Reti di solidarietà e di religiosità comunali. Gli ordini del Consorzio dello Spirito Santo e...

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ESTRATTO

EDIZIONI CERM

COLLANA ATTI 03

Identità cittadine e aggregazioni sociali in Italia,secoli XI-XVConvegno di studio

Trieste, 28-30 giugno 2010

a cura di Miriam Davide

Autori Paolo Cammarosano, Miriam Davide, Alessio Fiore, Luigi Provero, Berardo Pio, Pinuccia F. Simbula, Alessandro Soddu, Simone Bordini, Stella Leprai, Marina Gazzini, Mario Gallina, Marialuisa Bottazzi.

Titolo Identità cittadine e aggregazioni sociali in Italia, secoli XI-XV

1ª edizione, giugno 2012 © 2012, CERM

Editore Centro Europeo Ricerche Medievali Viale Miramare, 317/2 – 34136 Trieste www.cerm-ts.org

Stampa Print66 - Unicolor S.p.A., Azzano X (PN)Progetto grafico Totem S.n.c., Gradisca d’Isonzo (GO)Impaginazione Elisa Furlan (Totem S.n.c.)

ISBN 978-88-95368-13-9

L’Editore è a disposizione di eventuali soggetti che vantano diritti sulle immagini utilizzate ma che non è stato possibile contattare preventivamente all’uscita del volume.

Il convegno è stato organizzato nell’ambito del finanziamento per progetti di ricerca di interesse nazionale Prin2007 (Identità cittadi- ne e aggregazioni sociali in Italia, secoli XI-XV).

Sommario

009 Presentazione Miriam Davide

Città e territorio

015 1 L’affermazione delle egemonie cittadine sui territori nell’Italia dei secoli XI-XV Paolo Cammarosano

031 2 La cittadinanza (secoli XIII-XV). Modalità di acquisizione, diritti e doveri nelle terre nordorientali d’Italia Miriam Davide

055 3 Norma della città e norma del territorio: una relazione complessa (1000-1200 c.ca) Alessio Fiore

081 4 Forme ed efficacia dei coordinamenti politici nel Piemonte del Duecento Luigi Provero

Dimensione cittadina e dimensioni regionali

103 5 La peregrinatio academica nell’età dello scisma: studenti di diritto canonico a Bologna fra XIV e XV secolo Berardo Pio

135 6 Gli spazi dell’identità cittadina tra signori e Corona nella Sardegna medievale Pinuccia F. Simbula, Alessandro Soddu

Città e famiglie

175 7 Sulle tracce di una dinastia reggiana d’età comunale: prime ricerche sui da Sesso (secc. XI-XIII) Simone Bordini

215 8 Percorsi di affermazione sociale e professionale a Parma tra XIII e XV secolo: la famiglia Cantelli Stella Leprai

Aspetti culturali e simbolici, propaganda e scrittura

243 9 Reti di solidarietà e di religiosità comunali. Gli ordini del Consorzio dello Spirito Santo e della Milizia della beata Maria Vergine Gloriosa, o dei frati Gaudenti Marina Gazzini

259 10 Dominazioni costruite, dominazioni percepite: l’urbanistica palermitana dei secoli X-XII tra architetture arabe e normanne Mario Gallina

275 11 Città e scrittura epigrafica Marialuisa Bottazzi

303 Indice analitico

Presentazione 9

Presentazione

Questo volume raccoglie gli atti del convegno “Identità cittadine e aggre-gazioni sociali in Italia, secoli XI-XV”, che si tenne a Trieste tra il 28 e il 30 giugno del 2010 nel quadro del progetto PRIN 2007. Il volume è suddiviso in quattro parti che prendono in esame i rapporti tra città e territorio, quelli esistenti tra la dimensione cittadina e le dimensioni regionali, le relazioni esistenti tra la città e le famiglie e infine gli aspetti culturali e simbolici, la propaganda e la scrittura.

Nel saggio di apertura della sezione dedicata ai rapporti tra città e terri-torio Paolo Cammarosano approfondisce il tema delle egemonie esercitate dalle città sui territori rurali in Italia nel periodo di formazione dei nuclei urbani sulla base della differenziazioni regionali e locali e della periodizza-zione. Nel co di Miriam Davide sono esaminate le modalità di concessione della cittadinanza nel Nord-Est italiano con specifici approfondimenti rela-tivi ai diritti e ai doveri ad essa connessi a Venezia, nel Patriarcato di Aqui-leia, nelle città che avevano conosciuto un maggiore sviluppo economico e sociale, in Carnia e nell’area giuliana. Una particolare attenzione è rivol-ta alle componenti minoritarie di origine italiana, lombardi e toscani, e di origine ebraica. Alessio Fiore propone una riflessione sui sistemi di norme locali che disciplinavano la vita delle città dell’Italia centrosettentrionale e sull’influenza che esercitavano sulla normativa che era in uso nel territorio rurale. Il saggio affronta il tema per la Liguria nel periodo protocomunale, tra il 1050 e il 1150, e per il Piemonte meridionale nel periodo duecente-sco. Nell’intervento successivo Antonio Provero propone una rilettura della storiografia degli ultimi trent’anni sulle forme di comunicazione politica esistenti tra città e campagna nel Piemonte del Duecento, ponendo l’accento sui meccanismi di coordinamento politico attuati in una zona che vede-va operare numerosi poteri sovralocali che interferivano e interagivano tra loro. L’azione politica delle dinastie egemoni presenti e delle città viene letta

10 Presentazione

come espressione della volontà di costruire una centralità con diverse impli-cazioni e significati che vanno dalle forme di assimilazione e di appartenen-za alle modalità di giurisdizione in uso sino all’esercizio del potere.

La seconda sezione del volume, dedicata al rapporto tra la dimensione cittadina e le dimensioni regionali, si apre con il contributo di Berardo Pio, dove è approfondito il tema dei contrasti esistenti all’interno dello Studium bolognese in seguito allo scisma d’occidente che lacerò la Cristianità occi-dentale e determinò l’insorgere di aspri conflitti tra gli intellettuali degli ordini religiosi e dei principali centri universitari. In particolare l’autore si è soffermato sugli effetti che lo scisma ebbe sul reclutamento studente-sco dello Studium, in particolare degli studenti di diritto canonico nell’ar-co temporale dal 1378 al 1417. Il secondo contributo, dovuto a Pinuccia F. Simbula e ad Alessandro Soddu affronta il tema delle origini del fenomeno urbano nella Sardegna bassomedievale, trattato sino ad oggi marginalmen-te nella storiografia che si è occupata piuttosto delle istituzioni giudicali e dell’affermazione della monarchia catalano-aragonese. Sono esaminate le realtà urbane che si andarono a costituire nella Sardegna bassomedievale nel loro processo di formazione dovuto a ceti locali e stranieri, nel periodo delle esperienze del governo comunale sino all’inquadramento nel regno catalano-aragonese con i conseguenti contrasti dovuti alla volontà di man-tenere spazi di autonomia politica ed economica.

