Quale Iliade leggeva Ariosto?, «Aevum», LXXXVIII (2014), 3, pp. 587-613

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Aevum, 88 (2014), fasc. 3 VERONICA COPELLO QUALE ILIADE LEGGEVA ARIOSTO? SUMMARY: Ariosto did not know ancient Greek. However, some passages in Orlando Furioso explicitly refer to the Iliad. Hence, we have reconstructed the framework of the Latin transla- tions of the epic poem available at the beginning of the 16th century. Furthermore, textual comparisons of Ariosto’s Orlando Furioso and Latin renditions of the Iliad are carried out in order to ascertain the exact translation adopted by the author. Although far from indisputable, results seem to converge on Lorenzo Valla’s and Francesco Griffolini’s work. 1. Ariosto e il greco Sorprende che la critica non si sia mai occupata di sondare realmente questo pro- blema: quale versione di Omero aveva sotto mano Ludovico Ariosto? Dai com- menti al Furioso si deduce solo che l’autore aveva potuto consultare gli antichi poemi greci in non meglio identificate «traduzioni latine» 1 . Definito il ‘‘Ferrarese Omero’’ 2 (almeno a partire dal commento di Ludovico p:/3b2_job/vita-pensiero/Aevum/Aevum-2014-03/04_Copello.3d – 5/12/14 – 587 q 2014 Vita e Pensiero / Pubblicazioni dell’Universita ` Cattolica del Sacro Cuore * Ringrazio Edoardo Fumagalli e Federico Di Santo per i preziosi suggerimenti. 1 Finora ci si e ` limitati ad affermare genericamente che Ariosto conosceva «Omero nelle tra- duzioni latine» (C. ZACCHETTI, L’imitazione classica nell’Orlando Furioso, «Il Propugnatore», 4, 1891, fasc. 24, 221-75: 273); nella «traduzione latina – umanistica – di Omero» (C. SEGRE, Esperienze ariostesche, Pisa 1966, 24); ancora: «Tra i pochi accenni diretti dell’Ariosto all’Iliade (che leggeva in traduzione latina)» (D. FACHARD, L’immagine dell’eroe: reminescenze omeriche nell’Innamorato e nel Furioso, «E ´ tudes de lettres», 1, 1989, 5-40: 12); «l’Ariosto conosceva [Omero] probabilmente in una traduzione latina» (S. JOSSA, La fantasia e la memoria. Interte- stualita`ariostesche, Napoli 1996, 134). Fra gli studi sulla ricezione omerica nel Rinascimento, per altro non numerosi, si vedano: G. TOFFANIN, Omero e il Rinascimento italiano, «Comparative literature», 1 (1949), 1, 55-63; G. BALDASSARRI, Il sonno di Zeus: sperimentazione narrativa del poema rinascimentale e tradizione omerica, Roma 1982; Posthomerica: tradizioni omeriche dal- l’Antichita`al Rinascimento, a c. di F. MONTANARI - S. PITTALUGA, I-III, Genova 1997-2001; P. FORD, De Troie a` Ithaque, Gene `ve 2007; N.G. WILSON, Da Bisanzio all’Italia: gli studi greci nell’umanesimo italiano, Alessandria 2000. 2 Cfr. R.H. LANSING, Ariosto’s Orlando Furioso and the Homeric Model, «Comparative Lite- rature Studies», 24 (1987), 1, 311-25: 313. Allo stesso modo Virgilio era «il Mantovano Ome- ro» in ORAZIO TOSCANELLA, Bellezze del Furioso di M. Lodovico Ariosto scelte da Oratio Toscanella con gli argomenti et le allegorie de i canti, con l’allegorie de i nomi proprii princi-

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Aevum, 88 (2014), fasc. 3

VERONICA COPELLO

QUALE ILIADE LEGGEVA ARIOSTO?

SUMMARY: Ariosto did not know ancient Greek. However, some passages in Orlando Furiosoexplicitly refer to the Iliad. Hence, we have reconstructed the framework of the Latin transla-tions of the epic poem available at the beginning of the 16th century. Furthermore, textualcomparisons of Ariosto’s Orlando Furioso and Latin renditions of the Iliad are carried out inorder to ascertain the exact translation adopted by the author. Although far from indisputable,results seem to converge on Lorenzo Valla’s and Francesco Griffolini’s work.

1. Ariosto e il greco

Sorprende che la critica non si sia mai occupata di sondare realmente questo pro-blema: quale versione di Omero aveva sotto mano Ludovico Ariosto? Dai com-menti al Furioso si deduce solo che l’autore aveva potuto consultare gli antichipoemi greci in non meglio identificate «traduzioni latine» 1.

Definito il ‘‘Ferrarese Omero’’ 2 (almeno a partire dal commento di Ludovico

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* Ringrazio Edoardo Fumagalli e Federico Di Santo per i preziosi suggerimenti.1 Finora ci si e limitati ad affermare genericamente che Ariosto conosceva «Omero nelle tra-

duzioni latine» (C. ZACCHETTI, L’imitazione classica nell’Orlando Furioso, «Il Propugnatore», 4,1891, fasc. 24, 221-75: 273); nella «traduzione latina – umanistica – di Omero» (C. SEGRE,Esperienze ariostesche, Pisa 1966, 24); ancora: «Tra i pochi accenni diretti dell’Ariosto all’Iliade(che leggeva in traduzione latina)» (D. FACHARD, L’immagine dell’eroe: reminescenze omerichenell’Innamorato e nel Furioso, «Etudes de lettres», 1, 1989, 5-40: 12); «l’Ariosto conosceva[Omero] probabilmente in una traduzione latina» (S. JOSSA, La fantasia e la memoria. Interte-stualita ariostesche, Napoli 1996, 134). Fra gli studi sulla ricezione omerica nel Rinascimento,per altro non numerosi, si vedano: G. TOFFANIN, Omero e il Rinascimento italiano, «Comparativeliterature», 1 (1949), 1, 55-63; G. BALDASSARRI, Il sonno di Zeus: sperimentazione narrativa delpoema rinascimentale e tradizione omerica, Roma 1982; Posthomerica: tradizioni omeriche dal-l’Antichita al Rinascimento, a c. di F. MONTANARI - S. PITTALUGA, I-III, Genova 1997-2001; P.FORD, De Troie a Ithaque, Geneve 2007; N.G. WILSON, Da Bisanzio all’Italia: gli studi grecinell’umanesimo italiano, Alessandria 2000.

2 Cfr. R.H. LANSING, Ariosto’s Orlando Furioso and the Homeric Model, «Comparative Lite-rature Studies», 24 (1987), 1, 311-25: 313. Allo stesso modo Virgilio era «il Mantovano Ome-ro» in ORAZIO TOSCANELLA, Bellezze del Furioso di M. Lodovico Ariosto scelte da OratioToscanella con gli argomenti et le allegorie de i canti, con l’allegorie de i nomi proprii princi-

Dolce, nel 1542), Ariosto non apprese a sufficienza la lingua greca. Fu in grado for-se di leggere qualche cosa, ma certo rimpianse per tutta la vita questa sua ignoranza;ricordava infatti con invidia benevola l’amato maestro Gregorio da Spoleto, che

tenea d’ambe le lingue i bei secreti,e potea giudicar se meglior tubaebbe il figliuol di Venere o di Teti.

Ma allora non curai saper di Ecubala rabbiosa ira, e come Ulisse a Resola vita a un tempo e li cavalli ruba(Satire VI 169-74) 3

Piu tardi, complici le difficolta economiche della famiglia, non gli fu possibile sop-perire a tale mancanza: «bisogna ch’io rivolga, / ch’io muti in squarci et in vac-chette Omero» (Satire VI 200-201). La coscienza del proprio errore giovanile sitramuto nel desiderio che il figlio Virginio non ripercorresse la medesima strada:

Vorrei che a mio figliuolo un precettoretrovassi [...]

che ne la propria lingua de l’autoregli insegnasse d’intender cio che Ulissesofferse a Troia e poi nel lungo errore,

cio che Apollonio e Euripide gia scrisse(Satire VI 131-136)

Se ne conclude che Ludovico Ariosto non poteva attingere ai poemi omerici nel-l’originale testo greco.

2. Le traduzioni latine dell’Iliade anteriori al 1516

Parlando di poemi omerici, si allude in realta alla sola Iliade, sulla quale conver-ge l’interesse di Ariosto come di quasi tutto l’Umanesimo 4. Purtroppo, «la biblio-teca di Ariosto e dispersa; ne doveva essere molto ricca. Ludovico non era unbibliofilo» 5. In mancanza di informazioni dirette, quindi, occorre innanzitutto cer-care di individuare quali traduzioni latine circolassero negli anni in cui il Furiosoveniva composto, vale a dire nel primo decennio del XVI secolo.

Il riassunto in 1070 esametri chiamato Ilias latina, attribuito a Bebio Italico (60-70 d.C.) 6, non puo certo fornire ad Ariosto la materia testuale per riscontri precisi eimitazioni dettagliate; tanto meno eventuali riscritture e volgarizzamenti come quelli

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pali dell’opere coi luochi communi dell’autore per ordine di alfabeto del medesimo, Venezia,Pietro dei Franceschi, 1574, 133.

3 Si cita da L. ARIOSTO, Opere minori, a c. di C. SEGRE, Milano-Napoli 1954.4 Cfr. BALDASSARRI, Il sonno di Zeus, 10-11.5 SEGRE, Esperienze ariostesche, 47.6 BAEBIUS ITALICUS, Ilias latina, introd., ed. critica, trad. it. e comm. a c. di M. SCAFFAI, Bo-

logna 1982.

di Darete Frigio, Ditti Cretese o Benoıt de Sainte-Maure, utili solamente per unaconoscenza sommaria della trama 7. Occorre rintracciare una trasposizione letterale 8.

Leonzio Pilato, fra il 1358 e il 1362, redasse una traduzione interlineare dell’in-tera Iliade per Petrarca e Boccaccio 9. Il testo conobbe un’ampia diffusione lungol’intero secolo XV: lo testimoniano le copie manoscritte superstiti 10 e le numeroseretractationes umanistiche e rinascimentali 11. Circolava ancora nel XVI secolo, seAndrea Divo di Capodistria pote avvalersene per comporre una propria versione la-tina del poema omerico, edita nel 1537 12. E dunque possibile che Ariosto leggesse,se non proprio Leonzio Pilato, almeno una sua riscrittura.

L’editio princeps (greca) dei poemi omerici comparve solo nel 1488 (a cura diDemetrio Calcondila, Firenze, Giunta) 13, ma gli esperimenti di traduzione furonouna costante lungo il XV secolo, per lo piu con risultati frammentari a circolazionemanoscritta. Fra i protagonisti di questa notevole operazione culturale si trovano i

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7 Cfr. A. PUNZI, La circolazione della materia troiana nell’Europa del ’200: da Darete Fri-gio al Roman de Troie en Prose, «Messana», 6 (1991), 69-108, con bibliografia citata.

