Mussolini e la Conferenza di Locarno (1925): il problema della sicurezza nella politica estera...

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MATTEO LUIGI NAPOLITANO

Mussolini e laConferenza di Locarno (1925)

Il problema della sicurezza nella politica estera italiana

EDITRICE MONTEFELTRO

© Editrice Montefeltro - 1996Via Bramante, 42/a61029 Urbino

ISBN 88-85363-27-X

Questo saggio è stato pubblicato con un contributo del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

PREMESSA

Il presente lavoro è il frutto di studi avviati durante il Dottorato di ricerca inStoria delle Relazioni internazionali, che ho frequentato presso la Facoltà di ScienzePolitiche dell’Università «La Sapienza» di Roma.

Da tali studi è scaturita la dissertazione presentata all’esame finale per il conse-guimento del titolo di Dottore di ricerca. Il lavoro è proseguito, in un secondo momen-to, nell’ambito di un corso di Post-dottorato presso la Facoltà di Scienze Politichedell’Università di Urbino.

Durante questa mia esperienza ho contratto un inestinguibile debito di gratitu-dine verso molte persone, ripagabile solo con un immenso «grazie».Al mio maestro,professor Pietro Pastorelli, debbo gli insegnamenti, i consigli e le esortazioni prodi-gatimi durante tutti questi anni; senza la sua pazienza e comprensione, difficilmen-te questo libro avrebbe visto la luce.Alla dottoressa Fabrizia Toscano, direttrice dellaBiblioteca e del «Fondo Mario Toscano» del Dipartimento di Studi Politici della«Sapienza», debbo l’affettuoso incoraggiamento, il materno buonsenso usato nel con-dividere piccoli e grandi problemi, e la liberalità che mi ha permesso ampio accesso aprezioso materiale bibliografico. Al professor Francesco Lefebvre D’Ovidio debbo legiovevoli osservazioni espresse quando il presente lavoro era ancora in embrione.

L’esperienza di post-dottorato, fatta ad Urbino si è giovata dello spirito di acco-glienza di quella giovane Facoltà di Scienze Politiche, animata dal suo Preside, pro-fessor Giampaolo Calchi Novati. Oltre che a lui, il mio ringraziamento va al pro-fessor Raffaele D’Agata, incaricato di Storia delle Relazioni internazionali, e aquanti altri mi hanno incoraggiato nella fase conclusiva del presente lavoro.

Non minore riconoscenza provo per colleghi ed amici di dottorato, di questo veroe proprio «Convivio» che per me è stata e resta la scuola romana di Storia delleRelazioni internazionali. I dottori Luca Micheletta e Luciano Monzali hanno lettoil manoscritto e mi hanno arricchito di consigli e di osservazioni, con una passione euna competenza che sono loro dono naturale. I dottori Andrea Gabellini e Federico

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Scarano hanno discusso con me di varie questioni, dandomi ripetute prove di stimae di affetto.A tutti loro debbo l’inesausta voglia di stare insieme, di confrontarsi, dirafforzare i vincoli di un’amicizia di raro pregio.

Altre persone mi hanno accompagnato nella gestazione di questo libro.Anzituttola dottoressa Ornella Di Pumpo, che in qualità di moglie mi ha illuminato sullarecondita armonia esistente tra lavoro intellettuale e lavoro domestico, mentre in qua-lità di censore letterario ha letto tutto il manoscritto per eliminarne le contorsioni sin-tattiche. La professoressa Monica Tomassini ha invece provveduto a controllare l’at-tendibilità delle mie traduzioni dal tedesco. I Padri Gesuiti della Cappella Uni-versitaria della «Sapienza», e gli amici Laura Bonanni, Claudia Vellucci, GiusyPirolli e Giampiero Marzi, hanno seguito con il loro affetto tutto il travaglio. Nonposso infine tralasciar menzione di quanti hanno facilitato le mie ricerche d’archiviodurante questi anni, e soprattutto le dottoresse Cinzia Maria Aicardi, PaolaBusonero, Raffaella Tursini e Stefania Ruggeri, dell’Archivio Storico Diplomaticodel Ministero degli Affari Esteri.A tutti va il mio cordiale ringraziamento.

Naturalmente dei giudizi espressi e dei possibili errori ed omissioni, riscontrabi-li in questo lavoro, sono e resto l’unico responsabile.

MATTEO LUIGI NAPOLITANO

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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

Alla cara memoria diMaria Marchese Siniscalchi,

il cui amore per la vita ho amato.

Vedi, gli alberi sono,le case che abitiamo reggono.Noi soli passiamo via da tutto,

aria che si cambia.E tutto cospira a tacere di noi,

un po’ come si tace un’onta, forse,un po’ come si tace una speranza ineffabile.

RAINER MARIA RILKE, Elegie Duinesi, II elegia

INTRODUZIONE

1. OSSERVAZIONI INTRODUTTIVE

La prima vera riconciliazione francotedesca dopo l’ultima guerra fu sug-gellata da un gruppo di accordi firmati nel 1925 e passati alla storia come“Patti di Locarno”.

Nel corso della trattazione esamineremo, con dovizia di particolari, ilnegoziato che, avviato dalla proposta di un patto di sicurezza avanzata dallaGermania all’inizio del 1925, portò alla firma di quegli strumenti giuridicidai quali promanò lo “spirito di Locarno”. Il tutto sarà visto da una parti-colare prospettiva, quella italiana, resa oggi alquanto più chiara dalla possi-bilità di accesso a nuove fonti, edite e inedite.

Si arrivò a Locarno attraverso fasi complesse, che portarono ad un gra-duale “recupero” della Germania tra i ranghi delle grandi potenze europee.Ma ci si arrivò anche con il contributo della stessa Germania, la qualeavrebbe desiderato realizzare un sistema che fosse accettato dai vincitori, maanche onorevole per i vinti. Un primo tentativo in tal senso sarebbe statocompiuto alla fine del 1922 dal Cancelliere Cuno. Un secondo tentativosarebbe stato esperito in circostanze ben diverse, dando vita a quel nego-ziato che portò ai Patti di Locarno.

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2. LA LETTERATURA SU LOCARNO: BREVI CENNI

Su Locarno molto si è scritto. Limitando l’esame a ciò che più da vici-no riguarda l’Italia, ci si trova comunque di fronte ad una consistente moledi saggi. Svariati contributi giunsero “in tempo reale”, e tra questi va ricor-dato l’articolo di Vittorio Scialoja apparso su «Gerarchia» del novembre1925 (vigilia della firma dei Patti)1. Scialoja fece parte della delegazioneitaliana alla Conferenza di Locarno e spese non poche energie nel definirepunti di non secondario interesse per l’Italia. Sempre opera di giurista èl’articolo di Nicolae Politis su Les Accords de Locarno2. Una certa notorietàha meritato il libro dello Strupp, primo approccio documentario alla que-stione (mercé l’utilizzo del “Libro Bianco” tedesco)3.Vi è inoltre lo studiodel polacco Kulski circa il Problème de la Sécurité depuis le Pacte de la Sociétédes Nations4, in cui emerge chiaramente la critica al sistema locarnista, peril fatto di non garantire la frontiera orientale tedesca alla stregua di quellaoccidentale, nonché le problematiche legate al futuro dei patti («firmare ènulla, eseguire è tutto»)5. Si ricorda poi il volume di Wheeler-Bennett eLangerman6, con una dettagliata e immaginifica analisi di una «sinfonia diLocarno» suddivisa in otto movimenti, che sono altrettante fasi, dalla pro-posta tedesca alla ratifica dei patti 7. Nella collana Survey of InternationalAffairs Macartney ed altri hanno dedicato a Locarno il secondo dei duevolumi per l’anno 19258.

Agli albori degli anni Trenta è apparsa la pregevole raccolta di Studies inDiplomatic History dell’Headlam-Morley. Se si esclude il saggio sui Treaties ofGuarantee, apparso sul «Cambridge Historical Journal» nel 1927, trattasi diuna collezione di memoranda preparati per il Foreign Office (di cuil’Headlam-Morley era consigliere storico), apparsa postuma ad opera dellavedova e della figlia dell’illustre studioso9. Sui Patti di Locarno ha scrittoanche il Solmi nel volume Italia e Francia, edito nel 193110, in cui si valutapositivamente la figura di Stresemann e la sua determinazione nel ricon-durre la Germania tra le nazioni, facendo di Locarno il «principio di revi-sione e di attenuazione del trattato di Versailles»11, mentre la garanzia italia-na metteva Francia e Belgio «in una botte di ferro»12.A dieci anni esatti da

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Locarno Francesco Saverio Giovannucci diede alle stampe il suo studiodedicato al problema della sicurezza dal 1919 al 192513. Basato su atti par-lamentari e su libri di colore14, questo saggio del Giovannucci costituisce atutt’oggi un riferimento sicuro, tanto per lo storico che per il giurista.

Nel secondo dopoguerra i Patti di Locarno non han cessato di esseretema d’indagine. Del 1952 è il sesto volume della biografia di Briand scrit-ta dal Suarez con l’ausilio delle carte private del grande statista francese, eafferente al periodo 1923-1932. Il volume, interessante per temi quali i rap-porti tra Parigi, Londra e Mosca, tocca da vicino anche la politica estera ita-liana15. Sulla politica di Chamberlain abbiamo l’articolo del Johnson16,mentre l’ottimo volume del Wandycz si occupa delle alleanze orientali dellaFrancia, dal 1919 al 192517. La Orde ha prodotto un consistente saggio suThe Great Britain and International Security, in cui tutto il negoziato locarni-sta può seguirsi specialmente grazie alle carte del Public Record Office18. Atale saggio ha fatto seguito una più larga analisi su British Policy and EuropeanReconstruction19. Va ricordato inoltre il Jacobson, che nel suo saggio sullaLocarno Diplomacy compie un’ampia disamina della politica europea e inparticolare di quella tedesca20. Un’analisi dei Patti di Locarno trovasi anchenell’ottimo studio del Krüger, intitolato Die Außenpolitik der Republik vonWeimar21.

Per ciò che riguarda più da vicino l’Italia, va citato anzitutto l’impor-tante studio del Di Nolfo, basato su fonti primarie e secondarie22. Nonmanca poi un contributo del Moscati, che evidenzia la difficile dialettica trail “duce” e la “carriera” e i differenti gradi di sensibilità sui problemi delmomento23. L’aspetto revisionista della politica mussoliniana è parso evi-dente al Rumi, nel quadro di una politica espansionistica condotta tra ledue guerre24. Ha toccato il problema del patto renano anche il Pastorellinel suo studio su Italia e Albania, rilevando i limiti del sistema locarnista, idifficili rapporti tra diverse correnti di Palazzo Chigi, nonché la ricerca daparte di Mussolini di un ruolo specifico per l’Italia nell’applicazione deiprincìpi di Locarno all’Europa centro-orientale25. La problematica que-stione del Brennero ha affrontato il Toscano nella Storia diplomatica della que-stione dell’Alto Adige, utilizzando un consistente numero di fonti archivisti-

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Introduzione

che (di particolare rilievo è un telegramma di Mussolini a De Bosdari, data-to 14 maggio 1925)26. Di poco posteriore è il documentato libro delCarocci su La politica estera dell’Italia fascista27, ove si evidenzia la tendenzadi Mussolini ad affrontare la politica estera su un piano diverso da quellodomestico e si propone la tesi di un rapporto di causa-effetto tra snaziona-lizzazione dell’Alto Adige e propensione tedesca all’Anschluss. Di rilievo èanche il saggio del Cassels sulla Mussolini’s Early Diplomacy, con ampi cennial carattere ideologico della politica estera di Mussolini, più affine al nazio-nalismo tedesco che a quello francese, e protesa verso continui successi diprestigio28. Sui patti di Locarno si è poi soffermato il De Felice in una partedella sua monumentale biografia di Mussolini, e specialmente nel capitolointitolato Alla ricerca di una politica estera fascista, dove si esamina tra l’altro ilrifiuto opposto dal “duce” alla garanzia francese sulla frontiera delBrennero29. Si vuol menzionare anche il contributo di Rodolfo Mosca alvolume celebrativo del cinquantennale dei Patti di Locarno, in cui si fa unadisamina anche del periodo precedente30. Si segnala poi l’articolo di SallyMarks su Mussolini and Locarno del 1979, basato su inedito materiale archi-vistico inglese e francese, e su svariati altri documenti editi 31. Dei patti diLocarno si è anche occupato il Lefebvre D’Ovidio, tracciando i preceden-ti dell’Intesa italo-francese del 1935, con documenti d’archivio inglesi ed ita-liani. A lui dobbiamo la pubblicazione di un importante appunto diContarini sul problema della sicurezza32.

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3. FONTI DEL PRESENTE LAVORO

Il presente studio, oltre che sulla storiografia di cui si è già dato brevecenno, si basa sui documenti diplomatici editi in Italia e all’estero.Nei primianni Sessanta si pubblicarono la Serie Settima (1922-1935) dei DocumentiDiplomatici Italiani e il secondo tomo dei Documents Diplomatiques Belges33.Videro poi la luce il primo volume della Serie IA34, il ventisettesimo dellaSerie I dei Documents on British Foreign Policy, e i British Documents on ForeignAffairs (raccolta di documenti riservati del Foreign Office)35. Per ciò cheriguarda la Germania, è recente il completamento della Serie A degli Aktenzur Deutschen Auswärtigen Politik (1918-1925)36; mentre per ciò che con-cerne la Francia, è prevista a medio termine la pubblicazione dei docu-menti delle serie Y-Internationale e Z-Europe (1918-1929), ove trovasi moltomateriale di nostro interesse37. Si possono ad ogni modo consultare i LivresJaunes, i quali offrono non pochi chiarimenti sulla politica francese in rap-porto al problema della sicurezza38.

Il presente studio è basato anche su carte inedite. Presso l’Archivio StoricoDiplomatico del Ministero degli Affari Esteri sono state consultate, in partico-lare, quelle dell’Archivio di Gabinetto (1923-1943), riordinate anni or sono39.Si è riservata particolare attenzione alla documentazione del Gabinetto delMinistro, della Segreteria Generale e degli uffici dipendenti (specialmente l’UfficioCoordinamento e Segreteria e l’Ufficio Trattati e Società delle Nazioni). Non si sonoinoltre trascurate le carte del fondo Rappresentanze diplomatiche, con riguardosegnatamente agli archivi delle ambasciate di Londra, di Parigi e di Berlino.

Non meno interessante è risultata la consultazione delle cartedell’Archivio Centrale dello Stato, con particolare riguardo al carteggioriservato della Segreteria Particolare del Duce, agli Autografi del Duce, nonchéalle carte degli archivi privati di varie personalità.

Di utile consultazione sono risultati anche i fondi dell’Archiviodell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, ai fini di chiarirealcuni aspetti del tema considerato.

L’indagine è stata condotta altresì sugli Archives Diplomatiques delMinistero degli Affari Esteri francese. Si sono in special modo consultati

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Introduzione

vari volumi della serie Internationale (numericamente ordinati) e della serieEurope (1918-1929) (con sottoserie per paesi e questioni)40.

Tenendo presente tutto questo materiale documentario, è ora possibileiniziare la disamina del nostro tema, partendo dalla proposta tedesca di unpatto di sicurezza, sottoposta all’inizio del 1925 ai due grandi vincitori del-l’ultima guerra: la Gran Bretagna e la Francia.

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1 V. SCIALOJA, Il Trattato di Locarno, in «Gerarchia», novembre 1925.2 N. POLITIS, Les Accords de Locarno, in «Révue de Droit International et de Législation

Comparée», 1925, pp.713-731.3 K. STRUPP, Das Werke von Locarno, Dresden-Berlin, 1926.4 L. KULSKI, Le problème de la Sécurité depuis le Pacte de la Société des Nations (1918-1926),

Paris: Pedone, 1927.5 Ibidem, p.310.6 J. W. WHEELER-BENNETT - F. E. LANGERMAN, Information on the Problem of

Security (1917-1926), London:Allen & Unwin, 1927.7 I “movimenti” sono così disposti: 1°) Offerta tedesca del 9 febbraio 1925; 2°) Risposta

degli alleati alla Germania (12 maggio-16 giugno); 3°) Risposta tedesca agli alleati del20 luglio ed opinioni generali sui problemi conseguenti; 4°) Visita di Briand a Londrae nuova nota alleata del 26 agosto; 5°) Conferenza dei giuristi di Londra (31 agosto-4settembre); 6°) Reazioni in Europa, segnatamente in Polonia ed in Cecoslovacchia aipatti in gestazione; 7°) Conferenza dei ministri, parafatura e firma dei Patti di Locarno(6 ottobre - 1°dicembre); 8°) Ratifica dei Patti ed entrata della Germania nella Societàdelle Nazioni (marzo-settembre 1926).

8 C.A. MACARTNEY & OTHERS, Survey of International Affairs 1925, vol.II, Oxford:Oxford University Press-London: Milford, 1928. Come viene spiegato nella prefazio-ne di Gathorne-Hardy, Macartney si è occupato delle parti relative al problema dellasicurezza e del disarmo, nel quadro degli affari mondiali, degli affari europei (con par-ticolare riferimento alle vie d’acqua navigabili), e di quelli dell’Europa occidentale, set-tentrionale ed orientale. Delle parti rimanenti si è occupata la Boulter, all’epoca assi-stente di Toynbee, al quale si deve il primo volume del Survey, relativo al mondo isla-mico dal 1919 in poi.

9 J. HEADLAM-MORLEY, Studies in Diplomatic History, London: Methuen, 1930.10 A. SOLMI, Italia e Francia nei problemi attuali della politica europea, Milano: Fratelli Treves

Editori, 1931.11 Ibidem, p.44.12 Ibidem, p.46.13 F. S. GIOVANNUCCI, Locarno (con 32 documenti e 20 illustrazioni), Roma: Edizioni

«Roma», 1935.14 Il Giovannucci si rammaricava tuttavia di non aver potuto disporre, al pari dello

Strupp, del “Libro bianco” tedesco, pur avendolo chiesto a Berlino (cfr.nota 1 a p.87).15 G. SUAREZ, Briand, vol.VI (1923-1932), Paris, 1952.16 D. JOHNSON, Austen Chamberlain and the Locarno Agreements, in «University of

Birmingham Historical Journal», 1961, pp.62-81.17 P. S.WANDYCZ, France and Her eastern Allies, 1919-1925, Minnesota, 1962

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Introduzione

18 A. ORDE, Great Britain and International Security 1920-1926, London: Royal HistoricalSociety, 1978.

19 A. ORDE, British Policy and European Reconstruction after the first world war, Cambridge:Cambridge University Press, 1990.

20 J. JACOBSON, Locarno Diplomacy: Germany and the West, 1925-1929, Princeton:Princeton University Press, 1972.Va detto però che inspiegabilmente l’Autore omette dicitare, tra le Government Publications, i Documenti Diplomatici Italiani, di cui all’epoca delsuo saggio erano usciti ben sette volumi nella Serie Settima. Per tutte le informazionirelative alle fonti utilizzate, si veda la prima parte della bibliografia alle pp.391-394.

21 P. KRÜGER, Die Außenpolitik der Republik von Weimar, Darmstadt: WissenschaftlicheBuch Gesellschaft, 1985.

22 E. DI NOLFO, Mussolini e la politica estera italiana (1919-1933), Padova: Cedam, 1960.23 R. MOSCATI, Locarno, il revisionismo fascista, il periodo Grandi e la nuova fase della politi-

ca estera, in AA.VV., La politica estera italiana dal 1914 al 1943,Torino: ERI, 1963, pp.92-117. In un altro saggio, sempre contenuto nella suddetta raccolta, il Moscati evidenziail progressivo scioglimento della «raison sociale Mussolini-Contarini», a causa del con-solidamento del regime fascista. R. MOSCATI, Gli esordi della politica estera fascista. Ilperiodo Contarini-Corfù, ibidem, pp.77-91.

24 G. RUMI, “Revisionismo” fascista ed espansione coloniale (1925-1935), in «Il movimentodi liberazione in Italia», 1965, pp.37-73.

25 P. PASTORELLI, Italia e Albania 1924-1927. Origini diplomatiche del Trattato di Tirana del22 novembre 1927, Firenze:Biblioteca della Rivista di Studi Politici Internazionali, 1967.

26 M.TOSCANO, Storia diplomatica della questione dell’Alto Adige, Bari: Laterza, 1967 (IIed. 1968).

27 G. CAROCCI, La politica estera dell’Italia fascista (1925-1928), Bari: Laterza, 1969, spec.il cap.IV.

28 A. CASSELS, Mussolini’s Early Diplomacy, Princeton: Princeton University Press, 1970.Si ricordi, sempre del Cassels, l’articolo Mussolini and the German Nationalism, 1922-1925, in «Journal of Modern History», 1963.

29 R. DE FELICE, Mussolini il duce I: gli anni del consenso,Torino: Einaudi 1974.30 R. MOSCA, Locarno e l’Europa di Versailles, in R.MOSCA-M.AGLIATI, Ottobre 1925:

L’Europa a Locarno, Locarno 1975, pp.1-62.31 S. MARKS, Mussolini and Locarno: Fascist Foreign Policy in Microcosm , in «Journal of

Contemporary History», 1979, pp.423-439.32 F. LEFEBVRE D’OVIDIO, L’intesa italo-francese del 1935 nella politica estera di Mussolini,

Roma 1984 (s.i.p.).33 I Documenti Diplomatici Italiani, Serie Settima, voll. III e IV, Roma, rispettivamente 1959

e 1962; Documents Diplomatiques Belges: La Politique de Sécurité extérieure 1920-1940,Tome II, Bruxelles 1964.

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34 Documents on British Foreign Policy (d’ora in poi, DBFP), Series IA: vol.I, London: HisMajesty’s Stationery Office, 1966; Series I: vol. XXVII, London: His Majesty’sStationery Office, 1986 (ma vedasi anche il XXVI, London: His Majesty’s StationeryOffice, 1984).

35 K. BOURNE - D. C.WATT (a cura di), British Documents on Foreign Affairs: Reportsand Papers from the Foreign Office Confidential Print, Frederick MD 1988.

36 Akten zur Deutschen Auswärtigen Politik (d’ora in poi, ADAP), Serie A (1918-1925),Göttingen:Vandenhoeck & Ruprecht; in particolare: Band XII, 1994; Band XIII e BandXIV, Göttingen 1995. V. anche Das Schlussprotokoll von Locarno und seine Anlagen, Berlin1925; Locarno-Konferenz, eine Dokumentensammlung, Berlin (Deutsche DemokratischeRepublik, Ministerium für Auswärtige Angelegenheiten) 1962; Materialen zurSichereitsfrage, Berlin 1925; nonché gli Akten der Reichskanzlei: Weimarer Republik,Boppard, 1968-.

37 Cfr. P. ENJALRAN, Documents diplomatiques, objectifs politiques et rigueur scientifique:Reflections tirées de l’expérience française, in J. HILLIKER - M. HALLORAN (Eds.),Diplomatic Documents and their Users, Ottawa: Department of Foreign Affairs andInternational Trade, 1995, pp.65-74 (spec. p.72).

38 MINISTÈRE DES AFFAIRES ÉTRANGÈRES, Pacte de Sécurité I . Neuf pièces relati-ves à la proposition faite le 9 février 1925 par le Gouvernement allemand et à la réponse duGouvernement français (9 février-16 juin 1925); IDEM, Pacte de Securité, II. Documentssignés à Locarno le 16 octobre 1925, Paris, Imprimerie des Journaux Officiaux, 1925. Perun periodo anteriore si veda IDEM, Documents relatifs aux Négociations concernant lesGaranties contre une Agression de l’Allemagne, 10 janvier-7 décembre 1923, Paris:Imprimerie des Journaux Officiaux, 1924.

39 Si veda sul tema, P PASTORELLI, Le carte di Gabinetto del Ministero degli Affari Esteri(1923-1943), in «Storia delle Relazioni Internazionali», 1989, pp.313-348.

40 Si rimanda alla guida alle abbreviazioni nonché alla parte relativa alle fonti per ulte-riori dettagli sulle carte archivistiche utilizzate.

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Introduzione

CAPITOLO I.

LA NOTA TEDESCA DEL 20 GENNAIO 1925.LE REAZIONI IN GRAN BRETAGNA ED IN FRANCIA.

1. CENNI SULLE ORIGINI DIPLOMATICHE DELLA NOTA TEDESCA

La Germania sconfitta nella prima guerra mondiale era stata gravata danumerosi obblighi, sanciti nel Trattato di Versailles. I primi 26 articoli, deglioltre quattrocento, di questo trattato riproducevano lo Statuto della Societàdelle Nazioni, o Covenant, i cui princìpi ispiratori impegnavano dunqueanche la Germania, pur non facendo essa parte della nuova organizzazioneinternazionale1.

La Germania considerava il Trattato di Versailles una pace dura ed ingiu-sta imposta dai vincitori. Passò alla storia la locuzione Diktat, con cui i tede-schi sintetizzarono precisamente un tale giudizio politico. Anche nell’erawilsoniana, della diplomazia aperta e della democrazia, la storia dimostravache il vincitore di una guerra dettava legge e soggiogava il vinto.

Quest’idea che la Germania aveva della pace di Versailles riguardavadiversi articoli del trattato.

Le frontiere della Germania vennero profondamente modificate. Essadovette cedere alla rinata Polonia un “corridoio” che assicurò a questa losbocco al Mar Baltico e quella separò dalla Prussia orientale. La città diDanzica divenne città libera sotto l’egida della Società delle Nazioni, ma dal1920 fu compresa nell’area doganale polacca. Essendo il corridoio abitatoda popolazioni prevalentemente tedesche (di Posnania e di parte dellaSlesia), furono poste così le basi per future turbolenze in Europa centrale;sintomo ne fu un plebiscito che, pur dando l’Alta Slesia alla Germania,venne disatteso perché la Polonia occupò la regione. A nord la Germaniaperse Memel in favore della Lituania, ma anche lo Slesvig meridionale che,

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sempre con plebiscito, fu assegnato alla Danimarca.Ad ovest, la perdita piùconsistente fu quella dell’Alsazia e della Lorena, che tornarono alla Franciadopo quasi mezzo secolo. Alla Germania inoltre fu imposto l’obbligo dismilitarizzare la Renania; il rispetto di tale obbligo fu garantito con l’occu-pazione da parte degli alleati di tre “teste di ponte”, nelle zone di Colonia,Coblenza e Magonza. Si sarebbe proceduto ad evacuare la prima zona nel1925, e le altre due ogni 5 anni, sempre che la Germania desse sufficientiassicurazioni. L’amministrazione del territorio della Saar, un ricco bacinominerario, fu assunta dalla Società delle Nazioni per 15 anni, ma preveden-do l’unione doganale con la Francia e il controllo delle miniere da parte diquesta.

Non meno dure furono per la Germania le perdite di natura coloniale.I suoi territori finirono sotto il “regime dei mandati”, un’amministrazioneche la Società delle Nazioni delegò alle potenze vincitrici per favorire laprogressiva “emancipazione” dei popoli già colonizzati. In Estremo Orientel’Australia (membro del Commonwealth) ebbe il mandato sulla KaiserWilhelm Land (parte della Nuova Guinea) e sulle isole Bismarck e Sa-lomone; alla Nuova Zelanda (Dominion britannico) toccò di amministrarele Samoa occidentali; i giapponesi ebbero le isole Marianne, Marshall,Caroline e Bikini; gli inglesi ricevettero il mandato sulle Nauru. Sempreagli inglesi spettò in Africa il mandato sulla metà occidentale del Togo, suuna porzione del Camerun e sull’“Africa orientale tedesca” (il Tanganica);il Belgio ottenne un piccolo mandato sul Ruanda Urundi, mentreall’Unione Sudafricana (facente parte dell’Impero britannico) spettò quel-lo sull’“Africa sud occidentale tedesca”.

La perdita delle colonie, insieme alle altre perdite territoriali, sembrava laprova eclatante di una “discesa agli inferi” imposta ai vinti della guerra mon-diale. Ma altre clausole della pace, non meno gravose, diedero alla Germaniail senso del perduto splendore. Ad essa fu vietato di unirsi politicamenteall’Austria, su cui incombeva un obbligo corrispondente (articoli 80 diVersailles ed 88 di Saint-Germain). Inoltre clausole militari, navali ed aereeridussero il paese ad una temporanea impotenza, prevedendo la smobilita-zione di effettivi e di quadri, l’abolizione del servizio di leva, e la riduzione

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delle forze armate al minimo compatibile con il mantenimento dell’ordinepubblico. Il disarmo imposto alla Germania fu comunque considerato daltrattato come prologo di una generale limitazione degli armamenti.

Il Trattato di Versailles prevedeva inoltre una singolare sanzione: la messain stato di accusa dell’Imperatore Guglielmo II e di quanti fossero conside-rati dagli alleati rei di «atti contrari alla legge ed ai costumi di guerra» (cosìl’art.228). Era, questo, un aspetto di notevole rilevanza politica; infatti ilsupremo accusato dello scoppio del conflitto mondiale era un sovrano, rite-nuto colpevole di aver offeso «la morale internazionale e la sacra autoritàdei trattati» (secondo la lettera dell’articolo 227); a lui doveva perciò esserenegato asilo, e chi lo ospitava (il governo olandese) avrebbe dovuto ricon-segnarlo agli alleati. Ma colpendo il Kaiser venivano colpiti anche i princì-pi di autorità e di disciplina della tradizione prussiana, e perciò tutto ilpopolo tedesco, che al suo Imperatore aveva obbedito nel bisogno estremo.Era come se la responsabilità morale del Kaiser ricadesse sui suoi sudditi.

Sotto questa luce può comprendersi il tenore dell’articolo 231 diVersailles, che apriva il capitolo delle riparazioni, e con il quale i vincitoricostrinsero la Germania a riconoscersi responsabile dello scoppio dellaguerra. Fu tale articolo a provocare in Europa un lungo dibattito sulla“colpa di guerra”, o Kriegsschuldfrage, proprio per il fatto che di tale colpa itedeschi sempre desiderarono liberarsi2.

Tutto l’aspetto delle riparazioni non era meno criticabile per laGermania. In primo luogo il termine stesso, “riparazioni”, era una novitàdal punto di vista politico e giuridico. Esso infatti mutava la classica figuradell’indennità di guerra in un obbligo morale, derivante da quella respon-sabilità di cui la Germania era gravata. In secondo luogo, l’onere delle ripa-razioni prescindeva dall’effettiva capacità tedesca di farvi fronte, e frustravail desiderio della Germania di risollevarsi economicamente, di trovarenuovo vigore per fronteggiare gli impegni verso i vincitori.

La questione delle riparazioni era parzialmente definita dall’articolo 235di Versailles, che imponeva alla Germania un primo pagamento di 20miliardi di marchi-oro. Nel corso del biennio 1920-1921, si incontraronomolti problemi nella fissazione di un forfait, in quanto le cifre richieste dagli

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Capitolo I – La nota tedesca del 20 gennaio 1925

alleati non erano accettate dai tedeschi. Fu così che, il 2 marzo 1921, allaConferenza di Londra, gli alleati adottarono delle sanzioni a carico dellaGermania, consistenti nell’occupazione di Düsseldorf, Duisburg e Ruhrort,l’8 successivo. Alla Conferenza di Londra (30 aprile-5 maggio 1921) fudefinito uno “stato di pagamenti” a carico della Germania, pari a 132miliardi di marchi-oro; nel corso della conferenza fu inviato un ultimatumalla Germania, cui fu prospettata l’occupazione della Ruhr, se entro seigiorni non avesse riconosciuto i suoi obblighi. Ciò provocò a Berlino unacrisi ministeriale, risolta con la formazione del Governo Wirth, che accettòdi conformarsi alle decisioni e all’ultimatum degli alleati.

Ma la crisi innescata dal problema delle riparazioni non per questocessò; essa avviluppò sempre più la Germania ed i vincitori, e complicò irapporti tra gli stessi vincitori, specialmente tra la Gran Bretagna, persuasadella necessità di risollevare la Germania, onde assicurare stabilità al sistemaeconomico-finanziario europeo, e la Francia, legata invece all’idea che l’e-secuzione delle clausole di pace fosse il mezzo migliore per scongiurare unavendetta tedesca.

Il 14 dicembre 1921, la Germania chiese ai vincitori una moratoria suipagamenti. I francesi restarono dell’avviso che la Germania avrebbe dovu-to onorare i debiti. Gli inglesi invece accolsero l’appello ed esortarono glialtri creditori a fare altrettanto. Fu così che i francesi avvertirono gli alleatid’oltremanica che, concedendo ai tedeschi la moratoria, non sarebbe statopossibile pagare i debiti interalleati (quelli che i “poveri” dell’Intesa aveva-no contratto verso i “ricchi”, per i comuni scopi di guerra).

Le riparazioni erano per la Francia anche un supplemento di sicurezza,in aggiunta alle clausole militari di Versailles. Infatti, una Germania esanguenon avrebbe potuto facilmente vendicarsi della sconfitta subita. Proprio perdare alla Francia una maggior sicurezza, il Primo Ministro britannico, LloydGeorge, considerò l’ipotesi di un patto di garanzia, sostitutivo di quei pattiche, firmati nel 1919 insieme al trattato di Versailles, erano falliti per la man-cata ratifica del Senato americano. Secondo il piano di Lloyd George, laGran Bretagna avrebbe garantito le frontiere orientali francesi da un nuovoattacco tedesco; in cambio la Francia sarebbe stata più conciliante sul tema

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delle riparazioni. Egli parlò di questo con il collega Briand, prima a Londranel dicembre 1921, poi a Cannes, nel gennaio successivo. L’esito fu nullo,anzitutto perché Briand desiderava una garanzia anche per la violazionedegli articoli 42 e 43 di Versailles (obbligo di smilitarizzazione dellaRenania), e poi perché egli non riuscì a fronteggiare un’opposizione inter-na che, il 12 gennaio 1922, lo costrinse alle dimissioni.

Il successore di Briand, Raymond Poincaré, di fronte alla crescente osti-lità di inglesi ed americani verso la Francia, cercò di placare le acque,avviando trattative dirette con gli industriali tedeschi sulle riparazioni, e conil governo di Washington sui debiti interalleati. Ma Londra si dolse di nonesser stata consultata su quest’ultimo punto, e l’atmosfera non si rasserenò.

Fu allora che il banchiere americano Morgan, titolare dell’omonimoistituto, propose che Gran Bretagna e Francia riducessero la quota di ripa-razioni loro spettante, in modo da creare le condizioni per una riduzionedei debiti interalleati. Non promanando dal Governo americano, che rima-neva contrario ad un collegamento tra due questioni ben distinte, l’idea diMorgan cadde nel vuoto.

Nel corso del 1922 si proseguì quindi nella ricerca di una risposta ade-guata alla richiesta tedesca di moratoria, ma senza successo. Poincaré nonvoleva rinunciare a pegni e controlli (in ciò appoggiato dal Presidente dellaRepubblica, Millerand, e dal Ministro delle Regioni liberate, Loucheur).Ciò determinò la rottura con Londra ed il fallimento di una nuova confe-renza, ivi convocata dal 7 al 14 agosto. Altre consultazioni ebbero luogo,sempre a Londra, all’inizio di dicembre, ma non arrecarono novità signifi-cative; la questione delle riparazioni stagnava, danneggiava i rapporti tra ivincitori e comprometteva l’accordo sui debiti interalleati.

Di fronte a una tale situazione il Cancelliere tedesco,Wilhelm Cuno, dapoco succeduto a Josef Wirth, inviò all’ambasciatore a Washington,Wiedfeldt, un importante telegramma. Cuno partiva dal fatto che, senza unadefinizione della questione delle riparazioni, la catastrofe economica dellaGermania non avrebbe tardato ad arrivare. Egli perciò intendeva otteneredalla Banca Morgan, o da altro istituto da questa dipendente, un prestitoquadriennale, al fine di stabilizzare il marco, e fare della Germania «nuova-

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mente uno Stato libero». Cuno auspicava anche la concessione di un secon-do prestito all’industria tedesca, per scacciare lo spettro della disoccupazio-ne. Dopo queste considerazioni, il telegramma arrivava al nocciolo dellaquestione europea: «La Francia non vuole solo ricevere denaro, ma ancheavere sicurezza contro un preteso desiderio tedesco di vendetta». La soluzio-ne proposta da Cuno, che questi chiedeva di far conoscere al governo ame-ricano, era dunque contenuta nella nota seguente: «Se il Governo e il popo-lo degli Stati Uniti, per la salvaguardia dell’Europa, potessero proporre aper-tamente che le Potenze interessate al Reno, e cioè la Francia, l’Inghilterra,l’Italia e la Germania, consentano ad impegnarsi solennemente, di fronte agliStati Uniti, a non farsi guerra reciprocamente per una generazione, senzauna speciale autorizzazione, ottenuta attraverso plebiscito popolare, allora laGermania non esiterebbe a contrarre un simile impegno»3.

Cuno prendeva in considerazione un ventaglio di problemi del dopo-guerra, ritenendo che essi potessero aver soluzione solo se reciprocamentecollegati. Ma il suo passo non risparmiò alla Germania una dichiarazione diinsolvenza, pronunciata il 26 dicembre 1922 dalla Commissione delleRiparazioni. Né si poteva sperare nella benevolenza dei francesi, che vide-ro nella proposta di Cuno un impegno limitato nel tempo (l’arco di unagenerazione) e facilmente aggirabile (ricorrendo al referendum).

A Berlino, tuttavia, il rigetto della nota riuscì incomprensibile:«Avessimo noi offerto soltanto una rinuncia dei governi alla guerra – com-mentò il ministro degli esteri Rosemberg – allora alcuni malevoli avrebbe-ro potuto ribattere col noto rimprovero della politica del pezzo di carta;perciò occorreva che il popolo stesso fosse inserito, a pieno titolo, quale co-garante e istanza di controllo». Era questo, secondo Rosemberg, un dirittoche, una volta affermatosi, difficilmente sarebbe stato disconosciuto4.

Alla dichiarazione di insolvenza a carico della Germania seguì l’occu-pazione della Ruhr, a titolo di sanzione, da parte della Francia, dell’Italia edel Belgio. Fu una grave crisi nei rapporti degli occupanti con laGermania, ma anche in quelli con la Gran Bretagna, contraria a tale tipodi iniziative. Gli eventi che seguirono sono abbastanza noti perché sia ilcaso di soffermarsi. La “resistenza passiva” messa in atto dalla Germania fallì

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e Cuno si dimise il 12 agosto del 1923. Gli succedette Gustav Stresemann,che a fine settembre inaugurò la “politica di adempimento” e riallacciò ildialogo coi vincitori.

Sulla base della politica di adempimento del nuovo cancelliere tedesco,fu possibile un riesame dell’intera questione delle riparazioni, che portònell’aprile del 1924 al varo del Piano Dawes. Secondo questo piano, laGermania avrebbe corrisposto per 5 anni ai vincitori, per il tramite di unAgente Generale delle Riparazioni, delle annualità crescenti, da 1 a 2miliardi e mezzo di marchi-oro. La figura dell’Agente Generale, quasi esat-tore impersonale (ma dietro il quale c’era un concreto Comitato interal-leato dei trasferimenti) era la prima novità del Piano Dawes5. La secondaera l’introduzione del concetto di “capacità di pagamento” della Germania,criterio da tener presente nei versamenti da effettuarsi dopo il primo quin-quennio. Pagare il giusto equivaleva così a pagare il possibile, un principioche scardinava ogni pretesa che la Germania pagasse, sempre e comunque,qualsiasi cifra richiestale e non conforme al suo “indice di prosperità”, cheera variabile soggetta a disparati influssi.

Il Piano Dawes rappresentò dunque un successo per la Germania, con-seguito con ripetuti inviti, rivolti alle potenze vincitrici, e soprattutto aGran Bretagna e Stati Uniti, a considerare la necessità di aiutarla a risolle-varsi economicamente. Si trattava di un precedente utile nel momento incui sarebbe stato necessario affrontare altri nodi insoluti del dopoguerra.

La situazione politico-diplomatica della Germania parve ulteriormentefavorita nel maggio del 1924, quando in Francia le elezioni diedero la vit-toria al “Cartello delle Sinistre” e decretarono l’avvento di Eduard Herriotal governo. In Gran Bretagna uguale successo arrise ai laburisti, guidati daRamsay MacDonald. Era dunque prevedibile che i vincitori ponessero laparola fine alla “politica di adempimento”, mentre un’era nuova stava perschiudersi nelle relazioni tra vincitori e vinti.

Quest’era nuova fu contraddistinta anche dalla particolare attenzioneche, a partire dal 1924, da molti fu riservata al problema della sicurezza.

Il tema venne trattato in seno alla Società delle Nazioni con un rappor-to alla quinta Assemblea generale, preparato da due commissioni, presiedute

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da Politis e Benes; il documento analizzava il regolamento pacifico dellecontroversie internazionali, la sicurezza e la riduzione degli armamenti. Ilrapporto faceva un excursus storico sulla delicata materia ed evidenziava chequalsiasi sistema di arbitrato e di riduzione degli armamenti non avrebbepotuto prescindere da efficaci garanzie di sicurezza e da un’azione comunedi tutti i membri del consesso ginevrino contro turbative alla pace.A tal fine,il criterio di votazione all’unanimità sarebbe stato sostituito in Consiglio daquello della maggioranza di due terzi. È interessante notare che, stando alPolitis, il «Progetto di Protocollo sul regolamento pacifico delle controversieinternazionali», veniva a colmare certe lacune del Patto della Società delleNazioni. Si prevedeva infatti l’arbitrato obbligatorio, in modo da affermareil principio della composizione pacifica delle controversie internazionali.

Ma tre categorie di controversie esulavano dalla nuova procedura: quel-le regolate all’unanimità dal Consiglio, prima dell’entrata in vigore del pro-tocollo; quelle sorte in seguito a misure di guerra adottate in accordo colConsiglio e con l’Assemblea della Società delle Nazioni; quelle riguardan-ti la revisione dei trattati in vigore e «l’integrità territoriale attuale» degliStati. Di queste eccezioni, la terza finiva per svalutare il ruolo del Consiglioin una materia delicatissima per il futuro dell’Europa, e per vanificare glisforzi tesi alla soluzione del problema della sicurezza.

Il “Rapporto Benes” sulla sicurezza e la riduzione degli armamenti,seconda parte del rapporto generale, fu presentato all’Assemblea il 1° otto-bre 1924. Esso esaminava le possibili sanzioni contro l’aggressore, che pote-vano essere «di qualsiasi natura», come previsto dal Covenant; confermavainoltre che ogni Stato, nel resistere all’aggressore, avrebbe dovuto collabo-rare «lealmente ed effettivamente (...) nella misura consentita dalla sua situa-zione geografica e dalle condizioni speciali dei suoi armamenti» (articolo11, alinea 2 del protocollo). Nella parte del rapporto Benes sulla riduzionedegli armamenti, si leggeva poi che, per gli Stati particolarmente espostidalla loro situazione geografica al pericolo di aggressione, e per quelli i cuicentri vitali erano in prossimità delle frontiere, non sarebbe stato possibilefissare un piano di riduzione degli armamenti, solo sulla base di considera-zioni d’ordine politico ed economico.

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Sulla base di queste indicazioni, l’Assemblea della Società delle Nazioniadottò, il 2 ottobre 1924, quattro risoluzioni sui problemi in esame. Nellaquarta di esse, l’Assemblea considerò opportuno tener presente la «situazio-ne speciale di certi Stati», particolarmente esposti all’aggressione, lasciandoloro libertà di concludere accordi regionali ad hoc.

2. LA NOTA TEDESCA: CONTENUTO E CARATTERISTICHE. UNA POS-SIBILE SPIEGAZIONE DEL SUO SIGNIFICATO POLITICO

Il dibattito sul tema della sicurezza, focalizzato sul Protocollo di Ginevrafu subito animato da aspre critiche a questo, soprattutto negli ambientiinglesi, contrari per tradizione insulare a prendere impegni che varcasserola soglia dell’immediato futuro.Va poi detto che in Gran Bretagna i con-servatori erano tornati al potere già all’inizio di novembre del 1924, e cheil nuovo governo Baldwin (con Chamberlain agli Esteri) difficilmenteavrebbe condiviso l’idea di delegare alla Società delle Nazioni il potere dichiamare alle armi i suoi membri, dove e quando necessario.

La Gran Bretagna, tuttavia, da un lato aveva accettato di rinviare la datadello sgombero della zona di Colonia, già previsto per il 10 gennaio 1925(sia per rispetto delle conclusioni della Commissione interalleata di con-trollo sui territori tedeschi, sia perché i francesi potessero consolarsi dell’i-nevitabile fallimento del protocollo ginevrino), mentre dall’altro si era pro-digata nell’incoraggiare ogni proposta che il governo tedesco fosse stato ingrado di formulare, per un positivo sviluppo delle relazioni politiche con ivincitori6. Tutto ciò svelava il desiderio di vedere la Germania far partenuovamente del consesso delle potenze ed entrare nella Società delleNazioni (come prova la posizione maturata dagli inglesi in occasione delPiano Dawes), desiderio che invece rischiava di rimaner deluso dal rinviodell’evacuazione della zona di Colonia.

Alla realizzazione di un tale proposito si adoperò l’ambasciatore britan-nico a Berlino, Lord D’Abernon. Questi, nel pomeriggio del 14 gennaio,vide il Segretario di Stato von Schubert e gli consegnò un promemoria

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riguardante l’equilibrio di potenza e la sicurezza in Europa.Tale documen-to chiariva la netta differenza dell’attuale situazione europea rispetto a quel-la del 1914 e precisava che, nell’anno 1925, un ritorno ad una situazione dipredominio militare della Germania era molto improbabile, salvo nel casodi una nuova guerra. La realtà dei fatti non giustificava perciò le paure dialcuni7. Al D’Abernon von Schubert sottopose un suo Schema di soluzionidella questione della sicurezza composto di due paragrafi: il primo riguardavail controllo militare alleato in Renania; il secondo, sulla base della notaCuno del dicembre 1922, afferiva alle garanzie contro l’aggressione ed almantenimento dello status quo territoriale sul Reno da parte degli statidirettamente interessati 8.

Il 19 gennaio D’Abernon ebbe un approfondito colloquio con il mini-stro degli esteri tedesco Gustav Stresemann sui problemi riguardanti laGermania, in special modo sul disarmo, sulla questione di Colonia e sullostato delle relazioni generali con la Francia9. Si menzionò, con l’occasione,anche la questione della sicurezza e il D’Abernon sollecitò un’iniziativatedesca sul tipo della nota che l’allora Cancelliere Cuno aveva presentato, il13 dicembre 1922, al Governo degli Stati Uniti d’America10. Secondol’ambasciatore britannico la nuova proposta tedesca, che andava trasmessaper il momento soltanto a Londra, doveva prevedere un patto di nonaggressione reciproca e l’impegno al rispetto dello status quo nella zonarenana smilitarizzata. «Non v’è qui da indagare se Lord D’Abernon abbiaagito di sua iniziativa o per incarico del suo governo – scrisse il Segretariodi Stato von Schubert all’Ambasciatore tedesco a Londra Sthamer – maquand’anche la sua iniziativa avesse carattere meramente personale, noi nonpossiamo rifiutarla (...) Ci siamo perciò proposti di consegnargli domanitutto quanto in un memorandum allegato». Le considerazioni di Schuberterano dettate sia dalla persuasione che la Francia necessitava di una sicurez-za reale, sia dalla constatazione che «il Governo britannico di fronte allaFrancia ha bisogno di riparare al rifiuto del Protocollo ginevrino Herriot-MacDonald con un’ulteriore accondiscendenza nella questione della sicu-rezza». Era peraltro necessario risolvere le questioni di Colonia e del disar-mo nella loro globalità11.

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L’iniziativa di D’Abernon era personale e non derivava da un formaleincarico del suo Governo12. D’altro canto, la Germania aveva già prontauna proposta, con un quadro chiaro dei problemi legati alla sicurezza e dellesoluzioni da sottoporre ai vincitori, anche sulla scorta dell’esperienza matu-rata con la nota Cuno del 192213.

Il 22 gennaio 1925 giunse dunque al ministero degli esteri britannico,dall’ambasciata in Berlino, un memorandum che Lord D’abernon aveva rice-vuto due giorni prima dal governo tedesco: «Considerando le varie formeche un patto di sicurezza potrebbe assumere al presente – vi si leggeva – sipotrebbe procedere da un’idea analoga a quella da cui scaturì la propostafatta nel dicembre 1922 dal dottor Cuno. La Germania potrebbe, per esem-pio, dichiarare la sua accettazione di un patto in virtù del quale le Potenzeinteressate, soprattutto l’Inghilterra, la Francia, l’Italia e la Germania, con-traggano l’obbligo solenne per un lungo periodo (da definirsi eventual-mente con maggior precisione), di fronte al governo degli Stati Unitid’America, quale garante, di non muover guerra ad uno stato contraente...».Un tale patto di non aggressione sarebbe stato rafforzato da un sistemagenerale di trattati di arbitrato. «Inoltre, un patto che garantisca il presentestato territoriale (gegenwärtigen Besitzstand) sul Reno sarebbe anche accetta-bile per la Germania. Il proposito di questo patto sarebbe, per esempio, chegli stati interessati al Reno si obblighino reciprocamente ad osservare l’in-violabilità dell’attuale situazione territoriale sul Reno, che garantiscano siacongiuntamente che individualmente l’adempimento di quest’obbligo, edinfine che essi considerino ogni azione contro il suddetto obbligo come adessi pregiudizievole, congiuntamente ed individualmente. Nello stessosenso, gli stati membri del Trattato potrebbero garantire in questo patto l’a-dempimento dell’obbligo di smilitarizzare la Renania, che la Germania hacontratto negli articoli 42 e 43 del Trattato di Versailles».Ancora una volta,a tutelare l’efficacia di un simile patto avrebbe provveduto un sistema ditrattati di arbitrato fra gli stessi firmatari. La Germania, si diceva infine nellanota, avrebbe anche esaminato altre possibilità di soluzione da collegare aquelle proposte; e si dichiarava disposta a combinare nei modi più differen-ti le idee appena esposte14.

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A differenza che nella nota Cuno, dove l’impegno di non aggressionereciproca era circoscritto nel limite temporale di una generazione, con lanuova proposta tedesca la durata di tale impegno era tutta da definirsi. Siera, insomma, fatto tesoro delle critiche a suo tempo mosse alla nota Cuno,i cui punti deboli erano stati l’implicita possibilità di un conflitto, una voltatrascorso l’arco di una generazione, nonché il pericolo che con referendumpopolare si potessero autorizzare i governi a dichiarar guerra.

Il documento tedesco15 fu redatto direttamente nelle lingue dei paesidestinatari a cura delle locali ambasciate di Germania.A parte le questionidi forma, tra le varie versioni della proposta tedesca non si riscontranosostanziali differenze di significato. È da notare invece l’esistenza nella ver-sione inglese di una specie di “cappello” (omesso nelle altre versioni) in cuisi diceva che il disarmo della Germania e l’evacuazione del suo territoriorappresentavano per la Francia la sicurezza contro eventuali aggressionitedesche; ragion per cui occorreva dare a questi problemi una soluzione,nell’ambito di un accordo più generale che assicurasse una pace durevoletra Francia e Germania, in modo da far scaturire un’atmosfera di reciprocacomprensione16. Sempre nella versione inglese della nota, il Governo tede-sco prudentemente ometteva qualsiasi cenno al Protocollo di Ginevra qualemodello di sviluppi connessi al patto di sicurezza, mentre di ciò facevamenzione nelle altre versioni. Si voleva in tal modo evitare di urtare la sen-sibilità britannica e non compromettere la buona accoglienza della propo-sta menzionando uno strumento diplomatico che Londra consideravamorto e sepolto17.

La prima parte del memoriale, quella cioè relativa all’impegno dellePotenze maggiormente interessate al Reno a non farsi guerra, era per itedeschi la più solida garanzia di sicurezza mai offerta dalla Germania allaFrancia e una prova di buona volontà data alle altre grandi potenze. Altempo stesso, non meno rilevante era l’intento di evitare nuovi rinvii del-l’evacuazione delle zone occupate e, se possibile, privare di efficacia l’ulti-mo capoverso dell’art.429 del Trattato di Versailles (che prevedeva la possi-bilità di ritardi dell’evacuazione in caso di insufficienti garanzie dei tedeschicirca la sicurezza).

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La seconda parte del memoriale, quella cioè direttamente riguardante ilterritorio della Renania, può invece essere analizzata sotto tre profili: unpossibile collegamento, in virtù dell’articolo 430 di Versailles, tra propostatedesca e Piano Dawes; l’obbligo di rispetto dello status quo territoriale;l’obbligo di smilitarizzazione della regione.

L’articolo 430 prevedeva la rioccupazione immediata delle zone eva-cuate, nel caso in cui la Germania non adempisse agli obblighi delle ripa-razioni. Ma il Piano Dawes aveva istituito un collegamento tra il regimedelle riparazioni e la capacità di pagamento (o per meglio dire l’“indice diprosperità”) della Germania. In questo quadro il nuovo sistema rendeva piùdifficile per i creditori della Germania rilevare con unanimità di giudizio (econ obiettività soprattutto) eventuali inadempienze del debitore; se da unlato la Germania poteva sostenere di star pagando in base alle sue possibi-lità (principio introdotto dal Piano Dawes), dall’altro si presentava arduaun’approfondita indagine tecnica onde accertare quali realmente fosserodette possibilità. Il Comitato finanziario, cui spettava la sorveglianza suiprogressi del nuovo regime di pagamenti, avrebbe in teoria anche potutotrovarsi in disaccordo con la Commissione delle Riparazioni, presieduta dalfrancese Barthou, circa il sussistere di casi di inadempienza a carico dellaGermania. Agli occhi dei suoi creditori, e specialmente della Francia, l’in-solvenza della Germania era dunque sempre dietro l’angolo. Restava cosìaperta la possibilità, prevista dall’articolo 430 del Trattato di Versailles, di nonevacuare o di rioccupare la Renania in caso d’inadempienza totale o par-ziale dei tedeschi in materia di riparazioni (diritto che la Francia avrebbesempre riservato a se stessa, come testimoniava l’episodio della Ruhr).Perciò Berlino vide forse nel patto di sicurezza una specie di “norma dichiusura” contro simili eventualità, per impedire il funzionamento del mec-canismo di cui all’articolo 430 del Trattato di Versailles.

Il riferimento fatto dai tedeschi nella nota allo status quo svelava poi ungrande desiderio della Germania: quello di vedersi riconoscere il dirittoall’integrità territoriale, ed in specie la sua sovranità sulla Renania. Non acaso, nelle sue varie versioni, il documento tedesco parla dove di status quodove di rispetto del legittimo possesso; non a caso, ancora, l’originaria locuzio-

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ne tedesca gegenwärtigen Besitzstand delinea ad un tempo tanto uno stato difatto quanto uno stato di diritto18.

La garanzia della smilitarizzazione della Renania, proposta dalla Germa-nia, poteva quindi significare la limitazione dei diritti dei vincitori su quelterritorio, e al limite l’estensione a questi di obblighi che alla Germaniaderivavano dalla sconfitta. Offrendo sicurezza sulle frontiere occidentalitedesche, sarebbe stato forse possibile impedire ai vincitori di transitare inRenania, nel caso in cui si fosse aperta una crisi tra la Germania e la Poloniaper le frontiere orientali. Il tentativo tedesco era forse quello di “travasare”l’intera Sezione terza, Parte terza, del Trattato di Versailles in un patto disicurezza, realizzando di fatto quella parità di diritti perseguita da Berlino.

Con la proposta per un patto di sicurezza del gennaio 1925, ruolo nontrascurabile ebbe dunque la volontà della Germania di recuperare appienola sovranità territoriale e di tornare a trattare su un piede di parità con ivincitori. Per conseguire un simile risultato occorreva del tempo; nondi-meno, solo su questa via poteva realizzarsi la revisione pacifica dell’assettodella pace.

Per la Germania, allora, i problemi del dopoguerra sembravano in certoqual modo connessi e ciascuno ne richiamava alla mente altri 19. Come harilevato il Krüger, «la Renania occupata rimase perciò ininterrottamentefino al 1928-29 motivo d’apprensione, in quanto ancora una volta nonveniva scongiurato il pericolo di nuove aspettative sulla scena, forse in con-nessione col definitivo regolamento delle riparazioni, o d’altro canto chedei problemi potessero in genere venir rinviati, in quanto la persistenteoccupazione rappresentava un ostacolo molto grave ad un accordo genera-le con la Francia, tanto nell’opinione pubblica e nei circoli politici tedeschi,quanto nello stesso Governo del Reich». Di tal guisa «l’idea fondamentaledi Stresemann di accordo con la Francia sarebbe stata compromessa nellasostanza; e inoltre si sarebbe egli cacciato in seri pasticci con l’intera suaconcezione di pacifico ritorno al ruolo di grande potenza tedesca, all’u-guaglianza dei diritti, alla libertà da intromissioni esterne»20. In questa pro-spettiva unitaria dei problemi tedeschi va ad inserirsi la proposta per unpatto di sicurezza ad Occidente: il tranquillare la Francia non era più

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importante del veder quanto prima evacuato il territorio tedesco e laGermania sgravata da qualsivoglia obbligo o condanna. «Le pretese irragio-nevoli degli Alleati» scriveva il 3 gennaio 1925 Stresemann «devono esserecombattute e si deve chiedere invece che essi discutano con noi (...) Unmiglioramento non può provenire alla Germania che dallo sviluppo gene-rale degli affari europei e da una diversa posizione della Germania fra lenazioni, le quali non hanno più gli stessi rapporti come nel 1918 e le cuicombinazioni non sono prevedibili»21.

In tale quadro va collocata la proposta tedesca per un patto di sicurezza.Tanto il momento scelto per presentarla (l’evacuazione di Colonia era stataappena rinviata e si riproponeva il problema della revisione delle riparazio-ni, o meglio delle quote previste dal Piano Dawes)22 quanto lo specificocontenuto di essa non appaiono privi di significato se si tien conto di tuttigli altri problemi, intimamente legati, che la Germania dovè affrontare neldopoguerra.

3. LE REAZIONI DELLA GRAN BRETAGNA

Il memorandum tedesco giunse a Londra il 22 gennaio 1925. Il giornodopo von Schubert riceve’ D’Abernon e gli chiarì che la Germania pensa-va ad un sistema di arbitrato per le dispute di carattere giuridico e ad unsistema di conciliazione per risolvere quelle politiche. Essa aveva inoltreintenzione di includere i vicini dell’Est nel nuovo sistema di sicurezza. Laproposta si differenziava dalla nota Cuno in quanto istituiva una garanziasulla Renania ed un sistema di arbitrato tra la Germania e i suoi viciniorientali. Quanto al termine gegenwärtigen Besitzstand, esso era da intender-si nel senso di «status quo secondo il trattato di Versailles»23.

Il documento tedesco arrivava nel momento in cui francesi ed inglesistavano discutendo su una forma di garanzia contro la possibilità di unnuovo attacco tedesco.Gli studi effettuati al Quai d’Orsay ed al Foreign Officeriguardavano un patto bilaterale francobritannico24 (ipotesi studiata aLondra da Sir Hankey, Segretario del Gabinetto e membro del Comitato di

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Difesa Imperiale25) o trilaterale, includendo il Belgio26. Si stava insommariprendendo la trama di un discorso interrotto dopo i fallimenti del 1919,quando naufragarono i patti di assistenza francostatunitense e francobritan-nico, e del 1922, quando svanì l’ipotesi di garanzia britannica, frutto dei col-loqui di Londra e di Cannes tra Lloyd George e Briand.

Il primo obiettivo del Ministro degli esteri britannico Chamberlain, difronte alla novità rappresentata dalla proposta tedesca, fu di tranquillizzare ifrancesi, ma di abbandonare l’ipotesi di un patto bilaterale (impegno cheanche i Dominions non avrebbero ammesso) e di pensare invece ad una for-mula più ampia, comprendente l’intervento diretto della Germania, maga-ri attingendo al materiale giuridico predisposto per il Protocollo diGinevra, e richiamandosi alla Società delle Nazioni ed ai trattati di pace27.Fu insomma l’occasione ideale per tornare alla cara politica degli impegnilimitati ed alle cure di un’opinione pubblica ritrosa nel prenderne di piùlarghi. Del resto, il paese doveva tener conto di un contesto imperiale (iDominions) prima di prendere decisioni di vasta portata.

Ricevuta la nota tedesca dall’ambasciatore a Londra Sthamer,Chamberlain disse di non potervi dare risposta senza prima concertarsi conParigi, poiché «ogni parvenza di negoziati tra la Germania e questo Paesealle spalle della Francia avrebbe sollevato il sospetto e distrutto ogniinfluenza che il Governo britannico potrebbe avere sul Governo diFrancia». Inoltre, poiché la Germania auspicava consultazioni confidenziali,sarebbe stato opportuno non pubblicizzare la sua proposta sulla stampa(come avveniva ad esempio sul quotidiano Germania, organo del CentroCattolico). L’ambasciatore Sthamer assicurò a Chamberlain esser lungi dalpensiero del suo Governo tramare alle spalle dei francesi e aggiunse che leproposte del giornale cattolico non erano ufficiali; egli temeva, tuttavia, cheposporre la questione della sicurezza al destino del Protocollo ginevrinosarebbe stato come rinviarla sine die. Chamberlain non voleva alcun rinvio,ma riteneva opportuno definire prima l’atteggiamento britannico verso lasicurezza francese, per poi occuparsi dell’oggetto della proposta tedesca; adogni modo, non sarebbe stato privo di significato per la Gran Bretagna chela Germania entrasse nella Società delle Nazioni. A questo punto, a

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Chamberlain Sthamer pose il problema di quanto pericoloso fosse per laGermania accettare sic et simpliciter l’articolo 16 del Covenant 28, articolo chele avrebbe praticamente imposto di correre con proprie forze in aiuto diuna potenza aggredita da un terzo Stato; un tale obbligo era inconciliabilecon lo stato di disarmo impostole dal trattato di pace.

Della conversazione con Sthamer Chamberlain informò l’ambasciatorefrancese De Fleuriau, il quale concordò sul fatto di definire anzitutto il pro-blema della sicurezza francese, per poi discutere delle proposte tedesche. DeFleuriau chiese anche se il recente passo tedesco contenesse qualche accen-no alla nota Cuno; Chamberlain rispose che ciò era, ma solo per differen-ziare da questa nota la nuova proposta. Per il ministro inglese il vero discri-mine stava nel fatto che il memorandum tedesco non escludeva di affrontareil problema delle frontiere orientali dopo aver risolto quello delle frontiereoccidentali 29.

Per quanto possa riscontrarsi una certa differenza di posizioni in seno alForeign Office, e rispetto a quella dell’ambasciatore a Berlino D’Abernon30,la nota tedesca sul patto di sicurezza rese Chamberlain molto sensibile alsuo contenuto, cui diede un’importanza crescente, svalutando al contempoqualsiasi idea di un patto esclusivamente anglofrancese. Il passo tedesco fuda lui giudicato «il segno più promettente (hopeful) che io abbia mai visto».Trattandosi di «una garanzia più particolare e specifica», quella contenutanella proposta tedesca si rivelava perciò la più utile. Considerando ciò,Chamberlain cercò di istituire una comunicazione costante con l’ambascia-tore a Parigi Crewe e quello a Berlino D’Abernon, onde trattare a sei manii dettagli più delicati della questione31. Il ministro britannico consideravaanche la posizione che la Francia, ormai da qualche tempo, andava assu-mendo: in primo luogo, il tentativo di condizionare l’evacuazione dellazona di Colonia alla soluzione del problema della sicurezza; in secondoluogo, la propensione a concordare con gli alleati una nota congiunta allaGermania, piuttosto che discutere dei problemi ancora aperti in conferen-ze cui quest’ultima fosse ammessa a partecipare32.

In questo quadro appaiono chiare le difficoltà insorte tra Francia e GranBretagna. Questa, pur consapevole di qualche lato ancora oscuro della pro-

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posta tedesca (come ad esempio le garanzie alla frontiera orientale, che laGermania sembrava non prospettare negli stessi termini del quadrante rena-no), tuttavia la considerava di tale utilità, al punto da subordinarvi iniziati-ve tese a realizzare un patto franco-brutannico. Lo stesso Chamberlain, par-lando con l’ambasciatore belga a Londra, Moncheur, osservò che la notatedesca era un riconoscimento ufficiale, da parte della Germania, dell’in-violabilità della sua frontiera occidentale; «in secondo luogo – aggiunse ilministro – la Germania per la prima volta volontariamente accettava l’esi-stente frontiera tedesca ad est», nel senso che se essa «operava una distin-zione tra lo scopo dell’accordo ad ovest e quello ad est (...) questa effettivadistinzione era una garanzia addizionale delle frontiere francese e belga»33.Con il passare del tempo, quindi, gli inglesi non nascosero di vedere moltopositivamente le prove concrete di volontà di pace, offerte dai tedeschi34.Occorreva ad ogni modo procedere per gradi, dal particolare al generale, esoprattutto non equiparare la situazione della frontiera occidentale tedescaa quella della frontiera orientale, per la quale il governo inglese non avreb-be preso impegni35.

La prima manifestazione di questa linea di condotta si verificò in occa-sione degli incontri tra Chamberlain ed Herriot, svoltisi a Parigi il 6 e 7marzo 1925. Chamberlain osservò che motivi di opinione pubblica e diconfronto coi partiti di opposizione impedivano di trascurare la propostatedesca nell’affrontare il tema della sicurezza.Tutto questo bastò per provo-care la costernazione di Herriot36.

In realtà, varie circostanze politiche interne avevano indottoChamberlain a maggior cautela verso l’assunzione di impegni esterni chepotevano rivelarsi estremamente gravosi. Nel dibattito sulla sicurezza incorso ai Comuni, il 5 marzo, il deputato Fischer a nome del suo gruppo libe-rale aveva ammonito che ogni patto anglo-franco-belga avrebbe divisol’Europa in campi opposti ed armati; egli quindi appoggiava le propostetedesche sostenendo anche il principio della pacifica revisione delle frontie-re orientali della Germania. Chamberlain, intervenuto sul punto, aveva riba-dito che certamente le proposte tedesche erano interessanti e che allaGermania era stata, tuttavia, prospettata la necessità di coinvolgere gli alleati

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e di negoziare su queste basi. Quanto poi ai vicini orientali della Germania,ed in specie alla Polonia, Chamberlain auspicava da parte di questa «una sag-gia politica ed una considerazione verso i sentimenti degli altri». Infine avevaconfermato l’impossibilità di prolungare ulteriormente l’occupazione diColonia, se non in base ai termini stabiliti dal Trattato di pace37. L’11 marzo,una serie di riunioni del Gabinetto e di incontri informali in seno ad esso,rafforzarono la posizione di Chamberlain (appoggiato da Crowe)38. Lo stes-so giorno, il dibattito ai Comuni fu incentrato invece su una mozione dellaburista Trevelyan, in base alla quale non bisognava concludere accordi otrattati implicanti impegni gravosi per il paese; tantomeno bisognava strin-gere intese preparatorie o di cooperazione bellica tra gli Stati Maggiori deipaesi alleati. Occorreva insomma, stando al Trevelyan, abolire la diplomaziasegreta e, se necessario, apportare riforme costituzionali in modo da trasfe-rire al Parlamento i poteri negoziali e di guerra. La mozione Trevelyan (cuirispose, non senza ironia, il Conservatore MacNeill, per il quale la mozioneaveva sollevato un problema inesistente)39 non ottenne che 133 voti controi 255 a sfavore. Ma senza dubbio, essa era il portato di timori diffusi, aiComuni come nell’opinione pubblica, alimentati da voci di presunti collo-qui tra gli stati maggiori britannico, francese e belga40.

Anche negli ambienti conservatori la posizione governativa trovavaostacoli. Per fare un solo esempio, aspre critiche non furono risparmiate daChurchill, che accusò Chamberlain di non aver sufficientemente chiaritoad Herriot, nel corso del loro secondo incontro parigino a metà marzo, lanecessità di trattare separatamente le questioni del disarmo, dell’evacuazio-ne di Colonia e del patto di sicurezza41.

Considerazioni di politica interna possono aver pesato sulla decisioneinglese di studiare attentamente la proposta tedesca, accantonando i proget-ti di “triplice” anti-germanica. Ma gli inglesi considerarono anche il fattoche la tradizionale prevenzione della Francia verso la Germania si era dimo-strata più volte elemento di instabilità, provocando tensioni fra gli stessialleati; lo dimostrava, last but not least, la crescente divergenza tra Parigi eLondra sul futuro dell’occupazione della zona di Colonia. Queste circo-stanze emersero nel corso del convegno parigino tra Chamberlain ed

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Herriot. Questi si mostrò piuttosto scettico sul futuro della sicurezza e delsistema francese di alleanze orientali 42; ma il ministro britannico aveva dallasua il fatto che la linea da lui seguita era condivisa anche all’estero: inBelgio, in Italia e perfino in Giappone43.

Si assisteva insomma ad un calo del livello delle relazioni anglofrancesi,fenomeno peraltro non nuovo, ma che certamente poneva interrogativisulla possibilità di costruire un regime di sicurezza a mezza strada tra duediverse concezioni. La Francia, scriveva Sir Eyre-Crowe, «deve persuadersia seguire una politica ragionevole. Si tratterà di un negoziato amichevole epaziente, ove la questione di un patto di sicurezza di tal sorta deve giocareuna parte importante (...) Seppur solo per questa ragione il Dipartimentodeve ora metter da parte qualsiasi idea di attitudine minacciosa o di con-trasto nei confronti della Francia sulla questione di Colonia. Ci sono giàabbastanza elementi di frizione tra noi»44.

Nella seconda decade del marzo 1925, il governo inglese ritenne così dinon lasciar cadere nel vuoto la proposta tedesca, come invece volevaHerriot45. A questa linea di condotta si attenne Chamberlain quando, nelpomeriggio del 16 marzo, rivide a Parigi il collega francese46. Il 18 succes-sivo, Chamberlain comunicò a D’Abernon il punto di vista inglese: accet-tare un patto di sicurezza per la frontiera occidentale tedesca non volevacerto dire che cessava il pericolo d’una guerra ad est; si sarebbe tuttavia fattoun passo in avanti verso la pace qualora la Germania fosse entrata nellaSocietà delle Nazioni (vincolandosi così al Covenant, accettando gli oneriderivanti dall’art.16 e godendo dei diritti previsti dall’art.19) e avesse senzaremore accettato di concludere patti d’arbitrato con i suoi vicini orienta-li 47. Il governo inglese comunque riconosceva di dover contrarre verso laFrancia obblighi maggiori che verso altri paesi, ma proprio per questo l’im-pegno britannico di garanzia non poteva che essere limitato alla frontieraoccidentale tedesca e non coprire altre frontiere48.

Non era questo l’approccio che la Francia avrebbe desiderato.Apparivainfatti chiaro che la proposta tedesca era per gli inglesi l’occasione per“risparmiare e ben figurare”, garantire cioè alla Francia ciò che era nel lorostesso interesse garantire, e al contempo goder di credito presso l’opinione

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pubblica europea, promuovendo la proposta di una riconciliazione franco-tedesca. Ma del resto, Chamberlain si faceva interprete di un’opinione cor-rente nel suo paese, dato che nessuno avrebbe ben accolto un impegno tra-valicante contenuti chiari, specifici e limitati49. In tale ambito così definito,la proposta tedesca doveva essere esaminata con responsabilità e pondera-tezza, ponendosi ormai come ineludibile parametro, anche per una ridefi-nizione dei rapporti tra i vincitori e tra questi e la Germania.

Ciò emerse altresì dal dibattito sul protocollo di Ginevra e la sicurezza,tenutosi il 24 marzo ai Comuni. In tale occasione, Chamberlain dichiaròche la Germania rinunciava a modificare la sua frontiera occidentale e siimpegnava a non ricorrere alla forza per modificare quella orientale. Larevisione su questo versante sarebbe stata condotta solo per vie pacifiche50.In una pausa dei lavori parlamentari, l’ambasciatore Sthamer fece presentea Chamberlain che il suo discorso era andato oltre le intenzioni del gover-no tedesco. Ma quando Chamberlain lo invitò a chiarire se era desideriodel suo Governo modificare, anche con la forza, la frontiera orientale dellaGermania, l’ambasciatore tornò sui suoi passi e si astenne da ogni ulterioreprecisazione51. Chamberlain, di conseguenza, istruì D’Abernon di illustra-re a Berlino in via ufficiale come il Governo di Sua Maestà interpretava laposizione tedesca circa le frontiere orientali: si auspicava una loro modificama senza il ricorso all’uso della forza e con tutte le vie diplomaticamentepercorribili. D’Abernon espose a von Schubert questo punto di vista neltardo pomeriggio del 28 marzo. Il Segretario di Stato ipotizzò un malinte-so tra Chamberlain e Sthamer, riconfermando all’ambasciatore britannicol’interpretazione testé prospettatagli 52.

Chiarito questo aspetto, la Gran Bretagna proseguì nella linea di consi-derare la proposta tedesca utile punto di riferimento per un eventualenegoziato sulla sicurezza. Una posizione questa densa di implicazioni per irapporti con il suo naturale alleato continentale.

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4. LE REAZIONI DELLA FRANCIA

Le paure della Francia nel 1925 non erano molto diverse da quelle deiprimi anni del dopoguerra: paura d’una revanche tedesca; paura di alterazio-ni de facto del trattato di pace, e via discorrendo. Considerato l’atteggia-mento britannico in merito alla sicurezza, sembrava che alla Francia restas-sero solo due possibilità: cercare solidarietà altrove o allinearsi alla visionedell’alleato d’oltremanica.

Il 22 gennaio, in una conversazione con l’ambasciatore italiano a Parigi,Romano Avezzana, Herriot aveva a chiare lettere espresso l’auspicio di con-vincere gli inglesi ad accettare la decisione di mantenere Colonia occupa-ta, adducendo a motivi il mancato disarmo tedesco, la mancata garanziaangloamericana alla Francia e la fine prevedibile del Protocollo diGinevra53. In occasione di un discorso tenuto il pomeriggio del 28 gen-naio alla Camera, Herriot, pronunciandosi sul tema della sicurezza, avevasottolineato come il desiderio del Maresciallo Foch di occupare in perma-nenza la riva sinistra del Reno fosse stato sedato proprio dalla rinnovataofferta da parte di Londra di quel patto di garanzia miseramente fallito nel1919. Gran Bretagna e Stati Uniti dovevano perciò comprendere il senso diinsicurezza dei francesi, anche in ragione dei problemi causati dalle ina-dempienze tedesche riguardo a molte parti del trattato di Versailles. «Ildiscorso di Herriot – commentò Lord Crewe – che per molti dei passaggidi cui sopra potrebbe esser stato fatto dallo stesso Poincaré, potrebbe, iotemo, posporre il consenso francese all’evacuazione della zona di Coloniaalle calende greche», o fino ad una proposta inglese sulla sicurezza giudica-ta accettabile54.

Il ministro francese ribadì la sua posizione in istruzioni per l’ambascia-tore a Londra: occorreva, egli scrisse, far comprendere agli inglesi che laquestione di Colonia e quella della sicurezza erano strettamente legate eche la Francia aveva necessità di difendere in via permanente la “barrierarenana”55.

La nota tedesca fu ufficialmente presentata a Parigi il 9 febbraio.L’esperienza della nota Cuno, subito e nettamente rifiutata dai francesi,

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aveva insegnato ai tedeschi che Parigi non era terreno fertile su cui far ger-minare proposte del genere. Si spiega così il lasso di venti giorni, trascorsotra la presentazione della nota a Londra e un analogo passo a Parigi.

Herriot analizzò subitò la situazione con l’ambasciatore italiano; egliconfermò di preferire il Protocollo di Ginevra come modello di un even-tuale patto di garanzia, ed era disposto ad accettare un qualsiasi accordo, chedesse però alla Francia una sicurezza non fittizia; occorreva perciò convo-care al più presto una conferenza tra i capi di governo dei paesi alleati56.

All’ambasciatore britannico, Crewe, Herriot dichiarò poi che una taleconferenza avrebbe dovuto fornire alla Francia un adeguato strumento ditutela nel campo della sicurezza, grazie al quale poter rinunciare ad espe-dienti giuridici, come il sostenere l’esistenza di un «rapporto di causalità»tra la questione di Colonia e quella della sicurezza57.

Conversando il 17 febbraio con l’ambasciatore tedesco, Hoesch, Herriotsi mostrò disposto ad esaminare le proposte di Berlino, ivi comprese quelleriferentisi alle frontiere orientali della Germania58. Del contenuto di que-sto colloquio si era convenuto di mantenere il massimo segreto. Ma dellacosa il governo tedesco informò l’ambasciatore inglese a Berlino, e questi ilForeign Office59, sicché Herriot non era già più nelle condizioni di esclude-re a priori un negoziato sulla sicurezza basato sulle proposte della Germania,né di escludere la Germania da un eventuale patto.

Herriot si diffuse sulla proposta tedesca innanzi alla Commissione este-ri del Senato, il 20 febbraio; il giornalista Pierre Bertrand, suo intimo amico,scrisse sul Quotidien che l’offerta tedesca andava esaminata senza pregiudi-ziali 60. Altri organi di informazione francesi si mostrarono più cauti, evi-denziando il problema di garantire Polonia e Cecoslovacchia.Andavano, adogni modo, precisandosi i lineamenti della politica che la Francia avrebbeattuato nei mesi seguenti sul problema della sicurezza.

La Francia si era dunque posta il problema di come garantire le frontie-re orientali della Germania, e di come salvaguardare le sue alleanze con laPolonia e la Cecoslovacchia. La situazione fu analizzata al Quai d’Orsay sindal febbraio, e il consigliere giuridico, Henri Fromageot, ne fece oggetto diun appunto per la Direzione degli Affari Politici e Commerciali. «Va atten-

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tamente studiata – egli scrisse – soprattutto per ciò che concerne le fron-tiere ad est della Germania, una clausola di arbitrato con la Polonia, chedovrebbe essere assoluta e generale. Questo deve preoccupare, io credo»61.Il vicedirettore degli Affari Politici e Commerciali, Seydoux, così annotò, il22 febbraio: «Sarà molto difficile far accettare alla Polonia e alla Ceco-slovacchia, ma soprattutto alla prima, la conclusione del patto renano; i polac-chi desidererebbero garanzie sulla loro frontiera e gli accordi di arbitrato,proposti dai tedeschi, saranno molto difficili da redigere. Nonostante ciò, èil massimo che possiamo ottenere senza abbandonare la garanzia più com-pleta che ci viene offerta sul Reno». La conclusione di Seydoux fu laseguente: «Bisognerà, un giorno o l’altro, che la Polonia sappia che noi nonla sosterremo fino in fondo e che l’arbitrato, a condizione che sia nel qua-dro della Società delle Nazioni, è il massimo che possiamo consentire»62.

Anche il Direttore dello stesso ufficio, Laroche, si occupò del problema,e preparò degli appunti, in previsione di una risposta alla nota tedesca del9 febbraio. Preso atto che la Gran Bretagna avrebbe contratto impegni limi-tati, Laroche così scrisse: «Bisognerà anzitutto rivedere con attenzione ilnostro trattato d’alleanza (...) in modo da eliminare del tutto ogni motivodi impegno a fianco della Polonia, che non si trovi giustificato ed al con-tempo prescritto dal Patto della Società delle Nazioni e dagli impegni chene conseguirebbero. D’altra parte, bisognerebbe ridurre, ed anche esclude-re, la possibilità di un conflitto armato tedesco-polacco o tedesco-cecoslo-vacco. È a ciò che evidentemente mira, poiché il Governo di Berlino hasentito molto la necessità di rassicurarci a tal riguardo, la proposta tedescarelativa a un insieme di trattati di arbitrato obbligatorio».Tali trattati, pro-seguiva Laroche, dovevano essere firmati con le potenze confinanti, ad este a sud della Germania. «In altri termini, il nostro trattato di alleanza con laPolonia e la Cecoslovacchia dovrebbe ormai non prevedere che dei casi desti-nati a non prodursi, o almeno presentantisi in condizioni tali che noi sarem-mo giustificati dal Patto della Società delle Nazioni e dal protocollo diGinevra ad intervenire, così come lo sarebbero altri paesi che avessero fir-mato con noi il patto, per quanto concerne la frontiera occidentale».Occorreva tuttavia, secondo Laroche, aver presente che era pericoloso con-

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sentire alla Germania di ottenere facilmente la revisione pacifica di alcuneclausole territoriali dei trattati di pace63.

