Peppino Mereu - Sardegna Cultura

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Transcript of Peppino Mereu - Sardegna Cultura

BIBLIOTHECA SARDAN. 96

In copertina:Antonio Ballero, Monti d’Oliena, 1926 (particolare)

POESIAS

traduzione e cura di Marco Maulu

Peppino Mereu

7 Prefazione

55 Nota biografica

59 Nota bibliografica

65 Nota al testo

83 Classificazione metrica

POESIAS

101 Prefazione – Cortese Lettore

105 Dae una losa ismentigada

107 Amore

108 Adultera

112 Moribunda

120 A Tonara

131 Consizos a unu amigu

138 Lamentos d’unu nobile

147 A Genesio Lamberti

160 Agonia

164 Solferino!

165 A Nanni Sulis [I]

171 Galusè

182 A Juanne Sulis

188 Caresima

192 A Eugeniu Unale [I]

201 A Paolo Hardy

204 Aritzo

205 X…

207 A Eugeniu Unale [II]

211 Non ti poto amare

215 Studente

216 S’orfana pedit pane

217 K…

220 Y…

222 A Nanni Sulis [II]

230 A Signorina S…

232 Addio a Nuoro

INDICE

Riedizione delle opere:

Poesias, Cagliari, Prem. Tip. Editrice P. Valdés, 1899; Sas poesias isconnottas …, Cagliari, Tipografia Tea, 1978; Poesias, Cagliari, Della Torre, 1982; Terra de musas, Cagliari, Edizioni Frorias, 2001; con l’aggiunta dei componimenti tratti da: Sardegna Letteraria-Artistica Illustrata, a. I, n. 7, 26 maggio 1898; La Piccola Rivista, a. I, n. 9, 29 aprile 1899 e a. I, n. 14, 30 giugno 1899.

© Copyright 2004ILISSO EDIZIONI - NuoroISBN 88-89188-19-7

Mereu, PeppinoPoesias / Peppino Mereu ; traduzione e cura di Marco Maulu. - Nuoro : Ilisso, c2004. 315 p. ; 18 cm. - (Bibliotheca sarda ; 96)I. Maulu, Marco851.8

Scheda catalografica:Cooperativa per i Servizi Bibliotecari, Nuoro

PEPPINO MEREU: IL SUPERAMENTO DEL RITARDO

La vicenda umana e poetica di Peppino Mereu offre lospunto per richiamare brevemente alcuni dati relativi al profilostorico, culturale e linguistico che offre la Sardegna all’indoma-ni dell’Unità, cioè al momento in cui si verificano progressivistrappi nei confronti dell’eredità di un passato “localistico” e,tanto per l’Isola quanto per tante altre regioni, caratterizzato dapesanti dominazioni straniere. Si può dire che dal 1861 in poilo sforzo richiesto dalla nazione agli ex stati regionali sia quel-lo di far parte costituente dell’Italia non solo in quanto realtàgeografica, ma anche e soprattutto statuale.

In una situazione così mutevole e per molti lati, compre-so quello culturale, drammatica, si colloca l’opera del poetadi Tonara, che si dimostra essere tutt’altro che aliena al dibat-tito politico e sociale che un evento di tale portata suscita nelPaese. Da tale considerazione si è preso lo spunto per il tito-lo della nostra prefazione: la poesia in lingua italiana, comesi sa, appare a lungo statica nel suo petrarchismo di fondo enella sua lingua inerte fino all’Ottocento maturo rispetto allecoeve realtà europee, mentre quella in dialetto è vista, spes-so giustamente, come «Verdi suonato con la fisarmonica».1 InSardegna tale ritardo assume connotazioni ancor più eviden-ti, principalmente a causa del durevole connubio fra liricaisolana e modelli arcadici, fra i quali Zappi, Rolli, Metastasio.Non si dimentichino infine la stanca riproduzione della poe-sia classica latina (ad esempio Orazio) e l’influsso imprescin-dibile dei “monumenti nazionali”, un po’ come avviene intutto il paese per Petrarca ad esempio, ancora ben vivi nelsecondo Ottocento, come testimoniato dallo stesso PeppinoMereu quando cita il Tieste di Foscolo in epigrafe a K… e lastessa Corona aretina in A Genesio Lamberti.

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1. F. Brevini, “Introduzione”, in La poesia in dialetto, tomo I, Milano,Mondadori, 1999, p. XLIII.

233 Unu ballu in maschera

234 W…

243 Sa teracca mia

244 Su minestrone

247 A Signor Tanu

252 A Nanni Sulis [III]

254 Sa bottiglia

255 Titti tittia

256 A Ernesto Mereu

262 In Conziliatura

263 Su socialista a una bigotta

265 Anima niedda

268 Turmentos

269 A su tianesu

270 S’isveglia

271 Unu bandu

272 Su canarinu de su rettore

273 Minca maccaca

276 Alberto La Marmora

280 S’ambulante tonaresu

281 Signor Ciarla a su fizuCiarlatanu

282 Piazzaforte di Orune

284 Cunfessende

285 Signora maestra

287 Litanias maggiores

289 A una violetta sicca

291 Sas giarrettieras

292 Ottava

293 Serenada

294 Proposta amorosa

295 Risposta amorosa

298 Imbasciada

299 Su testamentu

303 [Anepigrafa]

304 Mauru Zucca

305 A Peppe Cappai

306 Muttu

307 A un’illusa

308 Aspettos

311 Notas

vivente il poeta per i tipi Valdés, tipografia cagliaritana sortanel 1894 grazie all’intraprendenza di Pietro Valdés e a segui-to dell’importante funzione di apripista svolta dalla tipografiaTimon, sempre di Cagliari, che ben simboleggiava la vivacitàdi questo centro dal punto di vista economico e culturale acavaliere fra i due secoli. D’altro canto nello stesso settoreanche Sassari, con l’attività di Dessì, Chiarella, Azuni ecc. ap-pariva in continua espansione.4

A tale effervescenza consegue una progressiva professio-nalizzazione dell’editoria sia all’interno delle tipografie, siadei giornali, con riflessi importanti sulla diffusione della cul-tura in una regione che le statistiche del tempo descrivonoquasi totalmente analfabeta, arretrata e isolata.5 A proposito

Prefazione

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4. Per un rapido panorama sull’industria tipografica in Sardegna in sinossicon la realtà imprenditoriale isolana pre e post-unitaria rimandiamo a M.L.De Felice, “La storia economica dalla «fusione perfetta» alla legislazionespeciale”, in Storia d’italia. Le regioni dall’Unità a oggi. La Sardegna, Tori-no, Einaudi, 1998, pp. 391-392, 396, con relativa bibliografia ivi fornita.5. Si vedano a tal proposito i dati relativi all’alfabetizzazione dell’Italiapost-unitaria pubblicati e discussi da T. De Mauro, Storia linguistica del-l’Italia unita, Bari, Editori Laterza, 19723, pp. 95-98: in essi la Sardegnaoccupa il primo posto per percentuale di analfabeti nel 1861 con un tas-so del 90 per cento, mentre nel 1911 si scende al 58 per cento. G. Sot-giu, in Storia della Sardegna dopo l’Unità, Bari, Editori Laterza, 1896, p.173, fornisce i seguenti dati: secondo il censimento del 1871 risultavaanalfabeta l’87,98 per cento della popolazione sarda, superata da quelladella Basilicata, a fronte di una media nazionale del 73,27 per cento. Lostesso Mereu, in seguito ai problemi economici derivanti dalla morte deigenitori, non andò oltre la terza elementare, risultato che tuttavia nondoveva apparire di poco conto per una comunità rurale come Tonara.Ciò risulta nel volume Tradizione e modernità a Tonara in un’inchiestacondotta nel 1928 da Giuseppe Tore, a cura di Gianfranco Tore, conprefazione dello stesso Tore e di Giulio Angioni, edito col patrocinio delcomune di Tonara nel 1995: «Il numero di coloro che, pur essendo ob-bligati, non si iscrivono alla scuola, supera i duecento, e nessuna leggesi può applicare contro di essi per mancanza di edificio scolastico» (p.77). Non si specifica il periodo storico, ma probabilmente si tratta deiprimi del secolo scorso. E ancora, a p. 213: «Nello stesso anno 1824,addì due novembre fu aperta la prima scuola elementare in Tonara, concirca 80 alunni [a fronte di 1770 abitanti complessivi] … verso il 1850

Tale apparente immobilità dovette sposarsi bene con larealtà agricola e pastorale dell’Isola e col suo immaginario,ma è pur vero che l’abituale patrimonio di citazioni e formu-le poetiche, che costituivano una sorta di auctoritas – si vedala proemiale e frequente invocazione alle muse – doveva tra-sferirsi con una certa facilità nel mondo della produzioneestemporanea da un poeta all’altro, per riflettersi di conse-guenza su quella scritta. Ciò è tipico della dimensione lettera-ria orale e difatti, con Zumthor, l’improvvisatore appare comecolui che «possède le talent de rameuter et d’organiser pre-stement des matériaux bruts, thématiques, stylistiques, musi-caux, auxquels se mêlent les souvenirs d’autres performanceset, souvent, des fragments mémorisés d’écriture. Ou bien, s’ilpartecipe à une tradition mieux formalisée, il construit … aujour le jour, avec des éléments standard, des textes toujoursnouveaux».2 Tuttavia in Mereu, accanto all’abituale apparatoformulistico, compaiono temi e forme tutt’altro che distantida quanto accadeva in buona parte della produzione poeticaitaliana del secondo Ottocento, come vedremo anche in se-guito. Perciò si rende necessaria una attenta valutazione dellacategoria denominata “ritardo”, se la si vuole applicare aquesto poeta ricco di contrasti e innovazioni.

Anzitutto, fatta nostra la lezione di Pier Vincenzo Men-galdo, secondo il quale «sulla poesia italiana contemporaneas’impara, assai più che da tanti ambiziosi problemi globali,da ricerche apparentemente decentrate che percorrono peresempi e campioni l’intero territorio a partire da ipotesi dilavoro circoscritte ma precise»,3 approfittiamo di queste pagi-ne per delineare la realtà storico-sociale dalla quale scaturi-scono i versi che proponiamo nella presente silloge. E talerealtà si rispecchia direttamente nella vicenda testuale delcorpus mereiano, che consta di una raccolta organica uscita

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2. P. Zumthor, Introduction à la poésie orale, Parigi, Éditions du Seuil,1983, p. 226 [trad. it. La presenza della voce, Bologna, Il Mulino, 1984].3. P.V. Mengaldo, “Introduzione”, in Poeti italiani del Novecento, Mila-no, Mondadori, 1978, p. XIX.

Anche Enrica Delitala conferma che «il foglio volante spessocostituisce l’unico patrimonio librario ed uno dei pochi mezzidi comunicazione culturale, là dove l’isolamento e la subal-ternità … rendono più facilmente accetti determinati argo-menti ed il modo di trattarli proprio dei fogli esaminati [uncorpus di 250 fogli conservati presso la Biblioteca universita-ria di Cagliari]».8

In secondo luogo, ha per noi importanza fondamentale aifini dell’inquadramento critico del poeta nella cornice offertadall’Unità, la presenza di tre componimenti del poeta tonaresein due riviste letterarie dell’epoca, La Piccola Rivista [1898-1900] e La Sardegna Letteraria-Artistica Illustrata [1897-1898].Questo fatto ci consente di toccare la questione del prolifera-re dei periodici, letterari e non, in un territorio apparentemen-te incolto e preso da questioni di ben altra importanza. Invecel’invio dei propri componimenti alle numerosissime riviste do-veva costituire un passo obbligato per chi, come Mereu, an-dava alla ricerca di un minimo di visibilità all’interno di unpanorama letterario in grande fermento e col quale, tenutoconto dell’isolamento di cui certamente soffriva allora Tonara,non doveva essere altrimenti facile entrare in contatto.

Che si trattasse di una necessità lo si capisce bene an-dando a sfogliare i periodici di fine Ottocento: da queste pa-gine emerge chiaramente una vivace comunità d’intellettualiche essendo per giunta ristretta, mostrava un buon numerodi vicendevoli conoscenze personali e un interessante dialo-go interno. Lo scambio d’idee e informazioni era talvolta ba-sato sulla stima, talvolta astioso e improntato alla polemica,ma comunque fondamentale ai fini della comprensione dellarealtà letteraria e artistica isolana.

Fra le pagine delle numerosissime effemeridi, stampateprincipalmente nei due maggiori centri dell’Isola, ci s’imbatte

Prefazione

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8. E. Delitala, “Poesie sarde su fogli volanti: poesia popolare, popola-reggiante o culta?”, in Oralità e scrittura nel sistema letterario, a cura diG. Cerina, C. Lavinio, L. Mulas, Atti del Convegno (Cagliari, 14-16 aprile1980), Roma, Bulzoni Editore, 1982, p. 231.

di questi dati, spesso volti a detrimento dell’immagine dellaregione, è senz’altro condivisibile, anche dal punto di vistaletterario qui assunto, l’invito intelligente e fondato di Fede-rico Francioni ad evitare che fatti prettamente storici possa-no «scivolare dalla dimensione storiografica o dell’indagineeconomica a quella dell’antropologia culturale», così da rica-vare un’immagine della Sardegna nella quale il ritardo socia-le in ogni sua forma appaia “congenito”.6

Il caso di Peppino Mereu e della sua silloge edita nel 1899è davvero raro, se non probabilmente unico, fra i poeti dialet-tali sardi, soprattutto se si tiene conto della qualità della pub-blicazione di cui parliamo, curata sotto ogni aspetto, a parte idifetti grafici e tipografici che affliggeranno per molto tempoancora la stampa della poesia in lingua sarda, nonostante lagenerale riscoperta che il genere visse proprio nel secondo Ot-tocento. Non si dimentichi difatti che la sua diffusione era affi-data – anche a causa della sua produzione frequentementeestemporanea – quando non alla memoria dei cultori, a sup-porti quali i fogli volanti, pubblicazioni artigianali di poche pa-gine dai prezzi popolari che contribuivano a diffondere leopere dei poeti locali e svolgevano talvolta una funzione “so-ciale”. A riguardo Rosario Cecaro scrive: «Questi fogli … cono-scono nel secolo scorso una vastissima popolarità … il feno-meno si spiega se si pensa che le canzoni sono il mezzoprincipale di comunicazione e informazione nella cultura sar-da, ancora caratterizzata lungo tutto l’Ottocento dall’oralità».7

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una sessantina di persone sapeva appena leggere e scrivere». Non dimolto dovette variare la situazione quando Mereu, nato nel 1871, entròin età scolare.6. Cfr. F. Francioni, “Giornali, giornalismo e questione sarda nell’Otto-cento: linee generali d’analisi e interpretazione”, in I giornali sardi del-l’Ottocento. Quotidiani, periodici e riviste della Biblioteca universitariadi Sassari. Catalogo (1795-1899), a cura di R. Cecaro, G. Fenu, F. Fran-cioni, Cagliari, Regione Autonoma della Sardegna, 1991, p. 11. 7. R. Cecaro, “La poesia come informazione”, in Cantones de sambene.Amori, delitti e processi nella poesia popolare di fine Ottocento, a curadi R. Cecaro e S. Tola, Cagliari, Della Torre, 1999, p. 24.

all’incirca i medesimi canali d’informazione e acculturazionedel passato, principalmente forniti dal basso clero. Difatti, co-me appare evidente nella stessa storia letteraria sarda, furonoper lo più gli esponenti di questo ceto a segnare le punte piùalte della produzione letteraria locale, fortemente caratteriz-zata dalla poesia improvvisata. Il parroco del paese condivi-deva spesso con la plebe, oltre alle condizioni di vita più omeno modeste, cultura, mentalità e lingua, in assenza prati-camente totale di italofonia fra i ceti agrari. Tale figura, chepoteva associare alla predica l’attività poetica, era in grado digarantire un minimo di “istruzione” sfruttando questi due ca-nali comunicativi, ovviamente sotto il condizionamento dellaformazione ecclesiastica. Talvolta però le rigorose e severeletture sacre erano stemperate da esperienze poetiche prove-nienti da letture personali, come anche da estri poetici – cla-moroso il caso di “Padre Luca” Cubeddu – che la Chiesa nonpoteva sempre tenere sotto controllo.10 Si è già insistito sullafunzione informativa svolta dai fogli volanti.

Naturalmente il progresso registrato dai mezzi d’informa-zione e diffusione dei saperi provenienti da altre realtà geogra-fiche è legato all’evoluzione socio-economica interna: dall’Uni-tà in poi si nota un aumento dell’indice di alfabetizzazione e,di pari passo, di scolarizzazione, fattori che si affiancano alcambiamento di politica culturale verificatosi col passaggio dalgoverno sabaudo, tendenzialmente contrario alle innovazionie portato a favorire il già saldo monopolio culturale del clero,all’unificazione del Regno. In questa fase, difatti, diventa possi-bile la libera circolazione di uomini e idee da essi veicolateche, giunti a contatto con l’arretrata realtà locale, ne intaccano

Prefazione

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10. In relazione all’innegabile importanza della funzione svolta da que-sta istituzione nei processi di acculturazione dell’Isola, sarà bene ricor-dare che anche la stampa vi fu introdotta da un suo esponente, NicolòCanelles, vescovo di Bosa che impiantò a Cagliari la prima tipografiastabile intorno al 1566. Si veda in proposito, anche per la dovizia di da-ti sulla produzione libraria e sul rapporto fra questa e le lingue dellacultura al tempo, B. Anatra, “Editoria e pubblico in Sardegna tra Cinquee Seicento”, in Oralità e scrittura cit., pp. 233-243.

di frequente nelle prove letterarie di tanti fra i personaggi dispicco della cultura sarda. Per limitarci a un arco cronologicocomprensivo dell’attività del nostro autore, basti ricordare al-meno Vita sarda [1891-1893] dove, fra altre cose, si trova pub-blicata una lirica di Grazia Deledda intitolata Fantasia grigia[a. III, n. 3, 1892] che tratta il tema della viola fatta appassirefra le pagine di un libro quale simbolo del ricordo, medesimospunto, probabilmente casuale, delle terzine di A una violettasicca di Mereu. Proprio quest’ultima fu consegnata dall’autoreo chi per lui alla Piccola Rivista, effemeride cagliaritana direttada Ranieri Ugo, che ospitò anche il sonetto In Conziliatura,oltre a vantare contributi di valore come quelli della stessaDeledda e di altre figure di spicco dell’intellighenzia isolana.9

Parte importante della documentazione diretta sulle vi-cende sarde post-unitarie è dunque fornita da riviste e perio-dici, che acquisiscono progressivamente figure capaci e spe-cializzate all’interno delle proprie redazioni, così da assumereman mano orientamenti sempre più connotati sia riguardo al-le tematiche trattate, sia riguardo alle correnti politiche e dipensiero alle quali essi aderiscono. È però opportuno preci-sare che l’informazione fornita da questi media difficilmenteriusciva a raggiungere le classi più basse; pertanto ad usufrui-re maggiormente delle novità messe in circolazione dai gior-nali erano la media borghesia e i ceti urbani in generale. Inrealtà, durante quegli anni furono destinati alle classi rurali

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9. Giancarlo Porcu, in un interessante articolo dal titolo “In Conziliatu-ra, sonetto di Peppino Mereu”, apparso su La grotta della vipera, a.XXVII, n. 93, primavera 2001, traccia una breve panoramica dei conte-nuti e delle collaborazioni che poteva vantare il periodico. Inoltre cfr.I giornali sardi dell’Ottocento cit., pp. 174-175 e G. Fois, F. Pilia, I gior-nali sardi. 1900/1940. Catalogo, Cagliari, Della Torre, 1976, p. 310. Siadetto di passata: Ranieri Ugo, sotto lo pseudonimo di Paolo Hardy, fu ilprocacciatore di voti commiserato da Mereu nella sua A Paolo Hardy,lirica composta nel ’95 in risposta al sonetto dello stesso Ugo (cfr. p.201). Ciò non impedì che fossero pubblicati, quattro anni dopo, i so-netti mereiani di cui sopra proprio nella Piccola Rivista, che questo ec-centrico personaggio diresse.

Per comprendere meglio quale sia la temperie culturalenella quale si colloca lo scambio d’idee, opinioni e la diffusio-ne delle opere all’epoca in cui Mereu visse, sarà sufficiente ri-cordare almeno La Meteora [1878-1879], che pubblicò alcunicontributi di due fra i modelli “nazionali” più influenti delpoeta tonarese: Giuseppe Giusti e Olindo Guerrini, quest’ulti-mo noto anche con lo pseudonimo di Lorenzo Stecchetti, altempo celebri poeti ai quali si può attribuire in buona parte, alivello di lingua letteraria, la tendenza al concreto, all’abbassa-mento di registro a fini realistici di alcune liriche mereiane. DiGiusti inoltre è espressamente citata, oltre ad altre forti sugge-stioni interne, la quartina d’apertura di Parla il mascheronedella Fonte del Tettuccio, posta in epigrafe a Galusè: nel leg-gere versi come «preides, polizzottos, cummissarios / e nobi-les ispias» (vv. 148-149) non si può non ricordare l’elencosnocciolato dal poeta toscano di «villani, nobili, / birri, crocia-ti, / spie, preti, monache / scrocconi e frati» (vv. 73-76), i qualisi riuniscono attorno alla fonte di Montecatini, ognuno coi piùdisparati “interessi”.13 Infine anche la fonte giustiana ha il do-no della parola e racconta ciò che vede accadere davanti a sé,in un comune e tipico esperimento di mimetismo che nellospecifico serve a entrambi i poeti per non dover attuare inprima persona la rispettiva critica sociale.

Si tenga conto del fatto che la diffusione dell’opera diquesti due personaggi, soprattutto dello Stecchetti, avvennenon solo ad opera di effemeridi letterarie come La Meteora,ma anche, in seguito, dei due maggiori quotidiani regionali,L’Unione Sarda e La Nuova Sardegna, fondati rispettivamen-te a Cagliari nel 1889 e a Sassari nel 1892.

Al cambiamento politico e sociale si legano quindi i mo-delli culturali provenienti dal “continente”; da qui la diffusio-ne della scapigliatura, seguita dai primi passi mossi in Sarde-gna dal socialismo, e della ribellione linguistica e tematicasoprattutto stecchettiana – ma pure Giusti avrà il suo seguito –

Prefazione

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13. Cfr. G. Giusti, Poesie, a cura di N. Sabbatucci, vol. II, Milano, Feltri-nelli Editore, 1962, pp. 712-715.

fortemente la scorza, entrando spesso a contatto con periodicigià esistenti, oppure fondandone di nuovi.11

Un esempio della forza di questi cambiamenti è costitui-to da La Farfalla [1876-1877], effemeride cagliaritana chenonostante la sua breve stagione sarda – sarà in seguito tra-sferita a Milano – rivestì una parte importante negli sviluppidelle vicende culturali sarde. La rivista annoverava fra i suoicollaboratori alcuni fra i maggiori esponenti della scapiglia-tura milanese, fra cui Cletto Arrighi e Felice Cameroni, le cuiidee e opere ebbero buon seguito sia fra gli intellettuali, siafra i lettori più attenti alle novità in campo artistico-letterario,da individuarsi principalmente all’interno di quella borghesiacittadina cui abbiamo accennato poco sopra.12

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11. Ci piace fornire al lettore, a proposito del proliferare di periodici let-terari, una testimonianza divertente ma preziosa, tratta da un articolo inti-tolato appunto “I periodici letterari”, apparso a firma di Ramiro [sic] suLa Nuova Sardegna, a. X, n. 290, 21 ottobre 1898: «Premetto che questifogli [ci si riferisce a periodici per lo più “goliardici”] si pubblicano ordi-nariamente alla fine di dicembre per potere poi al secondo o terzo nu-mero scrivere sulla copertina Anno II. Chiedete ai fondatori di tali riviste… gli intenti di tali pubblicazioni e vi risponderanno inevitabilmente cheè quello di portare nella breve cerchia della provincia un risveglio intel-lettuale … esce il primo numero che contiene un’ode a Ninetta di Go-liardo ed una Penombra di Alfa … seguono quattro colonne di studiglottologici e una pagina di folklorismo. Poi viene il romanzo della si-gnorina Zeta di Elle … e sotto la firma del direttore responsabile il N.B.:Coloro che non rifiuteranno il presente numero si intendono abbonati …ma l’abbonamento non lo paga nessuno. Ciò non toglie però che la dire-zione non spedisca i numeri seguenti, i quali contengono … cinquantastornelli dialettali, dedicati a Virgilio … al settimo numero il giornale èmorto … il direttore ha contratto con la casa editrice un debito che nonpagherà più mai. Parce sepulto!». 12. Roberto Tessari, nella monografia da lui curata e intitolata La scapi-gliatura. Un’avanguardia artistica nella società preindustriale, Torino,Paravia, 1975, p. 82, sottolinea giustamente che «l’essere scapigliato, tra il1860 e il 1890 significò soprattutto esprimersi non solo e non più attra-verso l’invecchiata forma del volume di versi o di prosa romanzesca …bensì sulla pagina del quotidiano e della rivista, potenzialmente apertead un pubblico … più ampio».

decide, forse dietro consiglio dell’amico e mentore GiovanniSulis, d’inviare al periodico letterario Sardegna Letteraria-Ar-tistica Illustrata, stampato a Cagliari e diretto da RenatoManzini e G.B. Troiani, il già citato componimento in terzineA una violetta sicca, pubblicato nel n. 7 il 26 maggio diquello stesso anno. La lirica non è fra le più felici né fra lepiù innovative del poeta tonarese e anzi, come si è visto, sirifà a un percorso tematico assai praticato dalla tradizionepoetica locale e non solo.

L’anno seguente, prima della pubblicazione della sillogeper i tipi Valdés – essa, secondo l’articolo di Francesco Coro-na riportato nella “Nota bibliografica”, risulta essere statapubblicata a settembre – Mereu invia a La Piccola Rivistadapprima il sonetto In Conziliatura e, a seguire, la serie disonetti intitolata A Ernesto Mereu, apparsi rispettivamente neinn. 9 e 14 del periodico succitato. Stavolta ci si trova di fron-te a due prove caratterizzate dal mistilinguismo e che, comegeneralmente accade fra i dialettali post-unitari, si riferisconoa situazioni e personaggi che contemplano realmente loscambio di codici (qui sardo e italiano) fatti assurgere alla di-gnità poetica, per lo più con intento parodiante e deforman-te. Egli cioè si dichiara implicitamente non più epigono dellatradizione amorosa e aulica, pur rivisitata con toni scapigliati,come accadeva in occasione del primo “languido” componi-mento, ma di quella satirica e mordace, aderente ai canonidel vero e che fa della critica linguistica lo spunto per la cari-catura di personaggi tipici della Sardegna post-unitaria, alloraben presenti in qualsiasi regione d’Italia. Difatti non appenala situazione lo richieda o consenta, ad esempio nella buro-crazia, costoro si lasciano inconsapevolmente andare a quell’i-taliano porcheddinu, frammisto cioè al dialetto, che in epocadi scarsa diffusione della lingua nazionale negli anni successi-vi all’unificazione, era quanto di meglio si potesse probabil-mente udire in occasioni consimili.

Pertanto si tratta di una scelta stilistico-tematica ben mar-cata e che supera se vogliamo, a livello d’intento programma-tico, quella della poesia di protesta sociale “pura”, più nota ai

Prefazione

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della poetica di Carducci ecc., che tanto riverbero avrannosu un poeta come Sebastiano Satta (particolarmente il Car-ducci, tramite l’influsso giovanile esercitato a Sassari dal poe-ta e professore livornese Giovanni Marradi). Con ciò si giun-se a creare un sottogenere per lo più in dialetto, ossia quellodei rifacimenti di tali modelli. Per quest’ultimo aspetto bastipensare al Mereu stecchettiano di Dae una losa ismentigadao al Pascale Dessanai di A Chillina ecc.,14 per giungere finoalla poesia “stecchettiana” – troviamo con questo titolo, adesempio, un sonetto in sassarese di E. Dessena, in Il Massi-nelli [1900-1908], a. II, n. 11, 1901 – che ama rifare il propriomodello cogliendone in particolare l’aspetto della critica so-ciale e anticlericale.

Sintetizza felicemente il fermento culturale di cui sopraNicola Tanda quando parla di un «movimento che, dalla sca-pigliatura al Carducci e allo Stecchetti, aveva elaborato unapoetica e procedimenti formali adatti a corrodere lo smaltodell’étabilissement post-risorgimentale (Stecchetti fu infattiuno dei modelli preferiti del tonarese Peppino Mereu)».15

Sarebbe superfluo ricordare come gli esponenti più notidella cultura sarda legarono il proprio nome a una o più ri-viste, in qualità di collaboratori o direttori: da Enrico Costa eAttilio Deffenu a Sebastiano Satta e Grazia Deledda, fino aLuigi Falchi e Ranieri Ugo, solo per citare i nomi più “ovvi”e rappresentativi dell’importanza del fenomeno. È perciòcomprensibile che anche il nostro poeta, per diversi motivi,abbia avvertito l’esigenza di entrare a far parte di una comu-nità tanto attiva quanto ricca di suggestioni, soprattutto perun giovane di carattere, ambizioso e desideroso di farsi co-noscere quale Mereu ci appare. Ed ecco che nel 1898 egli

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14. Su Dessanai cfr. G. Porcu, La parola ritrovata. Poetica e linguaggioin Pascale Dessanai, con una proposta di edizione critica, Nuoro, IlMaestrale, 2000. In questa pubblicazione si trova una sezione intitolata“Da Stecchetti” (pp. 295-298) e diversi accenni al rapporto del poetanuorese col modello nella parte introduttiva.15. N. Tanda, Letteratura e lingue in Sardegna [1983], Cagliari, EDES,1984, p. 37.

tanta e durevole eco ebbe fra i poeti conterranei, vi accennaesplicitamente nelle sue liriche. In effetti le condizioni di vita,soprattutto nel centro-sud del Paese, non furono facili a cau-sa di numerosi fattori: la politica espansionistica del nuovostato unitario portò quest’ultimo ad esigere tasse esose, il cuire-investimento in buona parte non ricadeva direttamente sulterritorio italiano, ma sulla spesa legata alle operazioni milita-ri. Inoltre regioni già povere come la Sardegna, che non co-noscevano la grande industria, soprattutto quella siderurgica,si videro estromesse dai possibili guadagni derivanti dallaproduzione di materiale bellico. Perciò esse furono costrettea fare affidamento unicamente sulle fonti di sostentamentotradizionali (agricoltura e pastorizia) e non ebbero molto al-tro dal nuovo governo se non, nel caso specifico dell’Isola,

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di siguru è… la camera da letto» (vv. 9-24). Se nel primo caso è rappre-sentato un soldato, soggetto tipico di tali raffigurazioni nello stesso Me-reu, in La camera del lavoro notiamo un ambiente legato alla propagan-da politica, che richiede pertanto l’utilizzo della lingua ufficiale. Qui un“tale”, descritto in atteggiamento umile e riverente, chiede di poter rice-vere una spiegazione nella propria lingua, sì da non equivocare il mes-saggio («in sassaresu chi cussì no ibagliu»). Tuttavia, mentre in Mereul’effetto comico nasce principalmente dall’inconsapevolezza da parte deipersonaggi della propria precaria padronanza della lingua italiana, quiinvece la consapevolezza d’ignorare la medesima è posseduta dal popo-lano, che la dichiara apertamente. Pertanto il code switching si verificaanzitutto a livello della struttura poetica, con una parte introduttiva inun italiano forbito che funge da voce fuori campo, seguita dalla parte indialetto che, ovviamente, dovrebbe creare un effetto comico dovuto al-l’accostamento anche linguistico fra l’oratore, veicolo in negativo di unalingua incomprensibile e fumosa, e l’umiltà popolana ma saggia del dia-lettofono, il cui ruolo è palesato da quel «caru dottore» ironicamenteconfidenziale. Si giunge poi alla commutazione di codice nella rispostadi Antonino, chiaramente connotante in senso negativo, in quanto co-stui pretende di potersi gestire in italiano, ma si trova a mescidare i duecodici, risultando così assai più risibile rispetto primo attante, che parlauna sola lingua ma, almeno questo, correttamente. La morale linguisticaè che il dialettofono sa stare al suo posto, mentre chi sperimenta attiva-mente il bilinguismo corre spesso il rischio di apparire ridicolo o ricevecomunque una connotazione negativa. Questo schema si trova applica-to assai spesso fra i poeti dialettali del secondo Ottocento.

lettori certamente, ma che non appare come si è visto, se nonin forma mimetico-linguistica, fra i componimenti inviati alleriviste letterarie. Si trattava, evidentemente, di un filone assaicongeniale al poeta tonarese, che univa ad una acuta sensibi-lità sociale un’altrettanto acuta intelligenza linguistica che loportò ad operare anche per altri componimenti questa scelta,davvero rara nel panorama della poesia dialettale sarda.16 Diquesta rarità il poeta dovette essere consapevole, ed è forseda tale consapevolezza che nacque la selezione del materialepoetico poi apparso sulle due effemeridi.

È necessario ora, oltre a quanto già detto, fornire qualchedato storico aggiuntivo sulla Sardegna post-unitaria, poichélo stesso Mereu, tutt’altro che fossilizzato nell’Arcadia che

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16. Si legge su Il Burchiello [1901-1909] a firma di Anastasio [sic], uncomponimento in quartine di endecasillabi con una morale conclusivain settenari e endecasillabi, redatto nell’italiano interferito appena de-scritto e intitolato Il lupo e il miritare, a. I, n. 4, 1901, nel quale si gioca,evidentemente già a partire dal titolo, sulla pronuncia rotacizzante dellaliquida l da parte dei parlanti la varietà sassarese, ovviamente con inten-to comico. Si tratta di una satira misogina di qualità poetica nulla, maper i nostri scopi indicativa già a partire dall’“epigrafe”: «(Fatto capitatoad un poeta sorsinco [‘di Sorso’] di ritorno da ra Toscana)». Si leggano ivv. 16-20: «“Che” – fece il giovinotto, abituato / a trattare con gente diprofetto, / “facci pure, gnò lupo!, io son sordato / e queste cose, cavolo,le ammetto!”. // Ma ir lupo, che alla fine era un villano, / marintragnato,un vire mascarzone, / s’accosta alla signora piano piano / ed haum! sel’ingodde in un boccone». Un altro componimento mistilingue in ottavedi endecasillabi e settenari, improntato al code mixing e al code swit-ching, ossia alla ‘commutazione’ e ‘mescolanza di codici’, si trova nelmedesimo periodico sassarese a firma di Burchiellino, col titolo La ca-mera del lavoro, a. I, n. 15, 1901. Eccone uno stralcio che si riferisce alleinterferenze fra sardo e italiano: «Così parla Antonino entusiasmato, [egliha appena concluso un comizio] / tace: terge il sudore e, tra gli evviva,/ dai compagnoni vien felicitato. / Ma un tal che non capiva / o capivaben poco l’italiano, / si avvicina pauroso all’oratore / e gli sussurra colberretto in mano: // Mi l’ispiegheggia un po’, caru dottore, / in sassaresuchi cussì no ibagliu… / La camara, cumpà, di lu trabagliu… / E quelloch’era un furbo di tre cotte, / stette un pochetto muto / e poi così rispo-se: / Buona notte / ho bene… comprenduto: / la camera che ài detto /

Serra dall’83 in poi,22 portarono per lo più a provvedimentitanto inefficaci quanto tardivi. Tutto questo è documentatodai giornali dell’epoca, spesso critici nei confronti della politi-ca governativa: «Anche il 1899 è sorto senza vedere l’inizio diquei provvedimenti che dovevano rigenerare la Sardegna …dove sono i lavori di bonificazione agricola, di sistemazioneidraulica? … si va di male in peggio. Si distribuiscono pochicentesimi, si inaugurano sistemi di violenza, e sono comple-tamente trascurati i supremi bisogni dell’isola»,23 e via di se-guito sullo stesso tono di delusione per le promesse nonmantenute a seguito delle inchieste succitate.

Da ultimo, non si può non sottolineare la spaventosa ca-renza di strutture e insegnanti nell’ambito dell’istruzione ele-mentare del tempo. Quest’ultima fu resa obbligatoria a partiredal 1877, ma l’evasione della legge Coppino era la prassi pergran parte della popolazione in età scolare, anche a causa del-la diffusa tendenza da parte delle famiglie a non volersi o po-tersi privare di forza-lavoro e per la scarsa fiducia nei confrontidi maestri dalla dubbia cultura. Da ciò nascono i corrosivi versiconclusivi di Signora maestra, che valgono ben più di qualsiasitestimonianza storica: «La madre l’ha detto anche nel forno /che la maestra non capisce un corno / e piùs de issa nd’ischitsa pizzinna / e dae cussu l’hat mandada a linna» (vv. 36-39).

Peppino Mereu registra il malessere da poeta che si fa in-terprete di un ruolo sociale ben preciso, con versi taglienti, avolte ingenui per foga, ma lucidi e quasi corali in quanto vox

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agricola, Roma, vol. XIV, fascc. 1° e 2°, estr. Roma, Forzani & C., Tipo-grafia del Senato, 1885.22. F. Pais Serra, Sulle condizioni della pubblica sicurezza in Sardegna.Interpellanza fatta alla Camera dei Deputati, Roma, Tipografia della Ca-mera dei Deputati, 1883; F. Pais Serra, Sulla crisi agraria in Sardegna.Discorso pronunziato alla Camera dei Deputati (tornata 13 marzo 1885),Roma, Tipografia della Camera dei Deputati, 1885 et al., ma cfr. soprat-tutto F. Pais Serra, Relazione dell’inchiesta sulle condizioni economichee della sicurezza pubblica in Sardegna, Roma, Tipografia della Cameradei Deputati, 1896.23. La Nuova Sardegna, a. IX, n. 5, 5 gennaio 1899.

una guerra doganale con la Francia (1878-1888) che bloccò isuoi proficui contatti con Marsiglia nell’esportazione di be-stiame, latticini e prodotti agricoli, senza contare la sorditàper lo più cronica nei confronti dei problemi locali a favoredell’aggressiva politica estera. Per giunta, come Mereu stessodocumenta ad esempio in A Nanni Sulis, le annate negative,la filossera e la peronospora, alluvioni e quant’altro,17 mette-vano in difficoltà cronica le popolazioni rurali che, oltre adover fronteggiare i capricci del clima, spesso aggravavano ipropri debiti ricorrendo all’usura, anche per poter far frontealle forti imposte.

Inoltre appartiene agli anni a cavallo fra Unità e cambiodi secolo l’opera di disboscamento che, per dirla con le(ri)sentite parole di Raimondo Carta Raspi, non fu altro senon una «vandalica distruzione dei boschi consentita per ci-fre irrisorie ai concessionari di miniere e soprattutto agli ap-paltatori del ricco patrimonio forestale che dell’isola avevanofatto un immenso braciere per ricavarne carbone vegetale».18

I tentativi di inquadrare i problemi della Sardegna, sfocia-ti nelle inchieste Depretis (1869), che pure fruttò l’importanterelazione di Quintino Sella,19 o il più letterario lavoro di Pao-lo Mantegazza,20 e Jacini (1877) – affidata per la Sardegna aFrancesco Salaris21 – fino alle numerose interpellanze del Pais

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17. «B’est sa filossera, / impostas tinzas, / chi nos distruint / campos ebinzas. // Undas chi falant / in Campidanu, / trazan tesoros / a s’ocea-nu» (A Nanni Sulis, vv. 22-29).18. R. Carta Raspi, Storia della Sardegna, Milano, Mursia, 1983, p. 881.Si noti quanto in queste parole riecheggino i vv. 154-156 A Nanni Sulis[II]: «Sos vandalos, cun briga e cuntierra, / benint dae lontanu, a si par-tire / sos fruttos, da chi si brujant sa terra».19. Q. Sella, Sulle condizioni dell’industria mineraria nell’isola di Sar-degna, Firenze, Tipografia Eredi Botta, 1871 [riedito a cura di F. Manco-ni, Nuoro, Ilisso, 1999].20. P. Mantegazza, Profili e paesaggi della Sardegna, Milano, Brigola(Tipografia Wilmant), 1869 [Sassari, La Nuova Sardegna, 2004].21. F. Salaris, “Relazione del commissario S. F. per l’inchiesta agrariasulla dodicesima circoscrizione (provincie di Sassari e Cagliari)”, in Attidella giunta per la inchiesta agraria e sulle condizioni della classe

le lingue e culture dominatrici almeno fino al secondo Otto-cento, se non per assorbirne selettivamente gli elementi fun-zionali a quegli stessi modelli che le si confacevano, non cer-to per spirito di rivalsa. Pertanto Mereu, almeno relativamentealla realtà locale, non si trovò ad aver a che fare con un tòposampiamente sfruttato, semmai lo dovette importare dall’ester-no,25 mentre la sua esperienza nell’Arma – con l’inevitabilecommistione di dialetti che la caratterizzava – dovette acuirne,come detto, la sensibilità linguistica. Insomma, er parlà cciovìlede ppiù, per dirla con Belli, costituisce nel discorso poeticoregionale una novità che peraltro Mereu condivise con Anto-nio Domenico Migheli e Pompeo Calvia.

A tal proposito risulta importante richiamare ancora unavolta il concetto di dialettalità applicabile a un’isola nella qualenon si scelse il sardo in opposizione al toscano quale “linguadella poesia”, ma si continuò semplicemente ad utilizzare l’uni-co codice espressivo a tutti noto, il sardo appunto, pur ampia-mente differenziato rispetto al parlato, che si accompagna aimodelli nazionali. È quindi nei componimenti di Mereu che ilcontrasto con la lingua ufficiale assume un carattere non piùoccasionale; pertanto non possiamo che dar ragione a Giancar-lo Porcu, senza trascurare il già citato tòpos richiamato da Bre-vini, quando relativamente all’uso poetico dell’italiano interferi-to, egli parla di «un gesto formale che ha del rivoluzionario serapportato alla storia del linguaggio poetico sardo», ricordandopoi il precedente dei summenzionati Migheli e Calvia.26

Perciò torniamo sopra la questione dell’interferenza frasardo e italiano accennata in precedenza, poiché è a partire daessa che ci pare si possa inquadrare entro un canone il piùpossibile definito il poeta tonarese, ed è forse da questo aspet-to che può emergere con maggior evidenza la sua grande mo-dernità, in rapporto al sistema letterario che lo accoglieva.

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25. Pensiamo ad esempio allo Stecchetti di Postuma XXV, dove il poe-ta, nella classica forma del sonetto, rifà la parlata di un’irascibile “sviz-zero” [L. Stecchetti, Le rime, Bologna, Zanichelli, 1903, p. 49].26. G. Porcu, “In Conziliatura” cit., p. 59 e nota 4.

populi, quello stesso popolo che egli ritrae nell’atto di «lingher /s’ispada tinta de sambene tou» (A Genesio Lamberti, vv. 69-70),mentre di sé stesso scrive, orgogliosamente: «Mai lintu / happos’ispada tinta ’e samben meu» (A Signor Tanu, vv. 71-72).

Il mistilinguismo come dato socialeCon questo titolo intendiamo inscrivere i componimenti

mistilingui del poeta all’interno di quel filone sociale, che èstato ampiamente messo in luce per altri ambiti più propria-mente riconducibili alle tendenze contestatrici e politiche deltempo, come il socialismo, cui Mereu, analogamente ad altrigiovani ed a parte della classe intellettuale dei due ateneiisolani, aderì con convinzione, e cui fa riferimento esplicitoin più d’una occasione nelle sue poesie.

L’acutezza di questo autore nel tracciare il profilo dellasocietà post-unitaria non è stata però, così ci sembra, organi-camente messa in luce da questo punto di vista: fra i compo-nimenti della raccolta si nota come egli abbia, sotto le spogliedella deformazione linguistica, colto un aspetto fondamentalecome quello della diffusione dell’italiano in Sardegna a partireda ambienti di “frontiera” come l’esercito, la scuola, la buro-crazia. Un’intelligenza storica vigile quindi, in grado di coglie-re, anche grazie alla sua esperienza nell’Arma, i mutamentisociali e di lingua che investivano con forza sempre maggiorela comunità. È certamente vero quel che dice Franco Brevinia proposito del «topos della letteratura postunitaria … la satiradi chi, nella compagine del nuovo stato, si sente in dovere difare affettazione di italofonia senza possedere una effettivacompetenza della recente lingua nazionale»,24 ma si tenga pre-sente che questo non fu, se non a partire proprio da Mereu,un percorso poetico sfruttato dalla poesia dialettale sarda, ec-cettuati pochi altri casi. La poesia isolana, proprio in quantolegata straordinariamente a lungo a modelli superati ma digrande solidità, non si curò troppo del confronto storico con

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24. F. Brevini, La poesia in dialetto, tomo 2, Milano, Mondadori, 1999,p. 2866.

dialetto, che darà così origine a un pastiche interferito dagliesiti comici non indifferenti e che diverrà possibile all’indoma-ni dell’Unità, quando la società sarda, come altre micro-realtà,uscirà dalla stasi che per lo più la caratterizzerà fino al periodoimmediatamente precedente.28

In Italia la situazione prevalente è quella di una poesia indialetto che, a cavaliere fra i due secoli e nel primo Novecen-to, mostra una produzione maggiore da parte dei centri citta-dini con l’utilizzo di varietà urbanizzate, in un periodo in cuil’esistenza dei vernacoli non era ancora sentita come messa inpericolo dalla lingua nazionale; questa d’altra parte andava af-fermandosi con forza invasiva sempre maggiore. In seguito,man mano che lingua e modelli culturali unitari vanno pren-dendo sempre più piede, si tende a una dialettalità «introver-sa» e «endofasica»,29 che utilizza sempre più spesso vernacoliin precedenza ritenuti privi di dignità poetica – si pensi, qualeesempio tardo, alla scelta eclatante del friulano da parte di Pa-solini – e, per giunta, spesso sovrastati da altre koinài sovra-locali più prestigiose. Tale scelta è motivata dal fatto che queilinguaggi “privati” sono sentiti in qualche modo confacenti al-l’istanza di rifiuto nei confronti di modelli che, se accettati,porterebbero alla morte di un intero nostalgico mondo, cui sivorrebbe invece far ritorno. Sappiamo tuttavia come questonon sia stato nell’Isola un processo di breve durata, a causa

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28. La compresenza di due varietà locali, l’oschirese (o in generale logu-dorese) e il sassarese, assieme all’italiano interferito, rende l’opera di An-tonio Domenico Migheli unica da questo punto di vista. Difatti nella suaopera più nota, Sa briga ’e sos santos, un gustosissimo litigio fra i santi sor-to per problemi “condominiali” e non a caso d’impianto teatrale, l’autoreinscena una tragicommedia in cui, secondo la tradizione comico-parodi-stica, la variatio di codici (italiano compreso) e registri è finalizzata allatipizzazione principalmente diastratica di ogni attante, come in Mereu[cfr. G. Atzori, G. Sanna, Sardegna. Lingua, comunicazione, letteratura,vol. II, Cagliari, Edizioni Castello, 1998, p. 224, nota 26 e p. 228, nota 37].Ciò si riscontra anche, ad esempio, in Sa cantone de sa trotta [cfr. A.D.Migheli, Sa briga ’e sos santos e altre poesie, Cagliari, Della Torre, 1986,pp. 175-185, 189-195].29. P.V. Mengaldo, “Introduzione” cit., p. LXX.

In base a quanto detto in precedenza si può perciò con-cludere che la comunità di cui Mereu fa parte non è certo bi-lingue, analogamente a tutti i centri rurali di allora; di conse-guenza la consapevolezza della dialettalità negli immediatianni post-unitari – in tale vocabolo è compresa per noi anchel’accezione deteriore, cioè il sermo humilior – da parte di co-stui, come degli altri parlanti, non sarebbe stata possibile. Allo-ra ci chiediamo se anche Peppino Mereu possa essere inscrittoall’interno del raggruppamento d’intellettuali di cui parla Nico-la Tanda e che, legati ai ceti rurali, intendevano comunicare inlimba «per offrire alla propria comunità un servizio favorendoun flusso di comunicazione più attivo e moderno».27 A noi ciònon sembra fattibile in quanto, mancando la possibilità di scel-ta fra codici, veniva a mancare anche quella spinta contrappo-sitiva derivante da una coscienza linguistica improntata alla ri-bellione nei confronti di una lingua più forte che, in teoria,sarebbe stata l’italiano, ma che in pratica continuava ad essereil sardo. Perciò la sua unica intenzione comunicativa, a livellopoetico, era espressa in quest’ultimo codice e la partita si sa-rebbe potuta giocare non fra lingua nazionale e dialetto, ma,al più, fra vernacolo (il tonarese) e koinè sovra-locale, ossia illogudorese poetico o illustre, che si rivelerà poi essere la scel-ta del poeta. Tale partita, come sappiamo, si inizierà a giocarecon consapevolezza sempre maggiore nella poesia sarda inconcomitanza con quanto accade in Italia nella stagione deidialettali del Novecento, naturalmente con l’inserimento del-l’italiano. A Mereu è però dato d’innovare il sistema poetico at-traverso i temi, i metri da alcuni punti di vista (cfr. la “Classifi-cazione metrica”), e l’utilizzo di un linguaggio improntato alrealismo, che abbandona l’aulicità della tradizione precedente,per iscriversi invece in quel filone satirico-sociale che, a partireda Pisurzi e Mele, si svilupperà poi con Murenu, Migheli ecc.,sempre con l’uso della variante logudorese illustre. Semmail’innovazione linguistica più forte consisterà nell’utilizzo co-stante, come accennato sopra, della commistione fra italiano e

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27. N. Tanda, Letteratura e lingue cit., p. 35.

nel quadro di questa letteratura nazionale che ora le è ante-posta».32

Tuttavia l’operazione di commistione fra lingue operata daMereu può a nostro giudizio essere inserita in questo discorsooppositivo, naturalmente con gli opportuni distinguo, in quan-to l’adozione del linguaggio interferito e di forme tipiche delparlato regionale post-unitario può essere vista sì come intentoparodico, basato però sulla mimesi del vero e spinta fino a fa-re il verso alla parlata ridicola dei personaggi presi di mira dalpoeta tonarese. Insomma, ci sembra che la mimesi possa esse-re ricondotta all’atteggiamento realista della seconda metà del-l’Ottocento che, se in Italia fu sostenuto in larga parte dallapoesia in dialetto in opposizione alla letteratura nazionale, nelcaso del poeta tonarese rappresenta invece quella rottura conla tradizione che, però, non era rappresentata in Sardegna daPetrarca ed i suoi epigoni ma da altri poeti, sardi, avvertiti, lo-ro sì, come modelli “nazionali”. Del resto si trova una citazioneesplicita del poeta aretino, peraltro errata ed evidentemente abraccio, nel penultimo verso del sonetto VI di A Genesio Lam-berti. Ma questo è un altro discorso.

Naturalmente quando Mereu tratta di soggetti definibilicome “alti” oppure, più semplicemente, tipici della poesia iso-lana, il suo linguaggio poetico, le formule, le rime ecc. si col-locano all’interno di una tradizione sempre forte e influente.Al contrario, il distacco da quest’ultima si verifica nel momen-to in cui la realtà cogente entra a far parte della sua poesia, sìda allontanarla dalla via più battuta dalla gran parte dei pre-decessori. È allora che egli avverte la necessità di rifarsi ad al-tri modelli, come Giusti o Stecchetti, i quali proprio dallarealtà tout court prendono spunto per i loro componimenti.Da ciò la differenza che intercorre fra A Tonara, dove il clas-sico io lirico prende la parola per descrivere nostalgicamente

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32. W.T. Elwert, La poesia dialettale d’arte in Italia e la sua relazione conla letteratura in lingua colta, Roma, Quaderni della Biblioteca nazionalecentrale di Roma, 2000, p. 47. L’articolo è apparso per la prima volta nel-la rivista Archiv für das Studium der neueren Sprachen, n. 94, 1939.

del prestigio che logudorese e, in misura minore, campidane-se illustri hanno mantenuto saldamente fino a tempi recenti,come testimoniato dai primi, “storici” verbali del premio Ozie-ri ancora negli anni ’50 del secolo scorso, in special modoquello del ’57.

Ma tant’è: se la lingua di Peppino Mereu era lontana dalparlato, gli stessi vernacoli utilizzati dai contemporanei cheBrevini definisce «neodialettali», collocandoli entro la sezioneintitolata Lirica e dialetto, con sottotitolo “La lezione del No-vecento e la scoperta delle lingue periferiche”, possono es-serlo altrettanto. Ciò per il recupero di fasi arcaiche spessofrutto di ricerca erudita e che possono essere adottate unica-mente in funzione poetica, talvolta a scapito della sostanzadelle liriche stesse, ma non di certo ai fini di un illusorio riu-so generalizzato nel parlato.30

Secondo quanto premesso non si può certo fare nostroin toto il mirabile panorama sulla poesia dialettale italianatracciato dall’italianista tedesco Wilhelm Theodor Elwert, so-prattutto quando in relazione al periodo post-unitario che anoi interessa egli, riprendendo la tesi di Giuseppe Ferrari,31

rileva che «in contrasto con la poesia italiana … sentita comecortigiana … e lontana dalla vita, si cominciò a rappresentarenella lingua della vita quotidiana, uomini quotidiani ed eventiquotidiani», fino ad evincere, secondo logica, che «la poesiadialettale ora non esiste più per sé, sullo stesso piano accan-to alla poesia in italiano comune … ma adempie un compito

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30. A tal proposito si veda F. Brevini, “Introduzione”, in Poeti dialettalidel Novecento, Torino, Einaudi, 1987, p. XI: «Certamente l’attuale ritornoal dialetto rischia di essere un’operazione doppiamente riflessa, media-ta, rispetto ad un codice che non corrisponde più ai bisogni linguisticidella comunità … di qui l’approccio al dialetto in quanto lingua dellapulsionalità, che conferma una volta di più il carattere mediato del re-cupero di questi anni».31. G. Ferrari, “De la poésie populaire en Italie”, in Revue des deuxmondes, serie IV, n. XVIII, 1 giugno 1839 e n. XXI, 15 febbraio 1840;poi in G. Ferrari, Opuscoli politici e letterari, Capolago, Tipografia Elve-tica, 1852, pp. 431-545.

come ha impeccabilmente messo in luce Carlo Dionisotti nel-la sua opera più nota. Secondo il grande italianista e filologodopo il 1374, anno della morte di Francesco Petrarca, «la gran-de poesia italiana vien meno … l’ambito della letteratura to-scana si … municipalizza … e … allora si ha, per la primavolta forse in Italia, una letteratura dialettale nel senso vero eproprio della parola, fondata cioè sull’uso consapevole di unlinguaggio di rango inferiore».34 Il tradizionale disegno unita-rio desanctisiano (ma non solo) già posto in discussione daCroce, si spezza definitivamente in frammenti, entro i quali èpiù agevole assegnare ai dialetti e ai dialettali una dimensioneprecisa e dove è finalmente riconosciuto il ruolo che essi han-no ricoperto nel lavoro di rinnovamento del linguaggio poeti-co e letterario tout court; ciò nonostante resistenze e lentezzedovute anche al corso storico del Paese, a tutti ben noto. Si ècosì aperta la possibilità di leggere la reale complessità di undialogo fra tendenze centripete e centrifughe di lunghissimadata, le cui tappe fondamentali sono costituite dalla codifica-zione cinquecentesca del Bembo e dall’Unità. In Sardegnaperò, per vedere nascere quell’«uso consapevole» e oppositivodel sardo rispetto alla lingua nazionale di cui parla Dionisotti,bisogna attendere il pieno Novecento.35

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34. C. Dionisotti, “Geografia e storia della letteratura italiana”, in Geo-grafia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1967, p. 40.35. L’esempio principe e se vogliamo “estremo” di questa consapevo-lezza da parte di un poeta novecentesco si trova nelle parole del nuo-rese Antonio Mura. Esse, difatti, riassumono un po’ tutto ciò che, con lenecessarie astrazioni della critica letteraria, ci siamo dilungati a esporrein queste pagine: «Ho usato il nuorese per la sua arcaica, rude bellezza.In ogni modo, ho voluto scartare, per quanto possibile, ogni forma diloqutio artificialis, aulica, eletta, com’è nella tradizione poetica sarda,ed ho preferito servirmi delle forme linguistiche comuni e popolariche, anche quando sembrano barbariche e anticlassiche, non perdonomai una loro aspra e pietrosa autenticità. Quando … opportuno, pernon forzare il dialetto ho usato le forme italiane» [A. Mura, “Avvertenza”,in Lingua e dialetto. Poesie bilingui, Nuoro, Edizioni Barbaricine, 1971,p. XXXI, riedito a cura di M. Virdis col titolo Su birde. Sas erbas. Poesiebilingui, Nuoro, Ilisso, 1998, con l’aggiunta di una sezione intitolata Poesie

la patria lontana e Galusè, che si trasforma in locus describensanzichè descriptus, sicchè l’elegiaca contemplazione delle bel-lezze naturali da parte di un narratore interno coincidente conl’autore implicito cede il passo al quadro sociale dipinto dallastessa fonte grazie al modello giustiano, come detto a p. 15.

In conseguenza di ciò, il logudorese illustre, lingua dellapoesia, è abbassato da Mereu attraverso la commistione e lamescolanza di codici quando egli descrive situazioni partico-larmente aderenti alla realtà sociale in cui vive, come quelladegli strati bassi che tentano i primi, drammatici approcci allalingua nazionale. Ovviamente non si deve pensare a unaoperazione di attacco preordinato nei confronti della lingualetteraria, ma a un dato di fatto secondo il quale il poeta nonesitò, senza praticamente avere il sostegno di una tradizionelocale alle spalle, ad “inquinarla” con il mistilinguismo e coni calchi di un signor Ciarla, così comici perché così aderenti asituazioni sociali che allora in Sardegna non avevano quasimai fatto parte del registro tematico della poesia locale. Ciòaccadeva anche perché simili istantanee del presente eranoavvertite come estranee ai temi ammessi al Parnaso da partedi poeti spesso volti alla contemplazione di un passato per lopiù mitico o a-storico ma che, secondo la tradizione alta lo-cale, costituiva il soggetto principe della produzione in versi.

A tal proposito ci sembra opportuno richiamare il fonda-mentale contributo di Gianfranco Contini “Preliminari sullalingua del Petrarca”, ove lo studioso afferma che «se la linguadi Petrarca è la nostra, ciò accade perché egli si è chiuso inun giro di inevitabili oggetti eterni sottratti alla mutabilità dellastoria».33 Questa costante si è in qualche modo riflessa sulla li-rica italiana tutta, dialettale compresa, ma secondo percorsipropri di ogni realtà geografica e conseguentemente culturale,

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33. Facciamo riferimento al saggio sopraccitato apparso con questo ti-tolo in Varianti e altra linguistica, Torino, Einaudi, 1970, p. 177. Essoapparve per la prima volta nel ’51 sulla rivista Paragone e, col titolo“La lingua del Petrarca”, nel volume collettaneo Il trecento, Firenze,Sansoni, 1953.

figure, il militare principalmente, è destinato l’uso di un italia-no a dir poco improbabile, che il poeta doveva aver potutoudire spesso nelle caserme. Ciò, si è detto, senza spingersi avedere in Mereu un ideologo del verismo in contrapposizioneall’aulicità della tradizione precedente. Semmai il nostro è unpoeta al passo con quanto accade nel panorama dialettale po-st-unitario, quando «alla passione e all’idealità risorgimentali,con quanto di astratto e indeterminato comportavano, succe-de un atteggiamento più realistico … rivolto all’analisi dellecondizioni della nazione».37 E in questa «operazione di discesaverso la realtà»38 si spiega anche l’adesione agli irriverenti ca-noni poetici di Stecchetti, fra cui il mistilinguismo, assai di-stante dal diffuso bozzettismo dialettale, ma anche immagini espunti tematici che possono spingersi fino ai calchi frastici. Sipensi ad esempio ai vv. 85-86 di A Signor Tanu: «Odio cud-dos viles istrozzinos / chi dan dinare su chentu pro chentu» eal v. 17 di Anima niedda: «Prestas dinares su chentu prochentu», la cui origine è da cercarsi probabilmente in PostumaXXIV. In morte di un molto reverendo strozzino, dove l’animanera, come Mereu definisce il suo prete mangia-ostie, è descrit-ta «rubando al postribolo, / rubando al convento, / prestando alsuo prossimo / al cento per cento».39

In conclusione, per completare il nostro discorso sulladialettalità spontanea o riflessa riguardo alla poesia sardapre-novecentesca si può prendere spunto da Piazzaforte diOrune, componimento redatto interamente in italiano.40 Pur

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maledire con maggior efficacia i ladri del suo bestiame. Ciò avviene du-rante un’appassionata predica-requisitoria, che ci offre così un pastichelinguistico e un esito comico assai interessanti per il discorso sui generidella letteratura sarda in relazione al mistilinguismo.37. F. Brevini, “La moneta di rame”, in Le parole perdute. Dialetti e poe-sia del nostro secolo, Torino, Einaudi, 1990, p. 168.38. F. Brevini, Le parole perdute cit., p. 169.39. L. Stecchetti, Le rime cit., str. III, p. 46.40. Riguardo a questa lirica, un verbale comico, e ai dubbi espressi dal-l’amico Duilio Caocci circa l’attribuzione a Mereu [“La poetica del con-trocanto. Note su un poeta sardo di fine ’800”, in Portales, a. I, n. 1,

Tornando al fenomeno mimetico-linguistico, col passaredel tempo esso sarà riassorbito entro il gusto del comico cheda sempre ha caratterizzato la connotazione di personaggi de-terminati dalla loro stessa parlata. Nel periodo pre-unitario, inItalia, tale connotazione si risolveva solitamente nell’utilizzodell’una o dell’altra variante dialettale, a seconda dei tipi ritrat-ti; questo avveniva con particolare evidenza nel teatro. In Me-reu invece latino e sardo mescidato all’italiano denotano lamancanza di suddetta caratterizzazione dei vernacoli nell’Iso-la. Di conseguenza il nobile, quando utilizza l’italiano, nonadopera il code mixing, evidentemente tipico di altre classisociali, come il militare o il reduce, per esempio, ma la suatipizzazione linguistica è meglio determinata dall’utilizzo dialcune formule latine e da un logudorese fortemente italia-nizzato ma non scorretto, forse una sorta di variante urbana.Ugualmente ciò accade per l’ecclesiastico,36 mentre ad altre

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sommerse che raccoglie sedici componimenti esclusi dalla prima pubbli-cazione]. Rimandiamo inoltre all’introduzione al volume di Mura intitolatasignificativamente Dialetto e cultura ad opera dell’editore Raffaello Mar-chi, riportandone solo l’ouverture: «Che senso può avere, oggi, un libro dipoesia sarda scritto da un autore colto, che avrebbe potuto tranquillamen-te poetare in lingua italiana, e che invece ha usato l’italiano come semplicelingua di traduzione e questo “parlato” di Nùoro come prima lingua … ?Ha un senso … polemico e forse persino provocatorio» (p. IX).36. Segnaliamo l’interferenza sardo/latino ad uso comico in bocca ad unecclesiastico nel testo campidanese di discussa datazione intitolato Sascomuniga de predi Antiogu, arrettori de Masuddas, scritto probabilmen-te attorno alla metà dell’800 e apprezzato, fra l’altro, da Antonio Gramsci,che ne chiede una copia alla madre in una lettera dal carcere di Milanodatata 27 giugno 1927 [cfr. A. Gramsci, Lettere dal carcere, a cura di S.Caprifoglio e E. Fubini, Torino, Einaudi, 1965, pp. 99-100 (ma cfr. ibidemanche la lettera del 3 ottobre 1927, p. 131, dove Gramsci cita a bracciopochi versi dell’opera)], e da Max Leopold Wagner, il quale ne promos-se una ristampa [cfr. Zeitschrift für romanische Philologie, LXII, 1942, pp.225-262]. Sa scomuniga è stata riproposta di recente in edizione criticaper la cura di Antonello Satta, Cagliari, Della Torre, 1983, poi, con me-desimo titolo e curatore, Oristano, Editrice S’alvure, 2002. In questo te-sto di quasi settecento versi stampato per la prima volta nel 1879 su unfoglio volante, le citazioni latine s’innestano su una variante di campida-nese rurale in bocca al povero parroco di Masuddas, che le utilizza per

terra che, invece, mostra ancora una volta di avere peculiaritàdifficili da valutare in comparazione con culture dominanti. Ese in effetti grandi frutti ha dato la ricerca demo-antropologicanell’individuazione della poesia popolare dapprima, e nellesue caratteristiche formali poi,43 ciò non pare essersi ancoraverificato per quella forte attività riflessa, ossia ‘non popolare’,che caratterizza la grande parte della produzione letteraria lo-cale. Ciò che ci preme è soltanto la necessità di uno statutopeculiare alla disamina critica di questo evidente fenomeno,se lo si vuole collocare correttamente entro la riflessione suvolgari regionali, dialetti e produzione letteraria che, dal Devulgari eloquentia ai giorni nostri, ha tracciato con spunti illu-minanti da parte di autori e studiosi troppo noti per essereenumerati al lettore, la storia linguistica e artistica italiana.