8 Renata Fabbri si e occupata a lungo delle traduzioni umanistiche di Omero; in particolare,cfr. R. FABBRI, Nuova traduzione metrica di Iliade, XIV. Da una miscellanea umanistica diAgnolo Manetti, Roma 1981; EAD., Sulle traduzioni latine umanistiche da Omero, in Posthome-rica, I, 99-124; ma anche R. WEISS, An Unknown Fifteenth-Century Version of the Iliad, «Bo-dleian Quarterly Record», 7 (1934), 464; P. PETITMENGIN - B. MUNK OLSEN, Bibliographie de lareception de la litterature classique du IXe au XVe siecle, in The Classical Tradition in the Mid-dle Ages and the Renaissance, ed. C. LEONARDI - B. MUNK OLSEN, Spoleto 1995, 253-54; G. BE-

NEDETTO, Le versioni latine dell’Iliade, in Vincenzo Monti nella cultura italiana, a c. di G.BARBARISI, Milano 2005, 961-1027; M. CORTESI - S. FIASCHI, Repertorio delle traduzioni umani-stiche a stampa, secoli XV-XVI, Firenze 2008; B. MILEWSKA-WAZBINSKA, Alla ricerca di Omero.Sulle traduzioni rinascimentali dell’Iliade, «Humanistica», 6 (2011), 59-63.

9 Si possono osservare alcune riproduzioni dei manoscritti di Leonzio in F. PONTANI, L’Odis-sea di Petrarca e gli scoli di Leonzio, in Petrarca e il mondo greco, «Quaderni petrarcheschi»,12 (2002), 295-328. Su Petrarca, cfr. V. FERA, Petrarca lettore dell’Iliade, ibid., 141-54. Si se-gnala un contributo di E. FUMAGALLI, Giovanni Boccaccio fra Leonzio Pilato e Francesco Pe-trarca: appunti a proposito della ‘prima translatio’ dell’Iliade, «Italia medievale e umanistica»,(2013), 213-83.

10 M. PADE, Un nuovo testimone dell’Iliade di Leonzio Pilato, in Posthomerica, III, 87-102;M. PADE, The Fortuna of Leontius Pilatus’ Homer. With an edition of Pier Candido Decembrio’s«Why Homer’s Greek verses are rendered in Latin prose», in Classica et Beneventana. Essayspresented to Virginia Brown on the occasion of her 65th birthday, ed. F.T. COULSON - A.A.GROTANS, Turnhout 2008, 149-67: 154.

11 PADE, The fortuna of Leontius Pilatus, 159. Fondamentale per gli studi su Leonzio e il vo-lume di A. PERTUSI, Leonzio Pilato fra Petrarca e Boccaccio: le sue versioni omeriche negliautografi di Venezia e la cultura greca del primo Umanesimo, Venezia-Roma 1964, 138-39, chesegnala, in particolare, una retractatio anonima in versi, conservata nel Vat. gr. 1626 (datato1477) e nel Bonon. Bibl. Com. Archig., A. 1414 (appartenente al XVI sec.). Su Leonzio cfr. an-che F. DI BENEDETTO, Leonzio Pilato, Omero e le ‘‘Pandette’’, «Italia medievale e umanistica»,12 (1969), 53-112.

12 R. SOWERBY, The Homeric Versio latina, «Illinois Classical Studies», 21 (1996), 161-202:169: «But Divus must have had Leontius’ Iliad, for there is too much odd vocabulary commonto them both which cannot be explained by a common word-list. Divus generally made sense ofHomer, but occasionally follows Leontius’ mistranslations» (Sowerby dimostra la dipendenza diDivo da Leonzio Pilato confrontando verso per verso).

13 P. MEGNA, Per la storia della princeps di Omero. Demetrio Calcondila e il ‘‘De Home-ro’’ dello pseudo Plutarco, «Studi medievali e umanistici», 5-6 (2007-2008), 217-78.

nomi di Leonardo Bruni 14, Guarino Veronese 15, Francesco Filelfo 16, Carlo Marsup-pini 17, Pier Candido Decembrio 18, Bartolomeo Fonzio 19. L’unico esperimento di uncerto spessore letterario e quello di Angelo Poliziano, che fra il 1470 e il 1475 tra-dusse i libri II, III, IV e V dell’Iliade 20.

Una traduzione latina integrale dell’Iliade a opera di Lorenzo Valla e del suo al-lievo aretino Francesco Griffolini, che non compare nel titolo, uscı a stampa per laprima volta nel 1474 (Homeri Ilias, per Laurentium Vallam in latinum sermonemtraducta, Brescia, Heinrich von Koln e Stazio Gallo) 21. Valla ridusse in prosa latinai primi 16 libri del poema omerico tenendo d’occhio la versione di Leonzio Pila-to 22, mentre Griffolini si occupo dei libri XVII-XXIV 23.

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14 P. THIERMANN, Die Orationes Homeri des Leonardo Bruni Aretino, Leyde 1993.15 R. FABBRI, Qualche appunto sulle traduzioni omeriche di G. Veronese, «Studi umanistici

piceni», 5 (1985), 71-81; A.M. SHAW, References to Vergil and Homer in the letters of G. Vero-nese, ibid., 7 (1987), 193-200.

16 R. FABBRI, I «campioni» di traduzione omerica di Francesco Filelfo, «Maia», 35 (1983),237-49.

17 R. FABBRI, Carlo Marsuppini e la sua versione latina della ‘‘Batrachomyomachia’’ pseu-do-omerica, in Saggi di linguistica e di letteratura in memoria di Paolo Zolli, Padova 1991,555-66.

18 C. FABIANO, Pier Candido Decembrio traduttore d’Omero, «Aevum», 13 (1949), 36-51.19 L. SILVANO, Un esperimento di traduzione di Bartolomeo Fonzio: la retractatio della ver-

sione di Iliade I 1-525 di Leonzio Pilato, «Medioevo Greco», 11 (2011), 225-68.20 Su Poliziano traduttore si vedano S. ORLANDI, ‘‘Ars vertendi’’. La giovanile versione del-

l’‘‘Iliade’’ di Angelo Poliziano, «Giornale storico della letteratura italiana», 143 (1966), 1-24; J.HYND, Politian: Homericus adulescens, «Arion», 6 (1967), 328-35; A. CERRI, La traduzioneomerica di Angelo Poliziano (Gli epiteti degli dei e degli eroi), «Acme», 30 (1977), 143-74; ID.,Epiteti e aggettivi nella versione omerica di Angelo Poliziano, ibid., 31 (1978), 349-72; E. BAN-

FI, Poliziano-Cicerone traduttore d’Omero, «Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Ar-ti», 137 (1978-1979), 429-38; A. POLIZIANO, Oratio in expositione Homeri, a c. di P. MEGNA,Roma 2007; L. FERRERI, Poliziano e l’Oratio inaugurale per Omero, «Schede umanistiche», 22(2008), 277-86 (del quale si segnala anche il volume La Questione omerica dal Cinquecento alSettecento, Roma 2007); A. DANELONI, L’‘‘Exegesis in Homeri Iliadem’’ di Giovanni Tzetzes traPoliziano e Parrasio, «Studi medievali e umanistici», 7 (2009), 91-200; P. MEGNA, Le note delPoliziano alla traduzione dell’Iliade, Messina 2009; P. VITI, Il Poliziano traduttore, «Humanisti-ca», 6 (2011), 43-49.

21 Cfr. E. PSALIDI, Appunti per un’edizione critica della traduzione dell’Iliade, in Pubblicareil Valla, a c. di M. REGOLIOSI, Firenze 2008, 421-32: 422. Seguirono numerose ristampe: nel1497 a Brescia; a Venezia nel 1502; a Parigi nel 1510; nel 1512 a Lipsia; nel 1522, nel 1524,nel 1527 e nel 1537 a Colonia; nel 1528 ad Anversa; nel 1541 a Lione, da cui si cita. Una co-pia della princeps di Valla si conserva ancora nella Biblioteca di Ferrara (cfr. P. CAVALIERI, Noti-zie della pubblica biblioteca di Ferrara, Ferrara 1838, 105).

22 R. SOWERBY, Early Humanist Failure with Homer (I), «International Journal of the Classi-cal Tradition», 4 (1997), 37-63: 61: «it is clear that he [Valla] knew Pilatus». La traduzione delValla era «gia completata nel 1444 e da collocarsi negli anni immediatamente precedenti» (FAB-

BRI, Sulle traduzioni omeriche, 107).23 FORD, De Troie a Ithaque, 27: «Impresa versoria di grande rilievo, realizzata su incarico

del pontefice, fu la traduzione in prosa dell’intera Odissea, databile agli anni 1458-60 [...] o adopo il 1464 [...], comunque successiva al completamento della versione dell’Iliade (ultimi ottolibri) lasciata interrotta da Lorenzo Valla, dal Griffolini imitato nello stile di prosa eloquente»(S. BENEDETTI, Griffolini Francesco, in DBI, 59, 2002). Su altre esperienze di traduzione di Fran-cesco Griffolini, cfr. FABBRI, Nuova traduzione metrica, 48-53; R. CAPPELLETTI, Attribuzione diun Ammiano e di altri manoscritti a Francesco Griffolini Aretino, «Studi Urbinati B3», 59(1986), 85-103; R. FABBRI, Ancora su Francesco Griffolini e sugli esperimenti di traduzione da

Sempre nel 1474 venne stampata una traduzione parziale dell’Iliade redatta daNiccolo della Valle (canti III-V, XVIII, XX, XXII-XXIV), in esametri dattilici, conil titolo Incipiunt aliqui libri ex Iliade Homeri translati per dominum Nicolaum deValle (Roma, Giovanni Filippo de Lignamine): si tratta della prima edizione diun’Iliade in versi latini, e godette di una certa popolarita (anche europea) nel corsodel XVI secolo 24.

Le uniche possibilita reali che Ariosto avesse di leggere l’Iliade integralmenteerano quindi la traduzione di Leonzio Pilato (o una sua retractatio) e quella di Val-la e Griffolini. E Ariosto potrebbe aver conosciuto entrambe, la prima (che era de-stinata per lo piu agli ambienti scolastici) durante il breve apprendistato del greco,la seconda come lettura personale.

3. Antichi e moderni commentatori del Furioso

In genere, i moderni studiosi ed esegeti del Furioso (come Emilio Bigi, CesareSegre e Daniel Javitch) riportano la versione di Valla-Griffolini, ma senza giustifi-carne la scelta 25. I commentatori rinascimentali, d’altra parte, non forniscono ele-menti utili per risalire alla traduzione utilizzata da Ariosto.

Ludovico Dolce, nelle sue Imitationi (nell’Orlando Furioso curato per Valvasso-ri, Venezia 1566), ricorda Omero in quattro occasioni 26. Sia per la similitudine diOrl. fur. I XXXIV che per quella di XVIII XXXV cita il libro XI dell’Iliade in un’ano-nima versione latina:

Ac veluti fetus noto si forte cubilicerva suos vidit crudo sub dente leonis,

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591QUALE ILIADE LEGGEVA ARIOSTO?

Omero, in Studi latini in ricordo di Rita Cappelletto, Urbino 1996, 195-206; Odyssea Homeri aFrancisco Griffolino Aretino in Latinum Translata. Die Lateinische Odyssee-Ubersetzung desFrancesco Griffolini, hrsg. von B. SCHNEIDER - C. MECKELNBORG, Leiden-Boston 2011 (rec. di L.SILVANO, «Gnomon», 2014, 1).

