Nicola da Lira and Judaic Exegesis (Nicola da Lira e l'esegesi giudaica)

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La figura di Nicola da Lira (1270-1349) – il Doctor planus et utilis – e lo studio della sua relazione con l’esegesi letterale giudaica rientra corret- tamente in campo all’interno di una ricerca riguardante i Francescani e gli Ebrei, e ci permette anche di rimediare ad una grave svista. Nonostante la figura e l’opera del francescano esegeta siano state recentemente oggetto di importanti pubblicazioni e convegni, come quello tenutosi nel 2009 nella patria di Rashi, a Troyes 1 , in quello espressamente dedicato al rapporto tra il movimento minoritico e gli Ebrei, svoltosi all’università di St. Louis nel 1997 2 , purtroppo del Lirano si parla solo di passaggio. Non dobbiamo poi dimenticare che, a leggere il lungo capitolo che Henri de Lubac nella sua monumentale Esegesi medievale 3 dedica alla figura del Lirano e alle sue Postillae perpetuae in universa Biblia, si ri- mane colpiti dal giudizio critico che vi emerge. A volte de Lubac sminu- isce l’importanza di Nicola, e soffermandosi alquanto sulle Postillae all’Apocalisse afferma che quelle sul Cantico dei Cantici 4 «ci riserbano 001 Gli atti sono raccolti ora in G. DAHAN (sous la direction de), Nicolas de Lyre, franciscain du XIV e sicle, exégte et théologien (Collection des Études Augustiniennes, Série Moyen Âge et Temps Modernes 48), Institut d’Études Augustiniennes, Paris 2011. 002 Gli atti sono pubblicati in S. E. MYERS et alii, Friars and Jews in the Middle Ages and Renaissance, Brill, Leiden 2004. 003 H. DE LUBAC, Esegesi medievale. I quattro sensi della scrittura 1, Paoline, Roma 1972, 1574-1613 (ed. orig. francese 1959-1964). Sull’interpretazione di de Lubac si veda ora anche R. MCDERMOTT, Henri de Lubac’s Genealogy of Modern Exegesis and Nicholas of Lyra’s Literal Sense of Scripture, in Modern Theology 29 (2013) 124-156. 004 I commenti del Lirano all’Apocalisse e al Cantico dei Cantici si possono leggere in traduzione inglese, con un commento, in P. D. KREY, Nicholas of Lyra’s Apo- calypse Commentary, Medieval Institute Publications, Kalamazoo, Michigan 1997; J. G. KIECKER, The Postilla of Nicholas of Lyra on the Song of Songs, Marquette University Press, Milwaukee, Wisconsin 1998. NICOLA DA LIRA E L’ESEGESI GIUDAICA GIULIO MICHELINI

Transcript of Nicola da Lira and Judaic Exegesis (Nicola da Lira e l'esegesi giudaica)

La figura di Nicola da Lira (1270-1349) – il Doctor planus et utilis – e lo studio della sua relazione con l’esegesi letterale giudaica rientra corret-tamente in campo all’interno di una ricerca riguardante i Francescani e gli Ebrei, e ci permette anche di rimediare ad una grave svista. Nonostante la figura e l’opera del francescano esegeta siano state recentemente oggetto di importanti pubblicazioni e convegni, come quello tenutosi nel 2009 nella patria di Rashi, a Troyes 1, in quello espressamente dedicato al rapporto tra il movimento minoritico e gli Ebrei, svoltosi all’università di St. Louis nel 1997 2, purtroppo del Lirano si parla solo di passaggio.

Non dobbiamo poi dimenticare che, a leggere il lungo capitolo che Henri de Lubac nella sua monumentale Esegesi medievale 3 dedica alla figura del Lirano e alle sue Postillae perpetuae in universa Biblia, si ri-mane colpiti dal giudizio critico che vi emerge. A volte de Lubac sminu-isce l’importanza di Nicola, e soffermandosi alquanto sulle Postillae all’Apocalisse afferma che quelle sul Cantico dei Cantici 4 «ci riserbano

001 Gli atti sono raccolti ora in G. Dahan (sous la direction de), Nicolas de Lyre, franciscain du XIV e siecle, exégete et théologien (Collection des Études Augustiniennes, Série Moyen Âge et Temps Modernes 48), Institut d’Études Augustiniennes, Paris 2011.

002 Gli atti sono pubblicati in S. E. Myers et alii, Friars and Jews in the Middle Ages and Renaissance, Brill, Leiden 2004.

003 H. De Lubac, Esegesi medievale. I quattro sensi della scrittura 1, Paoline, Roma 1972, 1574-1613 (ed. orig. francese 1959-1964). Sull’interpretazione di de Lubac si veda ora anche r. McDerMott, Henri de Lubac’s Genealogy of Modern Exegesis and Nicholas of Lyra’s Literal Sense of Scripture, in Modern Theology 29 (2013) 124-156.

004 I commenti del Lirano all’Apocalisse e al Cantico dei Cantici si possono leggere in traduzione inglese, con un commento, in P. D. Krey, Nicholas of Lyra’s Apo-calypse Commentary, Medieval Institute Publications, Kalamazoo, Michigan 1997; J. G. KiecKer, The Postilla of Nicholas of Lyra on the Song of Songs, Marquette University Press, Milwaukee, Wisconsin 1998.

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scoperte [leggi: interpretazioni di Nicola] forse ancor più curiose» 5; quando poi mette in rilievo i meriti di Nicola, sottolinea però che «biso-gna pur esporre anche le sue debolezze» 6. In realtà, sembra quasi che il de Lubac voglia scovare i commenti del Lirano compiuti sui quei libri o passi biblici che più si potevano prestare (anche per il loro intrinseco carattere, conferito loro dallo speciale genere letterario a cui appartengo-no) ad esagerazioni interpretative. Anche se poi, mettendo le mani avan-ti, de Lubac spiega che «le Postille non sono da giudicare unicamente, ripetiamolo, sulle parti che abbiamo appena riassunto» 7 – all’atto pratico chi legge l’interpretazione che egli fornisce del Lirano non ha altro ma-teriale per farsi un’idea.

La situazione oggi – dopo più di cinquant’anni dalla valutazione di Henri de Lubac – è cambiata, e il giudizio, severo e forse parziale di de Lubac, non è più condiviso dagli esperti del Lirano. Tutti riconoscono al francescano la competenza, l’originalità, e l’influsso che egli ha eserci-tato sulla storia dell’esegesi. Basterà ricordare, per quanto riguarda la sua fortuna, che il commento di Nicola ha avuto in passato una diffusione enorme: copiato in centinaia di manoscritti – ancora oggi ve ne sono ottocento nelle biblioteche di tutta Europa – fu il primo vero e proprio commentario biblico ad essere stampato, in una edizione in-folio del 1471/72 in quattro volumi, presso Sweynheym and Pannartz. Il commen-to di Nicola ha influito certamente anche su Lutero, come un detto atte-stava: «Si Lyra non lyrasset, Lutherus non saltasset / Se [Nicola di] Lira non avesse suonato la lira, Lutero non avrebbe danzato». Lutero infatti attinse varie volte dalle Postillae di Nicola da Lira, trovandovi «quello che doveva risultare così importante per lui: un’esegesi del senso lettera-le della Scrittura liberato dalle interpretazioni allegoriche» 8, interpreta-zioni che – secondo il riformatore tedesco – alteravano la limpidezza della parola divina.