Il primo intervento della sezione dedicata a città e famiglie si deve a Si-mone Bordini, che esamina il caso della famiglia dei Da Sesso tra l’XI e il XIII secolo documentata nel Reggiano sin dalla prima età comunale. La famiglia era destinata ad imporsi politicamente e professionalmente nell’ars giuridica tra il XII e il XIII secolo. L’autore prende in esame il ceto dirigen-te reggiano del quale i da Sesso costituivano uno delle strutture portanti durante la prima età comunale. Nel saggio successivo Stella Leprai prende in esame il percorso di ascesa sociale e politica a Parma, tra il XIII e il XIV secolo, della famiglia Cantelli, capace di mantenere una presenza stabile nelle assemblee cittadine. L’autrice si sofferma sui rapporti di tipo tecnico-professionale intrattenuti dai membri della famiglia, notai giudici e soldati, con il potere delle magistrature cittadine.

Nel primo saggio della sezione dedicata agli aspetti culturali e simbolici, alla propaganda e alla scrittura Marina Gazzini si sofferma sulle reti di soli-darietà religiosa e politica intessute nell’Italia padana del secondo Duecento da due ordini religiosi , rispettivamente la milizia della beata Vergine Glo-riosa, altrimenti detta dei frati Gaudenti, e il Consorzio dello Spirito Santo del beato Facio, ovvero dei frati della Carità o della Colombetta. L’autrice

Presentazione 11

approfondisce le scelte effettuate per agevolare il rafforzamento dell’egemo-nia politica e sociale dei gruppi dirigenti e esamina l’apporto dato all’affer-mazione dei nuovi ceti in ascesa fondato su una trama di relazioni che sono garantite dall’associazionismo laico e religioso.

Mario Gallina propone una riflessione sull’urbanistica della Palermo tra il X e il XII secolo nel cambio delle architetture dapprima arabe e poi normanne attraverso l’analisi delle fonti arabe e latine, focalizzando l’atten-zione sui meccanismi di percezione delle dominazione e sull’uso degli spazi urbani che la stessa imponeva. Nell’ultimo saggio del volume Marialuisa Bottazzi prende in esame la produzione epigrafica prodotta nei centri ur-bani durante la prima metà del XII analizzando in particolare le scritture concepite per essere apposte sulle porte cittadine di Genova, Milano, Pisa, Viterbo, centri che conobbero una ricca tradizione epigrafica e rappresenta-no un campione indicativo dell’Italia comunale.

Miriam Davide

Aspetti culturali e simbolici, propaganda e scrittura

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9 Reti di solidarietà e di religiosità comunali. Gli ordini del Consorzio dello Spirito Santo e della Milizia della beata Maria Vergine Gloriosa, o dei frati Gaudenti

Marina Gazzini

1. Le ragioni di una ricercaNel presente contributo esporrò alcune osservazioni in merito alle reti

intessute nell’Italia padana di secondo Duecento da due ordini religiosi, la Milizia della beata Maria Vergine Gloriosa, detta anche dei frati Gaudenti, e il Consorzio dello Spirito Santo del beato Facio, ovvero dei frati della Carità o della Colombetta. Si tratta di parte dei risultati derivanti dalle ricerche che nel corso degli ultimi anni ho condotto sull’intreccio di solidarietà religiose e politiche, fondate sulla trama di relazioni garantite dall’associazionismo laico-religioso.

L’analisi delle numerose formazioni religiose dal carattere “militante”, le varie Società della Fede, della Pace, della Croce, dello Spirito Santo, di Gesù Cristo, della Vergine, che sorsero numerose a partire dagli anni trenta del Duecento, per intensificarsi in numero e pervasività d’azione intorno agli anni sessanta del medesimo secolo, ha messo in evidenza come molti di questi raggruppamenti fossero inseriti in un sistema reticolare di rapporti sovralocali, cementati dal comune riferimento a finalità e ideali pacificato-ri, anti-ereticali e caritativi. In particolare, lo studio sulla nascita e prima diffusione del Consorzio dello Spirito Santo e della Milizia gaudente ha mo-strato come i frati di questi due ordini, girando di sede in sede, seguendo percorsi in parte autonomi, in parte agganciati ai circuiti dei Mendicanti e del funzionariato politico itinerante, facessero circolare forme di devozione e di solidarietà, così come modelli di santità e di civismo. I collegamenti che tramite questo scambio di esperienze si instauravano fra sede e sede, e quin-

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di fra città e città (perché al pari dei Mendicanti i due ordini in questione si installarono in contesti urbani o semi-urbani) risultano inseriti nel quadro di avvenimenti di ampio respiro, come il dissidio fra l’impero e il Papato, cui si aggiunse nel secondo Duecento il nuovo polo angioino, l’espansione (e poi la crisi) del mondo comunale, le vicende dell’oltremare latino e la connessa evoluzione dello spirito di crociata, lo sviluppo di movimenti religiosi dalla forte partecipazione laicale, maschile e femminile, spesso ai confini dell’or-todossia cattolica 1.

Le ricerche intorno ai fratres del Consorzio dello Spirito Santo e della Vergine Gloriosa, e alle loro reti saldamente agganciate ad altri network re-ligiosi e politici, sono state sicuramente facilitate (e in un certo modo sug-gerite) dalla maturazione in tempi recenti di forti interessi storiografici in-centrati sui circuiti di circolazione degli ufficiali pubblici 2, sui temi della propaganda politica 3, sui significati sottesi all’ideologia e alle pratiche della pace 4 e, sul versante speculare, della guerra 5, sui discorsi e le pratiche del bene comune 6, e infine sulla nascita e definizione delle partes guelforum et ghibellinorum nelle città bassomedievali 7. Tali filoni di indagine sono serviti a individuare caratteristiche di questi piccoli ordini religiosi che in passato erano state trascurate, come ad esempio proprio quello dei collegamenti in-tercittadini attivi su più livelli, e hanno consentito di sciogliere alcuni nodi

1 Per un inquadramento storico vd. É. Crouzet Pavan, Inferni e paradisi. L’Italia di Dante e Giotto, Roma, 2007. Su queste societates della fede mi permetto di rimandare al mio Confraternite e società cittadina nel medioevo italiano, Bologna, 2006, parte II.2 I podestà dell’Italia comunale, parte I, Reclutamento e circolazione degli ufficiali forestieri (fine XII sec.- metà XIV sec.), a cura di J.-Cl. Maire Vigueur, Roma, 2000 (Collection de l’École Française de Rome 268).3 Le forme della propaganda politica nel Due e nel Trecento, a cura di P. Cammarosano, Atti del Convegno, Trieste 2-5 marzo 1993, Roma, 1994 (Collection de l’École Française de Rome 201).4 Prêcher la paix et discipliner la société. Italie, France, Angleterre (XIIIe-XVe siècles), a cura di R.M. Dessì, Turnhout, 2005 (Collection d’études médiévales de Nice, 5); La pace tra realtà e uto-pia, “Quaderni di storia religiosa”, XII (2005); Paroles de paix en temps de guerre, a cura di S. Caucanas, R. Cazals, N. Offenstadt, Toulouse, 2006.5 Conflitti, paci e vendette nell’Italia comunale, a cura di A. Zorzi, Reti medievali, E-Book 14 Firenze, 2009, URL: http://fermi.univr.it/rm/e-book/titoli/zorzi.htm; J.-Cl. Maire Vigueur, Ca-valiers et citoyens. Guerre, conflits et société dans l’Italie communale (XIIe-XIIIe siècles), Editions de l’EHESS, Paris, 2003, (trad. italiana: Cavalieri e cittadini. Guerra, conflitti e società nell’Italia comunale, Bologna, 2004).6 De Bono Communi. The Discourse and Practice of the Common Good in the European City (13th -16th c.), a cura di E. Lecuppre-Desjardin, A.L. Van Bruaene, Turnhout, 2010.7 R.M. Dessì, I nomi dei guelfi e dei ghibellini da Carlo I d’Angiò a Petrarca, in Guelfi e ghibellini nell’Italia del Rinascimento, a cura di M. Gentile, Roma, 2005, pp. 3-78.

