come in III, VII, 1, p. 229r; XI, 20, c. 240r; XXV, 26-28, c.277r; XXVII, 12-16, c. 281v; XXVIII, 41-42, c. 285r; XXIX, 13-16, 21-22, 41-42, cc. 286r-287v; XXXI, 26, c. 292r; XXXII, 16, c. 294r.

INTRODUZIONE 57

corpo dal quale non saranno più abbandonate. Il commento delDati conferma l’interpretazione di Matteo:

Di questa [21] gloria ciaschedun cristianoe qualunque altro lo vedrà discesoad giudicar con forma et corpo humano.

E’ vivi e’ morti sotto questo pesotutti verran co’ lor corpi al giudicioet fia suo merto ad chaschedun atteso.

E buoni al mondo vixon senza vitioin vita eterna goderanno pacee tristi haran per sempre mal supplitio;

damnati tutti nel fuoco penacedato allo spirto [23] e carne per tormento,del mal che l’uno e l’altro insieme face.

Da questa fede è vostro salvamento,questo è quel vero creder sanza il qualespirito humano non sarà contento97.

Anche qui lo Speziale dà prova di non accettare alcuna idea assio-maticamente ma rielabora i concetti scelti in un pensiero di parti-colare originalità.

Sulla natura degli Angeli l’Autore segue, oltre ad Origene, leidee dello Pseudo Dionigi Areopagita e di Giustino. Dal testo neo-platonico di Dionigi trae molte immagini giunte attraverso Plato-ne e già armonizzate con le verità cristiane98. Nella Gerarchia celesteviene esposto l’ordine in cui sono distribuite le creature angelichenei cieli. L’universo qui rappresentato è suddiviso in sezioni: allasommità è posto Dio e alla base stanno gli angeli. Le creature supe-

97 Ibid., I, XXV, 42-46, c. 101r. Questo il commento del Dati al primo ver-so: «[21] Saequitur ultima pars nostrae fidei quae est credere ipsum Christumdeum iterum venturum esse cum gloria iudicare vivos et mortuos et sunt haecin fine symboli ubi dicit: ‘ad eius adventum omnes homines resurgere habentcum corporibus suis, etc.’» («Segue l’ultima parte della nostra fede che consi-ste nel ritenere che lo stesso Cristo Dio verrà nella gloria per giudicare i vivi ei morti e queste parole sono alla fine del Credo dove dice: ‘al suo arrivo tutti gliuomini risorgeranno con il lor corpo’»); oltre aggiunge «[ 23] haec dixit affir-mans quod resurgere debent cum corporis suis» («Disse quelle parole afferman-do che devono risorgere con i loro corpi»): Pluteo LX 53, c. 101v, note 21 e 23.

98 Mi riferisco, per esempio, all’idea di Dio-Luce, tema platonico ripresoanche dallo PS. DIONIGI, La Gerarchia celeste, I, 1-3, pp. 18-21, che è la fonte diPalmieri. La stessa immagine si legge anche nella Città di vita, Pluteo LX 53, I,III, 1, c. 21v e I, XIX, 6-8, c. 82v.

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riori comunicano alle sottostanti le verità riferite da Dio. È impossi-bile alle inferiori vedere Dio se non attraverso la schiera sovrastante.L’ordine gerarchico permette soltanto alle più vicine al Salvatore dipartecipare delle qualità di tutte le altre, ciascuna delle quali a suavolta partecipa solo delle qualità delle creature inferiori. Ogni esse-re siede nella gerarchia di cui è stato giudicato degno da Dio.

Chi parla quindi della gerarchia si riferisce ad un sacro ordina-mento, immagine della bellezza della divinità: nei limiti dell’ordi-ne e della scienza propri dei suoi membri, essa somministra leconoscenze misteriche implicite nell’illuminazione ricevuta e sirende simile al proprio principio nella misura del lecito. Per cia-scuno di coloro a cui è toccato in sorte di far parte della gerarchiala perfezione consiste nell’elevarsi secondo le proprie capacità al-l’imitazione di Dio e, cosa che fra tutte è la più divina, nel diven-tare, come dicono gli oracoli, «collaboratore di Dio»99.

Il primo ordine delle essenze celesti, la prima gerarchia delleintelligenze celesti, è formata da Serafini, Cherubini e Troni: «sitrova sempre vicino a Dio [...] è unito direttamente a Lui e primadegli altri, senza intermediari; [...] nessun’altra gerarchia è più si-mile a Dio di esso e più immediatamente vicina alle illuminazionioriginarie della divinità»100. Invece il secondo ordine, quello inter-medio, comprende le Dominazioni, le Virtù e le Potestà e, infine,il terzo i Principati, gli Arcangeli e gli Angeli101. Essendo i più lon-tani da Dio gli Angeli sono i più vicini all’uomo. Sono loro gli in-termediari tra le creature della terra e il cielo. Matteo riprendequeste idee e le esprime nel primo libro, dove la Sibilla racconta alpoeta che cosa c’è oltre i Campi Elisi:

La mente prima in ogni parte luce,impera al cielo e l’universo apprende

reggendo el throno ch’è d’ogn’altro duce.La prima adornatione ivi s’incende,

son Seraphini, Cherubini et Tronipiù presso a Dio dove et dove più risplende.

Dominationi han poscia gli altri donicon le Virtù et Potestate insiemealternative in tutti oggecti buoni.

99 PS. DIONIGI, La Gerarchia celeste, III, 2, p. 34.100 Ibid., VI, 1-2, pp. 45-46 e tutto il capitolo VII, pp. 47-53.101 Ibid., VIII, pp. 54-58 e IX, pp. 59-63.

INTRODUZIONE 59

Principati son poi la vostra spemeco’ primi e co’ secondi nuntii activi,da’ quali è tutto il ben che in voi si geme.