005 De Lubac, Esegesi 1, 1578.006 De Lubac, Esegesi 1, 1583.007 De Lubac, Esegesi 1, 1588.008 H. G. reventLow, Imparare dagli Ebrei: Niccolò da Lira, in Storia dell’In-

terpretazione Biblica 2, Dalla tarda antichità alla fine del Medioevo, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1999, 335-350: 337.

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1. Elementi biografici e opere

La bibliografia su Nicola da Lira è stata accuratamente raccolta sin dal 1906 dal Labrosse 9, molti aspetti della sua opera sono stati oggetto di approfondimenti, e gli studi a riguardo sono in continuo aggiornamen-to 10. Purtroppo però non esiste ancora un’edizione critica delle opere del Lirano, e non è stata ancora studiata sufficientemente – come diremo meglio più avanti – la figura del Lirano in rapporto al francescanesimo del suo tempo.

Nicola nacque nel 1270 a Lira (Lyre), un villaggio che ancora esiste, tra Évreux e Lisieux, in Normandia, e fu iniziato alla vita religiosa nel vicino convento francescano di Verneuil. Fu presto inviato a Parigi, dove divenne magister biblicus e fu incaricato per la sacra Scrittura, che inse-gnò per diversi anni, riuscendo così a compilare la sua opera principale, il commento a tutta la Bibbia. Fu anche ministro provinciale della Provincia della Francia e partecipò alla vita dell’Ordine minoritico attraverso la presenza a diversi capitoli generali.

Nelle sue Postillae Nicola compila a scopo didattico l’esegesi verset-to per versetto di tutta la Bibbia ebraica e del Nuovo Testamento. Oltre alle Postillae al Lirano si devono altre opere, come gli scritti ascrivibili

009 H. Labrosse, Sources de la biographie de Nicolas de Lyra, in Études Fran-ciscaines 16 (1906) 383-404. Lo studioso ha proseguito la raccolta bibliografica per la stessa rivista, nelle annate successive, fino al 1923.

010 Una raccolta importante di studi sul Lirano è quella a cura di P. D. Krey et alii, Nicholas of Lyra. The Senses of Scripture, Brill, Leiden, 2000. L’opera completa più recente sull’esegeta francescano è invece quella di D. C. KLepper, The Insight of Unbelievers. Nicholas of Lyra and Christian Reading of Jewish Text in the Later Middle Ages, University of Pennsylvania Press, Philadelphia, Pennsylvania 2007. Di Nicola si tratta anche in Y. DeLèGue, Hugues de Saint-Victor, Thomas d’Aquin, Nicolas de Lyre. Les machines du sens, fragments d’une sémiologie médiévale, Éd. des Cendres, Parigi 1987. In lingua italiana, per quanto abbiamo potuto appurare, tranne il caso di G. B. bruzzone, Alcuni «exempla» nelle «Moralitates» di Nicola di Lira, in Bibbia e Oriente 22 (1980) 85-96, gli studi si sono fermati agli anni Sessanta, con le ricerche del francescano Marco Adinolfi, tra le quali segnaliamo la più recente, M. aDinoLfi, Maria SS. nelle Postille di Nicola di Lyre, in Gen. 21, 6; 28, 12 e 2Sam 23, 4, in Rivista Biblica 8 (1960) 337-350. Altra bibliografia dell’autore – insieme a molti altri titoli – si può trovare alla voce di C. L. patton, Nycholas of Lyra, in D. K. McKiM, Historical Handbook of Major Biblical Interpreters, InterVarsity Press, Downers Grove, Illinois 1998, 116-122.

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alla polemica antigiudaica, magari in risposta a trattati anticristiani 11. Il genere letterario di queste opere – come è ovvio – apre la questione di come Nicola, che condivideva una visione cristiana di tipo antigiudaico con la Chiesa dell’epoca, possa essersi rapportato con le fonti rabbiniche che ebbe a conoscere. Prima di soffermarsi sulla critica all’interpretazé-ne giudaica delle Scritture compiuta dal Lirano, gioverà dunque ricorda-re in quale modo questi abbia appreso le tecniche dell’esegesi letterale rabbinica.

2. Un francescano che «impara dagli Ebrei»: Nicola alla scuola dei rabbini

In questo modo – con l’idea dell’‘imparare dagli Ebrei’ – viene pre-sentato dallo storico dell’esegesi biblica Henning Graf Reventlow il la-voro del Lirano. Non sappiamo come e dove Nicola abbia studiato l’ebraico. Non siamo nemmeno in grado di conoscere a quale livello di competenza fosse arrivato, e i giudizi e le discussioni a questo riguardo sono svariati: a parere di H. G. Reventlow, per es., Nicola «riuscì a pe-netrare nei segreti di questa lingua più in profondità di tutti gli altri teo-logi cristiani» 12, e anche recentemente è stata ribadita e valorizzata la sua competenza linguistica, che comunque necessitava di aiuti da parte di

011 Si tratta dei due trattati Quaestio de adventu Christi, del 1309, e Responsio ad quendam Iudeum ex verbis Evangelii secundum Matthaeum contra Christum nequiter arguentem, scritto nel 1334 in reazione al trattato polemico anticristiano Milhamot Hashem di Jacob Reuben, redatto nel 1170. Sulla letteratura delle dispute tra cristiani ed Ebrei si possono vedere, oltre a A. S. abuLafia, Christians and Jews in Dispute. Di-sputational Literature and the Rise of anti-Judaism in the West (c. 1000-1150), Ashgate 1998, i titoli citati in nota da P. bobichon, Nicolas de Lyre dans la littérature hébraïque et juive (XIVe-XVIIe siecles), in Dahan, Nicolas de Lyre, 281-312: 312 nota 135. Sul trat-tato Sefer Milhamot si può vedere la dissertazione inedita di J. L. Levy, Sefer Milhamot Hashem, Chapter Eleven. The Earliest Jewish Critique of the New Testament, Ph. D. Unpub. Thesis, New York University, New York 2004.

012 reventLow, Imparare, 340. Ma sulla competenza effettiva del Lirano a riguardo dell’ebraico si veda anche A. GeiGer, ‘In Hebraeo Habetur’. The Hebrew Biblical Text in the Literal Commentary of Nicholas of Lyra on the Book of Lamentations, in Revue des Etudes Juives 166 (2007) 147-173, che evidenzia e commenta diversi errori e lacune nella sua preparazione linguistica.