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interpretativi in merito al ruolo dei fratres, in passato giudicato con qualche perplessità, senza tuttavia pervenire – lo anticipo – a soluzioni univoche. La difficoltà maggiore (ma anche lo stimolo principale) che lo studio delle reti del Consorzio dello Spirito Santo e della Milizia gaudente ha presentato è consistita infatti nell’impossibilità di inquadrare, onde comprenderne me-glio natura e significato, tali movimenti in quegli schemi che la storiografia ha necessariamente elaborato per interpretare la magmatica situazione poli-tica, istituzionale, sociale e religiosa del pieno e tardo Duecento (e anche del primo Trecento). Le biografie di questi fratres e milites costringono infatti a tutt’oggi a più di un equilibrismo interpretativo, mai del tutto soddisfacente. Chi erano e cosa facevano i compagni di Facio e i frati Gaudenti? Che tipo di reclutamento perseguivano? ampio o di parte? locale o sovralocale? Si occupavano di carità e di fede, o anche di politica? Parlando quali linguaggi e condividendo quali valori? Sono queste le domande con le quali mi con-fronterò nelle pagine che seguono.

2. RetiAvendo già avuto modo di soffermarmi in altre sedi sulla storia di questi

due piccoli ordini religiosi, mi limiterò ora a ricordarne i tratti e le vicende essenziali. L’ordo Spiritus Sancti qui dicitur fratrum de Consorcio, quasi omo-nimo del più celebre ordine ospedaliero di Santo Spirito con il quale tuttavia nulla ebbe a che fare, nacque a Cremona negli anni cinquanta del Duecento a seguito delle iniziative religiose e caritative di un orefice originario di Ve-rona, Facio, che coagulò intorno a sé gli interessi di quella parte del clero e della popolazione cremonese avversa alla pars nobilium 8. Il gruppo di laici devoti che affiancarono Facio veniva indicato nelle fonti come ordo, termine che va inteso in maniera informale, ovvero come un esempio di vita per laici alla ricerca di una religiosità, simile ad altri ordini «penitenziali a struttura confraternale» del periodo 9. Discepoli di un artigiano fattosi religioso, vene-rato presto come santo, e reclutati per lo più nel mondo dei mestieri e delle professioni, i fratres del Consorzio si mossero in significativa coincidenza con l’affermazione in loco di forze politiche popolari: da Cremona, parti-

8 Cfr. A. Vauchez, Sainteté laïque au XIIIe siècle: la vie du Bienheureux Facio de Crémone (v. 1196-1272), in «Melanges de l’École française de Rome. Moyen Age et Temps moderns», 84 (1972), pp. 13-53 (poi in Id., Religion et société dans l’Occident médiéval, Torino, 1980, pp. 171-211).9 La definizione è di G.G. Merlo, ‘Militare per Cristo’ contro gli eretici, in Id., Contro gli eretici. La coercizione all’ortodossia prima dell’Inquisizione, Bologna, 1996, pp. 11-49 (p. 38), che la conia per la Milizia di Gesù Cristo di Parma, antesignana della Milizia della beata Vergine Gloriosa di cui tratto in seguito.

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rono infatti alla volta di Parma e Piacenza 10, e poi in altri centri lombardi ed emiliani, dove combatterono gli eretici, fondarono ospedali, erogarono elemosine e assolsero in ambito pubblico a quei compiti amministrativi che venivano spesso affidati ai frati dell’ordine della Penitenza, nel cui ampio alveo essi si riconoscevano 11.

Quasi nei medesimi anni prendeva avvio in Emilia l’ordo Militiae beatae Mariae Virginis Gloriosae. In questo caso si trattò di un’iniziativa presa in maniera collegiale da alcuni cittadini di Bologna, Modena, Reggio e Parma accomunati dall’esercizio della politica di professione (alcuni furono pode-stà e rettori comunali) o comunque dalla gravitazione intorno agli ambienti del governo cittadino. Nel 1261 essi presentarono a Urbano IV una propria regola nella quale si riproponevano di assistere i poveri, di combattere l’ere-sia e di intervenire nelle lotte cittadine per sedare le discordie e riportare la pace. Il pontefice accettò volentieri l’iniziativa che ricordava quella della Milizia di Gesù Cristo di Parma, voluta nel 1234 da Gregorio IX in funzione anti-federiciana (ma esauritasi in fretta senza essere mai veramente decolla-ta), e la formalizzò entro i ranghi di un ordine religioso-militare. I frati della Milizia della Vergine Gloriosa furono vicini alla spiritualità mendicante, da cui ripresero la devozione per il culto di Maria e il tema del gaudium, della gioia per la visione divina, da cui trassero il proprio appellativo di gauden-tes. Minori e Predicatori fornirono inoltre appoggi materiali: fu un france-scano a presentare in Curia la loro regola per la sua approvazione, furono i domenicani a ospitare le prime riunioni dell’ordine. La Milizia si espanse ra-pidamente al di fuori dell’iniziale contesto emiliano-romagnolo verso l’area veneta, lombarda, toscana e umbra, seguendo in prima battuta gli itinerari tracciati dai percorsi delle carriere politiche dei suoi fondatori 12.

A proposito della diffusione di queste iniziative, caratterizzate fin dagli esordi da una volontà di proiezione sovralocale, è possibile parlare di “reti” perché è effettivamente documentabile l’esistenza di un sistema reticolare di

10 Fondamentale ancora il confronto tra le diverse realtà urbane offerto da J. Koenig, Il “popolo” dell’Italia del Nord nel XIII secolo, Bologna, 1986. Il rapporto tra la diffusione dei fratres e la pre-senza di regimi popolari è analizzato al paragrafo 2 del presente contributo.11 M. Gazzini, Il consortium Spiritus Sancti fra Due e Trecento, in Il buon fedele. Le confrater-nite tra medioevo e prima età moderna, “Quaderni di storia religiosa”, 5 (1998), pp. 159-194 (ora in Ead., Confraternite e società cittadina cit., pp. 157-196, da cui citiamo).12 M. Gazzini, Fratres e milites tra religione e politica. Le milizie di Gesù Cristo e della Vergine nel Duecento, in “Archivio Storico Italiano”, 162 (2004), pp. 3-78 (ora in Ead., Confraternite e socie-tà cittadina cit., pp. 85-155, da cui citiamo).