Adornan questi ogni circumferentiadel sito celestial sopra ad le stelle,dove in puncto unisce ogni potentia.

El puncto move tutte cose belle,guida le rote del suo carro alato,dispone et orna ciò che va con ella.

Rigiran sempre pel celeste hospitiogiocondi aspecti e lieti e sancti risi,laude alternando al sancto benefictio.

Qui si contenta tutto lor disio,qui hanno puro lucido e perfectoel sommo ben che sol di questo uscio.

La gratia inlustra ad questi lo ’ntellecto,ricirculando scende et per loro mezol’ordin secondo vien lustrando et necto.

Da questi si rigira all’ordin terzolo splendor pur dal primo lume sceso,e datosi ad ciascuno per merto perzo.

Come negli angeli e’ più bassi scesocosì ritorna ad quel che son di sopra,in Dio ciascun servando sempre inceso.

Con questo circular nella loro opra,si ciban su nel più levato lumedel qual convien ciascun di lor si cuopra.

Illuminati seguon lor volumein giù recando il ben come è lor rito,rotando in su come è di lor costume.

Lor moto circular tanto è veloce,sempre gli unisce col voler di Dioche per lor mezo infino all’huom si doce102.

Nel capitolo conclusivo, parlando della vita beata e degli angeliche sono più vicini a Dio, scrive:

102 Pluteo XL 53, I, VII, 26-29, 31-32, 34, 36-41, 44, cc. 38v-39r.

INTRODUZIONE60

Angeli tucti stabilì in letitia,multitudine sì di gratia ornata,da loro el mondo nulla cosa vitia.

Tutti contenti cantano in brigataricirculando alla divina essentia,militia sancta splendida e beata.

Sempre han di Dio seco la presentia,onde si fan di luce tutti puri,di splendor pieni et sommi di clementia.

Razo celeste ad nostra vita scurigli rende sì pel fulgore scintilla,foco dimostran tutti insieme gli uri.

E’ primi dove el fuoco maggior brilla,han più di grazia et sono e’ più divinine’ qua’ l’eterno el suo piacer sigilla.

Sempre son questi ad Dio tutti viciniornando l’opre alla belleza eterna,gli elesse e volle a’ suoi primi confini103.

Anche San Giustino considera gli angeli messaggeri tra Dio egli uomini. Nell’Apologeta, come in Origene, essi sono custodidelle creature umane. Ciascun uomo è affiancato, nel suo cammi-no di scelta, da due angeli, uno del bene e l’altro del male.

Entrando nell’inferno, all’inizio della seconda cantica, i duepellegrini incontrano Cacogenio che li scorterà fino alle porte delregno dei Cieli:

Vien Cachogenio el primo che la ’mbocchaangel cattivo che la guida maleverso lo ’nferno et poi ve la traboccha.

El genio buon che sempre in virtù saledel ben consiglia et mena ad buona viaper fare el corpo e l’anima immortale.

Ciascun di lor convien presente sia,con quella anima questa selva varcae pure allei quel vuol seguire stia.

L’uno alla gloria del sommo monarchaquella conduce et l’altro nel dolore,per infinito la sotterra et carcha104.

103 Ibid., III, XXXIV, 25-30, c. 300r.104 Ibid., II, II, 45-48, c. 129v.

INTRODUZIONE 61

E ancora nel capitolo seguente:

Somma giustitia acciò che sien provatiet sien ricerchi quel che ’l voler vuoledue angeli ha per nostra guida dati.

L’uno è de’ salvi vidon sempre il solel’altro è maligno nello ’nferno scendeet vien da questa tutto el mal ci duole.

L’angelo buono nostra mente accendepur sempre a Dio mostrando chi l’honora,l’anima salva per eterno rende

Di tutto el ben si fa l’altro adolora,lieto e contento che si faccia [male]et questo confortar non perde un’hora.

Con questi due compagni alle due scalel’humana gente vien che nello ’nfernodiscende l’una et l’altra nel ciel sale.

Chachogenio, ch’ognuno al male invita,come volemo ad quel camin ci volsepel qual si va nella infelice vita105.

L’angelo del bene è invece presentato dalla Sibilla con questeparole:

El primo bene al suo fervore spira,l’angelo vien che tutta in Dio l’accende,la volve et chiama, la diriza e tira.

Venne con questo al lume che e’ ti rende,guidar ti lascia ove menar ti vuole,che mai da lui alcuno error s’apprende.

Comunche in su levai lo scarco ciglio,Calogenio, che sommo bene invita,sé con sua dextra ad mia sinistra piglio,

Mostrommi el monte et dixe: ‘esta salitacon gran fatica mena l’alme degned’esser scripte al libro della vita’106.

Possiamo concludere sottolineando l’obiettivo e la pericolosità delmessaggio espresso: Matteo era pienamente cosciente delle accuse

105 Ibid., II, III, 5-9, 11, c. 131v.106 Ibid., III, I, 20-21, 23-24, c. 214r.

INTRODUZIONE62

che potevano seguire alla diffusione del testo. Lo dimostra la strut-tura del testo stesso: il decimo capitolo è interamente volto all’anti-cipazione delle prevedibili accuse di eresia e alla loro confutazione.Già alla fine del IX capitolo Matteo, ascoltate dalla Sibilla le teoriesull’anima, aveva chiesto spiegazioni supplementari:

Ma fammi chiaro questo obscuro dectos’accordi ad quel che sancta Chiesa cantao non lo stimi reprobo e neglecto107.

Si apre così l’intero capitolo, forse aggiunto in un secondo momen-to, consacrato proprio alla dimostrazione di come l’opinione giàdecta non è contraria alla Chiesa christiana. Molte delle leggendesorte sul Palmieri nascono dalla lettura o dalla distorsione di que-sto e del quinto capitolo del primo libro. Leggiamone alcune ter-zine, dove sono ribadite idee ormai familiari:

Ma perché [24] non paian miei decti strani,ben sia di sopra questo ver narrato,s’intenda vo’ non son decti profani [25].

