Protestare e argomentare: le campagne dei comitati di cittadini contro il traffico in quattro città...

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Rivista Italiana di Politiche Pubbliche Copyright © 2003 N. 1, 2003, pp 65-99. Roma, Carocci editore Protestare e argomentare: le campagne dei comitati di cittadini contro il traffico in quattro città italiane 1 Gianni Piazza, Lorenzo Mosca, Rodolfo Lewanski, Massimiliano Andretta 2 ABSTRACT Citizens’ committees have become an increasingly frequent, relevant phenomenon in Italian local politics and policy over the last decade or so. This article examines protest campaigns con- cerning traffic policies in four medium-size cities in which such committees have played a pivotal role. Though the ability of such actors to successfully impose their preferences on the policy agenda appears to be at the very least uncertain, an analysis of these campaigns reveals some of the factors that can increase their chances of exerting influence on policy decisions. Such factors include the resources these campaigns can mobilize – namely various forms of human, social and political capital –, their political opportuneness and their ability to structure public discourse within a global framework that fosters the building of coalitions supporting their claims. KEY WORDS: Local government Citizen committees Protest campaigns Traffic policies Environment 1. Questo articolo riporta alcuni risultati emersi dal progetto di ricerca su «Partecipazione politica e rappresentanza: i comitati spontanei di cittadini e le politiche pubbliche dei governi locali», diretto da D. della Porta e finanziato dal MIUR; la ricerca è focalizzata su sei città italiane (Bologna, Catania, Firenze, Mila- no, Palermo e Torino); oltre agli autori dell’articolo, il caso di Milano è stato stu- diato da Paolo Graziano, quello di Torino da Marinella Belluati ed Enrico Allasi- no. 2. Avendo gli autori contribuito in egual misura alla stesura dell’articolo, per motivi di equità si è scelto di elencarne i nomi in ordine alfabetico inverso.

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Rivista Italiana di Politiche Pubbliche Copyright © 2003 N. 1, 2003, pp 65-99. Roma, Carocci editore

Protestare e argomentare: le campagne dei comitati di cittadini contro

il traffico in quattro città italiane1

Gianni Piazza, Lorenzo Mosca, Rodolfo Lewanski, Massimiliano Andretta2

ABSTRACT

Citizens’ committees have become an increasingly frequent, relevant phenomenon in Italian local politics and policy over the last decade or so. This article examines protest campaigns con-cerning traffic policies in four medium-size cities in which such committees have played a pivotal role. Though the ability of such actors to successfully impose their preferences on the policy agenda appears to be at the very least uncertain, an analysis of these campaigns reveals some of the factors that can increase their chances of exerting influence on policy decisions. Such factors include the resources these campaigns can mobilize – namely various forms of human, social and political capital –, their political opportuneness and their ability to structure public discourse within a global framework that fosters the building of coalitions supporting their claims.

KEY WORDS: • Local government • Citizen committees • Protest campaigns • Traffic policies • Environment

1. Questo articolo riporta alcuni risultati emersi dal progetto di ricerca su

«Partecipazione politica e rappresentanza: i comitati spontanei di cittadini e le politiche pubbliche dei governi locali», diretto da D. della Porta e finanziato dal MIUR; la ricerca è focalizzata su sei città italiane (Bologna, Catania, Firenze, Mila-no, Palermo e Torino); oltre agli autori dell’articolo, il caso di Milano è stato stu-diato da Paolo Graziano, quello di Torino da Marinella Belluati ed Enrico Allasi-no.

2. Avendo gli autori contribuito in egual misura alla stesura dell’articolo, per motivi di equità si è scelto di elencarne i nomi in ordine alfabetico inverso.

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1 Introduzione

Negli ultimi anni è andato sempre più crescendo, in Italia e anche al-trove, il fenomeno dei «comitati spontanei di cittadini», quelle forme cioè di organizzazioni sociali spontanee impegnate a promuovere campagne di protesta su vari temi, da quelli ambientali a quelli sulla sicurezza (Bonvecchio 1999; Sebastiani 2001; Della Porta e Andretta 2002a; 2002b). La loro diffusione negli ultimi dieci anni sembra poter essere spiegata sulla base di una serie di fattori causali, tra cui il decli-no del ruolo dei partiti politici tradizionali e della loro capacità di rap-presentare le domande della società civile (Della Porta e Andretta 2002b).

Donatella Della Porta ha sottolineato come i comitati di cittadini possano – a certe condizioni – essere considerati un particolare tipo di organizzazione di movimento sociale, caratterizzato da identità lo-cale, da una struttura flessibile e partecipativa, e da un basso grado di coordinamento. I comitati di cittadini, inoltre, prediligono la protesta come modo prevalente di formazione della domanda politica (Della Porta e Andretta 2001, 45).

Questi attori sono stati visti a volte come affetti da sindrome NIMBY (not in my back yard) caratterizzati da logiche reattive ed egoisti-che incapaci di adottare orizzonti più generali che si estendano oltre il «giardino di casa». Altri autori ne hanno sottolineato la natura demo-cratica di base, per la capacità che talvolta essi hanno di rappresentare i desideri e le aspirazioni dei cittadini di partecipare alle scelte della comunità in cui vivono (Gould et al. 1996, 4).

Gli studi disponibili indicano come i comitati, anche se difficil-mente trascendono il loro carattere provinciale e pur avendo dimen-sioni limitate e risorse organizzative scarse, riescono a volte a impedi-re o rallentare la realizzazione di infrastrutture e progetti localmente indesiderati (LULU – Locally Unwanted Land Uses), di cui temono gli alti impatti ambientali e sociali (Gordon e Jasper 1996; Bobbio e Zeppe-tella 1999; Della Porta e Andretta 2002a). Poca attenzione è stata data all’aspetto inverso, ovvero alla loro capacità di perseguire obiettivi «in positivo».

Lo scopo principale in questo articolo è quello di individuare le ri-sorse che tali attori mobilitano, e i fattori che li favoriscono, nel per-seguimento dei loro obiettivi, di ricostruire i processi attraverso i qua-li i comitati danno vita a relazioni sociali e politiche capaci di trasfor-mare un malcontento soggettivamente sperimentato in un problema politico, e di suggerire infine alcune ipotesi riguardanti gli effetti delle mobilitazioni sugli esiti delle politiche pubbliche.

A questo fine si è scelto di utilizzare un approccio basato sull’ana- lisi di campagne di protesta, definite come «serie di interazioni tema-

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ticamente, socialmente e temporalmente interconnesse, che, dal pun-to di vista degli attori che le portano avanti, sono orientate al rag-giungimento di uno specifico obiettivo» (Della Porta e Rucht 2002, 3).

Gli elementi di forza di un approccio analitico che considera le campagne come unità d’analisi da comparare, possono essere così e-semplificati (ibidem, 3-4):

1. le campagne sono situate a metà strada tra il movimento sociale

nella sua interezza e singole attività dei movimenti; 2. coinvolgono diversi tipi di attori, arene e differenti attività; 3. catturano le dinamiche del conflitto con un’enfasi particolare sulle

interazioni; 4. consentono di svolgere studi «parsimoniosi» che comportano un

impiego di risorse relativamente limitato ma euristicamente ricco e soddisfacente.

Si possono addurre svariate ragioni a difesa dell’utilità di estendere

l’ambito dell’analisi delle politiche pubbliche ad attori che interven-gono con specifiche campagne di protesta nei processi di policy ma-king. Tra le più importanti quella secondo cui le preferenze e le risor-se dei diversi attori che partecipano ai processi decisionali non do-vrebbero mai essere date per scontate. In questo riferimento va nota-to come il decision making possa a volte ridefinire il campo d’interazione degli attori (Bourdieu 1983) all’interno del quale gli individui e i sog-getti collettivi occupano posizioni ed esprimono identità-preferenze, a seconda delle risorse a loro disposizione e della loro percezione dei costi/benefici che le decisioni comporterebbero. Questo si traduce nel trattare le preferenze (e quindi le identità) come endogene al pro-cesso politico e non come entità esogene già date (Pizzorno 2003).

Lo studio delle campagne di protesta può quindi rivelarsi partico-larmente utile per chi sia interessato a includere nello studio delle po-litiche pubbliche processi e attori che rimangono spesso nell’ombra salvo quando, per motivi che occorrerebbe indagare con più atten-zione, questi non modifichino sostanzialmente le politiche pubbliche stesse (cfr. per esempio Bobbio e Zeppetella 1999).

Allo scopo di metterne in luce i meccanismi, sono state seleziona-te quattro campagne svoltesi in quattro differenti città italiane, due centro-settentrionali (Bologna e Firenze) e due meridionali (Palermo e Catania). Queste campagne condividono due caratteristiche impor-tanti: sono tutte promosse e condotte da comitati di cittadini e sono tutte organizzate attorno a politiche locali che hanno come oggetto misure concernenti la politica del traffico veicolare. Focalizzando la loro attenzione sulle politiche del traffico e chiedendo un cambia-mento che comporti la riduzione delle esternalità negative che esse

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provocano (congestione, inquinamento dell’aria ed inquinamento a-custico, incidenti, eccetera), queste campagne esprimono un tipo di domanda sociale connessa ai bisogni di una migliore qualità della vita urbana e toccano il problema della salute e della tutela dell’ambiente. Le città prescelte sono comparabili in termini demografici, con una popolazione che va dai 770.000 abitanti di Palermo ai 340-370.000 delle altre tre città, ma soprattutto in quanto la questione del traffico veicolare sembra essere percepita come ugualmente grave dai loro abitanti (ISTAT 1998), nonostante le significative differenze socioeco-nomiche fra le città centro-settentrionali e quelle meridionali. Esse infatti, sotto questo profilo, appaiono rappresentative della situazione esistente in generale nelle città italiane di analoghe dimensioni 3.

Sotto il profilo del contesto politico locale, le quattro città prescel-te presentano significative diversità e similitudini. Infatti, quando le campagne di protesta hanno inizio, due città – Bologna nel 1999 e Catania nel 2000 – sono governate da coalizioni di centro-destra, mentre le altre due – Firenze e Palermo – sono amministrate nel 1999 dal centro-sinistra. Inoltre, sul fronte delle coalizioni di centro-destra, se Bologna rappresenta un eclatante caso di discontinuità politica (es-sendo sempre stata governata da partiti di sinistra dal dopoguerra al 1999), Catania rappresenta un ritorno alla normalità politica poiché, eccetto il periodo compreso fra il 1993 e il 2000 quando la città era amministrata dal centro-sinistra, è sempre stata governata da coali-zioni moderate quasi sempre guidate dalla DC; al contrario, dal lato delle amministrazioni comunali di centro-sinistra, se Firenze rappre-senta un caso di continuità politica (dal 1975 ad oggi solo nel periodo 1990-1995 è stata governata da coalizioni che hanno escluso il PCI-PDS-DS), Palermo ha una storia politica simile a quella di Catania, ma la campagna di protesta qui analizzata nasce e si sviluppa quando la giunta di centro-sinistra era ancora in carica.

L’analisi comparata permetterà di mettere in evidenza alcune di-mensioni chiave lungo le quali le campagne si dipanano e di sottoli-neare le relazioni tra attori, risorse, processi e contesto locale.