Allora bisogna cercare di capire, ad esempio, qual è ilruolo che possono occupare i componimenti mistilingui o inlingua italiana del poeta tonarese all’interno della nostra ri-flessione, per passare poi in rassegna quelli più propriamen-te “tradizionali”, premettendo quale condizione necessariache «la compresenza di più lingue in una comunità compor-ta, con l’uso alternativo dei codici, fenomeni causati dallacommutazione e dalla mescolanza di codici».44

L’argomento, accennato da Duilio Caocci e analizzato nel-lo specifico da Giancarlo Porcu nell’ambito della commutazio-ne di codice all’interno dei rispettivi articoli su Mereu più vol-te citati, merita di essere qui approfondito in base ad unaulteriore distinzione fra code switching e code mixing, ossiafra ‘commutazione di codice’ e ‘mescolanza di codice’. Conquesto distinguo intendiamo descrivere rispettivamente unasituazione linguistica in cui si verifica un passaggio da un co-dice all’altro (italiano/sardo e viceversa) che nel caso del code

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43. Si veda su questo argomento almeno l’efficace sintesi storica diA.M. Cirese, Poesia sarda e poesia popolare nella storia degli studi, dap-prima uscito in Studi Sardi, a. XVII, 1959-1960, poi rist. anast. Sassari1961, e, infine, rist. anast. Cagliari, 3T, Gianni Trois Editore, 1977.44. I. Loi Corvetto, Dai bressaglieri alla fantaria. Lettere dei soldati nellaGrande Guerra, in Officina Linguistica, a. II, n. 2, dicembre 1998, p. 9.

se esso testimonia un accettabilissimo livello di conoscenzadi questa lingua da parte di Mereu, ancora una volta non sipuò pensare né per lui, né per i predecessori (al limite, az-zardiamo, si potrebbe ipotizzarlo per Montanaru, visto il livel-lo d’istruzione, i maggiori contatti diretti col modo culturaleisolano e non e la coscienza politica) che potesse verificarsiuna contrapposizione “poesia in dialetto vs. italiano”; semmaiPiazzaforte di Orune va vista come controcanto rivolto aigeneri poetici tradizionali coi quali Mereu si confronta. Haragione quindi Ivano Paccagnella a dire che «non si può di-scutere di scernimento di dialettalità in chi possiede l’unicavariante della propria Mundart».41

Pare ovvio, per le ragioni di cui sopra, che non si possada parte nostra concordare con l’inserimento di Mereu e Cal-via da parte di Brevini entro il filone che egli definisce «orgo-glio municipale [che] nasce dalla risentita reazione linguisticae culturale degli stati della penisola di fronte al fissarsi di unanorma sentita come estranea».42 Rimarchiamo insomma la ne-cessità di approfondire non solo storicamente la nascita dellogudorese illustre, ma anche le sue conseguenze a livellod’intenzione comunicativa, in rapporto agli sviluppi più re-centi della critica sul concetto di dialettalità spontanea e rifles-sa. Queste categorie interpretative, certamente utili da moltipunti di vista per capire una cultura complessa come quellasarda, rischiano tuttavia di non poter includere nella griglia in-terpretativa che presuppongono le sfumature proprie di una

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2001, p. 102, nota 26], che a noi pare invece verosimile la paternità delpoeta tonarese, in base alla coincidenza biografica del servizio prestatoda costui assieme a Eugenio Unale, suo caro amico esplicitamentemenzionato in Piazzaforte di Orune al quale, nella seconda delle dueliriche a lui intitolate, Mereu ricorda chiaramente la condivisione delleristrettezze della vita militare (A Eugeniu Unale, vv. 112-152). Oltretuttonon ci stupisce il fatto che la lingua sia l’italiano, soprattutto per l’inten-zione mimetica che sottende all’utilizzo di tale codice.41. I. Paccagnella, “Plurilinguismo letterario: lingue, dialetti, linguaggi”,in Letteratura italiana, diretta da A. Asor Rosa, vol. II, Produzione econsumo, Torino, Einaudi, 1983, p. 111.42. F. Brevini, “L’altra letteratura”, in La poesia in dialetto cit., tomo I, p. XC.

Signor Ciarla a su fizu Ciarlatanu [s./i.]Signora maestra [s./i.]Sas giarrettieras [s./i.]Risposta amorosa [s./i.]

In base alle due definizioni di cui sopra sarà possibilechiarire la tecnica utilizzata dal poeta per poter ricavare l’ef-fetto comico-espressionistico che spesso sottende a tali pro-cedimenti.

Partendo dal primo componimento, Lamentos d’unu no-bile, ripetiamo che l’interferenza s./l. a nostro parere si deveattribuire all’influenza del Giusti, in quanto il poeta toscanoera solito utilizzare tale commistione linguistica nelle stessesue caratteristiche strofe di quinari, che Mereu riprende (cfr.la “Classificazione metrica”, p. 91). Il valore poetico dell’usodelle formule latine è legato ad un linguaggio che connota ilpassato, ipostatizzato dalla nobiltà, che si avvaleva di un for-mulario ormai vuoto e privo di sostanza.

In questo componimento si potrà parlare di code swit-ching sia per la fase s./l., sia per quella s./i., poiché la commu-tazione di codice avviene nel rispetto delle regole di entrambi.

s./l.: «Per omnia sæcula / ba’in ora mala» (vv. 3-4); «Indiebus illis / m’has fatt’onore» (vv. 5-6); «In illo tempore, /cando tenia» (vv. 25-26).

s./i.: «Mi ’ettat in cara: / Ricchezza mobile» (vv. 95-96);«Lei, Cavaliere, / poveru gai?» (vv. 103-104); «Quindi, pazien-za / tenzant pro como» (vv. 109-110).

«Miseria stabile» (v. 100) è, come detto prima, uno diquei casi in cui l’italiano pare integrarsi nel tessuto linguisti-co dominante, costituito da un sardo probabilmente urbaniz-zato, così da non essere percepito come estraneo, quindiconnotato tipograficamente.

Il caso di Solferino! è più complesso, in quanto nel sonet-to sono presenti entrambi i tipi d’interferenza: i due personag-gi, Pedru e il padrino Francesco intavolano una discussione a

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switching, avviene attraverso l’osservanza delle regole diognuna delle lingue che si utilizzano di volta in volta (cfr. su-pra p. 18, nota 16), mentre nel code mixing si verifica da par-te del parlante una mescolanza di codici per lo più inconsa-pevole, dalla quale scaturisce l’effetto comico che Mereu, nelnostro caso, intende raggiungere.

Precisiamo che l’interferenza – a parte la corruzione del-l’anglicismo dum-dum > dumu-dumu in Signor Ciarla a su fi-zu Ciarlatanu – avviene fra sardo, latino e italiano (abbr. s., l.,i.) e che, com’è ovvio, non si tiene conto in questa disaminadei numerosi italianismi penetrati nella poesia sarda in numeroconsiderevole, sulla base dell’individuazione di una differenteintenzionalità linguistica. Inoltre nella princeps è stato adottatoun distinguo tipografico secondo il quale, nei casi di commu-tazione e mescolanza di codici, i vocaboli o sintagmi non sardisono stati differenziati tramite carattere corsivo, secondo il co-stume editoriale dell’epoca. Naturalmente vi sono casi dubbinei quali tale distinzione è assente – ad esempio «e, tra paren-tesi,» (v. 37) o «miseria stabile» (v. 100) in Lamentos d’unu no-bile, ma essi sono spiegabili come forme italianizzanti di unlinguaggio poetico che le concepiva parte integrante di sé o letollerava e adottava per necessità di rima e che, perciò, nonavevano valore ai fini espressionistici. Ciò spesso non era con-cepibile nel parlato. Pertanto saranno riportati solamente casicome quello di A Nanni Sulis, dove «a sicut erat» è giustamen-te distinto in quanto latino (evidentemente il corsivo della anon sarebbe necessario), mentre «su rapio rapis» (v. 85) è incarattere ordinario, probabilmente per svista di tipografo chedi conseguenza è stata emendata. Di seguito le liriche di Me-reu che presentano fenomeni d’interferenza:

Lamentos d’unu nobile [s./l./i.]Solferino! [s./i.]A Nanni Sulis [s./l.]Caresima [s./l./i.]In Conziliatura [s./i.]A Ernesto Mereu [s./i.]

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ball -e, calledd -i (centometro deriva dall’italiano centimetro+ chilometro), creati dall’unione del morfema lessicale sardo+ la terminazione italiana, che danno la misura di una per-sonale koinè militaresca utilizzata dal reduce.47 Infine si vedala nota 29, apposta da Sulis al sonetto.

Per A Nanni Sulis, la lirica più celebre del poeta, vale lostesso discorso fatto sopra per le formule latine di Lamentosd’unu nobile: anche in questo componimento esse danno vo-ce al rimpianto del passato da parte del nobile, simboleggiatodalla lingua morta delle frasi fatte. Nel caso di rapio rapis siricordi che il soggetto logico è significativamente «s’avvocazia»(v. 75), ma in questo caso al lemma è affiancata una scolasticadeclinazione che rifà il verso alle formule dietro cui la classesociale dell’avvocatura, secondo il poeta, è solita trincerarsi.

l./s.: «A sicut erat / non torrat mai» (vv. 3-4, 133-134).s./l.: «Intrat in ballu / su rapio rapis» (vv. 84-85).

Caresima è un componimento che ha un fondo tipicamen-te anticlericale, d’impronta scapigliata, e che si compiace delfalso pentimento per la vita libertina condotta in precedenza,pentimento che può esser finto come in occasione di un dibat-timento in tribunale (vv. 69-76), dato che bastano poche for-mule per fare «sa lissi’a sa cussenzia» (v. 63) e che si può perfi-no «esser purgadu / senza su sal’inglesu!» (vv. 67-68). Pertantoecco comparire il code switching s./l.: «Su preid’oe narat: “Sesde terra, / Pulverem reverteris”» (vv. 11-12), parole definite«faeddos misteriosos e fatales» (v. 13) pronunciate dal prete eche dovrebbero ammonire la popolazione. Naturalmente il

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47. Zunchiavano è un rifacimento su tzunchiai = ‘mugolare del cane’[cfr. M.L. Wagner, Dizionario Etimologico Sardo (d’ora in poi DES), Hei-delberg, Carl Winter Universitätsverlag, 1962, s.v. qunkiare]; balle suballas = ‘palle’, quindi ‘proiettili’; calleddi equivale a ‘cagnolini’, ‘cuc-cioli’. Simili composti traggono origine da procedimenti tipici di quellavariante d’italiano interferito col dialetto che nell’Isola è chiamato po-polarmente porcheddinu, «che potrebbe essere denominato anche ‘dia-letto italianizzato’» [I. Loi Corvetto, Dai bressaglieri cit., p. 14].

partire dalla battuta in italiano del primo – anche se l’Ebbè ini-ziale ha un forte sapore dialettale – che dà il via ai ricordi diguerra del secondo, già peraltro predisposto ad utilizzare ilsuo personalissimo italiano dalla situazione linguistica instau-ratasi col suo interlocutore. Inoltre, proprio la guerra, come ilmilitare, costituisce una base più che propizia per effettuaretali esperimenti linguistici, vista la commistione di lingue chesi verificava fra i soldati provenienti dalle diverse regioni d’Ita-lia e che diede vita a una «koinè popolare interdialettale», co-me la definisce De Mauro, che consentiva per lo meno la mu-tua comprensione.45

Entrando nel merito dei singoli versi, si nota nelle quar-tine una disposizione dei «fenomeni di code switching … ri-feriti in modo da restituire sensibilmente l’idea d’inserto, conquel sigillare, entro la quartina, l’enunciato sardo tra due as-serzioni in lingua, marcandone i confini con la rima».46

Ecco i vv. 1 e 4 in italiano (AA), inframezzati da due ver-si in sardo, 2 e 3 (BB), connotati dal corsivo. Lo schema ri-mico è ABBA, valido anche per la quartina successiva.

i./s.: «“Ebbè, come la va, signor Francesco?” / nesit Pedrupassend’in su camminu, / “semus a s’orizzont’e su destinu: /vieni figlioccio che prendiamo il fresco”».

Vv. 5, 8: «“Ti voglio raccontar, se ci riesco, /… /… / co-me fuggì l’esercito tedesco”».

Al code switching delle quartine segue, nella prima terzi-na, il code mixing:

«La notte che ci avevano attaccati / zunchiavano le ballesulla testa / come fanno i calleddi appena nati».

La dialettalità in funzione comica nell’interferenza i./s. èaccentuata in particolare da composti quali zunchia -va -no,

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45. Lo stesso studioso, in Storia linguistica cit., pp. 106-107, aggiungeche «il servizio militare … allontanando per un certo periodo gli indivi-dui dai luoghi di origine … ha concorso ad indebolire le tradizioni dia-lettali … l’uso costante dell’italiano era però eccezionale nell’esercitoimmediatamente postunitario anche fra gli ufficiali … ancora al tempodella prima guerra mondiale … l’uso del dialetto era consueto».46. G. Porcu, “In Conziliatura” cit., p. 60.

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sua lingua, oltre a non padroneggiare neppure l’italiano. Per-ciò è rimproverato in questo modo: «Dae cando ses benidu /non has bettadu faeddu in derettu. // Has lassadu su tou dia-lettu, / de varios limbazos ses cundidu» (vv. 45-48). Egli rap-presenta non solo l’emigrato privo di contatti con la nuovarealtà che lo ospita, ma anche colui che perde in certo qualmodo l’appartenenza, linguistica in primis, alla comunità d’ori-gine. Si tratta, insomma, di un piccolo riassunto delle spaccatu-re della società post-unitaria.

Da notare è anzitutto la presenza del code mixing, suddi-viso però fra una sorta di discorso indiretto libero che rifà ilverso al linguaggio del soldato: «Como chi prallas tottu talia-nu» e il discorso diretto «naras: “Voi” …». Inoltre è presentenon solo il dato lessicale relativo all’italiano militaresco di cuisopra, ma anche quello sintattico, con l’anacoluto Voi :: noncapisci di cui sopra, espediente che, fra l’altro, sarà ripresoanche nel sonetto In Conziliatura. Infine, è da sottolinearel’espressione tou dialettu, forma certamente colta e italianiz-zante, che connota il sardo come prima lingua di Ernesto, ri-spetto all’incalzante e nuovo talianu, almeno per quanto ri-guarda la lingua d’uso. Allora con «non has bettadu faeddu inderettu» e «duos faeddos non pones in liga» Mereu si riferiràalla mancanza di competenza in entrambi i codici, esprimen-do così lo spregio nei confronti della commistione linguisticaadottata dal nostro sergente, non della sostituzione del “dia-letto” a favore dell’italiano.

In Conziliatura prende l’avvio da un’altra situazione incui il confine lingua/dialetto non poteva essere tenuto sepa-rato, poiché i burocrati «dai trasferimenti sono stati costrettiad abbandonare … il dialetto d’origine e diffondere un tipolinguistico unitario».49 Naturalmente Mereu, che ebbe occa-sione di lavorare per la Conciliatura del proprio paese, nonperde l’occasione di ritrarre in modo più che riuscito le diffi-coltà che insorgevano al momento dell’utilizzo di un gergo

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49. T. De Mauro, Storia linguistica cit., p. 105.

poeta dà a questa, come ad altre formule consimili, un pesomorale nullo, tant’è che nella strofa successiva l’effetto ammo-nitore delle sue parole è spento da quel pensare di essere ter-raglia, ‘vasellame’, e di poter scendere a patti con la fragilitàumana, che porta a peccare, semplicemente con l’apporre sulleproprie spalle un cartello che reca scritta un’altra formula, frasardo e italiano per esigenza di rima: «Vetro-posa pianu» (v. 20).

Stesso discorso per «s’eternu mea culpa» (v. 24), atto dipentimento smentito con continue allusioni in tutto il testo.

La serie di sonetti A Ernesto Mereu è affine nello spuntolinguistico a Solferino!, in quanto l’occasione parodistica èdata dal ritorno di Ernesto, «sergente in su Geniu», al paesenatio. Egli si esprime in quel linguaggio militaresco che ab-biamo descritto in precedenza e che Mereu dovette cono-scere bene, vista la sua permanenza nell’Arma dal ’91 al ’95.La questione è toccata esplicitamente nel sonetto [IV] e il mi-stilinguismo si concentra nell’ultima terzina:

«Como chi prallas tottu talianu, / finas a frade tuo naras:“Voi, / sardo molente, non capisci miga!”» (vv. 54-56).

Prallas è forma metatetica sardizzante < italiano parlata> prallata > prallare; talianu, con l’aferesi della i – forse unrifacimento sul veneto – e il prolungamento della fonesi do-vuto alla iatizzazione che rende la parola quadrisillabica, as-sume una sfumatura spregiativa. L’ultima frase è tipica di unrepertorio diffuso fra le truppe, in cui si evidenzia l’improba-bile anacoluto Voi :: non capisci, con quel miga a suggello,quale tipica esclamazione connotante personaggi simili.

Da notare è il fatto che il “mimetismo dialettale” – «la faci-lità con cui il meridionale è individuato attraverso il suo com-portamento linguistico» di cui parla De Mauro a proposito dei«pregiudizi etnici contro i meridionali che abbandonano ilSud»48 per andare a lavorare nelle industrie del settentrione –mostra in Mereu l’altra faccia della medaglia: Ernesto, al suo ri-torno, è fatto oggetto del mimetismo perché ha dimenticato la

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48. T. De Mauro, Storia linguistica cit., p. 87.

insomma l’inibizione del suono [r] a causa della connotazio-ne “regionale” che ad esso è attribuita e che, nella sua varietàd’italiano interferito, diverso «rispetto al fenomeno che sta al-la base della varietà dell’italiano regionale»,51 è sentito comediastraticamente connotato verso il basso, quindi poco tolle-rato in Sardegna, soprattutto da parte degli italofoni.52 Il con-trario accadeva nel citato sonetto Il lupo e il miritare, doveinvece è stato marcato con intento parodistico il suono senti-to come locale; in questo caso però non si può parlare di co-de mixing, in quanto la voce del narratore, che coincide conl’autore implicito, ha coscienza dell’interferenza e non sussi-ste alcun tentativo di mimesi da parte sua. Si può dire che alivello di lessico le neoformazioni create dall’interferenza sar-do/italiano sono corcav -o e selva; rumu e dumu dumu sonoovviamente forestierismi addomesticati. Per il resto si utilizza-no inserti in dialetto all’interno di frasi in italiano.53

Una breve notazione sul personaggio di signor Ciarla, chericorre in due sonetti: il suo nome deriva da ciarlare, voceonomatopeica per ‘chiaccherare’, (sardo tsarrare o carrare),in modo tale che egli risulti pesantemente connotato già a par-tire da questo primario elemento identificativo, il nome appun-to. Difatti Mereu fa riferimento all’abitudine che egli attribuisceal personaggio in questione di utilizzare l’italiano “traducendo-lo” a sua volta dal sardo, senza possederlo a sufficienza. Si-gnor Ciarla rappresenta un personaggio tipizzato, che incarna

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51. I. Loi Corvetto, “La Sardegna”, in I. Loi Corvetto, A. Nesi, La Sarde-gna e la Corsica, Torino, Utet, 1993, pp. 88-89, pubblicato nella collana“L’italiano nelle regioni”, a cura di F. Bruni.52. Cfr. I. Loi Corvetto, Dai bressaglieri cit., pp. 17-20.53. Corcavo < sardo corcare (*COLCARE): è forma sincopata, per influssodialettale, per ‘(mi) coricavo’; rumu è un forestierismo, come detto, doveè stata aggiunta una u epitetica per la nota avversione nei confronti dellefinali di parola consonantiche propria tanto del sardo quanto dell’italiano,oltre che per esigenza di rima con fumu; cando sta per ‘quando’; prumu= ‘piombo’; zudda = ‘setola’ (etimo incerto); perra perra = ‘per metà’ (cfr.DES, s.v. pèrra1); dumu dumu = ‘dum dum’ < Dumdum, località nei pres-si di Calcutta. Si tratta di proiettili a frantumazione incisi a croce sulla pun-ta e fabbricati a Calcutta, per l’appunto, alla fine dell’Ottocento.

tecnico in italiano da parte dei dialettofoni e che, dopo il co-de switching i./s. tutto sommato “innocuo” del v. 5 («state zit-to! Mi cherzo rispettadu»), esplode nel code mixing della terzi-na conclusiva:

«Questo non prallate, giudico io, / stia zitto, se no condan-no ad Ello, / e poi vi faccio vedere cosa sono!», dove una con-cordanza a senso come prallate :: stia zitto è elevata al quadra-to dal cultismo latineggiante del pronome Ello,50 con l’ultimoverso vagamente ellittico – da notare l’utilizzo del pronomecosa per il più corretto chi – che suggella la fumosità del lin-guaggio giuridico, in cui le voci degli attanti appaiono confusequanto i ruoli che essi dovrebbero ricoprire istituzionalmente.

Signor Ciarla a su fizu Ciarlatanu, nuovamente un so-netto, presenta insieme caratteri di slittamento e giustapposi-zione di codice, ancora una volta legati ai ricordi di guerra:dopo un attacco in italiano corretto si ha subito il code swit-ching i./s. al v. 2 («sì, caro mio, sono stato in guerra, / demaccarrones nd’happo bidu fumu»). Ai vv. 3-4 si verifica ilcode mixing («avevo freddo e mi corcavo in terra / allora nonconoscevo neanche il rumu»).

Il code mixing, evidenziato dal corsivo, prende il soprav-vento ai vv. 5-6 della seconda quartina: «Cando le balle sichiamavan prumu / spaccavano una zudda perra perra»,mentre ai vv. 7-8 si ritorna al code switching s./i.: «E benemin-de ballas dumu dumu, / porcherie inventate in Inghilterra».

La prima terzina prosegue con questo espediente: «Io sìche ne ho visto di disastri / reduidu a peus de una belva /pro fagher una e libera s’Italia», mentre i versi conclusivi do-vrebbero essere tutti in italiano, se non fosse per quel selva,dove si verifica il passaggio r > l per ipercorrettismo attribui-bile a quel fenomeno che porta i dialettofoni privi di padro-nanza dell’italiano ad utilizzare dei vocaboli che al loro orec-chio sembrano escludere la possibilità del code mixing. Si ha

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50. Ello potrebbe anche essere una corruzione intenzionale del più cor-retto pronome di 3a persona ella.

Sas giarrettieras è il secondo sonetto dedicato a signorCiarla ed è strutturato in maniera più complessa rispetto aicomponimenti esaminati in precedenza. Alla voce narranteche occupa le prime due quartine segue la domanda di untoscano, in forma diretta, che chiede ragione di una melodiadescritta con toni volutamente elegiaci: «Canticu lontanu»,«armonia de boghes», «trillos de puzoneddu in su beranu»(vv. 6-8), in previsione del brusco abbassamento di registrosuccessivo dovuto ai tre versi finali, quando giunge al primointerlocutore la sconclusionatissima risposta del nostro:

«Quelle lì son le donne giarrettiere, / cantano, poverine,ma la giarra / è a sessanta centesimi il montone» (vv. 12-14).

In questo caso è particolarmente riuscita l’operazione dicode mixing, per il fatto che, come dice Giancarlo Porcu, «il per-sonaggio mereiano ha ritenuto, partendo da giarra (‘ghiaia’), diderivarne un sostantivo indicante quelle donne del paese che,accompagnandosi col canto, lavorano la ghiaia».55 Inoltremontone < sardo muntone, sta per ‘mucchio’, con passaggiou > o che “giustifica” l’adozione del vocabolo.

Da ultimo segnaliamo il code switching di Risposta amo-rosa, dove la pastorella, secondo la parodia dell’omonimo ge-nere, dà cruccuriga (‘zucca’, quindi ‘rifiuto’) al cavalier Fro-migadizzu, nobile al quale si conviene la lingua ufficiale.56

L’italiano apre la strofa per tre volte (cfr. i vv. 1, 9, 37), col fi-ne di innalzare comicamente il registro, per abbassarlo peròcol sarcasmo canzonatorio che pertiene alla connotazione dia-stratica del sardo, che dà voce alla saggezza del popolo, co-me traspare ben chiaro dai vv. 17, 26.

Prevale il code switching effettuato attraverso la separa-zione dei versi, a parte un caso di mescolanza all’internodello stesso verso («e lei è spasimante pro sa doda», v. 20):

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55. G. Porcu, “In Conziliatura” cit., pp. 60-61.56. Quest’ultimo utilizza l’italiano solo al v. 12 di Proposta amorosa, maquel «o signorina senta» può essere visto come un italianismo ammessonella koinè urbana utilizzata da simili personaggi, appartenenti alla no-biltà decaduta.

il parlante incolto e risibile che il poeta però, sufficientementeistruito per poter cadere in simili errori, non doveva vedere dibuon occhio (cfr. la critica presente in A Ernesto Mereu). An-che il figlio è definito ciarlatanu, ossia ‘chiacchierone’, ‘logor-roico’, e lo stesso Mereu utilizza il vocabolo con questa acce-zione in A Eugeniu Unale [I], vv. 191-193: «Deo t’happ’a iscrierfrequente / fin’a mi narrer maccu e infadosu, / ciarlatanu, sec-cant’e imprudente» [cfr. DES, s.v. carlatánu].

Signora maestra tocca un altro tasto dolente dell’Italiapost-unitaria: quello dell’istruzione, cui abbiamo già accen-nato in precedenza. In questo caso la confusione è dovutaall’interferenza fra codici in un paese che conosceva un lar-go utilizzo del dialetto nelle scuole, sia da parte degli alunni,sia dei maestri, tollerato in Sardegna già ai tempi del gover-no sabaudo.54 Nella prima strofa (vv. 1-6), a partire dall’ita-liano dei primi due versi, l’endecasillabo al v. 3 («no isco sicheret emma maiuscola») introduce il code switching, cui se-gue il code mixing di bibanda < sardo bibere = ‘bevanda’,dove l’interferenza del sardo dà origine ad una neoformazio-ne che non è difficile udire ancora ai giorni nostri, ma chefuoriesce dalla bocca della maestra, fatto per allora non cer-to inverosimile. A parte il date attenzione al v. 10, che sem-brerebbe un calco dal sardo per l’utilizzo di dare in luogo difare, si deve giungere al v. 30, dove cioè ha inizio la se-quenza di cognomi che segna il ritorno al sardo: «Gavina Pi-biu: / A su riu. / Luciana Gasparra: / A sa giarra. / MariannaFrisciola: / Cussa na’ chi non torrat a iscola» (vv. 30-35).

La commutazione di codice i./s. conclude la poesia nellaquartina finale, dove a due versi in italiano ne seguono duein sardo, a rima baciata come nella strofa precedente.

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54. «L’impiego delle varietà dialettali nell’isola non viene ostacolato, maanzi si caldeggia il ricorso al dialetto, nella pratica didattica, quale ‘pon-te’ verso l’apprendimento dell’italiano» [I. Loi Corvetto, “La Sardegnaplurilingue e la politica dei Savoia”, in Lingua e letteratura per la Sar-degna sabauda. Tra ancien régime e restaurazione, a cura di E. SalaDe Felice, I. Loi Corvetto, Roma, Carocci, 1999, p. 64]).

rapporto col passato, in quanto ne usufruisce con certa libertà– non potrebbe essere altrimenti – senza però subirlo acritica-mente, riuscendo così a plasmare questo patrimonio secondole esigenze del suo personalissimo stile, del resto ancora in fa-se di formazione. Ciò che stupisce piacevolmente è la selezio-ne severa del materiale ereditato che egli accoglie, sintomo diun gusto ed una acculturazione non facilmente riscontrabili inun giovane ventenne con pochi anni di scuola alle spalle.

Una poesia “di confine”Si è già accennato qui e nella “Classificazione metrica” a

questi due concetti che, per i loro caratteri costitutivi, ci porte-rebbero assai lontano e richiederebbero una trattazione a par-te per poter aspirare lontanamente all’esaustività. Più volte èstato messo in evidenza l’influsso di Giusti, Stecchetti e delle«esperienze della poesia scapigliata o pre-crepuscolare»57 neitemi della malattia per la tisi di Moribunda (si pensi a Loren-zo Stecchetti, che sarebbe un cugino tisico del Guerrini), l’an-ticlericalismo, certa tensione all’eros e alla necrofilia ecc.

La diffusione di questi modelli nell’Isola contribuì all’inse-rimento di quest’ultima all’interno delle correnti culturali “na-zionali”, pur se avvertiamo la necessità di ricordare che nonsempre in poesia il nuovo è sinonimo di positivo, come purelo sguardo rivolto alla tradizione non dev’essere necessaria-mente bollato come “ritardo”. Ciò per evitare di considerarequest’ambito di studi secondo i medesimi parametri di certacritica di stampo desanctisiano ormai, ma non del tutto, supe-rata, che vede la letteratura – come anche, ad esempio, la sto-ria o in generale l’avvicinamento alla lingua nazionale – comeun progressivo miglioramento dall’antichità ai nostri giorni, eche ha emarginato il mondo dialettale soprattutto dalle anto-logie, potentissimi media di divulgazione. D’altronde, ancheper riprendere quanto detto all’inizio di questa prefazione, la

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57. G. Pirodda, “L’attività letteraria tra Otto e Novecento”, in Storia d’Ita-lia. Le regioni dall’Unità d’Italia a oggi. La Sardegna, a cura di L. Berlin-guer e A. Mattone, Torino, Einaudi, 1998, p. 1092.

«Signor cavaliere, / eccomi a cumprire su dovere» (vv. 1-2); «Lei lo sa che sono pastorella, / tottu canta sa mia paren-tella» (vv. 9-10); «Cavaliere carissimo, capita; / a mie deghetunu cun berritta» (vv. 21-22); «Fromigadizzo caro, / col mas-simo rispetto mi dichiaro / de fostè …» (vv. 37-39).

Da questa breve panoramica si può quindi notare comel’esperimento linguistico in Mereu giochi un ruolo assai impor-tante, ma non disgiunto da quella tensione ad aderire al veroche caratterizza le liriche espressamente “impegnate” e che quiassume i toni propri del mimetismo e del plurilinguismo.

Naturalmente la sua poesia non è solo questo e non vasempre “contro”, ma accoglie in sé numerosi tratti della tradi-zione locale, ben evidenti, ad esempio, in prove quali A Tona-ra, come detto. Difatti versi come «hant sas melas / provocan-tes de sinu, / sutta su velu de candidu linu. / Issas parentlizos, / biancas, bellas, robustas e sanas» (vv. 158-162) nonpossono non richiamare alla mente le più classiche immaginidi bellezza muliebre ripetute infinite volte nella poesia logudo-rese. Tutto ciò non dev’essere però visto come il segno di unaqualche disomogeneità all’interno del corpus, semmai si trattadella oggettiva presenza nel poeta di un immaginario e di for-mule praticamente imprescindibili dall’atto poietico, al qualeperò Mereu mostra altrove di volersi contrapporre, probabil-mente con costanza sempre maggiore in rapporto alla sua ma-turazione artistica e culturale e in seguito alla selezione deimodelli cui si è già accennato. Queste due fasi fanno sì che ilpoeta di Tonara si ponga nei confronti della poesia a lui coevain una posizione se vogliamo di sfida, ma con una attestazioneforte della stessa nella sua produzione, fino a casi ecclatanticome quello della lirica summenzionata, ma che si potrebberilevare frequentemente anche in altre, come ad esempio inNon ti poto amare, un po’ di maniera, o Unu ballu in masche-ra. Talvolta invece, la presenza del filone aulico è funzionale,come tenteremo di spiegare nel paragrafo seguente, alla suamessa in discussione attraverso il contrasto con la linea “bas-sa”, conformemente con quanto accade nel panorama dialetta-le post-unitario. In definitiva Mereu sembra vivere un buon

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Amigu ’e sos affannos,59 quando l’aedo macomerese dice cheil povero «furat una pitticca bagattella / pro tenner su susten-tu in porzione / li giurat su riccu una carella / e che finit sosossos in presone» (str. 8), mentre «su riccu hat a furare iscu-dos chentu / e no bi l’ischit nessuna pessone. / Su poberu sifurat su sustentu / li naran chi est pubblicu ladrone» (str. 9).

E ancora, si veda in Mereu l’immagine del povero cheelemosina il pane al ricco: «Miserinu su c’andat pedidore / apedir’unu bicculu ’e pane / a su gianile de calchi segnore. /Su riccu dàt biscottos a su cane, / e a su poveru narat: “Prei-zosu, / trivaglia, e dae me istad’addane” // … tottu sos pove-rittos sunt mandrones / pro sos attattos, ca no hant connotu /famen, affannos e afflissiones» (vv. 115-120, 124-126) e la siconfronti con alcuni versi della stessa Amigu ’e sos affannosdi Murenu: «Sos miseros de benes e de pannos / pro chi sianastutos, paren tontos [str. 2] // … sempre ch’andat s’afflittubirgonzosu / a domo de su riccu ingratu e feu … / ei su ric-cu artivu, potentosu, … / a lu lassare reu hat da usanza; /non li narat: né sezze, né avanza» (str. 3).

In effetti Mereu non è inscrivibile, se non in piccola parte,entro il filone dei dialettali che si rifanno a una tradizione“maggiore” pressoché fissa e ben determinata come ad esem-pio l’Arcadia per i suoi numerosi seguaci nell’Isola, fra i quali ilpiù noto è certamente Paolo Mossa. Il poeta tonarese inevita-bilmente segue, come detto altrove, dei modelli, ma la ribellio-ne nei confronti della tradizione sta proprio nella selezione diessi e nella rielaborazione dei temi trattati. In breve, se si guar-da non alle singole liriche ma si assume una visione d’insieme,si nota quella già accennata commistione fra opzioni poetichecontrastanti che ne fa senz’altro un autore complesso, nonsempre inquadrabile con etichette che, per forza di cose, nesacrificherebbero taluni aspetti, pur importanti. E l’esperienzainsegna che, spesso, proprio fra i dialettali l’attitudine al mul-tiforme, all’adesione nei confronti di un reale escluso dalla

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59. Citiamo da M. Murenu, Tutte le poesie, a cura di F. Pilia, Cagliari,Della Torre, 1990.

questione del “ritardo” appare ribaltata se si analizza Mereu inun’ottica interna alla poesia sarda: egli difatti giunge a unarottura delle griglie d’interpretazione dei precedessori datadall’immissione di modelli, temi e linguaggio poetico attuali,che lo portano ad un abbassamento di registro rispetto allaconsueta produzione poetica locale. Ciò si può inferire dalladecisa e talvolta brutale satira ma, più spesso, dalla consape-vole commistione di generi e forme.

Nella varietà di argomenti e registri toccati dal corpus me-reiano, ci sembra di poter individuare una delle caratteristichecostitutive più importanti della poesia del nostro. A Mereupiacciono le “zone di contatto” fra un genere e l’altro, lacommistione appunto, che gli consente di liberare al massi-mo l’estro poetico e di ampliare le tonalità linguistiche, spes-so a fini dissacratori. Egli, nonostante l’immagine che si evin-ce dalla sua condizione di povero reietto, conserva un fondocomico che, se nella silloge del 1899 appare contenuto dauna comprensibile selezione del materiale poetico, tuttavia viappare già ben evidente, per accentuarsi poi nella restanteproduzione, di derivazione prevalentemente orale. Dice be-ne Duilio Caocci quando parla per Mereu di una «lunga tra-dizione comica e “realistica” esercitata al controcanto»,58 nési può e si deve pensare a costui come a un poeta di totalerottura, fatto comunque impossibile, come ci insegna la teo-ria della letteratura, nei confronti della tradizione locale a luiprecedente: basti pensare ad esempio al forte influsso diMelchiorre Murenu sul nostro, riscontrabile in una delle liri-che mereiane più note per la forte carica di protesta socialeche vi è insita, cioè A Nanni Sulis [II].

Nella descrizione mereiana del povero che ruba per so-stentamento («mentres chi unu poveru appretadu / furat pros’appititu unu cogone, / lu ’ides arrestadu e cundennadu», vv.97-99) contrapposta a quella dei ricchi che, invece, possonocostruire interi «palattos fraigados / dae sa man’infam’ ’e sarapina» (vv. 103-104), non possiamo non vedere il Murenu di

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58. D. Caocci, “La poetica” cit., p. 96.

Bisogna chiarire però che l’anticlericalismo del Mereu nonfu “di maniera”, e che non fu neppure contestazione meditatadella verità della Scrittura, anche perché egli stesso si premuradi dichiarare apertamente il proprio credo in Su testamentu:«Deo non so marranu e creo in Deu / prîte m’han’imparadu al’istimare / dae minore mamma e babbu meu. // Però sos cor-vos los lasso bolare / bestidos de terrena finzione, / manc’amortu nde cherzo fentomare» (vv. 25-30).61 In questa excusatioci pare si possa intravedere quel fenomeno che riguardò poeticome Porta e Belli, secondo il quale «gli autori si sono … affret-tati a giurare che se la pagina è lasciva la vita è però proba».62

Ci pare opportuno sottolineare definitivamente che la chie-sa in Mereu non appare come istituzione di potere da abbatterein funzione del riscatto delle masse contadine, come si dovreb-be abbattere qualsiasi potere “lobbistico”, secondo quanto pro-pugnato dalla corrente socialista di quegli anni e divulgato dallapesante satira di riviste come L’asino [1885, 1914]. Essa è, inve-ce, un apparato da demistificare nella sua interpretazione delverbum ecclesiastico, fatto passare arbitrariamente per verità as-soluta e capace di condizionare la vita dei bassi ceti. La forza

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61. Assai somigliante in questo è l’atteggiamento di Antonio DomenicoMigheli, che nel Cantigu segundu: umilidade preidesca [in A.D. Mighe-li, Sa briga cit., pp. 115-124] scrive: «Non naro male a sa religione /Ch’in Palestina Gesus hat fundadu, / Sa cale (appende bene ijaminadu)/ Analoga l’incontro a sa rejione; / Ma naro male de calchi pessone /chi de sa tale si nd’est abusadu!» (str. 17). Così egli se la prende controil presuntuoso monopolio culturale esercitato da sos sazerdotes: «A cre-re a su chi naran zegamente / Cheren sos autocrates rettores!» (str. 13),mentre «Nois che profanos e plebeos / Tottu devimus crer senz’osser-vare» (str. 14). Inoltre, come il Mereu critico nei confronti dei bacia-pileo basa mattones, il poeta osilese se la prende contro «sa bacchettonacredenzoneria … [chi] / no est de moda e s’est fatta istantia» (str. 22). Intale analogia si può intravedere un sentire comune ai due personaggi enon solo, che si diffuse in Sardegna nel secondo Ottocento, per andarepoi a confluire nel nascente socialismo, che tanto seguito ebbe fra nu-merosi poeti coevi, come si può riscontrare da una disamina delle nu-merose effemeridi letterarie del tempo.62. F. Brevini, “L’altra letteratura”, in La poesia in dialetto cit., tomo I, p.LXXXI.

poesia ufficiale, risulta una delle caratteristiche più diffuse. Na-turalmente non si parla solo di ribellione ai generi, ma anchealla cultura e alla lingua che essi rappresentano, e in questoMereu si dimostra assai aggiornato, soprattutto nel dosare lasua tecnica contrastiva ad uso comico, in una frequente altale-na fra “alto” e “basso”. Egli difatti appartiene a una stagionepoetica che è definibile, con Brevini, comico-realistica,60 quan-do cioè, fra ovvie sfumature, si verifica il passaggio dalla dia-lettalità intesa come sinonimo di comicità o folklore ad una in-terpretazione della realtà che, pur non privandosi del riso edei soggetti “bassi”, tende ad essere aderente ad essa, e nondisimpegnata o fine a sé stessa. Tale stagione inizierà a sfuma-re invece con Antioco Casula, poeta che si distanzierà progres-sivamente dalla tradizione comico-mimetica per abbracciareuna linea “alta”, verificabile anche nella metrica, tendente al-l’effusione dell’io lirico, spesso collocata in ambienti naturali edomestici fortemente connotati in senso localistico, che impli-cano il vagheggiamento del passato e appaiono profondamen-te intrisi di nostalgia, senza trascurare in questo processo l’in-flusso di Sebastiano Satta e del decadentismo.

Per tornare alla mescolanza di generi, temi e registri cuisi accennava in precedenza, si pensi ad esempio a un com-ponimento come Caresima, apparso nella princeps e nelquale si passa dalla commistione linguistica fra sardo e lati-no a quella dissacratoria di cibo – che simboleggia il sensodi colpa – e religione, il cui vuoto concettuale è rappresen-tato dalle inutili formule latine. Nel complesso Caresima su-scita certamente il riso, ma con altri intenti sullo sfondo chenon quello superficialmente comico. Inoltre, ad illustrare ilbeghinismo ipocrita dei penitenti durante la quaresima ba-stano i fitti elenchi di cibi, tutt’altro che poveri e umili, aiquali “rigorosamente” essi devono attenersi, dato che «sunibaranta dies de dieta … / su pisch’est permittidu, de sa peta/ assolut’astinenzia» (vv. 29-32).

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60. F. Brevini, Le parole perdute cit., specialmente nel capitolo intitolato“Dal comico al subime”.

gioco contrappuntistico si fa ancora più esplicito, con la dissa-crazione definitiva della domina ottusa che cerca inutilmentedi soffocare nella religione i suoi istinti: troverà invece soddi-sfazione ai suoi bisogni non nella fede, bensì nella brutale“concretezza” del socialista, che conclude col riso becero que-sta irriverente parodia di corteggiamento.

Infine, in Minca maccaca il tema del sesso si mescola al-la malattia, ai dettagli anatomici più crudi e ributtanti, che giànell’incipit presentano la tecnica contrappuntistica attraversol’ardito accostamento al membro virile di due aggettivi “epici”e alti quali funesta e fatale, che contrastano col primo (mac-caca = ‘stolta’), sì da creare una drammaticità comica tipicadella poesia dialettale nei suoi vari e differenziati sviluppi.

Un altro filone che Mereu ama è evidentemente quellodella deformità, sulla cui popolarità a partire dal contadinoruzzantesco non è necessario discutere più a lungo in que-sta sede, se non per richiamare il fatto che fin dal Medioevo,come ben chiarito dagli studi di Bachtin sul carnevalesco, ta-le strada è stata percorsa con grande frequenza dai dialettali.Naturalmente alla satira del villano, tipica di tutta una partedella poesia in dialetto, non si può ascrivere l’intento poeti-co mereiano, volto invece all’osservazione della quotidianità,della povertà come detto in precedenza, e che si colloca piùin generale entro il fenomeno del distacco fra i dialetti e ilmondo che essi descrivono e fra la lingua letteraria e i suoisplendidi ma remoti soggetti, con tutte le specificazioni fattein precedenza per il caso della Sardegna.

Ecco allora comparire la bruttezza nel tipo della vecchiadeforme di Sa teracca mia, il popolo misero di Su bandu,l’emarginazione sociale di Adultera, l’accostamento fra uomoe animale di Su canarinu de su rettore, e così via. Il poetamette in campo una galleria tipizzata, divertente nei suoi trattideformati e nel linguaggio, ma anche compartecipata e triste,

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tu sei l’angelo mio, / tu sei la mia speranza e la mia fede: / parla d’amoree non parlar di Dio» [L. Stecchetti, Le rime cit., p. 94].

poetica di Mereu, qui e altrove, risiede a parer nostro nella suacapacità mimetica tipica della satira più intelligente – anche inquesto Giusti si è rivelato buon maestro – che gli consente disfumare la critica sociale e di costume in modo senz’altro fine.

Un altro fatto da sottolineare nel nostro poeta, da ascri-versi alla tendenza contrappuntistica nei confronti della tradi-zione alta, è la presenza dell’osceno, del triviale, sia in formachiaramente allusiva, sia in forma esplicita. Anche il riferimen-to alla corporeità, alla sessualità, dà adito alle commistionipiù dissacranti fra generi, temi e classi sociali. Premettiamoche per questo filone vale quanto detto prima sul processodi selezione poetica avvenuto per la princeps, per cui si pas-sa dall’innocente «si calchi femminedda / ti mustrat sa bun-nedda / nara c’has fattu vot’ ’e castidade» (vv. 39-41 di Con-sizos a unu amigu), concetto per di più collocabile entro ilgenere antiuxorio di maniera che lo rende in qualche modo“lecito” all’interno della raccolta, alla ben diversa sostanza diSu socialista a una bigotta, di Minca maccaca o di Piaz-zaforte di Orune, frutto della successiva e meritoria indaginesvolta dal Collettivo “Peppino Mereu” di Tonara.

Quale esemplificazione di commistione irriverente ci pareparticolarmente adatta Su socialista a una bigotta. Nel primodei due sonetti di cui si compone la poesia, al registro appar-tenente alla poesia amorosa di tipo non idealizzante e che ri-corda a tratti, nella prima quartina ad esempio, il linguaggiodei mutos, fa da contrappunto il bordone anticlericale. Que-st’ultimo, col continuo riferimento ai feticci della chiesa («lassasos santigheddos d’ozu seu», v. 7), ai sacramenti («de candoses cun sa cunfessione», in rima con tentazione, v. 1), alla ge-stualità rituale del fedele («basa a mie, non bases su mattone»,v. 8), diviene man mano più esplicito nelle terzine, col verso«lassa sos Santos, faedda de affettu» (v. 9) che ricorda assai davicino quello conclusivo del sonetto Postuma LII di Stecchetti:«Parla d’amore e non parlar di Dio».63 Nel secondo sonetto il

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63. Si leggano i cinque versi finali di questo componimento: «Ella dicea:l’anima tua non crede / al Cristo, al tuo custode angelo pio? // Io le dicea:

colpos de iscova» (A Eugeniu Unale [I], v. 70). Nello specificoper il poeta tonarese si devono tenere presenti gli influssi dellapoesia satirica isolana (cfr. ad esempio il Murenu di Sa liberti-na, Dinda troppu fantastica ecc.), di quella scapigliata e deigià citati Giusti e soprattutto Stecchetti (cfr. ad esempio Postu-ma XX). Ciò in maniera particolare nell’immagine dell’amataassociata ai successivi tradimento, indifferenza, abbandono,malattia e precoce morte del poeta, che così maledice dallatomba – ma anche in vita – colei che lo ha illuso.

Infine non si deve tralasciare di spendere qualche parolasul fondo propriamente lirico di questo poeta, nel quale cipare si possa intravedere una maggiore presenza della tradi-zione locale rispetto ai filoni più sperimentali, ricollegabili allacritica sociale di cui si è detto precedentemente. Nell’emble-matico e già citato caso di Galusè, ad esempio, la contempe-ranza di entrambi i cotè dà luogo a una delle prove poetichepiù belle, ove lo slancio creativo e la facilità di verso consen-tono a Mereu di collocare almeno su tre piani, fra loro forte-mente collegati, la diegesi: si parte difatti dalla classica ma riu-scitissima presentazione della fonte come locus amoenus, checertamente non risulta nuova alle orecchie di chi pratica lapoesia sarda e che giunge fino al v. 56. Il tutto è però reso“leggero” dalla costante ironia che stempera il tòpos e da in-serti e allusioni in suspu, ossia criptici, come quel «cuntentobroccas mannas e brocchittas» (v. 46) che non può non strap-pare un complice sorriso a chi è in grado di decodificare ilgergo. Il secondo piano narrativo giunge con il trapasso daquesta situazione idillica al racconto delle brutture commessedavanti alla fonte da persone che ne turbano profondamentela quiete e la bellezza (in ciò è presente il modello giustiano,come detto a p. 15). Semplificando ulteriormente si può direche, da un quadro atemporale di vita comunitaria attorno allafonte, nel quale sono cioè descritte scene prive di connotazio-ne cronologica attribuibile a un’epoca precisa, com’è propriodel locus amoenus appunto, si passa ad uno nel quale il pre-sente irrompe con forza, cogliendo quasi di sorpresa il lettore,secondo un procedimento non nuovo ma applicato qui con

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visto che il suo sguardo non giunge “dall’alto” a ritrarre il po-polo vero, ma ne fa inscindibilmente parte; con un privilegioperò, quello di possedere le parole, la lucidità, la tecnica e lacultura per poterne trarre dell’arte, distaccandosene in qualchemodo anche attraverso il riso. Probabilmente è di questo cheparla Sulis nella sua prefazione, quando accenna al fatto che«malgrado, però, il suo disgusto universale, il Mereu, talvoltagiuoca, ride, schernisce», senza però, aggiungiamo noi, perde-re contatto col suo mondo nel compiacimento della scrittura.

Spesso oggetto della satira mereiana è la donna. Adesempio si possono ricordare le terzine di Adultera, dovel’aspra critica nei confronti dei costumi muliebri, di maniera eben presente nella tradizione poetica locale, è affiancata dal-la descrizione della patetica bellezza artificiale che nascondeil decadimento fisico, tipica della poesia scapigliata. E in ef-fetti Mereu attribuisce un diverso peso morale alla deformità“al naturale” rispetto a «s’ingann’ ’e s’artifissiale» (A Tonara,v. 144): quest’ultimo è sempre sintomo di depravazione deicostumi, come si vede nella stessa Adultera, ma anche in ASignorina S…, dove quel guardare sos piccioccos (v. 26) adispetto dell’età e della morale vigente, appare forse la criti-ca più severa.

È d’obbligo a questo punto un rapidissimo accenno alla fi-gura femminile nella poesia di Mereu: dalla citata Adultera allaproemiale Dae una losa ismentigada, da Consizos a unu ami-gu, X…, K…, W…, a Sa teracca mia, Litanias maggiores,Aspettos ecc. emerge una donna tutt’altro che idealizzata, anzi,sovente simbolo di corruzione, scialacquo, infedeltà e morte.Essa, tuttavia, è tanto letteraria e ficta quanto lo sono Beatriceo Laura delle Corone toscane e l’atteggiamento che improntaqueste liriche non è certo schiettamente misogino, ma fa partedi una intenzione contrappuntistica tipica della letteratura dia-lettale che, in tal modo, costruisce un contro-canone. Secondotale convenzione satirica generalizzata la Laura petrarchesca sitrasforma non in donna normale, ma assai più di frequente inprostituta o nell’esatta antitesi della femminilità. Le stesse musein Mereu, quando insistenti, sono minacciate di esser prese «a

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NOTA BIOGRAFICA

Giuseppe Ilario Efisio Antonio Sebastiano Mereu, figlio diGiuseppe Mereu e Angiolina Zedda, nasce a Tonara, quarto disette fratelli, il 14 gennaio del 1872. La madre muore nel 1887mentre il padre, medico condotto di Tonara, viene a mancaredue anni più tardi, pare in seguito all’ingestione accidentale diun veleno. Così Peppino si ritrova orfano a diciassette anni, as-sieme ai fratelli Edoardo, il primogenito, Manfredi, Elvira, Ma-tilde, Rinaldo ed Emilia, in grave difficoltà economica.

Probabilmente il giovane Mereu non ebbe la possibilitàdi andare oltre la terza elementare, speranza di studi più cheottimistica in quegli anni e in realtà povere e disagiate qualeera Tonara a fine Ottocento. Tuttavia dovette proseguire aformarsi da autodidatta, possibilmente dietro l’aiuto e i con-sigli del «laureando in medicina» Giovanni Sulis, suo amico,sostenitore e infine editore nel 1899, anno dell’uscita dellaraccolta intitolata Poesias per i tipi Valdés.

In generale le poche notizie che abbiamo sulla gioventùdel poeta sono in larga parte desunte dalla sua opera e dagliapparati alla princeps curati da Sulis come, ad esempio, l’in-teresse per la poesia improvvisata e la sua particolare predi-sposizione al genere o l’adesione al socialismo, fino alle dif-ficoltà nell’accettazione della vita militare.

A questo proposito si legge nella “Nota biografica” dellaraccolta intitolata Poesias, uscita nel 1978 e curata dal Collet-tivo “Peppino Mereu” di Tonara, p. 16, che Mereu «il 7 aprile1891, si arruola volontario carabiniere», a diciannove anniquindi, in cerca di una occupazione che, per coloro i qualinon possedevano terre e bestiame “di famiglia”, costituivapressoché l’unica via d’uscita.

Mereu resterà in servizio per cinque anni, durante i quali,fino a quando la salute glielo consentirà, si sposterà in varicentri della Sardegna, come risulta dalle date di composizionein calce ad alcune sue poesie. Lo ritroviamo allora a Cagliari

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grande efficacia. Da ultimo, è celebre la dimensione biografi-ca che subentra a partire dal v. 161, ossia quando Mereu ciregala un suo autoritratto, preparato dall’ottava immediata-mente precedente, che allude alla sua grande passione: lapoesia, in questo caso estemporanea. Nella descrivere la suacondizione Mereu dà ampio spazio, come di consueto, allapresenza della malattia, di frequente spunto poietico del no-stro (cfr. ad es. Agonia, A Nanni Sulis [II] ecc.). Infine la dedi-ca a Lia, strettamente collegata alla dimensione autobiografica,che conferisce a Galusè un lieto-fine speranzoso e sereno nel-l’augurio a una bambina di un avvenire sereno, santificatodall’«abba pura» della fonte, quale ritorno a un minimo d’ordi-ne sociale che il poeta vagheggia, in contrapposizione al ca-povolgimento di ruoli e valori delineato, ad esempio, nei vv.65-72 e 145-152. Si può dire che in questa lirica l’equilibriotrovato da Mereu nell’utilizzo proficuo dei modelli e nella de-scrizione delle situazioni abbia raggiunto un livello tale da farscorgere in lui il poeta di sicuro talento.

In definitiva Peppino Mereu costituisce un caso assai sin-golare nella sua figura di poeta per molti versi misteriosa, lega-ta com’è ad un oblio al quale spesso i dialettali sono destinati,talvolta anche all’interno delle proprie comunità di apparte-nenza. Esprimiamo qui il dubbio che, allo stato delle cose,possa emergere un autografo o comunque del materiale chepossa dar vita a una vera e propria edizione critica del cor-pus mereiano, perlomeno intesa in senso tradizionale. L’au-gurio che rivolgiamo alle sue liriche, come alla poesia dialet-tale in genere, è quello di non “perdersi” né materialmente –prima che troppa polvere seppellisca quelle carte che costi-tuiscono l’ambizione del filologo –, né a livello dei contenuti,la vita dei quali è garantita da un pubblico di lettori entratoin crisi con la crisi stessa dei dialetti e dei mondi che essi vei-colano, in un vortice negativo che tende a triturare ciò chenon è protetto dai canoni di maggior consumo.

Marco Maulu

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pubblicazione su periodico dei tre componimenti più volte ci-tati a partire dal 26 maggio del ’98 all’edizione del corpus verae propria nel settembre del ’99, peraltro subito recensita sul-l’Unione Sarda (cfr. la “Nota bibliografica”).

Le condizioni di salute e di conseguenza esistenziali, de-vono farsi tuttavia sempre più difficili, finché Peppino Mereunon si spegne l’undici marzo del 1901, a ventinove anni,non si sa con certezza se per diabete o altro.

Non intendiamo entrare ulteriormente in merito ad am-biti già trattati nella presente e in altre raccolte e che riguar-dano diversi aspetti biografici quali l’amore, la politica, i rap-porti con gli altri poeti o l’importante amicizia che lo legò aNanni Sulis, Genesio Lamberti ed Eugenio Unale. Vogliamoinvece sottolineare come gli stessi riferimenti e auto-ritrattiche si ricavano dall’opera hanno contribuito, anche per lamancanza di dati certi che smentissero quanto scritto dalpoeta stesso, talvolta dietro la fictio del “maledettismo” sca-pigliato, ad alimentare la leggenda attorno alla sua figura:essa comprensibilmente ha conosciuto un crescendo d’inte-resse sia da parte di appassionati e studiosi della poesia sar-da, sia da parte del pubblico, anche giovane, che tutt’oggiama i suoi versi e talvolta si ritrova ad interrogarsi sulla na-tura reale o fittizia dei suoi amori e dolori. Quale esempiodella riflessione che sottoponiamo al lettore valga il titolodella piccola raccolta più volte citata in precedenza e appar-sa nel 1978 col titolo di Sas poesias isconnottas e mai istam-padas leadas da su famosu “Paccu Sigilladu”, dove alcuneliriche inedite attribuite a Mereu (cfr. la “Nota al testo”) sonofatte risalire, scherzosamente ma in maniera significativa, almisterioso pacco cui fa riferimento il poeta in Su testamentu,ove si legge a riguardo: «Non siat su sigillu profanadu» (v. 39).Quest’ultimo monito simboleggia proprio quella precisa vo-lontà di creare e accrescere ulteriormente un alone di miste-ro che, in effetti, esercita sul lettore il suo fascino e sul qualel’editore del libretto gioca intelligentemente.

Il meccanismo descritto è in buona parte un tòpos della let-teratura “minore” e, in fondo, va incontro alla mitologizzazione

nel ’91 e nel ’93, a Nuoro nel ’94, ad Osilo, Sassari e Cossoinenel ’95, ad Assemini nel ’96 e, sempre a partire da quest’anno,lo sappiamo a Tonara, alle prese con i problemi di salute chelo condurranno al disagio, alla miseria e all’isolamento pro-gressivo di cui egli stesso racconta in alcune delle liriche piùnote. La difficoltà di vivere e la condivisione ideale di questostato col basso popolo tutto – che allora comprendeva lamaggioranza degli abitanti del Paese – influenzerà profonda-mente il mondo poetico del poeta tonarese, come sottolineatoda Duilio Caocci.1

A seguito del peggioramento del suo stato fisico Mereu èricoverato, secondo la sua stessa testimonianza, presso le in-fermerie presidiarie di Sassari e Cagliari e riceve il congedo il6 dicembre del 1895, ritirandosi così nell’amata/odiata solitu-dine del suo paese, inizialmente a casa del fratello Manfredi.Questo ritiro e l’emarginazione da parte di alcuni suoi com-paesani, gli sbeffeggiamenti e il bisogno di dialogo con amiciormai lontani è ben descritto da liriche quali A Juanne Sulis,A Eugeniu Unale [I] e [II] e A Nanni Sulis [II], fino a Su testa-mentu. Si tratta di quattro epistole poetiche in terzine abba-stanza estese, nelle quali il dato biografico emerge con chia-rezza accanto al filone gnomico e di protesta sociale.

In seguito a incomprensioni con Manfredi, Peppino cam-bia abitazione e vive come può, finché il segretario comunalePulix non lo farà assumere come scrivano presso la Conciliatu-ra dal 1898 al 1900. Il dato biografico è confermato dall’omoni-mo sonetto, datato difatti al 27 gennaio 1899. In base ai dati innostro possesso il biennio fra ’98 e ’900 risulta essere decisivoper la ricerca di visibilità da parte del poeta al di fuori del pae-se natio. Ci si potrebbe allora chiedere fino a che punto laprinceps sia stata stampata a sua insaputa per l’iniziativa perso-nale di Sulis, come costui dichiara nella “Prefazione”, vista laprecedente promozione, certo studiata, presso i media locali eche porta, secondo una traiettoria difficilmente casuale, dalla

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1. Cfr. D. Caocci, “Peppino Mereu: il grido della miseria”, in Erbafoglio,a. VIII, n. 16, maggio 1995, pp. 74-75.

Nota biografica

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NOTA BIBLIOGRAFICA

OPERE DI PEPPINO MEREU1

A una violetta sicca, in Sardegna Letteraria-Artistica Illustra-ta, a. I, n. 7, 26 maggio 1898.

In Conziliatura, in La Piccola Rivista, a. I, n. 9, 29 aprile 1899,p. 9.

A Ernesto Mereu, in La Piccola Rivista, a. I, n. 14, 30 giugno1899, p. 15.

Giuseppe Mereu, Poesias, Cagliari, Prem. Tip. Editrice P.Valdés, 1899.

RACCOLTE

Peppino Mereu, Consizos a unu amigu e Dae una losa ismen-tigada, in Il Nuraghe, a. III, n. 33, 1925, pp. 9-10, all’internodella rubrica “Le più belle poesie dialettali”.

Peppino Mereu, Poesie scelte, Cagliari, Edizioni della Fondazio-ne il Nuraghe-Tipografia della Società Editoriale Italiana, 1926.

Peppino Mereu, Galusè, in Il Nuraghe, a. IV, n. 36, 1926, pp.15-17, all’interno della rubrica “Poesie dialettali”.

Peppino Mereu, Poesias, Cagliari, Prem. Tip. Editrice P.Valdés, 1928.

Peppino Mereu, Le più belle poesie dialettali sarde, Cagliari,Edizioni della Fondazione il Nuraghe, 1951.

P. Mereu, Poesie, Cagliari-Varese, Edizioni della FondazioneIl Nuraghe, 1951.

Peppino Mereu, Poesie, Sassari, Tip. Editoriale Moderna, 1967.

Peppinu Mereu, Sas poesias isconnottas e mai istampadas leadasda su famosu “Paccu Sigilladu”, Cagliari, Tipografia Tea, 1978.