24 Una copia di questa edizione si trova alla Bibliotheque nationale de France, mentre pressola Biblioteca Moreniana di Firenze si conserva una versione manoscritta con segnatura M I 35(cfr. P.O. KRISTELLER, Iter italicum: a finding list of uncatalogued or incompletely cataloguedhumanistic manuscripts of the Renaissance in Italian and other libraries, I, London 1965, 199).La traduzione di Niccolo della Valle venne ristampata a Parigi nel 1510; a Wittenberg nel 1511;a Venezia nel 1516; a Haguenau nel 1531; a Basilea nel 1541; e contenuta anche nel volume(da cui cito) Daretis Phrygii poetarum et historicorum omnium primi, de bello Troiano, in quoipse militavit, Libri (quibus multis seculis caruimus) sex, a Cornelio Nepote latino carmine He-roico donati et Crispo Sallustio dedicati, nunc primum in lucem aediti; item, Pindari ThebaniHomericae Iliados Epitome, suavissimis numeris exarata. Ad haec, Homeri poetarum principiIlias, quatenus a Nicolao Valla, et V. Obsopoeo carmine reddita, Basileae 1541 (dove con l’e-spressione Pindari Thebani Homericae Iliados Epitome si indica in realta l’Ilias latina). Per labiografia di Niccolo Della Valle si veda R. FABBRI, Nota biografica sull’umanista romano Nic-colo Della Valle (con un inedito), «Lettere italiane», 28 (1976), 48-66.

25 L. ARIOSTO, Orlando furioso, a c. di E. BIGI, I, Milano 1982, 591; L. ARIOSTO, Orlandofurioso, a c. di C. SEGRE, Milano 1990, 1319, dove si cita l’edizione, sempre bresciana, del1497; D. JAVITCH, Imitation of Imitations in Orlando Furioso, «Renaissance Quarterly», 38(1985), 215-39: 219.

26 Cito da L. ARIOSTO, Orlando furioso, Venezia, Orlandini, 1730, tomo I.

huc, illuc sylvas cursu, saltusque peragratdictaeos, ne crudeli sic obviet hosti.(Il. XI 102-04)

Per IX XLII 1-3 rimanda a Il. XVI, senza indicare i versi precisi e senza riportareil testo. Per la similitudine delle mosche (Orl. fur. XIV CIX), infine, ricorda Il.XVI 641-44:

Ut resonant multum confusae tempore verismuscarum turbae, cum plenis undique mulctrislacce volant caulas circum: sive aera magnumimplent dicaces sturni clangoribus altiscernentes hostem sacrum, stragemque minantem.

Questi esametri non sono evidentemente riconducibili alla mano di Valla, che tra-duce in prosa, e nemmeno a Leonzio Pilato, Poliziano o Niccolo Della Valle (lecui versioni sono parziali), ne, sebbene vi siano alcuni termini in comune, a duetraduttori di qualche anno dopo: Andrea Divo di Capodistria (1537) e Helio Eoba-no Hesso (1540).

Pietro Ulivi (Dimostratione delle comparationi, et altre annotationi nuovamenteaggiunte... con le citazioni de’ luoghi da lo autore imitati, nell’edizione Giunta delpoema, Firenze 1544) per Orl. fur. IX XLII 1-3 e per XLV LXXI 1-4 rimanda generica-mente a Il. XVII, senza trascrivere i versi. Alcuni esametri latini compaiono solo per lasimilitudine delle mosche, nella stessa versione riportata da Dolce (e non sara improba-bile che Pietro Ulivi proprio da Dolce l’abbia copiata). Per XXXVI XL 1-5, infine, Uliviindica come modello Odissea XIX, di cui riporta una traduzione latina in esametri 27.

Nell’edizione del Furioso di Bindoni e Pasini (Venezia 1542), Sebastiano Fau-sto da Longiano (probabilmente rielaborando annotazioni del fratello Tullio mortoda poco) 28 non fornisce indicazioni utili 29.

Nei due volumi di Simon Fornari (La spositione di M. Simon Fornari da Rheg-gio sopra l’Orlando Furioso di M. Ludovico Ariosto, Firenze, Torrentino, 1549-1550) non si trovano rimandi testuali precisi. Solo a XIV CIX si legge: «e compara-tion tolta da Homero» 30.

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592 V. COPELLO

27 «Ac veluti magni interdum flatibus Euri / nix impulsa, segnisque in montibus haeret / illadiu, Zephyris donec solvatur apricis: / et multum trepident amnes humore receptor» (Od. XIX256-59).

28 F. SBERLATI, Il genere e la disputa. La poetica tra Ariosto e Tasso, Roma 2001, 54.29 Si trova solo scritto che «l’Ariosto nel suo Furioso ha diligentemente imitato i poeti Gre-

ci, e Latini antichi; ma fra tutti i due principali Omero, e Virgilio, da’ quali non si discosta mol-to. Perciocche siccome Omero e Virgilio pigiarono un medesimo soggetto della guerra Troiana,cosı l’Ariosto formo per via d’imitazione un’altra guerra consimile. E secondo che essi ora cam-minano con la verita dell’istoria, ora con la favola, cosı fa egli» (S. FAUSTO DA LONGIANO, Para-gone di tutti i luoghi d’istorie, di favole, di nomi propri, d’abbatimenti e d’altre cose chel’Ariosto per via d’imitazione ha tolto da gli antichi Greci e Latini; con la dichiarazione di tuttii nomi delle persone principali che sono nel Furioso, in L. ARIOSTO, Orlando furioso, Venezia,Bindoni e Pasini, 1562).

30 SIMON FORNARI, La spositione di M. Simon Fornari da Rheggio sopra l’Orlando Furiosodi M. Ludovico Ariosto, Firenze, Torrentino, 1549-1550, 296.

Nessun aiuto possono dare Giovanbattista Giraldi Cinzio (Discorso intorno alcomporre dei romanzi, Venezia, Giolito, 1554) e Giovambattista Nicolucci detto Pi-gna (I romanzi, Venezia, Valgrisi, 1554), essendo le loro opere piu discorsive emeno puntuali. Nulla si ricava, analogamente, da Orazio Toscanella (Bellezze delFurioso, Venezia, Pietro dei Franceschi, 1574), che non cita brani omerici, ne dalleOsservationi del signor Alberto Lavezuola sopra il Furioso di M. Ludovico Ariostonelle quali si mostrano tutti i luoghi imitati dall’autore nel suo poema (Venezia,Francesco dei Franceschi, 1584), che riportano la versione di Andrea Divo (dunquesuccessiva al Furioso).

4. I commentatori dei classici

Ci si puo chiedere se Ariosto avesse potuto accedere a brani omerici estrapolatidal contesto, leggendoli per esempio in paratesti o note alle edizioni dei classicilatini. Si e provato, allora, a individuare i passi virgiliani, oraziani e staziani diorigine omerica presenti nel Furioso, per vedere se i commenti riportassero ancheil testo greco della fonte, o almeno una traduzione latina. Ma ne in Servio ne inDonato ne in Landino ne in Antonio Mancinelli per Virgilio, ne in Acrone e Por-firione ne in Iodoco Badio Ascenio ne in Mancinelli per Orazio, ne in LattanzioPlacido per Stazio si leggono versi appartenenti a Iliade o Odissea nei loci desi-derati 31. Restano i Saturnalia di Macrobio, che, pur fornendo un ampio numerodi citazioni omeriche in lingua originale, presentano solo alcuni dei passi che inte-ressano il Furioso 32.

5. Confronti testuali tra Furioso e Iliade

Per cercare di individuare una traduzione di riferimento non sembra proficuo ra-gionare su temi ed episodi 33: l’unica possibilita e il confronto testuale. Si sonoquindi individuati alcuni passi ariosteschi per i quali i commentatori (antichi o

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593QUALE ILIADE LEGGEVA ARIOSTO?

31 Servio rimanda numerose volte a Omero, senza pero mai indicare la provenienza del pas-so. La frase piu ricorrente e «Homeri est et comparatio» (cfr. il commento a Aen. IX 435; XI751; XI 811; XII 67; XII 58; XII 908). A XI 492 dice addirittura: «etiam haec comparatio Ho-meri est, verbum ad verbum translata», ma non va oltre. Oltre alle edizioni di riferimento si eutilizzato Publii Vergilii Bucolica, Georgica, Aeneis cum Seruii commentariis accuratissimeemendatis, in quibus multa quae deerant sunt addita. [...] Sequitur Probi celebris grammatici inBucolica et Georgica commentariolus non ante impressus. Ad hos Donati fragmenta, Christo-phori Landini, et Antonii Mancinelli commentarii, Venezia, Giorgio Rusconi, 1520.

32 MACROBIUS, Saturnalia, ed. R.A. KASTER, Oxonii 2011.33 Per esempio, non sembra portare molto frutto il confronto della storia di Nordandino e

dell’Orco (Orl. fur. XVII XVI-LXVIII) con la sua fonte (Ulisse e Polifemo, Odissea IX); cfr. J. VA-

NACKER, L’Orco in Matteo Maria Boiardo e in Ludovico Ariosto: osservazioni circa la mostruo-sita e il modello antico di Polifemo, «Critica letteraria», 4 (2011), 627-51, con bibliografiacitata. In generale, si veda P. RAJNA, Le fonti dell’Orlando furioso, a c. di F. MAZZONI, Firenze1975.

moderni) hanno indicato l’Iliade come fonte e si e tentato un raffronto serratocon le traduzioni di Leonzio Pilato e di Valla-Griffolini (vale a dire con le unicheintegrali).

Come si vedra, sono numerosissime le coincidenze lessicali fra le versioni latinedel poema omerico e le fonti classiche del Furioso (Virgilio, Orazio, Ovidio, ecc.).I traduttori umanisti, infatti, avevano imparato il latino proprio su quei testi classici,che gia erano inseriti nella lunga catena di imitazioni risalente a Omero. Un esem-pio soltanto: i versi di Il. IV 422-428 erano stati riscritti da Virgilio in Aen. VII528-30 34; Niccolo Della Valle, traducendo questo passo omerico, inizia un esametrocon l’espressione «paulatim sese tollunt», che preleva direttamente dal v. 529 del-l’Eneide («paulatim sese tollit»). L’umanista, insomma, non si serve di un qualsiasiemistichio virgiliano, ma proprio del passo che traduceva la similitudine di cui an-ch’egli si stava occupando.

5.1. Riferimenti errati

Talvolta – come nei casi che seguono – l’Iliade e stata chiamata in causa senzaun motivo fondato 35.

1. Ludovico Dolce rimanda a un passo imprecisato di Iliade XVI per i versi

Come cadere il bue suole al macello,cade il malnato giovene, in dispettodel re Cimosco(Orl. fur. IX XLII 1-3) 36

Pietro Ulivi, che di solito segue Dolce fedelmente, rinvia invece il lettore a Il.XVII. In effetti, paragoni analoghi sono presenti sia nel libro XVI (vv. 487-91 e823-28) che nel XVII (vv. 520-24), ma nessuno di questi sembra avere tangenzesignificative con il Furioso.

2. Allo stesso modo, non sembra che il seguente paragone dipenda da Il. XVI364-66 (somigliando, piuttosto, a Valerio Flacco, Argon. II 515-17):

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594 V. COPELLO

34 Il repertorio delle riprese virgiliane di Omero e in G.N. KNAUER, Die Aeneis und Homer.Studien zur poetischen Technik Vergils mit Listen der Homerzitate in der Aeneis, Gottin-gen 1964.