El Vangelista, [26] ad chi fu rivelato,a l’angel sancto el celestial secretoin Pasmo ad lui dal vero Idio mandato.

Vide [27] caduti per divin decretocol pessimo dracon la terza partein quelle stelle ch’eran nel ciel lieto.

Truovasi scripto nelle sacre carte,huomini [28] tanti su nel ciel saranno,quanti angeli salvò lo primo Marte;

Agostino [29] tanti quei si salverannoessere scrive quanti son cadutiet più parla come que’ nol sanno.

Se ’l terzo [30] adunque in ciel non fur voluti,et quanti ne rimase hanno a salireet fiano quanti furono perduti.

Fur tanti quegli elesson di perire,quanti fur sancti lucidi e perfectigloria el terzo, el terzo hanno martire.

El terzo terzo non si mostror netti [31]né brutti [32] fur, sarebbono smarriti [33],

107 Ibid., I, IX, 46, c. 48v.

INTRODUZIONE 63

se terzo loco non gli avesse electi [34].Di ragion non e’ sien questi spariti

dal tribunal della giustizia eterna,né giudicati [35] infin non sono uditi.

Per fare adunque loro voler si cerna [36],poi non lo fer nel lor primo esser [37] puro,sotto ad Minos [38] nuovo ordine [39] gl’inferna.

Sempre Minos sta severo [40] et duro,giudica el vero et ma’ nessuno absolvefin che tutto [41] è dal mal voler sicuro.

Lo spirital voler che non si volve,al male o bene[42], stando seco abstracto,unito ad carne [43] s’inviluppa [44] e solve [45].

Però conviene ad questo secondo [46] actoanima scenda et vengha in tal matera,neghar [47] non possa quello eleggha in facto.

Questa sentenza scelta per più vera,mostrano ad voi [48] l’auctorità [49] già decte,quassù [50] s’intende et vede tutta intera108.

108 Ibid., I, X, 17-30, cc. 51v-52r. «[24] Adducit nunc auctoritates e quibustrahit hanc suam opinionem» («Ora adduce gli autori da cui ricava questa suaopinione»). «[25] A sano nostrae religionis alieni hoc a christiana ecclesia prohi-biti» («Estranei a ciò che è corretto nella nostra religione, perciò proibiti dallachiesa cristiana»). «[26] Iohannem dicit cui in Pasmo insula ab angelo dei apo-calypsis revelata est» («Intende Giovanni, cui l’Apocalisse [cfr. 1. 9] fu rivelatadall’angelo di Dio nell’isola di Patmos»). «[27] In eadem Apocalypsi sic scribitIohannes: ‘ecce draco magnus et cauda eius trahebat tertiam partem stellarumcaeli, et misit eas in terram’» («Nella stessa Apocalisse [12. 4] così scrive Gio-vanni: ‘Ecco un grande drago e la sua coda trascinava un terzo delle stelle delcielo e le scagliò sulla terra’»). «[28] Tot homines credimus ascensuros in caelumquot ibi angelos remansere, iuxta illud, statuit deus terminos gentium secun-dum in omelia D. IV post penthecostem: ‘et sunt verba scripta in deuterono-mio V’» («Crediamo che saliranno in cielo tanti uomini quanti angeli vi sonrimasti, secondo quel detto, Dio stabilì i confini dei popoli secondo l’omelia D.IV dopo la Pentecoste: ‘e le parole sono scritte nel V del Deuteronomio’). «[29]‘Superna Yerusalem mater nostra civitas dei nulla civium suorum numerosita-te fraudabitur’, verba sunt Augustini ubi aperte dicit: ‘non minus de homini-bus salvari quod corruerit de angelis et de pluribus non asserit scire’» («‘LaGerusalemme celeste, madre nostra, città di Dio, non sarà per nulla privata delgran numero dei suoi cittadini’, sono parole di Agostino quando dice aperta-mente: ‘Per quanto riguarda gli uomini, non è meno salvato ciò che è caduto,per quanto riguarda gli angeli e i più dichiara di non sapere»). «[30] Facit nuncauctor ex ante dictis collectionem suam dicens quod si terzia pars angelorumcecidit cum dracone ut scribit evangel. Iohannes et tot homines credimusascensuros in coelum quot ibi angelos remansere ut dicit Gregorius et quiascendunt in coelum tot erunt quot angeli fuerunt qui corruerunt ut Augusti-

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Dunque Matteo indubbiamente era lucido e ben consapevole del-le difficoltà che il suo poema avrebbe incontrato: infatti scrivevaMa perché non paian miei decti strani. Non si tratta, come sarebbestato successivamente ipotizzato da benevoli lettori del poema, diuna finzione poetica, ma di riferire l’esatto cammino delle anime.Nonostante ciò, e non avrebbe potuto fare altrimenti, egli insistenel riferire quanto anche due autorità indiscusse avevano profes-sato: Sant’Agostino e San Giovanni. Dati nel commento cita an-che Gregorio Magno, che più degli altri attinse alle dottrine diOrigene il cui nome certo non viene mai fatto, ma i riferimenti alquale erano per tutti o per molti così palesi che, quando iniziaro-no le accuse, esso venne subito associato a quello di Palmieri.