Le idee degli alti funzionari del Quai d’Orsay vennero riassunte in unanota collettiva sui temi della sicurezza, preparata il 26 febbraio. Per le fron-tiere orientali tedesche, sarebbero occorsi i seguenti provvedimenti: a) rive-dere il trattato con la Polonia, eliminando il casus foederis, ormai incompa-tibile con la nuova situazione, e del resto superfluo perchè c’era il Covenant;b) scongiurare, grazie a dei patti di arbitrato, un conflitto armato tedesco-polacco, rendendo l’alleanza francopolacca praticamente inapplicabile64.Seydoux, membro del “gruppo di studio”, avvertì tuttavia (come giàLaroche aveva fatto) che sarebbe stato ugualmente pericoloso concluderecon la Germania un accordo mirante alla revisione pacifica dello statusquo65. In questo spirito occorreva esaminare la nota inviata dalla Germania.

A Sir Eyre-Crowe, che incontrò il 4 marzo, l’Ambasciatore francese DeFleuriau espresse dunque l’opinione che, per come concepita, la propostatedesca sembrava «poco più d’una ripetizione» del trattato di Versailles; men-tre una vera svolta sarebbe stato il firmare un patto di sicurezza tra GranBretagna e Francia soltanto. De Fleuriau aggiunse che, ad avviso del suogoverno, la Germania avrebbe dovuto impegnarsi “anche” sui suoi confiniorientali ed entrare nella Società delle Nazioni. L’ambasciatore franceselasciò quindi al suo interlocutore una nota: vi si leggeva che un patto di sicu-rezza franco-anglo-belga-tedesco, quale inteso da Berlino, avrebbe costitui-to un indebolimento e non un rafforzamento della posizione francese.Nondimeno, si poteva prevedere una serie di patti particolari coordinati daun patto generale, a condizione però di non inficiare gli articoli 430 (rioc-cupazione della Renania in caso di inadempienza tedesca nelle Riparazioni),44 (azioni contro la Germania in caso di sua violazione degli articoli 42 e43) e 213 (diritto d’investigazione sul territorio tedesco) di Versailles, non-ché il Covenant. La nota si soffermava anche sulle «precauzioni da prenderedal punto di vista dell’Austria», intendendo con ciò il «mantenimento del-l’articolo 80 del T[rattato] di Versailles». De Fleuriau tenne però sulle gene-rali, quanto al seguito che Parigi avrebbe dato alla nota tedesca: «Occorreràdunque del tempo per mettere a punto tali questioni», egli disse66.

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La visita di Chambelain a Parigi fu un’occasione per chiarire il punto divista francese. Pur non avendo la Germania escluso la possibilità di conclu-dere dei trattati di arbitrato con i suoi vicini orientali, la Francia tuttavia sivedeva obbligata (come Herriot spiegò a Chamberlain) «a frenare l’impul-sività dei giovani stati che con la loro indiscrezione avrebbero potuto coin-volgerla» in subitanei conflitti. Falliti i patti di garanzia del 1919, la Franciastessa, dichiarò il Presidente della Repubblica Doumerge a Chamberlain,«era stata costretta a fare un’alleanza ad oriente e non poteva disonorare la suaparola»67.

Alleata per forza di cose, la Francia, dunque, difficilmente avrebbe accol-to tutti i desiderata della Polonia. Lontano dalla politica di corridoio diParigi, in un ambiente ovattato come quello ginevrino, Herriot potè per-mettersi, il 9 marzo, di essere molto franco con Chamberlain: «Il nostroobiettivo – egli disse – dev’essere, da un lato impedire ai polacchi di pre-giudicare il futuro con repentine dichiarazioni che non potrà mai esservimodifica alcuna delle condizioni esistenti; e, dall’altro, impedire ai tedeschidi parlare come se volessero forzare un immediato cambiamento». LaGermania, entrando nella Società delle Nazioni, avrebbe potuto accordarsicon i vicini orientali, poiché «c’era molto, nell’attuale sistemazione dellacarta ad oriente, che prestava il fianco a serie critiche»68. Herriot sembra-va, in pratica, legittimare il ricorso da parte della Germania all’articolo 19del Covenant (concluso il patto renano ed entrata nella Società delleNazioni) e dunque al principio della revisione pacifica delle frontiereorientali. Ma tale posizione mal si conciliava con le alleanze ad est, ed inspecie con quella francopolacca del 1921, la quale infatti si basava sul rispet-to dello status quo e del possesso legittimo dei territori attribuiti dai tratta-ti di pace.Tali alleanze erano concepite, invero, sia in chiave anti-tedesca, siain chiave anti-russa69, proprio quando si andava profilando la possibilità perVarsavia, Mosca e Belgrado, di concertare un’azione politica comune neiconfronti della Germania70.

Herriot attendeva di rivedere Chamberlain a Parigi, per avere maggio-ri delucidazioni e potersi a sua volta pronunciare sugli altri problemi delgiorno. Ma egli appariva fin d’ora convinto del fatto che nessuna decisione

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si potesse prendere in merito alla proposta tedesca prima di risolvere lenodose questioni del disarmo tedesco e dell’evacuazione di Colonia; glipremeva inoltre di sapere fino a qual punto la Gran Bretagna sarebbe statadisposta ad impegnarsi. L’inquietudine nella capitale francese a tal riguardoera diffusa: il Maresciallo Foch, Presidente del Comitato Militare Alleato diVersailles ed uno dei simboli della vittoria francese, non faceva altro cheporre l’accento sui pericoli d’un rapido ristabilimento della Germania inEuropa71.

Nel pomeriggio del 16 marzo Herriot ebbe a Parigi un nuovo incon-tro col ministro inglese e a questi non nascose che il fallimento del proto-collo sarebbe stato per la Francia un grande choc, con effetti inimmaginabi-li sulla tenuta della compagine governativa e sugli umori dell’opinionepubblica. Ciononostante, Herriot avrebbe cercato di far esaminare con spi-rito attento le proposte tedesche; andava però chiarito che la Francia nonera affatto pronta a discutere di problemi quali il disarmo generale, comeinvece gli Stati Uniti sembravano inclini a fare sulla scorta dell’esperienzamaturata alla Conferenza navale di Washington. Se invece si fosse trattato direalizzare un patto che garantisse alla Francia una reale sicurezza, allora eraben altra cosa; «allora, invero, egli sarebbe andato dall’opinione pubblicafrancese a dire che bisognava ridurre la potenza militare». Chamberlain pro-spettò al suo collega una visione alquanto diversa: «Dopo tutto – egli disse– il maggior fattore oggi nel mondo era la paura, e questa paura non eraconfinata all’Europa, ma affliggeva anche altre nazioni»; occorreva dunquenon rifiutare un eventuale invito del governo americano a discutere anchedel disarmo terrestre ed aereo. Herriot tornò poi sul problema della sicu-rezza pronunciandosi favorevole alla proposta tedesca, senza dilungarsi inulteriori precisazioni. Chamberlain, da parte sua, confermò che la GranBretagna non avrebbe consentito che la conclusione di un patto con laGermania fosse condizionata all’evacuazione anticipata delle zone renane72.

Dal secondo incontro con Chamberlain, Herriot trasse le seguentiimpressioni: «Dal punto di vista cecoslovacco e dal punto di vista della sicu-rezza dell’Europa centrale, sarebbe evidentemente la soluzione migliore diavere un trattato generale di mutua assistenza inglobante anche la frontiera

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orientale della Germania, e così praticamente quasi tutta l’Europa. Se nonè possibile pervenire a un tale trattato e se si va ad elaborare un trattato dimutua garanzia solo per l’Europa occidentale, esso presenterà certamente,pur avendo importanza molto minore, un certo numero di vantaggi per ipaesi dell’Europa orientale», essendo una garanzia che, pur parziale, avreb-be avuto ripercussioni «dall’altro lato della Germania, e soprattutto nellavalle del Danubio, più che in Polonia, perché la Polonia si sente minaccia-ta anche dalla Russia, il che non è il caso della Cecoslovacchia». Occorrevatuttavia, ad avviso di Herriot, porre il trattato di Versailles alla base di ognicosa (essendo esso il diritto internazionale esistente). Ma il nuovo sistemanon avrebbe dovuto compromettere l’assetto dell’Europa centrale. LaGermania, inoltre, avrebbe dovuto prima entrare nella Società delleNazioni. Quanto alla possibilità di concludere trattati di arbitrato tra laGermania ed i suoi vicini orientali, ciò non era da escludersi, tanto più chedetti strumenti si sarebbero facilmente collegati al patto renano, in quanto«le potenze occidentali avrebbero potuto divenire moralmente garanti affin-ché la procedura pacifica di soluzione delle controversie indicate in questotrattato fosse sempre mantenuta dalla Germania». Ma l’iniziativa per unpatto arbitrale doveva essere anglofrancese, invece che tedesca. Bisognavapoi dire a tutti che non vi sarebbe stata alcuna possibilità di riaprire ladiscussione su certe frontiere, senza provocare contraccolpi sull’assetto ditutte le altre. «Così, la conclusione di un sedicente patto di sicurezza, o trat-tato di garanzia, che non tenesse conto di quanto ho appena esposto, sareb-be in verità l’inizio di un periodo di incertezza generale e di confusionecompleta. È per questo che occorrerebbe farlo in modo tale che i paesidell’Europa centrale ne avvertano gli effetti come l’inizio di un periodo ditranquillità e perché possano dedicarsi completamente al lavoro della lororicostruzione interna»73.

Le considerazioni del ministro francese erano certamente dettate dalrigetto del Protocollo di Ginevra da parte della Gran Bretagna, annunciatonel corso della visita di Chamberlain a Parigi. L’inquietudine sollevata nelmondo politico francese non risparmiò le sinistre. Léon Blum, ad esempio,constatò con rammarico che la Gran Bretagna era diventata «colonia dei

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suoi Dominions» e della politica isolazionista americana. Egli aggiunse che,prima di ogni altro passo in materia di sicurezza, la Germania avrebbedovuto aderire alla Società delle Nazioni e soltanto sotto l’egida di questasarebbe stato possibile qualsiasi negoziato su un patto di garanzia74. Herriotsi vedeva probabilmente tra due fuochi: riservare alla proposta tedescaun’accoglienza troppo fredda avrebbe scatenato in Germania le furie deinazionalisti contro il governo Luther, che avrebbe seriamente vacillato ecompromesso la possibilità di una garanzia britannica; caldeggiarla, avrebbesignificato inimicarsi inesorabilmente il Bloc National e certamente buonaparte del “Cartello delle Sinistre”75. Il 27 marzo, tuttavia, Herriot autorizzòDe Margerie a dire a Stresemann che era prevedibile l’invio di un memo-randum anglofrancese alla Germania, in risposta al suo recente passo76.

Era chiaro che la Polonia mai avrebbe accettato che in Europa si parlas-se si sicurezza con la prospettiva di rivedere i trattati ai suoi danni. Questodichiarò il ministro degli esteri polacco Skrzynski a Ginevra, il 13 marzo;questo egli ribadì il successivo 2477, innanzi alla Commissione esteri dellaDieta78. La Polonia, inoltre, non avrebbe consentito di includere tra le que-stioni oggetto di arbitrato obbligatorio quelle territoriali, che, al massimo,potevano rientrare nei pronunciamenti conciliativi non vincolanti79.

Sull’onda delle delusioni recentemente sofferte a causa del ripudio bri-tannico del Protocollo di Ginevra, nel corso del marzo Herriot illustrò il suopunto di vista ad una delegazione della Commissione esteri della Camera.Spiegò che la Germania avrebbe dovuto entrare nella Società delle Nazionie, solo allora, la Francia avrebbe potuto esaminare con la dovuta attenzionele possibili soluzioni per una duratura pace europea; basilare era anche la sal-vaguardia del principio del rispetto dei trattati di pace80. La posizione diHerriot, che molto preoccupò Lord Crewe81, provocò reazioni indignatenelle sfere dirigenti tedesche, al punto da spingere il Segretario di Stato vonSchubert a qualificare come infami le parole dello statista francese. «Io ero aLondra nel 1914 – disse egli all’incaricato d’affari italiano Guarneri – e sonoin grado di poter affermare con la più grande energia che una parte dellacolpa della guerra è della Francia ed anche una parte della Germania; vi sonoperò altri sui quali ricade la colpa maggiore», cioè l’Inghilterra82.

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La Francia del Cartel des Gauches sembrava dunque volersi ancorare adun’intesa preventiva con i suoi alleati, nel quadro di Versailles e delCovenant, prima di concludere un patto di sicurezza con la Germania83. Maal contempo, essa doveva prendere atto che le intenzioni degli inglesi eranoaffatto differenti e che non era possibile aprire con loro un contenzioso erompere un’intesa su una materia così delicata.

Il dilemma della Francia, presa tra Covenant, patto di garanzia e alleanzeorientali, non sfuggì a Chamberlain. «Quanto alla frontiera orientale – egliosservò il 2 aprile – non mi è, per il momento, ancora chiaro cosa deside-rino i paesi direttamente interessati o il governo francese». Probabilmente,essi volevano soltanto ricordare alla Germania che «per il fatto di dare unasicurezza addizionale ad ovest non stavano distruggendo alcuna stipulazio-ne dei trattati in vigore». Su queste basi era dunque possibile lavorare, senzapretendere che la Germania rinunciasse, anche per il futuro, a quelle revi-sioni ad oriente, perseguite con un negoziato paziente e comprensivo84.

Era questa la situazione al momento in cui Briand giunse al Quaid’Orsay. Per quanto non si voglia qui svolgere la trama della narrazione suc-cessiva, va comunque detto che la politica del nuovo ministro degli esterifrancese non si allontanò di molto dal sostanziale riserbo, già manifestato daHerriot al momento della presentazione del memorandum tedesco. Lo provail fatto che rimase immutata al Quai d’Orsay la dirigenza dell’Ufficio degliAffari Politici e Commerciali, che fungeva in pratica da “ufficio studi” sullequestioni legate alla sicurezza. Certamente il Briand avrebbe condito conaccenti “lirico-pacifisti”, a lui familiari, la politica verso la Germania e versola Società delle Nazioni; tuttavia i problemi da affrontare non astraevano dauna realtà meno aulica, di radicale ridimensionamento della potenza fran-cese. In un tale quadro Briand doveva far sì che la Francia desse un attivocontributo alla sicurezza collettiva. Ma tale proposito ormai non potevaprescindere dall’iniziativa tedesca, tanto che anche il sistema francese disicurezza orientale, realizzato con patti bilaterali stipulati tra la Francia erispettivamente la Polonia e la Cecoslovacchia, finiva in ultima istanza perdipendere pur sempre da un adeguato sistema di sicurezza nei confrontidella Germania.

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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

1 Princìpi ispiratori potevano considerarsi la pace, la sicurezza, il non ricorso all’uso dellaforza per risolvere controversie internazionali, il rispetto del diritto internazionale, lalimitazione degli armamenti.

2 Sulla questione della Kriegsschuldfrage e sulle altre considerate in questo paragrafo intro-duttivo, si rimanda ai numerosi saggi indicati nella bibliografia annessa al presente studio.

3 Cuno a Wiedfeldt, 13 dicembre 1922,ADAP,A, BandVI, doc.271. La proposta di Cunotrovasi anche, in Foreign Relations of the United States (d’ora in avanti: FRUS), 1922, vol.II,Washington:The U.S. Government Printing Office, 1938, p.205.

4 Rosemberg a Sthamer, 2 gennaio 1923,ADAP,A, Band VII, doc.3.5 E.WEILL-RAYNAL, Les Réparations Allemandes et la France, II, Paris: Plon, 1938, p.562.

Alla Germania veniva concesso anche un prestito, i cui criteri erano contenuti nel PianoBonar Law, approvato dal Comitato Dawes (cfr.p.574).

6 Sulle conclusioni della Commissione interalleata di controllo sui territori tedeschi e suirelativi effetti politici cfr. Documents on British Foreign Policy (d’ora in poi DBFP), SeriesI, vol. XXVII, capitolo III.

7 Memorandum respecting the Balance of Power in Europe and its Effect on the Problem of Security,inviato da D’Abernon a Chamberlain il 7 gennaio 1925 con tel. n.17. DBFP, Series I,vol.XXVII, doc.181, con allegato.

8 Nota del Segretario di Stato von Schubert, 14 gennaio 1925,ADAP,A, Band XII, doc.22.9 D’Abernon a Chamberlain, 19 gennaio 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc. 567.10 Cfr. nota 3.11 Schubert a Sthamer, 19 gennaio 1925, in Locarno Konferenz, eine Dokumentensammlung,

Berlin 1962, doc.1. Nello stesso senso: Stresemann a Hoesch, 15 gennaio 1925, ADAP,A, Band XII, doc.24.

12 Il Memorandum dianzi ricordato fu fatto segno di critiche al Foreign Office. «Esso contie-ne molto di vero – osservò Lampson – ma non è con la verità bensì con la paura chenoi dobbiamo avere a che fare», e la Francia aveva paura. Nello stesso senso si indirizza-rono le critiche di Chamberlain al documento di D’Abernon. DBFP, Series I,vol.XXVII, nota 5 a p.260.

13 Sull’azione indipendente e sul ruolo di Lord D’Abernon, si vedano le osservazioni di A.ORDE, Great Britain and International Security 1920-1926, cit., pp.83-84.

14 DBFP, Series I, vol.XXVII, Allegato al doc.189; il documento in questione fu a suotempo pubblicato, nelle due principali versioni inglese e francese, da F. S. GIOVAN-NUCCI, Locarno, cit.Appendice, pp. 391-392. L’originale tedesco del memorandum puòleggersi in Locarno Konferenz, cit., doc.2 (nella versione inviata a Londra) e doc.5 (nellaversione inviata a Parigi); esso trovasi ora anche in ADAP,A, Band XII, allegato al doc.37.

15 Nell’Archivio del Ministero degli Esteri italiano sono presenti: la versione delMemorandum inviata dall’Ambasciata tedesca a Roma il 24 febbraio 1925; l’altra inviataal Quai d’Orsay (e spedita il 3 marzo 1925 dall’Ambasciatore italiano a Parigi Romano

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Capitolo I – La nota tedesca del 20 gennaio 1925

Avezzana a Mussolini con tel.854/281/349); la versione inviata dal governo tedesco aquello belga (e spedita dall’incaricato d’affari italiano a Bruxelles, Daneo, il 10 marzocon tel.385/43; cfr. DDB, 1920-1940, t.II, allegato 1 al doc.23). ASMAE, Archivio diGabinetto (d’ora in poi: Arch.Gab.), Serie Trattati e Società delle Nazioni (d’ora in poi,TSN), busta 40.

16 Tale introduzione è compresa nella versione originale tedesca: cfr.ADAP,A,Band XII,p.88.17 La versione inglese della nota tedesca recita esattamente così: «To the examples set out

above still other possibilities of solution could be linked. Furthermore, the ideas onwhich these examples are based could be combined in different ways » (è a questopunto che le altre versioni esplicitano: sul modello del Protocollo di Ginevra). Per ildibattito sul futuro del Protocollo di Ginevra, vedasi LEAGUE OF NATIONS, Recordsof the Fifth Assembly.Text of the Debates, Ginevra 1924, pp.41-79; 192-226; 228-230; iltesto del protocollo trovasi alle pp.498-502. Per la posizione britannica sul problema,DBFP, Series I, vol. XXVII, docc.84, 186, 191. La differenza esistente tra la nota presen-tata a Londra e quella presentata a Parigi non sfuggì al Foreign Office, come dimostra unaminuta di Bennett del 16 febbraio 1925: DBFP, Series I, vol.XXVII, nota 2 a p.298.

18 Quest’impressione ha trovato conforto nei colloqui avuti a Parigi con il prof.PeterKrüger, che qui ringraziamo per l’amabile disponibilità.

19 Gaus a von Bülow, 12 gennaio 1925,ADAP,A, Band XII, doc.17.20 P. KRÜGER, Die Außenpolitik der Republik von Weimar, cit., pp.269-270.21 G. STRESEMANN, La Germania fra le nazioni, cit., p.9.22 Stresemann riteneva l’evacuazione di Colonia una condizione indispensabile per l’ese-

cuzione del Piano Dawes da parte della Germania; si veda De Bosdari a Mussolini, 2gennaio 1925, tel. 13/3, in ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 40.

23 D’Abernon a Chamberlain, 23 gennaio 1925, DBFP, Series I, vol. XXVII, doc. 190. Cfr.Appunto di von Schubert, 23 gennaio 1925,ADAP,A, Band XII, doc.44.

24 Cfr. Minuta di Sir Eyre-Crowe del 27 gennaio 1925: DBFP, Series I, vol. XXVII, nota 8a p. 285. Cfr. S. EYRE CROWE, Sir Eyre Crowe and the Locarno Pact, in «The EnglishHistorical Review», 1972, pp.54-56.

25 Appunto di Sir M.Hankey, 23 gennaio 1925, DBFP, Series I, vol. XXVII, allegato aldoc.191. Hankey riteneva che occorresse compensare la Francia per il fallimento delProtocollo di Ginevra; un patto di garanzia anglofrancese si presentava dunque come ilminore dei mali. La Orde ha illustrato le diverse tendenze all’interno del GabinettoBaldwin e del Comitato e sottocomitato per la Difesa Imperiale.Tra questi organismi eil Foreign Office, rappresentato da Sir Eyre-Crowe, si sviluppò un’accesa dialettica sullepossibili ipotesi di patto di sicurezza. A. ORDE, Great Britain and International Security1920-1926, cit., pp.71 ss.

26 Cfr.DBFP, Series I, vol.XXVII, nota 12 a p. 288.27 Echi di queste riflessioni nelle sfere dirigenti britanniche giunsero a Roma. Della

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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

Torretta a Mussolini, 28 gennaio 1925, tel.380/70/A.18, in ASMAE, Arch.Gab.,TSN,busta 40. Idem, 2 febbraio 1925, tel.147/84, ibidem.

28 Chamberlain a D’Abernon, 30 gennaio 1925, DBFP, Series I, doc.195. Cfr. von Schuberta Hoesch, 31 gennaio 1925,ADAP,A, Band XII, doc.60.

29 Chamberlain a Crewe, 30 gennaio 1925, DBFP, Series I, doc.196. Per notizie afferenti allasituazione ad est, si veda il Memorandum respecting future relations between Germany andPoland, 12 febbraio 1925, doc.199. Da Londra, l’ambasciatore De Fleuriau informò cheChamberlain intendeva mettere al corrente il governo francese del memorandum tedesco,essendo il più interessato alla questione. Il ministro inglese comunque riteneva che laGermania avrebbe dovuto anzitutto entrare nella SDN. De Fleuriau a Herriot, 28 gen-naio 1925, tel.52, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.72. Per le informazioni dal-l’ambasciata francese a Berlino, De Margerie a Herriot, 24 gennaio 1925, tel.126-132.

30 S. EYRE CROWE, Sir Eyre Crowe and the Locarno Pact, cit., p.58.31 Chamberlain a Crewe, 16 febbraio 1925 (ma redatto il 14), DBFP, Series I, vol.XXVII,

doc.200.32 Si veda a tal proposito il colloquio tra Chamberlain e l’Ambasciatore De Fleuriau. In

tale occasione, il diplomatico francese si trovò a disagio nell’illustrare la posizione delsuo Governo. Chamberlain a Crewe, 13 febbraio 1925, ibidem, doc.584.

33 Chamberlain a Grahame, 26 febbraio 1925, ibidem, doc.212.34 Così Della Torretta a Mussolini, 25 febbraio 1925, tel.290/182, evocando un colloquio

tra Chamberlain e l’ambasciatore francese a Londra De Fleuriau; vedasi altresì, idem, 28febbraio 1925, tel. 308/190, il tutto in ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 40.

35 Chamberlain aggiunse che non avrebbe arrischiato nemmeno le ossa di un granatierebritannico per il bene del “corridoio” polacco. Chamberlain a Crewe, 16 febbraio 1925,DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.200.

36 Per la trama degli eventi, si veda A. ORDE, Great Britain and International Security 1920-1926, cit., pp.91 ss. Per i documenti: Chamberlain ad Eyre-Crowe, 7 marzo 1925, tel.citato, Della Torretta a Mussolini, 11 marzo 1925, tel 375/220; idem, 16 marzo 1925,tel.399/233, in ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 40; lettera di De Margerie a Larochedell’11 marzo 1925; risposta di Herriot al discorso di Chamberlain ai Comuni; scambiodi lettere tra Laroche e De Fleuriau del 14 marzo 1925, in AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.73.

37 Della Torretta a Mussolini, 6 marzo 1925, tel.540/211/A.18,ASMAE,Arch.Gab.,TSN,busta 40. Chamberlain precisò queste idee già nelle riunioni di gabinetto che precedet-tero il suo intervento parlamentare. Si veda il resoconto di A. ORDE, Great Britain andInternational Security 1920-1926, cit., pp.89-91. Per il discorso di Chamberlain ed ildibattito ai Comuni del 5 marzo 1925, 181 H.C.Deb. 5 s, cols.707-710 e 713-715.Eccellente fu l’impressione che i tedeschi ebbero del discorso del ministro inglese:D’Abernon a Chamberlain, 6 marzo 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.223. «Anche

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Capitolo I – La nota tedesca del 20 gennaio 1925

Chamberlain - scrisse Stresemann all’ambasciatore tedesco a Mosca - ha ieri parlato intermini generali delle nostre iniziative. A tal proposito, comunque, egli ha in ogni casorappresentato in modo in parte inesatto i precedenti dei nostri passi». Stresemann aBrockdorff-Rantzau, 6 marzo 1925,ADAP,A, Band XII, doc.139 con nota 6; cfr. altresìdoc.138.

38 A. ORDE, Great Britain and International Security 1920-1926, cit., pp.94 ss.39 Per MacNeill, infatti, il Trevelyan era in ritardo di un secolo, avendo già il Canning inau-

gurato l’era della diplomazia aperta.40 Della Torretta a Mussolini, 12 marzo 1925, tel.966/231/A1, ASMAE, Arch.Gab., cit.,

TSN, busta 40.41 Della Torretta a Mussolini, 19 marzo 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.768.42 Si veda il resoconto del secondo colloquio Chamberlain-Herriot; Chamberlain ad Eyre-

Crowe, 7 marzo 1925, in DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.225; da sottolineare cheChamberlain ribadì le sue opinioni anche incontrando Benes , poco dopo, a Ginevra.

43 Crowe a Chamberlain, 11 marzo 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII doc.237; cfr. doc.226.Per l’Italia vedasi: Della Torretta a Mussolini, 11 marzo 1925, DDI, Serie Settima, vol.III,doc.757; Mussolini a Della Torretta, 14 marzo 1925, doc.761; cfr.doc.756.Vedansi anco-ra i DDB, 1920-1940, t.II, doc.33.

44 Minuta di Sir Eyre-Crowe del 16 marzo 1925,DBFP,Series I, vol.XXVII, nota 4 a p.379.45 Così si espresse Sir Eyre-Crowe con l’ambasciatore francese De Fleuriau il 20 marzo

1925; ibidem, doc.260.46 A. ORDE, Great Britain and International Security 1920-1926, cit., pp.97 ss.47 Chamberlain a D’Abernon, 18 marzo 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc. 255.48 Della Torretta a Mussolini, 25 marzo 1925, tel.1108/275/A.18, in ASMAE, Arch.Gab.,

TSN, busta 40.49 Era anche questo il senso delle conclusioni cui perveniva un lungo memorandum di

Harold Nicolson del 20 febbraio 1925, sottoposto a Chamberlain. DBFP, Series I,vol.XXVII, doc.205.

50 182, H.C. Deb.5, cols.307-322; 291-408 per tutto il dibattito.51 Chamberlain a D’Abernon, 25 marzo 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.269. Il reso-

conto di Sthamer, ove l’ambasciatore indica in dettaglio le osservazioni mosse al discor-so di Chamberlain, attesta una certa concitazione del ministro britannico nel corso delcolloquio. Sthamer ad AA,ADAP,A, Band XII, doc.199. Cfr.A. ORDE, Great Britain andInternational Security 1920-1926, cit., pp.100 ss.

52 D’Abernon a Chamberlain, 28 marzo 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.274; cfr.Appunto di von Schubert, 27 marzo 1925, ADAP, A, Band XII, doc.206, ove trovasi inallegato il testo inglese della risposta che fu data al D’Abernon; v.anche doc.213.

53 Romano Avezzana a Mussolini, 22 gennaio 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.682;cfr. idem, 24 gennaio 1925, doc.685.

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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

54 Crewe a Chamberlain, 28 gennaio 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.193.55 Herriot a De Margerie, 29 gennaio 1925, l.p. n.180, segreta,AMAE, Z-Europe: Grande-

Bretagne, vol.72.56 Romano Avezzana a Mussolini, 11 febbraio 1925, tel.208/86/27, in ASMAE,Arch.Gab.,

TSN, busta 40.57 In questi termini Herriot si espresse con Crewe il 12 febbraio 1925. DBFP, Series I,

vol.XXVII, doc.198.58 Per il colloquio Herriot-Hoesch, cfr. Hoesch ad AA, 17 febbraio 1925,ADAP,A, Band

XII, doc.99; v.anche doc.105 e nota 3 a p.252. Di fonte francese si ha il verbale redat-to personalmente da Herriot, il 17 febbraio, e il suo telegramma alle rappresentanzediplomatiche francesi, del 21 successivo.AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.72. Lacomunicazione del Quai d’Orsay ad Hoesch, del 20 febbraio 1925, in cui si accusavaricevuta del memorandum tedesco, riservandosi di consultare gli alleati, trovasi negliarchivi francesi e in Materialen zur Sichereitsfrage, deutsches Weißbuch, Band I, Berlin1925, p.15, nonché in Locarno Konferenz, cit., p.69. Cfr.DBFP, Series I, vol.XXVII,docc.207 e 208.

59 D’Abernon a Chamberlain, 19 febbraio 1925, ibidem, doc.204.60 L’ambasciatore britannico a Parigi ipotizzò trattarsi di un sondaggio degli umori della

piazza, fatto per conto dello stesso ministro degli esteri: Crewe a Chamberlain, 1° marzo1925, ibidem, doc.217. Sempre il 20 febbraio, von Hoesch fu ricevuto al Quai d’Orsay dalDirettore degli Affari Politici e Commerciali, Laroche. Questi osservò che, per essereaccettabile, la garanzia offerta dalla Germania doveva contenere qualcosa di nuovo e nonessere mera ripetizione di quella di Versailles. Hoesch, dal canto suo, non nascose aLaroche che Chamberlain era già al corrente di tutto. L’alto funzionario francese ricavòl’impressione che, senza darlo a vedere, la Germania stesse legando le questioni dellasicurezza e di Colonia. «‘Non bisognerebbe, ho detto all’ambasciatore di Germania sor-ridendo, contemplare un Piano Dawes della Sicurezza’. Egli mi ha risposto che noi nonavremmo che da rallegrarci del Piano Dawes. Al che gli ho replicato che, in base allasituazione di bilancio della Germania, è evidente che essa non avrebbe a lamentarsene,e mi è sembrato che quest’osservazione lo imbarazzasse alquanto». Conversation deM.Laroche avec M.Hoesch, 20 febbraio 1925, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.72.L’episodio non compare nel resoconto dell’ambasciatore tedesco: Hoesch ad AA, 20 feb-braio 1925,ADAP,A, Band XII, doc.107.

61 Note de M.Fromageot sur le Memorandum allemande, 21 febbraio 1925, segreta,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.72.

62 Nota autografa di Seydoux, 22 febbraio 1925,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.73(il corsivo è nostro).

63 Quelques idées en vue de la redaction d’une note sur les propositions allemandes, nota di Larochedel 23 febbraio 1925, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.73 (il corsivo è nostro). Si

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Capitolo I – La nota tedesca del 20 gennaio 1925

veda anche una nota di Laroche per Herriot, del 26 febbraio, riassuntiva di un colloquiocon Paul-Boncour. Ibidem.

64 Nota del Quai d’Orsay sulle proposte tedesche, 26 febbraio 1925, AMAE, Z-Europe:Grande-Bretagne, vol.73.

65 «Firmare un accordo - egli scriveva in una nota del 28 febbraio - dal quale risulti che laGermania non farà la guerra per modificare lo statu quo, ma che essa non l’accetta, sareb-be ammettere il ricorso ad una procedura di modifica dei trattati su questo punto. Ora,questa procedura è stata prevista dall’art.19 del Patto. Se si arrivasse ad ottenere l’ade-sione della Polonia e della Cecoslovacchia ad una simile clausola, sarebbe creare un disa-gio insopportabile e condurre molto rapidamente la Germania a precisare le modificheallo statu quo che essa desidera, e che sono nel loro insieme: 1°) la soppressione del cor-ridoio di Danzica; 2°) la restituzione di Danzica e della provincia di Posen; 3°) la resti-tuzione della Slesia; 4°) la soppressione dell’articolo del Trattato di Saint-Germain, chevieta la riunione dell’Austria al Reich. La Germania non entrerà nella Società delleNazioni che con l’intenzione di far scattare l’articolo 19 del Patto in questo senso». Notadi Seydoux, 28 febbraio 1925.AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.73.

66 Note by M.De Fleuriau (4 marzo 1925). DBFP, Series I, vol.XXVII, allegato n.2 aldoc.222. Sulla questione De Fleuriau ritornò nei giorni seguenti. Record by Mr.Lampsonof a conversation with the French Ambassador, 11 marzo 1925, doc.236.

67 DBFP, I Series, vol.XXVII, doc.225 (il corsivo è nostro).68 Memorandum to the Cabinet by Mr.Chamberlain, 9 marzo 1925, Ibidem, doc.232.69 P. WANDYCZ, France and her Eastern Allies, 1919-1925, Minneapolis, 1962, Appendix

III, nonché pp.217-219; cfr. DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.187.70 Grenard a Herriot, 17 marzo 1925, tel.61-63,AMAE, Série Z-Europe: Pologne, vol.74.71 In una conversazione con Phipps: Crewe a Chamberlain, 11 marzo 1925, DBFP, Series

I, vol.XXVII, doc.238 (v. anche l’allegato); cfr. DDB, 1920-1940, t.II, doc.33; nonchéRomano Avezzana a Mussolini, 30 gennaio 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.699.

72 Memorandum by Mr.Chamberlain of a conversation with Mr.Herriot, 16 marzo 1925, ibidem,doc.251. Cfr. nota 13 al doc.240. Il verbale redatto da Herriot trovasi in AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.74.

73 Memorandum (de M.Herriot), 16 marzo 1925, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.74(il corsivo è nostro).

74 Questo durante una conversazione con Phipps, nel pomeriggio del 15 marzo: Crewe aChamberlain, 16 marzo 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc. 252, con allegato il memo-randum di Phipps. Anche De Jouvenel e Massigli non celarono i loro sospetti nei con-fronti della proposta tedesca: Phipps a Chamberlain, 30 marzo 1925, ibidem, doc.279.

75 Crewe a Chamberlain, 22 marzo 1925, ibidem, doc.266.76 Herriot a De Margerie, 27 marzo 1925, tel.239, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne,

vol.74.

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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

77 Cfr. DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.247. È da notare che Chamberlain disse ad Herriotdi poter supporre che il ministro polacco «non era più incline ad assumere un’attitudi-ne di non possumus»; ibidem, doc.251.

78 Ibidem, doc.276. Ben diverso era l’atteggiamento della Cecoslovacchia ed in specie diBenes, il quale mostrò di non essere affatto preoccupato dalle ripercussioni di un pattorenano sulla frontiera tedesco-cecoslovacca; ibidem, doc.240; cfr. docc.246 e 248.

79 Max Muller a Chamberlain, 25 marzo 1925, ibidem, doc.271.80 Crewe a Chamberlain, 30 marzo 1925, ibidem, doc.278.81 Crewe a Chamberlain, 28 gennaio 1925, ibidem, doc.193. Romano Avezzana considera-

va fondate le preoccupazioni di Herriot. Romano Avezzana a Mussolini, 30 gennaio1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.699, già citato.

82 Guarneri a Mussolini, 31 gennaio 1925, tel.468/36, in ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 40.83 Similmente si espresse Laroche con Summonte. Summonte a Mussolini, 1° aprile 1925,

tel.478/213, ibidem.84 Chamberlain a D’Abernon, 2 aprile 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.283.

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Capitolo I – La nota tedesca del 20 gennaio 1925

CAPITOLO II.

L’ITALIA E LA NOTA TEDESCA

1. LA POSIZIONE DELL’ITALIA ALLA VIGILIA DELLA PRESENTAZIONE

DELLA NOTA

Alla vigilia della presentazione della nota tedesca su un patto di sicurez-za, l’Italia di Mussolini non era estranea alle discussioni che un tema sì deli-cato sollecitava. Una riunione fra i membri del Consiglio della Società delleNazioni, svoltasi a Roma nella prima decade di dicembre del 1924, fu l’oc-casione per affrontare tali argomenti.

In previsione dei colloqui che si sarebbero tenuti con Chamberlain, dapoco Ministro degli esteri del nuovo Governo Baldwin, Mussolini aveva pre-parato un sommario di questioni da sottoporgli. Esse riguardavano gli aspet-ti coloniali, nonché i reciproci interessi italoinglesi, in Africa e nel VicinoOriente: regolamentazione del confine cirenaico-egiziano all’oasi diGiarabub e controllo dei ribelli libici; intesa sulla repressione del traffico dischiavi in Mar Rosso, sulle questioni interarabe e dei luoghi santi; confermao revisione dell’accordo tripartito del 1906 che definiva le zone di influenzain Etiopia; soluzione di una questione interpretativa del predetto accordo,riguardante il Lago Tana; intesa per il controllo del traffico d’armi in Etiopia;questioni di Tangeri, del fiume Gash, ed alcune altre riguardanti la Turchia1.

I temi menzionati furono trattati nel corso dei colloqui che Mussolini eChamberlain ebbero il 7 dicembre.A questi temi si aggiunse un altro, noncontenuto nel sommario di Mussolini, e riguardante il destino del proto-collo di Ginevra. Da un appunto autografo del capo del governo italiano,redatto a conclusione dell’incontro con il ministro britannico, emerge chesi concordò di rinviare l’entrata in vigore del protocollo, per approfondir-lo, «anche per dar modo agli [inglesi] di sentire i dominions»2.

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Il comunicato finale dei colloqui Mussolini-Chamberlain, diramatoquello stesso 7 dicembre, parlò di uno «spirito di cordiale amicizia» nel trat-tare le varie questioni, nonché di una possibile «linea di condotta comune»nel cercare di risolverle3.

Il governo fascista e quello conservatore di Londra erano dunque con-cordi nel voler procrastinare l’entrata in vigore del Protocollo di Ginevra,sulla base di motivazioni che Chamberlain addusse e che Mussolini condi-vise. Ha giustamente osservato il Lefebvre D’Ovidio che, pur non pren-dendo decisioni importanti, se non quella del “congelamento” delProtocollo, il colloquio Mussolini-Chamberlain «ebbe invece un significa-to di grande rilievo sul piano della politica generale, poiché iniziò una stret-ta collaborazione italo-britannica che doveva durare anche oltre la presen-za di Austen Chamberlain agli Esteri»4.

La linea di condotta sul Protocollo di Ginevra, accomunante Mussolinie Chamberlain, non sottaceva le peculiari riserve italiane verso quello stru-mento così poco adatto a regolare controversie di natura extraeuropea. Losi evince da un parere del Consiglio del Contenzioso Diplomatico, emessoil 23 ottobre 1924 sulla base di una relazione del suo Segretario generale, ilgiurista Amedeo Giannini. Ad avviso del Consiglio, occorreva firmare ilProtocollo di Ginevra, ma al contempo formulare delle riserve, in quanto«gravissime questioni – come, ad esempio, quelle a cui possono dar luogole mutevoli esigenze demografiche ed economiche, relative agli elementifondamentali della vita delle Nazioni, che attualmente è impossibile preve-dere – sfuggono al regolamento stesso, mentre le supreme ragioni dell’e-quità esigono che sia data loro adeguata soddisfazione».Trattavasi infatti di«esigenze di ordine superiore» suscettibili di provocare le «più gravi guer-re» e di compromettere i fini perseguiti dal Protocollo5. Al parere delConsiglio del Contenzioso diplomatico si sarebbe conformato, poco dopo,un Comunicato dell’Agenzia d’Informazioni per la Stampa “Alessandro Volta”,diramato il 20 febbraio 1925, che ufficializzava la posizione italiana edaggiungeva le seguenti considerazioni: «L’attuale situazione del mondocoloniale, comunque ispirata a nobiltà di intendimenti ed a fini di pacifica-zione, contiene in se stessa germi di malessere per i rapporti tra gli Stati, per

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il fatto stesso che le potenze le quali dispongono di colonie mostrano diconsiderarle come una specie di proprietà privata intangibile, anziché comeuna funzione di civiltà, come un elemento compensatore degli squilibriinterstatali, come una valvola di sicurezza per la Società degli Stati»6.

Man mano che si precisava la posizione italiana su vari temi, i rapportiitalobritannici si intensificarono. Cordiale fu il messaggio che Chamberlaininviò a Mussolini il 14 dicembre, in ricordo delle conversazioni romane;apprezzabile fu la soluzione della piccola questione del fiume Gash, con loscambio di note, nella stessa data, tra il Governatore Generale del Sudan, SirArcher, ed il Governatore d’Eritrea, Gasparini7.

Prospettandosi un’intesa italobritanica, non solo su questioni coloniali,ma anche sul Protocollo di Ginevra, sembrava dunque indebolirsi la posi-zione del Cartel des Gauches, di un governo francese che intendeva salvare icontenuti di quello strumento giuridico. Salvare il protocollo fu appuntol’intento di Herriot, che incontrò Chamberlain a Parigi il 5 dicembre,prima della riunione di Roma8.

Nella capitale italiana toccò a Briand (che non rivestiva allora carichegovernative) illustrare a Mussolini le aspirazioni francesi in materia di sicu-rezza. Egli ebbe un colloquio con il capo del governo, l’11 dicembre.Stando al riassunto da questi redatto, Briand tessé l’«apologia di un’intesa atre (Francia, Inghilterra, Italia) per ‘montare la guardia alla pace’». «In unsecondo tempo», secondo l’uomo politico francese, «con un sistema di rap-porti economici, anche la Germania potrebbe entrare in questo sistema».Alle argomentazioni di Briand, Mussolini rispose che «in linea di massimala cosa è possibile». «Ma – aggiunse – senza la soluzione préalable delle que-stioni che interessano a due o a tre le potenze, non vi può essere intesaqualsiasi (questioni debiti e minori)». Al che Briand concluse «che neavrebbe parlato in via confidenziale a Herriot»9.

Le questioni cui Mussolini faceva riferimento erano anzitutto quella diTangeri, su cui l’Italia voleva aver maggior voce, approssimandosi l’entratain vigore dello Statuto, prevista per il 1° giugno 192510; e la questione tuni-sina, che Mussolini avrebbe desiderato risolvere momentaneamente, pro-lungando le convenzioni italofrancesi del 1896.

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Capitolo II – L’Italia e la nota tedesca

Il capo del governo italiano riteneva che l’Italia meritasse, come grandepotenza, «una speciale considerazione dei suoi interessi mediterranei, tantogenerali, quanto particolari nella zona di Tangeri». Ne aveva parlato all’am-basciatore francese a Roma, Barrère, poco prima del congedo di questi11;ne intrattenne Briand durante le conversazioni di Roma. L’autorevole poli-tico francese mostrò «vivo interessamento» all’idea di «eliminare ogni qual-siasi difficoltà politica che possa intralciare il consolidamento delle amiche-voli relazioni fra i due paesi»12. Era un momentaneo puntello per una pos-sibile intesa italofrancese.

Su una terza questione Mussolini ebbe modo di riflettere, in quel tornodi tempo. Si tratta del rinvio dell’evacuazione di Colonia, già previsto peril 10 gennaio 1925. La Conferenza degli Ambasciatori non riteneva sussi-stenti le condizioni e i motivi per por termine all’occupazione della primazona renana. Su questa decisione si animò il confronto franco-britannico.L’ambasciatore italiano a Parigi segnalò il progressivo disinteresse della GranBretagna per le questioni renane e chiese a Mussolini se ritenesse ciò lesi-vo degli interessi italiani, come la Francia lo riteneva dei propri. RomanoAvezzana aggiunse che la tesi italiana e quella francese coincidevano, in talequestione come in quella delle riparazioni, nel senso che, non riscuotendodalla Germania il dovuto, sarebbe stato impossibile onorare i debiti interal-leati. Romano segnalò poi altri non secondari inconvenienti della politicainglese: anzitutto, il tentativo di escludere l’Italia dalle decisioni su Colonia;e poi il voler slegare le riparazioni dall’occupazione delle tre zone renane,«per farla dipendere esclusivamente dalla questione militare»; ma in talmodo, in caso di inadempienza tedesca, Italia e Francia sarebbero state deltutto disarmate13.

Mussolini, di fronte a queste considerazioni, osservò che l’atteggiamen-to di Parigi gli sembrava più aderente alla lettera ed allo spirito del Trattatodi Versailles, rispetto a quello di Londra; pur ritenendo egli infondati i dubbisulla condotta britannica. «Per siffatte considerazioni – concluse – l’Italianon potrebbe non associarsi alla tesi francese a meno che opportune dichia-razioni del governo britannico non dimostrino che le sue proposte non rie-scano di vantaggio per la pacificazione generale»14.

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Fu così che, il 27 dicembre 1924, Romano Avezzana poté sollevare, inseno alla Conferenza degli Ambasciatori di Parigi, le riserve del governoitaliano sul modo di procedere della Gran Bretagna, sostenendo che l’Italiaaveva pari diritto ad intervenire in tutte le questioni interessanti quellaConferenza, nonché la Commissione delle Riparazioni ed il ComitatoMilitare Alleato di Versailles. L’ambasciatore italiano, soffermandosi sulleriparazioni, chiese anche al collega britannico, Lord Crewe, di chiarire se adavviso del suo governo, «l’accettazione del piano Dawes ed il principio diesecuzione che esso ha avuto, sono considerati sufficienti per separare defi-nitivamente nell’avvenire la questione delle riparazioni dalle altre parti deltrattato». Il comportamento di Lord Crewe fu singolare: in privata conver-sazione, egli diede ragione al Romano; ma pubblicamente, non si espressesul consenso degli altri membri della Conferenza degli Ambasciatori allatesi italiana15.

Alla vigilia della presentazione della nota tedesca, Italia e Francia, distan-ti sulle questioni africane, erano dunque piuttosto vicine sulla questionedell’evacuazione di Colonia, che poi si intrecciava a quelle della sicurezza,delle riparazioni e dei debiti interalleati.

Il fatto è che se l’occupazione delle zone renane, da strumento volto adottenere riparazioni e sicurezza ad un tempo, fosse stata mutata in sanzionedi puro carattere militare, avrebbe con ciò perso ragion d’essere, per il sem-plice fatto che la Germania uscita da Versailles non minacciava, essendocompletamente disarmata, la Francia vincitrice. Non era però da escludereil montare di una marea revanscista; a coloro che avevano firmato la pace,infatti, bruciava la marziale allegoria campeggiante all’ingresso della Saladegli Specchi di Versailles, quella degli «Allemands chassez au-delà duRhin».

La revanche era dunque un’eventualità tanto più realistica, quanto piùandava dislocandosi il sistema di Versailles. E se il Piano Dawes, sottraendoal trattato di pace le clausole sulle riparazioni, avesse reso impossibile san-zionare eventuali inadempienze tedesche con l’occupazione (o la rioccupa-zione) delle zone renane, per Italia e Francia sarebbe stata una grave ampu-tazione dei diritti dei vincitori, cui altre potevano seguire. Si comprende

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perciò la preoccupazione di Mussolini verso la politica britannica. Ma egli,forse invaghito dell’idillio romano con Chamberlain, non riflettè sul fattoche la sintonia coi francesi sui problemi dell’evacuazione di Colonia, delleriparazioni e dei debiti interalleati, era la migliore condizione per studiareun accordo préalable a quell’intesa a tre prospettatagli da Briand.

In Italia fu la stampa a riportare le prime notizie di una proposta tede-sca per un patto di sicurezza: ne era fonte il quotidiano Germania, sul qualeera apparso, il 26 gennaio, uno schema di proposta di quel Centro cattoli-co di cui il giornale era organo16.

Nella già ricordata conversazione con von Schubert (cap.I. § 3),Guarnerichiese conferma delle voci circa una prossima proposta tedesca in materiadi sicurezza; Schubert avallò le voci, ma aggiunse che non si trattava di cosaimminente; come disse al Guarneri, «il progetto di un patto simile è fissatogià nelle grandi linee ed il governo ne sta studiando i dettagli per poternefare la proposta in seguito». Come sappiamo, invece, il progetto era già statoredatto e consegnato in via ufficiale, il 20 gennaio, all’ambasciatore inglesea Berlino17.

Un segnale significativo che qualcosa era nell’aria provenne dallaFrancia; questa, certamente sulla base del precedente di Colonia, diede l’im-pressione di mirare ad un fronte unico con l’Italia anche sul problema dellasicurezza. La proposta tedesca rischiava di sottrarre altra linfa al trattato dipace, rendendo la Germania un po’ più padrona in Renania, alquanto sicu-ra sulla sua frontiera occidentale, ma più minacciosa sulle altre frontiere. Sicomprende perciò come mai Herriot non esitò a porre sul tappeto la que-stione dell’indipendenza austriaca, riferendo all’ambasciatore italiano aParigi, Romano Avezzana, alcune informazioni che lasciavano presagire untentativo di Anschluss18.

Non appena seppe di accenni all’Anschluss, Mussolini chiese ulterioriragguagli all’ambasciatore italiano a Parigi19 e fece presente all’ambasciatorea Londra l’opportunità di conversazioni tra alleati sulla ventilata questione20.Mussolini sapeva di alcune polemiche tra la stampa francese e quella di lin-gua tedesca sull’avvenire dell’Austria21: polemica tuttavia dai toni non trop-po accesi e che lasciava campo ad un’ipotesi di confederazione danubiana.

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Herriot, tornando sull’argomento, dichiarò in forma privata a RomanoAvezzana che l’Italia non poteva mostrarsi indifferente al problemadell’Anschluss; mentre il Direttore degli Affari Politici del Quai d’Orsay,Laroche, gli assicurò che il Governo francese era ben determinato ad opporsiall’unione austrotedesca; tale determinazione fu riaffermata anche nei giorniseguenti22. A Laroche l’ambasciatore italiano disse di aver dovuto assumere ledifese della Francia per controbattere alcuni severi giudizi espressi dal collegatedesco, a cui peraltro aveva suggerito un allargamento del patto che il suogoverno era in procinto di proporre23. Non poteva escludersi dunque unaconferenza in cui poter esaminare problemi sinora trattati a livello diplomati-co. «In previsione di questa tendenza verso una conferenza alla quale parteci-perebbe anche la Germania – fu la conclusione di Romano Avezzana – sareb-be forse utile far conoscere in tempo opportuno il nostro modo di vedere permezzo della stampa in forma spoglia di qualsiasi aggressività e con carattereobiettivo». La Francia, l’ambasciatore informava ancora, non poteva non vole-re l’Italia al suo fianco, di fronte al pericolo di una divergenza con Londra suitemi della sicurezza. «Un movimento per riconoscere certe necessità inerentiall’accrescimento di forze dell’Italia – aggiungeva l’ambasciatore – si va facen-do (sic) in ambienti per lo addietro chiusi a siffatte concessioni»24.

Anche da Londra giungevano segnali rassicuranti, secondo i quali l’Italiacertamente non sarebbe stata esclusa da un esame dei problemi del momen-to ed avrebbe potuto contare su una posizione comune in tema di indipen-denza austriaca25. L’ambasciatore Della Torretta informava altresì che ilGoverno di Sua Maestà desiderava per il momento una formula di garanziarisultante «da un limitato adattamento del protocollo di Ginevra», ancora dastudiare e lungi dal soddisfare tutte le pretese francesi, ma pur comprensivaverso certe esigenze di sicurezza. Si trattava di una posizione di attesa, apochi giorni dalla convocazione del Comitato di Difesa Imperiale26.

Nonostante le assicurazioni ricevute, sta di fatto che l’Italia fu tenutaall’oscuro da Londra e da Parigi dell’avvenuta consegna del memorialetedesco, benché questo citasse anche l’Italia tra i probabili contraenti di unpatto di sicurezza e benché l’Italia facesse parte ancora della vecchia “inte-sa dei vincitori”.

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2. LE VALUTAZIONI ITALIANE SULLA NOTA TEDESCA

Il 23 febbraio 1925 l’ambasciatore francese a Roma Besnard informòufficialmente il governo italiano che il giorno 9 il rappresentante tedesco aParigi, von Hoesch, aveva consegnato un memoriale sulla sicurezza27.Contarini ringraziò Besnard per le informazioni e aggiunse di vedere nelpasso tedesco una prova di volontà di pace. Al Segretario Generale sem-brava tuttavia indispensabile assicurare per le frontiere orientali tedescheuna garanzia analoga a quella prevista per le frontiere occidentali. Entro talequadro, l’Italia avrebbe mostrato la massima disponibilità a costruire unasicurezza nell’ambito del Trattato di Versailles28. Contarini esprimeva chia-ramente i dubbi dell’Italia; tralasciando il fatto che la tardiva comunicazio-ne di una notizia così importante mal deponeva sull’affidabilità degli exalleati, il Segretario Generale evidenziava le debolezze di una garanzia par-ziale, che privilegiava certe frontiere a scapito di altre.

Il 24 febbraio fu Neurath, ambasciatore tedesco presso il Quirinale, apresentare copia in italiano del memorandum in questione29. Ricevendo ildocumento, Contarini, forse tenendo presente le voci di parte francese circal’anelito della Germania all’Anschluss, rilevò la necessità di una garanziasulla frontiera settentrionale italiana30.

La visione di Mussolini non era certamente diversa. «L’indipendenzadell’Austria – ha scritto il Lefebvre D’Ovidio – aveva per Mussolini un’im-portanza di primissimo piano e se egli non ne faceva oggetto di dichiara-zioni programmatiche, questo era piuttosto per evitare che il solo nominar-la facesse implicitamente pensare che l’annessione rientrava nel novero dellepossibilità eventuali e fornisse pretesto per l’apertura di un negoziato»31.

Se, in effetti, l’Anschluss non era oggetto delle discussioni fra le cancel-lerie alleate, ogni tentativo di agitare tale spauracchio non avrebbe datorisultati; inoltre i vincitori in blocco continuavano a proclamarsi paladinidei trattati di pace, che le varie proposte sulla sicurezza, avvicendatesi neltempo, potevano semmai integrare, ma non modificare. Sorge anche ilsospetto che, in questo momento, l’Anschluss fosse agitato dai francesi peravere l’Italia dalla loro parte nel prevedibile lungo negoziato successivo alla

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nota tedesca. Ma anche i francesi avevano interesse a difendere l’Austria,come dimostra il fatto che al Quai d’Orsay l’Anschluss era considerato fontedi destabilizzazione dell’Europa centrale, facendo confinare la Germaniaall’Ungheria32. Anche la Gran Bretagna sembrava voler aprire all’Italia, peraverla al suo fianco e così imporre alla Francia la propria idea di sicurezza.Ciò serviva a Mussolini per rafforzare l’intesa con Chamberlain e farne unmodello da proporre alla Francia per la composizione dei rispettivi interes-si. Ma questo tornava utile anche alla tradizionale politica prefascista del“pendolarismo”, che non pochi a Palazzo Chigi ancora coltivavano, special-mente ora che riappariva sulla scena diplomatica la Germania, ovvero l’altro“polo” verso cui oscillare.

Mussolini comunque non trascurava il problema della sicurezza toutcourt. La nota tedesca fu subito sottoposta da Contarini alla sua attenzione.Esaminato il documento, il capo del governo italiano rilevò alcune diffe-renze rispetto a quello presentato, proprio il giorno prima, dall’ambasciato-re francese Besnard33. Senza soffermarsi tuttavia sulla natura di queste dif-ferenze, egli chiese al Romano Avezzana di procurargli il testo originalepervenuto a Parigi, che doveva ritenersi facente fede a tutti gli effetti 34; ilche Romano Avezzana si premurò di fare35.

Non è difficile immaginare quali impressioni il Capo del Governo ita-liano abbia desunto dal confronto tra il memorandum lasciato da Besnard ela nota consegnata da Neurath. Besnard, ad esempio, non aveva parlato diquella “garanzia fiduciaria” degli Stati Uniti che la nota tedesca invece con-templava quale ipotesi; in secondo luogo, nel memorandum di Besnard siinformava che l’ambasciatore tedesco a Parigi, von Hoesch, aveva dichiara-to verbalmente che «les frontières orientales ne seraient pas garantiescomme celles de l’Ouest (...) mais toute idée de solution par la force seraitécartée»36.

Oltre che informare il governo italiano della proposta tedesca, l’amba-sciatore francese a Roma aveva assicurato che il suo governo si sarebbe con-sultato preventivamente con gli alleati, e quindi anche con l’Italia, sul segui-to da dare ad essa.Anche Chamberlain diede una simile assicurazione37, edapprezzò che la Francia non si fosse mostrata subito contraria al passo (come

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Capitolo II – L’Italia e la nota tedesca

risultava anche dai “colloqui segreti” tra Herriot ed Hoesch); segno che siera alla ricerca di una sicurezza non più imperniata sulla Piccola Intesa38.

Tra i primi a prospettare le difficoltà che la proposta tedesca comporta-va fu l’ambasciatore francese a Berlino, De Margerie, il quale espose i suoidubbi all’incaricato d’affari italiano39. De Margerie manifestò infatti leapprensioni francesi per il destino delle frontiere orientali della Germa-nia40. Non diversi problemi evidenziò anche l’ambasciatore francese aLondra De Fleuriau, al quale era cara l’idea del vecchio modello di pattofranco-britannico; in questo senso egli parlò a Sir Eyre-Crowe, il quale nonnascose le difficoltà che avrebbero frapposto i Dominions e soprattutto l’o-pinione pubblica, la quale avrebbe accettato un patto con la Francia soltan-to se la Germania vi avesse aderito. «Gli ho detto – scrisse De Fleuriau aParigi – che in Francia l’opinione pubblica potrebbe esser condotta poco apoco a conformarsi ad un tale sistema»41.

L’adattamento alle presenti circostanze doveva dunque riuscire non faci-le in Francia42; come si è visto, al Quai d’Orsay molto si lavorò ad elabora-re una posizione che risultasse il più precisa possibile43. Dalle riflessioni inquesta sede scaturì una nota che l’ambasciatore a Londra De Fleuriau con-segnò a Sir Eyre-Crowe, ove si osservava che il patto anglo-franco-belga-tedesco (non ancora l’Italia era considerata quale eventuale contraente)avrebbe indebolito, piuttosto che rafforzato, il sistema di Versailles. Ragionper cui la Germania doveva offrire delle garanzie, ed ogni alleato prendereprecauzioni, sulle frontiere orientali e sull’Austria (si citava espressamentel’articolo 80 di Versailles)44.

Intrattenendo il Romano Avezzana sul problema della sicurezza, ilPresidente della Repubblica francese, Doumergue, parlò poi della lineaReno-Adriatico come di una “frontiera unica”. Tutto questo poteva farpensare che l’indipendenza austriaca fosse considerata a Parigi interessesolidale delle grandi potenze europee45. Il 6 marzo (vigilia del suo incon-tro con Chamberlain) Herriot dichiarò all’ambasciatore italiano che il pro-blema dell’Austria era molto più attuale ed urgente del problemadell’Alsazia-Lorena e che occorreva agli alleati un accordo «per definire edarmonizzare i rispettivi interessi»46.

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Si è dianzi visto47 come i colloqui tra Chamberlain ed Herriot del 6-7marzo a Parigi avessero evidenziato non poche divergenze in materia disicurezza. Questo, a nostro avviso, spinse Herriot a cercare di far pendere ilpeso dell’Italia dalla parte della Francia. Egli assicurò a Romano Avezzanache un eventuale impegno della Germania a non ricorrere alla guerra, perrisolvere controversie di cui fosse parte, poteva considerarsi un’implicitagaranzia dell’indipendenza austriaca48. Sintomatico fu poi un dispaccio del-l’agenzia giornalistica Havas, redatto dal notista diplomatico Bassé sullascorta di ragguagli del Quai d’Orsay circa i colloqui Herriot-Chamberlain.Il foglio, datato 9 marzo e pervenuto a Roma l’11 successivo, informava chedal testo definitivo del comunicato finale dei colloqui era stata stralciata unaparte che induceva a supporre che l’Italia non era considerata alleato di pri-maria importanza; Herriot, inoltre, aveva prospettato al collega inglese «laminaccia che presenterebbe per l’Italia la riunione dell’Austria allaGermania, con mire di quest’ultima su Trieste»49. Herriot dunque pensavasempre ad un patto di sicurezza preventivo, cioè senza la Germania, traFrancia e Gran Bretagna e semmai allargato al Belgio, e solo in via secon-daria all’Italia; mentre Chamberlain desiderava studiare la proposta tedesca,cosa poco gradita al suo interlocutore il quale, a sua volta, sollevava il pro-blema delle frontiere orientali e meridionali della Germania50. Sia con laHavas che in altro modo, la Francia, cercava dunque di avvicinarsi all’Italia,pur nel tentativo di armonizzare la proposta tedesca con le proprie esigen-ze, senza scontentare i britannici. Chamberlain aveva infatti espresso aiComuni, il 5 marzo, l’opinione che la proposta tedesca andava consideratacome fatto ineludibile per risolvere i problemi del momento51.

Questo punto di vista venne accolto in Italia in una nota ufficiosa,apparsa il 10 marzo sul Popolo d’Italia; vi si leggeva che la proposta tedescaera il primo passo verso una vera pace, poiché la Germania riconosceva ilTrattato di Versailles, almeno per ciò che concerneva direttamente laFrancia. Al contempo si dava per certa una conferenza internazionale, aLondra o a Bruxelles, da convocarsi per le imminenti feste pasquali52.

Precisando personalmente il suo pensiero, Mussolini concordò con lavisione di Chamberlain, circa il fatto di non «legarsi ciecamente con impe-

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gni preventivi e non bene definiti in materie di così vasta portata». Egli nonvedeva difficoltà nell’aderire ad un patto generale tra gli alleati e laGermania; ma alludendo alla possibilità di un Anschluss, tenne a precisareche si sarebbe preoccupato soltanto se «ulteriori accordi particolari» avesse-ro sminuito anziché accresciuto il valore dei trattati di pace53. In questo, ilpunto di vista italiano poteva considerarsi come «analogo e parallelo» aquello britannico.

Contarini, da parte sua, aveva ricevuto il 9 marzo von Neurath, illu-strandogli la posizione del suo paese. «L’Italia ha un interesse limitato alpatto – così l’ambasciatore tedesco riassunse il colloquio col SegretarioGenerale – ma vi parteciperà come garante della frontiera occidentale tede-sca per non restare esclusa. Essa respinge per contro la garanzia sulle fron-tiere orientali tedesche. La frontiera attuale verso la Polonia è innaturale el’Italia non ha ragione alcuna di sostenere le manie di grandezza polacchee cecoslovacche, nè desidera esser coinvolta nei conflitti che certamentesono da attendersi. Romano Avezzana è stato stato convocato a Roma perricevere le istruzioni del caso»54.

Se le informazioni di Neurath riproducono dichiarazioni di Contarini,abbiamo qui una prova significativa dei tentativi della “carriera” (di cui ilSegretario Generale era il più autorevole esponente) di oscillare tra posizionidiplomatiche contrapposte, quella francese e quella tedesca. Infatti Contarini,dopo aver rilevato con Besnard la necessità di garanzie ad est della Germania,ora con Neurath esprimeva un’idea affatto contraria, cui aggiungeva la richie-sta di garantire il Brennero. Resta comunque il fatto che fu la visione diMussolini a prevalere, perché egli accolse la nota tedesca come un primosegnale positivo, rilevando però la necessità di non svilire il divieto di Anschlussimposto dai trattati, ed esprimendo concordanza di idee con Chamberlain.

Stando a quanto scriveva da Parigi il Romano Avezzana, Chamberlainaveva invitato il collega francese ad avanzare proposte concrete circa natu-ra e limiti di un patto di sicurezza; sembrava anche alla portata un accordosull’ingresso della Germania nella Società delle Nazioni e sull’integrità deitrattati di pace, condizioni queste preliminari alla conclusione del patto disicurezza55.

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Nel secondo dei due incontri tra Chamberlain ed Herriot del marzo1925, il francese fu finalmente persuaso della necessità di affrontare il temadella sicurezza partendo dalla proposta tedesca; si parlò tra i due anche del-l’unione dell’Austria alla Germania come di ipotesi inammissibile alla stre-gua del trattato di Versailles56. Chamberlain inoltre non mancò di sottoli-neare che l’Italia non avrebbe visto di buon occhio quel patto preventivo,a due o a tre, inizialmente perseguito da Herriot, e dal quale l’Italia stessasembrava esser esclusa. Herriot, dal canto suo si rassegnò ad ammettere cheil patto di sicurezza occidentale sarebbe stato «garanzia parziale, ma moltopotente», suscettibile di effetti benefici anche sulle frontiere orientali tede-sche; la Germania doveva tuttavia entrare prima nella Società delle Nazioni.

L’accordo tra Londra e Parigi era solo apparente e lo dimostra il fattoche, terminati gli incontri con Chamberlain, Herriot desiderò conoscereil pensiero di Roma sulle questioni all’ordine del giorno, e specialmentesapere cosa si pensasse della posizione francese. Assente Mussolini daPalazzo Chigi per motivi di salute, fu Contarini ad intrattenere in propo-sito l’ambasciatore francese. A questi il Segretario Generale spiegò chel’Italia poneva al di sopra di ogni cosa il rispetto del Trattato di Versailles.Contarini anzi si stupiva che in qualche ambiente si parlasse di revisionedi frontiere (ma a Besnard sembrò più vago nel toccare la questione rena-na) e rimarcò l’inutilità di procedere oltre nella politica di occupazioneterritoriale. Besnard obiettò che l’occupazione aveva scopi diversi, essen-do finalizzata all’osservanza di molteplici clausole della pace. L’am-basciatore francese conservò comunque l’impressione che, al di là di que-sta differenza di vedute, le linee politiche di Italia e Francia fossero con-vergenti 57. Ma pochi giorni prima, il 23 marzo, Contarini aveva rivistol’ambasciatore tedesco, informandolo dell’esistenza di una proposta fran-cese di chiedere alla Germania una garanzia sul Brennero. «Mussolini harifiutato questa pretesa – scrisse Neurath – sulla base del fatto che i trat-tati in vigore sono per l’Italia sufficienti. Contemporaneamente, da partefrancese e polacca, si è tentato qui di convincere gli italiani ad aderire allagaranzia sulle frontiere orientali tedesche. Anche questa richiesta è statanettamente respinta»58.

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Il Segretario Generale accentuava dunque con Neurath le divergenzeitalo-francesi, probabilmente per sollecitare da Berlino un chiarimento suivantaggi che la proposta tedesca poteva dare all’Italia, e per evidenziare ilvalore di un’intesa con questa.

Mussolini dal canto suo, il 26 marzo, si compiacque dell’adesione fran-cese al punto di vista britannico sulla sicurezza, ritenendo che non fosseormai più possibile prescindere dalla proposta tedesca: gli alleati dovevanoquindi concordare modalità e contenuto della garanzia proposta dallaGermania; l’Italia era pronta a cooperare pienamente a tal fine. Per quantoriguardava l’Austria il governo italiano si atteneva ai trattati di pace, sicchénulla lo preoccupava se non la possibilità che questi venissero indeboliti 59.

Qualche motivo di preoccupazione a riguardo non era tuttavia manca-to: il 24 marzo, infatti, De Bosdari aveva comunicato che il collega ingleseD’Abernon stava ventilando al governo tedesco la possibilitàdell’Anschluss60.Trattavasi di un equivoco che non mutava la netta opposi-zione di Chamberlain a tale ipotesi61.

Ad ogni buon conto, Mussolini chiese a Della Torretta di indagare cau-tamente a Londra62 e avvertì l’ambasciatore a Berlino che l’Anschluss «nonpoteva essere oggetto di comunicazioni con il Governo italiano»63. Più ras-sicurante fu la dichiarazione, fatta il 26 marzo, da Besnard al Contarini, sul-l’assoluto rispetto dei trattati di pace come principio basilare per il suopaese64. Richiesto di ulteriori precisazioni dal suo interlocutore, lo stessoBesnard consegnò due giorni dopo una lettera in cui si diceva che laFrancia considerava il trattato di Versailles come legge suprema; occorrevadunque evitare che la Germania potesse minacciare l’indipendenzadell’Austria, alterando le clausole della pace riguardanti l’Europa centrale;nessun patto di garanzia poteva infine obbligare la Francia ad abbandonarei suoi alleati, gli interessi dei neutri e quelli generali dell’Europa65. Possiamovedere in queste dichiarazioni un primo tentativo francese di costruire conl’Italia un fronte comune sul problema generale della sicurezza. Lo prova ilfatto che Herriot, cercando di avallare presso Chamberlain una posizionesulla sicurezza (escludente la Germania da un patto preventivo ad hoc) nonpiù sostenibile, aveva affermato che la posizione italiana era in tutto e per

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tutto identica a quella francese: la qual cosa aveva causato non poca mera-viglia in Chamberlain, fino a quel momento persuaso che l’Italia fosse piut-tosto vicina alla Gran Bretagna nell’approccio ai temi della sicurezza66.

Il 28 marzo Mussolini, in un discorso alla Camera, in occasione dell’ap-provazione del bilancio del Ministero degli esteri, affrontò il tema dellasicurezza. Egli seppellì («sans élégance», notò l’ambasciatore francese) ilProtocollo di Ginevra, ma sul patto di garanzia si tenne sulle generali, ripro-mettendosi di chiarire il suo pensiero in altra sede, dove si sarebbe soffer-mato anche su temi particolari in discussione fra le cancellerie europee(temi che Besnard identificò in Tunisi e Tangeri)67. Mussolini quindi, il 29marzo, chiarì agli ambasciatori a Londra e a Parigi le “norme” e le “diretti-ve” che il governo italiano intendeva perseguire. Egli scrisse che l’Italiaconsiderava ormai decaduto il protocollo di Ginevra, inutile doppione delCovenant; d’altro canto essa era favorevole all’ingresso della Germania nellaSocietà delle Nazioni e ad assicurarle un seggio permanente nel Consiglio.L’Italia, inoltre, auspicava un’intesa preliminare fra i soli alleati sul problemadella sicurezza, e che solo in un secondo momento si convocasse una con-ferenza con la Germania per la firma di un patto di garanzia sulla sua fron-tiera occidentale. Sarebbe stato tuttavia opportuno chiarire il differentevalore di tali nuovi impegni rispetto agli obblighi relativi alla frontieraorientale tedesca, fermo restando che l’Italia non era disposta ad assisterepassivamente alla modifica dei trattati di pace, specialmente per ciò checoncerneva l’indipendenza dell’Austria. Mussolini chiese che tali conside-razioni venissero illustrate con ogni cautela e tatto a Parigi e a Londra, nelcorso di conversazioni di cui egli attendeva di conoscere l’esito68.

Maggiori ragguagli sulla posizione francese provennero dall’incaricatod’affari italiano a Parigi, Consalvo Summonte. Questi aveva illustrato alDirettore degli Affari Politici e Commerciali del Quai d’Orsay, Laroche, ledirettive del suo governo in materia di sicurezza, giusta le istruzioni dira-mate il 29 marzo. Nel corso del colloquio, Laroche osservò che anche laFrancia, come l’Italia, avvertiva la necessità di un’intesa preliminare senza laGermania ed aggiunse che era intenzione del suo governo sottoporre aquest’ultima un questionario sulla sicurezza, visto che il memorandum del 9

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Capitolo II – L’Italia e la nota tedesca

febbraio risultava oscuro in alcuni punti. Toccando la questionedell’Anschluss, Laroche sottolineò che il suo paese vi attribuiva la stessaimportanza datavi dall’Italia, e ammise che «se la Germania avesse annessol’Austria, sarebbe stata la vera vincitrice della guerra»69.

Chamberlain, dal canto, suo aveva assicurato che nessun accordo avreb-be potuto sminuire gli obblighi previsti nei trattati di pace70. Sulla base diquesti elementi Mussolini ritenne giunto il momento di concordare unarisposta al promemoria tedesco71, una risposta che manifestasse la buonavolontà e la fiducia dell’Italia nel buon esito della proposta di Berlino. Ilmomento era opportuno anche per far risaltare la comunanza di vedutecon la Gran Bretagna, sul protocollo di Ginevra ed eventualmente su altrequestioni riguardanti la sicurezza72.

Se l’ambasciata italiana a Parigi illustrava la convenienza a parteggiareper la visione francese; quella a Londra non era da meno nello spiegare ivantaggi nel seguire la linea di Chamberlain. L’ambasciata a Berlino si inse-riva in questo processo con l’auspicio che le proposte tedesche fosseroaccolte. Ma se da un lato era normale che i rappresentanti all’estero risen-tissero dell’ambiente in cui operavano, dall’altro Mussolini temporeggiava.

Vi erano infatti non pochi elementi d’incertezza.Voci sull’ambigua con-dotta del D’Abernon a Berlino avevano spinto Mussolini a ribadire con unacerta energia il suo pensiero73. Ma non poche riserve alimentava tanto lasituazione generale, quanto la politica francese.

La situazione generale fu analizzata in un memorandum confidenziale, data-to 4 aprile 1925, e preparato da un “Ufficio Riparazioni” del Ministero degliEsteri italiano, meglio identificabile con l’Ufficio Trattati e Società delleNazioni, che era alle dirette dipendenze di Contarini. Il documento esami-nava la situazione della sicurezza, dal lato delle discussioni sul Protocollo diGinevra, e da quello dei tentativi di concludere un patto anglo-franco-belga.Sul protocollo, tentativo di “democratizzare” la pace, l’Italia aveva già espres-so il suo avviso, come del resto aveva fatto anche il nuovo governo conserva-tore inglese. Essendo la sua sorte segnata, «si cercò da più parti di discutere dinuovo le possibilità di un patto anglo-franco-belga, caduto a Cannes». Ma erachiaro come «l’idea di una garanzia unicamente rivolta contro la Germania

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apparisse sempre meno idonea ad assicurare la pace dell’Europa». Sussistevanoperò «forti correnti» in favore della sua realizzazione. «Queste diverse corren-ti – spiegava l’autore del memorandum – preoccupandosi della parte che l’Italiapotesse avere in una questione di tanta importanza, prospettarono allora laconvenienza di allargare il problema della sicurezza, estendendolo dallaRenania all’Austria. Il tentativo apparve evidente al Regio Governo cheseppe abilmente resistervi. Si sarebbe voluto portare la discussione sul pro-blema connesso alla frontiera austro-tedesca, sperando di indurre così l’Italiaa legarsi nell’orbita della politica che cercava la sicurezza in un patto senza laGermania, e cioè contro di essa; si voleva provocare una nostra mossa cheavrebbe servito al giuoco d’altri. Sarebbe stato sommo errore prestarsi a que-sto tentativo», che avrebbe significato ammettere la possibilità dell’Anschluss.«Ma la proposta tedesca di un patto generale di garanzia – proseguiva il docu-mento – (...) ci toglieva fortunatamente ogni dubbio sulla convenienza perl’Italia di accettare tale proposta e di prendere parte al patto». Per la GranBretagna, la proposta tedesca significava l’abbandono dell’ipotesi del proto-collo e del patto a tre; per la Francia, essa significava il serio timore che ciòaccadesse realmente. L’Italia aveva, come la Gran Bretagna, preferito la pro-posta tedesca alle altre, perché rendeva partecipe la Germania al sistema disicurezza.Aveva tuttavia creato confusione la dichiarazione dell’ambasciatoretedesco a Parigi, che le frontiere orientali non sarebbero state garantite comequelle occidentali. «Dello stato di incertezza, che si era venuto creando,approfittarono le correnti non favorevoli» alla proposta tedesca: Francia,Polonia e Cecoslovacchia. «E si trovò comodo ed utile di cercare di tirareanche in discussione la questione austriaca. Anche ora si tentò con artificio-se notizie di portarci a prendere posizione mostrando serie preoccupazioniper il confine meridionale connesso al problema dell’Austria». Ma l’atteggia-mento italiano fu coerente e fermo, «ed il problema si trovò ricondotto neisuoi veri limiti che sono quelli della frontiera occidentale della Germania».Chamberlain, da parte sua, aveva dato le più ampie assicurazioni contro l’e-ventualità di un Anschluss e sulla fedeltà britannica ai trattati di pace. Il memo-randum chiudeva richiamando l’ultimo paragrafo delle istruzioni inviate daMussolini all’Ambasciatore a Londra74.

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Capitolo II – L’Italia e la nota tedesca

L’Ufficio Trattati e Società delle Nazioni, diretto da Sandicchi, avevacertamente offerto a Contarini un ampio panorama sulle questioni delmomento.A Palazzo Chigi andava dunque prendendo piede l’ipotesi di unpatto di garanzia, quale proposto dalla Germania. Al contempo, si vedevala condotta francese verso l’Italia come nettamente strumentale, un’esca perguadagnare l’Italia ad un fronte comune contro la politica di Chamberlain.I consigli dati dall’autore del memorandum erano di non sollevare la que-stione del Brennero e di non agitarsi per l’Anschluss, che i trattati di pace difatto impedivano. Il documento teneva comunque in debito conto anchele preoccupazioni di Mussolini, già espresse in quelle “norme e direttive”impartite agli ambasciatori presso le capitali più importanti, per far presen-te che il governo italiano non intendeva assistere passivamente alla revisio-ne dei trattati di pace ed alla creazione di due categorie di frontiere.

Non minori preoccupazioni destavano anche gli umori interni allaGermania. Un linguaggio certamente impressionante era stato usato dalministro degli esteri Stresemann e dal presidente del Reichstag Paul Löbe. Ilprimo, in un’intervista rilasciata il 12 aprile del 1925 alla Neue Freie Presse,aveva espressamente criticato i continui ritardi nell’evacuazione della zonadi Colonia e s’era dichiarato contrario tanto al riconoscimento dello statusquo sulle frontiere orientali tedesche, quanto alla rinunzia all’Anschluss.Taliaccenti revisionisti ebbero vasta eco anche sulla stampa italiana75. Quanto aLöbe, l’ambasciatore italiano a Berlino riferì aver egli dichiarato che l’Italia,pur essendo contraria alla confederazione danubiana di cui tanto allora siparlava, sarebbe stata «invece favorevolmente disposta [nella questione dei]confini con la Germania», in pratica a delle revisioni territoriali tout court.Mussolini ritenne il caso assai grave, se incaricò Paulucci de’ CalboliBarone, suo Capo di Gabinetto, di studiare la situazione col Capo dell’“Uf-ficio Austria, Cecoslovacchia, Romania, Ungheria” del Ministero degliEsteri, Augusto Biancheri Chiappori, e naturalmente col Segretario Ge-nerale Contarini76.

Anche l’ex cancelliere Wilhelm Marx non mancò di dar adito a preoc-cupazioni ed a sospetti allorché affermò, in un discorso pronunciato aBerlino il 17 aprile, che occorreva ricordarsi sempre delle «condizioni inna-

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turali della frontiera orientale, e nuovamente (...) esprimere la parentelaintima e culturale che ci unisce all’Austria», essendo da gran tempo e datutti desiderata l’unione politica tra questa e la Germania77. All’incertezzaderivante dalla Germania si aggiungeva poi quella causata dalla crisi mini-steriale francese, crisi che addirittura sembrava impedire al Foreign Office diricercare le migliori condizioni per negoziare il patto di sicurezza78. Inminor misura incidevano invece altri fattori, come le elezioni politiche inBelgio, o le elezioni presidenziali in Germania dopo l’improvvisa morte diEbert79. Poteva invece sortire un effetto più consistente sulla politica italia-na il crescente isolamento in Austria di quella che veniva definita la “cor-rente filo-italiana” di Monsignor Seipel e di parte dei cristiano-sociali avantaggio di alcune influenze di matrice francese, riscontrabili nella stessacompagine governativa80.

Considerato il quadro generale della situazione, era quindi comprensibi-le che Mussolini attendesse di vedere come la Francia e la Gran Bretagnaavrebbero affrontato il problema della sicurezza e della tutela dei trattati dipace.Ma nonostante giustificate inquietudini e personali incertezze, egli nonostentò diffidenza verso un eventuale negoziato perché questo, se ispiratodalla concordia angloitaliana e contenuto nei limiti dei trattati di pace (voltoanzi a ravvivarne lo spirito), avrebbe contribuito non poco alla stabilitàdell’Europa, pur riportando la Germania al rango delle grandi potenze.

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Capitolo II – L’Italia e la nota tedesca

1 Indice delle questioni che si potrebbero trattare nei prossimi colloqui con Chamberlain,dicembre 1924 (manca la data), DDI, Serie Settima, vol.III, doc.605.