35 Per quanto riguarda le opere minori di Ariosto, Cesare Segre ha indicato il modello deivv. 11-12 dell’ariostesco Carmen IV («IUPPITER hic claro delapsus ab aethere iussit / numinaCUNCTA epulis positae discumbere mensae») in Il. I 423-424: «IUPITER ad occeanum cum si-ne lesione ethiopis / hesternus ivit post cibum, dii autem simul OMNES secuti sunt» (LEONZIO PI-

LATO); «Verum undecim diebus est expectandus, dum ab oceano e convivio Aethiopum, ad quodhesterno die cum reliquis diis se contulit, redeat in coelum» (VALLA). Non sembra, pero, un casodi inequivocabile riferimento a Omero.

36 Si cita da ARIOSTO, Orlando furioso, a c. di SEGRE.

Come d’oscura valle umida ascendeNUBE di pioggia e di tempesta pregna,che piu che cieca notte si distendeper tutto ’l mondo, e par che ’l giornospegna;cosı nuota la fera, e del mar prendetanto, che si puo dir che tutto il tegna(Orl. fur. XI XXXV 1-6)

Sicuti quando ab olimpo NUBES venit ce-lum intraetheris offuscatione quando Iupiter procellaexceditsic istis a navibus factus fuit clamorque ti-morque.(trad. LEONZIO PILATO) 37 [VALLA omettequesti versi]

5.2. Passi contaminati (I)

Tipica dell’operare ariostesco a ogni livello del testo, la contaminazione di piumodelli risulta ai nostri fini il primo elemento fuorviante. Il testo di Omero, inquesti casi, non incide nel Furioso in modo tale da poter essere considerato indi-spensabile: a prevalere sono altre fonti concomitanti 38.

1. Per le ottave I XXXIII-XXXIV il modello e chiaramente Orazio, come dimostranole numerosissime corrispondenze lessicali e tematiche 39:

Fugge tra SELVE SPAVENTOSE e scure,per lochi inabitati, ermi e selvaggi.Il MOVER de le FRONDI e di VERZURE,che di cerri sentia, d’olmi e di faggi,fatto le avea con subite pauretrovar di qua di la strani vıaggi;ch’ad ogni ombra veduta o in MONTE o invalle,temea Rinaldo aver sempre alle spalle.

Qual pargoletta o damma o capriuola,che tra le fronde del natio boschettoalla MADRE veduta abbia la golastringer dal pardo, o aprirle ’l fianco o ’l petto,di SELVA in SELVA dal crudel s’invola,e di paura TREMA e di sospetto:ad ogni sterpo che passando tocca,esser si crede all’empia fera in bocca.(Orl. fur. I XXXIII-XXXIV)

Vitas inuleo me similis, Chloe,quaerenti PAVIDAM MONTIBUS aviisMATREM non sine vanoaurarum et SILVAE metu.Nam seu MOBILIBUS veris inhorruitadventus FOLIIS seu VIRIDES rubumdimovere lacertae,et corde et genibus TREMIT.Atqui non ego te tigris ut asperaGaetulusve leo frangere persequor:tandem desine MATREMtempestiva sequi viro.(HOR. Od. I XXIII)

Nessuna traduzione latina di Il. XIII 102-06 presenta elementi significativi:

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595QUALE ILIADE LEGGEVA ARIOSTO?

37 Si cita da Il codice parigino latino 7880.1: Iliade di Omero tradotta in latino da LeonzioPilato, con le postille di Francesco Petrarca, a c. di T. ROSSI, Milano 2003 (il codice, si leggenell’introduzione, fu «scritto nel 1367/68 da Giovanni Malpaghini ed abbondantemente annotatodal Petrarca»). Pregi e limiti dell’edizione sono descritti nella recensione di M. PETOLETTI, «Ae-vum», 78 (2004), 887-94.

38 Sulla contaminazione nel Furioso i contribuiti sono numerosi; cfr. almeno JAVITCH, Imita-tion of imitations; ho affrontato l’argomento anche nel mio Valori e funzioni delle similitudinidell’Orlando furioso, Bologna 2013, 55-61.

39 Ho analizzato nel dettaglio tutte le similitudini che seguono (e le loro fonti) nell’Appendi-ce 2 di Valori e funzioni delle similitudini dell’Orlando furioso, a cui rimando.

[Troianos] qui primitusTIMORE fugientibus cervis assimilati erant queper SILVAM[+] PARDALIORUMQUE luporumque cibi suntvane errantes debiles. neque ad pugnam.sic troiani primo potentiam et manus achivorumexpectare nolebant contra(trad. LEONZIO PILATO)

Neque expectare non vel momentotemporis audebant. Non secus atqueimbelles fugacesque cervi, non resi-stunt aliis feris, ut lupis, PARDA-LIS, lyncopantheris: sed in SYLVIShuc illucque dicursantes, harum fera-rum pabulum fiunt(trad. LORENZO VALLA)

2. Cosı avviene anche per Orl. fur. X CIII, CIV 1-4:

Come d’alto venendo aquila suole,ch’errar fra l’erbe visto abbia la biscia,o che stia sopra un nudo sasso al sole,dove le spoglie d’oro abbella e liscia;non assalir da quel lato la vuoleonde la velenosa e soffia e striscia,ma da tergo la adugna, e batte i vanni,accio non se le volga e non la azzanni:

cosı Ruggier con l’asta e con la spada,non dove era de’ denti armato il muso,ma vuol che ’l colpo tra l’orecchie cada,or su le schene, or ne la coda giuso.(Orl. fur. X CIII, CIV 1-4)

L’immagine dell’aquila con un serpente fra gli artigli e di chiara origine omerica(Il. XII 201-07):

AQUILA ALTIvolans ad dexteram populum hortansvarium draconem ferens UNGUIBUS peloriumvivum adhuc aspirantem et nondum oblitus erat pugne.Percussit enim ipsam tenentem per pectus circum collumreflexus retro. hec autem a se misit infradolens vulneribus. In medio dimisit congregationisipsa autem clamans volabat per flatus venti.(trad. LEONZIO PILATO)

Inter haec ecce in aereAQUILA quaedam immanemmaculosumque anguem acseminecem UNGUIBUS fe-rens, Troianos, ut rescinden-do muro instabant, a sinistracircuivit.(trad. VALLA)

A ben guardare, pero, gli stessi termini utilizzati dalle traduzioni umanistiche sonopresenti anche in un passo di Ovidio che appare molto piu vicino a quello ario-stesco, soprattutto per la dinamica dell’immagine:

Utque Iovis praepes, vacuo cum VIDIT in arvopraebentem Phoebo liventia TERGA draconem,occupat aversum, neu saeva retorqueat ora,squamigeris avidos figit cervicibus UNGUES(OV. Met. IV 714-717) 40

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596 V. COPELLO

40 La similitudine compare anche nell’Eneide (XI 751-56), di cui Macrobio (Saturnalia V13, 29) riporta la fonte omerica. Tuttavia, l’andamento della rappresentazione e qualche rimando

3. Si consideri l’ottava XVIII XXII:

Qual per le selve nomade o massilecacciata va la generosa belva,ch’ancor fuggendo mostra il cor gentile,e minacciosa e lenta si rinselva;tal Rodomonte, in nessun atto vile,da strana circondato e fiera selvad’aste e di spade e di volanti dardi,si tira al fiume a passi lunghi e tardi.(Orl. fur. XVIII XXII) 41

La matrice omerica del paragone (una belva che si ritira voltandosi spesso indie-tro, da Il. XI 546-57) e certa:

AUFUGIT que respiciens ad congregationem. fere similispaulatim retro revolvens. modicum genui genu mutans.sicuti autem nitidum leonem boum a stabulissequuntur canes et viri agricolequi ipsum non dimittunt a bobus pinguem acciperenocturni vigilantes. hic autem carnes desideranscommovetur. sed neque ledit. dense enim lance

contra advolant gravibus a minibus.ardentes que lampades quas timet prontus licetmane ab ipsis recessit anxio animo.Sic aiax tunc a troianis contristatus animoibat multum nolens(trad. LEONZIO PILATO)

Tum reiecto post tergumscuto, se in FUGAM vertit,perculsus, invitus, moerens,non magis sua, quam na-vium causa. Ideoque modicogradu et genu a genu vixmoliens abibat, urgentibuseum retro Troianis, velutiagrestibus viris cum agresti-bus canibus villosum leo-nem, quem ingressum boumsepta, cupientemque iamadoriri opimum taurum, illinon sinunt, acutis iaculis in-censisque facibus incessen-tes, atque hunc in modumtota nocte consumpta, etsimaxime violenta fera est, ta-men tot terroribus coercita,sub ortum Luciferi moestadiscedit.(trad. VALLA)

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597QUALE ILIADE LEGGEVA ARIOSTO?

testuale indicano Ovidio come modello di riferimento privilegiato: visto e tergo ricalcano vidit eterga, mentre adugna deriva chiaramente da ungues; trasposizioni piu libere sono vacuo in arvo> fra l’erbe, draconem > biscia, retorqueat > se le volga. Le due perifrasi mitologiche Iovispraepes e Phoebo sono sostituite dai piu sobri aquila e al sole, il primo dei quali era presentenella fonte virgiliana («Utque volans alte [...] aquila»); il secondo ricorda invece il verso di Po-liziano «mentr’ella con tre lingue al sol si liscia» (:biscia; Stanze I LXXXVII 8). Con questa rimasi arriva a Dante, al quale rinvia espressamente il sistema rimico biscia:liscia:striscia (Purg. VIII98).

41 Nelle prime due redazioni del poema il v. 7 recitava: «di lance et spiedi et di saette etdardi».

Tuttavia Ariosto ha guardato a Virgilio e, soprattutto, a Boiardo:

ceu saevom turba leonemcum telis premit infensis, ac territus ille,asper acerba tuens retro redit, et neque tergaira dare aut virtus patitur, nec tendere contraille quidem hoc cupiens potis est per tela viros-que.(VERG. Aen. IX 792-96)

QUAL, stretto dalla gente e dal ro-more,turbato esce il leon della foresta,che se vergogna di MOSTRAR ti-more,e va di passo torcendo la testa;batte la coda, mugia con terrore,ad ogni crido se volge ed arresta:TALE e Agricane, che convienFUGGIRE,ma ancor FUGGENDO MOSTRAmolto ardire.(BOIARDO, Inam. de Orlando I XI

44)

Dall’Innamorato Ariosto recupera immagine, lessico e struttura sintattica: al v. 1Qual e un complemento, con dittologia in clausola; al v. 2, in ordine identico, unparticipio passato, il verbo e il soggetto; al v. 3 una relativa con il verbo mostra-re che esprime il medesimo concetto; al v. 4 una coordinata.