nus scribit, sequitur quod tot erunt qui ascendent in coelum quot fuerunt quiceciderunt et tot sunt qui remanserunt in coelo, tertia igitur pars in coelo re-mansit tertia cecidit et tertia in coelum ascendet, et haec sunt quibus auctorpersuadere intendit suam opinionem non esse christianae religioni propha-nam» («Ora l’autore fa il proprio riepilogo delle cose dette prima, dicendo chese un terzo degli angeli cadde, col drago, come scrive l’evangelista Giovanni ecrediamo che ascenderanno al cielo tanti uomini quanti angeli vi rimasero,come dice Gregorio, e quelli che salgono in cielo saranno tanti quanti furonogli angeli che caddero, come scrive Agostino, ne consegue che quelli che sali-ranno in cielo saranno tanti quanti furono quelli che caddero e tanti sono quel-li che rimasero in cielo, quindi un terzo rimase in cielo, un terzo cadde e unaltro terzo salirà al cielo, e questi sono gli argomenti attraverso i quali l’autoreintende convincere che la sua opinione non è empia per la religione cristia-na»). «[31] Illustrati ad inspiciendum veram lucem id est deum» («Illuminatiper vedere la vera luce, cioè Dio»). «[32] Obscurati cum Lucifero» («Ottene-brati con Lucifero»). «[33] Non in aliquo loco deputati, et ideo ponit quod intertio loco deputati sunt illi quos, Platonem saequutus, diximus ponere inElysiis» («Non assegnati ad un luogo, perciò afferma che sono assegnati al ter-zo luogo quelli che, seguendo Platone, abbiamo detto esser collocati negli Eli-si»). «[34] Recepti atque retenti et collocati» («Accolti, trattenuti e ordinati»).«[35] Iuxta illud qui fecit te sine te, non salvabit te sine te, hoc est sine tuaelectione agendi bonum in tua liberi arbitrii voluntate» («Secondo questo ver-so colui che ti ha fatto senza di te, non ti salverà senza di te, cioè senza la tuascelta di fare il bene nella tua volontà di decidere liberamente»). «[36] Ma-nifestetur et ab eisdem [...] ostendatur» («Sia rivelato e da quelli stessi siamostrato»). «[37] In caelo in eorum purissima et incorporea essentia quandofactum est angelicum prelium» («In cielo nella purissima e incorporea essenzadi quelli quando avvenne la battaglia degli angeli»). «[38] Mynoem aliquandopoetae conscientiam intelligunt sub qua se nemo nocens absolvitur, et ideo euminferni iudicem esse finxerunt» («Con Minosse talvolta i poeti intendono la co-scienza, di fronte alla quale nessun colpevole si assolve, perciò immaginaronoche costui fosse il giudice dell’inferno»). «[39] Hac nova lege: ut corporibusuniti incitantibus sensibus in sua arbitrii libertate cogantur eligere deum aut

INTRODUZIONE 65

La ripresa di alcune importanti teorie origeniane e soprattuttoil profondo anelito al loro inserimento e alla loro accettazione nel-l’ortodossia cattolica testimoniano l’istanza autentica dell’autore.Il motivo ispiratore centrale di tutta l’opera è proprio quello diproporre alla città un messaggio diverso, capace di rinnovare lafede cristiana con la forza autentica, spontanea e vitale delle origi-ni. Ecco che in quest’ottica anche l’uso della lingua acquista unpreciso significato. Ritornare allora ad Origene non significavaviolare nuovamente le proposizioni della vera fede, bensì affian-carsi ad altri non sospetti predecessori, in un’opera di riscatto giu-dizioso del messaggio del Padre greco. Tra i predecessori vi eranoautorità, in materia di dottrina, di importanza non minore a quelladi Girolamo, quali Agostino, Pietro Lombardo e Gregorio Magno.Così accanto all’aspirazione a tornare alle origini della spiritualitàprotocristiana, si pone l’ideale umanistico della classicità, appresoalla scuola del Traversari e fondato sulla conciliazione armonicadella filosofia antica col messaggio cristiano.

Queste penso fossero le intenzioni di Matteo al momento dellapubblicazione del poema nel 1466. Nell’ottica fiorentina Matteo

luciferum saequi velint; ‘si bene egerunt vadant in vitam aeternam si vero ma-lum fecerunt vadant in damnationem aeternam» («Secondo questa nuova leg-ge: affinché uniti ai corpi, stimolandoli i sensi, siano costretti a scegliere Dio, oa voler seguire Lucifero secondo la loro libertà decisionale: se hanno compiutoil bene vadano nella vita eterna, se invece hanno fatto il male vadano nella dan-nazione eterna’»). «[40] Quia se iudice nemo absolvitur ut inquit satyrus»(«Poiché nessuno, essendo giudice di sé, si assolve, come disse il satirico [Iov.13. 2]»). «[41] Idest donec in sua conscientia non cogitat malum» («Cioè fin-ché nella sua coscienza non pensa al male»). «[42] Dum fuit in caelo sine cor-pore» («Finché è stato in cielo senza il corpo»). «[43] Cum corpore iunctus»(«Congiunto al corpo»). «[44] In peccatis inficitur» («Si corrompe coi pecca-ti»). «[45] A peccatis absolvitur» («È assolto dai peccati»). «[46] Ad bellumcum carnis concupiscientia et ratione, et vocavit secundum actum quia primumbellum angelicum fuit quando ipsi spiritus non elegerunt» («Alla guerra con-tro la concupiscenza della carne e contro la ragione, e lo ha chiamato secondoatto perché la prima guerra degli angeli vi fu quando gli spiriti stessi non scel-sero»). «[47] Animae in carnem descensae incitante concupiscentia et reniten-te ratione celare non possunt cui magis adherant» («Le anime discese nellacarne, sotto lo stimolo della concupiscenza e con la resistenza della ragione,non possono nascondere chi seguono»). «[48] Ad vos homines qui estis in ter-ra» («A voi uomini che siete sulla terra»). «[49] Augustini et aliorum sancto-rum quos supra nominavit» («Di Agostino e degli altri santi che ha citato so-pra»). «[50] In caelo quo in loco non absconditur hoc vero» («In cielo, luogoin cui ciò non si nasconde davvero»). Pluteo LX 53, cc. 53rv.

