San Martino al Cimino presso Viterbo: l'Evoluzione di un Monastero Cistercense in Borgo

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293 1 Il presente contributo espone parte dei risultati ottenuti per la tesi di laurea specialisti- ca in Archeologia Medievale presso l’Università degli Studi della Tuscia, dal titolo “Il mona- stero cistercense di San Martino al Cimino. Analisi del territorio pertinente all’abbazia nel Medioevo”, Anno Accademico 2009/2010, relatore Elisabetta De Minicis, correlatore Alfio Cortonesi. SAN MARTINO AL CIMINO PRESSO VITERBO: L EVOLUZIONE DI UN MONASTERO CISTERCENSE IN BORGO Alba Serino Il paese di San Martino al Cimino costituisce oggi una frazione del Co- mune di Viterbo, situato a circa sei chilometri dal centro della città e posi- zionato a 600 metri s.l.m., lungo il declivio nord-occidentale dei Monti Cimini e in prossimità del Monte Fogliano. Il borgo deve il nome al complesso abbaziale attorno a cui questo ebbe sviluppo sin dall’età medievale, l’abbazia di San Martino al Cimino, si- tuata sul lato meridionale delle mura urbane, in cima alla ripida penden- za che caratterizza il paese. Purtroppo oggi non è possibile ammirare l’aspetto che presentava l’ab- bazia cistercense in epoca medievale, a causa dei rifacimenti seicenteschi che la trasformarono in residenza principesca della famiglia Pamphili, ma l’indagine storica e archeologica compensa in parte questa lacuna e con- sente di comprendere l’importanza che la comunità cistercense rappre- sentò per la Tuscia viterbese nei secoli del Basso Medioevo e l’influenza che l’impianto del monastero esercitò sullo sviluppo del borgo nei secoli successivi 1 . Origini Riguardo alle origini dell’abbazia, è interessante la menzione nel Rege- sto Farfense di una ecclesia S. Martini in monte, presso un luogo definito casa putida, che nell’anno 838 un certo Benedetto figlio di Auperto, abi- 293-314_Serino_01_Antista 26/09/13 17.07 Pagina 293

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1 Il presente contributo espone parte dei risultati ottenuti per la tesi di laurea specialisti-ca in Archeologia Medievale presso l’Università degli Studi della Tuscia, dal titolo “Il mona-stero cistercense di San Martino al Cimino. Analisi del territorio pertinente all’abbazia nelMedioevo”, Anno Accademico 2009/2010, relatore Elisabetta De Minicis, correlatore AlfioCortonesi.

SAN MARTINO AL CIMINO PRESSO VITERBO: L’EVOLUZIONE DI UN

MONASTERO CISTERCENSE IN BORGO

Alba Serino

Il paese di San Martino al Cimino costituisce oggi una frazione del Co -mune di Viterbo, situato a circa sei chilometri dal centro della città e posi-zionato a 600 metri s.l.m., lungo il declivio nord-occidentale dei MontiCimini e in prossimità del Monte Fogliano.

Il borgo deve il nome al complesso abbaziale attorno a cui questo ebbesviluppo sin dall’età medievale, l’abbazia di San Martino al Cimino, si -tuata sul lato meridionale delle mura urbane, in cima alla ripida penden-za che caratterizza il paese.

Purtroppo oggi non è possibile ammirare l’aspetto che presentava l’ab-bazia cistercense in epoca medievale, a causa dei rifacimenti seicenteschiche la trasformarono in residenza principesca della famiglia Pamphili, mal’indagine storica e archeologica compensa in parte questa lacuna e con-sente di comprendere l’importanza che la comunità cistercense rappre-sentò per la Tuscia viterbese nei secoli del Basso Medioevo e l’influenzache l’impianto del monastero esercitò sullo sviluppo del borgo nei secolisuccessivi1.

Origini

Riguardo alle origini dell’abbazia, è interessante la menzione nel Rege -sto Farfense di una ecclesia S. Martini in monte, presso un luogo definitocasa putida, che nell’anno 838 un certo Benedetto figlio di Auperto, abi-

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tante del vico Flaviano donò all’abate di Farfa, Siccardo, insieme con idiritti delle chiese di S. Alessandro e di S. Maria e di alcuni terreni in con-trada Agella, presso il casale Fusiliano e nel vico Flaviano stesso2.