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relazioni tra le diverse sedi. Le domus dei due ordini mantennero infatti co-stanti rapporti che si manifestavano ad esempio nella continua circolazione dei fratres, nell’ospitalità destinata ai forenses dello stesso ordo vel habitus, nella collaborazione alla gestione dei beni immobiliari e fondiari qualora questi si trovassero nel territorio di pertinenza di una delle altre case, nella comune conservazione di documenti destinati a una domus ma importanti per la vita di tutto l’ordine, nella considerazione dei benefattori, nella par-tecipazione alle riunioni capitolari, nell’uniformità delle regole seguite 13. Di vere reti dunque si trattava, in quanto erano caratterizzate da collegamenti tra le rispettive domus che non si limitavano all’esportazione/imitazione di un modello e nemmeno ad una semplice derivazione per filiazione, ma si alimentavano di una continuità di scambi, reciproci e incrociati. Le domus del Consorzio dello Spirito Santo e della Milizia gaudente si distinguevano così ad esempio dai sodalizi collegati a movimenti penitenziali di larga dif-fusione, come quello coevo dei Flagellanti, i quali più che «reti» formarono dei «cordoni», per usare un’altra metafora, lungo i quali si trasmettevano modelli di religiosità e corpora di scritti (dagli statuti alle laudi) senza però giungere a un coordinamento tra le diverse comunità 14.

Le reti dello Spirito Santo e della Vergine Gloriosa corsero vicine e co-eve ma parallele, senza mai intersecarsi. Diversi erano infatti i segmenti di popolazione cui essi si rivolgevano, e differenti furono i network intra- e sovra-cittadini (poggianti su parrocchie, conventi, società a base territo-riale, parentele, familiae podestarili) cui fecero ricorso. Le reti erano un mezzo ed un fine al tempo stesso. Collegarsi a delle reti serviva a radicare fortemente in loco le nuove esperienze, contando su canali relazionali già consolidati, e a dare ampio respiro ai progetti assistenziali e devozionali. Tramite queste reti si mantenevano vive le forti motivazioni delle origi-ni: lo spirito solidaristico e caritativo (in particolare a favore dei poveri “vergognosi”, dei malati, dei carcerati, dei pellegrini), l’impegno contro gli eretici, la difesa della Chiesa di Roma, della sua fede cattolica e delle sue li-bertates, l’affermazione della pace e della giustizia. La nozione di giustizia fatta propria da questi ordini era infatti strettamente collegata al tema del-la pace sociale e civile, così come alla carità messa in circolo grazie alla ric-chezza e al potere, alla maniera che vediamo illustrata iconograficamente

13 Esempi in M. Gazzini, Il consortium Spiritus Sancti in Emilia, passim.14 M. Gazzini, Reti confraternali nell’Italia dei comuni tra fermenti religiosi e solidarietà politi-co-sociali, in La città e le reti, a cura di É. Crouzet-Pavan, M. Folin, J.Cl. Maire Vigueur, Atti del Convegno, Milano, 20 febbraio 2009 [in corso di stampa]

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da Giotto a Padova nella cappella di Enrico Scrovegni, frate gaudente che ambì al governo cittadino 15.

Le reti intessute dai fratres dello Spirito Santo e della beata Vergine Glo-riosa si mossero dunque fondamentalmente all’interno di istanze di ispira-zione religiosa – la carità, la fede, l’ortodossia, la pace – ma, come il riferi-mento a questi stessi concetti lascia trasparire, seppero veicolare aspirazioni di carattere non solo religioso, che riflettevano da un lato gli interessi delle chiese e dei ceti più attivi a livello locale, e dall’altro quelli del Papato, allora impegnato nella costruzione di un asse politico a sé favorevole.

3. IdentitàIndividuare reti di solidarietà e di religiosità comunali ha significato

anche cogliere nessi imperniati sull’appartenenza a determinate identità, spesso tra loro contrapposte che, semplificando, indicherei rappresentate dai binomi milites/populares, guelfi/ghibellini, e, tenendo conto anche de-gli approcci antropologici utili allo studio delle comunità religiose, maschi/femmine.

La rete intessuta dal Consorzio dello Spirito Santo è definibile quale rete “di Popolo”. L’ordine trovò infatti adesioni soprattutto nel mondo degli ar-tigiani devoti alla figura dell’orefice Facio, definito non a caso dalla storio-grafia specialistica proprio come “santo laico de populo” 16, e si diffuse ini-zialmente in ambienti di Popolo: a Cremona il Consorzio stesso nacque in antagonismo ad un’omonima società nobiliare e filo-ghibellina eretta nella cattedrale; a Parma giunse sotto il governo di Giberto della Gente, asceso al potere nel 1253 grazie alla concentrazione delle cariche di podestà del Popolo, della Mercadanza (la federazione delle arti locali) e del comune; a Piacenza, infine, il Consorzio si installò e proliferò sotto Ubertino Landi, che tra il 1261 e il 1267 fu il riconosciuto capo della fazione di Popolo loca-

15 C. Frugoni, L’affare migliore di Enrico. Giotto e la cappella degli Scrovegni, Torino, 2008; A. Zorzi, Bien Commun et conflits politique dans l’Italie communale, in De Bono Communi. The Discourse and Practice of the Common Good cit., pp. 267-290 (p. 280).16 A. Vauchez, Une nouveauté du XIIe siècle: les saints laïcs de l’Italie communale, in L’Europa dei secoli XI e XII fra novità e tradizione: sviluppi di una cultura, Atti della X Settimana interna-zionale di studio, Mendola 25-29 agosto 1986, Milano, 1989, pp. 57-80 (p. 79) (poi tradotto in Id., Esperienze religiose nel Medioevo, Roma, 2003, pp. 27-50); Id., Comparsa e affermazione di una religiosità laica (XII secolo-inizio XIV secolo), in Storia dell’Italia religiosa, a cura di G. De Rosa, T. Gregory, A. Vauchez, 1. L’antichità e il Medioevo, Roma-Bari, 1993, pp. 397-425.

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le 17. Tipiche delle società afferenti al Popolo appaiono inoltre le logiche di reclutamento dell’ordine. Come appare ben evidente dalla matricola della filiale piacentina del Consorzio, che nel 1268 enumera circa 800 confratelli elencandoli per residenza, il reclutamento dei fratres e delle sorores avveniva su basi territoriali, vicinia per vicinia 18. La maggior parte di questi iscrit-ti, inoltre, risulta appartenere ai ceti delle professioni artigiane, mercantili, giuridiche, una connotazione sociale che troviamo confermata anche negli altri centri di diffusione dell’ordine. Come il Popolo, tuttavia, il Consorzio non escluse al suo interno la presenza di elementi dell’aristocrazia feudale, e sempre come il Popolo si collegò a famiglie di fede guelfa come ghibellina: a Cremona si mosse inizialmente all’interno della pars Ecclesiae – si è scritto delle sue origini in duplice funzione anti-nobiliare e anti-ghibellina – per aprirsi però presto, nel momento di immissione in contesti più ampi, anche alla pars Imperii: sempre nella matricola piacentina sono ad esempio elencati membri di importanti famiglie cittadine afferenti tanto allo schieramento guelfo (Scotti, Fulgosi, Arcelli, Fontana) quanto a quello ghibellino (Landi, Anguissola, Cuppalata).