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1. S’intende con tale dicitura il materiale pubblicato o apparso quandoil poeta era in vita.

di sapore agiografico di simili figure che l’appartenente allecomunità locali mette in atto quasi d’istinto, ovviamente as-sieme al desiderio di svelare ciò che la fantasia popolare ren-de arcano.

In conclusione, la stessa penuria di dati storici certi conla quale ancora oggi ci confrontiamo ha contribuito – vistala peculiarità della sua esistenza, unita a quella della suapoesia – a mantenere vivo un interesse che fa di PeppinoMereu parte reale di un patrimonio collettivo regionale cheancora lo recita e lo canta, non solo nelle piazze, ma anchesu palchi solitamente deputati ad altre voci.

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Peppino Mereu, Poesie, Nuoro, “La Tipografica” di Solinas, s.d.

Peppinu Mereu, Poesias. Raccolta dei versi, traduzioni italia-ne e nota biografica a cura del Collettivo di ricerca “PeppinuMereu” di Tonara, prefazione di F. Masala, Cagliari, DellaTorre, 1978.

Peppinu Mereu, Poesias. Raccolta dei versi, traduzioni italia-ne e nota biografica a cura del Collettivo di ricerca “PeppinuMereu” di Tonara, prefazione di F. Masala, Cagliari, DellaTorre, 1982.

Peppinu Mereu, Frores, Cagliari, Frorias, 1998.

Peppino Mereu, “Nanneddu meu”. Poesias de Peppinu Me-reu, a cura del Collettivo “Peppino Mereu” di Tonara, Caglia-ri, Condaghes, 2001.

Peppinu Mereu, Terra de musas. Contivizu de Bachis Bandi-nu e Paulu Pillonca, Cagliari, Edizioni Frorias, 2001.

Peppino Mereu, Poesias. Antologia a cura del Collettivo“Peppino Mereu” di Tonara, traduzione italiana di S. Tola,Sassari, La Nuova Sardegna, 2003.

SCRITTI SU PEPPINO MEREU2

F. Corona, “Giuseppe Mereu – Poesias – Cagliari, Prem. tip.editr. di P. Valdés, 1999”, all’interno della rubrica “Fra libri egiornali” de L’Unione Sarda, a. XI, n. 266, 27 settembre 1899.

A beneficio del lettore riportiamo alcuni stralci di quella checi risulta essere la prima recensione alla pubblicazione Valdés,redatta da un personaggio di spicco della cultura isolana, l’e-rudito cagliaritano Francesco Corona, che non ci risulta se-gnalata in nessuna edizione dell’opera di Mereu. Corona col-laborò per vari anni con L’Unione Sarda, soprattutto durante

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2. La bibliografia critica non comprende tutti i per lo più nominali ac-cenni a Peppino Mereu presenti in varie monografie, soprattutto anto-logie, ma solo quelli che, a nostro giudizio, hanno un minimo d’utilitànell’inquadramento della sua figura.

la direzione di Raffa Garzia (1904-1916) e fu autore, fra l’altro,della Guida dell’Isola di Sardegna, Bergamo, Istituto Italianod’Arti Grafiche, 1896 e del Dizionario dei comuni della Sarde-gna, Cagliari, Premiato stab. tip. G. Dessì, 1898. Ecco, senzacommenti – l’articolo descrive chiaramente da sè le posizionidel suo autore e un atteggiamento critico al tempo generaliz-zato – un largo stralcio di questa testimonianza, davvero pre-ziosa quale prima, autorevole attestazione della ricezione del-l’opera di Mereu: «In un elegante volumetto, uscito alla luce inquesti giorni a cura dello stabilimento tipografico Valdés, siraccolgono una trentina di poesie in dialetto tonarese [sic] e didiverso metro. Ne è autore Giuseppe Mereu, nome finoraignoto, se non alle muse, alla repubblica letteraria sarda eche, per qualche titolo, si presenta bene. Egli ha in fatto unavena calda, sebbene non molto appassionata, e verso facile.Non intendo già fargli rimprovero [per]3 quella punta di scetti-cismo, che quà e là fa capolino nelle sue poesie … solo misorprende com’egli, nato in quella regione, ove la natura spie-ga tutta la superba pompa della sua bellezza … non sentascorrersi nel sangue quell’onda di forte e sana poesia che hasempre acceso l’astro dei grandi poeti d’ogni epoca … la poe-sia soggettiva – ch’egli preferisce – all’oggettiva – … richiedeesuberanza di sentimento, per modo che riesca ad impressio-nare profondamente chi legge … orbene; questa forza di sen-timento manca nel Mereu, per cui le sue afflizioni, i suoi do-lori, ci lasciano indifferenti, freddi. Dae una losa ismentigada,un po’ stecchettiana, Amore, Adultera, Moribunda ed altre;svolgono concettuzzi, in versi dolci e melodiosi, ma privi diquell’affettività che deve vibrare potentemente pietosa in simi-li poesie soggettive. Per contrario il Mereu usa benissimo lasatira, e in quelle poche poesie, ove l’adopera con parsimoniae studiata misura, è assai efficace e geniale. In complesso

Nota bibliografica

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3. La parola risulta erasa nell’esemplare cartaceo da noi esaminato econservato presso la Biblioteca universitaria di Cagliari, quindi nella ri-produzione microfilmata, evidentemente tratta da questa medesima co-pia. Integriamo perciò tramite congettura.

però i suoi canti, giudicati come una prima prova … sono ap-prezzabili e meritano parole di lode. Il verso, sempre facile, èquà e là trasandato; pare ch’egli rifugga dalla lima, dopo lapenna, l’arnese più necessario ad ogni scrittore, massime poiad un poeta … e di questo verso fluido, dolce, carezzoso chesgorga dal suo cuore terso e limpido … il Mereu dovrebbegiovarsi, per cantare le sue ubertose valli … come pure perdescrivere i costumi, e i bisogni e le superstizioni di quei fierimontanari, risuscitando d’una volta nella nostra isola – già ric-ca di poeti erotici e sentimentali – la poesia descrittiva e la so-ciale, le sole oramai, che in questa decadenza di sentire, pos-sono veramente interessare. E s’egli vorrà seguire il nostroconsiglio, troverà certo più copiosa e variata messe nel campoche gli additiamo, e plausi più fragorosi in quello intellettuale,ove verrà consacrata la sua fama da quanti sanno apprezzarel’ingegno accoppiato allo studio, e ai quali pertanto consiglia-mo la lettura di queste Poesias, rivelatrici del germe d’un futu-ro robusto poeta sardo».

G. Sulis, Peppinu Mereu, in S’Ischiglia, a. I, n. 12, 1949 [rist.anast. Cagliari, Gianni Trois, 1979, p. 334].

D. Caocci, “Peppino Mereu: il grido della miseria”, in Er-bafoglio, a. VIII, n. 16, maggio 1995.

D. Caocci, “La poetica del controcanto. Note su un poetasardo di fine ’800”, in Portales, a. I, n. 1, 2001, pp. 96-109.

G. Porcu, “In Conziliatura, sonetto di Peppino Mereu”, in Lagrotta della vipera, a. XXVII, n. 93, primavera 2001, pp. 58-63.

V. Flore, “Peppino Mereu a cent’anni dalla scomparsa. Da ae-do dei campi a vate della sua terra”, con l’antologizzazione diAgonia, in S’Ischiglia, a. XXII, settembre 2001, pp. 265-266.

G. Maieli, “Peppino Mereu tra passato e futuro della linguasarda”, in Nur, a. I, n. 5-6, 2001, pp. 3-8.

S. Flore, “Il canto sociale di Peppino Mereu. Espressioni diuna vita breve”, in Quaderni bolotanesi, a. XXIX, n. 29, 2003,pp. 399-415.

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Un buon interesse nei confronti del poeta tonarese mostrò Rai-mondo Carta Raspi, che oltre a promuoverne l’antologizzazionein quattro occasioni (cfr. supra la rivista Il Nuraghe e le Edizionidella Fondazione Il Nuraghe) inserì Dae una losa ismentigadae Galusè nell’importante raccolta Sardegna. Terra di poesia. An-tologia poetica dialettale a cura di R. Carta Raspi, Cagliari, Edi-zioni della Fondazione Il Nuraghe, s.d., pp 259-271.

L’altra figura di spicco della cultura sarda di quegli anni,Francesco Alziator, in Storia della letteratura di Sardegna,Cagliari, Edizioni “La Zattera”, 1954, p. 409 [rist. anast. Ca-gliari, 3T, 1982], cita solo nominalmente Mereu «fra i poetivernacoli … che meritano di essere ricordati».

Un breve saggio introduttivo di Manlio Brigaglia alla figuradel poeta intitolato “Uno scapigliato di paese”, cui seguonoquattro sue poesie, si trova nell’antologia Il meglio della gran-de poesia in lingua sarda, Cagliari, Della Torre, 1975, pp. 275-314. Il contributo fa parte di una serie di scritti dello stessoBrigaglia sui poeti dialettali della Sardegna, redatti per essereletti durante alcune trasmissioni di Radio Cagliari nel 1962.

Un profilo del poeta ad opera di Leonardo Sole compare inLa Sardegna. Enciclopedia, a cura di M. Brigaglia, vol. I,L’arte e la letteratura in Sardegna, Cagliari, Della Torre, 1982,pp. 59-61, mentre un accenno poco più che nominale si tro-va in N. Sanna, Il cammino dei sardi, vol. III, Cagliari, Editri-ce Sardegna, 1986, pp. 517-518, all’interno della sezione inti-tolata Letteratura ed arte della Sardegna sabauda e dellaSardegna italiana.

Si trovano utili accenni al poeta e al suo milieu culturale in G.Pirodda, “La Sardegna”, in Letteratura Italiana, Storia e Geo-grafia, a cura di A. Asor Rosa, III, L’età contemporanea, Tori-no, Einaudi, 1989, pp. 919-966. Ancora, sempre dello stessoautore, si vedano, all’interno della collana “Letteratura delleregioni d’Italia. Storia e testi”, “Giuseppe Mereu”, in Sardegna,Brescia, La Scuola, 1992, pp. 306-308 e “L’attività letteraria fraOtto e Novecento”, in Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a

Nota bibliografica

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oggi. La Sardegna, a cura di L. Berlinguer, A. Mattone, Torino,Einaudi, 1998, pp. 1083, 1122.

Un’altra breve presentazione del poeta, cui seguono duepoesie antologizzate e commentate, è presente in G. Sanna,G. Atzori, Sardegna. Lingua, comunicazione, letteratura,vol. II, Cagliari, Edizioni Castello, 1999, pp. 345-355.

Franco Brevini, nel suo fondamentale La poesia in dialetto,Milano, Mondadori, 1999, 3 tomi, inquadra il poeta sardo nel-la sezione Orgogli municipali e mondi minori, pp. 2880-2882,e antologizza Galusè e Lamentos d’unu nobile, pp. 2928-2944.

Accenni alla metrica si trovano, sparsi, in A. Deplano, Rimas,Cagliari, Artigianarte, 1997.

Un curioso e raro episodio legato alla vita sentimentale delpoeta è presente, non sappiamo quanto credibile, nel capi-tolo intitolato “Il poeta e la ragazza”, in R. Manconi, VecchiaFlorinas, Novara, Tip. Stella Alpina, 1959, pp. 111-116.

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NOTA AL TESTO

La tradizione1

Le sigle dei testimoni presi in considerazione per questaraccolta sono, in ordine cronologico di pubblicazione:

MONOGRAFIE

V1 = Poesias, Cagliari, Prem. Tip. P. Valdés, 1899: l’editio prince-ps stampata vivente il poeta. Essa consta di ventinove componi-menti da attribuirsi con certezza a Mereu ed è corredata di una“Prefazione” del curatore, «Giovanni Sulis laureando in medici-na», amico del poeta, e delle preziose “Notas” esplicative adopera dello stesso Sulis. L’esemplare da noi utilizzato, sul qualesi basa la presente edizione, è conservato in buono stato pres-so la Biblioteca degli Studi Sardi di Cagliari. Numerosi i refusidi stampa, che riguardano principalmente la segnalazione diapocopi ed elisioni tramite apostrofo e gli scambi e cadute dilettere, verificatisi durante la composizione tipografica.

V2 = Poesias, Cagliari, Prem. Tip. Valdés, 1928: la ristampa diV1. La si potrebbe definire una edizione “riveduta e corretta”, inquanto alcuni refusi tipografici della princeps sono stati emen-dati; d’altra parte, degli altri sono stati aggiunti. Giovanni Sulisvi appare ormai «laureato in medicina». L’esemplare da noi con-sultato è conservato presso la Biblioteca universitaria di Sassari.

N = Poesie, Cagliari-Varese, Edizioni della Fondazione Il Nu-raghe, 1951: l’edizione discende da V1, come evidenziato daalcuni errori tipografici comuni, emendati già da V2. Qui ilcomponimento conclusivo, intitolato redazionalmente W…in V1, appare come Dialugu fra maridu e muzere, titolo ac-colto dalle pubblicazioni successive.

1. Eccezion fatta per Fr non si menzionano in questa sede le raccolteche, pur citate in bibliografia, costituiscono delle ristampe di sillogiprecedenti, senza che presentino cioè novità a livello testuale.

tràdite da V1 e alcune di quelle reperite dal Collettivo “PeppinoMereu”, come Su testamentu. Di questa lirica tramanda il versodi chiusura «Peppe Mereu bos toccat sa manu» (cfr. p. 75).

DT82 = Poesias, Cagliari, Della Torre, 1982: la ristampa diDT78 con alcune modifiche rispetto alla precedente pubbli-cazione, consistenti principalmente in un’operazione diuniformazione linguistica, sia relativamente alle poesie tra-mandate da V1, sia a quelle apparse in DT78 ed altre di cuisarà dato conto a breve.

C = “Nanneddu meu”. Poesias de Peppinu Mereu, Cagliari,Condaghes, 2001: la stampa curata dal Collettivo “PeppinoMereu” che sostanzialmente apporta, rispetto a DT78 e DT82,alcune modifiche, volute e non (si veda la conclusione dellaraccolta per la posposizione di Minca maccaca e A su tiane-su), relative all’ordine in cui appaiono le liriche. Essa seguesostanzialmente DT82, con in più una revisione condotta sul-la princeps.

Fr = Terra de musas, Cagliari, Frorias, 2001: l’edizione con-tiene un componimento edito per la prima volta (ivi Chenetitulu), ma cfr. ultra, pp. 70-72.

PERIODICI

PR = La Piccola Rivista: periodico di cultura cagliaritano chetramanda il sonetto In Conziliatura e la serie di sonetti inti-tolata A Ernesto Mereu.

SLA = Sardegna Letteraria-Artistica Illustrata: periodico dicultura cagliaritano che tramanda il componimento in terzinedal titolo A una violetta sicca (cfr. per entrambi la “Nota bi-bliografica”).

Il corpusLa presente raccolta comprende l’intero corpus poetico di

66 poesie attribuite a Peppino Mereu. La “Prefazione – Corte-se Lettore” di Giovanni Sulis, l’apparato di note esplicative

Nota al testo

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DT78 = Poesias, Cagliari, Della Torre, 1978: si trovano quitrenta componimenti aggiuntivi rispetto a V1 e, di conseguen-za, alle due successive ristampe di quest’ultimo, raccolti dalCollettivo “Peppino Mereu” di Tonara attraverso fonti orali ocomunque “indirette”. Inoltre tutte le stampe curate dal Col-lettivo – comprese quelle che da esse discendono – presenta-no, rispetto a V1, un titolo in più nell’indice (30 componi-menti, quindi, contro i ventinove della princeps) in quanto ledodici quartine di endecasillabi e settenari che compongonola conclusione di Lamentos d’unu nobile sono ivi intitolate Eprite tottu custu? Non così in V1, ove appare chiaro che essecostituiscono la seconda parte, il “finale” insomma, della stes-sa Lamentos d’unu nobile, con una variazione metrica tipicadi Mereu all’interno del medesimo componimento.

T = Sas poesias isconnottas e mai istampadas leadas da su fa-mosu “Paccu Sigilladu”, Cagliari, Tipografia Tea, 1978: edizio-ne artigianale che tramanda cinque componimenti + In Con-ziliatura (In cunziliadura T), da noi dati a testo con formuladubitativa e mancanti nella tradizione rimanente. Inoltre sonopresenti varianti formali, a partire dai titoli delle poesie, che iltestimone ha in comune con le edizioni curate dal Collettivo(ad es. T intitola Il verbale e suddivide giustamente in terzineil componimento che da DT78 in poi appare invece tràdito insei strofe rispettivamente di 9 + 6 + 12 + 12 + 12 + 6 versi, coltitolo, da noi accolto, di Piazzaforte di Orune). In generale,dei cinque componimenti di cui sopra convince poco lo stilepoetico, più rifatto che spontaneo, ci sembra, e talvolta la lin-gua. Tuttavia, tenuto conto dell’ambiente legato all’oralità e al-la mancanza attuale di informazioni a livello attribuzionisticosu queste ed altre liriche, abbiamo deciso di darle comunquea testo, se non altro come dato aggiuntivo su versi evidente-mente estemporanei assegnati al poeta tonarese, forse all’in-terno dello stesso ambiente della poesia improvvisata.

S = Poesie, Nuoro, “La Tipografica” di Solinas, s.d.: pubblicazio-ne artigianale priva di indice e di qualsiasi apparato, inaffidabi-le e colma di cattive lezioni e refusi. Essa comprende le poesie

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datata, ma si trova pubblicata nel numero di Sardegna Lette-raria-Artistica Illustrata uscito il 4 agosto 1899.

Sono queste le sole liriche stampate su periodico viventeil poeta; pertanto esse costituiscono il nucleo rappresentativodi una stagione poetica in cui Mereu, probabilmente spintodall’amico e mentore Sulis, cercò di ottenere un minimo divisibilità sulla stampa letteraria del tempo e su riviste che ac-colsero le prove, dagli esordi e fin oltre, della maggior partedegli artisti e intellettuali isolani dell’epoca.

Per un discorso di continuità coi lavori precedenti non èstato stravolto l’ordine in cui le poesie compaiono in DT78 eDT82: il raggruppamento qui stabilito vede A Ernesto Mereue In Conziliatura comparire in successione dopo Titti tittia,mentre A una violetta sicca è stata inserita subito dopo Lita-nias maggiores.

Le differenze più macroscopiche fra la versione data daColl. di A Ernesto Mereu e A una violetta sicca e quella, ri-spettivamente, di PR e SLA, qui pubblicate per la prima voltasono, in breve:

TITOLO: A Ernesto Mereu PR; A frade meu Coll.METRO: serie di sette sonetti PR; due sestas + due ottavas +una sesta + una ottava + una sesta + una ottava + una sesta+ una ottava + due sestas Coll. Mancano i vv. 7-8 del sonetto[I] e le due terzine del sonetto [II]; inoltre il sonetto [IV], anti-cipato, occupa il posto del [III] (in Coll. > ottava 4 e sesta 5)il quale, a sua volta, “diventa” l’ottava 10 e la sesta 11. Infinemancano le quartine del sonetto [VII], il conclusivo (cfr. lapresente edizione).

TITOLO: A una violetta sicca SLA; Una viola sicca Coll.METRO: undici terzine di endecasillabi + un verso di chiusuraSLA; una strofa di nove versi + una di dodici + una di tredicitutti endecasillabi Coll.

Per entrambi i componimenti si riscontrano, ovviamente,varianti sostanziali anche dal punto di vista linguistico, vistala probabile fonte orale, o comunque indiretta, utilizzata inColl., col conseguente riuso e “degrado” del testo poetico.

Nota al testo

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dello stesso Sulis intitolato “Notas” e collocato in chiusura del-la raccolta, infine i primi 29 componimenti, seguono fedel-mente l’editio princeps del 1899.

Le 30 liriche successive, a parte il sonetto intitolato InConziliatura – che ivi manca ma è presente in T – rappre-sentano il materiale raccolto dal Collettivo “Peppino Mereu”e dato per la prima volta alle stampe nel ’78. Tuttavia si èqui seguita l’edizione dell’82, che ripropone sostanzialmentequella precedente, con l’eccezione di una ottava intitolataOttava appunto, inclusa nella prima raccolta ed espunta dal-la seconda. Si legga però quanto scritto nella nota redazio-nale a piè di pagina che l’accompagna nella stampa del ’78:«Il poeta riprende in questa sua ottava estemporanea il moti-vo di un’antica filastrocca sarda» (p. 239). Probabilmente l’at-tribuzione a Mereu, già ricavata da fonte orale, è stata in se-guito ritenuta improbabile, sì da procedere all’espunzionenella pubblicazione successiva. Questi versi, che diamo co-munque a testo, pur con formula dubitativa, sono inclusi an-che in T. Inoltre, quella che in DT78 è erroneamente intitola-ta Ottava, pur essendo una deghina, appare come Titti tittianella silloge successiva.

Nella nostra raccolta si possono rilevare le seguenti mo-difiche “di sostanza” rispetto a DT82: includiamo anzitutto ilgià citato sonetto In Conziliatura. Ancora, questo e i compo-nimenti A Ernesto Mereu (A frade meu Coll.)2 e A una violet-ta sicca (Una viola sicca Coll. e T) seguono, sia nel titolo, sianella versione qui accolta, le stampe tratte rispettivamente daLa Piccola Rivista per i primi due e dalla Sardegna Lettera-ria-Artistica Illustrata per l’ultimo. La presente edizione adot-ta le norme grafiche utilizzate dai periodici pur con minimiadeguamenti e, pertanto, risulta volutamente disomogenea ri-spetto al restante corpus.

I sonetti intitolati A Ernesto Mereu datano in calce «30settembre 1898» e precedono In Conziliatura, che data a suavolta «27 gennaio 1899», mentre A una violetta sicca non è

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2. Coll. qui e altrove è la sigla rappresentativa di tutte le raccolte curatedal Collettivo “Peppino Mereu”, o che ristampano queste.

e deceduta nel 2000, secondo le informazioni fornite dai cu-ratori nel suddetto volume (ivi, pp. 124-125, 138-139). Ci sen-tiamo di proporre una ipotesi riguardo al ritrovamento diquesta lirica, che riportiamo sotto per comodità del lettore:

«Cando chi a Tonara / brujadu has cust’incensu / comu-nu, e casi de profumu ingratu, / su ’inu de Atzara / t’hat lea-du su sensu, / e zeltu est chi no has bidu su c’has fattu. /Partu de una mente / infelize, comente / ses bennidu a sumundu? Ite baratu / fit su mustu a s’edade / ch’iscrittu hascussos versos caru frade!».

Vista l’assenza di titolo, la corrispondenza metrica (strofedi undici versi di endecasillabi e settenari con identico sche-ma rimico), il tono polemico, i riferimenti alla sgradita “in-censatura” del popolo (vv. 1-3), l’attacco personale per deiversi adulatori, evidentemente pessimi, scritti e chiaramenterecitati a Tonara, probabilmente durante un’occasione convi-viale (vv. 4-5), ci pare ipotizzabile che questa strofa isolata epriva di titolo possa in realtà avere un forte collegamentocon A Paolo Hardy.3 In quella poesia difatti l’odiato politicoera così descritto:

«Cando chi ses bennidu / de votos pedidore, / in Galusè,a s’iscrocca ’e unu pranzu, / a Tonar’has tessidu / su simpr’eaduladore / cantu, de sensu iscancaradu e lanzu» (vv. 1-6),mentre il poeta afferma che «in sa sublim’altura / non balentsos fumos / de s’incensu c’has cherfidu brujare» (vv. 12-14).

Davvero non sono poche le coincidenze e, se è pur veroche le date non coincidono (A Paolo Hardy è datata «Tonara… 1895», l’anepigrafa «Assemini, 22 marzo 1896») tuttavia lastrofa potrebbe essere stata scritta in seguito alla prima stesura

Nota al testo

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3. Ecco alcuni stralci della efficace descrizione di questo personaggiotratta da P. Marica, Stampa e politica in Sardegna. 1793/1944, Cagliari,La Zattera Editrice, 1968, pp. 144-145: «L’Ugo … era un impiegato dellaSocietà delle Ferrovie Sarde, dov’era stato collocato dal suo parenteFrancesco Cocco Ortu. Per riconoscenza diventò solerte procacciatoredi voti per il potente amico. Tra le poesie satiriche del poeta dialettalePeppino Mereu, ce n’è una a lui dedicata che illustra in versi i suoiviaggi elettorali … firmava Paolo Hardj oppure Filippo Argenti, produ-cendo cose mediocri in prosa e in versi».

I componimenti Mauro Zucca, A Peppe Cappai, Muttu, Aun’illusa, Aspettos chiudono la nostra raccolta quasi a mo’d’appendice: essi sono tratti da T e non si trovano inclusi nellesillogi precedenti. Questo testimone, che trae scherzosamenteil proprio titolo dall’allusione a un misterioso paccu sigilladuche il poeta richiede non venga profanato e che contiene allu-sioni alla sua vita (cfr. Su testamentu, vv. 37-48), è comprensi-vo di ventuno poesie in diversi metri, tutte comprese nellestampe curate dal Collettivo, a parte le cinque summenzionate.Si tratta principalmente di fonti orali, forse reperite nell’am-biente della poesia improvvisata frequentato attivamente dalpoeta di Oliena Antoni Canu, che si autodefinisce poeta ’e ga-ra nello stesso volumetto e che prefà brevemente la raccolta.Si può sospettare anche che alcune di queste poesie avesserodiffusione nei fogli volanti e che fossero già da quella fonte at-tribuite, più o meno ufficialmente, a Peppino Mereu. Difatti frai componimenti assenti in Coll. si trovano due sonetti (A un’il-lusa e In cunziliadura) e, a parte questi, due ottavas, di cuiuna presentata come lacunosa al termine della quartina data atesto (A Peppe Cappai) e un Muttu, pur se cólto nella sceltalessicale e nei concetti espressi: si tratta di schemi metrici tipicidella poesia sarda improvvisata. Tuttavia una conferma di uncerto grado di attendibilità del testimone viene dal sonetto Incunziliadura, pur dato con qualche variante corriva (cfr. adesempio il v. 3 [«a mie però paret chi fosté]», ove l’endecasilla-bo in T è ipometro per la caduta di mi rispetto alla pubblica-zione apparsa nella Piccola Rivista), effettivamente firmato dalpoeta tonarese e assente invece nelle precedenti raccolte.

Infine, per dare al lettore un’idea della tradizione testualecon la quale spesso si ha a che fare in questo tipo di lavori, sinoti che T trae il titolo, come detto, da alcuni versi di Su te-stamentu, poesia che, però, paradossalmente non vi si trovaantologizzata.

Si è collocata poi l’anepigrafa edita dal solo Fr dopo l’ul-timo componimento delle raccolte curate dal Collettivo (Sutestamentu) il cui autografo, riprodotto nella stampa del2001, si trovava in possesso di Clelia Mereu, la più giovanedelle figlie di Edoardo, fratello del poeta, vivente ad Assemini

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fra V1 e i sunnominati testimoni – ad esclusione delle raccoltedi poesie scelte – sì da “misurare” le trasformazioni grafiche,fonetiche e non di rado metriche intercorse negli anni, a parti-re dal 1899 fino ai giorni nostri. Inoltre si è ricorso alla colla-zione in presenza di lezioni dubbie, anche se per gli emenda-menti ci si è basati, come consuetudine in questi casi, per lopiù sulla metrica e le rime, sul senso, l’usus scribendi e le abi-tudini linguistiche che si possono evincere dai testi.

Oltre a ciò precisiamo che la situazione testuale dell’operamereiana è certamente “scomoda”, in quanto non resta tracciadegli autografi consegnati dal poeta all’amico Giovanni Sulis epubblicati da costui a sua insaputa. Così, il materiale che noncompariva nella princeps proviene da fonti orali, a parte le ec-cezioni di cui sopra, anche se bisogna ammettere che la tradi-zione risulta meno evanescente rispetto ad altre. Difatti è abi-tuale nelle raccolte poetiche dell’Isola aver a che fare con solefonti indirette, in quanto larga parte del repertorio di un poetapoteva essere legato al mondo dell’improvvisazione e, di con-seguenza, etichettabile come “estemporaneo”. La conseguen-za di tutto questo, lo si potrà immaginare, è la trasformazione,il riuso e, spesso, la deformazione del testo, nato come oralee soggetto pertanto al degrado mnemonico.

Non altrettanto abituale, anzi rarissima nella forma datada V1, è però l’esistenza di una raccolta compiuta e pubblicatain vita per un editore locale prestigioso, organicamente sele-zionata, nata dalla trascrizione di un autografo e, pertanto, diper sé assai attendibile, pur con le dovute riserve. Certamentefa pensare l’incompiutezza di alcuni componimenti di Mereu,dichiarata dallo stesso curatore, come anche i titoli X…, Y…ecc., a nostro parere redazionali e non dati come provvisoridal poeta, che però conserviamo. Tuttavia è forse un buon se-gnale il fatto che proprio l’incompiutezza sia stata dichiarata enon, come talvolta càpita, nascosta o mascherata con integra-zioni o tagli che non appartengono all’autore. Difatti ciò pernoi significa che vi fu da parte di Sulis un profondo rispettodi tutto il testo, compresi eventuali suoi difetti (da intendersiin senso lato), sicché ciò è consolante quando si ha a che fa-re, come nel nostro caso, con testimoni unici a stampa come

Nota al testo

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del componimento, poi incluso in V1: si spiegherebbe così ilriferimento a un passato ironicamente non determinato negliultimi tre versi («Ite baratu / fit su mustu a s’edade / ch’iscrittuhas cussos versos caru frade!», vv. 9-11), e non verrebbe diffi-cile inserirla proprio quale strofa conclusiva.

Anche l’immagine presente nella strofa isolata «partu deuna mente / infelize, comente / ses bennidu a su mundu?»(vv. 7-9) si spiegherebbe ora come il riferimento a quel sonet-to intitolato Tonara (cfr. la nota del curatore a p. 201 dellanostra edizione), apparso sul periodico cagliaritano Spigolatu-re d’arte e da noi pubblicato, definito «partu reu» e «partu fata-le» (A Paolo Hardy, rispettivamente vv. 7 e 56), e non comeinsulto rivolto a un non meglio identificato e inesperto poeta.

Insomma, si tratterebbe di un ulteriore rigurgito d’ama-rezza nei confronti di chi cerca di blandire il popolo conpoesie o altro «pro lograr’unu votu» (A Paolo Hardy, v. 37),nonché di una preziosa testimonianza “genetica” che certonon sarebbe potuta emergere dalla tradizione a stampa diMereu. Si noti inoltre l’incipit identico in entrambi i compo-nimenti, «Cando chi», che a questo punto potrebbe non esse-re casuale, ma spiegabile come formula rimasta nella testadel poeta, magari in seguito a una rilettura di A Paolo Hardy,che gli avrebbe ispirato l’inizio di un’ulteriore strofa dedicataal medesimo personaggio, redatta però in un secondo mo-mento. In definitiva quindi la nostra titolatura è da ritenersiutile meramente ai fini di una corrispondenza fra indice estrofa e non al fatto che riteniamo si tratti di un componi-mento isolato rimasto privo di titolo, come potrebbe sem-brare a una prima lettura.

Questo il corpus da noi accolto e i testimoni utilizzati perla collazione. Da un ipotetico stemma rappresentativo dellaparentela fra le varie stampe sarebbero ovviamente escluse leraccolte successive a quella del 1899, ossia V2 e N, in quanto“copie” della princeps stessa e da considerarsi, pertanto, inutilio descriptae ai fini di una ricostruzione dell’originale. Come sisa, il concetto di descriptus nella tradizione a stampa è daprendersi con cautela; perciò è stata effettuata una collazione

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Inoltre le liriche anepigrafe e le anepigrafe lacunose di V1

sono state tutte intitolate dai curatori: X… > Ispasimos de amo-re; K… > Ninna nanna; Y… > Cainu; W… > Dialugu fra ma-ridu e muzere, come in N. A tal proposito segnaliamo che V1

intitola queste poesie con le lettere maiuscole di cui sopra, se-guite da puntini che dovrebbero segnalare omissione o lacuna,mentre all’interno della raccolta esse sono seguite dal puntofermo. In questo caso, visto che nelle stesse “Notas” di Sulis,che fece da editore, si trova il rimando ai titoli con i puntini,questi ultimi sono stati adottati nella nostra edizione.

Segnaliamo poi l’aggiunta del verso di chiusura delle ter-zine di Su testamentu, riportato da C: «Peppe Mereu bos toc-cat sa manu». A sua volta esso, assente in tutte le altre rac-colte curate dal Collettivo, si trova dato a testo da S (ivi, p.110) che, come già detto, è una stampa priva di datazionema di gran lunga antecedente alla pubblicazione di C. È pre-sumibile che tale lezione sia stata accolta da C proprio in se-guito allo spoglio di questa pubblicazione. Nonostante lascarsa credibilità attribuibile al testimone S è tuttavia oppor-tuno accogliere la lezione, in mancanza di prove contrarie,pur se è evidente la possibilità che si tratti di una lectio faci-lior sulla quale è per lo meno lecito nutrire qualche dubbio.

In definitiva, come detto sopra, è soprattutto DT82 auniformare graficamente la lingua della princeps, pur se di fre-quente si tratta della estensione di principi grafici adottati inmaniera più sporadica nella raccolta del ’78. Tali modifiche, adesempio, riguardano la banalizzazione di alcune lezioni di V1

(ad es. Consizos a unu amigu, vv. 144-145: «Suni niente, ap-pettu / a …» V1 > «suni niente a pettu de …» Coll.), oppure loscempiamento sistematico di alcune geminate (happ’ > hap’ omagnetizzas > magnetizas), il passaggio dalla semiconsonan-te j a g (jardinu > giardinu) e la rotacizzazione della lateralel (bennalzu, telalzu, ’ervegalzu > bennarzu, telarzu, ’ervegar-zu ecc.), le elisioni (silenzi’e > silenz’e), la -t finale delle terzepersone plurali dei verbi che dilegua (isfozant > isfozan), finoad interventi sulla punteggiatura, alla soppressione delle dedi-che e degli apparati del Sulis delle edizioni Della Torre. Questiultimi, però, sono stati ripristinati da C, che d’altra parte segue

Nota al testo

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V1 che, spesso, finiscono per «coincidere con la stessa defini-zione del testo critico dell’opera».4

Più problematica risulta l’edizione dei testi raccolti conammirevole sforzo dal Collettivo di ricerca “Peppino Mereu”,in quanto nessuno dei criteri di scelta e vaglio delle fonti èstato apertamente dichiarato e, pertanto, lo iudicium da uti-lizzare a fini attribuzionistici è unicamente la conformità omeno ai dati “sicuri” in nostro possesso che ineriscono lalingua, i temi trattati, i metri, lo stile poetico, di quanto tra-mandatoci dalle liriche “aggiuntive”.

Differenze fra i testimoniNon è possibile dar conto in questa sede di tutte le va-

rianti, anche solo sostanziali, che intercorrono fra i testimo-ni, operazione che richiederebbe un apparato critico. Riba-diamo però che V2 ed N sono delle ristampe della princepse che pertanto, a parte lievi differenze di carattere formale,esse seguono fedelmente il testo di riferimento, emendanopochi refusi, talvolta aggiungendone degli altri, soprattuttoV2, e ritoccano raramente la punteggiatura. Si è già detto,inoltre, dell’inserimento da parte di N del titolo Dialugu framaridu e muzere al posto del titolo redazionale W… di V1.

Più interessanti risultano le divergenze fra quest’ultimo te-stimone e le raccolte curate dal Collettivo “Peppino Mereu”,nelle quali è stato effettuato un lavoro di uniformazione lingui-stica, più leggero in DT78, più profondo nella raccolta successi-va. Fra l’altro quest’ultima contiene non pochi refusi di stampa.

In generale, si trovano difformità evidenti già a partiredai titoli: ad esempio Consizos a unu amigu > Cunsizu aunu amigu Coll.;5 Lamentos d’unu nobile > Lamentos de u.n. (cfr. anche p. 66); Solferino! > Solferino; Studente > Istu-dente; Addio a Nuoro > Addiu a Nugoro.

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4. P. Stoppelli, “Introduzione”, in Filologia dei testi a stampa, Bologna,Il Mulino, 1987, p. 13.5. In questo caso è però la stessa princeps a mostrare incertezza: difattinell’indice il titolo del componimento è Consizos a un amigu, mentresuccessivamente si trova Consizos a unu amigu, che qui accogliamo.

orali si presuppone e, pertanto, filologicamente meno “sicure”e verificabili.

Si è tenuto conto di questo nella trattazione testuale, ope-rando in maniera assolutamente conservativa per il corpus difonte diretta, ove si è proceduto a emendare i refusi di stam-pa e ad adeguare la punteggiatura qualora questa risultassemancante o palesemente errata (cfr. ad es. l’inserimento dellavirgola alla fine del v. 13 di S’orfana pedit pane), l’uso dellemaiuscole (ad es. nei nomi dei mesi nelle datazioni in calce,resi tutti minuscoli secondo l’uso maggioritario) ecc.

Inoltre, per il trattamento linguistico del materiale poeti-co tràdito da V1, si è rispettata la norma grafica che emergecon buona chiarezza da questo testimone, dalle stampe pub-blicate sui periodici letterari e dall’autografo di Fr, pur conqualche minimo adeguamento:

1. lo spazio dopo l’apostrofo che segnala l’elisione in V1 èstato soppresso (es. senz’ arte > senz’arte), tranne nel casodi vocaboli terminanti con vocale elisa preceduta da altravocale + h di haer < HABE-RE (es. ozi’ has, tu’ has ecc.). L’apo-strofo è stato poi inserito nei pochi casi in cui risultava man-cante dopo l’articolo indeterminativo (ad es. un amante >un’amante, un ora > un’ora). In Agonia, inoltre, il v. 6 «dejuliar a mie» è stato emendato in «des juliar’a mie», come nelv. 43 di W… «signales c’has pappadu menzus cosa» > si-gnal’es, in quanto l’azione di conservare il pane di crusca, il“segnale” quindi, è una sola. Similmente si è operato in altricasi, non enumerabili però in questa sede;2. l’alternanza di forme del sostantivo Patria/patria è stata ri-solta a favore dell’iniziale maiuscola, in quanto preponderantenella princeps e poiché è lecito sospettare una distrazione deltipografo, come pure nel caso Autore/autore, presente negliapparati curati da Sulis e ugualmente risolto con la scelta del-l’iniziale maiuscola. Alternanze del tipo abbizzo/abbizo sonostate invece preservate, in quanto pienamente giustificabili alivello di scripta;3. l’elisione, d’abitudine segnalata in V1, è stata regolarizzataove necessario (es. credi a > credi’a [Consizos a unu amigu,

Nota al testo

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generalmente DT82 per le modifiche di cui sopra, rivedendosporadicamente alcune lezioni sulla base di V1, fino al ripristi-no dello spazio fra gli apostrofi che indicano fenomeni d’eli-sione o aferesi della princeps.

Nel corpus di poesie raccolte dal Collettivo si ha ugual-mente una netta contrapposizione fra DT78 da una parte, con-tro DT82 e C dall’altra, contrapposizione che si evince, adesempio, da grafie come l’happo/l’hapo, agattas/agatas, len-tizza/lentiza, ligera/lizera (la prima forma è data da DT78 esegue V1) ma anche da qualche lezione sostanziale, come fi-nestra del v. 2 di Turmentos, cui DT82 e C oppongono venta-na, o da suddivisioni metriche differenti (cfr. Serenada).

Criteri di edizioneCome si evince dalla situazione testuale descritta sopra il

corpus poetico di sessantasei poesie attribuite a Peppino Me-reu è disomogeneo. Riassumiamo: ventinove testi pubblicatiin V1 + tre presenti nelle già citate riviste, per i quali l’attribu-zione è certa e documentata a livello scritto da fonte diretta, +uno riportato da Fr, del quale però non si è potuto vedere daparte nostra altro che una riproduzione, presumibilmente dafotocopia, all’interno del volume, + i ventotto di Coll. (com-presa l’Ottava mancante in DT82), per un totale di 61. A que-ste si sommano le cinque liriche tràdite da T.

In conseguenza di ciò abbiamo deciso di editare il testonell’unico modo per noi minimamente scientifico, ossia se-condo un criterio di coerenza interna alle fonti da cui lepoesie provengono, così da non affrontare una lotta imparidi “riscrittura” delle stesse, secondo inutili mire parificatorie.Dal punto di vista tipografico si noterà quindi una sorta di“stacco”, per quanto ridotto da alcune norme comuni, fra leprime ventinove poesie e le successive raccolte da Coll., on-de evitare una operazione di maquillage assolutamente falsae arbitraria.

Per il gruppo di trenta componimenti reperiti dal Colletti-vo (compresi A frade meu e Una viola sicca) e i cinque di T(senza tenere conto di In Conziliatura) le fonti sono indirette,

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vocaboli con accezione inusuale o non sardi, è stato minima-mente regolarizzato (ad es. «declinat con furat» > «declinat confurat» [A Paolo Hardy, v. 50]) o «Happ’a bider dolentes escla-mende: «“Mea culpa”» > … «“Mea culpa”» (A Nanni Sulis [II], v.130). Ciò perché si tratta, come spesso accade, di una disatten-zione imputabile al tipografo. Quest’uso è stato esteso, comein V1, alle parti mistilingui e in sardo interferito delle liriche re-perite da Coll. In Signora maestra però si è preferito eviden-ziare in tal modo le parti in sardo, essendo largamente pre-ponderante l’italiano;10. a livello dei diacritici abbiamo preferito estendere l’usodell’apostrofo per la segnalazione del dileguo delle occlusi-ve sonore in principio di parola all’intero corpus, così danon confondere il lettore con due criteri differenti e da sem-plificare la comprensione del testo in sardo, soprattutto inpresenza di incontri con altri vocaboli che danno luogo aelisioni (es. ’ona, ’irde ecc.). Naturalmente quest’uso graficoè stato regolarizzato nelle poesie tràdite da DT82, dove risul-ta irregolare;11. i componimenti che in V1 recano lo stesso titolo di altrisuccessivi sono contraddistinti da numeri romani in progres-sione fra parentesi quadre (ad es. A Nanni Sulis [I], [II], [III]);12. abbiamo accolto la lezione data dallo stesso Sulis del v.53 di A Paolo Hardy («Campidanu Nuòro s’ammesturat» V1),alla nota 49: «Campidan’a Nuòro s’ammesturat». Ci sembraanche questa una svista del tipografo.

Circa l’aspetto grafico delle liriche, l’unica evidente nor-malizzazione è stata la disposizione delle strofe (cfr. ad es.le terzine).

Quanto alle liriche aggiunte successivamente alla prince-ps si è preferito estendere l’uso della forma geminata dellaprima persona del verbo haer (happo), nonostante l’usoscempio di DT82, in quanto si tratta di una scelta meramentegrafica che sarebbe andata contro non solo l’uso della prin-ceps, ma anche di PR, SLA e T, che costituiscono a loro voltauna parte del corpus poetico a sé stante rispetto a V1, comedetto.

Nota al testo

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v. 13]). Inoltre è stato inserito l’apostrofo nei casi in cui, pernecessità metriche, rimiche o eufoniche la vocale finale adella 1a sing. dell’imperfetto indicativo è stata apocopata, co-sì da evitare possibili fraintendimenti (es. mi sustentai > misustentai’ [Lamentos d’unu nobile, v. 47]; alzai su cantigu >alzai’ [ibid., v. 59]);4. il nesso chi relativo + haer (es. c’has = chi has) è stato la-sciato intatto in relazione all’uso dell’aspirata che indica lapronuncia velare delle occlusive sorda e sonora, come nonsi è intervenuti nei casi bindig’annos ma, più volte, de-gh’annos, o fog’/fogh’ per fogu. Consideriamo questa alter-nanza documento dell’incertezza grafica nella resa della ve-lare sorda e sonora in fonosintassi;5. sono stati ripristinati gli accenti nelle parole ossitone chesporadicamente non li riportano (ad es. faghe si > faghe sì,gia > già, quando non in presenza della forma apocopatagia’ per giai; ne > nè, pe > pè);6. la terza persona del verbo ‘dare’, das, compare con o sen-za accento grave sulla vocale; tale alternanza è stata conser-vata;7. i discorsi diretti, quando chiaramente tali e quasi semprepreceduti in V1 e nei due periodici dai due punti, sono statiracchiusi fra virgolette basse. Inoltre è stato regolarizzato l’usodell’iniziale maiuscola, alternante nella tradizione di cui sopra(es. «ca su cor’in su pettus ti nàt: vile! > «Vile!» [X…])». Per il re-stante corpus vale quanto fatto nelle raccolte che lo traman-dano. Ciò per consentire una lettura più sicura del testo;8. la numerazione delle strofe, mancante nella princeps senon in due componimenti polimetri (Moribunda e A GenesioLamberti) ma presente in Coll. e in T, è stata evitata nell’inte-ra silloge, a parte i polimetri di cui sopra e nelle serie di so-netti A Ernesto Mereu e Alberto La Marmora. In questi ultimidue casi essa è stata racchiusa fra quadre. Per gli altri compo-nimenti si è fatto quindi riferimento al numero dei versi;9. il maiuscoletto con cui V1 contrassegna la parola iniziale diogni componimento non è stato conservato per ragioni d’u-niformità col restante corpus. Inoltre il carattere corsivo, ancheallora utilizzato, come oggi del resto, per contraddistinguere i

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quale egli avrebbe potuto rifarsi. Perciò si è preferita una so-luzione più prudente, quale ci sembra sia quella di cui sopra.Lasciamo come strofa a sé, analogamente a Coll., la quartinadi endecasillabi finale, che ci sembra invece più plausibile.

Lo stesso ragionamento è stato seguito per Propostaamorosa e Risposta amorosa: nel primo componimento Coll.costruisce una gabbia metrica forzata con una strofa incipita-ria di sedici versi, così da poter ricavare successivamenteuna ottava lira serrada e una sesta per i quattordici versisuccessivi, endecasillabi e settenari alternanti. Tutto ciò èstato ridotto a strofa unica. Nel secondo, in apertura, si trovauna ottava in settenari con un solo endecasillabo con sche-ma aAbbccdd, + una ottava in endecasillabi e settenari a dirpoco atipica, con schema AABBCcdd,7 per concludere comenella nostra edizione. In questo caso abbiamo preferito rag-gruppare i primi sedici versi in un’unica strofa, dato che essinon ci sono parsi altrimenti suddivisibili, a meno di ingiusti-ficabili forzature, mentre le due deghinas e la quartina finalesono state conservate, secondo la soluzione adottata da Coll.

Piazzaforte di Orune appare qui in terzine, invece dellasuddivisione in strofe di lunghezza variabile data dalle dueraccolte Della Torre e dalla strofa unica di C.

Serenada è qui data come una quartina iniziale + dueottavas torradas.8

Si è poi evitata la scansione bisillabica col tratto brevedei dittonghi (ad esempio da-e; e-i) utilizzata in Coll.

Nota al testo

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7. Andrea Deplano in Rimas cit., p. 78 afferma a proposito di questa ot-tava: «Si deve a Peppinu Mereu, invece, un raro esempio di Ottava co-struita con verso senario intrecciato con endecasillabo e settenario». Lostudioso considera cioè quadrisillabo cavaliere che, però, si potrebbeanche leggere come pentasillabo, con dieresi eccezionale sul dittongo(cavalïere) nonostante l’etimo “scoraggiante”. Inoltre egli conteggia co-me senari quelli che sono fuor di dubbio due settenari finali ossitoni,come appare dallo schema metrico ivi collocato a fianco della strofa. Indefinitiva non ci pare si tratti di una ottava “rara”, ma più semplicemen-te di una successione di endecasillabi e settenari, secondo lo schema inlira. Circa le perplessità relative alla suddivisione strofica cfr. supra.8. Cfr. la “Classificazione metrica”, p. 90.

Pertanto pubblichiamo questa seconda parte rifacendocia DT82, ovviamente emendata degli assai numerosi refusi ti-pografici e di trascrizione (cfr. ad es. S’ambulante tonaresu,v. 13 [«e chi leat truddas e tazeris»], ipometro in DT82 per ilchi > chïe nella presente edizione e A Signor Tanu, v. 98[«non godimus in paghe s’ispettaculu»], dove non è statoemendato con nos, perché la lezione appare carente di sen-so). Inoltre abbiamo eliminato il carattere corsivo che in Tit-ti tittia contrassegnava una esclamazione che, tuttavia, è as-sai comune in sardo e che altrove è stata data in carattereordinario (cfr. Alberto La Marmora). Ci riserviamo di dare inaltra sede i risultati dettagliati della collazione fra i testimonida noi eseguita.

Inoltre sono stati effettuati alcuni cambiamenti inerenti lametrica dell’edizione del Collettivo:6 Unu bandu è stato resocome sonetto, in luogo delle suddivisioni, in effetti dispara-te, adottate dalle raccolte precedenti.

Alberto La Marmora è palesemente una serie compostada quattro sonetti (del tipo di quelli dedicati a Ernesto Me-reu) e, pertanto, il componimento ha qui tale suddivisione, adifferenza delle tre strofe dai quattordici versi senza scansio-ne grafica in quartine e terzine proposte in DT78e dell’alter-nanza di ottavas e sestas proposte da DT82 e dalle stampe cheda essa discendono.

Signora maestra è stata resa con una strofa unica nei tren-tacinque versi che, invece, sono distribuiti da Coll. secondouna suddivisione che ci sembra poco convincente: difatti essasi basa, come evidente, sulle rime e sull’interpunzione utiliz-zata al termine di ogni strofa. In realtà però tale procedimen-to, se di per sé ammissibile, appare forzato tenuto conto delfatto che i metri che andrebbero a comporre la sesta, la quar-tina, l’ottava, la seconda sesta, fino ad arrivare alla strofa didodici versi che precede la quartina conclusiva di Coll., spa-ziano dal trisillabo all’endecasillabo, passando per quadrisilla-bo e senario, senza alcuna attestazione a noi nota di un usosimile da parte del nostro o, per lo meno, di un modello al

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6. Per questo aspetto rimandiamo alla nostra “Classificazione metrica”.

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Ancora, sono stati inseriti anche qui gli accenti quandoritenuto necessario (es. negaz. ne > nè) o regolarizzati a se-conda dei casi (es. dò < dare [caso unico] > do).

Per concludere, si è cercato nel tradurre di rispettare,quando non il computo sillabico, almeno la musicalità del ver-so e alcune rime, sempre che ciò non andasse a discapito del-l’intento prefissatoci di adererire quanto più possibile al testodi partenza, oltreché, ovviamente, della chiarezza del concettoespresso dal poeta, a volte correttamente traducibile solo attra-verso una banalizzazione della forma poetica e, quindi, rimica.In generale è stata sacrificata la stretta aderenza formale al te-sto di partenza qualora essa richiedesse un eccessivo allonta-namento dal senso più immediato da noi attribuito ai versi.

In taluni casi abbiamo preferito la perifrasi al singolo vo-cabolo italiano che, pur ottemperando alla esigenza esteticao uditiva, tuttavia non avrebbe potuto rendere appropriata-mente il concetto espresso nella lingua di partenza.

Raramente si è scelta la via della esegesi attraverso lanota a piè di pagina, se non in pochi casi (quattro) nei qualiciò si è reso necessario, almeno in rapporto alle nostre capa-cità e conoscenze. Come per tutte le nostre osservazioni, talinote sono racchiuse fra parentesi quadre.

Inoltre si è scelto di tradurre, sempre fra quadre, i voca-boli in sardo interferito con l’italiano o con l’inglese (cfr. ades. Signor Ciarla a su fizu Ciarlatanu) presenti in alcuni so-netti, inserendo tali forme composte all’interno della tradu-zione, sì da tentare di preservare l’intenzione linguistica cheanima queste divertenti sperimentazioni mereiane.

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CLASSIFICAZIONE METRICA

Questa classificazione ha lo scopo di dare conto dellavarietà e frequenza dei metri utilizzati dal poeta. Da talepunto di vista Mereu appare legato per un verso a certo tipodi tradizione ormai diffusa nella poesia “colta” isolana: difattiegli si muove per lo più fra sonetti, terzine e ottavas serra-das e in lira, variandone però continuamente lo schema ri-mico e, talvolta, la misura del verso.

Nella produzione che ci è giunta – quella sulla quale, per-tanto, dobbiamo fondare le nostre osservazioni – spicca l’as-senza dei metri torrados, composti di versi ripetuti e suddivisiin isterrida o isterria o pesada, cambas (‘strofe’), cambas tor-radas (‘versi ritornati’, ossia ‘ripetuti’) e torradas.1 Queste tecni-che, tipiche ad esempio di mutos e mutettus e assai legate allapoesia improvvisata – ma quasi tutti i più noti poeti sardi ataulinu le utilizzarono – sono praticamente assenti dal discorsopoetico di Peppino Mereu, il quale, però, le dovette ben cono-scere, vista la sua frequentazione sia del mondo della produ-zione estemporanea degli improvvisatori, sia della produzionedei “grandi” in lingua logudorese, che ne fecero largo uso.2

1. Per un’idea della metrica sarda e delle tecniche che la caratterizzanorimandiamo almeno a M. Madau, Le armonie de’ Sardi, Cagliari, RealeStamperia, 1787 [rist. anast. Bologna, Li Causi, 1983] riedito a cura di C.Lavinio, Nuoro, Ilisso, 1997 e a G. Spano, Ortografia sarda nazionale,Cagliari, Reale Stamperia, 1840 [rist. anast. Cagliari, Gia Editrice, 1995],capp. I e II. Si veda poi A.M. Cirese, Struttura e origine morfologica deimutos e mutettus sardi, 1964, [rist. anast. Cagliari, 3T, 1977], relativamentealle strutture metriche di queste forme poetiche, mentre sulla terminolo-gia delle forme metriche della poesia popolare sarda, dello stesso autore,“Alcune questioni terminologiche in materia di poesia popolare sarda:‘mutu’, ‘mutettu’, ‘battorina’, ‘taja’”, estr. da Annali delle Facoltà di Letteree Filosofia e di Magistero dell’Università di Cagliari, vol. XXVII, 1959 [rist.anast. Cagliari, 3T, 1977]. Entrambi i lavori di Cirese sono confluiti nella“Parte seconda. L’arte del trobear”, in A.M. Cirese, Ragioni metriche, Pa-lermo, Sellerio, 1988. Sufficientemente esaustivo e chiaro è poi il lavorodi A. Deplano, Rimas, Cagliari, Artigianarte, 1997.

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Appare convincente l’ipotesi formulata da Duilio Caocci aproposito della selezione che ha dato luogo alla silloge editada Valdés: «A noi pare che, a strutturare l’antologia, intervenneprima un’intenzione dell’autore … poi una selezione del cura-tore».3 È quindi ipotizzabile che tecniche come la retrograda-zione, la ripetizione di parti di verso o di interi versi e di altretecniche tipiche della poesia popolare sarda e di quella legataall’improvvisazione, che generalmente possiamo identificarefra i metri composti di pesada e torrada, siano state volontaria-mente escluse dallo stesso poeta, oltre che da un mentore ilquale, al corrente come Mereu di quanto si andava pubblican-do nel Paese, avrà incoraggiato il giovane autore a consegnar-gli di volta in volta la produzione considerata da entrambi “in-novativa”. Non sembra inopportuno pertanto parlare di unvolontario distacco, relativamente alla produzione a taulinu,da moduli poetici sentiti come legati a quel poetare orale che,pure, Mereu ben conosceva e praticava con passione, tanto daessere paragonato dall’amico Sulis al Tigellius della Satira I, 3di Orazio nella “Prefazione” all’edizione del 1899. Ciò perché«si nega sempre a cantare tra gli amici e una volta cominciatonon la smette più» (p. 102). S’impone, ovvia, una riflessionecirca il pubblico al quale Mereu e Sulis intesero rivolgere lepoesie contenute nella princeps: ci sembra che la scelta diDae una losa ismentigada ad esempio, rifatta su Postuma diLorenzo Stecchetti, figura assai in voga fra gli ambienti colti diquegli anni in Sardegna, la cui opera era spesso diffusa dalleeffemeridi locali, collocata in apertura della silloge potesse

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2. Si trovano con grande frequenza sestas e ottavas torradas nell’operadi D. Mele [Satiras, Cagliari, Della Torre, 1984]; deghinas glossas in A.D.Migheli [Sa briga ’e sos santos e altre poesie, Cagliari, Della Torre, 1986];in M. Murenu [Tutte le poesie, a cura di F. Pilia, Cagliari, Della Torre,1990], per limitarci a tre poeti satirici che con ogni probabilità Mereu co-nobbe e ai quali, in misura diversa, s’ispirò. I pochi casi di parti di versoripetute nel corpus mereiano sono formule o moniti come «Ammenta-dind’ammenta», ripetuto per due volte ai vv. 15 e 17 di X…, ma poco si-gnificativi ai fini del discorso metrico che qui affrontiamo.3. D. Caocci, “La poetica del controcanto. Note su un poeta sardo di fi-ne ’800”, in Portales, a. I, n. 1, 2001, p. 100.

costituire quasi una implicita dichiarazione programmatica, chevide il poeta tonarese ben consapevole nella volontà di distin-guersi rispetto ai moduli poetici tradizionali.

A conforto di quanto detto sopra riportiamo pochi stralcidi un articolo a firma di Giovanni Sulis e intitolato semplice-mente “Peppino Mereu”, apparso su S’Ischiglia, a. I, n. 12,1949, [rist. anast. Cagliari, Gianni Trois, 1979, p. 334]: «Un vi-vido cervello nudrito di una discreta cultura … riuscì … adallontanarsi sdegnosamente dalle imitazioni pedantementeservili di non pochi poeti nostrani, che amarono … le paro-die dei poeti classici … il Mereu fu un ingegno … che si al-lontanò dalla schiera dei poeti vernacoli del suo tempo …nei suoi vari atteggiamenti poetici che … schiusero dinanzial suo sguardo aquilino nuove vie alla sarda poesia». Sottoli-neare quale sia l’aspetto che Sulis apprezzò maggiormentedelle liriche di Mereu è a questo punto superfluo.

Prima di giungere alla classificazione vera e propria spen-deremo poche parole per definire lo stato di perizia metrica diPeppino Mereu, che definiamo alto, tenuto conto della culturae dell’età del poeta, con poche ipermetrie, ipometrie e rare fal-se rime, un numero elevato di dieresi eccezionali e in generaleirregolari, com’è tipico soprattutto della poesia che utilizza fre-quentemente versi sdruccioli, un uso della dialefe abbastanzadisinvolto sia dopo tonica, tonica + atona e, viceversa, in pre-senza di numerosi monosillabi, generalmente preceduti o se-guiti da vocale atona. Si nota inoltre un uso moderato di sisto-le e diastole, tenuto conto anche del fatto che nella poesiasarda, ma spesso anche in quella italiana, alcuni vocaboli han-no una pronuncia abitualmente differente rispetto alla linguaparlata, tendente spesso a rendere piana una parola sdrucciola(ad es. fémina > femìna, ocèanu > oceànu, cùmbidu >cumbìdu ecc.) e che, perciò, è talvolta difficile definire talispostamenti d’accento come diastole o sistole vera e propria.

Si tenga presente che nello schema rimico che utilizzia-mo le lettere maiuscole indicano gli endecasillabi, le minu-scole i versi di misura inferiore, mentre l’ordine in cui com-paiono i vari metri è stabilito in base alla frequenza.

SONETTI

Questo metro, per numero di occorrenze (diciannove +due fra i polimetri) e di versi, è in assoluto il più frequente.Tale struttura strofica era considerata tipica della poesia ataulinu e Mereu la utilizza diffusamente sia nella singolapoesia, sia “in serie”, sostituendola talvolta all’ottava, tipica-mente discorsiva, nella redazione di poesie particolarmenteestese, ad esempio in A Ernesto Mereu e Alberto La Marmo-ra. Anche quest’uso metrico del poeta tonarese ci pare unsegnale di novità all’interno della produzione sarda: il solofatto che prevalga il sonetto, difatti, indica da un lato la vo-lontà di non limitarsi a un’unica direzione, quella appuntodei versi torrados, quindi delle varie quartinas, sestas, otta-vas e deghinas; dall’altro si evince il desiderio di inserirsi inuna sorta di filone mediano in cui sono presenti anche le ot-tavas e le quartinas, utilizzate però richiamando alla mente,oltre alla tradizione locale, le letture dei modelli contempo-ranei della poesia nazionale. Il poeta cioè si colloca entroun ambito di più ampio respiro e propone temi nuovi, legatiad influenze derivanti dal realismo minore, come appuntodimostra la massiccia presenza dei sonetti, «forme metricheprivilegiate in cui i dialettali veristi calano le loro istantaneedel mondo popolare»,4 rispetto a una più aulica produzionelocale.

A noi pare che questa libertà nello stare a cavaliere fradue mondi ed assorbire da essi non solo temi ma anchestrutture formali, costituisca una delle formule vincenti dellapoesia di Peppino Mereu, autore colto e consapevole delleproprie scelte nonostante la giovane età, che si distinguenettamente sull’asse dell’innovazione rispetto ai suoi prede-cessori. Ricordiamo inoltre che il sonetto è il metro tipicodei componimenti che “rifanno” la parlata del dialettofonoche tenta, in determinate situazioni diastraticamente marca-te, di imbastire discorsi in un improbabile italiano (cfr. la“Prefazione”, pp. 22-44).

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4. F. Brevini, La poesia in dialetto, tomo 2, Milano, Mondadori, 1999, p.2866.

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Amore ABBA ABBA CDC DCDSolferino! ABBA ABBA CDC EDEAritzo ABAB ABAB CDC CDCStudente ABBA ABBA CDE CDES’orfana pedit pane ABAB ABAB CDC DCDAddio a Nuoro ABAB BABA CDC DCDUnu ballu in maschera ABAB ABAB CDE CDESa teracca mia ABBA ABBA CDE CDEA Ernesto Mereu ABAB ABAB CDE CDEIn Conziliatura ABBA ABBA CDE CDESu socialista a una bigotta [I] ABBA ABBA CDC DCD[II] ABBA ABBA CDE CDES’isveglia ABBA ABBA CDE CDEUnu bandu ABAB ABBA CDC DCDSu canarinu de su rettore ABBA ABBA CDE CDEAlberto La Marmora [I], [III], [IV] ABBA ABBA CDE CDE[II] ABAB ABAB CDE CDES’ambulante tonaresu ABBA ABAB CDE CDESignor Ciarla a su fizu Ciarlatanu ABAB BABA CDE CDESas giarrettieras ABAB ABAB CDE CDEA un’illusa ABBA ABBA CDC DCD

OTTAVAS

Numerose sono le ottavas (sette componimenti + unaottava mutila fra le liriche “dubbie” [A Peppe Cappai] + ottofra i polimetri). Si tratta di strofe di otto versi, in prevalenzaendecasillabi, che l’autore utilizza sempre nella forma serra-da, ossia con un distico finale a rima baciata che dovrebbecostituire sa serrada = ‘la chiusura’ appunto, e che concludeogni strofa, oppure in lira serrada, con endecasillabi e sette-nari alternati che si rincorrono fino alla chiusa della strofa,costituita da un distico a rima baciata, sempre secondo loschema 7/11 (cinque occorrenze). Fanno eccezione le ottave[IV] e [V] di Risposta amorosa, secondo l’edizione Della Tor-re dell’82, qui utilizzata come testo di riferimento (cfr. i“Componimenti polimetri”).