La struttura delle opportunità politiche (Political Opportunity Structure, POS), come già teorizzata dagli studiosi dei movimenti sociali (Eisin-ger 1973; McAdam 1982; Tarrow 1990; Della Porta e Diani 1999), definisce l’insieme dei vincoli e delle opportunità che influenzano la

3. Sugli effetti nocivi del traffico veicolare sulla sicurezza, la salute umana e la

qualità ambientale nelle città italiane, cfr. WWF e Legambiente 1998; Lewanski 2000; WHO 2000; ISTAT 2001; Legambiente 2001.

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capacità di attori non convenzionali di formulare domande politiche attraverso la protesta. Sono due le dimensioni del contesto politico che vengono utilizzate più spesso nell’analisi dei movimenti sociali. La struttura formale delle istituzioni facilita la mobilitazione degli at-tori collettivi nella misura in cui prevede canali di accesso al processo decisionale. Da questo punto di vista tutte e quattro le campagne si svolgono alla fine degli anni Novanta in condizioni di una accresciuta autonomia e disponibilità finanziaria degli enti locali rispetto ai poteri che interessano il tema delle campagne selezionate (il traffico). Le ri-forme amministrative4, da un lato, hanno rafforzato l’autonomia dei comuni in materia di polizia municipale, protezione ambientale e i-giene pubblica (tra cui rientra la responsabilità per l’inquinamento dell’aria) e pianificazione territoriale (Vandelli 2000); dall’altro lato, hanno sancito ed esteso alcuni diritti formali di accesso dei cittadini agli atti amministrativi e più in generale al processo decisionale5: il referendum popolare può non avere solo funzione consultiva, le as-sociazioni sono abilitate a proporre azioni di risarcimento per danni ambientali e i cittadini con le loro associazioni possono essere coin-volti in tavoli di concertazione. Tuttavia, tale apertura della struttura formale delle opportunità politiche di per sé non spiega la diffusione del fenomeno comitati né costituisce una molla per la mobilitazione; infatti, come si vedrà, solo alcune di queste opportunità saranno sfrut-tate dai comitati di cittadini nel corso delle loro campagne di protesta.

Ma gli aspetti formali non esauriscono le modalità con cui il con-testo politico influenza le strategie e le risorse degli attori sociali. I partiti politici locali e le coalizioni da essi formate, a seconda che si trovino al governo o all’opposizione, possono avere o meno interesse a sostenere le proteste dei cittadini contro le amministrazioni locali. Se gli studiosi dei movimenti hanno sottolineato il ruolo di alleati che i partiti di sinistra hanno avuto in alcune occasioni per i nuovi movi-menti sociali degli anni Settanta e Ottanta (Kriesi 1989; Tarrow 1990; Della Porta e Rucht 1995), non c’è ragione di supporre un rapporto univoco tra colore di partiti/coalizioni al governo e campagne di pro-testa contro il traffico. È pur vero che la presenza di partiti verdi in coalizioni di centro-sinistra facilita l’individuazione dei potenziali alle-ati da parte di soggetti che proprio alla protezione del loro ambiente fanno appello. Ciò non significa necessariamente che tali attori siano

4. Ad esempio, le leggi n. 127 del 1997 e n. 191 del 1998. 5. Dopo la legge n. 142 del 1990 e le riforme del 1993, la legge n. 120 del

1999.

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avvantaggiati quando i verdi e la coalizione di cui essi fanno parte (so-litamente di centro-sinistra) guidano il governo locale; ci sono anzi valide ragioni per ritenere che quando i partiti del centro-sinistra sono all’opposizione possono collaborare più facilmente con gli attori della protesta antitraffico. Come si vedrà nel corso della ricostruzione delle campagne, i partiti e le coalizioni politiche locali forniscono opportu-nità e vincoli diversi per i comitati, a seconda che si trovino al gover-no o all’opposizione. Inoltre, i comitati possono sfruttare eventuali conflitti e contrapposizioni interni alla governance multilivello, cioè tra le diverse istituzioni del governo locale (quartieri, comuni, province, regioni) nel caso in cui esse siano amministrate da coalizioni di colore politico opposto.

Si è detto che le poche ricerche che si sono concentrate sui comi-tati di cittadini hanno sottolineato la scarsità delle risorse organizzati-ve, materiali e finanziarie che essi hanno a disposizione. Ciò non si-gnifica però che questi attori siano del tutto privi di risorse. I comitati di cittadini, come tutti gli attori collettivi ed individuali, possono ri-correre a forme di capitale che possiamo distinguere con Bourdieu (1980) in capitale umano, e capitale sociale, cui possiamo aggiungere una forma di capitale spesso sottovalutata, e cioè il capitale politico.

Mentre il capitale umano si riferisce ad un particolare insieme di proprietà individuali che attiene al singolo individuo, come il livello di istruzione, l’expertise e le particolari capacità cognitive, comunicative e pratiche, la nozione di capitale sociale rimanda a «l’insieme di risorse, sia effettive sia potenziali, che sono legate al possesso di un network duraturo di relazioni più o meno istituzionalizzato» (ibidem; cfr. anche Bourdieu 1986; Coleman 1988). Ci riferiamo invece al capitale politi-co, quando le risorse in termini di know how, di capacità di connettere attori individuali e collettivi dipendono da esperienze passate in attivi-tà di partito, sindacali e in organizzazioni di movimento sociale. Co-me si evidenzierà nell’illustrazione delle campagne, i comitati fanno sempre ricorso a forme diverse di capitale che vengono variamente valorizzate per il raggiungimento dei propri fini.

Un’altra dimensione importante delle campagne riguarda il framing, cioè il processo attraverso il quale gli attori difendono pubblicamente la loro preferenza rispetto alla politica in questione: affinché attori collettivi si mobilitino utilizzando la protesta, essi devono interpretare la situazione data come insoddisfacente ed essere capaci di spiegare come e perché la vogliono cambiare (Snow e Benford 1988). Il fra-ming è pertanto la dimensione più congeniale per catturare gli elemen-ti processuali dell’identità e delle preferenze. Esse infatti, come già sottolineato, non devono essere considerate come date e statiche, ma piuttosto come processi che mutano nel corso di una campagna. La formulazione di schemi interpretativi convincenti può avere conse-guenze rilevanti sulla capacità degli attori che protestano di acquisire

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legittimità agli occhi della loro constituency naturale (l’insieme delle per-sone potenzialmente influenzate dalle decisioni), di altri attori sociali che potrebbero essere convinti a sostenere le loro rivendicazioni e persino delle élite. Più in generale, la modalità con cui questi attori strutturano il proprio discorso pubblico potrebbe essere rilevante perché la loro protesta diventi, nel contesto locale, egemonica o ri-manga, al contrario, marginale.

In questo articolo verrà posta particolare attenzione sull’impatto che tale attività di framing può avere nella trasformazione delle relazioni sociali e politiche. Utilizzando le categorie di analisi che Kriesi (1989) ha elaborato per lo studio dei movimenti sociali in generale, possiamo ipotizzare che a seconda del modo in cui i comitati di cittadini giusti-ficano le loro proteste essi possono costruire un sistema di alleanze po-litico-sociale (che potrebbe coinvolgere partiti politici, associazioni ambientaliste, organizzazioni di interessi economici, istituzioni, ecce-tera) e tentare di ridurre al minimo il sistema di conflitto, cioè l’insieme di attori collettivi che si oppongono al frame proposto dai comitati. I processi discorsivi (Howarth 2000) rappresentano in particolare i ca-nali attraverso cui gli attori coinvolti nei processi esplorano le rispet-tive posizioni in merito alla questione in oggetto; la comunanza di sistemi di credenze costituisce la base per la formazione di advocacy-coalitions fra attori che portano alla trasformazione delle politiche (Sa-batier e Jenkins-Smith 1993). Se questi soggetti vogliono avere qual-che possibilità di convincere altri attori a condividere le loro idee e a sostenere la loro campagna, devono essere in grado di superare l’appellativo di NIMBY (Gordon e Jasper 1996).

Dunque, nei paragrafi successivi verranno ricostruite quattro cam-pagne di protesta6 promosse dai comitati in base alle dimensioni indi-viduate come maggiormente rilevanti: la struttura delle opportunità po-litiche, il tipo di risorse mobilitate dai comitati (capitale umano, sociale e politico) e il processo di framing (con i relativi effetti da esso dispiegati sul sistema di alleanze e sul sistema di conflitto). Infine, nel paragrafo conclusivo si procederà ad un’analisi comparata delle campagne, cer-cando di elaborare ipotesi plausibili per successive analisi dell’impatto delle campagne di protesta sugli esiti delle politiche pubbliche.

6. Le fonti utilizzate sono costituite da questionari e interviste semistrutturate

somministrate ai portavoce e ad alcuni componenti dei comitati, e dai maggiori quotidiani locali («La Sicilia» per Catania ed «Il Resto del Carlino» per Bologna) o dalle pagine locali di un quotidiano nazionale («la Repubblica» per Firenze e Pa-lermo).

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2 Bologna: la campagna antismog

Bologna è stata una delle prime città di medie dimensioni a limitare il traffico in una parte significativa del centro storico, istituendo già ne-gli anni Ottanta la ZTL (zona a traffico limitato) più estesa d’Europa in seguito a una consultazione referendaria (1984) in cui oltre il 70% dei cittadini votò a favore della chiusura del centro storico. Tuttavia le amministrazioni hanno dato attuazione a questo mandato popolare con molte esitazioni nel timore di perdere consensi, specie tra gli e-sercenti commerciali, provocando peraltro delusione fra i favorevoli a una città con meno traffico (Baldini, Corbetta e Vassallo 2000, 116).

L’inizio della campagna: tentativi di dialogo

Nel giugno del 1999 il centro-sinistra viene sconfitto per la prima vol-ta nel dopoguerra da una coalizione di centro-destra guidata da G. Guazzaloca (già presidente dell’ASCOM, l’associazione che raccoglie la maggioranza dei commercianti bolognesi), sostenuto anche da quella parte dell’elettorato contrario a misure di limitazione del traffico. Le prime decisioni assunte dalla nuova giunta all’insegna della «fluidifica-zione» del traffico, disponendo la riapertura di alcune strade e piazze, accompagnate di fatto dall’assenza di controlli sul rispetto delle limi-tazioni alla circolazione (peraltro mai rimosse formalmente), appaio-no come l’avvio di una politica di liberalizzazione dell’accesso veico-lare al centro storico. La giunta ignora le indicazioni fornite da un gruppo di lavoro composto da esperti di ENEA, ARPA, AUSL e Unità ambiente del comune nella relazione annuale sulla qualità dell’aria 1999 (Comune di Bologna 2001, 80), che aveva evidenziato la neces-sità di «interventi strutturali sul piano della mobilità e dei trasporti» considerando inefficaci le misure fino ad allora adottate dall’ammini- strazione per ridurre l’inquinamento atmosferico.