INTRODUZIONE66

scrive, nella seconda metà del secolo, con la stessa tempestività conla quale aveva in fretta steso il dialogo per rispondere alle esigenzedei più e rifacendosi ad istanze della tradizione cittadina divenuteormai patrimonio comune dei letterati come del ceto mercantile.Recuperando temi sui quali aveva iniziato a riflettere e meditare inanni giovanili nel convento degli Angeli vicino al Traversari, anti-cipa nell’uso della lingua e nei contenuti le due correnti di pensie-ro protagoniste della cultura fiorentina soprattutto degli ultimidecenni del XV secolo. Mi riferisco alle tematiche discusse nel-l’Accademia Platonica, quelle soprattutto platonico-ermetiche,che ruotano intorno alla produzione di Marsilio Ficino, e quelleche hanno invece per oggetto la conciliazione dell’influsso astralecon il libero arbitrio e l’esplicita difesa di Origene, su cui avrebbemesso un punto fermo Giovanni Pico della Mirandola109.

Il nostro discorso si ferma qui, rimandando a quanto già scrit-to sulla affascinante fortuna del poema, pronti alla lettura del ma-noscritto modenese.

Una sola aggiunta. Un’ultima voce suggestiva e coraggiosa tor-na a legare la Città di vita ad un’opera figurativa. Bruno Cumbo,in un saggio dedicato alla volta Sistina di Michelangelo, ipotizzauna relazione diretta fra gli affreschi della cappella e il poema delPalmieri, che ne sarebbe «fonte ispiratrice del programma nel suoinsieme e fonte principale per alcuni fondamentali motivi teologi-ci»110. Michelangelo avrebbe conosciuto la Città di vita attraversogli umanisti della corte medicea, che frequentò a Firenze fino allamorte del Magnifico, accolto come un figlio nel Giardino di SanMarco111. Il Cumbo, insistendo sulla libertà creativa che l’artistaebbe nell’esecuzione, riconosce nell’impianto figurativo il sistema

109 Per la ricostruzione letteraria ho fatto riferimento a Il Quattrocento, inStoria della Letteratura Italiana, diretta da Enrico Malato, III, Roma, SalernoEditrice, 1996, capp. Le “Accademie”. L’“Accademia Platonica”, l’“AccademiaRomana” di Cesare Vasoli, pp. 78-79; Cristoforo Landino e il culto di Dante, eMarsilio Ficino, e Giovanni Pico della Mirandola di Paolo Orvieto rispettiva-mente alle pp. 320-328, 328-337 e 342-349; B. SOLDATI, cit., passim, e H. CROU-ZEL, Une controverse, cit., passim.

110 B. CUMBO, La Città di vita di Matteo Palmieri. Ipotesi su una fonte quat-trocentesca per gli affreschi di Michelangelo nella volta Sistina, Palermo, DuePunti Edizioni, 2006, p. 11.

111 Ibid., p. 50.

INTRODUZIONE 67

teologico origeniano, mutuato dal poema scoperto nell’ambienteneoplatonico fiorentino. I brani decisivi ai fini del confronto sitrovano, secondo l’autore, nei capitoli XXVI e XXVII del terzolibro, laddove il poeta e la Sibilla stanno per entrare nella mansio-ne della vera sapienza, dove risiedono le anime che hanno raggiun-to la massima beatitudine. La Sibilla rivela di partecipare dellostesso grado di beatitudine dei profeti dell’Antico Testamento, inquanto anche a lei e alle sue sorelle è stato permesso di preannun-ciare la venuta di Cristo. Questa coabitazione costituisce il dato piùevidente del collegamento fra Palmieri e Michelangelo e l’autorerisponde anche a qualche obiezione possibile in merito. Non sitratterebbe solo di una ripresa iconografica, bensì di tutto l’im-pianto teologico «fortemente segnato da una prospettiva cristolo-gica» cara ai Padri Greci delle origini: l’Adamo della creazione nonsarebbe che Cristo, grazie al quale – grazie all’Incarnazione delquale – l’umanità sarebbe già salva.

Un altro legame suggerisce il Cumbo: gli Ignudi che incorni-ciano le storie della Genesi sarebbero da identificare con «le ani-me angeliche degli uomini descritte da Palmieri [...] e teorizzateda Origene agli albori della Cristianità, anime bellissime eppurecapaci di diventare orribili come Lucifero, beate eppure capaci didiventare dannate, in virtù del libero arbitrio concesso loro daDio»112. La volta, dunque, sarebbe «una grandiosa rappresentazio-ne della condizione umana e dell’ordinamento del cosmo ispiratadalle più audaci e complesse sollecitazioni letterarie elaborate aFirenze nella seconda metà del Quattrocento»113.

112 Ibid., p. 109.113 Ibid., p. 116.

III

LE SCELTE DEL PROCONSOLO

La sintesi operata è frutto di un’autentica meditazione del poema.I commenti sull’opera riportati nelle prime carte (cc. 3r-6v), sonoun lucido sommario frutto della acuta e continuata «considerazio-ne» del testo, che per almeno 4 mesi114 l’autore ha avuto in «depo-sito e guardia» potendo con «assai agio averlo et considerarlo»115 eche lo ha portato a giudicare il commento della Città di vita unafinzione poetica dello speziale che poteva esserne autore.

Oltre al sommario, trascritto per intero, sono trascritti nellaloro completezza cinque canti e riportati gran parte di altri due116

tutti riguardanti la prima e la seconda cantica; la terza è marginal-mente presente. Confrontando il testo modenese con quello delPluteo per cogliere il criterio selettivo e gli interessi dell’autore delsommario, questi appare interessato esclusivamente al contenutodell’opera e non alla sua veste poetica. La trascrizione infatti è piùdi una volta infedele al raffinato ductus del Pluteo e in qualchecaso il contenuto è riportato ad sensum117. L’ortografia fonetica

114 Niente vieta di ipotizzare un incarico ripetuto del notaio nelle funzionidi proconsolo; è certo comunque che almeno per 4 mesi l’estensore ebbe mododi leggere con agio il poema e il suo commento.