OTTAVAS SERRADAS

Dae una losa ismentigada ABABABCCW… ABABABCCSa bottiglia ABBAABCCA su tianesu ABABABCCCunfessende ABABABCCOttava ABBAABCCMauru Zucca ABABABCC

A Peppe Cappai: resta di questo componimento unaquartina probabilmente mutila dei quattro versi finali conschema ABAB, con indicazione di lacuna data da T, il testi-mone che lo tramanda.

OTTAVAS LIRAS SERRADAS

A Tonara aBaBaBcCGalusè aBaBaBcCA Eugeniu Unale [II] abCabCdDA signorina S… aaBccBdDTurmentos aBaBaBcC

TERZINE

Questo metro ricorre sovente nell’opera mereiana (dodi-ci componimenti) e in genere è utilizzato per liriche estesee, talvolta, a sfondo biografico e di carattere gnomico o sati-rico, ad esempio in A Eugeniu Unale [I] e A Nanni Sulis [II],sorta di epistole poetiche. Si noti inoltre la misura dei versidelle terzine di Litanias maggiores, in cui i consueti endeca-sillabi sono alternati ai settenari secondo lo schema abA, co-me segnalato da Andrea Deplano.5 Non manca tuttavia la sa-tira, sovente legata a questo metro, che giunge fino agliestremi dell’invettiva comicamente oscena di Minca macca-ca e alla parodia del verbale redatto in italiano dai carabi-nieri Bertolini e Unale (Piazzaforte di Orune). Si può dire

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5. A. Deplano, Rimas, Cagliari, Artigianarte, 1997, p. 51.

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che un così massiccio utilizzo di questo metro non si riscon-tra fra i poeti sardi prima di Mereu, il quale, tuttavia, puòaverlo apprezzato da molteplici fonti, ad esempio lo stessoGiusti.

Adultera ABA ACB CDC… YZY ZA Juanne Sulis ABA ACB CDC… YZY ZA Eugeniu Unale [I] ABA ACB CDC… YZY ZA Nanni Sulis [II] ABA ACB CDC… YZY ZSu minestrone ABA ACB CDC… YZY ZA Signor Tanu ABA ACB CDC… YZY ZAnima niedda ABA ACB CDC… YZY ZMinca maccaca ABA ACB CDC… YZY ZPiazzaforte di Orune ABA ACB CDC… YZY ZLitanias maggiores abA bcB deD… yzy ZA una violetta sicca ABA ACB CDC… YZY ZSu testamentu ABA ACB CDC… YZY Z

COMPONIMENTI POLIMETRI

Si tratta di liriche nelle quali varia consapevolmente lastruttura strofica e, di volta in volta, la misura del verso.Questa commistione di metri diversi non è diffusa nella pro-duzione poetica regionale che precede Peppino Mereu ed èdovuta, ci sembra, a quella che, con formula felice, DuilioCaocci definisce «insubordinazione nei confronti delle formemetriche … analoga all’insofferenza nei confronti dei generi“poetici” tradizionali».6

Fra l’altro queste variazioni di strofa e metro non costi-tuiscono una piccola parentesi (dieci occorrenze) e com-prendono, per lo più, combinazioni di sonetti + ottavas (Mo-ribunda, A Genesio Lamberti) e quartine di metri diversi, adesempio quinari + endecasillabi (Lamentos d’unu nobile)oppure di quartine di endecasillabi + ottavas (K…, Y…).

6. D. Caocci, “La poetica del controcanto di Peppino Mereu”, in Porta-les, a. I, n. 1, agosto 2001, p. 104.

K… è fatta rientrare fra i polimetri in quanto alla quarti-na di endecasillabi iniziale, una sorta di pesada introduttiva,non corrisponde alcuna torrada dal punto di vista metrico.Ciò per quanto riguarda le fonti dirette.

Nelle raccolte Coll., come in T, si presentano fra le lirichereperite da fonti indirette strutture strofiche e variazioni metri-che assai più azzardate, nelle quali cioè la libertà nel combina-re strofe e metri aumenta in maniera esponenziale. Non pareingiustificato a questo punto pensare a un “degrado” derivantedalla memorizzazione e riproduzione orale di liriche poi siste-mate secondo una struttura che è parsa plausibile ma nonsempre corretta (rimandiamo alla “Nota al testo” per le diffor-mità metriche riscontrate nel presente lavoro fra i vari testimo-ni). Tuttavia non è da escludersi a priori che nella produzionemeno “sorvegliata” o improvvisata, il poeta si sia lasciato anda-re ad uno sperimentalismo maggiore, pur se restiamo convintidella necessità di una rivalutazione delle fonti indirette per va-lutarne l’attendibilità anche, ma non solo, a fini metrici.

Un cenno a parte merita Serenada, vista l’irregolarità checontraddistingue il componimento. Difatti le due raccolte Del-la Torre presentano una suddivisione 12 + 4 + 4, che a noipare assai improbabile, mentre C dà quattro quartine e T unastrofa unica di venti versi. La soluzione proposta da C sembraplausibile, ma si è qui preferita una scansione 4 + 8 + 8 (cfr.sotto lo schema), in quanto più diffusa rispetto al modello diquartinas torradas con rima incrociata che propone C.7 Inquesto caso utilizziamo il termine torrau per indicare la corri-spondenza rimica fra l’ultimo verso di ogni quartina e il primodella successiva, come anche, secondo la nostra suddivisione,fra il primo verso della quartina e la prima ottava e fra l’ulti-mo verso di questa e il primo della seconda ottava, nella qua-le, infine, rimano anche il verso incipitario e quello di chiusu-ra. Tuttavia anche la nostra scansione metrica è da prendersicol beneficio del dubbio.

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7. Per le ottavas torradas di ottonari con schema abbccdde // e … cfr.ad es. Satira di A.D. Migheli, in Sa briga cit., pp. 143-151.

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Quanto alle possibili origini dei polimetri mereiani, cisembra opportuno rimandare a Giuseppe Giusti e a liricheestese del poeta toscano quali La vestizione o Gingillino adesempio. Quest’ultima poesia è dedicata al patriota napoleta-no Alessandro Poerio e costituisce una satira feroce nei con-fronti della burocrazia e dell’arrivismo in essa imperante. A li-vello metrico Giusti si muove, in un continuo e freneticovariare, fra terzine, quartine, sestine, ottave, con metri chespaziano dal quinario all’endecasillabo.

Nella poesia sarda dialettale non ci è dato trovare una si-mile ricerca di variatio metrica precedente a Mereu.

Moribunda[I], [II], [IV] Sonetti con schema ABAB ABAB

CDE CDE

[III] 12 strofe in ottava lira serrada conschema abCabCdD

Lamentos d’unu nobile 34 quartine di quinari con schemaabcb + 12 quartine con schemaABa7B

A Genesio Lamberti[I], [II], [III], [IV] 27 ottavas liras serradas con sche-

ma abCabCdD

[V] Sonetto con schema ABAB BABACDE CDE

[VI] Sonetto con schema ABBA ABBACDE CDE

Agonia Una ottava lira serrada con sche-ma abCabCdD + 17 quartine conschema ABa7B

K… Una quartina con schema ABAB +6 ottavas liras serradas con sche-ma aaBaaBcC

Y… 4 quartine con schema ABa7B +una quartina col primo e il terzoverso parzialmente mutili e unaquartina mancante dei primi 2 ver-si (gli ultimi 2 a rima baciata) + 2ottavas liras serradas (la primamutila del distico finale) con sche-ma abCabCdD

Signora maestra Una strofa unica di 35 versi conschema a6a6Bc6c6Bd6d6d6d6EEf6f6f6f6GGh6h6i6i6LLm6m6n6n3o6o4p6p4q6q4r6R + una quartina finale conschema SSTT

Proposta amorosa8 Una strofa unica di 29 endecasilla-bi e settenari con schema aABBCCDdEEFggFhHiilmmLnNoOPPQQ

Risposta amorosa Una strofa unica di 16 endecasilla-bi e settenari con schema aAbbccddEEFFGghh + 2 deghinas conschema IILLMMNNOO e PPQQRRSSTT + una quartina finale conschema u7UVV

Serenada Una quartina iniziale di ottonari conschema abba + 2 ottavas torradasdi ottonari, di cui la prima conschema accddeef, la seconda conschema fgghhiif

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8. Questa e la lirica successiva appaiono fra i polimetri dato che essi,pur suddivisi nel titolo da Coll., in realtà costituiscono due parti delmedesimo componimento.

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QUARTINAS

Questo metro, assai frequente nella poesia sarda, è a direil vero poco utilizzato dal nostro poeta nelle formule abitualiin endecasillabi, ottonari e settenari (due occorrenze + cinquefra i polimetri). Generalmente Mereu predilige l’alternanza diversi lunghi e brevi alla misura unica (cfr. le diciassette quarti-ne con schema Ab7a7B di Agonia). La novità nell’ambito del-l’utilizzo di questa struttura strofica nella poesia sarda di pro-duzione scritta è costituita principalmente dalle quartinas diquinari della celebre A Nanni Sulis e di Lamentos d’ununobile, componimento inserito fra i polimetri che ci ricorda,per l’uso delle formule latine (ad esempio «in diebus illis», v. 5)e per la satira contro la laudatio temporis acti, il Giusti di Pre-terito più che perfetto del verbo “pensare”, nelle cui quartine diquinari si trovano tali formule appunto, legate al mondo “pre-terito” ironicamente invocato, come «In illo tempore» (v. 17),«Nihil de principe / Parum de reo» (vv. 23-24) ecc. Inoltre èpresente la figura dell’esattore («Il messo e l’èstimo / pareggiatutti»), che anche nella lirica di Mereu appone i sigilli ad ognicosa che gli capiti a tiro, senza alcuna remora nei confronti deltitolo nobiliare.9 Questo metro è certamente ispirato a Mereudal poeta toscano sia per il tono, sia per la forte cadenza chesi deve alle rime sdrucciole. In più Mereu fa rimare solamenteil secondo e il quarto verso in A Nanni Sulis [I] e in Lamentosd’unu nobile, come spesso fa il suo modello.

Il quinario è utilizzato in Sardegna, in alternanza ad altrimetri più lunghi (spesso settenari e ottonari), principalmentenei gosos e nella poesia religiosa in genere, talvolta in quartine.Si legga a tal proposito la strofa iniziale della Laude a su verbueternu pro s’incarnatione, et temporale natividade sua riporta-ta da Madau ne Le armonie de’ Sardi: «Laudemus su Creadore,/ Creaturas, chi vivímus, / Semus, & nos movímus / Pro gratiasua».10 Qui lo schema è a7b7b7a5. Tuttavia nel caso di Mereu sitratta d’influsso nettamente giustiano, come detto.

9. Le citazioni sono tratte da G. Giusti, Poesie, a cura di N. Sabbatucci,vol. I, Milano, Feltrinelli Editore, 1962, p. 68.10. M. Madau, Le armonie cit. Cito qui dall’edizione a cura di C. Lavi-nio, Nuoro, Ilisso, 1997, p. 126.

A Nanni Sulis [I] abcbX… ABa7B

STROFE DI UNDICI VERSI

Questa struttura strofica, comparsa per la prima voltanell’opera di Luca Cubeddu, secondo lo spoglio effettuatoda Andrea Deplano,11 quasi sempre prevede l’alternarsi disettenari ed endecasillabi e, nel caso di Mereu, conserva loschema rimico più diffuso nei cinque componimenti che laattestano, la cui varietà tematica non consente però di indi-viduare un legame ben preciso fra metro e tema.

Consizos a unu amigu abCabCddCeEA Paolo Hardy abCabCddCeENon ti poto amare abCabCddCeEA Nanni Sulis abCabCddCeE[Anepigrafa] abCabCddCeE

SESTA

Questa struttura strofica, diffusissima nella poesia sardapresso autori quali Cubeddu, Murenu, Mossa e altri, è utiliz-zata dal poeta tonarese per un solo componimento nella for-ma in lira serrada, ossia con alternanza fra endecasillabi esettenari e con gli ultimi due versi a rima baciata. Netta ap-pare quindi la predilezione del metro “concorrente”, l’ottavaappunto, spesso utilizzato dai poeti improvvisatori, assiemealla sesta, nella forma torrada, ossia con l’ultimo verso a ri-ma fissa che riprende una delle rime della pesada, costituitageneralmente da quattro versi a rima incrociata che dettanoil tema del componimento. Solitamente sa torrada si trova altermine dell’ultima strofa e consiste nella ripetizione, a mo’di congedo, della pesada. Tale struttura, che si può far rien-trare all’interno di una categoria generale di ripetizione del

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11. A. Deplano, Rimas cit., p. 90.

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verso tipica della poesia sarda, è trascurata da Mereu, per lomeno nella produzione a noi giunta.

Imbasciada ABaBcC

DEGHINA

Anche questo metro è tipico e assai diffuso fra i poeti sardipiù noti, con diverse varianti e, spesso, nella forma glosa oglossa, a seconda che si adotti la pronuncia spagnola (il metroè d’importazione iberica) o quella assimilata alla fonesi sarda.Nella forma semplice essa è composta generalmente di ende-casillabi variamente rimati. Tuttavia è ben raro che si troviquesto metro privo di pesada sul modello della corrispondenteottava.12 La deghina glossa, che rientra fra i metri torrados è, aconferma di quanto detto in precedenza, assente in Mereu eassai diffusa fra i poeti più noti. Essa consiste, in breve, in unapesada tetrastica cui seguono altrettante strofe di dieci versi,generalmente ottonari. Si ha, inoltre, la ripresa della rima di unverso della pesada in sesta e settima posizione di ciascunastrofa, nonché la ripetizione dell’intero verso in chiusura diognuna delle quattro strofe.13 Mereu utilizza la deghina assaidi rado (una occorrenza + due strofe in Risposta amorosa [cfr.“Componimenti polimetri”]). Questa struttura metrica non ri-corre nella princeps, probabilmente per il discorso relativo allaselezione metrica, oltre che tematica, delle liriche.

Titti tittia ABABABACAC

12. Lo stesso Deplano, Rimas cit., p. 91, riporta una deghina priva dipesada di Luca Cubeddu, collocata nella sezione dei “Versi improvvisa-ti” e, perciò, di dubbia attribuzione, come del resto il componimentoattribuito a Mereu. Per Cubeddu si veda la “Nota all’edizione” in L. Cu-beddu, Cantones e versos, a cura di S. Tola, introduzione di M. Pira, Ca-gliari, Della Torre, 1995, p. 40.13. Rimandiamo per un quadro esplicativo ad A. Deplano, Rimas cit.,pp. 116-118. Da non trascurare è però la spiegazione fornita da M. Ma-dau, Le armonie cit., pp. 67-68 e pp. 168-197, per alcune interessantiesemplificazioni fornitevi dal gesuita ozierese.

STROFA DI QUINDICI VERSI

Questa struttura sarebbe stata utilizzata da Mereu in ab-binamento con l’ottonario in una poesia che, per giunta, èpresente in un solo testimone, T, sulla cui autorità abbiamogià espresso più d’un dubbio. Difatti Aspettos sembrerebbeun rifacimento decisamente “facile” basato sul filone misogi-no ben presente nella tradizione lirica sarda e che il poetaha altrove mostrato di trovare congeniale, ad esempio in ASignorina S… Ovviamente il componimento sarebbe suddi-visibile anche secondo altre combinazioni strofiche, adesempio in una strofa di 9 + 6, oppure 11 + 4, tuttavia prefe-riamo darlo a testo secondo la scansione a strofa unica datadal testimone, evitando così forzature di sorta. Si noti che ilverso incipitario e quello finale rimano fra loro.

Aspettos abacddcceeffgga

STROFA SAFFICA

Questo metro di derivazione classica, originariamente for-mato da tre saffici minori + un adonio, è stato ampiamente ri-preso nella poesia italiana e generalmente reso con tre ende-casillabi + un quinario a rima alterna (ABAb5), oppure, comeaccade nell’uso mereiano, da tre endecasillabi + un settenario,sempre a rima alterna. Quest’ultima struttura si trova in Monti,Fantoni e Manzoni,14 ma probabilmente Mereu la mutua dal

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14. Cfr. P.G. Beltrami, La metrica italiana, Bologna, Il Mulino, 20024, pp.355-356. A. Deplano, Rimas cit., p. 56, dice a proposito della quartina:«Esistono tante altre possibilità di diversificazione del ritmo, basta sosti-tuire un verso della quartina con metro differente dai restanti tre, comenei giochi proposti da Peppinu Mereu» e cita quale secondo esempio diquartina i primi quattro versi di Caresima. La strofa saffica è composta diquattro versi come la quartina, ma la sua derivazione non è certo sarda.A p. 57 lo studioso afferma, a nostro parere con ragione, che «PeppinuMereu conosceva quella poesia di tipo religioso che l’abate Matteo Ma-dau ci indicava come Laudes, in cui il verso di più breve durata racchiu-deva il messaggio della dottrina cristiana». Tuttavia, vuoi per la lunghezza

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Giusti (cfr. Legge penale degli impiegati) o da Stecchetti (cfr.Postuma XX, in L. Stecchetti, Le rime, Bologna, Zanichelli,1903).

Caresima ABAb7

MUTOS

I componimenti caratterizzati da questa denominazionesono tipici del centro-nord dell’Isola e si suddividono in ister-ria e torrada: nell’isterria i versi non devono rimare fra loro,in quanto le rime saranno soddisfatte dalla torrada. L’isterriaè composta da un numero variabile di versi, da due a otto ge-neralmente, e la torrada, attraverso la ripetizione progressivadi ognuno dei versi, disposti in ordine sempre diverso, dell’i-sterria e delle cambas (‘strofe’) successive, dà origine a unnumero di cambas pari ai versi dell’isterria. Generalmenteogni camba consta di un verso in più rispetto all’isterria. Infi-ne è tipica di questa struttura poetica la presenza di versi tro-beados o troboiados, ossia ‘varianti’, che consistono in una va-riazione dell’ordine sintattico o nella sostituzione dell’ultimaparola del verso, così da intessere complessi giochi di rime eda disporre di infinite possibilità rimiche, senza dover neces-sariamente reperire nuovi versi e nuovi concetti, fino all’esau-rimento delle rime aperte dall’isterria o dalla camba prece-dente.15 I mutos sono forme poetiche tipicamente legate

del metro (l’endecasillabo non era presente in questi componimenti)vuoi per la sua conoscenza non superficiale della poesia italiana, Mereuavrà adottato consciamente la strofa saffica – assai utilizzata, col più tra-dizionale quinario ma anche col settenario, come si è visto, dal Giusti adesempio –, e non una quartina variata con “giochi” metrici, che sarebbetutt’altra cosa. Semmai la scelta del settenario in luogo del quinario qualeverso breve potrebbe avere anche cause “endogene”, ossia l’utilizzo diuna sorta di saffica in lira particolarmente congeniale al poeta. Tuttaviasimili ipotesi esulano da una disamina filologicamente fondata sulle for-me metriche adottate da Mereu.15. Per un’approfondita disamina di questa forma poetica rimandiamoad A.M. Cirese, Struttura e origine cit.

POESIAS

all’oralità, a quella poesia tradizionale ripartita in pesada etorrada che, come abbiamo visto, è esclusa dalla silloge poifatta pubblicare dal Sulis.

Quindi il mutu tràdito da T, se realmente eseguito dal-l’autore, farebbe parte del territorio poetico legato all’im-provvisazione e recuperato felicemente attraverso fonti orali.Tuttavia esso sa di artificioso, di culto, di taulinu quindi.Sembra uno degli eleganti mutos di Montanaru insomma,tutt’altro che improvvisati o popolari. Non vi sono, d’altron-de, elementi sufficienti per espungerlo. Come si noterà, essosviluppa solamente la prima camba. Infine i numeri in apiceai versi della torrada, tutti settenari, come di regola in questicomponimenti, indicano la corrispondenza con i rispettiviversi dell’isterria, anch’essa in settenari.

Muttu isterria abcdeftorrada ae1f1c1b1a1d1

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Cortese Lettore,

Sedotto dalla dolce melodia de’ versi che mi è grato pre-sentarti, e facendomi forte della calda amicizia che mi legaa colui che li dettò, mi son permesso – senza chiederglienel’autorizzazione – di consegnarli alla stampa, anche a ri-schio di dover pagare il fio della mia audacia. L’Autore –senza dubbio – si lagnerà meco della soperchieria: ma che cifare adesso? Post factum nullum consilium.

Se, quindi, questi versi risentono qua e là di certoneglige, se ad essi fan difetto il labor et mora tanto racco-mandato dal divino Orazio e tanto necessario al felice suc-cesso di un’opera qualsiasi, la colpa è tutta mia: e, pubblica-mente, ne faccio onorevole ammenda.

Dopo tutto soltanto i pedanti e i critici schizzinosi potran-no trovare, in questo volume di versi, la grafomania dell’in-sensato: io però ho creduto non fosse privo d’interesse far co-noscere al popolo sardo le prime manifestazioni giovanili delpensiero e del cuore di Giuseppe Mereu – giovane d’ingegnovivace e proteiforme – dell’alpestre Tonara, il quale, nella me-lanconica solitudine della vaga campagna, coltiva, con entu-siasmo, le muse; rivelandosi, fin d’ora, fra le giovani forti spe-ranze della poesia dialettale, a carattere eminentementesoggettivo. E dico a carattere eminentemente soggettivo, poi-ché, sia che egli decanti le bellezze della sua patria, sia chesciolga un canto ad una giovinetta defunta, o porti i salutiall’amico lontano, vi trasfonde sempre ne’ versi tutta la grandeamarezza dell’anima sua, profondamente addolorata, maricca di nobili ed elevati sentimenti.

A me – amico ed ammiratore del poeta – non spetterebbedi metterne in evidenza i pregi; ma chi può mai rimanere in-differente dinanzi ad un giovane intelletto che dà di sè fortepromessa di più sicuro avvenire? Certamente se, la facilità,che ammirasi in tutti i suoi poetici componimenti, la forma,a volte, poco corretta e la inspirazione intemperata, attenua-no il valore de’ suoi versi considerati isolatamente, aumenta-no – di gran lunga – quelli del poeta; poiché è sicura prova

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E dette queste poche parole invito il compiacente lettore chemi ha seguito fin qui – a fare un’amorosa lettura de’ versi diGiuseppe Mereu – di questo caro e simpatico giovane, che aglialbori della nuova età si schiude qual modesto fiore; dimo-strando talento di artista, intelletto d’amore e cuor di cittadino.

Ancora una parola, e basta.Non pago di aver tenuto il presente volume, al fonte bat-

tesimale, mi sono anche fatto ardito di apporvi qualche nota,nella dolce lusinga di rischiarare alcuni punti. Avrò rag-giunto lo scopo? A te, benevolo lettore, la risposta.

Tonara, 30 agosto 1897.

Giovanni SulisLaureando in Medicina

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che, il Mereu, quando scrive, si abbandona – senza ritegno –agli affetti che agitano l’infelice suo spirito. «In Giuseppe Mereu,come il pensiero nasce dal sentimento e non è altro che questosentimento riflesso nell’immaginazione, così la forma nascedal pensiero ed è il pensiero riflesso tal qual’è in un mondoesteriore». Questo ci spiega la sua natura altamente poetica egli argomenti che imprese a trattare; giacché egli ha sortito danatura una spiccatissima tendenza alla poesia; tendenza cheestrinseca – in mille modi – con una facilità di espressione ve-ramente ammirabile e con una abbondanza e varietà di ar-monie che gli frullano in testa e gli titillano l’orecchio.

Onnibus hoc vitium est cantoribus, inter amicosUt nunquam inducant animum cantare rogati,Iniussi nunquam desistant. Sardus babedatIlle Tigellius hoc.

Tale è pure Giuseppe Mereu; il quale si nega sempre a can-tare tra gli amici e una volta cominciato non la smette più.

Giovane d’anni, ma ricco d’espedienza, ha il senso delpresente, ed intende ciò che risponde all’anima popolare; equest’anima – così in una sfuriata alla nobilea, come inuna tirata contro certi farisei del nostro tempo – sbolla fuorda ogni sua frase.

Malgrado, però, il suo disgusto universale, il Mereu, tal-volta giuoca, ride, schernisce; ma questo riso non è gaio eschietto, ma questo giuoco non è scherzo, ma scherno; c’è inesso un profondo senso di amarezza; sotto la maschera stil-lano goccie di sangue.

Il Mereu è, a suo modo, anche umorista: persone veduteappena, anedotti colti a volo entrano nel suo cervello per nonpiù uscirne e si trasformano, pigliando le più squisite figuregrottesche. Ma lo spirito motteggevole ed arguto, l’allegrezzacanzonatoria, di cui talvolta il suo spirito sembra pascersi,non è che apparente, e sono nient’altro che ingannevoli arti-fizi, a cui, egli, talvolta ricorre, per coprire le malinconie pro-fonde che aleggiano nell’anima sua scombuiata e ferita.

DAE UNA LOSA ISMENTIGADA

Non sias ingrata, no, para sos passos,o giovana ch’in vid’happ’istimadu.Lassa sas allegrias e ispassose pensa chi so inoghe sepultadu.

5 Vermes ischivos si sunt fattos rassosde cuddos ojos chi tantu has miradu.Para, par’un’istant’, e tene curade cust’ismentigada sepoltura.

A ti nd’ammentas, cando chi vivia10 passaimis ridend’oras interas?

Como happ’una trista cumpagniade ossos e de testas cadaveras,fin’a mortu mi faghet pauriasu tremendu silenzi’ ’e sas osseras.

15 E tue non ti dignas un’istantede pensare ch’inog’has un’amante!

Ben’a’ custas osseras, cun anneos,si non est falsu su chi mi giuraist,e pensa chi bi sunt sos ossos meos,

20 sos ossos de su corpus ch’istimaist;fattos in pruer, non pius intreoscoment’ ’e cand’a biu l’abbrazzaist.Non pius agattas sas formas antigas,ca so pastu de vermes e formigas.

25 Bae, ma cando ses dormind’a lettuuna ’oghe ti dèt benner in su bentu,su coro t’hat a tremer in su pettua’ cussa trista boghe de lamentuchi t’hat a narrer: «Custu fit s’affettu,

30 custu fit su solenne juramentu?».

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AMORE

Beni, dammi sa manu, isfortunadu,tue ses dignu de s’istima mia:lottend’in dunu mar’ ’e angustiacustu virgine cor’has meritadu.

5 Cantas bortas pro me has deliradusognende cudda candida Maria,chi t’est present’a ti narrer: «Isviasu dolu, ca da ipsa ses amadu».

Eo so cudda c’amas, caru fiore,10 c’abbandono ridente su jardinu

pro ti fagher de mene possessore.

Beni duncas, non vivas in pibinu,e fattend’unu sognu de amore,fritti sa test’in s’amorosu sinu.

Inoghe non ti firmas, lestra passas,e a’ custa trista rughe non t’abbassas.

Cando passas inoghe pass’umile;t’imponzat custa pedra su rispettu,

35 ca so mortu pro te anima vile,privu de isperanz’e de affettu.Dae custa fritta losa unu gentilefiore sega e ponedil’in pettu,pro c’ammentes comente t’happ’amadu,

40 già chi tue ti l’has ismentigadu.

Camposanto di Cagliari, 2 nov. 1891.

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DA UNA TOMBA DIMENTICATA

Non essere ingrata, no, ferma i passi, / o giovane che in vita ho ama-to. / Lascia le gioie e gli spassi / e pensa che sono qui sepolto. / Ver-mi schifosi sono diventati grassi / con quegli occhi che tanto hai guar-dato. / Ferma, fermati un istante, e abbi cura / di questa dimenticatasepoltura. // Ti ricordi che, quand’ero vivo, / passavamo ore intere aridere? / Ora ho una triste compagnia / di ossa e di teschi, / perfinoda morto mi fa paura / il tremendo silenzio degli ossari. / E tu non tidegni un istante / di pensare che qui hai un amante! // Vieni a questiossari, con tristezza, / se non è falso ciò che mi giurasti, / e pensa checi sono le mie ossa, / le ossa del corpo che amasti; / ridotte in polve-re, non più integre, / come quando da vivo l’abbracciavi. / Non piùtrovi le forme antiche, / perché sono pasto di vermi e formiche. //Vai, ma quando dormi nel tuo letto / una voce ti giungerà col vento, /il cuore ti tremerà nel petto / a quella triste voce di lamento / che tidirà: «Questo era l’affetto, / questo era il solenne giuramento?». / Quinon ti fermi, lesta passi, / e a questa triste croce non t’abbassi. //Quando passi qui, passa umile; / questa pietra t’imponga il rispetto, /perché sono morto per te anima vile, / privo di speranza e d’affetto. /Da questa fredda tomba un gentile / fiore cogli e appuntatelo al petto,/ perché ricordi come t’ho amato, / già che tu l’hai dimenticato.

AMORE

Vieni, dammi la mano, sfortunato, / tu sei degno della stima mia: /lottando in un mare d’angustia / questo vergine cuore hai meritato.// Quante volte per me hai delirato / sognando quella candida Ma-ria, / che sta qui per dirti: «Allontana / il dolore, perché da lei seiamato». // Io son colei che ami, caro fiore, / io che abbandono sor-ridente il giardino / per farti di me possessore. // Vieni dunque,non vivere nel lamento, / e facendo un sogno d’amore / china latesta sull’amoroso seno.

pro c’hat haer de medas s’assimbizu.Mischinedda! It’est chi ti dènt parrer

35 sos ispasimos maccos d’una Frinechi disonesta ti faghent cumparrer?

Su lumen’e’ sa manu d’un ominehas azzettad’e a s’onore soue a su tou signad’has sa fine.

40 Bisonzu chi nascheras dae noupro bi durar’onestu su giudissiu,in sa testa c’has fragile che ou.

Mischina! Non t’abbizas chi su vissiut’est iscavend’in sa giovan’edade

45 un’orroros’e feu prezipissiu?Da chi ses rut’in sa disonestade

su visu to’est che unu cartelluchi a sos passizzeris nât: «Intrade».

Su signal’infamant’ ’e su burdellu50 t’hat in laras sa purpura distructu,

mancari bi la passes a pinzellu.Ses cal’un’arvuredda chi su fructu

isquisitu, senza esser cumpridu,dae su ram’a su fangu ch’est ructu.

55 Pens’e rifletti c’has unu mariduchi pro te fuit su consorzi’umanu,pensend’a tantos males; avvilidu.

Fist che giardin’in continu ’eranutott’induna però proadu hasa

60 s’ira d’unu terribil’uraganu.Fist bella, ruja cale cariasa,

com’abbrutida: s’aperit sa losapro seppellire sa peta carasa.

Sa ’ucc’haiast che buton’ ’e rosa,65 basada solamente cun amore

da una mamma bon’e amurosa.Ses cale profumad’unu fiore,

chi, pro sa forz’ ’e l’haer giust’in sinu

ADULTERA

A cosa ses torrada, poveritta!has in laras funest’unu signale;«Adultera!» ti gridat un’iscritta

foza de sa corona nuziale,5 sa virtude ti gridat: «Faghe pasu,

cando ti tentat respinghe su male».Tue, perversa, no nde faghes casu,

sas laras corallinas e’ su sinunudu espones a s’infame basu.

10 Inespert’has sighid’unu destinude fangh’e infangad’a faccia manna,has postu terras santas a camminu.

Semper frundida t’ ’ident in sa jannainoperosa cunfort’e ruina

15 de sos macacos ch’isfozant sa canna.De mangara t’has fatt’una cortina

a su pallidu vis’attripunzidu,pro cumparrer sa carre purpurina.

Dae cand’has lassadu su maridu20 chi sa sorte t’hat dadu, cun dilettu,

nara, cantos amantes has rezzidu?Profanad’has sa dom’e’ su lettu

in su cale leggittim’un’isposuardentes basos t’hat depost’in pettu.

25 Pro te non vivet coro piedosuchi ti consizet: «Faghes mal’a tiecun s’operare tou iscandalosu».

Pallida t’hant a bider unu die,suspirende, cun lagrimas a chizu,

30 sa fida chi ti colas de gosie.Si su destinu ti dàt unu fizu,

de chi est fruttu mai podes narrer,

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hat perdidu profumos e colore.70 Mischina! Ses passada in su camminu

pienu de sa bruttura maladitta,chi t’hat giutu a finir’a su trainu!

Unu burdu suendedi sa tittati bio gia’, pro ischern’e collunu,

75 in fronte giughet fatal’un’iscritta,chi narat: «Fizu so de su Comunu».

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ADULTERA

A cosa sei ridotta, poveretta! / hai nelle labbra un funesto segnale; /«Adultera!» ti grida una scritta // foglia della corona nuziale, / la virtùti grida: «Fermati, / quando ti tenta, respingi il male». // Tu, perversa,non ci fai caso, / le labbra coralline e il seno / nudo esponi all’infa-me bacio. // Inesperta hai seguito un destino / di fango e infangatacon faccia tosta / hai ridotto a uno stradone luoghi sacri. // Ti vedo-no sempre buttata sulla porta / inoperosa, conforto e rovina / deglistolti che si “sfogliano” la canna. // Di sinòpia ti sei stesa una cortina/ sul pallido viso rugoso / perché la faccia sembri porporina. // Daquando hai lasciato il marito / che la sorte ti ha dato, con diletto, /dì, quanti amanti hai ricevuto? // Hai profanato la casa e il letto / do-ve un legittimo sposo / ha deposto ardenti baci nel tuo petto. // Perte non vive cuore pietoso / che ti consigli: «Fai male a te stessa, / coltuo fare scandaloso». // Ti vedranno pallida un giorno, / sospirando,con le lacrime agli occhi, / la vita che conduci in questo modo. // Seil destino ti dà un figlio, / mai potrai dire di chi sia frutto, / perché dimolti avrà le sembianze. // Poverina! Cosa mai ti sembreranno / ipazzi spasimi di una Frine / che ti fanno apparire disonesta? // Il no-me e la mano d’un uomo / hai accettato e all’onore suo / e al tuohai posto fine. // Dovresti nascere di nuovo / perché possa durareonesto il giudizio / nella testa che hai fragile come un uovo. // Pove-rina! Non t’accorgi che il vizio / ti sta scavando nella giovane età /un mostruoso e orribile precipizio? // Da quando sei caduta nelladisonestà / il tuo viso è come un cartello / che dice ai passanti: «En-trate». // Il segnale infamante del bordello / la porpora delle labbrat’ha distrutto, / anche se la ripassi col pennello. // Sei come un albe-rello il cui il frutto / squisito, senza esser maturo, / dal ramo al fangoè caduto. // Pensa e rifletti che hai un marito / che rifugge per te ilconsorzio umano, / pensando a tanti mali; avvilito. // Eri come ungiardino in perpetua primavera, / d’un colpo però hai provato / l’iradi un terribile uragano. // Eri bella, rossa come una ciliegia, / ora ab-bruttita: s’apre la tomba / per seppellire il corpo scheletrico. // Avevila bocca come un bocciolo di rosa, / baciata solamente con amore /da una madre buona e affettuosa. // Sei come un profumato fiore, /che, a forza di appuntarlo al petto, / ha perduto profumi e colore. //Poverina! Sei passata nella strada / piena della bruttura maledetta, /che ti ha portata a cadere nel ruscello! // Un bastardo che ti succhiail seno / ti vedo già, per scherno e irrisione / reca in fronte, fatale,una scritta, / che dice: «Sono figlio del Comune».

torra, non ti cumbincana sas graves25 penas chi t’hant sos risos consumidu,

ma donosa, ridente e fiorida,rend’a su lizu tou sas suavesisperanzas d’amore c’hat perdidu.

MORIBUNDAAlla Signora Angelina Charavel.

I.Cale viol’amabil’e gentile,chi, priva de profumos, non fiorit,gai, stes’in su lett’e in s’abrilede sa vida, una fiza mia morit.

5 Est pallid’e fattu fattu sa febbrilemanu mi tendet, ma no mi favoritd’unu sorrisu, ca sa Parca vilede tenebras sa cara li colorit.

In s’ultimu sarragh’ ’e s’agonia10 l’intendo murmurare: «Mamma faghe

coraggiu, a tantu dolu sias forte».

Ma no ischit però ch’in domo miab’est messende sa vid’e’ sa paghesa falch’inesorabil’ ’e sa morte.

II.15 O fiza, prite moris in s’istante

in su cale unu lizu de amoresi presentat a tie supplicantea ti pedir’unu risu, unu fiore?

Non molzas, torra bell’inebriante20 in vid’a canzellare su dolore

dae su coro chi t’amat: sa brillantetrista falche, respinghe cun orrore.

A sos dulches profumos de sa vida

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Prim’ ’e mi seppelliretue mamm’amurosa,ti pregh’e chelz’in cust’una promissa,ponemi su bestire

65 biancu de isposa;gai poto cumparrer in sa missa,non de s’affidu meuin terra, ma in chel’ispos’a Deu.

Pustis mort’ispiare70 cheria sos amaros

suspiros de coro tou, mamma mia;cando m’has a giamarecun sos lumenes caroschi mi dàs com’in s’ultim’agonia,

75 zeltu chi si dèt franghers’esistenzia tua in su piangher.

E tue, giovanu pallidue bellu, cun affettutenes cura de me, a cale prou?

80 Non bides? S’isqualliduiscrittu c’happ’in pettu,narat: «Custu fiore no es tou».S’anim’hat già ispaltusu ’olu, su corpus mort’ips’est in altu.

85 It’importat piangher?si mi amas dammilucust’ultimu cunfortu, siast forte.Forsis podes annanghercustu debile filu

90 truncadu dae sa falche de sa morte?Ajò coraggiu faghe,cunzedimi chi ridente molza in paghe.

Promittimi chi vives,

III.Frobide su piantu,

30 zesset ajò, su tediuchi mi zircundat cun bois in su lettu.Solu su campusantuest s’unicu rimediupro calmare su fogu ch’in su pettu

35 lentu m’est consuminde,como chi amore vida m’est pedinde.

In su libr’ ’e sa vidaiscrittu dae ora,b’hat una man’a caratteres mannos:

40 «Dès morrer consumidasenza toccar’ancorasa vird’edad’ ’e sos degheott’annos».Sa trista profezias’avverat, prestu ti lasso mamma mia.

45 Cussa candel’ardentemamma, prit’est chi l’hasapost’in pees a sa virgine Maria?L’has post’inutilmente,deo ti lasso, crasa,

50 consumada sa chera, s’agoniasonat pro sa consuntafiza, chi dae como ’ides defunta.

Fra brev’eo m’assentomorta da custa domo,

55 dulche nid’ ’e sa mia pizzinnia,e su lassare sentoa tie sola, comochi de me nd’has bisonzu, mamma mia.Est custu pensamentu

60 chi mi creschet in coro su turmentu.

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IV.125 Mentre sa moribunda est faeddende

grav’a sos coros, de cussa manera,una ’ezza pili cana, pianghendenàt a sa sufferente fiza: «Ispera».

Sa muribunda rispundet: «Intende130 mamma, ite cos’est custa bufera

ch’intendo muilare?». Est pioendee tristos lampos sulcana s’aèra.

Ite nott’infernale! In s’aposentusa disaura bi regnat sovrana:

135 solenne intendo una pregadoria.

E in sos tristos muìlos de su bentus’intendet lamentos’una campanac’annunziat d’una rosa s’agonia.

Nuoro, settembre 1894.

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olvida s’isfortuna95 chi como sos sorrisos ti cuntrastat.

Non chelzo chi ti privesde amare, ater’unafemmin’istim’, a me tantu mi bastatchi calchi ’ort’a fura

100 preghes pagh’a sa mia sepoltura.

E cando t’est cunzessunon t’ismentighes maichi cun deo perdid’has un’isposa;visita su zipressu

105 ue riposo, gaimi rendes dulches sognos in sa losa.In cussa tumba miarezit’una secret’avemaria.

Sa manifide d’oro110 chi m’has dad’in sa losa

non la sutterro, no, la torr’a tie.E ti prego, t’imploro,a un’ater’isposala das comente dada l’has a mie.

115 Dabil’e am’a ipsa,ses isoltu dae me d’ogni promissa.

Como, caru fiore,cust’ultimu disizuisculta, ca nd’has haer ingranzeu;1

120 si de un’ater’amorehas haer calchi fizu,battizalu cun su tristu lumen meu,gai chi calchi ’ortati suvvenis de me povera morta.

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MORIBONDA

I.Come una viola amabile e gentile / che, priva di profumi, non dàfiore, / così, stesa sul letto e nell’aprile / della vita, una figlia miamuore. // È pallida e ogni tanto la febbricitante / mano mi tende,ma non mi favorisce / un sorriso, perché la Parca vile / le colora ilvolto di tenebre. // Nell’ultimo rantolo d’agonia / la sento mormo-rare: «Mamma, fatti / coraggio, di fronte a tanto dolore sii forte». //Ma non sa però che a casa mia / la vita e la pace sta falciando / lafalce inesorabile della morte.

II.O figlia, perché muori nell’istante / in cui un giglio d’amore / sipresenta a te supplicante / a chiederti un sorriso, un fiore? // Nonmorire, torna bella inebriante / in vita a cancellare il dolore / dalcuore che ti ama: la brillante / triste falce, respingi con orrore. // Aidolci profumi della vita / ritorna, non ti convincano le gravi / peneche t’hanno consumato i sorrisi. // Ma graziosa, ridente e fiorita, /rendi al tuo giglio le soavi / speranze d’amore che ha perduto.

III.Asciugate le lacrime, / cessi, su!, il tedio / che mi circonda con voinel letto. / Solo il camposanto / è l’unico rimedio / per calmare ilfuoco che in petto / lento mi sta consumando, / ora che amore mi stachiedendo vita. // Nel libro della vita / scritto tanto tempo fa, / c’èuna scritta a grandi caratteri: / «Morirai consunta / senz’ancora averraggiunto / la verde età dei diciott’anni». / La triste profezia / s’avvera,presto ti lascio madre mia. // Quella candela ardente / mamma, per-ché l’hai / deposta ai piedi della vergine Maria? / L’hai deposta inutil-mente, / io ti lascio, domani, / consumata la cera, l’agonia / suonaper la consunta / figlia, che già ora vedi defunta. // Fra breve vadovia / morta da questa casa, / dolce nido della fanciullezza mia, / emi spiace lasciare / te sola, ora / che hai bisogno di me, madre mia./ È questo pensiero / che mi accresce nel cuore il tormento. // Pri-ma di seppellirmi / tu madre affettuosa, / ti prego e voglio per que-sto una promessa, / mettimi il vestito / bianco da sposa; / così possopresentarmi alla messa, / non delle mie nozze / in terra, ma in cielosposa a Dio. // Dopo morta spiare / vorrei gli amari / sospiri del tuocuore, madre mia; / quando mi chiamerai / coi nomignoli cari / che

mi dai ora nell’ultima agonia, / certo si dovrà infrangere / la tua esi-stenza nel piangere. // E tu, giovane pallido / e bello, con affetto / tipreoccupi per me, a che pro? / Non vedi? La squallida / scritta cheho nel petto, / dice: «Questo fiore non è tuo». / L’anima ha già spic-cato / il volo, il corpo morto è anche lui in alto. // Cosa importapiangere? / se mi ami dammi / quest’ultimo conforto, sii forte. / For-se puoi congiungere / questo debole filo / spezzato dalla falce dellamorte? / Su, fatti coraggio, / concedi che sorridente muoia in pace.// Promettimi che vivi, / dimentica la sfortuna / che ora i sorrisi ticontrasta. / Non voglio che ti privi / di amare, un’altra donna / ama,a me solo basta / che qualche volta di nascosto / preghi per la pacedella mia sepoltura. // E quando ti è concesso / non dimenticarti mai/ che con me hai perso una sposa; / visita il cipresso / dove riposo,così / mi rendi dolci sogni nella tomba. / In quella tomba mia / reci-ta una segreta Avemaria. // La fede d’oro / che mi hai dato, nellatomba / non la sotterro, no, la ridò a te. / E ti prego, t’imploro, / aun’altra sposa / dalla, come l’hai data a me. / Dagliela e ama lei, /ogni promessa fatta a me è sciolta. // Ora, caro fiore, / quest’ultimodesiderio / ascolta, perché ne ricaverai un premio; / se da un altroamore / avrai un figlio, / battezzalo col triste nome mio, / così chequalche volta / ti ricordi di me, povera morta.

IV.Mentre la moribonda sta parlando / grave ai cuori, in quella manie-ra, / una vecchia dai capelli bianchi, piangendo, / dice alla soffe-rente figlia: «Spera». // La moribonda risponde: «Ascolta / mamma,che cos’è questa bufera / che sento mugghiare?». Sta piovendo / etristi lampi solcano il cielo. // Che notte infernale! Nella stanza / lasciagura regna sovrana: / solenne odo una preghiera. // E nel tristemugghiare del vento / si sente una campana lamentosa / che an-nunzia l’agonia di una rosa.

A TONARA

O gentile Tonara,terra de musas, santa e beneitta,Patria mia cara,cand’est chi b’happ’a benner in bisitta?

5 E m’has a dare sa jaraabba de Croccoledda tantu fritta?2A cando ’ider sas nies,sas c’happo appettigadu ateras dies?

Ah dura lontananzia!10 a sa chi m’hat sa sorte cundennadu.

Mi ’enit s’arregordanziade unu tempus ispensieradu,s’onesta comunanziade amigos chi happo abbandonadu;

15 mi torrat a sa menteunu tempus passadu allegramente.

A’ cussu pensamentugia’ m’abbizo de cantu happo perdìdu,e vivo cun lamentu

20 che puzzone ch’est foras dae nidu;proende un’isgumentuchi mai happo proadu nè sentìdu.Su pensamentu ’olata tie, terra gentile, e si consolat.

25 Bellas, seguras roccas,chi frittas dades abbas cristallinas;filende, cun sas broccasin testa, bos bisittant sas femminas.Abbas chi sas piccioccas

30 isprigant da chi sas laras purpurinas

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frittint pro gustaresu nettare chi ridend’andat a mare.

Majestosas muntagnasfizas de su canudu Gennargentu,

35 ch’in sas virdes campagnassas nucciolas bos faghent ornamentu;seculares castagnas,chi supervas halzades a su bentuvirdes ramos umbrosos,

40 dulche nidu de cantos pibiosos.

Semper bos sogno, vanuperò est custu sognu, it’amalgura!Deo bos so lontanu,in brazzos a sa mia disaura;

45 sent’in cor’un’arcanusensu, si penso sol’a sa dulzurachi unu tempus godia,torrat trista s’allegra musa mia.

Cando chi a sa mente50 cunzedo liberament’in te pensare,

o Patria, prepotentemi sento su bisonz’ ’e suspirare,e una lagrim’ardentemai faghet a mancu de bagnare

55 sas siccas laras mias,bramosas solu de abbas natias.

Tue Tonara, vantasgentil’e profumadu su terrenu,in issu riccas piantas

60 c’amorant de su chelu su serenu;magnetizzas, incantas.Pares una viola indun’amenugiardinu de incantu:eo m’inchino pro te, ses logu santu.

65 Si d’esser Cab’ ’e Susunon tenes sa pretesa macca e vana,tue vantas su fusuonestu filador’ ’e bona lana;tantu nde faghes usu

70 chi meritas sa fama chi ti dana,d’esser’industriosa,povera ma onorad’in dogni cosa.

Pro turrones famada,de sa Sardign’in sas primas fieras,

75 faghes front’a Pattada.Cando moves a festas furisterasandas accumpagnadadae sas fentomadas caffetteras,chi totta nott’in pè

80 dispensant a sos festantes su caffè.

Dogni ann’in beranuti mudas, ricca, d’ervas e fiores,dae su Campidanutorrant in sin’a tie sos pastores,

85 tando ses fittianudulche nidu de festas e amores,e tue, gentile, ispricassu gosu tou in cantos e musìcas.3

Ite fest’ite briu!90 Ses dae sa bassura imbidiada;

sos caldos de s’istìuCagliari fuit, un’iscampagnadasi faghet a su riuPitzirimasa, inue sa cascada4

95 dulchement’in sos gravescrastos, falat cun murmuros suaves.

De nott’in sas carrellascando ridet sa Lun’in su lugore,

POESIAS

122 123

filant sas pastorellas100 e tessent dulches divignos de amore:5

sunt de Canente bellas6

melodias, iscultat su pastore,e dae sa muntagnadistinghet su salud’ ’e sa cumpagna.

105 Canta, canta continu,o Patria de Larent’e de Cappeddu;7de musas ses giardinu,cara ses a Tomas’e Bacchiseddu;8t’allegrat Aostinu,9

110 ca possidit bernescu su faeddu,cun sa musa brullanasi mustrat dignu fiz’ ’e Pepp’Egiana.

In s’attonzu s’anzonesi partit volunter’a terr’istranza,

115 su ’ent’ ’e santu Simone –10

chi tenet fama timid’e metanza –11

nd’iscudet s’ischissone:sa gioventude, collinde castanza,in sa ricca foresta

120 tesset cantos de gioi’e de festa.

Sunt boghes de cuntentu,trillos de puzzoneddu innamoradu;liricas de Larentu12

chi consolant su coro angustiadu.125 Eolo turbolentu13

non si mustrat pius, ma, incantadu,si faghet volunteride gentiles profumos dispenseri.

Cando frittu bennalzu130 ti mudat de sa sua biancura,

t’iscaldit su telalzu

tessinde s’onorada filadura,mentres su ’ervegalzut’approntat lana noa in pianura.

135 De cuss’onesta lanand’attestant sas calcheras de Tiana.14

Sa tua gioventudeparet naschid’in terra nuoresa,colores e salude

140 possidit e s’est unica in bellesa,no est pro sa virtudede sa capitta ruj’Osilesa,belles’est naturale,senza s’ingann’ ’e s’artifissiale.

145 Parent neulas fintassas fizas tuas, caras e dilettas,chi sutta de sas chintas15

mustran tesoros de formas perfettas,e a su sinu astrintas

150 giughene de broccadu sas palettas;cun s’insoro presenziaprovocant d’unu Giobbe sa passenzia.

Parent madonninasde Raffaell’in sas famosas telas,

155 non suni signorinaschi si tinghent sas laras a bandelas,ma suni montaninasbellas, friscas e sanas. Hant sas melasprovocantes de sinu,

160 sutta su velu de candidu linu.

Issas parent lizos,biancas, bellas, robustas e sanas;mammas de sette fizoscumparint chi ancora sunt bajanas.

POESIAS

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165 Isfidant sos fastizosde sa vida, e zeltas anzianasfaghent narrer a fama:«Est pius bezza sa fiza de sa mama».

Ogni mente s’abbassat170 gentile, pro ti fagher cumplimentu,

s’istranzu cando passatdae te no nde restat discuntentu,anzis cando ti lassatprovat in coro veru sentimentu:

175 a tottus est nodias’isquisita tua cortesia.

Ses ben’amministradade zente chi t’est dende bona ghia,partidu no bi nd’ada

180 chi turbet in sinu tou s’armonia,ca ti ses ribelladaun’ ’orta contr’a s’antiga tirannia,16

e da c’has dadu proude firmesa, ses fiorind’a nou.

185 Lughe noa ti ..........17

..............................................

............................

....................... s’inquisizione

........................190 ...............................................

............... chimeraEpaminonda serena e severa.

O terra de dulzuras,18

pro te so trist’e vivend’in regiru,195 dae custas bassuras

riverente ti mand’unu suspiru;in tantas amalguras,

disizosu de te, in su zeffirude su ridente abrile,

200 ti faeddo de me terra gentile.

In custu logu insanude umbras virdes mai mi ristoro,unu sole africanu,tintul’e ispinosu figumoro:

205 un’immensu pianu,si cheres bellu in sas ispigas d’oro,ma in su fangu sas ranasnarant chi sas aèras no sunt sanas.

Sa bella gioventude,210 si naschidu bi nd’hat, ha fattu pasu,

mancantes de saludesunt sas bajanas a color’ ’e casu:si perdet sa virtude,sa poesi’a pedir’unu basu:

215 sos omines isculzos,cambi pilosos peus de sos ulzos.

Cara Patria mia,assumancu b’has abba cristallina,i nogh’est porcheria

220 chi frazigat e pudit s’istentina:pro unu ticch’ebbiachi si nde buffat bi cheret sa china.Sunt abbas malaittas,chi faghent finas a segar’a fittas.

225 In tanta pestilenzade’a su versu libero sas alas,fuo cun frequenziaboes errantes, de ideas malas,chi faghent riverenzia

230 ch’est su matess’a narrer: «Torr’in palas».

POESIAS

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In su trist’and’e torrusi proat su sabore c’hat su corru.

O versu, a dogni costuti chelz’in bidd’andamus a inie,

235 custu no est su postu,in custu fangu non sutterr’a tie:deo mi so propostude t’ ’ider galu cattighende nie.Ti chelz’in terras sanas,

240 no inoghe cantende cun sas ranas.

X, aprile 189 …19

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A TONARA

O gentile Tonara, / terra di muse, santa e benedetta, / Patria mia ca-ra, / quand’è che potrò venire a farti visita? / E mi darai la chiara /acqua di Croccoledda tanto fredda? / A quando veder le nevi, / quel-le che ho calpestato in altri tempi? // Ah dura lontananza! / a cui lasorte mi ha condannato. / Mi sovviene il ricordo / di un tempo spen-sierato, / l’onesta compagnia / di amici che ho abbandonato; / mitorna alla mente / un tempo trascorso allegramente. // A quel pen-siero / già mi accorgo di quanto ho perduto, / e vivo nel lamento /come un uccello che è fuori dal nido; / provando uno sgomento /che mai ho provato o sentito. / Il pensiero vola / a te, terra gentile, esi consola. // Belle, sicure rocce, / che date fredde acque cristalline;/ filando, con le brocche / in testa, le donne vi fanno visita. / Acqueche le ragazze / rispecchiano, quando le labbra di porpora / spor-gono per gustare / il nettare che, ridendo, arriva al mare. // Maesto-se montagne / figlie del canuto Gennargentu, / cui nelle verdi cam-pagne, / le nocciole fanno da ornamento; / secolari castagni, / chesuperbi alzate al vento / verdi rami ombrosi, / dolce nido di cantimelodiosi. // Sempre vi sogno, vano / però è questo sogno, cheamarezza! / Io vi sto lontano, / nelle braccia della mia sventura, /provo nel cuore un arcano / sentire; se penso solo alla dolcezza /che un tempo godevo, / diventa triste l’allegra mia musa. // Chéquando alla mente / liberamente concedo a te di pensare / o Patria,prepotente / mi sale il bisogno di sospirare, / e una lacrima ardente/ mai fa a meno di bagnare / le secche labbra mie, / bramose solo diacque natie. // Tu Tonara, vanti / gentile e profumato il terreno, / inesso ricche piante, / che si amano col sereno del cielo; / magnetizzi,incanti. / Sembri una viola in un ameno / giardino d’incanto: / iom’inchino per te, sei luogo santo. // Se di essere Capo di Sopra /non hai la pretesa matta e vana, / tu vanti il fuso / onesto filatore dibuona lana; / tanto ne fai uso / che meriti la fama che ti danno, / diessere industriosa, / povera ma onorata in ogni cosa. // Famosa per itorroni / nelle principali fiere della Sardegna, / tieni testa a Pattada. /Quando vai verso feste forestiere / sei accompagnata / dalle famosecaffettiere, / che per tutta la notte in piedi / dispensano ai festanti ilcaffè. // Ogni anno a primavera / ti rivesti, ricca, d’erbe e fiori; / dalCampidano / tornano nel tuo seno i pastori, / allora sei quotidiano /dolce nido di feste e amori, / e tu, gentile, rispecchi / la gioia tua incanti e musiche. // Che festa, che brio! / Dalla pianura sei invidiata; /

la calura estiva / Cagliari fugge, una scampagnata / si fa al ruscello /Pitzirmasa, dove la cascata / dolcemente nei gravi / monti scorre conmormorii soavi. // La notte per le strade / quando ride la Luna nelbagliore, / filano le pastorelle / e intessono dolci canti d’amore: / so-no di Canente belle / melodie, ascolta il pastore, / e dalla montagna,/ distingue il saluto della compagna. // Canta, canta di continuo, / oPatria di Larentu e di Cappeddu; / di muse sei giardino, / sei cara aTomasu e Bacchiseddu; / ti rallegra Aostinu, / perché possiede ilmotto bernesco, / con la musa burlesca, / si mostra degno figlio diPepp’Egiana. // D’autunno l’agnello / parte volentieri in terra stranie-ra, / il vento di san Simone, / che ha una temuta e cattiva fama / facadere i ricci: / la gioventù, raccogliendo castagne, / nella ricca fore-sta, / intesse canti di gioia e di festa. // Sono voci di gioia, / trillid’uccellino innamorato; / liriche di Larentu / che consolano il cuoreangustiato. / Eolo turbolento / non si mostra più, ma, incantato, / sifa volentieri / dispensatore di gentili profumi. // Quando il freddogennaio / ti cangia col suo biancore, / ti scalda il telaio / tessendol’onorata filatura, / mentre il pecoraio / ti prepara lana nuova in pia-nura. / Di quell’onesta lana / fanno fede le gualchiere di Tiana. // Latua gioventù / sembra nata in terra nuorese, / colori e salute / pos-siede, e se è unica per bellezza / non è in virtù / della mantellinarossa osilese: / è bellezza naturale, / senza l’inganno dell’artificiale.// Sembrano nubi finte / le figlie tue, care e dilette, / che sotto igrembiali / mostrano tesori di forme perfette, / e al seno stretti /hanno di broccato i corsetti; / con la loro presenza / provocano d’unGiobbe la pazienza. // Sembrano madonnine / di Raffaello nelle fa-mose tele, / non sono signorine / che si tingono le labbra a bandie-ra, / ma sono montanine / belle, fresche e sane. Hanno le mele /provocanti del seno / sotto il velo di candido lino. // Esse sembranogigli, / bianche, belle, robuste e sane; / madri di sette figli / sembra-no ancora signorine. / Sfidano le difficoltà / della vita, e certe anzia-ne / fanno dire per fama: / «È più vecchia la figlia della mamma». //Ogni mente s’abbassa / gentile, per farti un complimento, / il fore-stiero quando passa / di te non resta scontento, / anzi quando ti la-scia / prova nel cuore un genuino sentimento: / a tutti è nota / latua squisita cortesia. // Sei ben amministrata / da gente che ti stadando una buona guida, / non c’è partito / che turbi nel tuo pettol’armonia, / perché ti sei ribellata / una volta contro l’antica tirannia,/ e poiché hai dato prova / di fermezza, stai fiorendo nuovamente.// Luce nuova ti … / … / … / … l’inquisizione / … / … / … chimera

CONSIZOS A UNU AMIGU

Pro cantu m’has pregadua ti dar’unu parre,già c’has idea ’e leare muzere,frade me’istimadu,

5 su chi ti poto narreest chi fettas su tou piaghere.Unu parre ti do,l’azzettes, sì o no,de ti lu dare mi sent’in dovere.Com’est chi ti do prou

10 chi m’est a coro s’interessu tou.

Ti giuro francamentechi m’agatto surpresuprite mai credi’a tal’insoniu.Non cumprendo comente

15 nè chie t’hat azzesus’idea macca de su matrimoniu.In custu fattu touoriginal’e nou,zeltu b’hat postu coa su dimoniu,

20 pro cussu so dispostude ti rispunder cun su musu tostu.

Cumprid’has barant’annos,e ti ses iscampadude leare muzere fin’a como,

25 de repent’in affannos,cheres mudar’istadu,cun ti ponner tiaulos in domo.So in su disisperuchi bi ruas a beru;

30 de s’oriolu c’happo no nde dromo.

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/ Epaminonda serena e severa. // O terra di dolcezze, / per te sonotriste e vivo nel dispiacere, / da queste pianure / riverente ti mandoun sospiro; / in tante amarezze, / desideroso di te, nello zeffiro / delridente aprile, / ti parlo di me, terra gentile. // In questo luogo mal-sano / di verdi ombre mai mi ristoro, / un sole africano, / zanzare espinoso ficodindia: / un immenso piano, / se vuoi bello nelle spighed’oro, / ma nel fango le rane / dicono che non sono arie sane. // Labella gioventù, / se mai vi è nata, è cessata; / prive di salute / le gio-vani sono di color giallastro: / si perde la virtù, / la poesia, a chiede-re un bacio: / gli uomini scalzi, / con le gambe più pelose degli orsi.// Cara Patria mia, / almeno hai acqua cristallina, / qui è una por-cheria / che marcisce e imputridisce l’intestino: / per un goccio solo/ che se ne beve ci vuole la china. / Sono acque maledette, / che sipossono anche tagliare a fette. // In tanta pestilenza / io al verso li-bero le ali, / rifuggo di frequente / buoi erranti, d’indole malvagia, /che fanno la riverenza / ma come se dicessero: «Torna indietro». /Nel triste va e vieni / si prova il sapore che ha il corno. // O verso,ad ogni costo / ti voglio nel paese, andiamoci, / questo non è il po-sto, / in questo fango non ti sotterro: / io mi son proposto / di ve-derti ancora calpestar la neve. / Ti voglio in terre sane, / non qui, acantare con le rane.

Ponimus in su casuchi sies cojuadu.Senza chi tant’esempios ti zite,ti fatto persuasu

70 chi ti ses ingannadu,e ti fatto connoscher su proite.Amore no nde gosas,dae su die ch’isposasintras cun sos dimonios in lite:

75 sa femmina est pesu,chi l’ischit sol’a chie b’est in mesu.

Dae su di’ ’e s’affidudeves fagher su seriuprit’abbrazzas sa rugh’ ’e su dolore.

80 Ti giamant maridu,faeddu de misteriuc’a bortas cheret narrer cobertore.Cun s’amada cumpagnati dàs a sa campagna,

85 olvidende su mundu pro s’amoree a front’alta che chervude sa cumpagna tu’andas supervu.

S’est una signorina,cun onor’e decoro,

90 la dès tenner in abidos de rasu;semper in cappellina,manifide de oroe’ sa riforma de su pan’e casu,prite, s’est vissiosa,

95 de su ch’est disizzosa,si non l’ottenet, ti negat su basu.Tando pro dannu touintrat in ballu su caffè cun ou.

A una signorina100 chi si tenet in gradu,

Ma s’iscultas a mieno has’a esser fragile gasie.

Ello no est macchineamare a sa bezzesa

35 su c’has fuid’in sa giovan’edade?Faghela de omine,e abbandona s’impresasi cheres viver cun felizidade;si calchi femminedda

40 ti mustrat sa bunnedda,nara c’has fattu vot’ ’e castidade.Non ames in su seriu,si no ti naro chi non has criteriu.