2 Appunto autografo di Mussolini, 7 dicembre 1924, ASMAE, Arch.Gab., GM, busta 1,fasc.«Colloqui di Mussolini 1924». Cfr. Opera omnia di Benito Mussolini, vol.XXVII,Appendice 1, pp.4-5.

3 Cfr. DDI, Serie Settima, vol.III, nota 2 a p.365. Di questo comunicato dell’UfficioStampa di Palazzo Chigi esiste una versione differente nella forma, ma uguale nellasostanza, in autografo senza data né firma, e in dattiloscritto datato e con autografo diMussolini.ASMAE,Arch.Gab., GM, busta 1, fasc.«Colloqui di Mussolini 1924».

4 F. LEFEBVRE D’OVIDIO, L’intesa italofrancese del 1935, cit., pp.72-73.5 Consiglio del Contenzioso Diplomatico. Sedute del 22 e 23 ottobre 1924, ASMAE, Archivio

del Consiglio del Contenzioso diplomatico, 1924-1937, pacco n.30, fasc. «Protocollo peril pacifico regolamento delle controversie internazionali», sf. «Consiglio del 22 ottobre’24».

6 Agenzia d’Informazioni per la Stampa “Alessandro Volta”, Anno IX, Bollettino n.4685del 20 febbraio 1925.ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 40.

7 Chamberlain a Mussolini, 14 dicembre 1924, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.616;Mussolini a Chamberlain, 23 dicembre 1924, ibidem, doc.636; Graham a Mussolini, 22dicembre 1924, ibidem, doc.632; Mussolini a Graham, 10 gennaio 1925, ibidem, doc.668.Si ricorda che Roma e Londra erano anche pervenute ad un accordo per la cessione delGiubaland all’Italia; l’accordo venne firmato a Londra il 15 luglio 1924 dal predecesso-re di Chamberlain, MacDonald, e dall’ambasciatore italiano a Londra, Della Torretta. Ilnuovo governo conservatore assicurò che si sarebbe adoperato per giungere alla ratificadi esso. Cfr. DDI, Serie Settima, vol.III, docc.388, 557, 562, 585. Mussolini espresse inproposito la sua soddisfazione. Cfr. doc.567.

8 Cfr.Romano Avezzana a Mussolini, 5 dicembre 1925, DDI, Serie Settima, vol.III,doc.601.

9 Appunto di Mussolini «Colloquio 11 Xbre 1924 con Briand»,ASMAE,Arch.Gab., GM,busta 1, fasc.«Colloqui di Mussolini 1924».

10 Un ruolo importante nella definizione della posizione italiana sullo Statuto di Tangeriebbe Amedeo Giannini, che tra il 16 e il 19 giugno 1924, presentò una relazione allaCommissione ad hoc insediata presso il Consiglio del Contenzioso diplomatico. Su que-ste basi, la Commissione espresse l’avviso che non occorresse tornar sopra sulla manca-ta partecipazione italiana ai negoziati per lo Statuto, ma che per l’avvenire si sarebbedovuto insistere per un maggior ruolo del paese nelle decisioni riguardanti Tangeri, eciò nel modo seguente: partecipazione di un ufficiale italiano ai compiti di sorveglian-za; rappresentanza nella Commissione sui dazi doganali; presenza di magistrati e funzio-nari italiani nel Tribunale misto; partecipazione dell’Italia ai lavori portuari. Questeerano le condizioni cui l’Italia doveva subordinare la partecipazione allo Statuto.Ad esse

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se ne aggiungevano altre di carattere secondario (partecipazione all’elaborazione deicodici, Assemblea legislativa con vice-presidente italiano, presenza di una nave italiananella lotta al contrabbando, mantenimento delle Agenzie Diplomatiche). Consiglio delContenzioso diplomatico. Commissione per la questione di Tangeri. Parere. Sedute del 16, 17 e19 giugno 1924. ASMAE, Archivio del Consiglio del Contenzioso Diplomatico, 1924-1937, pacco n.30, fasc. «Statuto di Tangeri», sf. «stampati».

11 Mussolini a Romano Avezzana, 24 dicembre 1924, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.641.12 Mussolini a Romano Avezzana, 23 dicembre 1924, ibidem, doc.635.13 Romano Avezzana a Mussolini, 25 dicembre 1925, ibidem, nota 1 a p.390.14 Mussolini a Della Torretta, 27 dicembre 1924, ibidem, doc.642.15 Romano Avezzana a Mussolini, 27 dicembre 1924, ibidem, doc.643.16 Cfr. «Il Popolo d’Italia», 29 gennaio 1925.17 Guarneri a Mussolini, 31 gennaio 1925, tel.468/36, in ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta

40.Ancora il 7 febbraio Guarneri comunicava con tel.160/63/A.1 che «circa il patto digaranzia (...) il Signor Schubert mi ha detto stasera che nulla vi era di nuovo da partetedesca e che egli continuava sempre ad occuparsene. Doveva rilevare però che moltose ne parlava da parte inglese e francese». DDI, Serie Settima, vol.III, doc.699. Un con-tegno non dissimile von Schubert tenne con l’ambasciatore francese De Margerie.«Dalla mia conversazione con il Signor von Schubert - scrisse questi ad Herriot il 24gennaio - ho tratto l’impressione che la questione era già molto avanti e non sarei sor-preso che un qualche approccio sia stato fatto a Londra allo scopo di [sapere] se un pro-getto di quel genere potrebbe essere incoraggiato». De Margerie a Herriot, 24 gennaio1925, tel.126-132,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.72.

18 Romano Avezzana a Mussolini, 23 gennaio 1925, DDI, Serie Settima,Vol. III, doc.682.19 Mussolini a Romano Avezzana, 29 gennaio 1925, tel.279, in ASMAE,Arch. Gab.,TSN,

busta 40.20 Mussolini a Della Torretta, 29 gennaio 1925, DDI, Serie Settima,Vol. III, doc. 697.21 Ad un’aspra tenzone giornalistica addivennero il Temps e la stampa viennese (segnata-

mente la Neue Freie Presse ed il Neues Wiener Tagblatt). Ritagli di questi giornali, con arti-coli contrapposti, sono negli incartamenti dell’Archivio di Gabinetto del Ministero degliesteri italiano.

22 Romano Avezzana a Mussolini, 31 gennaio 1925, tel. 397/64, in ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 40.Va aggiunto che l’ambasciatore tedesco a Parigi Hoesch fece intendereal collega italiano che il suo Governo aveva in mente una proposta per la sicurezza (quel-la che in realtà da pochi giorni era stata presentata a Londra). Romano Avezzana aMussolini, 30 gennaio 1925, DDI, Serie Settima,Vol.III, doc.699.

23 Conversation de M.Laroche avec l’Ambassadeur d’Italie, 3 febbraio 1925,AMAE, Z-Europe:Grande-Bretagne, vol.72. Romano Avezzana riferì a Laroche anche la notizia che un fun-zionario dell’Auswärtigen Amt avrebbe prospettato al D’Abernon la possibilità di garan-

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Capitolo II – L’Italia e la nota tedesca

tire anche le frontiere orientali tedesche. Cfr.Appunto di Stresemann senza data,ADAP,A, Band XII, doc.64.

24 Romano Avezzana a Mussolini, 11 febbraio 1925, tel.208/86/27, in ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 40. In questo frattempo, l’ambasciatore riscontrava a Parigi anche un atteg-giamento più morbido verso le esigenze dell’Italia di esser potenza mediterranea e colo-niale: Romano Avezzana a Mussolini, 27 gennaio 1925, DDI, Serie Settima, vol.III,doc.692.

25 Della Torretta a Mussolini, 2 febbraio 1925, ibidem, doc. 703; cfr. doc. 704.26 Si veda in proposito A. ORDE, Great Britain and International Security 1920-1926, cit.,

pp.78-80. Cfr. Della Torretta a Mussolini, 5 febbraio 1925, DDI, Serie Settima,Vol. III,doc. 707; Della Torretta a Mussolini, 2 febbraio 1925, tel. 147/84, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 40. Si veda anche il discorso di Chamberlain a Birmingham, di cui infor-mava il Della Torretta con tel. n. 485/88 del 1° febbraio 1925, ibidem.

27 Mussolini a Della Torretta, Romano Avezzana e De Bosdari, 23 febbraio 1925, DDI,Serie Settima, vol.III, docc.733 e 734.

28 Besnard a Herriot, 23 febbraio 1925, tel.99,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.73.29 Mussolini a Della Torretta, Romano Avezzana e De Bosdari, 24 febbraio 1925, tel.125,

ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 40.30 Neurath ad AA, 25 febbraio 1925,ADAP,A, Band XII, nota 13 a p.259.31 F. LEFEBVRE D’OVIDIO, L’intesa italo-francese del 1935 , cit., p.83.32 Tali considerazioni emergono pienamente in vari memoranda preparati dal Quai d’Orsay.

Cfr.AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.73.33 Cfr. DDI, Serie Settima, vol.III, doc.733.34 Mussolini a Romano Avezzana, 1° marzo 1925, tel.137,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta

40.35 Romano Avezzana a Mussolini, 3 marzo 1925, tel.328/137, ibidem.36 DDI, Serie Settima, vol.III, doc.733 (il corsivo è nostro). Nello stesso senso il verbale redat-

to in seguito ad una visita di von Hoesch ad Herriot, il 17 febbraio. Visite del’Ambassadeur de l’Allemagne au President du Conseil, mardi le 17 février 1925, midi,AMAE,Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.72. Nemmeno l’ambasciatore tedesco Sthamer rese taledichiarazione verbale a Londra: cfr.DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.207.

37 Della Torretta a Mussolini, 25 febbraio 1925, tel.290/182, ASMAE, Arch.Gab., TSN,busta 40.

38 Della Torretta a Mussolini, 28 febbraio 1925, tel.308/190, ibidem. Cfr. Memorandumrespecting Future Relations between Germany and Poland, 12 febbraio 1925, DBFP, Series I,vol.XXVII, allegato al doc.199.

39 Guarneri a Mussolini, 23 febbraio 1925, tel.292/51,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 40.40 Cfr. De Bosdari a Mussolini, 27 febbraio 1925, tel.816/59, ibidem. Anche in Polonia

cominciavano a registrarsi le prime inquietudini per l’incertezza circa l’atteggiamento

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degli alleati nei confronti delle proposte tedesche. Della Torretta a Mussolini, 4 marzo1925, tel.343/206, ibidem. Stresemann, dal canto suo, riteneva le garanzie ad est un’ideafissa dell’ambasciatore francese a Berlino, piuttosto che una linea politica di Herriot. DeBosdari a Mussolini, 27 febbraio 1925, tel.816/59,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 40.

41 De Fleuriau a Herriot, 25 febbraio 1925, l.n.108, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne,vol.73. Sul dibattito interno in Gran Bretagna,A. ORDE, Great Britain and InternationalSecurity 1920-1926, cit., pp.68 ss.

42 Sul dispaccio di De Fleuriau, di cui alla nota precedente, era infatti annotata a matita,forse per mano di Laroche, la seguente osservazione: «Enfin, n’arrivons pas à la véritablesolution!».

43 Cfr. Capitolo I, § 4.44 Note by M.De Fleuriau, 4 marzo 1925, DBFP, I Series, vol.XXVII, allegato al doc.222.45 Romano Avezzana a Mussolini, 4 marzo 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.74346 Romano Avezzana a Mussolini, 6 marzo 1925, tel.900/141/73 (riservatissimo),ASMAE,

Arch.Gab.,TSN, busta 40.47 Capitolo I, §§ 2 e 3.48 Mussolini a Romano Avezzana, 6 marzo 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.751.49 Il “Foglio Speciale Havas” fu inviato dal Romano Avezzana a Mussolini il 9 marzo 1925

con tel.145/44, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 40. Cfr. Della Torretta a Mussolini, 11marzo 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.757.

50 Chamberlain a Crowe, 7 marzo 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, docc.224 e 225. Neidocumenti inglesi trova conferma quanto contenuto nel dispaccio Havas e cioè cheHerriot considerava l’Anschluss altamente pericoloso per l’Italia, anche a causa delle miretedesche su Trieste.

51 Si veda il Cap.I, § 2. Cfr. DDI, Serie Settima, vol.III, doc.754.52 Il primo incontro Herriot-Camberlain per il patto di sicurezza. Il momento internazionale e

l’Italia, in «Il Popolo d’Italia», 10 marzo 1925. Cfr.Besnard a Herriot, 10 marzo 1925,l.n.106,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.75.

53 Mussolini a Della Torretta, 14 marzo 1925, in DDI, Serie Settima, vol.III, doc.761. Cfr.doc.757. Si veda ancora F. LEFEBVRE D’OVIDIO, L’intesa italofrancese, cit., pp.77 ss. F.S. GIOVANNUCCI (Locarno, cit., p.16 e nota 1) ipotizza una «politica di raccoglimen-to e di riorganizzazione interna» dell’Italia in questo periodo.

54 Neurath ad AA, 10 marzo 1925,ADAP,A, Band XII, doc.152.55 Romano Avezzana a Mussolini, 24 marzo 1925, tel.1137/150/59, ASMAE, Arch.Gab.,

TSN, Busta 40.56 Memorandum di Herriot del 16 marzo 1925, già citato, AMAE, Z-Europe: Grande-

Bretagne, vol.74.57 Besnard a Herriot, 26 marzo 1925; cfr. Herriot a Besnard, 25 marzo 1925, tel.271,

AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.74.

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Capitolo II – L’Italia e la nota tedesca

58 Neurath ad AA, 24 marzo 1925,ADAP,A, Band XII, nota 2 a p.379.59 Mussolini a Romano Avezzana, 26 marzo 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.774.60 De Bosdari a Mussolini, 24 marzo 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.772.61 A. ORDE, Great Britain and International Security 1920-1926, cit., pp.104-105.62 Mussolini a Della Torretta, 24 marzo 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, nota 1 al già cita-

to doc.772. Della Torretta telegrafò poco dopo riferendo come false le voci circa unacondotta filo-annessionista dell’ambasciatore britannico a Berlino. Cfr.DDI, SerieSettima, vol.III, doc.783.

63 Mussolini a De Bosdari, 29 marzo 1925, ibidem, doc.780.64 Mussolini a Summonte, 27 marzo 1925, ibidem, doc.777.65 Besnard a Contarini, 28 marzo 1925, ibidem, doc.778.66 Tale meraviglia fu espressa in una lettera personale inviata da Graham a Contarini il 27

marzo 1925.ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 40.67 Besnard a Herriot, 28 marzo 1925, tel.130 AMAE, Z-Europe: Italie, vol.83. Cfr. Atti

Parlamentari, Camera dei Deputati, Legislatura XXVII, prima sessione, discussioni, pp.2983 ss.

68 Mussolini a Della Torretta e Romano Avezzana, 29 marzo 1925, DDI, Serie Settima,vol.III, doc.781.

69 Quest’ultima parte del dispaccio di Summonte fu ritenuta da Mussolini di una certaimportanza, avendola egli evidenziata con segni a matita. Summonte a Mussolini, 1°aprile 1925, tel.478/213,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 40, fasc.«Telegrammi su pattodi garanzia, conferenza disarmo, Anschluss» (il corsivo è nostro). Cfr. Herriot a Roma,Berlino, Bruxelles,Varsavia, Praga e Londra, 1° aprile 1925, telegramma con vari nume-ri,AMAE, Z-Europe: Italie, vol.83.

70 Della Torretta a Mussolini, 2 aprile 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.787.L’ambasciatore italiano a Londra era sicuro che la Gran Bretagna avrebbe continuato adopporsi all’Anschluss: Della Torretta a Mussolini, 31 marzo 1925, tel.459/262, ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 40.

71 Del resto, il capo del governo italiano aveva saputo da Londra che l’ambasciatore DeFleuriau aveva fatto presso il governo britannico un passo analogo a quello di Besnarda Roma. Della Torretta a Mussolini, 31 marzo 1925, DDI, Serie Settima,vol.III, doc.784.

72 Cfr. Della Torretta a Mussolini, 2 aprile 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.778.73 Cfr. F. LEFEBVRE D’OVIDIO, L’intesa italofrancese, cit., pp.84 ss.74 Memorandum confidenziale, 4 aprile 1925, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 40 (il corsivo è

nostro). Cfr.DDI, Serie Settima, vol.III, doc.761.75 Si veda, ad esempio, «Il Giornale d’Italia», 14 aprile 1925. Sugli umori presenti in Austria

ed in Germania circa l’Anschluss, si vedano le notizie del ministro tedesco a Vienna.Pfeiffer ad AA, 15-18 aprile 1925,ADAP,A, Band XII, doc.264. Stresemann rispose il 23aprile, dichiarandosi contrario all’eventuale pretesa degli alleati di sollevare, nel corso dei

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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

negoziati sulla sicurezza, il problema austriaco. Stresemann a Pfeiffer, 23 aprile 1925, nota19 alle pp.695-696.

76 De Bosdari a Mussolini, 15 aprile 1925, tel.554/113; ma si veda anche idem, 14 aprile1925, tel.348/111:ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 40. La frase riportata nel testo fu sot-tolineata da Mussolini a matita blu e commentata con un assai eloquente «No». Suldiscorso di Löbe a Francoforte sul Meno: «Der Tag», 16 aprile 1925.

77 Si veda: De Bosdari a Mussolini, 18 aprile 1925, tel.577/114,ASMAE,Arch.Gab.,TSN,busta 40. Nel corso di una conversazione con De Margerie, il consigliere giuridicodell’Auswärtiges Amt, Gaus, così si espresse: «Nessun tedesco cerca di porre sul tappeto laquestione dell’annessione, ma nessun governo tedesco potrà mai più accettare una que-stione che lo obblighi a rinnegare quest’idea teorica e storica della riunione dei fratellitedeschi d’Austria». De Margerie a Herriot, 19 aprile 1925, tel.370, AMAE, Z-Europe:Grande-Bretagne, vol.75.

78 Della Torretta a Mussolini, 22 aprile 1925, tel.618/A.18 (manca il numero di protocol-lo in partenza),ASMAE,Arch.Gab,TSN, busta 40.

79 Le elezioni in Belgio per il rinnovo della Camera videro una lieve flessione deiCattolici, che persero due seggi, ed un guadagno dei Socialisti, che ne ottennero dieci.Entrambi i partiti, ciascuno con 78 seggi, formarono un governo di coalizione guidatodal cattolico Visconte Poullet con il socialista Vandervelde agli esteri. Dalla nuova com-pagine vennero esclusi i Liberali (che avevano perduto 10 seggi). In Germania ilPresidente Ebert morì il 28 febbraio e le elezioni per la sua successione si tennero il 26aprile. Secondo Presidente della Repubblica divenne, com’è noto, il MarescialloHindendurg, l’eroe della guerra; egli assunse l’ufficio il 12 maggio successivo.

80 Bodrero a Mussolini, 9 aprile 1925, tel.530/121,ASMAE,Arch.Gab,TSN, busta 40.

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Capitolo II – L’Italia e la nota tedesca

CAPITOLO III.

L’ITALIA ED IL PROBLEMA DELLA SICUREZZA

1. L’INDIPENDENZA AUSTRIACA ED IL PRINCIPIO DI NON REVISIONE

DEI TRATTATI NELLA POLITICA ITALIANA

Come si è visto in precedenza, Mussolini riteneva possibile studiare l’i-potesi di un patto di sicurezza, ma anche necessario, a tal fine, partire dalpresupposto di non revisione dei trattati di pace, principio, questo, genera-le e non parcellizzabile a favore di una o di un’altra clausola.

Una tale linea politica aveva, senz’altro, come interesse immediato la tute-la dell’indipendenza dell’Austria dalla Germania, ma occorre chiedersi finoa che punto ci si preoccupasse della sorte del piccolo paese danubiano.Infatti, la sopravvivenza politica dell’Austria dipendeva dalla sua prosperitàeconomica; diversamente, essa sarebbe entrata nell’orbita di una Germaniache man mano ridiventava grande potenza. Ma per fare dell’Austria unostato autosufficiente occorrevano ingenti apporti finanziari, facilitazionidoganali, accordi economici preferenziali e così via. L’articolo 222 delTrattato di Saint-Germain sospendeva diversi oneri a carico dell’Austria,discendenti dai precedenti articoli (dal 217 al 220): ad essa era perciò con-sentito di stabilire dazi all’importazione, di adottare contingentamenti dimerci, di imporre oneri alle esportazioni verso i paesi vincitori e infine disvincolarsi dalla “clausola della nazione più favorita”. Si trattava di beneficitesi a favorire la nascita di una rete di accordi economici tra Austria,Ungheria e Cecoslovacchia su certe categorie di manufatti. Nella pratica, ilsistema previsto dall’articolo 222 era però irrealizzabile, in quanto una con-federazione danubiana non poteva nascere in assenza di fiducia reciproca trai propri membri (si pensi alle voci di revisionismo e di restaurazione monar-chica nell’ex impero); né, d’altra parte, le grandi potenze erano disposte a

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concedere aiuti economici, facilitazioni doganali, o anche a rinunciare infavore dell’Austria alla “clausola della nazione più favorita”.

La questione presenta aspetti interessanti se vista dalla parte dell’Italia.Questa era a conoscenza che si ventilava un’unione doganale in Europa cen-trale, sotto la guida italiana o tedesca1. L’Austria, dal canto suo, desiderava chel’Italia contribuisse finanziariamente al risanamento economico del paese;condizione prima per poter avviare rapporti politici di più ampio respiro2.

Le implicazioni della situazione appena descritta sono intuibili: l’Italianon avrebbe potuto stringere a buon mercato un legame politico preferen-ziale con l’Austria la quale poi, non ottenendo prestiti da Roma, si sarebberivolta altrove, con prevedibili effetti sulle sue scelte in politica internazio-nale. Il contributo degli alleati si rendeva indispensabile a che l’Italia conse-guisse risultati vantaggiosi; mancando un’incisiva azione nel senso indicato,la Germania si sarebbe prima o poi messa alla guida del processo di risana-mento dell’Austria, con notevoli conseguenze per la politica estera italiana.

Organi di stampa e uomini politici austriaci, eminenti personalità ecapitani provinciali (è il caso di quelli del Tirolo e della Stiria), non nascon-devano, infatti, l’anelito all’Anschluss e le informazioni pervenute a Romaavevano registrato ben più che un “grido di dolore” in tal senso3.A PalazzoChigi si aveva ben chiaro il quadro della situazione.«Buoni o cattivi chesiano – disse Contarini a Besnard – bisogna rispettare i trattati: modificar-ne uno sarebbe aprire la porta alla revisione degli altri»4.

Il 1° maggio, il Segretario di Stato von Schubert chiese a De Bosdariche l’Italia intervenisse perché gli alleati rispondessero finalmente alla pro-posta di patto di sicurezza e decidessero di evacuare Colonia. L’ambasciatoreitaliano replicò che il suo paese desiderava tenersi in seconda linea su taliquestioni perché «uno zelo eccessivo del governo italiano avrebbe potutodare luogo a sollevare questioni delicate concernenti altre frontiere tede-sche»; il che era «opportuno evitare per il momento»5. Stando ai documentitedeschi, De Bosdari osservò che il suo governo non pensava di far caderela questione dell’Anschluss nei negoziati sulla sicurezza6.

Il 2 maggio l’Agenzia Roma diramò un dispaccio sulla posizione italianain merito all’Anschluss, informando che il governo italiano si sarebbe sem-

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pre opposto all’unione dell’Austria alla Germania7. Per il Neurath, PalazzoChigi non era estraneo a tale dispaccio8. Tre giorni dopo Mussolini, purconfermando con l’ambasciatore tedesco la posizione italiana, così comedescritta nel dispaccio, negò che l’Agenzia Roma fosse organo ufficialegovernativo. «Ho appreso sottobanco – informò poi Neurath – che lacomunicazione dell’Agenzia Roma è stata dettata dallo stesso Contarini(...) e che la posizione finora contraria dell’Italia alla proposta della Franciadi inserire nel patto di garanzia anche un passo sulle frontiere meridionalidella Germania potrebbe, dopo gli ultimi eventi, subire un cambiamento»9.Qualcuno a Palazzo Chigi aveva dunque informato l’ambasciatore tedescoche le offerte francesi di un fronte comune con l’Italia stavano per ottene-re buon esito. L’informatore forse metteva in guardia i tedeschi con il pro-posito di sollecitare offerte da Berlino, per poi eventualmente alzare il prez-zo con Parigi. Egli comunque, smentendo Mussolini e svelando retroscenariguardanti Contarini, finiva per dare ai tedeschi l’idea che l’Italia dipen-desse da una garanzia francese sulle sue frontiere; il che non era una baseideale per trattative con Berlino.

Del dispaccio dell’Agenzia Roma il Segretario di Stato tedesco, vonSchubert, parlò con l’ambasciatore italiano.Von Schubert affermò che laGermania non avrebbe fatto dichiarazioni o preso impegni al di là dei trat-tati di pace se non per la propria frontiera occidentale, né mai essa avrebbeufficialmente rinunciato all’unione con l’Austria. De Bosdari rispose chenessuno, nemmeno l’Italia, voleva indurre la Germania ad una dichiarazio-ne ufficiale di rinuncia, perché ad impedire l’Anschluss c’erano i trattati enon occorreva tornare sull’argomento10. Sulla base di queste dichiarazioniNeurath fu incaricato di chiarire a Palazzo Chigi che «non esiste la ben-ché minima ragione di sollevare la questione dell’Anschluss in connessionecoi negoziati sulla sicurezza e che è inutile ed altamente inopportuno esi-gere da noi in tale circostanza una qualche dichiarazione sull’articolo 80 diVersailles. Inoltre può Ella far notare – recitavano ancora le istruzioni perl’ambasciatore tedesco – che noi facevamo sicuramente affidamento sulledichiarazioni di Bosdari e che il Governo italiano condivideva questopunto di vista»11.

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Capitolo III – L’Italia ed il problema della sicurezza

L’8 maggio l’ambasciatore italiano a Berlino ebbe un colloquio conStresemann, di cui riferì in un importante telegramma. De Bosdari rac-conta di aver consegnato a Stresemann un volantino diffuso dalla sezionedi Monaco dell’Andreas Hofer-Bund, con un “decalogo” del viaggiatoretedesco in Italia, praticamente un’invettiva contro l’Italia, oppressore deisudtirolesi. Poco a poco si venne a parlare anche dell’Anschluss e quiStresemann apertamente lamentò il fatto che l’Italia vi si opponesse, a dif-ferenza di altre potenze. L’ambasciatore italiano fece del suo meglio peresporre il punto di vista del suo governo sulla questione; ma da un latovedeva i tedeschi ormai determinati a perseguire l’Anschluss, e dall’altroconveniva con Stresemann che era solo l’Italia ad osteggiare tale proget-to12. Di questo colloquio si ha anche il resoconto dello Stresemann, connuovi dettagli. Da esso risulta che alla domanda di De Bosdari sul seguitoavuto dal promemoria presentato dalla Germania in febbraio, Stresemannabbia risposto negativamente e aggiunto che tutta «la situazione era addi-rittura da operetta»: da quattro mesi si attendeva di veder evacuataColonia; si gridava contro il revanscismo della Germania e si lasciava poidisattesa una sua importante proposta di pace. De Bosdari chiese inoltrecosa risultasse a Berlino circa la posizione di Benes; Stresemann risposeche si stava facendo fronte comune contro le proposte tedesche e control’Anschluss. A questo punto il ministro tedesco racconta di essere giuntoalla conclusione che la posizione italiana, così come illustrata dall’amba-sciatore, equivaleva ad un’opposizione all’Anschluss «nelle odierne circo-stanze». A De Bosdari sembrava poi che Mussolini «temesse che le agita-zioni irredentistiche, che oggi provengono dall’Austria e dal sud, portasse-ro in seguito a una qualche agitazione nazionale della Germania». «Al che– scrive ancora il ministro tedesco – io gli obiettai che seppure laGermania fosse divenuta confinante dell’Italia, avevamo allora tutto l’inte-resse ad essere in buoni termini con l’Italia». Quanto alle agitazionidell’Andreas Hofer-Bund, Stresemann le connesse al modo in cui le autoritàitaliane s’erano mosse nella questione delle proprietà immobiliari in AltoAdige fornendo un’immagine dell’Italia attuale di gran lunga diversa daquella che i tedeschi romantici avevano conservato13.

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Il 12 maggio Neurath fu ricevuto da Contarini e portò la discussionesul problema dell’Anschluss, giusta le istruzioni ricevute. «Contarini – egliscrisse – ha ripetuto che l’Italia era attaccata da ogni parte, che in occasio-ne del patto di garanzia erano da chiedersi particolari assicurazioni dallaGermania, che Mussolini aveva però finora sempre rifiutato richiamandosiai trattati. Ma egli, Contarini, poteva solo consigliare insistentemente di evi-tare il più possibile la discussione sulla questione dell’Anschluss. Alla miadomanda se da parte francese si fosse sollevata la questione, Contarini dissedi non credere che ciò fosse stato, sebbene anche l’Inghilterra si fosse pro-nunciata contraria»14. Il Segretario Generale opponeva dunque alla visionedi De Bosdari la convinzione che anche gli alleati dell’Italia osteggiavanol’Anschluss, e che per questo la Germania non poteva contare su uno scol-lamento della vecchia intesa; in secondo luogo, Contarini asseriva chel’Italia non intendeva sollevare il problema dell’Anschluss in connessionecon i negoziati sulla sicurezza, e che per il momento Mussolini preferiva unpiù generico richiamo ai trattati ed agli articoli 80 di Versailles ed 88 diSaint-Germain.

Dal punto di vista italiano vi era dunque un problema generale, l’aneli-to tedesco all’Anschluss, ed un problema particolare, quello di un’inadegua-ta rappresentanza dell’ambasciata italiana a Berlino, poiché De Bosdari sem-brava a Mussolini scarsamente incisivo e manifestamente debole15. Nei col-loqui alla Wilhelmstrasse, «quasi insensibilmente» s’era toccato il temadell’Anschluss, un tema sul quale le direttive di Mussolini erano state chia-re16. L’Anschluss non poteva essere oggetto di comunicazioni con il Go-verno italiano e non tagliar corto, non opporre un fin de non recevoir al mini-mo accenno, equivaleva a debolezza o, peggio, a rassegnazione.

Dev’essere questa l’idea che Mussolini si fece della posizione di DeBosdari. Diversamente non si spiegherebbe il terribile rimprovero che, il 14maggio, egli indirizzò all’ambasciatore a Berlino. L’impressione che il capodel governo ne ricavava era «penosa»: «Non arrivo bene a comprendere –egli scriveva – come V. E. non si renda conto che annessione Austria deter-minando un imponente accrescimento demografico e territoriale dellaGermania costituisca un serio pericolo per la nostra frontiera del Brennero.

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Vostra Eccellenza non ignora che già irredentismo tedesco urge alle nostrefrontiere settentrionali. Vostra Eccellenza conosce atteggiamento RegioGoverno che è sì dichiarata opposizione all’annessione.Vostra Eccellenza misembra già pienamente rassegnato ad un evento fatale e ciò spiega singola-re andamento conversazione con Stresemann. Ora la fatalità sarà evitata sesi parlerà chiaro ed in tempo. Non è vero che altre potenze spingono a que-sta soluzione e vi si rassegnino». L’unione tra Austria e Germania avrebbevanificato la vittoria, e quindi occorreva senza perifrasi esprimervi la piùnetta opposizione17.

Il giorno stesso Contarini, su incarico di Mussolini, mise al corrente vonNeurath delle reazioni alla conversazione tra De Bosdari e Stresemann: nonappena letto il dispaccio dell’ambasciatore a Berlino, Mussolini era monta-to su tutte le furie. Contarini aggiunse di non comprendere perché laGermania intendesse sollevare la questione dell’Anschluss, quando tutti isuoi confinanti vi si opponevano con forza. L’ambasciatore tedesco smentìla circostanza e replicò che la situazione era stata aggravata piuttosto dalfamoso dispaccio dell’Agenzia Roma. Era un’implicita accusa a Contarini,presunto autore di quel dispaccio. «Ho fatto pregare Mussolini – così vonNeurath informò – di non fare alcun annuncio intempestivo, ma di atten-dere almeno che io torni da Berlino.Contarini mi ha assicurato di adoprarsiin tal senso presso Mussolini». La conclusione dell’ambasciatore fu che ilsollevare al momento la questione dell’unione tra Germania ed Austriapoteva effettivamente rivelarsi «pericoloso»18.

La situazione dell’Austria venne studiata a Palazzo Chigi, come prova-no alcuni Appunti intorno al problema austriaco, preparati il 15 maggio presu-mibilmente dall’ufficio competente presso la Direzione Generale degliAffari Politici e Commerciali, diretto da Biancheri-Chiappori, certamentesu richiesta di Arlotta e di Contarini. In tale documento venivano anzitut-to esposti gli argomenti da evidenziare trattando all’estero la questionedell’Anschluss: conveniva all’Austria fungere da stato cuscinetto per nonpagare, a seguito dell’unione con la Germania, le riparazioni di questa e nonrischiare anche di ereditare il gravoso sistema fiscale tedesco (come purel’inflazione). In seguito all’AnschlussVienna avrebbe anche perso il prestigio

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di centro bancario e commerciale; inoltre, «ragioni religiose (per i cristia-no-sociali) e ragioni di sfiducia verso il prussianesimo possono essere messein evidenza, sebbene nei riguardi della Baviera diventino ragioni in favoredell’unione». Si esaminava anche la questione delle “preferenze doganali”:«A me sembra difficile – osservava l’anonimo estensore – che la Francia, equasi impossibile che l’Inghilterra e l’America, acconsentano ad una dero-ga alla clausola della nazione più favorita estensibile all’Italia e permettanoall’Italia di prendere una posizione prevalente in Austria». Quanto allaCecoslovacchia essa voleva escludere l’Italia dall’area danubiana e realizzareun «predominio slavo» sull’Austria. Anche su questa, però, era lecito qual-che dubbio. Infatti l’Austria avanzava proposte insincere, per provocare l’o-stilità inglese e tedesca, determinare il fallimento di quelle proposte e cosìaprire il varco all’Anschluss. «Mi sembra che prima di inoltrarci in una poli-tica che ci costerà molti sacrifici, ci renderà molto ostile la Germania e cilegherebbe le mani da molti punti di vista, occorrerebbe essere ben sicuricirca l’atteggiamento francese ed inglese per tutto quanto riguarda la nostrapolitica estera». Dal punto di vista economico, la storia dimostrava che «leunioni doganali difficilmente si reggono da sole: più frequentemente o sitrasformano in unioni politiche o si dissolvono». Era dunque auspicabileche si stabilissero convenzioni doganali tra l’Austria ed i suoi successori econfinanti (Italia, Cecoslovacchia, Jugoslavia ed Ungheria), con particolariaccorgimenti (adozione di una tariffa unica, controllo delle importazioniaustriache dalla Germania, cointeressenze in banche ed in imprese austria-che, accordi sul regime dei trasporti ferroviari)19.

Lo stesso 15 maggio, Stresemann ordinò a Neurath di recarsi daMussolini per dirgli che l’interpretazione data da De Bosdari al colloquiodell’8 maggio era del tutto infondata e che si era appena sfiorata la que-stione dell’Anschluss, parlando della continua agitazione di Benes contro leproposte tedesche di patto di sicurezza. «Io avevo perciò detto – spiegòStresemann – che purtroppo al signor Benes era venuto nuovo alimentodalla circostanza che il signor Mussolini si sia apertamente impegnato nellaquestione dell’Anschluss con il dispaccio dell’Agenzia Roma. Forse in talecontesto si è formulata da parte mia anche un’osservazione nel senso che

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non si rimandasse a lungo la soluzione della questione», il che però nonequivaleva a voler sollevarla ora. «Per sua informazione osservo che coglieròla prima occasione possibile per rettificare la cosa con il conte Bosdari»20.

Fu Schubert ad essere incaricato del chiarimento necessario e, per questo,a convocare, il 16 maggio, alla Wilhelmstrasse l’ambasciatore italiano. «Il ConteBosdari – annotò il Segretario di Stato tedesco – ha subito spiegato moltovivacemente di non aver mai telegrafato a Roma che il signor Stresemannaveva dichiarato che il governo tedesco era deciso a sollevare la questionedell’Anschluss austriaco. Mai naturalmente aveva telegrafato simili assurdità».Se Contarini pensava il contrario, era affar suo; ma questi non poteva attri-buire a lui, De Bosdari, cose mai riferite. «Ne consegue che Contarini si èassolutamente sbagliato». L’ambasciatore italiano si riservò quindi di esamina-re nuovamente il suo dispaccio dell’8 maggio,nonché di scrivere al SegretarioGenerale. «Per questo ho ancora una volta ricordato al conte Bosdari – èsempre von Schubert a parlare – le numerose conversazioni che abbiamoavuto insieme sulla questione dell’Anschluss e gli ho detto che egli mi avevaall’epoca di certo dichiarato che Mussolini era decisamente contrarioall’Anschluss, ma riteneva del tutto inopportuna un’ulteriore nostra richiestadi annessione. Il conte Bosdari confermò che ciò era esatto e che la mia opi-nione di concordare interamente con Roma circa il modo tattico di trattarela questione dell’Anschluss21 era assolutamente esatta»22.

Poiché von Neurath era partito da Roma per un breve congedo, l’inca-ricato d’affari tedesco, von Prittwitz, si recò, la sera del 19 maggio, daMussolini onde pervenire ad un chiarimento sull’incidente causato dal col-loquio tra Stresemann e De Bosdari. Prittwitz sottolineò che tutto l’acca-duto era frutto di un malinteso; Stresemann poteva aver certo parlato acca-demicamente con De Bosdari dell’Anschluss, ma il governo tedesco nonpensava di sollevare la questione in occasione della firma del patto renanoo in altra circostanza. Mussolini, stando ad un resoconto da lui stesso redat-to, prese asetticamente atto delle dichiarazioni di Prittwitz23. Ma il raccon-to di quest’ultimo è di tenore ben diverso. «Mussolini – scrisse – ha accol-to la mia comunicazione circa la conversazione del Reichsminister conBosdari con palese soddisfazione ed ha spiegato di essere del tutto conten-

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to della medesima. Bosdari, così riteneva il Presidente del Consiglio, avevachiaramente interpretato in certo modo le osservazioni oggetto della con-versazione sub specie aeternitatis, come dichiarazioni ufficiali del Governo delReich».Terminato il colloquio con Mussolini, ed essendo Contarini amma-lato, Prittwitz rese visita ad Arlotta il quale fu molto sollevato dallo svolgi-mento degli eventi e considerò chiuso l’incidente.Arlotta aggiunse tuttaviache sollevare la questione dell’Anschluss avrebbe gettato l’Italia nelle brac-cia della Francia24.

Nel breve soggiorno berlinese, intanto, von Neurath fu ricevuto daSchubert e con lui esaminò la corrispondenza diplomatica relativa all’inci-dente italo-tedesco.Neurath rivelò di aver egli stesso avuto tra le mani il tele-gramma di De Bosdari dell’8 maggio e di poter affermare con ogni certezzache l’ambasciatore italiano aveva riferito le cose proprio come a Roma eranostate interpretate. Neurath «ricordava precisamente che, in effetti, alla chiusadel telegramma, il conte Bosdari sosteneva, come egli stesso aveva comunica-to, che dalla conversazione con il Reichsminister aveva tratto l’impressione chela Germania era palesemente determinata a sollevare ora la questione del-l’annessione austriaca! Non può esservi dubbio sul fatto, ha sottolineato ilbarone Neurath, che un tale passo si trovasse alla chiusa del telegramma»25.

Le rivelazioni di Neurath portano a chiedersi chi lo informasse daPalazzo Chigi, narrandogli i retroscena dell’attività diplomatica, e addirittu-ra fornendogli carte riservatissime.

La recente pubblicazione dei documenti diplomatici tedeschi hacomunque ulteriormente evidenziato le problematiche dei rapporti traRoma e Berlino; al tema dell’Anschluss si legavano altre questioni, non ulti-ma quella altoatesina, già in passato oggetto di approfondite indagini26.

Mussolini rivolgeva certamente le sue attenzioni al contegno dellaGermania; aveva inoltre respinto seccamente le voci di una condotta deglialleati dell’Italia svincolata dalle norme dei trattati di pace. Nondimeno, eglinon poteva rinunciare ad operare una sorta di “ricognizione”, per verifica-re se nelle altre capitali qualcosa poteva smentire le sue convinzioni.

Più volte, invero, a Roma era giunta voce che gli ex alleati non eranopoi tanto contrari all’Anschluss; ma nell’ambito della Società delle Nazioni,

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secondo quanto scriveva Attolico, si mirava invece ad «evitare anche la solaapparenza che la Germania intendesse comunque seguire una politicaimplicante una qualunque revisione delle frontiere»27. Non meno inco-raggianti erano stati per Mussolini altri segnali, provenienti da Londra.Chamberlain aveva informato l’ambasciatore Della Torretta di aver ribadi-to al governo tedesco che rimuovere il pericolo sulla frontiera occidenta-le non voleva certo dire incoraggiare una revisione dei trattati su altri qua-dranti 28.

Per quanto riguarda la Francia, va registrato il cambio di governo nel-l’aprile del 1925, che portò all’avvento di Painlevé, con Briand agli Esteri.Questi, nel suo primo intervento alla Camera, così si espresse: «Allorché inuna zona smilitarizzata sia stato commesso un atto di ostilità nel senso del-l’articolo 44 del trattato di Versailles, la Francia è padrona di agire. Essa è inuno stato di legittima difesa e può agire immediatamente. Non appenavenga presa nota di ciò ipso facto tutte le nazioni firmatarie dell’accordosono obbligate ad assistere la Francia (...) Nel 1924 avevamo una solaalleanza impegnativa, ma c’erano impegni non scritti. Ci è mai mancatouno di questi impegni? Come possiamo dubitare che, mentre le nazionihanno firmato un patto con noi, in caso di bisogno, esse disonorerebberola loro firma?» Quanto alla Germania, Briand fece presente che il suoingresso nella Società delle Nazioni doveva avvenire senza condizioni, per-ché il popolo francese voleva vivere e lavorare in pace. Pur giudicandoinquietante l’attuale situazione, Briand tuttavia guardava con fiducia alfuturo29. Era dunque evidente che la proposta tedesca veniva considerataa Parigi con numerose riserve. Ciò provocò le critiche del Foreign Officealle facili generalizzazioni dietro cui i francesi si trinceravano30.

Alquanto interessanti appaiono i passi subito fatti dal nuovo governofrancese verso l’Italia. Bisogna premettere che l’ambasciatore RomanoAvezzana aveva avvertito Roma che il ritorno di Philippe Berthelot allacarica di Segretario Generale del Quai d’Orsay poteva rivelarsi contrarioagli interessi italiani31. Mussolini, comunque, rilevò un sensibile migliora-mento dei rapporti italofrancesi, felicitandosi con Briand per l’alto ufficiocui era stato chiamato32.

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La sera del 27 aprile, il nuovo Presidente del Consiglio francesePainlevé, fresco di nomina, si recò personalmente in visita dall’ambasciato-re italiano: procedura diplomatica insolita, se non fosse ascrivibile al desi-derio francese di maggiore intimità di rapporti con l’Italia. Painlevé espres-se al Romano Avezzana le sue preoccupazioni per l’elezione di Hindenburgalla Presidenza del Reich, nonché i dubbi sul futuro della Germania (darlefiducia o restare sul Reno?)33.

Sulla questione austriaca, il Romano Avezzana si intrattenne con ildirettore aggiunto della Direzione Affari Politici e Commerciali del Quaid’Orsay, Seydoux, spiegandogli che l’Italia perseguiva un preventivo accor-do con la Cecoslovacchia e la Francia, «atteso l’interesse comune di pren-dere in tempo i provvedimenti opportuni per sventare i tentativi che siandavano intensificando per far apparire come indispensabile l’unionedell’Austria alla Germania, unione alla quale l’Italia si opponeva recisamen-te quanto la Francia stessa». Seydoux concordò pienamente su questalinea34.

Qualche giorno dopo, il 6 maggio, Romano Avezzana incontrò il nuovoministro degli esteri, Briand. L’ambasciatore italiano, porgendo gli auguri aBriand per il nuovo incarico, espresse la speranza che egli, nella sua nuovaveste, avrebbe attuato «gli amichevoli propositi manifestati verbalmente aRoma in occasione del Consiglio della Lega», ossia perseguisse l’amichevo-le soluzione delle questioni aperte con l’Italia: quella di un accordo metal-lurgico, quella di Tangeri e quella di Tunisi. Briand rispose che avrebbe stu-diato, insieme agli uffici competenti, possibili soluzioni soddisfacenti perl’Italia. Romano disse che era la questione tunisina il nodo da sciogliere e,sollecitato da Briand ad esprimere il suo pensiero, aggiunse che da un latol’interesse italiano «coincideva con la politica della Francia» nella questionedella sicurezza, ma dall’altro coincideva con quello germanico, nel cercaresbocchi ad una popolazione in esubero. «Perché in Italia prevalesse il primopunto di vista, occorreva risolvere il secondo». La formula che Romanopropose fu quella di una revisione dei mandati e di «un diritto preferenzia-le sulle colonie portoghesi», unitamente a più libere relazioni tra l’Italia edi territori coloniali altrui. Quanto alla questione tunisina, essa non poteva

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basarsi ancora sul precario sistema del rinnovo trimestrale delle Con-venzioni denunciate dalla Francia nel 1918. Le opinioni espresse daRomano Avezzana furono accolte da Briand «con molta deferenza»35. Laconversazione cadde poi sull’offerta tedesca; Briand fece presente che unpatto di garanzia doveva essere correlato all’entrata della Germania nellaSocietà delle Nazioni, «senza restrizioni» e con gli stessi obblighi degli altrimembri. La ritrosia di Berlino ad impegnarsi su questa via era di ostacoload ogni trattativa sulla sicurezza. Briand, inoltre, non drammatizzava l’av-vento di Hindeburg, ma attirò l’attenzione dell’ambasciatore italiano sulleattività dei pangermanisti 36.

Dopo aver visto Briand, Romano Avezzana fu ricevuto dal nuovoMinistro delle Finanze, Joseph Caillaux, volendo questi conoscere «in viaamichevole e confidenziale» il pensiero dell’ambasciatore italiano sui rap-porti italofrancesi. Romano ne parlò in buoni termini, ma evidenziando i“sospesi” dello Statuto di Tangeri e della questione tunisina. Caillaux ridi-nensionò l’importanza della prima questione, ma sulla seconda osservò chesarebbe stato necessario che, prima o poi, i cittadini italiani in Tunisia assu-messero la nazionalità francese. Romano dissentì da questo punto di vista erilevò che una decisione definitiva «non poteva che aver luogo che quan-do intervenissero altri fattori ed altri accordi». Caillaux chiese allora indi-cazioni per «una soluzione di insieme» e Romano la indicò «nell’assegna-zione all’Italia di un dominio coloniale proporzionato ai suoi bisogni d’e-spansione». Caillaux concordò, aggiungendo «che doveva provvedersi nonsolo a dare maggiore aria all’Italia, ma a prendere in considerazione la stes-sa situazione che si presentava per la Germania, se si voleva fare opera dipace duratura», restituendole le colonie e favorendo accordi economici conla Polonia, per attenuare «gli errori commessi a Versailles». Le stesse cosedisse a Romano Avezzana anche il Ministro della Pubblica Istruzione, sena-tore de Monzie37.

Da un lato, dunque, Mussolini sperava che l’avvento di Briand al gover-no fosse l’occasione per risolvere con la Francia il problema dei “sospesicoloniali”, in quanto il nuovo ministro degli esteri aveva nutrito in passatosimili aspirazioni. Dall’altro, Briand era ancora neofita, necessitava di pun-

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tuali informazioni dagli esperti del Quai d’Orsay, onde precisare il suopunto di vista in materia coloniale. Gli altri membri del governo, al di là diuna generica disponibilità, non concordavano con l’Italia sui problemi diTangeri e di Tunisi; avevano inoltre puntualizzato che tutta la questionecoloniale andava risolta in modo soddisfacente, non solo per l’Italia, maanche per la Germania. Era una risposta diretta alla linea di condotta segui-ta da Mussolini, di prospettare una soluzione del problema della sicurezzalegandola alla questione dell’espansione coloniale dell’Italia.

Uno dei primi passi ufficiali del nuovo governo francese fu il progettodi risposta alla nota tedesca, approntato il 12 maggio38. Mussolini, avendosaputo che Briand l’avrebbe sottoposto a Chamberlain, tenne a puntualiz-zare che tale progetto doveva essere comunicato anche all’Italia39. RomanoAvezzana scrisse che Briand gli aveva dato senz’altro quest’assicurazione40,anche se, come poco dopo informò, a suo parere il governo inglese dove-va già conoscere il tenore del documento francese. Ma Briand non avreb-be mancato di sottoporre la risposta francese all’Italia, prima di consegnar-la a Berlino41. L’Italia, dunque, ricevette la proposta francese solo il 19 mag-gio, quando l’ambasciatore Besnard la consegnò al Ministero degli Esteri42.

Dal resoconto di Besnard emerge la piena adesione di Mussolini ai ter-mini ed allo spirito del progetto francese. Il capo del Governo italiano, purritenendo indispensabile l’ingresso della Germania nella Società delleNazioni, tuttavia non vi vedeva una condizione preventiva, e chiedeva soloche si realizzasse al momento della firma del patto di garanzia. In caso con-trario, la Germania avrebbe potuto mettere in discussione certe clausoledella pace e fare del suo ingresso nella Lega oggetto di patteggiamento. Aparte questo, Mussolini sembrava «in disposizioni migliori che in prece-denza nei riguardi della Società delle Nazioni»43.

Il progetto francese di risposta alla Germania non diede luogo tuttaviaad un negoziato spedito; anzi, proprio in Italia si aprì un periodo di riser-bo (se non di sospetto) per il contegno degli alleati nella questione dellasicurezza. Su questo atteggiamento, difficilmente comprensibile in una faseancora progettuale, si può fare qualche congettura. Nella proposta di notaalla Germania, si considerava che desiderio comune degli alleati (la Francia

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parlava a nome di tutti) era di «dare a tutti gli Stati interessati, nel quadrodel Trattato di Versailles, delle garanzie supplementari di sicurezza». Ma nellavisione francese, tra gli «Stati interessati» v’erano anche Polonia eCecoslovacchia, per cui, la garanzia principale data agli stati interessati allaRenania (quelli menzionati dal memorandum tedesco più il Belgio) si sareb-be dovuta estendere agli eventuali trattati di arbitrato tra la Germania e isuoi vicini orientali.

Presentando la sua risposta come risultato di uno studio della nota tede-sca condotto «in comune con i suoi alleati», la Francia faceva inoltre sup-porre un’intesa preventiva con la Gran Bretagna, raggiunta senza consulta-re l’Italia.V’era poi un aspetto giuridico non trascurabile. La Francia evi-dentemente voleva estendere, attraverso il sistema dei patti di arbitrato, legaranzie del patto renano a coloro che non ne sarebbero stati firmatari, mache comunque erano parti del Covenant e firmatari dei trattati di pace; taligaranzie avrebbero così costituito un sistema di sicurezza supplementare.Un simile obiettivo, se conseguito, avrebbe prodotto una nuova categoria diprivilegiati nei successori dell’Austria-Ungheria e creato una classe diaccordi per un sistema di sicurezza del tutto nuovo, che si sarebbe posta aldi sopra o addirittura avrebbe sostituito i trattati vigenti. Il vecchio sistema,quello posto in essere dai trattati di pace, certamente restava in vigore lìdove le nuove garanzie non operassero.A questo punto entrava in gioco laquestione dell’Austria e della frontiera con la Germania.Avrebbe la Franciacon il suo sistema accettato di garantire anche l’Austria, alla stregua deglialtri successori dell’Impero austro-ungarico? O ciò si sarebbe rivelato pro-blematico, in virtù del fatto che l’Austria era considerato paese sconfitto,erede della personalità giuridica del defunto impero?

Tale interrogativo si lega poi a considerazioni d’ordine politico.Nel pro-getto di risposta francese si affermava che «gli alleati non saprebbero rinun-ciare al diritto di opporsi ad ogni inosservanza delle stipulazioni di tali trat-tati, anche se queste stipulazioni non li riguardino direttamente». Ciò pote-va significare una parcellizzazione dell’interesse alla non revisione dellefrontiere stabilite dai trattati. Nella visione francese, cioè, ciascun firmatarioaveva diretto interesse all’integrità di certe clausole della pace, ma “poteva”

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opporsi alla revisione delle altre. Dal punto di vista logico-testuale, dunque,l’integrità dei trattati non emergeva a interesse generale e solidale dei vin-citori. In virtù di questo era lecito sospettare che fosse in atto un tentativodi “europeizzare” interessi squisitamente francesi, mercé una discriminazio-ne tra le “normali” clausole di pace e una categoria “rinforzata” di esse44.

2. IL DISCORSO DI MUSSOLINI AL SENATO DEL 20 MAGGIO 1925

Le considerazioni proposte aiutano forse a capire come mai, ad un certopunto, in forma ufficiale quanto solenne, Mussolini decise di chiarire unavolta per tutte, agli alleati e alla Germania, il suo punto di vista sui proble-mi internazionali, compreso quello della sicurezza. Un primo passo in que-sta direzione lo aveva già fatto con le “direttive” impartite il 29 marzo agliambasciatori all’estero (cap. II. §2). Una nuova opportunità gli si presentò il20 maggio, in occasione della discussione al Senato del disegno di leggesullo «Stato di previsione della spesa del Ministero degli Affari Esteri» perl’esercizio finanziario 1925-1926.

Prendendo la parola, Mussolini in primo luogo attutì gli allarmi susci-tati all’elezione di Hindenburg alla Presidenza del Reich. Parlando poi dialcune sistemazioni coloniali, annunciò la soluzione di un negoziato conla Gran Bretagna circa il territorio dell’Oltre Giuba, che dal 1° giugnosarebbe passato in possesso all’Italia. L’altra questione aperta con Londra,quella dell’oasi di Giarabub, desiderata dall’Italia, avrebbe avuto prestosoluzione favorevole. «Debbo aggiungere – commentò Mussolini – che ilGoverno inglese è perfettamente a lato del Governo italiano in questaquestione». Mussolini parlò inoltre dei rapporti cordiali intrattenuti con laJugoslavia (con la quale erano in corso a Firenze dei negoziati per la con-clusione di numerosi accordi) e ricordò il felice risultato degli acordi diRoma su Fiume.

Mussolini osservò quindi che il governo italiano era favorevole a darealla Germania un seggio permanente nel Consiglio della Società delleNazioni.

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A questo punto, il Presidente del Consiglio italiano toccò la questionedel patto di sicurezza e della frontiera del Brennero, e qui va detto che leversioni ufficiali del discorso di Mussolini, il verbale negli Atti Parlamentaridel Senato del Regno45 e il relativo resoconto sommario46, divergono. Ilresoconto trascrive puntualmente il verbale, tranne che nel passo sul pattodi sicurezza e il confine del Brennero, ove registra una differenza non tra-scurabile.

Il verbale così recita: «Non si può pensare a un patto di garanzia a tre:bisogna pensare nell’interesse della pace a un patto di garanzia a cinque, eoccorre, a mio avviso, che il patto di garanzia a cinque, che comprenderà laGermania sia messo sotto l’egida della Società delle Nazioni, nella quale laGermania sarebbe entrata. Non bisogna, o signori, garantire però le frontiere delReno, facendo in modo da rendere meno solide le garanzie del Brennero». La ver-sione del resoconto sommario del discorso è invece così redatta: «Non sipuò pensare a un patto di garanzia a tre: bisogna pensare a un patto digaranzia per lo meno a cinque, e occorre, a mio avviso, che il patto di garan-zia a cinque, con altri patti di garanzia che vi potrebbero essere, siano a uncerto momento messi sotto l’egida della Società delle Nazioni, nella qualela Germania sarebbe entrata. Non bisogna, o signori, garantire soltanto le fron-tiere sul Reno, bisogna garantirle anche sul Brennero».

Mussolini si dichiarò inoltre nettamente contrario all’Anschluss, cheavrebbe frustrato «la vittoria italiana»; aggiunse che era «penoso assistere acerte campagne di stampa, (...) penoso udire ordini del giorno con i qualisi reclama quello che noi chiamiamo Alto Adige e che tale deve restare, per-ché noi consideriamo irrevocabile la frontiera del Brennero che, dichiaro, ilGoverno italiano difenderebbe a qualunque costo».

«Tre precise affermazioni del discorso dell’on. Mussolini – commentò IlMessaggero alcuni giorni dopo – hanno provocato quasi generali proteste inAustria e in Germania: l’intangibilità dell’Alto Adige, il divieto dell’unionedell’Austria alla Germania e l’opportunità che il Patto di Garanzia si esten-da anche al Brennero, ossia alla frontiera italiana». Per il giornale romano,quindi, Mussolini aveva chiesto una garanzia alla frontiera settentrionale ita-liana. Tale ipotesi «la combattono tutti i giornalisti germanici-osservando

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che essa appare assurda, perché la Germania non confina con l’Italia né alBrennero né altrove. Ma si è dimenticata a Berlino la guerra passata, duran-te la quale la Germania, che pure non confinava con l’Italia, alleatadell’Austria contro l’Italia ha mandato truppe germaniche attraverso il ter-ritorio austriaco anche alla frontiera italiana. La precisazione dell’on.Mussolini è suggerita dunque dai fatti documentati della Germania»47.

Non meno significativi appaiono i commenti di persone che avevanorivestito nella politica estera italiana, in un recente passato, ruoli non tra-scurabili. Per Carlo Schanzer, già ministro degli esteri (nei due GoverniFacta), Mussolini aveva fatto molto bene a sottolineare l’opposizionedell’Italia all’Anschluss: «Chi scrive queste righe fece un’analoga, recisadichiarazione nella conferenza interalleata di Londra nell’agosto 1922.L’Italia non può perdere il frutto della vittoria né vedersi mutare a propriodanno l’assetto centroeuropeo, con gravi pericoli politici ed anche col peri-colo economico che la Germania, attraverso l’Austria, riassuma l’azionepolitica del Drang nach Osten, della spinta germanica verso l’Oriente, sbar-rando le porte alle legittime aspirazioni italiane». L’Italia era favorevole adun patto di garanzia, ma entro i limiti di quanto stabilito dai trattati di pace.«È vero che per effetto dei trattati non abbiamo bisogno di nuove garenzie,essendo la nostra posizione nell’Alto Adige internazionalmente inattaccabi-le, anche nei confronti della Germania, che deve rispettare l’articolo 80 deltrattato di Versailles. Ma, qualora, con un nuovo trattato fra cinque o piùpotenze, si riaffermasse una speciale garenzia delle frontiere francesi, nonsarebbe ammissibile che si passassero sotto silenzio le frontiere italiane»48.

Carlo Sforza, predecessore di Schanzer (nel quinto Governo Giolitti enel secondo Bonomi), ritenuto un antifascista della prima ora (suscitaronoclamore le sue dimissioni da ambasciatore a Parigi, dopo il 28 ottobre1922), così osservava il 31 maggio 1925 sul Corriere della Sera: «Il discorsoche (...) pronunziò al Senato italiano il Presidente del Consiglio e Ministrodegli Esteri non ebbe nuovi accenti come quelli che ispirarono Painlevé.Non era il caso, del resto. Su vari punti toccati da quel discorso il consen-so degli italiani può essere generale; a cominciare dalla più importante frale nostre questioni attuali, quella del patto di garanzia; che, per la dignità e

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la sicurezza italiane, noi non possiamo ammettere che come patto a cinque;il tutto, cioè anche gli eventuali patti accessori, sotto l’egida della Societàdelle Nazioni (...) Ma perché il sacro patrimonio della nostra vittoria nonsia mai minacciato – continuava Sforza – non basta formular moniti solen-ni sull’inviolabilità del Brennero. Sia qui permesso anzi di rilevare che certevolontà supreme di un popolo, come quelle della intangibilità della nostracerchia alpina, dal Brennero al Nevoso, non guadagnan forse ad esser pro-clamate con enfasi esterna (sic). È quasi autorizzare a che si ponga il pro-blema. Meglio reagire duramente quando in territori stranieri e non limi-trofi, si permettono od organizzano manifestazioni pangermaniste che osanporre in questione le nostre frontiere»49.

Molti organi della stampa estera interpretarono il discorso di Mussolinicome richiesta di garanzia al Brennero: è il caso, ad esempio, del Journal deGenève in un articolo del 17 giugno a firma di William Martin50; ma èanche il caso de La Nation Belge51. Questa interpretazione fu ripresa, in altrigiornali, nel più ampio contesto della politica italiana di sicurezza52. Nondiversamente il discorso al Senato venne interpretato dai circoli diplomati-ci romani53.

Bisogna dire che su questo punto (richiesta o meno di una garanzia alBrennero) la storiografia molto si è cimentata con risultati interessanti, sullabase di un vario e crescente apporto di fonti. L’interpretazione del discor-so di Mussolini quale esplicita richiesta di garanzia sulla frontiera italo-austriaca ha trovato molti estimatori, i quali si sono basati sull’esplicita men-zione del Brennero. Il Di Nolfo54, il Cassels55, il Mosca56, per non citarneche alcuni, hanno visto nel Brennero l’alfa e l’omega della politica diMussolini di questo periodo, o come costante (così il Cassels) o come capo-volgimento di essa (in tal senso il Mosca). Altri studiosi, quali il Toscano eil De Felice, addebitando a Mussolini l’uso nel suo discorso di una termi-nologia impropria, non hanno creduto che egli avesse in mente ilBrennero57. È stato anzi sottolineato che sollevare la questione delBrennero avrebbe significato riconoscere implicitamente l’Anschluss58.

Ad un’attenta analisi del verbale risulta che Mussolini: a) vedeva in unpatto allargato la migliore soluzione al problema della sicurezza; b) faceva

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intendere che, siglando un tale patto, non si doveva inficiare il risultato dellavittoria, consistente per l’Italia in quella solida garanzia sul Brennero che itrattati di pace assicuravano. Questo però non equivaleva a chiedere che ilpatto di sicurezza garantisse il Brennero, ma piuttosto ad esigere che esso siarmonizzasse con l’assetto della pace in altri trattati consacrato. Dal reso-conto sommario, invece, emerge: a) che il patto di garanzia a cinque era l’i-potesi preferibile; b) che tale patto era da coordinare possibilmente «conaltri patti di garanzia»; c) che condizione prima era anche la garanzia dellafrontiera del Brennero (presumibilmente con uno di questi patti).

La versione del discorso risultante dal verbale fu inviata dal Capo diGabinetto del Ministero degli Esteri, Paulucci de’ Calboli Barone, alle rap-presentanze diplomatiche italiane59. Quella del resoconto sommario vennediffusa dai giornali 60. Entrambe le versioni del discorso di Mussolini alSenato trovansi nelle carte dell’Archivio di Gabinetto del Ministero degliEsteri. Come spiegare le ragioni della differenza testuale? E, soprattutto, sideve o meno propendere per l’ipotesi di una richiesta italiana di garanziasulla frontiera del Brennero?

La differenza testuale tra le due versioni non può ascriversi al mero fattoche il resoconto sommario di un discorso parlamentare possa essere menofedele di un verbale stenografico. Infatti, come abbiamo visto, nel suddettoresoconto le parole di Mussolini sono riprodotte quasi integralmente, tran-ne che nella spinosa questione del Brennero, dove il trascrittore si prendequalche libertà redazionale.

Non è ipotizzabile che Mussolini intendesse presentare due versioni,una per l’estero e l’altra per l’Italia, giacché dentro e fuori il paese, sui gior-nali61 e nei circoli politico-diplomatici, le interpretazioni suscitate daldiscorso furono molteplici. Si potrebbe pensare, invece, ad una deliberatavolontà di Mussolini o di altri di presentare due versioni per diversi scopi(far presente i diritti dell’Italia, accrescere il prezzo della partecipazione ita-liana al patto renano, e così via). Quest’ipotesi è suffragata dal fatto cheMussolini, pur notando la non trascurabile differenza testuale tra le due ver-sioni del suo discorso62, non richiese alcuna correzione ai competenti uffi-ci del Senato63.

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L’incaricato d’affari tedesco, von Prittwitz, dopo aver esaminato il discor-so di Mussolini, chiese udienza a Palazzo Chigi e fu ricevuto il 22 maggio daArlotta (Contarini era ancora ammalato). Prittwitz dichiarò che il passo deldiscorso concernente la garanzia del Brennero avrebbe potuto provocaremalintesi e indurre a credere che l’Italia volesse allargare i termini del pattodi garanzia, contrariamente alla linea finora seguita. «Dalla conversazione conA[rlotta] – informò Prittwitz – ho tratto la precisa impressione che il discor-so di Mussolini sia stato pronunciato senza previo contatto con i competen-ti uffici del Ministero degli Esteri. A[rlotta] ha interpretato il problematicopasso solo come accentuazione dell’immutabilità dei trattati di pace riguardoalla frontiera del Brennero». Il diplomatico italiano si era riservato comunquedi interpellare Mussolini per ulteriori chiarimenti64. Arlotta, quando rividePrittwitz, gli lesse il testo del discorso di Mussolini, così come trasmesso allalegazione italiana a Berlino. «La frase da me rilevata come malinteso – scris-se Prittwitz – è ora corretta e dice ‘Non bisogna garantire le frontiere delReno in modo da indebolire le garanzie per il Brennero’». Il direttore degliAffari Politici insistè poi, anche a nome di Mussolini, nel dissuadere laGermania dal cercare altri vantaggi con il patto renano: sarebbe stata un’im-prudenza che l’opinione pubblica italiana non avrebbe compreso65.

Il discorso di Mussolini non fu privo di effetto a Berlino, dove si era cre-duto, fino a quel momento, che l’Italia non intendesse essere troppo coin-volta nella questione della sicurezza.Tale congettura ora vacillava, lasciandosupporre che il “duce” intendesse sollevare la questione dell’Anschluss echiedere la garanzia sul Brennero. «Ritengo davvero necessario – cosìStresemann telegrafò a Prittwitz – fare il tentativo di ricevere da Mussoliniun’inequivocabile dichiarazione sui punti del suo discorso che potrebberointeressarci». Il rappresentante tedesco avrebbe perciò dovuto compiere unpasso ufficiale nei termini seguenti: il governo tedesco, pur considerandoattentamente gli argomenti di Mussolini e desiderando procedere d’accor-do con l’Italia, rilevava che nel discorso al Senato non si era spesa una paro-la sulla questione di Colonia; il governo tedesco pregava perciò l’Italia diinteressarsene presso gli alleati in modo tale che «le richieste di disarmo nonvenissero utilizzate come strumento per mandare all’aria l’evacuazione»;

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Stresemann apprezzava poi l’idea di patto a cinque (sempre che allaGermania non si imponesse l’ingresso preventivo nella Società delleNazioni). Quanto al Brennero, la Germania aveva sempre pensato cheMussolini non mirasse ad una garanzia su quella frontiera: «Se egli avesseora per caso mutato avviso, noi deploreremmo ciò in guisa particolare»;infatti tale mossa avrebbe spinto Polonia e Cecoslovacchia a chiedereanch’esse garanzie aggiuntive. Sarebbe stata inoltre snaturata l’intera que-stione della sicurezza, questione scaturita da precise esigenze francesi che,rimaste insoddisfatte nel 1919, ora la Germania accettava di considerare. «Aciò si aggiunge – proseguiva Stresemann – che per frontiera del Brenneronon si intende assolutamente frontiera tedesca e che è invero una contrad-dizione, da un lato rifiutare l’unione dell’Austria alla Germania in manieracosì categorica, come Mussolini ha appena fatto, e dall’altro pretendere dallaGermania che essa garantisca le frontiere tra l’Austria e l’Italia». Stresemannpassò quindi ad esaminare il delicato problema dell’Anschluss. A Berlino siera creduto, da vari segnali, che l’opposizione di Mussolini fosse solomomentanea e non si comprendeva ora la sua repentina presa di posizione,che portava acqua al mulino di Benes. «La Germania non può naturalmen-te pervenire ad un impegno negativo anche per un’eventualità futura; nonsi può quindi pretendere che noi si rinunci per sempre alla possibilità diregolamento che il trattato di Versailles ha previsto all’articolo 80», del qualeera peraltro impossibile un nuovo solenne riconoscimento66.

Chiedere la garanzia al Brennero si rivelava quanto mai problematicoper l’Italia; si correva il pericolo, infatti, di compromettere l’intero negozia-to sulla sicurezza e di veder mai realizzato il patto renano. Si rischiava inol-tre di mettere a dura prova la vecchia intesa dei vincitori, e forse anche diperdere il senso politico degli articoli 80 di Versailles ed 88 di Saint-Germain.Ma per contro, occorreva tener presente che Stresemann aveva un“programma” di tutto rispetto: la Germania non avrebbe mai rinunciato, siafuori che dentro la Società delle Nazioni, a realizzare l’Anschluss ricorren-do all’articolo 80 del Trattato di Versailles.

Quanto a Mussolini, va considerato che se avesse inteso chiedere toutcourt una garanzia sul Brennero, allora egli senz’altro avrebbe fatto dirama-

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re alle rappresentanze all’estero la versione del discorso che meglio servivaal caso, quella cioè del resoconto sommario, che i rappresentanti diploma-tici avrebbero utilizzato nel trattare la questione della sicurezza nelle capi-tali ove erano accreditati. Invece, come già detto, fu inviata all’estero per viatelegrafica proprio la versione meno atta ad interpretarsi come richiesta digaranzia sul Brennero, cioè quella a verbale negli atti parlamentari.Va poiricordato che sempre questa versione fu richiamata da Mussolini allorché,nei giorni seguenti, ricordò ai rappresentanti diplomatici i termini del suodiscorso al Senato67.

È da notare infine che nel resoconto sommario del discorso (cioè la ver-sione che presta il fianco all’ipotesi di una richiesta di garanzia), si trova uninteressante accenno ad un sistema di patti di sicurezza, considerato, questosì, la vera garanzia: ad ovest, ad est e a sud della Germania. In questo siste-ma di patti, una richiesta di garanzia al Brennero avrebbe certamente avutominor senso, in quanto molteplici patti di garanzia potevano essere basi por-tanti di un sistema di sicurezza generale, senza nulla trascurare del prece-dente assetto dei trattati di pace e senza categorie superiori di frontiere, diterritori o di obblighi giuridici. Non si può dire che l’idea di un tale siste-ma sia stata sviluppata da Mussolini in maniera più precisa ed approfondi-ta; tuttavia essa non era priva di interesse e certamente poteva divenireoggetto di una disamina con le cancellerie alleate (anche se non tutti avreb-bero poi accettato di partecipare ad una costruzione che, per certi versi, sipresentava non poco ardita). In tale ambito, quindi, una garanzia sic et sim-pliciter sul Brennero passava senz’altro in secondo piano68.

Era dunque l’eventualità di un’unione austrotedesca a rendere Mussoliniprudente e molto sensibile ai temi della sicurezza, al punto da adoprarsiperché non si realizzasse quella “doppia categoria” di frontiere che la pro-posta francese di risposta alla Germania sembrava ventilare. Mussolini noncriticò subito il progetto francese69, ma da esso prese le distanze nei giorniseguenti, dopo un più attento esame che lo portò a vedere nella frontierarenana una fonte di insicurezza per l’Europa.

È dunque vero che, nel suo discorso al Senato, Mussolini si espresse intermini inappropriati (nell’economia di una trattazione che egli stesso giu-

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dicò «disordinata»); ma è anche possibile che covasse del risentimento versochi, a suo parere, faceva della frontiera occidentale tedesca il baricentro deiproblemi europei, senza curarsi della sicurezza a più ampio raggio, in unsistema coordinato col dispositivo dei trattati di pace. C’era inoltre il fattoche Briand, il quale tanta comprensione aveva mostrato in passato nei con-fronti delle aspirazioni coloniali dell’Italia, ora, da ministro degli esteri, nonsi pronunciava chiaramente per trovare una soluzione alla questione tunisi-na, mentre aveva avuto piena attuazione l’accordo italobritannico del 15luglio 1924 sull’Oltre Giuba.

Mussolini dunque, se da un lato nutrì delle riserve verso il progetto fran-cese di risposta alla Germania, dall’altro riscontrò «spesso una analogia diatteggiamento fra Inghilterra ed Italia»70; la qual cosa lo induceva a speraredi poter contribuire con gli inglesi alla revisione del documento, attraversouna costante e reciproca consultazione. Ma anche se gli alleati si dispone-vano ormai a passare alla fase negoziale del patto di garanzia, Mussoliniadottò una certa cautela nell’esporre il suo pensiero. Un tale atteggiamen-to mirava a ridurre al minimo il rischio di veder lesi gli interessi italiani, eirrimediabilmente compromessa la vecchia e un po’ malandata coalizionedei vincitori.

3. LA RISPOSTA DELLA FRANCIA ALLA NOTA TEDESCA

Il discorso di Mussolini al Senato aveva spiegato la posizione dell’Italiain materia di sicurezza, mettendo il problema dell’Anschluss al primo postotra gli interessi italiani. Esso altresì era diretto agli ex alleati dell’Italia, daiquali ci si attendeva un chiarimento sui programmi futuri. Conosciuto ilprogetto francese di risposta alla Germania, Mussolini volle sapere cosa nepensasse Chamberlain, onde potersi opportunamente concertare71. Larichiesta di informazioni da parte di Mussolini si incrociò con un tele-gramma di Della Torretta, che appunto informava sul pensiero diChamberlain. Il ministro inglese attendeva di conoscere meglio la posizio-ne di Briand; pur astenendosi da precisi commenti sul progetto francese di

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risposta alla Germania, Chamberlain aveva comunque l’impressione chealcuni passaggi di quel documento duplicassero inutilmente o, addirittura,modificassero gli articoli 10, 16 e 17 del Covenant 72. Nei giorni seguentiDella Torretta precisò che Chamberlain temeva che la Francia ritornasse alProtocollo di Ginevra e mirasse ad estendere oltre misura quella garanziache la Gran Bretagna voleva limitata alla frontiera occidentale tedesca73.L’ambasciatore italiano a Londra inviò anche copia degli emendamenti cheChamberlain desiderava apporre al progetto francese di risposta allaGermania74. Il rilievo politicamente più importante mosso dagli inglesi erache la Francia presupponeva un’omogeneità di punti di vista che, sul pro-blema della sicurezza, era tutta da dimostrare.

Appreso tutto questo, Mussolini fece preparare una nota verbale che il4 giugno fu inviata all’ambasciata britannica a Roma75. Il Regio Governo,si diceva nella nota, «è in grado di dichiarare che concorda col Governobritannico nel concetto che la risposta da dare al Governo Tedesco dovreb-be riflettere il pensiero comune degli alleati. Conferma inoltre di esseredisposto a fare per parte sua quanto gli è possibile per giungere alla realiz-zazione di questo patto, che giudica efficace ad assicurare il mantenimentodella pace, in quanto viene stipulato d’accordo con la Germania». Dal testodefinitivo di questa nota venne eliminato l’accenno ad una partecipazioneitaliana al patto di garanzia76. Ma l’Italia, «in linea di massima», subordina-va al raggiungimento di un accordo modalità e dettagli di attuazione, poi-ché questi perdevano di importanza rispetto al primario obiettivo dellapace. Dopo aver constatato, dunque, il persistere di una differenza di vedu-te tra inglesi e francesi sul seguito da dare alla proposta tedesca, l’Italia sem-brava allinearsi alla posizione di Londra. In realtà, riservandosi di deciderein merito alla partecipazione al patto di garanzia, essa confermava la suaposizione di riserbo, dal momento che non era ancora chiara la natura del-l’impegno previsto per le altre frontiere tedesche.

L’Italia infatti desiderava garanzie aggiuntive a quanto il progetto fran-cese di risposta alla Germania già prevedeva, anche se su quel progettosostanzialmente concordava. Fu quest’ultimo dato di fatto a spingere il Quaid’Orsay verso alcune iniziative diplomatiche. In un colloquio del 3 giugno

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con Romano Avezzana il Segretario Generale Berthelot, prendendo attodel fatto che Londra desiderava impegni piuttosto limitati, domandò se unaccordo tra Francia ed Italia, a complemento del patto renano, non avreb-be per caso costituito un ottimo strumento a tutela dell’indipendenzaaustriaca, oggetto di interesse comune. Romano rispose di non potersi pro-nunciare in proposito prima di aver consultato il suo governo; del restoBerthelot, richiesto del tipo di accordo in oggetto, si era mantenuto sulvago. L’alto funzionario francese pregava, altresì, di non considerare certesue personali prese di posizione, non troppo amichevoli verso l’Italia, comemancanza di comprensione verso gli interessi del paese77.

Berthelot si riferiva ad un precedente colloquio con l’Ambasciatore ita-liano, avvenuto il 20 maggio, nel quale si era affrontato l’argomento dell’a-desione italiana allo Statuto di Tangeri. Berthelot aveva fatto riferimentoalle precedenti intese (del 1900, 1902 e 1912) concernenti il reciprocodisinteresse, italiano e francese, sul Marocco e sulla Tripolitania: la questio-ne tangerina riguardava pertanto solo Francia, Spagna e Gran Bretagna. Seterze potenze avessero inteso aderire allo Statuto di Tangeri, in vigore dal1° giugno 1925, avrebbero dovuto farlo sic et simpliciter e senza porre con-dizioni. Berthelot aveva concluso quella conversazione con RomanoAvezzana osservando «che una risposta netta è sempre meglio di un equi-voco e che una spiegazione amichevole e sincera era conforme alle rela-zioni ed ai sentimenti di cordialità dei due paesi»78. Da quel 20 maggioBerthelot si era ammorbidito nei confronti dell’Italia, certamente per ilsemplice fatto che alla Francia occorreva un partner da contrapporre allaGran Bretagna nel negoziato sulla sicurezza che, dopo gli emendamenti diChamberlain al progetto di nota francese alla Germania, si annunciava lentoe difficile.

Queste osservazioni ci sembrano importanti ed ancor più lo sono se sipensa che, in concomitanza con tali avvenimenti, Briand si premurò dipuntualizzare a Londra che il patto di garanzia non avrebbe dovuto limita-re la libertà della Francia di intervenire in aiuto della Polonia e dellaCecoslovacchia, qualora fosse stato necessario79. La questione ha i suoi pre-cedenti. Appena giunto al Quai d’Orsay, nell’aprile del 1925, Briand aveva

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professato fedeltà alle alleanze orientali della Francia80, e proposto aChamberlain la costruzione di un sistema di trattati di arbitrato tra laGermania ed i suoi vicini orientali; sistema che avrebbe dovuto costituirepoi la base di accordi più ampi81. Nella bozza di nota alla Germania, sotto-posta all’esame degli inglesi, il governo francese pretese che il sistema deipatti di arbitrato avesse la medesima garanzia assicurata al patto renano. Mal’idea francese non venne accolta a Londra, dove fu liquidata durante unariunione del Comitato di Gabinetto del 26 maggio, il quale al contempoconstatò che la Francia era condizionata dall’alleanza con la Polonia. «Così,sebbene le proposte francesi fossero un po’ incerte, esse miravano a legarel’assetto occidentale con quello orientale», e questo andava evitato82. Purriconoscendo quindi l’utilità dei patti di arbitrato orientali, nel progetto dinota alternativo a quello francese, il governo britannico rifiutò di assicura-re ad essi la stessa garanzia data al patto renano83, il che a Parigi non pro-dusse buon effetto. Il 29 maggio, l’ambasciatore inglese scrisse dunque:«Non sarei sorpreso se il governo francese cercasse di rassicurare gli Stati aldi fuori del patto renano, suggerendo una sicurezza più specifica per essi,oltre ed al di sopra di quella di cui essi godono già in base al Covenant dellaSocietà delle Nazioni»84.

Si può dunque comprendere perché, sulla scia di Berthelot, fu lo stessoBriand a procedere nella manovra di avvicinamento della Francia all’Italia,per averla più vicina nel “momentoso” frangente. Il Ministro ebbe dunqueun colloquio con Romano Avezzana, nel corso del quale questi trovò mododi proporre che l’eventuale accordo italofrancese garantisse lo status quoeuropeo, nel modo in cui il patto renano avrebbe garantito lo status quo sullafrontiera occidentale tedesca. A queste osservazioni Briand replicò convaghezza, dicendo di non aver ben studiato la questione85.

Il 5 giugno apparve su L’Idea Nazionale un corsivo di Francesco Coppo-la, intitolato «La politica del patto a cinque». In esso l’autore respingeva l’i-dea di una garanzia al Brennero, frontiera che l’Italia poteva benissimodifendere da sé; aggiungeva altresì che, per poter partecipare ad una garan-zia sulle frontiere orientali, l’Italia avrebbe dovuto ottenere importanti van-taggi nel Mediterraneo86. L’articolo in questione rispecchiava una corren-

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te d’opinione diffusa nel paese, che collegava questioni europee e questio-ni coloniali ai fini della partecipazione italiana alle importanti iniziativediplomatiche del momento. Inoltre Coppola faceva propria la formula di“patto a cinque” e precisava i termini della vessata questione del Brennero.

