Pessoa Inquietudine

48

Transcript of Pessoa Inquietudine

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 1 07/09/12 11:25

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 2 07/09/12 11:25

La Rosa

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 3 07/09/12 11:25

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 4 07/09/12 11:25

Fernando Pessoa

Il lIbro del genIo e della FollIa

a cura di Jerónimo PizarroEdizione italiana a cura di Giulia Lanciani

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 5 07/09/12 11:25

Fernando Pessoa, Escritos sobre Génio e Loucura,Edição Crítica de Fernando Pessoa, Série Maior, vo. VII,

Edição de Jerónimo Pizarro © 2006 Imprensa Nacional-Casa da Moeda, Lisboa

ISBN 978-88-04-62118-8

© 2012 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano

I edizione settembre 2012

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 6 07/09/12 11:25

Introduzionedi Giulia Lanciani

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 7 07/09/12 11:25

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 8 07/09/12 11:25

Il “caso Pessoa”

Da vari anni1 mi vado chiedendo se il Pessoa che leggiamo, che traduciamo, che analizziamo rinvii a una realtà o non sia piut-tosto un oggetto virtuale costruito dagli editori annullando, con una risolutezza che non conosce ripensamenti ma che obbedisce a una ferrea logica unificante, ogni traccia della frammentarietà originaria cui il poeta sottomette se stesso e il proprio universo poetico, scegliendo non già di identicarsi in una monade creati-va, ma di dare di sé una immagine inequivocabilmente plurale.2

Una domanda alla quale ho cercato di rispondere, tenendo pre-senti due elementi costitutivi della sua poetica, in genere neglet-ti dagli editori: la frammentazione del soggetto e la frammenta-rietà delle sue opere.

La diffrazione del soggetto in una pluralità di alternative, di

1 Cfr. alcuni miei interventi: Identità e possessione: il «Faust» di Pessoa, in La storia di Faust nelle letterature europee, a cura di Marino Freschi, CUEN, Napoli 2000, pp. 191-206; Sulla traducibilità: il caso Pessoa, relazione al con-vegno «Lingue policentriche a confronto: quando la periferia diventa cen-tro», Università degli Studi del Salento, 8-9 maggio 2007 (pubblicata nei re-lativi Atti, Polimetrica, Milano 2009, pp. 13-9); Il caso Pessoa, in «Testo a fronte», 40, 2009, pp. 19-24.

2 Un quesito che si è posto anche Jerónimo Pizarro, e al quale egli ha dato una risposta concreta, sia sul piano teorico (cfr., ad esempio, Pessoa existe?, in «Veredas. Revista da Associação Internacional de Lusitanistas», 8, 2007, pp. 244-59) sia su quello pratico, rispettando scrupolosamente nelle sue edi-zioni pessoane la frammentarietà dei manoscritti, e dichiarando esplicitamen-te che l’organizzazione tematica e formale dei frammenti è frutto di una sua personale interpretazione congetturale, in tutti quei casi in cui il poeta non abbia dato egli stesso le necessarie indicazioni.

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 9 07/09/12 11:25

GIULIA LANCIANIx

possibilità, è già praticata dall’estetica romantico-simbolista che insiste sulla inconciliabilità dell’io empirico e dell’io poetico, in-frangendone l’unità; continua con Valéry, Yeats, Eliot (interes-sante, a proposito della cosiddetta “Impersonal Theory of Poet-ry”, il suo saggio Tradition and the Individual Talent),1 Lorca, Hofmannsthal, etc.

Dunque Pessoa si muove e agisce in questo terreno culturale. E tuttavia, attraverso l’invenzione del tragico gioco eteronimico, si pone, a mio avviso, come figura paradigmatica della moderni-tà, poiché assomma in sé le ragioni e le estreme conseguenze del-la disgregazione di un soggetto che drammaticamente avverte e patisce, tra genialità e follia – follia come esperienza di spersona-lizzazione (Barthes) –, la propria precarietà.

Scrivere è spacciarsi per un altro, afferma Pessoa. E Autopsi-cografia è la straordinaria dichiarazione di poetica di un maestro della mistificazione, quale egli è, che ha fatto della finzione il suo modo di essere:

O poeta é um fingidor.Finge tão completamenteQue chega a dizer que é dorA dor que deveras sente.

E os que lêem o que escreve,Na dor lida sentem bemNão as duas que ele teveMas só a que eles não têm.

E assim nas calhas de rodaGira, a entreter a razão,Esse comboio de cordaQue se chama coração.

Il poeta è un fingitore. / Finge così completamente / da fingere che è dolore / il dolore che davvero sente. // E quelli che leggono ciò che

1 In The Sacred Wood, Methuen, London 1920.

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 10 07/09/12 11:25

INTROdUzIONE xI

scrive / nel dolore letto ben sentono / non i due che egli ha avuto / ma solo quello che essi non hanno. // E così sui binari in tondo / gira, a intrattener la ragione, / questo trenino a carica / che si chiama cuore.

Un inno alla menzogna artistica: nulla di più vero della fin-zione, nulla di più essenziale dell’ambiguità. Fingere è conoscersi, egli dice. Ed è attraverso la finzione, attraverso un costante gioco di sdoppiamento di sé, attraverso una teatralizzazione dell’io in più voci e in più nomi – gli eteronimi – tutti da lui inventati, e quindi tutti manipolabili e usabili come parti di un dialogo con se stesso, che egli cerca di vedersi e di vedere il mondo.

La metafora dell’«espelho partido», lo specchio infranto, usa-ta frequentemente da Pessoa, è molto efficace per capire l’etero-nimia: «Partiu-se o espelho mágico em que me revia idêntico, / E em cada fragmento fatídico vejo só um bocado de mim / Um bo-cado de ti e de mim!…» [«Si è rotto lo specchio magico in cui mi rivedevo identico, / e in ogni fatidico frammento vedo solo un po’ di me / un po’ di te e di me!…»] esclama l’eteronimo Álvaro de Campos in Lisbon Revisited. L’immagine che lo specchio infranto rinvia è un’immagine irrimediabilmente frantumata, scheggiata, diffratta in una serie di altri io, di altre pessoas, personae, di ma-schere, dunque, per ciascuna delle quali Pessoa inventa una con-cretezza fisica e poetica. Un «drama em gente», come lui stesso lo definisce, una sorta di commedia umana di cui egli è il direttore di scena. Lo specchio lo rompe lui, volontariamente: per addentrarsi nella verità c’è bisogno di scomparire, di annullarsi, di oltrepassa-re i limiti della propria identità. Il suo è un autoannientamento, un suicidio dell’io come estremo tentativo di affermazione di sé attraverso il trionfale, infinito affollamento eteronimico.

Una fuga senza fine dall’io empirico, una fuga da un’identità mutevole, instabile, oscillante («il mio io si è smarrito in se stes-so») che lo conduce alla dissoluzione di questo io e alla sua decli-nazione in una folla di personalità, di ipotetiche esistenze – fino a oggi se ne sono contate settantadue e altre se ne scopriranno

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 11 07/09/12 11:25

GIULIA LANCIANIxII

quando le carte pessoane saranno tutte studiate. La sua identità, pertanto, scompare nella scrittura di altri da sé, che costituisco-no tutto il suo sentire mutevole e molteplice.

Pessoa non lascia un’opera inedita ma finita, bensì un’opera da conoscere e da organizzare. Nella sua paranoia di poeta che odia lo sguardo altrui e si rifugia nella solitudine di una scrittura oc-cultata, egli lascia un numero enorme di inediti, quasi l’intera sua opera, stipati nel leggendario baule, apparentemente senza fon-do, rinvenuto solo dopo la sua morte. Come è infatti ormai noto, quando Pessoa muore nel 1935, ha pubblicato soltanto alcuni te-sti redatti in inglese (nel 1918 Antinous e trentacinque Sonnets, nel 1922 gli English Poems) e un anno prima della sua scompar-sa il poema Mensagem [Messaggio]. Il resto, un’immensa mole di frammenti in versi e in prosa (quaderni, fascicoli, fogli sciol-ti manoscritti e dattiloscritti), a parte sporadiche apparizioni su riviste letterarie, è praticamente inedito e verrà tutto pubblica-to postumo. Quale fosse lo stato originario delle carte contenute nella mitica arca, da cui uno dopo l’altro i vari Pessoa usciranno nel tempo come colombe da un cappello di prestidigitatore, non è dato dirlo. Poiché, fin dagli anni Cinquanta, quando dagli ere-di del poeta ne verrà resa nota ad alcuni studiosi amici l’esisten-za, ad essa attingeranno nel tempo scriteriatamente tutti, come a un pozzo senza fondo, sconvolgendo irreversibilmente l’ipote-tico ordine che Pessoa avrebbe dato alle sue carte. Oggi, tutto o quasi tutto il contenuto dell’arca è conservato nel Fondo Fernan-do Pessoa della Biblioteca Nazionale di Lisbona.

Di questa sterminata quantità di testi (quasi tutti manoscritti, pochi i dattiloscritti), la maggior parte con ogni probabilità non era ritenuta dall’autore pronta per la pubblicazione – ammetten-do l’ipotesi che vi fosse in lui la volontà di pubblicarli –: si tratta infatti, per quasi l’intero spoglio, di redazioni tutt’altro che defi-nitive. Post mortem, i primi a metter mano nelle carte pessoane furono, negli anni Cinquanta, come si è accennato, Gaspar Si-

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 12 07/09/12 11:25

INTROdUzIONE xIII

mões e Luís de Montalvor, due critici letterari senza dubbio di notevole prestigio, ma totalmente sprovvisti degli strumenti atti a penetrare i misteri della pagina pessoana.

