La campidanese. Ceramica comune da mensa della Sardegna meridionale nei contesti chiusi di età...

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LRCW3 Late Roman Coarse Wares, Cooking Wares and Amphorae in the Mediterranean Archaeology and archaeometry Comparison between western and eastern Mediterranean Edited by Simonetta Menchelli, Sara Santoro, Marinella Pasquinucci and Gabriella Guiducci Volume I BAR International Series 2185 (I) 2010

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LRCW3 Late Roman Coarse Wares,

Cooking Wares and Amphorae in the Mediterranean

Archaeology and archaeometry

Comparison between western and eastern Mediterranean

Edited by

Simonetta Menchelli, Sara Santoro, Marinella Pasquinucci and Gabriella Guiducci

Volume I

BAR International Series 2185 (I) 2010

Published by Archaeopress Publishers of British Archaeological Reports Gordon House 276 Banbury Road Oxford OX2 7ED England [email protected] www.archaeopress.com BAR S2185 (I) LRCW3 Late Roman Coarse Wares, Cooking Wares and Amphorae in the Mediterranean: Archaeology and archaeometry. Comparison between western and eastern Mediterranean. Volume I. © Archaeopress and the individual authors 2010 Cover illustration : Eratosthenes map (drawing by Giulia Picchi, Pisa, after G. Dragoni, Eratostene e l'apogeo della scienza greca, Bologna 1979, p.110). Papers editing: Giulia Picchi, Pisa ISBN 978 1 4073 0736 7 (complete set of two volumes) 978 1 4073 0734 3 (this volume) 978 1 4073 0735 0 (volume II) Printed in England by Blenheim Colour Ltd All BAR titles are available from: Hadrian Books Ltd 122 Banbury Road Oxford OX2 7BP England www.hadrianbooks.co.uk The current BAR catalogue with details of all titles in print, prices and means of payment is available free from Hadrian Books or may be downloaded from www.archaeopress.com

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LA CAMPIDANESE. CERAMICA COMUNE DA MENSA DELLA SARDEGNA MERIDIONALE NEI CONTESTI CHIUSI DI ETÀ TARDOANTICA DELLA NECROPOLI DI PILL’ ‘E MATTA, QUARTUCCIU

(CAGLIARI – SARDEGNA – ITALIA)

DONATELLA SALVI

Soprintendenza per i Beni Archeologici per le Province di Cagliari e Oristano, piazza Indipendenza, 7, 09124 Cagliari, Italia ([email protected])

La necropoli di Pill’’e Matta è stata individuata occasionalmente nel 2000, mentre erano in corso lavori di urbanizzazione dell’area industriale di Quartucciu. Per quanto il sito disti solo pochi chilometri dalla città di Cagliari, tipologia delle tombe e rituale adottato mostrano caratteri totalmente autonomi. Il maggior numero delle sepolture, tutte dotate di corredo, è databile, sulla base delle monete, fra la fine del III e la prima metà del V secolo d.C.. Oltre a numerose forme in sigillata africana, brocchette costolate, vetri e monili, sono presenti in grande quantità ceramiche di produzione locale, di colore fra il rosso ed il nocciola, le cui superfici sono sempre percorse da una fitta decorazione a stecca. La sequenza cronologica delle sepolture consente di esaminare l’evoluzione di questa produzione, alla quale è stato dato il nome di ceramica campidanese dal nome dell’area geografica sarda che ne ha fin qui presentato il maggior numero di attestazioni.

PAROLE CHIAVE: SARDEGNA, PILL’ ‘E MATTA, NECROPOLI, TOMBA A NICCHIA LATERALE, CERAMICA COMUNE, BROCCA CAMPIDANESE, CERAMICA CAMPIDANESE, CERAMICA SIGILLATA AFRICANA, DECORAZIONE A

STECCA.