4. Anche la similitudine di XVIII XXXV attiva molteplici riferimenti, ma su tuttiemerge Poliziano:

Come la TIGRE, poi ch’invan discendenel voto albergo, e per tutto s’aggira,e i CARI FIGLI all’ultimo comprendeessergli TOLTI, avampa di tant’ira,a tanta RABBIA, a tal furor s’estende,che ne a monte ne a rio ne a notte mira;ne lunga via, ne grandine raffrenal’odio che dietro al PREDATOR la mena:

cosı furendo il Saracin bizzarrosi volge al nano, e dice: - Or la t’invia; -e non aspetta ne destrier ne carro,e non fa motto alla sua compagnia.(Orl. fur. XVIII XXXV, XXXVI 1-4)

Qual TIGRE, a cui dalla pietrosa tanaha TOLTO il cacciator gli suoi CAR FIGLI;RABBIOSA il segue per la selva ircana,che tosto crede insanguinar gli artigli;poi resta d’uno specchio all’ombra vana,all’ombra ch’e’ suo’ nati par somigli;e mentre di tal vista s’innamorala sciocca, el PREDATOR la via divora.(POLIZIANO, Stanze I XXXIX)

A Poliziano si aggiunge Lorenzo il Magnifico, da cui Ariosto riprende alcune tes-sere:

Sı come il cacciator, che i cari figliastutamente al fero tigre fura,e, benche innanzi assai campo gli pigli,la fera, piu veloce di natura,quasi gia il giugne e insanguina gli artigli;ma, veggendo la sua propria figuranello specchio ch’e’ truova in sulla rena,

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598 V. COPELLO

crede sia ’l figlio e ’l corso suo raffrena;cosı drento allo specchio del mio core

si queta questo bel foco amoroso.Ma, poi che riconosce il vano errore,questo fer tigre surge furioso;e, se non giugne il ladro cacciatore,non truova irato alcun breve riposo.(Selve II 131-32)

Ma sottesi ai testi dei due umanisti sono innumerevoli antecedenti classici: Omero(Il. XVIII 318-22); Valerio Flacco (Argon. I 489-93) 42; Ovidio (Met. XIII 547-48) 43; Plinio (Nat. hist. VIII 24) 44; Stazio (Theb. IV 315-16) 45; Silio Italico (Pun.XII 458-62) 46; Claudiano (De raptu Pros. III 263-68) 47. I passi di Ovidio e Staziosono troppo brevi per essere all’origine dell’ottava ariostesca, mentre i versi diValerio Flacco accolgono un punto di vista diverso (quello del cacciatore insegui-to, e non quello della tigre adirata); solo in Silio Italico compare (com’era gia piusinteticamente in Omero) il dispiegarsi geografico della fuga. Ad ogni modo, intutti i brani il contesto e bellico: il tertium comparationis e ora l’ira, ora la rapidi-ta di inseguimento o di fuga, ora la ricerca di un figlio, ora queste cose insieme.Nelle riscritture volgari, invece, il paragone e rifunzionalizzato in chiave amorosa:cosı e in Poliziano e in Lorenzo, ma anche gia in Stefano Protonotaro (Pir meucori alligrari, 22-31), e in tutti e tre un ruolo essenziale viene svolto dallo spec-chio che la tigre si ferma a contemplare (che era gia in Claudiano, unico fra iclassici) 48. Il Furioso imposta il tertium comparationis sull’ira di Rodomonte, nelmomento in cui scopre che Mandricardo ha catturato la sua Doralice, e contamina

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599QUALE ILIADE LEGGEVA ARIOSTO?

42 «Haud aliter saltus vastaque pernix / venator cum lustra fugit, dominoque timentem / ur-get equum, teneras compressus pectore tigres, / quas astu rapuit avido, dum saeva relictis / materin adverso catulis venatur Amano».

43 «Utque furit catulo lactente orbata leaena, / signaque nacta pedum sequitur, quem non vi-det, hostem».

44 «Tigrim Hyrcani et Indi ferunt, animal velocitatis tremendae et maxime cognitae, dum ca-pitur totus eius fetus, qui semper numerosus est. [...] At ubi vacuum cubile reperit feta – mari-bus enim subolis non cura est –, fertur praeceps odore vestigans. Raptor adpropinquante fremituabicit unum ex catulis; tollit illa morsu et pondere etiam ocior acta remeat iterumque consequiturac subinde, donec in navem regresso inrita feritas saevit in litore».

45 «Raptis veluti aspera natis / praedatoris equi sequitur vestigia tigris».46 «Haud secus amisso tigris si concita fetu / emicet, attonitae paucis lustratur in horis /

Caucasus et saltu tramittitur alite Ganges, / donec fulmineo partus vestigia cursu / colligat et ra-biem prenso consumat in hoste».

47 «Arduus Hyrcana quatitur sic matre Niphates / cuius Achaemenio regi ludibria natos / ad-vexit tremebundus eques: fremit illa marito / mobilior Zephyro, totamque virentibus iram / di-spersit maculis, iamiamque haustura profundo / ore virum, vitreae tardatur imagine formae».

48 La leggenda della tigre allo specchio e entrata nella letteratura italiana grazie al trovatoreRigaut de Barbezihl, per essere poi utilizza anche dal Protonotaro (G. CONTINI, Letteratura italia-na delle origini, Firenze 1970, 66), ed e presente anche nei bestiari: «Lo tigro si e una bestiache e piu currente che nulla bestia che huomo conosca, et e de tal natura ch’elli si delecta demirare in del specchio, sı che quando lo savio cacciatore vae per prendere li suoi filioli a la ta-na, se porta con seco molti specchi e vasene a la thana del tigro, e quindi li soi filioli trahe, epartese con essi. E quella via ond’elli fugge si va ponendo li specchi e quando lo tigro torna ala tana e non truova li filioli, sı se mette ad correre di grande forza sı che bene giugnerebbe locacciatore, ma trova questi specchi per la via. Sı se regge a miralli e non seguisce piu lo caccia-

cosı il contesto amoroso dei modelli volgari (eliminando pero il particolare dellospecchio) con la collera dei testi antichi.

Dentro tale dinamica rete risulta difficile sostenere l’assoluta necessita di riferirsia Omero (Il. XVIII 318-22), dove peraltro il figurante non e una tigre, ma un leo-ne:

Sicuti leo amplicalliscui iam catulos venator auferat virsilva a densa. hic autem contristatur ultimusveniensmultumque cito venit post viri vestigiaperscrutanssicubi inveniat. valde enim acuta IRA tenet.(trad. LEONZIO PILATO)

Iubati leonis instar, qui catulos ex densasylva a venatore abreptos repetito cubilinon inveniens, tristi et prae nimia IRAFURENS, viri vestigia prosequens, uni-versam peragrat sylvam.(trad. GRIFFOLINI)

Nessun elemento tanto del testo originale quanto delle traduzioni latine pare es-senziale per la creazione dei versi ariosteschi, nemmeno quel repetito cubili diGriffolini che sembrerebbe anticipare il voto albergo del Furioso: nel testo di Pli-nio, infatti, si trova l’espressione vacuum cubile reperit, che potrebbe essere ilmodello dello stesso Griffolini.

5. La similitudine seguente si rifa certamente a Virgilio (benche una delle due im-magini appartenga anche a Catullo):

Come PURPUREO FIOR LANGUENDOMUORE,che ’l vomere al passar tagliato lassa;o come carco di superchio umoreil PAPAVER ne l’orto il CAPO abbassa:cosı, giu de la faccia ogni colorecadendo, Dardinel di vita passa;passa di vita, e fa passar con luil’ardire e la virtu de tutti i sui.(Orl. fur. XVIII CLIII)

PURPUREUS veluti cum FLOS succisusaratroLANGUESCIT MORIENS lassovePAPAVERA collodemisere CAPUT, pluvia cum fortegravantur(VERG. Aen. IX 435-37) 49

nec meum respectet, ut ante, amorem,qui illius culpa cecidit velut pratiultimi flos, praetereunte postquamtactus aratro est.(CATUL. Carm. XI 22-24)

Le traduzioni di Il. VIII 306-08, infatti, non presentano altrettanti riscontri lessica-li, ma contengono un particolare assente nell’Eneide e corrispondente al sintagmaariostesco ne l’orto (v. 4):

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600 V. COPELLO

tore» (M.S. GRAVEN - K. MCKENZIE, Il bestiario toscano secondo la lezione dei codici di Parigie di Roma, 40, citato in LORENZO DE’ MEDICI, Tutte le opere, a c. di P. ORVIETO, II, Roma 1992,584).

49 Questi versi omerici (che Macrobio cita in Saturnalia V 10, 13) erano stati ripresi ancheda Catullo: «nec meum respectet, ut ante, amorem / qui illius culpa cecidit velut prati / ultimiFLOS, praetereunte postquam / tactus aratro est» (Carm. XI 21-24).

Pinus autem sicuti ad alteram partemCAPUT clinavit que IN ORTO,fructu aggravata nothis vernis.sic ad alteram partem cecidit CAPITE cumgalea gravato.(trad. LEONZIO PILATO)

Et quemadmodum PAPAVER IN huberiHORTO pubescens, ad iniustum veris im-brem, in latus demittere CAPUT solet,sic Gorgythion, gravante collum galea,caput in alteram scapulam MORIENDOsubmisit.(trad. VALLA)

Purtroppo, l’aver riconosciuto la dipendenza da Omero non ci permette nemmenoin questa occasione di determinare la provenienza esatta del sintagma, che appar-tiene sia a Leonzio che a Valla. Piuttosto l’origine puo essere rinvenuta altro-ve 50:

Ut, siquis violas rigidumve PAPAVER INHORTOliliaque infringat fulvis horrentia virgis,marcida demittant subito CAPUT illagravatum,nec se sustineant spectentque cacumine terram,sic vultus MORIENS iacet et defecta vigoreipsa sibi est oneri cervix, umeroque recumbit.(OV. Met. X 189-95)

ut flos IN saeptis secretus nasciturHORTIS,ignotus pecori, nullo convulsus aratro,quem mulcent aurae, firmat sol, educatimber...(CATUL. Carm. LXII 39-41)

6. Per l’ottava XXIV IX sono stati chiamati in causa i versi 422-28 di Il. IV, ben-che non paia legata strettamente (se non per rapsodiche coincidenze) ne a essi nea quelli analoghi di Virgilio e Catullo:

Qual venir suol nel salso lito l’ONDAmossa da l’austro ch’a principio scherza,che maggior de la PRIMA e la seconda,e con PIU forza poi segue la terza;et ogni volta PIU l’umore abonda,e ne l’arena PIU stende la sferza:tal contra Orlando l’empia turba CRESCE,che giu da balze scende e di valli esce.(Orl. fur. XXIV IX)

Fluctus uti, PRIMO coepit cum albescereponto,paulatim sese tollit mare et altius UNDASerigit, inde imo consurgit ad aethera fundo.(VERG. Aen. VII 528-30) 51

Hic, qualis flatu placidum mare matutinohorrificans Zephyrus proclivas incitatUNDAS,Aurora exoriente vagi sub limina Solis:quae tarde PRIMUM clementi flamine pulsaeprocedunt, leviterque sonant plangorecachinni,

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601QUALE ILIADE LEGGEVA ARIOSTO?

50 Si veda il giudizio di RAJNA, Le fonti, 250-51: «Ne e inverosimile che l’originale omericofosse presente ancor esso all’Ariosto, come pensa il Lavezuola per via della frase ‘‘ne l’orto’’.Che l’opinione, in se stessa ragionevolissima, del Romizi (Fonti lat., p. 112), di riportare il ‘‘nel’orto’’ all’imitazione ovidiana, Met. X 190, viene ad essere alquanto scossa da cio che riguardoal l. VIII dell’Iliade accade di dover soggiungere. E qui ancora un sospetto. O sarebbe mai chel’immagine del ‘‘purpureus... flos’’ virgiliano fosse stata ridestata dall’‘‘Ibat purpureus niveo depectore sanguis’’, che Stazio dice di Partenopeo (v. 883)?».