115 Con buon margine di probabilità doveva esistere anche un registro ouna cartella contenente carte sciolte dove erano conservate le autorizzazioni,come in questo caso, a tenere in «deposito» un manoscritto di grande valore.Oggi però questo tipo di documentazione è andata perduta e le ricerche fattein Archivio di Stato di Firenze non sono state fruttuose.

116 Sono riportati interamente i canti V, IX, X della prima cantica; IX, X,XXXI e XXXII della seconda; sono escluse poche terzine nella trascrizionedell’VIII e del XXVIII canto del primo libro.

117 Diverso il caso del commento latino, molto più fedele al testo del Pluteoanche perché la lingua classica era ormai avviata ad una normalizzazione anco-ra lontana per il volgare.

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manca di normalizzazione e alcune varianti rispetto all’antigrafosono la spia degli interessi del suo autore.

Merita richiamare brevemente i contenuti dei capitoli. L’inci-pit della cantica è trascurato118 e ridotto ad un fugace accenno,senza alcun richiamo alla tradizione latina, è il riferimento alla Si-billa. L’estensore va al cuore del problema e trascrive 28 terzinedel X capitolo, in cui è ormai disegnato completamente il cuoredel problema e concilia il fondamento del peccato originale pre-supponendo l’esistenza delle anime. L’anima, infatti, non può averricevuto da Dio il bene e il male ma è stata la scelta di Adamo aconsegnare alla morte le anime che, grazie alla venuta di Cristo,hanno nuovamente vita («da Cristo solo tucte son salvate...»). Soloil battesimo «lava l’anima» dal peccato. Non esistono predestina-zioni iniziali: come conferma l’evangelista Giovanni e accennaAgostino, si salveranno tutte le anime che scamperanno alla primabattaglia. Minosse, che il proconsolo interpreta come la coscienza,è giudice del grado di bontà cui giungono le anime. La prova nonpuò prescindere dal corpo: le anime che rimasero neutrali hannouna nuova possibilità di incarnarsi e scegliere finalmente fra benee male. L’estensore è dunque interessato a trovare fondamentoteologico a questa teoria escatologica che rappresenta il cuore deltesto: il senso della vita sulla terra e il legame tra l’anima e il corpo.Avviato nel chiarimento del tema, sente il bisogno di maggioridelucidazioni sulla creazione. Il proconsolo ritorna così al capito-lo V, dove la Sibilla aveva spiegato al Palmieri i «fondamenti» fa-cendo uso – in un verso dalla resa felice119 – della metafora dellepenne, che rappresentano la coscienza senza la quale non è datocomprendere i principi delle cose. Così in un percorso a ritrosoche si definisce lentamente ma con precisione, l’estensore riportaalcune terzine del capitolo ancora precedente, il IV, dedicato allacreazione dell’universo e alla descrizione della volta celeste. Si trattadi uno dei passi più complessi del poema, dove lo Speziale richiamae descrive le costellazioni, ne riporta i nomi e le caratteristiche di-verse. Viene quindi descritto il percorso dall’anima per scendere

118 Il poema si apre con l’incontro fra la Sibilla e il poeta, poi si passa allaspiegazione della prima essenza di Dio (cap. II) e da lì alla similitudine con laluce (cap. III); proseguendo il poeta esprime le proprie paure per un viaggio dicui non si ritiene degno e intellettualmente preparato (cap. IV).

119 È il verso che ho scelto come titolo di questo lavoro.

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nella carne, con la quale poi lotterà per salire in cielo; le insidiedella carne sono oggetto di particolare interesse per il proconsolo.Prima di incarnarsi le anime bevono l’acqua del fiume Lete. Ciòdetto il poeta si avvia verso il «basso mondo» dove è morta la gen-te che sembra viva. È colpito dalla descrizione delle anime, chenella valle di Saturno sono attratte da «pensieri strani», inclini allapazzia, e destinate a divenire «bestie». Procedendo nell’analisi del-le «male impressioni» (cap. XIII), si sofferma unicamente a speci-ficare come gli influssi negativi vengano dal cielo, mentre eglicredeva che dal cielo arrivassero solo influssi positivi. Un breveaccenno alle impressioni che vengono da Giove è sufficiente, inpoche terzine, per sottolineare come da lì nasceranno le anime deiprincipi prudenti e persuasivi «ragionatori». Dei due capitoli suc-cessivi XVI e XVII, annota come da Marte gli spiriti sono resibellicosi e le anime diverranno bellicose, ‘accese’ dall’ira e incapa-ci di tenere a freno la lingua, come i bestemmiatori.

I capitoli successivi, dove Matteo esprime in maniera poeticala propria meraviglia per l’intero percorso delle anime, attratteciascuna dagli influssi che determineranno il carattere dei corpinei quali si incarneranno120, vengono invece tralasciati e riprendele terzine dove è descritto l’innamoramento del Sole verso Venere,dalla quale non si allontana mai (cap. XXII), ma riporta poi – equesto credo lo interessi maggiormente – il pericolo del vizio nelquale può incorrere la carne quando questa rimane «turbata» nelrapporto e nella lascivia; in molti modi, specifica Matteo e ripren-de il proconsolo, si manifesta la seduzione degli amanti.

Sembra voglia capire da dove arrivino le differenze di caratteree le diversità dei temperamenti. L’autore tralascia gli influssi diMercurio che infonde la scienza, il dogma della Trinità, gli articolidi fede esposti nei capitoli XXIV e XXV. Attento invece all’an-tropologia, trascrive le terzine dove sono riferiti gli influssi diMercurio (cap. XXVI). Compaiono qui le prime note riprese dalcommento latino del Dati121 e segnate come degne di attenzione(il suo Nota con la funzione di manicula), le terzine dove si legge

120 Si tratta dei capitoli XVIII (dove si trova la lunga digressione sul nume-ro quaranta e sull’interpretazione pitagorica), XIX, XX e XXI con la nascita diVenere.