La località di Pill’ ‘e Matta si trova alla periferia del paese di Quartucciu, paese a pochi chilometri da Cagliari (Fig. 1). Parte di una campagna a lungo utilizzata per la coltivazione di mandorli e di vigne, è caratterizzata da un suolo sedimentario, poco coeso, nel quale si alternano strati di ciottoli che rimandano ad antichi letti di corsi d’acqua, terra mista ad arenarie grossolane e a calcari marnosi (Matta 2005, 30-31). Gli sbancamenti, effettuati per la realizzazione della strada a servizio della nuova area industriale, hanno messo in luce le prime tombe di una vasta necropoli che è stata immediatamente oggetto di regolari campagne di scavo. Le 272 sepolture che sono state fin qui oggetto di indagine interessano una superficie piuttosto ampia, nella quale quelle di età romana e tardo romana sono disposte con orientamento nord-ovest/ sud-est. Questa fase d’uso incide, sul limite nord della necropoli, sui resti percepibili di una fase più antica, IV/III sec. a.C., che si riferisce all’ultimo periodo dell’età punica della Sardegna. Scarse le attestazioni di età repubblicana e primo imperiale. La buona conservazione dei contesti funerari e dei numerosi materiali che compongono i corredi ha dato occasione a numerosi spunti di studio che proprio dalla contestualizzazione ricavano continuo supporto e conferma delle datazioni (Salvi 2003, 2005, 2007, 2008, c.s1, c.s.2). Insieme agli oggetti che sono riferibili a classi diverse di materiali – sigillate, brocchette costolate, vetri, monili (Tab. 1), - compaiono qui, in numero rilevante, forme aperte e chiuse di una ceramica che non trova riscontro in produzioni esterne alla Sardegna e che, nella stessa isola, appare concentrata nelle aree più prossime al cagliaritano e in parte all’oristanese, i cd. campidani, che hanno fornito il suggerimento per la nuova denominazione (Tronchetti 1996, 106-107 e tav.20; Tronchetti 1998, 371-373; Salvi 2005-2007). Oggetti con le stesse caratteristiche, e cioè brocchette a corpo basso e schiacciato, piatti a parete obliqua, lucerne, con superfici trattate a stecca che lasciano tracce lucide sul corpo ceramico realizzato con argilla rossa e compatta, in realtà, erano

già conosciuti perché compresi in alcuni corredi funerari ritrovati negli anni Trenta nel paese di S. Andrea Frius (Salvi 2006b, 115-140). Le brocchette, meglio delle altre forme nella documentazione fotografica del tempo, sono riconoscibili anche in corredi ritrovati a Barumini (Lilliu 1939, 370-372, fig.2.d e 2.h e Lilliu 1943, 183-184 e186, fig.9.b) e più di recente altri esemplari sono stati ritrovati nelle necropoli di Sanluri (Paderi 1982, 76-79 e tav.XLII, 177 e 161), di Villasalto (Ventura 1990, 57-58, fig. 32), di Vallermosa (Ortu 1993, 222-224 e tav.III), e di Cagliari, località Mulinu Becciu (Sirigu 2003, tavv.28.2, 30.2, figg.4.2 - 5.2) con proposte di datazione che, sulla base dell’associazione con monete, vanno dalla metà del II secolo alla metà del IV. Ai primi decenni del IV si colloca poi il corredo di una sepoltura in località di S.Isidoro, nelle campagne di Quartucciu che comprende insieme a due brocchette, dal caratteristico corpo largo e schiacciato e alto collo cilindrico, una moneta di Costantino (Salvi e Stefani 1997, 119-120, fig.17). Molti reperti analoghi, fuori contesto, ma certo provenienti dallo scavo clandestino di una o più necropoli, sono stati recuperati, negli ultimi decenni, dalle forze dell’ordine in occasione di sequestri ed in parte sono stati di recente editi, mostrando la quantità delle attestazioni esistenti (Ibba 2002). Se per il III e gli inizi del IV secolo perciò esisteva già la possibilità di mettere a confronto sia la composizione dei corredi che le caratteristiche dei materiali, questo diventava difficile per i periodi successivi quando la progressiva cristianizzazione porta, soprattutto in aerea urbana, ad adottare rituali della morte che escludono il corredo. Vengono a mancare così i punti di riferimento certi e la possibilità di mettere a confronto contesti chiusi paralleli. La conseguenza è stata che la frequente presenza di frammenti dello stesso tipo ceramico in stratigrafie soprattutto di colmata e di pareggiamento che contenevano materiali, come le sigillate, le costolate o i vetri, attribuiti ad una forbice temporale che va dalla tarda antichità all’altomedioevo, - si veda l’auspicio di arrivare a più certe datazioni e la difficoltà di utilizzare come datanti materiali che hanno datazioni incerte! (Mackensen 1993, 382; Pavolini e Tortorella 1997, 250-253; Bonifay 1998, 78-80) - ha portato a classificare come “steccata tarda”, per il caratteristico trattamento delle superfici, questa ceramica comune, della quale