A nostro avviso l’articolo rispecchiava la posizione di Mussolini di cuiCoppola si faceva latore. Basti pensare alla sua posizione (all’epoca membrodella delegazione italiana alla Società delle Nazioni) ed al fatto che il suogruppo e la sua rivista,Politica, erano molto ascoltati dal governo per le que-stioni di politica estera87.

L’articolo del Coppola non venne tuttavia ritenuto dall’ambasciata fran-cese a Roma indicativo della posizione di Palazzo Chigi. «Il fatto che ungiornale avente legami con il Governo gli abbia accordato ospitalità – com-mentò l’incaricato d’affari francese Roger – non significa necessariamenteche i circoli dirigenti italiani condividano le sue idee. Le conversazionirecenti che il signor Besnard ha avuto tanto con Contarini quanto con ilnuovo Capo di Stato Maggiore Generale mostrano in effetti che la garan-zia del Brennero non è sottovalutata da coloro che hanno la responsabilitàdella politica italiana»88.

L’accenno di Roger ai colloqui avuti a Roma da Besnard richiede unaprecisazione.

Badoglio, appena divenuto, il 4 maggio, Capo di Stato MaggioreGenerale89, aveva intrattenuto, a metà del mese, l’ambasciatore franceseBesnard sui rapporti italofrancesi, prospettando un’alleanza militare inchiave anti-tedesca. Di questo suo progetto, Badoglio aveva informatoanche l’incaricato e l’addetto militare dell’Ambasciata di Francia, cioèRoger e il colonnello Langlois. Egli aveva sottolineato di aver parlato dellaquestione con lo stesso Mussolini in termini molto chiari, e che Mussolini«era anche lui convinto del pericolo tedesco». Di queste avances furonomessi al corrente il Ministero della Guerra francese e il maresciallo Foch,Presidente del Comitato Militare Alleato di Versailles. A Parigi, l’idea diBadoglio fu considerata molto seriamente, ma se ne attendeva la concre-tizzazione in una proposta ufficiale di intesa politica, avanzata dal governoitaliano90.

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Capitolo III – L’Italia ed il problema della sicurezza

Il 4 giugno la Camera discusse della ratifica dei trattati di Versailles, delTrianon e di Neuilly. In tale occasione l’onorevole Salandra invitò l’assem-blea ad appoggiare, in nome dell’interesse di Stato, la linea politica giàespressa da Mussolini al Senato. In opposizione a Riboldi, favorevole, intema di unione alla Germania, al principio di autodeterminazionedell’Austria, Salandra chiarì che l’Anschluss era vietato dai trattati, cuiAustria e Germania dovevano conformarsi. Accusando indirettamenteBriand di aver favorito nel 1921 i tentativi di restaurazione in Ungheria,Salandra rivendicò infine il diritto per l’Italia di essere consultata su tutte lequestioni riguardanti l’Austria. Fu interrotto su questo punto da Mussoliniche disse: «Nessuna soluzione senza l’Italia e soprattutto nessuna soluzionecontro l’Italia»91.

Fu questa la linea di vigilanza che l’Italia adottò, non solo nei confron-ti degli ex alleati, ma anche nei confronti della stessa Germania.

Tornato a Roma, dal breve congedo, l’ambasciatore von Neurath, il 5giugno, fu ricevuto dal Presidente del Consiglio e con questi ebbe un col-loquio dal quale dedusse che effettivamente Mussolini aveva abbandonatola primitiva posizione e desiderava «ora far dipendere la partecipazionedell’Italia alla garanzia sulla frontiera occidentale dall’inclusione della fron-tiera del Brennero e da un’eventuale modifica dell’articolo 80 del Trattatodi Versailles»92.

Von Neurath era tuttavia dell’avviso che questo mutar pensiero fosseeffetto di uno sfogo provocato occasionalmente dalla propaganda in favoredell’Anschluss, ma i cui motivi profondi andavano ricercati nella paura degliitaliani di perdere il sud Tirolo in caso di realizzata unione austrotedesca.«Attualmente – dichiarò infatti Contarini a Neurath – la questione sud-tirolese è una questione austriaca, più tardi sarà una questione tedesca». Eraquesto il nodo delle relazioni italotedesche più difficile da sciogliere.

Neurath informò altresì il suo governo di aver sollecitato Mussolini aspiegare il motivo di un così repentino mutamento rispetto alle questionidell’Anschluss e del Brennero. Mussolini fu evasivo; disse che il suo discor-so al Senato era rivolto in primo luogo alla Francia, a causa della qualel’Italia non voleva essere coinvolta in una guerra con la Germania. Se l’Italia

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doveva garantire il Reno, allora occorreva anche garantire il Brennero. Aquesto punto Neurath spiegò che le situazioni erano affatto differenti; male sue argomentazioni, come egli stesso racconta, naufragarono «di fronteall’idea preconcetta che ora o mai più era giunto il momento per una defi-nitiva decisione in favore delle attuali frontiere dell’Italia». Da Mussolini,Neurath riuscì solo a spuntare la promessa di discutere con lui ulterioridecisioni italiane sul patto di garanzia.

Terminato il colloquio, l’ambasciatore tedesco vide Contarini. Questi,pur negandolo, diede l’impressione di puntare alla «fusione delle questionidel Brennero e dell’Anschluss, così come ad un mutamento delle disposi-zioni dell’articolo 80 del trattato di Versailles».

Il tema sollevato da Mussolini e Contarini, quello di un mutamentodelle disposizioni dell’articolo 80 di Versailles, richiede alcune osservazio-ni. L’articolo 80 vietava l’unione dell’Austria alla Germania, tranne checol consenso del Consiglio della Società delle Nazioni. Detto consenso,in base all’articolo 5, primo comma, del Covenant, doveva esser espressoall’unanimità. Di conseguenza, il semplice veto dell’Italia sarebbe bastatoa negarlo. Perché dunque Mussolini e Contarini prospettarono ai tedeschila modifica dell’articolo 80 di Versailles? L’unica risposta possibile è cheessi temessero, più o meno fondatamente, che il Consiglio della Societàdelle Nazioni facesse del consenso all’Anschluss una delle questioni diprocedura sulle quali, giusta le disposizioni dell’articolo 5, secondocomma, sarebbe bastato il voto a maggioranza; l’unione tra Germania edAustria avrebbe così potuto realizzarsi prescindendo dal veto italiano. Percombattere tale eventualità, si rendeva allora necessario trasformare ildispositivo dell’articolo 80, prescrivendo o esplicitamente l’unanimità, oil divieto assoluto di Anschluss. Va però aggiunto che la questione nonsembrava all’ordine del giorno dei negoziati sulla sicurezza, e che il pre-visto ingresso della Germania nella Società delle Nazioni, con la possibi-lità di servirsi dell’articolo 19 del Patto, non implicava la realizzazionelegale dell’Anschluss.

V’erano tuttavia degli episodi inquietanti che inducevano Palazzo Chigia ventilare ai tedeschi la possibile modifica dell’articolo 80: i discorsi filo-

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Capitolo III – L’Italia ed il problema della sicurezza

annessionistici di Löbe e di Marx; il colloquio dell’8 maggio tra Stresemanne De Bosdari; le voci secondo cui D’Abernon era favorevole all’Anschluss.

Non va poi trascurato il fenomeno dell’associazionismo austrotedesco.La nota Andreas Hofer-Bund, campione dell’irredentismo sudtirolese, stavacercando di fondersi con altre organizzazioni austriache dedite alla propa-ganda pangermanista93; mentre la neonata “Unione di Lavoro Austro-tedesca” (Österreichisch-deutscher Arbeitsgemeinschaft), con sede a Vienna, siponeva tra i suoi obiettivi di «giungere all’intima fusione dei due popolisenza trasgredire formalmente le prescrizioni dei trattati di pace»94, e pre-sto pervenne alla conclusione che, dal punto di vista economico, l’Anschlusssarebbe stato la soluzione migliore per l’Austria95.

V’era perciò a Palazzo Chigi l’esigenza di dare una risposta adeguata aitedeschi ed a quanti agitavano lo spauracchio dell’Anschluss e dell’irreden-tismo sudtirolese. Fu probabilmente il Segretario Generale del Ministerodegli Esteri, Contarini, insieme ad Arlotta (capo della Direzione GeneraleAffari Politici e Commerciali) ed a Biancheri-Chiappori (capo dell’UfficioII “Austria-Cecoslovacchia” di quella Direzione), ad occuparsi della que-stione, seguita poi da Arlotta e Biancheri (ma forse anche da Lojacono)durante la malattia e la convalescenza di Contarini. Dall’esame collettivodella delicata materia sarebbero scaturiti alcuni promemoria, come quegliAppunti intorno al problema austriaco, del 15 maggio, di cui s’è già parlato. Ilprogetto, utile per il caso in cui da parte tedesca si fosse puntato all’Anschlusse da parte alleata si fosse abbassata la guardia, identificava dunque un revi-sionismo speculare a quello tedesco, non affatto favorevole ai disegni diBerlino.

Ma va detto che del progetto in questione non si riscontrano tracce nellavoro di quella che avrebbe potuto esser la sede naturale dell’esame di que-stioni simili, ossia il Consiglio del Contenzioso diplomatico del Ministerodegli Esteri96. Infatti né il suo Segretario generale,Amedeo Giannini (fun-zionario di ampia cultura, di provata competenza e di agile versatilità97), néil Consiglio nel suo complesso, la più ristretta Giunta o particolari com-missioni ad hoc, furono mai incaricati di studiare il tema di una modificadell’articolo 80 di Versailles98.Trattandosi di questione di rilevanza politica,

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potrebbe darsi che il Ministero ritenesse opportuno tenerne fuori i “tecni-ci” del Contenzioso99; e in ciò Contarini stesso avrebbe avuto un ruolonon marginale, essendo egli membro di diritto di quest’organo. L’ipotesiavanzata è dunque sorretta da pochi elementi e va considerata cum granosalis, come una delle possibilità studiate a Roma perché alle insidie dellaGermania non corrispondesse il lassismo degli alleati.

Nei suoi colloqui con Mussolini e Contarini, l’ambasciatore vonNeurath aveva anche tratto l’impressione che la Francia stesse cercando «diguadagnare gli italiani alla visione francese nella questione della sicurezza».«È sicuro – commentò – che il signor Briand, al contario del suo prede-cessore Herriot, il quale ha combattuto Mussolini e il governo fascista colsostegno all’opposizione italiana, ha seguito la tattica di ridurre la tensionetra Italia e Francia, per il tramite di una minima platonica accettazione deidesideri italiani». Neurath dubitava che Briand riuscisse nell’intento, consi-derati i discorsi di Mussolini al Senato e di Salandra alla Camera. La posi-zione italiana era tuttavia «non molto promettente», visto che il capo delgoverno avrebbe chiesto concessioni, per abbandonare l’idea di garantire ilBrennero100, e anche se tale idea era difficile da accettare per gli stessi allea-ti dell’Italia101.

Il punto di vista di Mussolini, già in nuce nella nota inviata all’ambascia-ta di Gran Bretagna, si evince da una bozza di telegramma a RomanoAvezzana, in risposta ai dispacci del 3 e 4 giugno. In questa bozza si leggeche il patto di sicurezza aveva allora come nel 1919 uno scopo ben preci-so, «quello cioè di ricondurre nella popolazione e nel Governo francese unminimo di tranquillità nei propri rapporti con la Germania», per consenti-re alla Francia «di non insistere su un’applicazione del trattato così rigida damettere continuamente a repentaglio le proprie relazioni con la Germania,se non con la stessa Inghilterra». Era dunque interesse di tutti, e special-mente francese, che il patto conservasse tale carattere e che con esso nonvenissero sollevate «altre questioni quasi come contropartita, e specie quel-la dell’annessione dell’Austria»102. La bozza non è datata, ma è forse poste-riore ad un dispaccio dell’Agenzia di stampa francese Havas pervenuto il 7giugno. Dalla lettura del dispaccio si poteva desumere che il patto di sicu-

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rezza stava assumendo vieppiù la forma di un accordo anglo-franco-belga,lasciando insolute le questioni relative alla sicurezza dell’Austria. Secondol’analisi di De Fleuriau, l’Italia sarebbe stata costretta a provvedere alla for-tificazione della frontiera del Brennero. Si sarebbero così alterate le condi-zioni per il consenso dell’Italia al progetto francese di risposta allaGermania: Mussolini credeva infatti di aver aderito all’idea di un “patto acinque”, con l’Italia artefice attiva della sicurezza europea ed in grado diproteggere ugualmente tutte le frontiere103.

Un lungo telegramma dell’ 8 giugno rese ancor più esplicita (se mai vene fosse stato bisogno) la posizione del “duce” sull’Anschluss; in primoluogo, trovava egli strano che Chamberlain, assertore del diritto pubblicoeuropeo, venisse puntualmente smentito dalla condotta del D’Abernon aBerlino, riferitagli come filoannessionista; alle offerte francesi Mussolinidedicò quindi la parte del telegramma che noi riteniamo la più interessan-te. Egli osservò che l’unione dell’Austria alla Germania avrebbe potenziatoenormemente quest’ultima. Ciò avrebbe recato danno più alla Francia, dacui la Germania avrebbe prima o poi preteso l’Alsazia-Lorena, che all’Italia,di cui la Germania avrebbe rispettato la frontiera del Brennero. L’Anschlussera dunque meno pericoloso per l’Italia ed avrebbe costretto prima o poila Gran Bretagna a soccorrere nuovamente la Francia, come nel 1914.Mussolini concludeva che, persistendo negli alleati una politica volta a crea-re due tipi di obbligazioni nei confronti dei trattati di pace, l’Italia avrebbepotuto disinteressarsi sia del patto di garanzia sia dell’Austria e chiederedirettamente a Berlino una garanzia sul Brennero, di modo che gli effettidell’Anschluss sarebbero stati ininfluenti sulla sua sicurezza104. «L’importanzadi queste istruzioni è duplice» ha scritto il Toscano. «Da un lato, esse anti-cipavano quella che avrebbe poi finito per essere la soluzione adottata daMussolini nel marzo 1938, dall’altro, rivelavano notevoli illusioni sulla effet-tiva posizione di Parigi al momento della crisi»105.

I punti da considerare nella posizione italiana erano dunque i seguenti:la richiesta di un patto a cinque e la questione del Brennero, dai francesiinterpretata come richiesta di garanzia.A Parigi si analizzò la situazione pertrovare una qualche soluzione che fosse gradita all’Italia.

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Per i lavori del Consiglio della Società delle Nazioni Briand si recò aGinevra, dove incontrò il collega Chamberlain, con cui ebbe ripetuti eriservati colloqui sui temi della sicurezza. La domenica del 7 giugno, i dueministri pranzarono in un tranquillo ristorante sul lago Lemano, poco fuoriGinevra, ove ragionarono dei problemi del momento. Non vi fu perfettaconcordanza di vedute su alcuni punti (come su quello della definizionedell’aggressore sulla base dei princìpi del Covenant), ma sulle linee generalidella sicurezza si riscontrò pieno accordo. Dopo pranzo, Briand invitòChamberlain a fare una passeggiata a Ouchy, dove il confronto ripresedavanti a una tazza di tè. Fu a questo punto che si parlò delle frontiereorientali e anche dell’Italia.

Briand desiderava che la Francia conservasse «la sua libertà di prestareassistenza agli stati per i quali riteneva necessario accordare la sua garanzia»,senza che il patto renano costituisse un intralcio106. Su queste basi, l’8 giu-gno, egli raggiunse l’accordo con Chamberlain, sui termini della risposta dadare alla Germania107. Le conversazioni anglofrancesi provocarono vivapreoccupazione a Varsavia; il ministro degli esteri polacco, Skrzynski, desi-derava che la libertà della Francia di correre in aiuto della Polonia rima-nesse inalterata e non condizionata, come le ricorrenti voci di stampa ingle-se lasciavano intendere, dal consenso dei firmatari del patto, o da quello deimembri del Consiglio della Società delle Nazioni108 (va notato che l’am-basciatore francese a Londra, De Fleuriau, teneva costantemente informatoquel Ministro di Polonia sulle conversazioni in corso a Ginevra109).Skrzynski fece inoltre sapere che considerava il patto renano dannoso, vistoche i trattati di arbitrato non prevedevano la garanzia della Francia. In man-canza dell’assistenza francese, «l’aiuto efficace verrà dalla Polonia – così eglisi espresse – che farà marciare duecentomila uomini su Berlino»; la solu-zione alternativa poteva risiedere nella stipulazione di un patto sulle fron-tiere orientali della Germania, «analogo al patto renano»110.

Nel corso dei colloqui in Svizzera con l’omologo britannico, Briand sidisse anche disposto a considerare la possibilità di un patto francoitalianosulle frontiere orientali, con la partecipazione della Germania e dell’Austria.Ciò fornì a Chamberlain l’occasione per avanzare la proposta (concepita al

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Foreign Office da Tyrrell e da Nicolson) di invitare ufficialmente Mussoliniad uno scambio di vedute sui problemi dei Balcani, in modo da favorire unapolitica di moderazione e di pace in quest’area. L’idea fu prontamenteaccolta da Briand111, ma non fu altrettanto gradita al Quai d’Orsay, ed inspecial modo a Berthelot e a Laroche. Il 9 giugno costoro scrissero alMassigli che il piano britannico per i Balcani poteva essere pericoloso perle alleanze francesi ed essere recepito nell’area come un désistement dellaFrancia, con l’effetto di spingere la Jugoslavia sia verso l’Albania e l’Egeo,sia ad un accordo con l’Italia. Senza contare il discredito che poteva rica-dere sul “Cartello delle Sinistre”, per il fatto di invitare il dittatore italiano afar blocco comune nei Balcani112. Briand ebbe però la meglio sugli alti fun-zionari del Quai d’Orsay e una nota, contenente la proposta di Chamberlain,fu preparata il 9 giugno e consegnata il giorno dopo a Scialoja. In essa sichiedeva la solidarietà italiana nell’ambito di un’azione comune neiBalcani, per fronteggiare ogni incidente suscettibile di minacciare la pace.«È evidente che il valore di una tale azione dipende in larga misura dallacooperazione dell’Italia, che possiede un’autorità particolare negli affaribalcanici»113. Si trattava apparentemente di un importante riconoscimentodel ruolo dell’Italia nei Balcani, avendo il paese un’«autorità particolare»suscettibile di influire sul buon esito di qualsiasi azione comune. La propo-sta anglofrancese può considerarsi una prima risposta per soddisfare le atte-se italiane. Se Mussolini avesse reagito positivamente ciò avrebbe facilitatoil negoziato sul patto di sicurezza.

Sempre a Ginevra, Briand e Chamberlain concordarono, l’8 giugno, itermini della risposta da inviare alla Germania: una risposta pacata e pru-dente, la quale tra l’altro faceva salvo il principio secondo il quale potenzecome l’Italia ed il Belgio sarebbero state chiamate a far parte del patto rena-no solo dopo che Francia, Gran Bretagna e Germania ne avessero concor-dato le linee generali 114.

Uno degli obiettivi di Mussolini, quello cioè di ottenere “da subito” unpatto a cinque, poteva ritenersi dunque mancato.

L’altro obiettivo era la difesa dell’Austria. Briand ormai conosceva laposizione italiana sul problema dell’Anschluss. All’indomani della gita a

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Ouchy con Chamberlain, il ministro francese propose quindi a Scialoja un«patto di garanzia relativo alle frontiere meridionali ed orientali dellaGermania», nonché il pieno appoggio francese in favore dell’indipendenzaaustriaca.

Ma il delegato italiano mostrò un certo riserbo sulla questione115, det-tato a nostro avviso sia dai dubbi sulla condotta di D’Abernon a Berlino(ritenuto troppo favorevole all’Anschluss e troppo propenso ad avallare lecritiche agli alleati per la loro intransigenza in merito), sia dall’impressioneche, senza il patto a cinque, poco senso avrebbe avuto un “patto a due” conla Francia.

Il riserbo italiano contrastava tuttavia con le iniziative che il Capo diStato Maggiore generale continuava ad assumere. L’8 giugno, nel corso diun ricevimento al Quirinale, Badoglio avvicinò l’incaricato d’affari france-se, Roger, per dirgli che urgeva oramai che italiani e francesi si unisserostrettamente contro i probabili preparativi militari tedeschi, che in capo aquattro o cinque anni avrebbero costituito un reale pericolo. «L’Italia e laFrancia – aggiunse Badoglio – devono esser pronte ad affrontarlo. Mioprimo dovere, come capo di Stato Maggiore, è stato di occuparmi delladifesa del Brennero. Bisognerà che noi riparliamo nuovamente di tuttociò»116. Probabilmente sulla base di queste informazioni117, incontratonuovamente a Ginevra, il 9 giugno, il delegato italiano, Briand spiegò imotivi per cui si riteneva di non dover allargare il patto renano (la garan-zia limitata geograficamente), offrì la garanzia della Francia sulla frontieradel Brennero e si dichiarò disposto a dare tutte le altre garanzie richiestedall’Italia118.

Mussolini prese posizione sul fallimento dell’ipotesi di “patto a cinque”,anche sulla base di un dispaccio, datato 9 giugno, dell’agenzia di stampaHavas. Questo dava notizia delle conversazioni anglofrancesi di Ginevra elasciava intendere che Chamberlain aveva dato a Briand ogni libertà diintervenire nella zona smilitarizzata nel caso in cui la Francia avesse dovu-to aiutare gli alleati orientali 119. La sera del 9 giugno Mussolini vide l’am-basciatore britannico Graham e non gli nascose di averne abbastanza: glialleati proseguivano da soli e l’Italia pareva non contare alcunché; ragion

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per cui essa si sarebbe astenuta dall’entrare in un patto da altri concepito eche prevedeva obblighi senza corrispondenti vantaggi. Mussolini poi, insie-me a Contarini, affrontò la questione dell’Anschluss lamentandosi della con-dotta dell’ambasciatore inglese a Berlino120. Lo stesso giorno Mussoliniinformò Scialoja che se fosse rimasta la formula del “patto a tre”, difficil-mente avrebbe aderito a questo in un secondo momento visto che consi-derava criticabile la garanzia prevista e che era stata perfino soppressa laparola «Italia»121. Con un secondo telegramma Mussolini liquidò l’offertadi Briand, chiarendo che «garanzie interessanti l’Italia dovrebbero riferirsiall’articolo 80 del Trattato di Versailles relativo all’unione dell’Austria allaGermania e non specificatamente alla frontiera del Brennero». E prosegui-va: «Comunque ritengo difficile anche per riguardo all’opinione pubblicadi accedere ad un patto senza una contropartita che giustifichi gli impegnida prendere, anche di semplice natura politica e morale»122.

Mussolini aveva dunque alcuni motivi di insoddisfazione: il non allarga-mento del patto renano (che impediva all’Italia di essere membro originarioe parte attiva dell’intero negoziato); l’enigmatica condotta degli alleati sullaquestione dell’indipendenza austriaca. Quanto a quest’ultima, poi, l’affaireD’Abernon a Berlino si accompagnava alla presunta debolezza di DeBosdari123. Bruciava inoltre il desiderio frustrato che i francesi desseroall’Italia qualche contropartita politica o morale, risolvendo annosi proble-mi, come quello delle colonie e dello status giuridico degli italiani in Tunisia.

Chamberlain ritenne comunque di rasserenare l’atmosfera. Il 10 giugnodiede a Scialoja le più ampie assicurazioni del caso, rimarcando che egli eBriand avrebbero visto con soddisfazione l’adesione dell’Italia, senza con-tropartita politica, ad un patto di garanzia sulla frontiera occidentale tede-sca124, giusta le dichiarazioni (cioè le “norme e direttive” impartite daMussolini il 29 marzo) a lui stesso rese, il 1° aprile, dall’ambasciatore DellaTorretta125. Chamberlain considerava queste dichiarazioni il perno dellaposizione italiana.

L’Italia desiderava che si definisse con precisione il rapporto tra il nuovopatto e il divieto di Anschluss imposto dai trattati di Versailles e di Saint-Germain. L’ambasciatore italiano a Londra illustrò il problema al Tyrrell, in

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un colloquio del 10 giugno. Tyrrell, da parte sua, gli assicurò cheChamberlain aveva rivolto a Berlino precisi avvertimenti sull’avversione delGoverno di Sua Maestà all’ipotesi di Anschluss126.

Dai documenti francesi risulta che Della Torretta, facendosi tramite diMussolini, ribadì al Foreign Office il bisogno dell’Italia di avere informazio-ni puntuali su ciò che più la interessava, prospettando altrimenti un pattodiretto con la Germania.A Londra si interpretò tale linea di condotta comericerca di un qualche compenso: «Cosa stanno per chiederci gli italiani?»domandò Tyrrell all’ambasciatore francese. «Non sono stato in grado di dir-glielo», confessò l’ambasciatore a Briand127.

La situazione era dunque alquanto diversa rispetto a come si era pre-sentata agli inizi di aprile, e il punto di vista italiano ne risultava evoluto.Londra e Parigi avevano concordato una risposta alla Germania; l’Italia, chepure aveva aderito alla prima bozza francese, era stata tenuta fuori da que-sto lavorio preliminare, che lasciava presupporre la realizzazione di un pattoa tre, solo successivamente allargato all’Italia e al Belgio; la questione del-l’indipendenza austriaca restava sottotono e sembrava profilarsi una “super-protezione” di alcune frontiere a scapito di altre. Infine Mussolini si vedevaoffrire una garanzia sul Brennero che considerava inutile e non richiesta,ma in linea con le continue avances di Badoglio verso i francesi (e con gliaccenti sulla questione riservati da molta stampa italiana).

In una lettera giunta a Mussolini il 14 giugno del 1925, Scialoja rias-sunse i colloqui avuti a Ginevra con Chamberlain e Briand. La posizionedi Chamberlain risultava chiara: la garanzia era da limitarsi al Reno; tutta-via il patto aveva natura politica e dunque l’Italia doveva parteciparvi, ancheconsiderando l’opposizione di Londra all’Anschluss. Altrettanto chiara eral’impostazione di Briand: egli offriva garanzie incondizionate sulla frontie-ra meridionale tedesca e riteneva possibile un accordo territoriale franco-italiano, «primo forse di una catena di accordi» per poter “recingere” laGermania e così formalizzare anche l’opposizione francese all’Anschluss128.

Roger riferiva che per il Messaggero, il giornale più vicino al governo,Mussolini era disponibile a partecipare ad un patto a cinque sulla frontierarenana, in cambio di una garanzia anglofrancese sul Brennero; ma, conside-

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rata la limitatezza dell’impegno britannico, aveva preferito rinunciare. Rogerprevedeva quindi conversazioni dirette tra Roma, Berlino e Vienna129. Lasituazione era resa più complicata dal fatto che l’offerta anglofranceseall’Italia di collaborazione nei Balcani era ancora senza risposta.

All’inizio di giugno del 1925, dunque, le probabilità che l’Italia parteci-passe con entusiasmo al patto di sicurezza erano scarse. Il riserbo diMussolini non giovava in quel momento al governo inglese, in procinto dipresentare ai francesi gli emendamenti al loro progetto di nota allaGermania. L’Italia poteva essere utile, in via strumentale, contro eventualiobiezioni francesi. Per questo Chamberlain aveva rassicurato Mussolini perquel che concerneva l’Anschluss ed aveva tenuto l’Italia al corrente degliemendamenti proposti. Il tipo di garanzia che la Gran Bretagna aveva inmente doveva essere di natura difensiva ed attivarsi solo dopo il ricorso nonautorizzato all’uso della forza da parte di qualsiasi Stato, passibile quindi diesser considerato aggressore; inoltre, non ogni frontiera sarebbe stata ogget-to di garanzia, ma solo la frontiera occidentale tedesca. Nella revisioneinglese del progetto, si poneva anche l’accento sull’idea di stretta coopera-zione con la Società delle Nazioni e veniva affermata la necessità di inte-grare il Covenant con «speciali accordi per venire incontro a speciali biso-gni». Quanto poi ai trattati di arbitrato, essi non potevano che intendersicome un complemento naturale del patto renano e dunque tutt’uno conquesto130.

Agli emendamenti inglesi la Francia replicò con un dispaccio di Briandall’ambasciatore a Londra, De Fleuriau, cui si accompagnarono degli alle-gati: la Francia, era detto in questi documenti, non poteva limitare le suepreoccupazioni alla propria sicurezza. Essa voleva essere in grado di offriregaranzie a chiunque ne abbisognasse e riservarsi ogni libertà di azione nelcaso in cui fossero violati i trattati di arbitrato tedescopolacco e tedescoce-coslovacco. La Francia, pur lasciando alla Gran Bretagna e agli altri Stati fir-matari del patto renano ogni libertà di garantire o meno anche i trattatiarbitrali, si riservava il diritto di garantire da sola questi trattati «in modo daassicurarne la piena efficacia e da scartare ancor meglio le possibilità diintervento con la forza». La Francia, infine, riconosceva il principio del

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rispetto dei trattati di pace, ma sosteneva anche quello della “parità dirango” tra patto di sicurezza e trattati arbitrali 131.

Il 13 giugno, Besnard, su istruzioni di Briand, informò Contarini che laGermania stava per ricevere la risposta degli alleati alla sua nota. Contarinisi stupì di una tale comunicazione, dal momento che non era stato chiestoil preventivo assenso italiano su un testo che, del tutto rimaneggiato, nonpoteva più corrispondere a quello a suo tempo sottoposto a Mussolini. Lasituazione fu estremamente imbarazzante. Poiché l’ambasciatore francesenon era autorizzato a chiedere l’approvazione dell’Italia, «in ragione dellasorpresa manifestata da Contarini e delle osservazioni un po’ amare» di que-sti, chiese l’invio con urgenza di nuove istruzioni, ritenendo opportunodomandare ufficialmente l’assenso italiano al nuovo testo di nota allaGermania132. «Naturalmente voi chiederete a Contarini l’assenso italiano –rispose Briand – dicendogli che non è mai stata questione di cambiare lanostra procedura a tal riguardo»133. Fu così che Besnard potè indirizzare aContarini, il 14 giugno, la seguente comunicazione: «Il Governo franceseintende naturalmente, secondo la procedura che è stata seguita al momen-to della presentazione del primo progetto, chiedere l’assenso del Governoitaliano al progetto di risposta da dare al Governo tedesco sulla sua propo-sta concernente la sicurezza. Non c’è bisogno di insistere sul valore parti-colare che il Governo francese annette al ricevere tale assenso. Mi permet-to di richiamare l’attenzione di Vostra Eccellenza sul carattere di grandeurgenza della presente comunicazione»134. Contarini fu pregato di far per-venire a Besnard una risposta quello stesso 14 giugno, contando il governofrancese di inviare la nota a Berlino il 16 successivo. L’ambasciatore france-se insistè sul fatto che la risposta fosse favorevole. Contarini, nell’apprezza-re la comunicazione fattagli, lasciò sperare in un consenso italiano sullelinee generali della nota, salvo apporre qualche eventuale riserva135.

La risposta italiana fu preparata quel giorno stesso e consegnata all’inca-ricato d’affari Roger il 15 giugno. Era una nota in cui si sottolineava chel’Italia era sostanzialmente favorevole ad un patto a cinque. Dai chiarimen-ti emersi si traeva, tuttavia, l’impressione che due tipi di garanzia sarebberovenuti a coesistere, e ciò avrebbe reso vano lo scopo del patto. L’Italia, per

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questo motivo, si sarebbe riservata ogni decisione, data la discriminazionetra le garanzie previste nel futuro patto, e restava in attesa di ulteriori delu-cidazioni136.

La notizia della risposta italiana alla nota francese fu diramata il giornostesso dall’agenzia di stampa Roma, la quale motivò il riserbo italiano con ilrestringersi del negoziato alla sola garanzia sulla frontiera occidentale tede-sca, nonché con la circostanza che detto negoziato era ormai rientrato nelleordinarie sedi diplomatiche137. Il 16 giugno l’Agenzia Stefani diramò uncomunicato in cui riprendeva i contenuti della lettera di Mussolini aBesnard138. Un comunicato della Havas, dello stesso giorno, diceva invece:«Il Governo italiano dichiara di essere d’accordo col governo francese sulprincipio generale di un patto, ma (...) non si tratta in questo caso che diuna conversazione d’insieme e (...) pel momento la situazione di ciascunpaese non appare molto chiara. Soltanto quando si conoscerà la risposta delReich, i negoziati si potranno impegnare in modo fattivo, e il governo ita-liano preciserà allora il suo punto di vista»139.

Dai dispacci della Roma e della Stefani emerge un riserbo italiano giu-stificato dagli eventi e dalle trattative sino allora intercorse, nonché l’in-certezza prodotta dalla condotta di inglesi e francesi nella questione del-l’indipendenza dell’Austria dalla Germania, questione che condizionava lapartecipazione dell’Italia ad un patto di sicurezza relativo al Reno. Percontro, dalla nota Havas si desume l’accordo di massima dell’Italia sui con-tenuti della nota francese; essendo l’atteggiamento riservato ascrivibilepiuttosto alla fluidità della situazione in sé e all’attesa della replica dellaGermania. Il Petit Parisien aveva già osservato: «Il Governo italiano nonpotrà partecipare ad un accordo riguardante la frontiera del Reno, ammes-so che non veda la possibilità di ottenere, in contropartita, una garanziaanaloga per la frontiera che l’interessa particolarmente, cioè quella delBrennero»140. E un ballon d’essai era quanto rilevava il Daily Telegraph:«L’Inghilterra sente che il patto concluso senza l’Italia perderebbe granparte di valore morale e materiale»141.

Queste differenze interpretative sono sintomatiche del modo in cui lastampa, al di qua e al di là delle Alpi, guardava all’atteggiamento italiano.

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Consultata l’Italia, il 16 giugno la Germania ricevette la risposta ufficia-le alla sua nota del 9 febbraio, nei termini previamente concordati traLondra e Parigi142.

Il giorno stesso, certamente per effetto delle osservazioni di Mussolini,Briand, per il tramite di Romano Avezzana, offrì all’Italia un patto di reci-proca assicurazione sulle rispettive frontiere: patto che, a suo dire, ancheChamberlain non avrebbe visto con sfavore e che era da considerarsi acces-sorio di quello renano. Il sistema di sicurezza sarebbe stato così completoperché, secondo il ministro francese, la Gran Bretagna sarebbe stata “vir-tualmente” obbligata ad intervenire in Europa centrale in caso di neces-sità143. Briand pregò poi Besnard di ringraziare Mussolini per la letterainviatagli per suo tramite e di chiarire che comprendeva perfettamente il dilui atteggiamento. «Per evitare ogni malinteso», Briand ripercorse la storiadel problema della sicurezza e aggiunse nelle istruzioni quanto segue:«Lungi dal limitare le sue vedute alla difesa della propria frontiera, la Franciaha previsto un patto più esteso per ciò che la concerne: essa ha un vivodesiderio che l’Italia vi partecipi e firmi il patto sulla base della non aggres-sione e della garanzia della sua frontiera in tutta reciprocità con la Francianel quadro non solamente del trattato di Versailles, ma dei trattati che hannoconsacrato la vittoria degli alleati»144.

L’iniziativa fu presa dalla Francia alla vigilia della visita di una squadranavale francese, il 17 giugno, nel porto di Napoli. Questa fu accolta contutti gli onori dalla Marina Militare italiana, dalla stampa e dalla popolazio-ne e furono elargiti alla Francia i più caldi elogi.Tornato a Roma, reducedalle celebrazioni partenopee, l’ambasciatore Besnard volle offrire, il 18giugno, a Mussolini e agli alti comandi della Marina una colazione nellasede diplomatica per festeggiare l’evento. Mussolini vi si recò e in quel-l’occasione ribadì il suo vivo apprezzamento per l’atteggiamento amiche-vole della Francia ed espresse il sentimento di unione e di comunanza divedute tra i due paesi: ciò che le feste di Napoli avevano peraltro riconfer-mato145. Ma ciò nonostante la posizione di Mussolini restava invariata: itrattati sulla sicurezza andavano garantiti in tutti i loro termini dalle poten-ze firmatarie; e l’Italia era disposta ad entrare nel patto renano solo a preci-

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se condizioni. «Il Signor Mussolini – scrisse Besnard – in effetti moltoinquieto per la propaganda tedesca nel Tirolo, non mi ha nascosto l’inten-zione di non sottoscrivere il patto se la frontiera del Brennero non fossegarantita e se un’opposizione assoluta non venisse fatta ad ogni tentativo diannessione dell’Austria alla Germania. L’opinione pubblica italiana noncomprenderebbe, egli mi ha detto, che un’adesione fosse data senza con-tropartita e questa contropartita è la garanzia del Brennero». Besnard, ese-guendo le istruzioni ricevute, osservò che la Francia non escludeva di certola possibilità di concludere con l’Italia un patto per la garanzia comunedelle frontiere del Brennero e del Reno. «Quest’idea – scrisse ancoraBesnard al suo ministro – mi è sembrata essere accolta con favore dalPresidente del Consiglio e credo di poter così discernere il suo pensiero. IlSignor Mussolini preferirebbe che l’Italia entrasse in un patto a cinque conla garanzia della sua frontiera ma, in mancanza di una tale soluzione, eglisenza dubbio non respingerebbe l’idea di un patto diretto con noi.Avrebbemolte più esitazioni qualora questo patto dovesse comprendere la garanziadelle frontiere della Polonia. Ho riportato da questo colloquio – fu la con-clusione dell’ambasciatore francese – l’impressione che Mussolini temessela Germania e che fosse assai deluso dall’attitudine dell’Inghilterra: egli sitrova dunque naturalmente portato a riavvicinarsi alla Francia e se, come iopenso fermamente, questo riavvicinamento è desiderabile, ritengo che siagiunto il momento per tentarlo»146.

Cogliere l’attimo e accordarsi con l’Italia: era questa, dunque, l’opinio-ne di Besnard, ribadita a Briand il 20 giugno, insieme alla percezione cheulteriori ritardi avrebbero giocato esclusivamente a favore della Germania.«Il momento è interamente favorevole: forse si potrebbe anche approfittar-ne per regolare tutte le questioni pendenti; per la Tunisia [gli italiani] si con-tenterebbero certamente di una proroga di dieci anni delle convenzioni del’96 sulla nazionalità. Mussolini è in eccellenti disposizioni, il suo Capo diStato Maggiore, il Generale Badoglio non può incontrarmi una sola voltasenza dirmi che considera questo accordo come indispensabile». Dopo diciò, osservazioni sintomatiche del momento e una proposta: «La Germaniacerca di rimettere le mani su questo paese; noi possiamo evitarlo e voi, mio

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caro Presidente, rendere ancora una volta un immenso servigio alla Francia,legando il vostro nome a un grande accordo franco-italiano. Io vi aiuteròdi tutto cuore.Temo che nei vostri uffici non si senta abbastanza la neces-sità di questo accordo e che si giudichi troppo esclusivamente l’Italia dagliarticoli di certi giornali»147.

Cosa spingeva l’ambasciatore francese a Roma a ritenere favorevolissi-ma la congiuntura per un accordo francoitaliano? Anzitutto le buonedisposizioni di Mussolini, il quale sembra che ricevesse Besnard di frequen-te e anche quando motivi di salute gli impedivano di accordare udienza achicchessia. Inoltre si assisteva ad un momento di fulgore delle relazioni ita-lofrancesi, come gli accenti di Badoglio e gli onori tributati alla squadranavale francese stavano a dimostrare (Besnard aveva udito con le sue orec-chie 25.000 persone acclamare la “Marsigliese”). In favore della soluzioneauspicata da Besnard spingevano altresì il sospetto italiano nei confrontidella Germania e la britannica ritrosia verso un patto a cinque e verso legaranzie a sud. Besnard, infine, era convinto che Mussolini in quel periodonutrisse risentimento nei confronti degli inglesi, poco sensibili sulla que-stione dell’indipendenza austriaca. Unica incognita semmai restava ancorala posizione dell’Italia sul quadrante balcanico.

V’erano dunque ottimi motivi per attendersi da Mussolini una rispostafavorevole.

La risposta giunse il 23 giugno ed era concepita in questi termini: «Sonolieto di rilevare che il Governo della Repubblica si è reso conto del puntodi vista dell’Italia nei riguardi di tale problema. Il Governo italiano com-prende da parte sua la particolare importanza che ha per la Francia la con-clusione di tale patto, e prende atto con vivo interesse delle dichiarazionicontenute nella nota di Vostra Eccellenza circa gli intendimenti delGoverno Francese nel condurre questi negoziati, augurando che tali inten-dimenti possano tradursi in atto. Il Governo italiano non mancherà di age-volarne per quanto gli è possibile la realizzazione, se gliene sarà data l’op-portunità nell’ulteriore svolgimento delle conversazioni tra gli Alleati»148.

Emergeva, dunque, un atteggiamento di estrema cautela, imposto daldelinearsi di una “supergaranzia” sulla frontiera occidentale tedesca, a scapi-

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to della sicurezza sulle altre frontiere e della sicurezza dell’Austria149.Fallivano, così, per il momento, le iniziative di Besnard. È singolare, tutta-via, che di queste iniziative l’ambasciatore britannico a Roma sia stato man-tenuto costantemente al corrente. A Graham, la sera del 18 giugno,Contarini infatti consegnò il testo della risposta italiana alla comunicazio-ne francese del 14, osservando che «per il momento il Governo italiano nonintendeva intraprendere la proposta sperimentale di Berthelot per un pattoseparato riguardante la frontiera del Brennero». Ciò fornì a Graham l’occa-sione per illustrare i vantaggi di una partecipazione italiana al patto di sicu-rezza, anche senza la garanzia della frontiera del Brennero. Contarini dissedi condividere questo punto di vista e di volersi adoprare perché ancheMussolini consentisse. Ma essendo limitata la conoscenza che aveva dellaquestione, il capo del governo italiano, in recenti discorsi pubblici, avevaprospettato impegni che andavano in senso opposto a quello che sarebbestato opportuno seguire150.

L’ambasciatore britannico a Roma fu allora autorizzato a comunicare anome di Chamberlain quanto segue: «La sicurezza europea non sarà rag-giunta senza la stabilità e questa sensazione di stabilità è indebolita soltantoda continue suggestioni circa la revisione di questa o di quella parte del-l’assetto dei trattati. Perciò, e non per altra ragione, sono definitivamentecontrario all’Anschluss, né esiterò a dirlo ovunque e ogni volta che la que-stione venga sollevata». Considerando evidentemente importante questadichiarazione, Mussolini si affrettò a diramarla, la mattina del 19 giugno, allerappresentanze italiane all’estero151. Anche questo passo di Chamberlainnon esulava dalla tradizione britannica di contrarre impegni limitati. Era lastabilità europea a sconsigliare momentaneamente l’Anschluss, e non altraragione. I trattati e l’assetto generale della pace non erano che funzionalialla concezione britannica della stabilità europea, che un eccessivo “inte-gralismo” nell’applicazione dei trattati di pace non avrebbe dovuto com-promettere. Chamberlain, insomma, non aveva concesso a Mussolini nullapiù di quanto sentiva doveroso fare per la sicurezza della Gran Bretagna, maquesto nulla egli lo concesse con buona grazia e tono rassicurante. Lo provail fatto che egli continuava a nutrire dubbi sulla posizione italiana, ben

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diversa, a suo parere, da quella delineatagli dall’ambasciatore Della Torrettail 1° aprile.

Chamberlain parlò proprio di questo con l’ambasciatore De Fleuriau, ilquale confermò che, a partire da quella data, «v’era stato un qualche cam-biamento della situazione e il Governo italiano aveva assunto una posizio-ne meno decisa»152.

Concluso il colloquio con l’ambasciatore francese, Chamberlain riceve’Della Torretta, al quale dichiarò di non volere affatto criticare la risposta diMussolini alla nota francese; la Gran Bretagna, infatti, comprendeva la posi-zione italiana. Egli però confessò di essere alquanto disorientato, sembran-dogli detta posizione già chiara dal loro colloquio del 1° aprile. DellaTorretta rispose di aver allora agito su istruzioni del suo governo ma che,in seguito alle molte apprensioni circa l’Anschluss, la situazione era mutata.L’ambasciatore italiano smentì le voci secondo cui l’Italia desiderava lagaranzia al Brennero e non potè che ribadire la pericolosità dell’Anschlussper la stabilità europea, non celando le perplessità nutrite dal suo governoverso l’atteggiamento britannico. Chamberlain smentì che il suo paese fossefavorevole all’Anschluss, autorizzando Della Torretta ad assicurare Romache, il Governo di Sua Maestà «né desiderava per suo conto dei cambia-menti, né incoraggiava altri ad attenderli». «Il solo metodo di cambiamen-to – osservò Chamberlain – che in ogni caso il Governo di Sua Maestàpoteva contemplare era quello previsto dall’articolo 19 rispetto alle frontie-re in generale, e dall’articolo 80 del Trattato di Versailles e dal corrispon-dente articolo 88 del Trattato di Saint-Germain rispetto all’Austria; ma innessun caso il Governo di Sua Maestà vedeva con favore un tentativo dirivedere le previsioni del trattato di cui a queste clausole, al tempo presen-te»153. Chamberlain si mostrò persuaso delle ragioni italiane e del pericolodi Anschluss; egli quindi informò il suo interlocutore di aver fatto già ese-guire un «preciso passo al riguardo a Berlino, ottenendone precise soddisfa-centi assicurazioni»; inoltre, dopo aver detto che considerava i trattati dipace come la «carta costituzionale europea», assicurò il Della Torretta chel’Italia avrebbe goduto del «pieno e intero» appoggio britannico contro l’e-ventualità di un’unione dell’Austria alla Germania. Data l’importanza della

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questione, l’ambasciatore a Londra suggerì a Mussolini di cercare un modoper «pervenire ad alcune formali precisazioni, cioè quelle relative alla natu-ra e alla forma dell’impegno alla prestazione dell’appoggio britannicoaccennato da Chamberlain»154.

Dal colloquio tra Della Torretta e Chamberlain emergono elementi utiliper la riflessione, grazie anche al confronto tra le fonti inglesi e quelle ita-liane. Chamberlain ammetteva la revisione pacifica dell’assetto dei trattati, edunque, delle frontiere orientali tedesche sulla base dell’articolo 19 delCovenant. Quanto alla revisione delle frontiere meridionali, essa avrebbepotuto aver luogo solo con il consenso dei membri del Consiglio dellaSocietà delle Nazioni, secondo quanto stabilivano i trattati di Versailles e diSaint-Germain. Il governo britannico, inoltre, avversava gli attuali tentatividi revisione, ma non si impegnava anche per il futuro. Per il momento,Chamberlain prometteva di stare dalla parte dell’Italia, nel caso in cui ilConsiglio si fosse trovato investito della questione dell’Anschluss. Ma, a parteche la promessa di Chamberlain non impegnava i suoi successori, essa eraanche superflua, rebus sic stantibus. Infatti, bastava il veto dell’Italia ad impe-dire che il Consiglio approvasse l’Anschluss. La promessa in questione pote-va valere soltanto nel caso in cui fosse stato in dubbio se l’assenso delConsiglio all’Anschluss, previsto dagli articoli 80 di Versailles ed 88 di Saint-Germain, dovesse venir dato a maggioranza, invece che all’unanimità. Masiccome non sembrava in discussione il criterio dell’unanimità (previstoall’articolo 5, primo comma, del Covenant), si dimostra che Chamberlainnon concedeva all’Italia nulla più di quanto i trattati già non prevedevano.Il colloquio tra Chamberlain e Della Torretta era dunque l’ennesima provadi “convergenze parallele” tra interessi diversissimi, e l’appoggio del mini-stro inglese si rivelava per l’Italia un pourboire graziosamente elargito.

A poco più di un mese dal discorso al Senato, summa delle insoddisfa-zioni mussoliniane, molte questioni, incrociandosi, contribuivano dunque acondizionare la posizione italiana. Se la questione del Brennero sembrava amolti l’alfa e l’omega della politica del “duce”, il problema dell’Anschluss erail segno evidente della relazione esistente tra sicurezza e sistema dei trattati.Infatti, dal problema dell’indipendenza austriaca dipendeva la sicurezza del

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Brennero; per cui, garantire il Brennero senza difendere direttamentel’Austria significava ammettere l’Anschluss; mentre garantire l’Austria construmenti pattizi, in assenza della partecipazione tedesca, sarebbe equivalso asacrificare la sostanza per la forma155. A tutto ciò andava aggiunta l’incer-tezza su altre questioni: il riserbo italiano verso la discriminazione tra dueordini di garanzie poteva anche dar luogo all’ipotesi di un accordo francoi-taliano. Ma un tale accordo era soggetto all’umore dell’opinione pubblicaitaliana,oppure ad un gioco di influenze all’interno della “carriera” (se, comesembra, Contarini cercava di influenzare il punto di vista di Mussolini), oancora ad una tenzone tra varie correnti di pensiero del Quai d’Orsay (dovenon tutti tenevano ad un patto con l’Italia).Vi erano poi quelle continueproposte alla Francia di accordo militare, che non si trasformavano in alcun-ché di concreto; e infine rimaneva incerto il dialogo tra Roma e Londra, sulquale i francesi erano comunque informati dal Foreign Office.

4. LA DIFFICILE INTESA TRA LONDRA E PARIGI

In Germania si reagì negativamente alla nota inviata il 16 giugno.VonSchubert commentò con l’ambasciatore italiano che al paese si volevanoimporre condizioni onerose e che la nota appariva, inoltre, confusa e incontraddizione con lo stesso trattato di Versailles. Ma la cosa più importan-te era capire a nome di quali alleati la Francia parlava, se di quelli occiden-tali o di quelli orientali 156.

Il problema sollevato da von Schubert era tutt’altro che secondario.Sebbene la nota alla Germania promanasse da uno scambio di idee traParigi e Londra, tra i due ex alleati restavano insoluti molti problemi, comead esempio quello di riconoscere o meno il diritto di azione individuale atutela del patto renano157.

Il fatto che tra Parigi e Londra vi fossero dei nodi irrisolti non sfuggì alDella Torretta, che anzi ipotizzò l’esistenza di un vero e proprio equivoco:mentre infatti la Gran Bretagna riteneva che il patto renano escludesseormai qualsiasi esercizio individuale di autotutela, la Francia, basandosi sul-

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l’articolo 16 del Covenant, pensava esattamente il contrario. «Ho tratto cosìl’impressione – scriveva l’ambasciatore italiano – che poiché sia dall’una chedall’altra parte non si sia finora cercato né si cerchi di addivenire ad unachiara spiegazione, l’equivoco possa essere lasciato volontariamente, confi-dandosi nella probabilità che almeno per molti anni non sorga l’eventualitàtemuta; e che quando questa si avverasse l’intervento della Società delleNazioni per l’accresciuta sua potenza, possa in allora risultare determinan-te ed effettiva». E così concludeva: «Resta da vedere se [la] Germania possaaccontentarsi di questo stato di cose senza provocare quel chiarimento cuiParigi e Londra non sembrano disposte almeno pel momento»158. DellaTorretta riteneva probabile che, in sede di conferenza conclusiva,Chamberlain avrebbe posto fine a malintesi ed equivoci159.

Gli sforzi diplomatici della Francia diedero comunque un risultato peril momento positivo, in quanto Londra accettò l’ipotesi di un sistema ditrattati di arbitrato, tra Germania e Polonia, e tra Germania e Ceco-slovacchia, con garanzia esterna francese. «È vero che la proposta sistema-zione renderà gli obblighi della Francia rispetto alla frontiera orientale dellaGermania più ampi di quelli assunti da altri membri della Società delleNazioni – osservò Sir Cecil Hurst, consigliere giuridico del Foreign Office –ma esso restringerà grandemente la libertà di Polonia, Francia o Germaniadi provocare ostilità e sarà molto più sicuro dell’attuale trattato di alleanzafranco-polacco»160. «Quanto ai beneficiari della garanzia – si legge poi inun appunto anonimo per Berthelot, del 2 luglio – dovrebbe essere intesoche tale garanzia si applicherà qualunque sia la parte inosservante e, di con-seguenza, sia nel caso in cui la Cecoslovacchia o la Polonia rifiutassero l’ar-bitrato, ovvero l’esecuzione di una decisione arbitrale, che nel caso in cui ilrifiuto venisse dalla Germania.A questo riguardo la garanzia non potrebbeesser definita unilaterale»161.

I tedeschi però sostenevano che il garante, se alleato di una delle parti ineventuale controversia, si sarebbe trovato costretto ad intervenire al fianco diquesta, anche nel caso in cui intendesse far valere con le armi le proprieragioni; e comunque, nella migliore delle ipotesi, la Francia, da garante, nonavrebbe reso un lodo arbitrale davvero imparziale162. La Gran Bretagna

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cercò di opporre a questa visione altri argomenti, facendo presente cheun’alleanza francopolacca già esisteva, e che non era in potere dellaGermania inficiarne il funzionamento. Ma, se avesse concluso un trattato diarbitrato con la Polonia, la Germania avrebbe concorso a determinare anchegli estremi della garanzia esterna francese, in piena reciprocità di diritti e diobblighi, poiché la Francia avrebbe tutelato entrambi i contraenti163.

Diversi ostacoli il patto di garanzia incontrava intanto in Gran Bretagna.Numerosi e ripetuti furono infatti gli attacchi ad esso rivolti durante ildibattito alla Camera dei Lords; attacchi che gli stessi membri del governonon riuscirono ad eludere con efficacia164. «La mia impressione – scrisseDella Torretta – è che si vada facendo strada la convinzione che il pattorenano dovrà essere, nella sua reale portata, meno un istrumento di difesaterritoriale che un primo tentativo di concentrazione europea contro legravi minacce facenti capo a Mosca: minacce rese evidenti sia colla propa-ganda comunista all’interno, che con quella antibritannica in Cina, in Indiae altrove». Della Torretta aggiungeva che per scongiurare un’intesa Mosca-Berlino, la Gran Bretagna avrebbe ritenuto necessario far entrare la Germa-nia nella Società delle Nazioni. Le sue osservazioni finali non davano spa-zio all’ottimismo: la Gran Bretagna non avrebbe esteso gli obblighi delpatto di sicurezza, preferendo il Covenant per tutelare la pace in aree diver-se dalla frontiera occidentale tedesca165.

Ma, come si è visto, anche limitandosi a questa frontiera, due diverseconcezioni, l’inglese e la francese, riuscivano dunque a conciliarsi solo sullabase di un tacito equivoco. La Francia voleva riservarsi libertà di azione edi sanzione nei confronti della Germania e auspicava una rinascita delProtocollo di Ginevra. La Gran Bretagna, se da un lato non si impegnava aldi là della frontiera occidentale tedesca, dall’altro allargava i temi della sicu-rezza su un piano mondiale (o imperiale), ma solo per diluire quegli impe-gni non derivanti dal Patto della Società delle Nazioni.

A tutto questo va aggiunto che gli inglesi miravano a detenere il pote-re di iniziativa su tutta la questione della sicurezza: come dimostra il fattoche, fin dal momento della presentazione della risposta alla Germania, ilconsigliere giuridico britannico Hurst aveva pronto un progetto di patto di

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sicurezza molto particolareggiato166. Si trattava di una rielaborazione di unprecedente progetto risalente al maggio167 e in cui il giurista britannicofaceva presente la necessità di realizzare un sistema di composizione obbli-gatoria delle controversie e riteneva che il Consiglio della Società delleNazioni avesse locus standi, ovvero potere di intervento in caso di violazio-ne degli articoli 42 e 43 di Versailles. Una notifica al Consiglio che una vio-lazione era stata commessa doveva perciò costituire condizione preventivaperché la garanzia sul futuro patto renano divenisse operativa. Lo stessoHurst, poco meno di un mese dopo, approntò un memorandum sui limitioltre i quali gli obblighi derivanti dal patto di garanzia eccedevano quelliprevisti dallo Statuto della Società delle Nazioni, e nel quale ribadiva le ideeappena esposte168.

L’equivoco fondamentale che Della Torretta aveva segnalato a Mussolinifu reso evidente dalle reazioni negative dei francesi ai progetti di Hurst, giu-dicati come uno svilimento delle garanzie inizialmente previste. Grazie adessi il patto di sicurezza sarebbe infatti diventato inutile doppione delCovenant, mentre la Francia voleva farne strumento agile ed efficiente.Nucleo delle obiezioni francesi fu l’osservazione secondo cui la violazionedegli articoli 42 e 43 di Versailles, costituendo atto ostile contro tutti i fir-matari, avrebbe dovuto esser sanzionata direttamente, senza aspettare unpronunciamento del Consiglio della Società delle Nazioni, e ciò in virtùdel successivo articolo 44. «È chiaro – scriveva Briand all’ambasciatore fran-cese a Londra – che qualsiasi violazione con la forza della zona smilitariz-zata prenderebbe rapidamente un carattere di estrema gravità, se la garanziadegli Alleati non entrasse immediatamente in gioco». Quanto al ruolo delConsiglio della Società delle Nazioni, sarebbe stato comunque di sua com-petenza sanzionare le inadempienze non seguite da atti ostili 169.

Permaneva insomma l’inconciliabilità tra due diverse concezioni disicurezza. L’Italia, che rivestiva un ruolo tutto sommato secondario nel dif-ficile negoziato che intanto proseguiva, non avrebbe potuto far altro checurare i propri interessi nel miglior modo possibile, nell’eventualità che glialleati perdessero di vista l’interesse generale alla non revisione dei trattati.

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5. LA SITUAZIONE AUSTRIACA NELL’ESTATE DEL 1925 E LE RIPER-CUSSIONI IN ITALIA

Il riserbo dell’Italia, in questa fase del negoziato, era alimentato ulte-riormente dallo stato delle cose austriache così come si erano andate pro-spettando all’inizio dell’estate del 1925. Il futuro dell’Austria appariva piùche mai incerto, dal momento che non si sapeva se gli ex alleati si sarebbe-ro fermamente opposti alla sua unione alla Germania. «È ovvio» aveva scrit-to Chamberlain a Graham, riassumendo un colloquio con il principe vonBismarck, nipote del grande statista prussiano, «che, se la questione non èspinta all’attenzione dei tedeschi da forze esterne, o da quella del dissestoeconomico austriaco, la differenza di religione creerà un ostacolo sufficien-te a rendere l’Anschluss un evento altamente improbabile»170.

C’era senza dubbio un elemento di verità nell’affermazione diChamberlain,ma esso si configurava più nel fattore economico che in quel-lo religioso e quindi, dal punto di vista degli interessi italiani, non rappre-sentava un problema di minore entità.Avevano suscitato scalpore, infatti, lenotizie del viaggio del Ministro degli esteri Mataja a Parigi e dell’arrivo aVienna di due esperti economici stranieri. L’Italia, in sostanza, temeva chela Francia (o altri) mirasse ad un predominio economico-politico in Austria(concedendo, ad esempio, quei prestiti che da Roma non erano mai arri-vati). «L’Austria è oggi un paese disposto a cedersi al miglior offerente e chenon crede che all’appoggio militare effettivo» scriveva il ministro italianoBordonaro da Vienna. L’Austria, aggiungeva il ministro, «non ritiene forsesufficiente quello che noi possiamo offrirle e prometterle e si rivolge altro-ve nella speranza di maggior successo»171.

Il Cancelliere federale austriaco, Monsignor Seipel, aveva ridimensiona-to la portata del viaggio di Mataja a Parigi. Egli disse che l’Austria speravain un riavvicinamento all’Italia, ma confidava anche nella concessione diuna serie di crediti all’industria, erogati da Roma. Seipel aggiunse che, se sifosse votato, certamente, il novanta per cento degli austriaci avrebbe sceltol’Anschluss, nella convinzione che fosse questa la via per il risanamento eco-nomico. Seipel diceva di opporsi a questa tendenza, senza, tuttavia, sottova-

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lutare la possibilità che, qualora fossero fallite le trattative sui dazi preferen-ziali, essa si sarebbe rafforzata ulteriormente172. Fu poi lo stesso Mataja arassicurare Bordonaro, confermandogli che la sua visita non aveva avutocarattere ufficiale o politico (anche se avrebbe preferito che lo avesse). Eglidisse che la Francia non avrebbe ormai più rifiutato di rinunciare alla “clau-sola della nazione più favorita” ed avrebbe abbandonato il suo progetto diconfederazione danubiana. Dalla conversazione fu chiaro che, non avendoottenuto crediti da Parigi, Mataja sperava ancora di ottenerne da Roma173.

Monsignor Seipel e Mataja concordavano sul fatto che l’Anschlussavrebbe apportato non pochi vantaggi. «Certo, con l’annessione allaGermania – dichiarò il Cancelliere federale ad un corrispondente tedesco– non sparirebbero le difficoltà in cui l’Austria si trova economicamente.Non sarebbero necessarie una revisione della nostra economia, di quelloche non lo sia diventato con l’isolamento dell’Austria (sic). Ma se questoisolamento economico dovesse essere mantenuto indefinitamente per l’av-venire, allora in ogni caso sarebbe preferibile l’unione al grande mercatoeconomico tedesco»174.A tutto questo va aggiunto che riaffioravano ormaitoni pangermanistici nei fogli di stampa e nei circoli politici, specialmentein seguito all’accoglienza ricevuta dal nuovo ministro d’Austria, Frank, aBerlino e sulla scia delle manifestazioni annessionistiche promosse dalmovimento Wiener-Neustadt175. Non meno eclatante fu l’annunciato arri-vo a Vienna di rappresentanti della Lega austrotedesca, guidati dal Presi-dente del Reichstag Paul Löbe176.

Eventi culturali e mondani non mancavano inoltre di esercitare la loroinfluenza su quanti, in Austria e in Germania, erano partigiani dichiaratidell’Anschluss. Uno di questi eventi fu la venuta a Berlino dei WienerPhilarmoniker per una serie di concerti, occasione che offrì al focoso presi-dente del parlamento tedesco l’opportunità di pronunciare un discorsodensamente allusivo. Non meno allusivi furono gli accenti usati dal BerlinerTageblatt il quale, a commento dell’atteso evento musicale, così scrisse il 18giugno: «I concertisti viennesi ci portano saluti dalla città sorella tedesca sulDanubio, dalla quale proprio in queste settimane è risuonato più forte chemai il desiderio di unione alla Germania (...) . Questi sentimenti, per quan-

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to contrastanti, non potranno cessare che dopo aver ricevuto piena realiz-zazione»177.

L’indipendenza dell’Austria aveva dunque, politicamente ed economica-mente, un costo notevole e le potenze vincitrici dovevano necessariamen-te accollarselo. Lo scotto da pagare erano prestiti ed agevolazioni commer-ciali e finanziarie, mancando i quali non restava che l’Anschluss. Tale pro-spettiva poteva avere per qualcuno il duplice vantaggio di non rischiare ditasca propria e di lasciare che la Germania assumesse su di sé il forte debi-to austriaco, cosa che ne avrebbe ritardato la rinascita quale grande poten-za. Indubbiamente, però, l’Anschluss avrebbe minato nelle loro basi i tratta-ti di pace, aprendo la strada a nuove e pericolose revisioni.

Non erano quindi di poca importanza le ragioni per le quali Mussolinimanteneva un certo riserbo nei confronti dei negoziati sul patto di garan-zia, mancando altresì precise assicurazioni sull’Austria. «Mia impressione»egli scrisse al Re d’Italia «è che patto seguirà inglorioso destino [del] pro-tocollo»178.

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Capitolo III – L’Italia ed il problema della sicurezza

6. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

Al momento della presentazione della risposta francese alla nota dellaGermania, la posizione italiana aveva registrato una sensibile evoluzionerispetto ai mesi precedenti. Le voci di una condotta filoannessionista diD’Abernon, l’accusa a De Bosdari di scarsa tempra nei confronti del gover-no tedesco, l’aver preparato la risposta alla nota tedesca senza che l’Italiafosse stata consultata e quasi prescindendo dal suo assenso, una sospetta con-discendenza degli alleati verso l’Anschluss, l’aver dovuto accettare una for-mula ristretta di patto di garanzia (cioè di intesa originaria “a tre”): tuttoquesto aveva certamente contribuito ad alimentare il riserbo italiano.

La Francia restava un importante interlocutore dell’Italia, ma senzaandare oltre il temporaneo idillio culminato nella visita francese a Napoli.Il dialogo con la Gran Bretagna continuava ed ebbe il suo miglior momen-to in quel chiarimento di Chamberlain, del 22 giugno, a propositodell’Anschluss e dell’integrità dei trattati, anche se esso, come si è visto, nonpoteva soddisfare il nostro paese.

La posizione dell’Italia, oltre che da elementi esterni, risultava poiinfluenzata da tendenze diverse all’interno di Palazzo Chigi. I documentiinglesi hanno suggerito l’ipotesi di una corrente contariniana favorevoleall’ingresso nel patto renano, sia pure posteriormente, e che accettava l’e-sclusione italiana dal novero dei contraenti originari. I documenti francesici hanno fatto vedere un’Italia molto vicina, per sentimenti e comunanzadi vedute, alla Francia di Briand. I documenti tedeschi hanno posto in lucel’esistenza di una forte dialettica interna a Palazzo Chigi assimilabile, adesempio, alla divergenza di impostazione politico-diplomatica tra Contarinie De Bosdari.Aspetto quest’ultimo molto significativo se si tien conto delfatto che De Bosdari, non aveva buoni rapporti con il fascismo ed era invi-so a Mussolini per la sua presunta debolezza179. La divergenza Contarini-De Bosdari appariva dunque il classico esempio di come la “carriera” nonproteggeva se stessa dal regime incombente.

Dal confronto tra le fonti menzionate e quelle italiane, emerge poi unMussolini deluso nelle sue aspettative: circa il patto renano, essendo per il

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momento fallita l’ipotesi di “patto a cinque”; circa la condotta degli exalleati rispetto all’Anschluss; circa le contropartite che gli alleati potevanooffrire per la sua partecipazione al patto.

Malgrado il riserbo adottato in questa fase, era chiaro che Mussolini siattendeva di partecipare a quella successiva, in cui alla diplomazia ordinariasarebbe succeduta quella per conferenze, e dove l’Italia avrebbe potuto dareil suo attivo contributo. È quanto emerge sia dalla risposta data il 23 giu-gno alla nota verbale di Besnard, sia dai colloqui tra Della Torretta eChamberlain.

Per quanto riguarda più da vicino la questione del Brennero, Mussolininon diede categoriche istruzioni ai rappresentanti diplomatici italiani dichiedere una garanzia su quella frontiera. Ma egli potrebbe aver prospetta-to, soprattutto ai francesi, l’esigenza di una tale garanzia, in maniera pura-mente strumentale, nell’attesa che si chiarissero le idee sull’Anschluss e sullatipologia di patto che volevasi realizzare, oltre che per sollecitare una solu-zione dei “sospesi” coloniali.

Mussolini agì servendosi anche della stampa, che si occupò ripetuta-mente del Brennero. Il fine ultimo era prospettare sulla questione un accor-do diretto italotedesco, che avrebbe aperto la strada ad un nullaostadell’Italia all’Anschluss e ad un fronte comune italotedesco nell’ambito dellaSocietà delle Nazioni (quando la Germania ne avesse fatto parte). Ciòavrebbe inevitabilmente compromesso il patto di sicurezza e la posizionedella Francia vis-à-vis degli alleati orientali e della Piccola Intesa. Mussoliniintendeva far comprendere alla Francia che, nella difficile dialettica con laGran Bretagna, l’Italia poteva esserle utile, e far comprendere anche allaGran Bretagna che, non solo l’Anschluss, ma anche una Germania troppoforte in Europa centrale avrebbe costituito un serio pericolo.

La parola “Italia” indicava dunque qualcosa di più di un’espressione geo-grafica. Nell’attesa che gli ex alleati capissero questo, e finché stagnavano letrattative sul patto di sicurezza, l’Italia poteva starsene a guardare, non osten-tando un riserbo eccessivo, ma nemmeno promettendo collaborazione aprogetti non chiari e forse lesivi dei suoi interessi.

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1 La notizia riportata nel testo è desunta da un colloquio tra il Ministro d’Austria a Pragaed il collega italiano: Barbaro a Mussolini, 5 febbraio 1925, ASMAE, cit.,TSN, busta40.

2 Chiaramonte Bordonaro a Mussolini, 25 marzo 1925, DDI, Serie Settima, vol.III,doc.773.

3 Cfr. Chiaramonte Bordonaro a Mussolini, 20 aprile 1925, DDI, Serie Settima, vol.III,doc.827. Si veda anche Pfeiffer ad AA, 15-18 aprile 1925,ADAP,A, Band XII, doc.264,già citato.

4 Besnard a Briand, 12 maggio 1925, tel.23,AMAE, Z-Europe: Italie, vol.83.5 De Bosdari a Mussolini, 1° maggio 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.831.6 Nei documenti tedeschi il resoconto di questa conversazione non si pubblica. Ma

cfr.ADAP,A,Band XIII, nota 7 a p.43.Von Schubert ne fece cenno tuttavia, senza entra-re nello specifico, con l’ambasciatore britannico.Appunto di von Schubert, 1° maggio1925,ADAP,A, Band XIII, doc.15. Cfr. però la nota 4 a p.140.

7 Dispaccio dell’«Agenzia Roma», 2 maggio 1925. Copia del dispaccio venne fatta reca-pitare al rappresentante dell’agenzia di stampa tedesca Wolff, Muller.

8 Neurath ad AA, 4 maggio 1925, ADAP, A, Band XIII, nota 3 a p.61.Va ricordato chel’ambasciatore tedesco consegnò al Contarini un memoriale riservatissimo circa laposizione tedesca in merito alla situazione generale della sicurezza, all’ingresso nellaSocietà delle Nazioni ed all’evacuazione della zona di Colonia: questioni che conside-rava inscindibili. Promemoria riservatissimo 4.5.1925, consegnato dal Barone Neurath alSen.Contarini,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 40.

9 Neurath ad AA, 6 maggio 1925, ibidem, nota 4 a p.61 (il corsivo è nostro).10 De Bosdari a Mussolini, 18 aprile 1925, tel.577/114, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta

40.Al contempo l’ambasciatore protestò contro il discorso pronunciato a Berlino dal-l’ex cancelliere Marx in favore dell’Anschluss. Schubert convenne che occorreva invi-tare gli esponenti politici a maggior prudenza. In base al resoconto di von Schubert,la conversazione con De Bosdari avrebbe unicamente riguardato gli esiti del voto pre-sidenziale in Germania.Appunto di von Schubert, 17 aprile 1925,ADAP,A, Band XII,doc.262.

11 Köpke a Neurath, 7 maggio 1925,ADAP,A, Band XIII, doc.23. «Per sua informazione- aggiunse Köpke - osservo che, fino a nuovo avviso, ci siamo qui premurati di elimi-nare il più possibile la questione dell’Anschluss da una pubblica discussione, per nondare agli Alleati pretesto per richieste qualsiasi in connessione con il patto di sicurez-za. La stampa tedesca ha finora trascurato la comunicazione dell’Agenzia Roma».

12 De Bosdari a Mussolini, 8 maggio 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.846;Mussolini commentò negativamente la condotta di De Bosdari in quest’occasione (siveda la nota 2 a p.558). Sull’episodio, ancora, G. STRESEMANN, La Germania nellatormenta, cit., II, pp.40-41.

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13 Appunto di Stresemann, 8 maggio 1925,ADAP,A, Band XIII, doc.25. Il testo del volan-tino dell’Andreas Hofer-Bund è riprodotto alla nota 4 di p. 66. De Bosdari convenne sulfatto che nel caso della proprietà di Villa Falconieri si era agito senza tatto.

14 Neurath ad AA, 12 maggio 1925,ADAP,A, Band XIII, nota 7 a p.62. Risulta anche cheNeurath fu ricevuto da Mussolini alle ore 17 del 12 maggio e che la conversazionedurò mezz’ora. Udienze accordate da S.E. il Presidente, martedì 12 maggio 1925,ASMAE,Arch.Gab., GM, busta 42.

15 Cfr. DDI, Serie Settima, vol.III, nota 2 a p.558.16 Mussolini a De Bosdari, 29 marzo 1925, DDI, ibidem, doc.780; cfr. docc. 761 e 759.17 Mussolini a De Bosdari, 14 maggio 1925, tel.104,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41;

cfr. M. TOSCANO, Storia diplomatica, cit., I ed., p.97.; F. LEFEBVRE D’OVIDIO,L’intesa italofrancese, cit., p.83.

18 Von Neurath ad AA, 14 maggio 1925,ADAP,A, Band XIII, doc.38.19 Appunti intorno alla questione austriaca, 15 maggio 1925,ASMAE,Arch.Gab.,TSN,busta 41.20 Stresemann a Neurath, 15 maggio 1925,ADAP,A, Band XIII, doc.43.21 Il passaggio in tedesco è in questo punto il seguente: «und daß meine Ansicht, daß wir

mit Rom in der taktischen Behandlung der Anschlußfrage durchaus übereinstimmen,absolut zutreffend sei».

22 Appunto di von Schubert del 16 maggio 1925,ADAP,A, Band XIII, nota 2 alle pp.119-120.

23 Appunto di Mussolini su un colloquio con Prittwitz, 19 maggio 1925, in ASMAE,Arch.Gab., GM, «Colloqui di Mussolini 1925», busta 1; cfr. Mussolini a RomanoAvezzana, Della Torretta, Chiaramonte Bordonaro, Pignatti Morano di Custoza, 23maggio 1925, tel.430; Mussolini a De Bosdari, 24 maggio 1925, tel.440; ibidem, TSN,busta 40. Cfr. F. LEFEBVRE D’OVIDIO, L’intesa italofrancese, cit., pp.83 ss.Va segnala-to che, in un discorso al Reichstag del 19 maggio, Stresemann, sia pure in tono misu-rato, aveva dichiarato che, nel limite dei trattati la Germania avrebbe fatto ogni sforzoper rendere più intime le relazioni col vicino popolo dei fratelli tedeschi: De Bosdaria Mussolini, 19 maggio 1925, tel.1798/153,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41.

24 Prittwitz ad AA, 20 maggio 1925,ADAP,A, Band XIII, nota 4 a p.120.25 Appunto di von Schubert, 20 maggio 1925,ADAP,A, Band XIII, nota 4 a p.120.26 G. MARSICO, Il problema dell’Anschluss austro-tedesco 1918-1922, Milano: Giuffrè,

1983; M.TOSCANO, Storia diplomatica della questione dell’Alto Adige, cit.27 Attolico a Mussolini, 11 maggio 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.855 (il corsivo è

nostro).28 Chamberlain a Graham, 2 maggio 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.303. Cfr.

doc.300. Più succinto è il telegramma 661/320 di Della Torretta a Mussolini del 2maggio 1925, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 40. Cfr. A. ORDE, Great Britain andInternational Security 1920-1926, cit., pp. 104-105; nonché ADAP,A, Band XIII, doc.13.

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Capitolo III – L’Italia ed il problema della sicurezza

29 Journal Officiel, 22 aprile 1925. Si veda inoltre: Crewe a Chamberlain, 23 aprile 1925,DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.294.

30 Della Torretta a Mussolini, 22 aprile 1925, tel.618/306/A.18, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 40.

31 Cfr. DDI, Serie Settima, vol III, doc.817.32 Mussolini a Besnard, 30 aprile 1925, l.n.216281/193; Besnard a Briand, 1° maggio

1925, l.n.185 (pervenuta il 12), in AMAE, Z-Europe: Italie, vol.96.33 Romano Avezzana, a Mussolini, 28 aprile 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.826;

idem, 30 aprile 1925, ibidem, doc.829.34 Romano Avezzana a Mussolini, 1° maggio 1925, ibidem, doc.830.35 Romano Avezzana a Mussolini, 7 maggio 1925, ibidem, doc.842.Alquanto diverso è il

resoconto di fonte francese del colloquio tra Briand e Romano. «L’ambasciatored’Italia - vi si legge - ha parlato della Tunisia e del Marocco e ha detto al signor Briandche vi sarebbe interesse a fare un regolamento d’insieme. Il signor Briand si è limita-to ad ascoltare e a rispondere evasivamente (...) in seguito ha egli indicato che sareb-be molto auspicabile che l’Italia trovi delle facilitazioni nelle colonie inglesi e francesie che ciò contribuirebbe molto, per quanto ci concerne, al miglioramento delle rela-zioni con l’Italia». Conversation de M.Briand avec l’Ambassadeur d’Italie, 6 maggio 1925,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.96. (Il corsivo è nostro). Si veda R. DE FELICE,Mussolini il duce I: gli anni del consenso,cit., p.351 e nota 1. Per i colloqui di Roma traBriand e Mussolini, Mussolini a Romano Avezzana, 23 dicembre 1924, DDI, SerieSettima, vol.III, doc.635.

36 Romano Avezzana a Mussolini, 7 maggio 1925, tel.706/107, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 40.

37 Romano Avezzana a Mussolini, 8 maggio 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.845.38 Il progetto francese del 12 maggio 1925 era frutto di vari studi precedenti. Un primo

progetto risaliva al 2 aprile; esso fu riveduto il 4, sottoposto ad Herriot e da questiemendato il 16, ai fini della presentazione in Consiglio dei Ministri. In tale veste essofu quindi riesaminato al Quai d’Orsay, ove se ne preparò, il 3 maggio, una nuova bozza.Nella sua forma definitiva il documento fu trasmesso all’ambasciatore britannico aParigi il 13 (DBFP, Series I, vol.XXVII, allegato al doc.318). Cfr. A. ORDE, GreatBritain and International Security 1920-1926, cit., pp.106-107.

39 Mussolini a Romano Avezzana, 6 maggio 1925, tel.365, ASMAE, Arch.Gab., TSN,busta 40.

40 Romano Avezzana a Mussolini, 6 maggio 1925, tel.685/325, ibidem.41 Romano Avezzana a Mussolini, 8 maggio 1925, tel.716/109, ibidem.42 Cfr. Mussolini a Della Torretta, 20 maggio 1925, tel.414, ibidem.43 Besnard a Briand, 20 maggio 1925,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.76.44 Su questo punto, si condivide perciò l’opinione di M.TOSCANO, Storia diplomatica,

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cit., p.98 (I ed.), circa il peso avuto dalla risposta francese nel mutamento di approcciodi Mussolini al problema della sicurezza; questo Autore considera parimenti il ruolosvolto da due altre forze concomitanti (il colloquio Stesemann-De Bosdari ed ildiscorso del cancelliere tedesco al Reichstag).

45 ATTI PARLAMENTARI, Senato del Regno, Legislatura XXVII, I Sessione 1924-25,Discussioni:Tornata del 20 maggio 1925, pp.2768-2772.

46 SENATO DEL REGNO, Legislatura XXVII, Sessione Prima, 71° ResocontoSommario, mercoledì 20 maggio 1925, pp.5-9.

47 Tendenze da vigilare, in «Il Messaggero», 26 maggio 1925.48 C. SCHANZER, Il patto di garanzia e la frontiera del Brennero, in «Il Giornale d’Italia»,

28 maggio 1925.49 C. SFORZA, Problemi d’oggi e di domani, in «Corriere della Sera», 31 maggio 1925.

Sempre Sforza scrisse qualche tempo dopo che la maggioranza della popolazione inAustria e in Germania era favorevole all’Anschluss per ragioni materiali, cui si accom-pagnavano moventi ideali. C. SFORZA, Oggi e Domani, in «Corriere della Sera», 12settembre 1925.

50 W. MARTIN, Le Pacte de Sécurité et l’Italie, in «Le Journal de Genève», 17 giugno 1925.Singolare è questa figura di William Martin nelle informazioni che ne dava ilBruccolieri, membro della delegazione italiana alla Società delle Nazioni. Nel dicem-bre 1924 Martin, allora corrispondente a Roma, era rientrato a Ginevra da antifasci-sta, in seguito ai contatti che ebbe con Sforza, di Cesarò, Amendola e Cabrini. Nellacittà svizzera, Bruccolieri l’aveva contattato di frequente e, con opera costante, l’avevaguadagnato ad una visione meno severa dell’Italia di Mussolini. Bruccolieri a Pauluccide’ Calboli Barone, 13 maggio 1925,ASMAE,Arch.Gab., GM, busta 5, fasc. «Rapporticon la stampa e le agenzie telegrafiche, 1925».

51 STYLO, L’Italie sera-t-elle associée au Pacte de Garantie?, in «La Nation Belge», 20 giu-gno 1925.

52 Così scriveva il Messager Polonais: «Où l’exposé de M.Mussolini prend un interêt toutspécial c’est quand il parle du pacte de garantie et de la réunion de l’Autriche àl’Allemagne. Le pacte ne peut être un pacte des trois, affirma le ministre italien, il doitêtre ‘au moins’ un pacte des cinq; ce pacte ne doit pas se borner à la garantie de la fron-tière sur le Rhin, il doit garantir aussi la frontière du Brenner; enfin, l’union del’Autriche à l’Allemagne constituerait une violation des traités et aménerait le désqui-libre dans les relations européennes y établissant une situation paradoxale... Le discoursde Mussolini établit le principe de solidarité des frontières, comme il établit celui del’intangibilité des traités». Le Messager Polonais, 22 maggio 1925.