121 Generalmente le note trascritte dal proconsolo sono esplicative dei ver-si che viene trascrivendo dal Pluteo, anche se talvolta il testo è sunteggiato.

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la descrizione di alcune anime coperte da un velo che sono rivolteverso il sommo bene. Si tratta delle anime di quanti, dopo la crea-zione, non hanno saputo nello scontro fra le tre schiere, volgeregli occhi verso Dio per quanto la loro volontà piegasse verso diLui e quindi, ora, devono sottoporsi alla seconda prova. Molti diloro, specifica il poeta, sono religiosi, grandi profeti ma anche veg-genti e sveleranno i segreti del cielo. Il «sommario» del proconso-lo si ferma qui e tralascia i versi dove la Sibilla rivela a Matteo cheanch’egli si era fermato proprio in questo cielo prima della discesasulla Terra: infatti da Mercurio vengono i poeti, gli oratori, i filo-sofi. Ancora è trascurato nel cielo della Luna il mito di Proserpina(cap. XXVII); del capitolo successivo, i cui contenuti sono riferitida Endimione che invece il proconsolo non è interessato ad anno-tare, riferisce solo le caratteristiche delle anime attratte dalla Luna:si acquista qui natura fredda ed umida, semplicità di cuore e timi-dezza, una attrazione naturale per la religione. Da qui, ad eccezio-ne di una sola terzina del canto XXX dove le anime si incorporanorivestendosi di materia, giunge al secondo libro del poema122.

Anche la seconda cantica, in cui il poeta è accompagnato negliinferi, è priva del capitolo iniziale che funge da raccordo, dove ilpoeta, impaurito dai terribili rumori che sente, è confortato dallaSibilla che lo rassicura, dicendo che la «selva oscura» raccogliesolo spiriti, non uomini in carne ed ossa. Entrati nel regno di Dite,il poeta e la sua guida si trovano nell’antinferno. Il proconsolo ri-porta la descrizione di alcuni fantasmi che hanno paura dellamorte e descrive l’aiuto malvagio che le anime ricevono dalle figu-re infernali: le Furie, Lite, Discordia e l’arrivo di Cacogenio123.Sorvola poi sulla lunga descrizione di Caronte, al quale accennasoltanto trascrivendo il passo in cui i protagonisti salgono sullabarca (cap. IV). Nonostante la descrizione di un inferno affollato,non riferisce di Cerbero né delle anime che coltivano Venere eBacco. Nel procedere della trascrizione, accenna solo alla struttu-ra dell’inferno palmieriano, diverso da quello dantesco: qui infatti

122 Trascura i canti dove il poeta riferisce con toni commossi le suggestioniumane come la paura e la commozione, come la lunga digressione cosmologicadove parla di Saturno, Giove, Giunone, Nettuno; inoltre non è interessato agliultimi tre canti (capp. 31-33), dove sono descritti gli elementi che compongo-no il corpo e viene spiegata la teoria dell’‘amicizia’ dei contrari.

123 Su questo argomento riporta una sola terzina del III canto.

INTRODUZIONE 73

si parla di 105 stati di pensieri divisi in 7 cerchi o valli e dimenticadi riportare i capitoli da cui trascrive i versi; in quello che egli an-nota come capitolo V si trovano versi del VII capitolo; del tuttotrascurata la «mansione» dei golosi, dove si trovano Ciacco e mol-ti personaggi dell’antichità, oggetto del cap. VI. Inizia qui, dovel’oggetto è l’amore carnale, la trascrizione della parte del poemaconsacrato a siffatte tentazioni. Del capitolo VII è trascritta tuttala descrizione delle donne che, con aspetto verginale e onesto,avviano gli uomini al vizio: ne viene riportata anche la parte finalecon la descrizione delle Arpie che adescano gli uomini e poi godo-no nel vederli morire. Il poeta riconosce nel cammino (cap. VIII)le sirene dal canto letale124 e poi il proconsolo trascrive interamen-te il capitolo, corredato anche dal commento del Dati125, sugli ef-fetti dell’amore carnale (capp. IX-X) dove la Sibilla, sottolineato ilvalore dell’esperienza, ascolta con il poeta il racconto dell’amoresenza misura di Fedra per Ippolito e della sorella Arianna perTeseo. La prima sottolinea come sia stata l’influenza della sfera diVenere a renderla sensibile alla bellezza nella sua forma pura ecome poi, colpita dalle frecce di Amore, sia stata spinta ad amareIppolito: insiste con forza il poeta sull’assenza di misura.

Prende poi la parola Arianna, nella Città di vita chiamataAdriana, che nel raccontare del suo amore per Teseo insiste suldolore mai spento per la nostalgia, divenuta tormento, causatadalla partenza dell’amato. La sua vicenda è così un esempio di ciòche accade all’animo anche quando il desiderio è inizialmente cor-risposto e sembra volgersi alla felicità126.

Gli altri piaceri, generati da odori e profumi lascivi, non inte-ressano l’estensore come neppure i personaggi condannati perquesti vizi127. Riporta invece ancora nove terzine del capitolo XIIche riguardano nuovamente molti «infuriati da lascivo amore», dicui sottolinea la mancanza di ordine nel procedere, il loro andare

124 Ignora i riferimenti a Circe, Calipso e Dite.125 Nel commento latino riportato i Padri (Agostino, Girolamo, Gregorio)

insistono sulla necessità di tenere saldo l’animo di fronte alla tentazione.126 Riporta il commento in cui si sottolinea che il nostro potere è la volontà.

Deve essere temuto lasciare il corpo con il tormento dell’amore lascivo.127 La passione legata ai tre sensi (udito, vista e odorato) espressa nel cap.