La Milizia, invece, attrasse tra i suoi ranghi esponenti dell’aristocrazia comunale individuandoli, per lo meno nella fase iniziale di cui ci stiamo oc-cupando, non su base topografica ma su base familiare, accogliendo prefe-ribilmente elementi che avessero competenze nel governo cittadino. I nomi dei fondatori sono eloquenti in proposito: si tratta dei bolognesi Loderingo degli Andalò, Gruamonte Caccianemici e Ugolino Caprizio dei Lambertini, del reggiano Schianca dei Liazari, del modenese Rainerio Adelardi, del par-migiano Fisaimone Baratti, e infine dei fratelli Bernardo e Egidio da Sesso. Andalò, Caccianemici, Lambertini, Liazari, Adelardi, Baratti, da Sesso 19: sono tutte casate dell’aristocrazia comunale emiliana, di parte guelfa come ghibellina, di provata esperienza politica. Non è un caso che le principali tappe delle carriere podestarili e degli altri pubblici incarichi rivestiti dai frati Gaudenti, prima e dopo la loro adesione alla Milizia della Vergine (ov-vero le città di Bologna, Modena, Reggio, Parma, Piacenza, Cremona, Faen-

17 M. Gazzini, Reti confraternali nell’Italia dei comuni cit.18 G. Tammi, Il codice del Consorzio dello Spirito Santo in Piacenza (1268), Piacenza, 1957.19 Salimbene de Adam, Cronica, ed. a cura di G. Scalia, Roma-Bari, 1966, 2 voll., II, pp. 678-679; D.M. Federici, Istoria dei Cavalieri Gaudenti, Venezia, 1787, 2 voll., II, doc. XVIII: 1261 dicembre 23, Viterbo, bolla Sol ille verus edita poi, con commento da G.G. Meersseman, Règle de la Milice de la Vierge par Rufin Gurgone OFM (1261), in Id., Dossier de l’ordre de la Pénitence au 13ème siècle, Fribourg (Ch) 19822, pp. 295-307.

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za, Firenze, Siena) abbiano coinciso con i luoghi di espansione dell’ordine da loro fondato 20. I legami intessuti a livello politico da questi personaggi servirono senz’altro a garantire adesioni e appoggi al progetto della rete gau-dente, un progetto che riusciva funzionale al Papato – che difatti fu pronto a concedere al gruppo lo status di ordine religioso-militare – ma anche alle mire espansionistiche del comune di Bologna (per lo meno nella prima fase in cui prevalsero all’interno dell’ordine elementi bolognesi), ed infine alle aristocrazie comunali più conservatrici, che vedevano la loro affermazio-ne in seno ad una realtà oligarchica e che, più o meno consapevolmente, si opponevano all’emergere di poteri alternativi, in parte popolari, in parte signorili monocratici, uno sforzo di conservazione politica che ben si coniu-gava alla conservazione religiosa.

A questo punto è doveroso un chiarimento sull’uso del binomio guelfo/ghibellino da me fatto in questa sede. Né i fratres del Consorzio né i fratres milites della Beata Vergine si presentano mai esplicitamente come “guelfi” o come “ghibellini”: se finora li ho indicati in modo tale è stato solo per comodità. Essi si qualificavano piuttosto come Christi fideles, come cruce-signati che combattevano contro gli eretici e contro i nemici della Chiesa. Quali individui, quali gruppi, quali parti si collocassero in queste categorie era a loro evidente e non necessitava di specificazioni. Per loro era chiaro comunque che due erano le alternative: o si stava con la Chiesa, o si stava contro di essa. Siamo infatti negli anni cinquanta-sessanta del Duecento, ovvero proprio nel periodo in cui la parte di chi stava con la Chiesa e la parte di chi stava contro di essa diedero origine a coordinazioni sovracitta-dine poggianti su specifiche identità che si cominciò a indicare come guelfa, nel primo caso, e come ghibellina nel secondo 21. Sebbene il consolidamento della parte guelfa fosse funzionale all’affermazione dei progetti politici del Papato di egemonia sull’Italia settentrionale, l’appropriazione delle istanze ad essa relative da parte di Carlo d’Angiò fece adottare ai pontefici un at-teggiamento pacificatorio super partes, per proporsi implicitamente in un ruolo dominante rispetto all’Angiò. Spieghiamo così la scelta da parte di Clemente IV di affidare nel 1266 il governo di Firenze a due frati gaudenti, i bolognesi Loderingo degli Andalò e Catalano di Guido di donna Ostia (che erroneamente è passato alla storia come un Malavolti), noti per rappre-sentare entrambi gli schieramenti di parte: era lambertazzo, traducibile con

20 M. Gazzini, Fratres e milites tra religione e politica cit., pp. 134 ss.21 R.M. Dessì, I nomi dei guelfi e dei ghibellini cit., pp. 14 ss.

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ghibellino, il primo; era geremeo, cioè guelfo, il secondo. In coppia avevano già retto Bologna nel 1265 22, prima di passare a Firenze dove, nel difficile e ambiguo tentativo di mediare fra le parti avverse locali ma anche fra queste e il papa, si attirarono quel discredito generale che avrebbe poi portato sia Dante Alighieri sia Giovanni Villani a citarli come esempio, a loro giudi-zio esecrabile e funesto, di “doppiezza” 23. Ma proprio questa ambivalenza, e non solo l’appartenenza a un ordine religioso, era stata la ragione della loro nomina da parte di Clemente IV. È oltremodo significativo che il pon-tefice nella lettera di incarico che scrisse ai due religiosi consentendo loro l’intromissione negli affari secolari – in deroga a un divieto presente nella loro regola – affermasse che essi avrebbero dovuto perseguire il nobile fine di riportare la pace tra intrinseci ed extrinseci fiorentini 24, come a indicare una contrapposizione contingente tra due fazioni cittadine, superabile col ritorno in città dei fuorusciti, e non differenze insormontabili di contrappo-sizione politica 25. Con il riferimento ad una strategia pontificia che elaborò un sistema “includente”, a fronte di quello “escludente” dell’Angiò, che di fatto demonizzò i ghibellini 26, motiviamo dunque la presenza “bipartisan” nella Milizia della beata Maria Vergine Gloriosa, ma anche nel Consorzio dello Spirito Santo come descritto in precedenza, di esponenti di famiglie che la logica degli interessi locali faceva guardare tanto allo schieramento anti-imperiale quanto a quello filo-imperiale.

Rimanendo sul piano delle inclusioni/esclusioni, si può osservare che entrambi gli ordini contemplavano la presenza di sorores accanto ai fratres. Tuttavia, la partecipazione femminile rivestì un peso ben diverso nell’uno o nell’altro caso. La Milizia della Vergine Gloriosa consentiva l’associazione di donne, ma solo nel caso in cui queste fossero coniugate ai fratres cavalieri.