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spesso mancava la ricomposizione completa delle forme, che apparivano diverse da quelle conosciute per i primi secoli dell’impero e raramente ad esse riferite (Martorelli 2002, 139, fig.132; Pinna 2002 tav.V,2-4 tav.VI; Pinna 2005; Dore 2006). D’altra parte un’anforetta ed una brocca, decorate da rozze righe date a mano libera, recuperate all’interno di una cisterna nell’area del Tempio di Via Malta, a Cagliari, negli anni Quaranta del secolo scorso, erano state classificate come assai tarde (Mingazzini 1949, 270, fig.41). Ma è solo grazie alla quantità dei reperti dei contesti chiusi di Pill’ ‘e Matta, dove il rituale pagano si protrae almeno fino alla metà del V secolo, che si dispone ora di un’ampia varietà di forme e soprattutto di associazioni certe che consentono di incominciare a stabilire sequenze datate, - siano esse relative, nel rapporto di successione delle associazioni, o, nei limiti del possibile, assolute grazie alla ripetuta presenza di monete che accompagnano i corredi, - e di vedere le trasformazioni intervenute nel tempo all’interno della produzione che ora viene definita campidanese. La tipologia delle tombe della necropoli di Pill’ ‘e Matta è varia nel corso del III secolo d.C.: vi compaiono infatti sia sepolture alla cappuccina che ad enchytrismòs, che, in un caso, a copertura mista con anfore ed embrici. Fanno inoltre la loro prima comparsa, nello stesso periodo, sepolture di un tipo nuovo ed insolito nel quadro delle strutture funerarie note, caratterizzate come sono da un pozzo verticale di forma rettangolare sul cui fondo, su uno o su entrambi i lati lunghi, è scavata una nicchia destinata ad ospitare il o i defunti, che è poi chiusa da embrici posti a coltello. Sarà questa l’unica tipologia presente nella necropoli per tutta la sua durata successiva. Le brocchette campidanesi più antiche (Fig. 2,1-3; Fig. 3,1) compaiono in tutte le tipologie funerarie in uso nel III secolo e agli inizi del IV: la tomba 15, alla cappuccina, ad esempio, datata da monete di Massimino I e Cornelia Salonina, associa piatti in ceramica campidanese a brocche in ceramica comune decorate a rotella e a una coppa che imita la Hayes 9 (Salvi 2005, 49-55). La tomba 7, in anfora, priva di monete, comprende, insieme a due esemplari di brocche a corpo schiacciato ed un piatto, tutti ascrivibili alle produzioni campidanesi, un boccalino ispirato alle pareti sottili, su alto piede e una coppa che imita la Hayes 9; il corredo è analogo nella composizione a quello della tomba 117 che è una delle più antiche, e sommarie, sepolture a nicchia laterale. E’ interessante notare che questa sepoltura è realizzata a contatto della tomba 119, alla cappuccina, che ne occupa il pozzo, così come accade per le sepolture 15, a nicchia laterale, e 28, alla cappuccina, dimostrando così la contemporanea, ma solo temporanea, convivenza di tipologie diverse con corredi analoghi. Le tombe alla cappuccina sono presenti ancora nei primi anni del IV secolo, come nel caso della tomba 26, che è accompagnata da monete di Diocleziano, Costanzo Cloro e Massimiano (Salvi 2005, 56-63). E’ però in piena età costantiniana ed in quella immediatamente successiva che si assiste alle variazioni più significative della necropoli, sia per la già citata unificazione della tipologia della struttura funeraria che per l’arrivo, sempre più consistente, delle sigillate africane e di altre stoviglie di importazione che entrano a far parte dei corredi. Nella tomba 39, caratterizzata dalla presenza di un cospicuo numero di monete emesse da Costanzo e da Costanzo Gallo – serie Gloria exercitus, ad una insegna, che si datano entro il 348 (Spagnoli 1993) - compaiono infatti, una coppetta in sigillata Hayes 52B, con orlo a tesa e tre decorazioni animali applicate,