Nonostante le promesse iniziali di «ascolto» della società civile fat-te da Guazzaloca in campagna elettorale, la nuova giunta si mostra in realtà indisponibile al confronto con i comitati (intervista 1BO), spin-gendoli a mobilitarsi per cercare di modificare gli atteggiamenti e i provvedimenti dell’amministrazione. All’inizio del gennaio 2000, in occasione della festa della befana, esponenti di Legambiente e di un comitato del centro, Al Crusèl (l’incrocio), si recano in municipio per consegnare del carbone al sindaco, esprimendo così la loro protesta contro le politiche della giunta e minacciando di denunciare il sindaco per gli alti livelli di benzene indicati nelle ultime rilevazioni (intervista 2BO).

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Cittadini contro l’amministrazione

In mancanza di risposte da parte dell’amministrazione, il mese se-guente oltre 350 cittadini (diventeranno poi 400) depositano un ricor-so contro la giunta per non aver adottato provvedimenti di regolazio-ne del traffico che consentano di mantenere i livelli di inquinamenti dell’aria e del rumore entro i limiti di legge; il ricorso è reso possibile dalla recente entrata in vigore di normative nazionali (il cosiddetto «decreto Ronchi») ed europee in materia.

Negli anni precedenti a Bologna erano sorti numerosi comitati di cittadini, in particolare nel centro storico, in relazione a tematiche connesse sia al traffico, sia a fenomeni di degrado sociale. L’azione giudiziaria viene promossa da quattro di questi comitati: il comitato Al Crusèl fondato nel dicembre 1999 nella antica Via del Pratello da un gruppo di cittadini che chiedeva la reale pedonalizzazione della strada, decisa formalmente nel 1994, ma mai fatta rispettare; il comi-tato di Piazza Verdi, nato originariamente nel 1998 nella zona univer-sitaria come reazione ai fenomeni di degrado sociale (commercio di stupefacenti, presenza di senza fissa dimora, ecc.) e ambientale (op-posizione alla riapertura al traffico di strade e piazze della zona) e formato da residenti, commercianti e accademici; Iperput, nato in opposizione al Piano Urbano del Traffico predisposto nel 1996 dalla precedente giunta di centro-sinistra, giudicato inefficace nei confronti del traffico e dell’inquinamento; il comitato Salvaguardia del Centro Storico (scomparso dalla scena quasi subito dopo il ricorso).

Il 14 marzo 2000 si tiene la prima udienza del procedimento di urgenza, conclusosi il 12 luglio 2001 con la sostanziale vittoria dei comitati. Riconoscendo come la situazione dell’inquinamento atmo-sferico costituisca un reale pericolo per la salute pubblica, l’ordinanza – immediatamente esecutiva – impone all’amministrazione l’adozione di specifici provvedimenti (chiusura del centro storico durante il giorno, limitazioni a motoveicoli e ciclomotori, impiego di «gasolio bianco» da parte dei mezzi pubblici)7. Oltre al procedimento giudizia-

7. Sul fronte legale la giunta solleva (davanti alla Corte Costituzionale, che

deve ancora pronunciarsi nel merito) la questione della competenza del magistra-to ordinario, sostenendo la competenza del TAR (in quanto la questione sarebbe attinente al traffico e non alla tutela della salute). La giunta comunale, inoltre, tenta di mettere finanziariamente in difficoltà i comitati chiedendo supplementi di perizie che hanno fatto lievitare i costi del procedimento giudiziario a loro ca-rico; benché gli avvocati e i periti dei comitati abbiano lavorato gratuitamente, i comitati hanno dovuto sostenere costi per un totale di circa 75.000 euro, pari alla

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rio, i comitati antismog cercano di sfruttare a loro vantaggio altre possibilità offerte dal quadro normativo e istituzionale, quale la pre-sentazione di un esposto alla Corte dei Conti per danni alle finanze pubbliche derivanti dalla scelta del comune di non attivare il sistema Sirio8 già installato (costato 5 miliardi di lire) e la denuncia (accompa-gnata da documentazione fotografica) al Ministero dell’Ambiente del mancato rispetto delle chiusure al traffico decise nel contesto delle «domeniche ecologiche» del ministero stesso (per le quali il comune ha ricevuto finanziamenti).

Nella loro azione, i comitati antismog possono contare sulla di-sponibilità di capitale umano, sociale e politico. Sotto il primo profilo i membri attivi presentano un livello di istruzione elevato che rende loro possibile gestire efficacemente attività complesse che una cam-pagna di questo tipo comporta (comprendere aspetti tecnici, utilizza-re le potenzialità offerte dalla posta elettronica e da internet – sia per le comunicazioni interne fra i membri che verso l’esterno – intratte-nere relazioni con media e altri attori, organizzare iniziative). Inoltre, grazie a una fitta rete di relazioni interpersonali, hanno ricevuto l’aiu- to esterno di numerose competenze di natura legale (che ha reso pos-sibile intraprendere l’azione giudiziaria) e tecnico-scientifica (indi-spensabile su un tema specialistico quale l’inquinamento). Per quanto riguarda il capitale politico, una parte degli attivisti dei comitati ha precedenti esperienze nei partiti (generalmente di centro-sinistra) e nei movimenti (quello studentesco, ma anche quello ambientalista) che li inserisce in una rete di relazioni piuttosto «densa» con attori po-litici e istituzionali.

Questo aspetto è strettamente connesso alla struttura delle oppor-tunità politiche, che ha creato una situazione particolarmente favore-vole per i comitati. L’inattesa sconfitta elettorale della sinistra nel 1999 ha provocato una grave crisi di questi partiti per alcuni anni. In questo contesto, l’azione dei comitati ha rappresentato una delle pri-ma forme di opposizione alla giunta Guazzaloca, attirandosi le simpa-

metà della parcella dei periti del giudice; in ogni caso la capacità dimostrata di raccogliere una simile somma tramite svariate iniziative è oggettivamente un suc-cesso dei comitati bolognesi.

8. Tecnologia innovativa che il comune di Bologna installa per primo in Italia negli anni Novanta. Sirio è in grado, tramite lettori ottici, di controllare (ed even-tualmente sanzionare automaticamente) i veicoli privi di autorizzazione che en-trino nel centro storico. Dopo molti anni l'apparecchio ottiene tutte le autorizza-zioni necessarie all’attivazione, ma la maggioranza di centro-destra, da poco inse-diatasi, rifiuta di utilizzarlo.

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tie non solo di una parte dell’opinione pubblica (e non solo di quella orientata a sinistra), ma anche delle élite di sinistra. Per quanto i co-mitati si siano prodigati nel caratterizzarsi come movimento civico («i polmoni non sono né di destra né di sinistra»), di fatto hanno finito per instaurare stretti rapporti con i partiti di centro-sinistra e con le amministrazioni – provincia di Bologna e regione Emilia-Romagna – da questi governate. Benché l’accusa più volte mossa dalla giunta – nel tentativo di delegittimarli – secondo cui i comitati sarebbero «strumenti» dell’opposizione politica appaia infondata (i comitati hanno anzi preso l’iniziativa proprio in un momento di «vuoto» poli-tico dei partiti di opposizione, e godono del consenso di una parte dell’opinione pubblica che taglia trasversalmente i cleavages destra-sinistra), sia la struttura delle opportunità politiche che il capitale poli-tico dei comitati nei fatti li ha portati a coalizzarsi di frequente con esponenti dei partiti e delle istituzioni del centro-sinistra.

La reazione della giunta: risposte simboliche?

Per alcuni aspetti quella dei comitati bolognesi rappresenta un’esperienza di spicco nel panorama nazionale. Un gruppo inizial-mente limitato di comitati del centro storico è progressivamente riu-scito a coagulare un fronte più ampio formato da una ventina di co-mitati, ubicati in tutta la città, fino a formare un «coordinamento», sia pure dotato di una struttura organizzativa interna debole, avente per obiettivo principale la riduzione dell’inquinamento su scala cittadina. Ciò è dovuto alla capacità dei comitati antismog di utilizzare un frame di tipo generale (Gordon e Jasper 1996) che interpreta il tema del traffico e dell’inquinamento che ne deriva come una questione che investe direttamente la salute di tutti gli abitanti della città (andando quindi ben oltre una postura di tipo NIMBY). Al di là delle risposte di policy dell’amministrazione, il successo più significativo consiste infatti nella capacità dei comitati di «fare opinione» facendo della questione dell’inquinamento da traffico un «discorso egemone» (cfr. per esem-pio Howarth 2000) condiviso da larga parte della cittadinanza. Ciò è stato possibile mettendo in campo iniziative quali l’organizzazione di un convegno scientifico sugli effetti sanitari dell’inquinamento, la pubblicazione di un volume (Lewanski e Ottolini 2002), un’azione continua e puntuale di raccolta e diffusione dei dati riguardanti l’in- quinamento atmosferico (che mette in seria difficoltà la giunta), non-ché una serie di manifestazioni pubbliche. Fra queste ultime, la più

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incisiva è quella dell’11 marzo 2001 in cui sfilano sotto le finestre del sindaco 252 sagome di bare (pari al numero di morti che, secondo le stime dall’OMS, sarebbero provocati ogni anno a Bologna dalle sole polveri sottili -PM10-9). Questa drammatizzazione della protesta, che si ritrova anche in altre campagne prese qui in esame, si è rivelata par-ticolarmente efficace nel suscitare l'attenzione dei media, sia locali che nazionali (della campagna si sono occupati il mensile «Quattroruote» e trasmissioni televisive nazionali molto seguite, quali «Report» e «Le Iene»). Il frame proposto dai comitati ha inoltre consentito di formare alleanze, almeno temporanee, con altri attori sociali (ad esempio con chi lavora quotidianamente sulle strade come i conducenti di bus e taxi) grazie alla condivisione di «sistemi di credenza» affini (Sabatier e Jenkins-Smith 1993) e ha attirato simpatie anche da parte di comitati di altre città e di personalità nazionali (ad esempio Dario Fo) che ne hanno legittimato la campagna.

Perfino la stessa giunta, che inizialmente ha negato la gravità della situazione, è stata costretta a prenderne atto, pur cercando di non da-re l’impressione all’esterno di cedere all’azione dei comitati. Si assiste infatti a una progressiva inversione di rotta attuata dalla giunta che adotta alcune misure di limitazione del traffico. Nei primi mesi del 2001 il comune aderisce alle «domeniche ecologiche» (inizialmente ignorate perché considerate inutili). A partire dall’ottobre dello stesso anno viene disposta la chiusura di una piccola parte del centro e solo in alcune fasce orarie durante i fine settimana (iniziativa «viviBolo-gna»), prolungata anche durante il periodo natalizio (sollevando acce-se proteste da parte dei commercianti che non erano stati preventi-vamente consultati). Nei mesi invernali del 2002, contrassegnati da condizioni climatiche che fanno salire significativamente i livelli di inquinamento in molte città italiane, la giunta, con grande ritardo e dopo forti screzi con le altre amministrazioni dell’area metropolitana, dispone la chiusura di tutta la città. Infine, nel 2003 Bologna aderisce alla proposta della regione che prevede blocchi del traffico program-mati nel corso del periodo invernale nei comuni con più di 50.000 abitanti allo scopo di prevenire superamenti dei livelli di inquinamen-to previsti dalle normative (che comunque si verificano).

9. Il limite fissato dalla direttiva 96/62, recepito dal d.l. 351 del 4/8/99, per i

pm10 è di 40 µg/m3; le polveri sottili sono particolarmente pericolose perché, grazie alle loro dimensioni ridotte, entrano negli alveoli polmonari trasportando molecole di sostanze molto pericolose per la salute umana quali il benzene e gli IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici).