In s’umanu consorziu45 pag’astutu ti creo,

si ti faghes teraccu sende mere.Si bi fit su divorziuforsis su primu deoti dia narrer: «Sì, lea muzere»,

50 prite tando assumancu,da chi nde ses istancula podes riformar’a piaghere.Ma como no affides:cussa legg’est dorminde, già lu ’ides.

55 Ahi cherveddu iscassu!Su male ti disizas,it’est custa mudada repentina?Si su fatale passufaghes, già tind’abbizas

60 ite cos’est in dom’una femmina.De natur’ingannosa,si mustrat una rosa,cando la toccas ti punghet s’ispina.Adamu, nàt s’istoria,

65 pro culpa d’Eva ha perdidu sa gloria.

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135 No este mancu dezentea unu carratonede l’accollar’una puddedra rude,ca truncat sa trobea,e si si pesat rea

140 zelt’est chi ti ruinat sa salude.Debile ses de fisicu,e si muzere leas moris tisicu.

Tottu custos fastizossuni niente, appettu

145 a sas ateras penas e burrascas.Cando benit in fizos,ipsa corcad’a lettu,e tu’istas abbiz’a fagher fascas:pianghet su messia,

150 e tue, in s’anninnia,li cantas su sinceru malas pascas.Sa pedd’ ’e sa ’elveghenon bastat a s’isfundadu colafeghe.

Tottu consideradu,155 est gravos’e pesante

sa rughe chi ti cheres abbrazzare.Si ses a mal’istaduleand’unu purgante,su calore già benit a zessare.

160 Teniast su disizu,de ti dare consizu,dadu ti l’happo: a ti’est a pensare.Ammenta c’avvisadus’omine, nât su dicciu, est già salvadu.

l’est in domo dezente sa fiacca.Pro fagher sa coghinatue sese obbligadua crebagor’accordare teracca,

105 e una cameriera,senza sa caffettera,ch’est sa chi t’allezirit sa bussaca.A lettu sa padronabona mer’est de fagher sa mandrona.

110 Mentres tu’in s’offissiudae bonu manzanu,sudas cuddas mischinas zorronadas,ipsa, senza giudissiu,cun su romanz’in manu,

115 faghet sa fida de pappa ’e badas.Giornales e rivistas,sartinas e modistas,zeltamente ti dant pagas intradas;anzis, modas e nastros,

120 favorint de sa bussa sos disastros.

A ipsa ogni cuntentutue des acanzaresi no ti perdet su geni’e’ s’affettu,e si no istas attentu

125 si podet avveraresu fattu de su padre sutta lettu:giughent s’argentu vivu,e si non ses attivuti furcana sa testa pro dispettu.

130 Si est muzere bellafaghes ben’a li ponner sentinella.

Ses bezz’e impotente,de manizzar’aspronecreo c’happes perdidu sa virtude.

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CONSIGLI A UN AMICO

Visto che mi hai pregato / di darti un parere, / già che hai idea diprender moglie, / fratello mio amato, / quello che ti posso dire / èche faccia come ti piace. / Un parere ti do, / che lo accetti o no, /di dartelo mi sento in dovere. / È ora che ti do la prova / che mista a cuore il tuo interesse. // Ti giuro francamente / che sono sor-preso / perché mai avrei creduto a questa notizia. / Non capiscocome / né chi ti ha fatto nascere / l’idea matta del matrimonio. / Inquesto tuo fatto / originale e nuovo, / certo ci ha messo la coda ildemonio, / per quello sono disposto / a risponderti a muso duro.// Hai compiuto quarant’anni, / e te la sei scampata, / fino ad ora,dal prender moglie; / d’improvviso negli affanni, / vuoi cambiarestato, / mettendoti i diavoli in casa. / Mi fa disperare / che ci caschidavvero; / non ci dormo per il pensiero che ho. / Ma se ascolti me/ non sarai così fragile. // Allora, non è pazzia / amare in vecchiaia/ ciò che hai fuggito nella giovane età? / Comportati da uomo, / eabbandona l’impresa / se vuoi vivere in felicità; / se qualche gio-vincella / ti mostra la gonnella, / dì che hai fatto voto di castità. /Non amare sul serio, / se no ti dico che non hai criterio. // Nel-l’umano consorzio / ti credo poco astuto, / se da padrone ti rendischiavo. / Se ci fosse il divorzio / forse io per primo / ti direi: «Sì,prendi moglie», / perché allora almeno / dacché te ne stanchi / lapuoi riformare a piacere. / Ma ora non sposarti: / quella legge stadormendo, lo vedi. // Ahi cervello scarso! / Ti auguri il male, / co-s’è questo cambiamento repentino? / Se il fatale passo / fai, ti ac-corgerai / di che cos’è una donna in casa. / Di natura ingannatrice,/ si mostra una rosa, / quando la tocchi ti punge la spina. / Ada-mo, dice la storia, / per colpa di Eva ha perso la gloria. // Mettia-mo il caso / che sia sposato. / Senza che ti citi tanti esempi, / ti vo-glio persuadere / che ti sei sbagliato, / e ti faccio sapere il perché./ L’amore non ti godi, / dal giorno in cui ti sposi / entri in lite coldemonio: / la donna è un peso, / che conosce solo chi c’è in mez-zo. // Dal giorno in cui ti sposi / devi fare il serio / perché abbrac-ci la croce del dolore. / Ti chiamano marito, / parola misteriosa /che a volte vuol dire “cornuto”. / Con l’amata compagna / ti dai al-la campagna, / dimenticando il mondo per l’amore / e a fronte altacome un cervo / vai orgoglioso della tua compagna. // Se è una si-gnorina, / con onore e decoro, / la devi tenere in abiti di raso; /sempre col cappellino, / con l’anello d’oro, / e la riforma del pane

e formaggio, / perché, se è capricciosa, / per quel che desidera, / senon l’ottiene, ti nega il bacio. / Allora a tuo danno / entra in ballo ilcaffè con uovo. // Ad una signorina / che si porta con decoro, / incasa si confà la fiacca. / Per governare la cucina / tu sei obbligato /a prendere a crepacuore una domestica, / e una cameriera, / senzala caffettiera, / che è quella che ti alleggerisce la tasca. / A letto la si-gnora / è ben padrona di fare la poltrona. // Mentre tu nell’ufficio /di buon mattino, / sudi quelle misere giornate, / lei, senza giudizio,/ col romanzo in mano, / fa la vita di chi mangia a sbafo. / Giorna-li e riviste, / sartine e modiste, / certamente ti danno poche entrate;/ anzi, mode e nastri, / della borsa favoriscono i disastri. // A leiogni capriccio / tu devi accordare / se no perde la stima e l’affetto,/ e se non stai attento / si può avverare / quel fatto del prete sottoil letto: / hanno l’argento vivo, / e se non sei attivo / ti fanno la te-sta biforcuta per dispetto. / Se è una moglie bella / fai bene a met-terle una sentinella. // Sei vecchio e impotente, / di maneggiare losprone, / credo abbia perso la virtù. / Neppure si addice / a unvecchio carro / che se lo accolli una puledra indomita, / perchérompe le pastoie, / e se imbizzarrisce / è certo che ti rovina la sa-lute. / Sei debole di fisico, / e se prendi moglie muori tisico. //Tutti questi fastidi / son niente, rispetto / alle altre pene e burra-sche. / Quando ha figli, / lei sta a letto, / e tu stai sveglio a fare fa-sce: / piange il messia, / e tu, nell’anninnia, / gli canti i tuoi peg-giori auguri. / La pelle della pecora / non basta al culetto senzafondo. // Tutto considerato, / è gravosa e pesante / la croce chevuoi abbracciare. / Se sei in cattivo stato / prendendo un purgante,/ il bollore certo verrà a cessare. / Avevi il desiderio, / che ti dessiconsiglio, / te l’ho dato: a te sta pensare. / Ricorda che avvisato /l’uomo, dice il proverbio, è già salvato.

pappai peta,30 peta ’e vitellu,

frisca, frischissimadae su masellu.

Oe mi cuntentode pan’e casu,

35 cando chi nd’appo,e binu a rasu.

E, tra parentesi,gai, pro collunu,mi narant martire

40 de su digiunu.

Ah caros temposc’happo connottu!Sezis mudadosin d’unu bottu!

45 In cussos tempos,in sos festinosmi sustentai’de puddighinos.

Puddas chi rassu50 faghiant brou,

dogni manzanucaffè cun ou.

Pranzos de gala,festinos, ballos,

55 gorbatta biancae guantos giallos.

Cun sa chiterrain sas carrellas,

LAMENTOS D’UNU NOBILE20

Funesta rughechi giust’a pala,per omnia sæculaba’in ora mala.

5 In diebus illism’has fatt’onore,ma oe ses simbulude disonore.

Oe unu nobile10 chi no hat pane,

senz’arte, faghetvida ’e cane.

Senz’impiegusu cavalleri,

15 est unu mulupostu in sumbreri.

A pancia buida,senza sienda,pappat, che ainu,

20 paza in proenda.

Deo faeddocun cognizione,ca isco it’estes’ispiantagione.

25 In illo tempore,cando teniaricchesas, benese nobilia:

POESIAS

138 139

Torrad’a domo90 po pius dolore,

m’ ’ido sa visitade s’esattore.

Dendemi titolosde riccu e nobile

95 mi ’ettat in cara:«Ricchezza mobile».

Eo li rispundoin tonu affabile:«Ricchesa mobile

100 miseria stabile».

«Eh già!» mi narat,«ma cando maiLei, Cavaliere,poveru gai?».

105 «Sa peronosperatottu ha distruttu,binzas e camposnon dant produttu.

Quindi, pazienza110 tenzant pro como»

li naro, ipseintrat in domo.

E a crebagorode sa familia

115 ponet suggellosa sa mobilia.

Sa domo no,est rispettada

alzai’ su cantigu60 a sas istellas.

De notte in festassemper ischidu –tirriolupedde –de die dormidu.

65 Supervu, a nemosm’inchinaia,vantende alterusa rughe mia.

Oe sa supervia70 no est de mundu,

sos pantalonesnon giughent fundu.

Sa bacchettinade sas pius riccas,

75 s’est cunvertidain ciappa-ciccas.

S’aneddu d’orode calidade,est in su Monte

80 de piedade.

E su rolozucun sa cadena,mi l’happo ’endidupro una chena.

85 In cussa chenafunesta e vile,m’happo giogaducaddu e fusile.

POESIAS

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E prite tottu custu? Zertamenteest pro sa macca e vana testa mia.Superv’e indolente,

140 chi su mundu fit gai non credia.

Sa rughe si ridiat de su zappuca mai happo connott’it’est sudore,e oe, tontu che nappu,imbidio s’onestu zappadore.

145 Zappador’in berritta mi disizo;so famid’e m’abbizzo de s’isbagliu,ma tardu mi nd’abbizo,non frittit pius s’ischin’a su trivagliu.

Trivagliu dae sos bonos riveridu150 ma rinnegadu dae sa rughe mia;

semper l’happo fuidu,dendem’in brazzos a sa mandronia.

So vivid’oziosu, isreguladuche caddu rude chi no sentit frenu:

155 s’haia trivagliaduno haia bisonz’ ’e pan’anzenu.

Finalmente, funesta e tropp’in cabadude su male sa pag’happo cumprida.Deus non pagat su sabadu,

160 ma pagat tottas sas dies de sa chida.

Galu sa paga giusta no m’hant dadu,ca s’ischerant su male c’happo fattu,di’a esser giamadus’astr’ ’e su domiciliu coattu.

165 Su vissiu, non curante de s’onore,hat giogad’a s’anzenu bruttos tiros,

pro mores d’esser120 ipotecada.

Tottu suggellat,piattos, bottiglias,ispidos, trebides,truddas graviglias.

125 E provvisteddasc’haia fattasbasolu, caule,zuccas, patatas.

Lintiza, fae,130 lardu, salamene,

lassende in domomiseri’e famene.

In fines, tottusequestradu,

135 eo cun sa rughemi so restadu.

POESIAS

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e vile truffadoremi so fattu cun pessimos raggiros.

Non est chi m’happet salvadu sa malissia170 dae sas penas c’happo meritadu,

sol’est ca sa giustissiahat fatt’assign’in su cavaglieradu.

Si dae cussas penas nde so foras,sa rughe m’est servida pro iscuja,

175 si no a’ custas orasfia carrende sale a testa ruja.

Però non poto narrer: «Nde so forasde sas ferradas cabbias de ladros»,prit’oe timo ancoras

180 de cuntemplare su chel’a quadros.

S’ ’enzerat cussu die passienziarughe buffa, no nelzas ch’est abusu:tott’est cunseguenziade su vissiu ch’in me tue has infusu.

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LAMENTI DI UN NOBILE

Croce funesta / che porto in spalla, / per omnia sæcula / va’ in ma-lora. // In diebus illis / m’hai fatto onore, / ma oggi sei simbolo / didisonore. // Oggi un nobile / che non ha pane, / senz’arte, fa / vitada cane. // Senza impiego / il cavaliere, / è un mulo, / col cappello.// A pancia vuota, / senza averi, / mangia, come l’asino, / la razionedi paglia. // Io parlo / con cognizione, / perché so cos’è, / la mise-ria. // In illo tempore / quando avevo / ricchezze, beni, / e nobiltà:// mangiar carne, / carne di vitello, / fresca, freschissima, / dal ma-cello. // Oggi m’accontento / di pane e formaggio, / quando ne ho,/ e vino al colmo. // E tra parentesi, / così, per coglionatura, / mi di-cono martire / del digiuno. // Ah tempi cari / che ho conosciuto! /Siete cambiati / tutto d’un botto! // In quei tempi, / nei festini, / minutrivo / di pollastri. // Galline che grasso / facevano il brodo, /ogni mattina / caffè con l’uovo. // Pranzi di gala, / festini, balli, /cravatta bianca / e guanti gialli. // Con la chitarra / per le strade, /levavo il canto / alle stelle. // Di notte in festa / sempre sveglio, / pi-pistrello, / di giorno addormentato. // Superbo, a nessuno / m’inchi-navo / vantando altero / la mia croce. // Oggi la superbia / non è dimondo, / i pantaloni, / non hanno fondo. // La bacchettina / dellepiù ricche, / s’è convertita / in acchiappa-chicche. // L’anello d’oro /di qualità, / sta nel Monte / di pietà. // E l’orologio / con la catena, /l’ho venduto / per una cena. // In quella cena / funesta e vile, / mison giocato / cavallo e fucile. // Tornato a casa / per maggior dolore/ mi vedo la visita / dell’esattore. // Dandomi titoli / di ricco e nobile/ mi getta in faccia: / «Ricchezza mobile». // Io gli rispondo / in tonoaffabile: / «Ricchezza mobile / miseria stabile». // «Eh già!» mi dice, /«ma quando mai, / Lei, Cavaliere, / così povero?». // «La peronospora/ tutto ha distrutto, / vigne e campi / non dan prodotto. // Quindipazienza / abbiano per ora» / gli dico, lui / entra in casa. // E a cre-pacuore / della famiglia / mette i sigilli / alla mobilia. // La casa no,/ è rispettata / perché tanto è / ipotecata. // Tutto sigilla, / piatti,bottiglie, / spiedi, treppiedi, / mestoli e griglie. // E provviste / cheavevo fatte / fagioli, cavoli, / zucche, patate. // Lenticchie, fave, / lar-do, salame, / lasciando in casa, / miseria e fame. // Infine, tutto / se-questrato, / io con la croce, / sono restato.

E perché tutto questo? Certamente / è per la matta e vana testamia. / Superbo e indolente, / non credevo che il mondo fosse così.

A GENESIO LAMBERTI

I.Ue che sezis dadoso sognos de amore,o penseris de gloria? Distruttossezis e calpestados

5 dae su giustu rancorechi proat custu coro: sognos bruttosmi turbant s’intellettu,e ispalghent velen’intro su pettu.

Ah sognu vanu! Iscrittu10 dae cando so nadu,

in laras happo giutu su dolore.Infamia! Malaittusiast sognu incantadu,cortigianu crudel’ingannadore.

15 Tè, sas giaes t’intrego,friscio in coro sa janna, ti rinnego.

O sognu armoniosu,si t’happo malaittuest prite ti detesto: no est faula.

20 E si grido ingannosu,nara, has forsis dirittude protest’a sa perfida paraula?No – T’happ’ ’idu gentile,però ses vile aduladore. Vile!

25 E tue vida penosa,chi cun su fals’incantu,m’has lead’a su cor’ogni dulzura,truncad’e una losaabber’in campusantu,

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// La croce rideva della zappa / perché mai ho saputo cos’è il su-dore, / e oggi, tonto come una rapa, / invidio l’onesto zappatore.// Mi vorrei zappatore in berretto; / sono affamato e m’accorgodello sbaglio, / ma tardi me ne accorgo, / non si piega più la schie-na al lavoro. // Lavoro dagli onesti riverito / ma rinnegato dallamia croce; / sempre l’ho rifuggito, / abbracciando la poltronite. //Sono vissuto ozioso, sregolato / come un cavallo indomito che nonsente il freno: / se avessi lavorato / non avrei bisogno del pane al-trui. // Infine, funesto e troppo tardi / ho pagato il pegno del malefatto. / Dio non paga il sabato, / ma paga tutti i giorni della setti-mana. // Ancora la giusta paga non m’hanno dato, / perché se sa-pessero del male che ho fatto, / sarei chiamato / l’astro del domici-lio coatto. // Il vizio, noncurante dell’onore, / ha giocato all’altruibrutti tiri, / e vile truffatore / son diventato, con pessimi raggiri. //Non è che m’abbia salvato la malizia / dalle pene che ho meritato,/ è solo che la giustizia / ha fatto affidamento sul cavalierato. // Seda quelle pene sono fuori, / la croce mi è servita da scusa, / se noa quest’ora, / starei trasportando sale con la testa rossa. // Perònon posso dire: «Sono fuori / dalle gabbie di ferro dei ladri», / per-ché oggi ancora temo / di contemplare il cielo a quadri. // Se giun-gesse quel giorno pazienza / buffa croce, non dire che è un abuso:/ tutto è conseguenza / del vizio che in me hai infuso.

arza bomind’est su velen’, e nois,genia poveritta,rettenimus su grid’ ’e sa vinditta!

65 Ah perfida genia!Prite ti lassas tinghersu cor’a luttu? – Ischid’e faghe prou.O forsis villanianon ti paret su lingher

70 s’ispada tinta de sambene tou?Su can’a orulares’halzat si non li dant a mandigare:

30 e sutterra sa mia disaura.Su vivìre m’est duru,ti disprezz’e detest’a tie puru.

Eo disprezzo tottu,nè happo pius imbidia

35 de su risu chi miro in car’anzenaca com’happo connottus’infamia, sa perfidiade cust’isclavitudine terrena.Ite cos’est sa vida?

40 Una rugh’ispinosa, incrudelida.

Ite cos’est su munduin su cale vivimus,privos de lughe, amor’e libertade?Unu mar’est, profundu;

45 dae cando naschimusbi navigamus – Cun felizidade?No – pro chi palzat gai,felizidade no nd’esistit mai.

E sos abitadores50 de sa terr’ite sune?

Terra – Fangh’ischifosu, non sun terra.Rettiles impostores,tristos faccias de fune:sos frades a sos frades faghent gherra.

55 E in sa terr’intantuaumentat s’infamia e’ su piantu.

Vivimus avvilidosin custa tenebrosabadd’ingrata de ahis e de ohis.

60 Sutta sos fioridoscampos sa velenosa

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III.105 Già ch’in altu Segnore

sedes, e de amoreastru sese, ti preg’una miradano neghes piedosaa’ custa tenebrosa

110 badde de te in tott’ismentigada,ue viv’opprimiduda s’ora c’a su mundu so bennidu.

Istancu de pediresu pane, pro vivire

115 comente so vivend’in cuntierra,pius non prego. Mirade me su dolu, s’iratua pius funest’ ’enzat in terra,e in cuss’ira funesta

120 ischizz’a tantos rettiles sa testa.

Su fulmine fataleimbola: universalesiat s’orrend’isfatta, faghe ruerin s’abissu s’intera

125 ipotecad’isfera.Turbines de chisin’e de piuersubra de me iscude:su fangu pro me rettil’est salude.

Sì, turbines e lampos130 sos fioridos campos

atterrent, sas funtanas cristallinasdiant a sos sididosfele. Sos promittidosde Patmo fumos caldos e chisinas23

135 abbrevia, ne’ sa piaiscultes, preghiera de Maria.

II.E tue, senza pane,istancu, famid’e nudu,

75 no halzas de disdign’una protesta!Ses peus de su cane,vile servis e mudu:linghes sa man’ingrat’e faghes festaa chie ti deridet,

80 cando, pedinde, a manu tesa t’ ’idet!

De su grassu sarauchi sos riccos segnoresfaghent a palas tuas, cun fastizos,populu, ses isciau.

85 Fadigas e sudorescunsacras pro capriccios e disizosde cussa zente ischiva,e tue famidu gridas: «Viva! Evviva!».

Vivat chie su punzu90 ponet in su siddadu

de su sambene tou pius ardente.Su pane senz’aunzu,si nd’has, e avvelenadulu pappas, ca ses dannad’eternamente

95 a vivir’in s’ischeffa,21

famidu, umiliad’e post’a beffa.

O populu famidu,dae te cazz’addanesu pan’ispeli, scudel’a buleu.22

100 Su codul’induriduchi mandigas pro pane,halzalu minaccios’in car’a Deu:cun disdign’in s’aèral’imbolas custa trista preghiera:

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IV.Ma tue populu finghesde protestar’e times:

155 de pedire su tou bilgonzosu.A chie t’opprimet linghes,e de islancios sublimesses incapaze, zegh’e sonnigosu,si no si fit intesu

160 su gridu ’e vinditta ’e s’offesu.

Cagliadi, dèt sighires’infamia. Sa festafaghes a chie de sa frust’est dignu.Preferis su pedire

165 a una giusta protestachi podes imbolare cun disdignu.Ti negant su pane,e tue da sa patri’andas addane!25

Deo cantone resto170 e a s’infamia isfido:

t’odio mundu, in te cosa no amo.Ti ruspo, ti detesto.Cun ischernu ti grido:«Marranu!». S’in su dol’a tie giamo

175 inuman’e marranu,non ti risentas, non lu nar’invanu.

Est odiu implacabilesu ch’in su cor’azzesusento pro tene, non ti pot’amare,

180 o mundu miserabile.Custu cor’est offesudae te mortalmente, a t’odiaretue m’has imparadu:de me ses odiad’e rinnegadu.

Si sa zelest’Isposat’invocat piedosasu perdonu, non zedas. Bisonzosu

140 mi credes de perdonu?Unu lamp’unu tronuti dimando, una fine: est dolorosusu viver e patire.Abbrevia ca est ora a’ la finire.

145 Tue chi de Gomorra24

t’appellant su severugiuighe, cun terribil’e severaira, custa camorraferi, e si est veru

150 chi ses giustu, sa mia preghieraisculta. Imbenujadut’adoro, si brujas tottu su creadu.

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V.Ecco chi finalmente s’agoniam’hapo sonadu. Fantasmas istranosattraversant s’istanca fronte mia

220 coronada de tantos pilos canos.

Odio, puru bi penso a sos lontanossorrisos de sa Patria natia.Mi cumprimo su coro cun sas manostremulantes. S’oscura fantasia

225 s’infogat e riscaldat. Meditendepenso ch’in custa zella, san’e forte,viv’istancu de viver, cun affannos.

So viv’e mortu: semper delirende,aborrinde sa vid’amo sa morte

230 e happ’appenas passadu sos vint’annos!

185 Ind’una zell’oscura,pro non bider a tiecamminend’a su buju senz’istella,sa trista sepolturapro seppellir’a mie

190 happ’elett’, assumancus in sa zellam’hat a esser cunzessucumpiangher a tie, mundu revessu.

Inie happ’ammentarecuddos teneros annos

195 pienos de isperanzas e amore,e cand’happ’abbassaresa front’a sos affannoschi m’hant fatt’odiosu, cun rancore,mund’ingratu, su tou

200 risu falsu frastimo dae nou.

Si benit un’angelicuispirit’a ispendernovellas de sa tua redenzione,unu mefistofelicu

205 sorrisu dèt surprenderin laras mias: «Ritiradi buffone»l’happ’a narrer, «su mundues tundu, ed est destinu, morit tundu».

Ma si benit su clavu210 chi ti dàt Kiriella26

nendemi c’a s’isfatta ti preparas,l’happ’a rispunder: «Bravu,custa cara novellaisettaia»: cun su sarcasm’in laras,

215 dae cussa zella forami fatto, e benz’a ti ruspir’ancora.27

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VI.Eccomi seppellidu, in brunu mantum’has a sa losa, o mundu, reduidu.Tu’ has mentid’in vid’e has mentidudae nant’ ’e sa foss’in campusantu.

235 Cun s’infame carazza de piantuipocritu, su visu s’est bestidu.Sos vantos ch’in sa losa m’has tessiduti sunt servidos pro ti dare vantu.

Vivente m’has cattigadu e malaittu,240 e confinadu m’has in cust’oscura

zella, de patimentos sa pastora.

Pustis mort’in sa losa m’has iscrittu:«Cosa buona mortal passa e non dura».Mentid’has prim’e ses mentind’ancora.

Osilo, 7 maggio 1895.

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A GENESIO LAMBERTI

I.Dove siete finiti / o sogni d’amore, / o pensieri di gloria? Distrutti /siete e calpestati / dal giusto rancore / che prova questo cuore: bruttisogni / mi turbano l’intelletto, / e spargono veleno dentro il petto. //Ah sogno vano! Scritto / da quando sono nato, / sulle labbra ho por-tato il dolore. / Infamia! Maledetto / sia sogno incantato, / cortigiano,crudele ingannatore. / Tiè, ti do le chiavi, / chiudo nel cuore la por-ta, ti rinnego. // O sogno armonioso, / se t’ho maledetto / è perchéti detesto: non è una bugia. / E se grido ingannatore, / dì, hai forsediritto / di protestare per la perfida parola? / No. T’ho visto gentile, /però sei vile adulatore. Vile! // E tu vita penosa, / che con falso in-canto, / mi hai portato al cuore ogni dolcezza, / spezzati e una tom-ba / apri nel camposanto, / e sotterra la mia sventura. / La vita è perme dura, / disprezzo e detesto anche te. // Io disprezzo tutto, / ného più invidia / del riso che vedo nelle facce altrui / perché ora hoconosciuto / l’infamia, la perfidia / di questa schiavitù terrena. / Checos’è la vita? / Una croce spinosa, incrudelita. // Che cos’è il mondo/ nel quale viviamo, / privi di luce, amore e libertà? / È un mare,profondo; / da quando nasciamo / ci navighiamo. Con felicità? / No.Anche se sembra così, / non esiste mai felicità. // E gli abitanti / del-la terra cosa sono? / Terra. Fango schifoso, non sono terra. / Rettiliimpostori, / tristi facce da forca: / i fratelli ai fratelli fanno la guerra. /E sulla terra intanto / aumenta l’infamia e il pianto. // Viviamo avvili-ti / in questa tenebrosa / valle ingrata di ahi e di ohi. / Sotto i fioriti/ campi la velenosa / argia sta vomitando il veleno, e noi, / progeniepoveretta, / tratteniamo il grido di vendetta! // Ah perfida genia! /Perché ti lasci dipingere / il cuore a lutto? Sveglia e fai un tentativo. /O forse villania / non ti sembra leccare / la spada tinta del tuo san-gue? / Il cane comincia a ululare / se non gli danno da mangiare:

II.E tu, senza pane, / stanco, affamato e nudo, / non innalzi di disde-gno una protesta! / Sei peggio di un cane, / vile servi e zitto: / lecchila mano ingrata e fai festa / a chi ti deride, / quando, chiedendo, conla mano distesa ti vede! // Del grande scialo / che i ricchi signori /fanno alle tue spalle, molestandoti, / popolo, sei schiavo. / Fatiche esudori / consacri a capricci e desideri / di quella gente schifosa, / e tuaffamato gridi: «Viva! Evviva!». // Viva chi il pugno / infila nel segreto

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/ del tuo sangue più ardente. / Il pane senza companatico, / se nehai, e avvelenato / lo mangi, perché sei condannato eternamente / avivere nella feccia, / affamato, umiliato e deriso. // O popolo affama-to, / da te scaccia lontano / il pane di ghianda, gettalo in aria. / Il sas-so indurito / che mangi come pane, / alzalo minaccioso in faccia aDio: / con disdegno nel cielo / lanciagli questa triste preghiera:

III.Già che in alto, Signore, / siedi, e d’amore / sei l’astro, ti pregouno sguardo / non negare pietoso / a questa tenebrosa / valle date totalmente dimenticata, / dove vivo oppresso / dal momento incui son venuto al mondo. // Stanco di chiedere / il pane, per vive-re / come sto vivendo in discordia, / più non prego. Osserva / ilmio dolore, l’ira / tua più funesta scenda sulla terra, / e in quell’irafunesta / schiaccia a tanti rettili la testa. // Il fulmine fatale / sca-glia: universale / sia l’orrenda distruzione, fa’ cadere / nell’abissol’intera / ipotecata sfera. / Turbini di cenere e polvere / scaglia so-pra di me: / il fango per me rettile è salvezza. // Sì, turbini e lampi/ i fioriti campi / distruggano, le fontane cristalline / diano agli as-setati / fiele. I promessi / fumi caldi e ceneri di Patmo / affretta, néla pia / ascolta, preghiera di Maria. // Se la celeste Sposa / t’invocapietosa / il perdono, non cedere. Bisognoso / mi credi di perdono?/ Un lampo, un tuono / ti chiedo, una fine: è doloroso / il vivere epatire. / Affrettati, perché è ora di finire. // Tu, che di Gomorra /chiamano il severo / giudice, con terribile e severa / ira, questa ca-morra / colpisci, e se è vero / che sei giusto, la mia preghiera /ascolta. Inginocchiato / ti adoro, se bruci tutto il creato.

IV.Ma tu popolo fingi / di protestare e temi: / vergognoso di chiedere iltuo. / Lecchi chi ti opprime, / e di slanci sublimi / sei incapace, ciecoe sonnolento, / se no si sarebbe sentito / il grido di vendetta dell’of-feso. // Taci, deve proseguire / l’infamia. La festa / fai a chi della fru-sta è degno. / Preferisci il chiedere / a una giusta protesta / che puoiscagliare con disdegno. / Ti negano il pane, / e tu dalla patria sei lon-tano! // Io, cantone, resto / e l’infamia sfido: / ti odio mondo, in teniente amo. / Ti sputo, ti detesto. / Con scherno ti grido: / «Marrano!».Se nel dolore ti chiamo / inumano e marrano, / non risentirti, non lodico invano. // È odio implacabile / quello che in cuore acceso / sen-to per te, non posso amarti, / o mondo miserabile. / Questo cuore è

offeso / da te mortalmente, a odiarti / tu m’hai insegnato: / da me seiodiato e rinnegato. // In una cella oscura, / per non vedere te / cam-minando al buio senza stella, / la triste sepoltura / per seppellirmi /ho scelto, almeno nella cella / mi sarà concesso / di compiangerti,mondo avverso. // Lì ricorderò / quei teneri anni / pieni di speranzee amore, / e quando abbasserò / la fronte agli affanni / che m’hannoreso odioso, con rancore, / mondo ingrato, il tuo / riso falso maledi-co di nuovo. // Se viene un angelico / spirito a diffondere / novelledella tua redenzione, / un mefistofelico / sorriso sorprenderà / nellemie labbra: «Ritirati buffone» / gli dirò, «il mondo / è tondo, ed è de-stino, muore tondo». // Ma se arriva il chiodo / che ti dà Kiriella / di-cendomi che ti prepari alla disfatta, / gli risponderò: «Bravo, / questacara novella / aspettavo»: col sarcasmo sulle labbra, / da quella cellam’affaccio, / e vengo a sputarti ancora.

V.Ecco che finalmente l’agonia / ho suonato. Fantasmi strani / attraver-sano la stanca fronte mia / coronata da tanti capelli bianchi. // Odio,pure ci penso, ai lontani / sorrisi della Patria natia. / Mi comprimo ilcuore con le mani / tremolanti. L’oscura fantasia // s’infoga e riscal-da. Meditando / penso che in questa cella, sano e forte, / vivo stan-co di vivere, fra gli affanni. // Sono vivo e morto: sempre delirando,/ schifando la vita amo la morte / ed ho appena superato i vent’anni!

VI.Eccomi sepolto, in bruno manto / mi hai alla tomba, o mondo, ri-condotto. / Tu hai mentito in vita e hai mentito / davanti alla fossanel camposanto. // Con l’infame maschera di pianto / ipocrita, il vi-so s’è travestito. / I vanti che mi hai intessuto sulla tomba / ti sonoserviti per farti vanto. // Da vivo m’hai calpestato e maledetto, / emi hai confinato in quest’oscura / cella, di patimenti la pastora. //Dopo morto sulla tomba mi hai scritto: / «Cosa buona mortal passae non dura». / Mentito hai prima e stai mentendo ancora.

25 Haia decretad’ ’e non lassarecustu cantu c’a ti’est iscunfortu,pro non ti rinnovaresa memoria mia pustis mortu.

Ma una ’ogh’ ’e misteru nât a mie:30 «Prite suffris gasi’e restas mudu,

o moribundu? Iscriea chi restat un’ultimu saludu».

Su saludu chi tristu ’enit a tiet’addolorat, però dès cumpatire,

35 ca dolet pius a miedendelu che a ti’a lu rizire.

T’ammentas, caru frade, cantu forte,allegr’e sanu fia in pizzinnia?Odiende sa morte,

40 de solas isperanzias vivia.

Oe cuss’allegria s’est partida,annientad’est cuddu coro forte:manchendem’est sa vida,pro cunfortu giamende so sa morte.

45 T’ammentas, caru frade, sos giucundossorrisos amurosos, senza pena?Cuddos pilos biundoschi m’abbasciaint a sa nazarena?

Zessados sos incantos risulanos,50 oscurad’est s’allegra fantasia.

Como sunt pilos canoschi coronant s’istanca fronte mia.

Como mi mancat s’antig’ardimentucuddu c’a pizzinneddu possidia,

AGONIAA frade meu Edoardu.

Cand’has a legger custosmutos[1] su campusantuhat haer sos ossos meos accollidu.Cun sos chizos infustos

5 de amaru piantu,des juliar’a mie. Addoloridudes frittire sa testaistanca, in custa pagina funesta.

Cand’has a legger su flebile cantu10 ch’iscrio in custas oras de anneu,

istillas de piantub’has a versare subra, o Frade meu.

In cuss’ora de dolu e iscunfortu,leggende sos lamentos d’un’afflittu,

15 des pensar’a su mortufrade c’hat custas paginas iscrittu.

Sunt paginas funestas e delirioschi a tie cunsacro cun affannos,pro ch’iscas sos martirios

20 chi m’hant bocchid’in sos teneros annos.

Iscri’a lettu, cun manu tremante,ca su cor’est gravad’ ’e tantos luctos,prite pens’a s’istantein su cal’has a legger custos mutos.

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[1. ‘Strofa, ritornello, canzonetta’ (cfr. Des, s.v. mút(t)u e, ibidem, ilpertinente riferimento ad A.M. Cirese, per il quale rimandiamo alla nota1 della nostra “Classificazione metrica”).]

55 e sent’un’isgumentuc’annunziat sa trista fine mia.

Tue non l’ischis, no, so moribundu,s’alen’est cuminzend’a mi mancare:forsis lasso su mundu

60 senza mancu ti poder saludare.

Bae mutu, fatale documentuchi vives, mentres and’eo in sepoltura,ischelzu de su bentu,e annunzia sa mia disaura.

65 In sa gentile Patria natia,cun boghes de tristur’e de anneu,racconta s’agoniachi lenta t’hat cread’o mutu feu.

Si calencunu si mustrat surpresu70 e’ sa novella li paret istrana,

nara chi has intesude s’agonia mia sa campana.

Ecco, già de sos sensos nde so foras,cust’est s’ultimu bas’ ’e frade tou:

75 addio, si viv’ancorasfrade, t’happ’a iscrier dae nou.

Infermeria presidiaria di Sassari20 maggio 1895.28

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AGONIAA mio fratello Edoardo.

Quando leggerai questi / mutos il camposanto / avrà accolto le mieossa. / Con le ciglia bagnate / di amaro pianto, / m’invocherai. Addo-lorato / piegherai la testa / stanca, in questa pagina funesta. // Quan-do leggerai il flebile canto / che scrivo in queste ore di tristezza, /stille di pianto / vi verserai sopra, o Fratello mio. // In quell’ora didolore e sconforto, / leggendo i lamenti di un afflitto, / penserai almorto / fratello che queste pagine ha scritto. // Sono pagine funestee deliri / che consacro a te con affanni, / perché sappia dei martiri /che m’hanno ucciso nei teneri anni. // Scrivo a letto, con mano tre-mante, / perché il cuore è gravato da tanti lutti, / perché penso al-l’istante / in cui leggerai questi mutos. // Avevo decretato di non la-sciare / questo canto che ti è di sconforto, / per non rinnovarti / lamia memoria dopo morto. // Ma una voce di mistero mi dice: / «Per-ché soffri così e resti zitto, / o moribondo? Scrivi / a chi resta un ulti-mo saluto». // Il saluto che triste ti giunge / ti addolora, però devicompatire, / perché fa più male a me / darlo che a te riceverlo. // Tiricordi, caro fratello, quanto forte, / allegro e sano ero in gioventù? /Odiando la morte, / di sole speranze vivevo. // Oggi quell’allegria èpartita, / è annientato quel cuore forte: / mi sta mancando la vita, /per conforto sto invocando la morte. // Ti ricordi, caro fratello, i gio-condi / sorrisi amorosi, senza pena? / Quei capelli biondi / che miscendevano alla nazarena? // Cessati son gli incanti gioiosi, / oscurataè l’allegra fantasia. / Ora sono capelli bianchi / che coronano la stan-ca fronte mia. // Ora mi manca l’antico ardimento / quello che pos-sedevo da giovanetto, / e sento uno sgomento / che annunzia la tri-ste fine mia. // Tu non lo sai, no, son moribondo, / il respiro miviene a mancare: / forse lascio il mondo / senza neanche poterti sa-lutare. // Va’ mutu, fatale documento / che vive, mentre io vado allasepoltura, / scherzo del vento, / e annuncia la mia sventura. // Nellagentile Patria natia, / con voci di tristezza e pena, / racconta l’agonia/ che lenta t’ha creato, o mutu sgraziato. // Se qualcuno si mostrasorpreso / e la notizia gli sembra strana, / dì che hai sentito / dellamia agonia la campana. // Ecco, già sono privo di sensi, / questo èl’ultimo bacio di tuo fratello: / addio, se vivo ancora / fratello, ti scri-verò di nuovo.

A NANNI SULIS [I]30

Nanneddu meu,su mund’est gai,a sicut eratnon torrat mai.

5 Semus in temposde tiranias,infamidadese carestias.

10 Como sos populoscascant che cane,gridende forte:«Cherimus pane».

Famidos, nois15 semus pappande

pan’ ’e castanza,terra cun lande.

Terra c’a fangutorrat su poveru

20 senz’alimentu,senza ricoveru.

B’est sa filossera,impostas tinzas,chi nos distruint

25 campos e binzas.

Undas chi falantin Campidanu,trazan tesorosa s’oceanu.

SOLFERINO!29

«Ebbè, come la va, signor Francesco?»nesit Pedru passend’in su camminu,«semus a s’orizzont’ ’e su destinu:vieni figlioccio che prendiamo il fresco.

5 Ti voglio raccontar, se ci riesco,comente fit sa gherr’a Solferinu,si no pregunt’a frade meu Peppinucome fuggì l’esercito tedesco.

La notte che ci avevano attaccati10 zunchiavano le balle sulla testa

come fanno i calleddi appena nati.

C’era un calore che nel mio termometroil mercurio bolliva, e la tempestadel fuoco si sentiva ad un centometro».

POESIAS

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SOLFERINO!

«Ebbè, come la va, signor Francesco?» / disse Pedru passando per stra-da, / «siamo all’orizzonte del destino: / vieni figlioccio che prendiamoil fresco. // Ti voglio raccontar, se ci riesco, / com’era la guerra a Sol-ferino, / se no chiedi a mio fratello Peppino / come fuggì l'esercitotedesco. // La notte che ci avevano attaccati / zunchiavano [‘fischia-vano’] le balle [‘pallottole’] sulla testa / come fanno i calleddi [‘cagnet-ti’] appena nati. // C'era un calore che nel mio termometro / il mercu-rio bolliva, e la tempesta / del fuoco si sentiva ad un centometro».

60 pretende s’abbaparimus ranas.

Peus sa famenechi, forte, sonatsa jann’a tottus

65 e non perdonat.

Avvocadeddos,laureados,bussacas buidas,ispiantados.

70 In sas campagnaspappana mura,che crabas lanzasin sa crisura.

Cand’est famida75 s’avvocazia,

cheres chi pensetin Beccaria?

Mancu pro sognu,su quisitu

80 est de cumbinchertant’appetitu.

Poi, abolidupabillu e lapisintrat in ballu

85 su rapio rapis.

Mudant sas tintasde su quadru,s’omin’onestudiventat ladru.

30 Cixerr’in Uda,31

Sumasu Assemene,domos e binzastorrat a tremene.

E non est semper35 ch’in iras malas

intrat in cheja32

Dionis’Iscalas.33

Terra si pappat,pro cumpanaticu

40 bi sunt sas ratasde su focaticu.

Cuddas banderasnumeru trinta,de binu ’onu,

45 mudad’han tinta.

Appenas mortascussas banderasnon piùs s’osservantimbreagheras.

50 Amig’a tottusfit su Milesu,como lu timent,che passant tesu.

Santulussurzu55 cun Solarussa

non sunt amigospius de sa bussa.

Semus sididosin sas funtanas,

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120 e semper bidesuna minestra.

Maccos, famidos,ladros. Baccanufaghimus, nemos

125 halzet sa manu.

Adiosu Nanni,tenedi contu,faghe su surdu,’ettad’a tontu;

130 a tantu, l’ ’ides,su mund’est gaia sicut eratnon torrat mai.

90 Sos tristos corvosa chi los lassas?Pienos de tirriase malas trassas.

Canaglia infame95 piena de braga,

cherent s’iscettrucherent sa daga!

Ma non bi torranta sos antigos

100 tempos, de infamiase de intrigos.

Pretant a Roma,mannu est s’ostaculu;ferru est s’ispada

105 linna est su baculu.

S’Intulzu apostulude su Signoresi finghet santu,ite impostore.

110 Sos corvos suostristos, molestos,sunt sa discordiade sos onestos.

E gai chi tottus115 faghimus gherra,

pro pagas diesde vida in terra.

Dae sinistra’oltad’a destra

POESIAS

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A NANNI SULIS [I]

Nanneddu mio / il mondo è così, / a sicut erat / non torna mai. //Siamo in tempi / di tirannie, / infamie / e carestie. // Ora i popoli /sbadigliano come cani, / gridando forte: / «Vogliamo pane». // Affa-mati, noi / stiamo mangiando / pan di castagne / terra con ghiande.// Terra come fango / riduce il povero / senza alimento, / senza ri-covero. // C’è la filossera, / imposte, tigne, / che ci distruggono /campi e vigne. // Onde che scendono / in Campidano, / trascinanotesori / all’oceano. // Il Cixerri a Uta, / Elmas, Assemini, / case e vi-gne / riduce in dirupi. // E non è sempre / che nelle tempeste / en-tra in chiesa / Dionigi Scalas. // Terra si mangia, / per companatico/ ci son le rate / del focatico. // Quelle bandiere, / di numero tren-ta, / di buon vino, / han cambiato tinta. // Appena sparite / quellebandiere / non più si vedono / ubriacature. // Amico di tutti / era il

GALUSÈ34

A Lia Pulix Scano.

Io son probaticaFonte novellaPropizia ai fegatiE alle budella.

GIUSTI

Gentile signorina,chi cal’abe a sa ros’a mie ’olas,umil’e peregrinabundo tra sos fiores e nucciolas;

5 so frisca e cristallina,si t’abbascias a mie ti consolas.A su cantaru meufritti sas laras, ca nd’has ingranzeu.35

Deo, bundanziosa,10 so fentomada tra funtanas raras,

cun tottus amurosa,so dispensera de sas abbas giaras:s’est chi nde ses bramosaa mie fritt’un’istante sas laras.

15 Si gustas abbas miasdes isclamare: «Beneitta sias!».

Chi frisch’e pura sial’ischit Cabu ’e Susu e Campidanu.A sa friscura mia

20 benint sididos dae su pianu;cun d’un’istill’ebbias’essere malaìdu torro sanu.Dae lontan’in s’istiutottus bramant su meu murmuriu.

POESIAS

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Milese, / ora lo temono, / gli passano lontano. // Santulussurgiu /con Solarussa / non sono più amici / della borsa. / Siamo assetati /nelle fontane, / contendendoci l’acqua / sembriamo rane. // Peggiola fame / che, forte, bussa / alla porta di tutti / e non perdona. //Avvocatucci, / laureati, / tasche vuote, / spiantati. // Nelle campa-gne / mangiano more, / come capre magre / nelle chiuse. // Quan-do è affamata / l’avvocatura, / vuoi che pensi / a Beccaria? // Nean-che per sogno, / il quesito / è di appagare / tanto appetito. // Poiaboliti / carta e lapis / entra in campo / il rapio rapis. // Mutano icolori / del quadro, / l’uomo onesto / diventa ladro. // I tristi corvi /a chi li lasci? / Pieni di astio / e male trame. // Canaglia infame /piena di boria, / voglion lo scettro / voglion la daga! // Ma non ri-tornano / agli antichi / tempi, di infamie / e di intrighi. // Litigano aRoma, / grande è l’ostacolo; / ferro è la spada / legno è il bacolo. //L’Avvoltoio apostolo / del Signore / si finge santo, / che impostore!// I corvi suoi / tristi, molesti, / son la discordia / degli onesti. // Ecosì tutti / facciamo guerra, / per pochi giorni / di vita in terra. //Da sinistra / vòltati a destra / e sempre vedi / una minestra. // Paz-zi, affamati, / ladri. Baccano / facciamo, nessuno / alzi la mano. //Addio Nanni, / riguardati, / fai il sordo / fingiti tonto. // Che tanto,lo vedi, / il mondo è così, / a sicut erat / non torna mai.

bennìdu b’hat dottissimas persones,e in festas e pranzos

60 cottu b’hana crabittos e anzones,e mandigos liccanzos:puddas, porcheddos, pisch’e maccarrones.In custas abbas purashant ismaltidu zelebres cotturas.

65 Tottus hant divertiduismentighende dogni cuntierra,preideros happ’ ’iducottos, cantend’a sonu ’e chiterra;anzis nd’happ’assistidu

70 beatamente istrampados in terra,in brazzos d’una vera,solenne, reverenda imbreaghera.

Inoghe sa tristuramorit, e torrat s’animu serenu.

75 Sa sogra cun sa nurain custas abbas lassant su velenu,anzis si dana curade lassare s’immina in su terrenu,c’hant fattu s’angallitta

80 unidas a pedirem’abba fritta.

Tottus sunt uguales,inoghe nemos vantat sos blasones.Baculos pastoraless’aunint a ispadas e bastones.

85 Tottos parent fedalessas bezzas cun sas giovanas persones,bezzones e battiastorrant piseddos a sas abbas mias.

Odios e affectos90 in me hant imprentadu sos c’hant bidu,

25 Eo so Galusè,logu delissiosu de incantu,firm’inoghe su pèo passizzeri, cust’est logu santu:deo cunfid’in te,

30 zelt’has accurrer a mi dare vantu,cun bellas cumpagnias,a t’infriscare de sas abbas mias.

Umil’in custa roccamai de murmurar’happo zessadu,

35 bentu fritt’e fioccahana sas venas mias astragadu,mai però sa broccahat su nettare sou ismentigadu;pedidu m’hat continu

40 sos bundantes umores c’happo in sinu.

Ancoras o’in dieno mi mancant dulzuras e bisittas.Tottus current a mie,e si consolant de sas abbas frittas,

45 e deo, rie rie,cuntento broccas mannas e brocchittas.Dae custas frittas venassempere partint sas broccas pienas.

A cust’abba, sididas,50 sunt bennìdas donosas virginellas,

a mie sunt bennìdasbajanas de Sardigna sas pius bellas:tottas si sunt frittidasa mi fagher onore. Pastorellas,

55 signorinas e damas,de me cuntentas, nd’hant contadu famas.

Dae logos istranzos

POESIAS

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su mal’anzenu l’ischint a cantone:125 una s’est lamentende

chi l’hant male pesadu su sabone,un’ater’a doverecriticat sas camijas de su mere.

Mi vantant sos duttores130 vera recepta de sa gent’istittica,

a sos meos umoresbenid’a si purgare sa Politica.Musseres e segnores,a s’ora de su votu tantu critica,

135 inoghe, saturnale,dànt su famosu pranzu elettorale.

Tando sos maccarronesmorint in buccas dottas e famidas,misciados a sermones

140 e a bellas promissas non cumpridas.Cantas discussionesgalu vivas in me sunt imprimidas!Ma de tantas paraulasnd’happ’incunzadu? Unu saccu ’e faulas.

145 A sas friscuras miasbenint a fagher paghe sos contrarios.Diversas rettilias,preides, polizzottos, cummissariose nobiles ispias,

150 inoghe si dànt festas e isvarios.Inoghe su delittufatt’hat cun sa giustissia s’ojttu.

Inoghe s’allegriamai si ponet abidos de dolu.

155 Intes’happ’a Pipia36

cantend’a zirfa cun su russignolu;

ma deo sos secretoshappo gelosamente custoidu,ca non sunt indiscretossos umores ch’in vid’happo sumidu.

95 E narrer ch’isco cosaschi parent finas meravigliosas!

Frisca, bundant’e pura,cantas festas happ’ ’idu, e cantu giogu;basos dados a fura,

100 toccos de man’e miradas de fogu.Happ’intesu sa giurade s’amant’a s’amada; in custu logu,tra cantos e festinos,happo bidu… una fila de puntinos.

105 De’ happo ’idu bettasbenner de nott’a’ custu logu santu,crabolas in palettasde fagher meravigli’e ispantu,e ateras suggettas

110 incarazzadas de nieddu mantu:cuddas pius santiccass’hant bagnadu sas laras tantu siccas.

De’ happ’intesu cosaschi a las narrer non parent costadas.

115 Zetras armoniosas,fruscios de contrabband’e muiladas;umbras misteriosasfattu ball’hant segundu sas sonadas,e ateras cosas puru,

120 chi no happ’ ’idu pro esser iscuru.

Bajanas samunendeintendo criticar’ogni persone,sas tales critichende

POESIAS

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est debile de fisicu,camminat a istentu, paret tisicu.

Bizzarr’est e selvaticu,paret un’isciareu ’estid’a pannos:

195 nè bellu nè simpaticu,cumparit bezz’e hat vintichimbannos,in sa fronte: «Viaticu»giughet iscritt’a caratteres mannos:distint’est sa persone

200 sorr’a s’inseparabile bastone.

S’a casu l’incontradesin s’umanu consorziu vivente,de coro li pregadeschi mi fettat bisitta prontamente,

205 anzis li consizadeschi torret prestu e allegramente;nadeli chi fulanaest torrad’amuros’a sa funtana.

O bellas zittadinas,210 lassade sas gazzosas e limones:

cussas sunt meighinasde chie giughet frazigos pulmones,si custas cristallinasabbas bibides vivides ruzones,38

215 sanas coment’ ’e dindos,e chi s’impicchent a sos tamarindos.

E tue, imbreagonechi giughes in sa ’ula sa siccagna,e cottu su pulmone,

220 cun sa test’attontada de migragna;su bin’in su pistone39

lass’e ben’a inogh’a sa muntagnae curad’in sas verasabbas friscas – istud’imbreagheras.

sa suav’armoniade cussas boghes m’hat dadu consolu.A sos cantigos graves

160 rispust’happo cun murmuros suaves.

Un’epoca beniatunu giovanu pallid’e ramasu,inoghe invocaiatsas noe virginellas de Parnasu:

165 afflittu pianghiat,e mentres chi m’imprimiat unu basu,misciaiat amaraslagrimas a sas mias abbas giaras.

Fit affligidu tantu170 chi li naia su misteriosu,

flebile unu cantuin laras l’intendia dolorosu.Com’in su campusantucreo chi dormat s’ultimu riposu.

175 Non pius b’est bennìdu,nè una cara novella nd’happ’ischidu.

Ischire nde cheria:galu l’happo costant’in s’intellettu,prit’una poesia

180 m’hat iscrittu gentil’e cun affettu;servidemi de ghias’a cas’est galu vivu su suggettu.Nadel’o signorinaschi torret a’ custas abbas cristallinas.

185 Si mai l’hazis bidu,breve nde fatto sa biografia;37

est pallidu, bestidua pannos tristos de malinconia,mesu test’ispilidu,

190 in laras si l’annottat s’angustia:

POESIAS

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225 Tue o Lia cara40

de custu logu des esser sa prama,che a’ cust’abba, giaracunservadi onorad’a babb’e mama:fentomada pro rara

230 in virtudes, belles’onor’e fama.Chelzo chi s’abba miapotat narrer: «So pura che a Lia».

Como benis a miesenz’algunu penseri, ses minore:

235 gentil’e rie rie,bestida ’e pures’e de candore,goi pur’unu diebenzas in cumpagnia de s’amore.Su die, o Lia cara,

240 m’has agattare pius frisca e giara.

De coro su disizuhappo chi siast mia fittiana:rosa ses, cun su lizuben’a inoghe donosa e galana,

245 s’intemeradu chizucunserva sorrident’a sa funtana,c’hat happidu sa famade haer cumbidad’a babb’e mama.

De sa pur’abba mia250 ben’e leande cun devossione:

la giughes a cresia,li faghes dare benedissione;pro chi servat, o Lia,cando chi su preide s’unione

255 suggellat, de su corochi t’amat, a su tou, o rosa d’oro.

Tonara-Galusè, marzo 1897.

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GALUSÈ

Gentile signorina, / che come l’ape alla rosa verso me voli, / umile eperegrina / sgorgo fra i fiori e le nocciole; / sono fresca e cristallina,/ se t’inchini a me ti consoli. / Alla mia fonte / porgi le labbra, per-ché ne sarai ricompensata. // Io, abbondante, / sono conosciuta frafontane rare, / con tutti amorevole, / sono dispensatrice di acquechiare: / se ne sei bramosa / porgi a me un istante le labbra. / Se gu-sti le acque mie / esclamerai: «Benedetta sia!». // Che fresca e purasia / lo sa il Capo di Sopra e il Campidano. / Alla frescura mia / ven-gono assetati dal piano; / con una stilla sola / rendo il malato sano. /Da lontano d’estate / tutti bramano il mio mormorio. // Io sono Ga-lusè, / luogo delizioso d’incanto, / ferma qui il piede / o passante,questo è un luogo santo: / io confido in te, / certo accorrerai a dar-mi vanto, / con belle compagnie, / a rinfrescarti con le acque mie. //Umile in questa rocca / mai ho cessato di mormorare, / vento freddoe neve / hanno ghiacciato le mie vene, / mai però la brocca / ha di-menticato il suo nettare; / mi ha chiesto di continuo / gli umori ab-bondanti che ho in seno. // Al giorno d’oggi ancora / non mi man-cano dolcezze e visite. / Tutti accorrono a me, / e si consolano conle fredde acque, / ed io, sorridendo, / accontento brocche grandi ebrocchette. / Da queste fredde vene / sempre ripartono le brocchepiene. // A quest’acqua, assetate, / son venute graziose verginelle, /a me sono giunte / della Sardegna le giovani più belle: / tutte si so-no fermate / a farmi onore. Pastorelle, / signorine e dame, / soddi-sfatte, di me hanno raccontato la fama. // Da terre forestiere / sonogiunte dottissime persone, / e in feste e pranzi / qui hanno cotto ca-pretti e agnelli, / e cibi appetitosi: / galline, porchetti, pesce e mac-cheroni. / In queste acque pure / hanno smaltito celebri “cotture”. //Tutti si sono divertiti / dimenticando ogni contesa, / preti ho visto /cotti, cantare a suon di chitarra; / anzi, ne ho assistito / beatamentebuttati a terra, / fra le braccia di una vera, / solenne, reverendaubriacatura. // Qui la tristezza / muore, e l’animo ritorna sereno. / Lasuocera con la nuora / in queste acque lasciano il veleno, / anzi sidanno cura / di lasciare l’orma nel terreno, / perché hanno saltellato/ assieme, chiedendomi acqua fredda. // Tutti sono uguali, / qui nes-suno vanta i blasoni. / Bacoli pastorali / s’uniscono a spade e basto-ni. / Tutti sembrano coetanei / i vecchi e le giovani persone, / vec-chi e vedove / tornano bambini con le mie acque. // Odi e affetti /hanno impresso in me quanti hanno bevuto, / ma io i segreti / ho

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gelosamente custodito, / perché non sono indiscreti / gli umori chein vita ho assorbito. / E dire che so cose / che sembrano pure mera-vigliose! // Fresca, abbondante e pura, / quante feste ho visto, equanto gioco; / baci dati a ruba, / toccate di mano e sguardi di fuo-co. / Ho sentito il giuramento / dell’amante all’amata; in questo luo-go, / fra canti e festini, / ho visto… una fila di puntini. // Io ho vistocerbiatte / venire di notte a questo luogo santo, / daine in corpetto /da far meraviglia e stupire, / e altri soggetti / mascherate con un ne-ro manto: / quelle più santocchie / si sono bagnate le labbra tantosecche. // Io ho sentito cose / che a raccontarle non sembrano acca-dute. / Cetre armoniose, / fischi furtivi e mugghi, / ombre misteriose/ hanno ballato secondo le sonate, / e anche altre cose / che non hovisto perché era buio. // Giovani che fanno il bucato / sento criticareogni persona, / criticando le tali / a menadito conoscono il male al-trui: / una si lamenta / che le hanno pesato male il sapone, / un’altraa dovere / critica le camicie del padrone. // Mi vantano i dottori /come vera ricetta della gente stitica, / ai miei umori / viene a purgar-si la politica. / Messeri e signori, / nell’ora del voto più critica, / qui,saturnale, / danno il famoso pranzo elettorale. // Allora i maccheroni/ muoiono in bocche dotte e affamate, / mescolati a sermoni / e abelle promesse non rispettate. / Quante discussioni / ancora vive inme sono impresse! / Ma di tante parole / cos’ho raccolto? Un saccodi favole. // Alla mia frescura / vengono a far pace i contendenti. /Varie specie di rettili, / preti, poliziotti, commissari / e nobili spie, /qui si danno a feste e follie. / Qui il delitto / strizza l’occhiolino allagiustizia. // Qui l’allegria / mai si veste con abiti di lutto. / Ho sentitoPipia / cantare a gara con l’usignolo; / la soave armonia / di quellevoci mi ha consolato. / Ai canti gravi / ho risposto con mormoriisoavi. // Un tempo veniva / un giovane pallido e magro, / qui invo-cava / le nove verginelle del Parnaso: / afflitto piangeva, / e mentreun bacio m’imprimeva, / mescolava amare / lacrime alle mie acquechiare. // Era afflitto tanto / che lo chiamavo il misterioso, / un flebi-le canto / gli sentivo sulle labbra, doloroso. / Ora nel camposanto /credo che dorma l’ultimo riposo. / Non è più venuto, / né una caranuova ne ho saputo. // Avrei voluto saperne: / ancora lo serbo co-stante nella mente, / perché una poesia / mi ha scritto, gentile e conaffetto; / fatemi da guida / se per caso è ancora vivo il soggetto. /Ditegli o signorine / che ritorni a queste acque cristalline. // Se mail’avete visto, / ne faccio una breve biografia; / è pallido, vestito /con tristi panni di malinconia, / mezzo spelato, / sulle labbra gli si

legge l’angoscia: / è debole di fisico, / cammina a stento, sembra tisi-co. // È bizzarro e selvatico, / sembra un asfodelo coi panni indosso:/ né bello né simpatico, / sembra vecchio e ha venticinque anni, /sulla fronte: «Viatico» / ha scritto a grandi caratteri: / è distinta la per-sona / sorella dell’inseparabile bastone. // Se per caso lo incontrate /nell’umano consorzio vivente, / di cuore lo pregate / che mi facciavisita prontamente, / anzi consigliatelo / che torni presto e allegra-mente; / ditegli che “la tale” / è tornata amorevole alla fontana. // Obelle cittadine, / lasciate le gassose e limoni: / quelle sono medicine/ di chi ha marci i polmoni, / se queste cristalline / acque bevete vi-vrete forti, / sane come tacchini / e che s’impicchino ai tamarindi. //E tu, ubriacone / che hai nella gola l’arsura, / e cotto il polmone, /con la testa stordita dall’emicrania; / il vino nel bottiglione / lascialoe vieni qui alla montagna / e curati nelle vere / acque fresche spe-gni-ubriacature. // Tu o Lia cara / sarai di questo luogo la palma, /come quest’acqua, chiara / conservati, onorata per babbo e mamma:/ famosa per esser rara / in virtù, bellezza, onore e fama. / Voglioche l’acqua mia / possa dire: «Sono pura come Lia». // Ora vieni ame / senza alcun pensiero, sei piccola: / gentile e sorridente, / vesti-ta di purezza e candore, / pure così un giorno / che tu venga incompagnia dell’amore. / Il giorno, o Lia cara, / mi troverai più frescae chiara. // Di cuore il desiderio / ho che sia a me assidua: / sei unarosa, col giglio / vieni qui, graziosa e leggiadra; / l’intemerato sguar-do / conserva sorridente alla fontana, / che ha avuto la fama / diaver dissetato babbo e mamma. // Della pura acqua mia / vieni eprendine con devozione: / portala in chiesa, / falle dare la benedi-zione; / perché serva, o Lia, / quando il prete l’unione / suggella, delcuore / che ti ama, col tuo, o rosa d’oro.

in coros dulches ch’isperant ancora?35 Pro suffrire gosie menzus mortu;

pro me pius non bi nd’hat de ispera,su campusant’est s’unicu cunfortu.

Amigu caru, pensa e cunsideracale det esser s’affann’e’ su dolu

40 chi mi consumit che candel’ ’e chera.Sa morte no, no mi dat oriolu,

sento chi lasso custa cara terrabestida de su funebre lentolu.

Etern’inimistad’eterna gherra45 b’happo connottu, pizzinnu minore,

brigas, confusion’e cuntierra.Paghe, risos, carignos e amore,

mai happo connottu, solamentevelenosas ispinas de dolore.

50 S’infami’ happo ’idu impunementebominde su velenu in sos fioresde custu ridentissimu padente.

Pubusas, tilibrios e astores,maistros de nefandas aziones,

55 dànt sa biccad’a puzzones minores.Pugnales velenosos e bastones

animados, attalzu, ferr’e brunzu,parant brigas e confusiones.