XI è accompagnata dalla descrizione delle anime dedite a questi piaceri, fracui Epicuro e Zenone che il nostro proconsolo trascura di riportare.

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in giro confusamente. I dodici capitoli successivi sono trascurati evi sono descritti gli avari, i prodighi, gli ambiziosi, gli invidiosi, gliipocriti, gli indovini, e l’interesse è per gli spiriti malinconici e tri-sti128 soggetti ad influenze maligne e descritti straziati dai diavoli.Qui, oltre al richiamo evangelico dell’indemoniato nell’episodioriportato da Matteo, si trovano fra gli altri Giuda, in cui il male siè insinuato «occultamente», Erode e Decio129. Nel profondo infer-no dove si trovano ora i protagonisti, Matteo vede due schiere, unadei maghi e negromanti, piromani e geomanti130, l’altra di quelliche cedettero a loro e ora sono costretti a seguirli. Vedendolo pro-fondamente colpito da queste anime, la Sibilla lo invita a chiederechiarimenti «allo inventore de l’arte», Zoroastro, che si definisceinventore della magia. Interrogato dal poeta sulla veridicità dellearti magiche, questi risponde che esse sono fallaci, la magia è sen-za virtù ed è uno dei mezzi «co’ quali el diavol vera fede cassa».Interrogato però su come riuscire a contrastare le insidie della ma-gia, il filosofo persiano lo invita a rivolgersi a Dio. Fra gli incanta-tori si trova anche Apuleio. Trascurando gli idolatri, descrittinell’ultimo capitolo della seconda cantica, il proconsolo si avviaalla conclusione del sommario. Infatti del terzo libro riporta po-che terzine, che accennano alla via che riporta verso il cielo131; tra-scura la descrizione della prima mansione dove stanno i filosofi, aconferma che non sono i filosofi ad interessarlo, e riporta nel capi-tolo VI sulla temperanza civile le tre esortazioni che si leggono suigradini del basamento di un tabernacolo: la prima invita a nongettarsi con troppa veemenza su progetti che poi rendano afflitti,quindi a scegliere bene su che cosa indirizzare le energie; la secon-da a non essere spinti dalla voglia del piacere ma di unirlo all’one-stà, la terza a dominare le voglie come il giogo le bestie132. Nessuninteresse il proconsolo mostra per la fortezza civile e per il folto

128 Il cap. XXXI è riportato intermente.129 Probabilmente, e qui concordo con il Cumbo, Palmieri sceglie di inse-

rire Decio poiché per le sue persecuzioni morì Origene. B. CUMBO, La Città divita, cit., p. 151.

130 Il capitolo è corredato da molte note esplicative.131 Non vi riporta l’incontro con l’angelo e la sua caduta e l’aiuto delle sue

guide.132 Anche in questo caso non riporta i nomi dei personaggi antichi che il

poeta incontra, Pirro, Fabrizio etc.

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gruppo di personaggi nominati da Palmieri133. Nelle due terzinedel capitolo XII accenna alla giustizia di Dio, eterna ed immutabi-le. Sorprende nel proconsolo, primo fra i notai fiorentini, il fattoche trascuri anche il capitolo sulla giustizia distributiva e il richia-mo ai legislatori come Giustiniano e Dracone. Ignorando granparte dei capitoli, chiude il suo sommario con un’immagine delcapitolo XXIV134 dove si figura il poeta e la Sibilla che, nuovamen-te giunti al Lete, vedono sopra il fiume un ponte: esso è attraversa-to dalle anime che non berranno dell’acqua del Lete e andrannocosì in cielo135.

Alla luce di quanto riferito mi sembra che gli interessi del-l’estensore del sommario, una volta chiarito l’impianto del poema,ruotino intorno alla dottrina morale dell’umanesimo non limitataalla monocorde ripetizione di noti e classici canoni, che qui nonsono solo trascurati ma soprattutto sono ben poco praticati: se-condo l’umanesimo il maggior male sarebbe il commettere ingiu-stizia, la felicità sarebbe un tutt’uno con la sapienza, la vita degnadi lode solo quella vissuta all’insegna della filosofia. Come se par-lasse a se stesso in una sorta di memento, il discorso che tesse sem-bra risuoni principalmente a lui e verte sul ruolo svolto dalla libertàe sulla capacità di opporsi alle insidie delle tentazioni, soprattuttoquelle dell’amore carnale, per vivere l’esperienza terrena con feli-cità senza tradire i dettami cristiani. Giustifica la ricerca del piace-re accludendo alla fine la trascrizione della Canzone morale diLeonardo Bruni, nella quale «si tratta della felicità», come nota diun’ultima lettura del poema, prima di depositarlo nuovamente inSanta Croce.

133 Ignora nel suo sommario i capitoli (IX- XI), inerenti il coraggio (dovericorda Temistocle, Cesare, Catone; la capacità di resistere alla fortuna, (Sce-vola e Anassimandro) e anche la giustizia, la più alta fra le virtù.

134 Come per le cantiche precedenti ignora invocazione ad Apollo, l’analisisulla prudenza (cap. XV), sulla sapienza (cap. XVI), sulla temperanza purgati-va (cap. XVII), sulla temperanza (cap. XVIII) sulle fortezze purgatorie (cap.XIX) seguite dalla narrazione delle fatiche di Ercole (cap. XX); procedendoribadisce l’origine divina della giustizia (cap. XXI) e si passa poi all’elogio de-gli uomini che hanno scelto il sommo bene (cap. XXII) e ancora alla giustiziapurgativa (cap. XXIII).

135 Sono esclusi dal sommario tutti gli altri capitoli della terza cantica doveil poeta incontra i profeti (cap. XXIX), il Battista, nella XXXVIII mansione, einfine come Dante, Cristo e la Madonna.