un piatto Hayes 58, una lucerna tipo Atlante VIII ed alcune produzioni campidanesi che comprendono, oltre alle ormai consuete brocche a collo ampio, un piatto, un unguentario con largo piede piano ed una lucerna, insieme a nuovi esemplari di brocchetta a spalla larga, distinta, e collo sottile concluso da breve tesa svasata, che avranno poche varianti nei decenni successivi (Fig. 2,4-5; Fig. 3,2. La differenziazione delle forme chiuse suggerisce un loro diverso impiego in funzione del contenuto, lasciando intuire che siano atte a contenere liquidi che possono essere versati in quantità da una bocca larga – arrotondata o trilobata, - o che questi debbano essere meglio dosati con un contenitore ampio ma dotato di collo ristretto e bocca piccola. La lucerna, che ricorda un po’ la tradizione locale delle lucerne a tazzina nel serbatoio a pareti verticali, è dotata di una presa ad anello che richiama le anse a nastro delle brocche e che si ripete anche nei rari esemplari conosciuti di tazze. Le poche lucerne restituite dalla necropoli appaiono comunque abbastanza isolate, lasciando largo spazio, nella funzione, al ricco mercato delle lucerne africane, nettamente prevalenti, con le quali in qualche corredo convivono. La Sardegna, infatti, come già a suo tempo sottolineato dalla Villedieu e da Pavolini (Pavolini 1986, 247-248) e largamente confermato ora dagli scavi urbani recenti e soprattutto dalla necropoli di Pill’ ‘e Matta, utilizza quasi esclusivamente, per l’illuminazione, lucerne di produzione africana, senza ricorrere a prodotti locali o di imitazione. Anche nella tomba 188 le numerose brocche campidanesi -7, come nella contemporanea tomba 10 bis (Fig. 4,2) -, con ulteriori varietà di forme, sono associate ad un piatto Hayes 32-58, a un precoce vaso a listello a corpo schiacciato e piede ad anello, sempre di produzione africana (Bonifay 2004, 165, fig. 88, tipo 27), e a una lucerna a pasta nocciola con spalla a perline spartite in settori, tipo Deneauve X, 3B (Bonifay 2004, 337-339). In due delle brocche, di dimensioni maggiori rispetto alle altre (h superiore ai 20 cm), il collo, di ampiezza media, presenta una sorta di strozzatura poco sotto l’orlo, in corrispondenza della quale si imposta l’attacco superiore dell’ansa, che risulta complanare o sormontante nelle altre forme chiuse (Fig. 2,6; Fig. 3,3). Questa variante, insieme alla forma a largo collo cilindrico, è presente anche nella tomba 219 (Fig. 5), - databile, anche in questo caso, sulla base delle numerose monete della serie gloria exercitus con una insegna, intorno alla metà del IV secolo, - che, quanto alle sigillate africane, contiene insieme a un piatto con orlo a tesa e piede atrofizzato Hayes 32-58 anche un piatto Hayes 61A ed una coppetta con orlo a tesa, sulla quale compaiono tre gruppi di tacche, della forma Hayes 71. Coppetta simile e piatto Hayes 61A, con decorazione centrale a palmette in disposizione radiale tipo El Mahrine I.2/1 (Mackensen 1993), insieme a brocche campidanesi analoghe a quelle della tomba precedente, si trovano anche nella tomba 85, che è di poco successiva perché contiene monete della serie felix temporum reparatio, riferite alla seconda metà del IV secolo (Spagnoli 1993). Stesse monete e stessa forma aperta in sigillata sono presenti nella Tomba 78 che inserisce nella composizione del corredo anche due insolite brocche sovradipinte in rosso e bruno (Salvi 2005, 76-83) (Fig. 6,1-2). La loro presenza e la loro datazione poco dopo la metà del IV secolo sono confermate dalla tomba 131, - ritrovata, seppure in pessime condizioni di conservazione, lungo il tracciato della strada, - che ha restituito una analoga brocca sovradipinta (Fig. 6,4), un piatto Hayes 61A ed una lucerna Atlante VIII. Di poco più antica – perché accompagnata da monete della serie gloria exercitus con una insegna - la sepoltura 224 che, sempre in associazione con brocche campidanesi, comprendeva una brocca sovradipinta con la