La pagina pessoana è malagevole, impervia, arriverei a dire im-praticabile o forse inaccessibile. E non solo per l’ardua decifra-zione della grafia, considerata incomprensibile dallo stesso Pes-soa (in una lettera dattiloscritta inviata all’amico poeta e critico Adolfo Casais Monteiro, si scusava, in un post scriptum, per aver usato la macchina per scrivere; e aggiungeva: «la mia scrittura è illeggibile perfino per me»), ma anche perché martoriata da le-zioni spesso plurime, soprascritte, sottoscritte, intercalate, glossa-te a margine, molte delle quali a matita e dunque non solo illeg-gibili per la grafia, ma anche per l’attenuazione del tratto dovuta al passare del tempo: tutte lezioni alternative tra le quali Pessoa non aveva ancora voluto o saputo scegliere, o sulle quali si mi-sura l’insoddisfazione del poeta, quando espunge segmenti te-stuali che talvolta ricupera in un secondo momento, come risul-ta sia direttamente dai manoscritti che dalla collazione tra questi e i pochi componimenti pubblicati. A ciò si aggiunga l’idiosincra-sia di Pessoa nei confronti di ogni “comprensione”: la sua poesia rifiuta, per principio, la nitidezza di un significato irreversibile.

È questa dunque la situazione in cui si trovano a operare i due editori sopramenzionati; i quali, sia per lo stato delle carte sia anche per la loro totale inesperienza filologica, quasi sempre si sostituiscono all’autore, tagliando il nodo gordiano e decidendo dove il poeta non aveva deciso: con il risultato di divulgare un Pessoa che, nella migliore delle ipotesi, appare depauperato pro-prio della complessità e della densità semantica che la non-scel-ta conferiva alla sua opera. Nella peggiore – quando l’operazione editoriale privilegia una variante cancellata ma che agli organiz-zatori sembra lezione “migliore”, o quando le difficoltà di deci-frazione li inducono in gravi errori – essi esibiscono un prodotto che lo stesso Pessoa aveva, o avrebbe, ricusato. A loro, comun-que, si deve la prima pubblicazione, per i tipi dell’editrice Ática,

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 13 07/09/12 11:25

GIULIA LANCIANIxIV

di molta parte degli inediti: nel bene e nel male, l’ostensione al Portogallo e al mondo di Fernando Pessoa.

Una volta divenute le carte pessoane di pubblico dominio, si è avvertita l’esigenza di approntare edizioni scientificamente vali-de, che tenessero conto dello stato effettivo dei manoscritti, ripub-blicando i testi secondo quella che poteva essere ragionevolmente definita l’ultima volontà dell’autore, ma informando anche sul-le alternative tra le quali egli non aveva ancora compiuto la sua scelta. Il risultato è un Pessoa più autentico, naturalmente con tutte le limitazioni dovute alle difficoltà reali cui si è accennato, alle quali si somma lo stravolgimento ad opera dei primi editori di un possibile assetto originario dato alle carte dallo stesso auto-re: un Pessoa molto diverso da quello che il pubblico aveva co-nosciuto e amato. Un noto scrittore lusitano, Augusto Abelaira, non esitò a esprimere pubblicamente il suo disappunto al propo-sito, affermando sul «Jornal de Letras»:

Sappiamo oggi che quella lettura [il riferimento è alla prima edi-zione postuma, pubblicata dalla editrice Ática] conteneva numerosi errori, tanti che, in molti casi, quel che conoscevamo di Pessoa e che ci aveva indotto ad ammirarlo (perché lo abbiamo ammirato attra-verso l’errore) non era suo […]. Alcuni versi che avevamo imparato a memoria, che ci avevano emozionato, che avevamo ritenuto sublimi, non erano suoi […]. Qual è il vero Pessoa?, ammesso che mi interes-si conoscere il “vero” Pessoa e non mi contenti invece di un qualsiasi Pessoa resistente a tutti gli errori […]? Letto malamente da Gaspar Simões, è stato questo […] il Pessoa che mi ha incantato, quello che ancora oggi modella molte delle mie emozioni. Che m’importa se mol-ti di quei versi non sono davvero suoi, se li ho perfino imparati a me-moria? Ho deciso: non esito più, resto fedele all’edizione dell’Ática, perché è stata questa che mi ha fatto conoscere il Poeta, perché essa si è intrecciata con la mia stessa vita.

Da quella prima pubblicazione, non è mai cessata l’attività edi-toriale intorno all’immensa opera lasciata da Pessoa, e l’esplora-zione del ricchissimo Fondo ha dato e continua a dare origine ad

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 14 07/09/12 11:25

INTROdUzIONE xV

altre ipotesi di pubblicazioni: poiché di questo in realtà si trat-ta, di congetture che ciascun editore propone (con la presunzione di offrire un testo definitivo, il Testo, che nella verità delle cose non esiste). In questo discorso s’inserisce tutta la produzione pes-soana. A riprova di quel che ho detto, vorrei addurre due esempi concreti: il Livro do desassossego [Il libro dell’inquietudine] e il dramma intitolato Fausto [Faust].

Il libro dell’inquietudine conosce la sua prima edizione nel 1982, edizione considerata dagli esecutori completa. Ma che cosa hanno gli editori tra le mani allorché si accingono a dare alla luce quest’opera? Non altro che una collezione disorganica di mate-riali, appunti, annotazioni, abbozzi, progetti, redatti in funzione della composizione del Libro, di un libro che ci è praticamente inaccessibile, ma che ha assorbito quasi l’intera vita del poeta, una sorta di proiezione esistenziale e al contempo proiezione del suo divenire letterario, l’immagine stessa della complessa rete di progressi e di regressi in cui questo farsi si è sempre istituito e che il Libro, nella sua essenza, necessariamente riproduce. Quasi l’intera vita, dicevo: infatti, già nel 1913 Pessoa pubblica, come suo primo testo letterario, nella rivista «A Águia», il frammen-to Na Floresta do Alheamento [Nella foresta dello straniamen-to], con l’indicazione che appartiene al Libro dell’inquietudine; e nel 1932, tre anni prima della morte, in una lettera all’amico Gaspar Simões, esponendo il piano di pubblicazione che prevede per la sua opera, vi include anche Il libro dell’inquietudine, che esplicitamente attribuisce a Bernardo Soares. In un punto di tale piano si legge l’avvertenza che Bernardo Soares non è un etero-nimo, è un semieteronimo, poiché ha personalità simile alla sua, ma mutila: «Sono io, meno il raziocinio e l’affettività».

Il nucleo originale di appunti per il Libro è costituito da un blocco di fogli, in parte dattiloscritti, in parte manoscritti, di cui solo alcuni datati, suddiviso dallo stesso Pessoa in cinque bu-ste con l’indicazione autografa «L. de D.». Oggi, nel Fondo pes-soano custodito nella Biblioteca Nazionale di Lisbona, troviamo

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 15 07/09/12 11:25

GIULIA LANCIANIxVI

ben nove buste relative a quest’opera, poiché i vari editori che si sono succeduti hanno pensato bene di aggiungere frammenti a frammenti, ritenendoli, ciascuno per ragioni diverse (tematiche, cronologiche, etc.), appartenenti al Libro.

Un abbozzo di libro, un progetto di libro. Per Pessoa, il sogno di un libro. Per gli editori e, di conseguenza, per i traduttori, non un’ipotesi di libro, ma il Libro.

Quanto al Faust, nel 1952 Eduardo Freitas da Costa, cugino di Fernando Pessoa, pubblicò settanta pagine di frammenti inediti in verso libero ritrovati nella già allora mitica arca, e seleziona-ti con criteri a dir poco discutibili. Per più di trent’anni l’esisten-za di un coacervo faustiano molto più sostanzioso doveva passare inosservata e i 227 frammenti, che costituiscono l’opera, avreb-bero visto la luce solo nel 1987 a cura del brasiliano Duilio Co-lombini (edizione anch’essa ben poco affidabile per vari aspetti) e nel 1988 a Lisbona a cura di Teresa Sobral Cunha, con il tito-lo Fausto e il sottotitolo Tragédia Subjectiva.

I problemi che si presentavano per la ricostituzione del dram-ma, e che a mio avviso non sono stati ancora del tutto risolti e for-se non potranno mai esserlo, erano molteplici e di vario genere, ed emblematici delle difficoltà, e anzi dei rischi di “leso testo”, ai quali si espone l’editore – qualsiasi editore – che si proponga di (ri)costruire un discorso unitario e conseguente riunendo e colle-gando congetturalmente una serie di frammenti che il poeta non ha voluto o saputo o potuto (per sua stessa ammissione) trarre dallo stato magmatico in cui ce li ha consegnati.

Innanzitutto, l’interpretazione della grafia pessoana. Ebbe-ne, dei documenti faustiani del Fondo Pessoa, appena sette sono dattiloscritti, il resto è redatto a mano. Chi ha esperienza di ma-noscritti pessoani, martoriati, come si è detto, da cancellature e reiscrizioni, può capire il timore e il rischio cui va incontro chi si avventura in quella foresta di segni: e l’incomprensione o la cat-tiva interpretazione della prima parola di un frammento può sca-tenare un’ondata di associazioni spurie nei confronti di successivi

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 16 07/09/12 11:25

INTROdUzIONE xVII

segmenti testuali o di singole parole anch’essi di dubbia lettura, e così il testo originario viene sfigurato in una versione che re-sterà in attesa del felice momento di una decifrazione riparatrice o custodirà per sempre il suo segreto inaugurale.

Inoltre, anche per il Faust, bisogna fare i conti con la poeti-ca pessoana del frammentario: «I miei scritti, tutti, sono rimasti incompiuti; si sono sempre interposti nuovi pensieri straordina-ri, inescludibili associazioni di idee il cui termine era l’infinito. Non posso evitare l’odio che i miei pensieri hanno nel portare a termine qualsiasi cosa».1 E del resto, ciò che designiamo come opera pessoana, lo abbiamo visto, è in realtà un insieme di ope-re-frammenti al contempo autonomi e collegati gli uni con gli al-tri per il fatto che ognuno di essi è la manifestazione di un’espe-rienza unica e inesauribile: ovvero, quella dell’assenza dell’Io a se stesso e al Mondo.

Di qui la difficoltà di articolare in successione, in una dina-mica d’insieme, i vari frammenti, di cui solo dieci, su 227, reca-no un riferimento cronologico: e la possibilità di una datazione, tra le altre informazioni, ha un peso significativo nell’abbordag-gio, anche se periferico, del processo di formazione di un testo.