S’anonimu libellu de murrunzu60 si bestit sa divisa ’e Pilatu,

frundit sa pedr’e si cuat su punzu.Corvos molestos chi faghent disbatu

pro mantenner niedda sa pinnia,ponende s’armonia in disbaratu.

65 Cale barch’in su mare senza ghia,perigulant’in su fatal’iscogliu,tue ses, o diletta terra mia.

In brazzos de s’Usura e de s’Imbrogliu,su poveru, cun fadigas e sudore,

70 accuccurat su riccu portafogliu.

A JUANNE SULIS41

Caru Juanne meu,Semper mudu

cun tegus so istadu, it’abbandonu!In su mentres t’imbio unu saludu

5 affettuosu, dimando perdonu.S’istadu so cun tegus inurbanu,ismentiga s’offes’e siast bonu.

Pro chi non t’happ’iscrittu fittianusemper happ’iscolpid’in coro meu

10 su lumen d’unu frade ch’est lontanu.Zircundadu de dol’e de anneu,

de ti mandar’una novella mia,mai happo gosadu su recreu.

In sa gentile Patria natia15 su car’amigu tou est moribundu

in s’ultimu sarragh’ ’e s’agonia.Cuddu sorris’amabil’e giucundu

dae su visu meu est isparidu:est decretadu chi lasse su mundu.

20 Su debil’organismu est isfinidu,tristu como, so ’ennid’a su puntude frastimare su primu cumbidu.

Si pro casu de me faghes preguntut’hant a rispunder: «Cuss’isventuradu

25 non lu chirches in vida, ch’est defuntu».Deo cando chi m’ ’ido a’ cust’istadu,

bidende irreparabile su male,suspiro cun su coro avvelenadu.

Intend’in cor’un’ansia fatale,30 e naro: «Parca ingrata, già ch’est s’ora,

abbrevia su meu funerale».Ite bi fatt’in su regnu ’e Flora

seminende dolor’e iscunfortu

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mandam’unu penseri piedosu,una sincer’istilla ’e piantu.

110 Finas dorminde s’ultimu riposumi devet esser car’e aggradiducussu saludu tou affettuosu.

Tue vive onestu. Favoridusiast dae sa sort’e potas bier

115 realizzadu su sognu c’has bidu.Cando podes procura de m’iscrier;

imbiam’una littera brullana,in coro sento su bisonz’ ’e rier.

De rier veramente nd’happo gana,120 però mi toccat a fagher su seriu

prite sa testa mi’est pili cana.Inoghe, zeltos, chi non hant criteriu,

m’halzana s’oj’ ’e sa malignidade,e mi giamant a lumene misteriu.

125 S’ischerant de sa mia infirmidade,sos chi si rident de custu mischinu,diant haer amor’e piedade.

Bastat, siat cumpridu su destinu,est iscrittu, mi toccat prosighire

130 tamba tamb’e finire su camminu.Est ora puru de mi dispedire,

meda t’happ’infadad’amigu meu:amuros’e gentile cumpadiredeves s’amigu

Peppinu Mereu13 marzo 1896.

Su vampiru chi giamant esattore,cun tassas medas graves e impostas,seminend’est in bidda su terrore.

Zeltas faccias ipocritas e tostas75 si rident de su ben’e de su male:

mudant in d’unu die milli crostas.Sas testas chi si vantant d’haer sale

suni fertas a bin’e non hant curade pensar’a su bene soziale.

80 Su coraggiu zivile a sa pauras’est abbrazzadu: timet, ca est zegu,su frittu sognu de sa sepoltura.

Sos ricursantes sighint s’impiegude fagher male, in bidda sun timidos

85 che’ sa temporada de Murdegu.42

Galiotos a Preides unidossuni tessende tirrias e brigas,isfoghende sos odios zozzidos.

Tue, cando chi podes, duas rigas90 iscrie contr’a’ custos tirriosos,

castiga sas anonimas pinnigas.Aunid’a sos pagos virtuosos,

pro dare dezisiva una battagliacontr’a’ custos serpentes velenosos.

95 Sos pettos nostros dent esser muraglia,chi devimus opponner cun virtude,fortes, contr’a sa perfida canaglia.

Ti piango pro cussu, o gioventude,perdid’has sa virtude, ca t’agattas

100 mancante de sa fisica salude.Odios, gherras surdas e cumbattas

c’happo ’idu, in sa debile personeb’hana lassadu terribiles trattas.

Tue, Juanne faghedi dugone105 de s’opprimidu miser’e affrantu:

preiga libertad’e unione.Cando m’has a ischir’in campusantu,

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A GIOVANNI SULIS

Caro Giovanni mio, sempre zitto / sono stato con te, che abbando-no! / Nel mentre t’invio un saluto // affettuoso, chiedo perdono. / Sesono stato con te poco educato, / dimentica l’offesa e sii buono. //Sebbene non ti abbia scritto spesso / sempre ho scolpito nel miocuore / il nome di un fratello che è lontano. // Circondato di doloree angoscia, / d’inviarti una nuova mia, / mai ho avuto il piacere. //Nella gentile Patria natia / il tuo caro amico è moribondo / nell’ulti-mo rantolo d’agonia. // Quel sorriso amabile e giocondo / dal mioviso è sparito: / è decretato che lasci il mondo. // Il debole organi-smo è sfinito, / triste ora, sono arrivato al punto / di maledire il pri-mo invito. // Se per caso chiedi di me / ti risponderanno: «Quellosventurato / non cercarlo in vita, perché è defunto». // Io, quando mivedo in questo stato, / vedendo irreparabile il male, / sospiro colcuore avvelenato. // Sento nel cuore un’ansia fatale, / e dico: «Parcaingrata, già che è l’ora, / affretta il mio funerale». // Cosa ci faccio nelregno di Flora / seminando dolore e sconforto / in dolci cuori chesperano ancora? // Per soffrire così meglio morto; / per me non c’èpiù speranza, / il cimitero è l’unico conforto. // Amico caro, pensa econsidera / quale può essere l’affanno e il dolore / che mi consumacome una candela di cera. // La morte no, non mi dà pensiero, /sento che lascio questa cara terra / vestita del funebre lenzuolo. //Eterna inimicizia, eterna guerra / vi ho conosciuto, da bambino, / li-ti, confusione e contese. // Pace, risa, carezze e amore / mai ho co-nosciuto, solamente / velenose spine di dolore. // Ho visto l’infamiaimpunemente / vomitare il veleno sui fiori / di questo ridentissimobosco. // Upupe, gheppi e astori, / maestri di nefande azioni, / bec-cano i piccoli uccellini. // Pugnali velenosi e bastoni / animati, ac-ciaio, ferro e bronzo, / organizzano liti e confusioni. // L’anonimo li-bello di mugugno / indossa la divisa di Pilato, / scaglia la pietra enasconde la mano. // Corvi molesti che litigano / per conservare ne-ro il piumaggio, / mettendo disordine nell’armonia. // Come barca inun mare senza guida, / in pericolo nel fatale scoglio, / tu sei, o dilet-ta terra mia. // Fra le braccia dell’Usura e dell’Imbroglio, / il povero,con fatiche e sudore, / riempie il ricco portafoglio. // Il vampiro chechiamano esattore, / con tasse assai gravose e imposte, / sta semi-nando nel paese il terrore. // Certe facce ipocrite e toste / se la rido-no del bene e del male: / cambiano in un giorno mille “scorze”. //Le teste che si vantano d’aver sale, / sono guastate dal vino e non si

curano / di pensare al bene sociale. // Il coraggio civile alla paura /s’è abbracciato: teme, perché è cieco, / il freddo sogno della sepoltu-ra. // I ricusanti proseguono nell’azione / di fare del male, in paesesono temuti / come la tempesta di Murdegu. // Galeotti uniti a preti/ stanno tessendo trame e brighe, / sfogando gli odi sozzi. // Tu,quando puoi, due righe / scrivi contro questi odiosi, / castiga glianonimi imbrogli. // Unisciti ai pochi virtuosi, / per sferrare decisivauna battaglia, / contro questi serpenti velenosi. // I nostri petti devo-no essere una muraglia, / che dobbiamo opporre con virtù, / forti,contro la perfida canaglia. // Per questo ti piango, o gioventù, / haiperso la virtù, perché ti ritrovi / mancante della salute fisica. // Odi,guerre sorde e confusioni, / che ho visto, nella debole persona /hanno lasciato terribili segni. // Tu, Giovanni, fatti condottiero / del-l’oppresso misero e affranto: / predica libertà e unione. // Quandomi saprai in camposanto, / mandami un pensiero pietoso, / una sin-cera stilla di pianto. // Anche mentre dormo l’ultimo riposo / mi de-v’esser caro e gradito / quel tuo saluto affettuoso. // Tu vivi onesto.Favorito / sii dalla sorte e possa vedere / realizzato il sogno che haifatto. // Quando puoi cerca di scrivermi; / mandami una letterascherzosa, / sento nel cuore il bisogno di ridere. // Ho veramentevoglia di ridere, / però mi tocca fare il serio / perché la mia testa èimbiancata. // Qui, taluni senza criterio, / mi lanciano una malignaocchiata, / e mi chiamano col nome di ‘mistero’. // Se sapessero del-la mia infermità, / quelli che ridono di questo infelice, / proverebbe-ro amore e pietà. // Basta, si compia il destino, / è scritto, mi toccaproseguire / barcollante e finire il cammino. // È pure ora di acco-miatarmi, / ti ho infastidito abbastanza amico mio: / amorevole egentile compatire / devi l’amico Peppinu Mereu.

mandighende fenuj’e pigulosa,arengu e baccalare.

Suni baranta dies de dieta30 de mortificassion’e penitenzia:

su pisch’est permittidu, de sa petaassolut’astinenzia.

Murena, seppia, trigli’e minestronesde basolu, sunt cosas de pappare,

35 e fattu fattu, duos maccarronestantu pro variare.

Su cundimentu però, ca est vedadus’ozu porchinu, det esser iscassu,mancari siat de casu filadu,

40 ca non est zibu rassu.

Mi tremo solament’a bi pensare:in dies chi mancant’ ’enit sa pisca,m’happ’a bider costrint’a mandigare

carzoff’e fae frisca.

45 Ahi vida penosa! Reduiducomo so a pappare casu e pasta;foras buffare ’inu, est proibidu,

si no est de s’Ozasta.

Com’a sa penitenzi’a suffrire50 su corpus det frittir’ubbidiente;

a coment’happ’a poder resistirepenso seriamente.

Però, cun voluntad’e meda zelu,no m’happ’a dar’in brazzos a sa famene,

55 ca est nient’a si perder su chelupro una fitt’ ’e salamene.

CARESIMA

In brazzos d’una vida libertinad’eris allegramente mi so dadu,umil’o’a rizire sa chijna

eccom’imbenujadu.

5 D’eris a’ cust’ora fi’a cazzade festas, maccu e ispensieradu,oe, cumpuntu, e senza sa carazza

devotu so torradu.

Zessad’est cudda macca cuntierra10 de sos festinos c’happo fattu d’eris,

su preid’oe narat: «Ses de terra,Pulverem reverteris».

Faeddos misteriosos e fataleschi ponent in penseris sa canaglia,

15 e nos ammentant miseros mortaleschi semus de terraglia.

Già chi so terra lasso sas iscialas,basa mattones, a coron’in manu,m’iscri’a mann’a mann’in mesu palas:

20 «Vetro-posa pianu».

Sos zibos rassos de carrasegareoe rinnego tottu, ossos e pulpa,umile m’est obbligu rezitare

s’eternu mea culpa.

25 Caresim’est intrad’e rigorosa;penettidu mi toccat dijunare,

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Baranta dies mannas casca casca,e tue preide preigas: «Non pecches»,ma si benit sa bella di’ ’e Pasca,

60 ah tando non mi secches!

Pro com’isto cumpunt’, a dilighenziarezito s’attu de contrizione,e fatto sa lissi’a sa cussenzia

pro sa cunfessione.

65 Ca chelzo cunfessar’ogni peccadu,s’anima non det giugher pius pesu;ite consolazion’esser purgadu

senza su sal’inglesu!

Anima mia si ti ses dannada70 dended’in brazz’a su divertimentu,

tenedi bene pront’e preparadapro su dibattimentu.

Mustradi senz’alguna pauria,non timas, no, su cunfessionale:

75 cun pagu pag’astuzi’e furberiasalvamus sacch’e sale.

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QUARESIMA

Fra le braccia di una vita libertina / ieri allegramente mi sono getta-to, / oggi umile a ricevere la cenere / eccomi inginocchiato. // Ieri aquest’ora ero a caccia / di feste, folle e spensierato, / oggi, compun-to, e senza la maschera / devoto son tornato. // Cessata è quellamatta sfida / dei festini che ho fatto ieri, / il prete oggi dice: «Sei diterra, / pulverem reverteris». // Parole misteriose e fatali / che dannoda pensare alla canaglia, / e ci ricordano, miseri mortali, / che sia-mo terraglia. // Già che son terra lascio gli sciali, / bacia-mattoni,col rosario in mano, / mi scrivo grande grande fra le spalle: / «Vetro-posa piano». // I cibi grassi di carnevale / oggi rinnego tutti, ossa epolpa; / umile mi è d’obbligo recitare / l’eterno mea culpa. // Laquaresima è entrata rigorosa; / pentito mi tocca digiunare, / man-giando finocchio e parietaria, / aringa e baccalà. // Sono quarantagiorni di dieta, / di mortificazione e penitenza: / il pesce è permes-so, dalla carne / assoluta astinenza. // Murena, seppia, triglia e mi-nestroni / di fagioli, sono le cose da mangiare, / e ogni tanto, duemaccheroni / tanto per variare. // Il condimento, però, poiché èvietato / il grasso di maiale, dev’essere scarso, / anche se è di for-maggio fresco, / perché non è un cibo grasso. // Tremo al solopensiero: / nei giorni in cui manca la pesca, / mi vedrò costretto amangiare / carciofi e fave fresche. // Ahi vita penosa! Ridotto / sonoora a mangiare formaggio e pasta; / basta bere vino, è proibito, / senon è d’Ogliastra. // Ora a sopportare la penitenza / il corpo devepiegarsi ubbidiente; / a come potrò resistere / penso seriamente. //Però, con volontà e molto zelo, / non mi getterò fra le braccia dellafame, / perché è un niente perdersi il cielo / per una fetta di sala-me. // Quaranta lunghi giorni a sbadigli, / e tu, prete, predichi:«Non peccare», / ma se arriva il bel giorno di Pasqua, / ah, alloranon mi seccare! // Per ora resto compunto, con diligenza / recitol’atto di contrizione, / e faccio il bucato alla coscienza / per la con-fessione. // Perché voglio confessare ogni peccato, / l’anima nonavrà più peso; / che consolazione esser purgato / senza il sale in-glese! // Anima mia, se ti sei dannata / gettandoti fra le braccia deldivertimento, / mantieniti ben pronta e preparata / per il dibatti-mento. // Mostrati senza alcuna paura, / non temere, no, il confes-sionale: / con un po’ d’astuzia e furberia / salviamo sacco e sale.

ch’est una porcheri’addirittura.35 Sas noe Sorres mi narant: «Poeta,

mi chi sa poesi’est indigesta,pensa de osservare sa dieta».

Cust’ironica ’oghe de protesta,amigu meu, non podes pensare

40 cant’a s’orja mi sonat molesta.Pro cuss’est chi no m’isco rassignare

a su dijunu de s’arte poetica;sa fert’est grav’e non podet curare.

S’anima mia, de natur’iscettica,45 bramosa de intrar’in su Parnasu,

credula si dimustrat e ascetica.Però in Elicona pagu casu

faghent de me, mi faghent sas ficcassas noe Sorres si ped’unu basu.

50 De Ippocrene sas abbas sunt siccas;cand’happo protestadu: «So sididu»,m’hana rispustu: «Bandas e t’impiccas».

S’azzettadu l’haere su cumbidua’ custas oras tranquillu fia,

55 e forsis no mi nde fia penettidu.Bae in bonora bae poesia!

S’est presentada che tentassione,a brullare sa mia fantasia.

Bae chi happ’a dar’attenzione,60 si a casu mi tentas dae nou

no happ’a esser gai tontorrone.Sa testa mi’est fragile che ou,

però si benis tue musa vanapro sort’est chi bi craves unu zou.

65 Pro cantu ses gasie risulanaa mie no mi ponzas a sa prova;de brullare nde tenzo paga gana.

Non zocches a sa mia mente bovaa mi pedir’unu semplice mutu,

70 mi ca ti le’a colpos de iscova.

A EUGENIU UNALE [I]43

Eugeniu caru,non ti cretas

chi de te mi nde sia ismentigadu,poeta coment’ ’e tottu sos poetas

5 su silenziu to’ happ’imitadu.Pustis tant’isettare, finalmente,un’amigu de te m’hat faeddadu.

Mi nd’hat trattad’e m’hat fattu presentech’in Simala ses galu fort’e sanu

10 e ti la cantas ancor’allegramente.Deo, ca t’happ’in coro fittianu,

mi nde cuntent’ ’e sa novella cara,e ti mand’una fort’istrint’ ’e manu.

Deo so in sa patria Tonara15 respirende sas aèras natias,

curende sa person’a s’abba giara.Cudda zetra ch’in manos mi bidias

est iscordad’e non sonat piusu,ca l’happo postu cordas de tinnias.

20 Tue galu però nde faghes usu:ti favorit sa zetr’in s’armonia,ca ses fiz’a su veru Cab’ ’e Susu.

Ses naschid’in sa terra ’e Billia,44

si cantas podes cantar’a primore;25 caru ses a Melpomen’e Talia.

Tue ses astru ch’in Putumajorebi lassas fama coment’in Posadabi nd’hat lassadu Mercioro Dore.

Sa poesia mi’abbandonada30 senza mai nde fagher pius cura,

una pros’indezent’est diventada.S’iscrio calchi vers’a fur’a fura

tando mi nàt una ’oghe secreta

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chi t’imbio, ti devent resessireseccantes verament’e istantias.

110 Mentres ti prego de mi cumpadiresi troppu noiosu so istadu,varias cosas ti do a ischire.

In primu iscas chi happ’incontraducuddu superiore tirriosu45

115 chi tenimis fattende su soldadu.Accanta m’est passadu, bilgonzosu,

ma non l’happo negadu su saludu,prite ca so de coro piedosu.

No m’hat rispust’e restadu s’est mudu,120 prite fit istrazzadu in modu tale

chi si timiat de li narrer nudu.Puru si ti nd’ammentas cantu male

hat fattu cussu, a mi’e a tiecando l’haimis sutt’uffiziale.

125 A lu diat a crer chi o’in diediat a benner in bisonz’ ’e pane?Su mundu caru meu, est fatt’ ’asie.

Deo, invece de li narrer: «Cane!»happo tentadu de l’avvicinare,

130 ipse però de me s’est fatt’addane.Ma inter ipse hat devid’esclamare:

«Si unu tempus bonu istadu fia,como teni’a chie m’ajudare».

Cuddos chi de sa sua tirania135 salvos sunt, si lu ’ident in s’istrada;

lu giamant cun su lumen de ispia.S’ipocrita canagli’est mal’andada;

a unu l’hat punidu su pugnale,s’ater’est mortu cun s’anca truncada.

140 Bona parte bi nd’hat in s’ispidale,ca giughent frazigadu su pulmone,isettende s’insoro funerale.

Cuddu marranu frade de Neroneistad’est cundennadu pro rapina

Su laru tenedilu, ca est fructude sos veros poetes, sa coronaa mie faghemila de armutu.

Tue, Unali caru, in Elicona75 jura fid’a sa Pieria dea,

ca de tottu sas musas est padrona.Si ti capitat poneli trobea,

profitta como chi t’istimat tantu,si no est fazil’a mudar’idea.

80 Tue abberi sas laras a su cantuarmoniosu, e siast de consolua sos coros chi vivent de piantu.

Deo t’invoco cale russignolu:ben’a cantar’a sa Patria mia,

85 ispalghelas sas alas a su ’olu.Milli cosas contare ti cheria,

e cheria godire ness’un’orasu consol’ ’e sa tua cumpagnia.

Ismentigadu non t’hai’ancora,90 ti nde fatto solenne juramentu,

sa limba mia no est impostora.Galu ses in su meu pensamentu:

chi de te no m’ammente, caru amigu,no che passat nè ora nè momentu.

95 Deo ancora so s’amig’antigu,si ti paret chi facci’ happo mudaduseveramente ponem’in castigu.

Si a t’iscrier goi happo tardadu,no nelzas inurban’e negligente,

100 ca mai negligente so istadu.De su restu, faeddo francamente,

si eo istadu so silenziosu,tu’ has fattu su surd’ugualmente.

Menzus ch’istadu siast disizosu105 in isettare bonas novas mias,

che mi narrer seccant’e infadosu.Prit’a la narrer, custas litanias

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Si ti preguntant de Peppe Mereunara chi est trazende isconsoladusa rughe de su dol’e de s’anneu.

185 Si calch’amigu giustu b’hat restadu,soldadu de sa propria bandera,siat a lumen meu saludadu.

Tue, si podes, faghe sa manera,procura de m’iscrier prontamente

190 brullan’e consolant’una littèra.Deo t’happ’a iscrier frequente

fin’a mi narrer maccu e infadosu,ciarlatanu, seccant’e imprudente.

Luegh’iscrie. Pro com’adiosu,195 dae cust’amenu e floridu jardinu

ti mandat unu basu affettuosus’amigu tou

Mereu Peppinu.Tonara, 5 luglio 1896.

145 a bindig’annos de reclusione.Bi nd’hat in cumpagni’ ’e disciplina:

samben’hat fattu s’istrale fonnesa,basada siat sa man’assassina.

Non t’indignet sa mia cuntentesa150 chi dimustr’in basare cudda manu

chi sever’hat punidu sa vilesa.Peus pro chie de coro villanu

da ch’est soldadu ponet in olviduchi su soldadu det esser umanu.

155 Tue pur’a soldadu ses bestidu,a dogn’istante des haer presentesu chi suffrinde ses e has suffridu.

Tratta bene su tou dipendentecando nde tenes, ca ti narant bonu:

160 menzus semper chi siast indulgente.Cumanda, ma no cumandes che padronu,

ma che babb’amurosu, su rigoresemper chi podes, pon’in abbandonu.

Cun sos bonos faeddos, cun s’amore165 s’ottenet tottu, duncas amurosu

vive cun tottus e faghed’onore.Prosigh’a ti mustrare virtuosu:

senza virtude s’omine s’agattatche barchitt’in su mare burrascosu.

170 Però s’omine chi onestu trattatpro finas cun sos malos tenet paghe,prite sas differenzias appattat.

De su restu ses mannu, tue faghesu dovere: ti chelzo in s’onestade

175 ischire un’incrollabile nuraghe.Ti naro tottu cust’o caru frade,

prite t’istimo e senz’ipocrisiaamigu so de sa sinceridade.

Deo prego sa tua cortesia180 a perdonare cust’iscrittu meu

bestid’a pannos de malinconia.

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A EUGENIO UNALE [I]

Eugenio caro, non credere / che di te mi sia dimenticato, / poeta co-me tutti i poeti // il tuo silenzio ho imitato. / Dopo tanta attesa, final-mente, / un amico di te mi ha parlato. // Mi ha raccontato e mi hafatto presente / che stai ancora a Simala, forte e sano / e te la cantiancora allegramente. // Io, che ti ho spesso nel cuore, / mi rallegroper la buona nuova / e ti mando una forte stretta di mano. // Io mitrovo nella patria Tonara / respirando l’aria natia, / curando la perso-na all’acqua chiara. // Quella cetra che mi vedevi in mano / è scor-data e non suona più, / perché le ho messo corde di giunco. // Tuperò ne fai ancora uso: / ti favorisce la cetra nell’armonia / perchései figlio del vero Capo di Sopra. // Sei nato nella terra di Billia, / secanti puoi cantare eccellendo, / sei caro a Melpomene e Talia. // Tusei l’astro che a Pozzomaggiore / lascerà fama come a Posada / neha lasciato Melchiorre Dore. // La mia poesia abbandonata / senzaessermene più preso cura / una prosa indecente è diventata. // Sescrivo qualche verso di nascosto / allora mi dice una voce segreta /che è una porcheria addirittura. // Le nove Sorelle mi dicono: «Poeta,/ guarda che la poesia è indigesta, / cerca di stare a dieta». // Questaironica voce di protesta, / amico mio, non puoi pensare / quanto al-le orecchie mi suoni molesta. // È per questo che non mi so rasse-gnare / al digiuno dell’arte poetica; / la ferita è grave e non si puòcurare. // L’anima mia, di natura scettica, / bramosa d’entrare nelParnaso, / si dimostra credula e ascetica. // Però nell’Elicona pococaso / fanno a me, mi fanno le fiche / le nove Sorelle se chiedo unbacio. // Le fonti d’Ippocrene sono secche; / quando ho protestato:«Sono assetato», / mi hanno risposto: «Vai e impiccati». // Se avessi ac-cettato il loro invito / a quest’ora sarei tranquillo, / e forse non mene sarei pentito. // Vai in buon’ora, vai poesia! / S’è presentata comeuna tentazione, / a burlare la mia fantasia. // Va’ che farò attenzione,/ se per caso mi tenti di nuovo / non sarò così tontolone. // La miatesta è fragile come un uovo, / però se vieni tu, musa vana, / saràmolto se c’infili un chiodo. // Per quanto tu sia così beffarda / nonmettermi alla prova; / ho poca voglia di scherzare. // Non bussarealla mia mente sciocca / per chiedermi un semplice mutu, / guardache ti prendo a colpi di scopa. // L’alloro tienitelo, perché è il frutto/ dei veri poeti, la corona / a me falla di asfodelo. // Tu, Unali caro,nell’Elicona / giura fedeltà alla dea Pieria, / perché di tutte le muse èla padrona. // Se ti capita mettile una pastoia, / approfitta ora che ti

stima tanto, / se no è facile che cambi idea. // Tu apri le labbra alcanto / armonioso, e sii di consolazione / ai cuori che vivono dipianto. // Io t’invoco come usignolo: / vieni a cantare nella mia Pa-tria, / spargi le ali al volo. // Ti vorrei raccontare mille cose, / e vor-rei godere almeno un’ora / il piacere della tua compagnia. // Nont’avevo dimenticato ancora, / ti faccio un solenne giuramento, / lamia lingua non è impostora. // Ancora sei nel mio pensiero: / che dite non mi ricordi, caro amico, / non passa né un’ora, né un momen-to. // Io sono ancora l’amico antico, / se ti sembra che abbia mutatovolto, / mettimi severamente in castigo. // Se a scriverti così ho tar-dato, / non dirmi inurbano e negligente, / perché mai negligente so-no stato. // Del resto, parlo francamente, / se io sono stato silenzio-so, / tu hai fatto il sordo ugualmente. // Meglio che sia statodesideroso / di attendere buone nuove mie, / anziché dirmi seccantee fastidioso. // Perché a dirla, queste litanie / che t’invio, ti devonorisultare / davvero seccanti e stantie. // Mentre ti prego di scusarmi /se troppo noioso sono stato, / varie cose ti faccio sapere. // Per pri-ma sappi che ho incontrato / quel superiore odioso / che avevamoquando eravamo soldati. // Mi è passato vicino, vergognoso, / manon gli ho negato il saluto, / perché ho un cuore pietoso. // Non miha risposto ed è rimasto zitto, / perché era così cencioso / che siaveva paura a definirlo nudo. // Anche se ti ricordi quanto male /quello ha fatto, a me e a te, / quando l’avevamo come sottufficiale.// L’avrebbe creduto che oggi / sarebbe giunto a chiedere il pane? /Il mondo, caro mio, è fatto così. // Io, invece di dirgli: «Cane!» / hotentato di avvicinarlo, / lui però s’è fatto in là. // Ma dentro di sé de-ve aver esclamato: / «Se un tempo fossi stato buono, / ora ci sarebbechi m’avrebbe aiutato». // Quelli che dalla sua tirannia / si sono salva-ti, se lo vedono sulla strada; / lo chiamano col nome di spia. // L’ipo-crita canaglia è malandata, / uno l’ha punito il pugnale, / l’altro èmorto con una gamba spezzata. // Buona parte è all’ospedale, / per-ché ha i polmoni marci, / e aspetta il suo funerale. // Quel marranofratello di Nerone / è stato condannato per rapina / a quindici annidi reclusione. // Alcuni sono nella compagnia di disciplina: / la scuredi Fonni ha fatto scorrere sangue, / sia baciata la mano assassina. //Non ti sdegni la mia felicità / che mostro nel baciare quella mano /che severa ha punito la viltà. // Peggio per chi di cuore villano / es-sendo soldato dimentica / che il soldato dev’essere umano. // Anchetu sei vestito da soldato, / ad ogni istante devi tener presente / quel-lo che stai soffrendo e hai sofferto. // Tratta bene il tuo dipendente /

A PAOLO HARDY46

Cando chi ses bennidude votos pedidore,in Galusè, a s’iscrocca ’e unu pranzu,a Tonar’has tessidu

5 su simpr’e aduladorecantu,[2] de sensu iscancaradu e lanzu.In cussu partu reuc’has fattu, caru meu,declaradu ti ses meda metanzu.

10 Indignada, Tonarati torrat custa risposta franch’e giara:

In sa sublim’alturanon balent sos fumosde s’incensu c’has cherfidu brujare;

15 mi bastat sa dulzurade gentiles profumoschi sos fiores meos solent dare.In sas nucciolas miassi cantant poesias

20 dignas de custa terra singulare,duncas boghes profanascantade in sa palude cun sas ranas.

POESIAS

200 201

quando ne hai, perché ti dicono buono: / meglio che sia sempre in-dulgente. // Comanda, ma non comandare da padrone, / ma da pa-dre affettuoso; il rigore / sempre se puoi, abbandonalo. // Con lebuone parole, con l’amore / si ottiene tutto, dunque amorevole / vivicon tutti e fatti onore. // Continua a mostrarti virtuoso: / senza virtùl’uomo si trova / come una barchetta nel mare burrascoso. // Peròl’uomo che si comporta onestamente / anche coi cattivi sta in pace, /perché appiana le differenze. // Del resto, sei grande, fai / il dovere:ti voglio nell’onestà / sapere un incrollabile nuraghe. // Ti dico tuttoquesto, o fratello caro, / perché ti stimo e senza ipocrisia / sono ami-co della sincerità. // Io prego la tua cortesia / di perdonare questomio scritto / vestito con panni di malinconia. // Se ti chiedono diPeppe Mereu / dì che trascina sconsolato / la croce del dolore e del-l’angoscia. // Se qualche amico giusto è restato, / soldato della stessabandiera, / a nome mio sia salutato. // Tu, se puoi, fa’ in modo, /cerca di scrivermi prontamente / una lettera scherzosa e consolante.// Io ti scriverò di frequente / anche se mi dirai matto e fastidioso, /chiacchierone, seccante e impudente. // Scrivi presto. Per ora ti salu-to, / da quest’ameno e fiorito giardino / ti manda un bacio affettuoso/ l’amico tuo Mereu Peppino.

[2. Riproduciamo il sonetto intitolato Tonara – a Maria – cui Mereu siriferisce, che troviamo pubblicato a firma di Paolo Hardy sul periodicocagliaritano Spigolature d’arte, a. II, n. 11, 1895, p. 5: «A Tonara salude;dae s’artura / immensa, s’iscra de Brebì s’ammirat. / Custu est triunfumannu de natura / e ogni coro amorosu a tie suspirat. // Ammirende epensende, no declinat / mai su sole de s’anima, et sa pura / poesia vir-gini et santa / no la furat / sa noia de sa vida et sa tristura. // Dae ino-ghe, anima bella, sa ’olada / de sos sonnos de s’anima, s’ardente / dis-izzu de amore ’enit a tie. // Lontanu, mando a tie custa posada, / custaposada mistica e prudente, / solu confortu ch’est restadu a mie».]

Dae s’altu nuraghe,cun supremu disgustu,

25 mi meravigli’ ’e su to’ardimentu.Lassa dormir’in paghesu sonn’a’ cuddu Giustuchi de liricu summu fam’ha tentu.S’insult’es meda grave,

30 turbare sa suavearmoni’a sos sognos de Larentu.47

Pro cussu, senz’indultu,eo rispund’a s’insultu cun s’insultu.

Nar’inu’ has connotu35 cussa mus’imperfecta,

chi t’hat postu sa ment’in fantasia?Pro lograr’unu votuti ses fattu poeta,profanende sa sarda poesia,

40 prit’a la narrer giarasu sonett’a Tonara,est sa tua pius manna porcheria.Ah cantu ses buffone!Tue sì chi la meritas sa cantone.

45 Posada pro pesadahas iscrittu, sa limaa su ch’ ’ido paghissimu si curat.Sa forma est trascurada,trascurada sa rima

50 cando mi rimas declinat cun furat.48

In su versu, dijunude su sensu comunuCampidan’a Nuòro s’ammesturat.49

Sa posada prudente55 chi naras tue, non balet niente.

Ahi partu fatale!Ite confusionesa c’has fattu! Non t’isco discujare.

Forsis t’hat fattu male60 su fogu de Carbone50

chi t’happ’azzesu pro t’asfissiare?Su Cocco americanubisonz’istet lontanu,in custos frittos non podet fruttare.

65 Fritt’happo su bestire,Carbone chelz’ebbi’a m’iscardire.

Tonara … 1895.51

POESIAS

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A PAOLO HARDY

Quando sei venuto / a chiedere voti, / a Galusè, a scroccare unpranzo, / a Tonara hai intessuto / lo sciocco e adulatore / canto,sconnesso e scarso di senso. / In quel parto infelice / che hai fatto,caro mio, / ti sei dichiarato assai povero. / Indignata, Tonara / ti dàquesta risposta franca e chiara: // Nella sublime altezza / non valgo-no i fumi / dell’incenso che hai voluto bruciare; / ma basta la dol-cezza / di gentili profumi / che i miei fiori sogliono dare. / Nellenocciole mie / si cantano poesie / degne di questa terra singolare, /dunque voci profane / cantate nella palude con le rane. // Dall’altonuraghe, / con supremo disgusto, / mi meraviglio del tuo ardimento./ Lascia dormire in pace / il sonno a quel Giusto / che ha avuto fa-ma di sommo lirico. / L’insulto è molto grave, / turbare la soave / ar-monia ai sogni di Larentu. / Per questo, senza indulto, / io rispondoall’insulto con l’insulto. // Dì, dove hai conosciuto / quella musa im-perfetta, / che ti ha instillato fantasticherie nella mente? / Per ottene-re un voto / ti sei fatto poeta, / profanando la sarda poesia, / perchéa dirla chiara / il sonetto a Tonara, / è la tua più grande porcheria. /Ah quanto sei buffone! / Tu sì che meriti la canzone! // Posada perpesada / hai scritto, la lima, / a quel che vedo, pochissimo si cura. /La forma è trascurata, / trascurata la rima, / quando mi rimi declinatcon furat. / Nel verso, digiuno / del senso comune, / Campidano simescola a Nuoro. / La fermata prudente / che tu dici, non vale nien-te. // Ahi parto fatale! / Che confusione / quella che hai fatto! Nonso scusarti. / Forse t’ha fatto male / il fuoco di Carbone / che ti hoacceso per asfissiarti? / Il Cocco americano / bisogna che stia lonta-no, / fra questi freddi non può dar frutto. / Ho il vestito freddo, / vo-glio solo Carbone per scaldarmi.

X…53

................................... fataleispasimos de amore ................................................................................................................................

De me già ti nde ses ismentigada,m’has cattigadu che verm’in su ludu:crudele ses istadafinas a mi negare su saludu.

5 A saludar’a mie non t’abbassas,pro me ti pones abidos de monza,ma s’accanta mi passasti si mudant sas laras de ’ilgonza.

Cando m’ ’ides non rides amurosa,10 non ses pius affabil’e gentile,

ma passas bilgonzosa,ca su cor’in su pettus ti nàt: «Vile!».

Tue, da chi godinde ses cuntenta,non faghes cont’ ’e sas lagrimas mias.

15 Ammentadind’ammenta,de cant’in su passadu promittias.

Ammentadind’ammenta, cun ardoremi basaist ridende cun recreu,e naiast: «Fiore,

20 tue ses nadu pro su pettus meu».

Ammentadinde, cando promittiasde mi giugher in cor’eternamente,da poi m’istringhiascontr’a su sinu tou ardent’ardente.

ARITZO

Post’in alt’a sa tua capitale,dispensera de abbas cristallinas;poetica, gentile industriale,terza de sas alturas montaninas.52

5 De cor’aperta, franca e liberale,a su progressu curres e camminas:ses una zittadedda geniale,in te s’isprigant sas biddas bighinas.

Onesta tue trivaglias e divignas;10 de s’onestade tu’andas fiera,

ismentinde de Dante sas iscritas.

Fentomadas, sas tuas carapignasfaghent su giru de s’Isul’intera,cunfirmende sa fama chi meritas.

POESIAS

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ARITZO

Collocata sopra la tua capitale, / dispensatrice di acque cristalline; /poetica, gentile, industriosa, / terza delle alture montanine. //Aperta di cuore, franca e liberale, / verso il progresso corri e cam-mini: / sei una cittadella geniale, / in te si specchiano i paesi vicini.// Onesta tu lavori e canti; / della tua onestà vai fiera, / smentendole scritte di Dante. // Famose, le tue carapignas / fanno il giro del-l’Isola intera, / confermando la fama che meriti.

A EUGENIU UNALE [II]54

De tanta libertadechelz’esser discujadu,perdonami cun s’animu serenu.Già l’ischis, caru frade,

5 su coro angustiaducando de amalguras est pienu,si amore no est mortu,chircat in sin’amigu su confortu.

Si cust’iscritta mia10 ti causerat noia,

non sia tottu deo s’inculpadu,ca dare ti cherianovas de pura gioia,ma su cor’altrimenti m’hat dittadu.

15 Duncasa cun benignuris’isculta s’amigu, si nd’est dignu.

Cando ridend’iscrio,comente t’happ’iscrittunovas buffas de gioi’e de festa,

20 no est de coro chi rio,ma d’unu risu frittuchi traighet de coro ogni tempesta.Est unu risu feu,fruttu de s’infeliz’istadu meu.

25 Tue m’iscries: «Fortesiast o caru frade:pensa chi senz’ispinas non b’hat rosas,pro mores chi sa sorteamor’e libertade

30 t’hat lassad’, e in Patria riposas:

25 ......................................................................................................................................................................................................

Cand’in cara su chizu m’halzaiast30 ti naiast feliz’e fortunada,

como cherrer mi diastzegu, pro non ti dar’una mirada!

POESIAS

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X…

… fatale / spasimi d’amore … / … / … // Di me già ti sei dimenti-cata, / m’hai calpestato come un verme nel fango: / crudele sei stata/ a negarmi anche il saluto. // A salutarmi non ti abbassi, / per me timetti abiti da monaca, / ma se vicino mi passi / ti si ricoprono lelabbra di vergogna. // Quando mi vedi non ridi amorevole, / non seipiù affabile e gentile, / ma passi vergognosa, / perché il cuore inpetto ti dice: «Vile!». // Tu, poiché stai godendo contenta, / non faiconto delle mie lacrime. / Ricordati, ricorda, / di quanto promettevinel passato. // Ricordati, ricorda, con ardore / mi baciasti ridendo econ piacere, / e dicevi: «Fiore, / tu sei nato per il mio petto». // Ri-cordatene, quando promettevi / di portarmi nel cuore eternamente, /e poi mi stringevi / contro il tuo seno ardente ardente. // … / … /… / … // Quando alzavi lo sguardo sul mio viso / ti dicevi felice efortunata, / ora mi vorresti / cieco, per non darti un’occhiata!

65 E cheres chi reposusu coro angustiadu,agattet in custos tribulos crudeles?S’abid’iscuriosumi nd’hat allontanadu

70 sos amigos c’haia pius fideles:sos chi no hant pensaduchi s’abidu su coro no hat mudadu.

D’eris happ’incontradupassizend’in s’istrada,

75 unu caru signor’amig’antigu;appenas m’hat dignadud’una fritta mirada,che cando mai l’ess’istad’amigu.Gai dogn’unu areste,

80 disprezzat sa persone pro sa ’este.

Ma in tempos antigosfaghiant milli festasa su fiancu meu cun dulzura.Ah! De tantos amigos

85 tue solu mi restasamuros’e fidel’in s’isventura,nè de me nd’has bilgonzaca so bestid’a monz’e non so monza.

Ca ses bon’infadosu,90 benz’a tie sovente

a versare su dol’in sinu tou,e pro com’adiosu,no nelzas imprudentesi a casu t’iscrio dae nou.

95 Tristu, dae lontanuti mand’una sincer’istrint’ ’e manu.

Cossoine-Nuraghe Idda, 13 feb. 1895.

deo so pianghende,e, senz’amore, sa Patria sognende».

Est bellu cunfortarecun diccias tantu caras,

35 s’infelize ligadu in sa cadena,ma prima de lassarefaeddare sas larasest prezisu connoscher it’est pena.Zelt’est, chi si l’ischiast,

40 «bocchidi, caru frade», m’iscridiast.

Ah m’essere bocchidu!Tantu già nde so privude sa vida chi liberu godia.In cust’ingratu nidu

45 sent’in su coro, vivu,su disiz’ ’e sa Patria natia.’Olat su pensamentua sa fiz’ ’e su canu Gennargentu.

Isparid’est s’incantu,50 su briu, su sorrisu

ch’in laras mi ridiat che fiore;amaru su piantu,in su pallidu visub’hat lassadu s’imprent’ ’e su dolore.

55 Amigu, in cust’amigunon vivet pius, no, s’amig’antigu.

Sos sognos de sa mentemi causant fastizos,cand’inoghe mi toccat a pensare

60 a cando, dulchemente,deo frittia sos chizosa’ cuddu dulch’e liberu sognare.Terribiles penseris!Prite mi l’ammentades su ’e d’eris?

POESIAS

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NON TI POTO AMARE

Giovan’inutilmenteti ses post’in s’isettuchi deo benz’a ti pedir’amore.Ti giuro francamente

5 chi non ti tenz’affettu,pro mores c’am’un ateru fiore.Si so franch’e lealenon ti nde parzat male,nè b’hat motiv’ ’e mi tenne rancore.

10 Sos rancores lassamus,amigos fimis, amigos restamus.

Si non ti pot’amare,nè daredi recreucomente dias a cherrer, bella mia,

15 nde deves inculparesolu su coro meu,chi pro te non dimustrat simpatia.Su cor’uman’est gai,non si piegat mai:

20 palpitat cando cheret ips’ebbia.Deo non lu trattenzo,ma si non t’amat culpa no nde tenzo.

Sa franchesa perdona,deo faedd’in cara.

25 Non ti connosco nisciunu difettu;ses bella, onest’e bona,in virtudes ses rara,puru cun tottu non ti tenz’affettu.Duncas es tottu vanu

30 chi tenzas fittianu

POESIAS

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A EUGENIO UNALE [II]

Di tanta libertà / voglio essere scusato, / perdonami con l’animo sere-no. / Lo sai, caro fratello, / il cuore angustiato / quando d’amarezze èpieno, / se amore non è morto, / cerca nel petto amico il conforto. //Se questo mio scritto / ti causasse noia, / non a me solo sia data col-pa, / perché ti volevo dare / nuove di pura gioia, / ma il cuore altri-menti mi ha dettato. // Dunque, con benigno / riso ascolta l’amico, sene è degno. // Quando scrivo ridendo, / come ti ho scritto / buffenuove di gioia e di festa, / non è di cuore che rido, / ma d’un risofreddo / che tradisce del cuore ogni tempesta. / È un brutto riso, /frutto del mio stato infelice. // Tu mi scrivi: «Forte / sii, o caro fratello:/ pensa che non c’è rosa senza spine, / perché la sorte / amore e li-bertà / ti ha lasciato, e riposi in Patria: / io sto piangendo, / e, senzaamore, la Patria sto sognando». // È bello confortare / con parole tan-to care, / l’infelice legato alla catena, / ma prima di lasciare / parlarele labbra / bisogna sapere cosa sia la pena. / Certo è che se lo sapes-si, / «ucciditi, fratello caro», mi scriveresti. // Ah, se mi fossi ucciso! /Tanto già sono privo / della vita di cui libero godevo. / In questo in-grato nido / sento nel cuore, vivo, / il desiderio della Patria natia. /Vola il pensiero / alla figlia del canuto Gennargentu. // È sparito l’in-canto, / il brio, il sorriso / che nelle labbra mi rideva come un fiore; /amaro il pianto, / sul pallido viso, / ha lasciato il marchio del dolore./ Amico, in quest’amico / non vive più, no, l’amico antico. // I sognidella mente / mi danno tormento, / quando qui mi tocca pensare / aquando, dolcemente, / io chiudevo gli occhi / a quel dolce e liberosognare. / Terribili pensieri! / Perché mi ricordate quel che era ieri? //E vuoi che riposo / il cuore angustiato, / trovi in queste tribolazionicrudeli? / L’abito scuro / mi ha allontanato / gli amici che avevo piùfedeli: / quelli che non hanno pensato / che l’abito il cuore non hamutato. // Ieri ho incontrato, / passeggiando per strada, / un caro si-gnore, amico antico; / appena mi ha degnato / di una fredda occhia-ta, / come che mai gli fossi stato amico. / Così ogni incivile, / dis-prezza le persone per l’abito. // Ma in tempi antichi / facevano millefeste / al mio fianco, con dolcezza. / Ah! Di tanti amici / mi resti tusolo / affettuoso e fedele nella sventura, / né hai vergogna di me /perché son vestito da monaca e non son monaca. // Perché sei buo-no, fastidioso, / vengo sovente da te / a versare il dolore sul tuo pet-to, / e per ora addio, / non dirmi imprudente / se per caso ti scrivodi nuovo. / Triste, da lontano / ti mando una sincera stretta di mano.

cuddu chi t’hat sa sorte destinadu,65 pro su cale unu die

des olvidare c’has connott’a mie.

Ogn’affann’ogni penacomente benit passat,gai hat decretadu sa natura;

70 puru cussa cadenach’in paghe non ti lassat,benit a si truncare, ista segura.Un’ateru fioret’hat a pedir’amore,

75 de me no nd’has a fagher pius cura,anzis, allegramente,mi des ismentigare totalmente.

Como t’happ’avvisaduchi non ti tenz’amore,

80 pro ca tenz’in su cor’atera rosa.Si francu so istaduno mi uses rancore,anzis nde des andar’orgogliosade tenner unu frade,

85 chi, cun sinceridade,t’est istadu fidel’in dogni cosa.Sighimus s’amistade,ma s’intendet, coment’ ’e sorr’e frade.

iscrittu su lumen me’in s’intellettu.Pens’ ’e ti rassignare,e proa si nde lu podes canzellare.

Ti deves figurare35 ch’est una visione

su penseri chi firmu has in sa testa,si no, podes pensare,chi un’illusioneti podet esser fatal’e funesta.

40 Lassa su sentimentu,a’ cust’avvertimentusi felize ti cheres, fide presta.Si penseri non mudas,de custa passione ti nd’impudas.

45 De amore suspiras,si presente ti seo,dae me ti pretendes cunfortada:cand’in cara mi miras,non t’abbizas chi deo

50 non corrispund’a sa tua mirada?Ti fatto visu tostu,prite non so dispostuin coro me’a ti dare s’intrada.Cando miras a mie

55 cheres azzender fogu cun sa nie.

Pensa de m’olvidaree cun serenidadeabbandona s’idea c’has leadu.Mi des cunsiderare

60 coment’ ’e unu frade,non coment’ ’e su tou innamoradu.Allegra des istare,ca non t’hat a mancare

POESIAS

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STUDENTE

Pizzinn’ancor’in custu mund’e rudein brazzos a su vissiu ti ses dadu!Babbu to’a iscola t’hat mandadusognend’in testa tua una virtude,

5 ma tue, a pipp’azzesa, sa saludeses perdinde, su libr’ismentigaduhas in tott’e a s’ozi’ has cundennadusa preziosa tua gioventude.

Ses appen’isbucciadu dae s’ou,10 e cale can’isoltu ’e cadena

a sa ’ogh’ ’e su vissiu pones mente.

E non pensas chi bezzu babbu touandat famid’a zorronad’anzena,pro ti mantenner semper istudente.

POESIAS

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NON POSSO AMARTI

Ragazza, inutilmente / ti sei messa in attesa / che io venga a chieder-ti amore. / Ti giuro francamente / che non provo per te affetto, /perché amo un altro fiore. / Se sono franco e leale / non ti sembrimale, / né c’è motivo di serbarmi rancore. / I rancori lasciamo, /amici eravamo, amici restiamo. // Se non ti posso amare / né dartigioia / come tu vorresti, bella mia, / devi incolpare / solo il mio cuo-re, / che per te non prova simpatia. / Il cuore umano è così, / non sipiega mai: / palpita quando vuole lui solo. / Io non lo freno, / ma senon ti ama non ho colpa. // La franchezza perdona, / io parlo in fac-cia. / Non vedo in te alcun difetto; / sei bella, onesta e buona, / seirara nelle virtù, / ma con tutto ciò per te non provo affetto. / Dun-que è del tutto vano / che serbi di continuo / il mio nome scrittonella mente. / Pensa a rassegnarti, / e vedi se riesci a cancellarlo. //Devi renderti conto / che è una visione / il pensiero che hai fisso intesta, / se no, puoi pensare, / che un’illusione / può esserti fatale efunesta. / Abbandona il sentimento, / a questo avvertimento / sevuoi esser felice, fede presta. / Se non cambi idea, / sei responsabiledi questa passione. // Sospiri d’amore, / se ti trovi in mia presenza, /pretendi di essere confortata da me: / quando mi guardi in faccia, /non t’accorgi che io / non corrispondo al tuo sguardo? / Ti mostro ilviso duro, / perché non sono disposto / a darti accesso al mio cuo-re. / Quando guardi me / vuoi accendere il fuoco con la neve. //Pensa a dimenticarmi / e con serenità / abbandona l’idea che haiconcepito. / Mi devi considerare / come un fratello, / non come iltuo spasimante. / Allegra devi stare, / perché non ti verrà a mancare/ colui che ti è dato in sorte, / per il quale un giorno / dimenticheraidi avermi conosciuto. // Ogni affanno, ogni pena / come viene poipassa, / così ha decretato la natura; / pure quella catena / che in pa-ce non ti lascia, / si spezzerà, sta’ sicura. / Un altro fiore / ti chiederàamore, / di me non t’interesserà più, / anzi, allegramente, / mi di-menticherai totalmente. // Ora ti ho avvisato / che non provo per teaffetto, / perché ho nel cuore un’altra rosa. / Se franco sono stato /non serbarmi rancore, / anzi, devi essere orgogliosa / di avere unfratello, / che, con sincerità, / t’è stato fedele in ogni cosa. / Conti-nuiamo con l’amicizia, / ma, s’intende, come fratello e sorella.

STUDENTE

Ancora ragazzo a questo mondo e immaturo / fra le braccia del vi-zio ti sei gettato! / Tuo padre a scuola ti ha mandato / sognandonella tua testa una virtù, // ma tu, fumando, la salute / stai perden-do, il libro dimenticato / hai del tutto, e all’ozio hai condannato /la tua preziosa gioventù. // Sei appena uscito dall’uovo, / e comeun cane sciolto dalla catena / dai retta alla voce del vizio. // E nonpensi che tuo padre / va affamato a lavorare a giornata, / per man-tenerti sempre studente.

K...

misera! taceOgni dover se si rialza amoreDentro il mio petto…

Tieste - UGO FOSCOLO

Anninnende Maria s’infantinucun sa ’oghe velada de piantu,happ’intes’ista nott’a su camminu:ecco cant’happ’intesu in cussu cantu:

5 «Anninniend’a tiedeo pens’a su diechi sognai’ unu fizu ’e su coro,gia’ ti stimo che fizu,però mi das fastizu,

10 ca non ses frutt’ ’e s’oggettu c’adoro.Menzus non esses nadupro ’ider una mamm’a’ cust’istadu.

Ah ses troppu minore!No ischis su dolore

15 chi proat custu coro, e’ sa fiammach’in ipsu b’est, fatale,cantu mi faghes malecando mi donas su lumen de mamma.Si ridente mi bramas

20 giamam’isfortunada, si mi giamas.

Naschidu ses in luctu,su latte chi has sutuo fizu, t’est potentissimu velenu.Si faghes mannu, in laras

25 ti dent bider amaras

S’ORFANA PEDIT PANEA Maruccia Santoru.

Orfana, senza babbu e senza mamaa istentu trazende so sa vida.Isculza, nuda, derelita e grama,a pedir’in sas giannas reduida.

5 A ti’eo m’invoco eletta prama,preghende chi consoles sa famida.Dalli pane, in terr’has haer famade piedosa. Eo puru ben’ ’estida,

fia ricc’unu die, s’isfortuna10 crudele m’hat bocchidu, cale cane

dae tottus iscacciadu, so dijuna.

Dae me no halzes, no, su chiz’addane;«fragiles sunt sos benes de fortuna»,caridadosa siast, dammi pane.

POESIAS

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L’ORFANA CHIEDE PANE

Orfana, senza padre e senza madre / sto trascinando a stento la vi-ta. / Scalza, nuda, derelitta e grama, / ridotta a chiedere nelle por-te. // A te io m’invoco, eletta palma, / pregando che consoli l’affa-mata. / Dalle pane, in terra avrai fama / di pietosa. Anch’io benvestita, // ero ricca un tempo, la sfortuna / crudele m’ha ucciso, co-me un cane / scacciato da tutti, sono digiuna. // No, non allontana-re lo sguardo da me; / «son fragili i beni di fortuna», / sii caritatevo-le, dammi pane.

istillas chi turbant s’animu serenu.Lizu meu de oro,lu sento ma t’allatto contr’a coro.

Si non fiast naschidu30 dae cust’ingratu nidu

liberamente leai’ su ’olu,ma tue m’incadenasin ispinas e penas,eternamente mi cheres in dolu.

35 Azzes’est sa fiamma,ca cheret gai su dover’ ’e mamma.

Cagliad’e non piangas,su coro non mi frangasisventurad’e faghe s’anninnia,

40 ca su piantu toum’ammentat dae nousa trista e cumpianta sorte mia.Menzus non ti nd’ischidespro connoscher sas penas chi non bides.

45 Si benzerat su diede ’ider mort’a mie,pallid’e sorridente, a pees in porta,55

a babbu tou nara:“A mamma mia cara,

50 babbu, s’amore tou est chi l’hat morta.Cando m’anninnaiatmamm’a ti narrer custu mi naiat”».

POESIAS

218 219

K…

Maria ninnare il bambino / con la voce velata di pianto, / ho sentitostanotte nella strada; / ecco ciò che ho sentito in quel canto: // «Nin-nando te / io penso al giorno / in cui sognavo un figlio del mio cuo-re; / sì, t’amo come un figlio, / però mi dai fastidio, / perché non seifrutto dell’oggetto che adoro. / Meglio non fossi nato / per vedereuna madre in questo stato. // Ah, sei troppo piccolo! / Non conosciil dolore / che prova questo cuore, e la fiamma / che alberga in es-so, fatale, / quanto mi fai male / quando mi chiami col nome dimamma. / Se sorridente mi chiami / chiamami sfortunata, se mi chia-mi. // Sei nato nel lutto, / il latte che hai succhiato / o figlio, è per teun potentissimo veleno. / Se diventi grande, sulle labbra / ti vedran-no amare / stille che turbano l’animo sereno. / Giglio mio d’oro, /mi spiace ma ti allatto a malincuore. // Se non fossi nato / da questonido ingrato / spiccherei liberamente il volo, / ma tu m’incateni / fraspine e pene, / mi vuoi eternamente nel dolore. / È accesa la fiam-ma, / perché così vuole il dovere di mamma. // Taci e non piangere,/ non spezzarmi il cuore / sventurato e fai l’anninnia, / perché iltuo pianto / mi ricorda di nuovo / la triste e compianta sorte mia. /Meglio che non ti svegli / per conoscere le pene che non vedi. // Searrivasse il giorno / in cui mi vedi morta, / pallida e sorridente, i pie-di verso la porta, / a tuo padre dì: / “La mia cara mamma, / babbo, èl’amore per te che l’ha uccisa. / Quando mi ninnava, / mamma didirti questo mi diceva”».

e in da segus ti lassasdiscordias e brigas,

30 odios, gherras e confusiones.………………….…………………………….

Dae cuss’est chi rutuses in dannassione,avversu a sa matessi razza tua:su latte chi has sutu

35 fit latt’ ’e crabionemisciad’a fele de potente lua,dae cabiju ispinosusut’has cussu licore velenosu.

Y…56

In ammentu de cuddas tristas oraschi m’has trazad’a s’infamante ludu,como chi nde so forasCainu, rezi de me custu saludu.

5 Saludu tristu, bogh’est de su sinuchi severa dimandat: «O crudele,fraticida Cainu,ite nd’as fatt’ ’e s’innossente Abele?».

A s’accusa s’ipocritu catramu10 de su visu det benner purpurinu,

cale foz’in su ramuti det tremer su cor’intro ’e sinu.

No est cust’una lirica suave,nè de su cor’unu risu gentile,

15 ma un’accusa gravechi ti gridat severa: «Infame, vile!».

…………… psichicu momentude sa paur’e’ sa cunfusione,……… motu violentu

20 det fagher tremer totta sa persone.

……………………………….……………………………Pius vile de Giudasde su male chi faghes no t’impudas.

25 Inue tottu passassa zente t’immigaspro sas tuas nefandas aziones,

POESIAS

220 221

Y…

In ricordo di quelle tristi ore / in cui mi hai trascinato nell’infamantefango, / ora che ne sono fuori / Caino, ricevi da me questo saluto. //Saluto triste, è voce dal petto / che severa domanda: «O crudele, / fra-tricida Caino, / cos’hai fatto dell’innocente Abele?» // All’accusa l’ipo-crita catrame / del viso diventerà rosso, / come foglia nel ramo / titremerà il cuore in petto. // Questa non è una lirica soave, / né un ri-so del cuore gentile, / ma un’accusa grave / che ti grida severa: «Infa-me, vile!». // … psichico momento / della paura e la confusione, / …moto violento / farà tremare tutta la persona. // … / … / Più vile diGiuda / non t’imputi il male che fai. // Dovunque passi / t’inimichi lagente / per le tue nefande azioni, / e ti lasci dietro / discordie e liti, /odi, guerre e confusioni. / … / … // È per questo che caduto / sei indannazione, / avverso alla tua stessa razza: / il latte che hai succhiato/ era latte di fico immaturo / mischiato con fiele di potente euforbia; /da un capezzolo spinoso / hai succhiato liquore velenoso.

andat a traz’e si rezzet appenas.Giovanu so e mi giamant bezzone,

35 e cun rejone mi narant moninca,cando giut’a passizu su bastone.

Como non pot’andare brinca brincacomente unu tempus brincaia,ca m’hant fattu corona ’e proninca.

40 Sos menzus annos de sa pizzinniami los passo tocchende sa campanac’annunziat sa trista fine mia.

Cale, cale det esser cudda gianachi a su cursu de sos annos meos

45 zintu hat sa funesta cadiana?Cando happ’invocadu sos recreos

d’unu ris’amurosu, unu carignu,happ’happidu dolores e anneos.

Possibile chi non sia istadu dignu50 mai de incontrare affettuosu,

e sorrident’unu chizu benignu?Ca so in cust’istadu dolorosu,

dae me si sunt fattos a un’ala:non si nd’agattat coro piedosu.

55 Sos amigos, in custa sorte mala,hant fattu finta de fagher su teu,e m’hant lassadu cun sa rugh’a pala.

Deo però, pro su caratter meu,mai mi so frittidu a zente gai

60 pedinde unu Simone Cireneu.Pat’in segret’e no m’abbascio mai:

umiliarem’a coros marranos,prim’ ’e connoscher cuss’ora guai.

Forsis s’haere lintu zertas manos65 como fia nadende in sa ricchesa,

a dannu de sos nostros paisanos.Ma prim’ ’e cummittire una vilesa

a dannu de sos meos patriottos,mi onor’ ’e sa mia poveresa.

A NANNI SULIS [II]57

Eccomi dae nou a t’infadarecun sas solitas mias novas malas,prite ca bonas no nde poto dare.

Maj’est fiorid’e post’in galas,5 a tottus dàt cuntentu: su dolore

subra me hat ispaltu tristas alas.It’importat chi sogne unu fiore,

una viol’amabil’e gentile,cando ch’in sinu meu est mort’amore?

10 Tempestosu connottu happo s’abrilede custa vida chi passende soconnoschinde sa notte a manzanile.

Semper chi s’Isperanzi’«ajò»m’hat nadu, happo pedidu unu sorrisu,

15 ma s’Isventura m’hat rispustu: «No».Dae sa vida m’agatto divisu,

sa persone pro s’ultimu viaggiuserenamente isettat s’avvisu.

Como mi toccat a donare saggiu20 de firmesa, sa mia sepoltura

est iscavad’e m’infundet coraggiu.O forsis chi su fiz’ ’e s’isventura,

a vista de sa falche messadora,si det bestir’a pannos de paura?

25 Est beru, sì, so gal’a s’aurorade sos annos, ma si est decretadu,e devo morrer, non timo cuss’ora.

Ite fatt’in su mundu disamadu,afflittu dae milli graves penas?

30 Menzus in duna fossa sutterradu.Su sambene siccad’happ’in sas venas,

istanca e isfinida sa persone,

POESIAS

222 223

o’in die s’ispina si nàt rosa:si pagat su piuer pro farina.

Sa limba de s’infamia velenosa110 si una rosa b’hat gentil’e bella,

ti la dipinghet fea e ispinosa.Miseru chie corcad’in carrella,

e in nottes serenas de lugorepro ips’in chelu non lughet istella.

115 Miserinu su c’andat pedidorea pedir’unu bicculu ’e panea su gianile de calchi segnore.

Su riccu dàt biscottos a su cane,e a su poveru narat: «Preizosu,

120 trivaglia, e dae me istad’addane».Su chi no est istadu bisonzosu

incapaz’est de bonas aziones,non podet esser mai piedosu.

Tottu sos poverittos sunt mandrones125 pro sos attattos, ca no hant connotu

famen, affannos e afflissiones.Ma si s’avverat cuddu terremotu,

su chi Giagu Siotto est preighende,58

puru sa poveres’hat haer votu.130 Happ’a bider dolentes esclamende:

«Mea culpa», sos viles prinzipales;palatos e terrinos dividende.

Senza distinziones, curialesdevimus esser, fizos d’un’insigna,

135 liberos, rispettados uguales.Unu die sa povera Sardigna

si naiat de Roma su granariu;como de tale fama no nd’est digna.