53 In tal senso: Besnard a Briand, 21 maggio 1925, tel.246, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.83. Il testo del discorso di Mussolini, nella versione apparsa sul«Messaggero» del 21 maggio, fu inviato con tel 225 il 28 successivo: ibidem. Nel volu-

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Capitolo III – L’Italia ed il problema della sicurezza

me dei documenti diplomatici inglesi non compaiono le notizie in proposito inviatedall’ambasciatore a Roma, Graham. Per le notizie di fonte tedesca, v.più oltre nel testo.

54 E. DI NOLFO, Mussolini e la politica estera italiana (1922-1933), cit., p.130.55 A. CASSELS, Mussolini’s Early Diplomacy, cit., p.276.56 R. MOSCA, Locarno e l’Europa di Versailles, cit., p.54.57 Così M. TOSCANO, Storia Diplomatica della Questione dell’Alto Adige, cit., p.99 della

prima edizione.58 In tal senso R. DE FELICE, Mussolini il Duce, vol.I, Torino 1974, pp.351 ss.;

L’interpretazione è condivisa da F. LEFEBVRE D’OVIDIO, L’intesa italofrancese del1935, cit., pp.84 ss.

59 Paulucci de’ Calboli Barone ai rappresentanti diplomatici italiani all’estero, 21 maggio1925, tel.421, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 40. Essa trovasi anche in E. e D.SUSMEL (a cura di), Opera omnia di Benito Mussolini, vol.XXI, Edizioni La Fenice,Firenze 1956, pp.315-321; spec. p.319.

60 Come si è visto, essa fu pubblicata da «Il Messaggero» il 21 maggio, ma trovò ampiospazio su tutti i quotidiani italiani e su non pochi esteri.

61 Si veda da ultimo C. SCARFOGLIO, Anglia Discit, in «Il Mattino», 12 settembre 1925,ove si criticava la riluttanza britannica ad accettare la tesi italiana circa la necessità diuna garanzia al Brennero equivalente a quella data sul Reno.

62 La copia del verbale del discorso è sottolineata a matita blu nella parte relativa alBrennero; la stessa parte è evidenziata a matita rossa nella versione del resoconto som-mario.ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 40.

63 Come invece accadde esattamente un anno dopo, e sempre per l’annuale discorso alSenato per l’approvazione del bilancio del Ministero degli Esteri. Le istruzioni per lecorrezioni redazionali vennero in quella circostanza impartite da Grandi a Tommasini.Nel caso del resoconto sommario della seduta del 28 maggio 1926 per l’approvazionedel bilancio degli esteri al Senato, un errore tipografico alterava il senso del discorsopronunciato in tale occasione da Mussolini.ASMAE,Arch.Gab., GM, busta 13.

64 Prittwitz ad AA, 22 maggio 1925,ADAP,A, Band XIII, nota 4 a p.145.65 Prittwitz ad AA, 22 maggio 1925,ADAP,A, Band XIII, nota 5 a p.145.66 Stresemann all’Ambasciata tedesca a Roma, 23 maggio 1925, ADAP, A, Band XIII,

doc.55. Stresemann terminava il suo dispaccio con una netta smentita della vocesecondo cui il governo tedesco fosse a capo di un movimento nazionalista attivosoprattutto all’estero. Certi conati in tal senso erano piuttosto ascrivibili ad una «rea-zione spontanea» contro Polonia e Cecoslovacchia, nonché effetto delle catastrofichecondizioni dell’Austria.

67 Mussolini a Della Torretta e Romano Avezzana, 30 maggio 1925, tel.449, ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 40. In DDI, Serie Settima, vol.IV questo telegramma porta ilnumero 449bis (doc.13).

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68 Cfr. P .PASTORELLI, Il principio di nazionalità nella politica estera italiana, in G. SPA-DOLINI (a cura di), Nazioni e nazionalità in Italia. Dall’alba del secolo ai nostri giorni,Roma - Bari: Laterza, 1994, pp.185-208, spec. p.196

69 Nel discorso al Senato del 20 maggio, Mussolini anzi dichiarava quanto segue: «Ierisera ho ricevuto il testo del progetto di risposta alla Germania, redatto dal Governofrancese. E’ un documento assai importante che precisa l’atteggiamento del Governofrancese». Atti Parlamentari, cit., p.2770; Senato del Regno, cit., p.8.

70 È quanto emerge da una lettera personale di Mussolini a Grandi dello stesso 20 mag-gio, giorno del discorso al Senato, ed istruttiva per la condotta cui il neo-Sottosegretario agli Esteri avrebbe dovuto ispirarsi. Mussolini a Grandi, l.p. 20 maggio1925,ASMAE,Arch.Gab., GM, busta 1, fasc. «Colloqui di Mussolini 1925».Trattasi diuna copia dattiloscritta; l’originale di questo documento trovasi nelle «Carte Grandi»,consultabili sempre in ASMAE.

71 Mussolini a Della Torretta, 22 maggio 1925, tel.417,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 40.72 Della Torretta a Mussolini, 23 maggio 1925, tel.805/367, ibidem.73 Della Torretta a Mussolini, 29 maggio 1925, tel.844/3816, ibidem. La posizione di

Chamberlain è ben desumibile dai documenti britannici: Memorandum by Mr.Chamberlain for the Cabinet DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.321. Essa fu chiarita subitoall’ambasciata francese a Londra: doc. 330; cfr. docc.328 e 334.

74 Della Torretta a Mussolini, 30 maggio 1925, tel.849/388, ASMAE, Arch.Gab., TSN,busta 40; cfr. DBFP, Series I, vol. XXVII, allegato al doc.349 (ove i testi del progettofrancese e degli emendamenti inglesi sono riprodotti a fronte).

75 Nota verbale del Ministero degli Esteri italiano all’Ambasciata britannica a Roma, 4 giugno1925,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 40.

76 «Il Regio Ministero degli Affari Esteri - recitava la bozza della nota - è disposto a parte-cipare all’uopo ad un patto del genere di quello proposto dal Governo Tedesco, e dicui la Germania e gli alleati sarebbero parte. Qualunque sia il modo in cui il propostopatto sarà definito nelle sue parti e nelle sue modalità gli pare essenziale che non con-venga perdere di vista il fatto che ciò che veramente importa è che gli scopi pacificiche esso si propone siano effettivamente raggiunti».

77 Romano Avezzana a Mussolini, 3 giugno 1925, DDI, Serie Settima, vol. IV, doc.17.78 Berthelot a Roma, Madrid, Londra, Rabat, Bruxelles, 21 maggio 1925, AMAE, Z-

Europe: Italie, vol.96. Cfr. Romano Avezzana a Mussolini, 20 maggio 1925, DDI, SerieSettima, vol. IV, doc.3.

79 Briand a De Fleuriau, 4 giugno 1925,DBFP,Series I, Vol.XXVII, allegato 1 al doc.360.80 Si veda uno stralcio delle dichiarazioni parlamentari di Briand, ibidem, doc.294.81 Cfr. Chamberlain a Crewe, 30 aprile 1925, ibidem, doc.299.82 Notes on Meeting of Committee of the Cabinet held in Prime Minister’s room at the House of

Commons on Tuesday, May 26, 1925, ibidem, doc.343.

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Capitolo III – L’Italia ed il problema della sicurezza

83 Suggested alternative Draft, 28 maggio 1925, ibidem, doc.343.84 Crewe a Chamberlain, 29 maggio 1925, ibidem, doc.351.85 Romano Avezzana a Mussolini, 4 giugno 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.18.86 F. COPPOLA, La politica del patto a cinque: dal Reno al Mediterraneo, in «L’Idea

Nazionale», 5 giugno 1925.87 Sul Coppola, vedi V. CLEMENTE, Coppola Francesco, in Dizionario Biografico degli

Italiani, vol. 28, Roma: Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1983, pp. 650-655.88 Roger a Briand, 6 giugno 1925, l.n.244,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.76.89 La nomina di Badoglio a Capo di Stato Maggiore riscosse malcontento negli

ambienti politici e negli stessi ambienti militari, dove egli passava per “l’imboscatodi Caporetto”, ossia per colui che, dopo la tragica rotta del 1917, non seppe far altroche curare la propria posizione personale e declinare ogni responsabilità dell’acca-duto. ACS, Segreteria Particolare del Duce, Carteggio Riservato 1922-1943, busta 67,fasc. «Badoglio S.E. Pietro, Marchese del Sabotino», sf.2: «Varia». Mussolini mise atacere queste voci elogiando il Generale in un fondo anonimo, apparso sul «Popolod’Italia» del 26 aprile (di cui l’originale trovasi in ACS, Autografi del Duce. Carte dellaCassetta di zinco, sc.2, fasc.«1925-III»), e facendo pubblicare, sempre da quest’orga-no, la notizia di cordiali colloqui con Badoglio, appena rientrato dal Brasile dov’e-ra ambasciatore.

90 Per i documenti sulla questione: Briand a Foch, De Fleuriau e De Margerie, 22 mag-gio 1925, telegramma con vari numeri mediante il quale Briand ritrasmetteva ildispaccio n.237 inviatogli da Besnard il 16 maggio.AMAE, Z-Europe: Italie, vol.96.

91 Roger a Briand, 5 giugno 1925, tel.268-269, AMAE, Z-Europe: Italie, vol.83. AttiParlamentari, Camera dei Deputati, Legislatura XXVII, 1ª sessione, Tornata del 4 giugno1925, pp.4190-4209; p.4203 per la citazione. Si vedano altresì gli accenni di Salandraad un’intesa italocecoslovacca contro l’Anschluss, che era parte di un progetto contari-niano di estensione al Danubio dei principi di sicurezza. Cfr.G. CAROCCI, La politi-ca estera dell Italia fascista, cit., pp.49-50 e nota 56 al cap.IV.

92 Neurath ad AA, 6 giugno 1925,ADAP,A, Band XIII, nota 8 a p.148.93 Risulta da un telespresso con n.215530 del 24 marzo, diretto da Roma a Parigi, Londra

e Vienna. ASMAE, Rappresentanze Diplomatiche, Ambasciata di Vienna, busta 279,fasc.«Annessione dell’Austria alla Germania»

94 Lojacono a De Bosdari e Chiaramonte Bordonaro, 11 maggio 1925, tel.387, Ibidem.95 Chiaramonte Bordonaro a Mussolini, 18 giugno 1925, tel. 1608; 24 luglio 1925,

tel.1942.A considerazioni economiche, la “Lega Popolare austro-tedesca”, anch’essa direcente costituzione, aggiungeva connotazioni politiche e spirituali nel rivendicarel’Anschluss. Paulucci de’ Calboli Barone a Chiaramonte Bordonaro, De Bosdari ePignatti Morano di Custoza, 1° agosto 1925, telespresso 230405, Ibidem. Il governocecoslovacco aveva intercettato, e fatto conoscere a quello italiano, una lettera del

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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

Presidente della Lega, ing.Herman Neubacher, ad un giornale amico, precisante pro-gramma e scopi dell’associazione.

96 Da poco riformato, con il Regio Decreto 3 gennaio 1924, n.3, il Consiglio delContenzioso Diplomatico aveva, tra le sue funzioni consultive, quella di emettere pare-ri sull’«interpretazione ed applicazione dei trattati ed accordi internazionali» (art.2, IIcomma, lett. a).

97 Si veda il bel ritratto fattone da L.MONZALI, Amedeo Giannini e la nascita della storiadelle relazioni internazionali, in «Storia Contemporanea», agosto 1994, n.4, pp.493-525.

98 Cfr.ASMAE,Archivio del Contenzioso Diplomatico 1924-1937, pacchi 14, 25, 26, 30,31, 51.

99 Il Regio Decreto n.1924/3 prevedeva che il parere del Consiglio del Contenziosodiplomatico «potrà essere richiesto dal Ministero degli Affari Esteri su tutte le questio-ni che crederà di deferire al suo esame...»(art.2, II comma).

100 Neurath ad AA, 8 giugno 1925,ADAP,A, Band XIII, doc.102.101 Neurath ad AA, 10 giugno 1925,ADAP,A, Band XIII, nota 8 a p.148.102 Bozza di telegramma senza data né firma,ASMAE,Arch.Gab.,TSN 41.103 Cfr. De Fleuriau a Briand, 11 giugno 1925, tel.348,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne,

vol.77.104 Mussolini a Della Torretta, Romano Avezzana e Scaloja, 8 giugno 1925, DDI, Serie

Settima, vol.IV, doc.21.105 M. TOSCANO, Storia diplomatica della questione dell’Alto Adige , cit., pp.101-102. «È

molto probabile - ha scritto il Carocci - che uno dei motivi per i quali Mussolini acca-rezzò l’ipotesi di garanzia tedesca al Brennero fu proprio quello di impedire allaFrancia di sfruttare l’Italia nella questione dell’Anschluss...La garanzia tedesca delBrennero in un primo tempo fu intesa nel contesto del patto di garanzia in discussio-ne, come una sua auspicata estensione alle frontiere meridionali della Germania. In unsecondo tempo, quando Mussolini si irrigidì nel senso di non partecipare al patto rena-no, l’intesa italo-tedesca fu ventilata dal duce come autonoma e quasi contrapposta alpatto renano. Era un bluff, preso però molto sul serio al Quai d’Orsay». G. CAROCCI,La politica estera dell’Italia fascista, cit., p.46.Anche il De Felice ravvisa nella parte delleistruzioni relativa all’Austria un bluff polemico verso la Francia. R. DE FELICE,Mussolini il duce I: gli anni del consenso, cit., p.352.

106 Briand a De Fleuriau, 4 giugno 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.360 (il corsivo ènostro).

107 London a Tyrrell, 9 giugno 1925, ibidem, doc.365.108 De Panafieu a Briand, 8 giugno 1925, tel.48-50. AMAE, Série Z-Europe: Pologne,

vol.135.109 Risultava a De Fleuriau che Skirmund, Ministro di Polonia a Londra, aveva inviato a

Varsavia indicazioni molto differenti, nel tono, da quelle che Skrzynski dava all’amba-

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Capitolo III – L’Italia ed il problema della sicurezza

sciatore francese nella capitale polacca. «Al Signor Skirmund – informava De Fleuriau– dispiace che il suo Governo accordi minor fiducia al suo consiglio che alle asserzio-ni della stampa inglese». De Fleuriau a Briand, 8 giugno 1925, tel.338, segreto,AMAE,Série Z-Europe: Pologne, vol.135. Risulta da tutto questo che l’ambasciatore francese aLondra aveva il compito di rassicurare Varsavia per il tramite di un diplomatico polac-co ritenuto fidato amico della Francia.

110 De Panafieu a Berthelot, 27 giugno 1925, l.p.,AMAE, Série Z-Europe: Pologne, vol.135.111 Chamberlain a Tyrrell, 8 giugno 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.364.112 Berthelot e Laroche a Massigli (Ginevra), 9 giugno 1925, tel.86-87,AMAE, Z-Europe:

Grande-Bretagne, vol.76.113 Communication destinée à M. Mussolini, remise à Genève à M. Scialoja le 10 juin 1925,

AMAE, Z-Europe: Italie, vol.83. Il corrispondente documento inglese trovasi in DBFP,Series I, vol.XXVII, doc.137; cfr. il memorandum di Nicolson del 4 giugno,nota 2 a p.201.

114 London a Tyrrell, 9 giugno 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.365. Cfr.A. ORDE,Great Britain and Security 1920-1926, cit., pag. 108.

115 Scialoja a Mussolini, 8 giugno 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.23.116 Roger a Briand, 8 giugno 1925, tel.277, confidenziale,AMAE, Z-Europe: Italie, vol.96.117 Il telegramma di Roger arrivò a Parigi nella notte tra l’8 e il 9 giugno e certamente

fu ritrasmesso a Ginevra.118 Scialoja a Mussolini, 9 giugno 1925, DDI, serie Settima, vol.IV, doc.27.119 Cfr.DBFP, Series I, vol. XXVII, nota 1 a p.590. Chamberlain smentì, il 10 giugno, le

notizie diffuse dall’Havas. London a Tyrrell, 10 giugno 1925, ibidem, doc.366. Cfr. A.ORDE, Great Britain and Security 1920-1926, cit., pp. 108-109.

120 Graham a Chamberlain, 10 giugno 1925, Ibidem, doc.368. Graham invitò i suoi inter-locutori a non considerare come vangelo il comunicato della Havas.

121 Mussolini a Scialoja, 9 giugno 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.24122 Mussolini a Scialoja, 9 giugno 1925, tel.506,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, cit., busta 40.123 Cfr. DDI, Serie Settima, docc.21 e 24; DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.368; nota 6 alle

pp.592 e 593; nota 3 a p.598.124 Scialoja a Mussolini, 10 giugno 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, docc.28 e 29; cfr.

doc.32. Non risulta da questi documenti che Scialoja abbia informato Mussolini dellaproposta di collaborazione nei Balcani, avanzatagli da Chamberlain e Briand quellostesso giorno.

125 Cfr. DDI, Serie Settima, vol.III, doc.787; DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.281.126 Della Torretta a Mussolini, 11 giugno 1925, tel.924/419, ASMAE, Arch.Gab., TSN,

busta 40.127 De Fleuriau a Briand, 11 giugno 1925, tel.344,AMAE,Z-Europe:Grande-Bretagne, vol.77.128 Scialoja a Mussolini, s.d. (ma lettera pervenuta il 14 giugno 1925), DDI, Serie Settima,

vol.IV, doc.32. Cfr. docc.28 e 29 per i colloqui avuti da Scialoja con Chamberlain.

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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

129 Roger a Briand, 11 giugno 1925, tel.285-286 segreto, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.77. Cfr. Berthelot a Massigli, De Fleuriau e Besnard, 10 giugno 1925, tel.con vari numeri di protocollo, ibidem, Italie, vol.96.

130 ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 40; cfr. Della Torretta a Mussolini, 10 giugno 1925,tel.916/416, ibidem; nonché DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.349.

131 Cfr.DBFP, Series I, vol.XXVII, allegati 1, 2 e 3 al doc.360 e nota 2 al doc.382.132 Bersnard a Briand, 13 giugno 1925, tel.292 urgente, AMAE, Z-Europe: Grande-

Bretagne, vol.77.133 Berthelot a Besnard, 14 giugno 1925, tel.588, urgentissimo, ibidem.134 Besnard a Mussolini, 14 giugno 1925,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41; cfr. F. LEFEB-

VRE D’OVIDIO, L’intesa italofrancese, cit., p.87 e nota 255.135 Besnard a Briand, 14 giugno 1925, tel.293,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.77.136 Mussolini a Besnard, 15 giugno 1925, DDI, Serie Settima, doc.35. Besnard a Briand,

15 giugno 1925, tel.294,AMAE, Z-Europe: Italie, vol.83. La bozza parlava invece di una«distinzione» delle garanzie, come si evince da un’annotazione forse di Paulucci (essen-do su carta intestata del Capo di Gabinetto). La bozza della nota a Besnard, datata 14giugno, reca l’annotazione «Progetto. Il testo approvato differisce in alcune parti».ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41.

137 Besnard a Briand, 15 giugno 1925, tel.295-298,AMAE, Z-Europe: Italie, vol.83.138 Dispaccio dell’“Agenzia Stefani”, 17 giugno 1925. La bozza è del 16 giugno,e fu pre-

parata a Palazzo Chigi.ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41.139 Comunicato dell’Agenzia “Havas”, 16 giugno 1925, ibidem.140 Le Petit Parisien, 16 giugno 1925.141 The Daily Telegraph, 16 giugno 1925.142 Locarno Korferenz, cit., doc.14; Pacte de Sécurité, I, cit., doc.9.143 Romano Avezzana a Mussolini, 17 giugno 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.37.144 Briand a Besnard, 17 giugno 1925, tel.610-612, AMAE, Z-Europe: Italie, vol.96.

Cfr.Mussolini a Romano Avezzana, 23 giugno 1925, tel.588,ASMAE,Arch.Gab.,TSN,busta 41. Il documento riproduce tanto la nota francese quanto la replica italiana.

145 Besnard a Briand, 19 giugno 1925, tel.309-310, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne,vol.77. Mussolini si recò all’ambasciata francese alle ore 13 e fino alle 18, contraria-mente alle sue frenetiche abitudini, non concesse udienze. ASMAE, Arch.Gab., GM,busta 42.

146 Besnard a Briand, 19 giugno 1925, l.n.268,AMAE, Z-Europe: Italie, vol.96,147 Besnard a Briand, 20 giugno, l.p., ibidem.148 La nota del 23 giugno 1923 fu comunicata al Romano Avezzana con tel.588,ASMAE,

Arch.Gab.,TSN, b.41. Cfr.DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.42.149 Cfr. DDI, Serie Settima, vol. IV, docc. 42 e 21.150 Graham a Chamberlain, 19 giugno 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.387.

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Capitolo III – L’Italia ed il problema della sicurezza

151 Mussolini a Della Torretta, Romano Avezzana, De Bosdari, Daneo, Pignatti Morano diCustoza, Chiaramonte Bordonaro, Majoni e Attolico, 19 giugno 1925, ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 40.

152 Chamberlain a Crewe, 23 giugno 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.394.153 Chamberlain a Graham, 23 giugno 1925,ibidem, doc.396; cfr.DDI, Serie Settima,

vol.IV, docc.43 e 44.154 Della Torretta a Mussolini, 24 giugno 1925, ibidem, doc.44.155 Si condivide sul punto quanto scrive il Carocci: «Probabilmente le offerte di Briand

sarebbero state bene accolte da Mussolini se si fosse trattato di un patto stipulato conla libera volontaria partecipazione della Germania. Ma poiché, per il rifiuto diStresemann, si sarebbe trattato invece di un patto bilaterale italo-francese al quale laGermania non avrebbe acceduto, e poiché le concessioni che la Francia era realmen-te disposta a fare in materia coloniale erano giudicate avare, Roma non fece buon visoalle proposte e in settembre le lasciò definitivamente cadere». G. CAROCCI, La poli-tica estera dell’Italia fascista, cit., p.43.Ancora il Carocci osserva che «Roma, in sostanza,ritenne che le concessioni della Francia non valevano la rinuncia della carta revisioni-sta»: anche per non pervenire ad una troppo intima intesa italo-francese (pp.43-44).

156 De Bosdari a Mussolini, 17 giugno 1925, tel.975/188,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta40. Il telegramma fece seguito ad una conversazione tra l’ambasciatore italiano e vonSchubert, avutasi il giorno stesso.ADAP,A, Band XIII, doc.128. Qualche giorno dopo,De Bosdari rilevò che la risposta francese aveva «completamente trasformato e travi-sato» la proposta tedesca. L’ambasciatore tuttavia criticò anche l’ingenuità dellaGermania, «giacché non sono mai arrivato a capire come lo Stresemann ed i suoi con-siglieri si siano potuti immaginare che la Francia, possedendo per la propria sicurezzagaranzie materiali e positive quali l’occupazione della frontiera ed il controllo milita-re, si fosse potuta lasciare indurre ad abbandonarle per sostituirle con una di quelletante firme che la Germania da molti anni dà alla leggera col preconcetto di non osser-varle». De Bosdari a Mussolini, 20 giugno 1925,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41.

157 Nel corso di un dibattito ai Comuni (cui attivamente parteciparono importanti per-sonalità politiche), Chamberlain tenne il 24 giugno un lungo discorso, nel qualeaffermò che il patto non conferiva a nessuno, nemmeno alla Francia, diritti addiziona-li. Sicché, la Gran Bretagna avrebbe soccorso la nazione aggredita, qualunque essafosse: anche la Germania, dunque, qualora la Francia le avesse rioccupato la Renania oavesse intrapreso delle azioni prescindendo dal ricorso al Consiglio della Società delleNazioni. Quanto all’Italia, poi, essa sarebbe stata la benvenuta, ma non la si volevacostringere ad aderire al nuovo patto. Restava comunque inteso che la Gran Bretagnanon era disposta a ritoccare la carta politica europea. Il testo del dibattito e del discor-so di Chamberlain alla Camera dei Comuni fu pubblicato dal Times il 25 giugno 1925e fu inviato dal Della Torretta a Mussolini coi tell.1999/641/A.18 e 1056/460, rispet-

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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

tivamente del 25 e 26 giugno 1925, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 41. Cfr. H.C.,Deb., 5 s, cols.1555-1570; 1652-1663; nonché DBFP, Series I, vol.XXVII, docc.388(con nota 4) e 398.

158 Della Torretta a Mussolini, 1° luglio 1925, tel. 1175,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41.159 Della Torretta a Mussolini, 4 luglio 1925, tel 1177/497, ibidem .160 Memorandum by Sir C.Hurst, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.385.161 Note pour M.Berthelot (forse di Laroche), 2 luglio 1925, AMAE, Z-Europe: Grande-

Bretagne, vol.79.162 Cfr. DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.398; allegato al doc.401; docc.403 e 404.163 Chamberlain a D’Abernon, 5 luglio 1925, ibidem, doc.406.164 Della Torretta a Mussolini, 7 luglio 1925, tel.2117/690/A.18, ASMAE, Arch.Gab.,

TSN, busta 41; cfr. Lord Balfour’s Reply, in «The Times», 7 luglio 1925.165 Della Torretta a Mussolini, 18 luglio 1925, DDI, Serie Settima, vol. IV, doc.70.Altrove

il Romano Avezzana informava che per gli inglesi il patto doveva costituire una soli-darietà europea contro il «sollevamento dell’Asia e di tutte le razze di colore control’Europa»; Romano Avezzana a Mussolini, 10 luglio 1925, tel.1231/448, ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41.

166 DBFP, I Series, vol.XXVII, doc.384.167 Ibidem, doc.316.168 Ibidem, doc.411. Un altro memorandum di Hurst, datato 18 giugno 1925, analizzava il

problema del rapporto tra patto di garanzia ed impegni della Francia verso la Polonia(doc.385).

169 Briand a De Fleuriau, 9 luglio 1925 (trasmesso il 10 al Foreign Office), DBFP, Series I,vol.XXVII, doc.408.

170 Chamberlain a Graham, 11 giugno 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.377; cfr.DDI,Serie Settima, vol.IV, docc.28 e 29, già citati.

171 Chiaramonte Bordonaro a Mussolini, 25 giugno 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV,doc.47.

172 Chiaramonte Bordonaro a Mussolini, 27 giugno 1925 , ibidem , doc.48.173 Chiaramonte Bordonaro a Mussolini, 1° luglio 1925, tel.1130/238, ASMAE,

Arch.Gab.,TSN, busta 41.A Mataja i francesi avevano assicurato il loro interessamen-to presso banche inglesi ed americane, promettendo di far tutto il possibile per aiuta-re l’Austria a risanarsi economicamente; essi sottolinearono, in quest’occasione, la lorototale opposizione all’Anschluss e ad una proroga dei benefici previsti per l’Austria dal-l’articolo 222 del trattato di Saint-Germain. Nell’ordine si vedano: ChiaramonteBordonaro a Mussolini, 4 luglio 1925, tel.1200/247, ibidem; Romano Avezzana aMussolini, 28 giugno 1925, tel.1094/429, ibidem.

174 Chiaramonte Bordonaro a Mussolini, 6 luglio 1925, ASMAE, Ambasciata di Vienna,busta 279, fasc.«Annessione dell’Austria alla Germania».

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Capitolo III – L’Italia ed il problema della sicurezza

175 Chiaramonte Bordonaro a Mussolini, tel. senza data n.1201/248, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41.V. anche Borchers ad AA, 20 giugno 1925,ADAP,A, Band XIII, doc.138.

176 Chiaramonte Bordonaro a Mussolini, 11 luglio 1925, tel.1828/941, ASMAE, Am-basciata di Vienna, busta 279, fasc.«Annessione dell’Austria alla Germania».

177 Il contenuto di quest’articolo fu comunicato dal De Bosdari a Mussolini il 18 giugno1925, con telegramma n. 991/189,ASMAE,Arch. Gab.,TSN, busta 41. L’ambasciatoreitaliano a Berlino sollevò rimostranze verso queste espressioni della stampa tedesca, siacon Schubert che con Stresemann.

178 Mussolini a Vittorio Emanuele III, 17 luglio 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.63.Il contesto di questo documento era un’analisi della situazione generale, internaziona-le ed interna. Quelle riportate nel testo sono le uniche parole che Mussolini spese peril patto di sicurezza.

179 F. SCARANO, Mussolini e la Repubblica di Weimar. Le relazioni diplomatiche tra Italia eGermania dal 1927 al 1933, Napoli: Giannini Editore, 1996, pp.40-41 e 73. L’Autoreha consultato, tra l’altro, le carte private dell’ambasciatore italiano a Berlino, conserva-te presso l’Archivio di Stato di Bologna.Cfr.DDI, Serie Settima, vol.III, nota 2 a p.558.

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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

CAPITOLO IV.

PREPARANDO LOCARNO:DAGLI SCAMBI DIPLOMATICI ALLA

CONFERENZA DEI GIURISTI

1. LE NUOVE OSSERVAZIONI TEDESCHE DEL 20 LUGLIO ED I PROBLEMI

CORRELATI

La risposta degli alleati alla nota tedesca fu inviata alla Germania il 16giugno e non mancò di turbare notevolmente il clima parlamentare di quelpaese. Il governo tedesco, infatti, nella discussione al Reichstag sulla politicaestera, espresse il proprio intento di predisporre nuove osservazioni alla notadegli alleati, in breve tempo e senza prima consultare l’assemblea legislati-va, scatenando così la ferma opposizione dei socialdemocratici Dittmann eBreitscheid, appoggiati dal deputato von Gräfe, rappresentante dei nazional-socialisti. Gli animi si placarono quando Paul Löbe, Presidente del Reichstag,raccomandò all’assemblea la proposta del centrista Fehrenbach di sospen-dere per due giorni le sedute parlamentari e di riprendere i lavori con un’e-sposizione della linea governativa che Luther e Stresemann (allora assenti daBerlino) avrebbero fatto davanti alla Commissione per gli Affari Esteri o alConsiglio degli Anziani1.

Il testo della risposta tedesca, quindi, sottoposto al preventivo giudiziodella Commissione Esteri del Reichstag e dei presidenti dei Länder2, fu appro-vato definitivamente dal Reichstag con 235 voti contro 158 e 13 astensioni3.

Nel discorso preliminare alle dichiarazioni di voto, Stresemann si auguròche l’Italia entrasse nel patto di sicurezza (avrebbe poi incaricato Neurathdi ribadire ciò a Roma consegnando la nota); al contempo, però, desideròsottolineare che il trattato di Versailles non doveva essere violato da unadelle parti, ai danni della sola Germania4.

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La risposta tedesca fu consegnata il 20 luglio, contemporaneamente, aFrancia, Gran Bretagna ed Italia5. Da quest’ultima, in particolar modo, laGermania si aspettava un’azione presso gli ex alleati, affinché questi tenes-sero nella giusta considerazione il nuovo passo tedesco6.

Nel documento si leggeva a chiare lettere che il governo tedesco nonaveva mai escluso la possibilità di un adattamento dei trattati vigenti allemutate circostanze e che la Germania, proponendo un patto di sicurezza,aveva previsto anche un sistema di trattati arbitrali sul modello di quelli giàin vigore con altri paesi. Ma, poiché la nota di risposta degli alleati prevede-va, in caso di inosservanza degli articoli 42, 43 e 180 di Versailles, il ricorsonon già ad una procedura di arbitrato o di conciliazione, bensì tout court aduna procedura coercitiva, non era pensabile che la Germania potesse conce-dere agli alleati il diritto ad intervenire contro se stessa. Tutto ciò sarebbestato pregiudizievole e non in armonia con lo spirito del Covenant. Con ciòla Germania rifiutava ufficialmente anche l’ipotesi di una garanzia francesesui trattati di arbitrato orientali, ribadendo le proprie argomentazioni7.

La nota tedesca contrariò Briand, che Chamberlain cercò di rassicurareasserendo che la Germania, in fondo, non si era pronunciata del tutto nega-tivamente, perché aveva avanzato solo delle critiche e richiesto delucida-zioni8. Chamberlain intendeva salvare il principio della garanzia francese adest: «Non vedono i tedeschi che è questo il solo modo per riscrivere l’al-leanza francopolacca. È tutto nell’interesse della Germania... e nostro»9.

È da rilevare che nel frattempo Benes, in disposizioni senza dubbiomigliori rispetto al collega polacco, aveva sottoposto al Quai d’Orsay unprogetto di trattato di arbitrato tedescocecoslovacco. Fromageot lo esa-minò, e rilevò che esso non prevedeva affatto la partecipazione francese,rendendo così impossibile la necessaria garanzia. Occorrevano, ad avviso delgiurista, i seguenti requisiti: un trattato a tre (tra Germania, Francia eCecoslovacchia), con l’impegno tedesco e cecoslovacco a regolare per viadi arbitrato ogni controversia; una garanzia, data dalla Cecoslovacchia allaFrancia ed alla Germania, per i casi di inosservanza del patto renano; unaccordo tedescocecoslovacco, circa le modalità di funzionamento della pro-cedura di arbitrato, prevista dal trattato franco-tedesco-cecoslovacco10. Si

154

Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

osservava infine che l’entrata della Germania nella Società delle Nazioninon avrebbe dovuto costituire condizione necessaria per la realizzazionedel patto di sicurezza11.

Da quanto detto, si comprende perché il governo francese nutrisse, inseguito alla nuova nota tedesca, una certa apprensione12. Secondo RomanoAvezzana, invece, i francesi non escludevano la possibilità di un accordo.All’ambasciatore italiano, del resto, fu data assicurazione che comunque laFrancia non avrebbe risposto a questo nuovo passo di Berlino senza primaconcertarsi col governo italiano13.

Pochi giorni dopo Briand riceve’ l’ambasciatore tedesco a Parigi, vonHoesch, e dal loro colloquio emerse chiaramente la difficoltà della Franciaad accettare alcuni punti che il documento tedesco conteneva. A giudiziodi Hoesch, il motivo del contendere non era tanto la pacifica revisione deitrattati di pace, quanto alcune disposizioni che il governo di Berlino vole-va inserire nei trattati di arbitrato: un accenno alla reciprocità della garan-zia, qualora anche detti trattati avessero avuto un garante esterno; menzio-ne della parità dei diritti che la Germania reclamava; conferma del princi-pio che si doveva pervenire ad un disarmo generale; previsione di una tem-poranea neutralità per la Germania, in modo da non partecipare, appenaentrata nella Società delle Nazioni, a misure coercitive da questa decise. Laprima buona impressione che, secondo Romano Avezzana, la Francia avevaavuto della nota, ben presto venne meno e a Parigi si pensò ad una proce-dura speciale e rapida per determinare, con estrema precisione, quali consi-derare casi di aggressione14.

A Londra, la nuova nota tedesca fu accolta favorevolmente daChamberlain, ma non altrettanto da altri esponenti del Gabinetto Baldwin.Ciò spinse il ministro degli esteri britannico a far chiedere da Crewe aBriand di non sollevare con la Germania questioni troppo minuziose, dalmomento che l’adesione britannica al patto renano era pur sempre «condi-zionata al raggiungimento di un più possibile completo consenso [dell’]opinione pubblica imperiale»15. La mancanza di accordo all’interno dellacompagine governativa britannica fece però sentire ben presto i suoi effet-ti. Non passò molto tempo, infatti, e anche a Londra sorsero numerosi

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Capitolo IV – Preparando Locarno

dubbi sulle reali intenzioni dei tedeschi16: Evidentemente gli inglesi conti-nuavano a vedere mal ripagata la loro determinazione a far entrare laGermania nell’assise europea, atteggiamento che provocava frequenti diver-genze coi francesi.

Queste emergevano anche su una non secondaria questione, suscettibi-le di turbare i negoziati in corso. Il governo francese aveva fatto presente aquello tedesco che l’evacuazione della Ruhr, prevista per la metà di agosto,non implicava affatto l’evacuazione anche delle città di Düsseldorf eDuisburg. La notizia indispose i tedeschi, i quali però ben sapevano di potercontare sul consenso del governo inglese all’evacuazione delle suddettecittà17. La questione andò decantando nei giorni successivi, quando parvechiaro che l’opposizione francese all’evacuazione derivava solo da osserva-zioni di pura forma, mosse dall’ambasciatore francese a Berlino18. Del resto,la Germania pretendeva di aver ricevuto direttamente da Herriot, in occa-sione della conferenza di Londra, la precisa assicurazione dell’evacuazione,nei termini previsti, anche di Düsseldorf, di Duisburg e di Ruhrort; soloche di tale impegno non s’era trovata traccia negli archivi del Quai d’Orsay.

Il governo francese acconsentì allo sgombero delle tre città per la datadel 26 agosto; solo Colonia sarebbe rimasta occupata, fino alla completaesecuzione da parte tedesca delle clausole di disarmo previste nel trattato diVersailles19. Di tale decisione fu data comunicazione anche al governo ita-liano con un memorandum dell’ambasciata francese a Roma, cui fu rispostoverbalmente con espressioni di soddisfazione20. Il fatto che Colonia rima-nesse occupata fino a data indefinita costituiva per la Germania un ostaco-lo alla prosecuzione dei negoziati sul patto di sicurezza.

La nuova risposta tedesca rallentava, insieme ad altre questioni, il pro-cesso di realizzazione della sicurezza occidentale; ma essa fu anche un’oc-casione di nuovo confronto e di consultazioni tra i paesi destinatari, primadi procedere oltre nel negoziato sul patto renano.

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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

2. VERSO LA CONFERENZA SUL PATTO DI SICUREZZA: GLI INCONTRI

ANGLOFRANCESI DI LONDRA E L’EVOLUZIONE GRADUALE DELLA POSI-ZIONE ITALIANA

Una delle maggiori preoccupazioni della Francia riguardo al riserbomanifestato dall’Italia era che la Germania potesse approfittare dell’incer-tezza del momento e minare l’unità dei vincitori, garantendo, per esempio,la frontiera del Brennero e superando, così, l’opposizione italianaall’Anschluss. «Sarebbe un colpo terribile – osservava Besnard il 30 giugno– le cui conseguenze sarebbero grandi poiché implicherebbero la sicuraripresa dell’influenza tedesca su questo paese». L’ambasciatore dubitava cheMussolini si prestasse a tale gioco, ma riteneva necessario stare all’erta, nonperder tempo e fare in modo che anche la Gran Bretagna offrisse unagaranzia sul Brennero, onde assicurare l’ingresso dell’Italia nel patto renano.Occorreva parimenti offrire all’Italia una garanzia diretta e la promessa diopporsi insieme ad essa all’Anschluss21.

Il governo italiano aveva non di rado espresso disappunto per l’avver-sione britannica all’idea di patto a cinque e per la malferma condotta deglialleati nella questione austriaca.A ciò andava aggiunta l’estraneità dell’Italiaal lavorio diplomatico da cui era scaturita la risposta alla Germania del 16giugno. Si possono allora spiegare sia le preoccupazioni francesi (e special-mente di Besnard), sia l’insoddisfazione di Mussolini che vedeva gli interessiitaliani trascurati da Parigi e Londra. Fu così che i francesi offrirono nuo-vamente una garanzia al Brennero, sulla base dei presupposti desiderata mus-soliniani; mentre allo stesso tempo Della Torretta negò categoricamentecon gli inglesi che fosse il Brennero il vero problema.

Ma le attenzioni della Francia non scemarono.A Parigi, infatti, si riten-ne opportuno pervenire ad un accordo generale con l’Italia (non tutti alQuai d’Orsay comunque consentivano), e realizzare anche quel lungo sognodi Badoglio, di un’alleanza militare in chiave anti-tedesca che, last but notleast, avrebbe garantito il Brennero.

Badoglio, allora ambasciatore in Brasile, aveva discusso di tale possibilità,nel mese di aprile, con l’addetto militare francese, Coffe. L’idea fu ripresa,

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come abbiamo visto, quando egli, divenuto Capo di Stato Maggiore gene-rale, presentò a Besnard nuove proposte condite di personali insistenze cherasentarono il sentimentale22. Lungi dal supporre un’iniziativa del tuttoautonoma, il governo francese prese molto sul serio le ripetute offerte diBadoglio e le considerò parte della politica del governo italiano. Il Quaid’Orsay, quindi, non solo informò il Ministero della Guerra, competente inmateria, ma tenne al corrente di tutta la vicenda anche il Maresciallo Foch,allora Presidente del Comitato Militare Alleato di Versailles23.Valutate lecircostanze, il Maresciallo diede il suo parere: «Ritengo – scrisse a Briand il25 giugno – che sarebbe nostro interesse non lasciar cadere le offerte cosìripetute, tali quali risultano dalle comunicazioni che mi avete inviato e, sevoi condividete questo modo di vedere, sarebbe vantaggioso risponderesenza ritardo a queste aperture nel timore che le disposizioni favorevoli chesi sono a noi manifestate non vengano ad orientarsi per altra via»24.

Le “altre vie” cui Foch si riferiva, da Roma portavano a Berlino. Cre-sceva dunque l’urgenza di vincere la partita coi tedeschi, onde avere l’Italiaschierata al fianco della Francia.

«Ho l’impressione che i tedeschi non se ne restino inattivi a Roma»ammonì Besnard il 2 luglio e per questo motivo consigliò un doppio nego-ziato, bilaterale con Roma, e più esteso con la Gran Bretagna (per il pattoa cinque, per una garanzia collettiva sul Brennero e contro l’Anschluss)25.

Occorreva dunque non indugiare oltre, poiché i negoziati italotedeschi,avviati a Roma per il tramite di von Neurath e aventi come punto di par-tenza le dichiarazioni del 20 maggio di Mussolini al Senato, secondoBesnard potevano andare a buon fine. La Germania sembrava disposta adare all’Italia ogni garanzia di intangibilità della frontiera del Brennero,chiedendo in cambio solo comprensione verso progetti di revisione basatisull’articolo 19 del Covenant e verso la comune aspirazione di Austria eGermania ad unirsi politicamente. Lo stesso Besnard ricordava che, accen-nando alle offerte tedesche, un alto funzionario di Palazzo Chigi avevadetto: «A che può servirci la garanzia della frontiera del Brennero se laGermania procede all’annessione dell’Austria? È come se ci si dicesse: noivi diamo la finestra, ma chiudiamo la porta. Quando noi avremo alle fron-

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tiere una Germania agguerrita, saremo esposti a perdere il beneficio di que-sta garanzia al minimo conflitto». Questo stesso funzionario aveva d’altron-de riconosciuto che l’Anschluss non avrebbe modificato la posizionedell’Italia perché, in caso di conflitto europeo, la Germania avrebbe certa-mente invaso l’Austria; tanto valeva allora prevenire i disegni dei tedeschi eaccordarsi con essi. Poiché per Besnard le informazioni raccolte eranomotivo di preoccupazione, egli sollecitò un’azione da Parigi26.

Briand, valutate le informazioni provenienti da Roma, fece notare aBesnard che il riserbo di Mussolini contrastava alquanto con le sollecita-zioni ad offrire qualcosa all’Italia.Tuttavia egli invitò l’ambasciatore a Romaad indicargli la strada per avviare conversazioni con il governo italiano27.

Il 10 luglio Besnard comunicò che i negoziati italotedeschi avevanosubito una battuta d’arresto, in quanto per il governo italiano una garanziatedesca sul Brennero avrebbe facilitato l’Anschluss, costituito un pericolosulle frontiere settentrionali e posto le basi per un colpo di mano tedescosull’Alto Adige. Besnard consigliò nuovamente il suo governo di agire pervanificare ogni residuo tentativo dei tedeschi di guadagnarsi l’Italia28. Il 14luglio egli scrisse che «sebbene la garanzia bilaterale rappresenti un vantag-gio certo per l’Italia, questa considera che un impegno reciproco ad oppor-si congiuntamente all’annessione dell’Austria alla Germania è un corollarionecessario all’intesa sulla sicurezza delle frontiere». Dovendo incontrareMussolini di lì a poco, Besnard chiedeva le opportune istruzioni29. Era suaconvinzione che la Francia dovesse dare all’Italia la desiderata sicurezza,anche in considerazione dell’instabilità politica in Alto Adige30, e cheoccorresse agire tempestivamente, prima che fosse definito un accordodiretto con la Germania per “punire” gli ex alleati. Occorreva inoltre tenerconto della dialettica interna a Palazzo Chigi, e delle divergenze traMussolini e Contarini, non senza influenza sugli sviluppi del problema dellasicurezza31.

Briand scrisse dunque all’ambasciatore a Roma quanto segue: «Se ilPrimo Ministro italiano ha cambiato idea, vi lascio ogni libertà di ripren-dere con lui la conversazione nel senso della garanzia che egli desidera. Ionon credo, d’altronde, che delle conversazioni coi tedeschi e un’ipotetica

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garanzia della frontiera del Brennero da parte della Germania (supponendoche possa esser proposta ed ammessa) siano di natura tale da soddisfarel’Italia ed indurla a consentire all’annessione dell’Austria alla Germania».Egli inoltre non condivideva la proposta di Besnard di mantenere una dop-pia linea negoziale, in quanto Londra, a suo parere, non si sarebbe associataalla garanzia desiderata dall’Italia. «Un patto francoitaliano è, al contrario,nell’ordine delle cose, e di natura tale da convincere l’Italia a partecipare alpatto occidentale sul Reno»32. Briand diede così a Besnard le seguentiistruzioni: «L’intesa sulla sicurezza della frontiera del Brennero implica l’im-pegno ad opporsi di comune accordo all’annessione dell’Austria allaGermania. È del resto l’applicazione dei trattati sulla quale noi non abbia-mo mai mutato avviso»33.

Il 22 luglio Besnard rivide Mussolini e, dopo avergli chiesto se ritenevadi dover attendere la nuova risposta tedesca (inviata il 20 luglio) per scio-gliere la riserva sul patto di garanzia, confermò le migliori intenzioni delsuo paese verso un patto bilaterale, a tutela del Brennero e control’Anschluss. Mussolini rispose che non aveva mai cessato di pensare agli inte-ressi comuni di Italia e Francia, paesi «già legati nel presente»; ma che tut-tavia egli desiderava seguire gli sviluppi della situazione e attendere la con-clusione delle conversazioni anglo-franco-tedesche sul patto, prima di per-venire ad un preciso accordo con la Francia. «Penso – concluse Besnard –che non abbiamo ora che da attendere, a meno di nuovi eventi, che la con-versazione sia ripresa dallo stesso governo italiano»34.

Besnard vide dunque svanire la linea politica che egli intendeva adotta-re nei confronti dell’Italia, ovvero cogliere l’attimo e concludere rapida-mente un accordo bilaterale. Questo progetto veniva frustrato dalla man-canza di precise intese, in Europa e in Mediterraneo. I rapporti italofrance-si rimanevano tuttavia cordiali; Mussolini stesso non aveva risparmiato elogial governo e alla stampa francese per il loro contegno verso l’Italia.L’atmosfera tra i due paesi era distesa al punto che il Ministro degli Interniitaliano, Federzoni espresse al Besnard, il 23 luglio, tutta la simpatia dell’o-pinione pubblica per l’azione francese condotta in Marocco contro le sol-levazioni nel Riff. «Ciò è molto significativo – commentò l’ambasciatore

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francese – poiché il signor Federzoni rappresenta in seno al Ministero l’e-lemento nazionalista ed è l’ex direttore dell’Idea Nazionale»35. Anche se,provenendo da un personaggio di estrazione nazionalista, le buone disposi-zioni di Federzoni potevano rappresentare un’esca per sollecitare la Franciaad affrontare le questioni coloniali.

La risposta tedesca, pervenuta il 20 luglio, rese più impegnativi i nego-ziati per la ricerca di una formula efficace di patto di garanzia e per con-cordare una replica al documento appena giunto da Berlino; Chamberlaindisse a Della Torretta che «prima di pronunciarsi sulla risposta tedesca del 20luglio intendeva avere uno scambio di idee con i Gabinetti di Parigi e diBruxelles»36. A Parigi, Briand assicurò Romano Avezzana che la Francianon avrebbe replicato alla nuova nota tedesca prima di concertarsi conMussolini37. Ma da una lettera privata del 6 agosto 1925 di Phipps aChamberlain emerge la convinzione del Quai d’Orsay che la nuova rispo-sta alla Germania fosse da concordare solo tra Londra e Parigi, mentrel’Italia ed il Giappone dovevano essere consultate in seguito ed a titolo dicortesia38. Del resto attendere lo sviluppo degli eventi e la chiusura delnegoziato tripartito, tra Francia, Gran Bretagna e Germania, era negli inten-ti dello stesso Mussolini.

Inglesi e francesi si incontrarono a Londra, l’11 e 12 agosto. Un’im-portante conversazione tra la delegazione francese (guidata da Briand ecomprendente Berthelot, De Fleuriau, Fromageot e Léger) e quella britan-nica (composta da Chamberlain,Tyrrell, Hurst, Lampson, Selby e Bennett)ebbe luogo al Foreign Office, l’11 agosto, per esaminare il progetto francese dirisposta alla Germania. Chamberlain propose di inserire un riferimentoesplicito all’articolo 19 del Patto della Società delle Nazioni (credendoloforse il modo più rapido per legare la Germania revisionista al nuovo siste-ma), ma dove’ affrontare le obiezioni di Fromageot, per il quale la tal cosaavrebbe incoraggiato la Germania a servirsene, non appena entrata nella legaginevrina; mentre era preferibile, a suo parere, la formulazione contenuta nelquarto paragrafo della prima sezione del progetto francese (irrinunciabilitàdei diritti della Francia). Fu approvata inoltre la modifica al paragrafo prece-dente, proposta da Briand, onde ribadire l’inscindibilità dell’osservanza del

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patto di sicurezza dal rispetto degli altri trattati. Buon esito ebbe la propostadi Chamberlain di richiamare, al paragrafo quinto del progetto, le note inte-ralleate del 26 gennaio (sul disarmo tedesco) e del 2 giugno (sull’evacuazio-ne di Colonia). Non trovò difficoltà anche l’altra proposta inglese di pun-tualizzare che era la mancanza di sicurezza ad impedire ancora quel disarmogenerale auspicato dalla Germania. Sempre da Chamberlain venne la preci-sazione che il non ricorso all’uso della forza, se non sotto mandato della Legaginevrina, era condizione indispensabile per concludere il patto di garanzia.La definizione degli estremi di aggressione e delle relative conseguenze fuquindi oggetto di analisi tra il ministro britannico e Fromageot; ma la solu-zione venne lasciata al giurista francese ed al collega inglese Hurst.

Al termine di questo primo ciclo di conversazioni, Briand eChamberlain acconsentirono ad invitare il consulente giuridico del mini-stero degli esteri tedesco, Gaus, e possibilmente il suo omologo belga,Rolin, per uno scambio di vedute a Londra, propedeutico alle conversazio-ni che i due ministri e Stresemann avrebbero tenuto a Ginevra o altrove39.L’ambasciatore italiano a Londra, qualche giorno dopo, comunicò che unoschema di patto di sicurezza era già stato redatto, sulla base dei recentiincontri di Londra tra Chamberlain e Briand40.

La linea adottata a Londra da Chamberlain e Briand mirava a dissolve-re l’impressione che si volesse imporre alla Germania qualcosa di predefi-nito, cui dare o negare il proprio consenso. Gaus, infatti, avrebbe preso aLondra informazioni, magari avrebbe dato suggerimenti, per poi riferire aStresemann, in vista delle conversazioni che questi avrebbe intrattenuto coni colleghi inglese e francese. Ma dietro la condotta di Chamberlain sinascondeva il desiderio, come egli stesso ammise l’11 agosto conD’Abernon, di riscrivere l’alleanza francopolacca, nell’interesse tedesco ebritannico41. L’entrata nella Società delle Nazioni avrebbe dato alla Ger-mania, infatti, la possibilità di servirsi dell’articolo 19 del Covenant e, con-seguentemente, di porre in discussione l’inamovibilità delle frontiere orien-tali. La reciproca difesa del territorio dei due contraenti, prevista nel pream-bolo del trattato francopolacco del 19 febbraio 1921, era poi da intendersicome difesa da aggressione non provocata (ex art.3).

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L’accenno all’alleanza francopolacca, fatto da Chamberlain aD’Abernon, rivela il nesso per lui esistente fra tale allenza ed il patto digaranzia. Divergevano dunque le linee di Parigi e di Londra su questoimportante aspetto della sicurezza. Le pacifiche aspirazioni tedesche ad unarevisione delle frontiere orientali non erano, per gli inglesi, da considerarecasus belli. Ed il principio del rispetto ai trattati non escludeva l’“evoluzio-ne” di essi, il loro adattamento a nuove circostanze e situazioni, come pre-visto dall’articolo 19 del Covenant. La Francia, in fondo, ormai accettavaquesta visione, ma a patto di poter rimpiazzare le sue alleanze con qualco-sa di plausibile, ossia rivestendo il ruolo di garante dei trattati di arbitratoorientali. Ma anche tale proposito, quando non fu impedito da Londra, lofu, come vedremo, da Berlino.

Dalle conversazioni anglofrancesi di Londra scaturì il testo della nuovarisposta francese alla Germania.

La Francia prendeva atto dell’aspirazione tedesca ad una pace europea,basata su garanzie complementari di sicurezza e si compiaceva del fatto chela Germania perseguisse tale intento senza subordinarlo ad una revisionedel trattato di pace; anche se essa aveva fatto presente la possibilità di adat-tare i trattati preesistenti al nuovo patto di garanzia. La Francia, tuttavia,doveva ribadire che tale patto era «anzitutto fondato sul rispetto scrupolo-so dei trattati che formano la base del diritto pubblico dell’Europa», e checiò era la «condizione prima» per entrare nella Società delle Nazioni. Unavolta in quest’organismo, la Germania avrebbe potuto «far valere i suoi desi-derata», al pari degli altri stati, e sottoporre all’esame del Consiglio i suoiprogetti. Non erano condivisibili le remore della Germania ad entrare nellaSocietà delle Nazioni. La Francia ed i suoi alleati dovevano chiarire allaGermania che l’ingresso in quest’organismo, «nelle condizioni del dirittocomune», era «la base di ogni intesa sulla sicurezza», e che mancando la sicu-rezza era impossibile procedere al disarmo generale. Occorreva altresì pre-cisare che modello dei futuri trattati di arbitrato tra la Germania, da un lato,e la Francia, il Belgio, e «gli altri vicini della Germania e firmatari delTrattato di Versailles», dall’altro, non poteva essere il trattato svizzerotedesco,in quanto questo lasciava al di fuori della procedura arbitrale le questioni

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«più importanti, d’ordine politico, giusto quelle che sarebbero suscettibili dicondurre alla guerra». Occorreva dunque che i previsti trattati d’arbitratoregolassero questioni giuridiche e questioni politiche indistintamente; l’ar-bitrato obbligatorio era quindi altra condizione indispensabile per il pattodi sicurezza. La Francia non comprendeva poi le resistenze tedesche ad unagaranzia sui trattati di arbitrato: non al garante di questi trattati, infatti, spet-tava decidere chi fosse l’aggressore. «È aggressore – specificava la nota fran-cese – chi tale si designa da se stesso, per il solo fatto che, invece di prestar-si ad una soluzione pacifica, ricorre alle armi o viola sia le frontiere, sia, nelcaso del Reno, la zona smilitarizzata». Del resto, l’idea di garantire i trattatidi arbitrato era stata giudicata conforme allo spirito del Covenant durantel’ultima sessione dell’Assemblea della Società delle Nazioni. Si potevano,comunque, studiare i modi per adattare il gioco della garanzia alla naturadella violazione ed alle circostanze, onde assicurare la massima imparzialità.Il Governo tedesco era invitato pertanto ad intrattenere un negoziato, sullabase delle considerazioni svolte, per concludere un trattato di garanzia42.

Dagli incontri di Londra scaturì anche un progetto di patto di sicurez-za che fu la base per i previsti lavori dei giuristi (vedansi §§ 3 e 4)43.

Sempre nel corso dei colloqui anglofrancesi, l’ambasciatore statunitensea Londra volle esprimere il vivo interesse del suo paese verso un patto disicurezza europea e promise a Briand che, da parte americana, non sarebbemancato il più attivo contributo, sia pure in forma indiretta ed ufficiosa, aifini di un risultato positivo dei negoziati. Il ministro francese, dapprimapiuttosto contrariato da quella che riteneva un’indebita intromissione44,fece in seguito buon viso, in quanto la Gran Bretagna manteneva con gliStati Uniti una sostanziale unità di vedute sui problemi della sicurezza.L’ambasciatore americano a Londra fu così tenuto al corrente delle con-versazioni in corso.

Per osservare la posizione italiana in questo momento, va detto che aRoma era noto il desiderio di Chamberlain di evitare eccessive precisazio-ni nella nuova risposta alla Germania, in quanto una maggiore elasticità leavrebbe dato la sensazione di collaborare effettivamente alla stesura delpatto di garanzia. Il ministro britannico riteneva anche che la garanzia non

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doveva essere automatica, ma scattare per decisione di un terzo stato chefungesse da garante, e che occorresse restringere la casistica riguardante lagaranzia stessa45. Già prima dell’arrivo di Briand a Londra, Chamberlainaveva informato l’ambasciatore italiano, Della Torretta, che alla prossima ses-sione dell’Assemblea della Società delle Nazioni, avrebbe impedito di ria-prire la questione del Protocollo di Ginevra, e si sarebbe adoprato per sot-trarre alla competenza dell’Assemblea ogni discussione sul patto di garan-zia, confidando in un eguale atteggiamento dell’Italia46. Secondo le infor-mazioni date da Chamberlain a Della Torretta, la formula adottata nelrispondere alla Germania era abbastanza ampia nei suoi termini. Alcunequestioni restavano indefinite, e tra queste la frontiera orientale tedesca, mai francesi erano pur sempre liberi di accordarsi a tal riguardo direttamentecon Berlino.

Si considerava ormai conclusa la fase della corrispondenza diplomatica,mentre se ne apriva una nuova, con la convocazione a Londra, entro quin-dici giorni, di «una riunione di giuristi dei vari ministeri degli esteri, inclu-so il tedesco» per la redazione di un testo del patto di sicurezza.A ciò avreb-be fatto seguito «una ‘conversazione’ tra i ministri degli affari esteri alleatie Stresemann»47.

Mussolini disponeva di alcuni elementi utili per una valutazione com-plessiva dei problemi sul tappeto. La conferenza anglofrancese di Londra siera chiusa con un rilevante successo britannico, merito di Chamberlain edei suoi collaboratori, ma anche della «ferrea volontà» del GovernoBaldwin di seguire i colloqui anglofrancesi «e potere quindi offrire mag-giore resistenza ai tentativi di Briand» di condurre le cose in modo da spia-cere all’opinione pubblica britannica, ossia far passare nel negoziato dellasicurezza una concezione che gli inglesi ben conoscevano e che per essiimplicava oneri maggiori. Per questo motivo, nonostante l’inizio, il 7 ago-sto, delle vacanze parlamentari, quasi tutti i componenti del Governo di SuaMaestà avevano deciso di restarsene a Londra48.

Altro elemento da considerare erano i problemi sorti tra inglesi e fran-cesi, agli inizi di agosto, sulla vessata questione dei debiti interalleati, alpunto che si considerò necessario il rinvio di un incontro tra i rispettivi

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ministri finanziari. Mussolini doveva inoltre tener presente cheChamberlain non voleva aggravare la posizione del Governo Luther, forte-mente osteggiato all’interno dai Tedesco-nazionali, forse appoggiatidall’Unione Sovietica49.

Bisognava infine ricordare che si apriva ormai una fase nuova nei nego-ziati sulla sicurezza, e quindi Palazzo Chigi doveva decidere al più presto seinserirvi o meno l’Italia.

Quando giunsero da Londra a Roma le notizie sui risultati del conve-gno anglofrancese, Mussolini le ritrasmise per via telegrafica alle ambascia-te di Bruxelles, di Berlino e di Parigi. Romano Avezzana fu pregato diincontrare subito Briand (ritornato in patria) e, senza comunicare le infor-mazioni ricevute, ma dando a vedere di conoscere quanto il ministro fran-cese aveva discusso con Chamberlain, chiedergli se non ritenesse di fornirepersonalmente qualche ragguaglio in proposito50.

Al contempo Mussolini telegrafò a Della Torretta che il governo italia-no attendeva di ricevere il testo della nota di risposta alla Germania, con-cordata tra Chamberlain e Briand, per poterne esaminare il contenuto;anche se fin da ora assicurava di condividere l’atteggiamento inglese.Mussolini aggiunse che per questo l’Italia si sarebbe astenuta da osservazio-ni particolari, ed era pronta a svolgere qualsiasi ruolo utile ai fini dellabuona riuscita dei negoziati sul patto di garanzia. Egli precisò pure chel’Italia doveva entrare nel patto di sicurezza, ritenuto «patto fondamentale».Per queste ragioni, invece di formulare osservazioni e controproposte,sarebbe stato meglio per l’Italia partecipare ai previsti studi condotti daigiuristi, ai fini dell’adozione di un testo definitivo di patto. Nel «rispettodella situazione creata dal trattato di pace e dai diritti e doveri che questocontempla tanto per i vincitori quanto per i vinti», l’Italia poteva, a giudi-zio di Mussolini, «trovare anche la difesa dei problemi che particolarmentela interessavano» e partecipare al patto renano, se questo fosse stato redattosulle basi prospettate da Chamberlain, del tutto affini al punto di vista ita-liano51.Tale punto di vista è messo ulteriormente in chiaro dalla bozza deltelegramma del quale ora abbiamo citato alcuni stralci. Essa reca la data del15 agosto e contiene una parte non più trasmessa (e che non compare per-

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ciò nei Documenti Diplomatici Italiani52). «Sono evidenti – si legge in questaparte – le molteplici ripercussioni che per varie ragioni questi criteri sonodestinati o possono avere (sic) oltre che formalmente nel R[eno] in viagenerale su tutta quanta la questione della s[icurezza] e[uropea] e sugli altriarticoli del T[rattato], anche in quelli che possono interessarci non soloindirettamente ma anche in modo diretto in rapporto ai problemi che citoccano da vicino. Ed è quanto evidente (sic) la convin[zione] italiana a par-tecipare ai prossimi lavori per l’elaboraz[ione] di tali criteri per la difesa ela garanzia della pace in Europa»53.

L’incaricato d’affari Roger consegnò, il 17 agosto, a Palazzo Chigi ilprogetto di nota alla Germania. «Il Governo francese – egli scrisse in unalettera a Mussolini ivi allegata – sarebbe felice di sapere se questo progettodi risposta incontra il consenso del Regio Governo. Mi permetto di richia-mare l’attenzione di Vostra Eccellenza sul carattere strettamente confiden-ziale che deve conservare questo documento sino a nuovo ordine»54.Mussolini esaminò il progetto e il 18 agosto espresse alcune sue personaliimpressioni, in un appunto scritto di suo pugno. In esso si legge quantosegue: «L’assentire, come ci viene richiesto, all’invio della nota allaGermania. Da considerare: a) che in essa nota viene ripetutamente e solen-nemente proclamato che il Patto di Garanzia non esclude, anzi presupponeil rispetto del Trattato di Versaglia e quindi anche dell’articolo 80 del mede-simo trattato; b) che per quanto concerne l’entrata della Germania nellaLega delle Nazioni, il Governo italiano ha già precisato il suo atteggia-mento (vedi mio discorso al Senato); c) che – dopo la nota – è necessariauna prima conferenza dei giuristi. Mia impressione piuttosto negativa»55.

Questo documento, reso noto dal Lefebvre d’Ovidio56, illustra moltobene la posizione italiana e ben sintetizza i princìpi della politica diMussolini in tema di sicurezza. In primo luogo, esso indica che l’Anschluss,piuttosto che la garanzia al Brennero, era il vero cruccio; in secondo luogo,evidenzia come Mussolini, pur scontento per come andavano le cose, rite-nesse importante uscire dal riserbo manifestato in precedenza.

Mussolini rese ufficiale la sua posizione in una nota lasciata, il 18 ago-sto, all’incaricato francese Roger. «Da un rapido esame del documento –

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Capitolo IV – Preparando Locarno

egli scrisse – apparirebbe che, tenuto conto delle varie circostanze, essopuò rappresentare quanto di meglio sia possibile nelle presenti condizioni.D’altronde, il Governo italiano era già persuaso di quello che, nella stessanota, riconosce il Governo francese, circa le difficoltà e i ritardi che com-porterebbe la continuazione, a mezzo di scambi di note, di un negoziatosu questioni così delicate. Ciò premesso il Governo italiano non ha diffi-coltà a dare il suo consenso al progetto di risposta in parola»57. Pur nonmanifestando soddisfazione, Mussolini, approvava dunque l’operato degliex alleati, nell’attesa che questi si decidessero a considerare l’Italia conun’occhio più attento. Restava tuttavia il rammarico di non potersi, almomento, fare di più.

Ottenuto l’assenso italiano, si potè presentare, il 24 agosto, la risposta allanota tedesca, del 20 luglio precedente58.

Terminava così la fase della corrispondenza diplomatica ordinaria, cui nesubentrava una diversa, contraddistinta da una conferenza dei giuristi, cuifar seguire delle conversazioni tra ministri.

Erano maturate le condizioni perché l’Italia uscisse dal riserbo. Essa,infatti, rischiava di restare isolata e di partecipare al patto di sicurezza nonda contraente originario, ma in posizione subordinata. Il primo contattocon i tedeschi sarebbe avvenuto in occasione dei lavori dei giuristi aLondra: come mancarvi, per poi accettare un testo predefinito di patto chepoteva riservare all’Italia qualche sorpresa? Come consolidare il prestigiodell’Italia, se appariva ormai chiaro che gli ex alleati avrebbero procedutoda soli in un negoziato così importante? Occorreva dunque abbandonare ilriserbo e vedere come contribuire alla costruzione della sicurezza europea.

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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

3. L’ITALIA E LA CONFERENZA DEI GIURISTI DI LONDRA

La conferenza dei giuristi era stata convocata a Londra, alla fine di ago-sto del 1925, per dare ragguagli ai tedeschi sul punto di vista degli anglo-francesi e sugli aspetti giuridici e tecnici del patto di sicurezza. La Germaniaaccettò di procedere su questa linea e lo chiarì nella nota del 27 agosto, inrisposta a quella francese del 24 precedente59. Il comunicato congiunto sul-l’imminente convegno dei giuristi fu concordato dal Governo tedesco coni rappresentanti diplomatici a Berlino e pubblicato quello stesso 27 agosto.«La Francia e i suoi alleati considerano che sarebbe un vantaggio pratico peri consiglieri giuridici dei quattro Ministeri degli Esteri di Germania,Belgio, Francia e Gran Bretagna il riunirsi al più presto possibile onde con-sentire ai rappresentanti della Germania di venire al corrente dei punti divista dei Governi alleati sugli aspetti giuridici e tecnici dei problemi ingioco. Una volta concluso tale studio preliminare, i Ministri degli AffariEsteri di Germania, Belgio, Francia e Gran Bretagna potrebbero concorda-re un incontro che, conformemente al desiderio delle Potenze alleate, acce-lererebbe la definitiva soluzione dei problemi in discussione»60.

Come si vede, l’Italia non era nemmeno presa in considerazione, se noncome uno degli alleati a nome dei quali la Francia dichiarava di parlare.Questo aspetto non ci sembra secondario; ma per meglio precisarlo occor-re risalire ai precedenti immediati della conferenza dei giuristi.

Erano appena terminati gli incontri anglofrancesi di Londra, quando siparlò di un convegno in Svizzera tra Chamberlain, Briand e Stresemann;sulla notizia, accolta con beneficio d’inventario, Mussolini chiese di indaga-re, precisando che sarebbe stato opportuno che anche lui vi partecipasse, perquanto impossibilitato ad allontanarsi dall’Italia61. L’ambasciatore a Londraprecisò che, prima di tutto, si sarebbe tenuta una riunione di giuristi, i qualiavrebbero elaborato un testo da sottoporre ai ministri in un «incontroinformale a tre»; di più Della Torretta non potè sapere in quantoChamberlain, Tyrrell e i responsabili dei dipartimenti competenti delForeign Office, erano assenti da Londra. «In conseguenza – concluse l’amba-sciatore – mi permetto di suggerire che dovendosi fra pochi giorni trovare

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riuniti [a] Ginevra i Ministri degli Esteri alleati interessati al Patto [di]Sicurezza, [la] nostra delegazione potrebbe utilmente indagare e tastare [il]terreno sia nel caso [della] riunione [dei] giuristi (...) sia nel caso [dell’]eventuale riunione in Isvizzera (...)»62. Confermando le istruzioni giàinviate a Londra il 17 agosto63, Mussolini scrisse alle altre ambasciate, il suc-cessivo 26, che l’Italia intendeva partecipare con un proprio rappresentan-te ai lavori di redazione del patto di sicurezza, in seno alla conferenza deigiuristi 64.

L’Italia aveva aderito ai criteri guida dell’azione degli ex alleati, seguen-do tappe così ordinate: un accordo di massima con la Gran Bretagna, cono-sciute le linee generali della sua politica; l’assenso alla nuova nota francesealla Germania; e, dulcis in fundo, un’attiva partecipazione dell’Italia ai previ-sti lavori dei giuristi. Ma, a questo punto, sorse, a nostro avviso, un vero eproprio equivoco. Mussolini pensava: a) che fosse compito della conferen-za dei giuristi redigere ex novo il testo del patto; b) che l’Italia sarebbe statachiamata certamente a partecipare ai lavori nella capitale britannica.

La realtà era ben diversa: Chamberlain e Briand avevano già concorda-to, incontrandosi a Londra, un testo di patto che, per i contenuti e per lecircostanze in cui era nato, costituiva la base di partenza per la futura con-ferenza dei giuristi (e, del resto, esso era opera dei due maggiori esperti deltempo, Hurst e Fromageot). Anche se poteva averne avuto sentore,Mussolini non percepiva il carattere pressoché definitivo della bozza prepa-rata a Londra. In secondo luogo, Chamberlain e Briand non avevano affat-to considerato l’ipotesi di chiamare l’Italia a partecipare ai lavori dei giuri-sti 65. Illuminanti sono alcuni telegrammi pervenuti a Roma. Da Ginevra,ad esempio, Senni ritrasmise informazioni fornite dal vicesegretario gene-rale della Società delle Nazioni,Attolico, dalle quali si evinceva che, esclu-dendo per il momento l’ipotesi di una formale conferenza con Stresemann,Chamberlain e Briand ritenevano più utile un incontro “a tre” fra i giuri-sti francese, inglese e tedesco66. Della Torretta poi informò che, qualora laGermania avesse riservato buona accoglienza alla nuova nota alleata e aper-to così la strada al piano concordato fra Chamberlain e Briand, «i giuristidei Ministeri degli Affari Esteri interessati» (in altri termini, quelli inglese,

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francese e tedesco) si sarebbero riuniti in Inghilterra, nella casa di campa-gna di Sir Cecil Hurst67. Non era dunque intenzione degli alleati invitarea Londra anche un giurista italiano per discutere della redazione del pattodi sicurezza68; questo anche se, durante i colloqui londinesi, Chamberlain eBriand avevano ribadito che v’era comunità d’intenti contro l’Anschluss, enon avevano escluso un’intima collaborazione con l’Italia69.

Tornato a Parigi, Briand vide l’incaricato d’affari italiano, Summonteche, al primo incontro, il 26 agosto, fece presente il desiderio dell’Italia dipartecipare sia alla conferenza dei giuristi, sia a quella dei ministri. Briandrilevò che le cose non erano giunte al punto da poter definire “conferen-za” quella che si pensava sarebbe stata una conversazione tra ministri; egliaggiunse tuttavia che «per prevedere la partecipazione di un giurista italia-no alla riunione di Londra, occorreva necessariamente che il signorMussolini si dichiarasse pronto a partecipare al Patto stesso, il cui studio eraoggetto della riunione»70. Briand aggiunse che con l’adesione dell’Italia ilpatto renano sarebbe stato «perfetto», e che non comprendeva come sinutrissero ancora riserve a tal riguardo. Summonte obiettò che l’Italia,comunque, seguiva i negoziati con simpatia. Briand, allora, tornò sulleofferte avanzate nel mese di giugno: «Il patto è ormai cosa fatta», egli disse.«Se l’Italia vuole unirsi (manca) per garantirci le frontiere [del] Reno, laFrancia garantirebbe all’Italia la frontiera del Brennero e quelledell’Austria»71.

La mattina del 28 agosto Summonte rivide Briand, e fu poi ricevuto daLéger. Il primo gli disse di aver dato istruzioni all’ambasciata di Francia aRoma, in vista dell’imminente incontro dei giuristi a Londra, di chiedere aMussolini «se ritenesse giunto il momento di pronunciarsi circa [l’] adesio-ne o meno dell’Italia al patto renano». Continuando il colloquio con Léger,Summonte osservò che invero «sarebbe stato preferibile fare parteciparesenz’altro l’Italia alle attuali conversazioni» e che riteneva «poco opportunaquesta richiesta di adesione preventiva», visto che «l’atteggiamento dell’Italiaavrebbe potuto definirsi appunto partecipando alle imminenti riunioni».Léger replicò che a dette riunioni avrebbero dovuto intervenire solo lepotenze che già avevano aderito al patto di sicurezza, trattandosi non di inte-

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ressi generali dell’Europa, ma della frontiera occidentale tedesca. A questopunto della discussione, Léger ritornò sulle offerte di Briand: in caso di ade-sione italiana al patto renano, la Francia avrebbe garantito «oltre [alla] fron-tiera [del] Brennero anche [le] frontiere austriache quali risultano dai tratta-ti esistenti opponendosi alla annessione [dell’] Austria alla Germania»72.

La questione della partecipazione italiana alla conferenza dei giuristivenne affrontata anche in altre sedi. Il 27 agosto l’ambasciatore italiano aBerlino informò Mussolini che il governo tedesco aveva deciso l’invio aLondra dei suoi esperti giuridici, perché prendessero contatto con i colle-ghi francesi, inglesi e belgi. I tedeschi non avevano sentito menzionare ilnome dell’Italia, ma tenevano comunque ad assicurare che la partecipazio-ne di questa alla riunione dei giuristi e ad ogni altro futuro convegno sareb-be stata graditissima73. Anche l’esperto giuridico belga, Rolin, espresse unasimile opinione, e promise al reggente l’Ambasciata d’Italia, Daneo, di par-larne con il ministro degli esteri Vandervelde, consigliando tuttavia all’Italiadi compiere immediatamente un passo presso il governo britannico, unicocontrario ai desideri italiani74.

Mussolini, da parte sua, in un colloquio in cui l’incaricato d’affari tede-sco a Roma, von Prittwitz, aveva prospettato la possibilità di una riunionedei giuristi di Francia, Gran Bretagna, Belgio e Germania, rilevò l’oppor-tunità che a tale riunione presenziasse anche un giurista italiano. Prittwitznon ebbe nulla da obiettare, ma aggiunse che l’invito doveva esser fattodagli alleati dell’Italia. Mussolini diede allora istruzioni ai rappresentantidiplomatici a Bruxelles e a Parigi di compiere i passi opportuni a nome delgoverno italiano; diede istruzioni poi all’ambasciatore a Londra di infor-marsi sul preciso orientamento di quel governo, o meglio di assicurarsi chel’intervento di un giurista italiano all’imminente riunione era effettiva-mente desiderato75. Contemporaneamente, Mussolini fece chiedere aLondra e a Berlino di accettare, come già Briand aveva fatto76, l’ipotesi discegliere una località dell’alta Italia come sede del previsto incontro tra iministri, essendogli impossibile lasciare il paese77.

Della Torretta incontrò Tyrrell e agì secondo le istruzioni ricevute daRoma. L’alto funzionario del Foreign Office disse di non poter rispondere

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personalmente sulla questione della partecipazione italiana alla conferenzadei giuristi, ma che avrebbe comunque trasmesso a Chamberlain le osser-vazioni sottopostegli, anche se la riunione dei giuristi non gli sembravaimminente78. Tale affermazione contrastava assolutamente con quanto aRoma si era già appreso da Bruxelles79.

Per chiarire la posizione di Chamberlain al riguardo, occorre conside-rare le istruzioni inviate, sin dal 25 agosto, all’incaricato d’affari britannicoa Roma, Ovey. «Prego informare il Presidente del Consiglio – scrivevaChamberlain – che vi ho chiesto di assumere informazioni circa la suavenuta a Ginevra. Sarei molto lieto di incontarlo nuovamente per discute-re su quanto è avvenuto dopo l’ultimo incontro a Roma. Il mio proposi-to è di arrivare a Ginevra il 1º settembre e di fermarmi dieci giorni, macredo che vi potrei rimanere ancora un giorno o due, se ciò sarà necessa-rio per un incontro con Mussolini. Penso che sarà molto utile se il SignorMussolini potrà venire; il Signor Briand sarà anch’egli a Ginevra». Il 28agosto, per il tramite di Paulucci de’ Calboli, il messaggio pervenne aMussolini il quale, nel pomeriggio di quello stesso giorno, riceve’ Ovey. Diquesto colloquio si ha testimonianza diretta da un telegramma inviato aDella Torretta alle ore 18. «Ho risposto a questo Incaricato d’AffariBritannico – scrisse Mussolini – che ero molto sensibile [al] desideriomanifestato da Chamberlain e che io sarei stato molto lieto [di] incontrar-lo, che dovevo però confermare con rammarico quanto avevo già manife-stato a V[ostra] E[ccellenza] (mio telegramma n.872 80) e cioè non poterprendere impegno allontanarmi dall’Italia; e ho concluso secondo quelloche Le ho telegrafato col telegramma n.920 di Gabinetto81. Superfluo –continuava Mussolini – che osservi a V[ostra] E[ccellenza] che [il] deside-rio manifestato da Chamberlain pare costituire un evidente elemento infavore del buon esito del passo affidatole (...) di cui sarebbe palese il van-taggio per tutti» 82.

Del suo colloquio con Mussolini Ovey fece a Chamberlain un reso-conto alquanto diverso: «Sua Eccellenza – scrisse l’incaricato d’affari bri-tannico – vi ringrazia caldamente e spera di poter venire, se possibile, aGinevra, ma non è in grado di decidere quando, allo stato dei fatti. Invierà

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definitiva risposta tramite l’ambasciata italiana a Londra non appena le cir-costanze lo permetteranno»83.

Terminato il colloquio con Mussolini, Ovey ne ebbe un altro conPaulucci de’ Calboli, il quale lo informò che il governo italiano avevaappreso della partenza per Londra del giurista tedesco Gaus, e che, a diffe-renza di quanto affermato da Tyrrell, la conferenza tecnica sul patto digaranzia era imminente. Paulucci sottolineò inoltre che il governo tedescoaveva accolto l’idea della partecipazione di un giurista italiano ai lavori. Ilgoverno italiano chiedeva, quindi, a quello britannico di chiarire la propriaposizione a riguardo, essendo tra l’altro probabile che l’ambasciatore italia-no a Londra non si accorgesse del rapido evolvere degli eventi (per taceredel fatto che Della Torretta non era stato finora in grado di contattare diret-tamente Chamberlain)84.

Chamberlain, però, condivideva appieno la visione di Briand: non sareb-be stato opportuno ammettere ai lavori dei giuristi l’Italia, se questa nonavesse chiaramente assicurato la propria partecipazione al futuro patto.L’Italia, inoltre, avrebbe potuto dare il suo contributo, esprimere il suo pare-re e conoscere quello degli alleati in occasione dell’annuale sessionedell’Assemblea della Società delle Nazioni, all’inizio di settembre; potevaesser questa anche un’occasione propizia per un amichevole confronto conMussolini.Ancor meglio sarebbe stato apprendere che l’Italia avrebbe par-tecipato al patto di garanzia e che Mussolini si sarebbe recato al previstoconvegno dei ministri per firmarlo. Chamberlain, il 28 agosto, espose il suopensiero all’ambasciatore inglese a Parigi, chiedendo di illustrarne i conte-nuti a Briand, sperando nel di lui appoggio85.

Il passo preannunciato da Briand per chiedere l’adesione italiana al Pattorenano fu compiuto dall’incaricato d’affari francese a Roma, Roger, nelcorso di un colloquio avuto, il 28 agosto, col marchese Paulucci de’ CalboliBarone (Mussolini era impegnato in Consiglio dei Ministri). Fece da appen-dice a questo colloquio una conversazione tra Roger e il SegretarioGenerale del Ministero degli Esteri, Contarini, sollecitata da quest’ultimo86.