Se la produzione di frammenti per il Faust obbedisce inizial-mente al grandioso progetto di un dramma che avrebbe dovuto emulare la magnificenza del Faust goethiano, a mano a mano che Pessoa avanza nell’elaborazione del testo, la preoccupazione drammatica va sfumando in favore di una deriva di tipo filosofi-co, che il prolungato monologo sostanzia e nutre. Sicché a emer-gere è un’unica dramatis persona – le altre voci non ne sono che rifrazioni –: la tragedia soggettiva, che è la vera protagonista del-la condizione esistenziale del poeta, gli si inscena nell’anima e nell’intelletto, e nell’anima e nell’intelletto si svolge, tragedia

1 In Páginas Íntimas e de Auto-interpretação, a cura di Georg Rudolf Lind e Jacinto do Prado Coelho, Ática, Lisboa 1966, p. 17.

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 17 07/09/12 11:25

GIULIA LANCIANIxVIII

mentale senza episodi, avventura della ragione per la quale Dio e il Diavolo sono morti, e che si esaurisce per eccesso di analisi.

Si è parlato di un Faust incompiuto. Ma forse, più che di un poema incompiuto, dovremmo parlare di un poema che non si può compiere, dunque di un poema impossibile.1

Impossibile nel senso di realizzarsi in dramma: ovvero nel ge-nere letterario cui Pessoa aspirava, e che appare esplicitamente di-chiarato nelle notazioni sceniche che accompagnano alcuni fram-menti, riunite dal poeta come «note per un poema drammatico sul Faust». E tuttavia, nella strutturazione dei 227 frammenti del Faust, gli editori questo dramma lo realizzano, rendendo possi-bile l’impossibile, ovvero la composizione di un poema dramma-tico che aveva dominato in forma quasi ossessiva l’intenzionali-tà creatrice di Pessoa: e che non si tratti di una preoccupazione marginale all’invenzione eteronimica lo prova il fatto che essa la precede, come testimoniano i primi frammenti del Faust, che ri-salgono al 1908.

Si tratta piuttosto di un’impossibilità che è al centro della poeti-ca pessoana e che si manifesta in tutta la sua produzione; e i fram-menti del Faust la dicono e la rivelano triplicemente nella loro organizzazione: impossibilità di conoscere, impossibilità di vive-re e di amare, impossibile trasparenza del linguaggio, e dunque impossibilità di comunicazione.

Tornando al dilemma iniziale: esiste il Pessoa che noi leggiamo, traduciamo, studiamo, amiamo? o nella realtà l’opera che cono-sciamo non gli appartiene come tale, ma è sempre la costruzione creata dai vari editori (e, di conseguenza, dai vari traduttori) sul-la base di un materiale fluido, inafferrabile nel suo continuo di-

1 Si veda, al proposito, il bel volume di Manuel Gusmão, O Poema Impos-sível: o «Fausto» de Pessoa, Caminho, Lisboa 1986, al quale debbo mol-ti spunti di riflessione; cfr. anche il mio già citato Identità e possessione: il «Faust» di Pessoa.

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 18 07/09/12 11:25

INTROdUzIONE xIx

venire, in fin dei conti inaccessibile, quale è appunto il materiale custodito nella mitica arca: sicché ciò che il lettore legge firmato Pessoa è tutt’altra cosa?

Ma in fondo quel che agli austeri filologi appare come crimi-ne di lesa maestà, immagino che invece diverta nell’alto dei cieli il grande simulatore, il creatore di maschere, che prosegue in tal modo il suo viaggio nella persona degli altri, di eteronimi che oggi si chiamano Ivo Castro, João Dionísio, Teresa Rita Lopes, Gaspar Simões, Maria Alhete Galhoz, Jerónimo Pizarro, etc. etc., attra-verso i quali egli continua a perseguire il disperato tentativo di ritrovare, mediante l’eterogeneità – tutta giocata tra un io che si traveste da altri e altri che sono io –, una sua omogeneità smar-rita. Attraverso i suoi editori, insomma, Pessoa continua a ma-scherarsi, a travestirsi, per rivendicare, anche da morto, il diritto di “inventarsi la vita”, senza soggiacere alle costrizioni della sto-ria, cercando ostinatamente e decisamente di opporre al potere e alle sue norme una diversa grammatica della rappresentazione: una grammatica che sovverte e mente, ben sapendo di sovverti-re e di mentire.

Assim, quanto mais digo, mais me engano,Mais faço eu

Um novo ser postiço, que engalanode ser o meu.1

Così, quanto più dico, più mi inganno, / più io creo / un nuovo es-sere posticcio, che adorno / come fosse il mio.

1 È la terza strofa della poesia Meu pensamento, dito, já não é [Il mio pen-siero, detto, già non è] (in Fernando Pessoa, Poesia 1902-1917, a cura di Ma-nuela Parreira da Silva, Ana Maria Freitas, Madalena dine, Assírio & Alvim, Lisboa 2005).

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 19 07/09/12 11:25

GIULIA LANCIANIxx

Genio e folliaIo ero un genio, riconoscevo la verità, e capivo anche che, essendo un genio, ero un pazzo.

C.R. Anon

Il Fondo pessoano della Biblioteca Nazionale di Lisbona sembra davvero una fonte inesauribile di novità per chiunque si occupi della vastissima quanto eclettica produzione non solo del poeta e del narratore, ma soprattutto, almeno a giudicare dalle più recenti acquisizioni, del saggista, dello storico di letteratura, dell’esplora-tore instancabile di aspetti della scrittura che svariano dalla psico-logia e dalla parapsicologia all’esoterismo, dallo studio delle reli-gioni a quello del linguaggio, dal biografismo all’autoanalisi; una fonte che continua ad alimentare un rivolo perenne, che a volte assume carattere torrentizio, e a riservare, a distanza di decenni, sorprese per il materiale inedito che è ancora in grado di elargire.

Dal coacervo di quel Fondo documentario gelosamente conservato dal poeta durante tutta la sua vita, quasi senza concessioni alla sua diffusione – un Fondo per il quale gli è stato felicemente assegnato l’epiteto di «O guardador de papéis»1 –, sono ultimamente emersi numerosi testi pessoani relativi a un preciso argomento, e quindi de-cifrati, riuniti in un corpus omogeneo e pubblicati nel 2006 in due volumi, editi dall’Imprensa Nacional, che comprendono oltre seicen-to tra frammenti e testi organici, in gran parte inediti, tutti relativi a un nucleo tematico – il genio e la follia – che Pessoa sviluppò duran-te l’intero arco della sua vita, sebbene con maggiore incidenza negli anni tra il 1907 e il 1914.2 Scritti importantissimi, nella loro etero-geneità, da un punto di vista teorico e saggistico, per il dialogo che

1 Letteralmente «Il conservatore di carte», espressione che ricalca il titolo di una delle sue raccolte di poesie, O Guardador de Rebanhos [Il guardiano di greggi]: cfr. il titolo del volume Fernando Pessoa: o Guardador de Papéis, a cura di Jerónimo Pizarro, Texto Editores, Alfragide 2009.

2 Fernando Pessoa, Escritos sobre Génio e Loucura, a cura di Jerónimo Pi-zarro, Imprensa Nacional-Casa da Moeda, Lisboa 2006, 2 tomi (Edição Críti-ca de Fernando Pessoa, Série Maior, vol. VII).

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 20 07/09/12 11:25

INTROdUzIONE xxI

stabiliscono in larga misura con il discorso medico-psichiatrico – ri-velatore della congerie di letture del poeta in quel campo –, ma so-prattutto per il loro carattere speculativo sul piano dell’estetica (non si può ignorare che il genio è anche una categoria estetica), nonché per l’analisi di carattere storico-culturale, che mostra ancora una vol-ta come Pessoa fosse in sintonia con i grandi spiriti del suo tempo.

Scritti importantissimi all’interno del sistema pessoano, sia per-ché conferiscono una nuova dimensione al “caso Pessoa”, all’aspet-to clinico che lo segna, sia perché si configurano come una nuova via per rivisitare tutta la sua produzione: in definitiva, per ten-tare di cogliere il complesso disegno poetico-esistenziale che sog-giace alla costruzione testuale.

Editore dei due volumi è lo studioso colombiano Jerónimo Pi-zarro, uno dei più acuti e agguerriti filologi contemporanei, mem-bro di spicco del gruppo di lavoro diretto da Ivo Castro, e tra i più sapienti “lettori” delle carte pessoane. In questo suo monumen-tale lavoro, egli non si limita a organizzare il materiale da lui re-perito nel Fondo e opportunamente selezionato, ma esercita la sua acribia in una non facile operazione di decifrazione (se non di decrittazione) e di lettura, a volte necessariamente congettura-le, e poi di interpretazione, di commento e di datazione dei fram-menti pessoani relativi appunto al genio e alla follia. Il curato-re non trascura di precisare i limiti impliciti in ogni tentativo di dare un assetto seriale al lascito pessoano: «La struttura del te-sto, come si presenta in questa edizione, deve essere considera-ta fortemente congetturale. Essa risulta, in parte, da indicazioni lasciate da Pessoa, quanto alla sequenza delle carte, ma consiste essenzialmente in una mia interpretazione dei rapporti tra i vari frammenti, rapporti di senso e affinità materiale del supporto».1

Escritos sobre Génio e Loucura è dunque un libro “pessoano” che, al pari del poema Faust e del Libro dell’inquietudine, non

1 Ivi, vol. II, p. 523.

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 21 07/09/12 11:25

GIULIA LANCIANIxxII

esiste come tale, ma è una delle tante, possibili costruzioni che un editore critico può elaborare riunendo una serie di frammen-ti, associati o associabili in base a certe prerogative comuni: dal-la prolungata e discontinua (o intermittente) fase redazionale alla simultaneità di una incompiutezza variamente perpetuata.1

E l’importanza che Pizarro attribuisce in genere alla datazione, e che deriva anche dalla consapevolezza che egli ha del proprio ruolo nell’allargare a campi semantici di simultaneità testi di va-ria natura, contribuisce a fare, della sua lettura, una “lettura at-tiva”, da cui si evince che Pessoa non dedicava mai un periodo di tempo determinato e ininterrotto a scrivere una data opera, ma redigeva sempre contemporaneamente dei frammenti destinati a essere accorpati in più opere, spesso di diversa natura: più o meno come chi accumula sul comodino libri su vari argomenti, sia pure tematicamente affini, da cui decide di volta in volta di leggere i passi che gli interessano in quel momento. Perché in fondo l’ope-ra di Pessoa, l’immenso libro inconcluso di chi ha volontariamen-te e sistematicamente praticato l’“incompiutezza”, è tutta inter-connessa e portata avanti, contemporaneamente, su più livelli.