22 E sempre in coppia vi sarebbero tornati nel 1267. Cfr. L. Gatto, Andalò, Loderengo, in Dizio-nario biografico degli italiani, III, Roma, 1961, pp. 50-52; G. Ortalli, Catalano, ibid., XXII, Roma, 1979, pp. 276-278.23 D. Alighieri, Commedia, Inferno, ed. a cura di E. Pasquini e A. Quaglio, Milano, 1984, canto XXIII, vv. 73-144 (vv. 103-108); G. Villani, Nuova Cronica, ed. a cura di G. Porta, Parma, 1990-91, libro VIII, cap. 13. Cfr. F. Bruni, La città divisa. Le parti e il bene comune da Dante a Guicciardini, Bologna, 2003, pp. 107 ss.24 D.M. Federici, Istoria dei Cavalieri Gaudenti, II, doc. XXIII: 1266 maggio 12, Viterbo. Cle-mente IV, sollecitato dagli extrinseci della città di Firenze, scrive ai fratres Loderingo e Catalano, entrambi dell’Ordo Militiae Virginis Gloriosae, affinché assumano il governo della città toscana.25 R.M. Dessì, I nomi dei guelfi e dei ghibellini cit., p. 21.26 Si veda in proposito lo schema evolutivo tracciato da S. Raveggi, L’Italia dei guelfi e dei ghi-bellini, Milano, 2009, pp. 12 ss.

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La regola dei frati Gaudenti prevedeva infatti la presenza tra i fratres milites sia di fratres conventuales, chierici e laici, sia di fratres coniugati, ovviamente solo laici, prescrivendo per i primi voto di castità, comunità di beni e resi-denza comune «in conventibus seu in conventualibus ecclesiis dicti ordinis», per i secondi l’adesione a una forma di vita non regolare sotto l’obbedienza dei loro priori e prelati e la dimora «in domibus propriis» qualora già coniu-gati o intenzionati a sposarsi in futuro. La presenza femminile nella Milizia era dunque limitata alle mogli dei fratres.

Nel Consorzio dello Spirito Santo invece non solo le sorores entravano anche se non coniugate, ma in alcuni casi sceglievano di iscriversi indipen-dentemente dalle scelte associative dei componenti maschili della propria famiglia che potevano indirizzarsi altrove. La già citata matricola della filia-le piacentina nel 1268 registra una fortissima adesione femminile: l’81% de-gli 800 iscritti è rappresentato infatti da donne. Alcune erano mogli, vedove o figlie di uomini importanti; altre invece erano umili lavoratrici ricordate proprio solo per il mestiere praticato e non per l’appartenenza familiare 27. “Esserci” non coincide necessariamente con “valere” – come è stato notato a proposito della presenza femminile nell’ambito di altre associazioni, quali le corporazioni 28 – e infatti le donne nel Consorzio piacentino, pur predo-minanti, non comandavano. Ma l’iscrizione al Consorzio era comunque da loro ricercata in maniera consapevole. Le donne piacentine paiono così pronte ad inserirsi nei nuovi spazi che la Chiesa del tempo aveva aperto al laicato nel tentativo di sottrarre al fronte filo-imperiale nuovi segmenti della popolazione 29, e lo fecero in maniera non passiva, a seguito dei familiari, ma nella coscienza individuale di acquistare “qualcosa”.

Attraverso l’adesione a queste formazioni uomini e donne rinegoziavano infatti il loro ruolo nel secolo: non solo coltivavano lo spirito ma realizzava-no anche opere concrete, di carità e di solidarietà che andavano a beneficio tanto dell’individuo, quanto del gruppo e della società, maturando così re-

27 Per considerazioni sul ruolo femminile sia nella confraternita sia nel mondo lavorativo pia-centino cfr. M. Gazzini, Donne e uomini in confraternita. La matricola del Consorzio dello Spirito Santo di Piacenza (1268), in «Archivio Storico per le Province Parmensi», IV s., LII (2000), pp. 253-274.28 A. Groppi, Il lavoro delle donne: un questionario da arricchire, in La donna nell’economia, secc. XIII-XVIII, a cura di S. Cavaciocchi, Istituto internazionale di storia economica “F. Datini” di Prato, Atti del Convegno, Prato 10-15 aprile 1989, Firenze, 1990, pp. 143-154 (p. 145).29 J.-Cl. Maire Vigueur, Religione e politica nella propaganda pontificia (Italia comunale, pri-ma metà del XIII secolo), in Le forme della propaganda politica nel Due e nel Trecento cit., pp. 65-83.

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sponsabilità sociali e identità civili 30. Non era infatti un dato scontato che vivere all’interno di una determinata comunità significasse anche essere considerati di utilità sociale, per quanto si svolgessero lavori indispensabili, e che quindi si venisse riconosciuti degni di determinati diritti 31. Bisognava partecipare al bene comune. Ad alcuni poteva bastare la tradizionale fun-zione pacificatrice coltivata all’interno dei gruppi confraternali, che serviva a risolvere le liti sorte fra i soci senza ricorrere alla giustizia ordinaria, e che diventava una palestra per far capire ai singoli quanto grande fosse la loro responsabilità personale nel mantenimento della pace pubblica. Altri, inve-ce, ambivano a qualcosa di più, ad essere virtuosi promotori del bene comu-ne intervenendo nella vita politica della città. Tutti erano comunque infarci-ti della retorica religiosa confraternale dell’armonia, della pace, dell’amore e del bene, che ben si coniugava alla retorica laica del buon vivere civile 32.

4. Lessici e strumenti concettualiLungo le reti dipanate dagli ordini del Consorzio dello Spirito Santo e della

Vergine Gloriosa circolavano dunque anche lessici e strumenti concettuali de-stinati a istruire comportamenti individuali e collettivi. Sotto il vessillo della Vergine e dello Spirito Santo – temi spirituali all’epoca comuni, richiamantisi agli ambienti mendicanti e al profetismo apocalittico 33 – questi fratres parla-vano di pace, concordia, fede, carità, onestà, disprezzo delle vanità del mon-do, ma anche di bene comune e di giustizia. Condividevano quindi parole e ideali propri non solo all’ambito religioso. Sicuramente fra questi il tema più versatile era il riferimento alla pace. Dal momento che la pace è un concet-to “polisemico” 34 e duttilmente adattabile, dobbiamo verificare quale fosse la pace propugnata dai fratres lungo le due reti, e come venisse propagandata.

30 G. Rosser, Finding Oneself in a Medieval Fraternity: Individual and Collective Identities in the English Guilds, in Mittelalterliche Bruderschaften in europäischen Städten. Funktionen, Formen, Akteure/ Medieval Confraternities in European Towns. Functions, Forms, Protagonists, a cura di Monika Escher-Apsner, Frankfurt am Main, Berlin, Bern, Bruxelles, New York, Oxford, Wien, 2009, pp. 29-46.31 G. Todeschini, Come giuda. La gente comune e i giochi dell’economia all’inizio dell’epoca moderna, Bologna, 2011, pp. 255 ss.32 M. Gazzini, L’associazionismo religioso laicale, in „Beata civitas“. Pubblica pietà e devozioni private nella Siena del ‘300, a cura di A. Benvenuti, Atti del Convegno, Siena, 28-30 ottobre 2010 [in corso di stampa].33 B. Töpfer, Il regno futuro della libertà. Lo sviluppo delle speranze millenaristiche nel medio-evo centrale, Genova, 2000.34 M.Cl. Rossi, Polisemia di un concetto: la pace nel basso medioevo. Note di lettura, in La pace fra realtà e utopia cit., pp. 9-45.