Su jardinu, su campu, s’olivariu140 d’unu tempus antigu, s’est mudadu

ind’unu trist’ispinosu calvariu.Buscos chi mai b’haiat intradu

rajos de sole, miseras sacchettas

70 Mi faghent fele zeltos signorottos,concas de linna e ispiantados,chi si vantant pro riccos e pro dottos.

Su los bider comente sunt mudados,passizant pro mustrare sa bacchetta

75 e abidos chi non sunt galu pagados.In bidda faghent sa marionetta,

ispudorados! Cun sas malas tramassunt vermes chi bulluzant s’abba netta.

Su disisperu sunt de tantas mamas80 chi cherent in sas fizas coltivare

violas de virtud’e bonas famas.Isfamare, trampar’e violare,

est dovere pro custos trampaneris:onestamente no ischint campare.

85 Deo no isco, sos carabinerisin logu nostru prit’est chi bi sune,e no arrestant sos bangarrutteris.

Bi cheret una furca e una fune,e impiccar’impiccare continu,

90 finas a si purgare sa Comune.Torret sa legge de Villamarinu:

pro chi su male non fettat cangrenabi cheret a duttore su boccinu.

Viles c’hant meritadu sa cadena,95 sa giustissia puru hana trampadu,

gai s’hant infrancadu dogni pena.Mentres chi unu poveru appretadu

furat pro s’appititu unu cogone,lu ’ides arrestadu e cundennadu.

100 Su famidu chi furat un’anzoneest cundennadu dae sos giuradosfin’a degh’annos de reclusione.

E narrer chi b’hat palattos fraigadosdae sa man’infam’ ’e sa rapina,

105 sos meres, ladros, sunt pius amados!Sa ros’in custos tempos est ispina,

POESIAS

224 225

Si no mi podet benner de repentesu colpu tristu ch’isettende so:

180 tand’iscrittu m’has haer vanamente.Ancora ses a tempus, ajò,

a’ custa ’oghe non ti mustres mudu;tue de coro duru non ses, no.

Anzis istadu semper ses s’azzudu,185 su cunfortu, s’ispera ’e su mischinu,

duncas azzetta su meu saludu,ca ti lu mandat s’amigu

Peppinu.

hant bestid’e su log’hant ispozzadu.145 Arvures chi pariant pinnettas,[3]

pro ingrassare su continentale,affrontadu hant undas e marettas.

Inue tott’es passada s’istralepro seculos e seculos, de zertu

150 si det bider funestu su signale.Vile su chi sas giannas hat apertu

a s’istranzu pro benner cun sa serraa fagher de custu log’unu desertu.

Sos vandalos, cun briga e cuntierra,155 benint dae lontanu, a si partire

sos fruttos, da chi si brujant sa terra.Isperamus chi prestu hat a finire

cust’istadu de cosas dolorosu:meda semus istancos de suffrire.

160 Guai si no essère isperanzosuin fiores donosos e galanos,de cuddos c’hant profumu virtuosu.

Mancar’in testa giuta pilos canos,sa mente sognat e su coro bramat

165 pro custa terra rosas e beranos.Su coro meu galu s’infiamat,

su chizu, privu d’unu chizu ermosu,amarissimas lagrimas derramat.

Tue, chi ses gentil’e amurosu,170 cumpatimi, s’iscrio dae nou

non mi nelzas seccant’e infadosu.Si ti suvvenis de s’ammigu tou,

cumandalu ch’est pront’a ti servire:tottu est chi lu ponzas a su prou.

175 Deo, già l’ischis, so pro mi partire,abbrevia pro cussu, e prontamentede coment’istas donam’a ischire.

POESIAS

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[3. ‘Capanne utilizzate specialmente dai pastori per trovarvi riparo, an-che con le greggi’ (cfr. DES, s.v. pínna).]

A NANNI SULIS [II]

Eccomi di nuovo a infastidirti / con le mie solite cattive nuove, / per-ché buone non te ne posso dare. // Maggio è fiorito e vestito a festa,/ a tutti dà allegria: il dolore / su di me ha sparso tristi ali. // Che im-porta se sogno un fiore, / una viola amabile e gentile, / quando nelmio petto è morto amore? // Ho conosciuto il tempestoso aprile / diquesta vita che sto trascorrendo / conoscendo la notte all’albeggiare.// Ogni qual volta la Speranza «andiamo!» / mi ha detto, ho chiestoun sorriso, / ma la Sventura mi ha risposto: «No». // Mi ritrovo sepa-rato dalla vita, / il corpo per l’ultimo viaggio, / aspetta serenamentel’avviso. // Ora mi tocca dare saggio / di fermezza, la mia sepoltura /è scavata e m’infonde coraggio. // O forse che il figlio della sventu-ra, / alla vista della falce mietitrice, / si deve vestire coi panni dellapaura? // È vero, sì, sono ancora all’aurora / degli anni, ma se è de-cretato / e devo morire, non temo quell’ora. // Cosa faccio al mondo

POESIAS

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disamato, / afflitto da mille gravi pene? / Meglio in una fossa, sotter-rato. // Il sangue ho secco nelle vene, / stanco e sfinito il corpo, / vatrascinandosi e si regge appena. // Sono giovane e mi chiamano vec-chio, / e con ragione mi dicono scimmia, / quando a passeggio por-to il bastone. // Ora non posso saltellare / come saltellavo un tempo/ perché mi hanno fatto una corona di pervinca. // I migliori annidella gioventù / li trascorro suonando la campana / che annuncia lamia triste fine. // Quale, quale sarà quella fata / che al corso dei mieianni / ha cinto il funesto laccio? // Quando ho invocato le gioie / diun riso amorevole, una carezza, / ho avuto dolori e tristezza. // Pos-sibile che non sia stato degno / mai di incontrare affettuoso / e sorri-dente uno sguardo benevolo? // Dacché mi trovo in questo stato do-loroso, / da me si sono allontanati: / non si trova un cuore pietoso.// Gli amici, in questa malasorte, / hanno fatto finta di compianger-mi, / e mi hanno lasciato con la croce in spalla. // Io però, per il miocarattere, / mai mi sono piegato a gente simile, / chiedendo un Simo-ne Cireneo. // Soffro in segreto e non m’inchino mai: / umiliarmi acuori marrani, / prima di conoscere quell’ora: guai! // Forse se avessileccato certe mani / ora starei nuotando nella ricchezza, / a dannodei nostri paesani. // Ma prima di commettere una viltà / a danno deimiei compatrioti, / mi onoro della mia povertà. // Mi danno rabbiacerti signorotti, / teste di legno e spiantati, / che si vantano di esserricchi e dotti. // Se li vedessi come sono cambiati, / passeggiano permostrare la bacchetta / e abiti non ancora pagati. // In paese fannola marionetta, / spudorati! Con le loro perfide trame / son vermi cheintorbidano l’acqua pura. // Sono la disperazione di tante mamme /che nelle figlie vogliono coltivare / viole di virtù e buona reputazio-ne. // Diffamare, ingannare e violare, / è un dovere per questi truffa-tori: / onestamente non sanno campare. // Io non so, i carabinieri, /da noi che ci stanno a fare, / e non arrestano i bancarottieri. // Civuole una forca e una fune, / e impiccare, impiccare di continuo, /finché non si sia purgato il Comune. // Torni la legge di Villamarina:/ perché il male non vada in cancrena / ci vuole come dottore l’aguz-zino. // Vili che hanno meritato la catena, / hanno ingannato anchela giustizia, / così si sono affrancati da ogni pena. // Mentre un pove-ro bisognoso / che ruba per fame un pane, / lo vedi arrestato e con-dannato. // L’affamato che ruba un agnello / è condannato dai giu-rati / anche a dieci anni di reclusione. // E dire che ci sono palazzicostruiti / dalla mano infame della rapina, / i padroni, ladri, sonopiù amati! // La rosa in questi tempi è spina, / oggi la spina si chiama

rosa: / si paga la polvere per farina. // La lingua dell’infamia veleno-sa / se esiste una rosa gentile e bella / te la dipinge brutta e spinosa.// Misero chi dorme per strada, / e nelle notti serene di luce / per luinel cielo non brilla una stella. // Poverino colui che va elemosinando/ a chiedere un tozzo di pane / sulla soglia di qualche signore. // Ilricco dà biscotti al cane, / e al povero dice: «Poltrone, / lavora e dame stai lontano». // Chi non è stato bisognoso / è incapace di buoneazioni, / non può essere mai pietoso. // Tutti i poveretti sono poltro-ni / per chi è sazio, perché non hanno conosciuto / fame, affanni eafflizioni. // Ma se s’avvera quel terremoto, / quello che Jago Siottova predicando, / anche la povertà avrà il voto. // Vedrò dolenti escla-mare: / «Mea culpa», i vili padroni; / dividendo palazzi e terreni. //Senza distinzioni, curiali / dobbiamo essere, figli d’un’insegna, / libe-ri, rispettati, uguali. // Un tempo la povera Sardegna / si chiamava ilgranaio di Roma; / ora di tale fama non è degna. // Il giardino, ilcampo, l’oliveto / d’un tempo antico, s’è tramutato / in un triste, spi-noso calvario. // In boschi dove mai erano entrati / raggi di sole, mi-sere sacchette / hanno introdotto, e hanno spogliato il terreno. // Al-beri che sembravano pinnetas, / per ingrassare il continentale, /hanno affrontato onde e marette. // Ovunque sia passata l’accetta /per secoli e secoli, certamente, / si vedrà funesta la traccia. // Vilecolui che le porte ha aperto / allo straniero per venire con la sega / afare di questa terra un deserto. // I vandali, con liti e contese, / ven-gono da lontano, a ripartirsi / i frutti, perché bruciano la terra. // Spe-riamo che presto venga a cessare / questo stato di cose doloroso: /siamo davvero stanchi di soffrire. // Guai se non fossi speranzoso /in fiori belli e graziosi, / di quelli che hanno un profumo virtuoso. //Sebbene abbia in testa capelli bianchi, / la mente sogna e il cuorebrama / per questa terra rose e primavere. // Il mio cuore ancoras’infiamma, / l’occhio, privo di uno sguardo attraente, / sparge ama-rissime lacrime. // Tu, che sei gentile e affettuoso, / perdonami, sescrivo di nuovo / non dirmi seccante e fastidioso. // Se ti sovvienedel tuo amico, / comandalo, perché è pronto a servirti: / tutto sta nelmetterlo alla prova. // Io sto per andarmene, lo sai, / affrettati perquesto, e prontamente / fammi sapere come stai. // Se no potrebbevenirmi d’improvviso / il colpo triste che sto aspettando: / allora miavrai scritto invano. // Sei ancora in tempo, andiamo, / non restarmuto a questa voce; / tu non sei duro di cuore, no. // Anzi, sei sem-pre stato l’aiuto, / il conforto, la speranza dell’infelice, / dunque ac-cetta il mio saluto, / perché te lo manda l’amico Peppino.

30 si no est ch’innamoret su dimoniu.E lesset sa ’ilgonza,ponzat giudissi’e sic’assentet monza.

A SIGNORINA S…

Cumpatat signorina,pro esser purpurinanelzat, da chi hat leadu sas tintas?Non la miro pr’amore

5 ma miro cun dolorein vostè cussas bellas formas fintas,e so firm’in su parrechi su modde chi mustrat no est carre.

In mancanza de pruppa10 forsis s’hat post’istuppa

pro ammantare sas grinzas e fossos?Seguru no nde seo,ma la connosco, e creoc’happet solu sa pedde cun sos ossos.

15 Cun sa sola camisazertu chi sa person’est pius lisa.

Su chi non dàt naturaa s’iscarna figurabi lu procurat s’artifissiale.

20 Cun sas perlas anzenassi connoschet appenasch’in cheia ch’est rutu su portale.Sa ’ucca no aperit,si no sa perla falsa s’iscoberit.

25 Cun pumas e fioccos,mirende sos piccioccossuspirat su dormidu matrimoniu!Menzus penset ch’est fea,deponzat cuss’idea

POESIAS

230 231

A SIGNORINA S…

Perdoni signorina, / per esser porporina / dica, da chi ha compratole tinte? / Non la guardo per amore / ma guardo con dolore / invoi quelle belle forme finte, / e sono fermo nel parere / che il mol-le che mostra non è carne. // In mancanza di polpa / forse s’èmessa stoppa / per coprire grinze e fossi? / Sicuro non sono, / mala conosco, e credo / che abbia solo la pelle con le ossa. /Con lasola camicia / certo che la persona è più liscia! // Quello che nondà la natura / alla scarna figura / lo procura l’artificiale. / Con leperle d’altri / si riconosce appena / che nella chiesa è caduto ilportale. /La bocca non apre, / se no la perla falsa si scopre. // Conpiume e fiocchi / guardando i giovanotti / sospira il sopito matri-monio! / Meglio pensi che è brutta, / abbandoni quell’idea / senon è che faccia innamorare il demonio. / E deponga la vergogna,/ metta giudizio e si faccia monaca.

UNU BALLU IN MASCHERAA Billiana S…

Tue no m’has connottu e pro femminaleadu forsis m’has, ca sorridentemi naiast: «Gentile mascherina,prite ga’in su ballu ses dolente?».

5 E mudende sa ’oghe, «Signorina»eo ti nesi, «mi sent’ardent’ardentein su cor’unu fogu». Repentinahas frittidu sa test’e diffidente

miradu m’has, e cun sos chizos graves10 indovinare cheriast s’afflittu

chi cunsacradu t’hat sa vida totta:

e cun faeddos dulches e suavesnadu m’has: «Chie ses?». Istesi zittu,sa nott’has frastimadu sa carotta!

ADDIO A NUOROA Gavinangela C…

Terra fort’e gentile, custu cantuest su saludu chi non t’happo daduin s’attu chi partinde, su piantucuss’estremu consolu mi hat negadu.

5 Cale orfanu fizu, isconsoladupasso sas dies, cun su coro affrantu,suspirend’a Nuoro, profumadujardinu d’una rosa c’amo tantu.

S’anim’est temperad’a su dolore,10 ma non si calmat su coro, mischinu,

c’hat perdidu s’amabile fiore.

Si torro pro fortun’a su jardinunde sego cussa rosa de amore,e mi l’assento sorridente in sinu.

Cagliari, settembre 1893.

POESIAS

232 233

ADDIO A NUORO

Terra forte e gentile, questo canto / è il saluto che non ti ho maidato / al momento in cui, partendo, il pianto / quella estrema con-solazione mi ha negato. // Come un figlio orfano, sconsolato / pas-so i giorni, col cuore affranto, / sospirando a Nuoro, profumato /giardino d’una rosa che amo tanto. // L’anima è temprata al dolore,/ ma non si calma il cuore, poverino, / che ha perduto l’amabilefiore. // Se per caso torno al giardino / coglierò quella rosa d’amo-re / e me la appunterò sorridente al petto.

UN BALLO IN MASCHERA

Tu non mi hai riconosciuto e per donna / forse mi hai preso, per-ché sorridente / mi dicevi: «Gentile mascherina, / perché nel ballosei così dolente?». // E cambiando la voce: «Signorina» / io ti dissi,«mi sento ardente ardente / un fuoco nel cuore». D’improvviso / haichinato la testa e diffidente // mi hai guardato, e con gli occhi gra-vi / volevi indovinare chi fosse l’afflitto / che ti ha consacrato tuttala sua vita: // e con parole dolci e soavi / m’hai detto: «Chi sei?».Stetti zitto, / quella notte hai maledetto la maschera.

de t’intender gosie so istancu:la chi frastimes a sa caffettera,cussa gia’ mi l’arrangiat su fiancu;ses in domo che femmina partera,

30 dogni die nde cheres unu francu.Tottu ti lu dissipas in decottos,zicculatte, rosoli’e biscottos.

MuzereIt’est su chi ses nende, faularzu?Da eri notte cand’hamus chenadu

35 m’has lassad’in sa cass’unu chivarzu,non cretas chi mi l’happe mandigadu,l’happo chistid’a ti prenner s’iscarzu:pro te happo suffrid’e jaunadu.Lassadu non m’has pranzu no m’has chena,

40 nè corcada mi so a brente piena.

MariduCantu diliga ses e amurosa!Su chivarzu a mie has cunservadu,signal’es c’has pappadu menzus cosa:puzzone chi non biccat hat biccadu.

45 S’istada fist de zibu bisonzosasu chivarzu l’haiast mandigadu.Cunservad’has a mie su cogone,ca t’has pappadu su menzus buccone.

MuzereCale det esser su menzus buccone

50 ch’eo m’appo pappad’a fur’a tie?Forsis det esser sa pet’ ’e anzone,sa chi mi ses pighende dogni die?A mandigare pan’ ’e chilinzone60

abituada non fia gosie.55 De sa gana no isto manch’in pè,

W…

MuzereUe dias a esser fin’a como,possibile chi non t’iscas emendare?Bessidu chi che sias dae domonon pensas e nè sentis de torrare.

5 Si no mudas penser’eo ti domo;mira chi non ti torret a costarede torrar’imbreag’a’ custas oras;s’ater’ ’orta lu faghes corcas foras.

MariduImportat pag’a ti dar’a ischire

10 inue tottu cantu so istadu,de bessire mi cheres proibire,miserinu, a cosa so torradu!Però si foras mi faghes dormirede comente m’has como minettadu,

15 cando zocco sa janna e no abberis,tando ti nd’ ’atto sos carabineris.

MuzereNon los fentomes sos carabinerisca sunt pro ti che ponner in presone,prite ses oziosu in sos zilleris,

20 maccu, mal’a sentire, imbreagone.Dend’a pappar’a sos bangarrutteris,de sos iscamminados ses dugone.59

In domo b’est sa famen’a benuju,e tue pro su ticcu das su tuju!

Maridu25 Mal’happes tue cun s’imbreaghera,

POESIAS

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85 cando giughiast nudos sos fiancosespost’a beffes e zitassiones:non l’happ’ispes’in su caffè cun ou,ma solu pro ti ponner fundu nou.

MariduTando pro m’affundare su carzone

90 deves giugher sas manos cancaradas?Cussu ti toccat de obbligassione,no ca ti tenzo pro pappar’ ’e badas:si mi hant fatt’una zitassionetue macaca mi l’has has chircadas;

95 leende caffè a fide in sas buttegas,ti lu dant, ti lu buffas e ti negas.

MuzereBae chi deo so ancor’in sè,de sentidu non so galu guasta,nemmancu pro tres unzas de caffè

100 sos benes meos des bider a s’asta:tue sì, maccu, non istas in pè,ca t’hat cumbintu su ’in’ ’e s’Ozasta.Buffas che unu turcu e t’imbreagas,deves a tottus e a nemos pagas.

Maridu105 Naras chi mai stada ses zitada,

cuss’a su narrer tou est una proa!Sos benes has lassad’a chie nd’hada,no siet chi ti pighent a sa coa!Ses una caffetter’ismanigada,

110 ma ti dent ponner sa maniga noa.Suni nalzende chi sa zente truffasprite non pagas su caffè chi buffas.

MuzereBae chi pro tres unzas de caffè

rejon’est chi mi fetta su caffè.

MariduParet chi non fist mancu abituadaa mandigare seppia e triglia,pappaiast cogon’e aringada,

60 ca fist de miserabile famiglia:in domo mia ti ses ingrassadae da cussu no sentis pius briglia.Pro t’ingrassare mi so ruinadu,mal’happe deo chi t’happo leadu.

Muzere65 Bae chi deo non fia gasie,

famene nè bilgonz’happo proadu:como sì, so torrada che a tiecando m’has a isposa dimandadu,ca si no iast incappad’a mie

70 fiast ancor’a calzon’isfundadu.Cando t’happo leadu pro mariduin doda chent’iscudos t’happ’ ’attidu.

MariduDe cussos chent’iscudos nd’happ’ispesutrinta pro su caffè a macchinetta,

75 a mie mi nd’has dadu trinta e mesu,già ti los happo leados in petta,trinta iscudos e unu cagliaresulos has ispesos pro una fardetta,e de sos sette francos e chimbanta

80 ti nd’has leadu de lana una manta.

MuzereTroppu prest’has perdìdu sos arrancosde tantas mias bonas aziones!Ammentadinde de sessanta francoschi happ’ispes’a ti fagher carzones,

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Muzere145 Si cheres assentada sa persone

senza frenu no andes a iscappu:non si vivet faghinde su mandrone,lassa su ’inu e leadi su zappu,tand’has haer gianchett’e pantalone,

150 ma si non mudas vida non has tappu.Anzis si sighis gai, prestu, prestu,nd’has a perdere su fund’e’ su restu.

MariduGai cheres chi bande a zappittare,e a lassare su binu pro su piccu?

155 E tue istas in dom’a iscazzaresa zorronada mia in su limbiccu!Si lu fatto ti nd’has a buffonarebuffende su decott’a tic’a ticcu,e forsis has a narrer cun recreu:

160 «A sa salude de maridu meu!».

MuzereBae chi deo non ispendo gai,anzis su punzu meu est mes’avaru;caffè a cua no nde fatto mai,già so padron’ ’e lu fagher in giaru;

165 ma no nde buffo ch’est unu guai,prima de tottu ca su caff’est caru,segundariamente, des cumprender,c’happo pagos dinaris de ispender.

MariduConsumad’has dinaris e sienda

170 tottu cant’in decottu ti l’has bijdu.A una buttegher’has dad’in prendafinamente s’aneddu ’e s’affidu!Caffè a bustu caffè a merenda,

non m’hasa a bier, no, in tribunale:115 tue bi podes istare pius de me,

ca t’imbreagas, su porcu mannale;como ch’est como non firmas in pè,attentu pro su codice penale.Su tribunale non chirches a mie

120 Pertunghefustes, ca deghet a tie.

MariduSiet finida custa chistione,cagliadi muda e lassami dormire;non cherzo brigas nè confusione,es tempus custa beffa a la finire,

125 dogni notte mi faghes su sermone,balla c’a beru ses mal’a sentire.Abboghinende credes chi ses bella,e ses su ris’ ’e totta sa carrella.

MuzereTue ses su beffadu ’e su mundu,

130 sos bonos già ti leant su fiagu.Giughes sos pantalones senza fundue ses in sos zilleris imbreagu!Da ch’in domo no istas, vagabundu,feti non pig’a m’infilare s’agu

135 a su ness’a ti ponner unu puntu,iscamminadu, cherveddi pertuntu!

MariduS’has faccia manna de agos faedda,e a ite mi naras vagabundu?Si non fist vissios’e mandronedda

140 fia su lizzu de tottu su mundu.Balla, si coghes cos’in sa padeddapappas pro finas a bider su fundu!Tue divoras in domo, sola, e pappas,ma sas birgonzas mias non las tappas.

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manten’a cuppas poveru maridu!175 Frundìdu c’has dae domo milli trastos

dados in pignu pro pagare gastos!

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W…

Moglie – Dove saresti stato fino ad ora, / possibile che non sappiaravvederti? / Una volta uscito di casa / non pensi né ti preoccupi ditornare. / Se non cambi atteggiamento io ti domo; / bada che non tiricapiti / di tornare ubriaco a queste ore, / se lo fai un’altra volta dor-mi fuori. // Marito – Importa poco farti sapere / dove sono stato, / mivuoi proibire di uscire, / poveretto, a cosa son ridotto! / Però se fuorimi fai dormire / come adesso mi hai minacciato, / quando busso allaporta e non apri, / allora ti chiamo i carabinieri. // Moglie – Non no-minare i carabinieri / perché stanno per metterti in prigione, / perchéstai ozioso nelle bettole, / stolto, impenitente, ubriacone. / Dando damangiare ai bancarottieri, / sei condottiero dei traviati. / A casa c’è lafame alle ginocchia, / e tu dai il collo per un goccio. // Marito – Cheti venga un male con questa ubriachezza, / sono stanco di sentirti co-sì: / maledici invece la caffettiera, / quella sì che mi sistema; / stai acasa come una puerpera, / ogni giorno vuoi una lira. / Spendi tuttoin decotti, / cioccolato, rosolio e biscotti. // Moglie – Cos’è che stai di-cendo, bugiardo? / Da ieri notte, quando abbiamo cenato, / mi hailasciato nella cassa un pane di crusca, / non credere che me lo siamangiato, / l’ho conservato per riempirti il gozzo: / per te ho patitoe digiunato. / Non mi hai lasciato né pranzo né cena, / né mi sono

coricata con la pancia piena. // Marito – Quanto sei delicata ed amo-revole! / Il pane di crusca hai conservato per me, / è segno che cibomigliore hai mangiato: / uccello che non becca ha già beccato. / Sefossi stata bisognosa di cibo / avresti mangiato il pane di crusca. / Mihai conservato il pane / perché ti sei mangiata il miglior boccone. //Moglie – Quale sarebbe il miglior boccone / che mi sono mangiata dinascosto da te? / Forse sarebbe la carne d’agnello, / quella che mi staicomprando ogni giorno? / Mangiare pane di crusca, / non ero cosìabituata. / Dalla fame neppure mi reggo in piedi, / motivo per cui mifaccio il caffè. // Marito – Pare che neppure fossi abituata / a mangia-re seppia e triglia, / mangiavi pane e salacca, / perché eri di famigliamiserabile: / a casa mia ti sei ingrassata / e per quello non senti piùla briglia. / Per ingrassarti mi sono rovinato, / che abbia un male ioche ti ho pigliato. // Moglie – Va’ che io non ero così, / né fame névergogna ho provato: / ora sì, mi sono ridotta come te / quando mihai chiesto in sposa, / perché se non fossi incappato in me / sarestiancora col pantalone sfondato. / Quando ti ho preso come marito /in dote cento scudi ti ho portato. // Marito – Di quei cento scudi neho speso / trenta per il caffè macinato, / a me ne hai dato trenta emezzo, / già li ho spesi per te in carne, / trenta scudi e un cagliarese/ li hai spesi per una gonna, / e da sette lire e cinquanta / ti sei com-prata una coperta di lana. // Moglie – Troppo presto hai perduto latraccia / di tante mie buone azioni! / Ricordati delle sessanta lire /che ho speso per farti i calzoni, / quando avevi i fianchi nudi / espo-sto a beffe e provocazioni: / non li ho spesi per il caffè con l’uovo, /ma per farti il fondo nuovo. // Marito – Allora per farmi il fondo delpantalone / devi avere le mani rattrappite? / Quello ti spetta comeobbligo, / non perché ti mantengo per mangiare a sbafo. / Se mihanno sbeffeggiato / tu sciocca me l’hai procurato; / prendendo caffèa credito nelle botteghe, / te lo danno, te lo bevi e ti neghi. // Moglie– Va’ che io sono ancora in me, / ancora non sono priva di senno, /neppure per tre once di caffè / vedresti i miei beni all’asta: / tu sì,sciocco, non stai in piedi, / perché t’ha “convinto” il vino d’Ogliastra./ Bevi come un turco e t’ubriachi, / devi a tutti e nessuno paghi. //Marito – Dici che non sei mai stata citata, / quello a tuo dire è unaprova! / I beni li hai lasciati a chi ne ha già, / non capiti che ti ac-chiappino per la coda! / Sei una caffettiera smanicata, / ma ti mette-ranno il manico nuovo. / Stanno dicendo che truffi la gente / perchénon paghi il caffè che bevi. // Moglie – Va’ che per tre once di caffè /non mi vedrai, no, in tribunale: / tu puoi starci più di me, / perché ti

SA TERACCA MIA

Oh cantas mi nde faghet sa teracca! «Teracca» naro, ma est sa padrona: una bezza isdentada tabaccona,no est pizzinna, risulana e macca.

5 Degh’annos chi mi servit cun fiacca, ancora est a nde fagher una ’ona;issa est una grande maccarrona: comporat taulas pro petta de ’acca.

Pro mi leare unu chilu de petta10 deris l’happo intregadu unu marengu

che cando veramente essera riccu.

Torra sa serva; dae sa valdetta rie rie nd’istaccat unu arenguche a issa nieddu feu e siccu.

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ubriachi, il porco da ingrasso; / ora come ora non ti reggi in piedi, /attento al codice penale. / Per il tribunale non cercare me / Picchio,perché si addice a te. // Marito – Finisca questa questione, / sta’ zittae lasciami dormire, / non voglio né liti né confusione, / questa beffaè tempo di finire, / ogni notte mi fai il sermone, / certo che sei dav-vero impenitente. / Gridando credi di esser bella, / e sei il riso di tut-ta la via. // Moglie – Tu sei lo sbeffeggiato dal mondo, / gli accorti giàti prendono la traccia. / Hai i pantaloni senza fondo / e stai nelle bet-tole ubriaco! / Già che non stai a casa, vagabondo, / certo non mimetto a prender l’ago / almeno per metterti un punto, / traviato, cer-vello bucato! // Marito – Se hai faccia tosta parla d’aghi, / e perchémi chiami vagabondo? / Se non fossi viziosa e poltrona / saresti il gi-glio più bello di tutti. / Accidenti, se metti qualcosa in pentola / man-gi fino a vederne il fondo! / Tu divori a casa, sola, e mangi, / ma lemie vergogne non le tappi. // Moglie – Se vuoi la persona ordinata /non andare in giro senza freno: / non si vive facendo il poltrone, / la-scia il vino e prendi la zappa, / allora avrai giacca e pantalone, / mase non cambi vita non hai fondo. / Anzi, se continui così, presto, pre-sto, / perderai il fondo e il resto. // Marito – Così vuoi che vada azappettare, / e a lasciare il vino per il piccone? / E tu stai a casa asprecare / la mia giornata con l’alambicco! / Se lo faccio ti farai beffedi me / bevendo il decotto goccio a goccio, / e forse dirai con soddi-sfazione: / «Alla salute di mio marito!». // Moglie – Va’ che io nonspendo così, / anzi la mia mano è mezzo avara; / caffè di nascostonon ne faccio mai, / che sono padrona di farlo normalmente, / manon ne bevo chissà quanto, / prima di tutto perché il caffè è caro, /secondariamente, lo devi intendere, / che ho pochi soldi da spende-re. // Marito – Hai consumato denari e beni, / tutto quanto te lo seibevuto in decotto. / A una negoziante hai dato in pegno / perfinol’anello nuziale. / Caffè a pranzo, caffè a merenda, / fatti coraggio,povero marito! / Hai dato via mille utensili da casa / dati in pegnoper pagare spese! // … / … / … / … / … / … / … / …

LA MIA SERVA

Oh quante me ne fa la serva! / «Serva», dico, ma è la padrona: / unavecchia sdentata tabaccona, / non è giovane, ridanciana e matta. //Da dieci anni mi serve con fiacca, / ancora non ne ha fatto una buo-na; / è una grande pasticciona: / compra tavole per carne di vacca.// Per comprarmi un chilo di carne / ieri le ho dato un marengo /come quando ero davvero ricco. // Ritorna la serva; dalla gonna /sorridendo tira fuori un’aringa / come lei nera brutta e secca.

Podes cumprender, custa porcheria 35 est indigesta pro sos delicados

ca b’hat erbas de ogni genia.Cuddos chi non bi sunu abituados

e non s’abbizant de su minestrone,si nde mandigant, morint velenados.

40 Duncas ti prego: dona attenzionede non nde dare a su primu famidu,mira ch’est zerta s’indigestione!

Si a tie happo fattu su cumbiduest ca ses de istogomo provadu

45 e non t’offendet nessunu cundidu.Mandiga duncas senza coidadu,

a tie zertu non ti faghet malemancu sa lua chi l’happo misciadu.

Giughet pibere meda e pagu sale50 ei sos trunzos chi bi sunu in mesu

nde tiran dae ’ucca su murrale.Tue però chi a tottu ses avvesu

dês esclamare: «Ite zibu lichittuest custu minestrone tonaresu!».

55 Anzis si ses in ora de appitittuti devet esser grata sa ludurae timo chi cummittas su delittude ti ’ender sa prima genitura.

SU MINESTRONE

Già chi tantu t’aggradat sa minestra ti do de minestrone unu piattu.Est male coghinadu e a sa lestra,

fogu ’e linna ’irde l’happo fattu, 5 ma si nd’assazas una trudda solu

t’agatas prontamente soddisfattu.B’hat fae, b’hat lentiza cun basolu,

patata, caule cun concas de raba, cottas in su matessi labiolu.

10 Su cundimentu est de ozu ’e craba,ca non tenia nè lardu nè sumene: chie non tenet mele ponet saba.

B’has agatare fittas de cugumene, cosa lizera pro sa gente sana

15 chi non faghet nè pesu nè ballumene.B’happo postu unu pagu ’e denziana,

ranziga cantu est ranziga sa china, però a mandigare ’attit sa gana.

B’happo ’ettadu tres fozas de pimpina, 20 e si b’hat calchi cosa mesu crua

est chi b’hat de armuttu raighina.Postu l’happo cicuta e pagu lua:

mancari nelzan chi est velenosa,pappa, chi hat esser sa salude tua.

25 Si comente no haia menzus cosa,pro poder pienare sa padeddal’happo postu unu mazzu ’e pigulosa.

Aligarza, fenuju e lattareddae pro fagher su brodu piùs licanzu

30 una tazza de latte ’e feruledda.Un’iscia mi pariat brodu lanzu:

l’happo minadu un’ou de istria, attentu non cumbìdes calchi istranzu.

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A SIGNOR TANU

Gentile signor Tanu, happo rezzidude vostè sa carissima littèracuntenente pro me unu cumbidu.

Li promitto de fagher sa manera5 de no mi dimustrare negligente

a sa gentile sua preghiera.Permittat chi cunfesse francamente

chi deo non creia a tantu onore:ancora nde so mesu diffidente.

10 Una ’oghe mi nât: «Meneschidorenon ses de ti portare a su Parnasupro limare su versu a s’autore».

Puru cun tottu deo persuasuchi non sia vostè adulatore

15 de cussa ’oghe non nde fatto casu.M’happ’a leare cura e cun ardore

unu sorrisu dimando a Taliapro fagher a vostè custu favore.

Zert’est chi s’aritzesa poesia20 giutt’a bulluzu dae tantas laras

si nd’hat perdidu sa forma nadia.Cuddas castalianas abbas raras

perdid’han sa fatidica virtude: puru cun tottu dênt torrare giaras.

25 Si m’assistit sa fisica saludesos cantos de Bachis cherzo intenderin bucca a s’aritzesa gioventude.

So piseddu, però m’intend’azzender s’allegra fantasia in su coro:

30 a sa dulche fadiga cherzo attendere.Si torrant’a s’antiga form’issoro

sos versos de Bachis, est eclissadasa fama de Cubeddu e Melchioro.

POESIAS

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IL MINESTRONE

Già che ti piace tanto la minestra / ti do di minestrone un piatto. / Èmal cucinato e alla svelta, // con fuoco di legna verde l’ho fatto, /ma se ne assaggi un mestolo solo / resti prontamente soddisfatto. //Ci sono fave, lenticchie con fagioli, / patate, cavoli con teste di ra-pa, / cotte nello stesso paiolo. // Il condimento è di grasso di capra,/ perché non avevo né lardo né sugna: / chi non ha miele mette sa-pa. // Ci troverai fette di cetriolo, / roba leggera per la gente sana /che non fa né peso né volume. // Ci ho messo un po’ di genziana,/ amara quanto è amara la china, / però fa venir voglia di mangiare.// Ci ho messo tre foglie di capelvenere, / e se c’è qualche cosamezza cruda / è perché c’è radice d’asfodelo. // Ci ho messo cicutae un po’ di euforbia: / anche se dicono che è velenosa, / mangia,che sarà la tua salute. // Siccome non avevo di meglio, / per poterriempire la pentola, / ci ho messo un mazzo di parietaria. // Rava-nelli, finocchi e latteruola / e per fare il brodo più appetitoso / unbicchiere di latte di ferula. // Il brodo magro mi sembrava un acqui-trino: / ci ho mischiato un uovo di gufo, / attento a non invitarequalche forestiero. // Puoi capire, questa porcheria / è indigesta perle persone delicate / perché c’è erba di ogni tipo. // Quelli che nonci sono abituati / e non si accorgono del minestrone, / se ne man-giano muoiono avvelenati. // Dunque ti prego: fai attenzione / anon darne al primo affamato, / guarda che è certa l’indigestione! //Se è te che ho invitato / è perché sei di stomaco provato / e nont’offende nessun condimento. // Mangia dunque senza preoccupa-zione, / a te certo non ti fa male / neppure l’euforbia che vi ho me-scolato. // Ha molto pepe e poco sale / e i torsoli che ci sono inmezzo / strappano di bocca la cavezza. // Tu però che a tutto seiavvezzo / esclamerai: «Che cibo squisito / è questo minestrone tona-rese!». // Anzi, se hai appetito / deve risultarti gradita la lavatura / etemo che commetta il delitto / di venderti la primogenitura.

e a Cesare su sou, ma mai lintuhappo s’ispada tinta ’e samben meu.

Si gai cun vostè mi so dipintuest chi sa cussienzia est segura

75 e nessunu mi podet narrer fintu.Sinceru cun s’amigu in s’isventura

mai happo s’afflittu abbandonadu,in coro meu non b’hat impostura.

Nemigu de su male so istadu, 80 poveru ma onestu, semper unu,

bintu sì, non però umiliadu.De coro francu e a tottus cumunu,

mi la fatto cun poveros mischinoschi opprimidos sunt de su digiunu.

85 Odio cuddos viles istrozzinoschi dan dinare su chentu pro chentue ponent terras santas a camminos.

Fizu de su canudu Gennargentu, bidende sas infamias terrenas,

90 provo in coro veru sentimentu.Manos ch’hant meritadu sas cadenas

firmant libellos ignominiosos, ponende sa virtude in graves penas.

Rettiles malaittos ischifosos 95 isparghende funestu su velenu

in custos sitos virdes e umbrosos.E nois cun d’unu animu serenu

nos godimus in paghe s’ispettaculuchi disonorat custu logu amenu.

100 A su male si ponzat un’ostaculu,benefica si tendat una manu,sa Barbagia est zega e cheret baculu.

Deo cunfido in signor Bustianu;su credo sou dêt esser su meu,

105 a su villanu si gridet villanu.Non s’ismentighet mai chi Mereu

est in Tonara prontu a lu servire

Andàd’a Macumele o a Pattada 35 sa lirica suave suliana

altamente dêt essere onorada.Certu chi leo fadiga e mattana

pro separare dae milli venass’abba d’una frischissima funtana.

40 Trainos, rios suldos e pienashan bulluzadu s’abba netta e pura,sumid’in terras dulches e amenas.

Nessunu mai s’hat donadu cura de coronare a laru su poete

45 ch’est clamende vinditta in sepoltura.A mie solu mi toccat chi prete

ischidende su sonnu a custa zente chi pro Sulis hat bidu abba ’e Lete.

De una cosa solu so dolente50 ed est chi b’happo a ponner med’istentu

pro resissire una cosa dezente.A sa musa m’invoco cun assentu:

cherzo ispuntare una misera lima cun s’ispera de giungher’a s’intentu.

55 Onoradu mi sento de s’istimachi vostè m’hat cherfidu professare ponendemi a limare s’alta rima.

Semper de tue cherzo a mi trattare, fizu cherzo a mi narrer cun amore

60 prîte orgogliosu nd’happ’andare.Zertos mi dan su titulu ’e signore,

ma cussos non mi sun veros amigos ca non vantant bandera nè colore.

Cun babbu meu in tempos antigos, 65 si faula no est, fistis che frades:

b’istat su fizu puru in sos obbligos.Semper nemigu ’e sa disamistade

preighende su giustu cun anneuso ruttu in pena de infermidade.

70 Su ch’est de Deu l’happ’a dare a Deu

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e s’agatat in dolu e in recreu.Basta. Como est ora ’e la finire,

110 ca so istadu troppu noiosu:de s’infadu mi devet cumpatire.

Li mando unu saludu affettuosuchi sinceru mi essit dae sinu;s’amigu sou

Mereu Peppinu

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A SIGNOR TANU

Gentile signor Tanu, ho ricevuto / la vostra carissima lettera / conte-nente un invito per me. // Le prometto di fare in modo / di non di-mostrarmi negligente / alla sua gentile preghiera. // Permetta checonfessi francamente / che io non credevo a tanto onore: / ancorasono mezzo diffidente. // Una voce mi dice: «Degno / non sei di in-nalzarti al Parnaso / per limare il verso all’autore». // Pure con tuttociò, io persuaso / che voi non siate adulatore, / a quella voce nonfaccio caso. // Mi prenderò cura e con ardore / chiedo un sorriso aTalia / per fare a voi questo favore. // Certo è che l’aritzese poesia /intorbidata da tante labbra / ha perso la forma natia. // Quelle casta-liane acque rare / hanno perduto la fatidica virtù: / pure, con tuttociò torneranno chiare. // Se mi assiste la salute fisica / voglio sentire icanti di Bachis / in bocca alla gioventù aritzese. // Sono ragazzo, pe-rò mi sento accendere / l’allegra fantasia nel cuore: / alla dolce faticavoglio attendere. // Se ritornano alla loro forma antica / i versi di Ba-chis, è eclissata / la fama di Cubeddu e Melchiorre. // Giunta a Ma-comer o a Pattada / la soave lirica suliana / sarà altamente onorata.

// Certo che mi carico di fatica e travaglio / per separare da mille ve-ne / l’acqua di una freschissima fontana. // Ruscelli, cupi fiumi e pie-ne / hanno intorbidato l’acqua limpida e pura, / assorbita in terredolci e amene. // Mai nessuno si è dato cura / di coronare con alloroil poeta / che sta chiamando vendetta nella sepoltura. // A me solotocca lottare / svegliando dal sonno quella gente / che per Sulis habevuto acqua del Lete. // Solo di una cosa sono dolente / ed è checi vorrà molta tempo / perché riesca una cosa decente. // Invoco lamusa con impegno: / voglio spuntare una misera lima / con la spe-ranza di giungere allo scopo. // Mi sento onorato della stima / chevoi mi avete voluto dimostrare / incaricandomi di limare l’alta rima.// Voglio che mi si dia sempre del tu, / voglio che mi si chiami figliocon amore / perché ne andrò orgoglioso. // Certi mi danno il titolodi signore, / ma quelli non mi sono davvero amici / perché non van-tano bandiera né colore. // Con mio padre in tempi antichi, / se nonè una bugia, eravate come fratelli: / negli doveri rientra anche il fi-glio. // Sempre nemico dell’inimicizia / predicando il giusto fra icrucci / sono caduto nella sofferenza dell’infermità. // Quel che è diDio lo darò a Dio / e a Cesare il suo, ma mai leccato / ho la spadatinta del mio sangue. // Se così con voi mi sono dipinto / è perchéla coscienza è sicura / e nessuno può definirmi finto. // Sincero conl’amico nella sventura / mai l’afflitto ho abbandonato, / in cuor mionon c’è impostura. // Nemico del male sono stato, / povero ma one-sto, sempre uno, / vinto sì, non però umiliato. // Di cuore franco esodale con tutti, / sono amico di poveri infelici / che sono oppressidal digiuno. // Odio quei vili strozzini / che prestano denaro al centoper cento / e fanno di luoghi sacri comuni strade. // Figlio del canu-to Gennargentu, / vedendo le infamie terrene, / provo nel cuore ve-ro sentimento. // Mani che hanno meritato le catene / firmano libelliignominiosi, / mettendo la virtù in gravi pene. // Rettili maledettischifosi / che spargono il funesto veleno / in questi siti verdi e om-brosi. // E noi con un animo sereno / ci godiamo in pace lo spetta-colo / che disonora questo luogo ameno. // Al male si frapponga unostacolo, / si tenda benefica una mano, / la Barbagia è cieca e vuoleun bacolo. // Io confido nel signor Sebastiano; / il suo credo sarà ilmio, / al villano si gridi villano. // Non si dimentichi mai che Mereu /è a Tonara pronto a servirla / e lo si trova in pena e in gioia. // Ba-sta. Ora è tempo di finirla, / perché sono stato troppo noioso: / delfastidio mi deve scusare. // Le mando un saluto affettuoso / che sin-ceramente mi esce dal petto; / il suo amico Mereu Peppino.

a Deus e ti lamentasa issu pro sa trista infermidadechi est bocchinde a chiebisonzat sanu a seppellire a mie?

A NANNI SULIS [III]

Guai si avanzes. Para,falche ingrata. Non creochi nde cherzas messare unu fiore.Porca assassina, nara:

5 forzis non bi so deolottende in d’unu mare de dolore?Abbrevia sa miaterribile agoniama salva custu gravellu de amore;

10 salva custu gentilelizu, s’est chi non ses ingrata e vile.

Tue, o Crocifissu,si la podes suspender,para de Nanni sas afflissiones.

15 Ca si bocchis a issuguai!, has a intenderdae me funestas malediziones.In sa celeste isferasa mia preghiera

20 accetta: custu lizu non abbandones,provvedi prontamente,o salvalu o non ses onnipotente.

E tue, dulche Maria,isposa e mamma ’e Deu,

25 piedade ti prego, piedade:tue ses bona e pia,salva s’amigu meu,salva s’amigu meu,salva s’amigu meu, unicu frade.

30 Prîte non ti presentas

POESIAS

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A NANNI SULIS [III]

Guai se avanzi. Fermati, / falce ingrata. Non credo / che voglia reci-dere un fiore. / Porca assassina, dì: / forse non ci sono io / a lottarein un mare di dolore? / Accorcia la mia / terribile agonia / ma salvaquesto garofano d’amore; / salva questo gentile / giglio, se è veroche non sei ingrata e vile. // Tu, o Crocefisso, / se puoi porvi fine, /di Nanni interrompi le afflizioni. / Perché se uccidi lui / guai! sentirai/ da me funeste maledizioni. / Nella celeste sfera / la mia preghiera /accetta: non abbandonare questo giglio, / provvedi prontamente, / olo salvi o non sei onnipotente. // E tu, dolce Maria, / sposa e madredi Dio, / pietà ti prego, pietà: / tu sei buona e pia, / salva il mio ami-co, / salva il mio amico, / salva il mio amico, unico fratello. / Perchénon ti presenti / a Dio e ti lamenti / con lui per la triste infermità /che sta uccidendo chi / serve sano per seppellire me?

TITTI TITTIA

Titti,[4] ite frittu, ite notte infernale!Su ’entu est in terribiles muilos,astragadu est su meu cabidale,s’astragu mi lu sento fin’a pilos.

5 Como non happo isperanza chi sane:prestu si truncant sos debiles filos.In sa bianca ’adde, addane addane,annunziende sa triste fine miaurulare s’intendet unu cane.

10 Titti, ite frittu, tittia tittia.

SA BOTTIGLIA

Semper a tie cherz’esser fidele, mancari dure mill’annos in vida,dae me onorada e riverida.Comente in Samo sa fiz’ ’e Cibele,

5 tue pro me ses de Ibla su melemassimu cando a luttu ses bestida;e cando t’ ’ido de lagrimas prenati baso forte ca mi faghes pena.

POESIAS

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LA BOTTIGLIA

Sempre a te voglio esser fedele, / dovessi restare mille anni in vita, /da me onorata e riverita. / Come a Samo la figlia di Cibele, / tu perme sei di Ibla il miele / soprattutto quando a lutto sei vestita; / equando di lacrime ti vedo piena / ti bacio forte perché mi fai pena.

TITTI TITTIA

Titti, che freddo, che notte infernale! / Il vento terribilmente mug-ghia, / ghiacciato è il mio cuscino, / il freddo me lo sento fino ai ca-pelli. / Ora non ho speranza di guarire: / presto si spezzano i debolifili. / Nella bianca valle, lontano lontano, / annunziando la triste fi-ne mia / ululare si sente un cane. / Titti, che freddo, tittia tittia.

[4. Esclamazione onomatopeica che equivale a ‘che freddo!’ (cfr. DES,s.v. tittir(r)ía).]

Si non lu credes ti nde do sa prova.De virtudes ti faghent meda riccu:

25 prestu ti ponent in biancu velu.

Sa servidora mia, bell’e bova,l’happ’intes’isclamare: «Signoriccuora p’ora est menzus de su chelu!».

[III]Già chi ti tenzo in domo pro bisitta,

30 allegros ambos faghimus barracca.Como non ti disturbat sa trumbitta;mandiga pur’a fiacc’a fiacca.

Su brou no est cottu in sa marmitta,sa peta no est caddu, ma est bacca;

35 mandiga ca dèt esser ischisitta,prite l’hat coghinada sa teracca.

Como dès olvidare sa pagnotta,in parte nessi, si non totalmente:mandiga ca sun tottas cosas sanas.

40 E’ sa tazza biedìla totta,ca si torras de nou in continenteno nd’agattas de similes funtanas.

[IV]Tra parentis però, unu difettuin sas virtudes tuas happo bidu,

45 ed este chi dae cando ses benidunon has bettadu faeddu in derettu.

Has lassadu su tou dialettu,de varios limbazos ses cundidu.Sos macacos ti credent istruidu,

50 ma tue has male mannu in s’intellettu.

A ERNESTO MEREUSergente in su Geniu.1

[I]Partidu ses a sos degheott’annos,fist piseddu, isbarvadu e birgonzosu;a vintunu ti bio a baffos mannos,brunu, omine fattu e geniosu.

5 Isco c’has isfidadu milli affannos,ma los has vintos ca ses virtuosu,e oe ses bestidu ’e tales pannoschi eo nde so pro te orgogliosu.

Ses fentomadu tra bonas persones,10 l’intendo deo su chi nât sa zente:

non bind’hat unu chi nde nerzat male.

L’hana postu de oro sos gallones,a vint’annos! Fulanu est già sergente!si sighit gai benit caporale!

[II]15 Sas pizzinnas nde contant un’ispantu,

non ti cuant s’insoro passione:ti dànt pro fines titulu de santu,senza rifletter’a s’isquadrone.

Restant che infulminadas de incantu20 cando passas a zoccu de isprone.

De lizu raru ti dana su vantu,tottas ti giamant su simpaticone.

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1. Sonettos dittados in su settembre de su 1898 in occasione de una vi-sita sua in famiglia [«Sonetti dettati nel settembre del 1898 in occasionedi una sua visita in famiglia»].

A sos bovos lis mustras unu neu,80 e lis faghes a creder – cun ingannos –

ch’est ferida de daga furistera!

Sunt signos d’una ruta, caru meu,dae cando teniast treig’annos;fruttu d’una solenne imbreaghera.

[VII]85 Sos versos non ti causent dolore,

tocca sa tazza, e bibimus su binu.Faghe sì chi a mie intro su sinuoe torret s’antigu bon’umore.

Evviva! Sa bandera tricolore90 t’assistat – a front’alta in su camminu

de sa virtude, sighi – su destinut’auguro chi ti siet in favore.

Ses ruzu, sanu, nerbiosu e forte;sa Patria difende – unica mama

95 chi has in terra, donosa e gentile –.

Cumbatti, creba! Non timast sa morte,mai però a mie ’enzat sa famachi ses istad’unu sordadu vile.

Tonara, 30 settembre 1898Peppinu Mereu

Ses a frastimos che unu marranu,cando dès narrer ahi naras ohi:duos faeddos non pones in liga.

Como chi prallas tottu talianu,55 finas a frade tou naras: «Voi,

sardo molente, non capisci miga!».

[V]E raccontende faulas ti pistas,e de su male tou non ti abbizas.Nac’has isposas a mizas a mizas,

60 tottas contissas, però sunt modistas,

e sartinas ignobiles e tristas,chi no s’ischit de chie siant fizas,forsis amore veru nde disizas:ecco tottu sas tuas cunquistas!

65 A sos tontos los bogas dae sè –si comente ses furbu aiz’aizu –lis filas fune narende ch’est lana.

A unu l’has contadu chi su Red’ogni sero, in pubblicu passizu,

70 ti regalat zigarros de Avana!!!

[VI]E nac’has tentu attaccos e duellos,«fattu de zertas damas paladinu»halzadu in fama de ispadaccinu,nac’has bocchidu battor colonnellos!!

75 Mira non siant battor carradellosch’has haer isciuttadu de su binu,prite dae minore in camasinuviviast sos momentos pius bellos.

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A ERNESTO MEREU [I]Sergente nel Genio.

[I] Sei partito ai diciott’anni, / eri ragazzo, imberbe e vergognoso; / aventuno ti vedo con grandi baffi, / bruno, uomo fatto e fascinoso.// So che hai sfidato mille affanni, / ma li hai vinti perché sei vir-tuoso, / e oggi sei vestito con tali panni / che io ne sono per te or-goglioso. // Sei conosciuto fra buone persone, / lo sento io quelche dice la gente: / non ce n’è uno che ne parli male. // Gli hannomesso i galloni d’oro, / a vent’anni! Il tale è già sergente! / se conti-nua così diventa caporale!

[II]Le ragazze ne raccontano meraviglie, / non ti nascondono la loropassione: / ti danno persino titolo di santo, / senza pensare allosquadrone. // Restano come fulminate d’incanto / quando passi asuon di sperone. / Di giglio raro ti danno il vanto / tutte ti chiama-no il simpaticone. // Se non lo credi te ne do la prova. / Di virtù tifanno assai ricco: / presto ti metteranno in bianco velo. // La miaserva, bella e sciocca, / l‘ho sentita esclamare: «Signorino / ora co-me ora è meglio del cielo!».

[III]Già che sei a casa in visita, / entrambi allegri facciamo baldoria. / Oranon ti disturba la trombetta; / mangia pure con calma. // Il brodonon è cotto nella marmitta, / la carne non è cavallo, ma è vacca; /mangia che dev’essere squisita, / perché l’ha cucinata la serva. // Oradevi dimenticare la pagnotta, / almeno in parte, se non totalmente: /mangia, che sono tutte cose sane. // E il bicchiere bevilo tutto, / per-ché se torni di nuovo in continente / non ne trovi simili fontane.

[IV]Tra parentesi però un difetto / ho visto fra le tue virtù, / ed è cheda quando sei venuto / non hai detto una parola corretta. // Haiabbandonato il tuo dialetto, / con vari linguaggi sei condito. / Glisciocchi ti credono istruito, / ma tu hai un grave male nell’intellet-to. // Imprechi come un marrano, / quando devi dire ahi dici ohi:/ non metti assieme due parole. // Ora che parli solo italiano / an-che a tuo fratello dici: «Voi, / sardo molente, non capisci miga!».

[V]E ti arrabatti a raccontare bugie, / e del tuo male non ti accorgi. /Dici che hai fidanzate a migliaia, / tutte contesse, però sono modi-ste, // e sartine ignobili e tristi, / che non si sa di chi siano figlie; /forse desideri amore vero: / ecco tutte le tue conquiste! // I tonti lifreghi da soli – / siccome in fondo in fondo sei furbo – / gli filicorda dicendo che è lana. // Ad uno hai raccontato che il Re / ognisera, nel passeggio pubblico, / ti regala sigari Avana!!!

[VI]E si dice che hai partecipato ad attacchi e duelli, / «di certe damefatto paladino», / innalzato a fama di spadaccino, / dici di aver uc-ciso quattro colonnelli. // Bada non siano quattro botti / di vinoche devi aver prosciugato, / perché da piccolo in cantina / vivevi imomenti più belli. // Agli stolti mostri un neo, / e gli fai credere,con gli inganni, / che è la ferita di una daga straniera! // Sono se-gni di una caduta, caro mio, / di quando avevi tredici anni; / fruttodi una solenne ubriacatura.

[VII]I versi non ti causino dolore, / tocca il bicchiere, e beviamo il vino./ Fai sì che a me dentro al petto / oggi ritorni l’antico buonumore.// Evviva! La bandiera tricolore / ti assista, a fronte alta nel cammi-no / della virtù, continua; il destino / ti auguro che ti sia favorevo-le. // Sei giovane, sano, nerboruto e forte; / difendi la Patria, unicamadre / che hai al mondo, bella e gentile. // Combatti, crepa! Nontemere la morte, / mai però a me giunga voce / che sei stato unsoldato vile.

SU SOCIALISTA A UNA BIGOTTA

[I]De cando ses cun sa cunfessione,non faeddes de Santos, bene meu:comente cheres chi mi ponza in Deuda chi ses tue sa tentazione?

5 Ma si abberu m’has affezione,beni e dami unu basu cun recreu;lassa sos santigheddos d’ozu seu,basa a mie, non bases su mattone.

Lassa sos Santos, faedda de affettu:10 chi finas cun su chelu so a prima

pro mesu ch’happo a tie intro su pettu.

Ma si falsu non est chi m’has istima, pagu seguru tenzo custu lettu,istuda sa candela, abarra firma.

[II]15 Bianca, non lu nego, ses bianca,

in biancura superas su lizu,però cando t’hant postu su battizut’hana fattu sa rughe a manu manca.

Tue giughes chelveddos de corranca, 20 t’hana postu su sale aizzu aizu

chi finas in su pubblicu passizucurres a musca che trau in sa tanca.

Giughes sa musca, però non t’abbizaschi ti faghet andare furiosa,

25 pro cussu faghes cussu passu istranu.

IN CONZILIATURAAttore e Conziliadore.

Attore Su testimonzu cherzo interrogaduchi rispundat a terminos de lè.A mie però mi paret chi vostè siat unu giuighe comporadu.

5 Conziliadore State zitto! Mi cherzo rispettadu,o su Procuradore de su Re,si ses mancante, ti torrat in sè;tando ’ides si falsu so istadu.

Attore Miret signor Giuigh’eo nd’iscrio,de custu, a su Pretore. Mi nde appello,

10 giustissia dimando: non perdono.

Conziliadore Questo non prallate, giudico io,stia zitto, se no condanno ad Ello,e poi vi faccio vedere cosa sono!

Tonara, 27 gennaio 1899.Peppino Mereu

POESIAS

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IN CONCILIATURAAttore e Conciliatore.

Attore – Voglio che il testimone interrogato / risponda a termini dilegge. / A me però sembra che vossignoria / sia un giudice com-prato. // Conciliatore – State zitto! Mi voglio rispettato, / o Procura-tore del Re, / se sei fuor di senno ti riporta in te; / allora vedi sefalso son stato. // Attore – Guardi signor Giudice io ne scrivo, / diquesto, al pretore. Mi appello, / domando giustizia: non perdono.// Conciliatore – Di questo non parlate, giudico io, / stia zitto, seno la condanno, / e poi vi faccio vedere chi sono io!

ANIMA NIEDDA

Omine venale, tristu e vile,de cantos peccados has esser reu,tue giughes de Giudas su fachile.

E dogni die nd’ingullis a Deu,5 est chi Deus est mortu dae ora

si no, nde l’haias ingullidu intreu. Adamu l’hat tentadu sa colora,

o puru su dimoniu o su serpente,a tie una grassa servidora:

10 una chi nd’has ispudoradamentefatta padrona de segretas giaes dende su malu esempiu a sa zente.

Prima fis un’iscurzu e a pês graes, como chi ses bestidu ’e santidade

15 colas comente sas atteras aes.Non vives si non b’hat mortalidade,

prestas dinares su chentu pro chentu: custas si narant bellas caridades.

De onore non tenes sentimentu,20 si sonat de agonia una campana

ti faghes lastimosu e ses cuntentu.Faghes s’anzone e ti ’estis de lana

pro respirare s’aera serenama sutta de s’ipocrita suttana

25 fintu ses unu lupu, una ienachi pregas mortes, pestes e promissas campende subra s’isventura anzena.

Amigu de maccacas priorissas no nde disizas de bonos buccones:

30 criat sa pudda e tue naras missas.Dae sos bovos e basa mattones

non ti mancan sas puddas in padedda, in s’ispidu crabittos e anzones.

Narami it’est su chi tottu disizas,beni a mie, non istes birgonzosaca su chi chircas tue l’happo in manu.

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IL SOCIALISTA A UNA BIGOTTA

[I] Basta con la confessione, / non parlare di Santi, bene mio: / comevuoi che mi accosti a Dio / quando sei tu la tentazione? // Ma sedavvero provi affetto per me, / vieni e dammi un bacio con piacere;/ lascia i santini d’olio di sego, / bacia me, non baciare il mattone. //Lascia i Santi, parla d’affetto: / che anche col cielo sono in discordia/ per il fatto che ho te nel cuore. // Ma se non è falso che mi ami, /trovo poco sicuro questo letto, / spegni la candela, resta ferma.

[II]Bianca, non lo nego, sei bianca, / in biancore superi il giglio, / pe-rò quando t’hanno battezzata / ti hanno fatto la croce con la sini-stra. // Hai il cervello di una cornacchia, / ti hanno messo il saleappena appena, / così che perfino nel passeggio pubblico / corrinervosamente come il toro nella chiusa. // Hai l’assillo, però nont’accorgi / che ti fa diventare furiosa, / perciò fai quel passo strano.// Dimmi cos’è che vuoi, / vieni a me, non essere vergognosa /perché ciò che tu cerchi ce l’ho in mano.

Pro cussu andas cadredda cadredda 35 ca ses vivende cun sa trassa mala,

faccia de fune, anima niedda.Cristos est mortu cun sa rughe a pala,

hat preigadu isculzu in su desertu:tue non cantas si non b’hat isciala.

40 Si morit gente ricca, cussa est certuchi l’accumpagnas a sa sepolturaispramadu cantende bucc’abertu.

E pro su poverittu no has curade l’intonare suave unu cantu,

45 nde l’interras gasie a fuidura.A narrer da chi ses in campu santu

cun zente morta pienende caffosnon ti mudat sa faccia in su piantu.

Sa carotta chi giughes senza baffos50 dae comente manna e brutta l’hasa

est digna de sas ficcas e de ciaffos.Su chi nâs oe lu dennegas crasa,

naras a dare pane a su meschinu,tenes trigu a muntone e non nde dasa,

55 vile basa mattone e assassinu.

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ANIMA NERA

Uomo venale, triste e vile, / di quanti peccati sarai reo, / tu hai lamaschera di Giuda. // E ogni giorno ingoi Dio, / è che Dio è mortoda tanto, / se no l’avresti ingoiato intero. // Adamo l’ha tentato labiscia, / oppure il demonio o il serpente, / a te una grassa serva: //una che hai spudoratamente / reso padrona di chiavi segrete, / dan-do il cattivo esempio alla gente. // Prima eri scalzo e coi piedi pe-santi, / ora che sei vestito di santità / passi come gli altri avvoltoi. //Non vivi se non c’è mortalità, / presti denaro al cento per cento: /queste si chiamano belle carità. // Non hai il senso dell’onore, / sel’agonia suona una campana / ti mostri compassionevole e sei con-tento. // Fai l’agnello e ti vesti di lana / per respirare l’aria serena /ma sotto l’ipocrita sottana // finto, sei un lupo, una iena / che pregamorti, pestilenze e promesse, / campando sulla sventura del prossi-mo. // Sei amico di sciocche priore / certo non desideri buoni boc-coni: / la gallina fa l’uovo e tu dici messa. // Dagli sciocchi e bacia-mattoni / non ti mancano le galline in pentola, / nello spiedocapretti e agnelli. // Per quello cammini agitandoti / perché stai vi-vendo con male trame, / faccia da forca, anima nera. // Cristo èmorto con la croce in spalla, / ha predicato scalzo nel deserto: / tunon canti se non c’è scialo. // Se muore gente ricca, quella è certo /che l’accompagni alla sepoltura / cantando sguaiato a squarciagola.// E per il poveraccio non ti curi / d’intonare un soave canto, / loseppellisci così, di fretta. // A dire che quando sei nel camposanto /riempiendo fosse con gente morta / l’espressione non ti muta nelpianto. // La maschera che porti senza baffi / da quanto l’hai gran-de e brutta / è degna di fiche e schiaffi. // Quel che dici oggi lo rin-neghi domani, / dici di dare pane al povero, / hai grano a mucchi enon ne dai, / vile bacia-mattoni e assassino.