È possibile che questa ecclesia S. Martini in casa putida acquisita dai bene-dettini costituisca il nucleo primordiale del futuro monastero cistercense,se si considera il legame esistente tra il vico Flaviano (che era situato aipiedi del Monte Cimino3) e la posizione dove sorge attualmente l’abba-zia. Il toponimo fornito dal documento di IX secolo non è purtroppo suf-ficiente ad individuare con certezza la precisa ubicazione della ecclesia S.Martini in questione, situata apparentemente in prossimità di un tugurio,in una zona insalubre4. La notizia del documento è da porre in relazionecon quella contenuta in due atti di compravendita, redatti alla metà delsec. XI5, in cui il monastero di San Martino risulta invece edificatum vel con-secratum in un luogo stavolta definito Novelleto, termine generalmente uti-lizzato nei documenti per indicare i terreni destinati da poco a vigneti6.

La documentazione consente dunque di formulare due ipotesi: che ungruppo di monaci benedettini si sia insediato presso S. Martino in casa pu -tida nel sec. IX e che in un secondo momento (fra i secoli X-XI) questiabbiano provveduto a bonificare il terreno della chiesa, destinandolo allacoltivazione delle vigne; che i benedettini si insediarono dapprima pres-so la chiesa citata dal documento di sec. IX e che a causa dell’insalubritàdella zona, in un secondo momento (sempre nell’arco temporale fra i se -coli X-XI) si spostarono in un luogo più salubre, ove ricostruirono il loromonastero e destinarono il suolo alla coltivazione appunto delle vigne.

Lo studioso locale Colombo Bastianelli, dando credito alla prima ipote-si, propone che il cenobio benedettino di sec. IX si trovasse nelle imme-diate vicinanze del Fosso Freddano (che scorre ad occidente del paesevicino Porta Viterbese), ricollegando così l’appellativo “casa putida” al cor -so d’acqua7, e che in un secondo momento i benedettini si spostarono, perriedificare il monastero, nel luogo dove sorge ancora oggi. Del resto PietroEgidi, all’inizio del Novecento, segnalava un documento del 1343, in cuiS. Martino in Casa Putida era una contrada ormai in stato di abbandono,prossima al monastero e ad esso appartenente, ma non corrispondentealla posizione del monastero stesso8.

Purtroppo le ricerche condotte fino ad oggi non hanno (ancora) ripor-

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2 Reg. Farf., II, 239, doc. 283.3 EGIDI 1907, pp. 15-16.4 “Putidus, a, um:1. putrefatto, marcio, guasto, putrido, puzzolente, fetido; 2. molesto, fastidioso,

schifoso” in CASTIGLIONI, MARIOTTI 1996, p. 1045.5 Rispettivamente negli anni 1045 e 1048 (EGIDI 1907, pp. 97-102).6 Ibidem, p. 17.7 BASTIANELLI 1997, pp. 15-16.8 EGIDI 1907, p. 16.

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9 Le indagini si sono concentrate nel territorio compreso fra l’abbazia e la città di Viterbo,in località Macchia dell’Ospedale, ed in quello compreso fra l’abbazia stessa ed il lago diVico, in località Posta Vecchia. Presso la Macchia dell’Ospedale sono emersi i resti medievalidi un ponte (il Ponte Capello, forse edificato proprio dai monaci di San Martino) e di unastruttura avente probabilmente una funzione di tipo assistenziale (la presunta Osteria dellaPorchetta), oltre ad alcune tracce di cava in prossimità del Ponte Capello; in località PostaVecchia sono stati studiati i resti di un insieme complesso di edifici utilizzati dapprima nel‘500 come osteria ed in un secondo momento come stazione di posta, fra i quali si distin-guono i resti di una chiesa (S. Maria Incoronata) e di una coppia di ipogei ascrivibili in basead un confronto tipologico ai secc. V-VII d.C. (SERINO 2010, pp. 87-131).

10 Unica particolarità finora riscontrata è la presenza, nell’abside della chiesa, di alcuniblocchi di riutilizzo di dimensione maggiore rispetto al resto dei conci, forse provenienti dauna precedente struttura benedettina.

11 Il monastero cistercense di San Martino al Cimino è attualmente oggetto di studio in unprogetto di ricerca in ambito del XXVI ciclo della Scuola di Dottorato “Archeologia medie-vale: strutture della società, insediamenti e organizzazione del territorio, attività produtti-ve” presso l’Università degli Studi de L’Aquila.

12 Cfr. nota 2.13 EGIDI 1907, pp. 97-106.14 Diversi autori indicano il 1150 come la data più probabile di questa sostituzione (EGIDI

1907, pp. 18-19).

tato alla luce i resti di una struttura riconducibile ad una chiesa nella zonaa valle del paese9, in modo da poter convalidare l’ipotesi, maggiormenteplausibile, sostenuta da Colombo Bastianelli e Pietro Egidi; si consideriinoltre la mancanza di evidenti resti di una preesistenza all’interno dellaattuale chiesa di San Martino che si possano ricondurre ad una strutturadi sec. IX (la ecclesia S. Martini in Casa Putida) e che diano invece creditoalla prima ipotesi10.