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È lecito nutrire seri dubbi circa la reale efficacia delle misure adot-tate, sia per la natura circoscritta (per estensione territoriale e tempo-rale) delle limitazioni, sia per l’assenza di controlli incisivi in grado di farle rispettare, sia infine per le numerosissime eccezioni e deroghe. Nonostante le misure sopra descritte, i dati forniti dalle centraline di rilevazione e specifiche campagne di misurazione mettono in eviden-za il persistere di una situazione critica della qualità dell’aria, spesso al di sopra dei limiti normativi, sia d’inverno (per inquinanti quali ben-zene, IPA, PM10, eccetera) che d’estate (ozono). In ogni caso i comita-ti sono riusciti a mettere l’amministrazione sulla difensiva, costrin-gendola ad invertire la propria iniziale politica di liberalizzazione in materia di traffico e ad offrire almeno qualche risposta simbolica al grave problema.

3

Firenze: la campagna per un Oltrarno sostenibile

La campagna antitraffico di Firenze inizia con richieste di interventi in un’area limitata del centro storico, caratterizzandosi come protesta locale, ma successivamente si trasforma sino ad intrecciarsi recente-mente col movimento per una globalizzazione dal basso, giungendo ad una situazione di stallo che, attualmente, gli attori coinvolti cerca-no di superare attraverso i nuovi strumenti della democrazia deliberativa.

L’inizio della campagna

Nel 1999 le elezioni municipali confermano la vittoria della coalizione di centro-sinistra guidata da un nuovo sindaco, Leonardo Domenici dei DS. Proprio mentre la giunta si insedia a Palazzo Vecchio, la cam-pagna di protesta nel quartiere Oltrarno ha inizio. Un gruppo di resi-denti, lasciando l’assemblea pubblica indetta dal consiglio di quartiere per discutere dei problemi dell’Oltrarno, delusi dalla mancanza di vo-lontà politica degli amministratori di provare a risolverli, decidono di mobilitarsi direttamente per migliorare alcuni aspetti della qualità del-la vita del quartiere, dando così vita al «Comitato per un Oltrarno So-stenibile» (COS). L’Oltrarno, uno dei quartieri più popolari del centro storico di Firenze, è infatti sempre più utilizzato come zona di transi-to dai non residenti che, incrementando il traffico privato, provocano un considerevole aumento dell’inquinamento acustico ed atmosferi-co. I promotori del comitato iniziano dunque ad elaborare un proget-to finalizzato a limitare i problemi del traffico: tra le altre cose, essi tracciano una planimetria in cui sono incluse zone chiuse al traffico, piste ciclabili e isole pedonali. (interviste 1FI, 2FI, 3FI; documenti 1FI, 2FI).

Le risorse interne di cui il comitato può inizialmente disporre pos-

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sono essere identificate soprattutto come capitale umano ma anche co-me capitale politico: ad eccezione di pochi casi, il gruppo degli attivisti non si conosceva prima della mobilitazione, sebbene esso condivida uno status sociale ed intellettuale piuttosto elevato, in quanto compo-sto principalmente da professori universitari e liberi professionisti. Inoltre, pur non avendo militato in alcun partito, avevano maturato esperienze politiche nei movimenti studenteschi e giovanili. Soprat-tutto il capitale umano del comitato è destinato ad influenzare molte caratteristiche della campagna. La capacità degli attivisti di elaborare progetti ha permesso loro di condurre la campagna secondo modalità proattive, proponendo misure specifiche piuttosto che limitarsi ad op-porsi a quelle proposte da altri. La facilità con cui il comitato ha ac-cesso ai media – soprattutto la stampa – è dovuta senz’altro alle co-noscenze personali e alle capacità di molti dei promotori, come hanno riferito alcuni membri del comitato (interviste 1FI, 2FI, 3FI).

Le capacità comunicative permettono al comitato di «superare la sindrome NIMBY» (Gordon e Jasper 1996) e di costruire frame inclusi-vi in cui le grievance sono presentate come «generali e generalizzabili» (ibidem). I tre principi fondamentali con cui il COS giustifica le proprie rivendicazioni sono infatti: «la convivenza, il rispetto delle regole, la sostenibilità ambientale» (interviste 1FI, 2FI, 3FI; documenti 1FI, 2FI). Come ha affermato uno degli attivisti, «il comitato non è mai stato caratterizzato da un’etichetta NIMBY; non ci siamo mai focalizzati su problemi specifici che riguardassero una strada, ma abbiamo sempre inquadrato il discorso ad un livello di quartiere, concepito a sua volta come inserito nella città» (intervista 1FI).

Questo forse spiega il successo del comitato nel raccogliere circa 1.000 firme a sostegno del proprio progetto, successivamente conse-gnato al sindaco. Attraverso lo strumento della petizione il comitato riesce a mobilitare nuovi attivisti e a guadagnare nuovi consensi nel quartiere non solo tra gli intellettuali, ma anche tra gli strati sociali più popolari: ad esempio, le «mamme dell’Oltrarno» che si mobilitano poiché si rendono conto che la posta in gioco riguarda anche la salute e la sicurezza dei loro figli (interviste 1FI, 3FI).

Le capacità comunicative degli organizzatori della campagna con-sentono al comitato di guadagnare la simpatia dei media e di altri at-tori della società civile: le associazioni ecologiste Legambiente, Italia Nostra e WWF e gli altri comitati ambientalisti del centro storico, che si riuniscono in un coordinamento i cui obiettivi principali sono: pro-tezione della salute pubblica, lotta all’inquinamento, riduzione della mobilità privata, sostenibilità urbana (intervista 1FI). Il coordinamen-to viene riconosciuto come soggetto politico e come tale viene rego-larmente consultato ed ascoltato dagli amministratori comunali; è una possibilità che la struttura delle opportunità politiche offre in termini di accesso formale al processo decisionale, in seguito alle riforme

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amministrative degli anni Novanta, per cui i cittadini e le associazioni possono essere coinvolti in tavoli di concertazione, e che gli attivisti fiorentini sfruttano con un certo successo.

Infatti, in questa prima fase della campagna il comitato ed il coor-dinamento raggiungono alcuni risultati parziali, come la chiusura al traffico privato delle due strade adiacenti le scuole locali, la trasfor-mazione del parcheggio del quartiere (Piazza del Carmine) in par-cheggio per soli residenti e la promessa di prendere in seria conside-razione le altre questioni («la Repubblica», 17/11/1999; interviste 1FI, 2FI, 3FI).

La contromobilitazione dei commercianti e la debolezza dell’amministrazione

Dopo che l’ordinanza dell’amministrazione viene confermata in una riunione cui il sindaco aveva invitato il coordinamento per discutere il piano alternativo dei commercianti della zona, «succede l’inferno» come raccontato da un attivista del COS (intervista 1FI). I commer-cianti organizzano un controcomitato chiamandolo significativamen-te «Comitato Oltrarno Promuove» (COP), che si oppone pubblica-mente alle decisioni prese (specialmente quella che vieta ai non resi-denti l’accesso al parcheggio del quartiere). I negozianti iniziano a minacciare serrate, blocchi del traffico e contropetizioni («la Repub-blica», 8/5/2000).

Sebbene le loro richieste siano molto specifiche, i commercianti dell’Oltrarno cercano di superare l’etichetta NIMBY giustificando la loro reazione alle ordinanze dell’amministrazione con il frame del «danno economico e della riduzione sul lastrico delle loro famiglie», o con quello della grande rilevanza della funzione svolta dalle attività economiche del quartiere per gli interessi dell’intera città. Inoltre, essi cercano una base di legittimità nel quartiere, opponendo la «storica identità dell’Oltrarno» (basata sulle attività economiche e le categorie artigiane) a quella «nuova» rappresentata dalla classe media dei com-ponenti il COS, entrando in competizione con essi per la rappresen-tanza territoriale degli interessi del quartiere (documento 4FI).

La mobilitazione e la contromobilitazione prendono allora strade separate e parallele: mentre il COS continua a insistere sul rispetto delle regole e delle ordinanze emesse, i commercianti e gli artigiani chiedono che quelle stesse regole e decisioni vengano rimosse, con temporanei blocchi stradali e lamentandosi dell’eccessiva presenza dei vigili urbani («la Repubblica», 30/1/2001, 2/2/2002, 9/2/2001). È interessante no-tare come entrambe le coalizioni adottino strumenti ad alto impatto simbolico che evocano la «morte» del quartiere. Come in altre campa-gne di protesta, la mobilitazione è supportata dalla rappresentazione della posta in gioco come una «questione di vita o di morte». Ad esem-pio, il COS intitola un proprio volantino «l’Oltrarno muore, l’Oltrarno

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uccide» (documento 3FI) ed utilizza simboli come gli scheletri, le lastre radiografiche di polmoni malati (intervista 1FI), così anche i negozianti utilizzano la stessa simbologia («la Repubblica», 9/2/2001).

Mentre i commercianti sono sostenuti dalle organizzazioni di ca-tegoria (Confcommercio, Confesercenti, CNA, ecc.), la coalizione che difende la ZTL include oltre al COS, gli altri comitati del centro storico e le associazioni ecologiste. I commercianti costituiscono dunque un sistema di conflitto in cui gli attori non sono numerosi ma molto compatti. Dall’altra parte, il sistema di alleanze tende a indebolirsi col tempo, dopo che il comune inizia a dilazionare le decisioni promesse e a non far rispettare le nuove ordinanze, a causa dell’emergere di una frattura all’interno della coalizione antitraffico. Infatti, comitati e as-sociazioni ambientaliste prendono strade diverse: da un lato i comitati decisi a sfidare l’amministrazione per farle mantenere le promesse, dall’altro lato, le associazioni ecologiste convinte che un rapporto di scambio politico a lungo termine potrebbe assicurare futuri risultati che invece andrebbero perduti nel caso di rottura con le istituzioni «politicamente vicine» (intervista 1FI).

La rottura con l’amministrazione e lo stallo

Una svolta sembra determinarsi con la nomina del nuovo assessore comunale alla mobilità, G. Cioni, considerato un uomo forte dei DS, di cui il COS sembra soddisfatto, poiché secondo alcuni attivisti «sembrava un segnale forte che l’amministrazione volesse affrontare seriamente il problema del traffico a Firenze» (intervista 1FI). In effet-ti il nuovo assessore promette di intervenire nell’Oltrarno, rafforzan-do la ZTL e realizzando la pedonalizzazione totale di una delle princi-pali strade del quartiere (Via dei Serragli). Tuttavia, il comitato ritiene che tale decisione da sola non serva a risolvere i problemi del traffico (interviste 1FI, 2FI, 3FI) e continua e reclamare una seria politica anti-traffico: «non solo – sostiene un attivista del comitato – l’assessore non andava avanti col programma precedentemente concordato, ma non c’era alcun controllo sull’effettiva implementazione anche delle «timide» decisioni già prese dagli amministratori comunali. Questo è il motivo per cui decidemmo di rompere le trattative e i colloqui con l’amministrazione» (intervista 1FI). Secondo un altro attivista, «in ef-fetti le relazioni con l’amministrazione sono divenute sempre più conflittuali. Questo perché nonostante un’iniziale apertura, poi rive- latasi solo di facciata, l’amministrazione si è sempre comportata come un muro: a volte un muro di gomma, fingendo di ascoltarci e di prendere dei provvedimenti ma poi eludendoli, rinviandoli in conti-nuazione; altre volte l’amministrazione si comportava come un muro più duro, mostrandosi apertamente in contrasto con le nostre propo-ste» (intervista 2FI).