Il materiale messo ora a disposizione del lettore si distribuisce, nei due volumi, in ventuno capitoli – l’ultimo costituito da una serie di Anexos [Annessi],2 e seguito dall’apparato propriamente genetico –, ciascuno contraddistinto da un’epigrafe o da un titolo, a volte attri-buiti dallo stesso Pessoa, a volte suggeriti a Pizarro dal tema attorno al quale si raccolgono determinati scritti inerenti quel dato capitolo.

L’intenzione – e la tentazione – autointerpretativa, che non di rado risulta più che evidente, impronta di sé tutto il materiale re-

1 Cfr. Manuel Gusmão, A Leitura Activa do Editor Crítico, in «Expresso, revista Actual», 23 settembre 2006, p. 11: «È un libro che condivide con il Faust e con Il libro dell’inquietudine taluni aspetti della poiesis pessoana: la lunga durata, più o meno intermittente, e simultaneamente l’esperienza di una perpetua non-finitezza, per utilizzare parte di un titolo di Francis Ponge».

2 Sussidi bibliografici, rinvii esplicitati ai riferimenti bibliografici contenuti nelle note di lettura di Pessoa, catalogo della biblioteca personale del poeta con riproduzione fotografica di pagine corredate di glosse.

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 22 07/09/12 11:25

INTROdUzIONE xxIII

lativo all’argomento specifico; ciò comporta, come è logico in qual-siasi ipotesi ricostruttiva, il pericolo di sovrapposizioni e interferen-ze tra il “proposito” autoriale e il disegno del curatore, soprattutto quando il primo non risulta sempre e interamente intuibile; in ef-fetti, come afferma António Guerreiro,1 il fatto che Pessoa abbia inteso costruire, con questi scritti sparsi e incompleti, un sistema ra-zionale per mezzo del quale confrontarsi con il problema del genio e della follia non ammette che alla loro lettura siano applicate ca-tegorie semplici o semplificanti, dalle quali comunque, non occorre precisarlo, Jerónimo Pizarro si è ben guardato dal lasciarsi sedurre.

Nella biografia pessoana che Pizarro elabora nel suo Auctor in fabula,2 viene ad esempio effettuata una minuziosa ricostituzione della vita intellettuale del grande poeta, sia delineata attraverso un accurato regesto dei libri che hanno fatto parte della sua biblioteca – oggi custodita a Lisbona, nella Casa Pessoa –, sia filologicamen-te ricostruita attraverso le numerose postille con cui Pessoa soleva commentare tutto quel che leggeva, con una accurata distinzione e una netta separazione tra le chiose marginali autenticamente pes-soane e altre glosse, di carattere soprattutto mnemonico, che invece altro non sono se non citazioni di varia natura – a volte frammen-ti poetici – appartenenti ad altri autori, e troppo spesso, in passato, scambiate per appunti originali. Nel volume citato si nota una insi-stita attenzione alle letture che Pessoa fece durante tutta la sua vita sul tema del genio e della follia, in specie nell’anno 1907 – periodo in cui divora libri e saggi di autori importanti del suo tempo, libri e autori che fondano e definiscono le categorie psichiatriche tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del secolo successivo –; pur dilatan-dosi all’intera sua esistenza l’interesse per tale problema (che tut-tavia negli ultimi anni lo vede meno aggiornato sulle innovazioni teoriche e applicative della psichiatria), la fase più intensa non ol-

1 António Guerreiro, A Grande Insónia do Génio…, intervista a Jerónimo Pizarro, in «Expresso, revista Actual», 23 settembre 2006, pp. 4-5.

2 Edição do Autor, Lisboa 2002.

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 23 07/09/12 11:25

GIULIA LANCIANIxxIV

trepassa però il 1909, ossia il momento in cui esplode la sua feb-bre eteronimica, quello appunto della costruzione degli “altri da lui” a ciascuno dei quali non solo darà un nome, una personalità, una biografia, ma anche uno stile poetico-letterario e una filosofia di vita assolutamente autonomi. Del resto, il problema dell’etero-nimia appare strettamente legato al tema della follia, e la relazione tra i due fenomeni viene esibita come necessaria dallo stesso Pes-soa allorché, nella famosa lettera a Casais Monteiro sulla genesi degli eteronimi,1 egli elabora un discorso di autoanalisi in termini che rinviano a categorie medico-psichiatriche, segnatamente quan-do si definisce come un istero-nevrastenico:

L’origine dei miei eteronimi è il profondo tratto d’isteria che esiste in me. Non so se sono semplicemente isterico o se sono, più esattamente, un istero-nevrastenico. Propendo per questa seconda ipotesi, poiché in me ci sono fenomeni di abulia che l’isteria, propriamente detta, non iscrive nel registro dei suoi sintomi. Sia come sia, l’origine mentale dei miei eteronimi è nella mia organica e costante tendenza alla spersona-lizzazione e alla simulazione. Tali fenomeni – per fortuna mia e degli altri – si sono mentalizzati in me: voglio dire, non si manifestano nel-la mia vita pratica, esteriore e di contatti con altri; esplodono dentro e io li vivo da solo con me stesso. Se fossi donna – nella donna i feno-meni isterici rompono in attacchi e cose simili –, ogni poesia di Álvaro de Campos (il più istericamente isterico in me) suonerebbe come un allarme per il vicinato. Ma sono uomo – e negli uomini l’isteria assu-me soprattutto aspetti mentali; così, tutto finisce in silenzio e poesia…

E molte delle sue autointerpretazioni e dei tratti da lui attri-buiti ai tanti personaggi del suo «drama em gente» si compren-dono meglio se inseriti nel contesto della querelle de l’hystérie (Pierre-Henri Castel) e delle dispute sorte attorno a questo tema e ad altri squilibri che alla fine dell’Ottocento sembrano dar ra-gione del delirio ma anche del furore poetico o, secondo la visione

1 La lettera, del 13 gennaio 1935, è qui riprodotta alle pp. 332 sgg. (te-sto n. 458).

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 24 07/09/12 11:25

INTROdUzIONE xxV

più cupa di Nordau, della sua degenerazione. Forse non v’è un altro autore in cui il discorso clinico, nelle sue molteplici istan-ze, appaia assolutamente fondamentale per intendere la genesi della sua complessa opera: fino a che punto Pessoa sfrutta l’idea del poeta folle per costruire le sue pessoas?1

Ma che cosa legge Pessoa? Sicuramente autori all’epoca molto in voga nel campo scientifico e psichiatrico, come il pioniere degli studi sulla criminalità, l’italiano Cesare Lombroso, e il sociologo e medico ungherese Max Simon Nordau; tuttavia, nell’insieme complessivo di riflessioni sull’argomento, note di lettura, fram-menti saggistici, etc., sviluppati in un arco di tempo che occupa quasi tutta la sua esistenza, si notano rilevanti assenze, come ad esempio i testi del padre della neurologia francese, Jean-Martin Charcot, forse non consultati direttamente, anche se è indubbio che egli conoscesse gli scritti di vari allievi dello psichiatra; ed è anche arduo stabilire ciò che realmente lesse di Freud. Pizarro riferisce che Pessoa appare molto informato sul tema del genio e della follia per quanto attiene gli anni 1907 e 1908, molto meno al termine della sua vita (1935), quando scrive la citata lettera a Casais Monteiro: sembra, insomma, che egli continuasse a uti-lizzare concetti e categorie del diciannovesimo secolo, già scoper-ti da lui nel 1907 e sui quali aveva praticato le sue riflessioni, e a definirsi un istero-nevrastenico, vale a dire a mettere a frutto un’autodefinizione che gli permetteva – essendo l’isteria consi-derata una malattia “femminile” e la nevrastenia più “maschile” – di intendere in termini di “genere” il momento basso e il mo-mento alto di tale bipolarità.

Seguendo le tesi correnti al suo tempo, Pessoa insiste sul rap-porto tra il genio e la follia e sulla anormalità del genio, e nel ten-tativo di distinguere diversi tipi di genio si discosta da Lombro-so, che invece studia tale rapporto prendendo in considerazione

1 Si veda l’interessante saggio di Jerónimo Pizarro, Fernando Pessoa: o Gé-nio e a Loucura, in «Leituras», s. 3, 14-15, aprile 2004-aprile 2005, pp. 245-54.

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 25 07/09/12 11:25

GIULIA LANCIANIxxVI

solo un tipo di nevrosi, quello epilettico: una versione ritenuta da Pessoa «semplicistica» e in pratica ignorata.

D’altra parte, il concetto di “degenerazione” che egli introduce ap-partiene più al dominio biologico che a quello psichiatrico. Il saggio che intende redigere su questo fenomeno – sotto il cui titolo verran-no più tardi catalogati parecchi suoi scritti – consiste in realtà in una serie di annotazioni, appunti, frammenti, molti dei quali embrioni di future e mai avvenute elaborazioni. Probabilmente, egli aveva in animo di realizzare un ambizioso progetto sul tema della dege-nerazione, che tuttavia non sarà mai sviluppato autonomamente, e finirà con il restare legato a quello del genio e della follia. E però, il problema della degenerazione è molto sentito da Pessoa, soprattut-to riguardo alla decadenza della civiltà occidentale, oggetto all’epo-ca di grandi dibattiti, e che è all’origine della tesi spengleriana di un declino dell’Occidente. Del resto, nella trattazione pessoana del tema, Spengler acquisisce un’importanza di molto superiore a quella di Nordau, che nel caso specifico resta in certo senso in penombra.