Obiettivo prossimo della ricerca sarà appunto il proseguimento dellericognizioni archeologiche nei territori pertinenti all’abbazia, nonché lostudio sistematico delle superfici murarie del monastero, al fine di farefinalmente chiarezza sulle precise origini del cenobio11.

Cenni storici

A prescindere dalla tesi che si vuole seguire sulla posizione originariadel complesso, l’abbazia di San Martino, come documentato dal RegestoFarfense12, fu dunque all’inizio un cenobio benedettino sotto le dipen-denze di Farfa e soltanto al sec. XI risalgono i primi documenti in cui que-sto risulta possedere un patrimonio distaccato da essa13. Nonostante ildistacco dall’abbazia di Farfa, il monastero non dovette avere molta for-tuna, se alla metà del sec. XII questo era gravato già da rilevanti debiti.Per risolverne il disordine amministrativo, papa Eugenio III provvide asostituire i monaci benedettini con una colonia di cistercensi provenientidal monastero di S. Sulpicio in Savoia, filiazione dell’abbazia-madre diPontigny14. Eugenio non ottenne però i miglioramenti sperati nel risolle-

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vare la fortuna del monastero, anche a causa dei continui attacchi dei bri-ganti da cui i monaci tentavano di difendersi con la forza, rischiando con-tinuamente la scomunica15.

La ripresa dell’abbazia avvenne grazie all’intervento di papa InnocenzoIII che nel 1207 operò una nuova sostituzione di monaci, insediando a S.Martino un gruppo di cistercensi provenienti questa volta direttamenteda Pontigny16. Per sostenere l’attività dei nuovi monaci insediati, Inno -cenzo deliberò una serie di provvedimenti al fine di accrescere le entratedell’abbazia: favorì il recupero di alcuni possedimenti sottratti, concessenuovi beni e riconfermò i privilegi emanati prima di lui da Eugenio III,Alessandro III e Lucio III (fra cui l’esenzione dalle decime, la proibizionedi erigere chiese nelle parrocchie dipendenti dal monastero, il divieto aimonaci di vendere beni senza l’autorizzazione dell’abate)17. Fu il periododi maggior floridezza economica per San Martino e i suoi possedimentisi estesero notevolmente18; il monastero divenne rinomato per le autoritàche ospitava e per il rigore della sua osservanza monastica19.

Nei primi decenni del sec. XIV ebbe inizio il declino: nel 1317 il mona-co Lando Gatti (figlio del tiranno di Viterbo Silvestro Gatti e bisnipote diRaniero Gatti20) uccise l’abate Guglielmo, s’impadronì col padre delle de -cime raccolte dal monastero e degli altri suoi beni, cacciò i cistercensi conle armi e al loro posto insediò dei monaci favorevoli alla politica dellafamiglia Gatti21.

Solo in seguito all’uccisione di Silvestro Gatti nel 1329 (ad opera di Fa -ziolo di Vico)22 i monaci riuscirono a tornare a S. Martino ma i danni delladevastazione resero difficile la vita del monastero per molti anni; ancoranel 1337 risulta infatti un debito di seicento fiorini d’oro con la cameraapostolica per la decima mai consegnata, perché rubata da Lando Gatti23.Le rendite non tornarono mai più sufficienti per mantenere una congre-gazione numerosa24.

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15 BENTIVOGLIO, VALTIERI 1973, p. 19; in questo periodo vivevano ormai nel complesso ap -pena tre monaci (ibidem, p. 13).

16 MORONI 1860, vol. CI, p. 221; EGIDI 1907, pp. 21-22.17 Bolla del 28 gennaio 1208 di Innocenzo III all’abate Pietro, in EGIDI 1907, pp. 23-24.18 La modalità di formazione del patrimonio fondiario di un’abbazia (attraverso dona-

zioni o acquisizioni di terre) incideva molto sul conseguente sviluppo di esso (PICCINNI 2006,p. 50), per questo è risultato utile, nel corso delle ricerche (SERINO 2010, pp. 29-49), effettua-re alcune considerazioni sullo sviluppo del patrimonio che appartenne al monastero di SanMartino che, in quanto abbazia Nullius Diocesis, aveva poteri e obblighi pari a quelli di unadiocesi e l’ubbidienza che i suoi abitanti dovevano ad esso era secondaria soltanto all’auto-rità papale (MORONI 1860, Vol. XCV, p. 151).