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Anche in questo caso si notano differenze sostanziali. Tramite le pratiche elemosiniere ed ospedaliere, e con un’apertura associativa a 360 gradi, anche se ovviamente condizionata al rispetto di determinati comportamenti, i frati del Consorzio dello Spirito Santo predicavano l’unione sociale e recuperava-no consensi contro i perturbatori dell’ordine, come heretici et persecutores Ecclesie libertatis. I frati del Consorzio, al pari di tutti i Penitenti, aborrivano l’uso della violenza, riuscendo a ottenere in alcuni contesti, come a Parma, l’esenzione dal servizio nell’esercito comunale 35. I fratres milites della Vergine Gloriosa, invece, sebbene la regola che seguivano raccomandasse l’astensione dalla violenza, si servivano anche delle armi, se specialiter demandatum dalla Chiesa romana, e degli strumenti politici messi a disposizione dalle istituzio-ni pubbliche, non solo pro defensione catholice fidei et ecclesiastice libertatis, ma anche pro sedandis tumultibus civitatum 36. E pro bono statu et pacifico ci-vitatis Bononie dichiaravano di agire i frati gaudenti Loderingo degli Andalò e Catalano di Guido di donna Ostia quando nell’aprile del 1265, eletti pode-stà a Bologna, riformarono gli statuti municipali 37. La regola della Milizia della Vergine imponeva, in nome della pace, l’astensione dai pubblici uffici (e specificatamente da podesterie e altri uffici pertinenti al governo comunale) e dalle assemblee comunali, a meno che all’ordine del giorno non vi fossero questioni relative alla fede, alle libertà ecclesiastiche, alle opere di pietà, o alla pace appunto. In contrasto a tali prescrizioni, ma in maniera coerente e consequenziale alla carriera politica precedentemente avviata, Loderingo e Catalano legiferarono in tema di guerra e di pace 38, e istituirono un corpo di 1200 cittadini armati da utilizzare nei momenti di disordine. La pace per la quale si adoperano i due frati non è dunque da intendersi quale valore trascendente, ma quale elemento concreto da opporsi a uno dei principali mali della società, la discordia civile: essi ricercavano una “vittoria sulla di-scordia”, secondo la tradizione ciceroniana, ripresa in seguito da Marsilio da Padova, più che una tomistica ’“assenza di discordia” 39.

35 Un privilegio di breve durata: cfr. M. Gazzini, Confraternite e assistenza tra devozione e civismo, in Storia di Parma, vol. III, Parma medievale, a cura di R. Greci, tomo II, Parma, 2011 [in corso di stampa].36 G.G. Meersseman, Règle de la Milice de la Vierge cit., pp. 298-299, cap. 23 e 24.37 Statuti di Bologna dall’anno 1245 all’anno 1267, a cura di L. Frati, Bologna, 1877, III, Statuta fac-ta per dominos fratres Loderengum de Andalo et Catalanum domini Guidonis domine Hostie, or-dinis Militie b. Marie Virginis gloriose [sub anno MCCLXV die quinto exeunte aprili], pp. 581-651.38 Cfr. M. Gazzini, I Disciplinati, la milizia dei frati Gaudenti, il comune di Bologna e la pace cittadina: statuti a confronto (1261-1265), in “Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria”, CI (2004), pp. 419-437.39 A. Boureau, La religion de l’État. La construction de la République étatique dans le discours

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Oltre che di pace, i due frati gaudenti riformando gli statuti bolognesi dichiaravano di volersi occupare anche di bene cittadino. Eppure, sia tra i contemporanei, sia tra i posteri (che però avevano davanti agli occhi i di-scendenti dei primi fratres gaudentes i quali, oggettivamente, si discostaro-no dall’etica originaria del gruppo), Loderingo e Catalano, così come i loro confratres, si fecero la fama di uomini “avarissimi”, rapaci dei beni altrui 40, di ipocriti attenti “più al guadagno loro propio ch’al bene comune” 41. La condanna più che morale, appare in primis politica. L’azione dei frati gau-denti, nella loro veste di podestà e di rettori cittadini, sembra in effetti avere mirato al “bene del comune”, e quindi della parte che al momento lo gover-nava, più che al “bene della comunità”, come si sarebbe chiarito pochi anni più tardi nelle opere di Remigio de’ Girolami 42.

Come conciliare d’altronde il ruolo rivestito all’interno della comuni-tà dai frati di queste formazioni penitenziali con la costante ricerca di im-munità (fiscali, giuridiche, militari…) da loro perseguita? Per rispondere a questa domanda ci viene in soccorso uno dei vari significati assunti dal termine communitas 43, in questo caso di derivazione teoretica 44, che parten-do dall’etimo cum munus insiste sull’aspetto politico della partecipazione alla comunità. Se la comunità è un insieme di persone che condividono un dono, un dovere, una carica, di conseguenza è definibile communis chi è tenuto ad occupare un officio, mentre è immunis chi ne è esentato. I frati Gaudenti erano al tempo stesso uomini della communitas, delle istituzioni, ma privilegiati destinatari di immunitates, cioè di privilegi non solo sociali ma anche civili 45. E pure i frati del Consorzio dello Spirito Santo, nel loro

théologique de l’Occident médiéval (1250-1350), Paris, 2006, pp. 111-143.40 Salimbene de Adam, Cronica, II, pp. 678-680.41 G. Villani, Nuova Cronica cit., libro VIII, cap. 13. Cfr. P. Bucheron, Politisation et dépoliti-sation d’un lieu commun. Remarques sur la notion de Bien Commun dans les villes d’Italie centro-septentrionales entre commune et seigneurie, in De Bono Communi. The Discourse and Practice of the Common Good cit., pp. 237-251 (p. 240).42 E. Panella, Dal bene comune al bene del comune. I trattati politici di Remigio dei Girolami nelle Firenze dei bianchi-neri, in “Memorie Domenicane”, 16 (1985), pp. 1-198; S. Gentili, Remigio de’ Girolami, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 56, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 2001, p. 531-541.43 Si vd. ad esempio Ch. Dufresne Du Cange, Glossarium mediae et infimae latinitatis, Paris 1678, rist. anast. Bologna 1981-82: Communitas 1 = privilegium, immunitas; communitas 2 = universitas incolarum urbis vel oppidi, communitas 3 = Præstatio, quæ ab hominibus unius Com-muniæ exigitur.44 R. Esposito, Communitas. Origine e destino delle comunità, Torino, 2006.45 La Sede apostolica conferì all’ordine gaudente immunità dal foro secolare ed esenzioni dai

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afferire all’alveo della Penitenza, mostrano questa ambivalenza: si adopera-no per il bene della communitas grazie all’immunitas civile che ottengono 46. Ecco perché il predicatore domenicano e vescovo di Vicenza Bartolomeo da Breganze accomunava tanto i frati della Milizia della Vergine Gloriosa quanto i frati della Penitenza nella sua veemente critica contro quelle che lui definiva “chiese dei neofiti”, comprendenti anche Umiliati, Templari e Cavalieri gerosolimitani 47: perché li vedeva abili a farsi esonerare dal papa e dai rettori cittadini dagli oneri fiscali e dagli obblighi militari, per poter godere di una vita tranquilla e senza preoccupazioni, un’esistenza ai suoi occhi egoista perché poco attenta al bene collettivo.