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L’indebolimento della coalizione antitraffico, la forte, compatta e aggressiva coalizione contraria alle politiche antitraffico, insieme alla mancanza di volontà politica finalizzata ad affrontare seriamente le questioni ambientali in città, porta ad una situazione di stallo nel pro-cesso di policy, ed approfondisce il conflitto tra comune e comitati ambientalisti, riuniti nel «Coordinamento di comitati di cittadini».

Dalla campagna di protesta alla «democrazia deliberativa»

Nel novembre 2002 Firenze ospita il Forum sociale europeo. È in questo frangente che i comitati e le campagne di protesta si incontra-no col «movimento globale» (Andretta, Della Porta, Mosca, Reiter 2002). Il Social forum locale ed il cosiddetto Laboratorio per la de-mocrazia organizzano seminari, incontri, gruppi di lavoro su vari te-mi, tra cui quello specifico della partecipazione. Sembra così che la protesta globale interagisca in qualche modo con le proteste locali. Alcuni dei membri del COS, ad esempio, sono tra i leader del «movi-mento dei professori», ed alcuni partecipano attivamente al Forum sociale europeo (interviste 1FI, 2FI). Tra movimento globale e prote-ste locali c’è almeno una richiesta in comune: la democratizzazione dei processi decisionali per mezzo della partecipazione attiva dei cit-tadini. In effetti uno dei membri più importanti del comitato, Paul Ginsborg, partecipa al workshop del FSE sulla democrazia partecipativa, cui era invitato anche il sindaco di Firenze. È probabilmente all’interno di questo nuovo clima sociale che i DS del quartiere Oltrarno pro-pongono un processo decisionale partecipativo come modo per supe-rare la situazione di stallo e la frattura tra la giunta comunale e gli abi-tanti del quartiere (intervista 2FI). La proposta dei dirigenti locali dei DS, raccolta dal COS e dagli altri comitati cittadini, è quella di costruire una sorta di «Stati Generali dell’Oltrarno», in cui si applichino i prin-cipi della democrazia deliberativa, coinvolgendo tutti gli attori sociali e i residenti del quartiere per definire le priorità di intervento nella zona e le soluzioni di policy (documento 5FI).

Tale ambizioso progetto rappresenta sicuramente qualcosa di di-verso da una campagna di protesta. Come ha sottolineato uno degli attivisti del COS, «la nuova fase che si sta aprendo ci impone uno sfor-zo di ridefinizione della nostra identità ed attività. L’operazione chiamata ‘Stati Generali dell’Oltrarno’ ci impone un cambiamento da comitato di protesta con atteggiamento conflittuale nei confronti del-le istituzioni, percepite come controparti, ad una forma nuova di par-tecipazione democratica, come se diventassimo una sorta di nuova istituzione dal basso» (intervista 2FI).

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4 Palermo: la chiusura al traffico del centro storico

La campagna di protesta sul traffico a Palermo comincia nel 1999, come reazione dei commercianti alla decisione dell’amministrazione comunale di centro-sinistra di chiudere al traffico privato un’impor- tante strada del centro storico, Via Maqueda. Molti cambiamenti si sono verificati in seguito ai quali, tuttavia, si è tornati ad una situazio-ne di status quo ante.

L’inizio della campagna e la (ri)nascita dell’identità

dei commercianti di Via Maqueda

Quando nell’ottobre del 1999, la giunta comunale emette un’ordi-nanza che vieta il transito alle vetture private in Via Maqueda, nel centro storico, la prima reazione è una protesta spontanea dall’impat-to simbolico fortemente drammatico.

Mentre gli amministratori locali giustificano la loro decisione in base al frame della salute pubblica, sottolineando gli alti livelli di inqui-namento raggiunti in Via Maqueda nei mesi precedenti («la Repubbli-ca», 17/9/1999), i commercianti non negano la serietà del problema, ma rivendicano il fatto che «morire di smog è meglio che morire di fame» (interviste 1PA, 4PA; «la Repubblica», 5-6-7/10/1999). Gli eser-centi lamentano come l’ordinanza conduca alla morte delle attività commerciali di Via Maqueda e, con questo frame, conseguentemente formano un corteo funebre con finte bare recanti la scritta «è morto il commercio in Via Maqueda» («la Repubblica», 7/10/1999).

Nello frattempo, i commercianti cominciano ad elaborare – o a rielaborare – la propria specifica identità collettiva: «Noi abbiamo fat-to la storia di Via Maqueda e ci teniamo a questa zona di Palermo. Siamo qui da tre generazioni. Mia nonna ancora ad 80 anni è ogni giorno dietro al bancone. Ben 27 negozi della strada sono di vari componenti della mia famiglia. Commercialmente ci «scanniamo» ma siamo tutti uniti a difendere il nostro futuro» («la Repubblica», 7/10/1999). Dunque, la protesta riattiva networks informali preesi-stenti come quelli familiari, che possono essere considerati come ca-pitale sociale dei contestatori; infatti, come ha scritto de Saint Martin «la celebrazione della famiglia è un elemento fondamentale delle stra-tegie di riproduzione del capitale sociale» (1980, 5).

Anche se gli attori sono molto creativi nella costruzione simboli-ca, il loro frame resta estremamente localistico, condizionando così la possibilità di costruire alleanze con altri attori. Infatti i commercianti di Via Maqueda non sono sostenuti in questa fase neanche dalle or-ganizzazioni di categoria, ma soltanto dalla sezione locale di AN. Dall’altro lato, la posizione dell’amministrazione sembra essere molto

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forte: l’assessore al traffico Arcuri ribadisce più volte che il provve-dimento non può essere negoziato, in quanto basato sulla tutela della salute pubblica («la Repubblica», 17/9/1999), appoggiato anche pub-blicamente dalle associazioni ambientaliste. In tale situazione sembra impossibile per il comitato dei commercianti ottenere alcun risultato.

L’allargamento della campagna ed il rafforzamento del fronte dei commercianti

Successivamente, tuttavia, i sistemi di alleanze e di conflitto, sopra delineati, mutano configurazione in seguito all’entrata in scena di nuovi attori. Da un lato, si forma il «Comitato di cittadini contro l’inquinamento urbano» in opposizione alla protesta dei commercian-ti, composto principalmente da intellettuali, professori e studenti della vicina facoltà di Scienze Politiche, i quali promuovono una petizione a sostegno dell’ordinanza del comune e a favore della pedonalizza-zione del centro storico. Dall’altro lato, si costituisce il «Comitato di Via Roma», formato dai residenti della strada parallela a Via Maque-da, che, sebbene condivida l’obiettivo della tutela della salute pubblica da parte del comune, non ritiene che la sola chiusura di Via Maqueda possa raggiungere tale risultato, in quanto il traffico veicolare si spo-sterebbe nella strada parallela incrementando ulteriormente i livelli di inquinamento già molto alti in Via Roma (intervista 1PA). Allo stesso tempo il comitato di Via Roma propone una politica più coerente ri-guardante tutto il centro storico di Palermo, cioè l’estensione delle misure di restrizione (interviste 1PA, 2PA). Questa posizione è soste-nuta anche dalle associazioni ambientaliste che chiedono politiche e misure più coraggiose da parte del comune (intervista 2PA).

Nel frattempo, la protesta del comitato dei commercianti di Via Maqueda diventa sempre più aggressiva: blocchi stradali contro gli au-tobus pubblici – cui è ancora consentito il transito – ed isole pedonali autorganizzate. In seguito si forma una coalizione dei comitati di commercianti del centro storico di Palermo («la Repubblica», 22/10/1999) ed anche le organizzazioni di categoria – Confcommer-cio e Confesercenti – cominciano a sostenere la posizione dei nego-zianti di Via Maqueda («la Repubblica», 30/10/1999). Nonostante tali pressioni, l’amministrazione comunale non cambia la propria decisio-ne.

La trasformazione del frame e l’accordo con l’amministrazione

Con la radicalizzazione della campagna, i blocchi stradali organizzati dal comitato dei commercianti trasformano Via Maqueda in una sorta di isola pedonale auto-organizzata, portando ad una profonda trasforma-zione delle preferenze di policy e ad una estensione del frame. I commer-cianti infatti si rendono conto che l’area pedonale rappresenta

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un’ottima opportunità per i loro affari, soprattutto in vista delle feste natalizie quando solitamente si incrementano le vendite.

La metamorfosi si completa nel corso del mese di novembre, quando la nuova richiesta dei commercianti diventa la pedonalizza-zione totale di Via Maqueda, la chiusura completa a tutti i veicoli, pubblici e privati. Come affermano i negozianti, «questa è la nostra giornata antibenzene, per la salute dei cittadini; bloccando la strada permettiamo alle famiglie di passeggiare anche coi loro bambini che normalmente rischiano di essere investiti dagli autobus lanciati a alta velocità» («la Repubblica», 27/11/1999). Dunque, la trasformazione del frame modifica radicalmente sia il sistema di alleanze, ampliandolo e rafforzandolo, sia il sistema di conflitto, riducendo il livello e il numero degli attori in contrasto tra loro.

Le organizzazioni ambientaliste diventano importanti sostenitrici della campagna di protesta, specialmente Legambiente che propone agli altri commercianti del centro storico una zona totalmente pedonalizzata (intervista 2PA), mentre il comitato di Via Roma conti-nua a chiedere una politica antitraffico più decisa.

In seguito a questi cambiamenti, emerge un nuovo conflitto tra la giunta e il consiglio comunale: il presidente ed i consiglieri DS comin-ciano a differenziarsi dall’amministrazione, sostenendo la nuova posi-zione pro ambiente del comitato di Via Maqueda («la Repubblica», 27/11/1999). La posizione della giunta Orlando diventa dunque sempre più debole e isolata.

D’altra parte, la posizione del comitato dei commercianti diventa sempre più forte, tanto che le associazioni di categoria intravedono un’opportunità per una trattativa politica con l’amministrazione: la proposta riguarda un compromesso secondo il quale la strada reste-rebbe completamente chiusa al traffico sino al 9 gennaio (dopo la fine delle vacanze di natale) e, dopo quella data, dal venerdì alla domenica di ogni settimana. L’accordo che viene raggiunto ed accettato dai commercianti di Via Maqueda accoglie quasi del tutto la proposta; inoltre, altre tre strade vicine verrebbero chiuse al traffico e si sarebbe costituito un tavolo di concertazione con l’obiettivo di discutere e de-liberare ulteriori limitazioni al traffico nel centro storico («la Repub-blica», 8/12/1999).