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raffigurazione di tre pesci di straordinaria vivacità che si susseguono lungo la massima espansione del corpo globulare (Fig. 6,5). Un quarto esemplare di questa ceramica, simile nella decorazione stilizzata a quelle della tomba 78, è stato ritrovato nella terra che colmava il pozzo della tomba 74, quindi all’esterno del contesto chiuso formato da quel corredo, per altro analogo a quelli precedenti (Fig. 6,3). Questa produzione che la necropoli di Quartucciu ha messo in evidenza grazie alle associazioni certe, ha altre attestazioni in Sardegna, qualche frammento di parete è stato ritrovato a Cagliari - in occasione dello scavo della chiesa di Sant’Eulalia (Martorelli e Mureddu 2002 a, 112-113) e di Vico III Lanusei (Soddu 2006, 160-161, nn. 113 e 114, 2) -, e grazie alla segnalazione del collega Ubaldo Badas, è possibile ora proporre anche una brocca con la raffigurazione di pesci simili, tuttora inedita, che fu ritrovata nel 1965 in una tomba occasionalmente messa in luce nella località Terra Mala di Quartu S.Elena – a pochi chilometri da Quartucciu, - in associazione con due piatti ed una brocca campidanese (Fig. 6,6). L’excursus ampio, ma ovviamente non esaustivo, delle presenze e delle associazioni di materiali che compaiono insieme alle forme campidanesi nella necropoli di Pill’e‘Matta offre così l’occasione per sottolineare come esse si accompagnino di volta in volta sia a forme ceramiche di importazione note o comunque legate a produzioni di ampia diffusione, come le sigillate o le costolate, sia a produzioni delle quali è al momento più difficile stabilire la provenienza e le aree di diffusione, sia ancora ad oggetti che, in quegli stessi ambiti, risultino più raramente attestati o non presenti fin qui in contesti chiusi. E’ questo il caso della coppa forma Hayes 53 A con una nuova raffigurazione applicata di Adamo ed Eva nell’Eden (Fig. 6,8), secondo la descrizione offerta dal Libro della Genesi 3/4-7: Adamo ed Eva sono rivolti verso l’albero della conoscenza del bene e del male, carico di foglie e di frutti, sul quale avvolge le sue spire il serpente. Un secondo albero, forse quello della vita, anche questo frondoso, occupa la parte bassa della vasca, conferendo simmetria alla composizione. L’unico confronto, limitatamente al tema, è con la coppa della stessa forma conservata al museo di Costantina, in Algeria (da ultimo Bejaoui 1997, 21, 44-45, fig.1). Ancora alla metà o alla seconda metà del IV sono attribuibili le associazioni con brocchette con decorazione graffita tipo CATHMA A24 (Bonifay 2004, 292-293) (Fig. 6,7) che, rappresentate da pochi esemplari in Francia e Italia, sono state ritrovate in più esemplari sia a Quartucciu che nello scavo di S.Eulalia a Cagliari. La sensibile diminuzione del numero di monete presenti nelle tombe più tarde condiziona in parte la possibilità di considerare la sequenza cronologica successiva altrettanto affidabile, anche se si mantiene sempre applicabile il confronto fra contesti e quindi le possibilità di verifica. E’ vero infatti che le associazioni si ripetono con la stessa frequenza e che sono percepibili i passaggi che vedono apparire una forma o che ne registrano la scomparsa a favore di un’altra. Altrettanto sensibile è una progressiva diminuzione del numero delle forme campidanesi presenti in uno stesso corredo, per quanto non sia facile enucleare dai tanti materiali presenti una composizione-tipo di offerta che giustifichi il numero più o meno consistente delle brocche. All’interno del rituale funerario sono riconoscibili invece dei moduli, che comprendono una forma aperta, una lucerna deposta accesa, un bicchiere o una brocchetta, che possono ripetersi più volte o variare nel numero dei componenti in una stessa tomba, indipendentemente dalla classe di riferimento degli oggetti. Così, fra le forme aperte in sigillata, alle Hayes 61B e alle 91A seguono le Hayes 99 e le 91B, spesso associate fra loro e accompagnate, quanto ai vetri, da varianti del bicchiere a calice Ising 111, mentre fra le lucerne ai tipi Atlante VIII si affiancano prima e subentrano del tutto poi