Non si tratta solo di sottigliezze semantiche, elaborate in circoli intellet-tuali di cui i protagonisti potevano essere inconsapevoli. L’uso e il delibera-to fraintendimento del termine gaudentes in relazione ai frati della Milizia della Vergine ne è testimonianza. La documentazione attesta che i primi fratres della milizia della Vergine Gloriosa solevano indicare se stessi come “gaudenti” 48. Il gaudium al quale i frati facevano riferimento è l’allegrezza dell’anima, il godimento spirituale derivante dalla visione di Dio, come at-

tributi, dalla leva, dai giuramenti pubblici (Federici, Istoria dei Cavalieri Gaudenti cit., I, pp. 137 ss.). In particolare, si vedano le bolle di Urbano IV del 1261 (ibid., II, doc. XVIII) e soprattutto di Clemente IV del 1266 (ibid., II, doc. XXII) in cui il pontefice concede ai fratres ordinis Militiae beatae Mariae Virginis Gloriosae, su richiesta degli stessi fratres, l’immunità dalla giurisdizio-ne secolare e l’esenzione dai tributi imposti dalle autorità laiche. Le autorità locali non stettero a guardare, e si affrettarono a ridimensionare molti di questi privilegi. Gli statuti bolognesi del 1280, ad esempio, pur riconoscendo privilegia, beneficia, immunitates conferiti dalla Sede aposto-lica all’Ordo fratrum Militiae beatae Mariae Virginis Gloriosae, dichiarono tuttavia l’intenzione di non esentare tali fratres «ab omnibus generalium collectarum, datiorum, vel gabellarum» (ibid., I, pp. 145 ss.; II, docc. XXXVI). Altri esempi risalgono al 1290: una rubrica degli statuti di Padova riconosce il diritto dell’Ordo gaudentium e di altre persone religiose, come Pinzocheri, Disciplini etc., a non subire angariae nella città e nel distretto di Padova, in quanto «eis servetur solummodo ius commune et non municipale», limitando però l’esenzione solamente a quanti avessero portato tale abito religioso da almeno 5 anni (ibid., doc. XXXVII); un capitolo degli statuti di Firenze sem-pre di quell’anno stabilisce «quod Fratres gaudentes teneantur solvere libras et sanctiones reales facere communis Florentiae» (ibid., doc. XXXVIII), e un altro coevo degli statuti di Imola prende analoghi provvedimenti «pro extimis impositis fratribus ordinis Militiae beatae Mariae Virginis Gloriosae Imolae commorantibus» (ibid., doc. XXXIX).46 Vedi supra, nota 34.47 Biblioteca Civica Bertoliana di Vicenza, Gonz. 25.4.4 (435), Bartolomeo da Breganze, OP, Ser-mones in festis Iesu Christi, Sermo 137, ff. 131va-133rb (ff. 132rb-132va). L. Gaffuri, Introduzione a B. da Breganze O.P., I sermones de Beata Virgine (1266), Padova, 1993.48 Ciò nella documentazione pubblica e privata (statuti, diplomi, atti notarili, sigilli, iscrizioni), anche di produzione interna allo stesso ordine, ma non della documentazione pontificia. Roversi, L’ordine della Milizia di Maria Vergine Gloriosa cit., pp. 46-50; M. Gazzini, Fratres e milites tra religione e politica cit., pp. 131-132.

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testa la canzone bandiera di Guittone d’Arezzo, fattosi cavaliere gaudente intorno al 1265: «In Dio mi gaudo quasi; e s’eo per questo/ eternal vita ac-quisto/ sí gran mercato mai non fu venduto./ Ben aggia chi noi pria chiamò Gaudenti/ ch’ogni uomo a Dio renduto/ lo più diritto nome è lui gaudente» 49. L’appellativo venne scelto pescando in un preciso ambito culturale. Che uo-mini e donne fossero accomunati non solo dal peccato originale, ma anche dalla gioia dell’esperienza di Dio e del divino in generale, che porta ad una vita beata, cioè prospera, felice, fortunata, santa, lo si andava predicando da tempo in seno alla scolastica, e in maniera più intensa dopo la nascita de-gli ordini mendicanti 50. Se dunque traducessimo in italiano gaudentes con gioiosi, ilari, allegri, invece che con gaudenti, l’effetto sarebbe anche per noi immediatamente diverso.

Molti degli avversari dei cavalieri della Vergine Gloriosa accolsero in-vece il termine in un’accezione ben più prosastica, pensando a una gioia corporale e voluttuosa: gaudentes divennero così “quelli che godono” di un bene temporale e non quanti gioiscono dei beni spirituali. È Salimbene de Adam a farsi portavoce principale di questa storpiatura semantica, riferen-doci che i frati della beata Vergine Gloriosa «a rustici truffatorie et derisive appellantur ‘Gaudentes’, quasi dicant: ideo facti sunt fratres, quia nolunt communicare aliis bona sua, sed volunt tantummodo sibi habere» 51. In veri-tà, non possiamo dire che Salimbene errasse del tutto nell’individuare una vocazione mondana nell’operato di questi frati “gioiosi”. Proprio a partire dal decennio 1250-1260 si colloca infatti una cesura nel pensiero teologico che, a seguito della traduzione latina della Politica di Aristotele da parte di Guglielmo di Moerbeke e ai commenti di Tommaso d’Aquino, non si occu-pò più solo del peccato originale, del destino dell’anima, e della vita santa, con la Chiesa a ispiratrice e indirizzatrice delle pratiche umane, e di con-seguenza dei poteri secolari, ma si focalizzò sull’azione dell’uomo e sulle sue conseguenze. In base a tale cambiamento di prospettiva, la Chiesa non venne più giudicata in grado di imporsi sui poteri secolari, o per lo meno legittimata a farlo, ma erano i rappresentanti delle istituzioni pubbliche a venire invitati a offrirsi alla Chiesa 52. E i fratres gaudentes, che occupando le

49 Canzone O cari frati miei: L. Valeriani, Rime di fra’ Guittone d’Arezzo, Firenze, 1828, I, p. 46; e, con qualche lieve variante linguistica, in Guittone d’Arezzo, Rime, a cura di F. Egidi, Bari, 1940, canzone XXXII, vv. 102 ss.50 A. Boureau, La religion de l’État cit., pp. 83 ss.51 Salimbene de Adam, Cronica cit., II, p. 678.52 A. Boureau, La religion de l’État cit., pp. 111 ss.

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cariche pubbliche offrivano il loro operato alla chiesa, si inserirono perfetta-mente in questa linea di pensiero.

Certamente, dunque, le mosse dei frati dello Spirito Santo e della beata Vergine Gloriosa non prescindevano dal contesto di valori circolanti all’in-terno della comunità culturale nella quale vivevano. Essi non si limitarono però a fare da tramiti, ad assorbire ideali condivisi senza apportare contri-buti propri, ma parteciparono alla costruzione di questo sistema di valori di cui si nutriva la religiosità comunale, facendo perno su quelle solidarietà che, superando il pregiudizio positivo che spesso noi oggi attribuiamo al termine, non possiamo che considerare comunque solidarietà di parte, for-temente organiche a quel contesto di conflittualità che è stato riconosciuto come la vera essenza della società comunale italiana 53.

53 E. Crouzet Pavan, Inferni e paradisi cit., p. 7.

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