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ebrei esperti 13. Ma certamente è da scartare l’ipotesi, avanzata già presto, che Nicola fosse di origine ebraica; più probabile è che abbia avuto la possibilità di frequentare una scuola ebraica che poteva trovarsi non di-stante dal suo villaggio, o che abbia imparato la lingua da un convertito ebreo. Quello che soprattutto interessa è che un teologo francescano abbia sentito la necessità di studiare quella lingua, e non abbia «attinto nulla dal proprio cervello, bensì (soltanto) sotto la direzione, il consiglio e la guida di persone che erano esperte nella lingua ebraica» 14. Certo, Nicola non è il primo ad approfondire l’ebraico – viene dopo Andrea di San Vittore, Erberto di Bosham, Roberto Grossatesta, Ruggero Bacone (il Doctor mirabilis che tanto criticava gli scolastici per la loro svalutazione delle lingue bibliche), Guillaume de la Mare – ma il Lirano è il primo che non solo studia l’ebraico, ma si rifà all’esegesi ebraica, concentrando l’attenzione sulla Peshat del testo, ovvero sul suo significato letterale 15. In questo, Nicola seguì fedelmente Rashi, il maestro ebreo che più di tutti si era attenuto a questo metodo interpretativo.

La scelta di Nicola non doveva essere affatto scontata: «già dalla metà del XIII sec., infatti, e specialmente in Francia, era in atto una campagna – istigata dalla Chiesa – contro gli autori rabbini, che portò alla confisca e alla distruzione delle opere giudaiche dell’era talmudica (Talmud e midrashim) e delle opere ad esse collegate (ovvero, quasi l’intero corpus della letteratura rabbinica). Tra le opere proibite vi erano anche quelle di Rashi» 16. E se il divieto vigeva solo per gli Ebrei, ciò non significa che il clima in cui si venne a trovare Nicola fosse propizio per il ricorso all’esegesi giudaica: egli, infatti, dovette rifarsi a Girolamo per ricordare

013 Così A. GeiGer, A Student and an Opponent. Nicholas of Lyra and his Jewish Sources, in Dahan, Nicolas de Lyre, 167-203, che alle pp. 172-173 nota 23 riporta anche le critiche a detta opinione. Sulla necessità di una mediazione linguistica per Nicola, nella lettura di Rashi o di altri testi ebraici, si veda anche p. 187.

014 reventLow, Imparare, 341.015 Su questo importante aspetto si veda L. sMith, The Exegetical and Hermeneu-

tical Legacy of the Middle Ages. Christian and Jewish Perspectives. 2. 1. Nicholas of Lyra and Old Testament Interpretation, in M. sæbø, Hebrew Bible. Old Testament. The History of Its Interpretation 2, From the Renaissance to the Enlightenment, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 2008, 49-63. Si può anche vedere il lavoro di dottorato di J. G. KiecKer, The Hermeneutical Principles and Exegetical Methods of Nicholas of Lyra, O.F.M. (ca. 1270-1349), Ph. D. Thesis, Marquette University, 1978.

016 GeiGer, A Student, 169.

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che l’Hebraica veritas era stata cercata anche, e in primis, dal grande padre della Chiesa.

a. Alla scuola di Rashi

Prima di Rashi (Rabbi Solomon ben Isaac, 1040-1105) 17 nelle scuole giudaiche prevalevano il metodo di lettura biblica halakico e quello hag-gadico. Fu il rabbi di Troyes ad introdurre un terzo metodo espositivo, sollecitato anche dai lavori lessicografici portati avanti prima di lui da Ebrei spagnoli 18.

È importante ricordare che il metodo esegetico biblico di Rashi si dif-ferenziava da quello che egli stesso utilizzava per spiegare e commentare il Talmud 19. Mentre per quest’ultimo accoglieva senza riserve la tradizione che l’aveva preceduto, e il suo scopo era semplicemente quello di spie-gare il testo, per quanto riguarda il commento alla Bibbia ebraica il rabbi di Troyes era molto più selettivo. Presentava sì le opinioni di altri suoi predecessori, ma poi interveniva con le note formule – che compaiono decine di volte – «per quanto mi riguarda, sono giunto…», oppure «e io dico…». Rashi, soprattutto, usava tali espressioni quando ricordava che vi erano diverse interpretazioni possibili – quelle midrashiche e haggadi-che e di altri rabbini – e poi sceglieva il senso letterale, che lui chiamerà soprattutto Peshat. Nella Francia di Rashi, l’operazione che ristabiliva il senso letterale del testo biblico fu una vera novità, al punto che il nipote di Rashi, Rashbam, in alcuni luoghi del commentario biblico che anch’egli compilò, dovette ripresentare, accanto al commento del nonno, anche la tradizione classica rabbinica 20.

017 L’importante bibliografia su Rashi si è recentemente arricchita anche di tra-duzioni in italiano, quali: E. wieseL, Rashi. Il grande commentatore, Giuntina, Firenze 2012 (ed. orig. inglese 2009); S. schwarzfuchs, Rashi. Il maestro del Talmud, Jaca Book, Milano 2005 (ed. orig. francese 1991); C. pearL, Rashi. Vita e opera del massimo esegeta ebraico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1995 (ed. orig. inglese 1988).

018 Cfr. B. sMaLLey, Lo studio della Bibbia nel Medioevo, Il Mulino, Bologna 1972, 216-217 (ed. orig. inglese 1952).

019 Si veda, a questo riguardo, almeno B. J. GeLLes, Peshat and Derash in the Exegesis of Rashi, Brill, Leiden 1981.

020 Cfr. GeLLes, Peshat, 14.

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Quello che fece il rabbi di Troyes fu fondamentale per Nicola 21. Per usare le parole di Mauro Zonta, Nicola è stato un ‘discepolo’ di Rashi: è proprio il nostro francescano «il più celebre esegeta cristiano [ – rispetto ai Vittorini (Ugo, Riccardo, e Andrea da San Vittore), e ad altri ebraisti medievali – ] che ha fatto un frequente, anzi, pressoché sistematico uso dell’esegesi ebraica» 22. Anche se non è il più competente ebraista prodotto dalla Chiesa occidentale dal tempo di Girolamo fino a Pico della Mirandola (tale fama compete forse a Erberto di Bosham, segretario dell’arcivescovo di Canterbury, Thomas Beckett, e autore di un noto commento ai Salmi condotto sul testo ebraico) e anche se Nicola da Lira ha utilizzato anche altre fonti giudaiche oltre a Rashi (Nicola mostra di conoscere anche i targumim, il Talmud, il Midrash Rabbah, Flavio Giuseppe, e altri autori ebrei ancora, come Mosè ha-Darshan di Narbonne e Maimonide) 23, al punto da poter essere rappresentato come «il culmine di un movimento per lo studio dell’ebraico e dei testi rabbinici» 24, la sua opera è legata strettamente a Rashi. L’adesione al rabbi francese è una vera e propria novità nell’esegesi medievale: nessuno prima del francescano aveva letto e usato in modo così sistematico e completo Rashi; e questo fu chiaro anche ai critici del Lirano, che infatti lo avevano soprannominato «Simia Salomonis», la «scimmia di Rabbi Salomon ben Isaac» 25.