I commercianti di Via Maqueda dunque diventano ambientalisti e la loro funzione pubblica viene finalmente riconosciuta dall’amministra- zione: «Con la riapertura del dialogo – secondo l’assessore alle attività produttive – i commercianti diventano il vero motore del processo di pedonalizzazione del centro storico. Ormai è chiaro a tutti che le iso-le pedonali equivalgono a nuove opportunità imprenditoriali» («la Repubblica», 8/12/1999). Anche il comitato degli intellettuali dichia-ra pubblicamente la propria soddisfazione e invita l’amministrazione a perseguire gli obiettivi ecologici con coerenza, i cittadini al rispetto

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delle regole e la polizia municipale a garantire il rispetto della legalità (documento 1PA).

Anche in questo caso, così come in altre campagne, appare evi-dente come i cittadini attraverso comitati ed associazioni (in questo frangente quelle di categoria) possano avere accesso ai processi deci-sionali, attraverso la partecipazione a riunioni e tavoli di concertazio-ne con gli amministratori locali, utilizzando così le nuove opportunità offerte dal processo di decentramento amministrativo.

Lo smantellamento (del) pubblico ed il ritorno allo status quo ante

Dopo circa un anno, tuttavia, inizia una fase di smantellamento delle misure assunte dall’amministrazione di centro-sinistra, in quanto il commissario straordinario Serio – conosciuto per essere politicamen-te vicino al centro-destra – che ha il compito di guidare il comune dopo le dimissioni di Orlando candidato alle elezioni regionali, co-mincia a rivedere tutto il piano del traffico. L’ex sindaco e l’assessore Arcuri, reagiscono immediatamente, bollando come reazionarie le nuove iniziative del commissario Serio: «È come se una regia occulta confidasse nella certezza che il nuovo corso della pianificazione ur-banistica sarebbe stato archiviato, incredibile a dirsi, e caratterizzata dal permanere delle previsioni del piano regolatore del ’62, quando i responsabili erano Lima e Ciancimino» («la Repubblica», 17/12/2000). In effetti, qualche giorno dopo il commissario annun-cia di voler rivedere il piano del traffico e rimuove le restrizioni al traffico («la Repubblica», 24/12/2000). In pochi giorni tutti i risultati raggiunti dalle precedenti amministrazioni comunali sono cancellati. Anche la nuova giunta di centro-destra, uscita vincente dalle elezioni amministrative del 2001, continua nella politica di smantellamento avviata dal commissario (interviste 1PA, 2PA).

I commercianti questa volta non hanno alcuna reazione di prote-sta e accettano la situazione preesistente l’inizio della campagna di protesta. I comitati ambientalisti non riescono a trovare lo spazio per una nuova mobilitazione contro le nuove politiche comunali. Come ci ha detto un rappresentante del comitato di Via Roma: «adesso mancano gli interlocutori politici. Con la giunta Orlando abbiamo molto litigato e molto discusso, ma almeno avevano un piano del traffico che mirava a regolare la viabilità; con questa nuova giunta siamo tornati al «vivi e lascia vivere», nessuna volontà politica, nessun piano. L’importante è non ledere certi interessi, sempre gli stessi» (in-tervista 3PA).

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5 Catania: la campagna per una mobilità alternativa

Situata nella parte moderna di Catania, Corso delle Province è un’ampia ed importante strada piena di negozi, attraversata dai binari, ormai dismessi, della Ferrovia CircumEtnea (FCE – la ferrovia privata che collega Catania con i paesi situati alle pendici del vulcano Etna attraverso un percorso circolare). Quando, nel 1988 si rende inutiliz-zabile il tratto che andava dalla stazione centrale – passando per Cor-so delle Province – alla stazione Borgo, in seguito all’apertura del primo tratto di metropolitana, si pone il problema di cosa fare della parte centrale della strada attraversata longitudinalmente dai binari ormai dismessi.

Nel novembre del 1999, l’amministrazione comunale di centro-sinistra guidata da E. Bianco (Democratici) delibera un sistema inte-grato di piste ciclabili chiedendo e ottenendo i relativi finanziamenti (per un totale di circa 1 milione di euro) dalla regione siciliana e da fondi europei, in base alla legge n. 366 del 199810, per un lungo tratto in cui era incluso Corso delle Province. Un mese più tardi, tuttavia, Bianco si dimette per diventare ministro dell’Interno nel governo D’Alema, e nel maggio del 2000 viene eletta la nuova amministrazio-ne comunale di centro-destra, guidata dal sindaco Scapagnini (FI), tut-tora in carica, sotto il cui mandato dunque si svolge interamente la campagna di protesta.

L’inizio della campagna: comitato e ambientalisti versus giunta e commercianti

Quando, nel settembre del 2000, la nuova giunta annuncia di non vo-ler realizzare la pista ciclabile in Corso delle Province, rinunciando così ai fondi già destinati, suscita la protesta delle associazioni ecolo-giste, come Legambiente, che invece chiedono un «sistema di piste ciclabili nell’ambito del Piano Urbano del Traffico».

Nel mese di ottobre, i commercianti di Corso delle Province, riu-nitisi in assemblea chiedono all’amministrazione comunale la realiz-zazione di parcheggi a spina di pesce, al posto dei binari della FCE, inve-

10. La legge 366 del 1998 prevede un finanziamento nazionale alle regioni,

insieme a finanziamenti europei, destinati agli enti locali per la messa in opera di piste ciclabili all’interno dei circuiti urbani e, in particolare, con l’art. 8 si vincola a dare priorità alla costruzione di piste ciclabili nelle aree di sedime delle ferrovie dismesse.

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ce della pista ciclabile. I negozianti giustificano le loro richieste col traffico caotico della zona e col bisogno di parcheggi per i loro clienti, supportati dai dirigenti locali della Confcommercio: «le esigenze dei commercianti convergono con quelle degli abitanti della zona e degli operatori professionali» (Commercio, ottobre 2000). Il loro frame è dunque basato principalmente sulla difesa degli interessi di categoria, anche se la richiesta di parcheggi viene presentata come una soluzio-ne dei problemi del traffico valida per tutti coloro che vivono ed ope-rano nel quartiere.

Poco tempo dopo, l’assessore alla viabilità Castiglione annuncia la realizzazione di parcheggi e spazi verdi nella zona di Corso delle Pro-vince per «contemperare la richiesta dei commercianti dell’area con l’esigenza di riqualificare la zona migliorando sia la mobilità che l’inquinamento acustico e atmosferico» («La Sicilia», 18/10/2000). Dunque, la decisione della giunta sembrerebbe un tentativo di andare incontro sia alle richieste dei commercianti che a quelle degli ambien-talisti, o di mostrarsi interessata alla qualità dell’ambiente almeno agli occhi del pubblico; la decisione di rinunciare alla pista ciclabile accet-ta, di fatto, soltanto le richieste dei commercianti, che rappresentano una parte considerevole dell’elettorato della giunta di centro-destra.

Nello stesso mese si costituisce «il Comitato spontaneo per la rea-lizzazione della pista ciclabile in Corso delle Province» per contrastare le decisione della giunta, sostenere la proposta della pista ciclabile e promuovere il tema della ciclabilità a Catania. Il frame del comitato è quindi inizialmente «semi-localistico», nella definizione di Gordon e Jasper (1996), in quanto gli attivisti non si limitano ad opporsi al pro-getto dell’amministrazione, ma propongono una soluzione alternati-va, la pista ciclabile, che tuttavia è limitata ad un’area specifica e non è finalizzata a risolvere complessivamente il problema della mobilità cittadina.

Il comitato è composto da un nucleo di venti persone, tra i 40 e i 50 anni, per la maggior parte diplomati e laureati, insegnanti, impiega-ti pubblici e privati, molti dei quali hanno avuto precedenti esperienze politiche e sindacali in partiti di sinistra e associazioni ecologiste. Il capitale umano e politico sono dunque le principali risorse a disposizione del comitato. Queste risorse si sono rivelate importanti nell’organiz- zazione della protesta, nell’accesso ai media, nel tenere contatti per-sonali coi giornalisti, nel produrre rapporti scientifici, nel costruire alleanze e nel promuovere la causa della pista ciclabile nel quartiere e nella città in generale. Infatti, il comitato comincia la campagna di protesta nel mese successivo, promuovendo una petizione firmata da più di 2.500 persone (la metà delle quali residenti nel quartiere inte-ressato) ed organizzando un’assemblea pubblica cui partecipano più di un centinaio di cittadini. Questi eventi, insieme ad una buona co-pertura da parte dei media locali, possono essere considerati come

88 PIAZZA ED ALTRI / Comitati di cittadini contro il traffico

buoni indicatori del consenso e della capacità di mobilitazione del comitato nel quartiere e nell’opinione pubblica cittadina. Ad esso, tut-tavia, si oppongono i negozianti della zona, riuniti nell’associazione «Commercianti di Corso delle Province» e compatti nelle loro richie-ste.

Dunque, il sistema di conflitto presentava inizialmente una coali-zione piccola e coesa formata dalla comunità dei commercianti soste-nuti dalla Confcommercio, da un lato, mentre dall’altro il comitato poteva contare, all’inizio, soltanto sull’appoggio di alcune organizza-zioni ambientaliste (Legambiente, LAV, WWF, LIPU, Stradamica e Gruppi di Ricerca Ecologica) riunite nel «Coordinamento per una ci-clabilità sostenibile».

La replica dell’amministrazione comunale: «un dialogo tra sordi»

Quando durante un incontro, la petizione a favore della pista ciclabile viene consegnata al sindaco, gli amministratori comunali si mostrano formalmente disponibili ed aperti alla discussione, ma non cambiano sostanzialmente la loro decisione. Si è trattato dell’unico momento di dialogo tra questi attori, un «dialogo tra sordi» secondo i membri del comitato (intervista CT).

Verso la fine dell’anno 2000, la nuova giunta di centro-destra avvia una trattativa con la FCE per ottenere l’area di sedime lungo il tratto di Corso delle Province in cambio di 7 miliardi di lire e della destinazione e gestione a parcheggi da parte della stessa FCE dell’area dismessa.

Nel gennaio del 2001 alcuni deputati siciliani (PRC, DS, PPI) rivolgo-no un’interrogazione parlamentare sulla vicenda al ministro dei tra-sporti, chiedendo di verificare la regolarità delle procedure amministra-tive nella trattativa tra FCE e comune, nonché l’attuazione della legge 366/98, dando priorità alla pista ciclabile. La risposta del ministro si rivela piuttosto evasiva. È importante notare che si è trattato soltanto di un’iniziativa individuale di alcuni parlamentari, in quanto i partiti lo-cali (compresi i Verdi e quelli di sinistra) sono sempre stati assenti sulla vicenda, come ha sottolineato il portavoce del comitato: «tutti i partiti sono assenti sui temi della mobilità e delle ciclabilità e, quindi, non ab-biamo alcun rapporto organico con essi» (intervista CT)11.

11. Inoltre, i partiti a Catania e nelle altre città siciliane, dopo l’introduzione

dell’elezione diretta del sindaco, hanno perso sempre più influenza sulle politiche locali, non solo su quelle riguardanti ambiente e viabilità (Piazza 1998).

Rivista Italiana di Politiche Pubbliche / 1.2003 89

Lo stallo e l’estensione del frame del comitato

Nei mesi successivi le trattative tra la giunta e la FCE si arenano a cau-sa di questioni legali ed economiche, così che la tanto contesa area mediana del viale rimane inutilizzata per lungo tempo. Dunque, si viene a creare una situazione di stallo in Corso delle Province: né par-cheggi, né pista ciclabile.