19 Ibidem, Vol. CI, p. 222.20 PINZI 1887, Vol. III, pp. 138-139.21 EGIDI 1907, p. 63.22 LANCONELLI 1999, pp. 594-595.23 EGIDI 1907, pp. 64-66 nota 3.24 Nel 1329 a S. Martino vivevano solo quattro monaci e tre conversi, nel 1357 cinque

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Nel 1379, con Clemente VII, ebbe inizio l’uso di concedere in commen-da l’abbazia nel tentativo di sottoporla a una gestione più efficiente25. Ivari abati commendatari non sembrarono comunque svolgere un’azionemolto incisiva dal punto di vista amministrativo, così il monastero, ab -bandonato a se stesso, arrivò nel 1426 a comprendere addirittura solo l’a-bate e un monaco26; nel 1463 papa Pio II fece visita al monastero e descris-se le condizioni di abbandono in cui verteva27.

Solo nel 1645, quando il paese divenne principato sotto il regno didonna Olimpia Maidalchini, San Martino tornò ad una nuova fase di be -nessere28.

Con l’erezione a principato, il centro non era più posto sotto l’autoritàepiscopale ma sotto quella di un cardinale eletto direttamente dai Pam -phili. I monaci furono sostituiti da un collegio di canonici sottoposto a unarciprete29.

Nonostante i tentativi di Olimpia di creare un centro autonomo30, ilfeudo non raggiunse mai la piena vitalità, soprattutto dopo che il nuovopapa Alessandro VII abrogò tutti i privilegi precedentemente concessi al -la popolazione di S. Martino31.

Il principato rimase nelle mani dei Pamphili fino alla morte dell’ultimodi loro, Giordano, nel 1760. Per concessione di Clemente XIII, San Marti -no passò ai Doria Landi, che ancora agli inizi del Novecento possedeva-no qui la maggior parte dei territori ed il palazzo Pamphili32.

Il borgo fu annesso come frazione al Comune di Viterbo nel 192833.

Da monastero a borgo. Il complesso abbaziale

Come già affermato, non sono attualmente rintracciabili all’interno delmonastero resti di una muratura attribuibili al periodo altomedievale edel resto le prime notizie certe sugli ambienti abbaziali di San Martinorisalgono agli inizi del sec. XIII. Un atto di compravendita testimonia in -fatti che nel 1217 era stato da poco completato il refettorio dell’abbazia34;se si considera inoltre quanto prescritto dalla legislazione cistercense35, è

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monaci e un converso, nel 1369 sei monaci e tre conversi (Ibidem, p. 66 nota 1).25 PETRUCCI 1987, p.726 EGIDI 1907, p. 75.27 SCRIATTOLI 1920, p. 307.28 PETRUCCI 1987, p. 15.29 Ibidem, p.10.30 Nel 1654 a S. Martino sarà conferito il titolo di città (ibidem, p.15).31 Ibidem, p. 15.32 EGIDI 1907, p.89.33 PETRUCCI 1987, p. 29.34 BENTIVOGLIO, VALTIERI 1973, p. 19.35 I Capitula, disponevano che il trasferimento di un gruppo di monaci nella nuova fon-

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molto probabile che nel 1217 esistessero anche gli altri ambienti essenzia-li per la vita monastica e il culto, ossia la sala capitolare, il locutorium36, ilrefettorio, il dormitorio dei monaci e almeno una parte della chiesa.

Un’altra notizia certa risale al 1225, data incisa sull’architrave di unaporta (oggi murata) che collegava sagrestia e sala capitolare; l’anno fuprobabilmente quello di consacrazione della chiesa. Infine l’esistenza delchiostro (di cui oggi rimangono purtroppo pochissimi resti) è attestataalmeno dal 124437.

Si può dunque notare come le prime menzioni dei diversi ambienti delcomplesso monasteriale risalgano allo stesso periodo in cui si insediò aSan Martino la colonia di Cistercensi provenienti dall’abbazia di Ponti -gny. Del resto se si accetta che furono i pontiniacensi a costruire la quasitotalità degli ambienti civili del monastero, acquisirebbe senso anche l’a-nomalo orientamento di questi ultimi rispetto all’edificio ecclesiastico: leabbazie cistercensi tendevano, per motivi strutturali e climatici, a posi-zionare l’elemento più ingombrante del complesso, la chiesa, a nord (dadove soffia il vento di tramontana)38 ma San Martino, per contro, presen-ta la chiesa nella parte sud, proprio come l’abbazia di Pontigny. È possi-bile dunque che l’anomalia di orientamento sia dipesa da un’eredità diimpostazione architettonica dell’abbazia madre.