i tipi Atlante X. Le brocche campidanesi, con un più ampio sviluppo del corpo globulare, hanno ora collo cilindrico più breve ed ansa che tende a sollevarsi rispetto all’orlo (Fig. 2,7-9). In una composizione di questo tipo, nella tomba 240, compaiono la scodella Hayes 99 – presente in 14 corredi, con numeri diversi di esemplari e di varianti - ed i due tipi di lucerna, insieme alla più recente forma chiusa in sigillata Fulford 2 (o Boninu 1971-72), presente con un certo numero di esemplari in Sardegna (Rovina 1989); l’elemento nuovo in questo caso è il bicchiere, non tanto per la forma a piccola base e labbro svasato, quanto per l’iscrizione Pie (et) Zeses dulcis anima, nota per poche attestazioni su supporti diversi nelle aree cimiteriali cristiane durante il IV secolo, – (ad esempio su marmo ICVR, VI 16965), - che è tracciata in grandi lettere molate nella parte superiore della parete (Fig. 6,9). Una brocca campidanese è presente anche nel corredo della tomba 107, nella quale oltre a due scodelle Hayes 99 sono compresi un bicchiere a calice, una brocchetta miniaturistica costolata, una lucerna tipo Atlante X ed una coppa su alto piede, vicina alla forma Hayes 93. L’unica moneta in questo caso è un’emissione di Magno Massimo (383-388), mentre di Teodosio II è la moneta impressa sulla spalla di una delle lucerne tipo Atlante X della tomba 5, già nota per esemplari da collezione o comunque fuori contesto (Barbera e Petriaggi 1993, 201, Bejaoui 1997, 147, n.82). Nel gran numero di reperti restituiti dalla necropoli, dunque, la ceramica campidanese costituisce parte significativa, anche all’interno di uno stesso corredo, con costanza di aspetti macroscopici e con varianti e modifiche nelle forme chiuse. Dalle forme più antiche, nelle quali la capacità si suddivide quasi in ugual misura fra il corpo e il collo, a quelle di grandi dimensioni che compaiono intorno alla metà del IV secolo, alle brocche che assumono un aspetto quasi globulare con collo più corto, ma sempre ampio, e spesso segnato da costolature orizzontali, nella fase più recente. Esiste poi una sorta di olla monoansata a corpo più marcatamente globulare (h media 13 cm), con bocca ampia e consueta ansa a nastro (Fig. 6,5), presente nella già citata tomba 26, degli inizi del IV secolo (Fig. 2,10, Fig. 4,1), la si ritrova saltuariamente anche nel periodo successivo con poche modifiche della rifinitura dell’orlo e della bombatura della spalla. Il fondo delle brocche è sempre concavo, le anse sono a nastro con ispessimento centrale. L’orlo, a piccola tesa per lo più svasata, è quasi costantemente sottolineato da una modesta strozzatura che ne segna la distinzione dal collo rigonfio. Più stabili nel profilo sono le forme aperte a fondo piano e pareti leggermente svasate, spesso irregolari nel diametro e talvolta deformate nella lavorazione o nel distacco dal tornio; il bordo può essere arrotondato, indistinto o leggermente obliquo (Fig.2,11). La pasta delle forme aperte è generalmente nocciola, con sfumature dal rosso al bruno, fino al nerastro, completo o a chiazze, secondo le condizioni della cottura. In ogni caso l’argilla è ben depurata, risonante, la frattura netta, lo spessore sottile; le superfici sono quasi sempre percorse da steccature parallele con andamento verticale o obliquo, spesso continuo dal collo al fondo, talvolta con tratto diversamente orientato perché condotto in due tempi sul collo e sulla pancia. Il fondo stesso, che per la convessità centrale non sempre consente un appoggio ben definito, può essere segnato da steccature fitte, condotte a formare triangoli o quadrati intorno all’incavo centrale. Questa caratteristica si ritrova anche sul fondo esterno, piano, dei piatti, che spesso sono steccati all’interno con andamento a raggiera o con segni paralleli. Nelle forme aperte, però, le pareti sono a volte più spesse e l’argilla non è sempre altrettanto depurata, ma anzi facile a scrostature o distacchi. Difetti oltre che di cottura anche di lavorazione si notano anche