51 Macrobio (Saturnalia V 13, 20) riporta questi versi insieme al modello omerico.

post vento CRESCENTE MAGIS MAGISincrebrescuntpurpureaque procul nantes ab luce refulgent:sic tum vestibuli linquentes regia tectaad se quisque vago passim pede discedebant.(CATUL. Carm. LXIV 269-77)

Sicut autem quando in LITORE multisonantisUNDA marismovetur dense zephyro submovente.in ponto certe PRIMITUS FORTIFICATUR. Iamposteain terram proiecta valde sonat. circum extremitatesreflexa existens facit verticem. spuitque marisspumam.sic tunc densissime cum frequentia danaorummovebantur phalangescontinue. bellumque precipiebat istis quilibet(trad. LEONZIO PILATO)

Igitur crebrae undique Graecorumacies, urgentibus eas ducibus, in bel-lum pugnamque descendunt, tali spe-cie, qualis UNDARUM est adgementia LITTORA zephyro procel-lente tendentium: quae densae, aliae-que post alias festinantes, PRIMOper ipsa spatiosissima maris terga tol-luntur: mox vasto cum fremitu ARE-NIS illisae, obstantes aggerestranscendere conantur, tenuem asper-ginem altius longiusque emittentes.(trad. VALLA)

7. Ariosto rielabora tre volte, all’interno del poema, una similitudine che vanta il-lustri riscritture precedenti. Tralasciando i rimandi intratestuali, si veda quanto iversi del Furioso si avvicinino ai classici latini:

Timida pastorella mai sı prestanon volse PIEDE inanzi a serpe crudo,come Angelica tosto il freno torse,che del guerrier, ch’a PIE venıa, s’accorse.(Orl fur. I XI 5-8)

Non altrimenti or quella piuma abborre,ne con minor prestezza se ne leva,che de l’ERBA il villan che s’era messoper chiuder gli occhi, e vegga il serpe appresso.(Orl fur. XXIII CXXIII 5-8)

Ma come poi l’imperiale augello,i gigli d’oro e i pardi vide appresso,resto PALLIDO in faccia, COME QUELLOCHE ’l PIEDE incauto d’IMPROVISO ha messosopra il serpente venenoso e fello,dal pigro sonno in mezzo l’ERBE OPPRESSO;che spaventato e smorto si ritira,FUGGENDO quel, ch’e pien di tosco e d’IRA.(Orl fur. XXXIX XXXII)

IMPROVISUM aspris VELUTI QUIsentibus anguemPRESSIT humi nitens trepidusquerepente REFUGITattollentem IRAS et caerula collatumentem:haud secus Androgeos visutremefactus adibat(VERG. Aen. II 379-82) 52

attonitusque metu rediit, ut saepeviatorturbatum viso rettulit angue PEDEM(OV. Fast. II 341-42)

Et sicPALLEAT, ut nudis PRESSIT quicalcibus anguem(IUV. Sat. I 42-43)

Sı rubella d’amor, ne sı fugacenon PRESSE ERBA col PIEDE;

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602 V. COPELLO

52 Anche per questo passo dell’Eneide Macrobio cita l’Iliade (Saturnalia V 5, 11).

ne mosse fronda mai Ninfa con mano(BEMBO, Asolani II XVI 1-3)

Di fronte a una tradizione cosı ricca pare superfluo convocare direttamente Omero(Il. III 33-37), che pure e l’origine di tutte le rielaborazioni successive:

Retro autem sociorum ad multitudinem currebatmorte FUGIENS.sicut quanto quis draconem videns retrorsusprocul stetit.montis de foramine. et tremor occupavit membra.retro recessit. PALLOR ipsum cepit per genas.sic iterum popuum intravit troianumhonorabilium.timuit Atrei filium Alexander deo similis.(trad. LEONZIO PILATO)

At vero Alexander viso Menelao ob-vium veniente, subito timore percul-sus, REPRESSO relatoque PEDE, adsuos sese recipiebat: Quali IS, QUIper montanum callem transiens exIMPROVISO prope se dracone con-specto turbatur, PALLESCIT, tremit,et pene prae formidine collabens RE-TROFUGIT.(trad. VALLA)

Sic ubi quis cernit nemoroso in montedraconem,avertit gressum, tremulos pavoroccupat artusattoniti, PALLORque genisexsanguibus errat;sic se se ad populum cursu trepidanterecepitcontinuo Paris et magnum vitavitAtridem(trad. POLIZIANO) 53

8. Anche gli ultimi versi del poema, com’e noto, accolgono in se un’intera tradi-zione letteraria:

E due e tre volte ne l’orribil frontealzando, piu ch’alzar si possa, il braccio,il FERRO del pugnale a Rodomontetutto nascose, e si levo d’impaccio.Alle squalide ripe D’ACHERONTE,SCIOLTA dal corpo piu freddo che giaccio,bestemmiando FUGGI L’ALMA SDEGNOSA,che fu sı ALTIERA AL MONDO e sıORGOGLIOSA.(Orl fur. XLVI CXL)

Hoc dicens FERRUM adverso subpectore conditfervidus; ast illi SOLVUNTURfrigore membravitaque cum gemitu FUGITINDIGNATA sub umbras(VERG. Aen. XII 950-52)

su la trista riviera D’ACHERONTE(DANTE, Inf. III 78)

Quei fu AL MONDO personaORGOGLIOSA(DANTE, Inf. VIII 46)

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603QUALE ILIADE LEGGEVA ARIOSTO?

53 Si cita da A. POLIZIANO, Prose volgari inedite e poesie latine e greche edite e inedite, a c.di I. DEL LONGO, Firenze 1867, rist. anast., New York 1976.

Venimmo a lei: o anima lombardacome ti stavi ALTERA ediSDEGNOSA(DANTE, Purg. VI 62-62)

INDIGNANTEM ANIMAM propriisnon reddidit atris(STAT. Theb. VI 885)

[Rodomonte] fu superbo edORGOGLIOSO tantoche disprezava il MONDO tuttoquanto(BOIARDO, Inam. de Orlando II I 52,7-8)

Il modello virgiliano e inequivocabile. Ma all’origine dei versi terminali dell’Enei-de c’e il distico di Il. XVI 856-57 (identico in Il. XXII 362-63), che tuttavia nonsembra decisivo per il Furioso:

ANIMA autem a membris volans infernum intravitpropriam mortem flens. linquens virilitatem et etatem(trad. LEONZIO PILATO)

ANIMA autem a membris volans ad infernumtransivitpropriam mortem flens. liquens virilitatem et etatem(trad. LEONZIO PILATO)

Haec memorantem mors invasit,et ANIMA FUGIT, complorans il-lum aetatis florem, illud robur ase relinqui, atque ita ad infernumconcessit.(trad. VALLA)

Sic dicentis oculos mors caligavit,ANIMA a CORPORE, casumsuum deflens relicto aetatis floread inferos commigravit.(trad. GRIFFOLINI) 54

5.3. Passi contaminati (II)

1. Nuovo esempio di contaminatio e l’ottava I LXV, dove Ariosto intreccia tesserevirgiliane, ovidiane e omeriche. La stessa similitudine era stata riscritta gia neiCarmina giovanili:

ut STUPOR insolitus mentem defixerit aegram:deprensus veluti sub querno tegmine PASTOR,cuius glandiferos populatur FULMINE ramosIUPPITER, ut rutilo reteguntur lumine silvae,et procul horrenti quatitur nemus omne FRAGORE,

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604 V. COPELLO

54 Oltre questi passi si veda anche Orl. fur. XVIII CLXIII, analizzato da Rajna, che rimanda aVERG. Aen. IX 160 e 166 e HOM. Il. VIII 509, 554, 562; a questi versi, che non sembrano deci-sivi per il Furioso, si aggiungano anche quelli di STAT. Theb. X 15-16, 40-44.

labitur ille impos mentis, rigor occupat artus,stant immoti oculi, ora immota, immobile pondus.(Carmen Ad Albertum Pium XIV 7-13)

Qual istordito e STUPIDO aratore,poi ch’e passato il FULMINE, si levadi la dove l’ALTISSIMO FRAGOREappresso ai morti buoi steso l’aveva;che mira senza fronde e senza onoreil pin che di lontan veder soleva:tal si levo il pagano a pie rimaso(Orl. fur. I LXV 1-7)

STUPET inscius ALTOaccipiens sonitum saxi de vertice PASTOR(VERG. Aen. II 307-08)

FULMINIBUS caelo veluti FRAGOR editusALTO(VERG. Appendix, Culex 317)

Non aliter STUPUI, quam qui IOVIS ignibusictusvivit et est vitae nescius ipse suae(OV. Trist. I III 11-12)

Numerosissime sono le coincidenze lessicali con i testi latini citati. Eppure, alcunidettagli dei due brani ariosteschi non si spiegano senza l’influsso di Il. XIV 414-18:

Sicut autem quando sub ruina patris IOVISruinetur QUERCUSradicitus. asper autem FULMINIS fit odor.ab ipsa. illum non tenet audacia qui VIDERITiuxta existens. grave autem IOVIS magniFULMEN.Sic cecidit hectoris cito infra potentia inpulveribus(trad. LEONZIO PILATO)

In terram cum ingenti armorum sonitunon aliter corruit, quam QUERCUS decoelo tacta radicitus cadit, tetrum red-dens odorem sulfuris, ita ut qui proxi-mi astiterant, attonitis illam sensibusspectent (dira enim res est IOVISFULMEN) Graeci conspecto humiHectore...(trad. VALLA)

Solo in Omero, infatti, compare un albero, la quercia, che viene preservata identi-ca nel carmen Ad Albertum Pium per essere invece modificata in pino nel Furio-so; solo nell’Iliade al fulmine e associato Giove e si accenna a una distanza dalfatto accaduto (di lontan: iuxta di Leonzio, proximi di Valla).

Tuttavia, bisogna ancora notare che la dittologia istordito e stupido – che purepuo essere parzialmente ricondotta ai classici latini citati – non ricorda alcunaespressione dell’Iliade greca, e quindi non compare nemmeno in Leonzio. Invece,nella prosa di Valla si legge attonitis [...] sensibus: le due parole rappresentanoun’innovazione rispetto al testo di Omero, che non parla di stordimento ma solo dipaura. Posto che i brevi passi di Virgilio e Ovidio non possono aver dato origine auna similitudine cosı complessa, bisogna supporre che Ariosto avesse in mentel’Iliade, e con il mutamento che solo la versione di Lorenzo Valla riporta.

2. L’Iliade (XVII 570-73) e probabilmente alla base anche della similitudine di XCV, che si rifa a una terzina dell’Inferno (ma si veda anche il Mambriano):

Simil battaglia fa la MOSCA AUDACEcontra il mastin nel polveroso agosto,

non altrimenti fan di state i canior col ceffo or col pie, quando son MORSI

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605QUALE ILIADE LEGGEVA ARIOSTO?

o nel mese dinanzi o nel seguace,l’uno di spiche e l’altro pien di mosto:negli occhi il punge e nel grifo MORDACE,volagli intorno e gli sta sempre accosto;e quel suonar fa spesso il dente asciutto:ma un tratto che gli arrivi, appaga il tutto.(Orl. fur. X CIV 7-8, CV) 55

o da pulci o da MOSCHE o da tafani.(DANTE, Inf. XVII 49-51)

Non e sı stimolato da MOSCONIun vulnerato e mal pasciuto canecome costei in piu sermoni(CIECO DA FERRARA, Mambriano IV LXXVII

1-3)

Et sibi MUSCE AUDACIAM in pectoribusposuitque et prohibita valde corpus virileanhelat MORDERE. calidumque sibicruorem hominis bibere.tali ipsum AUDACIA implevit sensusnigros.(trad. LEONZIO PILATO)

[GRIFFOLINI omette questi versi] 56

Nell’Iliade le mosche pungono l’uomo, e non vi sono quindi cani o mastini; i ter-mini mordace (da mordere) e soprattutto audace in posizione forte sembrano ri-mandare, pero, ai versi di Leonzio (dove audacia ricorre ben due volte). Non si ereperito il sintagma mosca audace nella tradizione letteraria italiana (anche se nelFurioso del 1516, al verso XIV CIX 4, si leggeva «l’audaci mosche» dove ora sitrova «le impronte mosche»; cfr. oltre). Si puo dunque supporre che Ariosto con-taminasse Leonzio con i modelli volgari.