Roger raccontò al Paulucci come il Summonte si fosse prodigato per farintendere a Briand le ragioni in favore di una partecipazione italiana alla

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conferenza dei giuristi; e come Briand, in linea di massima favorevole all’i-potesi, paventasse la reazione dell’opinione pubblica, qualora l’Italia, dopoaver partecipato alla riunione, non avesse aderito al patto87. Per ovviare alproblema, Briand «avrebbe voluto conoscere previamente con quale spiri-to l’Italia sarebbe intervenuta alla riunione, se cioè il suo interessamentosignificava aderire al patto». Paulucci replicò che la presenza italiana alla riu-nione dei giuristi avrebbe certamente fornito maggiori elementi di giudi-zio per decidere in proposito, e «che era preferibile per tutti che le even-tuali osservazioni dell’Italia fossero fatte in sede di riunione giuridica, anzi-ché dopo». Si poteva anche considerare la presenza del giurista italiano atitolo di observer. «Ho ricavato da questo colloquio – riferì Roger al Quaid’Orsay – l’impressione che il signor Mussolini annetta un valore moltogrande al fatto che l’Italia sia rappresentata alla riunione dei giuristi e cheegli comprenda, oggi meglio di ieri, che l’Italia ha interesse, anche qualoranon ottenesse tutte le garanzie desiderate, a partecipare ad un accordo delquale siano parti l’Inghilterra, la Francia e il Belgio»88.

Terminato il colloquio con Paulucci, Roger fu convocato da Contarini,che volle intrattenerlo sulla natura della partecipazione italiana, volta a favo-rire «la causa della pace che la Francia persegue»89. Le fonti francesi ci con-sentono di seguire da vicino questo colloquio, altrimenti desumibile sol-tanto dal fugace cenno fattone dal Paulucci nel suo appunto d’ordinanza.Contarini tenne a spiegare al Roger l’esatta posizione dell’Italia.Personalmente, egli era sempre stato partigiano della partecipazione italia-na al patto di garanzia. Ora necessitava che considerazioni d’ordine genera-le avessero la meglio su questioni particolari: occorreva difendersi da unapossibile rivalsa tedesca e mantenere la coalizione vincitrice ben coesa.L’Italia doveva seguire perciò l’esempio di Francia, Inghilterra e Belgio eaderire al patto, benché questo non le assicurasse tutte le garanzie desidera-te. Questa era stata la tesi da lui condivisa, fin dal principio. Mussolini, inve-ce, aveva suggerito di subordinare l’adesione italiana a certi vantaggi: il chespiegava il suo atteggiamento di benevola attesa, essendo comunqueanch’egli favorevole in via di principio al patto. Contarini affermò di esser-si impegnato a convertire Mussolini alle sue idee, aiutato in questo anche

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dai telegrammi pervenuti da Londra circa gli incontri tra Chamberlain eBriand. Questi telegrammi avevano indotto il capo del governo a prevede-re l’ingresso dell’Italia in un patto a cinque, da completarsi con accordi adue o a tre; del resto, era sufficiente riconoscere l’inviolabilità dei trattati,per garantirsi contro l’eventualità di un Anschluss. Contarini aggiunse diconsiderare anche lui desiderabile la partecipazione dell’Italia alla confe-renza dei giuristi. «Sarebbe ciò per noi – disse – la porta d’ingresso nelpatto: aiutateci ad oltrepassarne la soglia. Il nostro delegato non intralcerà lavostra azione, ve ne dò assicurazione». Roger dove’ certamente essere col-pito dalle parole del Segretario Generale, visto che così scrisse al suo gover-no: «In presenza di dichiarazioni così nette vi sarebbero, io credo, graviinconvenienti a non accogliere la domanda italiana»90.

Contarini evidentemente riteneva necessario affrettare la “conversione”di Mussolini alle sue idee, e così far entrare l’Italia nel patto renano senzapretendere contropartite, visto che lo scotto di un tale attendismo sarebbestato l’isolamento diplomatico del paese; d’altro canto, contentare gli italia-ni sarebbe tornato ai francesi molto utile in sede di conferenza intermini-steriale, nel caso in cui i tedeschi avessero posto all’ultim’ora condizioniinaccettabili.

La situazione volse dunque in favore dell’Italia, e il governo franceseperorò a Londra la causa della partecipazione della “sorella latina” alla con-ferenza dei giuristi. Ne è prova un dispaccio inviato a Chamberlain, il 29agosto, dall’ambasciatore britannico a Parigi, Phipps, il quale informava chela situazione era decisamente mutata e che ora i francesi erano nettamentefavorevoli a introdurre un giurista italiano fra gli attori dell’ormai immi-nente conferenza di Londra91.Altra prova di questo nuovo clima è quantoscrisse, sempre da Parigi, il Summonte. Briand gli aveva fatto sapere di aversollecitato a Londra la presenza alla riunione dei giuristi di un rappresen-tante italiano, e di aver addirittura tentato di procrastinare la conferenza diuno o due giorni, onde consentire il tempestivo arrivo del giurista desi-gnato da Roma92. Nello stesso senso, Roger avvisò Paulucci de’ CalboliBarone, il quale lo ringraziò caldamente, e accolse la comunicazione con«marcata soddisfazione»93. Mussolini potè perciò scrivere a Della Torretta,

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la sera di quello stesso 29 agosto, in questi termini: «[La] nostra partecipa-zione [alla] riunione [dei] giuristi che riteniamo utile dipende ormai daChamberlain. [È] indispensabile pertanto che V[ostra] E[ccellenza] trovi [il]modo [di] agire tempestivamente con opportuna efficacia su quest’ultimosulla scorta [delle] considerazioni comunicatele fin dal 17 cor[rente] (Miotelegramma n.862 94). Non dubito che azione italiana ispirata ai fini dellapace e alla realtà della situazione non potrà che riuscire anche questa voltagradita a codesto Governo»95.

Fu alle ore ventuno del 29 agosto che arrivò a Roma, via Parigi, la noti-zia che Chamberlain era ormai disposto ad ammettere la presenza del giu-rista italiano, a condizione che questi giungesse a Londra al più tardi mar-tedì 1º settembre96. Un’ora e mezza dopo, l’incaricato d’affari britannico,Ovey, fu in grado di inoltrare a nome di Chamberlain l’invito ufficialeall’Italia a farsi rappresentare alla riunione dei giuristi. «Mi sarà gradita lapresenza di un rappresentante italiano all’incontro dei giuristi – scrivevaChamberlain – e confido sinceramente che lo stesso Signor Mussolini pre-senzierà all’incontro dei Ministri»97. Mussolini, ricevuto l’invito, garantì lapresenza del giurista italiano per la data indicata dal ministro britannico98.A rappresentare l’Italia, egli aveva già designato D’Amelio, il quale però, acausa della sua posizione di esperto giuridico italiano presso la Conferenzadegli Ambasciatori, preferì rinunciare suggerendo a Mussolini il nome diMassimo Pilotti, a quel tempo stimato giurista presso la Commissione delleRiparazioni99. Pilotti avrebbe dovuto «seguire attentamente [i] lavori [dei]giuristi, invigilando in modo opportuno intorno a quello che possa piùinteressarci e riferendo assiduamente»100. Nell’attesa che Pilotti giungesse aLondra, l’incaricato d’affari italiano Preziosi fu designato a presenziare allaprima seduta della conferenza dei giuristi 101.

Essendo ormai riuscita l’Italia nell’intento tenacemente perseguito,l’Agenzia di Informazioni per la Stampa “Alessandro Volta” diramò il seguentecomunicato: «Rimasto per qualche tempo indeterminato se l’Italia volesseintervenire o meno, tanto più che la nostra presenza o la nostra assenza nonpotevano influire in misura sensibile sul nostro atteggiamento, che è quellodi riservare le ulteriori decisioni a situazione maturata, è stata poi stabilita la

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partecipazione dell’Italia, venendo designato come esperto il Comm. Pilotti,già noto per aver coperto altre mansioni di carattere internazionale»102.

Dal tono del comunicato Volta sembra quasi che, dopo aver ottenuto dipartecipare alla conferenza dei giuristi, l’Italia volesse ancora «riservare leulteriori decisioni a situazione maturata», ovvero far scadere l’undecima oraper decidere se aderire o meno al patto; e questo contrariamente ai deside-ri francesi e nonostante le promesse di Contarini.Tale atteggiamento deri-vava dalla necessità di controllare anche la situazione politica interna, ed inspecial modo un’opinione pubblica, portata dal regime al disinteresse versoun patto di garanzia che non dava alcunché all’Italia in cambio della suapartecipazione103. Necessitava ora una “rieducazione” di quest’opinionecorrente, perché accettasse l’adesione dell’Italia al patto di sicurezza secon-do lo schema contariniano, senza una contropartita tangibile ma con il nontrascurabile vantaggio di sedere fra le grandi potenze vincitrici che stavanoper “riabilitare” la Germania104.

4. I LAVORI DEI GIURISTI E LA REDAZIONE DEL TESTO DEL PATTO

RENANO

La conferenza dei giuristi di Londra si aprì il 31 agosto e durò fino al 4settembre (i lavori si tennero al Foreign Office). Il ruolo dell’Italia fu tuttosommato secondario: essa non fece altro che ratificare quanto era già statostabilito nelle sue linee essenziali dai due grandi “alleati”105. Pilotti, comeabbiamo visto, aveva istruzioni abbastanza semplici: tenersi in stretto con-tatto con l’ambasciatore italiano a Londra, vigilare e riferire sui progressi deinegoziati.

Non appena aperti i lavori, il 31 agosto, la Francia mise a disposizionedei convenuti (il giurista italiano doveva ancora arrivare), un primo proget-to di patto106. Si trattava appunto di quel testo già concordato con la GranBretagna107. Ad esso furono apportate modifiche che non ne mutaronoaffatto la sostanza, come si evince dal confronto dei documenti delle sin-gole delegazioni presenti a Londra108.

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Nella riunione del pomeriggio del 1º settembre, prima in cui fu pre-sente Pilotti, venne affrontato il problema del deferimento ad arbitrato dipossibili controversie tra Francia, Belgio e Germania; fu discussa a tal pro-posito l’ipotesi di un intervento ad hoc del Consiglio della Società delleNazioni anche in questioni non soggette ad arbitrato.Venne infine accetta-ta la proposta di Della Torretta (che faceva parte della delegazione italiana)di riservare al tema una riunione ristretta fra i soli giuristi francese, belga etedesco, tenuti a riferirne poi in seduta plenaria109. Ma i delegati tedeschinon avevano istruzioni su come affrontare a Londra la questione dellegaranzie sulle procedure di arbitrato tra la Germania e i suoi vicini orien-tali, e questo costituì un serio problema.

Le osservazioni principali sul testo del patto furono svolte dai consiglie-ri giuridici inglese e francese (autori della bozza di lavoro), ed in specialmodo da Hurst. Questi fece anzitutto notare che vi era nel preambolo unriferimento alla cessazione del trattato di neutralità belga del 1839, perovviare alle critiche mosse sulle speciali garanzie per la Renania e la fron-tiera occidentale tedesca, che avrebbero potuto indebolire gli impegni diVersailles sulla frontiera orientale. Hurst sottolineò che la garanzia del 1839era durata ottant’anni e che le nuove circostanze l’avrebbero riproposta inaltra forma. Quanto alla seconda parte dello stesso preambolo110, Hurstaggiunse che essa incorporava un velato riferimento alla tradizionale poli-tica di sicurezza della Gran Bretagna, basata sull’indipendenza e la stabilitàpolitica dei territori d’oltremanica.

Vi fu poi un dissidio tra Gaus e Fromageot, sul preambolo del patto esull’opportunità o no di far cenno ai trattati di pace, poiché il secondo loriteneva necessario per l’opinione pubblica francese111. Si lasciò tuttaviaall’esame dei singoli governi la decisione ultima sulla spinosa questione.

Nel corso dei lavori, Gaus ribadì l’opposizione del suo paese a qualsiasiipotesi di garanzia francese sui trattati di arbitrato orientali. Il collegaFromageot obiettò che non era possibile indurre la Polonia a firmare untrattato di arbitrato con la Germania senza tale garanzia112.A questo punto,il delegato britannico, Hurst, propose uno schema alternativo: la Franciaavrebbe potuto dare alla Polonia una garanzia unilaterale, con uno stru-

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mento separato da notificare alla Società delle Nazioni, in modo che fosseconosciuto nei suoi contenuti anche dalla Germania (chiamata a far partedella Lega). «Questo strumento separato – osservava Hurst – metterebbe ingrado la Francia, se la Germania attaccasse la Polonia senza adempiere aitermini del trattato di arbitrato, di agire contro la Germania, in quanto l’a-zione tedesca avrebbe violato l’articolo 16 del Covenant e tale articolo giu-stificherebbe l’azione francese»113.

La questione della garanzia francese sui trattati di arbitrato fra laGermania e i suoi vicini orientali fu così deferita ad esame posteriore114. Eil 9 settembre, nel corso di un incontro a Ginevra, a consuntivo della con-ferenza dei giuristi (erano presenti Vandervelde, Scialoja e Chamberlain),Briand avanzò la sua controproposta. Non già la Francia, bensì la stessaSocietà delle Nazioni avrebbe garantito i trattati di arbitrato orientali, conla Francia quale suo “agente” o “braccio operativo”. Intorno a questa pro-posta si registrò da varie parti un certo ottimismo115. In effetti, essa con-sentiva di conciliare le alleanze orientali della Francia coi diritti sanciti dalCovenant, e di cui anche la Germania avrebbe presto goduto; inoltre, sipoteva anche salvare formalmente quel principio di speciale interesse dellaFrancia verso le questioni delle frontiere orientali.

Era tuttavia innegabile che la proposta di Briand garantiva anche laGermania: il che significava stralciare dal corpus dell’alleanza francopolaccail principio del rispetto assoluto dello status quo territoriale, ed il divieto diuna revisione pur pacifica dello stesso. Il regolamento delle controversienon doveva dunque limitarsi «ad una regione ristretta», bensì «applicarsi almondo intero»116. La Polonia, «il reumatismo d’Europa»117, doveva dunquedesistere dalle sue pretese (in ultimo espresse da Skrzynski al rappresentan-te inglese a Varsavia)118.

Per l’Italia, nel preambolo del patto di garanzia v’erano già dei puntipoco chiari. Tralasciando le considerazioni giuridiche (ad esempio, se ilpatto potesse considerarsi annullamento ovvero prosecuzione della situa-zione di neutralità del Belgio), il dato politico era che il trattato del 1839veniva menzionato per meglio tutelare l’indipendenza belga (caposaldodella politica britannica) e quindi per “avvertire” i tedeschi di non minac-

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ciarla ulteriormente. Una tale garanzia, delimitando geograficamente, inmodo così chiaro, l’area tutelata, poneva in ombra le altre garanzie dei trat-tati in vigore. Ma la difesa dell’indipendenza dell’Austria mal si conciliavacon una “supergaranzia” di interessi ristretti di alcuni, trascurando le esi-genze di sicurezza di altri.

Ma è da considerare, con riguardo all’Italia, una circostanza ancora piùimportante. In sede di conferenza dei giuristi venne precisato che oggettodella garanzia del patto renano, oltre agli articoli 42 e 43, sarebbe statoanche il successivo articolo 180 di Versailles, limitatamente ai paragrafi 1 e3. Si modificava così la bozza dell’agosto, che al suo articolo 4, paragrafo 3,includeva tutto l’articolo 180. I due paragrafi ora esclusi dal nuovo testo dipatto, il secondo ed il quarto, riguardavano l’uno obblighi già adempiutidalla Germania, l’altro il divieto di alterare il sistema di fortificazione dellesue frontiere orientali e meridionali119.

La nuova formula escogitata a Londra, giuridicamente ineccepibile (ilpatto renano si occupava infatti delle frontiere “occidentali” della Ger-mania), poteva però rivelarsi politicamente pericolosa per l’Italia (e natural-mente per la Polonia e per la Cecoslovacchia), in quanto poteva indurre itedeschi a sentirsi liberi di modificare lo status delle loro frontiere orientalie meridionali, con inevitabili implicazioni anche sulla questione austriaca.

Non risulta che Pilotti abbia mosso obiezioni alla variazione apportataal paragrafo terzo dell’articolo 4 del patto. «Il giurista tedesco – egli scrissenel primo rapporto del 5 settembre – ha voluto restringere la menzionedell’articolo 180 di Versailles (contenente il divieto di costruire fortificazio-ni), fra quelli la cui violazione renderebbe legittima la reazione armata dellaFrancia e del Belgio, ai soli paragrafi di esso che hanno diretto riferimentoai territori renani, poiché l’articolo 180 contempla, con altre sue disposi-zioni, anche le fortificazioni orientali»120. Pilotti dunque non si avvide onon diede importanza al fatto che, “tra le altre sue disposizioni”, l’articolo180 vietava alla Germania di costruire fortificazioni “anche a sud”. Dalsecondo rapporto, inviato a Mussolini il 9 settembre, si ha conferma delfatto che egli non colse appieno le implicazioni delle modifiche arrecate, surichiesta del giurista tedesco, al testo del patto121.

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Mussolini chiese di conferire con Pilotti a Roma, non appena chiusa laconferenza dei giuristi, mentre questi era già in viaggio per Parigi122. Il col-loquio ci fu il 9 settembre ma se ne ignora il contenuto123. Il capo del gover-no italiano fu anche informato di un altro significativo risultato della confe-renza dei giuristi di Londra, ossia che la Germania era tornata a trattare, quasida pari a pari, con gli ex nemici. «Molte cose che difficilmente si sarebberopotute dire fra uomini politici – aveva infatti dichiarato Gaus a De Bosdari– come possibilità di guerra, intese tacite e segrete, tendenze e aspirazioniirredentiste sono state discusse liberamente»124. La segretezza di un’aspira-zione irredentista diventava dunque palese; nessuno vi si opponeva, ma anzial revisionismo veniva ormai concessa ufficialmente libertà di espressione. LaGermania dunque sapeva di potersi incuneare nella logora intesa anglofran-cese, con esigenze revisioniste nemmeno troppo velate, ma nobilitate dal“primato morale” guadagnato dalla sua proposta del 9 febbraio.

Era poi da considerare il fatto che la Gran Bretagna manteneva la guidadei negoziati sulla sicurezza, affermando la propria limitata visione sui ter-mini del problema. Quando Mussolini chiese di conoscere cosa intendesseChamberlain per collaborazione angloitaliana, nonché i limiti entro i qualiegli avrebbe appoggiato l’Italia125, Della Torretta confermò che il ministrobritannico era contrario all’annessione dell’Austria da parte dellaGermania126. Non v’era nulla di nuovo in ciò. Chamberlain non dava unasicurezza ulteriore e non spendeva più del voluto, nel confermare all’Italiaun appoggio che, in caso di bisogno, non serviva a molto. Infatti quando,sulla base all’articolo 80 di Versailles, si sarebbe trattato di votaresull’Anschluss in seno al Consiglio della Società delle Nazioni, sarebbebastato il veto dell’Italia a far mancare il consenso necessario a legalizzarel’annessione. Il problema stava allora nel conoscere limiti e portata delsostegno britannico, nel caso in cui la Germania avesse messo tutti dinanzial fatto compiuto, realizzando l’Anschluss; e qui Chamberlain, come ognialtro inglese al suo posto, non avrebbe contratto impegni per un’eventua-lità remota ed incerta.

Briand dal canto suo, tra l’incudine tedesca e il martello inglese, dovevacedere, ma senza darlo a vedere, soprattutto ora che ai negoziati sulla sicu-

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rezza assisteva l’occhio vigile dell’opinione pubblica francese, britannica, edi quella dell’est europeo.

Si comprende, perciò, perché Mussolini, chiusa la conferenza dei giuri-sti e considerata la posizione di Chamberlain, desiderò sapere se Briandintendeva considerare la possibilità di concludere un «patto di garanzia perl’Austria», con o senza la partecipazione della Germania; fermo restandoche non era questione di una garanzia francese sulle frontiere italiane.Mussolini chiese inoltre all’ambasciatore italiano a Parigi come, a suo avvi-so, l’Italia potesse ricevere l’aiuto della Francia «per risolvere i maggioriproblemi che ci interessano in Europa e fuori»127. Mussolini appariva così“convertito” alla linea di Contarini, sebbene mosso più dal succedersi deglieventi che da un’autentica condivisione di linea politica, e anche se rileva-va la necessità di risolvere con la Francia problemi europei ed extraeuropei.

«Tutte le modifiche introdotte nel testo sono state decise all’unanimitàed esse concernono essenzialmente miglioramenti di carattere tecnico»,scrisse Della Torretta a Mussolini128. Le cose, come si è visto, non stavanoesattamente in tal modo. Alla conferenza dei giuristi, inoltre, il ruolodell’Italia fu affatto secondario. Sulla base ai telegrammi pervenuti a Roma,del resto, non si riesce a capire se la delegazione italiana espose in modopreciso gli interessi del paese.Va però aggiunto che non si poteva far molto,dal momento che gli ex alleati volevano che l’Italia non intralciasse i lavo-ri dei giuristi, come Contarini aveva promesso a Roger. La Germania usci-va infatti dal “grande freddo” del dopoguerra, riconquistava man mano ilsuo rango di grande potenza europea; ed era meglio esser presenti ed inbuoni termini con tutti quando ciò sarebbe avvenuto.

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Capitolo IV – Preparando Locarno

5. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

Abbiamo cercato di ricostruire la situazione diplomatica che si presenta-va ai protagonisti alla vigilia della conferenza di Londra e i fatti appena illu-strati ci inducono ad alcune considerazioni. In primo luogo, l’Italia credeva didover partecipare tout court alla conferenza dei giuristi, ritenendo che in quel-la sede si sarebbe concordato il testo del patto di sicurezza, onde porre le basidella successiva conferenza dei ministri. La Francia, in perfetta sintonia con laGran Bretagna, vedeva, per contro, la partecipazione italiana limitata almomento squisitamente politico: questo sia perché il testo di patto era in pra-tica già pronto, sia perché occorreva che l’Italia garantisse preventivamente lasua adesione. Ma a quale patto aderire, se non si aveva a Roma nemmeno untesto da esaminare; non era sufficiente l’adesione italiana alla nota del 24 ago-sto alla Germania, contenente in nuce i concetti ispiratori del patto?

Seguendo quest’ottica, l’Italia, in fondo, non chiedeva che di partecipa-re, con un suo giurista, ai lavori di Londra, considerando ciò il primo passoverso la successiva adesione. Ma essa, a quanto pare, ignorava che le si stavachiedendo di aderire a un testo preesistente; ed è evidente che le richiesteanglofrancesi facevano saltare la sequenza che Mussolini aveva in mente:conferenza dei giuristi e redazione del patto; conferenza dei ministri e ade-sione al patto.

In tale contesto, non fa meraviglia un Chamberlain che chiede aMussolini di incontrarsi a Ginevra il 1º settembre, ossia a conferenza giuri-dica appena iniziata; né ci appare strano un Briand che ripropone la vec-chia offerta francese del giugno, relativa al Brennero e all’Austria. Di cosaparlare con Chamberlain, se non dei temi attuali della sicurezza? E perchéaccogliere le offerte francesi, prima di assicurarsi la partecipazione alla con-ferenza dei giuristi? Poteva Chamberlain sperare di guadagnare Mussolini altesto di patto concordato tra Hurst e Fromageot? Briand, dal canto suo, nontoccava Mussolini nel suo amor proprio, quando prospettava i pericoli diisolamento dell’Italia dalla cerchia del patto renano?

Abbiamo infine visto come la situazione sia improvvisamente mutata avantaggio dell’Italia con l’invito a partecipare alla conferenza dei giuristi.

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Questo è l’aspetto che ci sembra di maggior interesse ai fini del nostro stu-dio. Sembra quasi che un “soffio di zefiro” abbia portato nuovi consiglinella mente dei francesi: arriva a Parigi, la sera del 28 agosto, un dispacciodi Roger, ed ecco i francesi chiedere agli alleati d’oltremanica di invitare aLondra gli amici italiani!

Le cose sono certamente più complesse e gli archivi francesi hanno con-sentito di dimostrare che, se il colloquio tra Roger e Paulucci de’ Calbolinon fu che un’occasione per ribadire le tesi italiane, già illustrate a Brianddal Summonte129, fu il colloquio tra Roger e Contarini ad essere risoluti-vo, avendo il Segretario Generale usato argomenti pregnanti e una dialetti-ca talmente incisiva da convincere il suo interlocutore e determinare lasvolta desiderata.Conoscendo la natura di Contarini, lo immaginiamo piut-tosto riservato sull’episodio.Tuttavia, la ricerca in proposito condotta negliarchivi francesi ci ha persuasi a sufficienza del fatto che il ruolo delSegretario Generale, in questo torno di tempo, fu di molto superiore allescarse tracce documentarie che purtroppo abbiamo. Perciò, Contarini riu-scì ad evitare all’Italia il progressivo isolamento in un momento cruciale,malgrado il leggero peso avuto alla conferenza dei giuristi di Londra: unrisultato che, visto da Roma, non era privo di significato.

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1 Ritaglio a stampa di un giornale non identificato datato 5 luglio 1925, rintracciato inASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 40. Risulta che von Gräfe si espresse in toni violenticontro ciò che egli considerava un sopruso governativo, e che in ciò venne affiancatodai deputati comunisti che, con l’occasione, si scagliarono anche contro il Reichstag.Cfr.ADAP,A, Band XIII, doc.179.

2 De Bosdari a Mussolini, 16 luglio 1925, tel.2523/220,ASMAE,Arch.Gab,TSN, busta41.

3 D’Abernon a Chamberlain, 23 luglio 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.422; cfr. DeBosdari a Mussolini, 23 luglio 1925, tel. 1336/ 227,ASMAE,Arch.Gab,TSN, busta 41.Per il dibattito al Reichstag del 22 e 23 luglio 1925, si vedano i Verhandlungen desReichstags, Band 387, pp.3387-3468.

4 De Bosdari a Mussolini, 23 luglio 1925, tel. 1332/227, ASMAE,Arch.Gab,TSN, busta41; Mussolini a Paulucci de’ Calboli, De Bosdari, Della Torretta, Romano Avezzana,Daneo, Chiaramonte Bordonaro, Pignatti Morano di Custoza, Majoni, 24 luglio 1925,ibidem. Stresemann, tra l’altro, espresse nel suo discorso compiacimento per l’evacua-zione della Ruhr ed un certo ottimismo per il probabile esito delle questioni diDüsseldorf, Duisburg e Ruhrort. Inoltre, egli dichiarò che la Germania aveva già ese-guito molte richieste contenute nella nota alleata sul disarmo, mentre altre erano infase di esecuzione. G. STRESEMANN, La Germania nella tormenta, cit., pp.84-92.

5 D’Abernon a Chamberlain , 22 luglio 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.420. Iltesto della nota è stato pubblicato nei vari libri di colore e raccolte di documenti. Pactede Sécurité, II, cit., doc.1; Reply of the German Government, doc.9; Locarno Konferenz, cit.,doc.16. Cfr.ADAP,A, Band XIII, nota 1 a p.582 e doc.211. Cfr.A. ORDE, Great Britainand International Security 1920-1926, cit., pp. 112-113.

6 De Bosdari a Mussolini, 21 luglio 1925, tel. 2579/222,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta41.

7 Cfr. F. S. GIOVANNUCCI, Locarno, cit., Appendice n.7, pp.416-417; DBFP, Series I,vol.XXVII, docc.419 e 420.Tale posizione fu nuovamente illustrata il 10 agosto, ibi-dem, doc.435.

8 Chamberlain a Phipps, 27 luglio 1925, ibidem, doc.426.9 Chamberlain a D’Abernon, 11 agosto 1925, ibidem, doc.439. Quanto solidi fossero gli

argomenti di Chamberlain lo dimostra il fatto che il 25 agosto, in un colloquio conl’ambasciatore britannico a Varsavia, Skrzynski dichiarò che i mezzi per dare una mag-gior tranquillità alla Polonia dovevano essere i seguenti: 1) una dichiarazione catego-rica, resa dall’ambasciatore britannico a Berlino, a nome del suo governo, che un pattotedescopolacco non avrebbe implicato modifiche alle frontiere sancite dai trattati dipace; 2) una formula «da inserire nel patto» con cui esprimevasi l’approvazione ingle-se della garanzia francese. Il ministro polacco aggiunse che il trattato di arbitrato conla Germania doveva esser concepito «in modo tale da non contribuire all’indeboli-

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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

mento del diritto della Polonia alle sue attuali frontiere o da incoraggiare la Germaniaa provare a modificarle sia con mezzi pacifici sia con mezzi bellici». Dal canto suo,l’ambasciatore inglese diede a Skrzynski ogni possibile assicurazione. Max Muller aChamberlain, 26 agosto 1925, ibidem, doc.455.

10 Note: projet de traité d’arbitrage germano-tchécoslovaque, 29 luglio 1925,AMAE, Z-Europe:Grande-Bretagne, vol.80. Il meccanismo per il trattato con la Polonia sarebbe stato iden-tico. Cfr. Projet de lettre à M.Benes, 3 agosto 1925, ibidem, vol.81.

11 Si veda il testo della nota tedesca anche in F. S. GIOVANNUCCI, Locarno, cit.,Appendice, pp.416-418. La nota fu trasmessa da Mussolini ai rappresentanti italianiall’estero con tel.768 del 25 luglio 1925,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41.

12 Phipps a Chamberlain, 22 luglio 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.420.13 Romano Avezzana a Mussolini, 20 luglio 1925, tel.1231/494, ASMAE, Arch.Gab.,

TSN, busta 41. Queste informazioni, come del resto quelle fornite dall’ambasciatoreitaliano a Londra circa le reazioni britanniche, furono esplicitamente richieste daMussolini, il quale, ricevuta copia della nuova nota tedesca, volle conoscere anche lereazioni a Parigi e a Bruxelles. Cfr. Mussolini a Della Torretta, Romano Avezzana,Daneo e De Bosdari, 20 luglio 1925, tel. 744, ibidem.

14 Romano Avezzana a Mussolini, 22 luglio 1925, tel.1331/495, ibidem. Cfr.Hoesch adAA, 20 luglio 1925,ADAP,A, Band XIII, doc.219.

15 Così Della Torretta a Mussolini, 25 luglio 1925, tel.1345/549, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41.

16 Chamberlain a D’Abernon, 28 luglio 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.429.17 De Bosdari a Mussolini, 4 luglio 1925, tel.1210/207/56, ASMAE, Arch.Gab., TSN,

busta 41. Cfr.ADAP,A, Band XIII, doc.188.18 De Bosdari a Mussolini, 10 luglio 1925, tel.1261/214, ibidem.19 Romano Avezzana a Mussolini, 18 luglio 1925, tel.1311/177, ibidem. Cfr.ADAP, A,

Band XIII, doc.214.20 Mussolini a Romano Avezzana, Della Torretta, De Bosdari e Orsini Baroni, 27 luglio

1925, tel.1970, ibidem. Con precedente telegramma del 24 luglio (n.1358/504/187) ilRomano Avezzana aveva informato Mussolini che la Francia desiderava il consensodell’Italia, in qualità di membro del Consiglio Supremo di Londra del 1921, all’eva-cuazione delle città renane. In margine al telegramma ricevuto, Mussolini appose il suo«Affermativo».

21 Besnard a Briand, 30 giugno 1925, tel.322-324, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne,vol.78.

22 Ed apparivano inconsistenti strategicamente e politicamente, poiché l’idea che le ani-mava, quella di un’intesa con la Francia, era in netto in contrasto con il programma delGenerale di «assestare una violenta mazzata» alla Jugoslavia; un piano per il qualeBadoglio chiese a Mussolini i fondi occorrenti. Badoglio a Mussolini, 17 luglio 1925,

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Capitolo IV – Preparando Locarno

ACS, Segreteria Particolare del Duce, carteggio riservato, busta 67, fasc.«Badoglio S.E. Pietro,Marchese del Sabotino», sf.2 «Varia». Mussolini appose sulla lettera l’annotazione«riservatissimo» a matita rossa.

23 Il Foch era intimo amico del predecessore di Besnard, l’ambasciatore Barrère, il qualedurante il suo mandato s’era fatto paladino dell’alleanza militare italofrancese, chia-mando il Maresciallo a sposarne la causa. Cfr.DDI, Serie Settima, vol.III, doc.95.

24 Foch a Briand, 25 giugno 1925, l.p.n.331/2, AMAE, Z-Europe: Italie, vol.96.25 Besnard a Briand, 2 luglio 1925, tel.326-328, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne,

vol.79.26 Besnard a Briand, 2 luglio 1925, tel.330-332, AMAE, Z-Europe: Italie, vol.83.27 Briand a Besnard, 2 luglio 1925, tel.668-669, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne,

vol.79.28 Besnard a Briand, 10 luglio 1925, tel.341,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.79.29 Besnard a Briand, 14 luglio 1925, tel.345,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.79.30 Cfr. M.TOSCANO, Storia diplomatica della questione dell’Alto Adige, cit., p.104; nonché

DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.48.31 Cfr. ancora M.TOSCANO, Storia diplomatica della questione dell’Alto Adige, cit., p.103;

nonché LEGATUS (R. CANTALUPO), Vita diplomatica di Salvatore Contarini (Italiatra Inghilterra e Russia), Roma 1947, p.123; E. DI NOLFO, Mussolini e la politica esteraitaliana (1919-1933), cit., p.144.

32 Berthelot a Besnard, 16 luglio 1925, tel.695-697, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne,vol.79.

33 Briand a Besnard, 16 luglio 1925, tel.704, Ibidem.34 Besnard a Briand, 23 luglio 1925, tell 356-357 e 358, AMAE, Z-Europe: Grande-

Bretagne, vol.80.35 Besnard a Briand, 23 luglio 1925, tel.359-60,AMAE, Z-Europe: Italie, vol.96. Besnard

aggiungeva che anche Mussolini aveva espresso simpatia per la Francia, toccando inci-dentalmente con lui la questione marocchina. L’ambasciatore ritenne tuttavia di nondover spingere oltre la conversazione su questo tema.

36 Della Torretta a Mussolini, 20 luglio 1925, tel.2561/530, ASMAE, Arch.Gab., TSN,busta 41 (il corsivo è nostro).

37 Romano Avezzana a Mussolini, 20 luglio 1925, tel. 1321/494, ibidem.38 DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.434, nota 7.39 Notes of a Conversation which took place at the Foreign Office on August 11, 1925, at Noon,

between Representatives of Great Britain and France, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.438;French Draft Reply to the German Note of July 20, 1925, on the Subject of Security,August8, ibidem,Allegato.

40 Della Torretta a Mussolini, 13 agosto 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.93.41 Chamberlain a D’Abernon, 11 agosto 1925, ibidem, doc.439.

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42 Il testo definitivo della nota francese può leggersi in Pacte de Sécurité, II:Documents signésou paraphés à Locarno le 16 octobre 1925 - precedés de six pièces rélatives aux négotiations pré-liminaires (20 juillet-16 octobre 1925), Paris: Imprimerie des Journaux Officiaux, 1925,pp.6-8; cfr. F. S. GIOVANNUCCI, Locarno, cit.,Appendice n.18, pp.419-421.

43 Proposed Treaty of Mutual Guarantee (including the amendments provisionally agreed upon byMr.Chamberlain and M.Briand on August 12, 1925), DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.440;cfr. doc.405 e nota 2 (bozza britannica), 407 (controproposta francese con commential testo inglese), 411 (Memorandum di Hurst sui limiti oltre i quali il progetto di pattorenano eccedeva gli obblighi discendenti dal Covenant), 438 (incontro anglofranceseal Foreign Office l’11 agosto 1925). Cfr. DDI, Serie Settima, vol. IV, doc.93. Cfr. A.ORDE, Great Britain and International Security, cit., pp.117 ss.

44 Della Torretta a Mussolini, 11 agosto 1925, tel.1460//602, ASMAE, Arch.Gab.,TSN,busta 41.

45 Della Torretta a Mussolini, 11 agosto 1925, tel.1450/590, ibidem.46 Della Torretta a Mussolini, 11 agosto 1925, tel.1459/600, ibidem; cfr. Della Torretta a

Mussolini, 10 agosto 1925, tel.599, ASMAE, Rappresentanze Diplomatiche,Ambasciata di Londra, busta 600.

47 Della Torretta a Mussolini, 13 agosto 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.93.48 Della Torretta a Mussolini, 8 agosto 1925, tel.1443/588,ASMAE,Arch.Gab.,TSN,busta 41.49 Della Torretta a Mussolini, 5 agosto 1925, tel.1422/578, ibidem.50 Mussolini a Orsini Baroni, Romano Avezzana e De Bosdari, 15 agosto 1925, tel.855,

ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 40.51 Mussolini a Della Torretta, 17 agosto 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.95 (il corsi-

vo è nostro).52 Il testo del telegramma in oggetto, pubblicato nei DDI, è quello pervenuto

all’Ambasciata di Londra, dal cui archivio è stato tratto.53 Bozza del telegramma n.862 di Mussolini a Della Torretta del 15 agosto 1925,

ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41 (il corsivo è nostro).54 Roger a Mussolini, 17 agosto 1925, l.p.n.259, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 42. La

sera di quello stesso giorno, Briand fece chiedere a Besnard notizie sulle reazioni diMussolini al nuovo progetto di risposta degli alleati. Berthelot a Besnard, 17 agosto1925, tel.784,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.81.

55 Appunto autografo di Mussolini del 18 agosto 1925, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta41. In corsivo è ciò che Mussolini sottolineò nel testo.

56 F. LEFEBVRE D’OVIDIO, L’intesa italofrancese del 1935, cit., p.91 e nota 270.57 Mussolini a Roger, 18 agosto 1925, l.n.3481, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 42; cfr.

MAE a Londra, Bruxelles, Berlino,Varsavia, Praga, 19 agosto 1925, telegramma-posta,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.81. Si veda: Aufzeichnung des Reichsministers desAuswärtigen Stresemann, 24 agosto 1925,ADAP,A, Band XIV, doc. 25.

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Capitolo IV – Preparando Locarno

58 Si veda: Aufzeichnung des Reichministers des Auswärtigen Stresemann, 24 agosto 1925,ADAP, A, Band XIV, doc.25. Cfr. A. ORDE, Great Britain and International Security1920-1926, cit., pp.120 ss.

59 Si vedano: DBFP, Series I, vol. XXVII, nota 4 al doc. 454; Stresemann a Hoesch, 26agosto 1925,ADAP,A, Band XIV, doc. 33; cfr.docc. 35 (che informa della proposta diD’Abernon di redarre con Stresemann un dispaccio segreto da inviare a Londra, circale idee con cui i tedeschi venivano alla Conferenza dei giuristi) e 36.

60 D’Abernon a Chamberlain, 26 agosto 1925, telegramma urgente n.313, DBFP, SeriesI, vol.XXVII, doc.454.

61 Mussolini a Della Torretta, Romano Avezzana e De Bosdari, 20 agosto 1925, DDI,Serie Settima, vol.IV, doc.102.Cfr.Von Prittwitz u. Gaffron ad AA, 21 agosto 1925,ADAP,A, Band XIV, doc. 17.

62 Della Torretta a Mussolini, 22 agosto 1925, tel.1546/572, ASMAE, Arch.Gab., TSN,busta 41.

63 Cfr.DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.95.64 Mussolini a De Bosdari, Romano Avezzana e Orsini Baroni, 26 agosto 1925, tel.906,

ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41.65 Chamberlain a D’Abernon, 13 agosto 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.443.

Trattasi del résumé di un colloquio che Chamberlain ebbe con Della Torretta. Come siè visto, nel suo resoconto, l’ambasciatore italiano riferiva, più genericamente, di unapossibile «riunione di giuristi dei vari ministeri degli esteri incluso il tedesco per fis-sare di comune accordo un testo che traduca in pratica i princìpi sopra accennati»; adessa sarebbe seguita una conversazione fra i ministri degli esteri alleati e lo Stresemann,preparatoria della conferenza conclusiva sul patto di sicurezza. Della Torretta aMussolini 13 agosto 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.93. Il resoconto diChamberlain a Graham (Dispaccio n.1209 del 13 agosto 1925) non è stato pubblica-to nei DBFP.

66 Senni a Mussolini, 16 agosto 1925, tel.1499/106,ASMAE,Arch.Gab., busta 41. Eranogiunti nel frattempo segnali preoccupanti riguardo alla posizione tedesca: De Bosdari(fonte attendibile, in quanto riferiva ciò che lo stesso von Schubert gli aveva detto),avvertì che difficilmente la Germania avrebbe partecipato ad un convegno, di tecnicio di ministri che fosse, prima di inviare a sua volta una risposta scritta all’imminentenuova nota interalleata e così esprimere i suoi punti di vista: primo fra i quali la nonammissibilità di un accordo in contraddizione con le basi essenziali della sua politica.De Bosdari a Mussolini, 17 agosto 1925, tel.1504/245, ibidem.

67 Della Torretta a Mussolini, 17 agosto 1925, tel.1526/615, ibidem.68 Si veda ancora: Della Torretta a Mussolini, 22 agosto 1925, tel. 1546/572, ibidem.69 Della Torretta a Mussolini, 26 agosto 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.110.

Mussolini chiese ulteriori chiarimenti su questo telegramma il 5 settembre, desideran-

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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

do altresì sapere quali fossero esattamente i limiti, la forma e la natura dell’appoggio diChamberlain all’Italia e della collaborazione che ne sarebbe seguita. Mussolini a DellaTorretta, 5 settembre 1925, tel.979,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 42.

70 Briand alle rappresentanze diplomatiche francesi all’estero, 27 agosto 1925,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.82. All’ambasciatore a Roma, Briand chiese di esprimersiconformemente con Mussolini, informandosi delle di lui intenzioni.

71 Summonte a Mussolini, 27 agosto 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.111.72 Summonte a Mussolini, 28 agosto 1925, ibidem, doc.112.73 De Bosdari a Mussolini, 27 agosto 1925, tel.1607/254,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta

41.74 Daneo a Mussolini, 27 agosto 1925,Tel.1616/155, ibidem. Rolin riteneva che la parte-

cipazione dell’Italia alla conferenza dei giuristi ne avrebbe facilitato l’adesione al pattodi sicurezza; la conferenza, tuttavia, era ormai imminente (essendo convocata per il 31agosto) e occorreva far presto.

75 Mussolini a Della Torretta, Romano Avezzana, Daneo e De Bosdari, 28 agosto 1925,tel.919, ibidem.

76 Nel corso del colloquio col Summonte, di cui si è già riferito (DDI, Serie Settima,vol.IV, doc.111).

77 Mussolini a Della Torretta e De Bosdari, 28 agosto 1925, tel.920,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 42.

78 Della Torretta a Mussolini, 28 agosto 1925, tel.1622/645, ibidem, busta 41.79 Daneo a Mussolini, 27 agosto 1925, tel.1616/155, già citato. Si ricordi che il governo

belga s’era dichiarato favorevole all’ipotesi di una partecipazione italiana alla confe-renza dei giuristi. Daneo a Mussolini, 28 agosto 1925, tel.1628/156, ibidem.

80 DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.102.81 Supra, nota 77.82 Mussolini a Della Torretta, 28 agosto 1925, tel.924,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 42.83 Ovey a Chamberlain, 28 agosto 1925, DBFP, I Series, vol.XXVII, doc.461.84 Ovey a Chamberlain, 28 agosto 1925, ibidem, doc.460.85 Chamberlain a Phipps, 28 agosto 1925, ibidem, doc.462. Come rilevava l’ambasciatore

francese, De Fleuriau, «il suggerimento fattovi dall’ambasciatore d’Inghilterra a Parigidi riunire i giureconsulti a Ginevra e la preoccupazione che constato al Foreign Officedi non lasciare che la presenza di un italiano ritardi i lavori della riunione di Londrahanno una comune origine. Il signor Chamberlain è assai desideroso di assicurarsi lacollaborazione di Sir C.Hurst a Ginevra, che egli considera come indispensabile». DeFleuriau a Briand, 29 agosto 1925, tel.558,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.82.

86 Stando al resoconto di Paulucci, Contarini mandò a chiamare Roger, probabilmentedopo che questi, concluso il colloquio col Capo di Gabinetto, aveva già fatto ritornoalla sua ambasciata.

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Capitolo IV – Preparando Locarno

87 Diversa la versione di Roger: «L’incaricato d’affari italiano si è limitato fino ad ora atelegrafare di aver messo a parte Vostra Eccellenza del desiderio di Mussolini di parte-cipare eventualmente ad una conferenza tra i Ministri degli Affari esteri sul patto disicurezza. Secondo Summonte Vostra Eccellenza non aveva sollevato obiezione a talepartecipazione come pure d’altronde alla riunione di questa conferenza in una localitàitaliana se gli altri Governi vi consentivano. Il telegramma dell’incaricato d’affari nonfaceva alcuna allusione alla questione del giurista». Roger a Briand, 29 agosto 1925,tel.438-443,“priorità assoluta”,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.82

88 Roger a Briand, 29 agosto 1925, tel. già citato.89 Appunto di Paulucci de’ Calboli Barone del 29 agosto 1925,ASMAE,Arch.Gab.,TSN,

busta 41.90 Roger a Briand, 29 agosto 1925, tel. già citato.91 Phipps a Chamberlain, 29 agosto 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.463.92 Summonte a Mussolini, 29 agosto 1925, tel.1641/616,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta

41. Summonte basava le informazioni del Quai d’Orsay su un telegramma diretto aLondra, preparato dal Berthelot. In esso si ripercorrevano i temi oggetto dei colloquiBriand-Summonte, Paulucci-Roger e Contarini-Roger. La conclusione tratta era laseguente: «Considero che tale nuova attitudine dell’Italia e la sua partecipazione alpatto di sicurezza presentino una grande importanza.Telegrafo a Roma che, per ciòche lo concerne, il Governo francese accoglie con il più grande compiacimento la par-tecipazione del giureconsulto italiano del Ministero degli Affari Esteri alla riunione diLondra, che potrebbe esser ritardata di un giorno per attendere l’adesione inglese ebelga [all’intervento del giurista italiano], che io sollecito con estrema urgenza.Secondo un telegramma dell’ambasciatore d’Italia a Berlino, il Governo tedesco sareb-be già consenziente.Vogliate fare i passi opportuni per assicurare l’assenso inglese el’invio di tale assenso a Roma, al fine di permettere al giurista italiano di trovarsi aLondra al più tardi martedì mattina». Berthelot a Londra, Berlino, Bruxelles e Roma,29 agosto 1925, telegramma con vari numeri, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne,vol.82.

93 Roger a Briand, 29 agosto 1925, tel.446,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.8294 Cfr. DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.95.95 Mussolini a Della Torretta, 29 agosto 1925, tel.932,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41.96 Summonte a Mussolini, 29 agosto 1925, tel. 1646/619, ibidem.97 Cuneman a Paulucci de’ Calboli Barone, 31 agosto 1925, ibidem. Cfr. DBFP, Series I,

vol.XXVII, nota al doc.463.98 Mussolini a Della Torretta e Romano Avezzana, 29 agosto 1925, DDI, Serie Settima,

vol.IV, doc.114.99 D’Amelio a Mussolini, 29 agosto 1925, tel.1649 (manca il numero di protocollo in

partenza), ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 41. Da una lettera di Scialoja a Giannini,

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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

scritta a fine agosto, emerge che il primo avrebbe desiderato che fosse il capo delContenzioso diplomatico di Palazzo Chigi a rappresentare l’Italia alla Conferenza deigiuristi; ACS,Carte Giannini, scatola 12, «Corrispondenza varia», fasc. 11, sf. 266:«Vittorio Scialoja».

100 Mussolini a Della Torretta, 30 agosto 1925, tel.950, ibidem. Nella copia di questo tele-gramma inviata per conoscenza all’ambasciata a Parigi, viene aggiunto in chiusura: «Perevitare inconvenienti».ASMAE, Rappresentamze Diplomatiche,Ambasciata di Parigi,busta 84.

101 Mussolini a Della Torretta, 30 agosto 1925, tel.951,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41.Mussolini non riuscì a far spostare la seconda seduta della conferenza al pomeriggiodel 1° settembre.

102 Agenzia d’Informazioni per la Stampa “Alessandro Volta”, Bollettino n.4848 del 31agosto 1925, anno IX,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41.

103 Per dare un’idea degli umori più accesi circolanti in Italia, può leggersi l’articolo cheArdengo Soffici pubblicò sul Tevere del 7 luglio: «Sono molto soddisfatto – egli scri-veva – che in questa faccenda del patto di garanzia o di sicurezza, il Governo fascistanon si sia lasciato imbecherare e non abbia mosso alcun passo falso o pericoloso. Nonsono però al tutto tranquilizzato per il fatto che da Roma non sia partito un rifiutochiaro e tondo a qualsiasi adesione per oggi, per domani e per sempre; sebbene nonmi sia difficile comprendere come ragioni diplomatiche e in genere politiche, possa-no, e forse debbano, vietare una tale determinatezza di atti ancorché ottimi in se stes-si... mi conforta l’ardente speranza che l’Italia farà a suo tempo quello che oggi nonha fatto, ma che sarà dimostrato unicamente necessario. Giacché se mai ci fu propostaassurda, fallace, insidiosa, dannabile, in una e melensa, questa è ben la proposta che civien fatta».A. SOFFICI, Il patto di garanzia, in «Il Tevere», 7 luglio 1925.

104 In tal senso possono leggersi le osservazioni svolte da Roger il 1° settembre, nel tele-gramma a Briand n.450,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.82.

105 Lo stesso giurista inglese non manca di notare, nella sua relazione finale sui lavori, che«i rappresentanti belga ed italiano, ma soprattutto l’italiano, non ebbero una partemolto importante nelle discussioni». Note by Sir C.Hurst, 5 settembre 1925, DBFP,Series I, vol.XXVII, doc.467. Sulla conferenza di Londra,A. ORDE, Great Britain andInternational Security, cit., pp.120 ss.

106 Della Torretta a Mussolini, 1° settembre 1925, tel.671/653; Paulucci de’ CalboliBarone a Scialoja, Della Torretta, Romano Avezzana, De Bosdari, Daneo, 5 settembre1925, tel.980,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41.

107 DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.440 già citato.108 Si confrontino il resoconto della delegazione britannica (DBFP, Series I, vol.XXVII,

docc.466 e 467), di quella italiana (ASMAE, Arch.Gab.,TSN cit., busta 42; cfr. posi-zione 71/1 «Conferenze»), di quella belga (DDB, 1920-1940, t.II, doc.104). Per ciò che

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Capitolo IV – Preparando Locarno

riguarda la Germania, oltre a Locarno-Konferenz, cit.(pp.120-138), si dispone ora degliADAP,A, Band XIV (spec. i docc.47, 50 e 55).

109 Della Torretta a Mussolini, 1° settembre 1925, tel.1684/654,ASMAE,Arch.Gab.,TSN,busta 42.

110 Essa così recitava: «Le parti contraenti ... animate dal sincero desiderio di dare a tutte lepotenze firmatarie interessate delle garanzie complementari nel quadro del Patto dellaSocietà delle Nazioni e dei Trattati in vigore tra loro».

111 Della Torretta a Mussolini, 4 settembre 1925, tel.1706/660,ASMAE,Arch.Gab.,TSN,busta 42. Discutendo del preambolo del patto di sicurezza, si concordò comunque sullanatura squisitamente politica di esso e sul fatto che andasse demandato all’esame deiGoverni. Cfr. Della Torretta a Mussolini, 3 settembre 1925, tel.1696/657, ibidem, busta41.

112 Report by Sir C.Hurst on the Proceedings of a Meeting of Jurists held at the Foreign Office,September 1-4, 1925, in connection with the proposed Treaty of Mutual Guarantee, 4 settem-bre 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.466. Da questo rapporto, considerato comeil comunicato conclusivo ufficiale della conferenza dei giuristi, venne stralciata unaparte nella quale si evidenziava la necessità per i francesi di scongiurare azioni intem-pestive della Polonia.

113 Nota di Sir C.Hurst sul rapporto dei giuristi, 5 settembre 1925, ibidem, doc.467.114 Della Torretta a Mussolini, 4 settembre 1925, tel.1718/685,ASMAE,Arch.Gab.,TSN,

busta 42.115 Così in un Memorandum by Mr.Chamberlain, Ginevra 9 settembre 1925, DBFP, Series I,

vol.XXVII, doc.468.116 Ibidem, allegato al doc.469.117 Quest’apprezzamento Briand espresse con Chamberlain nel corso di un pranzo uffi-

ciale a Ginevra, l’11 settembre: Record by Mr. Chamberlain of a conversation with theCzechoslovak Foreign Minister, 12 settembre 1925, ibidem, doc.473.

118 Chamberlain chiarì di non condividere l’idea di Skrzynski di escludere qualsiasi ipo-tesi di revisione seppur pacifica delle frontiere polacche (peraltro sconfessando indiret-tamente l’operato dell’ambasciatore a Varsavia). Chamberlain a Max Muller, 12 set-tembre 1925, ibidem, doc.474. Occorre aggiungere che, nel corso di conversazioniavute con il collega sovietico Cicerin, il ministro degli esteri polacco mostrò scarsaconsiderazione per le frontiere della Romania (Bessarabia), che la Russia avrebbepotuto cercar di modificare coi mezzi che più le aggradavano:cfr. doc.526.

119 Val la pena riportare il dettato dell’articolo 180 di Versailles: «1- All fortified works, for-tresses and field works situated in German territory to the west of a line drawn fiftykilometers to the east of the Rhine shall be disarmed and dismantled. 2- Within aperiod of two months from the coming into force of the present Treaty such of theabove fortified works, fortresses and field works as are situated in territory not occu-

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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

pied by Allied and Associated troops shall be disarmed; and within a further period offour months they shall be dismantled.Those which are situated in territory occupiedby Allied and Associated troops shall be disarmed and dismantled within such periodsas may be fixed by the Allied High Command. 3- The construction of any new forti-fication, whatever its nature and importance, is forbidden in the zone referred to in thefirst paragraph above. 4- The system of fortified works of the southern and easternfrontiers of Germany shall be mantained in its existing state». Il testo citato è tratto daThe Treaties of Peace 1919-1923, vol.I, containing the Treaty of Versailles, the Treaty ofSt.Germain-en-Laye and the Treaty of Trianon, New York: Carnegie Endowment forInternational Peace, 1924, p.102.

120 Rapporto del Delegato Italiano Pilotti a Mussolini, 5 settembre 1925, ASMAE,Ambasciata di Londra, busta 600.

121 Rapporto del Delegato Italiano Pilotti a Mussolini, 9 settembre 1925, ibidem.122 Della Torretta a Mussolini, 6 settembre 1925, tel.1730/670,ASMAE,Arch.Gab.,TSN,

busta 42; Della Torretta a Mussolini, 6 settembre 1925, tel.744,Ambasciata di Londra,busta 600; Della Torretta a Romano Avezzana, 6 settembre 1925, tel.745, ibidem.Possiamo ricostruire gli spostamenti di Pilotti con l’ausilio delle fonti archivistiche.Egli partì da Londra il 6 settembre, alla volta di Parigi. Il giorno dopo partì perModane; indi partì per Roma l’8 settembre. Nota delle spese incontrate dalComm.Massimo Pilotti nella sua missione a Londra per rappresentare l’Italia nel Comitato deiGiuristi per il patto di garanzia, Parigi, 3 ottobre 1925, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta42.

123 Dal registro delle udienze concesse da Mussolini si apprende che Pilotti fu ricevuto alleore 18 del 9 settembre e che il colloquio durò mezz’ora. Udienze accordate da S.E. ilPresidente,mercoledì 9 settembre 1925,ASMAE,Arch.Gab.,GM,busta 42: «Udienze postil-late da S.E. il Capo del Governo, 1925». Del contenuto del colloquio tra Mussolini ePilotti non si è trovata finora altra traccia, nonostante le ricerche effettuate.

124 De Bosdari a Mussolini, 9 settembre 1925, tel.1758/270, ASMAE, Arch.Gab., TSN,busta 41.

125 Mussolini a Della Torretta, 5 settembre 1925, tel.979, ibidem.126 Della Torretta a Mussolini, 7 settembre 1925, tel.1731/671, ibidem. Cfr. DDI, Serie

Settima, vol.IV, docc.43 e 44.127 Mussolini a Romano Avezzana, 14 settembre 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV,

doc.120.128 Della Torretta a Mussolini, 4 settembre 1925, tel.1718/665, ASMAE, Arch.Gab., cit.,

TSN, busta 42.129 Anche se proprio il fatto di aver Paulucci prospettato un ruolo limitato di observer

dell’Italia, in sede di conferenza dei giuristi, può aver già influito positivamente suRoger.

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Capitolo IV – Preparando Locarno

CAPITOLO V.

L’ITALIA ALLA CONFERENZA DI LOCARNO

1. PROBLEMI IRRISOLTI DELLA SICUREZZA EUROPEA

I presupposti del patto di sicurezza erano stati ormai fissati da Francia eGran Bretagna. La Francia non era riuscita a salvaguardare, nel loro signifi-cato politico, le alleanze orientali, che divenivano ormai secondarie rispet-to al patto renano. I paesi dell’Europa orientale, da parte loro, sospettavanoche gli occidentali si stessero accordando con la Germania ai loro danni,seminando così future tempeste per l’Europa. Per la Polonia, le dichiaratemire della Germania divenivano una minaccia ormai immanente; senzaconsiderare ciò che anche la Russia avrebbe potuto fare, in un prossimofuturo, in combutta coi tedeschi.

Francia e Gran Bretagna, dal canto loro, avevano fatto in modo da tene-re il negoziato sul patto al di fuori dell’ambito della Società delle Nazioni.Fu così che concordarono il testo di una risoluzione dell’Assemblea gine-vrina, in cui veniva fatta solo una generica menzione della questione dellasicurezza.

L’Assemblea, «profondamente legata alla causa della pace e convinta cheil bisogno attuale più pressante è lo stabilimento della fiducia reciproca trale nazioni» prendeva atto «del fatto che il (...) Protocollo non ha ricevutosinora un numero sufficiente di ratifiche per avere applicazione immedia-ta». Essa vedeva tuttavia «con favore lo sforzo fatto da certe nazioni per farprogredire queste questioni attraverso la conclusione di trattati di mutuasicurezza, concepiti nello spirito dello stesso Patto della Società delleNazioni e che sono in armonia coi princìpi del Protocollo: arbitrato, sicu-rezza, disarmo». L’Assemblea, inoltre, constatava «che tali accordi non dove-vano necessariamente esser limitati ad una regione ristretta, ma potevano

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applicarsi al mondo intero». La risoluzione terminava con la promessa di unimpegno dell’Assemblea «a lavorare allo stabilimento della pace con ilmetodo sicuro dell’arbitrato, della sicurezza e del disarmo»1.

Per volere delle due maggiori potenze che ne facevano parte, la Societàdelle Nazioni abdicava in loro favore al compito di realizzare un efficacesistema di sicurezza, partendo dal fatto che il Protocollo di Ginevra, chetante speranze aveva animato in quella città sinonimo di pacifismo, nonaveva dato soddisfacenti risultati. L’Assemblea della Lega ammetteva dun-que che, fuori dell’assise ginevrina, se ne sarebbero conseguiti di migliori.

Sempre nella cornice dei lavori della Società delle Nazioni, Briand eChamberlain designarono, in contatti riservati, Locarno come sede dell’im-minente riunione dei ministri degli esteri dei paesi direttamente interessa-ti al patto renano2. La designazione della cittadina svizzera, prossima al con-fine italiano, era stata fatta per venire incontro all’esigenza di Mussolini, cheaveva asserito di non potersi muovere dall’Italia per improrogabili impegni,suggerendo al contempo una località su un lago dell’alta Italia. L’elveticaLocarno, sulla sponda nord-occidentale del Lago Maggiore, era la sceltaideale anche per Chamberlain, che aveva insistito perché la sede della con-ferenza sulla sicurezza fosse in territorio di paese neutrale.

Il 9 settembre, Chamberlain e Briand concordarono di invitare ufficial-mente il collega tedesco ad un incontro. Briand, pur conscio delle difficoltàche il patto di garanzia avrebbe incontrato (specialmente in Polonia) fuabbastanza fiducioso sull’esito delle trattative. I francesi chiesero poi aScialoja un parere giuridico su alcuni articoli del progetto di patto. Scialojarilevò che, a suo avviso, l’articolo secondo lasciava indeterminate troppequestioni; a ciò andava aggiunta la mancata garanzia delle frontiere orien-tali tedesche. En passant, fu toccata anche la questione della sede della con-ferenza e qui Scialoja insistè invano per una località dell’alta Italia;Chamberlain confermò la sua opzione per una località di paese neutrale,lasciando tuttavia libero Mussolini di scegliere la più vicina al confine ita-liano3. Mussolini ringraziò dell’invito, ma espresse rammarico per nonpotersi allontanare dall’Italia4.

Il 10 settembre, i giornali scrissero che gli alleati intendevano sapere se

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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

l’Italia avrebbe gradito invitare ufficialmente la Germania al convegno deiministri; una richiesta in tal senso era stata rivolta al Governo italiano, peril tramite di Scialoja, da Briand in persona. L’11 settembre la notizia venneconfermata da alcune corrispondenze della sera; Mussolini chiese delucida-zioni al rappresentante italiano a Ginevra5, evidentemente ignaro di untelegramma giunto proprio un’ora prima da Ginevra, in cui Scialoja forni-va tutti i chiarimenti del caso. Il delegato italiano alla Società delle Nazioniscriveva che Briand gli aveva appena consegnato un progetto di nota dainviare alla Germania, in cui si faceva il punto sui risultati conseguiti sino aquel momento. Il progetto era così concepito: «Dopo le conversazioni chei giuristi hanno appena avuto a Londra, sembra al Governo francese e aisuoi alleati che le Nazioni in causa abbiano un interesse comune a che inegoziati non si trascinino a lungo e che sia venuto il momento di fissareuna data per la riunione progettata. A tal riguardo, la fine del mese di set-tembre o al più tardi i primi giorni di ottobre costituirebbero un’epocaconveniente. La Conferenza avrebbe luogo in territorio neutro, preferibil-mente in Svizzera, in una località che sarebbe fissata ulteriormente d’ac-cordo tra i Governi. Il Governo francese e i suoi alleati sperano fermamen-te che tali propositi vadano incontro ai desideri del Governo tedesco e chequesto stesso faccia loro conoscere a breve termine la sua accettazione». Ilprogetto francese, secondo quanto aggiungeva Scialoja, aveva ottenuto l’ap-provazione dei governi inglese e belga. Ma prima di inviarlo alla Germania,Briand desiderava assicurarsi anche l’adesione italiana. Concordando suicontenuti generali della nota, Scialoja chiese all’uopo la necessaria autoriz-zazione6. Mussolini la diede il 12 settembre, in questi termini: «RegioGoverno sarà pertanto rappresentato in ogni caso [alla] prossima Con-ferenza, quantunque continui [a] ritenere improbabile [la] mia personalepartecipazione non intendendo come già indicato assentarmi dall’Italia»7.

Alla Germania così pervenne, il 15 settembre, l’invito ufficiale alla con-ferenza internazionale sul patto di sicurezza8. La decisione tedesca di inter-venirvi fu presa in Consiglio dei Ministri, la mattina del 24 settembre, e sidecise di designare alla guida della delegazione del Reich il CancelliereLuther ed il Ministro degli esteri Stresemann9.

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Capitolo V – L’Italia alla Conferenza di Locarno

Per quanto specificatamente riguarda l’Italia, il nodo irrisolto di tutta laquestione della sicurezza si chiamava Austria. Si è già detto che condizioneindispensabile per un effettivo risollevamento di questa erano alcune garan-zie economico-finanziarie, tali da tutelare efficacemente l’indipendenzapolitica del paese. Da parte delle grandi potenze, ivi compresa l’Italia, nonc’era stato però un grande impegno in tal senso, ed il problema giacevainsoluto. Proprio a ridosso della conferenza dei giuristi, il ministro degliesteri austriaco, Mataja, aveva espresso il desiderio che l’Italia proseguissenella trattativa sul regime preferenziale, malgrado la forte opposizione dipaesi come la Cecoslovacchia10. Praga, in effetti, non vedeva di buonocchio la politica troppo filoitaliana del governo austriaco, né tantomeno ilcontegno filoaustriaco dell’Italia.

L’Anschluss restava per l’Italia il problema dei problemi. La conferenzadei giuristi l’aveva aggravato, essendo state approvate delle norme che nonrichiamavano perfettamente i divieti imposti alla Germania dal trattato diVersailles (v. cap. IV. § 4).V’erano poi rigurgiti di “filoannessionismo” inGermania e in Austria. Il presidente del Reichstag Paul Löbe, in visita inAustria, aveva ostentato particolare fervore per l’unità, non di due, ma di unsolo popolo, quello tedesco, sin allora diviso ma nondimeno titolare, allastregua degli altri, di un diritto di autodecisione. In un discorso tenuto aVienna, egli aveva dichiarato che i popoli germanico ed austriaco, senzadistinzione di partiti, erano favorevoli all’Anschluss. Espressioni così accesespinsero De Bosdari a chiedere a Mussolini se non fosse il caso di elevareformale protesta a Berlino, specie in considerazione del fatto che si era sem-pre sostenuto che il Löbe non sarebbe mai andato a Vienna11.

A Parigi tutto l’episodio suscitò un certo imbarazzo, anche per il fattoche altra meta del viaggio del presidente del Reichstag era proprio laFrancia. Si attendeva perciò un chiarimento da Vienna, ma si era anchepropensi a far raffreddare l’affare, senza dar “luogo a procedere” controBerlino12. Le conclusioni di Mussolini furono presto tratte: «Riesaminatala questione in base ai vari elementi (...) mi sembra che discorso Loebe siatanto più inopportuno in quanto non può prescindersi dalla carica che egliricopre.Tuttavia poiché dal testo ufficiale sembra risultare che egli ha rico-

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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

nosciuto che unione dovrebbe effettuarsi soltanto per vie pacifichemediante Lega delle Nazioni è il caso di non elevare formale protesta malimitarsi richiamare attenzione codesto Governo sulla assoluta inopportu-nità e gravi pericoli di manifestazioni tendenti a spingere gli animi ad unaunione la quale non potrebbe riuscire per le desiderate vie pacifichemediante Lega delle Nazioni essendovi contrari i governi francese, ingle-se ed italiano»13.

A metà settembre, come si è visto (cap. IV. § 4) Mussolini aveva impar-tito al Romano Avezzana istruzioni di sondare Briand circa la possibilità dipervenire ad un «patto di garanzia per l’Austria», con o senza la Germania.Egli aveva anche pregato l’ambasciatore a Parigi di indicargli i modi per cuila Francia potesse tornar utile all’Italia, in Europa e fuori.

Romano rifletté sulle questioni postegli e rispose che anzitutto eraimprobabile che la Germania confermasse la rinuncia all’Anschluss; per cuiformula meno impegnativa avrebbe potuto essere «una dichiarazione iden-tica da farsi in seno alla conferenza dall’Italia e dalla Francia». L’ambasciatoreaggiunse che i vari patti in embrione erano comunque importanti e cheoccorreva farne parte, anche per divenirne garanti insieme alla GranBretagna. Se del caso, l’Italia sarebbe stata comunque in grado di far valerei propri interessi in seno al Consiglio della Società delle Nazioni, qualorafosse stata necessaria l’unanimità per far funzionare il Patto. Ritornandosull’ipotesi di patto francoitaliano, Romano vi ravvisò il mezzo per scon-giurare l’Anschluss, ma, per concluderlo, l’Italia doveva ottenere l’assicura-zione di poter fare una politica di espansione coloniale, senza attriti con laFrancia, e poter fissare le linee guida di un’intesa in Europa centrale14.

Il 25 settembre,Romano Avezzana comunicò a Mussolini di aver incon-trato in mattinata Briand e di averlo sondato sulla possibilità di un accordobilaterale relativo all’Austria. Il ministro francese concordò perfettamentesul punto e aggiunse che avrebbe anche accettato, realizzato tale accordo,un amichevole riesame delle questioni relative alla Tunisia ed a Tangeri(anche se su tale argomento la Francia non poteva decidere da sola). Per ciòche, invece, concerneva i mandati coloniali, Briand ribadì le precedenti assi-curazioni, che cioè avrebbe osteggiato, insieme all’Italia, l’ipotesi di restitui-

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Capitolo V – L’Italia alla Conferenza di Locarno

re alla Germania, sotto forma di mandato, i vecchi possedimenti del Togo edel Camerun, o di affidarle le colonie portoghesi15.

Da fonte francese abbiamo notizie alquanto diverse. In primo luogo,non si ha traccia del menzionato colloquio tra Briand e Romano Avezzana,mentre sappiamo di una visita di Summonte al ministro francese, databiletra il 24 e il 25 settembre. Nel corso di questa visita, furono trattati esatta-mente i temi menzionati da Romano Avezzana. In secondo luogo, risultache fu l’incaricato d’affari italiano a sollecitare da Briand un chiarimentosu un regolamento generale delle relazioni francoitaliane, e che Briand fudisposto a riesaminare la questione, ma a patto che non gli si chiedesse «difar condurre l’esame su dei casi non giustificati o che non rilevano dalnostro solo apprezzamento (caso dello statuto di Tangeri)»16. Sempre lefonti francesi ci informano che, ancora il 28 settembre, Romano Avezzanaera a letto molto sofferente, a causa di un incidente occorsogli tempo primaa Chartres, da dove era rientrato in sede il 18 17.Tutto ciò fa velo alla pos-sibilità che l’ambasciatore italiano abbia effettivamente potuto, il 25 set-tembre, incontrare Briand e non piuttosto “acquisire” e debitamente “fil-trare” le informazioni raccolte dal Summonte.

Romano Avezzana era convinto che all’Italia spettasse un ruolo mag-giore in ambito coloniale; al contempo, egli raccomandava a Mussolini dinon tenersi fuori dal patto di sicurezza. Il confronto tra fonti italiane e fontifrancesi ci porta a credere che l’ambasciatore a Parigi desiderasse presenta-re la visione di Briand sotto la più favorevole luce, per non compromette-re l’alto interesse che l’Italia aveva ad esser garante del patto renano, ed aconcludere con la Francia un patto sull’Austria. Romano infatti sapevabene che non ci si poteva attendere da Briand alcuna soluzione immedia-ta del problema dei “sospesi coloniali”. Infatti, il Ministro aveva chiarito chesulla questione di Tangeri la Francia non era la sola a decidere, essendonecessario l’accordo di tutte le potenze firmatarie dello Statuto di quellacittà. Inoltre Briand aveva anche fatto velatamente intendere che sulla que-stione tunisina la posizione francese restava divergente da quella italiana.

Per avere un quadro della situazione più completo, Mussolini chieseanche il parere di Scaloja sull’opportunità di aderire al patto renano e di fir-

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mare un accordo con la Francia per la tutela dell’indipendenza austriaca18.Il 28 settembre, dunque, Scialoja rilevò che il progetto di patto di garanziaprevedeva, da un lato un’aggressione nella zona renana smilitarizzata, dal-l’altro un atto di invasione o di guerra tout court. Ma detto questo, le lacu-ne del progetto varato dai giuristi non gli sembravano né poche né trascu-rabili. Anzitutto esso non prevedeva una guerra aerea o sottomarina; insecondo luogo, il meccanismo previsto all’articolo 4 era incerto, tranne chenel ristretto ambito della zona smilitarizzata; negli altri casi, era difficile, aigaranti come al Consiglio della Società delle Nazioni, constatare rapida-mente che un’aggressione si era verificata. Andavano tuttavia considerati iseguenti aspetti positivi: erano rari ormai i casi di una guerra che avrebbecoinvolto Francia, Belgio e Germania soltanto; il garante conservava inol-tre piena libertà nel rilevare la sussistenza degli estremi di un’aggressione; siinvocava, da parte francese e tedesca, l’adesione italiana al patto. Scialoja nonconcluse l’esposizione prima di aver toccato i temi importanti perMussolini. Egli riteneva impossibile inserire nel patto disposizioni sullafrontiera del Brennero o sull’Austria; Scialoja, inoltre, scartava l’ipotesi di unpatto separato, perché questo avrebbe sminuito il valore del patto renano escosso il prestigio dell’Italia come garante; tralasciando il fatto che l’interes-se della Francia all’indipendenza austriaca era «almeno pari» a quello italia-no. Le conclusioni furonò presto tratte: «Date queste circostanze – scrisseScialoja – ritengo che, qualora non si voglia iniziare una politica di racco-glimento e di isolamento, sia per noi più vantaggioso aderire al patto cherestarne fuori»19. Scialoja mostrava dunque di essersi accorto che il testo dipatto predisposto a Londra non era, in alcune sue parti, accettabile perl’Italia; ed egli probabilmente sperava venisse modificato20.

Non meno importanti furono le osservazioni di Contarini, contenute inuna relazione a Mussolini, che è stata resa nota dal Lefebvre D’Ovidio. PerContarini, la Gran Bretagna aveva diretto interesse alla difesa delle Fiandree del Reno. Per cui essa non era sullo stesso piano dell’Italia; a questa, inol-tre, non conveniva sollevare la questione dell’Alto Adige, che non potevaesser fonte di instabilità se non dopo un eventuale Anschluss; ma in questocaso, era inutile chiedere garanzie, per il fatto che si sarebbero sollevati auto-

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maticamente contro l’Anschluss «gli interessi francesi, cechi, polacchi, jugo-slavi». L’Italia inoltre doveva incoraggiare i tentativi francesi di garantire lefrontiere orientali tedesche, ma non garantirle essa stessa, se non sollecitatada Polonia e Cecoslovacchia nel momento del pericolo. Per Contarini, lasituazione generale lasciava libera l’Italia, ed intatti i suoi poteri in seno alConsiglio e all’Assemblea della Società delle Nazioni. Su queste basi, occor-reva che il paese aderisse al patto renano fin dall’inizio, e non in un secon-do momento21. Come si vede, nella relazione di Contarini trovavansi ideee suggerimenti già espressi nel memorandum confidenziale del 4 aprile, pre-parato dall’Ufficio Trattati e Società delle Nazioni (cap. II. § 2) e fatti vale-re ripetutamente, illustrando la posizione italiana a Londra e a Parigi.

Mussolini aveva dunque cercato, nel corso del negoziato sul patto, anchefruendo del Consiglio della “carriera”, di assicurare pari dignità a tutte lefrontiere europee, facendo presente che l’indipendenza dell’Austria erainteresse comune a Francia ed Italia. Ma le aspettative deluse dalla confe-renza dei giuristi lo avevano spinto a considerare l’opportunità di provve-dere per altra via (con l’ipotesi di un accordo italofrancese) alla soddisfa-zione degli interessi italiani. Certamente, i giochi non erano ancora fatti ealla conferenza dei ministri mancava ancora qualche settimana. Ma non erapensabile che Chamberlain si impegnasse più di quanto aveva già fatto.Stava quindi alla Francia e all’Italia, parti direttamente in causa, provvederealla maggior sicurezza possibile.

Per il momento non si poteva fare di più. Forse, in seguito, la generaleatmosfera di distensione avrebbe creato una qualche occasione, offerto unavia d’uscita; per questo motivo era meglio non restare fuori e, seppure inun quadro così incerto, cercare di riconquistare una posizione di rilievo nelnovero di quelle potenze che stavano per misurarsi a Locarno.

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2. UN COLPO DI SCENA

Sembrava dunque definitivamente raggiunto l’accordo tra la Germania,la Francia e la Gran Bretagna sulla convocazione di una conferenza di mini-stri degli esteri per l’adozione del patto di sicurezza. Ma un colpo di scenavenne a turbare gli animi e a mettere in forse i risultati raggiunti.

A Berlino, il 23 settembre, l’ambasciatore De Bosdari aveva raccoltoalcune riserve di Schubert sul patto di garanzia. Secondo il Segretario diStato tedesco, l’articolo 16 del Covenant andava modificato, o perlomenooccorreva darne un’interpretazione autentica che fosse accettabile per laGermania. Era inoltre necessario assicurare la preventiva evacuazione dellazona di Colonia e regolare in maniera equa e definitiva le questioni deldisarmo e del controllo militare del territorio tedesco. Ma il problema piùgrave restava la pretesa francese di garantire i trattati di arbitrato tedescopo-lacco e tedescocecoslovacco. «Se la Germania non potrà aver vittoria su ciò– informava De Bosdari – Schubert mi ha detto chiaramente che [il] pattodi garanzia non si concluderà»22.

Le obiezioni tedesche erano, per l’ambasciatore italiano, «senza dubbiogravi e fondamentali»; ma, ad uno stato delle cose così avanzato, la Germaniaavrebbe firmato il patto «per così dire a qualunque costo». De Bosdariaggiunse che le cose erano facilitate dal minore interesse della Francia per lesue alleanze orientali; si trattava infatti di «alleanze conchiuse come mezzodi fortuna nel periodo in cui la Francia poteva concepire come probabileanzi imminente una ripresa delle ostilità con la Germania, per propria ini-ziativa o per iniziativa di questa». Per De Bosdari, dunque, non c’era datemere che Polonia e Cecoslovacchia determinassero il fallimento del pattodi garanzia, visto che «in politica internazionale, anche sotto il regime dellaLega delle Nazioni, i piccoli e i deboli hanno sempre torto»23.

Le obiezioni della Germania vennero ufficializzate il 26 settembre, nellarisposta all’invito pervenutole per la Conferenza dei ministri. Si prendevaatto dell’esistenza di un nesso tra il patto di sicurezza e l’entrata dellaGermania nella Società delle Nazioni, ma si teneva a precisare che l’impe-gno al rispetto dei trattati di pace non implicava affatto il riconoscimento

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della responsabilità di guerra. La Germania, infatti, non si sentiva colpevo-le dello scoppio del conflitto. In secondo luogo si desiderava che, almomento dell’ingresso nella Società delle Nazioni, la zona di Coloniavenisse evacuata24.

Consegnando a Roma la nota verbale con queste osservazioni, l’incari-cato d’affari tedesco, von Prittwitz, dichiarò che il suo governo era statocostretto a farle unicamente per ragioni di politica interna, onde evitare aglialleati sorprese nel corso della conferenza in Svizzera.Von Prittwitz aggiun-se che la Germania riteneva meglio evitare una nuova nota interalleata, inrisposta alle sue dichiarazioni. Era invece preferibile che ogni stato interes-sato esponesse il suo punto di vista nelle forme ordinarie. L’incaricato tede-sco chiese infine se l’Italia avrebbe fatto rilievi, alla nota francese o a quel-la tedesca. La risposta di Mussolini fu che l’Italia si sarebbe regolata d’ac-cordo con gli altri governi25.

Il governo inglese, secondo le informazioni di Preziosi, riteneva si potes-se fissare al 5 ottobre l’apertura della conferenza, e non entrò nel merito delnuovo passo tedesco26. Il Foreign Office, infatti, si sarebbe limitato a dare allastampa un resoconto sommario della nota di Berlino27. L’ambasciatorefrancese a Londra venne tenuto al corrente di questa linea di condotta28.

La posizione e le decisioni che il Governo di Sua Maestà intendevaadottare furono illustrate in un promemoria consegnato, il 28 settembre,dall’ambasciata inglese al governo italiano. «Il signor Chamberlain – infor-mava il promemoria – nella sua conversazione con l’Ambasciatore tede-sco29, informò chiaramente S[ua] E[ccellenza] che egli considerava l’intro-duzione della questione della responsabilità di guerra in questa fase deinegoziati come un atto sconsigliato e provocatorio. Il Segretario di Statoinformò anche l’ambasciatore di Francia, durante la conversazione ch’ebbeluogo subito dopo, che egli nutriva fiducia che l’introduzione di tale que-stione non dovrebbe modificare la linea di condotta finora proposta e cheegli sperava che il signor Briand consentirebbe a rispondere accettando ladata del 5 ottobre e nominando il luogo del convegno, dicendo soltantoche, per quanto riguardava la dichiarazione tedesca, i governi alleati nonsentono la necessità di fare osservazioni al riguardo»30. Contrariamente al

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punto di vista dei francesi e di alcuni funzionari del Foreign Office,Chamberlain comunque desiderava pubblicare sia il passo tedesco, sia larisposta degli alleati con esplicite riserve di merito; un ostentato silenzioavrebbe infatti impensierito l’opinione pubblica31.

Preziosi, il 29 settembre, illustrò la posizione definitiva del governoinglese: esso prendeva atto con piacere che la Germania accettava l’invitoalla conferenza senza riserve e che le questioni sollevate non erano essen-ziali, né avevano relazione alcuna con i negoziati sul patto di garanzia. Ilgoverno inglese apprezzava anche il fatto che, da parte tedesca, non si eranosollevate obiezioni, o poste condizioni all’ingresso nella Società delleNazioni; ma esso non si spiegava perché la Germania aveva sollevato la que-stione della responsabilità di guerra, mai toccata nel corso dei negoziati sulpatto. Tali negoziati, infatti, non potevano affatto modificare il trattato diVersailles. Quanto all’evacuazione di Colonia, menzionata dalla Germania,essa dipendeva dai progressi nel disarmo tedesco, realizzati i quali si sareb-be senz’altro proceduto all’evacuazione32.