Il discorso pessoano si alimenta in effetti di altri discorsi1 – sto-rico, culturale, filosofico, estetico, letterario, etc. –, senza mai resta-re impigliato nelle fonti. Pessoa stabilisce in tal modo un dialogo con alcune questioni fondamentali della modernità, a cominciare dall’elemento dionisiaco-distruttivo, evocatogli dalla lettura di Nietzsche, fino al nichilismo, tentando di costruire una teoria del genio, analizzato appunto nel suo rapporto con la follia: e qui, l’ope-ra dello psichiatra italiano è per lui punto di riferimento inevitabi-le per capire come il problema della genialità si intrecci sempre con quello della soggettività. Ne deriva un ribadire con ostinata perse-veranza l’idea che il genio appartiene alla sfera della anormalità:

Il genio ha origine dalla presenza (dovuta all’ereditarietà) di quali-tà superiori unitamente alla presenza (anch’essa ereditaria) di una de-viazione mentale, una nevrosi, oppure una psicosi. Risulta dalla con-

1 Cfr. António Guerreiro, … E a Terrível Clareza da Loucura, in «Expres-so, revista Actual», 23 settembre 2006, p. 8.

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 26 07/09/12 11:25

INTROdUzIONE xxVII

vergenza, dall’incontro in un individuo di un’eredità morbosa con un’eredità di qualità superiori.1

Una anormalità sociale, dunque, per disadattamento, e una anormalità psichica, scaturita dal ciclo bipolare dell’esaltazione e della depressione. L’interpretazione della genialità come pato-logia, come malattia, giustifica, si potrebbe dire, l’introduzione di un altro tema, quello della degenerazione pensata da Pessoa nella sua correlazione con l’espressione artistica:

Tutta la produzione artistica superiore è, per sua natura, un prodot-to della decadenza e della degenerazione. In primo luogo è originale, e l’originalità, biologicamente considerata, non è altro che un distan-ziamento dal tipo normale, un puro e semplice scarto […].

Ma la produzione artistica ha altri due aspetti, per i quali si affer-ma come prodotto morboso.

Se è vero che ogni genio è un degenerato (né superiore né inferiore, poiché esistono degenerati di un’unica specie, malgrado l’assurda scap-patoia degli psichiatri modern style), altrettanto vero e chiaro è che nei geni dell’intelligenza – più che in altri – la degenerazione assume il massimo rilievo. Un capo politico, o un grande generale, sono, in quanto geni, dei degenerati, perché sono scarti, deviazioni dal tipo normale, e originali nelle loro azioni e nella loro individualità. Ma sono normali perché sono uomini d’azione, nel senso che vivono den-tro la vita, e ciò sarebbe impossibile senza un certo adattamento […].

Lo stesso non accade nella sfera dell’intelligenza e dell’emozione intellettualizzata – in quella della filosofia e in quella dell’arte, vo-glio dire. All’originalità dell’artista si somma il disadattamento del pensatore; costui è un disadattato alle normali forme della vita e, per questo, non agisce nel senso della normale attività (poiché è origina-le), né agisce comunemente (poiché, invece di realizzare un’azione or-dinaria comune, orienta la sua vita soprattutto verso la sensazione e l’intelligenza, e non verso l’azione e la volontà, come la maggior par-te degli uomini).2

1 Testo n. 151, qui a p. 88.2 Testo n. 129, qui alle pp. 76-7.

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 27 07/09/12 11:25

GIULIA LANCIANIxxVIII

Egli arriva a istituire, come si è accennato, diverse tipologie di genio, ma ciò che essenzialmente gli preme è il genio artistico, sebbene non si limiti a un uso specificamente estetico della no-zione di genio quale era stato consacrato nel Settecento, allorché nasce l’Estetica come disciplina autonoma. Ed è nel diciassette-simo secolo che sorge la figura paradigmatica del genio moder-no, incorporata in Shakespeare, al quale Pessoa dedica una spe-ciale attenzione; si veda, per esempio:

Shakespeare un Poeta, e così grande da produrre un drammatur-go; non un drammaturgo anche poeta, come, da una parte, Molière, Corneille e perfino Racine; e, dall’altra, Bataille e Ibsen.1

E ancora:

l’equilibrio dell’espressione di Shakespeare, la sua grande salute e l’obiettività del suo sguardo risultano incompatibili con l’irritabilità, l’introspezione nate dalla sofferenza o dal malessere di una infermità cronica o frequente. La sofferenza fisica e il malessere squilibrano la costituzione generale della mente, e lo fanno più della sofferenza men-tale, eccetto che nei momenti critici – che non possono durare a lungo in nessun individuo, anche se possono ripetersi –, quando la sofferenza mentale corrisponde all’angustia o alla disperazione. di conseguenza, Shakespeare dovette essere sano come può esserlo un istero-nevrastenico.2

Una prospettiva, questa, che, dopo lo studio condotto negli anni giovanili sul problema della sanità mentale delle persone di genio, lo porterà ad assumere, secondo criteri estetici, la condizione di genio o di folle, a partire proprio da quegli studi, da quelle letture da appassionato autodidatta di libri specializzati sull’argomento.

Quando torna definitivamente in Portogallo nel 1905,3 per pro-

1 Testo n. 389, qui a p. 247.2 Testo n. 392, qui alle pp. 250-1.3 Come è noto, Pessoa si era trasferito all’età di sette anni in Sudafrica per

raggiungere la madre, rimasta vedova e andata in sposa per procura al con-sole portoghese di durban. Al suo ritorno a Lisbona, vivrà i primi tempi in casa della nonna paterna, dionísia, assistendo alle sue crisi di follia, che mol-to incideranno sul suo già fragile equilibrio psichico.

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 28 07/09/12 11:25

INTROdUzIONE xxIx

seguire gli studi superiori, Pessoa vi arriva con il bagaglio menta-le e linguistico di uno straniero, autodefinendosi «un portoghese all’inglese», ma afferma anche (Il libro dell’inquietudine) che la sua patria è la lingua portoghese. In realtà, a suo parere, «un vero uomo non può essere, con piacere e con profitto, null’altro che bilingue», e da bilingue si comporta anche nella scrittura. L’an-no seguente si iscrive alla Facoltà di Lettere di Lisbona, ma ap-profittando di uno sciopero degli studenti per motivi politici – il Portogallo è attraversato da forti tensioni, che porteranno pochi anni più tardi alla proclamazione della repubblica – abbandona l’università e da autodidatta legge i filosofi greci e latini, legge i filosofi tedeschi, Schopenhauer e Nietzsche in specie, legge i sim-bolisti francesi, ma anche testi di psicologia e di psichiatria. Sono libri che trova alla Biblioteca Nazionale di Lisbona, e attraver-so la lettura dei quali cerca di soddisfare la sua avida sete di sa-pere: «Ho deciso di leggere, da oggi in poi, almeno due libri al giorno – uno di poesia, o belles lettres, l’altro di scienza o filoso-fia». Sono notizie che apprendiamo da un diario che egli tenne nel 1906, e grazie al quale sappiamo che, alla bulimia di letture, si accompagnava simultaneamente la stesura di un racconto po-liziesco, The door, con lunghe digressioni sulla follia. Il diario riporta in quasi tutte le pagine il timbro «C.R. Anon», un perso-naggio inventato quando egli era ancora in Africa.1

Oltre a questo diario, ne esiste un altro, sempre del 1906, re-gistrato in un quaderno conservato nello spoglio pessoano della Biblioteca Nazionale e che riporta con maggior dovizia di parti-colari la lista delle letture che Pessoa fece in quell’anno. Infine, un ultimo diario, del luglio del 1907, ci permette di sapere che il poeta consultò, tra i tanti altri, il Traité des maladies menta-les di Dagonet, The Nervous System and the Mind di Mercier,

1 della tendenza a creare, fin da bambino, un mondo fittizio intorno a sé e a circondarsi di amici inesistenti Pessoa parla nella citata lettera a Casais Monteiro (qui alle pp. 335-6).

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 29 07/09/12 11:25

GIULIA LANCIANIxxx

La Famille névropathique di Féré, L’uomo di genio di Lombro-so in traduzione francese, nonché Madame Bovary di Flaubert e Keats di Colvin. Nelle ultime pagine del quaderno, risulta più che evidente il suo interesse anche per la teoria dell’evoluzione, per la criminologia, per le varie malattie mentali, in definitiva per il discorso clinico dell’epoca nei suoi differenti aspetti, inte-resse del resto confermato dai volumi della sua biblioteca perso-nale.1 Letture che, pur senza il sostegno di notizie documentate o documentabili, possiamo immaginare protratte almeno fino al 1912, allorché Pessoa sembra aver in parte abbandonato la con-sultazione compulsiva di testi in un modo o nell’altro correlati alla sanità mentale.