Come si è accennato sopra, il senso di questa operazione, la sistematica ripresa di Rashi e delle sue argomentazioni, doveva anche essere di tipo difensivo; poiché nel 1240 a Parigi il Talmud era stato bruciato 26, Nicola

021 Si vedano, a questo proposito, lo studio di H. haiLperin, Rashi and the Christian Scholars, University of Pittsburgh Press, Pittsburgh, Pennsylvania 1963, e l’articolo di G. K. hasseLhoff, Raschi und die christliche Bibelauslegung dargestellt an den Kommen-taren zum Neuen Testament von Nicolaus von Lyra, in Judaica 62 (2006) 193-215.

022 M. zonta, Gli influssi dei commentatori ebrei sugli esegeti cristiani, in S. J. sierra, La lettura ebraica delle Scritture, Edizioni Dehoniane, Bologna 1995, 299-316: 311.

023 Si può vedere sull’argomento W. bunte, Rabbinische Traditionen bei Nikolaus von Lyra. Ein Beitrag zur Schriftauslegung des Spätmittelalters, Peter Lang, Frankfurt am Main 1994. Per quanto riguarda l’utilizzo da parte di Nicola da Lira delle opere di Maimonide, si veda anche L. sMith, The Imaginary Jerusalem of Nicholas of Lyra, in L. DonKin et alii, Imagining Jerusalem in the Medieval West. Proceedings of the British Academy, Oxford University Press, Oxford 2012, 77-96.

024 sMaLLey, Lo studio, 488.025 Cfr. De Lubac, Esegesi 1, 1586.026 Su questo punto si veda anche P. F. fuMaGaLLi, Roma e Gerusalemme. La

Chiesa cattolica e il popolo d’Israele, Mondadori, Milano 2007, 90-92.

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poteva comunque utilizzare la sapienza giudaica attraverso la mediazione della citazione di Rashi, riuscendo così a riprendere, ogni volta che lo voleva, anche scritti allora ritenuti anticristiani: ecco perché «ogni volta che nella Postilla vi sono interpretazioni derivanti dal Talmud, Nicola le riferisce a Rashi» 27.

b. Seguire gli Ebrei contro la tradizione

Nicola, per cercare e trovare la verità del significato del testo, si distacca anche dall’interpretazione classica tradizionale cristiana, avvicinandosi così molte volte a quella giudaica. In pratica, Nicola torna all’hebraica veritas ogni volta che questo è necessario per restituire senso al testo originale, anche a costo di distaccarsi dall’autorevole traduzione latina di Girolamo. Un esempio significativo riguarda l’interpretazione della genealogia di Gesù all’inizio del Vangelo secondo Matteo. Per introdurre la propria esegesi, Nicola deve anzitutto assicurare i propri lettori che «nessuno si deve turbare se mi discosto in questo dall’opinione di Giro-lamo» 28, e poi procede sistematicamente rifacendosi non a Girolamo, ma ai maestri ebrei. Il problema nasceva per il fatto che Girolamo credeva di aver trovato la ragione della presenza delle quattro figure femminili (insolita, per le genealogie bibliche) tra le antenate di Gesù nei peccati che esse avrebbero commesso, sottolineando così l’umanità di Gesù. Il punto debole di questa interpretazione, secondo Nicola da Lira, era che dava spazio e argomenti alla polemica giudaica anticristiana: e infatti il ragionamento di Girolamo poteva condurre quasi automaticamente a dire che lo stesso filo che legava quelle donne peccatrici arrivava fino alla Vergine Maria. L’opposizione di Nicola all’interpretazione classica potrebbe anche avere origine, a parere di Deena Copeland Klepper, dalla preoccupazione del Lirano che gli Ebrei in questo modo si sarebbero an-cor di più allontanati dal cristianesimo 29. Sta di fatto che Nicola sceglie un’altra strada, arrivando così a ‘difendere’ dall’accusa di peccaminosità ognuna delle quattro donne presenti nella genealogia matteana. Per fare questo, ricorre all’interpretazione giudaica, mettendo da parte quella tra-dizionale cristiana. Quando deve parlare di Raab, la donna che compare

027 GeiGer, A Student, 170.028 Citato da KLepper, The Insight, 40.029 Cfr. KLepper, The Insight, 45.

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nel libro di Giosuè al cap. 2 – ed è poi citata da Matteo (1, 5) nella sua genealogia di Gesù – Nicola non può che ricorrere alla hebraica veritas per sostenere la propria opinione. Raab, infatti, era comunemente vista nell’esegesi cristiana come la ‘prostituta di Gerico’, mentre sin dall’antichità l’interpretazione giudaica di Raab non era così univoca: già i targumim, Giuseppe Flavio, e infine – ovviamente – Rashi, non la consideravano una meretrice, in quanto interpretavano l’ebraico zonah di Gs 2, 1 non con il significato di meretrix, ma di hospita, ospite, nel senso di ‘proprietaria di un albergo’. Il Lirano, seguendo questa strada, a costo di non tener presente quanto scritto nelle lettere di Giacomo (2, 25) e in quella agli Ebrei (11, 31) – dove risuona invece l’altra linea interpretativa giudaica, quella che prevarrà nell’esegesi cristiana, e che vedeva Raab come una prostituta cananea 30 – sceglie Rashi piuttosto che Girolamo.

c. La critica al giudaismo e ad alcune interpretazioni degli Ebrei

Il fatto che Nicola da Lira segua abitualmente Rashi non implica però che non abbia mai criticato alcune sue interpretazioni o quelle degli autori ebrei, soprattutto quando queste potevano essere in disaccordo su punti fondamentali della fede cristiana, in particolare nei due ambiti della cristologia e della teologia.

Tra gli esempi più significativi a dimostrazione dell’autonomia del Lirano rispetto all’esegesi giudaica 31, vi è quello riguardante Genesi, 1, 26. Prima che il sesto giorno abbia termine, Dio crea l’essere umano. Ma, diversamente dagli altri atti creativi precedenti, questa volta Elohim dice: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza…». È ovvio che la formula «Facciamo», per il fatto che appare solo qui, e a pronunciarla è nientemeno che Dio, non poteva non provocare l’inter-

030 La tradizione giudaica non è univoca riguardo alla professione di Raab. Secondo altre tradizioni essa viene considerata come una vera prostituta, che però si converte grazie all’incontro con gli esploratori ebrei. Diventata moglie di Giosuè, sarà madre di sette profeti, tra i quali la profetessa Hulda. L’autorevole edizione del Tanakh della Jewish pubLication society, The Jewish Study Bible, Oxford University Press, Oxford 2004, 466, preferisce interpretare zonah nel senso di ‘prostituta’.

031 Cfr. H. haiLperin, Rashi and the Christian Scholars, University of Pittsburgh Press, Pittsburgh, Pennsylvania 1963. Si veda anche, su questo punto, E. H. MerriLL, Rashi, Nicholas de Lyra, and Christian Exegesis, in Westminster Theological Journal 38 (1975) 66–79: 72.