A SU TIANESU

Prîte mi naras chi non so de notu,chi non connosco chi ses tianesu?Una ’olta una ’entre m’hazis cottu,b’happo accatadu unu pettine in mesu.

5 Benit Curreli e nde fuliat tottu,sas boghes s’intendian dae tesu.Peppeddu Noli e Chiccangelu Puddus’hana pappadu fina su cruccuddu.

TURMENTOS

Donosu rosignolu,non cantes sutta sa ventana mia,lassami istare solu unu momentu ca benit s’istria;

5 custu est logu de dolu,de iscunfortu e de malinconia,custu est logu de pena indigna ’e s’amorosa cantilena.

Passadas sun sas dies10 chi mi ponias su coro in regiru,

tue cantas e riese tenes pro risposta unu sospiru.Bentos frittos e niesm’han leadu de vida su respiru.

15 Su canticu suavesuspende unu momentu, s’ora est grave.

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TORMENTI

Grazioso usignolo, / non cantare sotto la mia finestra, / lasciamistar solo / un momento, perché viene il gufo; / questo è un luogodi dolore, / di sconforto e di malinconia, / questo è un luogo dipena / indegno dell’amorosa cantilena. // Sono passati i giorni / incui mi mettevi il cuore in tumulto, / tu canti e ridi / e ricevi in ri-sposta un sospiro. / Venti freddi e nevi / mi hanno portato via il vi-tale respiro. / Il canto soave / sospendi un momento, l’ora è grave.

AL TIANESE

Perché mi dici che non sono fisionomista, / che non riconosco chesei tianese? / Una volta un ventre m’avete cotto, / ci ho trovato unpettine in mezzo. / Viene Curreli e butta tutto, / le grida si sentiva-no da lontano. / Peppeddu Noli e Chiccangelu Puddu / si sonmangiati anche la crocchia.

UNU BANDU

Bandidore «Si ’ettat custu bandu: s’esattorecheret pagada sa segunda rata».

Peppa «Ancu li potat benner su puntore».Bandidore «A chie cheret pische de iscatta,

5 Marianna a tres soddos sa libbra». «Su rettoreoe zertu non mandigat patata».

Arremunda «Ancu li pighet dolores de mattachi non fazzat a tempus su dottore».

Bandidore «Bandene a prazz’ ’e maistu Onoratu10 a chie cheret petta ’e craba grassa,

a tres soddos sa libbra nd’hanta fattu.

Binu nieddu dulche che pabassa,a domo de Pissente, est a barattu».

Chicchedda «Occannu cherzo morrer conc’a tassa».

S’ISVEGLIA

Cando intendo su tou ticchi-taccami toccat a discurrere e pensare chi no isco comente ti pagarecomente so a dolore ’e busciacca.

5 Tue ti ballas, pares una macca,non mi lassas ne mancu riposaree paret ti nde cherzas buffonarede narrer a su mere: «Crepa e zacca».

Porca balla, accidente a Bonomi,10 non meritades s’assoluzione

ca manna m’azis fatta sa piaga.

Poveru ispiantadu, bae e dromicun cuss’isveglia de precisionechi cun su ticchi-tacca ti nât: «Paga».

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LA SVEGLIA

Quando sento il tuo tic-tac / mi tocca discorrere e pensare / chenon so come pagarti / per come mi duole la tasca. // Tu te la balli,sembri una matta, / non mi lasci neppure riposare / e sembra cheti voglia beffare / del padrone dicendogli: «Crepa e insacca». // Por-ca balla, accidenti a Bonomi, / non meritate l’assoluzione / perchémi avete causato una grande piaga. // Povero spiantato, va’ e dor-mi / con quella sveglia di precisione / che col tic-tac ti dice: «Paga».

UN BANDO

Banditore – «Si proclama questo bando: l’esattore / vuole che sipaghi la seconda rata». / Peppa – «Che gli possa venire un malore»./ Banditore – «Per chi vuole muggini, // a tre soldi la libbra». Ma-rianna – «Il rettore / oggi certamente non mangia patate». / Arre-munda – «Che gli vengano i dolori di pancia / e che non arrivi intempo il dottore». // Banditore – «Vadano in piazza di mastro Ono-rato / chi vuole carne di capre grassa, / l’hanno messa a tre soldi lalibbra. // Vino nero dolce come l’uva passa, / a casa di Pissente, èa buon prezzo». / Chicchedda – «Quest’anno voglio morire davantial bicchiere».

MINCA MACCACA

Minca maccaca, funesta e fatale,tue est chi m’has giuttu a su casinu,tue est chi m’has trazadu a s’ispidale

solu pro m’iscazzare unu pappinu. 5 Pro cantu t’happ’a giughere appiccada

non piùs has a andare a s’affainu.Una ’olta l’has fatta s’acconcada

intrada ti nde sese in d’unu buccue bessida nde sese allusinzada.

10 Oe ses sa funtana ’e su muccu,de testa ses istada pagu azzetta,creias chi su cunnu fiat succu.

No bi penses piùs in sa faldetta,de como in pois benis proibida

15 pro finas de ti fagher sa pugnetta.Pro t’esser un’istante divertida

già mi l’has arrangiadu su fiancu:m’has giuttu a sos istremos de sa vida,

in prus m’has fattu ispender unu francu20 pro unu buccu puzzolente e feu:

gustosu fesset istau assumancu!Da chi non connoschias cussu impreu,

proite ses intrada in tale tanaa ruinare su fisicu meu?

25 E si non fist’istada macca e vana,narzende in cortesia e in politica, ancora fisti istada frisca e sana.

Oe ses ispilida e sifilitica,finas sos cazzos de sette unu soddu

30 ti narant male e ti faghent sa critica.De cando fisti cun su cunnu a coddu,

minca, pro non dare attenzionesu latte cunvertidu s’est in gioddu.

SU CANARINU DE SU RETTORE[5]

Su burriccu chi tenet su rettorenon meritat sa fama de molente,est a corrinos che un’accidente,invidio su sou bonumore.

5 Cantende su manzanu in “la maggiore”no est nudda a su mere differente, parent bessidos de tott’una brente, differenziant solu in su colore.

Tott’un’idea e differente lana:10 unu a sa mola, s’atteru a sa missa.

In ue b’hat paghe ponent avvolottu,

ma si su pegus giughiat suttanapiùs d’una tabaccona priorissadiat a narrer: «Custu sì ch’est dottu!».

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IL CANARINO DEL PARROCO

L’asino che ha il parroco / non merita la fama di asino, / raglia co-me un accidente, / invidio il suo buonumore. // Cantando al matti-no in “la maggiore” / in niente dal padrone è differente, / sembrasiano usciti dallo stesso ventre, / differiscono solo nel colore. //Stesse idee e diversa lana: / uno alla macina, l’altro a messa. / Do-ve c’è pace creano scompiglio, // ma se la bestia avesse la sottana/ più di una priora tabaccona / direbbe: «Questo sì che è dotto!».

[5. Si veda in proposito, per comprendere meglio la metafora, l’accezio-ne secondaria del lemma data da P. Casu, Vocabolario sardo logudore-se-italiano, a cura di G. Paulis, Nuoro, ISRE-Ilisso, 2002, s.v. canàriu:«Canarino ... canariu de istalla = ‘il somaro’. Di un cantore cane si dice:pared unu canariu de istalla raglia come un somaro».]

T’hasa abbrazzadu s’iscolazione35 e atteru non faghes, minca fea,

che iscolare, isporcare cotone.Si a coberrer ti torrat s’idea

pro comente m’has como iscramentadu,ti ponzo de cannau una trobea.

40 Medas boltas t’haia prezettadu,minca, de non ferrere a s’intaccu: tue a s’intaccu has tiradu e l’has ciappadu.

De ti giugher gasie so istraccuchi m’has privadu de buffare mustu,

45 non cheres mancu chi fume tabaccu.Pro ti leare mes’ora ’e gustu

ti ses bettada che musc’a sa zega,sa testa in d’una barza t’has’infustu.

Ses a tempus ancora, pianghe e prega 50 e faghe votu a sa chirurgia

si no nde perdes tottu sa buttega.Eo ti cherzo senza maladia

a su nessi pro podere esclamarea sas bajanas bellas: «Minca mia».

55 E tue si cheres cun megus restare,pro finas chi ti passet cuss’isfogu, cun su cunnu non torres a brigarechi sa pest’est timida in ogni logu.

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MINCHIA STOLTA

Minchia stolta, funesta e fatale, / tu mi hai portato al casino, / tu mihai trascinato in ospedale // solo per scacciarmi un prurito. / Perquanto ti porterò appesa / non andrai più alla cieca. // Una volta l’haifatta la pazzia, / sei entrata in un buco / e ne sei uscita accesa. //Oggi sei la fontana del muco, / di testa sei stata inammissibile, / cre-devi che la fica fosse semolino. // Non pensare più alla gonna, / daora in poi ti è proibito / anche di farti una sega. // Per esserti unistante divertita / mi hai sistemato per bene: / mi hai condotto allostremo della vita, // in più mi hai fatto spendere una lira / per unbuco puzzolente e brutto: / almeno fosse stato appetitoso! // Dacchénon conoscevi quell’uso / perché sei entrata in una simile tana / arovinare il mio fisico? // E se non fossi stata stolta e vana, / parlandocortesemente e con diplomazia, / ancora saresti stata fresca e sana.// Oggi sei spelata e sifilitica, / anche i cazzi da quattro soldi / ti par-lano male e ti criticano. // Da quando avevi la fica al collo, / min-chia, per non fare attenzione, / il latte s’è trasformato in yogurt. // Tisei presa lo scolo / e altro non fai, minchia schifosa, / che scolare,sporcare cotone. // Se ti riviene l’idea di scopare, / per come ora so-no rimasto scottato, / ti lego con una pastoia di canapa. // Molte vol-te t’avevo ordinato, / minchia, di non arrivare all’intacco: / tu all’in-tacco hai mirato e l’hai beccato. // Di averti in questo stato sonostanco, / che mi hai privato di bere vino, / e neppure vuoi che fumitabacco. // Per prenderti mezzora di piacere / ti sei buttata alla ciecacome una mosca, / ti sei bagnata la testa in una vasca. // Sei ancorain tempo, piangi e prega / e fai voto alla chirurgia / se no perdi tuttala bottega. // Io ti voglio senza malattia, / almeno per poter esclama-re / alle belle ragazze: «Minchia mia». // E tu se con me vuoi restare,/ finché non ti passa quello sfogo, / con la fica un’altra volta non liti-gare, / perché la peste è temuta in ogni luogo.

e a pês meos sa Sardigna interaoe est benida a mi fagher’onore,avvenimentu dignu de sa gloria.

[III]Ite festa, ite paghe, ite armonia!

30 Orgogliosa so, no nde fia dignade saludare s’intera Sardignain sa modesta domighedda mia.

Barbagia, non dês narrer piùs tittia,beni puru a pedire carapigna;[6]

35 s’has frittu agatas calura benigna,gai m’hat fattu Alberto, bona e pia.

Grazie a chie mi faghet tanta festa:nd’approfitto ’e sa bella circustanzia,saludo augurende amor’e paghe;

40 da una domo umile e modesta,cando bi hat amore e fratellanzia,s’alzad’un’incrollabile nuraghe.

[IV]Gai firmu in te su sentimentusiat de s’onestade e de s’amore,

45 o Sardigna, su pane cun sudorepappa e non ruas in avvilimentu.

Non timas mai s’astragadu bentunè a sas iras cunserves rancore.Oe so tottu risu e tottu amore,

50 oe su coro palpitat cuntentu.

ALBERTO LA MARMORA

[I]Tottus unidos, minores e mannos,avanzad’a innoghe a passu lentu:sa Punta Paulina in Gennargentucumprit su votu de settantott’annos.

5 Non bos fettan paura sos malannoschi podent causare nie e bentu.Sa prima preda de su fundamentuest bettada e lassade sos affannos.

Festa che custa non b’hat piùs bella,10 su momentu est solenne, s’ora est grave:

La Marmora est torradu a Bruncu Spina.

In santu Bastianu de Biellauna ’oghe dulzissima e soavegiammat da una losa: «Paolina».

[II]15 Paolina, cun boghe armoniosa

a fronte alta sullevat custu gridu:«O Alberto La Marmora, riposa,su votu chi has fattu ecco cumpridu;

dormi in paghe sos sognos de sa losa20 ch’affine connottu happo su nidu

de su cale nde fia bisonzosadae cando a innoghe ses benidu.

Zente povera, sì, però sincerahat versadu istillas de sudore

25 pro unu nidu a sa tua memoria,

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[6. ‘Sorbetto confezionato con la neve’ (cfr. DES, s.v. karapíña).]

Ti saludo e ti prego, eletta zente,d’Eolo non timas piùs su muilunè de s’astragadu hapas timòria:

fritti innoghe su chizu e riverente55 in custa pedra, suspiradu asilu,

saluda de Alberto sa memoria».

Tonara, 22 luglio 1900

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ALBERTO LA MARMORA

[I]Tutti uniti, piccoli e grandi, / avanzate fin qui a passo lento: / laPunta Paolina nel Gennargentu / scioglie il voto di settantotto anni.// Non vi facciano paura i malanni / che possono causare neve evento. / La prima pietra di fondazione / è stata messa e abbando-nate gli affanni. // Di questa non c’è festa più bella, / il momento èsolenne, l’ora è grave: / La Marmora è tornato al Bruncu Spina. //A San Sebastiano di Biella / una voce dolcissima e soave / chiamada una tomba: «Paolina».

[II]Paolina, con voce armoniosa / a fronte alta leva questo grido: / «OAlberto La Marmora, riposa, / il voto che hai fatto eccolo sciolto; //dormi in pace i sogni della tomba / perché finalmente il rifugio hoconosciuto / del quale ero bisognosa / da quando qui sei venuto.// Gente povera, sì, però sincera / ha versato stille di sudore / perun rifugio alla tua memoria, // e ai miei piedi la Sardegna intera /oggi è venuta a farmi onore, / avvenimento degno di gloria.

[III]Che festa, che pace, che armonia! / Sono orgogliosa, non ero de-gna / di salutare l’intera Sardegna / nella modesta casetta mia. //Barbagia, non dovrai dire più tittia, / vieni pure a chiedere la ca-rapigna; / se hai freddo troverai calore benigno, / così mi ha fattoAlberto, buona e pia. // Grazie a chi mi fa tanta festa: / approfittodella bella circostanza, / saluto augurando amore e pace; // da unacasa umile e modesta, / quando c’è amore e fratellanza, / s’innalzaun incrollabile nuraghe.

[IV]Così, in te saldo il sentimento / sia dell’onestà e dell’amore, / oSardegna, il pane con sudore / mangia e non cadere nell’avvili-mento. // Non temere mai il ghiacciato vento / e alle tempeste nonserbare rancore. / Oggi sono tutta riso e tutta amore, / oggi il cuo-re palpita contento. // Ti saluto e ti prego, eletta gente, / non te-mere più il mugghiare di Eolo, / e non avere timore del gelo: //abbassa qui lo sguardo e riverente / in questa pietra, sospirato asi-lo, / saluta la memoria di Alberto».

SIGNOR CIARLA A SU FIZU CIARLATANU

Sì, caro mio, sono stato in guerra, de maccarrones nd’happo bidu fumu,avevo freddo e mi corcavo in terra,allora non conoscevo neanche il rumu.

5 Cando le balle si chiamavan prumuspaccavano una zudda perra perra;e beneminde ballas dumu dumu,porcherie inventate in Inghilterra.

Io sì che ne ho visto di disastri10 reduidu a peus de una belva

pro fagher una e libera s’Italia;

adesso siete soldati giovinastricol sigaro e a braccetto d’una selvaa passeggio col bimbo e con la balia.

S’AMBULANTE TONARESU

Cun d’unu cadditteddu feu e lanzusa vida tua a istentu la trazas;da’una ’idda a s’attera viazas,faghes Pasca e Nadale in logu istranzu.

5 A caldu e frittu girende t’iscazaspro chimbe o ses iscudos de ’alanzu,dae s’incassu de sett’otto sonazaschi malamente pagant’unu pranzu.

Sempre ramingu senza tenner pasu,10 de una ’idda a s’attera t’ifferis

aboghinende inue tottu colas:

«Discos nobos pro fagher su casue chie leat truddas e tazerise palias de forru e de arzolas!».

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L’AMBULANTE TONARESE

Con un cavalluccio brutto e magro / trascini a stento la tua vita; /viaggi da un paese all’altro, / trascorri Pasqua e Natale in terra stra-niera. // Ti stanchi a girare col caldo e col freddo / per cinque osei scudi di guadagno, / dall’incasso di sette, otto sonagli / che ma-lamente pagano un pranzo. // Sempre ramingo, senza trovare ripo-so, / giungi da un paese all’altro / gridando ovunque tu passi: //«Recipienti nuovi per fare il formaggio / e chi compra mestoli e ta-glieri / e pale da forno e per l’aia!».

SIGNOR CIARLA AL FIGLIO CIARLATANO

Sì, caro mio, sono stato in guerra / ne ho visto fumo di macchero-ni! / avevo freddo e mi corcavo [‘coricavo’] in terra, / allora non co-noscevo neanche il rumu [‘rum’]. // Quando le balle [‘i proiettili’] sichiamavan piombo / spaccavano un pelo in due; / e altro cheproiettili dumu dumu [‘dum-dum’], / porcherie inventate in Inghil-terra. // Io sì che ne ho visto di disastri / ridotto peggio di una bel-va / per fare una e libera l’Italia; // adesso siete giovinastri, / col si-garo e a braccetto d’una selva [‘serva’] / a passeggio col bimbo econ la balia.

da circa diciassette a venti lire.Allora noi, predetti militari,

escludendo reato d’armate bande, 30 constatammo i fatti più chiari.

Risultò l’asino di un ingegno grandecon voce canora di gentil pennuto.Alle nostre incalzanti domande,

che prima riuscirono senza frutto,35 e dalle indagini praticate da noi,

risultò che l’asino era distrutto.Tant’è vero che da quel giorno in poi

altri non si vide in quella cintache un gruppo di corvi ed avvoltoi.

40 Noi, con perspicacia distinta,ricercando, ieri a mezzogiorno,ritrovammo la nota gamba quinta.

A prima vista ci sembrava un corno,con chiari segni di idrofoba beccata

45 mancante dei santissimi il contorno.Giova notare che fu rintracciata

tra levante e ponente, lì vicino,località selvaggia e malfamata;

l’abbiamo collocata in un cestino,50 ben sigillata perché non si scopra

col suo relativo cartellino.In vista di quanto detto sopra,

redigiamo il presente verbaleper allegarlo alle donne di Bitti

55 e per le orunesi copia uguale,e ci siamo intanto sottoscritticon riserva

Bertolini e Unale

PIAZZAFORTE DI ORUNE[7]

Noi sottoscritti, Unale brigadierecomandante la locale stazionee Bertolini carabiniere

rapportiamo a chi ha sempre ragione,5 che la mattina del sette corrente

presentavasi a noi un mascalzone,figlio di farabutto e delinquente,

dell’età giusta per essere impiccato,nativo di Orune e possidente.

10 Da costui ci venne denunciatoche il giorno prima, in un’ora incerta,gli fu dal salto un asino involato,

mentre trovavasi in campagna apertain regione detta «terra infame»,

15 località bruttissima e deserta.L’asino era nero di pelame,

con le orecchie lunghe mezzo metro,logoro dal lavoro e dalla fame;

era in uno stato più che tetro,20 tanto che camminava in pochi casi

col muso avanti e con la coda dietro.Per farci maggiormente persuasi

il derubato, insomma, ci ebbe a direche esso aveva cinque gambe o quasi

25 e che in tutto egli ebbe a subireun danno calcolabile in danari

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[7. T, a p. 22, aggiunge in testa alla poesia questa informazione: «Verba-le comico che Peppino Mereu ha fatto quando era carabiniere al suocollega Eugenio Unale – senza data – indicato però “l’anno della fa-me”». In calce si legge, appunto, «PIAZZA FORTE DI ORUNE Anno del-la fame». La fonte da cui il componimento sarebbe stato tratto è taciuta,quindi non si capisce dove tali dettagli siano “indicati”.]

SIGNORA MAESTRA

Signora maestra,per scriver minestra no isco si cheret emma maiuscola.[8]

Che bella domanda!5 minestra e bibanda[9]

scrivetelo con lettera minuscola.Prendetevi il gesso.Maestra, permessoche vado al cesso.Sedetevi adesso.

10 Bambine mie, date attenzioneche parliam di minestra e minestrone.Attente, guardate:minestra, patate,fagioli, insalate,

15 così caffè-latteson nomi comuni e quindi sidevono scrivere sempre così.Per scrivere cavoli,che furia che diavoli,

20 andate all’inferno!Prendete il quaderno,la penna, il calamaio ecceterae preparatevi a scrivere una lettera.Non fate bordello,

25 facciamo l’appello:Francesca Serpente:Presente.Giuseppa Pignata:Ammalata.

CUNFESSENDE

Cunfessore Credere in sognos non permittit Deuca est gravissimu peccau mortale.

Penitente Mi so bisadu, su rettore meu,nânchi l’haian fattu cardinale,

5 cretidu l’happo e mi nde fatto reuca su sognu m’est parfidu reale.

Cunfessore Cando passat in mente nettu e giarusu sognu est un’avvisu, o fizu caru.

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CONFESSANDO

Confessore – Di credere nei sogni non permette Dio / perché è ungravissimo peccato mortale. / Penitente – Ho sognato, parroco mio, /che l’avevano fatta cardinale, / l’ho creduto e mi riconosco reo, / per-ché il sogno mi è sembrato reale. / Confessore – Quando passa nellamente netto e chiaro / il sogno è un avvertimento, o figlio caro.

[8. «Non so se ci vuole emme maiuscola».][9. «Bevanda».]

LITANIAS MAGGIORES

O comare Maria,bos presumides bella,a mie mi parides un’istria.

O comare Zuanna,5 abberide sa ’ucca,

già l’ischimos ca sezis denti manna.O comare Teresa,

sezis fuende a muscacomo in su fiore ’e sa ’ezzesa.

10 O comare Tattana,e prîte non penzadeschi sezis isciancada e pili cana?

O comare Michela,non l’incontrades piusu

15 mancari lu chircades a candela.O comare Franzisca,

non pianghides s’assugià chi bi l’hazis giogadu a sa brisca.

O comare Antioga,20 già ch’in manu l’haizis,

proite non l’hazis bettadu sa soga?O comare Luisa,

infiladebos s’aguch’hazis istrappada sa camisa.

25 O comare Cecilia,faghides artes malasca las hant fattas tottu sa familia.

O comareddas mias,imparade a memoria

30 e rezitade custas litaniaspro lograre su regnu ’e sa gloria.

30 Gavina Pibiu:A su riu.[10]

Luciana Gasparra:A sa giarra.[11]

Marianna Frisciola:35 Cussa na’ chi non torrat a iscola.[12]

La madre l’ha detto anche nel fornoche la maestra non capisce un cornoe piùs de issa nd’ischit sa pizzinnae dae cussu l’hat mandada a linna.[13]

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[10. «Al fiume».][11. «Alla ghiaia».][12. «Quella pare che non torni a scuola».][13. «E più di lei ne sa la la bambina / e così l’ha mandata a far legna».]

A UNA VIOLETTA SICCA

Indunu libru chi oe fia leggendeuna viola sicc’happ’incontradu,e istadu so un’ora cuntemplende

cussas fozas, confusu e incantadu:5 e pensad’happo induna trista istoria

chi cussa mammolett’hat inserradu.Pustis chi rinnovadu a sa memoria

happ’una vida trista, cun dolore,dad’happ’a su piantu sa vittoria.

10 De lagrimas bagnad’happo su fiore:«Nara, t’ammentas, nara», l’appo nadu,«de cando fist in sinu de s’amore?

Ite nd’has fattu de su sinu amadu?Naram’ite nd’has fattu de su sinu

15 in su cale ridente ses istadu?».Violetta donosa, su jardinu,

in su cal’unu die fioriast,reduid’est a miseru camminu!

Cando suav’e umil’isparghiast 20 cuddu profumu gratu e dilicadu,

forsis de t’olvidare non crediast!Narami tottu, coment’est istadu:

ite nd’has fattu de s’anzone mia,prit’est chi t’hat inoghe abbandonadu?

25 Tue pur’has suffrid’un’ingannìa,ses istada bestida ’e sentimentu:zessada t’est sa festa e’ s’allegria!

E narrer c’has proadu ogni cuntentu,senza connoscher sa minima pena,

30 in sinu sou, parada in assentu!Como t’hat olvidadu cuss’Elèna:

suffri; dogniunu est suggett’a suffrire,

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LITANIE MAGGIORI

O comare Maria, / vi credete bella, / a me sembrate una strega. //O comare Giovanna, / aprite la bocca, / tanto lo sappiamo cheavete i denti grandi. // O comare Teresa, / vi state “agitando” / oranel fiore della vecchiaia. // O comare Tattana, / perché non pensa-te / che siete sciancata e coi capelli bianchi? // O comare Michela,/ non lo trovate più, / anche se lo cercate con la candela. // O co-mare Franzisca, / non rimpiangete l’asso, / che ve lo siete giocatoalla briscola. // O comare Antioga, / già che l’avevate in mano, /perché non gli avete messo il cappio? // O comare Luisa, / infilate-vi l’ago / che avete strappata la camicia. // O comare Cecilia, / pra-ticate le male-arti / perché le ha praticate tutta la famiglia. // O co-marelle mie, / imparate a memoria / e recitate queste litanie / perguadagnare il regno della gloria.

SAS GIARRETTIERAS

Stanotte Signor Ciarla nd’hat nad’una cherfende faeddare italianu:fit’in terrazzu godinde sa lunain cumpagnia de unu toscanu.

5 Ecco de unu bottu, tott’in d’una,s’intendet unu canticu lontanu,un’armonia de boghes non comuna, trillos de puzoneddu in su beranu.

«Mi dica un po’, Signor, vorrei sapere10 sto canto che si sente è una chitarra

o qualche coro che canta una canzone?».

«Quelle lì son le donne giarrettiere, cantano, poverine, ma la giarraè a sessanta centesimi il montone».

para su piantu, sas lagrìmas frena,e giurami chi non torras a naschire.

Giuseppe MereuTonara

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A UNA VIOLETTA SECCA

In un libro che oggi stavo leggendo / una viola secca ho trovato, /e son rimasto un’ora a contemplare // quelle foglie, confuso e in-cantato: / ed ho pensato a una triste storia / che quella mammolettaha serbato. // Dopo che rinnovato alla memoria / ho una vita triste,con dolore, / ho dato al pianto la vittoria. // Ho bagnato di lacrimeil fiore: / «Dì, ti ricordi, dì», gli ho detto, / «di quando eri in seno al-l’amore? // Che ne hai fatto del seno amato? / Dimmi, che hai fattodel seno / nel quale sorridente sei stato?». // Violetta graziosa, ilgiardino, / nel quale un giorno fiorivi, / è ridotto a una misera stra-da! // Quando soave e umile diffondevi / quel profumo grato e de-licato, / forse non credevi d’esser stata dimenticata! // Dimmi tutto,come è stato: / cosa ne hai fatto del mio agnello, / perché ti ha quiabbandonato? // Anche tu hai subito un inganno, / sei stata amman-tata di sentimento: / per te è cessata la festa e l’allegria! // E direche hai provato ogni gioia, / senza conoscere la minima pena, / nelsuo seno, adagiata con grazia! // Ora ti ha dimenticata quell’Elena: /soffri, ognuno è soggetto a soffrire, / cessa il pianto, frena le lacri-me, / e giurami che non ritornerai a fiorire.

LE GIARRETTIERE

Stanotte Signor Ciarla ne ha detta una / cercando di parlare in italia-no: / era sul terrazzo, godendosi la luna / in compagnia di un tosca-no. // Ecco d’un botto, all’improvviso, / si sente un canto lontano, /un’armonia di voci non comune, / trilli d’uccelletto a primavera. //«Mi dica un po’, Signor, vorrei sapere / sto canto che si sente è unachitarra / o qualche coro che canta una canzone?». // «Quelle lì son ledonne giarrettiere [‘che trasportano la ghiaia’], / cantano, poverine,ma la giarra [‘ghiaia’] / è a sessanta centesimi il montone [‘mucchio’]».

SERENADA

Aiz’aiz’arrustidatue ses modde bistecca,tue ses pro me busecca,sa piùs bene cundida,

5 ses taccula saborida,mustarda grassa e purpuda,ses una gioga minuda,un’iscarzoffa, un’olia,una vera trattalia

10 pro fagher buffare mustu.Cosa piùs bella ’e custunon nde poto desizare.

Pensa, bella, a t’ingrassare,dormi tranquilla e cuntenta,

15 faghe sognos de pulenta,de basolu e de patata.Custa bella serenatal’hat fatta s’amante tou;amadu caffè cun ou,

20 pensa de ti riposare.

OTTAVA

Cando deo happ’a esser cantadore,già no had’a esister pius lè…:tando tue has a bider a su Rein Sardigna faghinde su pastore;

5 cando deo happ’a esser mussegnorecunfirmende sas fizas de vostè,tando su prinzipe had’a esser porcarzuei su Paba in Roma mulinarzu.

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OTTAVA

Quando sarò improvvisatore, / già non esisterà più legge…: / allo-ra tu vedrai il Re, / in Sardegna fare il pastore; / quando sarò mon-signore / cresimando le figlie di Vossignoria, / allora il principe sa-rà porcaro / e il Papa a Roma mugnaio.

SERENATA

Appena appena arrostita / tu sei una tenera bistecca, / tu per mesei trippa / la meglio condita, // sei una taccola saporita, / mostar-da grassa e polposa, / sei una lumachina, / un carciofo, un’oliva, /una vera frattaglia / per far bere vino. / Cosa più bella di questa /non ne posso desiderare. // Pensa bella a ingrassare, / dormi tran-quilla e contenta, / fai sogni di polenta, / di fagioli e di patate. /Questa bella serenata / l’ha fatta il tuo amante; / amato caffè conl’uovo / pensa a riposarti.

RISPOSTA AMOROSA

Signor cavaliere,eccomi a cumprire su doverede giovane educada.Altamente onorada

5 resto de sa proposta,ma sa mia risposta,o caro signor, do:francamente est chi no.Lei lo sa che sono pastorella,

10 tottu canta sa mia parentella,dae me consultada in custu casu,si nd’hat formadu tres palmos de nasu;dae su prùs mannu a su piùs minore,non nde tenzat dolore,

15 cun tres palmos de ’ucca,hana gridadu: «Zucca!».

E fattu m’hant cumprender ca so fea,appartenente a sa classe plebeasenza fioccos e pumas de moda

20 e lei è spasimante pro sa doda.Cavaliere carissimo, capita;a mie deghet unu cun berritta.Abbrazzare una rugh’est grave pesu;si fatto cussu, a su chi happo intesu

25 mi giamant Signora crucifissa.Menzus sa vida de sa pastorissa.

Sa nobilìa non m’andat a grabbue a la narrer giara, mamma e babbupro custu sunt che tiaulu e dimoniu:

30 trattendeli de custu matrimoniuest su matessi a lis dare sa china.

PROPOSTA AMOROSA

O gentile donzella,lei, de custu coro mia stella,bella, brillante, graziosa e pura,in notte tenebrosa, oscura,

5 pro me paret chi siat apparida,de amorosu risu fiorida,a mi narrer: «Amadu meu, ispera».Si pro me in s’aeraest beru chi esistit tantu raggiu,

10 non mi trunchet in coro su coraggiuma issu alimentet sa fiamma.O signorina senta,si fostè nd’est cuntenta,pro fagher sa domanda benit mamma:

15 seria est sa proposta,sia gentile de una risposta.Non so de razza ignobile,so cavalieri nobile,giovanu galu so e s’idealemeu est fostè, l’adoro.

20 Su lumen’e su corol’intrego, si mi narat ch’est realesu sognu ch’in sa mentem’est persighinde continuamente.Duncas già m’hat cumpresu

25 chi unu fogu in sinu l’happo azzesue chi so pro fostè ispasimante.Si no est digna de m’essere amantemi rispundat luego a s’indirizzu:signor cavalier Fromigadizzu.

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Fostè si chirchet una signorinabella e graziosa in sa presenziae li resessat de cunvenienzia:

35 si pro casu b’hat neu in cussu cojuno est delittu su serrare un’oju.

Fromigadizzo caro,col massimo rispetto mi dichiarode fostè devotissima s’amiga:

40 pastorella Maria Cruccuriga.

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PROPOSTA AMOROSA

O gentile donzella, / lei, di questo cuore mia stella, / bella, brillan-te, graziosa e pura, / nella notte tenebrosa, oscura, / sembra sia ap-parsa per me, / fiorita di un riso amorevole, / a dirmi: «Amato mio,spera». / Se per me nel cielo / è vero che esiste tale raggio, / nonmi spezzi nel cuore il coraggio / ma esso alimenti la fiamma. / Osignorina, senta, / se Vossignoria ne è contenta, / per fare la do-manda viene mamma: / seria è la proposta, / sia gentile, mi diauna risposta. / Non sono di razza ignobile, / sono un cavaliere no-bile, / sono ancora giovane e l’ideale / mio è Vossignoria, la adoro./ Il nome e il cuore / le affido, se mi dice che è reale / il sognoche nella mente / mi sta perseguitando continuamente. / Dunquegià ha capito / che un fuoco in petto l’ho acceso / e che spasimoper Vossignoria. / Se non è degna di essermi amante / mi rispondapresto all’indirizzo: / signor cavalier Fromigadizzu.

RISPOSTA AMOROSA

Signor cavaliere, / eccomi a compiere il dovere / di giovane educa-ta. / Altamente onorata / sono della proposta / ma la mia risposta /o caro signore, do: / francamente è no. / Lei lo sa che sono pasto-rella / tutta quanta la mia parentela, / da me consultata in questocaso, / ha fatto tre palmi di naso; / dal più grande al minore, / nonne abbia dolore, / con tre palmi di bocca, / hanno gridato: «Zuc-ca!». // E mi hanno fatto capire che sono brutta / appartenente alla

classe plebea / senza fiocchi e piume alla moda / e lei è spasiman-te per la dote. / Cavaliere carissimo, capita; / a me si addice unocon la berretta. / Abbracciare una croce è un grave peso; / se fac-cio quello, a quel che ho sentito, / mi chiamano Signora crocefissa./ Meglio la vita della pastorella. // La nobiltà non mi va a genio / ea dirla chiara, mamma e babbo / per questo sono come il diavoloe il demonio: / parlargli di questo matrimonio / è lo stesso che dar-gli la china. / Vossignoria si cerchi una signorina / bella e graziosanella presenza / e che le riesca conveniente: / se per caso c’è unneo in quel matrimonio / non è delitto chiudere un occhio. // Fro-migadizzo caro, / col massimo rispetto mi dichiaro / di Vossignoriadevotissima amica: / pastorella Maria Cruccuriga.

SU TESTAMENTU

Como chi so a lettu moribundumorzo tranquillu, serenu e cuntentu,però, prima chi lasse custu mundu,

cherz’iscrier su meu testamentu5 e dimando chi siat rispettadu

su disizu ’e s’ultimu momentu.Appena mi bidides ispiradu

inserrademi puru in battor taulas:deo non cherzo baule forradu.

10 E nessunu pro me ispendat paraulasin laudare, comente bi nd’hada,chi finzas in sa fossa narant faulas.

Sa sepoltura la cherzo iscavadaforas de su comunu campusantu:

15 meritat gai s’anima dannada.Non permitto s’ipocritu piantu

de benner a mi fagher cumpagnia,cando so sutta ’e su funebre mantu.

Però si b’hat persona cara e pia,20 semplicemente, senza pompa vana,

rezitet una santa avemaria.Muda s’istet sa funebre campana,

non permitto su cantu, nè su teu,de sa niedda ipocrita suttana.

25 Deo non so marranu e creo in Deuprîte m’han’imparadu a l’istimaredae minore mamma e babbu meu.

Però sos corvos los lasso bolarebestidos de terrena finzione,

30 manc’a mortu nde cherzo fentomare.E tantu in custa misera persone

b’hat pagu pulpa ’e faghere biccada,tenidebolla s’assoluzione.

IMBASCIADA

Bidinde chi cantende in altu bolas,ti prego de una grande cortesia:lea custas violase giughebilas a s’anzone mia.

5 Si est galu viventeconnoschet s’imbasciada prontamente.

Bae, rundine mia, e faghe lestra,mira chi deo isetto s’imbasciadadae custa finestra,

10 non bido s’ora de t’ ’ider torrada.Prestu ca cun affannos,sos minutos mi devent parrer annos.

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AMBASCIATA

Vedendo che cantando in alto voli, / ti prego di una grande corte-sia: / prendi queste viole / e portale al mio agnello. / Se è ancoravivente / riconoscerà l’ambasciata prontamente. // Va’, rondinellamia, e fai in fretta, / guarda che io aspetto l’ambasciata / da questafinestra, / non vedo l’ora di vederti ritornata. / Presto, perché congli affanni, / i minuti mi sembreranno anni.

deo cherz’esser su ’e sa cicuta,pro imbolare unu frastimu ebbia:

«Chie m’hat causadu custa rutta,vivat chent’annos, ma paralizzadu,

75 dae male caducu e dae gutta!».Custu frastimu est pesadu e pensadu

prîte ca morrer non devia ancora,comente morzo, de coro airadu.

Serpente vile, perfida colora80 fatt’hazis de prunizza avvelenada

una foresta in su regnu ’e Flora.E cando m’hazis bidu chenz’ispada,

viles, hazis tentu s’attrividadandemi sa funesta pugnalada.

85 E como, a sos istremos de sa vida,pro ricumpensa de s’attu villanubos do custa tremenda dispedida,Peppe Mereu bos toccat sa manu.

S’anima mia tant’est già purgada;35 pro su tantu patire hat meritadu

su chelu, si est beru chi bi nd’hada.Si pro casu unu paccu sigilladu

agatades, domando, pro favore,non siat su sigillu profanadu.

40 Cuntenet un’istoria de dolore:sunu litteras d’un’isfortunada,dulche poema d’unu veru amore.

Duos ritrattos puru inie b’hada:unu est de s’amorosa mamma mia,

45 fattu sa die chi l’hant sepultada;s’atteru est de s’anzone chi tenia

in coro, cun amore tantu forte,chi m’hat leadu vida e pizzinnia.

De cuss’amore nde tenzo sa morte,50 a’ s’ora de sa vida sa piùs bella.

Ah! Decretu fatale e dura sorte!Tue, in battor muros de una cella,

ses pianghende e preghende in segretu,pover’isconsolada verginella!

55 E deo moribundu so in lettu:……

No happo mortu, no happo furadu,morzo senza peccados birgonzosos,

60 perdono, non cherz’esser perdonadu.Deo perdono cuddos ischifosos

chi de su male meu hant fattu iscialacun sos libellos ignominiosos.

Perdono s’infamante limba mala,65 cudda chi de velenu m’hat bocchidu

tantu pro m’ ’ider cun sa rughe a pala.Perdono cuddos chi s’hant divididu

unu bicculu ’e pane chi teniaa s’ora chi m’hant bidu piùs famidu.

70 In mesu a tantos ramos de olia

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IL TESTAMENTO

Ora che sono a letto moribondo / muoio tranquillo, sereno e con-tento, / però, prima che lasci questo mondo, // voglio scrivere ilmio testamento / e chiedo che sia rispettato / il desiderio dell’ultimomomento. // Appena mi vedete spirato, / chiudetemi pure in quat-tro tavole: / io non voglio baule foderato. // E nessuno per mespenda parole / nel lodarmi, come ce ne sono, / che perfino nellafossa dicono bugie. // La sepoltura la voglio scavata / fuori del ci-mitero comune: / merita questo l’anima dannata. // Non permettoche l’ipocrita pianto / venga a farmi compagnia, / quando sarò sottoil funebre manto. // Però se c’è una persona cara e pia, / semplice-mente, senza pompa vana, / reciti una santa avemaria. // Taccia lafunebre campana, / non permetto il canto, né il lamento, / della ne-ra, ipocrita sottana. // Io non sono marrano e credo in Dio / perchémi hanno insegnato ad amarlo / da piccolo la madre e il padre mio.// Però i corvi li lascio volare / vestiti di terrena finzione, / neanche

[ANEPIGRAFA]

Cando chi a Tonarabrujadu has cust’incensucomunu, e casi de profumu ingratu,su ’inu de Atzara

5 t’hat leadu su sensu,e zeltu est chi no has bidu su c’has fattu.Partu de una menteinfelize, comente ses bennidu a su mundu? Ite baratu

10 fit su mustu a s’edadech’iscrittu has cussos versos caru frade!

P. Mereu, Assemini 22 marzo 1896

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da morto voglio sentirli nominare. // Tanto in questo misero corpo/ c’è poca polpa da beccare, / tenetevela l’assoluzione. // La miaanima tanto è già purgata; / per il tanto patire ha meritato / il cielo,se è vero che esiste. // Se per caso un pacco sigillato / trovate, chie-do, per favore, / che il sigillo non sia profanato. // Contiene unastoria di dolore: / sono lettere di una sfortunata, / dolce poema diun vero amore. // Ci sono anche due ritratti: / uno è della mia amo-revole madre, / fatto il giorno in cui l’hanno sepolta; // l’altro è del-l’agnello che avevo / nel cuore, con un amore così forte, / che miha sottratto vita e gioventù. // Da quell’amore trovo la morte, / nelmomento della vita più bella. / Ah! Decreto fatale e dura sorte! //Tu, fra quattro mura di una cella, / stai piangendo e pregando in se-greto, / povera sconsolata verginella. // Ed io sono moribondo nelletto / … / … // Non ho ucciso, non ho rubato, / muoio senza pec-cati vergognosi, / perdono, non voglio essere perdonato. // Io per-dono quegli schifosi / che hanno fatto scialo del mio male / coi li-belli ignominiosi. // Perdono l’infamante malalingua / quella checol veleno m’ha ucciso / solo per vedermi con la croce in spalla. //Perdono quelli che si sono spartiti / un tozzo di pane che avevo /nel momento in cui mi hanno visto più affamato. // In mezzo a tan-ti rami d’olivo / io voglio essere quello della cicuta, / per lanciareuna sola maledizione: // «Chi mi ha causato questa caduta, / vivacent’anni, ma paralizzato, / dal mal caduco e dalla gotta!». // Questamaledizione è meditata e pensata / perché non dovevo ancora mo-rire, / come muoio, col cuore colmo d’ira. // Serpente vile, perfidabiscia / avete fatto di prugnolo avvelenato / una foresta nel regnodi Flora. // E quando mi avete visto senza spada, / vili, avete avutol’ardire / infliggendomi la funesta pugnalata. // E ora, allo stremodella vita, / per ricompensa dell’atto villano / vi do questo tremen-do commiato, / Peppe Mereu vi stringe la mano.

Quando a Tonara / hai bruciato quest’incenso / comune, e quasi diprofumo sgradito, / il vino di Atzara / t’ha privato del senno, / ecerto è che non hai visto ciò che hai fatto. / Parto di una mente /infelice, come / sei venuto al mondo? Come costava poco / il vinoal tempo / in cui hai scritto quei versi, fratello caro!

A PEPPE CAPPAI

Bidu mi l’hazes a Peppe Cappaifaghinde barchiteddas de ’ortigu.Est unu geniu chi no happ’ ’idu maichi podet figurare s’inimigu.…

MAURU ZUCCA

Mauru Zucca est cun sa cubedda,a pipp’azzesa e a cadd’irfunadu,andat a caddu truvedda truveddae bidimus a Maur’issussiadu

5 e sa zente accurriat a chedda:«Gesù, Maria! Ite hat capitadu?Oe già si l’hat fatta sa pilucca!Chi est su mortu? Maureddu Zucca!».

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MAURO ZUCCA

Mauro Zucca è col tinozzo, / a pipa accesa e a cavallo sciolto, / vaa cavallo incitandolo ogni tanto / e vediamo Mauro buttato a terra/ e la gente accorreva a frotte: / «Gesù Maria! cos’è successo? / Og-gi se l’è fatta la parrucca! / Chi è morto? Maureddu Zucca!».

A PEPPE CAPPAI

Avete visto Peppe Cappai / fare barchettine di sughero. / È un ge-nio che non ho visto mai / che può raffigurare il nemico. / …

A UN’ILLUSA

Puzzi, perdeu cantu fea sese!Cun cussas laras tintas a mattoneei sa facci’a color’ ’e limone,a chie lu naras, ca bella ti crese?

5 Ojos e bucca cando rier desefaghent paura cun cumpassione.Cambi piluda che unu sirbone,cando camminas si brigant sos pese.

Ses a vintitres annos pili cana,10 simile non s’agattat visu feu,

petegolende pares una rana;

e isparghes profumu d’ozu seu.A su chi nadu hat carchi anziana,in te s’had’isfogadu s’ira Deu.

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A UN’ILLUSA

Per Dio, che schifo, quanto sei brutta! / Con quelle labbra color matto-ne / e la faccia color di limone, / a chi lo dici che ti credi bella? // Oc-chi e bocca quando ridi / fanno paura e compassione. / Con le gambepelose come un cinghiale, / quando cammini bisticciano i piedi. // Aventitré anni hai i capelli bianchi, / non si trova un viso così brutto, /spettegolando sembri una rana; // e diffondi profumo di olio di sego./ Per come ha detto qualche anziana, / in te ha sfogato l’ira Dio.

MUTTU

S’affannu, su dirgustu,sa pena, su dolore,tottu sas agonias…mi l’has happo addossadas,

5 pro istimare a tiema tue nudda sentis.

…S’affannu, su dirgustu…Had’a benner sa diech’abberu ti nde pentis

10 pro sas traitorìaschi faghes a s’amorede chie t’amat giustu,ma ti pentis de badas.

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MUTTU

L’affanno, il disgusto, / la pena, il dolore, / tutte le agonie… / me lesono addossate, / per amarti / ma tu non provi niente. // …L’affanno,il disgusto… / Verrà il giorno / in cui davvero te ne pentirai / per itradimenti / che fai all’amore / di chi ti ama, giusto, / ma ti pentiraiinutilmente.

ASPETTOS

De formas ses imperfettae a la narrer francamentenon ses nè pische nè petta.Sa faccia tua est pagnotta,

5 sa testa tua est de raba,tue ses corda ’e crabamesu crua e mesu cotta.Pro ti mandigare tottabi cheret unu leone;

10 faghes indigestione,a s’istogomo das pesu.Buffare su sal’inglesumi toccat si gusto a tie.Pro ti gustare gasie

15 cherzo morrer a dieta.

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ASPETTI

Di forme sei imperfetta / e a dirla francamente / non sei né carnené pesce. / La tua faccia è una pagnotta, / la tua testa è di rapa, /tu sei corda di capra / mezzo cruda e mezzo cotta. / Per mangiartitutta / ci vuole un leone; / causi indigestione, / appesantisci lo sto-maco. / Bere il sale inglese / mi tocca se ti assaggio. / Per gustarticosì / voglio morire a dieta.

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NOTAS

Moribunda1. (p. 116). Ingranzeu – Ricompensa.

A Tonara2. (p. 120). Croccoledda – Deliziosa sorgente, rinomata per la fre-

schezza e bontà dell’acqua, situata a breve distanza dal paese.3. (p. 122). Musìcas – I nostri pastori, all’approssimarsi della cattiva sta-

gione, si recano, tutti gli anni, coi loro armenti, alle pianure, per sver-nare. Al ricomparire della bella stagione ritornano all’amplesso delleloro famiglie, e, la gioventù, seguendo una vecchia consuetudine, dàprincipio a sas musicas, specie di serenate che si fanno, in prestabilitigiorni, alle giovani leggiadre e belle, delle quali, in rime libere espontanee, ne cantano con versi improvvisati lì per lì, le virtù.

4. (p. 122). Pitzirimasa – Nome di una località orridamente bella,poco discosta dal paese, nella quale trovasi una cascata, la qualeesercita un fascino irresistibile in tutti coloro che, fuggendo i caloriestivi di Cagliari e del Campidano, vengono a godere della refrige-rante ospitalità dei nostri boschi.

5. (p. 123). Divignos – D’estate, nella notte in cui la luna splende, lenostre forosette si radunano nella piazza a filare e a cantare in coroarmoniosi stornelli. (Divignos).

6. (p. 123). Canente – Dea del canto.7. (p. 123). Larentu – Lorenzo Zucca, il principe dei poeti lirici tonaresi,

morto, pressoché ottuagenario da qualche anno appena. – Capped-du – Francesco Antonio Cappeddu fu anch’egli tra i più celebrati im-provvisatori. I suoi certami poetici sono sempre vivi nella mente delnostro popolo. Possedeva lo scherno acre e tagliente dell’Aretino.

8. (p. 123). Tommasu e Bacchiseddu – Tommaso Zucca è tra i nostrimigliori poeti viventi. Egli possiede il riso agile e fine di Orazio. –Bacchisio Sulis, poeta satirico vivente: possiede come la buon’ani-ma di Voltaire, il sarcastico riso e gli acri sali. Colla beffa gaia e pe-tulante nelle contese poetiche demolisce l’avversario.

9. (p. 123). Aostinu – Agostino Dejana figlio di poeta e poeta anch’egli,è, da noi, il vero rappresentante della poesia bernesca. Ha semprein bocca la barzelletta e il frizzo gradito.

10. (p. 123). Su ’entu ’e santu Simone – Vento impetuosissimo che scate-nasi, costantemente, ogni anno, in sullo scorcio di ottobre. È rimarche-vole per i guasti che arreca alla campagna e specialmente ai castagni,

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Notas

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27. (p. 154). Ruspire – Sputare.

Agonia28. (p. 162). 20 maggio 1895 – Da informazioni assunte mi consta che

il nostro poeta nel 20 maggio 1895 trovavasi degente all’infermeriapresidiaria di Sassari per aversi fratturato la tibia nel mentre accu-diva al servizio militare.

Solferino!29. (p. 164). Solferino! – Ho riprodotto questo scherzo poetico non

per il valore artistico, ma per il grazioso umorismo che da esso neemana. Evidentemente qui il poeta ha voluto ritrarre e prendere dimira uno dei soliti arcifanfani, che senza saper l’abbicì, hanno lasmania di voler parlare, sempre e poi sempre, la lingua italiana.

A Nanni Sulis30. (p. 165). A Nanni Sulis – Ho voluto pubblicare questa poesia che

il poeta volle dedicarmi per la comicità che sprizza da ogni suaparte. Il senso della poesia è abbastanza intelligibile e per non of-fendere il lettore mi astengo da qualsiasi spiegazione.

31. (p. 166). Cixerri – Fiume tra Uta ed Assemini, il quale, rigonfiando,arreca terrore a quelle popolazioni.

32. (p. 166). Intrat in cheja – Il cavalier Scalas quando vide il pericoloche correvano i suoi compatrioti, per l’acqua copiosamente cadu-ta, inforcato il suo cavallo, fece il giro del paese per destarli dalsonno e li invitò a ricoverarsi in Chiesa.

33. (p. 166). Dionis’Iscalas – Dionigi Scalas sindaco di Assemini, funominato cav. della corona d’Italia, con decreto reale 22 gennaio1893, per la splendida condotta tenuta nel nubifragio avvenuto il 2ottobre 1892.

Galusè34. (p. 171). Galusè – Nome di una pittoresca località, che fa, quasi,

cornice al paese, e nella quale trovansi diverse fonti, fra cui questacantata dal poeta, appartenente al signor Raffaele Pulyx, segretariocomunale nel nostro comune.

35. (p. 171). Ingranzeu – Vedi nota 1 a pagina 116.36. (p. 175). Pipia – Luigi Pipia, giovane dalla voce melodiosa incante-

vole, intimo amico del poeta.37. (p. 176). Sa biografia – Qui il poeta fa la sua prosografia.38. (p. 177). Ruzones – Omine ruzone. Che si mantiene in salute.39. (p. 177). Pistone – Bottiglione.

ai quali strappa violentemente i ricci, che, per avventura, fossero an-cora immaturi.

11. (p. 123). Metanza, metanzu – Scarno, magro.12. (p. 123). Larentu – Vedi nota 7 a pagina 123.13. (p. 123). Eolo – Dio del vento.14. (p. 124). Tiana – A Tonara sono molte tessitrici, le quali produco-

no una rilevante quantità di albagio, (furesi) del quale tutti gli anniriempiono le gualchiere del vicino comune di Tiana.

15. (p. 124). Chintas – Due grembiali di lana che le nostre donne re-cano ai fianchi nei giorni feriali.

16. (p. 125). Tirannia – In seguito alla cattiva amministrazione del-l’azienda comunale, il nostro popolo, nel 1877, insorse al grido diabbasso le tasse! La folla tumultuante prese d’assalto il municipio ela forza pubblica, alla quale resistette disperatamente. Si eseguiro-no numerosi arresti e per far rientrare gli abitanti nella calma sidovette far venire una compagnia di soldati di fanteria da Cagliari.

17. (p. 125). Lughe noa ti … – Per le numerose cancellature che in-zeppano, a questo punto, il manoscritto, non mi è stato possibilecapir nulla, e perciò ho omesso alcuni versi.

18. (p. 125). O terra de dulzuras – In questa e nella strofa seguente ilpoeta sospira il paese natio, dal quale, a quanto pare, l’avea strap-pato il servizio militare, e trae, dalla sua lira, accenti d’ira e di do-lore, per certi luoghi malsani, nei quali lo costrinse a vivere il fer-reo peso della disciplina.

19. (p. 127). Aprile, 189 … – La data della poesia è illegibile.

Lamentos d’unu nobile20. (p. 138). Lamentos d’unu nobile – In questa poesia, con fine e

pungente ironia, l’Autore parla della nobiltà decaduta e fa un con-fronto fra la grandiosità e il fasto in cui essa nuotava in un tempoche fu e la miseria e le tribolazioni in cui trovasi presentemente.

A Genesio Lamberti21. (p. 150). Ischeffa – Schifezza, feccia.22. (p. 150). Pane ispeli – Pane di ghianda mescolata con argilla. – Buleu

– Gettare in aria.23. (p. 151). Patmo – Isola dove S. Giovanni scrisse gli evangeli.24. (p. 152). Gomorra – Antica città della Palestina distrutta dal fuoco

celeste.25. (p. 153). Andas addane – Andar lontano. Qui si allude alla mania

migratoria.26. (p. 154). Kiriella – Lavoro, fatica.

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Notas

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Aritzo52. (p. 204). Terza de sas alturas montaninas – Fonni, Tonara ed Aritzo,

fra tutti i paesi della Sardegna, hanno la maggiore elevazione sulmare. Egli è per questo che il nostro poeta chiama il paese, a cuiha dedicato il sonetto, terza de sas alturas montaninas.

X…53. (p. 205). X… – La prima e l’ultima strofa di questa canzone sono

piene zeppe di cancellature, a segno tale da essere illegibili, e per-ciò ho messo una fila di puntini.

A Eugenio Unale54. (p. 207). A Eugenio Unale – Vedi nota 43 a pagina 192.

K…55. (p. 218). Pallid’e sorridente, a pees in porta – Quest’uso di esporre

i defunti è comune anche ai popoli orientali. Nell’Iliade d’Omerosi leggono i seguenti versi:

D’acuto acciar trafitto egli mi giaceNella tenda, coi piè volti all’uscitaE gli fan cerchio i suoi compagni in pianto,

analogamente si espresse anche il Mossa in una sua poesia:

It est custu ch’idia,Fiza de titta miaMort’a manos in giae, a pees in gianna!

Y…56. (p. 220). Y... – Anche in questa canzone vi sono numerose cancel-

lature. Il poeta, a quanto pare, aveva intenzione di ritornarci su.

A Nanni Sulis57. (p. 222). A Nanni Sulis – Questa poesia ha molta analogia con l’al-

tra dedicata a me stesso (vedi nota 30 a pagina 165). Anche qui ilpoeta fa vibrare la corda del dolore.

58. (p. 225). Giagu Siotto – Colto quanto modesto giovine, oriundodel forte nuorese. È celebre per le sue idee socialiste.

W…59. (p. 234). Dugone – Condottiero.60. (p. 235). Chilinzone – Crusca.

40. (p. 178). Tue o Lia cara – Lia Pulyx, vezzosa figlioletta del segreta-rio comunale, (vedi nota 34 a p. 171) alla quale il poeta ha dedica-to questa canzone.

A Juanne Sulis41. (p. 182). A Juanne Sulis – Questa epistola poetica, scritta nel marzo

del 1896, mi fu dall’Autore inviata a Cagliari. Egli racconta le suesofferenze e descrive i mali da cui è travagliato il nostro paese.

42. (p. 184). Murdegu – Fu chiamata di Murdegu, perché morì, in queltempo, un tale che aveva questo nomignolo. Temporada de Mur-degu, famosa nevicata che i nostri vecchi ricordano con un sensodi reccapriccio, avvenuta nel 1853.

A Eugeniu Unale43. (p. 192). A Eugeniu Unale – Valente poeta sardo e già commilitone

dell’Autore.44. (p. 192). Terra de Billia – Billia Carta. Famoso poeta di Pozzomag-

giore, dove sortì pure i natali l’Unale.45. (p. 195). Superiore tirriosu – Qui evidentemente il poeta allude a

qualche burbero superiore, avuto quand’era ancora sotto le armi.I versi susseguenti sono una fedele descrizione della vita militare.

A Paolo Hardy46. (p. 201). A Paolo Hardy – Questa canzone è in risposta ad un so-

netto adulatorio: A Tonara, del sig. Paolo Hardy; sonetto che questidapprima declamava in un banchetto politico offertogli nel delizio-so tenimento di Galusè (vedi nota 34 a pagina 171) e che più tardiegli stesso faceva pubblicare nel giornale l’Illustrazione Sarda.

47. (p. 202). Sos sognos de Larentu – Vedi nota 7 a pagina 123.48. (p. 202). Cando mi rimas declinat cun furat – Il nostro poeta ri-

prende giustamente il signor Hardy, perché questi, dimenticandocerte regole elementari intorno all’arte poetica, pretese rimare de-clinat e furat.

49. (p. 202). Campidan’a Nuòro s’ammesturat – Il dialetto adoperatodal poeta Paolo Hardy è un dialetto ibrido: nessun grottologo tro-verebbe un posto conveniente da assegnargli.

50. (p. 203). Su fogu de Carbone – In questa strofa il poeta parla alle-goricamente e ognuno vede che il Carbone non è che l’onorevoleCarboni Boy, e il Cocco, l’onorevole Cocco Ortu.

51. (p. 203). Tonara … 1895 – Nel manoscritto non è indicata la dataprecisa, nella quale il poeta dettò questi versi.

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Pais E., Storia della Sardegna e della Corsica durante il periodo romano,vol. II (43)

Pallottino M., La Sardegna nuragica (53)Pesce G., Sardegna punica (56)Porru V. R., Nou dizionariu universali sardu-italianu A-C (74)Porru V. R., Nou dizionariu universali sardu-italianu D-O (75)Porru V. R., Nou dizionariu universali sardu-italianu P-Z (76)Rombi P., Perdu (58)Ruju S., Sassari véccia e nóba (72)Satta S., De profundis (92)Satta S., Il giorno del giudizio (37)Satta S., La veranda (73)Satta S., Canti (1)Sella Q., Sulle condizioni dell’industria mineraria nell’isola di Sardegna (40)Smyth W. H., Relazione sull’isola di Sardegna (33)Solinas F., Squarciò (63)Solmi A., Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel Medioevo (64)Spano G., Proverbi sardi (18)Spano G., Vocabolariu sardu-italianu A-E (29)Spano G., Vocabolariu sardu-italianu F-Z (30)Spano G., Vocabolario italiano-sardo A-H (31)Spano G., Vocabolario italiano-sardo I-Z (32)Spano G., Canzoni popolari di Sardegna, vol. I (44)Spano G., Canzoni popolari di Sardegna, vol. II (45)Spano G., Canzoni popolari di Sardegna, vol. III (46)Spano G., Canzoni popolari di Sardegna, vol. IV (47)Tola P., Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna A-C (67)Tola P., Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna D-M (68)Tola P., Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna N-Z (69)Tyndale J. W., L’isola di Sardegna, vol. I (82)Tyndale J. W., L’isola di Sardegna, vol. II (83)Varese C., Il Proscritto (97)Valery, Viaggio in Sardegna (3)Vuillier G., Le isole dimenticate. La Sardegna, impressioni di viaggio (77)Wagner M. L., La vita rustica (2)Wagner M. L., La lingua sarda (13)Wagner M. L., Immagini di viaggio dalla Sardegna (65)

Dessì G., Paese d’ombre (28)Dessì G., Michele Boschino (78)Dessì G., San Silvano (87)Dessì G., Introduzione alla vita di Giacomo Scarbo (94)Edwardes C., La Sardegna e i sardi (49)Fara G., Sulla musica popolare in Sardegna (17)Fuos J., Notizie dalla Sardegna (54)Gallini C., Il consumo del sacro (91)Goddard King G., Pittura sarda del Quattro-Cinquecento (50)Il Condaghe di San Nicola di Trullas (62)Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado (88)Lawrence D. H., Mare e Sardegna (60)Lei-Spano G. M., La questione sarda (55)Levi C., Tutto il miele è finito (85)Lilliu G., La costante resistenziale sarda (79)Lobina B., Po cantu Biddanoa (99)Lussu E., Un anno sull’altipiano (39)Madau M., Le armonie de’ sardi (23)Manca Dell’Arca A., Agricoltura di Sardegna (59)Manno G., Storia di Sardegna, vol. I (4)Manno G., Storia di Sardegna, vol. II (5)Manno G., Storia di Sardegna, vol. III (6)Manno G., Storia moderna della Sardegna dall’anno 1773 al 1799 (27)Manno G., De’ vizi de’ letterati (81)Mannuzzu S., Un Dodge a fari spenti (80)Martini P., Storia di Sardegna dall’anno 1799 al 1816 (48)Mereu P., Poesias (96)Montanaru, Boghes de Barbagia – Cantigos d’Ennargentu (24)Montanaru, Sos cantos de sa solitudine – Sa lantia (25)Montanaru, Sas ultimas canzones – Cantigos de amargura (26)Moscati S., Fenici e Cartaginesi in Sardegna (102)Muntaner R., Pietro IV d’Aragona, La conquista della Sardegna

nelle cronache catalane (38)Mura A., Su birde. Sas erbas, Poesie bilingui (36)Mura G. A., La tanca fiorita (98)Pais E., Storia della Sardegna e della Corsica durante il periodo romano,

vol. I (42)

Finito di stampare nel mese di novembre 2004presso lo stabilimento della

Fotolito Longo, Bolzano