Un piccolo codice datato al 1305 consente di conoscere con precisionequanto agli inizi del sec. XIV il complesso monasteriale si fosse amplia-to39: il documento riporta in successione la presenza all’interno dell’ab-bazia di un monasterium, della chiesa, di un palatium parvum, della sacri-stania superior (o armarium), dello scriptorium, dell’infirmitorium, del locu-torium, del refettorio, degli appartamenti dell’abate, della sala dei mona-ci (o scriptorium), del forno, di una fucina e infine di un mulino. L’ampiez -za del monastero rispecchia pienamente il benessere raggiunto in seguitoall’instaurazione della colonia cistercense di Pontigny.

Per molto tempo probabilmente la struttura documentata dal codicettodel 1305 rimase tale, in relazione alla fase di declino avviata dal sacco di

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dazione poteva avvenire soltanto in seguito alla costruzione di determinati ambienti mona-stici: oratorio, refectorio, dormitorio, cella hospitum, portarum. STERCAL, FIORONI 2004, pp. 51 esegg.

36 Luogo del monastero, destinato dagli antichi monaci alla ricreazione dopo la mensa, e per discor-rere di cose spirituali in MORONI 1852, Vol. XXXIX.

37 BASTIANELLI 1997, p. 14.38 È questo ad esempio il caso delle abbazie di La Fertè, Clairvaux, Fossanova, Chiaraval -

le Milanese e Fontenay (BENTIVOGLIO 1991, p. 8).39 Nell’anno in cui salì sul seggio abbaziale, fra il 12 ed il 26 aprile del 1305, l’abate Enrico

fece compilare alcuni dettagliati inventari per conoscere il preciso stato patrimoniale del-l’abbazia; gli inventari, giunti oggi sottoforma di un codicetto cartaceo, furono pubblicati daPietro Egidi (EGIDI 1907, pp. 9-11).

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Lando Gatti e proseguita con la fase delle commende. Per quello che concerne invece il periodo di unione dell’abbazia al capi-

tolo di S. Pietro, negli Statuti di San Martino manca completamente ogniregolamentazione di tipo urbanistico ed edilizio ma traspare lo stessoqualche notizia sulla situazione del complesso alla fine del sec. XVI: esi-steva una piazza antistante la chiesa, salvaguardata da qualsiasi mano-missione e di cui le leggi ne imponevano la buona conservazione dellascalinata, del muro di sostegno del ripiano superiore ad essa e dellapeschiera; il chiostro, menzionato ora come “cortile” era ormai divenutodi uso pubblico40.

Un catasto del 1604 dimostra come il paese si fosse ampiamente svilup-pato intorno al complesso abbaziale: in un primo tempo era stato riempitolo spazio interno alle mura medievali, costruendo alcune fasce di caseaddossate alle mura e formando una piazzetta che costituiva la prosecu-zione più in basso della piazzetta antistante la chiesa. In un secondomomento l’abitato si estese fuori dalle mura medievali fino alla attualePorta Viterbese, in direzione di una nuova strada di andamento rettilineo(oggi via Doria). Le direttrici di espansione erano state dettate dall’autoritàdel Capitolo di S. Pietro, attraverso i contratti di enfiteusi nei quali veniva-no definite le zone di espansione e le caratteristiche costruttive degli am -pliamenti nuovi. Infine, prima dell’arrivo di Donna Olimpia Maidal chi ninel 1645, diverse famiglie nobili (i Lanci, i Vindeman, i Raggi) costruironole loro residenze fuori dalla cinta di mura del complesso abbaziale, orga-nizzate intorno ad uno spazio trapezoidale nettamente staccato dalla strut-tura medievale e dall’edilizia minore sorta attorno ad essa.

Con l’elezione a principato e gli interventi voluti da Olimpia Maidal -chini, l’abbazia di San Martino subì una radicale trasformazione, sia delcomplesso abbaziale che nell’assetto urbanistico dell’area circostante. Perquello che riguarda infatti il monastero, l’antico palatium parvum fu am -pliato e innalzato di un piano (per divenire l’attuale Palazzo Pamphili), illocutorium fu aperto su due lati e trasformato in corridoio d’accesso alpiazzale del chiostro, la facciata della chiesa fu completamente rivista41.

La riprogettazione del borgo invece, affidata all’architetto militare Mar -cantonio De Rossi, prevedeva di racchiudere la struttura urbana del bor -go all’interno di due emicicli, collegati da muraglie a cui addossare unaserie di case a schiera. L’emiciclo più a monte era costituito da un insiemedi case, poste in maniera concentrica attorno all’abside dell’abbazia, conl’intenzione di valorizzare l’edificio ecclesiastico; queste case divenivanocosì la “nuova abside” dell’intero paese42. Lo schema riprendeva inoltre

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40 PETRUCCI 1987, p. 7.41 Ibidem, pp. 10-11.42 GUIDONI 1987, p.12.