3. Per l’ottava seguente, invece, Ariosto segue alcuni versi dell’Eneide:

Le lucid’ARME il caldo SANGUE IRRIGAper sino al pie di rubiconda RIGA.

Cosı talora un bel purpureo nastroho veduto partir tela d’argentoda quella bianca man piu ch’alabastro,da cui partire il cor spesso mi sento.(Orl. fur. XXIV LXV 7-8, LXVI 1-4)

Sparso late RIGAT ARMA cruore(VERG. Aen. XII 308)

Indum SANGUINEO veluti violaverit ostrosi quis ebur aut mixta RUBENT ubi liliamultaalba rosa: talis virgo dabat ore colores.(VERG. Aen. XII 67-69) 57

Gli esametri virgiliani hanno forse mediato (richiamandola) un’immagine omerica(Il. IV 141-146), che giunge a spiegare l’insolito paragone ariostesco:

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606 V. COPELLO

55 Per il v. 7, cfr. «saevit in auras / morsibus et vani crepitant sine vulnere dentes» (MANILII

Astron. V 602-03).56 Per quanto salti la similitudine, Griffolini conserva il particolare dell’audacia. Si legge in-

fatti: «Tunc Minerva laetata est, quod primum ante omnes deos ipsius mentionem fecerit. Corro-boravit autem et humeros et genua, et audentem reddidit, et humani corporis magna ex parteaffectum cohibuit. Lene namque eius ingenium prudenti audacia implevit. Tu mille Patroclo pro-prio factus telum intorsit».

57 Macrobio (Saturnalia V 12, 4) cita unicamente questo secondo passo virgiliano, a cui faseguire il solo v. 141 di Il. IV.

Sicuti quando aliqua elefantem muliercolore RUBEO tingitmeonia vel caera. ornamentum esseequorumiacet autem in thalamo. multi ipsumdesideraveruntequites ferre. imperatore autem iacetidolumin utroque ornatus autem in equoaurigeque gloriatalia tibi o menelae tincta suntSANGUINE laterapulcre forme. ocreeque atque sphire bonedesuper(trad. LEONZIO PILATO)

Ita quales habenae sunt, quas inducto superebore algente Meoniae mulieres atque Cariaerubrica tingunt, easque in thalamo reponunt,multis quidem equitibus concupitas, soli ta-men regali corrui destinatas, unde et equi re-gis ornentur, et eorum agitator glorietur, taliatua erant Menelae crura, calces SANGUINEcandorem formosorum artuum distinguente.(trad. VALLA)

Puniceo veluti detersum Maeonis olimaut Cariatis ebur violat cum femina fuco,cornipedem quod fraenet equum, iacet illud inaltocompositum thalamo, multique in proelia ferreoptavere equites nequicquam, namque verendoservatur regi, validum quod luce RUBENTIornet equum pariterque equiti sit gloria celso;sic tibi PURPUREO, Menelae, nitentia cruraet femora et pulchri rubuerunt SANGUINEtali.(trad. POLIZIANO)

All’analogia della figurazione si somma l’identita di situazione: in entrambi i casi– in Ariosto e in Omero – vi e uno spettatore che rabbrividisce vedendo che auna persona cara e inflitta una ferita che si rivelera meno grave di quanto nonsembri. Tuttavia, nessuna delle due traduzioni umanistiche presenta affinita decisi-ve coi versi del Furioso.

4. Per il breve paragone che segue, i commenti non indicano sempre un modello;se capita, e l’Iliade (XII 421-25). Tuttavia, mi sembra che sia ancora una voltainevitabile rimandare a Virgilio:

Quelli, che sempre fur nel FERRO avezzi,or, come duo villan per sdegno fierinel partir acque o termini de prati,fan crudel zuffa di duo pali armati.(Orl. fur. XXIII LXXXIII 5-8)

Raptis concurrunt undique telisindomiti agricolae; [...]non iam certamine agresti,stipitibus duris agitur sudibusve praeustis,sed FERRO ancipiti decernunt atraque latehorrescit strictis seges ensibus aeraque fulgentsole lacessita et lucem sub nubila iactant(VERG. Aen. VII 520-27) 58

L’Eneide e essenziale per diversi particolari: il termine ferro, i pali (da telis, omeglio da sudibus), i villan (da agricolae). Ma nell’Iliade compaiono altri detta-gli: il numero duo e il motivo della disputa (i termini):

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607QUALE ILIADE LEGGEVA ARIOSTO?

58 Cfr. MACROBIO, Saturnalia VI 1, 16, che trascrive anche i versi dell’Iliade.

Sed sicuti circum confinia DUO viri pugnarentmensuras in manibus tenentes in communi terraqui modico in loco litigant de equitate.sic vere hos prohibebat. [+] Isti supra ipsaspercutiebantur alterutrum circum pectora bovinosclipeos boni circuli(trad. LEONZIO PILATO)

Sed quemadmodum DUO viri deTERMINIS individui limitibus agri di-scordes, mensoriam lineam qua finesutriusque discernant, manibus tenentes,tandem de exiguo TERMINO rixantur:sic utrique de propugnaculis, quibusdivisi erant, belligerabant, et hi et illiscutis parmisque protecti.(trad. VALLA)

In questi due ultimi esempi appare chiaro come Ariosto deve aver tenuto presenteanche Omero. A favore di Valla, si trova la duplice presenza di terminis-termino(termini nel Furioso), mentre in Leonzio si legge il sinonimo confinia.

5.4. Riferimenti obbligati

1. La similitudine delle mosche di XIV CIX riscrive un paragone che compare duevolte nell’Iliade (II 469-73 e XVI 641-44):

Come assalire o vasi pastorali,o le dolci reliquie de’ convivisoglion con rauco suon di stridule alile impronte mosche a’ caldi giorni estivi;come li storni a rosseggianti palivanno de mature uve: cosı quivi,empiendo il ciel di grida e di rumori,veniano a dare il fiero assalto i Mori.(Orl. fur. XIV CIX)

Pare che l’immagine, prima di Ariosto, sia stata ripresa solamente da Boiardo,che poteva averla letta nella versione di Valla:

lui sera da la gente molestato,che ciascuno omo e giotissimo a lo oropiu che la MOSCA a latte riscaldato.(BOIARDO, Timone IV 34-36)

Che il fulmineo paragone del Timone non sia sufficiente a giustificare l’ottavaariostesca, pare evidente. Decisivi, infatti, sono i due passi omerici:

Sicut avium volatilium gentes multeanserum vel gruum vel olorum longi colliasiatico in prato Caystri circum undaset hac et illac volant exultantes aliscum SONO sedentes. lucet que pratumsic istorum gentes multe a templis a tendisad campum fundebantur scamandrium. [...]Sicuti MUSCARUM innumerabilium gentesmulte

Tantus etiam SONUS in Scamandricampo festinantium, quantum clango-rem reddunt plurima gruum, cygno-rum, anserumque agmina, ultro citro-que volitantia, ac modo se demittentia,modo subvolantia ad Caystri fluentacum inter consitas arboribus ripas po-tando, lavandoque gestiunt, circum-iunctis pratis ad multiplicem vocem re-

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608 V. COPELLO

que per vada gregem sequunturtempore veris, quando munctor VASA IMPLETtot in troianos comosi achiviin campo stabant pugnare volentes.(trad. LEONZIO PILATO)

Sicuti quercus incidentium virorum strepituselevaturmontis in vallibus. procul autem fit auditus.Sic istorum suscitabatur SONUIsti semper circum mortuum bellabant. Sicutiquando MUSCEin caula ovium abundant circum lacteos scifosin tempore veris. quando lac VASA IMPLET.Sic vere isti cirum mortuum bellabant.(trad. LEONZIO PILATO)

sultantibus. [...]. Et sicut densa MU-SCARUM examina, sub veris temporein PASTORALI tugurio ad plena lac-tis mulctra circumfluunt(trad. VALLA)

Quali autem ex ictibus calonum alio-rumve materiae caseorum in confrago-

so montis dorso redditur longe RESO-NANS strepitus, talis ex campestri illocertaminis loco tunc reddebatur [...].Circa quem non aliter et hi et illi in-cumbebant pugnae, quam MUSCAEsub vernum tempus ad caulas, cum cir-cumfusae plenis lacte mulctris satura-nat voracitatem(trad. VALLA)

In entrambi i casi e stata riportata la traduzione dei versi che precedono la simili-tudine, per due motivi. Innanzitutto perche anche in Omero (Il. II 459-66) si trovaun paragone con gli uccelli, benche tra questi si annoverino solo oche, gru e cigni(e non gli storni di Ariosto). In secondo luogo perche quegli esametri contengonoriferimenti all’aspetto sonoro, che e fondamentale nel Furioso: le mosche dell’Ilia-de sono chiamate a testimoniare il numero degli Achei (libro II) o l’addensarsidei guerrieri attorno al cadavere di Sarpedone (libro XVI), mentre l’ottava arioste-sca verte – con riprese tra figurato e figurante – sull’assalto (v. 1 assalire, v. 8assalto) e sul rumore di tale assalto (v. 3 con rauco suon, v. 7 di grida e di ru-mori). Il dettaglio sonoro – accennato in Leonzio – non e presente nella traduzio-ne di Valla, ma compare sia nella versione di Il. II di Poliziano che in quella diIl. XVI citata da Dolce (e poi da Pietro Ulivi):

Utque gruum gentes celerum, seu plurimus anser,carmine seu placido qui mulcent flumina cygni,Asia cum laeti pennis cirum arva volantesdulcibus in stagnis rimantur prata Caystri,nunc huc nunc illuc placido clamore feruntur; [...]Extempo RESONAT pedibus conterrita telluscornipedum; steterant campis iamque agmina Graiummillia, quot foliis quot floribus incipit annus.Ac velut innumerae pleno cum lactis oviliMUSCARUM gentes incumbunt vere sereno,et volitant mulctras ingenti murmure circum(trad. POLIZIANO)

Ut RESONANT multum confusae tempore verisMUSCARUM turbae, cum plenis undique mulctrislacte volant caulas circum: sive aera magnumIMPLENT dicaces STURNI clangoribus altiscernentes hostem sacrum, stragemque minantem.(trad. di Il. XVI 641-44 cit. da L. DOLCE)

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609QUALE ILIADE LEGGEVA ARIOSTO?