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pretazione antica. Nell’esegesi moderna siamo in grado di riconoscere in questa forma verbale un atto linguistico dichiarativo, rafforzato dal plurale deliberativo solenne. Ma mentre oggi possiamo dare un valore simbolico a questo verbo, leggendolo dal punto dell’atto linguistico che esso implica, non poteva essere così nell’esegesi antica. Ecco allora che Rashi, sulla scorta degli interpreti ebrei precedenti, commentava: «Da questo [il plu-rale «Facciamo»] possiamo vedere l’umiltà del Santo, benedetto Egli sia. Siccome l’uomo è stato creato a somiglianza degli angeli [nel senso: degli Elohim], e questi l’avrebbero invidiato, prima Dio li ha consultati». Rashi dunque deve spiegare che la formula «Facciamo» è come una domanda posta da Dio alla sua corte celeste, perché questo plurale poteva suscitare erronee interpretazioni, come ancora Rashi noterà: «Per la confutazione degli eretici è scritto subito dopo ‘E Dio creò’, e non è detto ‘ed essi lo crearono’». Infatti, già nel midrash antico (poi nel Talmud, Sanhedrin 38b) si raccontava proprio che Mosè, scrivendo la Torah, e arrivando al versetto in cui compare «Facciamo» si rivolse a Dio, domandandogli: «Signore dell’universo, perché fornisci un pretesto agli eretici per credere che vi sia una pluralità di divinità?» 32.

È a partire da tutte queste implicazioni che comprendiamo il senso della scelta di Nicola riguardo a Gen 1, 26. Il francescano rileva che secondo gli Ebrei l’espressione «Facciamo» sarebbe rivolta da Dio agli angeli, e aggiunge: «Ma ciò sembra essere falso, perché gli angeli non sono co-creatori con Dio dell’anima umana, nella quale si trova la stessa immagine divina». La soluzione del Lirano sarà, in conclusione, che il plurale «Facciamo» denota proprio la pluralità delle persone di Dio. Per un cristiano, non era difficile scorgere in quella formula una prefigura-zione della Trinità.

Le correzioni che Nicola porta al suo ‘maestro’ Rashi e alla tradizione giudaica sono compiute in modo consapevole, e lo dichiara espressamente egli stesso nella sua introduzione alle Postillae: «Inserirò a volte, anche se molto raramente, alcuni insegnamenti giudaici che sono semplicemen-te assurdi: non perché si debba aderire ad essi o debbano essere seguiti, ma perché mostrino il prevalere della cecità di Israele, come Paolo dice nella Lettera ai Romani». A questo riguardo è però necessario ricordare

032 M. zLotowitz – n. scherMan, Bereishis. Genesis. A New Translation with a Commentary Anthologized from Talmudic, Midrashic and Rabbinic Sources 1 (a), New York 2002, 68.

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che – come è stato notato da Ari Geiger – le critiche di Nicola all’esegesi giudaica non sono mai pregiudiziali: «Nicola dà grande peso al fatto che si può imparare dai testi giudaici; solo molto raramente li riprende per mostrarne l’assurdità […]. Nella maggioranza dei casi Nicola accetta l’interpretazione giudaica ed è infatti l’unica che offre» 33. Lo stesso è il parere di Zonta, per il quale «l’atteggiamento generale di Nicola nei confronti degli esegeti Ebrei non è, in effetti, polemico, bensì critico, nel quadro di un costante sforzo di mantenere una serena equidistanza da tutte le interpretazioni (ebraiche o cristiane) e poter così scegliere quella più prossima alla lettera e al senso ‘originale’ del testo sacro» 34. Insomma, non si riscontra mai, nell’opera del Lirano, quell’atteggiamento polemiz-zante che o contestava semplicemente l’esegesi ebraica 35, o addirittura la metteva in ridicolo, e che invece caratterizzava le famose Extractiones de Talmud, un’antologia in lingua latina di passi tratti dal Talmud o da Rashi, compilata allo scopo di dimostrare la ‘perfidia giudaica’ e apparsa a Parigi tra il 1248 e il 1253, in seguito alla disputa pubblica del 1240 tra i rabbini e i domenicani (disputa che portò poi al rogo del Talmud).

Sempre per dire come dopo Nicola le cose cambiarono notevolmente, e come la sua esegesi delle fonti giudaiche fosse motivata dalla ricerca della verità, dobbiamo ricordare che ancora un domenicano, lo spagnolo Raimondo Martín, compose nel 1278 una raccolta di tradizioni ebraiche (e islamiche), il Pugio fidei, che potesse servire come strumento polemi-co per le dispute interreligiose e per le missioni. Nicola, anche se non si distacca troppo dalla teologia controversista che accusa a volte gli Ebrei di falsificazione dei testi biblici, è invece equilibrato e attento a non gene-ralizzare. Soprattutto, come ha ultimamente notato Claire Soussen-Max in uno studio sulla polemica antigiudaica nelle opere del Lirano, tale forma di contrasto non è mai ‘di attacco’, ma di difesa. Forse anche in questo, sembra affermare la studiosa, Nicola ha imparato dagli Ebrei: in questo senso, infatti, la sua «posizione è originale a più livelli; si è notato che essa viene assunta dai polemisti Ebrei per difendere i propri correligionari

033 GeiGer, A Student, 194.034 zonta, Gli influssi, 312.035 In questo senso, è ormai superato il giudizio severo che nel 1925 Louis New-

man dava di Nicola, considerandolo «uno strenuo oppositore della teologia giudaica e degli Ebrei»: L. I. newMan, Jewish Influence on Christian Reform Movements, Skokie, Illinois 2002, 337.

286 GiuLio MicheLini

contro la tentazione della conversione, ed ecco, ora è di un cristiano che sente la necessità di difendere il cristianesimo» 36.

d. L’esegesi spirituale di Nicola

Se si è detto che Nicola – sulla scia di Rashi – si sofferma soprat-tutto sulla peshat del testo, non trascura però l’interpretazione spirituale, al modo in cui già il rabbi di Troyes non dimenticava mai il midrash, che anzi riportava fedelmente: anche il derash, l’amplificazione del si-gnificato di un testo, soprattutto a scopo omiletico, era di interesse per Nicola. Ma ogni ulteriore interpretazione successiva doveva, per Nicola, essere fondata anzitutto sulla lettera del testo e su una accurata disamina storica, filologica e linguistica del significato delle parole. Il programma del Lirano era chiaro: i significati ‘ulteriori’ e metaforici della Scrittura – scriveva – «presuppongono come fondamento il senso letterale. Perciò, come un edificio che se non ha fondamenta salde finirà col crollare, così l’interpretazione mistica che si discosta dal senso letterale va considerata impropria e inadeguata» 37.

In ogni caso – come abbiamo già detto, ricordando che il de Lubac sottolineava insistentemente questo aspetto – Nicola non abbandone-rà completamente l’interpretazione allegorica o spirituale. Nel libro dell’Apocalisse, così, rivede tutta la storia della Chiesa, fino ai suoi tempi, trovando precise corrispondenze tra i simboli di cui si parla nel testo e i personaggi o gli eventi storici. Lo stesso, come già accennato, si ha per l’interpretazione del Cantico dei Cantici, che per il Lirano alluderebbe non solo alla liberazione dall’Egitto (fin qui seguendo la tradizione giu-daica) ma – e qui Nicola è esegeta cristiano – anche al tempo glorioso che contempla la presenza della Chiesa. Anche per questo libro – come per l’Apocalisse – si deve ammettere che Nicola, come tutti prima di lui, non aveva trovato altra chiave ermeneutica che quella allegorica o tipologica. Saranno necessari secoli, prima che anche per questi testi possano essere avanzate interpretazioni diverse.