Non appena il passo tedesco fu reso noto a Parigi, il Segretario Generaledel Quai d’Orsay, Philippe Berthelot, manifestò all’ambasciatore tedescovon Hoesch, il 26 settembre, tutta la sua sorpresa, sia per la sostanza dellequestioni sollevate, sia per il momento scelto. Berthelot disse che un talepasso, se pubblicato, avrebbe compromesso l’intero negoziato e la confe-renza sul patto renano. Impressionato da un simile linguaggio, Hoesch neriferì al suo governo33. Egli, quindi, comunicò al Quai d’Orsay che aBerlino avevano rinunciato alla pubblicazione del passo, prevista per mar-tedì 29 settembre34. Per il tramite dell’incaricato d’affari Roger, il governofrancese pregò intanto quello italiano di voler astenersi (come esso stessointendeva fare) dal pubblicare la nuova nota tedesca, limitandosi a dar noti-zia che la Germania aveva accettato l’invito alla conferenza. Mussolini con-sentì alla richiesta35. Briand dove’ poi illustrare all’ambasciatore tedesco aParigi il punto di vista del suo governo. Egli pose a Hoesch due vie d’usci-ta: 1) ritiro puro e semplice delle osservazioni tedesche; 2) presentazione diHoesch a Briand delle osservazioni, ma senza lasciarne traccia scritta, rispo-sta verbale di Briand, anche a nome degli alleati, con gli argomenti già

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esposti in passato, e infine diramazione di un comunicato stampa. Hoeschrispose che avrebbe consultato il suo governo36. ContemporaneamenteBriand tenne informato della cosa Mussolini, per il tramite di Roger.Questi rimarcò il grave impaccio in cui s’era venuto a trovare l’ambascia-tore tedesco a Parigi37.

La questione fu risolta positivamente il 29 settembre. La Germaniaaccettò «senza condizioni né riserve» l’invito alla conferenza sul patto disicurezza e concordò sul fatto che le questioni sollevate trattavano di argo-menti ad esso alieni; essa prendeva atto che la questione della responsabilitàdi guerra era regolata dal Trattato di Versailles, e che l’evacuazione di Co-lonia dipendeva dal sollecito adempimento delle clausole della pace relati-ve al disarmo. Veniva infine sottolineato che le osservazioni fatte dallaGermania non erano affatto condizioni o riserve poste ad intralcio dellaprossima conferenza38.

Era per la Germania una sconfitta diplomatica senza disonore, perchécamuffata da un chiarimento aggiuntivo al negoziato sulla sicurezza, cheessa non poteva rischiare di far saltare. La nuova nota sulla responsabilità diguerra, tuttavia, fu un segnale ben chiaro di quanto la Germania si sentisseormai alla pari con le grandi potenze, essendo ormai alla soglia della Societàdelle Nazioni.

Francesi e tedeschi poterono così pubblicare, di comune accordo, il 30settembre, contemporaneamente la nota verbale tedesca e la risposta fran-cese39. Quest’ultima era così concepita: «Il Governo della Repubblica fran-cese è stato lieto di ricevere la risposta con la quale il Governo tedesco gliha fatto conoscere la sua adesione alla riunione della Conferenza diLocarno. Esso prende atto che tale adesione non comporta riserva alcuna.La dichiarazione verbale rimessa al contempo dall’Ambasciatore di Ger-mania si riferisce a due questioni che non potrebbero in alcun modo averluogo nei negoziati di Locarno (designata intanto a sede della conferenza), poi-ché esse non hanno alcun rapporto con la discussione del Patto di sicurez-za né possono apportarvi alcuna modifica. Quanto all’evacuazione dellazona di Colonia e alla questione del disarmo della Germania alla quale essaè legata, il Governo francese ricorda che non dipende che dalla Germania

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stessa di sveltirne la soluzione con l’esecuzione dei suoi impegni, ed essonon può che riferirsi a tal riguardo alla nota alleata del 30 maggio 1925. IlGoverno francese prende atto che il Governo tedesco concorda su questopunto e cioè che le osservazioni verbali formulate nel promemoria tedescodevono essere considerate come non implicanti né condizioni, né riservepreventive alla Conferenza»40. Questa francese era una risposta meno duradella britannica, e ciò per precisa scelta di Londra. Il governo inglese avevainfatti deciso di usare verso la Germania un tono più energico poiché, intal modo, le ripercussioni sull’opinione pubblica tedesca sarebbero stateminori, e inoltre non ne avrebbero risentito i negoziati sul patto. La GranBretagna forse riteneva anche mal compensati i suoi sforzi d’introdurre laGermania nel consesso europeo, ed il suo prodigarsi nel far comprendere aifrancesi l’opportunità di rinunciare ad un patto di garanzia esclusivamentebilaterale; il tono energico della risposta era dunque l’unico modo perrisvegliare bruscamente i tedeschi dai sogni di revisione a tutto campo delsistema di Versailles41.

Per conoscere la posizione assunta dall’Italia rispetto al passo tedesco,dobbiamo leggere, oltre a quelli già citati, pochi ma significativi documen-ti. L’Archivio di Gabinetto conserva due bozze, non datate, della risposta delgoverno italiano, e il testo ufficiale della risposta, consegnato al Prittwitz dalCapo di Gabinetto del Ministero degli Esteri, Paulucci de’ Calboli Barone.La prima delle due bozze recita come segue: «Il Governo italiano ricevettecontemporaneamente a quelli Alleati dal Governo tedesco comunicazionedella nota e delle dichiarazioni della Germania relative alla sua partecipa-zione alla conferenza per il patto di mutua garanzia. Esso è stato tenuto alcorrente dello scambio di idee avvenuto tra le cancellerie Alleate che hacondotto alle risposte che vengono date alla Germania. Il Governo italianoda parte sua non può che confermare quanto già avanti aveva dichiarato[...42] Alleati intorno alle questioni sollevate dalle dichiarazioni tedesche; néil patto di sicurezza può modificare il T[rattato] d[i] V[ersailles]. Poiché ilPatto di garanzia si basa sul rispetto dei trattati, non è possibile prendere inconsiderazione le questioni sollevate dalle dichiarazioni tedesche». Laseconda bozza è così concepita: «Dichiarazione. Nell’informare il Ministero

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degli Esteri che il Governo tedesco accettava senza riserve di partecipare alconvegno in Svizzera per il Patto di mutua garanzia, l’Incaricato d’Affari diGermania fece conoscere alcune osservazioni verbali che il Reich comuni-cava contemporaneamente agli altri Governi alleati. In relazione a tali osser-vazioni, il Regio Governo rilevando che il Patto di mutua garanzia nonpuò modificare il Trattato di Versailles, richiama e conferma per le questio-ni accennate nelle dette osservazioni, i punti di vista che il governo italia-no ha avuto a suo tempo occasione di manifestare al riguardo, d’accordocon gli altri alleati»43.

La risposta ufficiale italiana fu presentata a Prittwitz, il 30 settembre, inquesti termini: «Nell’informare il Ministero degli Esteri che il Governotedesco accettava di partecipare al convegno in Svizzera per il patto dimutua garanzia, l’Incaricato d’Affari di Germania fece conoscere alcuneosservazioni verbali che il Reich comunicava contemporaneamente aglialtri Governi alleati. In relazione a tali osservazioni il Governo italiano fapresente che, poiché il Patto di mutua garanzia si basa sull’assoluto rispettodei Trattati, non è possibile prendere in considerazione le questioni solleva-te dalle osservazioni medesime»44. Il governo italiano aderiva così alla pro-cedura seguita dai governi alleati, ai quali la dichiarazione resa al Prittwitzfu comunicata45.

Fu dunque risolta una questione che per un momento aveva rischiatodi compromettere il buon esito di un lungo e laborioso negoziato, e diritardare l’agognata convocazione di una conferenza internazionale sulpatto di garanzia. Si sono illustrate, crediamo a sufficienza, le posizioni neiconfronti della Germania; si è visto il diverso atteggiamento della GranBretagna rispetto alla Francia. Si è anche constatato che l’Italia, in tale cir-costanza, aderì allo spirito dei trattati e condivise le vedute degli ex alleati,rigettando le nuove osservazioni tedesche.

Analizzando la risposta italiana, va fatta una precisazione. Il tono di talerisposta differì sensibilmente da quello usato dalla Francia, cui a prima vistarassomigliava. Si è visto che c’erano due bozze, dalle quali scaturì il testodella risposta italiana. Facendo un confronto fra questi documenti, ci sembrache il primo paragrafo della risposta riprenda il primo paragrafo della secon-

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da bozza; mentre il secondo paragrafo discende dall’analogo paragrafo dellaprima bozza. Dal testo ufficiale presentato a von Prittwitz vennero dunqueeliminati: a) il primo paragrafo della prima bozza, che era tutto sommato unexcursus di fatti; b) il secondo paragrafo della seconda bozza, ove si ribadivail punto di vista italiano, senza respingere apertamente il passo tedesco. Anostro avviso, dunque, la risposta italiana alle nuove osservazioni dellaGermania sulla sicurezza assunse la forma di un vero e proprio fin de non rece-voir, molto più simile alla risposta inglese che a quella francese.

Mussolini sceglieva, nelle dovute forme, la strada dell’inequivocabilechiarezza. Solo dopo che la risposta italiana fu consegnata alla Germania,egli seppe che la mite risposta francese era stata consigliata da Chamberlain.È difficile sapere con certezza come si sarebbe regolato Mussolini nell’ap-prendere tutto questo prima di rispondere a Prittwitz; resta il fatto che ilpasso tedesco non destò buona impressione a Roma46 e che, dopo questocolpo di scena riservato dai tedeschi all’undecima ora, Mussolini trovònuove ragioni per mantenere una certa unità di punti di vista con gli exalleati, affinché l’Italia fosse ormai parte attiva dell’imminente conferenza diLocarno.

3. L’ITALIA ALLA CONFERENZA DI LOCARNO

La conferenza di Locarno si aprì con vari aspetti del nuovo patto anco-ra da chiarire. La prima sessione si tenne nella tarda mattinata del 5 ottobre,dopo i saluti e le prolusioni di rito47. Si fece un primo esame del testo delpatto di sicurezza, approvato dai giuristi a Londra. In tale occasione, Scialojaappoggiò una proposta di emendamento formale, avanzata dal ministrobelga Vandervelde sull’articolo primo, affinché non apparisse che la sicurez-za del suo paese dipendeva esclusivamente dalla Francia. Fu poi Stresemanna proporre un emendamento «di pura forma» all’articolo 4, onde conside-rare atto ostile, non solo l’ammassamento in Renania di truppe tedesche,ma anche quello di truppe francesi e belghe. Briand, pur in ossequio alprincipio di reciprocità degli obblighi, obiettò che occorreva anche consi-

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derare il rispetto dei trattati di pace, che non dovevano esser violati col pre-testo dell’eguaglianza. Egli, inoltre, chiese se Stresemann non intendeva percaso sostituire l’obbligo di smilitarizzazione della Renania con quello di“neutralizzazione”. Il verbale italiano riporta che sul punto Scialoja appog-giò lo Stresemann, poiché ai giuristi non si stava affatto chiedendo di modi-ficare l’articolo in questione48. Fu deciso perciò di sottoporre a questi l’e-mendamento di Stresemann. Sempre alla prima seduta della conferenza, ilministro tedesco, parlando dell’articolo 8 del progetto di patto, osservò cheera sufficiente la formale richiesta di uno dei firmatari (e non dei due pre-visti) per chiedere al Consiglio della Società delle Nazioni di esaminare lapossibilità di “assorbire” il patto di sicurezza nel sistema ginevrino; diversa-mente, sarebbe stato più difficile per la Germania, che per altri, trovare unsecondo firmatario disposto a promuovere l’istanza di cui sopra. Anche inquesto caso, Scialoja appoggiò la tesi di Stresemann e la questione fudemandata ai giuristi.

Nell’incontro pomeridiano degli esperti giuridici, ebbe luogo una lungadiscussione sull’articolo 4, nella formula proposta dai tedeschi.Ma Fromageotpremé sul collega Gaus, affinché questi accettasse il testo esistente49.

Nonostante queste discussioni, Scialoja riscontrò un diffuso ottimismofra i rappresentanti delle potenze convenute a Locarno, nonché il desideriodi superare ogni difficoltà50.

Nella seconda riunione, nel pomeriggio del 6 ottobre, l’attenzione siconcentrò sul dibattito fra Stresemann e Briand, circa la possibilità di esten-dere la garanzia alle frontiere orientali della Germania, e sul significato del-l’articolo 16 del Covenant. Il ministro tedesco disse che la Germania si eradimostrata pronta a concludere con tutti dei trattati di arbitrato, ma chequest’idea era stata interpretata dalla Francia come obbligo di dare una spe-ciale garanzia ai vicini orientali; su questo occorrevano dei chiarimenti.Briand rispose di non comprendere le perplessità di Stresemann: se era veroche la Germania rinunciava al ricorso alla forza, come mezzo di soluzionedelle controversie internazionali, perché poi si ritraeva di fronte alla pro-spettiva di una garanzia orientale? In secondo luogo, Briand fece presenteche ognuno aveva la sua opinione pubblica, e che il Governo francese dove-

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va calmare le ansie della propria, che aveva faticato ad accettare la trasfor-mazione della garanzia renana da unilaterale in multilaterale51.

Chiarite tali questioni, occorse, in margine ai lavori della Conferenza,un piccolo incidente che coinvolse l’Italia: erano state fatte, dal Popolod’Italia, premature rivelazioni circa l’andamento dei lavori52.

Nel corso della terza seduta, tenutasi nel pomeriggio del 7 ottobre, igiuristi sottoposero alla Conferenza il testo del patto di sicurezza, emenda-to in base alle osservazioni sino allora presentate. Si considerò anche chel’Italia aveva chiesto formalmente di non essere annoverata tra le potenzefirmatarie del patto di sicurezza, volendo riservarsi ogni decisione in meri-to53. In tal senso aveva probabilmente influito la vessata questione dell’arti-colo 4, paragrafo terzo. Quando si giunse all’esame di tale articolo, Scialojapropose che il terzo paragrafo prevedesse il diritto all’assistenza dei garanti,oltre che nel caso di aggressione non provocata, anche in caso di violazio-ne «di una delle frontiere» e non semplicemente della sola frontiera occi-dentale tedesca. Fu, questo, uno dei tentativi volti a spostare alcune pedinein senso favorevole all’Italia. Giuridicamente e politicamente, il passo diScialoja svelava il desiderio di far approvare a Locarno il principio dell’u-guaglianza delle frontiere europee, così come stabilite dai trattati di pace, diribadire in via ufficiale (rafforzandolo) il principio del divieto di Anschluss.Che Mussolini abbia dato a Scialoja precise istruzioni in merito non è statopossibile accertarlo54; ma certamente, il delegato italiano agì sulla scortadelle convinzioni maturate in occasione della conferenza dei giuristi diLondra, e che Mussolini ben conosceva.Tali convinzioni, a nostro avviso,non potevano che condurre ad una revisione critica dell’operato di Pilottiin quella sede.Ad ogni modo, il tentativo italiano di rivedere l’articolo 4 delpatto di sicurezza venne frustrato dal consigliere giuridico belga, Rolin, ilquale disse di considerare il passo di Scialoja solo una specificazione del-l’obbligo previsto dall’articolo 2 del progetto di patto, obbligo limitato allafrontiera occidentale tedesca55.

Quanto la questione fosse importante per l’Italia, si evince anche daidocumenti britannici. Nel corso di una riunione della delegazione britan-nica a Locarno Sir Charles Hurst osservò che «gli italiani stavano causando

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qualche difficoltà sul riferimento in certi articoli del patto all’articolo 180,paragrafi 1 e 3». Peraltro egli rammentava che, nelle prime stesure del pro-getto di patto, detto riferimento non c’era, venendo richiamati solo gli arti-coli 42 e 43 del Trattato di Versailles. Si era fatta menzione dell’articolo 180per risolvere il dubbio se il successivo articolo 213 si applicasse solo a clau-sole militari, ovvero anche ad altre clausole della pace. «Sir Cecil Hurst rite-neva che non fosse vitale mantenere il riferimento all’articolo 180, paragrafi1 e 3, poiché in sostanza questi paragrafi erano ricompresi nell’articolo 42del trattato di Versailles. Nondimeno sarebbe difficile indurre il governofrancese ad accettare la cancellazione del riferimento. La preoccupazioneitaliana nasceva dal fatto che solo i paragrafi 1 e 3 dell’articolo 180 eranomenzionati». In effetti, dei non citati paragrafi 2 e 4, il primo era ormai nonpiù vitale, ma il secondo prevedeva l’obbligo per la Germania di mantene-re lo status quo delle fortificazioni alle sue frontiere orientali e meridionali.«Verso questo paragrafo – concludeva Hurst – gli italiani avevano un inte-resse, ed essi temevano che il menzionare solo i paragrafi 1 e 3 avrebbe ineffetti sminuito il valore del quarto paragrafo»56. Chamberlain si mostròdisposto a prendere in considerazione le obiezioni italiane: ma a condizio-ne che Briand facesse lo stesso e che, last but not least, l’Italia finalmentegarantisse la sua partecipazione al patto di sicurezza.

Sempre il 7 ottobre si svolse una discussione sull’articolo 8 del progetto(casi di estinzione del patto di sicurezza); qui la delegazione italiana propo-se di omettere dal testo in questione le parole «sulla richiesta di almeno dueparti contraenti»57. Alle obiezioni di Chamberlain, secondo il quale sisarebbe fatto così dipendere il destino del patto renano dalle decisioni deimembri del Consiglio che non erano anche firmatari del patto, cercò diporre rimedio una mozione belga, di votare a maggioranza di due terzi inseno al Consiglio, con un lasso di dodici mesi tra la decisione del Consiglioe l’effettiva cessazione del patto di sicurezza. Ma Scialoja, a sua volta, rilevòl’inconveniente che il Consiglio avrebbe dovuto decidere su una situazio-ne che, nel giro di un anno, avrebbe potuto mutare. Si rischiava cioè di deli-berare prematuramente la fine del patto, o altrimenti di mantenere in vitauno strumento che magari un anno dopo non sarebbe stato più necessario.

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Fu perciò convenuto di deferire all’esame dei giuristi una proposta diBriand, di un preavviso, di almeno tre mesi, dell’intenzione di uno dei con-traenti di sottoporre al Consiglio della Società delle Nazioni la questionedella continuità o della cessazione del patto di sicurezza58.

Nel corso della seduta pomeridiana dell’ 8 ottobre, la Conferenza af-frontò il delicato tema dell’entrata della Germania nella Società delleNazioni, e specialmente il problema dell’applicabilità nei confronti di essadegli obblighi previsti dall’articolo 16 del Covenant. Stresemann osservò cheil disarmo cui la Germania era costretta dal trattato di pace confliggeva conl’obbligo di garantire un intervento diretto o indiretto in un conflitto pro-vocato da terzi, di cui all’articolo 16. Per il governo tedesco, tale articolonon poteva prescindere dalla situazione concreta di ciascuno stato ed erasuscettibile di applicazione vaga ed imprecisa; occorreva quindi consentirealla Germania di riservarsi il diritto di stabilire i limiti della partecipazionea misure di sicurezza collettiva decise dalla Lega. Briand obiettò che se unostato membro della Società delle Nazioni, con un’armata di soli centomilauomini (com’era la Germania), si fosse rifiutato di concorrere in azioni didifesa collettiva, sarebbe stato necessario alla Lega, per garantire il funzio-namento del Covenant, far ricorso ai suoi membri più armati; di conse-guenza, qualsiasi proposta di disarmo generale, avanzata in un momentosuccessivo, sarebbe stata votata al fallimento. A tali osservazioni,Chamberlain aggiunse che le pretese della Germania non avrebbero maipotuto essere accettate dall’opinione pubblica britannica; pur comprenden-do quali fossero le preoccupazioni tedesche, non era possibile opporre con-dizioni particolari al buon funzionamento della sicurezza collettiva.Scialoja, invece, rilevò che, una volta entrata nella Società delle Nazioni, laGermania avrebbe potuto far valere le sue ragioni in quella sede. Egli feceanche presente che l’articolo 16 del Covenant non prevedeva che l’ipotesidi attacco diretto; per cui, se era vero che la Germania non voleva render-si colpevole di aggressione, non si capiva perché tale articolo le creasse tantiproblemi59.

Il 9 ottobre la Conferenza di Locarno non tenne sedute, ma ebbe luogouna riunione dei giuristi, mentre i capi delle rispettive delegazioni incon-

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Capitolo V – L’Italia alla Conferenza di Locarno

travano, dopo reciproci scambi di idee, i rappresentanti di Polonia eCecoslovacchia60. Gli incontri privati furono probabilmente altrettantodecisivi per la soluzione dei numerosi problemi aperti (non da ultimo quel-lo delle garanzie sulle frontiere orientali tedesche) e diedero quindi un indi-rizzo ai lavori ufficiali della conferenza.

Il 10 ottobre la Conferenza riprese le sue sedute con l’approvazione, inprima lettura, del progetto di patto di sicurezza (tranne che per gli articoli6, 7 ed 11). Fu dapprima adottato l’articolo 861. Si passò quindi all’esamedell’articolo 3, a proposito del quale Vandervelde commentò un emenda-mento stilato il giorno prima in forma di memorandum62. Nel corso dellediscussione, Scialoja osservò che sarebbe stato opportuno, se non necessa-rio, chiarire nel testo dei patti di arbitrato che le questioni contemplatedagli articoli 16 del Covenant e 36 dello Statuto della Corte Permanente diGiustizia Internazionale, sarebbero tutte rientrate nel quadro dell’istitutoarbitrale. La questione fu rinviata, su proposta di Chamberlain, al momen-to in cui i testi dei trattati di arbitrato sarebbero stati esaminati dallaConferenza. Fu data quindi lettura del testo del patto di sicurezza e quiScialoja riservò, a nome dell’Italia, gli articoli 1 e 2, secondo comma, essen-do ancora sospesa la questione del richiamo, che questi facevano, all’artico-lo 180, primo e terzo paragrafo, di Versailles. Implicita era dunque anche lariserva italiana ai successivi articoli 4 e 5 del patto. Il delegato italiano chie-se anche che l’Italia figurasse nel preambolo fra le alte parti contraenti63.Come lo stesso Scialoja spiegò a Mussolini, lo stesso giorno, «ho creduto didover fare inserire (...) il nome dell’Italia nel preambolo perché, al punto incui sono giunti i lavori, e qualunque possa essere il loro esito definitivo, miè parso tale inserzione, la quale non implica l’accettazione del patto, servisse arafforzare la posizione dell’Italia tanto di fronte agli alleati che di fronte aitedeschi, sia nel caso di conclusione, come di non riuscita dei negoziati»64.La dichiarazione di Scialoja fu ricevuta con grande soddisfazione da tutti idelegati65.

Il passo di Scialoja, comunque lo si veda, induceva gli alleati a ritenereimminente l’adesione dell’Italia al patto di sicurezza.Alla vigilia della con-ferenza, il 4 ottobre, Scialoja aveva dichiarato a Chamberlain che il suo

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ruolo a Locarno sarebbe stato ben più che quello di un osservatore. Scialojaanzi «era stato incapace di persuadere il Signor Mussolini a venire egli stes-so all’apertura della conferenza, ma il Presidente del Consiglio non esclu-deva l’idea di poter venire in un secondo tempo. In ogni caso, il SignorScialoja aveva ora autorità per aderire al Patto Occidentale se fosse stato conclusonei termini che erano stati prefigurati»66. V’era dunque motivo di aspettarsi unaformale adesione dell’Italia al patto renano. A giudicare dai fatti, lo stessoScialoja poteva aver alimentato simili attese, Egli aveva fatto intendere aChamberlain di essere a Locarno munito dei pieni poteri per aderire alpatto, se concluso nei termini previsti (quei termini cioè che all’Italia dove-vano esser già abbastanza chiari dalla riunione dei giuristi di Londra).Maggior prova di cosa significasse per gli inglesi la richiesta italiana di figu-rare tra i contraenti originari, indicati nel preambolo del patto, proviene daun resoconto degli eventi, fatto da Chamberlain a Tyrrell. «La seduta del 10ottobre – scriveva il ministro – è stata importante per la definitiva richiestadi Scialoja che il preambolo venisse emendato per includere l’Italia nelpatto, il quale così prende forma di un patto a cinque. La delegazione ita-liana desidera particolarmente che ciò non appaia come decisione improv-visa e drammatica». E così terminava: «Ella ricorderà che Scialoja fin dalprimo giorno mi diede, quale presidente della conferenza chiara indicazioneche era questo lo sviluppo più probabile»67.

La richiesta dell’Italia di figurare tra i firmatari del patto di sicurezza sipercepì dunque come una svolta. Ma tale svolta va collegata al desideriodell’Italia che il patto garantisse “tutto” l’articolo 180 di Versailles, e nonsolo una sua parte. Scialoja fu l’artefice del tentativo fatto in tal senso aLocarno, cercando di correggere l’operato di Pilotti. Per ottenere i risulta-ti sperati, a Scialoja va il merito di aver perseguito un’equilibrata intesa contutti i ministri riuniti a Locarno: non rinunciando alla vecchia solidarietàalleata, ove necessario per far recedere la Germania da alcune sue richieste;ma tenendo presente che alcune posizioni assunte dalla Germania esigeva-no considerazione. I verbali della conferenza di Locarno concordanosostanzialmente su questo punto; per quanto la posizione di Scialoja non siastata sempre di primo piano.

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Certamente la richiesta di Scialoja del 10 ottobre, di inserire l’Italia nelpreambolo del patto renano, fu un modo per rafforzare la posizione del suopaese, per cercar di risolvere dall’interno i nodi cruciali della garanzia. Sottoquesto profilo, il delegato italiano aveva ragione di sostenere che la richie-sta non implicava adesione al patto, perché quel patto egli mirava a modi-ficarlo a Locarno, in senso favorevole per l’Italia e con l’assenso di Londrae Parigi. Ma tale assenso poteva ottenersi solo prefigurando ad inglesi efrancesi la possibilità che l’Italia aderisse al patto. Questa linea di condottapuò apparire alquanto contorta ed equivocata da un linguaggio rassicuran-te, come quello usato da Scialoja con Chamberlain. Al contempo, essapotrebbe sembrare una forzatura nei confronti di Mussolini, di cui sarebbestato carpito un consenso anticipato all’entrata dell’Italia nel patto. Ma que-st’impressione non ci pare avvalorata da elementi concreti, visto cheMussolini non smentì la condotta del delegato italiano, anche se preferìattendere i risultati della conferenza di Locarno, per decidere i passi da fare.La situazione attuale non consentiva, ad ogni modo, a Mussolini di far mac-china indietro.

Vi è poi un altro fattore da considerare: lo stato non proprio ottimaledei rapporti italotedeschi. Nel corso di una conversazione privata conChamberlain, avuta a Locarno l’8 ottobre, Stresemann aveva detto chel’Italia «sembrava (...) un sottomarino navigante proprio al di sotto del livel-lo delle acque, indeciso contro quale nave scagliare il suo siluro»68. È ovvioche i siluri che l’Italia poteva avere in serbo erano tutti destinati a contra-stare l’eventualità di un Anschluss, qualora la Germania vi avesse mostratouna qualche propensione.

Ma l’indipendenza austriaca, o l’interesse italiano a tutelarla, non eranoal centro della Conferenza di Locarno; per cui, puntando alla modifica del-l’articolo 4 del patto, Scialoja cercò per via indiretta di saldare quest’artico-lo al principio dell’integrità degli articoli 80 di Versailles ed 88 di Saint-Germain69. Egli seguì perciò due vie: cercar di allargare il concetto di vio-lazione delle frontiere, di cui all’articolo quarto del progetto di patto disicurezza; chiedere la cancellazione del richiamo ai paragrafi 1 e 3 dell’ar-ticolo 180 di Versailles. Il primo tentativo venne fatto fallire, come già visto,

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dal giurista belga Rolin, e oggetto della garanzia rimase soltanto il qua-drante renano (ma è indubbio che Fromageot, sicuramente, ed Hurst, pro-babilmente, si sarebbero condotti allo stesso modo). Il secondo tentativoincontrò invece un certo favore, specialmente presso Hurst, per il quale ilriferimento all’articolo 180 di Versailles era già implicito nel richiamoall’articolo 42 del patto e se ne poteva quindi omettere la citazione70.

Fu così che nella settima seduta pomeridiana del 13 ottobre71 (si eranoavuti nel frattempo degli incontri informali, dapprima tra i giuristi ed i capidelegazione francese, inglese e tedesco sul Lago Maggiore72, e quindi traStresemann, Briand e Chamberlain, nella stanza d’albergo di quest’ultimo)venne finalmente accolta la proposta italiana, di cancellare dal testo delpatto il richiamo all’articolo 180, paragrafi 1 e 3, di Versailles73. Si andò così,dopo discussioni che non generarono grandi problemi, verso l’approvazio-ne definitiva del patto renano. Si coronava dunque il sogno di molti politi-ci, diplomatici e giuristi del tempo, di una riconciliazione solenne traFrancia e Germania, onorevolmente suffragata dalla Società delle Nazioni.Si realizzava la sicurezza, garantita da due potenze europee, la GranBretagna e l’Italia; ragione di più per vedere comparire finalmente sullascena un altro grande protagonista della Conferenza di Locarno.

4. MUSSOLINI A LOCARNO

L’ambasciatore italiano a Londra, Della Torretta, aveva più volte consi-gliato a Mussolini di partire per Locarno, e di non creare una situazionedelicata con il Foreign Office e naturalmente col Governo di Sua Maestà.Egli aveva intanto cercato di spiegare a Londra i problemi che impedivanoal capo del governo italiano di lasciare per il momento il paese; dubitava,tuttavia, che anche la spiegazione più esauriente potesse scongiurare com-plicazioni diplomatiche con gli inglesi74.

Ma la sera del 14 ottobre Chamberlain ricevette dall’Ambasciata britan-nica in Roma una notizia importantissima. Graham comunicava quantosegue: «Mussolini mi ha informato questa sera che ha stabilito di andare a

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Locarno. Egli con caratteristica impulsività partirà stasera. Ha detto che vor-rebbe Ella comprendesse che vi si recava quasi solo per vederla e perché sape-va che Ella desiderava che venisse.Egli vorrebbe rimanervi il più breve tempopossibile ma sarebbe pronto a restare per due o tre giorni se necessario. Gliho chiesto se l’aveva informata del suo arrivo, ma ha detto che non l’avevacomunicato nemmeno a Scialoja. La stampa non sa nulla di ciò ed egli spe-rava che non avrebbe scoperto la sua partenza (prima?) di domani mattina»75.

Di questo colloquio di Mussolini con l’ambasciatore britannico a Romasi ha traccia nelle carte italiane, in un elenco delle udienze accordate per il14 ottobre, dove risulta che Graham vide Mussolini alle ore 18, e che sitrattò probabilmente dell’ultima udienza da questi concessa, prima di par-tire per Locarno76. Si ha poi conferma del fatto che nessuna notizia fu dira-mata in proposito alle agenzie di stampa77. Il giorno dopo Besnard, recato-si a Palazzo Chigi «per qualche affare secondario», constatò nell’entourage diMussolini una grande soddisfazione per la felice conclusione della confe-renza e per la partecipazione dell’Italia al patto di garanzia78.

Come si è visto, Mussolini aveva detto a Graham che sarebbe andato aLocarno quasi esclusivamente per incontrare Chamberlain, su espresso desi-derio di questi. Ciò conferisce importanza agli avvertimenti di DellaTorretta. La necessità di maggiore armonia nei rapporti italobritannici,dopo un periodo di sospetti e di malintesi79, può considerarsi argomentonon secondario a sostegno della decisione di recarsi nella cittadina svizze-ra. Certamente, Mussolini aveva sperato di ottenere di più dalla conferen-za. Ma qui Scialoja aveva fatto del suo meglio, ottenendo per l’Italia impor-tanti modifiche al patto. Subentrava poi un fattore psicologico: perMussolini, malgrado tutto, essere a Locarno insieme a Chamberlain, comegarante del patto di sicurezza, costituiva un successo di prestigio, presentan-dosi l’Italia al di sopra delle parti ed al fianco di una grande potenza comela Gran Bretagna.

Il capo del governo italiano arrivò dunque a Locarno nel pomeriggiodel 15 ottobre (s’era frattanto tenuta in mattinata l’ottava seduta dellaConferenza per l’approvazione del testo finale del patto renano e dei trat-tati arbitrali francotedesco e belgatedesco), prendendo alloggio a Villa

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Farinelli. Egli ebbe subito un primo colloquio di un quarto d’ora conScialoja; quindi riceve’ il presidente e il vicepresidente del Consiglio diStato elvetico, Cattori e Rossi.

Sempre nel pomeriggio del 15 ottobre, Mussolini incontrò il collegabritannico Chamberlain80. Di questo colloquio oggi abbiamo sia il reso-conto dello stesso Chamberlain, pubblicato nei documenti inglesi, sia ilresoconto autografo di Mussolini81. Il colloquio fu cordialissimo. Da quan-to scrive il capo del governo italiano, Chamberlain gli illustrò il fine ultimodel patto di garanzia: «Rendere più difficile lo scoppio della guerra, poichéi due contraenti ci penseranno assai, prima di muoversi, sapendo che sul-l’aggressore potranno cadere le sanzioni dei due garanti»; l’adesione italianaera dunque «adesione di grande importanza, più della pace sul Reno, il chesignificava pace [per] tutta [l’]Europa». «A questo punto – annotò Mussolini– gli ho fatto rilevare che l’adesione dell’Italia era tanto più importante peril fatto che non si era avanzata la contropartita della garanzia sul Brennero»:sia per non complicare le cose, sia perché, in fondo, l’Italia poteva difende-re il Brennero da sé; senza contare che sollevare la questione significavaimplicitamente riconoscere la possibilità dell’Anschluss82. Chamberlainsmentì poi le affermazioni del ministro degli esteri sovietico, Cicerin, chefosse intento della Gran Bretagna procedere all’accerchiamento politicodella Russia, mentre era, al contrario, auspicabile una distensione russo-polacca.A questo punto della discussione, il ministro britannico menzionòla lettera consegnata a Scialoja, il 10 giugno, per un’azione comune neiBalcani. «Gli ho detto – è ancora Mussolini che parla – che non avevo nullain contrario ad esaminare tale possibilità, ma lo stesso Ch[amberlain] ha poisoggiunto che la sua era una semplice suggestione, non una proposta for-male. Non ho insistito per chiarire di più». Dal verbale inglese risulta chela risposta di Mussolini fu «alquanto non impegnativa», dovendosi aver con-siderazione per la situazione dei vari paesi dell’area83. L’atmosfera generaledell’incontro fu molto distesa e s’accentuò il senso di reciproca stima fra lostatista italiano e quello britannico84.

«Meno interessante» fu il colloquio che Mussolini ebbe, subito dopo, colcollega francese Briand (di cui allo stesso resoconto autografo)85.Vanno in

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proposito registrate alcune significative osservazioni annotate dal capo delgoverno italiano: «Briand, salvo qualche accenno estremamente benevoloper le qualità giuridiche di Scialoja, ha glissé 86 sulla parte avuta dall’Italia, ilche significa che non gli è completamente piaciuta. L’Italia, che sullo stes-so piede dell’Inghilterra, garantisce la pace sul Reno e siede arbitra deidestini dell’Occidente e dei destini delle due nazioni rivali, non deve pia-cere molto ai francesi. Quindi nessuna speciale parola di compiacimentoper il mio intervento, né per l’atteggiamento preso dall’Italia. Contrastonettissimo collo stato d’animo di Chamberlain».A Briand Mussolini ribadìl’opposizione dell’Italia all’Anschluss, trovandovi concorde il collega france-se. Per il resto, non furono toccati tra i due argomenti specifici87.Va peròsegnalato che, a margine del suo resoconto autografo, Mussolini annotò:«Niente Colonie o mandati! Niente evacuazione di Colonia!».Tali osserva-zioni sono da collegare a due elementi: le ricorrenti voci secondo cui aLocarno i tedeschi avrebbero chiesto, in cambio dell’ingresso dellaGermania nella Società delle Nazioni, la restituzione delle loro colonie e larevisione dei mandati88; l’avversione francese all’evacuazione di Colonia,quale prevedibile effetto della conclusione del patto renano89.

Congedatosi da Briand, Mussolini riceve’ Benes , con cui parlò dei trat-tati di arbitrato orientali, dell’Anschluss (che il ministro cecoslovacco consi-derava «una specie di ricatto periodico degli austriaci»), dello stato dei rap-porti bilaterali ed infine della prospettiva di una commemorazione di SilvioPellico allo Spielberg. Molto breve fu anche il colloquio con Skrzynski, dicui Mussolini notò il sostanziale pessimismo nei confronti degli accordi diLocarno90.

Il giorno dopo, 16 ottobre, alle ore dieci, il capo del governo italiano sirecò all’Hotel Esplanade, sede della delegazione tedesca, per un colloquiocon Luther e Stresemann (presente anche von Schubert). Purtoppo non èdato sapere cosa fu detto in quell’occasione, in quanto non sembra esservida parte italiana un resoconto scritto; la notizia è infatti desunta da uncomunicato dell’Agenzia Stefani di quello stesso giorno91. Anche il recen-tissimo volume dei documenti diplomatici tedeschi non dà maggiorlume92.

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L’interrogativo che ci si pone è se questa visita di Mussolini abbia fattoseguito ad una visita tedesca a Villa Farinelli. Il dispaccio della Stefani dainfatti notizia anche di visite restituite da Mussolini ai colleghi inglese, fran-cese, ceco e polacco93. Ma nel resoconto autografo del 15 ottobre, il capodel governo italiano non menziona affatto un incontro con la delegazionetedesca; né di ciò si ha notizia da altre fonti. Può darsi che la visita del 16ottobre sia stata dunque un’iniziativa italiana, dettata da ragioni ad untempo politiche e protocollari: politiche, per dare alla Germania un gene-rico segno di disponibilità e di distensione, nonostante l’opposizione all’Anschluss; protocollari, perché, a Locarno, Italia e Germania erano entram-be rappresentate a livello sia di ministri degli esteri, sia di capi di governo,sicché non spettava a Luther, Cancelliere del Reich, render per primo visitaal collega Mussolini, ultimo arrivato a Locarno.Al di là di queste conside-razioni marginali non si può, per il momento, andare, né accertare cosa ita-liani e tedeschi si dissero. Dato però il latente clima di reciproca diffidenza,e vista la brevità della visita, si trattò probabilmente di un incontro di cir-costanza, privo di contenuti politici.

5. LA PARAFATURA DEI PATTI DI LOCARNO

Finalmente, nel pomeriggio di quel 16 ottobre 1925, si procedette allaparafatura dei patti di Locarno (cioè del patto di sicurezza, dei trattati diarbitrato tra Germania e Francia e tra Germania e Belgio, dei trattati diarbitrato tra Germania e Polonia e tra Germania e Cecoslovacchia, di unprotocollo conclusivo e di una nota degli alleati alla Germania sull’inter-pretazione dell’articolo 16 del Patto della Società delle Nazioni). Un pro-blema, sollevato dalla Germania, il giorno prima, circa l’incompatibilità trala sua futura posizione di membro del Consiglio della Società delle Nazionie l’articolo 213 di Versailles, (riguardante il controllo del territorio tede-sco)94 non venne a pregiudicare il conseguimento del risultato da tuttivoluto. I trattati furono perciò siglati e la firma definitiva venne concorda-ta per il 1º dicembre a Londra. Si tennero quindi i discorsi di rito e furono

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reciprocamente scambiate, dalle delegazioni presenti, le congratulazioni peril successo della Conferenza. Il sindaco di Locarno, Rusca, venne così intro-dotto per tenere il discorso conclusivo.

Mussolini, da parte sua, dichiarò quanto segue: «Sono felice di associar-mi a nome dell’Italia alle parole che sono state qui pronunciate. E mi com-piaccio (che) il risultato felice della Conferenza si debba anche al metodoimpiegato: metodo confidenziale che ha permesso di condurre a termine ilavori in una atmosfera di cordialità. Credo se le formule e le clausole delTrattato che abbiamo parafato diventeranno realtà vivente, come lo debbo-no, comincerà un’epoca nuova nei rapporti tra i popoli»95.

Davvero sembrava schiudersi un’epoca nuova per le relazioni internazio-nali, improntata alla sicurezza, ma anche alla collaborazione, tra i nemici diun tempo. In verità, rimanevano alcuni problemi, insoluti o, meglio, nonchiariti a sufficienza nel corso degli scambi diplomatici, durante il lungonegoziato e poi alla conferenza di Locarno. In attesa che il tempo si incari-casse di evidenziarne la portata, poteva fin d’ora dirsi che i patti di Locarnolasciavano alla nuova Germania ampi spazi di manovra, che la sua vecchiacondizione di stato vinto non le avrebbe mai consentito di ottenere, e chetutto ciò non sarebbe stato privo di effetto sulla politica estera italiana.

6. I PATTI DI ASSISTENZA TRA LA FRANCIA, LA CECOSLOVACCHIA E

LA POLONIA

Insieme al patto di sicurezza ed agli strumenti collegati, vennero con-clusi a Locarno anche due patti di assistenza, rispettivamente tra Francia ePolonia e tra Francia e Cecoslovacchia96.

La Francia si era posta il problema di come garantire le frontiere orien-tali della Germania, in previsione dei negoziati sul patto di sicurezza occi-dentale. Ma i problemi propettatisi erano di tre ordini: a) la Polonia crede-va ciecamente alla “santità” delle sue frontiere, quali risultanti dai trattati,mentre per la Francia si trattava di una “santità relativa”, ossia bilanciata dalCovenant e dal suo articolo 19; b) la Polonia, ancora, rifiutava che le sue

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frontiere formassero oggetto di un arbitrato, ed in genere di un pronuncia-mento vincolante di autorità super partes (ciò significava per essa escluderedel tutto la discussione della questione; per la Germania, invece, significavanon precludersi il diritto di ricorso ad un procedimento conciliativo pres-so la Società delle Nazioni); c) dal canto suo, la Francia temeva di essere inu-tilmente coinvolta in un casus belli con la Gran Bretagna qualora, per soc-correre la Polonia attaccata dalla Germania, fosse stata costretta a violare laneutralità del territorio renano97.

Skrzynski, temendo un ripudio dell’alleanza francopolacca, incontròBriand a Ginevra, l’8 settembre, in occasione dei lavori della Società delleNazioni e consegnò al collega francese un memorandum sulla posizionepolacca in tema di sicurezza. Massigli, delegato francese alla Società delleNazioni, fu incaricato di darvi risposta, con rinnovate assicurazioni circa leintenzioni del suo paese. «Dubito che ciò basti ai polacchi» scrisse a Larocheil 9 settembre. «La verità è che vi è da loro, ed anche in minor grado pres-so i cechi, una reale inquietudine»; per questo occorreva accelerare il «nego-ziato orientale», approfittando della momentanea presenza di Fromageot aGinevra, per poi parlare con i cechi e i polacchi dei loro problemi98.

Il 22 settembre, Berthelot comunicò all’ambasciata a Berlino che il pattorenano e il patto d’arbitrato francotedesco erano pronti. «Il trattato d’arbi-trato tedescoceco (e di conseguenza tedescopolacco) è stato preparato danoi, su richiesta del signor Benes, ed interamente da lui approvato. Il SignorFromageot ha comunicato confidenzialmente a Sir Cecil Hurst questi ulti-mi testi, già da lui apprezzati»99. Di diverso tenore le notizie provenienti daVarsavia: il ministro Skrzynski, infatti, non vedeva per quale ragione doves-se aderire alla decisione di Benes di approvare un progetto di patto d’arbi-trato su cui la Polonia non era stata affatto consultata100.

Sempre il 22 settembre, Stresemann comunicò ufficialmente che laGermania accettava che la Società delle Nazioni garantisse i trattati con laPolonia e la Cecoslovacchia, e designasse delle potenze quali suoi agenti:“potenze” al plurale, essendo inammissibile che una sola potenza, cioè laFrancia, si ergesse a garante di quei trattati 101. Cadeva così l’ipotesi carez-zata da Briand il 9 settembre (cap. IV. §4) di conciliare il Covenant con le

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alleanze orientali francesi. Restava allora, come via di uscita, l’idea di Hurstdi uno “strumento separato”, che non rendeva tuttavia il percorso menoaccidentato.

Il problema delle garanzie francesi ad est fu ripreso ed affrontato alla con-ferenza di Locarno. Il 4 ottobre, Schubert ribadì il punto di vista tedesco sul-l’argomento, ma suggerì che fossero i giuristi ad aggirare in qualche modol’ostacolo dell’inconciliabilità delle posizioni politiche102. Il 7 successivo, ladelegazione tedesca si oppose formalmente all’ipotesi della garanzia france-se sui trattati di arbitrato orientali103. La voce che Briand coltivasse un pro-getto alternativo non trovò conferma104; né maggiori chiarimenti poté for-nire un incontro tra il cancelliere tedesco Luther e Briand105. Da una seriedi conversazioni private emersero comunque tre proposte per sciogliere ilnodo cruciale.

La prima proposta la fece Chamberlain: al patto di arbitrato, traGermania da un lato e Polonia e Cecoslovacchia dall’altro, la Francia nonavrebbe assicurato alcuna garanzia, ma il governo polacco avrebbe chiestoufficialmente a Parigi in quale modo il patto di sicurezza avrebbe influitosull’alleanza francopolacca. La Francia avrebbe risposto assicurando il fun-zionamento del casus foederis, qualora la Polonia fosse stata oggetto di attac-co non provocato della Germania.

La seconda proposta prevedeva un impegno scritto francese, di mettere adiposizione del Consiglio della Lega, in caso di controversia tedesco-polac-ca di cui questo fosse investito, tutte le forze disponibili. Solo in mancanzadi un rapporto sulla controversia, ogni membro della Società delle Nazioni(diverso dalle parti in causa) si sarebbe riservato il diritto di intraprenderequelle azioni considerate necessarie per il mantenimento della pace.

La terza proposta, elaborata da Bennett, prevedeva un trattato tedesco-polacco in aggiunta a quello di arbitrato, composto di due articoli, l’unotratto dall’articolo secondo del trattato di arbitrato, l’altro dall’articolo terzodel patto renano. In tal modo, sarebbe stata preclusa ai contendenti la pos-sibilità di ricorrere alla forza, in caso di mancata decisione del Consigliodella Società delle Nazioni. L’uso della forza avrebbe messo in azione l’ar-ticolo 15 del Covenant e garantito assistenza alla parte aggredita106.

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Nella seduta del 10 ottobre, i punti di vista contrapposti si avvicinaro-no, in seguito ad approfondite discussioni tra i capi-delegazione ed i rispet-tivi giuristi. A questi ultimi venne delegato lo studio di una formula che,senza menomare la tesi francese, tenesse conto delle differenti posizioni107.La questione della garanzia francese a Polonia e Cecoslovacchia venneaffrontata il giorno dopo, domenica 11, nel corso di conversazioni privatefra tedeschi, polacchi e cechi, cui i francesi parteciparono. «Abbiamo redat-to più formule che hanno l’assenso dei nostri alleati» informò Berthelotquella sera stessa108. Ulteriori precisazioni tra Briand, Stresemann eSkrzynski si ebbero il 12 ottobre, prima dell’apertura della seduta dellaConferenza109.

Nella seduta del 13 ottobre fu trovata la soluzione: era quella prospetta-ta da Chamberlain giorni prima, cioè la riscrittura dell’articolo 2 del pattodi sicurezza110, per consentire di eliminare, dal successivo articolo 6, il pas-saggio sulla garanzia francese ai trattati di arbitrato orientali. «La garanziafrancese – scrisse il 14 ottobre Chamberlain a Tyrrell – sarà ora incorpora-ta in uno strumento separato e vincolerà solo la Francia ad andare in aiutodella Polonia (o della Cecoslovacchia), se e quando quella Potenza saràattaccata dalla Germania»111. «Per completare questo sistema – così Briandinformò Laroche – noi prepariamo d’altra parte due convenzioni, da con-cludere tra la Francia da un lato, la Polonia e la Cecoslovacchia dall’altro,che consacreranno i nostri mutui impegni di intervento negli stessi casi[ossia nei casi di applicazione degli articoli 15, alinea 7, e 16 delCovenant]»112. Fu una soluzione considerata alquanto soddisfacente dallaGermania113. Chamberlain poteva così comunicare a Londra: «Tutto è pra-ticamente sistemato ed è ragionevolmente certo che se non interverrà unintralcio imprevisto, il Patto ed i suoi trattati accessori saranno tutti siglatidomani e verrà fissata una data per la loro firma a Londra»114.

Il 16 ottobre, data della parafatura dei patti di Locarno, si ebbe quindinotizia che lo “strumento separato” di garanzia della Francia ai suoi alleatiorientali sarebbe stato un trattato separato, tra la Francia e la Polonia e trala Francia e la Cecoslovacchia115. Quale significato politico dare a questacoppia di trattati? «Il Signor Chamberlain – si legge in un verbale di riu-

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nione del gabinetto britannico – ha detto che la Francia aveva colto l’oc-casione per rivedere le sue alleanze con Polonia e Cecoslovacchia, e perridurre gli obblighi da ambo le parti, sì che il diritto di muover guerra sullabase dell’articolo 15 para[grafo] 7 del Covenant fosse limitato al caso in cuinon vi fosse soltanto rottura dell’obbligo, ma un vero e proprio attacco daparte della Germania»116.

I trattati di assistenza, nati come “appendice” ai patti di Locarno, pre-sentavano esattamente le suddette caratteristiche; i princìpi del Covenant inessi contenuti (in special modo, gli articoli 16 e 19) avevano la meglio suquelli ispiranti le alleanze orientali francesi.

L’articolo primo dei patti di assistenza (identici nel testo) sanciva, comecasus garantiae, l’inosservanza del sistema di Locarno con l’uso della forza;solo entro questi limiti, sarebbe scattata l’assistenza promessa dalla Francia.L’articolo secondo, invece, richiamava i diritti e gli obblighi discendenti suicontraenti, in quanto membri della Società delle Nazioni. In pratica, la vec-chia alleanza francopolacca del 1921 veniva recepita dal nuovo trattato diassistenza, ma ora il casus garantiae era l’aggressione non provocata (in viola-zione del Covenant e dei patti di Locarno). Non veniva più garantito quin-di il rispetto “assoluto” dello status quo territoriale, principio che aveva infor-mato l’alleanza francopolacca, ma che tuttavia non veniva disconosciuto.

C’è da chiedersi allora se poteva ancora la Polonia avvalersi del casusgarantiae del 1921. In linea teorica, l’alleanza francopolacca poteva conti-nuare a regolare i casi non previsti dal patto di assistenza. In linea pratica,era molto difficile armonizzare il vecchio con il nuovo.

Incidentalmente, va osservato che i trattati di assistenza orientali mante-nevano il carattere prettamente anti-tedesco delle vecchie alleanze francesidel 1921 e 1924, carattere ben diverso da quello che la fallita garanzia fran-cese sui trattati di arbitrato orientali avrebbe equamente assicurato a tutti icontendenti, invece che ad una parte sola.

Una breve riflessione va dedicata al rapporto tra il patto di assistenza ela vecchia alleanza tra Francia e Cecoslovacchia. Quest’ultima era menodefinita, quantunque “omologata” all’alleanza francopolacca. Fulcro ne erail rispetto del divieto di Anschluss da parte di Germania ed Austria, nonché

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l’opposizione alla restaurazione delle monarchie degli imperi centrali. Ilnuovo trattato, dunque, completava e precisava meglio i canoni dell’assi-stenza francese, risultando anche meno vago dell’alleanza del 1924 117.

I trattati di garanzia firmati dalla Francia a Locarno, in un senso o nel-l’altro, trasformavano il vecchio sistema delle alleanze orientali francesi. Ilprincipio dello status quo era difficilmente armonizzabile con quello dellarevisione pacifica dei trattati, ma cedeva il passo a questo, pur nel difficileequilibrio dell’equivoco giocato tra detto e non detto. Giuridicamente ilnuovo non aboliva il vecchio, politicamente il vecchio era ormai impropo-nibile.

7. UNA “APPENDICE A LOCARNO”: LA RISPOSTA DI MUSSOLINI ALLA

PROPOSTA DI COLLABORAZIONE TRIPARTITA NEI BALCANI

Nel corso dei negoziati per il patto di sicurezza, era emersa una propo-sta di collaborazione congiunta nei Balcani, che Briand e Chamberlainavanzarono con una lettera a Mussolini, del 10 giugno, consegnata aScialoja.

Per due mesi la questione languì, non venendo da Roma alcun cennodi riscontro. L’Italia dava anzi l’impressione di manovrare contro ogni siste-mazione nei Balcani. «Si potrebbe concludere – commentava De Fleuriau– per il desiderio del signor Mussolini di riservarsi ogni libertà d’azione. Madi questa libertà egli forse non sa all’odierno cosa ne farà»118.

Quando Briand si recò a Londra in agosto, per incontrare Chamberlaine con lui definire la risposta alla Germania e la bozza di patto di garanzia,venne a sapere che Scialoja non aveva mai consegnato la lettera a Mussolini.Sembrava anzi che egli quasi negasse l’esistenza di tale lettera, sostenendoche a Ginevra Chamberlain e Briand gli avevano solo vagamente parlato dicollaborazione nei Balcani, senza lasciargli alcunché di scritto. Chamberlainaveva allora convocato l’ambasciatore italiano per metterlo al corrente ditutto119. Della Torretta osservò che c’era stato forse un malinteso e cheMussolini sarebbe stato di certo molto sensibile alle attenzioni degli alleati.

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Capitolo V – L’Italia alla Conferenza di Locarno

Colto il senso di queste parole, Chamberlain trasmise copia della famo-sa lettera a Graham, incaricandolo di consegnarla a Palazzo Chigi. La con-segna avvenne entro il 7 agosto, prima che l’ambasciatore inglese partisse incongedo120. Dai documenti italiani risulta comunque che Della Torrettasmentì con Chamberlain l’episodio della lettera, provocando grande sor-presa nel suo interlocutore il quale, preso il relativo incartamento, glielomostrò121.

La sera dell’11 agosto, presente l’ambasciatore italiano, Chamberlain fececonfermare da Briand in persona (in visita a Londra) di aver consegnato lalettera a Scialoja, dopo avergliene data lettura. Briand aggiunse che funzio-nari italiani alla Società delle Nazioni erano al corrente della cosa e aveva-no lasciato prevedere una non favorevole accoglienza della proposta aRoma122. «Questo incidente – commentò Briand qualche giorno dopo –è tanto più singolare per il fatto che ho rimesso io stesso, in presenza diChamberlain, la suddetta lettera al Signor Scialoja, durante l’ultima sessio-ne di Ginevra nel mese di giugno». A Briand risultava che di tutta la cosaera al corrente anche il Bodrero, ministro italiano a Belgrado, per alcuniaccenni fatti da lui al collega francese123.

Sulla proposta di collaborazione nei Balcani Mussolini tacque fino allachiusura della conferenza di Locarno. Il 22 ottobre Romano Avezzanatelefonò a Laroche, al quale disse di dover compiere un passo presso Briand.Egli aggiunse che Scialoja aveva smarrito la lettera a suo tempo affidatagli,ma che Mussolini sarebbe stato molto felice di avere precisazioni sulle pro-poste formulate in favore dell’Italia e che riteneva opportuni dei chiari-menti, vista anche l’attuale delicata situazione nei Balcani124.

Il giorno dopo, 23 ottobre, Romano Avezzana scrisse a Briand una let-tera alla quale allegò la risposta ufficiale di Mussolini. «Col messaggio di cui,com’è noto a Vostra Eccellenza ho potuto, con mio rincrescimento, cono-scere il tenore solo recentemente e con grande ritardo,Vostra Eccellenza edil Signor Chamberlain hanno voluto mettermi a parte delle comuni preoc-cupazioni per le presenti condizioni del sud-est europeo, facendomi pre-sente come esse consiglino la maggiore vigilanza da parte delle GrandiPotenze e le invitino a concertarsi per essere in grado di fronteggiare qual-

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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

siasi avvenimento che colà fosse suscettibile di turbare la pace». Mussoliniprendeva quindi atto che il mezzo all’uopo più adatto era quello di con-sultazioni collettive frequenti, e ringraziava Briand perché riconoscevaall’Italia, «che ha particolare autorità negli affari balcanici», un ruolo deter-minante. «Nel ringraziare Vostra Eccellenza per le comunicazioni fattemi –proseguiva Mussolini – mi è molto gradito di assicurare che accoglierò convivo interesse le proposte che dovessero essermi fatte allo scopo di fronteg-giare quegli avvenimenti che potessero turbare la pace nei Balcani.Nell’identico senso rispondo al Signor Chamberlain»125.

A proposito dell’affaire della lettera di Chamberlain e Briand a Musso-lini, vanno svolte alcune considerazioni. Dubitiamo che le cose si sianosvolte proprio come Mussolini le racconta.Anzitutto il «grande ritardo» nelconoscere la lettera, che con rincrescimento Mussolini addebitava a circo-stanze puramente contingenti, non spiega il lungo silenzio tra l’avvenutariconsegna di essa (agl’inizi di agosto) e la risposta datane (in ottobre): ameno di non considerare “recente”, in un negoziato diplomatico, un’im-portante démarche fatta due mesi prima. In secondo luogo, considerando laperizia unanimemente riconosciuta a Scialoja, nonché i franchi rapporti dalui intrattenuti con Chamberlain e con Briand, se davvero egli avesse smar-rito la lettera si sarebbe certamente premurato di ottenerne nuova copia,lasciando credere che motivo dello smarrimento dell’originale fosse ladistrazione di qualche funzionario subalterno della delegazione italiana; edavrebbe intanto informato il Ministero degli Esteri del tenore generale dellaproposta anglofrancese. Diversamente, egli si sarebbe reso colpevole di unamancanza sfociante in premeditata omissione di atti d’ufficio, e di conse-guenza non avrebbe potuto guidare la delegazione italiana alla conferenzadi Locarno, né firmare in seguito i patti a Londra.

Noi riteniamo che Mussolini abbia inventato di sana pianta (all’insapu-ta del suo ambasciatore a Londra, ma forse non di quello a Parigi) la storiadello smarrimento della lettera di Chamberlain e di Briand, semplicemen-te perché non credeva in quel momento ad una collaborazione interalleatanei Balcani. Il dualismo a Palazzo Chigi tra Contarini (fautore di un’intesacon Francia e Gran Bretagna, nonché di un accordo con Belgrado) e

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Capitolo V – L’Italia alla Conferenza di Locarno

Lojacono (araldo di una politica tendente a dare all’Italia, in chiave anti-jugoslava ed anti-francese, un ruolo esclusivo nei Balcani e soprattutto inAlbania), sarebbe stato risolto a favore del primo solo dopo Locarno126,configurando una temporanea vittoria della “carriera” sul partito fascista.Mussolini era inoltre scontento per la concorrenza britannica in Albania(dove Londra aspirava a concessioni petrolifere127) ed era alla ricerca di unaccordo politico che seguisse al trattato militare segreto italoalbanese con-cluso nell’agosto del 1925. Doveva inoltre fronteggiare l’affare della costi-tuzione della Banca d’Albania e della SVEA128 ed era anche infastidito dallaconcorrenza francese nella questione della ferrovia Salonicco-Ghevgeli; eglitemeva infine la prospettiva di un’intesa grecojugoslava sponsorizzata dallaFrancia, nonché un’eccessiva vicinanza tra Parigi e Belgrado129.Tutto ciòfaceva dubitare Mussolini della sincerità di Briand nell’avanzare la propostainsieme a Chamberlain130.

Il momento era dunque troppo delicato per decidere come risponderealla lettera dei due ministri. Mussolini non voleva di certo creare imbaraz-zi all’Italia con un subitaneo rifiuto della proposta, ovvero con indebititemporeggiamenti. Del resto però un “silenzio-dissenso” avrebbe maldeposto per il futuro dei rapporti con Parigi e Londra. Si spiega così lamodalità prescelta: lasciar cadere la cosa, fingendo un malentendu, e nonapprofondire il discorso quando Mussolini ne ebbe l’occasione (collo-quiando con Chamberlain il 15 ottobre a Locarno); attribuire quindi aScialoja l’aver smarrito l’importante documento, mostrando solo dopoLocarno una generica disponibilità a soddisfare gli auspici espressi daglianglofrancesi, per non contraddire il nuovo “spirito” e in virtù del fatto chenessuna proposta concreta era in gestazione131.

La conferenza di Bled della Piccola Intesa non aveva, del resto, chiaritola situazione132; mentre le avances jugoslave per un accordo con l’Italiaerano inficiate da voci di un’intesa segreta tra Pasic e Zogu133. Pur trattan-dosi di realizzare per l’Europa centro-orientale i princìpi della sicurezza sta-biliti a Locarno, nessuna concreta indicazione veniva dai paesi direttamen-te interessati 134, né da parte della Francia e della Gran Bretagna135. Musso-lini dunque si era visto nel giusto decidendo di attendere gli eventi136. Egli

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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

sembrò così puntare al mantenimento dello status quo nei Balcani, ma svi-luppando le relazioni bilaterali con Belgrado ed Atene, in modo da preclu-dere alla Francia qualsiasi possibilità di giocare un suo ruolo a dannodell’Italia137.

L’episodio della progettata collaborazione tripartita dei Balcani, perquanto marginale rispetto al negoziato sulla sicurezza, è comunque signifi-cativo quale prodromo dei tentativi di realizzare una “Locarno balcanica”,di scrivere un nuovo capitolo della sicurezza, sulla scorta dell’esperienza giàmaturata.

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Capitolo V – L’Italia alla Conferenza di Locarno

8. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

Il patto di sicurezza, senza dubbio, manteneva il nucleo della propostatedesca del 20 gennaio; in particolare, usciva confermato il principio delrispetto “individuale e collettivo” (dunque non solo a carico dellaGermania) degli articoli 42 e 43 di Versailles. Di conseguenza, il caratteresanzionatorio del successivo articolo 44 poteva valere anche per i vincito-ri, qualora avessero violato l’obbligo di status quo e di smilitarizzazione dellaRenania138. Sembra questo, dal punto di vista giuridico, l’aspetto maggior-mente innovativo di tutto il sistema locarnista, questa la sua natura revisio-nista rispetto all’assetto di Versailles. Dal punto di vista politico, il carattererevisionista dei patti di Locarno stava certamente in quello che essi taceva-no, in quegli obblighi della pace non rinnovati nelle disposizioni dei nuoviaccordi. Sotto questo aspetto, si trattava di un grande successo per laGermania, poiché i tedeschi riportavano in parità il piatto della bilanciadell’equilibrio europeo, grazie ad una “riabilitazione”, quale non sarebbestata concepibile nell’immediato dopoguerra.

L’Italia aveva vissuto con apprensione tutta la fase preparatoria del pattodi sicurezza e, nel pieno degli scambi di idee tra le cancellerie, aveva ripe-tutamente fatto presente ai suoi ex alleati (come pure alla Germania) che,comunque concretizzato, il patto di sicurezza non avrebbe potuto astrarredagli obblighi incombenti sui tedeschi in virtù del trattato di pace.L’attenzione si era poi concentrata sul problema di come tutelare l’indi-pendenza austriaca, di come realizzare la “sicurezza parallela”. Le grandipotenze non si erano mostrate, tuttavia, pronte ad un impegno collettivoanche sull’Austria. Di conseguenza Mussolini si era tenuto in disparte, finoa quando però dai pourparlers non si passò ad un vero e proprio negoziatosul patto di sicurezza.

Altro dato certo è che gli alleati, e soprattutto gli inglesi, tenevano aconservare il primato dell’iniziativa in materia e che non avrebbero con-cesso all’Italia ampi spazi propositivi, almeno fino a quando un primo sche-ma di patto non avesse visto la luce. La conferenza dei giuristi di Londra,ove un tale schema fu predisposto nei modi che abbiamo visto, segna anche

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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

l’uscita dell’Italia dal suo riserbo per una più attiva partecipazione alla con-seguente fase negoziale. Il che, in un certo senso, significava accettare difatto l’iniziativa francobritannica, pur nell’illusione che la presenza a Londradi un italiano potesse rivelarsi attivo contributo alla causa del patto. Perquanto secondaria, la presenza di Pilotti alla conferenza dei giuristi avevadunque il significato di rimedio contro il pericolo di isolamento diploma-tico dell’Italia139, nella speranza che i suoi interessi venissero poi debita-mente considerati in sede di conferenza dei ministri.

Tali interessi, primo dei quali l’indipendenza austriaca come obiettivocomune delle potenze vincitrici, avevano però segnato il passo a fronte diquelli della garanzia al Reno. Fu per questo che, chiusa la conferenza deigiuristi, Mussolini studiò l’ipotesi di concludere con la Francia un patto disicurezza sull’Austria. Tale progetto, volto a porre rimedio alla “sicurezzaincompiuta” ed a definire i “sospesi” esistenti tra Francia e Italia, richiede-va tempo e pazienza, ed era in fase embrionale al momento della confe-renza di Locarno. Qui, come abbiamo visto, Scialoja riuscì a far modificarela bozza di patto e a far sì che la garanzia coprisse tutto l’articolo 180 deltrattato di Versailles. Il che significava ribadire il valore di certi obblighi dellaGermania sulle sue frontiere orientali e meridionali. Era un primo risulta-to, ridar valore ai princìpi dei trattati dei pace. Si capisce perciò comeMussolini, pur non completamente soddisfatto del patto renano, decise direcarsi personalmente a Locarno per siglarlo.

La ricerca archivistica non ha purtroppo consentito di stabilire una rela-zione tra questo aspetto e l’abbandono del progetto di patto italofrancese agaranzia dell’Austria.Ma al lume del senso comune, si può comunque dire chele modifiche ottenute da Scialoja a Locarno avevano reso meno urgente taleprogetto, mentre la sistemazione dei “sospesi” con la Francia (da attuarsi con-testualmente al patto sull’Austria) restava affare delicato. Se da un lato, infatti,l’Italia non poteva sposare l’agitazione anti-colonialista di Abd-el-Krim, nelRiff (una rivolta contro la Spagna e contro gli altri “condòmini”del Marocco),per non provocare rigurgiti panislamici in Cirenaica, d’altro canto essa non siaccontentava del semplice rinnovo delle antiche convenzioni italofrancesi sullaTunisia, per non lasciare campo libero alla Francia in quel paese.

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Capitolo V – L’Italia alla Conferenza di Locarno

Va poi considerato fattore non trascurabile della decisione di Mussolinidi intervenire a Locarno anche il senso di reciproca stima con Chamberlain,che occorreva ravvivare140. Solo il tempo poteva evidentemente tramutaretutto ciò in una vera e propria sintonia politica; nondimeno, v’era già unmovente molto forte perché Mussolini non se ne stesse a Roma.

Egli arrivò a Locarno certo disincantato, ma non del tutto privo di inte-resse. Le congetture italiane sul patto di sicurezza ideale avevano debordatodai limiti angusti del realismo diplomatico; ma, del resto, è difficile negareche tutte le potenze che misero piede a Locarno, grandi e piccole, vi sianogiunte ognuna con proprie concezioni di sicurezza, non di rado riflettenticondizioni politiche interne, e naturalmente confliggenti con altrui conce-zioni. Per convincersene, basti seguire, ove i documenti lo consentono, levarie fasi del negoziato sul patto renano dal punto di vista dei singoli paesi.In una situazione simile, sembra addirittura paradossale che il “sistema diLocarno” abbia rappresentato per diversi anni, in Europa e nel mondo, unmodello di edilizia globale della pace, prima di crollare definitivamente nel1936; e che venga ancor oggi indicato quale referente costante per model-li consimili.

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1 Cfr. DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.469 ed allegato (il corsivo è nostro).2 Lo si evince, ad esempio, dal telegramma di Grandi da Ginevra del 9 settembre, già in

precedenza ricordato. «Chamberlain – scriveva Grandi – intrattendo ieri alcuni gior-nalisti ha esplicitamente detto che [la] Conferenza [sul] Patto [di] Sicurezza avrà luogomolto vicino [a] Ginevra». Grandi a Mussolini, 9 settembre 1925, tel.1753/23,ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 42.Va osservato che sulla designazione di Locarno ilgoverno elvetico non fu consultato e che essa non gli fu comunicata che all’ultimomomento. Stando ai documenti tedeschi, il Governo elvetico avrebbe preferito che lasede designata fosse Lucerna. Cfr.ADAP,A, Band XIV, doc.78 e nota 3 al documento.

3 Scialoja a Mussolini, 9 settembre 1925, tel.1797/27, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta42.

4 Mussolini a Scialoja e per conoscenza a Della Torretta, 11 settembre 1925, tel.1021, ibi-dem, busta 41. Cfr. Memorandum by Mr.Chamberlain. 9 settembre 1925. DBFP, Series I,vol.XXVII, docc.468, 470, 472, 473.

5 Mussolini a Scialoja, 11 settembre 1925, tel.1031,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41.6 Scialoja a Mussolini, 11 settembre 1925, tel.1768/34, ibidem.7 Mussolini a Scialoja, 12 settembre 1925, tel.1033, ibidem. Contemporaneamente «Il

Secolo» di Milano pubblicava una corrispondenza da Roma in cui si diceva che ilGoverno italiano si riservava ogni libertà di azione e che per il momento non era pos-sibile che Mussolini intervenisse alla prevista conferenza. «Il Secolo», 12 settembre1925.

8 L’invito fu inoltrato a Stresemann per il tramite dei rappresentanti diplomatici france-se, inglese e Belga a Berlino. Cfr.ADAP,A, Band XIV, nota 2 al doc.59.

9 Cfr.ADAP, A Band XIV, docc.80 e 87. Si veda De Bosdari a Mussolini, 24 settembre1925, tel.1853/285,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41.

10 Chiaramonte Bordonaro a Mussolini, 5 settembre 1925, tel. 1722/13, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41.

11 De Bosdari a Mussolini, 30 agosto 1925, tel. 1663/282, ibidem. Sulle preoccupazionidello Stresemann: ADAP, A, Band XIV, doc.41. «Ritengo – scrisse il Roger il 5 set-tembre – che potrebbe non esser senza inconvenienti distogliere il Governo italianodal protestare a Berlino contro il discorso pronunciato dal signor Löbe (...) Se convie-ne a noi in effetti controllare il signor Löbe, v’è grande interesse d’altra partenell’(incoraggiare) l’Italia nell’attitudine che essa ha preso nella questione dell’annes-sione» e perciò nell’associarsi ad un passo italiano a Berlino. Roger a Briand, 5 set-tembre 1925, tel.459,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.82.

12 In proposito vale la pena di citare le dichiarazioni di Löbe, quali riportate dai giorna-li tedesco-nazionali e riferite da De Bosdari: «Siamo venuti dalla Germania senzadistinzione di partito dalla destra fino all’estrema sinistra e siamo tutti pieni del pen-siero di dimostrare l’unione non di due popoli ma di un solo popolo che è stato divi-

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Capitolo V – L’Italia alla Conferenza di Locarno

so. Il diritto all’autodecisione concesso a tutte le nazioni non potrà esser negato alpopolo tedesco.Vi sono dei paurosi che pensano che siamo venuti troppo presto. Idubbiosi devono per questo viaggio apprendere di nuovo che i popoli della Germaniae dell’Austria senza distinzione di partiti domandano l’unione. Il nostro viaggio è unpasso sulla via della grande repubblica tedesca». De Bosdari a Mussolini, 30 agosto1925, tel 1663/282 (già citato),ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 42. Uguali manifesta-zioni di filoannessionismo aveva prodotto, come si è già altrove ricordato, la tournéedell’orchestra filarmonica viennese. I giornali francesi scrissero che, tutto considerato,il tono del discorso di Löbe rientrava nei limiti consentiti dai trattati di pace: RomanoAvezzana a Mussolini, 2 settembre 1925, tel.1690/627, e 5 settembre 1925, tel.1723/635. Da una corrispondenza parigina della «Vossische Zeitung» sembra addirit-tura che il Ministro della Pubblica Istruzione francese abbia impedito si inscenassecontro l’illustre ospite tedesco una manifestazione di protesta nella stessa Parigi; da ciòil corrispondente del giornale tedesco concludeva che l’Anschluss era in fondo deside-rato non solo dai tedesco-nazionali, ma anche dai socialisti francesi e che probabil-mente anche Painlevé e Doumerge, incontrandosi con Löbe, avevano mitigato la loroopposizione a quest’eventualità; non drammatizzare era la parola d’ordine anche aLondra: Della Torretta a Mussolini, 4 settembre 1925, tel.1707/758, ibidem.

13 Mussolini a De Bosdari, 8 settembre 1925, tel.1003, ibidem.14 Romano Avezzana a Mussolini, 18 e 23 settembre 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV,

docc. 129 e 130.15 Romano Avezzana a Mussolini, 25 settembre 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV,

doc.130.16 Visite de M.Summonte, Conseiller de l’Ambassade d’Italie, appunto senza data,AMAE, Z-

Europe: Grande-Bretagne, vol.83. Questo documento trovasi anche nella sous-série“Italie”, nel vol.96.

17 Visite du Chargé d’Affaires d’Italie à M.Laroche, appunto del 28 settembre, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.83; cfr. DDI, Serie Settima, vol.IV, docc.126 e 129.

18 Altri pareri, favorevoli all’ingresso dell’Italia nel patto, ad una partecipazione dell’Italiaalla garanzia delle frontiere orientali tedesche, ma contrari all’inserimento della que-stione del Brennero, erano stati espressi, il 12 settembre, dal capo del Contenziosodiplomatico,Amedeo Giannini, e da quello dell’Ufficio Trattati e Società delle Nazionidel Ministero degli esteri, Pasquale Sandicchi. DDI, Serie Settima, vol.IV, nota 1 a p.90.

19 Scialoja a Mussolini, 28 settembre 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.132.20 Queste ipotesi restano per il momento tutte da verificare. Non siamo riusciti purtrop-

po a reperire carte personali di Scialoja riguardanti il periodo locarnista. Uno dei suoicollaboratori, il professor Matteucci, non ha potuto fornire ragguagli in merito, aven-do frequentato lo Scialoja all’inizio degli Anni Trenta. Si ringrazia per la disponibilità,la cortesia e le informazioni fornite il prof. Rodinò dell’Unidroit.

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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

21 Cfr. F. LEFEBVRE D’OVIDIO, L’Intesa italofrancese, cit., pp.96-97.22 De Bosdari a Mussolini, 23 settembre 1925, tel.1851/282, ASMAE, Arch.Gab.,TSN,

busta 42. L’ambasciatore italiano a Berlino consigliava comunque di prendere le paro-le di Schubert «con la dovuta cautela», essendo numerosi i precedenti di casi in cui laGermania era receduta dalle sue posizioni. Cfr.Aufzeichnung des Staatssekretärs desAuswärtigen Amts von Schubert, 23 settembre 1925,ADAP,A, Band XIV, doc.78.

23 De Bosdari a Mussolini, 26 settembre 1925, tel.1418/417/A 1, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41.

24 La nota del 26 settembre 1925, accompagnata da una Velbalerklärung trovasi in LocarnoKonferenz, cit., docc.21 e 22, nonché in Pacte de Sécurité, II, cit., doc.5. Cfr.ADAP, A,Band XIV, docc.79 e nota 4 al doc.80. La Germania aveva, di recente, sollevato la que-stione della responsabilità di guerra in occasione dell’adozione del Piano Dawes.Cfr.DBFP, Series I, vol.XXVI, docc. 566 e 569; cfr. docc.553 e 557 con nota 4.

25 Mussolini a Della Torretta, Romano Avezzana, e Orsini Baroni, 26 settembre 1925,tel.1087,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41.

26 Preziosi a Mussolini, 27 settembre 1925, tel.1886/718, ibidem.27 Preziosi a Mussolini, 27 settembre 1925, tel.1888/717, ibidem.28 Preziosi a Mussolini, 27 settembre 1925, tel.1892/719, ibidem.29 Del 26 settembre.30 Paulucci de’ Calboli Barone a Della Torretta, Romano Avezzana, De Bosdari e Daneo,

28 settembre 1925, tel.1094, ibidem. Per il resoconto dello stesso Chamberlain, cfr.DBFP, Series I, vol. XXVII, doc.493. Per il resoconto di Sthamer (che però fissa la con-versazione alla tarda serata del 25),ADAP,A, Band XIV, doc.88.

31 Preziosi a Mussolini, 28 settembre 1925, tel.1923/722,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta41.

32 Chamberlain to the German Ambassador, 29 settembre 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII,doc.502. Cfr.Preziosi a Mussolini, 29 settembre 1925,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta41. Preziosi deteneva copia della risposta ufficiale del Foreign Office al passo tedesco.

33 Il resoconto di Hoesch trovasi in ADAP,A, Band XIV, doc.90.34 Cfr. Stresemann agli Ambasciatori a Londra, Parigi e Roma ed all’Incaricato a

Bruxelles, 27 settembre 1925, ibidem, doc.93.35 Mussolini a Della Torretta, Romano Avezzana, Daneo, De Bosdari, 27 settembre 1925,

tel.1091, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 41. L’opinione pubblica francese era facil-mente irritabile e Briand non voleva in alcun modo contrariarla. Al Quai d’Orsay siera inoltre persuasi del fatto che il passo tedesco, tutto sommato, ripeteva il passo del-l’anno precedente. Quanto alla questione della responsabilità di guerra, essa riguarda-va soltanto la Società delle Nazioni; mentre evacuazione di Colonia e disarmo eranoquestioni legate al trattato di pace. Romano Avezzana a Mussolini, 28 settembre 1925,tel.1904/685, ibidem.

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Capitolo V – L’Italia alla Conferenza di Locarno

36 Hoesch informò telefonicamente von Schubert della conversazione avuta con Briand.Cfr. ADAP, A, Band XIV, doc.96. I curatori dei documenti diplomatici tedeschi (nota1 al documento citato) datano detta conversazione alla sera del 28 settembre.

37 Comunicazioni verbali dell’Incaricato d’affari di Francia al Gabinetto di S.E. ilMinistro (mattino del 29 settembre). Cfr. Romano Avezzana a Mussolini, 29 settem-bre 1925, tel.1918/687.ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41.

38 ADAP,A, Band XIV, doc.99.39 Romano Avezzana, 29 settembre 1925, tel.1919/689,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta

41.40 Il testo della risposta francese, ricevuto dal governo italiano, fu trasmesso da Paulucci

de’ Calboli Barone a Della Torretta, Romano Avezzana e Daneo, il 1° ottobre 1925,con tel.1125, ibidem (il corsivo è nostro). Cfr. Pacte de Sécurité, II, cit., doc.6; nonchéLocarno Konferenz, cit., doc.23. La risposta francese trovasi ora anche in ADAP,A, BandXIV, doc.104.

41 Preziosi a Mussolini,30 settembre 1925 tel.1934/731,ASMAE,Arch.Gab.,TSN,busta 41.42 Gruppo indecifrabile. Probabilmente: «ai suoi», o «agli».43 Risposta del governo italiano alla nota tedesca: bozza non datata,ASMAE,Arch.Gab.,

TSN, busta 41.44 Il testo di questa risposta fu inviato dal Paulucci de’ Calboli Barone a Della Torretta,

Romano Avezzana, De Bosdari e Daneo, il 30 settembre 1925 con tel. 1116, ibidem.45 Cfr. Paulucci de’ Calboli Barone a Della Torretta, Romano Avezzana, Daneo e De

Bosdari, 1° ottobre 1925, tel.1119, ibidem.46 Così Roger a Briand, 27 settembre 1925, tel.486, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne,

vol.83.47 Per seguire il negoziato in seno alla conferenza di Locarno, è utile lo studio di A.

ORDE, Great Britain and International Security 1920-1926, pp.131 ss.48 Appunti presi dal segretario italiano alla conferenza di Locarno, 5 ottobre 1925,

ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 42.49 Notes of the Meeting of the Lawyers on October 5, 1925, in DBFP, Series I, vol.XXVII,

Appendice n.2, pp.1084-1085. Le discussioni tra i giuristi proseguirono la mattina delgiorno dopo; ibidem,Appendice n.4, pp.1089-1091.

50 Scialoja a Mussolini, 5 ottobre 1925, tel.1998/4, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41;idem, 6 ottobre 1925, tel.2008/7, ibidem, busta 42. Cfr.DBFP, Series I, vol.XXVII,Appendice n.1; Locarno Konferenz, cit., pp.144-149; nonché le Tagebuchaufzeichnungendes Reichsministers des Auswärtigen Stresemann über die Konferenz von Locarno (d’ora in poiTagebuchaufzeichnungen Stresemanns),ADAP,A Band XIV, pp.690-691.