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alcuni elementi preesistenti nella struttura urbana, quali il palazzo baro-nale e la piazzetta trapezoidale con le residenze delle famiglie nobili43.Quest’intervento urbanistico, che fu forse il primo caso di costruzionepianificata di un centro abitato, conferì dunque al borgo di San Martinola caratteristica forma ellittica che possiede ancora oggi.

Il circuito idraulico del monastero

La scelta del luogo di fondazione di un’abbazia cistercense era semprecondizionata dal requisito essenziale della presenza di fonti di riforni-mento idrico; quest’importanza attribuita alla disponibilità di acqua siricollega alla costanza, in questi monasteri, della presenza di straordina-rie opere di architettura per gli impianti di adduzione e smaltimento delleacque44. Nell’Europa del sec. XII esisteva già un buon grado di conoscen-za della tecnica idraulica, ma il merito dell’Ordine Cistercense fu quellodi applicare su vasta scala questo sapere e di diffonderlo in maniera capil-lare nell’intero continente, grazie anche al costante confronto che avveni-va fra i monaci durante gli incontri annuali dei Capitoli45.

Nel corso di un’indagine storico-archeologica di un complesso abba-ziale cistercense, l’aspetto idraulico costituisce senz’altro una tematica in -teressante da affrontare, poiché il particolare passaggio dell’acqua potevacondizionare la disposizione stessa degli ambienti: la posizione del chio-stro, ad esempio, variava a volte in relazione alla chiesa, per l’esigenza dicollocare quest’ultima nel punto più alto del complesso monasteriale, inmodo che le acque provenienti dalla cucina, refettorio, lavatoio e latrineconfluissero in un punto lontano da essa e dagli edifici dei monaci e con-versi46.

Nel corso delle ricerche finora condotte ho avanzato l’ipotesi secondocui anche i Cistercensi di San Martino elaborarono un circuito idraulicoche permettesse l’utilizzo dell’acqua all’interno del monastero; non essen-do purtroppo mai stati eseguiti interventi di scavo archeologico all’inter-no del complesso abbaziale, e non avendo dunque a disposizione traccemateriali del circuito, la ricerca fu condotta attraverso lo spoglio di docu-menti d’archivio ed il confronto tipologico con altri casi di studio italiani,oltre che attraverso la ricostruzione della distribuzione degli ambienti

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43 PETRUCCI 1987, p. 10.44 Diverse sono in Europa le attestazioni materiali dell’abilità idraulica dei Cistercensi: a

Fontenay, Obazine, Citeaux, Notre-Dame-la-Royale, Royaumont, Boxley, Ottenberg (RI -GHETTI TOSTI CROCE 1993, BONDE, MAINES 2003, BONDE-MAINES 2012); in Italia studi della tec-nica idraulica cistercense sono stati condotti nei monasteri di Chiaravalle di Fiastra, Fos -sanova e Tre Fontane (RIGHETTI TOSTI-CROCE 1993, pp. 47-51).

45 RIGHETTI TOSTI CROCE 1993, p. 39; PICCINNI 2006, p. 55.46 PICCINNI 2006, p. 55.

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abbaziali, l’analisi della attuale rete di fognatura e l’ausilio di alcune testi-monianze orali47.

In base alle ricerche, il circuito idraulico sfruttava l’evidente pendenzasu cui sorge il monastero. L’acqua giungeva al complesso dalle sorgentidette Capone e delle Fontanelle (a monte di Porta Romana) attraverso uncondotto sotterraneo che sfruttava appunto questa pendenza. Il condottopassava sotto il locutorium e giungeva nel chiostro (dove oggi è piazzadell’Oratorio) confluendo in una cisterna che raccoglieva anche l’acquapiovana. Nel chiostro era anche un lavatoio, collegato da un altro con-dotto sotterraneo, sia alle cucine che alla cisterna. Da questa cisterna poi,una tubatura portava l’acqua fino ad una fontana (sottostante Piazza del -l’Oratorio) all’esterno dell’ospedale, sul cui pavimento in pendenza cor-reva un sistema a pettine di canalette, per permettere il deflusso dell’ac-qua utilizzata nell’ambiente. Infine dall’ospedale l’acqua, in parte depu-rata dalla ghiaia presente sul fondo delle succitate canalette, era traspor-tata fino alle stalle e negli orti a valle.