In conclusione, piuttosto che l’ipotesi di de Lubac, secondo il quale anche Nicola sarebbe stato sotto l’influenza di Gioacchino da Fiore, al

036 C. soussen-Max, La polémique anti-juive de Nicolas de Lyre, in Dahan, Nicolas de Lyre, 51-73: 72.

037 Citato da reventLow, Imparare, 340.

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quale risalirebbe l’interpretazione allegorizzante e spirituale che si tro-va nelle Postillae, e del quale adotterebbe i principi e ne seguirebbe le linee essenziali, preferiamo l’ipotesi, a nostro parere più equilibrata, di Reventlow: «in Niccolò di Lira l’esegesi del senso storico non è l’unico metodo, anche se egli riserva ad essa un posto importante persino nei brani di grande rilevanza per l’esegesi cristiana. Questo gli è possibile grazie alla sua teoria del ‘duplice senso letterale’. Ma sarebbe anacronistico pretendere una sua rinuncia totale alla lettura metaforica» 38.

3. L’esegesi del Lirano nel contesto del movimento minoritico

Nicola da Lira è un teologo esegeta, e per questo aspetto la sua figura è certamente francescana 39, se è vero che «nel sistema francescano […] la scienza delle scienze è la Sacra Scrittura, l’unica che devono coltivare i frati Minori secondo Bonaventura; e solo per approfondire quella, egli permette[va] lo studio delle scienze profane» 40.

Come alcuni hanno notato, però, la produzione di Nicola si distingue molto da quella dei frati Minori. Già sul piano della riflessione filosofica, a guardar bene, Nicola sarebbe stato formato nello spirito aristotelico, come Tommaso d’Aquino, dal quale l’esegeta francescano è fortemente influenzato, anche se non si deve comunque dimenticare che «là dove Nicola afferma che l’esegeta ‘speculando e meditando è portato all’amore di questo oggetto riconosciuto, ossia di Dio’, il linguaggio filosofico lascia trapelare l’ideale francescano» 41.

L’opera più importante di Nicola da Lira, le Postillae, fu presentata a papa Giovanni XXII per l’approvazione 42, anche se sappiamo che nove anni prima (maggio 1322), mentre ricopriva la carica di ministro provin-ciale dei frati Minori in Francia, Nicola aveva firmato, con una quarantina di altri teologi francescani, il documento di Perugia contro la bolla Quia

038 reventLow, Imparare, 348.039 Sull’identità francescana di Nicola si veda J. M. Matenaer, Nicholas of Lyra’s

Place in Franciscan Exegesis, University of Wisconsin, Madison, Wisconsin 2005.040 L. iriarte, Storia del Francescanesimo, Edizioni Dehoniane, Roma 1994, 185.041 reventLow, Imparare, 339.042 Cfr. J. M. Matenaer, Lyra in Light of Condemnation, in Franciscan Studies

65 (2007) 349-369: 354. Si veda però la notizia in reventLow, Imparare, 338, secondo la quale l’opera principale del Lirano fu completata nel 1332.

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nonnunquam dello stesso papa Giovanni. È a questo riguardo che forse gli storici del francescanesimo potrebbero approfondire alcune questioni, se è vero che – come scrive James M. Matenaer – la ricerca su Nicola è come anestetizzata, in quanto si è soffermata solo sul campo dell’esegesi biblica 43. È vero, piuttosto, che le Postillae si possono e si devono com-prendere non solo in rapporto alla loro pertinenza alla scuola esegetica giudaica, ma anche nel contesto delle tensioni nelle quali si trovavano i Minori agli inizi del Trecento, e che riguardavano anche l’interpretazione della Bibbia. Infatti, se agli inizi degli anni Venti papa Giovanni XXII era intervenuto sulla questione della povertà di Cristo dichiarando la posizione francescana un assurdo, l’8 febbraio 1326 aveva anche dichiarato eretica la Lectura super Apocalipsim di Pietro di Giovanni Olivi 44. Per l’impegno accademico e scientifico di Nicola da Lira, questa condanna non doveva essere di secondaria importanza. La sua opera principale, infatti, vedeva la luce proprio in quel decennio in cui l’Ordine francescano si scontrò con il romano pontefice e, come detto sopra, Nicola aveva tra l’altro partecipato al capitolo di Perugia e aveva contestato le tesi pontificie.

Per quanto riguarda l’esegesi del Lirano, il punto dunque è se le sue posizioni esegetiche furono influenzate o meno dall’attrito con la Santa Sede. Se Kevin Madigan sostiene che nulla di tutto questo emerge nei commentari, ovvero che Nicola «ignora o implicitamente ripudia le scelte esegetiche francescanizzanti e gioachimite, in favore di un approccio non ‘partigiano’» 45, altri invece ritengono che Nicola abbia comunque cerca-to, in qualche modo, di difendere la proposizione francescana secondo la quale Cristo e gli apostoli non possedevano nulla 46.

043 Matenaer, Lyra, 349.044 Cf. K. MaDiGan, Olivi and the Interpretation of Matthew in the High Middle

Ages, University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana 2003, 129-140; D. burr, Olivi’s Peaceable Kingdom. A Reading of the Apocalypse Commentary, University of Pennsylvania Press, Philadelphia, Pennsylvania 1993. Sul metodo esegetico dell’Olivi, che è quasi essenzialmente letterale (ma indulge a volte anche all’esegesi allegorica, morale, e mistica), si veda l’introduzione di F. iozzeLLi a petrus iohannis oLivi, Lectura super Lucam et Lectura super Marcum (Collectio Oliviana 5), Editiones Collegii S. Bonaventurae ad Claras Aquas, Grottaferrata (Roma) 2010, 77-109.

045 K. MaDiGan, Lyra on the Gospel of Matthew, in Krey et alii, Nicholas, 195-221: 199.

046 È la tesi centrale dell’articolo di Matenaer, Lyra.

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La questione dell’esegesi letterale praticata da Nicola sulla scorta di Rashi, non è dunque di secondaria importanza: potremmo anzi avanzare l’ipotesi che sia stata proprio questa metodologia a salvaguardare il Li-rano dalla deriva interpretativa, che si prestava ad aver forma soprattutto nell’ambito dell’esegesi spirituale. Se questo tipo di esegesi è caratteristica dell’interpretazione cristiana – e A. M. Pelletier arriva a dire che essa è «la formula stessa dell’esegesi biblica cristiana, quale è stata praticata ininterrottamente fino al XVI secolo, prima che l’età critica non la con-vertisse in un semplice possibile della lettura biblica» 47 – si dovrà però anche ammettere che è soprattutto nell’alveo dell’esegesi spirituale, quando questa si sforzava a tutti i costi «di trovare un senso spirituale nei più piccoli dettagli dei testi biblici – per esempio, in ogni prescrizione delle leggi rituali – servendosi di metodi rabbinici o ispirandosi all’allegorismo ellenistico» 48, che sono nate diverse interpretazioni soggettive ed esa-gerate. A questo, si dovrà aggiungere un certo senso di prudenza, poiché è probabile che gli esegeti francescani abbiano cercato attentamente di evitare interpretazioni eccedenti, per scongiurare pericolose associazioni con le visioni dell’Olivi, in quanto è certo che Nicola da Lira «portava avanti la sua esegesi in un contesto di grave sospetto» 49.