Ciò che stupisce è che non abbia lasciato scritto quasi nulla sul-la sua formazione in «scienza o filosofia» (così la definisce nel diario); parimenti curioso è il fatto che non ne siano stati dovu-tamente analizzati i legami con l’altro versante della sua forma-zione, quello in «belles lettres», poiché è proprio e soprattutto nel contesto dei discorsi sul genio e la follia, dove egli cerca di compiere il balzo dalla medicina all’arte, che si è in genere tenu-to inopportunamente separato l’aspetto letterario da quello scien-tifico: «Non solo per capire i primi eteronimi (A. Search, C.R. Anon, J. Seul, etc.), ma anche per intendere la spiegazione che Pessoa dà del suo caso, a partire da una prospettiva psichiatrica, così come la caratterizzazione di altri eteronimi (soprattutto Ál-varo de Campos e António Mora), è necessario abbandonare il puramente letterario e captare le associazioni di idee […] che gli permisero di vincolare la disputa sull’isteria alla creazione lette-raria, segnatamente quella di tipo drammatico».2 In effetti, è pro-prio in quel suo profondo tratto d’isteria che va ricercata la radice della sua straordinaria invenzione: «perché Anon non si descri-

1 Queste notizie, così come quelle che seguono, in Pizarro, Fernando Pes-soa: o Génio e a Loucura, cit., pp. 247-8.

2 Ivi, p. 248.

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 30 07/09/12 11:25

INTROdUzIONE xxxI

verebbe come un “megalomaniaco, con tocchi di dipsomania, de-generato superiore, poeta, genio, alienato”, né Álvaro de Campos insisterebbe tanto sulla sua fragilità di nervi, né si rinverrebbe-ro nel Libro dell’inquietudine tante reminiscenze decadentiste se non vi fosse alle spalle quest’altra formazione extraletteraria, e anche l’epoca, con le sue limitazioni o credenze, che così come un limite può essere un punto di partenza».1

Si veda quanto scrive Pessoa:

Quel che a noi interessa sono i rapporti tra la psichiatria e la lettera-tura. In genere sono stati, come si è detto, poco felici. Ne individuiamo due tipi: il primo, la tesi psichiatrica della follia, o della nevrosi, del genio. In questa direzione, il libro migliore è quello di Nisbet [The Insanity of Genius, di cui Pessoa possedeva la terza edizione, del 1893], il più noto quello di Lombroso [L’Homme de génie, tradotto dall’italiano nel 1889, e definito da Pessoa «celebre e scritto malissimo»]. E non poteva essere altrimenti. In ogni tempo, i ciarlatani hanno sempre riscosso più rapida-mente l’attenzione e l’interesse delle turbe. I loro metodi – di ostenta-zione e sfrontatezza teorica – garantiscono loro la tristezza di tale fama.

Quanto alla genesi della teoria cui mi riferivo, la sua storia si può trovare nel capitolo introduttivo di qualsiasi lavoro sull’argomento in questione. Come intuizione, l’ipotesi che genio e anormalità mentale siano parenti o vicini è più antica della scienza, e nella sua forma co-siddetta “scientifica” è già espressa con chiaroveggenza in una frase di Moreau (de Tours). «Il genio» egli ha detto «è una nevrosi.» Su di essa si erige la sovrastruttura della moderna ricerca sull’argomento. Ho già detto che il miglior libro è quello di Nisbet, e il più noto quel-lo di Lombroso. Non serve aggiungere altro; ciò è più che sufficien-te per procedere nell’analisi. Andremo direttamente ai fatti. Rivedre-mo le loro analisi alla luce del nostro raziocinio e cercheremo così di capirne, forse, qualcosa di più che alla fredda luce degli psichiatri.2

Pessoa ritiene dunque che le letture scientifiche o pseudoscien-tifiche da lui stesso compiute siano di autori considerati molto

1 Ibidem.2 Testo n. 405, qui alle pp. 273-4.

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 31 07/09/12 11:25

GIULIA LANCIANIxxxII

spesso dei ciarlatani e degli ignoranti, soprattutto quando preten-dono di esprimere, alla sola luce delle loro conoscenze “psichiatri-che”, giudizi su questioni letterarie:

Gli psichiatri tendono a credere di essere psicologi.Gli psichiatri vedono nelle strane frasi dei poeti una somiglianza

con quelle dei pazzi. Ma questo succede perché essi hanno a che fare solo con i pazzi. […] Conoscono un solo argomento, e perciò vedono le cose soltanto in rapporto a tale argomento.

[…]

Quel che mi indigna non è che questi meschinelli abbiano certe opinioni, ma che godano, nel nostro ambiente di idioti, di un presti-gio tale da conferire importanza a tali opinioni. […]

E se facessimo noi uno studio psichiatrico degli psichiatri? […]I nostri psichiatri hanno studiato psichiatria. Hanno pertanto la

competenza per esprimersi su questioni psichiatriche. Se avessero stu-diato biologia, avrebbero la competenza per esprimersi su questioni biologiche. Per esprimere un’opinione sulla letteratura, sembrerebbe dunque necessario che avessero studiato non psichiatria – che solo li abilita a opinare sulla psichiatria – ma letteratura. Hanno forse stu-diato letteratura?

Si veda la frase dell’anonimo neurologo che ha prodotto quel capo-lavoro del “Caso Guisado”: «assenza di punteggiatura». Questa be-stia ignora Mallarmé. Questa bestia? Perché questa bestia?

diciamo che oggi ignorare Mallarmé equivale a una grave mancan-za di cultura. Ma io non me la prendo con uno psichiatra che igno-ra Mallarmé. Mallarmé non è un trattatista della sua disciplina. Me la prendo con uno psichiatra che parla di letteratura senza avere al-cuna cultura letteraria.1

In effetti, dal 1912 – quando esordisce come critico e annun-cia la venuta di un “Super-Camões”2 – e fino all’anno della sua

1 Testo n. 407, qui alle pp. 275-6.2 Un nuovo Camões, lui stesso, che sopravanzerà il grande poeta naziona-

le autore di Os Lusíadas [I Lusiadi]. Pessoa si sente investito di una missione superiore, quella di riportare il Portogallo agli antichi splendori, anzi di far-

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 32 07/09/12 11:25

INTROdUzIONE xxxIII

morte, Pessoa va sempre più distinguendo la critica psichiatrica dalla critica estetica e abbozzando anche, con maggiore chiarezza, quella che definisce «la spiegazione centrale dell’artista».1 Nella lettera a Gaspar Simões dell’11 dicembre del 19312 – che a mio avviso potrebbe essere considerata una sorta di sintesi delle sue posizioni posteriori al 1912, ossia un tentativo di distanziamen-to dalle attenzioni ossessive agli studi psichiatrici – egli muove al critico alcuni rilievi di carattere metodologico a proposito del suo libro Mistério da Poesia [Mistero della poesia] (dopo aver-gli tuttavia manifestato la propria ammirazione), con una aperta e ironica accusa al sistema freudiano, di cui Simões sembra esser-si ampiamente servito: «Tra i mentori che l’hanno spinta nel la-birinto in cui è entrata, mi sembra di poter segnalare Freud, in-tendendo per Freud lui e i suoi seguaci». E prosegue:

Il successo europeo ed extraeuropeo di Freud deriva, a mio avviso, in parte dall’originalità del criterio, in parte da quel che esso ha del-la forza e della limitatezza della follia […]; ma tale successo gli viene principalmente dal fatto che il criterio si basa – salvo le deviazioni di alcuni seguaci – su un’interpretazione sessuale. Ciò permette che si possano scrivere, come opere di scienza (e a volte, in effetti, lo sono), libri assolutamente osceni, e si possano “interpretare” (in genere, sen-

ne il creatore di un impero, il quinto, una sorta di sintesi dei quattro prece-denti (greco, romano, cristiano, inglese), un impero non di dominio ma di cultura, dunque un impero universale e che come tale includerà quel che da essi è rimasto escluso. Messaggio, dato alle stampe l’anno precedente la sua morte, e pertanto una sorta di testamento poetico, è un messaggio ai por-toghesi, nel quale il repertorio di miti nazionali si fonde e si confonde con il suo mito personale, il mito di un poeta che annullandosi ha voluto essere tutto («O mito é o nada que é tudo» [«Il mito è il nulla che è tutto»], Ulis-ses, v. 1), il mito di un poeta che ha alimentato l’infinita ambizione di essere da solo «tutta una letteratura».

1 Si veda il volume di Jerónimo Pizarro, Fernando Pessoa: entre Génio e Loucura, Imprensa Nacional-Casa da Moeda, Lisboa 2007, studio fondamen-tale sull’argomento e al quale è indispensabile fare riferimento per cercare di intendere, meno superficialmente, le ragioni di fondo dell’interesse pes-soano per la critica psichiatrica.

2 Qui riprodotta alle pp. 281 sgg. (testo n. 413).

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 33 07/09/12 11:25

GIULIA LANCIANIxxxIV

za alcuna motivazione critica) artisti e scrittori passati e presenti in senso degradante e da tavolini della Brasileira do Chiado […].

Non ho letto molto di Freud, né sul sistema freudiano e suoi deri-vati; ma quel che ho letto mi è servito egregiamente – lo confesso – per affilare il coltello psicologico e perfino per sostituire le lenti del microscopio critico. Non ho avuto bisogno di Freud […] per rico-noscere […], attraverso il solo stile letterario, il pederasta e l’onani-sta […]. […] non avevo mai pensato […] che il consumo di tabacco (e dell’alcol, aggiungo io) fosse una traslazione dell’onanismo. dopo quel che ho letto in questo senso in un breve studio di uno psicoana-lista, ho immediatamente verificato che, dei cinque perfetti esempla-ri di onanista che ho conosciuto, quattro non fumavano né beveva-no, e quello che fumava aborriva il vino.

L’argomento mi ha costretto a scadere nel sessuale, ma solo per […] dire quanto io – benché criticandoli e divergendone – riconosca il po-tere ipnotico dei freudismi su ogni creatura intelligente, in specie se la sua intelligenza ha una componente critica. […] questo sistema e i si-stemi analoghi o derivati dovrebbero essere usati da noi come stimoli dell’acutezza critica e non come dogmi scientifici o leggi della natura.