Sebbene un modello generale di circuito idraulico cistercense non siastato ancora messo a punto, dal confronto dei dati pubblicati negli studisulle abbazie italiane di Fossanova, Tre Fontane e Chiaravalle di Fiastra48

sono emerse alcune analogie, che permettono di ipotizzare l’esistenza diun preciso criterio di costruzione. Entro questi criteri, con l’eccezione del -la fonte di approvvigionamento del circuito, sembra rientrare anche l’ab-bazia di San Martino.

Innanzitutto, sia presso Fossanova che presso l’abbazia di Tre Fontane,sono stati rinvenuti dei canali sottostanti il sagrato della chiesa: nel primocaso il canale scorreva al di sotto del (probabile) ospedale, mentre nelsecondo terminava in prossimità dell’edificio dei conversi.

In secondo luogo, sia Fossanova che Chiaravalle di Fiastra disponeva-no di una cisterna sotterranea (al centro del chiostro nel caso di Chiaraval -le) e di un sistema di condotti per la raccolta delle acque di gronda all’in-terno del chiostro.

Secondo l’ipotesi di ricostruzione, anche San Martino presentava uncanale che conduceva l’acqua in un percorso parallelo agli edifici dei con-versi (l’ospedale e il palatium parvum), come nel caso delle abbazie diFossanova e Tre Fontane. Il monastero presentava inoltre una cisterna sot-terranea analogamente alle abbazie di Fossanova e Chiaravalle di Fiastra,come anche una serie di condotti nel pavimento del chiostro. L’ipotesi diricostruzione prevedeva poi la presenza nell’antico chiostro di un lavatoio,simile ad una fontana presente nel chiostro dell’abbazia di Fossanova.

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47 SERINO A., I Cistercensi e l’acqua: l’esempio di San Martino al Cimino, tesi di laurea, AnnoAccademico 2007-2008, Relatore E. De Minicis, Università degli Studi della Tuscia.

48 RIGHETTI TOSTI CROCE 1993, pp. 47-51.

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Altro elemento in comune fra le abbazie di San Martino e Chiaravalledi Fiastra è l’adozione di un sistema di canali posizionati “a pettine” e co -struiti in pendenza, per raccogliere e far defluire l’acqua utilizzata per lapulizia dell’ambiente: questi sistemi erano situati rispettivamente nell’o-spedale di San Martino e nel refettorio di Chiaravalle49.

Diversi elementi dimostrano come nei secoli successivi al Medioevoalmeno una parte del circuito idraulico fu inglobato dentro la rete idricadell’abitato che sorse attorno all’antica abbazia, così come avvenne, delresto, per l’intera struttura del monastero che entrò a far parte dell’agglo-merato urbano.

Per quello che concerne la cisterna del chiostro, due diverse planimetrieseicentesche (una delle quali antecedente alla sistemazione urbanisticavoluta da Donna Olimpia) ne attestano la continuità d’uso almeno fino alsec. XVII50. A questa notizia va aggiunta la testimonianza della Istoria delleFontane del 179251 e di una lettera dell’architetto Busiri del 26 settembre187452, in cui risulta che i condotti che collegavano la sorgente delle Fon -tanelle alla piazza del chiostro continuavano ad essere utilizzati. Il docu-mento del 1792 riporta inoltre che anticamente esisteva una fontana nellaPiazza della Sagrestia dirimpetto alle Maestre Pie che fu levata da CH. M. del -l’Eccellentissimo Don Girolamo Pamphilj e fu fatta nuovamente nella Piazza de -gli Olmi e che potrebbe ricollegarsi al lavatoio che in epoca medievale sitrovava all’interno del chiostro.

Attualmente parte delle strutture idrauliche realizzate a partire dal sec.XVII sono ancora visibili ed è stato possibile ispezionarne una parte, nellazona sottostante il complesso abbaziale: i condotti fognari seguono il peri-metro esterno dell’abbazia e si ricongiungono in un unico condotto centraleche percorre l’attuale via Doria (l’asse viario principale dentro le mu ra urba-ne che collega la piazzetta sottostante l’abbazia alla Porta Viterbe se) e pro-segue all’esterno delle mura; in questo canale centrale confluiscono “a petti-ne” le condutture minori53. Interessante è la situazione del condotto fogna-rio che scorre sotto via del Macello54 (stradina perpendicolare a via Doria,situata pochi metri più a valle rispetto all’abbazia) e che sfocia nel ciglio occi-dentale del paese; qui la tubatura moderna è stata sistemata sfruttando ilpreesistente condotto seicentesco ed è possibile che questo sistema di riuti-lizzo sia stato applicato per gran parte del sistema fognario del paese.