Uscendo però dal campo delle possibilità e delle ipotesi, per torna-re a quello più certo dei dati, gioverà ricordare che la non conformità dell’esegesi del Lirano ai canoni patristici, codificati da secoli, ma ai quali si erano opposti anche teologi come Tommaso, era lecita: essendo Nicola da Lira un professore di università, era abilitato «a spiegare la Bibbia non più soltanto in modo cursorio, sulla base delle citazioni attinte dai maestri della Chiesa, ma anche affrontando contenuti teologici e sostenendo idee e posizioni teologiche personali» 50. Poteva dunque liberamente scegliere il metodo da seguire.

047 Citazione ripresa da E. bianchi, La lettura spirituale della Scrittura oggi, in I. de La potterie et alii, L’esegesi cristiana oggi, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1991, 215-277: 220.

048 pontificia coMMissione bibLica, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993), in Enchiridion Vaticanum 13, Edizioni Dehoniane, Bologna 1995, 1651.1653 (n. 3008).

049 Cfr. Matenaer, Lyra, 368; cf. 350.050 reventLow, Imparare, 338.

290 GiuLio MicheLini

4. La fortuna del Lirano

L’epoca in cui visse Nicola era ancora segnata da buone relazioni tra Ebrei e cristiani, ma assistette presto ad un deterioramento di queste. Si può dire che con Nicola si chiuse quel periodo che, per due secoli, aveva visto gli esegeti cristiani utilizzare le fonti giudaiche, e farlo soprattutto per l’attenzione alla lettera del testo. Anche l’interpretazione giudaica, nel frattempo, verrà a maturare un’altra modalità di lettura dei libri biblici, che sarà portata avanti d’ora in avanti soprattutto attraverso l’esegesi filosofica (pensiamo a Maimonide) o quella cabalistica.

L’opera mastodontica di Nicola fu molto utilizzata (in questo senso egli fu il doctor utilis), ma anche criticata, e in realtà il Lirano non ebbe discepoli. In particolare, l’ebreo convertito Paolo di Burgos – nato Salo-mon ben Levi, poi domenicano e vescovo di Burgos – scrisse nel 1429 le Additiones alle Postillae, accusando il Lirano di essere ‘giudaizzante’ e di aver trascurato il senso spirituale e mistico del testo biblico, per prediligere quello letterale. Con questa critica, a volte, come scrive il de Lubac, «un po’ meschina» 51, Paolo di Burgos, noto anche per la sua opera polemica Scrutinium Scripturarum contra perfidiam Judaeorum (pubblicata nel 1469), non risparmia al Lirano nemmeno il sospetto di una sua insufficiente padronanza della lingua ebraica 52.

Ora la fortuna di Nicola da Lira non è più semplicemente attestabi-le grazie alla ricezione che ha avuto da parte cristiana: finalmente, gra-zie al lavoro di Philippe Bobichon, sappiamo come l’esegeta francesca-no sia stato continuamente ripreso da autori ebrei, almeno fino al XVII sec. 53, al punto che qualcuno è arrivato anche a dire che Nicola, per aver fatto conoscere Rashi ai cristiani, «ha assicurato all’esegesi giudai-ca un’incidenza sul progresso della scienza esegetica che altrimenti – data la sua esistenza isolata – non avrebbe mai avuto senza quest’azione di mediazione» 54.

051 De Lubac, Esegesi 1, 1595.052 Cfr. zonta, Gli influssi, 313. Ma il prelato non è comunque un fanatico dell’al-

legoresi, e anzi difende a volte Nicola e la sua esegesi: «il senso letterale, dice Paolo, basta per tutto ciò che è necessario alla salvezza [anche perchè] la testimonianza delle Scritture non è oggettivamente certa che nel loro senso letterale, come s. Agostino stesso afferma a varie riprese»: De Lubac, Esegesi 1, 1594.

053 Cfr. bobichon, Nicolas.054 reventLow, Imparare, 350.

291nicoLa Da Lira e L’eseGesi GiuDaica

Per passare ora dalla prospettiva della storia dell’esegesi a quella più teologica, ci sembra utile concludere con una riflessione che apra una finestra sul presente. Non dobbiamo infatti dimenticare che bisognerà attendere il documento della Pontificia Commissione Biblica del 1993 per poter leggere che la Chiesa accetta l’interpretazione di un testo biblico sulla base delle fonti giudaiche. Questo approccio è pensato soprattutto, secondo quanto scrive il documento, per l’esegesi dell’Antico Testamento, ma poiché vie-ne stabilito chiaramente nello stesso documento che «il giudaismo è stato anche l’ambiente di origine del Nuovo Testamento e della chiesa nascente» 55, è evidente che tale prospettiva può essere utilizzata anche per gli scritti cristiani antichi, in quanto «la ricchezza dell’erudizione giudaica messa a servizio della Bibbia, dalle sue origini nell’antichità fino ai nostri giorni, è un aiuto di primaria importanza per l’esegesi dei due Testamenti…» 56. Siccome, continua la Pontificia Commissione, «numerosi esegeti dell’Antico Testamento fanno ricorso a commentatori, grammatici e lessicografi ebrei medievali e più recenti per la comprensione di passi oscuri o di parole rare o uniche» 57, nulla toglie che, per lo stesso principio visto ora, detto ricorso possa avvenire nell’ambito degli studi di neotestamentaristica. In questo senso, non possiamo non ricordare i lavori che – molti secoli dopo quelli del Lirano – ne ripercorrono la strada: pensiamo al commentario al Nuovo Testamento di Strack e Billerbeck 58; e per quanto riguarda il versante ebrai-co, oltre ai titoli di D. H. Stern 59 e di S. T. Lachs 60, è da segnalare il lavoro curato da Amy-Jill Levine e Marc Zvi Brettler sempre sul Nuovo Testamen-to, operazione assai importante ed originale nelle sue prospettive 61.

055 pontificia coMMissione bibLica, L’interpretazione, in Enchiridion Vaticanum 13, 1601 (n. 2920)

056 pontificia coMMissione bibLica, L’interpretazione, in Enchiridion Vaticanum 13, 1603 (n. 2924: corsivo nostro).

057 pontificia coMMissione bibLica, L’interpretazione, in Enchiridion Vaticanum 13, 1603 (n. 2923).

058 H. L. stracK – P. biLLerbecK, Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrasch. Das Evangelium nach Matthäus, C. H. Beck, München 1954-1961.