Per quanto riguarda gli esametri riportati da Dolce, sorprende la presenza dei me-desimi sturni del Furioso, assenti in Il. XVI. Di Poliziano, invece, bisogna ricor-dare la riscrittura che la medesima similitudine subı all’interno della Sylva inscabiem (composta fra il 1475 e il 1478) 59. Qui si trova l’aggettivo rauco (in po-sizione forte, e dunque di piu facile memorabilita) che ritorna in Ariosto 60:

vix tantus vere rubentiMUSCARUM quondam populus mulctraria circuminvolitat stabulis, tenuique proboscide grandesdiripiunt gutas ac lactea murmure RAUCOobscoenae volucres huc illuc pocula raptant(POLIZIANO, Sylva in scabiem 181-85)

Inoltre, pocula raptant puo aver generato assalire [...] vasi di Ariosto, dato chenelle altre traduzioni i verbi utilizzati (sequuntur, circumfluunt, abundant, incum-bunt, volant) indicano un’azione differente. Vi sono quindi due indizi piuttostoforti in direzione di Poliziano.

Tuttavia, nella Sylva in scabiem non compare la perifrasi temporale che era pre-sente nei versi omerici e senza la quale resterebbe immotivata l’espressione a’ caldigiorni estivi del Furioso. L’indicazione stagionale si rinviene invece in Valla, a cuiconduce senz’altro il nesso vasi pastorali, prima rima dell’ottava ariostesca. L’uma-nista rende piuttosto liberamente l’omerico katav staqmo;n poimnhvi>on («all’internodella stalla delle pecore») con l’espressione pastorali tugurio. Leonzio Pilato avevatradotto erroneamente con per vada gregem sequuntur, mentre Poliziano riassumeil concetto nel vocabolo ovili; gli altri testi citati utilizzano caulas o stabulis. Ora,il sintagma ariostesco vasi pastorali e una condensazione molto forte di due interiversi dell’Iliade (II 470-71), e rappresenta una sintesi piuttosto ricercata: i «secchipieni di latte nella stalla delle pecore» diventano semplicemente vasi pastorali (conla scomparsa sia del latte che delle pecore). Il fatto che Valla usi proprio in quelpasso l’aggettivo pastoralis per tradurre poimnhvi>on (che significa piu propriamente«delle pecore») non puo essere un caso fortuito.

E se, a quanto pare, Ariosto ha contaminato Valla e Poliziano, vale a dire duetraduttori del medesimo passo omerico, non sembrera strano constatare che il sin-tagma stridule ali proviene da Ovidio (stridentibus alis, Met. IV 616), mentre l’ag-gettivo impronte e associato alle mosche anche nel Dittamondo di Fazio degliUberti («Quanto noiose al tempo de la frutta / e impronte son le mosche, erano anoi / le genti della terra acerba e brutta», VI VI 10-12) 61, nel Morgante di Pulci(«impronto piu ch’una mosca culaia», Morg. XXIV XCVII 3) e nel Simposio di Lo-renzo de’ Medici («ch’e piu ghiotto e piu ’mpronto ch’una mosca» (Simposio VI).Non e nemmeno da escludere che il passaggio stagionale – dalla primavera dell’I-liade al tempo della frutta del Dittamondo – sia la premessa per la variazione a’

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610 V. COPELLO

59 Cfr. ARIOSTO, Orlando furioso, a c. di BIGI, I, 591.60 Cfr. A. POLIZIANO, Sylva in scabiem, a c. di A. PEROSA, Roma 1954, citato in A. POLIZIA-

NO, Sylva in scabiem, a c. di P. ORVIETO, Roma 1989, 2.61 Cfr. L. ARIOSTO, Orlando furioso, a c. di A. ROMIZI, Milano 1900, 270.

caldi giorni estivi; la menzione della frutta, peraltro, potrebbe anche essere all’ori-gine delle mature uve del secondo paragone ariostesco 62.2. Vi sono poi tre passi del poema ariostesco che non contengono similitudini eche sono quindi meno esposti alla contaminazione.

Rispose Mandricardo: - Indarno tentachi mi vuol impaurir per minacciarme:cosı fanciulli o femine spaventa,o altri che non sappia che sieno arme;me non, cui la battaglia piu talentad’ogni riposo; e son per adoprarmea pie, a cavallo, armato e disarmato,sia alla campagna, o sia ne lo steccato.(Orl. fur. XXIV XCVIII)

Ariosto segue quasi verso per verso il senso di Il. VII 233-41.

Huic dixit magnu galeatus hector -Aiax a iove generationem habens telamoniedomine populorumnon de me sicuti de puero infirmo experieris.VEL muliere QUE NESCIT bellicosa opera.iam ego vidi pugnas hominumque interfectionesscivi in dextera. scivi in leva movere bovemsiccum quod michi est forte pugnare.scivi autem commovere bellum equorumvelociumscivi manuale pugna delectare martem(trad. LEONZIO PILATO) 63

Ne mecum, inquit, princeps Aiax ver-bis agas ad terrendum appositis, tan-quam cum muliebri sexu, AUT pueriliaetate, cui per imperitiam rei bellicaefacile timor incutitur. Ego scientia reimilitaris peritus sum, ego mortiferosictus inferre et propulsare didici, toto-sque dies sub ARMIS in diro Martetransigere scio. Nunc sinistro, nuncdextro brachio parmam gestans, utra-que manu pugnare scio. Quomodo exequis dimicandum sit, quomodo pede-

stri certamine, scio: denique quomodohostis insidiis sit atque arte fallendus.(trad. VALLA)

Se non sappia traduce letteralmente quae nescit di Leonzio, «chi mi vuol impaurirper minacciarme» trova un antecedente solo in Valla («ne mecum [...] verbis agasad terrendum appositis»), dove impaurir corrisponde a ad terrendum e minacciar-

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611QUALE ILIADE LEGGEVA ARIOSTO?

62 Il fastidio provocato dalle mosche vanta una certa tradizione letteraria. Si trova gia in Il.IV 128-31 (nella traduzione di Valla: «Pallas, quae a te ita prope aberat, ut mater ab infantesuo, quem grato sopore perfusum ab improbo muscarum incursu, dextrae ventilatione defendit»),poi in Giusto de’ Conti (Canzoniere CXLIX: «La mosca che mi vola intorno al naso / non altra-mente da mattina a terza, / che quando il sole e gia presso all’occaso, / con altro creda, che condebil ferza / lei minacciando quindi scacciaro») e in Boiardo (Inam. de Orlando III VIII 14, 3-7:«Come la mosca torna a chi la scaccia, / o la vespa aticciata, o i calavroni: / cotal parea la ma-ledetta raccia, / da’ merli traboccata e da’ torroni, / che dirupando al fondo giu ne viene»; e IIVIII 9, 5-8: «Diceva il saracin tra dente e dente: / a questo modo la mosca se caccia, / a questomodo al naso si fa vento; / ma ben ti pagaro, s’io non mi pento»), ma nessun elemento di questibrani sembra anticipare il dettato del Furioso.

63 La versione di Andrea Divo, citata anche da Lavezuola, presenta proprio il verbo tenta inclausola: «Ne me tanquam puerum imbecille TENTA».

me a verbis agas [...] appositis; Leonzio Pilato, infatti, rende letteralmente mhvpeirhvtize («non tentarmi») con non [...] experieris. Valla dilata quindi il versodell’Iliade, e Ariosto recepisce l’ampliamento. Si aggiunga che anche l’ariostescoa pie, a cavallo corrisponde perfettamente a ex equis [...] pedestri certamine diValla, mentre Leonzio Pilato presenta un’espressione piu contorta, che significasostanzialmente «provocare uno scontro di cavalli veloci... dilettare Marte in unabattaglia corpo a corpo» (invece il greco recita letteralmente: «assaltare la furia dicavalle veloci... danzare per Ares in un corpo a corpo»).

3. Ancora si legge nel Furioso:

Di questo accordo lieto parimentel’uno esercito e l’altro si godea;che ’l travaglio del corpo e de la mentetutti avea stanchi e a tutti rincrescea.Ognun di riposare il rimanentede la sua vita disegnato avea;ognun maledicea l’ire e i furorich’a risse e a gare avean lor desti i cori.(Orl. fur. XXXVIII LXVI)

Anche in questo caso il ricordo dell’Iliade (XX 101-102) sembra inequivocabile,sebbene non si esprima attraverso rimandi testuali esatti:

Isti autem gavisi fuerunt achivi troesquesperantes finire anxium bellum(trad. LEONZIO PILATO)

Tam Graeci quam Troiani exultavere LAETI-TIA, sperantes iam se mortifero bello quietu-ros.(trad. VALLA)

In Ariosto, l’uno esercito e l’altro riscrive Achivi Troesque (o tam Graeci quamTroiani); si godea traduce gavisi fuerunt (o exultavere); il concetto di un accordoche permetta la fine (riposare, da finire o quieturos) della guerra (travaglio, daanxium bellum o mortifero bello) e la premessa di entrambi i brani. Eppure, se ilgavisi fuerunt di Leonzio e in chiara relazione con si godea, la bilancia pende infavore di Valla anche in questa circostanza: il quieturos di Valla e piu vicino ariposare di quanto non lo sia il finire di Leonzio, e di certo laetitia suggeriscelieto molto piu di gavisi; infine, parimente corrisponde a tam... quam di Valla,mentre non ha corrispettivo in Leonzio.

4. Il distico seguente riscrive Il. XX 101-102:

Contra ME so che NON avra difesa,SE TUTTO FOSSE di FERRO o di rame(Orl. fur. XL XLIX 3-4)

NON ME multum levitervincet, non SI TOTUS FERREUS gloriaturESSE.(trad. LEONZIO PILATO)

Haud multum ME superior esset, licet TO-TUM se FERRO tectum ESSE glorietur etiactet.(trad. GRIFFOLINI)

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Poco si puo dire di questi versi: in Leonzio si trovano le particelle non e si che noncompaiono in Griffolini, ma non possono essere ritenuti elementi discriminanti.

6. Conclusioni

Dall’analisi sono emersi alcuni versi dell’Iliade indispensabili per la costruzionedel Furioso e si e detto che le uniche possibilita reali che Ariosto avesse di legge-re un’Iliade latina integrale erano offerte dalla traduzione di Leonzio Pilato e daquella di Valla-Griffolini. Non si puo escludere che l’autore del Furioso, per lasua spiccata tendenza alla contaminazione e forse anche per la diversita delle dueversioni, le abbia consultate entrambe, ora come studente di greco ora come atten-to lettore di classici. Ad ogni modo, sembra che la presenza della traduzione diValla-Griffolini debba ritenersi essenziale in piu di una circostanza: a I LXV, dovela dittologia istordito e stupido deriva da un’innovazione dell’umanista (attonitis[...] sensibus) rispetto all’originale omerico; a XXIII LXXXIII, in cui il dettaglio deitermini dipende necessariamente dall’Iliade, ma solo in Valla si trova – e due vol-te – l’esatto vocabolo (terminis e termino); a XIV CIX, dove l’ariostesco vasi pa-storali sarebbe inspiegabile se non si rinvenisse un precedente in pastoralitugurio; a XXIV XCVIII, che riprende da Valla impaurir (da ad terrendum), minac-ciarme (da verbis agas [...] appositis) – entrambi assenti in Omero – e a pie, acavallo (da ex equis [...] pedestri certamine). Infine, se a XXXVIII LXVI godeasembra derivare dal gavisi di Leonzio, lieto proviene da laetitia di Griffolini, cosıcome parimenti riscrive il suo tam [...] quam. La traduzione di Leonzio Pilato of-fre un suggerimento specifico solamente a X CIV con l’insistenza sull’audacia, mala similitudine in questione resta molto piu vicina a Dante che a Omero.

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