D’altra parte, il comitato aveva ridefinito e ampliato il proprio frame dall’obiettivo specifico della pista ciclabile al problema più gene-rale della mobilità, dei trasporti e della sicurezza pedonale, perdendo la caratteristica di territorialità che aveva al momento della sua forma-zione.

Anche il suo sistema di alleanze si allarga ad altri attori sociali, quali comitati di cittadini, associazioni ed organizzazioni ecologiste, coi quali, nel luglio del 2002, costituisce la «Consulta per la Città» con l’intento di affrontare il degrado che caratterizza Catania e la sua area metropolitana, le condizioni socio-economiche, la vivibilità, la qualità della vita dei suoi cittadini, ecc. La campagna per la pista ciclabile si inserisce così in un percorso più ampio che riguarda la mobilità, i tra-sporti pubblici, lo sviluppo ecosostenibile, la lotta all’inquinamento atmosferico, acustico ed elettromagnetico.

Sotto questo profilo – estensione del frame e allargamento delle al-leanze – risultano fondamentali le risorse di capitale politico a dispo-sizione del comitato; infatti, gli attivisti che hanno avuto precedenti esperienze politiche e sindacali, sono consapevoli della «necessità di generalizzare i temi della campagna e di allargare il fronte della prote-sta, nella speranza di ottenere qualche risultato» (intervista CT).

Per quanto concerne la campagna pro pista ciclabile, intanto, il comitato e le altre associazioni ambientaliste sporgono un esposto-denuncia ai competenti organi regionali, utilizzando le nuove oppor-tunità offerte dalla normativa recente a tutela dell’ambiente. La regio- ne Sicilia, tuttavia, non si è ancora pronunciata sulla vicenda.

Nel frattempo il fronte dei commercianti sembra essere meno compatto, sebbene le posizioni ufficiali restino immutate: «Non c’è compattezza da parte dei commercianti. C’è un nocciolo duro di commercianti nettamente contrario alla pista ciclabile, ma ce ne sono degli altri favorevoli che non vorrebbero i parcheggi, che però prefe-riscono restare ai margini per non esporsi e compromettersi» (intervi-sta CT).

Fuori dallo stallo? Al momento solo piante e ceneri vulcaniche…

Ciononostante, verso la fine del 2002 la situazione di stallo sembra sbloccarsi a favore dei commercianti contrari alla pista ciclabile. La giunta municipale annuncia l’inizio dei lavori per la sistemazione a

90 PIAZZA ED ALTRI / Comitati di cittadini contro il traffico

verde ed i parcheggi in Corso delle Province. In realtà, sono stati av-viati solo i primi lavori (i binari sono stati interrati con la cenere lavica emessa dall’Etna e vi sono state collocate piante ornamentali, in se-guito scomparse…), ma non quelli per i parcheggi. A tale proposito, l’assessore ai Lavori pubblici Scavone ha dichiarato «di sperare che entro l’estate del 2003 sarebbe stata avviata la gara d’appalto per l’al- largamento della sede stradale, l’aumento dei parcheggi e la sistema-zione a verde» («La Sicilia», 12/12/2002).

In effetti, la convenzione tra il comune e la FCE non è stata ancora siglata a causa di un contenzioso legale in corso tra la giunta e l’ex proprietario di un’area destinata a parcheggi per la Circumetnea in cambio dei binari dismessi di Corso delle Province: dunque, l’accordo è bloccato.

La situazione sino ad oggi, giugno 2003, non è ancora cambiata e l’esito finale della campagna di protesta sembra dunque essere so-stanzialmente negativo: la pista ciclabile non verrà costruita e la giun-ta sta solo aspettando la soluzione del contenzioso legale per iniziare l’implementazione del progetto-parcheggi, anche se i tempi potrebbe-ro essere più lunghi di quelli attesi e, specialmente in Sicilia, il tempo è una variabile importante nei processi di policy.

6

La comparazione delle campagne: ipotesi e considerazioni conclusive

Nei casi esaminati, i cittadini si sono mobilitati per ottenere una deci-sione di policy, sia essa una pista ciclabile (Catania), la chiusura di una specifica strada (Palermo), la riduzione del traffico in una zona (Fi-renze) o una politica generale per la riduzione del traffico e del con-seguente inquinamento in una città intera (Bologna).

La mobilitazione dei cittadini raramente sembra capace di ottene-re risultati sostantivi, ancor meno se misurati sulla base degli obiettivi che essi si pongono all’inizio della mobilitazione. E tuttavia riesce a mettere in moto un processo politico attraverso cui una questione della vita quotidiana viene trasformata in problema politico, cioè in questione meritevole di trattamento pubblico. In questo modo i co-mitati giocano un ruolo rilevante nello sviluppo dell’agenda politica locale: con le loro iniziative essi attirano l’attenzione pubblica sul te-ma del traffico e sulle sue esternalità negative, e forzano gli ammini-stratori, anche quelli poco sensibili a questi problemi, a giustificare le loro politiche usando un frame simile a quello dei comitati, come ri-sorsa di legittimazione. A Catania, per esempio, anche se l’ammini- strazione resta fermamente contraria all’ipotesi di una pista ciclabile, crea un’area verde al posto dei binari dismessi affermando che l’ambiente deve essere migliorato. A Bologna la giunta giustifica le

Rivista Italiana di Politiche Pubbliche / 1.2003 91

misure di regolazione del traffico, anche sotto la pressione della magi-stratura, affermando che queste consentono di ridurre l’inquinamento (anche se i dati ambientali non sembrano confortare questa asserzio-ne). I comitati dunque svolgono un ruolo cognitivo rilevante, diffon-dendo attraverso le loro azioni una coscienza dell’esistenza di un problema rappresentato dal traffico veicolare e proponendo possibili soluzioni.

La presente analisi ha voluto evidenziare i fattori che spiegano la capacità di mobilitazione dei comitati e il loro «successo» nel rendere pubblici i problemi su cui si attivano e nel favorirne l’inserimento nell’agenda di policy. Abbiamo cercato di dimostrare che i comitati pur non avendo risorse organizzative e finanziarie di rilievo, riescono a valorizzare altri tipi di risorse, a formulare discorsi convincenti che definiscono la situazione contro la quale si mobilitano, fino a diventa-re in qualche caso «egemoni», trasformando quindi i sistemi di allean-ze e di conflitto nell’arena di policy.

Alcune risorse preesistono alla mobilitazione, infatti tutti i comita-ti considerati nei nostri casi hanno sfruttato un qualche tipo di «capi-tale» nella fase iniziale della campagna (tab. 1). Il capitale umano – quindi l’expertise – è una delle risorse disponibili per i comitati: la pre-senza di docenti universitari, insegnanti, professionisti, ecc., ha avuto un ruolo centrale in tutte le fasi di tre campagne (Bologna, Firenze, e Catania); anche a Palermo è stato rilevante, ma solo a campagna già iniziata e nel comitato degli intellettuali. A Bologna, a Catania e a Fi-renze anche il capitale politico ha rappresentato una rilevante risorsa per i comitati, non solo nella fase iniziale, ma anche quando si sono allargate le alleanze grazie ad un’estensione del frame originario. A Pa-lermo, invece, l’iniziale mancanza di capitale umano e la scarsa rile-vanza di capitale politico sono state compensate dalla presenza di un forte capitale sociale: i commercianti che si mobilitano, infatti, sono legati da estesi legami parentali.

I comitati si mobilitano all’inizio con forme di azione simboliche che assicurano un forte impatto mediatico, a volte facilitato dalla pre-senza di esperti delle comunicazione (accademici e professionisti) come nei casi di Bologna, Firenze e Catania.

Nel corso del dibattito che scaturisce dalla loro mobilitazione, i comitati hanno la possibilità di pubblicizzare meglio le loro posizioni rispetto alle questioni contestate. A Firenze e Bologna, essi elaborano un frame molto inclusivo che prevede interventi sulla mobilità cittadi-na o di un quartiere molto esteso. Sia a Palermo che a Catania, invece, i comitati inizialmente utilizzano un frame localistico o semilocalistico: a Palermo opponendosi alla chiusura di una strada del centro storico, a Catania contrastando il progetto dei parcheggi e ponendosi l’obiettivo della pista ciclabile. Mentre i comitati di Bologna e Firenze, utilizzando dal principio un frame generale, riescono a creare le condi-

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zioni per alleanze con attori sociali e politici, a Palermo e a Catania solo quando i comitati «generalizzano»12 il loro frame gli alleati aumen-tano mentre diminuiscono gli attori che si oppongono ad essi.

Gli attori cui mancano risorse iniziali di accesso istituzionale han-no dunque bisogno di costruire un sistema complesso di relazioni, se vogliono avere la possibilità di esercitare pressioni rilevanti nei con-fronti dei policy maker, e devono, per lo stesso motivo, cercare di evita-re che si formi un sistema di conflitto visibile contro le loro posizioni, cosicché gli amministratori non siano frenati dal dilemma del consen-so o all’opposto non sfruttino la situazione per non agire. Abbiamo visto che tale capacità dipende fortemente dall’abilità dei comitati di fare uso di argomenti convincenti per giustificare le loro preferenze di policy. Gordon e Jasper si riferiscono a questo dilemma sottolineando la necessità per i comitati di superare l’appellativo di NIMBY: «La reto-rica – secondo i due autori – è lo strumento principale con cui gli atti-visti «creano» nuovi problemi, nuove risorse e nuovi membri» (1996, 162). La loro opinione è infatti che se gli attori sono capaci di genera-lizzare le loro domande, essi hanno più probabilità di costruire e am-pliare le alleanze attraverso un processo discorsivo. Come hanno os-servato i due studiosi, anche nel caso della comparazione fra campa-gne proposta in questo articolo «l’uso di una retorica e di argomenti generali (global) all’interno di processi discorsivi sono i mezzi attraver-so cui questi gruppi possono provare ad ampliare la membership, guadagnare simpatia e sostegno politico, creare alleanze con altri attori di policy ed in particolare con organizzazioni che si mobilitano su temi simili a livelli più alti (regionali, nazionali, internazionali), capaci di da-re loro accesso a risorse e processi, credibilità e informazioni, ecc.» (ibidem, 178).

L’argomento utilizzato da Gordon e Jasper è che la retorica riesce ad avere effetti sostanziali sugli esiti decisionali. Questo non sembra essere il caso delle campagne qui analizzate. Anche se le campagne descritte non permettono di andare oltre semplici affermazioni ipote-tiche sull’impatto delle mobilitazioni sugli esiti, una spiegazione plau-sibile deve combinare la dimensione discorsiva con il contesto politi-co della mobilitazione.

A questo proposito si è fatto riferimento al concetto di struttura delle opportunità politiche. Nel corso della trattazione delle campa-gne si è visto come i comitati abbiano sfruttato alcuni accessi al

12. Si è scelto di tradurre così il termine globalize utilizzato da Gordon e Ja-

sper (1996).