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49 Ibidem, p. 48.50 Custodite rispettivamente presso l’Archivio Doria-Pamphili e presso l’Archivio Vatica -

no, sono entrambe pubblicate in BENTIVOGLIO 1973 (ill. 38 e 46).51 Archivio Doria Pamphili, c. 1792 scaff. 59/1/7 pubblicato in PETRUCCI 1987, p. 66.52 Archivio Doria Pamphili, scaff. 61/38/4 pubblicato in Ibidem, p. 68.53 Come ad esempio quella emersa durante alcuni lavori di ristrutturazione a Palazzo

Raggi (via Doria 16).54 Cfr. Fig. 14.

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55 SERINO 2010.

Conclusioni

L’indagine storica e la ricostruzione degli ambienti del complesso abba-ziale hanno permesso di appurare la notevole importanza acquisita dalmonastero di San Martino al Cimino in seguito alla sostituzione della pri-mordiale colonia benedettina con quella cistercense. L’importanza del ce -nobio si protrasse oltre l’epoca medievale: i monaci lasciarono un’im-pronta che sopravvisse sia nell’impianto urbanistico che nella distribu-zione del sistema idrico-fognario del paese.

L’intera abbazia ed il suo circuito idraulico non furono infatti soltantoinglobati nel successivo impianto urbano, ma costituirono un vero e pro-prio punto di riferimento, a cui attenersi per lo sviluppo del borgo neisecoli successivi.

Sarebbe interessante proseguire lo studio sull’influenza esercitata dalmonastero nei secoli successivi al Medioevo anche sotto altre prospettivedi ricerca, quali l’analisi dell’uso del suolo, della viabilità e delle tecnichecostruttive55. Anche in questi campi sono infatti stati individuati segni dicontinuità che potrebbero costituire un’ulteriore testimonianza del ruolofondamentale svolto dal monastero di San Martino al Cimino per l’evo-luzione del territorio in cui sorse.

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San Martino al Cimino (VT). Dettaglio della Carta Tecnica Regionale (scala 1:10000).

L’abbazia di San Martino in cima alla ripi-da pendenza che caratterizza il paese (fotoA. Serino).

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I resti del chiostro medievale del mo -na stero di San Martino (foto A. Se ri -no).

Il Ponte Capello in località Macchia dell’Ospedale. La sua datazione al sec. XIII e la colloca-zione lungo un diverticolo di collegamento della via Ciminia al monastero permettono diipotizzarne la costruzione ad opera dei monaci di San Martino (foto A. Serino).

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Il paese di San Martino al Cimino oggi, visto dall’alto. È ben visibile la forma ellittica dellemura urbane seicentesche che circondarono il complesso abbaziale.

Complesso abbaziale di San Martino. Ricostruzione della distribuzione di alcuni ambientinel medioevo. Il dormitorio dei monaci (al piano superiore) era in origine direttamente col-legato attraverso una scaletta alla chiesa ma questa fu rimossa e spoliata nel sec. XVII.

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Il moderno Palazzo Pamphili che in epoca medievale corrispondeva al palatium parvum, uti-lizzato come magazzino ed ospedale al piano inferiore e come dormitorio dei conversi alpiano superiore (foto A. Serino).

Antico locutorium del monastero,sfondato e trasformato in corri-doio in seguito ai lavori di ri -strutturazione pamphiliani nelSeicento. (foto A. Serino).

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Pianta seicentesca dell’abbazia conservata presso l’Archivio Doria Pamphili (Banc. 59, n. 11,fol. 46). Nel lato nord del chiostro è rappresentata una cisterna sotterranea. (Petrucci 1987).

Ipotesi di ricostruzione del circuito idraulico del monastero di San Martino. I tratti a lineacontinua corrispondono alle condutture idrauliche riscontrate mentre è solamente ipotizza-to il percorso delle parti tratteggiate. (Serino 2010).

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Conduttura seicentesca sottostante l’attuale piazza dell’Oratorio (zona del chiostro medie-vale). I tre diversi rami del condotto si dirigevano rispettivamente verso il locutorium (amonte), verso Palazzo Pamphili (a valle) e verso la cucina (verso est). (foto A. Serino).

Planimetria del monastero antecedente alla sistemazione pamphiliana. All’interno dellospazio del chiostro, in basso a destra, è rappresentata una cisterna. (Petrucci 1987).

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Archivio Tecnico Comunale di Viterbo. Rilievo approsimativo della condotta fognaria sei-centesca riutilizzata in via del Macello. Il condotto scorre in senso parallelo rispetto alla viae sfocia nello strapiombo del pianoro, oltre le mura urbane, sul lato occidentale del paese.

Schema della principale rete fognaria moderna (1. via Cadorna, 2. via Doria, 3. via del Ma -cello, 4. Piazza Nazionale).

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