059 D. H. stern, Jewish New Testament Commentary, Jewish New Testament Publications, Baltimore, Maryland 1989.

060 S. T. Lachs, A Rabbinic Commentary on the New Testament. The Gospel of Matthew, Mark and Luke, Ktav Publishing House – Anti-Defamation League of B’nai B’erit, Hoboken, New York 1987.

061 A.-J. Levine et alii, The Jewish annotated New Testament. New Revised Stan-dard Version Bible Translation, Oxford University Press, New York 2011.

292 GiuLio MicheLini

Quanto ha fatto Nicola non è, però – sempre per rimanere all’oggi – ancora pienamente tenuto in considerazione. Basterà ricordare che durante la XII assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi (5-26 ottobre 2008), mentre è stata ribadita in più occasioni l’importanza dell’interpre-tazione ebraica «della Bibbia» (sic) 62, un autorevole esegeta, il cardinale Vanhoye, ha sentito la necessità di ribadire alcuni punti. Commentando il documento della Pontificia Commissione Biblica del 2001, affermava che secondo questo documento la lettura ebraica è possibile per i cristiani, che devono ammetterla («les chrétiens peuvent et doivent admettre que la lecture juive de la Bible, est une lecture possible»), ma poi questa affermazione viene negata dicendo che non è possibile per i cristiani («cette lecture n’est pas possible pour les chrétiens»). La difficoltà viene probabilmente dal fatto che la parte citata del documento della Pontificia Commissione Biblica vuole dire come la lettura ebraica delle Scritture sia sì lecita, in quanto analoga alla lettura cristiana, ma per gli Ebrei. I cristiani, invece, continua la Pontificia Commissione Biblica, non possono «leggere questa Bibbia come gli Ebrei», anche se fosse allo scopo di «rispettare realmente la sua origine ebraica» 63. Le parole di Vanhoye ribadiscono da una parte l’assunto già presentato dalla Pontificia Commissione Biblica, e dall’altra fanno sorgere ulteriori domande. In particolare, ci si può chiedere che cosa significhi la specificazione circa la lettura «nel complesso o nei dettagli»,

062 Nella proposizione 52 dell’assemblea sinodale è scritto: «La comprensione ebraica della Bibbia può aiutare l’intelligenza e lo studio delle Scritture da parte dei cristiani. L’interpretazione biblica cristiana è fondata sull’unità dei due Testamenti in Gesù, Parola fatta carne. Nella sua Persona si compie il senso pieno delle Scritture con continuità e discontinuità nei riguardi dei libri ispirati del popolo ebraico». L’espres-sione «della Bibbia» lascerebbe intendere un riferimento a tutti e due i Testamenti, e quindi un’apertura anche alla lettura ebraica del Nuovo, ma nella pagina web dove sono pubblicate le proposizioni viene specificato che «le traduzioni [di esse] non hanno carattere ufficiale». Un giudizio analogo sull’interpretazione ebraica della Bibbia viene dal messaggio finale della stessa assemblea sinodale, allorquando si dice che «tutte le pagine sacre ebraiche […] ci consentono di arricchire la nostra interpretazione delle Sacre Scritture con le risorse feconde della tradizione esegetica giudaica»: sinoDo Dei vescovi. xii asseMbLea GeneraLe orDinaria, «Proposizione 52», http://www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod_doc_20081025_elenco-prop-finali_it.html (accesso: 9.5.2013).

063 pontificia coMMissione bibLica, Il popolo ebraico e le sue sacre Scritture nella Bibbia cristiana (24 maggio 2001), in Enchiridion Vaticanum 20, Edizioni Dehoniane, Bologna 2004, 585 (n. 820).

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e quanto questa differenza possa essere applicabile in concreto. Non solo: non sarebbe possibile, in linea teorica, leggere la Bibbia «alla maniera del giudaismo» 64 ma senza dover necessariamente accettare tutti i suoi presupposti ermeneutici, cosa che, del resto, fanno già, in pratica, molti cristiani, e che lo stesso Nicola ha fatto con la sua esegesi? 65.

A nostro parere, secondo quanto già scrive Zonta, «la lezione offer-ta dagli esegeti cristiani che, come Nicola da Lira, avevano studiato la Bibbia con attenzione filologica nei confronti tanto del testo quanto delle sue interpretazioni ebraiche più autorevoli, resta certamente valida ancor oggi» 66, e – per quanto possiamo intendere – non solo per leggere l’An-tico, ma anche il Nuovo Testamento. Per comprendere anche il Vangelo e il Nuovo Testamento non si può facilmente fare a meno della hebraica veritas: è la lezione più importante di Nicola da Lira. In questo modo, il frate francescano non solo ci ha consegnato un tesoro da riscoprire, ma è stato anche capace di costruire un ponte e favorire un incontro e uno scambio – come anche recentemente A. Vauchez e B. Sère hanno eviden-ziato 67 – con l’ebraismo stesso.

Il terreno sul quale hanno lavorato prima Rashi e poi Nicola da Lira è infatti una zona franca e comune, che cristiani ed Ebrei possono abitare insieme. Come ha ricordato recentemente Ari Geiger a proposito dell’ana-lisi letterale di un testo, il merito di questa forma di esegesi è «di avere basi neutrali e universali: le parole di un testo, la logica dell’esegeta, e le informazioni che sono state accumulate dall’uomo in diversi campi. Non sorprende, perciò, che quando diversi esegeti si confrontano [su un testo, mediante l’esegesi letterale], arrivino alle medesime conclusioni» 68.

064 pontificia coMMissione bibLica, Il popolo, in Enchiridion Vaticanum 20, 585 (n. 821).

065 Per ulteriori considerazioni a questo riguardo, si può vedere G. MicheLini, Il sangue dell’alleanza e la salvezza dei peccatori: una nuova lettura di Mt 26–27 (Ana-lecta Gregoriana 306), Gregorian & Biblical Press, Roma 2010, 463-466.

066 zonta, Gli influssi, 316.067 Cfr. a. vauchez – b. sère, Les chrétiens d’Occident face aux Juifs et aux

musulmans au Moyen Âge. XI e-XV e siecle, in Recherches de Science Religieuse 100/2 (2012) 187-208: 200-201.

068 a. GeiGer, Nicholas of Lyra’s Literal Commentary on Lamentations and Jewish Exegesis: A Comparative Study, in Medieval Encounters 16 (2010) 1-22: 21.

294 GiuLio MicheLini

abstract. – The Franciscan Nicholas of Lyre was one of the protagonists of Medieval exegesis and his works highly influenced the evolution of theology and biblical interpretation. In this contribution the author, after many decades of neglect on behalf of Italian scholars, examines the connections between Nicho-las’ exegesis and that of the Medieval rabbinic school, particularly the school of Rashi. Though not underestimating a spiritual kind of exegesis, Nicholas became the main promoter of the need to research the literal meaning of the biblical text, even though this meant resorting, when necessary, to the hebraica veritas, going against even St. Jerome. Nicholas’ figure is likewise original in relation to the context of Franciscan interpreters of the Holy Scriptures, as he took a different position than the dangerous drift that some Franciscan interpreters had started to undertake, abandoning the primary meaning of the biblical text, to which the research of Nicholas of Lyre was instead entirely devoted.