Conclude elencando tre punti su cui deve concentrarsi la fun-zione del critico:

(1) studiare l’artista esclusivamente come artista, e dell’uomo non tener conto nello studio più di quanto sia rigorosamente necessa-rio a spiegare l’artista; (2) cercare quella che potremmo chiamare la spiegazione centrale dell’artista (tipo lirico, tipo drammatico, tipo liri-co-elegiaco, tipo drammatico-poetico, etc.); (3) considerando la fon-damentale inesplicabilità dell’animo umano, ammantare questi studi e queste ricerche di una lieve aura poetica di incomprensione. […]

Credo che nulla di tutto questo necessiti di chiarimenti, salvo for-se quel che ho indicato al punto (2). Preferisco, anche per essere bre-ve, spiegarlo con un esempio. Scelgo me stesso, perché è chi mi sta più vicino. Il punto centrale della mia personalità di artista è che sono un poeta drammatico: ho incessantemente, in tutto quel che scrivo, l’inti-ma esaltazione del poeta e la spersonalizzazione del drammaturgo. Altro volo, ecco tutto. dal punto di vista umano – che al critico non compete

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 34 07/09/12 11:25

INTROdUzIONE xxxV

affrontare, perché non gli serve a nulla – sono un istero-nevrastenico, con predominanza dell’elemento isterico nell’emozione e dell’elemen-to nevrastenico nell’intelligenza e nella volontà (minuziosa l’una, tiepi-da l’altra). Una volta che il critico si è convinto che sono essenzialmen-te un poeta drammatico, egli ha la chiave della mia personalità per quel che può interessare a lui o a qualsiasi altro che non sia uno psichiatra, vale a dire ciò che il critico non deve essere. Munito di questa chiave, egli può lentamente aprire tutte le serrature della mia espressione. Sa che come poeta sento; che come poeta drammatico sento staccandomi da me; che come drammatico (senza poeta) automaticamente trasfor-mo ciò che sento in espressione aliena da ciò che ho sentito, costruendo così nell’emozione una persona inesistente che davvero senta ciò che io ho sentito e che perciò possa, come per derivazione, sentire emozioni che io, propriamente io, ho dimenticato di sentire.

In realtà, per quanti sforzi Pessoa faccia per svincolarsi dalla psichiatria, non riuscirà mai a eliminare del tutto il “fascino” che questa esercita su di lui, anche perché gli deve essere parsa, pur se inconsciamente, non solo ineludibile per analizzare se stesso, ma ineliminabile dal processo critico e creativo.

Egli continuerà a insistere sul carattere patologico della produ-zione artistica superiore, che è sempre per sua natura «un prodot-to della decadenza e della degenerazione», e l’ispirazione poetica «un delirio equilibrato».1

Tutta la sua opera contraddice, insomma, il disinteresse (apparen-te) per la critica psichiatrica, a partire, ad esempio, dai vari artico-li sulla poesia portoghese apparsi in «A Águia» e dalla “questione Shakespeare-Bacone” – in cui Pessoa inserisce il drammaturgo in-glese tra gli psiconevrotici, associandolo a una delle forme dell’al-to isterismo, cioè dell’istero-nevrastenia, e rispecchiandosi pertan-to in Shakespeare e nella sua arte drammatica –,2 sino ai romanzi

1 Rispettivamente testi nn. 129 (qui a p. 76) e 146 (qui a p. 86).2 «Come aveva fatto per sé e per altri membri della generazione di “Or-

pheu”, Pessoa cercò di “incasellare” tra gli psiconevrotici il drammaturgo inglese, argomentando in favore dell’associazione della poesia drammatica

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 35 07/09/12 11:25

GIULIA LANCIANIxxxVI

polizieschi,1 e infine alla incomparabile invenzione del suo uni-verso poetico. E chi è Álvaro de Campos, il doppio più amato e temuto da Pessoa, l’eteronimo più incombente, paradossalmente il poeta che egli avrebbe voluto essere?

Um internado num manicómio é, ao menos, alguém,Eu sou um internado num manicómio sem manicómio.Estou doido a frio,Estou lúcido e louco,Estou alheio a tudo e igual a todos:Estou dormindo desperto com sonhos que são loucuraPorque não são sonhos. Estou assim…2

Un internato in un manicomio è, almeno, qualcuno, / io sono un in-ternato in un manicomio senza manicomio. / Sono pazzo a freddo, / sono lucido e folle, / sono alieno da tutto e uguale a tutti: / sto dormendo sveglio con sogni che sono folli / perché non sono sogni. / Sono così…

Giulia Lanciani

all’“alto isterismo”, e segnatamente a una delle sue forme: l’istero-nevraste-nia. Non stava parlando di se stesso, ma si rivedeva in Shakespeare e nella sua arte drammatica, e non è per caso che definì quest’ultimo come istero-nevrastenico, sostenendo ancora una volta la relazione tra genio e nevrosi» (Pizarro, Fernando Pessoa: entre Génio e Loucura, cit., p. 193).

1 Si pensi alla figura di Marcos Alves – avido lettore dei sonetti di Antero de Quental e che si ucciderà come lui con un colpo di pistola in bocca –, in cui Pessoa si identifica pienamente, in quanto portatore dal lato paterno di un’eredità morbosa, l’alienazione mentale, un’ossessione alla quale egli cer-cherà, invano, di sottrarsi per l’intera sua vita. «Le affinità di Marcos Alves con Pessoa sono flagranti: “[…] uno zio è morto tubercoloso, la nonna pater-na soffre di alienazione mentale, e nella progenie del bisnonno questa signora era l’unica dei figli a essere sopravvissuta”. Se sostituiamo “zio” con “padre”, capiremo che Pessoa non fa altro che romanzare la sua stessa situazione. L’in-dicazione “dal lato materno non sembra esserci stato niente di anormale” si applica anch’essa a Pessoa» (Teresa Rita Lopes, Pessoa por conhecer. Textos para um Novo Mapa, Estampa, Lisboa 1990, vol. I, p. 39).

2 Si tratta della terza strofa della poesia Esta Velha Angústia [Questa vec-chia angoscia], in Poemas de Álvaro de Campos, a cura di Cleonice Berardi-nelli, Imprensa Nacional-Casa da Moeda, Lisboa 1992.

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 36 07/09/12 11:25

Questo volume si basa sull’edizione critica portoghese Escritos sobre Génio e Loucura, a cura di Jerónimo Pizarro, Imprensa Nacional-Ca-sa da Moeda, Lisboa 2006, 2 tomi (Edição Crítica de Fernando Pessoa, Série Maior, vol. VII), che è stata la prima a raccogliere i testi sparsi di Pessoa sul tema del genio e della follia, scritti in lingua portoghe-se, inglese e, in pochi casi, francese. Di questa edizione si propone qui una scelta che abbraccia circa la metà dei 656 testi raccolti da Pi-zarro, mantenendone tuttavia la numerazione.

La scelta dei testi, compiuta in accordo con Jerónimo Pizarro, è stata essenzialmente ispirata al criterio di rendere il libro più facil-mente fruibile per il lettore italiano, operando gli opportuni tagli sui frammenti concettualmente ripetitivi o di scarso rilievo contestuale.

Ci si è attenuti all’edizione portoghese per quanto riguarda le so-luzioni grafiche, soprattutto in rapporto alla riproduzione di sche-mi ed elenchi.

Per non appesantire la lettura di testi già di per sé assai complessi, si è operata una selezione dei segni diacritici: sono stati riprodotti (sol-tanto nei casi in cui sia stato ritenuto necessario) † e □, il primo a indi-care un segmento testuale illeggibile, il secondo a indicare una lacuna.

Rispetto all’originale, la traduzione presenta a volte lievi adatta-menti alle esigenze del lettore italiano (ad esempio in presenza di la-cune o di espressioni lasciate in sospeso dall’autore).

Le grafie dei nomi di persona e dei titoli di opere portoghesi sono date sempre nella forma attuale, indipendentemente dall’uso di Pessoa.

Per questa edizione, la curatrice ha provveduto a corredare il te-sto di una serie di note introduttive ai vari capitoli ed esplicative, in parte riprese dall’edizione originale, in buona parte nuove e pensate per fornire al lettore italiano indispensabili chiarimenti.

Nota aLL’eDIzIoNe ItaLIaNa

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 37 10/09/12 10:10

xxxVIII NOTA ALL’EdIzIONE ITALIANA

La curatrice è intervenuta sui testi introduttivi di Pizarro ai capi-toli dell’edizione portoghese, ampliandoli o riducendoli nell’inten-to da un lato di offrire al lettore il maggior numero di informazioni necessarie a illustrare l’argomento del capitolo stesso, e dall’altro di espungere quelle notizie che, superflue in ambito culturale italiano, potevano renderne meno agevole la lettura.

Le note esplicative sono di natura informativa – su autori porto-ghesi poco noti tra noi, ma anche su passi di non immediata percet-tibilità –; di natura biobibliografica – su personaggi, autori e opere di non universale notorietà –; e di sussidio all’interpretazione di cita-zioni poetiche in lingua straniera, delle quali viene fornita una tradu-zione espressamente predisposta dalla curatrice per questo volume.

G.L.

00 Prime e Introduzione_LTC.indd 38 07/09/12 11:25

Il lIbro del GeNIo e della FollIa

01 Genio e follia_LTC.indd 1 07/09/12 11:26

01 Genio e follia_LTC.indd 2 07/09/12 11:26

Genio, follia e degenerazione

01 Genio e follia_LTC.indd 3 07/09/12 11:26

01 Genio e follia_LTC.indd 4 07/09/12 11:26

La questione del “genio” fu per Fernando Pessoa una vera e pro-pria ossessione che lo accompagnò per tutta la vita. Tra le sue carte, molti i progetti di lavori su vari aspetti del genio – sulla sua natura, sul carattere degli uomini di genio, sul suo rappor-to con la follia, etc. –, che però spesso non andarono al di là del-la fase embrionale. Si troveranno pertanto riferimenti al genio in tutto il volume, e non solo in questo capitolo, dove sono sta-ti riuniti dal curatore portoghese i testi che abbordano il proble-ma in un modo più o meno esplicito e che non fanno parte di al-tri progetti pubblicati.

12 [13A-74r; ms. ingl. a lapis]

Quanti di noi che studiamo psicologia abbiamo realmente un’idea di quel che è la psicologia? o meglio, quanti di quelli che scrivono di psicologia hanno una reale percezione dell’og-getto del loro discorso? Se si pensa che pochi, davvero pochi, hanno una nozione chiara della realtà delle epoche storiche pas-sate, sono molto tentato di ritenere che tale facoltà percettiva sia un attributo del talento o addirittura del genio; se si pensa questo, non ci si può sorprendere □

13 [13A-62r; ms. ingl.]