Rivista Italiana di Politiche Pubbliche / 1.2003 93

processo decisionale formalmente disponibili: tavoli di concertazione, ricorsi e denunce. Allo stesso modo si è visto come talvolta la pre-senza di un’amministrazione che difende una politica sulla base di principi quali la salute pubblica e la protezione dell’ambiente può co-stringere gli attori ad utilizzare un simile frame per avere una qualche probabilità di successo: come testimonia il caso limite dei commer-cianti palermitani. Se si mobilitano con frame inizialmente non condi-visi dagli amministratori, i comitati per non fallire nella loro mobilita-zione devono provare a creare un dibattito pubblico che costringa la giunta a trattare le questioni della salute pubblica e del traffico. Sia a Bologna che a Catania, le amministrazioni, a campagne già avviate, non cambiano la loro posizione sulle politiche da adottare, ma sono

TAB. 1 Analisi delle dimensioni comparative rilevanti per campagne.

CAMPAGNE Dimensioni comparative

Firenze Bologna Catania Palermo

Risorse iniziali: tipo di capitale

Umano e politico

Umano, sociale e politico

Umano ePolitico

Sociale

Tipo Generale Generale Semilocali-stico

Localistico Framing

Trasfor-mazione

Inalterato Inalterato Generaliz-zazione

Generaliz-zazione

Tipo Ampio Ampio Ristretto Ristretto Sistema di alleanze

Trasfor-mazione

Inalterato Ulteriore amplia-mento

Amplia-mento

modesto

Amplia-

mento

Tipo Assente Assente Ristretto Ampio Sistema di conflitto

Trasfor-mazione

Amplia-mento

modesto

Inalterato Inalterato

Riduzione

Rispetto all’obiettivo iniziale dei comitati

Insuccesso Successo simbolico

Insuccesso

Successo

Esito

Rispetto alla policy

Effetti proce-durali

Effetti sostanziali

incerti

Nessun effetto so-

stanziale

Status quo

ante, dopo effetto so-

stanziale

94 PIAZZA ED ALTRI / Comitati di cittadini contro il traffico

costrette a giustificarle sulla base di un presunto effetto positivo sulla salute dei cittadini e sull’ambiente.

Per quanto riguarda gli esiti delle campagne, per quanto parziali e ancora non definitivi, questi sono stati suddivisi in due tipi: uno ri-spetto all’obiettivo iniziale che i comitati si erano posti, facilmente rilevabile in base al suo totale, parziale o mancato raggiungimento e, quindi, al successo della campagna; l’altro, rispetto agli effetti che la protesta dei comitati ha avuto sulla policy in questione, poiché si può non raggiungere l’obiettivo prefissato, ma influenzare e modificare ugualmente il processo di policy nella direzione auspicata.

È il caso, ad esempio, del successo «procedurale» ottenuto dai co-mitati fiorentini – a fronte dell’insuccesso rispetto all’obiettivo iniziale – con la creazione di un «deliberative setting» (gli stati generali dell’Oltrarno) dove gli attori sono chiamati a partecipare per vincolare l’amministrazione all’elaborazione di alcune politiche territoriali. L’unico caso di reale successo rispetto al raggiungimento dell’obietti- vo iniziale, seppure temporaneo, è invece quello dei commercianti di Palermo. Ad ogni modo, in nessuno dei due casi la capacità dei comi-tati ha riguardato solamente l’elaborazione di frame generali, ma la rea-lizzazione di quello che Mario Diani (1996) ha definito «frame-alignment», cioè «l’integrazione dei messaggi della mobilitazione con le rappresentazioni dominanti dell’ambiente politico». Mentre nei due casi di insuccesso sostanziale in termini di raggiungimento dell’obiet- tivo, a Catania e Bologna, questa operazione non è stata possibile, perché le amministrazioni di centro-destra non hanno come discorso dominante la difesa dell’ambiente, ma più spesso lo sviluppo econo-mico e una viabilità senza restrizioni (a Bologna semmai si è avuto un processo inverso, in cui è stata l’amministrazione ad allinearsi al frame dei comitati, se non altro in termini simbolici, sia per effetto dell’ordi- nanza della magistratura sia per la capacità discorsiva dei comitati anti-smog); nei casi di Firenze e Palermo (con giunte di centro-sinistra che includevano anche i verdi) si presentava questa opportunità politica: i comitati potevano costringere gli amministratori a mantenere le loro promesse elettorali, mobilitando quei cittadini più sensibili a questi problemi e che costituiscono una parte significativa del loro elettorato.

Nel caso fiorentino i primissimi risultati sono stati ottenuti chie-dendo al sindaco appena eletto di implementare uno specifico punto del suo programma elettorale, cioè il miglioramento delle condizioni ambientali e la riduzione dell’inquinamento. Questo tentativo di frame-alignment non ha portato a risultati effettivi, ma ha agito da strumento critico delegittimante nei confronti delle autorità locali e del sindaco, che non hanno tenuto fede alle loro promesse, costringendoli ad ac-cettare almeno un processo decisionale partecipato sul modello della democrazia deliberativa, le cui virtù sono state lodate dal sindaco stesso in occasione del Forum Sociale Europeo.

Rivista Italiana di Politiche Pubbliche / 1.2003 95

A Palermo il funzionamento del meccanismo del frame-alignment è ancora più visibile. I commercianti non hanno raggiunto nessun o-biettivo fino a quando si sono mobilitati con un frame localistico op-ponendosi al discorso dominante del centro-sinistra che ruotava at-torno alla salute pubblica. Solo quando gli attori sono stati capaci, o hanno avuto l’opportunità, di radicalizzare il discorso dell’ammini- strazione, rilanciando le loro posizioni e chiedendo la chiusura totale della strada per le stesse ragioni addotte dagli amministratori, il loro obiettivo è stato raggiunto.

Si potrebbe ipotizzare, dunque, che quando il contesto politico è aperto ad un discorso pro-ambiente e gli attori orientati in questo senso sono in grado di sfruttare le contraddizioni tra il frame delle au-torità e il loro (non)decision-making, è più probabile che riescano ad in-fluenzare le politiche. Una controprova dell’importanza del POS viene ancora da Palermo: quando il centro-destra conquista il municipio, il discorso ambientale non è più rilevante e gli obiettivi raggiunti prece-dentemente (meno traffico e attori costretti a giustificare le loro posi-zioni sulla base dei problemi ambientali) vengono annullati.

Concludendo, la mobilitazione dei comitati è possibile grazie all’uso di risorse e di processi discorsivi che incidono sulle relazioni sociali e politiche cui segue un dibattito pubblico a livello cittadino. Il contesto politico fornisce opportunità diverse che i comitati possono cercare di sfruttare. Solo quando il POS è aperto ai discorsi che i co-mitati elaborano, però, essi hanno qualche possibilità di successo so-stanziale o procedurale. L’ipotesi qui proposta, che meriterebbe ulte-riori verifiche empiriche, è che retorica e opportunità politiche sono entrambe condizioni necessarie per raggiungere obiettivi di policy par-tendo da condizione di marginalità politica.

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Firenze

Intervista 1FI: Fiammetta, COS, gennaio 2003. Intervista 2FI: Roberto, COS, febbraio 2003. Intervista 3FI: Astrid, COS, febbraio 2003. Palermo

Intervista 1PA: presidente del comitato di Via Roma, gennaio 2001. Intervista 2PA: presidente Legambiente, gennaio 2002. Intervista 3PA: presidente del comitato di Via Roma, dicembre 2002.

98 PIAZZA ED ALTRI / Comitati di cittadini contro il traffico

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mercio, Confesercenti. Documento 5FI, lettera informativa, Stati Generali dell’Oltrarno. Palermo

Documento 1 PA: lettera pubblica del comitato degli intellettuali.

GIANNI PIAZZA è assegnista di ricerca presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Catania e collabora alle attivi-tà del GRACE, Gruppo di Ricerca sull’Azione Collettiva in Euro-pa. I suoi interessi di ricerca riguardano la politica e il governo locale, le politiche pubbliche, le élite politiche ed i movimenti so-ciali. Tra le sue pubblicazioni: La città degli affari. Amministratori e imprenditori negli appalti catanesi, Soveria Mannelli, Rubbettino Edi-tore, (1994); Sindaci e politiche in Sicilia, Soveria Mannelli, Rubbet-tino Editore, (1998). INDIRIZZO: Università di Catania – Di-partimento di Analisi dei Processi Politici Sociali e Istituzionali – Via Beato Bernardo, 5 – 95124 Catania.

[e-mail: [email protected]]

LORENZO MOSCA svolge un dottorato in «Telematica e So-cietà dell’Informazione» presso l’Università di Firenze e fa parte del Gruppo di Ricerca sull’Azione Collettiva in Europa. La sua attività di ricerca di dottorato è focalizzata sugli effetti della Co-municazione Mediata dal Computer sulla partecipazione politica e l’azione collettiva. Tra le sue pubblicazioni: Global, noglobal, newglobal. La protesta contro il G8 a Genova, Laterza, 2002, con M. Andretta, D. della Porta, H. Reiter; Globalizzazione e movimenti so-ciali, Manifestolibri, 2003, curato con D. della Porta. INDIRIZ-ZO: Università degli studi di Firenze – Dipartimento di Scienza della Politica e Sociologia Via Valori, 9 – 50132 Firenze.

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Rivista Italiana di Politiche Pubbliche / 1.2003 99

RODOLFO LEWANSKI insegna Politiche dell’ambiente nella Facoltà di Scienze Politiche di Bologna. I suoi interessi di ricerca riguardano le politiche pubbliche, con particolare riferimento alle politiche ambientali e della mobilità. Tra le sue pubblicazio-ni: Environment Protection in Italy (con A. Liberatore), a cura di, U. Desai, Environmental Politics and Policy in Industrialized Countries, MIT Press, Cambridge (Mass.), (2002), pp. 203-248. Environ-mental Policy Integration in Italy, in A. Lenschow, (a cura di), Envi-ronmental Policy Integration, London, Earthscan, (2002), pp. 78-100. Italy (con B. Dente), in H. Weidner e M. Jaenicke, (a cura di), in collaboration of Joergens, H., Capacity Building in National Envi-ronmental Policy, Berlin, Heidelberg, New York, springer, 2002, pp. 261-286. INDIRIZZO: Università di Bologna – Dipartimen-to di Organizzazione e Sistema Politico – Strada Maggiore 45, – 40125 Bologna.

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MASSIMILIANO ANDRETTA è Dottore di Ricerca in Scienza della Politica all’Università di Firenze. È membro del Gruppo di Ricerca sull’Azione Collettiva in Europa (GRACE). I suoi interessi di ricerca si rivolgono soprattutto allo studio dei movimenti so-ciali e della rappresentanza politica. Tra le sue pubblicazioni: Global, noglobal, newglobal. La protesta contro il G8 a Genova, Laterza, 2002, con D. della Porta, L. Mosca e H. Reiter; Policy Making and Changing Forms of Environmental Collective Action: the Case of High Speed Railway System in Tuscany, in «Mobilization», n. 7, 2002, con D. della Porta; Il movimento per una globalizzazione dal basso: forze e debolezze di un’identità negoziata, in D. della Porta e L. Mosca (a cu-ra di), Globalizzazione e movimenti sociali, Manifestolibri, 2003. IN-DIRIZZO: Università degli Studi di Firenze – Dipartimento di Scienza della Politica e Sociologia Via Valori, 9 – 50132 Firenze.

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