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nelle brocche talvolta con involontari segni di pressione a crudo, talvolta con evidente asimmetria del profilo. Le analisi mineralogiche e chimiche condotte su alcuni campioni cagliaritani – ma l’associazione, nello studio edito, con altri materiali non chiarisce se si tratti solo di campidanese, - hanno evidenziato “una composizione mineralogica di quarzo, calcite, K-feldspato, Na-felspato ed ematite” e, dal punto di vista chimico, “basso contenuto di ossido di calcio ed elevato contenuto di ossido di ferro” (Pinna 2005). Nell’insieme la produzione della ceramica campidanese sembra decisamente improntata alla funzionalità e, salvo le varianti percepibili nella steccatura e attribuibili al margine di improvvisazione dell’artigiano, poco concedono all’estetica. Unica aggiunta a questa lavorazione di routine è, in alcune delle forme con spalla ampia e collo sottile, la presenza di una sottolineatura della sua espansione tracciata a pettine prima della steccatura, ottenendo un motivo a piccole tacche o a segmenti; in altri rari casi compare un semplice solco. Altre varianti riguardano gli orli trilobati, a volte rifiniti da un ponticello che delimita il versatoio o ancora, ma non a Pill’ ‘e Matta, si registra la presenza sulla pancia di un beccuccio tipo vaso a biberon. E’ probabile che la destinazione funeraria degli oggetti presenti a Pill’ ‘e Matta limiti la conoscenza di questa produzione, escludendo dai contesti gli oggetti da cucina o da conserva che le stesse officine possono aver prodotto. Alla occasionale presenza delle lucerne e delle tazze (Fig. 7,2 e 3), già citate, si può aggiungere il ritrovamento nella necropoli di un unico vaso askoide, conformato a quadrupede, di due anforette (Fig. 7,1) e di alcune brocchette miniaturistiche che diversamente dalle altre forme chiuse poggiano su un largo piede a disco (Fig. 7,4). Al momento però anche i risultati delle indagini condotte in ambito urbano non consentono di individuare altri aspetti di queste produzioni, considerato che i materiali in ceramica comune depurata che a volte sono stati associati alle campidanesi non sembrano condividerne in pieno i caratteri. Un’ultima annotazione riguarda le aree di diffusione: gli esemplari presenti nell’oristanese, che per morfologia sono molto vicini a quelli del cagliaritano, possono in realtà essere attribuiti a officine locali che operano con le stesse tecniche per produrre oggetti simili, ma con la differenza che questi hanno, nella Sardegna centrale, pareti più spesse e risultano più pesanti (Salvi c.s.3). Si delineano perciò produzioni destinate al mercato locale ma con botteghe che soddisfano le esigenze di una committenza riferita ad ambiti spaziali diversi, di breve e medio raggio, senza mai raggiungere una produzione industriale che interessi l’intera isola, né tanto meno sia destinata all’esportazione; le botteghe sono condizionate dalla presenza sul posto delle risorse – argilla, acqua, combustibile per i forni, - mentre la diffusione è condizionata dalla consistenza della richiesta, dalla localizzazione dei centri abitati, dai mezzi di trasporto, dallo stato della viabilità. Condizioni queste che gli studi etno-archeologici hanno ritrovato, sostanzialmente immutate, nell’attività dei figoli che operavano in Sardegna nel secolo scorso (Annis 1995).

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Fig. 1. Localizzazione di Cagliari e Quartucciu su carta schematica della Sardegna e relativo stralcio della carta IGM.

Tab. 1. Elenco provvisorio dei reperti relativi a circa 250 delle 272 sepolture della necropoli di Pill’ ‘e Matta, Quartucciu.

Lucerne in sigillata africana 360Forme aperte in sigillata africana 366Forme chiuse in sigillata africana 21Forme aperte in campidanese 239Forme chiuse in campidanese 446Lucerne in campidanese 6Brocchette costolate 250Bicchieri e altre forme in vetro 295Monili 248Monete 218Altro 263Totale reperti 2712

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Fig. 2. Forme in ceramica campidanese.

Fig. 3. Esemplificazione delle forme chiuse in ceramica campidanese.

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Fig. 4. Esempi di associazioni: la Tomba 26 (inizi IV secolo) e parte del corredo della Tomba 10bis, (metà IV secolo).

Fig. 5. Esempio di corredo, con numerose ceramiche campidanesi, all’interno di una delle tombe di Pill’ ‘e Matta. La Tomba 219 in corso di scavo.

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8 9

Fig. 6. Brocchette sovradipinte: 1-2) Tomba PM 78, R9 e R11; 3), Tomba PM 74, R 4; 4) Tomba PM 131, R1;

5) Tomba 224, R2; 6) Tomba Quartu, loc. Terra mala. Brocchetta tipo CATHMA A24: 7) Tomba PM 73, R11. Forma Hayes 53 con raffigurazione di Adamo ed Eva: 8) Tomba PM 210, R6; Bicchiere con l’iscrizione Pie

et zeses dulcis anima: 9) Tomba PM 240, R4.

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Fig. 7. Altre forme di ceramica campidanese: 1) anforetta, 2) tazza, 3) lucerna, 4) brocchetta miniaturistica.