Era un tipo di infermità, un’ansia perpetua di qualcosa che sentivo inattingibile, un anelito di qualcosa così vago, così in-definitamente bello, che la terra non poteva contenerlo. Gli af-fetti, gli amori, i rapporti sessuali – tutto mi sembrava freddo,

DEL GENIO

01 Genio e follia_LTC.indd 5 07/09/12 11:26

GENIO, fOLLIA E DEGENErAzIONE6

estremamente freddo. Il genio è un’infermità, una gloriosa ma anche grande infermità.

14 [138A-79r; ms. ingl.]

L’artista può allontanarsi dagli uomini; l’uomo di genio, no. Non deve farlo. Il fine primo dell’artista è creare bellezza, quello del genio è contribuire al bene, creare una barriera contro il male.

Esistono tre forme di malvagità: l’ignoranza, la rozzezza, la malevolenza.

Contro la prima, la scienza pone la verità,contro la seconda, l’arte pone la bellezza,contro l’ultima, la religione pone il bene, ma tutte e tre, quan-

do tendono alla verità, alla bellezza, al bene, tendono anche al progresso e alla elevazione.

15 [134-5 a 7; ms. ingl.]

Il genio

Un uomo grande, superiore – un surhomme – è uno nel quale sono presenti in sommo grado: riflessione, Coscienza e Sforzo, i tre stati di maggiore autocoscienza, quasi esclusivamente umani. Sono presenti in forme graduate, nel senso che l’uomo superiore pensa con maggiore precisione, sente più profondamente, deside-ra in modo più immediato. Non è freddo né severo, al contrario, è un pensatore, senza essere meramente un pensatore; sentimenta-le, senza essere meramente sentimentale; è uomo d’azione, senza tuttavia somigliare a una macchina. Non è un degenerato come Napoleone, uomo di riflessione (in certo senso) e volontà, ma del tutto privo di senso morale, poiché era un criminale (un epiletti-co) e avrebbe dovuto essere internato. Napoleone costituiva un pericolo per la società. Non era un degenerato come il profon-damente sentimentale, sebbene asessuato, G. Cristo, che era in-capace di una sana riflessione e che, come tutti i mistici e la mag-

01 Genio e follia_LTC.indd 6 07/09/12 11:26

GENIO, fOLLIA E DEGENErAzIONE 7

gior parte dei metafisici, pensava in modo insano e oscuro. No, l’uomo superiore è molto più di questo: non è un asessuato come Cristo, ma non è neppure sessualmente irritabile o sovreccitabile.

La forza del superuomo risiede nel suo potere di controllare istinti e impulsi disordinati. La sua coscienza sa che sono cat-tivi, la sua riflessione li esamina cercando il modo migliore di curarli, e la sua volontà li domina.

[…]È fervido ed entusiasta (poiché è sano), non cede alla rab-

bia, alla collera, al vizio. Non soggiace a opinioni né le attacca, crea opinioni. Il suo principale desiderio è comprendere. Ma non desidera comprendere la creazione o l’eternità, né inten-dere l’infinito sub specie aeternitatis et necessitatis.

È immaginativo. È altamente creativo, profondamente ori-ginale. Ciò che vede o legge non provoca nella sua mente una banale e meccanica associazione di idee. Vi riflette, lo critica e, grazie ai fantastici e meravigliosi collegamenti che stabilisce, arriva a nuovi pensieri, nuove idee, nuove realtà.

È compassionevole, appassionato nel suo amore per l’uma-nità. Procede così non in base a teorie sulla bontà o cattiveria dell’uomo, ma in base allo studio delle condizioni esistenti – uno studio accurato, senza pregiudizi, sano.

Vive animato del suo amore per l’umanità. E questo amo-re, lungi dall’essere follia (nel senso in cui io l’intendo), lungi dall’essere un istinto o un impulso, […] è la forma più elevata dell’attività del senso morale.

Si diletta con le cose pure. Non dice, come Proudhon: «il vero amore non ha orgoglio». Se lo dicesse, sarebbe folle.

La purezza, la carità sono i sogni del triste regno degli onani-sti, degli impotenti, dei folli e dei pessimisti degenerati.

Coniuga l’amicizia calorosa con il suo amore per l’umanità, al contrario di tutti gli amanti dell’umanità, che sono dei misan-tropi. Questo amore per l’uomo deriva dall’anarchismo e l’anar-chismo è uno stigma mentale della degenerazione.

01 Genio e follia_LTC.indd 7 07/09/12 11:26

GENIO, fOLLIA E DEGENErAzIONE8

16 [134-8; ms. ingl.]

Tesi: sulla natura del genio.

Il genio è una trasformazione, una forma della psicopatia del dubbio.1

Quali sono le caratteristiche generali degli uomini di genio?Pensiero profondo: una forma della psicopatia del dubbio.

In che cosa si differenzia la psicopatia del dubbio dal genio? (Nella qualità del cervello.)

Il misticismo è la confusione dei cervelli superiori, mentre l’imbecillità è la confusione dei cervelli ordinari, e l’idiotismo la confusione dei cervelli inferiori.

L’eterno interrogarsi sulle cause e ragioni delle cose caratte-rizza gli uomini di genio.

Tipi di genio: poeta, filosofo, scienziato, □

Che cosa costituisce il pensiero poetico? L’amore della bel-lezza.

C’è una base patologica del ritmo e della rima (entrambi sono musicali). La musica stessa è psicopatica nella sua origine.

Filosofi: la base psicopatica della metafisica.Artisti: □

I poeti, anche i più primitivi, devono aver posseduto una ipereccitabilità del sistema nervoso. Ora, un cervello iperecci-tabile è un cervello anormale.

(fisiologia dell’ispirazione)

Metafisici colpiti dalla mania del dubbio.

1 Cfr. il titolo Mania of Doubt di una poesia del 19 giugno 1907, attribuita all’eteronimo Alexander Search, e forse influenzata dalla lettura, in quello stesso anno, di un articolo sulla Folie du doute nel Dictionnaire encyclopédique des sciences médicales, diretto da Amédée Dechambre, G. Masson-P. Asselin, Paris 1879, 4a serie, vol. III, pp. 339-48.

01 Genio e follia_LTC.indd 8 07/09/12 11:26

GENIO, fOLLIA E DEGENErAzIONE 9

Quali sono le infermità mentali che si riscontrano in ciascuno?Pittori. Scultori. Architetti. Gli artisti meno nervosi.Musicisti. I più nervosi; o, almeno, molto nervosi.Poeti. Se sono meno nervosi, è perché l’intelletto coesiste

con l’immaginazione.

1. Che cosa s’intende per genio? Genio creativo. Talento scientifico; entro la normalità.2. Pertanto: quanti tipi di genio esistono? Geni del pensiero: (filosofi; pensatori; □) Geni del sentimento: (poeti; □) Geni della volontà: (Cristo? Napoleone □)

18 [134-4r; ms. ingl.]

L’uomo sano avverte la necessità di attribuire alle cose un si-gnificato. Il pensatore infermo cerca di tanto in tanto di ren-dere il significato di una cosa vago, “profondo”.

20 [134-13 e 14r; ms. ingl.]

La relazione tra il genio e la mania del dubbio.

La mania del dubbio è, certamente, una «intensità allucinatoria della percezione» (Alexander Search)1 (mentre del ragionamen-to si può affermare che è realmente una percezione superiore).

Quando Lord Byron dice: «ho pensato, etc.». Quando Keats parla di «nobili o profondi sentimenti». Quando i poeti, a pro-posito di poeti, parlano di riflessioni, che vogliono dire?

1 Autocitazione: Alexander Search è uno dei numerosi eteronimi di Pessoa, inventato già a Durban, cui vengono attribuiti versi e racconti in inglese. Ma forse, più che di eteronimo, si potrebbe parlare di pseudonimo, poiché mol-ti elementi anagrafici (dal luogo e dalla data di nascita – Lisbona, 13 giugno 1888 – al domicilio, sempre a Lisbona, in rua da Bela Vista 17, I) coincido-no con quelli del poeta.

01 Genio e follia_LTC.indd 9 07/09/12 11:26

GENIO, fOLLIA E DEGENErAzIONE10

È ovvio che non vogliono dire ragionamenti. Ciò è evidente fin dall’inizio. Vogliono dire che questi poeti o riflettono su cose alle quali la mente normale non pensa, o riflettono su cose alle quali gli uomini comuni pensano, ma lo fanno in modo più profondo; op-pure possono fare le due cose contemporaneamente. In un caso, v’è estensione (quantità), nell’altro profondità (qualità) di riflessione.

Considerazioni sulla natura interna di questa riflessione po-tranno essere rinviate, non così quelle sui suoi mezzi esterni. Qual è allora il suo significato? Che un uomo di genio pensa di più o più profondamente di un uomo comune? O soltanto che un uomo di genio pensa □ e con maggiore insistenza alle cose cui gli uomini comuni pensano?

Di tutte le cose che non tendono a preservare la vita si dice che sono insane e anormali, perché è innaturale in una facoltà la sua incapacità di adeguarsi alla lotta per la vita.

Pertanto, come si potrà vedere, tutte le facoltà impersonali sono innaturali (eccetto quando agiscono per il bene della razza uma-na e creano, ad esempio, scienza). (Il bene della razza si deve ot-tenere mediante il sacrificio personale. Ora, se normale è il bene sociale, il sacrificio personale è anormale. Dunque, il normale si deve ottenere mediante l’anormale. Attraverso il male, il bene. Così, tutto deriva dal male, perché se il fine ultimo è irraggiungi-bile, i mezzi sono eterni. Il male senza termine non è mai buono.)

21 [134-15r; ms. ingl.]

La riflessione sulla bellezza particolare delle cose speciali, la scoperta di un incanto segreto negli oggetti più vicini, è un chiaro sintomo della mania del dubbio. La bellezza che si scor-ge nelle cose speciali è solo una parte del loro mistero (ad esem-pio, nel caso di Sch.:1 le immagini e la loro bellezza).

1 Si tratta di friedrich Schiller: Pessoa allude al suo pensiero filosofico sulla bellezza.

01 Genio e follia_LTC.indd 10 07/09/12 11:26