51 Per quel che concerne la seduta del 6 ottobre i verbali sono alquanto difformi. Quelliinglese e francese, trattando del dibattito sull’articolo 16 del Covenant sono menogenerici del verbale italiano. Quelli inglese ed italiano coincidono illustrando la posi-

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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

zione di Chamberlain, in ciò distinguendosi dal verbale francese. Cfr. ASMAE, Gab.,TSN, cit., busta 42 (verbale italiano), busta 41 (verbale francese), DBFP, I Series,vol.XXVII, Appendice n.5, pp.1091-1096 (verbale inglese); si veda ancora Scialoja aMussolini, 6 ottobre 1925, tel.2012/9,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41. Cfr. LocarnoKonferenz, cit., pp.149-154, nonché ADAP,A, Band XIV, pp.691-693

52 Le indiscrezioni giornalistiche certamente si alimentavano da personaggi che a variotitolo presenziavano ai lavori della Conferenza di Locarno. Sintomatico è questo tele-gramma che un certo Maffi inviò alla «Nazione» di Firenze, il 9 ottobre: «Data delica-tezza mia posizione ufficiale non possovi trasmettere indiscrezioni seduta jersera.Fatevele telefonare da Roma mandando Profili prendere bozze Epoca. Bellonci auto-rizzami. Ricevuto chéque. Grazie». ASMAE, Arch.Gab., GM, busta 5, fasc.«Rapporticon la stampa e le agenzie telegrafiche». In seguito all’incidente del «Popolo d’Italia»,Mussolini inviò il 17 ottobre a tutte le prefetture l’ordine di vigilare e di prevenireeventuali indiscrezioni giornalistiche sui patti di Locarno, prima che ne avvenisse lapubblicazione in data concordata dai firmatari. Mussolini alle Regie Prefetture, 17ottobre 1925, tel.1214, ibidem, busta 42. Cfr.DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.146.

53 Qui i verbali inglese e francese coincidono, mentre la questione si omette nel verbaleitaliano; ma probabilmente trattasi solo di un’omissione redazionale non voluta.

54 È comunque da ricordare che Mussolini aveva istruito il Ministro a Vienna Bordonarodi aggregarsi alla delegazione italiana a Locarno, sicuramente contando di servirsi delladi lui esperienza in questioni politiche riguardanti l’Austria. Mussolini a ChiaramonteBordonaro, 1° ottobre 1925, tel.1128,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 42.

55 L’osservazione di Rolin è riportata nei verbali inglese (DBFP, Series I, vol.XXVII,Appendice n.6, p.1098) e francese (ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 41), ma non inquello italiano (ibidem, busta 42) dove, subito dopo l’accenno all’osservazione diScialoja, si dice che Chamberlain mostrò tutta la sua diponibilità a far prendere in con-siderazione dai giuristi la questione sollevata dall’Italia. Nello stesso senso il verbaletedesco, in Locarno Konferenz, cit., pp.154-161, spec. p.156; Per altre notizie, ADAP, A,Band XIV, doc.123 e Tagebuchaufzeichnungen Stresemanns, 7 ottobre 1925, p.693.

56 Notes of a conversation between the members of the British Delegation in Mr.Chamberlain’sroom at the Grand Hotel, Locarno October 7, 1925, at 10 p.m., DBFP, Series I, vol. XXVII,Appendice n.7, pp.1108-1110 (le osservazioni citate sono a p.1109).

57 Il testo del progetto al suo articolo 8 così recitava: «Le present Traité sera déposé à laSociété des Nations conformément au Pacte. Il restera en vigueur jusqu’à ce que, surla demande de deux au moins des Hautes Parties Contractantes, le Conseil, votant s’ily a lieu à la majorité, reconnaisse que la Société de Nations assure aux Hautes PartiesContractantes des garanties suffisantes».

58 Si veda il resoconto di Scialoja a Mussolini, 7 ottobre 1925, tel. 2052/17, ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 42.

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Capitolo V – L’Italia alla Conferenza di Locarno

59 Cfr. DBFP, Series I, vol.XXVII, Appendice n.8. Locarno Konferenz, cit., pp.161-172;Tagebuchaufzeichnungen Stresemanns, 8 ottobre 1925, ADAP, A, Band XIV, pp.693-695.Si veda anche il resoconto di Scialoja a Mussolini dell’8 ottobre 1925: tel.2036/22,ASMAE, Gab.,TSN, busta 42 (dove trovasi anche il verbale italiano della quarta sedu-ta della Conferenza di Locarno). Il comunicato ufficiale della seduta fu trasmessodall’Agenzia Stefani lo stesso giorno con tel. 2037/21, ibidem.

60 Chamberlain incontrò il collega polacco Skrzynski mentre nel pomeriggio, dopo averricevuto i rappresentanti della stampa britannica, ebbe un abboccamento con Lutheral Grand Hotel (sede delle delegazioni britannica e francese), dove vide anche Benes .Briand e Stresemann si incontrarono invece all’Esplanade (sede della delegazione tede-sca), mentre von Schubert vide il ministro belga Vandervelde; il delegato italianoScialoja incontrò Skrzynski. Comunicato riguardante la Conferenza di Locarno, 9 ottobre1925, tel.621 P.R./C.M. 26, ASMAE., Arch. Gab.,TSN, busta 42; cfr. DBFP, Series I,vol. XXVII, doc.526 (incontro Chamberlain-Skrzynski), 527 (incontro diChamberlain con la stampa britannica), 528 (incontro Chamberlain-Luther). ADAP,A, Band XIV, doc.132 (incontro Schubert-Vandervelde).

61 Il verbale inglese parla in proposito di «agreement in principle»; DBFP, Series I, vol.XXVII,Appendice n.9, p.1122.

62 Tale memorandum, allegato ai verbali inglese, francese ed italiano, non compare invecenel volume dei documenti diplomatici belgi su Locarno.

63 Ciò si desume sulla base del verbale francese;ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41. Daiverbali inglese e tedesco si evince invece che l’articolo 5 del patto renano fu approva-to senza problemi; DBFP, Series I, vol.XXVII,Appendice 9, p.1125; Locarno Konferenz,cit., pp.172-176. Alquanto differente è il resoconto del Segretario di Stato allaCancelleria, Kempner (anch’egli a Locarno). Kempner ad AA, 10 ottobre 1925,ADAP,A, Band XIV, doc.137. Diversamente, dal verbale italiano risulta che sugli articoli 3 e4 del patto renano non vi furono osservazioni e che Scialoja perciò riservò solo l’ar-ticolo 5;ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 42.

64 Scialoja a Mussolini, 10 ottobre 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.148.65 Cfr.DBFP, Series I, vol.XXVII, Appendice n.9, p.1125. Nello stesso senso, Locarno

Konferenz, cir., p.173. Cfr.ADAP,A, Band XIV, doc.137.66 Record by Mr. Chamberlain of conversations with Signor Scialoja and Herr von Schubert,

Locarno October 4, 1925, DBFP, Series I, vol. XXVII, doc.515. Di questa conversazionenon v’è traccia nei documenti italiani.

67 Chamberlain a Tyrrell, 10 ottobre 1925, DBFP, Series I, vol. XXVII, doc.530 (il corsivoè nostro).

68 Chamberlain trasse da queste osservazioni di Stresemann alcune importanti conclusio-ni: «Mi sono talvolta domandato quali comunicazioni siano intercorse nei mesi recen-ti tra Roma e Berlino. Se a un dato momento fui propenso a supporre che una sorta

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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

di accordo per un’azione comune qui fosse stato raggiunto tra loro, credo sia ora chia-ro che ciò non è stato, e dovrei aggiungere che, qualsiasi fosse stata la natura di questecomunicazioni, esse hanno solo disseminato sfiducia nella mente del Governo tede-sco». Chamberlain a Tyrrell, 8 ottobre 1925, ibidem, doc.522.

69 Come si è già detto, nella delegazione italiana a Locarno figurava anche ilChiaramonte Bordonaro, Ministro d’Italia a Vienna ed esperto di cose austriache. Lericerche di carte del Bordonaro, svolte attraverso i contatti presi coi MarchesiTheodoli, ultimi discendenti diretti, sono state purtroppo infruttuose.

70 Cfr. DBFP, Series I, vol.XXVII,Appendice 7, p.1109, già citata.71 Nella seduta del 12 ottobre vi era stato un dibattito piuttosto intenso sulla capacità della

Germania disarmata di onorare gli obblighi derivantile dall’articolo 16 del Covenant,nonché in materia di disarmo generale (la Germania invitò gli altri a considerare il suolivello di disarmo quale parametro per l’attuazione dell’articolo 8 del Patto della Societàdelle Nazioni). Chamberlain ebbe buon gioco nel far comprendere ai tedeschi che l’ar-ticolo 16 non poteva autorizzare la Germania a ritenersi neutrale, qualora si trattasse dicollaborare con gli altri Stati in misure contro un’aggressione non provocata. Fu cosìapprovato un progetto di nota collettiva alla Germania (concordato tra Gran Bretagnae Francia il 10 ottobre e comunicato il giorno dopo ai delegati italiani e belgi), riguar-dante l’interpretazione da dare all’articolo 16 dello Statuto della Società delle Nazioni.Ibidem,Appendice 10, p.1128; doc.532, nota 2. Cfr. Locarno Konferenz, cit., pp.172-182;ADAP, A, Band XIV, docc.138 e 140; Tagebuchaufzeichnungen Stresemanns, 12 ottobre1925, ibidem, pp.696-697. Il progetto di nota collettiva trovasi anche allegato al verbalefrancese della seduta del 12 ottobre,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41. Esso fu inviatoda Scialoja a Mussolini il 12 ottobre 1925 con tel. 2072/32, ibidem, busta 42 (una copiatrovasi però anche nella busta 40). Quanto al disarmo ed al relativo parametro da ado-perare, ancora Chamberlain non mancò di far notare ai tedeschi che il livello di disar-mo imposto loro dal trattato di pace non poteva costituire il modello di riferimento perl’obbligo di disarmo generale, di cui all’articolo 8 del Covenant. Scialoja scrisse aMussolini di aver suggerito egli stesso a Chamberlain tale osservazione; Scialoja aMussolini, 12 ottobre 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.151.

72 Berthelot a MAE, 11 ottobre 1925, tel.29-31,AMAE, Série Y: Internationale, vol.27.73 Cfr.DBFP, Series I, vol. XXVII, Appendice n.12; Locarno Konferenz, cit., pp.183-190;

Tagebuchaufzeichnungen Stresemanns, 13 ottobre 1925,ADAP,A, Band XIV, pp.697-699.74 Della Torretta a Mussolini, 12 ottobre 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.152.75 Graham a Chamberlain, 14 ottobre 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.539.76 Udienze accordate da S. E. il Presidente, 14 ottobre 1925, ASMAE, Arch.Gab., Serie

«Gabinetto del Ministro» (GM), busta 42: «Udienze postillate da S. E. il Capo delGoverno», fasc. «1925».

77 Come si evince consultando le carte relative ai rapporti con la stampa: ASMAE,

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Capitolo V – L’Italia alla Conferenza di Locarno

Arch.Gab, GM, Busta 5: «Rapporti con la stampa e le agenzie telegrafiche 1923-1924-1925», fasc.«1925».

78 Besnard a Briand, 15 ottobre 1925, tel.513,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.84.79 Ultimi significativi episodi a riguardo erano stati gli attacchi del «Daily News» all’Italia

(DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.137) e la pubblicazione da parte di un quotidiano ita-liano di un preteso testo del patto di sicurezza (ibidem, doc.146).

80 Un dispaccio della Stefani del 15 ottobre (tel.2118/48) informava che quello traMussolini e Chamberlain (il quale era accompagnato da Selby) era stato un «lungocordialissimo colloquio». È comunque da tener presente che il ministro inglese alle ore18,30 era già nella sua stanza al Grand Hotel per un incontro con le delegazioni fran-cese e tedesca circa il controllo militare della Germania; argomento che, per la sua deli-catezza, avrebbe invero richiesto anche la partecipazione italiana. Non risulta comun-que che questo tema sia stato toccato da Chamberlain, incontrando Mussolini.Cfr.DBFP, I Series, vol.XXVII,Appendice 13, pp.1159-1170.

81 Record by Mr.Chamberlain of a conversation with the Italian Prime Minister, 15 ottobre 1925,DBFP, Series I, vol. XXVII, doc.545;Appunto autografo di Mussolini, 15 ottobre 1925,ASMAE, Arch.Gab., GM, busta 1: «Colloqui di Mussolini 1925»; cfr. Opera omnia,vol.XXI, cit., pp.529-530.

82 Il resoconto inglese del colloquio Mussolini-Chamberlain non riporta la dichiarazio-ne di Mussolini di self-defence del Brennero. Il verbale autografo di Mussolini, ad ognimodo, ci sembra la prova lampante di come esattamente si collocava il problema delBrennero nell’economia degli interessi italiani.

83 «L’Albania – ricorda Chamberlain – fu solo menzionata a pie’ della lista, e senza com-mento, ma tale silenzio fu più eloquente delle parole».Va infatti ricordato che, nel frat-tempo, l’Italia perseguiva un’azione diplomatica in Albania, finalizzata, dopo il pattomilitare segreto firmato nell’agosto del 1925, alla conclusione di un accordo politico.Cfr. P. PASTORELLI, Italia e Albania 1924-1927, cit. Il Ministro inglese propose aMussolini di studiare l’ipotesi di un patto di sicurezza tra la Romania, laCecoslovacchia, la Jugoslavia, l’Ungheria e l’Austria. Mussolini vi si mostrò favorevo-le, ma con Chamberlain convenne che occorreva attendere lo sviluppo degli eventi.DBFP, Series I, doc.545, già citato.

84 «Nulla c’è stato tra noi di grande effetto – concluse Chamberlain – ma io ritengo l’in-contro importante per l’opportunità che mi ha dato di confermare le cordiali relazio-ni personali tra Mussolini e me, che sono state certamente determinanti nell’appiana-mento di alcune delle difficoltà sorte tra i nostri due paesi da quando lo incontrai perla prima volta a Roma».

85 Il colloquio venne preannunciato da Berthelot al Quai d’Orsay con tel.51-54 del 15ottobre 1925,AMAE, Série Y: Internationale, vol.27.

86 Il francesismo è riportato e sottolineato nel manoscritto.

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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

87 Singolare fu però la critica di Briand agli Aventiniani, nel senso che «l’Aventino avevaperduto la partita e che non poteva accadere diversamente, trattandosi di un ‘vecchiousato personale politico’». Sull’atteggiamento di Briand nei confronti del fascismo edell’opposizione anti-fascista, si vedano le osservazioni di P. PASTORELLI, Il concettodi nazionalità, cit., p.197.

88 Del resto Mussolini, già prima della Conferenza di Locarno, era stato rassicurato sulfatto che Chamberlain avrebbe frustrato simili propositi; e che da parte tedesca nonv’era intenzione alcuna di sollevare problemi all’ultimo momento. Cfr. Della Torrettaa Mussolini, 2 ottobre 1925, tel. 1966/737; De Bosdari a Mussolini, 5 ottobre 1925(partito alle ore 8,50), tel. 2003/300.ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41.

89 Cfr. ancora De Bosdari a Mussolini, 5 ottobre 1925, tel.2003/300,già citato.90 «Lo Skrzynski – scrisse Mussolini nel suo verbale – è ultra-anglofilo. Nel complesso

egli non mi appare ottimista e definisce tutti gli accordi come una specie di armistizio»(ilcorsivo indica qui le parole sottolineate).Tale atteggiamento del ministro polacco risul-ta ampiamente documentato nel volume XXVII della Series I dei DBFP.

91 Agenzia Stefani, 16 ottobre 1925, tel.2132/53,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 42.92 Non si pubblicano le Tagebuchaufzeichnungen di Stresemann, di quel 16 ottobre (ma

potrebbe essergli mancato il tempo di scriverle). Le ultime, di queste annotazioni, data-te 18 ottobre e riassuntive dell’esperienza di Locarno, tacciono sull’incontro conMussolini. Cfr.ADAP,A, Band XIV, pp.702-705.

93 Quel 16 ottobre Mussolini vide Chamberlain e Briand tra le 10,30 e le 11,30; quin-di, intorno alle 12,30, incontrò Benes e Skrzynski.

94 Cfr. DBFP, Series I, vol.XXVII,Appendice n.14, già citata, spec.p.1166 e doc.547.95 Agenzia Stefani, 16 ottobre 1925, tel.2143/59,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 42. Cfr.

DBFP, Series I, vol.XXVII, Appendice n.15, p.1174. Il discorso è riassunto in LocarnoKonferenz, cit., p.195.

96 Per ciò che riguarda i rapporti tra la Francia ed i suoi alleati orientali si veda P. S.WANDYCZ, France and Her Eastern Allies, cit., specialmente, per il periodo che quiinteressa, le pp.341-368. Utile è anche consultare H. von RIEKHOFF, German-PolishRelations 1918-1933, Baltimore-London 1971. A. M. CIENCIALA - T. KOMAR-NICKI, From Versailles to Locarno, cit.

97 Cfr. DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.291.98 Massigli a Laroche, 9 settembre 1925; cfr. Briand a Skrzynski, 9 settembre 1925, l.p.

AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.82.99 Berthelot a De Margerie, 22 settembre 1925, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne,

vol.83; cfr. Berthelot a Londra, Bruxelles,Varsavia, Roma, Praga, 22 settembre 1925,telegramma con vari numeri, ibidem.

100 De Margerie a Briand, 23 settembre 1925, tel.1518,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne,vol.83. Skrzynski era chiaramente infastidito anche dal comportamento di Benes .

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Capitolo V – L’Italia alla Conferenza di Locarno

Couget a Briand, 23 settembre 1925, tel.64; Briand alle rappresentanze diplomaticheall’estero, 24 settembre 1925, telegramma con vari numeri, ibidem. Skrzynski a Briand,29 settembre 1925 l.p. (pervenuta il 30),AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.84.

101 D’Abernon a Chamberlain, 22 settembre 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.484.Von Schubert aveva peraltro fatto presente al D’Abernon l’inopportunità di convoca-re da subito i rappresentanti di Polonia e di Cecoslovacchia all’imminente rappresen-tanza dei ministri, non essendo parti interessate alla sicurezza sul Reno. Aufzeichnungdes Staatssekretärs des Auswärtigen Amts von Schubert, 21 settembre 1925,ADAP,A, BandXIV, doc.72.

102 Record by Mr.Lampson of a conversation with Herr von Schubert, 4 ottobre 1925, DBFP,Series I, vol.XXVII, doc.513.

103 Laroche a De Margerie, 7 ottobre 1925,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.84.104 Record by Mr. Chamberlain of a conversation with the German Chancellor, 6 ottobre 1925,

DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.518.105 Chamberlain a Tyrrell, 7 ottobre 1925, ibidem, doc.519.106 Memorandum by Mr. Lampson, 7 ottobre 1925, ibidem, doc.520.Va osservato che anche

Benes , dopo conversazioni con Briand, aveva messo allo studio e proposto al Massigliquattro graduali formule di garanzia: 1) garanzia operante a discrezione del garante; 2)garanzia contro aggressione constatata dal garante, ma operante solo con deferimentodella questione al Consiglio della Società delle Nazioni, che avrebbe deciso all’unani-mità; 3) garanzia contro aggressione constatata dal garante, ma operante solo qualora ilConsiglio, all’unanimità ed entro 4 giorni dal deferimento della questione, non avessedeciso altrimenti; 4) garanzia contro aggressione constatata dal garante ma operantesolo qualora il Consiglio, a maggioranza ed entro 4 giorni dal deferimento, non aves-se deciso altrimenti. Unanimità e maggioranza si conteggiavano escludendo le partialla controversia. Benes disse di preferire la terza delle formule prospettate. Quatredegrés de la garantie, documento inviato da Benes a Massigli l’8 ottobre 1925, AMAE,Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.84.

107 Laroche a De Margerie, 11 ottobre 1925, tel.992-993, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.84.

108 Berthelot a MAE, 11 ottobre 1925, tel.29-31,AMAE, Série Y-Internationale, vol.27.109 Dispaccio n.2073/33 dell’Agenzia Stefani del 12 ottobre. ASMAE, Arch.Gab., TSN,

busta 42. Cfr.Tagebuchaufzeichnungen Stresemanns, 12 ottobre 1925,ADAP,A, Band XIV,pp.696-697.

110 Cfr.DBFP, Series I, vol.XXVII, allegato al doc.531. La seduta del 13 ottobre venneanch’essa preceduta da incontri e da scambi di vedute. Skrzynski vide Luther eStresemann e con loro ebbe un colloquio di circa tre quarti d’ora. Fu quindi la voltadi Benes di abboccarsi con lo Stresemann per mezz’ora. Alle 13 Briand e Scialoja,accompagnati da membri del seguito, fecero una gita in motoscafo sul lago, durata circa

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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

un’ora e mezza. Agenzia Stefani, dispaccio n.2095/42 del 13 ottobre 1925, ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 42.

111 DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.537; cfr.doc.536.112 Briand a Laroche, 13 ottobre 1925, tel.41-43,AMAE, Série Y: Internationale, vol.27.113 D’Abernon a Chamberlain, 14 ottobre 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.540.114 Chamberlain a Tyrrell, 15 ottobre 1925, ibidem, doc.543.115 Chamberlain a Tyrrell, 17 ottobre 1925, ibidem, doc.547; cfr.Appendice, n.15.116 DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.550, nota 6; cfr.Appendice n.5, p.1093.117 P. S.WANDYCZ, France and Her Eastern Allies, cit., p.363-364; nonché Appendix VI,

pp.398-399.118 De Fleuriau a Briand, 19 luglio 1925, tel.384,AMAE, Z-Europe: Italie, vol.83.119 Cfr. Della Torretta a Mussolini, 28 luglio 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.74.120 Roger a Briand, 17 agosto 1925, tel.432,AMAE, Z-Europe: Italie, vol.83.121 Della Torretta a Mussolini, 11 agosto 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.91 e nota

3 a pag.70. Chamberlain osservò altresì come la formula della collaborazione angloi-taliana nei Balcani era già stata sperimentata con successo in altri casi (come quellodelle concessioni petrolifere in Albania).

122 Della Torretta a Mussolini, 12 agosto 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.92.123 Briand a Besnard, 17 agosto 1925, tel.785-786, confidenziale,AMAE, Z-Europe: Italie,

vol.83.124 Nota di Laroche, 22 ottobre 1925,AMAE, Z-Europe: Italie, vol.84.125 Mussolini a Briand, lettera autografata senza data (ma preparata il 7 ottobre ed inviata

con lettera di Romano Avezzana a Briand del 23 ottobre, pervenuta al Quai d’Orsay il27). Ibidem. Identico messaggio fu fatto pervenire a Chamberlain con una lettera diDella Torretta a Lampson del 24 successivo. DBFP, Series I, vol.XXVII, nota 5 adoc.545. Il Lefebvre D’Ovidio ha trovato copia della lettera, con data 7 ottobre, inASMAE, «Rappresentanze Diplomatiche»,Ambasciata di Londra, busta 593. F. LEFEB-VRE D’OVIDIO, L’intesa italo-francese del 1935, cit., p.134 e nota 43.

126 P. PASTORELLI, Italia e Albania 1924-1927, pp.157-162. L’Autore precisa cheMussolini non sposò nessuna delle due linee politiche.

127 Cfr. DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.67.128 Sulla questione dell’istituzione della Banca d’Albania e della Società per lo Sviluppo

Economico dell’Albania, P. PASTORELLI, Italia e Albania 1924-1927, cit., pp. 123-135; 189; 200-201. Cfr. Zogu a Mussolini, 19 agosto 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV,doc.101, nonché Mussolini a Lessona, 20 ottobre 1925, doc.157.

129 Ibidem, docc.101, 105, 115, 139. Cfr. P. PASTORELLI, Italia e Albania 1924-1927, cit.,pp.213-214. Una tale linea, scrive il Carocci, rientrava nell’alveo di quella politica tesaad evitare un troppo intimo legame con la Francia. Sempre il Carocci sottolinea comeContarini condividesse tale punto di vista; anche se questi voleva «deprimere» e non

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Capitolo V – L’Italia alla Conferenza di Locarno

annullare l’influenza francese nei Balcani. G. CAROCCI, La politica estera dell’Italiafascista, cit., p.44.

130 P. PASTORELLI, Italia e Albania 1924-1927, cit., p.230.131 Quest’atteggiamento era condiviso ed assecondato dal Romano Avezzana il quale, il

29 ottobre, consigliò a Mussolini di «lasciar cadere la proposta o tutto al più – qualo-ra il Governo britannico v’insistesse – di formularla in termini più vaghi possibili».Romano Avezzana a Mussolini, 29 ottobre 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.222.

132 Cfr. DDI, Serie Settima, vol. IV, doc.164.133 Il che aveva bloccato la trattativa italo-albanese. P. PASTORELLI, Italia e Albania 1924-

1927, cit., pp.219 e 226.134 Il Ministro a Bucarest, Savona, informò che era in programma uno scambio di idee

circa una prossima conferenza della Piccola Intesa, da tenersi a Belgrado a fine novem-bre. «Argomenti conferenza sarebbero principalmente rapporti economici dei tre Statiin rapporto con gli altri Stati vicini e conseguenze patto arbitrato concluso a Locarno».Savona a Mussolini, 31 ottobre 1925, tel.2341/337,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 42.

135 P. PASTORELLI, Italia e Albania 1924-1927, cit., p. 232. L’Autore attribuisce il silen-zio degli alleati sulla questione della sicurezza orientale ad un intervento di Parigi,nonché al fallimento del progetto di Chamberlain di coinvolgere nel nuovo sistemaanche l’Ungheria (nota 17).

136 Ibidem, p.229.137 Ne fa fede un promemoria anonimo del 17 settembre, di cui il destinatario era pro-

babilmente Scialoja stesso. DDI, Serie Settima, vol. IV, doc.122. Cfr. G. CAROCCI, Lapolitica estera dell’Italia fascista, cit., p.53.

138 Cfr. Della Torretta a Mussolini, 28 settembre 1925, DDI, Serie Settima, vol. IV,doc.132.

139 Sul problema dell’isolamento diplomatico, si veda quanto scrive il Carocci a proposi-to del nesso tra la riluttanza di Mussolini a sottoscrivere i Patti di Locarno e la pro-spettiva di collaborazione francotedesca che minacciava di escludere l’Italia. G.CAROCCI, La politica estera dell’Italia fascista, cit., pp.46-47. Sul punto vedasi anche R.DE FELICE, Mussolini il duce I: gli anni del consenso, cit., p.352.

140 Si veda ancora G. CAROCCI, La politica estera dell’Italia fascista, cit., p.47.

248

Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

CAPITOLO VI.

DALLA CONFERENZAALLA FIRMA DEI PATTI DI LOCARNO

1. I NUOVI PATTI E LE REAZIONI NEI PAESI FIRMATARI

In Belgio, i patti non furono, in linea generale, oggetto di critica.Vandervelde, appena tornato in patria, fu preso di mira per un incidentemarginale occorso a Locarno. Egli si era rifiutato di incontrare Mussolini,in nome dell’incompatibilità tra fascismo e socialismo. Questo gesto di scar-sa cortesia diplomatica fu criticato dalla Nation Belge, che ritenne «incon-cepibile che, in un uomo del valore del signor Vandervelde, il socialistainternazionalista abbia preso piede, all’occorrenza, sul ministro degli affariesteri»1. Le difese di Vandervelde furono prese da Le Soir, in un articolo fir-mato sotto pseudonimo dal noto commentatore politico Cauvin2. Causticofu però il nuovo attacco sferrato contro il ministro belga dalla DernièreHeure, che, a fine ottobre parlò addirittura di cabotinage (ciarlataneria) di un«grande commediante marxista»3.

Le dichiarazioni che Vandervelde rese alla Camera dei Rappresentanti4

sortirono commenti non meno critici. La Nation Belge le giudicò un’«arrin-ga di un dottrinario del socialismo in favore della sua dottrina piuttosto cheun discorso di uomo di Stato fiero dei risultati e della durata di un’operapositiva»5. Di particolare interesse è anche il discorso che Vandervelde tenneil 19 novembre alla Maison du Peuple. Il testo del patto di Locarno, a suoparere, coincideva con le risoluzioni prese dal Congresso di Marsiglia, e ciògrazie all’influsso di “compagni” come de Brouckère e Paul-Boncour. «Così– aggiunse Vandervelde – da marxisti quali siamo, dobbiamo dar posto alleragioni d’ordine economico per cui le potenze sentono il bisogno di pace»6.Il ministro degli esteri belga aggiunse che il suo paese non avrebbe mai par-

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tecipato a un complotto contro la Russia. L’ideale di sicurezza perVandervelde era sempre il Protocollo di Ginevra, fermo restando che eraormai necessario riunire al più presto una conferenza sul disarmo, obiettivoche la maturazione del pensiero socialista avrebbe contribuito a realizzare7.

A parte i malumori provocati dall’incidente ricordato (al quale, peraltro,Mussolini stesso non diede gran peso), ed il fatto che Vandervelde agiva eparlava nella doppia veste di ministro degli esteri e di militante socialista,l’opinione pubblica belga si mostrò generalmente soddisfatta dei patti diLocarno8.

La posizione generale della Francia è desumibile da un dispaccio che fuinviato a tutte le rappresentanze diplomatiche all’estero, il 4 novembre. Inesso, Laroche riassumeva i precedenti del negoziato sul patto di sicurezza.Nato da una proposta tedesca, che probabilmente conteneva degli arrière-pensées, il patto era divenuto strumento della solidarietà interalleata, in gradodi condurre la Germania nella Società delle Nazioni, salvaguardando lealleanze della Francia e frustrando i tentativi tedeschi di legare il negoziatosul patto ad altre questioni. «Così, senza sacrificare alcun interesse essenzia-le – era la conclusione di Laroche – abbiamo ottenuto un’adesione volon-taria della Germania alle clausole territoriali del Trattato di Versailles per ciòche ci concerne, e ci siamo assicurati, per il mantenimento di questa fron-tiera, la garanzia britannica che, dall’abbandono dei trattati del 1919, nonaveva potuto esser ottenuta. È un risultato tanto più importante che, nellecircostanze in cui è stato realizzato, esso si accompagna ad un certo miglio-ramento nelle relazioni francotedesche»9. In Francia, secondo l’ambasciato-re italiano, Locarno pareva aver segnato un nuovo indirizzo politico cheandava a concretizzarsi nella rinunzia francese alla formazione del cosid-detto “stato cuscinetto renano”; il che non poteva non incontrare il bene-placito di Chamberlain10. La Francia, uno degli architetti di Locarno, sareb-be stata dunque rappresentata al massimo livello, il 1º dicembre, data dellacerimonia solenne della firma a Londra11.

La posizione britannica, all’indomani della parafatura dei patti di Locarno,fu illustrata da Chamberlain, mentre era ancora a Locarno, in una serie didispacci al Foreign Office e ad altri. Da essi emerge il desiderio di impostare le

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relazioni con la Germania su nuove basi, e l’auspicio che anche la Franciavolesse ispirarsi a princìpi di equanimità e di comprensione, specialmente perquanto riguardava il regime di occupazione dei territori renani12.

Il 18 novembre, Chamberlain pronunciò alla Camera dei Comuni undiscorso in cui sottolineò la necessità dei due garanti, Gran Bretagna edItalia, di consultarsi prima di intraprendere qualsiasi azione. Non furonosollevati particolari problemi, e i patti di Locarno vennero approvati dallaCamera dei Comuni con 375 voti contro 1313.

Per quanto riguarda la Cecoslovacchia, appena tornato in patria daLocarno, Benes scrisse al Presidente della Repubblica Masaryk che il nuovosistema di sicurezza e di arbitrato non avrebbe compromesso gli interessi ele garanzie previste dalle grandi potenze in favore del paese.V’erano anzi,per Benes, nei nuovi patti (anche in quello di assistenza concluso con laFrancia), dei punti vitali per il futuro della sicurezza cecoslovacca. Masaryksi compiacque dei risultati raggiunti14. La stampa cecoslovacca, ivi compre-sa quella di opposizione, fece buona accoglienza ai patti di Locarno.Unanime fu la convinzione che si fosse evitato il peggio e scongiurato ilpericolo di accordi alle spalle ed a spese della Cecoslovacchia, col benesta-re della Francia. La Prager Presse condivise le idee espresse da Benes, nellasua lettera a Masaryk, mentre il Ceske Slovo osservò che la Francia rimane-va sempre libera di intervenire in favore della Cecoslovacchia, essendo la suaalleanza con questa molto più precisa e circostanziata degli obblighi previ-sti dall’articolo 16 del Covenant15. Era, questa, anche l’opinione del mini-stro degli esteri, il quale peraltro non tardò a preconizzare una “secondaLocarno” in cui tutta l’Europa si sarebbe accordata con la Russia16. Benesespresse la massima soddisfazione per i risultati raggiunti a Locarno, comeattesta il suo lungo discorso del 30 ottobre innanzi alla CommissioneParlamentare Permanente, competente per la politica estera17.

Alquanto diverso fu l’approccio della Polonia nei confronti dei nuovipatti. Sorprenderà il fatto che, sceso dal treno alla stazione di Varsavia,Skrzynski si fosse prodigato in elogi alla fermezza e lealtà di Chamberlain edalla prodigiosa abilità di Briand. «È stato come un sogno – furono le sueparole – i tedeschi sono partiti estasiati, incantati e a mani vuote»18. Parlando

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quindi alla Commissione Esteri della Dieta, il ministro polacco espresse l’av-viso che il patto di assistenza rafforzava, invece di indebolire, l’alleanza fran-copolacca del 1921, essendo previsti impegni più estesi19. Ma Skrzynskiaggiunse che il trattato di arbitrato tedescopolacco era una «transazione sullabase del meno peggio», cui il Parlamento avrebbe assicurato la sua ratificasolo per non incorrere in gravi responsabilità di fronte all’Europa20.

La Commissione Esteri manifestò tuttavia un’opinione critica nei con-fronti del sistema locarnista e ventilò, nella fattispecie, la preoccupazioneche Skrzynski avesse accettato la creazione di una doppia categoria di fron-tiere in Europa. Lo stesso preambolo del patto di arbitrato tedescopolacco,poi, era giudicato vago, mentre il nuovo patto francopolacco di mutua assi-stenza veniva considerato garanzia molto meno solida e sicura della vecchiaalleanza del 1921. «Se da questo panorama si deve prevedere il futuro –osservò il ministro italiano a Varsavia, Majoni – la lotta per la ratifica delpatto sarà aspra. Ma si sa ormai che in gran parte i democratico-nazionali,e ancora i socialisti, il partito operaio nazionale e fors’anche la minoranzatedesca sono favorevoli. Nessun partito poi vuole assumersi la responsabi-lità di respingere il patto gettando la Polonia nell’isolamento»21.

La Germania si trovava nella posizione della potenza europea maggior-mente interessata dai mutamenti intervenuti a Locarno. Il Governo Lutherassicurò che avrebbe proseguito nella sua politica di collaborazione; le dif-ficoltà frapposte dal fronte tedesco-nazionale non erano in fondo tali daindurre un personaggio come Stresemann alle dimissioni. Per il paese eranoad ogni modo importanti le “ripercussioni politiche” di Locarno. E infattiil governo tedesco consegnò, il 23 ottobre, una nota alla conferenza degliambasciatori, chiedendo l’evacuazione della zona di Colonia, prima del-l’entrata in vigore dei patti, o meglio prima che il governo tedesco li sot-toponesse al Reichstag22.

A livello politico, era comunque diffusa la soddisfazione per come eranoandate le cose, anche se ciò non voleva dire accettazione passiva del nuovosistema. Nel governo del Land bavarese, ad esempio, correva voce che,entrando nella Società delle Nazioni, la Germania avrebbe potuto solleva-re le questioni dell’Alta Slesia e delle colonie, e ciò grazie anche all’inter-

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vento di esperti in riparazioni come Schacht, il quale, trovandosi negli StatiUniti per dei negoziati economici, avrebbe potuto manifestare agli ameri-cani simili intenzioni.Tutto ciò significava che la Germania si sarebbe ser-vita, prima o poi, dell’articolo 19 del Covenant per sanare la questione sle-siana e che, in qualità di membro del Consiglio della Società delle Nazioni,avrebbe chiesto dei mandati coloniali 23. Il primo ministro e ministro degliesteri bavarese, Held, aveva poi lodato Luther e Stresemann per il loro ope-rato a Locarno, al contempo riservandosi il giudizio sugli effetti pratici diquegli accordi; mentre il rappresentante governativo in Baviera avevadichiarato che era necessario un beau geste da parte francese, per toglieredagli impacci parlamentari il cancelliere ed il ministro degli esteri24.

Il Consiglio dei Ministri approvò i patti di Locarno, senza però rilascia-re alcun comunicato ufficiale. Si profilava già la netta opposizione del par-tito tedesco-nazionale, che alla vigilia della sua riunione plenaria avevasconfessato l’operato dei suoi ministri, dei quali si previde l’uscita dalGabinetto Luther25. Ciò si verificò puntualmente, mettendo in forse l’esi-stenza dell’intero governo.

Per Luther sembrava ormai profilarsi l’abbandono della partita, o alter-nativamente l’apertura immediata ai socialisti (i quali avevano vinto le ele-zioni municipali berlinesi, davanti a comunisti e nazionalisti), notoriamen-te molto favorevoli ai patti di Locarno26. Si spiega così come mai coloroche, come von Schubert, speravano nell’approvazione dei patti al Reichstag,ritenessero anche necessario un aiuto degli alleati al governo tedesco, con-cedendo o almeno promettendo l’evacuazione di Colonia e la revisione delregime di occupazione nelle altre zone. Lo stesso von Schubert fece chie-dere a Mussolini di intervenire in tal senso27.

Quanto a Stresemann, egli dichiarò al De Bosdari di vedere nei patti diLocarno un mezzo per allontanare dall’Europa lo spettro della guerra; mase così non fosse stato, nessuno avrebbe potuto prevedere il futuro28. Nelcorso di una visita alla Camera di Commercio di Dresda, Stresemanndichiarò, il 31 ottobre, che il patto di sicurezza garantiva non solo la Franciada un attacco non provocato sulla sua frontiera, ma anche la Germania, dallamedesima eventualità29. Al D’Abernon Stresemann poi disse che niente nel

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patto andava contro il Trattato di Versailles e fece anche presente che il pattonon limitava né alterava i diritti della Germania, previsti dall’articolo 431 diVersailles30. Per Stresemann, Locarno aveva inoltre risolto il dilemma dellacompatibilità tra Kriegsschuldfrage ed entrata della Germania nella Societàdelle Nazioni. Questa infatti si riprometteva il ristabilimento della comple-ta libertà e sovranità sul suo territorio31.

A metà novembre si apprese la notizia del definitivo rifiuto, opposto daitedesco-nazionali ai Patti di Locarno32. In un discorso al Reichstag, il 23novembre, Luther annunciò le dimissioni sue e dell’intero governo, nonappena firmati i patti a Londra. Egli dichiarò altresì che qualsiasi occupa-zione straniera del territorio tedesco perdeva, alla stregua dei nuovi accor-di, ogni ragion d’essere. Quanto alle conseguenze dell’ingresso dellaGermania nella Società delle Nazioni, era chiaro come essa non sarebbestata obbligata, solo in virtù di ciò, ad intervenire contro uno stato che nonfosse dalla Germania stessa considerato perturbatore della pace, nonchéaggressore. Alla Germania, proseguì Luther nel suo discorso al Reichstag, sidoveva inoltre riconoscere il diritto ai mandati coloniali. «La Germania –egli concluse – sarà in grado di far valere la sua naturale importanza nellaSocietà delle Nazioni, per tutte le questioni che interessano lo stato tedescoed il popolo tedesco, dentro e fuori i confini dello Stato».

Le parole di Luther contenevano dunque un non troppo velato accen-no alla possibilità di unione politica tra l’Austria e la Germania. In effetti,proprio nel corso del dibattito al Reichstag e sulla scia delle dichiarazioni delcancelliere, il presidente del partito democratico, Koch, osservò cheLocarno non era altro che una tappa, come lo erano state le conferenze diCannes e di Londra; occorreva ora mirare alla fine dell’occupazione stra-niera in Renania, ad un plebiscito anticipato nella Saar e, naturalmente,all’Anschluss. «Se Mussolini vi si oppone – aveva aggiunto – ciò è tanto piùvergognoso in quanto che l’Italia deve la sua liberazione alla simpatia tede-sca e all’aiuto delle armi prussiane». È da notare che il Koch inserì questedichiarazioni in un discorso dai toni tutto sommato equilibrati33.

Nel corso del dibattito al Reichstag, l’ambasciatore italiano riportò l’im-pressione che le dichiarazioni rese da Luther implicassero anche il proposi-

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to di sollevare in sede ginevrina la questione delle popolazioni tedesche cheancora si trovavano sotto il “giogo straniero”. Gli parve, inoltre, di percepi-re un diffuso sentimento anti-italiano, probabilmente dettato dalla dichiara-ta opposizione dell’Italia all’Anschluss. In quasi tutti i partiti politici si face-va poi strada la convinzione che l’annessione dell’Austria alla Germaniasarebbe stata presto possibile, grazie al disinteresse di inglesi e francesi neiconfronti del piccolo stato danubiano e che ciò, alla fine, avrebbe isolato ereso impotente l’Italia34.

Dal 23 al 27 novembre, dunque, i Patti di Locarno furono discussi alReichstag e da questo approvati a maggioranza semplice, con 291 voti con-tro 174 e 3 astensioni. A favore votarono i socialdemocratici, il centro, ilpartito popolare, quello democratico, il partito popolare bavarese (cuiappartenevano i 3 astenuti), il partito contadino bavarese e gli hannoveria-ni. Contro si pronunciarono i tedesco-nazionali, i comunisti, la formazionenazionalista del lavoro ed il partito economico35. Al Reichsrat i trattati diLocarno erano già passati il 21 novembre, con 46 voti contro 4 e 3 asten-sioni. Contro votarono Prussia Orientale, Pomerania, Mecklemburg-Schwerin, Bassa Slesia. Si astennero Württemberg, Baviera ed Assia-Nassau.Turingia e Brunswick domandarono al Governo di chiedere agli alleati l’as-sicurazione che i termini dell’occupazione sarebbero stati abbreviati36.

In questo quadro, i patti appena conclusi a Locarno costituivano senz’al-tro una vittoria diplomatica della Germania, non soltanto perché essa tor-nava a trattare alla pari con le potenze vincitrici, dopo anni di ostracismo,ma anche perché, grazie a Locarno, era ora possibile realizzare un disegnodi revisione pacifica dell’assetto postbellico, nel quadro della Società delleNazioni e con gli strumenti che il Covenant metteva a disposizione37.

L’Italia non era contraria al ritorno della Germania nel novero dellepotenze europee38, ma guardava con diffidenza l’aspetto revisionista dellasua politica, una diffidenza che con il passar del tempo divenne il segno pre-valente dei rapporti tra i due paesi.

I giornali italiani avevano interpretato l’accenno di Luther circa il dirit-to della Germania ai mandati coloniali nel senso di una promessa fatta daivincitori a Locarno. Mussolini, il 25 novembre, smentì recisamente che in

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proposito fossero intercorse trattative fra le delegazioni alla Conferenza.Egliaggiunse che era bene «mettere sull’avviso i Governi che l’Italia in materiadi mandati coloniali rivendica il suo incontestabile diritto di priorità»; altri-menti, avrebbe riconsiderato la sua posizione anche nei confronti dei Pattidi Locarno. Il capo del Governo italiano raccomandò tuttavia agli amba-sciatori a Londra e a Parigi di affrontare la questione con prudenza, per evi-tare che solo l’Italia venisse oberata della responsabilità di opporsi allaGermania. Egli chiese anche di verificare se le dichiarazioni di Luther deri-vavano da precise promesse di Londra e di Parigi, di cui l’Italia non era statainformata39.Così Mussolini reagiva alle notizie inviate il 23 novembre dal-l’ambasciatore a Berlino circa l’andamento del dibattito al Reichstag. Di taleatteggiamento di ferma opposizione alle mene tedesche non vi è maggiortraccia ed anche i Documenti Diplomatici Italiani tacciono sul punto; ad ognimodo, la posizione generale di Mussolini era talmente chiara che nessunnuovo elemento potrebbe spiegarla meglio.

In Italia, la pubblicistica politica aveva seguito, fin dagli inizi e con acca-nimento, la questione del patto di sicurezza. Già il 5 gennaio, dalle colon-ne del Giornale d’Italia, lo Schanzer aveva criticato il riserbo britannico (dalui attribuito ai soli conservatori) verso impegni continentali, riserbo di cuis’era fatto portavoce il commentatore politico Garvin sulle colonnedell’Observer40. Con la proposta tedesca, Schanzer vide aprirsi un’era nuova,in cui occorreva agire e «sottrarre la Germania all’abbraccio moscovita», perpoi estendere la garanzia a tutte le frontiere.All’Italia doveva poi esser riser-vata «una parte precipua nella soluzione di questo problema», in piena soli-darietà con gli altri paesi interessati41. Questi, e i già ricordati commenti diSchanzer e di Sforza (supra, cap. III. § 2) sono indice di una sintonia tra vec-chia classe dirigente e nuovo regime fascista, limitatamente a problemi dipolitica estera che questo aveva ereditato dai governi liberali 42.

I nazionalisti del gruppo di Francesco Coppola e della rivista Politicafurono i più ascoltati, non solo dalla borghesia intellettuale, ma dallo stessoregime, dopo che il partito nazionalista era confluito, nel febbraio 1923, inquello fascista. Coppola aveva raccolto in volume articoli di politica inter-nazionale, apparsi qualche anno prima sulle pagine della sua rivista43.

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Anche in occasione del patto renano non mancò il suo contributo. Eglicontestava l’assioma della «pace definitiva» e vedeva nel protocollo ginevri-no «la cristallizzazione e l’immobilità definitiva della carta politica e impe-riale del mondo», nonché la paralisi degli interessi italiani44. Per l’Italia,Coppola voleva consistenti vantaggi nel Mediterraneo, e nello stesso tempopretendeva che si conservasse la formula del “patto a cinque”. Un giudiziocomplessivo sui Patti di Locarno fu espresso da Coppola in un interventosu Politica, nel dicembre 1925. Egli evidenziò la «capitale necessità storica»di dar sbocchi all’esuberanza demografica di un’Italia popolosa come laFrancia, ma con un territorio inferiore della metà. Occorreva por rimedioa questa situazione, minacciante l’ordine interno, cercare di procurare spazinuovi, anche con la forza. In tale ottica, cos’era Locarno? L’esatto contrariodel Protocollo di Ginevra, in quanto «le potenze contraenti non prendevanoalcuno impegno, non solamente per ciò che riguarda i rapporti e gli even-tuali conflitti tra ciascuna di esse e le altre potenze, ma nemmeno per ciòche riguarda i rapporti e gli eventuali conflitti tra esse stesse per qualsiasialtro oggetto che non sia specificamente la frontiera del Reno». Partendoda queste considerazioni, Coppola traeva un giudizio politico: «L’obbligo èdunque formidabile, ma non oltrepassa quello che, con o senza il trattato diLocarno, la necessità stessa della loro storia imporrebbe in ogni caso eall’Inghilterra e all’Italia», le quali si avvantaggiavano di una maggiore auto-rità e, in definitiva, di una maggiore potenza politica. «Locarno è la sosta perripigliar fiato – concludeva il Coppola – è la tregua, durante la quale cia-scuno di essi si rifarà le forze e l’animo per riprendere più o meno prestoil fatale cammino della storia, cioè di nuovo la concorrenza e la lotta»45.

Con questa linea concordava Enrico Corradini, nazionalista anch’egli e,come il Coppola, membro della «Commissione Rocco» sulle riforme costi-tuzionali (di cui fu vicepresidente)46.

Delle venature polemiche di Ardengo Soffici si è già detto (supra, cap.IV. § 3). Certamente, i giudizi appena esposti erano propri di un’area dipensiero nazionalista, a volte viziata da accenti deteriori. Resta il fatto chepiù ampi strati della società borghese e liberale vedevano i Patti di Locarnoin non diversa luce, e ne ravvisavano i vantaggi soprattutto nel fatto che il

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ruolo dell’Italia nella Conferenza in Svizzera era stato di ben più alto pre-stigio di quello avuto alla Conferenza di Parigi del 1919. Per questo,Locarno segnava l’inizio della revisione di Versailles, di una “revisionemorale”, piuttosto che territoriale47.

2. LA FIRMA A LONDRA DEI PATTI DI LOCARNO

Si era stabilito a Locarno di firmare i patti a Londra il 1º dicembre. Nellacapitale britannica, com’è noto, giunsero tutti i grandi protagonisti dellascena locarnista, tranne Mussolini, il quale rimase a Roma. È possibilemotivare tale assenza solo con la disapprovazione dei tentativi tedeschi diparlare di Anschluss e di colonie, e dell’ignavia attribuita agli ex alleati?48

Per tentare una risposta, occorre prestare attenzione al fatto cheMussolini prese la decisione di non andare a Londra, e di farsi ivi rappre-sentare da Scialoja, nella terza decade di novembre e che egli comunicò taledecisione a Graham la mattina del 25, quando aveva già ricevuto da Berlinole notizie sul rinfocolarsi della questione dell’Anschluss e dei mandati colo-niali in sede di dibattito al Reichstag49. I dubbi sulla fermezza degli ex allea-ti e l’attesa di chiarimenti sulla loro condotta possono rappresentare un vali-do motivo perché Mussolini annullasse la sua trasferta a Londra. Ma si pos-sono anche proporre altre argomentazioni, evinte dalla ricostruzione deifatti, così come consentita dai documenti.

Pochi giorni dopo la chiusura della conferenza di Locarno, Chamberlainaveva confermato a Mussolini l’apprezzamento e la stima già attestatigli inaltre occasioni. «Assai grato del messaggio che il Signor Chamberlain si ècompiaciuto di rivolgermi – rispose Mussolini, il 24 ottobre, tramite DellaTorretta – tengo a confermargli la mia soddisfazione per aver potuto colla-borare con lui ad un’opera che stimo altamente benefica per [l’] interaEuropa, lieto che [la] firma del patto sarà propizia occasione per incontrar-mi di nuovo con lui»50. Analogo messaggio fu inviato a Briand, per il tra-mite di Romano Avezzana, il 2 novembre successivo. Dopo aver espresso lasua gratitudine al ministro francese per i risultati di Locarno, nonché il pia-

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cere di aver collaborato alla pace europea, Mussolini così continuava: «Mipropongo di prender parte alla riunione di Londra, dove il patto sarà con-sacrato dalla firma e dove spero di incontrare nuovamente Briand, di cuiconosco l’elevato patriottismo e i sentimenti di amicizia verso l’Italia, aiquali corrispondono da parte mia analoghi sentimenti verso la Francia»51.In termini simili s’era espresso anche Contarini, il 23 ottobre precedente52.

Era dunque ufficiale la notizia che il capo del governo italiano sarebbeandato a Londra; ciò provocò vivo compiacimento al Foreign Office, attesta-to da Tyrrell all’incaricato d’affari italiano, Preziosi53. Al contempo,Tyrrellsi premurò di comunicare che a causa dello spazio, che non consentiva diospitare delegazioni in numero superiore ai dodici membri, sarebbe statoopportuno che l’Italia ridimensionasse la propria. Il Capo di Gabinetto diChamberlain pregò dunque il Preziosi di chiedere al suo governo l’invio diuna lista definitiva dei delegati italiani, «possibilmente più ristretta»54.

Il 19 novembre, Paulucci de’ Calboli Barone comunicò a Londra, in viaconfidenziale, tale lista. Il nome di Mussolini vi figurava al primo posto, comecapo della delegazione, immediatamente seguito da quello di Scialoja; v’era-no poi, tra gli altri, i nomi dello stesso Paulucci, di Pilotti e di Chiavolini; ladata di arrivo della delegazione sarebbe stata comunicata in seguito55.

Il 20 novembre, un evento luttuoso colpì la Casa Reale britannica, ildecesso per infarto della Regina Madre Alessandra. La circostanza fu resaancor più penosa dal fatto che il di lei genetliaco cadeva proprio il 1ºdicembre, data della firma dei Patti di Locarno. Il Governo di Sua Maestàannullò pertanto, la sera del 23 novembre, le tre cerimonie ufficiali inizial-mente previste (pranzo a Corte, colazione al Municipio londinese, pranzodal Primo Ministro), snellendo tutta la procedura inerente la firma dei patti.Il Foreign Office si sentì in dovere di pregare gli Stati contraenti di astenersidall’invio di speciali delegazioni, dando quindi ai rispettivi rappresentantidiplomatici a Londra mandato di firmare56.

La comunicazione del governo britannico venne accolta con apprensio-ne dalle cancellerie interessate. A Berlino si fece presente che era difficilesoprassedere alla presenza di Stresemann a Londra, ritenendola preziosaoccasione per incontrare Briand e Chamberlain, e così avere scambi di idee

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su questioni politiche ed economiche; senza considerare che ogni contrat-tempo avrebbe accelerato il precipitare della crisi governativa tedesca57. IlGoverno di Berlino insistè dunque presso gli alleati nel senso indicato58.Quello di Parigi si affrettò a far notare a Chamberlain, il 24 novembre, chepur dovendosi rispetto al dolore del popolo britannico, sarebbe stato unerrore «rinunciare all’atto politico e al simbolo che rappresenta la firmasolenne a Londra da parte degli originari delegati degli Stati»59. Nello stes-so senso Briand scrisse personalmente all’ambasciatore britannico a Parigi,Lord Crewe, aggiungendo che la sua venuta a Londra doveva essere occa-sione anche per intrattenere Chamberlain su alcuni temi importanti,riguardanti il prossimo Consiglio della Società delle Nazioni60.

Le sollecitazioni di Briand furono subito raccolte da Chamberlain il quale,indirettamente, ammise che il tono della precedente comunicazione delForeign Office poteva aver indisposto i paesi destinatari e provocato, anche pertravisamenti della stampa, dei malintesi. Egli perciò assicurò che avrebbeaccolto di buon grado a Londra il collega Briand, nonché gli altri ministriche sarebbero convenuti.Al fine poi di dissipare ogni erronea interpretazio-ne, Chamberlain avrebbe anche telegrafato un nuovo invito ai negoziatori diLocarno61. «Lord Crewe è in via di esprimere l’auspicio che il signor Briandritenga possibile arrivare il 30 novembre e non partire prima del 3 dicembre(...) I rappresentanti di Sua Maestà a Roma, Berlino, Bruxelles, Varsavia ePraga hanno ricevuto istruzioni di trasmettere un simile messaggio al signorMussolini, al dottor Luther, al signor Vandervelde, al conte Skrzynski, al dot-tor Benes»62. «Il signor Chamberlain – si legge ancora in una nota dell’am-basciatore britannico a Parigi, diretta a Briand – ha (...) appreso dall’amba-sciatore francese a Londra che Vostra Eccellenza è anch’Ella fortemente favo-revole alla firma del Trattato di Locarno da parte di coloro che ne furono gliautori, e che quindi Ella si è proposta di andare a Londra a tale scopo. Il signorDe Fleuriau ha spiegato che Ella sentiva fosse molto desiderabile che ancheil dottor Luther e il signor Stresemann firmassero il trattato. Il signorChamberlain è della stessa opinione e ha così istruito l’Ambasciatore di SuaMaestà a Berlino di informare il Governo tedesco che il Governo di SuaMaestà sarà felice di ricevere la delegazione tedesca il 30 novembre»63.

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Il nuovo invito ufficiale era del seguente tenore: «Il Governo di SuaMaestà ritiene che la firma personale di chi ha parafato i Trattati di Locarnoconferirà ulteriore importanza e solennità alla conclusione di questo gran-de atto di pacificazione. Esso solamente esitava a proporre un simile corsoai governi interessati in quanto l’ospitalità che può dare corrisponde cosìpoco, nelle tristi circostanze del momento, a ciò che Sua Maestà il Re, i suoiMinistri e la Nazione avrebbero desiderato offrire. Sua Maestà il Re haespresso l’intenzione di ricevere i delegati il pomeriggio del 1º dicembre. IlSignor Chamberlain spera che coloro che firmeranno i Trattati di Locarnoaccettino il suo invito a cena il 1º dicembre. Il Primo Ministro spera cheessi ceneranno con lui a Downing Street il 2 dicembre. Non sarà richiestauniforme»64.

Mussolini aveva ricevuto, la mattina del 24 novembre, notizia dell’annul-lamento delle cerimonie londinesi, personalmente da Graham, al quale dissedi condividere il parere del governo britannico di munire l’ambasciatore ita-liano a Londra dei pieni poteri per la firma dei patti, «a meno che decisionialtri governi non consiglino per ragioni convenienza invio a Londra specia-le delegazione italiana per evitare che differente rappresentanza cerimoniefirma possa essere interpretata come diversa valutazione importanzapatto»65. Il 25 novembre, Preziosi telegrafò a Roma quanto segue:«Personalità Foreign Office mi lasciò comprendere confidenzialmente ora-mai urge per tanti motivi assicurare firma Patto Locarno e che si era cerca-to semplificare il più possibile famose procedure inerenti firma.A mia discre-ta domanda rispose che malgrado libertà lasciata nella nota comunicazionedi Chamberlain ai Governi interessati, egli in fondo non si attendeva chedetti Governi inviassero a Londra missioni speciali per cerimonia stessa (...)tuttavia nulla sapeva di preciso a quest’ultimo riguardo»66. La mattina diquello stesso 25 novembre, l’ambasciatore britannico tornò da Mussolini perinformarlo che gli altri governi partecipanti al Patto di Locarno avrebberoinviato a Londra i Ministri per la firma.Al che Mussolini rispose di aver datomandato a Scialoja di firmare a nome dell’Italia67.

Mussolini fu dunque l’unico dei ministri a non recarsi a Londra per lafirma dei Patti di Locarno e ciò anche a causa di una circostanza del tutto

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Capitolo VI – Dalla Conferenza alla firma dei Patti di Locarno

casuale. Si deve tuttavia cercare di spiegare la decisione che lo portò arestarsene a Roma, nonostante che Graham l’avesse informato della venu-ta a Londra dei colleghi.

Alcune ipotesi sono possibili, oltre quelle già formulate. In primo luogo,non diversamente dagli altri governi, anche quello italiano dovè provare disap-punto per il repentino mutamento del programma delle cerimonie di Londra,ma soprattutto per il tono con cui il Governo di Sua Maestà aveva pregato diastenersi dall’invio di delegazioni speciali. «La comunicazione inglese circa ifesteggiamenti del 1º dicembre è stata mal redatta – scriveva l’ambasciatore DeFleuriau a Laroche – in quanto essa ha prodotto un effetto contrario a quelloche Chamberlain si attendeva. Credo che alla fine il danno sia stato riparato,almeno per ciò che concerne il signor Briand e i tedeschi. Se il signorMussolini non viene, qui non si piangerà»68. Alla situazione testé descritta siconiugava il fatto di aver già il Foreign Office mosso alcune osservazioni perl’eccessiva consistenza dell’originaria delegazione italiana. Ci sembra invecesecondaria la circostanza che il nuovo invito a convenire a Londra non risul-ta formulato in un documento presentato a Mussolini nella debita ufficialità69.Mussolini quindi designò alla guida della delegazione italiana a Londra ilsecondo nome della lista previamente compilata, ossia lo Scialoja. La scelta diScialoja si rivelava come la più opportuna e confacente alle circostanze, ancheper esser egli delegato italiano presso la Società delle Nazioni e per gli ottimirapporti personali intessuti con Briand e Chamberlain in ambiente ginevrino.

Questa scelta Mussolini mantenne anche quando, il 29 novembre, seppedal Della Torretta che «uno dei motivi per i quali [gli] altri Gabinetti hannofinito per inviare [i] soliti loro membri [per la] firma [del] patto [di]Locarno, è stata [la]decisione di Luther e [di] Stresemann di venire comun-que qui per non perdere [un’] occasione favorevole [per] nuovi contatti conChamberlain», cercando essi un modo per ottenere dalla Gran Bretagnanuove concessioni e promesse70. Era evidente che gl’inglesi non si sareb-bero fatti trascinare su questa strada71. Del resto, Mussolini non poteva pre-cipitarsi a Londra per timore che si lavorasse alle spalle dell’Italia; sarebbestato come attribuire eccessiva importanza alle mene tedesche ed al con-tempo mostrare scarsa fiducia nella lealtà britannica.

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Si potrebbe anche spiegare l’assenza di Mussolini da Londra con quellacampagna di stampa antifascista che, proprio alla vigilia della firma dei patti,fu organizzata da alcuni importanti giornali britannici, nonché con il timo-re che la sua visita venisse boicottata o addirittura, visto il precedente delZaniboni, funestata da un qualche attentato alla sua persona. Non puòescludersi che Mussolini ritenesse il governo britannico in una certa misu-ra responsabile per gli attacchi di stampa rivoltigli, dal momento che nonaveva predisposto una censura preventiva nei confronti di articoli troppodenigratori di un paese amico, e che non aveva saputo bene orientare l’o-pinione pubblica ad una visione più obiettiva della realtà italiana. MaMussolini già in precedenza era stato oggetto di attacchi da parte dellastampa straniera, ivi compresa quella britannica72; inoltre, proprio da parteitaliana, non si voleva accreditare l’idea che l’assenza da Londra di Mussolinifosse conseguenza dell’azione condotta dagli oppositori antifascisti in GranBretagna73.

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Capitolo VI – Dalla Conferenza alla firma dei Patti di Locarno

3. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

Mussolini non sembrava intenzionato, per il momento, a ripudiare osminuire i risultati raggiunti a Locarno. Se così fosse stato, egli si sarebbelimitato a dare all’ambasciatore a Londra mandato di firmare, invece diincaricarne lo Scialoja. Fin dalla chiusura della conferenza, Mussolini avevain suo possesso ogni elemento utile per decidere se aderire o meno a queipatti; e vi aderì per non rompere la solidarietà formale con gl’inglesi e pernon correre il rischio dell’isolamento politico, facendo dell’Italia l’unicapotenza vincitrice che non ratificava la “riabilitazione” tedesca.

Era palese quindi l’interesse a stare dentro il “sistema locarnista”, se nonaltro in virtù del prestigio conferito all’Italia dal ruolo di garante.Tale posi-zione, oltre ad offrire vantaggi futuri, quando si sarebbe parlato di una“Locarno orientale”74 garantiva che, in caso di conflitti con la Germania,sarebbe stato di vitale importanza il ruolo dell’Italia al fianco dei vecchialleati75.

Solo il tempo poteva dunque dire quanto il nuovo sistema di sicurezzaeuropea avrebbe retto. Il risultato finale del negoziato locarnista certo nonpiaceva a Mussolini, poiché rappresentava un revisionismo dagli esiti impre-vedibili. Ma, pur con tutto ciò, era comunque meglio trovarsi in un puntoprivilegiato di osservazione (com’era allora l’Italia, garante del nuovo siste-ma) che restarne fuori: isolati dagli alleati ed impotenti verso la Germania.

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1 STYLO, L’Attitude de M.Vandervelde à l’égard de Mussolini est sévèrement critiquée par lapresse italienne, in «La Nation Belge», 25 ottobre 1925. Una critica ancor più serrataprovenne dal «Pourquoi Pas», e dal «Groupement des Services Maritimes Militaires dela Campagne 1914-1918», il quale approvò all’unanimità un ordine del giorno di soli-darietà a Mussolini, che fu a questi inviato. ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 42. Altrecritiche piovvero su Vandervelde il 28 ottobre dalla «Libre Belgique», organo che pureera vicino agli ambienti vaticani antifascisti. Daneo a Mussolini, 27 ottobre 1925,tel.2467/791/A.18.

2 INTERIM, L’incident Vandervelde, in «Le Soir», 26 ottobre 1925; ripreso poi da «LePeuple» del 27 successivo.

3 Daneo a Mussolini, 31 ottobre 1925, tel.2504/805/A.18, ASMAE, Arch.Gab., TSN,busta 41.

4 Le dichiarazioni di Vandervelde furono rese nella seduta del 17 novembre 1925.Chambre des Représentants, Compte Rendu Analytique, Séance du mardi 17 novembre 1925,pp.7-14.

5 Daneo a Mussolini, 18 novembre 1925, tel.2611/851/A 68, ibidem, busta 41.È da nota-re che la destra applaudì gli accenni fatti alla Camera da Vandervelde e da Jaspar circal’adesione italiana alla garanzia renana. Cfr. Chambre des Représentants, Compte Rendu,cit. p.8. H. JASPAR, Locarno et la Belgique, in «La Révue Belge», 2, t.IV, nn.3 e 4,pp.154-169. F. DE VISSCHER, La paix de Locarno du point de vue du droit international,ibidem, pp.170-179.

6 Vandervelde parle de Locarno à la “Maison du Peuple”, in «Le Peuple», 20 novembre 1925.7 Daneo a Mussolini, 21 novembre 1925, tel. 2642/868/A.68,ASMAE,Arch.Gab.,TSN,

busta 41.8 Daneo a Mussolini, 22 ottobre 1925, tel.2429/778/A.68, ibidem, busta 42. Cfr.

Grahame a Chamberlain, 19 ottobre 1925, DBFP, Series IA, doc.11.9 Laroche alle rapresentanze diplomatiche francesi, 4 novembre 1925,AMAE, Z-Europe:

Grande-Bretagne, vol.86.10 Romano Avezzana a Mussolini, 5 novembre 1925, tel.2424/208,ASMAE,Arch.Gab.,

TSN, busta 42.11 Romano Avezzana a Mussolini, 25 novembre 1925, tel.2764/867/25, ibidem .Va osser-

vato che, con un telegramma urgentissimo del 21 ottobre, Briand istruì Besnard di rin-graziare vivamente Mussolini per l’opera svolta dall’Italia e per la sua personale pre-senza a Locarno. Briand a Besnard, 21 ottobre 1925, tel.1022 urgentissimo,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.85.

12 Cfr.DBFP, Series IA, vol.I, docc.2, 3, 4, 7.13 H.C., Deb., 1925, col.428. Sempre ai Comuni venne bocciata, con 332 voti contro

130, una mozione del deputato laburista Ponsoby, critica verso i patti di Locarno, per-ché nulla prevedevano circa il disarmo generale e l’adesione della Russia alla Società

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Capitolo VI – Dalla Conferenza alla firma dei Patti di Locarno

delle Nazioni ed agli accordi europei. «The Times», 19 novembre 1925; Preziosi aMussolini, 19 novembre 1925, tel.3283/187/A.1,ASMAE,Arch.Gab., cit.,TSN, busta42; Idem, 21 novembre 1925, tel. 2779/847, ibidem; stralci del discorso di Chamberlainfurono riprodotti sempre da Preziosi nel suo tel. 2782/849 del 22 novembre aMussolini, ibidem, busta 42. Di non particolare rilevanza fu la discussione alla Cameradei Lords sui patti di Locarno. «The Times», 25 novembre 1925.

14 Pignatti Morano di Custoza a Mussolini, 19 ottobre 1925, tel.2182/372, ASMAE,Arch.Gab., cit.,TSN, busta 42.

15 Pignatti Morano di Custoza a Mussolini, 22 ottobre 1925, tel. 1742/781 ibidem. Peruna rassegna di giudizi, cfr.Clerk a Chamberlain, 21 ottobre 1925, DBFP, Series IA,vol.I, doc.14.

16 Pignatti Morano di Custoza a Mussolini, 31 ottobre 1925, tel.1790/807, ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41; Pignatti non mancava di notare come dietro l’accenno diBenes alla Russia si nascondessero anche meri interessi elettoralistici (le elezioni par-lamentari in Cecoslovacchia si sarebbero tenute il 15 novembre).

17 Les Accords de Locarno: exposé fait par Eduard Benes, Praga: Orbis 1925. Copia di que-st’opuscolo è stata reperita in AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.86. Cfr. Couget aBriand, 3 novembre 1925, l.n.316, ibidem.

18 Questo è il resoconto del ministro britannico a Praga, Max Muller, al collega france-se De Vaux. De Vaux a Briand, 23 ottobre 1925, l.n.273, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.86.

19 «Quest’alleanza – disse Skrzynski – è stata formulata in maniera tale da non denun-ciare alcuno degli accordi anteriori tra la Polonia e la Francia, in modo da portare aconoscenza di tutti gli Stati che, nel caso in cui la Polonia venga attaccata, la Francia èobbligata a portarle immediatamente aiuto ed assistenza e viceversa. Se si comparanoi testi non mancherà di convincersi che nell’accordo del 1921 quest’obbligo non eraformulato così nettamente, dato che vi era detto soltanto che i Governi, nel caso diun’aggressione, si sarebbero concertati in vista della difesa, mentre qui non è più que-stione unicamente di concertarsi, ma abbiamo proprio a che fare con un impegno aprestarci assistenza immediata gli uni gli altri». Dichiarazioni del Ministro degli EsteriSkrzynski alla Commissione Esteri della Dieta Polacca, 22 ottobre 1925, riportate in «LeMessager Polonais», 23 ottobre 1925.

20 Majoni a Mussolini, 22 ottobre 1925, tel.2210/100, ibidem, busta 42. Un simile atteg-giamento sembrava suggerito dallo stesso Skrzynski, onde evitare che un eccessivotrionfalismo da parte della Polonia finisse per creare problemi politici interni aStresemann.

21 Majoni a Mussolini, 29 ottobre 1925, tel.2135/746/A.1, ibidem, busta 42; cfr. «LeMessager Polonais», 23 ottobre 1925. È da notare che Skrzynski, da poco tempo anchePresidente del Consiglio, aveva chiesto che nello stampare i testi dei patti di Locarno,

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non fosse trascurata la sua nuova qualifica. De Panafieu a Briand, 21 novembre 1925,tel.118,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.87.Assicurazione in tal senso fu data daBerthelot con tel.379 del 23 novembre successivo. Ibidem.

22 ADAP, A Band XIV, nota 3 al doc.166; cfr.doc.188. Sulla copia pervenuta a RomaMussolini annotò a margine che, con riguardo alle richieste tedesche, «l’Italia ha giàfatto pressioni in tal senso a Locarno stesso»;ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41. È daricordare anche la nota consegnata dal generale Pawels al generale Walch, il 24 otto-bre, circa il controllo militare della Germania (ADAP,A, Band XIV, nota 3 al doc.209),nonché quella relativa all’Alto Commissariato della Renania (ADAP,A, Band XIV, nota7 al doc.150).

23 Darlano (Console Generale a Monaco di Baviera) a Mussolini, 20 ottobre 1925, tele-spresso 5150/377,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 42.

24 Darlano a Mussolini, 22 ottobre 1925, telespresso 5205/382, ibidem. È da notare chel’incaricato d’affari francese presso il Land bavarese cominciava a stringere rapporti inquegli ambienti. Cfr. D’Ormesson a Briand, 2 novembre 1925, l.n.78, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.86; idem, 3 novembre 1925, l.n.79, ibidem.

25 De Bosdari a Mussolini, 24 ottobre 1925, tel.2240/313, ASMAE, Arch.Gab., TSN,busta 42.

26 De Bosdari a Mussolini, 26 ottobre 1925, tel.227/320, ibidem. La prospettiva cheLuther non si dimettesse fu segnalata lo stesso giorno da De Bosdari col tel.2275/321,ibidem. Cfr. Aufzeichnung des Staatssekretärs von Schubert, 4 novembre 1925, ADAP, A,Band XIV, nota 7 al doc.205.

27 De Bosdari a Mussolini, 27 ottobre 1925, tel.2297/324, ASMAE, Arch.Gab., TSN,busta 42. Questa richiesta Schubert rinnovò ai primi di novembre: idem, 7 novembre1925, tel.2541/347/A.1, ibidem .

28 Così Stresemann in un colloquio con De Bosdari. De Bosdari a Mussolini, 31 ottobre1925, tel.1675/454/A.1,ASMAE,Arch.Gab., TSN, busta 42.

29 Cfr.ADAP,A, Band XIV, nota 5 al doc.208.30 D’Abernon a Chamberlain, 6 novembre 1925, DBFP, Series IA, vol.I, doc.68.31 De Bosdari a Mussolini, 25 novembre 1925, tel.2756/377,ASMAE,Arch.Gab., TSN,

busta 41.32 Agenzia Stefani, 16 novembre 1925, Bollettino n.31, ibidem.33 Questo il discorso di Luther in base al resoconto fattone dall’ambasciatore italiano a

Berlino: De Bosdari a Mussolini, 23 novembre 1925, tel.2726/375, ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 42. Sulle osservazioni critiche che Chamberlain mosse a que-sto discorso: Chamberlain a D’Abernon, 26 novembre 1925, DBFP, Series IA, vol.I,doc.116.

34 De Bosdari a Mussolini, 29 novembre 1925, tel.1876/489/A.1, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 42. In questo telegramma, tra l’altro, De Bosdari fondatamente esprimeva

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Capitolo VI – Dalla Conferenza alla firma dei Patti di Locarno

i suoi dubbi circa una “grande coalizione” coi socialisti, in seguito all’uscita dei tede-sco-nazionali dal governo.

35 De Bosdari a Mussolini, 28 novembre 1925, tel.2792,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta42.

36 De Laboulaye a Briand, 21 novembre 1925, tel.1835, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.87.

37 Ciò è di piana evidenza sulla base del resoconto di una conversazione che il nuovoambasciatore francese a Berlino, De Laboulaye, ebbe con Stresemann la sera del 27novembre. De Laboulaye a Briand, 28 novembre 1925, tel.1860-1863,AMAE, Série Y-Internationale, vol.691. Briand non si sorprese affatto dell’«audacia e la fertilità di imma-ginazione» di Stresemann, osservando che questioni come le colonie del Togo, delCamerun e della Nuova Guinea, o altre come Danzica e il corridoio polacco «nondovevano nemmeno essere affrontate, poiché sarebbe porsi in piena contraddizionecon i termini degli accordi che abbiamo firmato e che sono basati sul rispetto dei trat-tati». Briand a De Laboulaye, e p.c. a Londra, Bruxelles e Roma, 29 novembre 1925,tel.260, riservato, ibidem.

38 Ciò si evince dal tel.1388 di Mussolini a Romano Avezzana e Della Torretta dell’11novembre 1925, ASMAE,Arch.Gab., TSN, busta 42.

39 Mussolini a Della Torretta e Romano Avezzana, 25 novembre 1925, DDI, SerieSettima, vol.IV, docc. 185 e 186, nonché la nota 2 a p.136. Si veda ancora DBFP, SeriesI A, doc.121.

40 C. SCHANZER, Echi e commenti, in «Il Giornale d’Italia», 5 gennaio 1925; cfr. «TheObserver» del 7 dicembre 1924. L’articolo di Garvin apparve proprio mentreChamberlain incontrava a Roma Mussolini. Cfr.DDI, Serie Settima, vol.III, doc.605;note 1 a p.364, e 2 a p.365.

41 «Il Giornale d’Italia», 10 e 22 marzo 1925; cfr. C. SCHANZER, Sulla Società delleNazioni, Roma:A.R.E., 1925, spec. le pp.215-236.

42 Cfr. R. DE FELICE, Mussolini il fascista: L’organizzazione dello stato fascista 1925-1929,Torino: Einaudi, 1968, p.441.

43 F. COPPOLA, La pace democratica, Bologna, Zanichelli 1921. IDEM, La fine del’Intesa,Bologna, Zanichelli, 1921. Una terza raccolta, che avrebbe dovuto intitolarsi La liqui-dazione della vittoria non vide mai la luce. Cfr.V. CLEMENTE, Coppola Francesco, cit.

44 F. COPPOLA, Ideologia e pratica della pace coatta (Il Protocollo di Ginevra e l’Italia), in Lapace coatta, Milano: Treves, 1929, pp.53-93.

45 F. COPPOLA, Ginevra e Locarno, in «Politica», dicembre 1925, ora in La pace coatta, cit.,pp.94-126.

46 Cfr. E. CORRADINI, L’unità e la potenza delle Nazioni, Firenze:Vallecchi, 1922, II ed.,1926. Ma vedasi anche, dello stesso autore, Fascismo vita d’Italia, Firenze:Vallecchi, 1925.

47 Cfr.DBFP, Series IA, vol.I, doc.9 e nota 1.

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48 È da ricordare che Mussolini raccomandò ai suoi ambasciatori di affrontare il temadelle colonie alla Germania con grande prudenza e tatto. Cfr.DDI, Serie Settima,vol.IV, doc.186.

49 Mussolini a Romano Avezzana, De Bosdari e Della Torretta, 25 novembre 1925,tel.1504,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 42.

50 Mussolini a Della Torretta, 24 ottobre 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.161;cfr.DBFP, Series IA, vol.I, doc.5 e nota 4.

51 Romano Avezzana a Briand, 2 novembre 1925, l.p., AMAE, Z-Europe: Italie, vol.96.Cfr.DDI, Serie Settima, vol.IV, docc.162 e 165.

52 Besnard a Briand, 23 ottobre 1925,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.86.53 Preziosi a Contarini, 10 novembre 1925, tel.803,ASMAE,Arch.Gab., «Rappresentanze

diplomatiche»,Ambasciata di Londra, busta 600.54 Preziosi a Contarini, 17 novembre 1925, tel.818, ibidem.55 Paulucci de’ Calboli a Della Torretta, 19 novembre 1925, tel.349, ibidem.56 Tale decisione non emerge compiutamente dai documenti britannici (cfr., ad esempio,

DBFP, Series I A, doc.114); ma essa è perfettamente desumibile dalle fonti archivisticheitaliane ed in special modo dal Fondo «Rappresentanze diplomatiche», nella Serie«Ambasciata di Londra», ove trovansi anche documenti originali del Foreign Office. Peruna ricostruzione adeguata di quanto illustrato nel testo vedansi i seguenti documen-ti: Preziosi a Mussolini, 24 novembre 1925, tel.2744/850, ASMAE, Arch.Gab.,TSN,busta 42; Selby a Preziosi, 26 novembre 1925, «Rappresentanze diplomatiche»,Ambasciata di Londra, busta 600.

57 De Laboulaye a Briand, 24 novembre 1925, tel.1841, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.87. Cfr.ADAP,A, Band XIV, doc.259.

58 Soprattutto tramite l’ambasciatore tedesco a Parigi. Berthelot a De Fleuriau, 25novembre 1925, tel.1617,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.87.

59 Berthelot (per ordine di Briand) a Londra, Bruxelles, Berlino,Varsavia, Praga e Roma,24 novembre 1925, ibidem.

60 Briand a Crewe, 24 novembre 1925, l.p., ibidem.61 De Fleuriau a Briand, 24 novembre 1925, tel.727; 25 novembre 1925, tel.730, ibidem.62 Nota dell’ambasciata britannica a Parigi al Quai d’ Orsay,AMAE, Série Y: Internationale,

vol.27.63 Nota dell’ambasciatore britannico a Parigi, Lord Crewe, a Briand, 25 novembre 1925,

n.878, urgente,AMAE, Série Y-Internationale, vol.27.64 Nota dell’Ambasciata britannica a Parigi, n.879 senza data. Ibidem.65 Mussolini a Della Torretta, 25 novembre 1925, tel.1492, ASMAE, «Rappresentanze

diplomatiche», Ambasciata di Londra, busta 600. Preziosi a Mussolini, 24 novembre1925, tel.2744/850.ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 42.

66 Preziosi a Mussolini, 25 novembre 1925, tel.2762/857, ibidem.

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67 Mussolini a Romano Avezzana, Preziosi e De’ Bosdari, 25 novembre 1925, tel.1504,ibidem. Cfr.Selby a Preziosi, 26 novembre 1925,ASMAE, «Rappresentanze diplomati-che»,Ambasciata di Londra, busta 600.

68 De Fleuriau a Laroche, l.p. del 25 novembre 1925,AMAE, Série Y: Internationale, vol.27.69 Non ha carattere di invito ad personam la lettera che Selby inviò a Preziosi il 26 novem-

bre, in cui si diceva che Chamberlain aveva istruito Graham «to informe the ItalianGovernment of the abandonment of the projected festivities and to say that it is hoped,however, that the Ministers who attend the signature on December 1st will be dineprivately with the Prime Minister on December 2nd». Selby a Preziosi, 26 novembre1925, ASMAE, «Rappresentanze diplomatiche», Ambasciata di Londra, busta 600. Siveda anche quanto scriveva De Panafieu da Varsavia: «Il Ministro d’Inghilterra halasciato intendere al Presidente del Consiglio [cioè a Skrzynski, da poco assurto anchea quella carica] che i trattati di Locarno potrebbero esser firmati dagli Ambasciatori edai Ministri [plenipotenziari] a Londra. Il signor Skrzynski considera che tale suggeri-mento non potrebbe esser preso in considerazione e che, chiunque arrivi, egli partiràdopodomani sera per Londra. Egli è d’accordo con Benes a tal riguardo». De Panafieua Briand, 25 novembre 1925, tel.120,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.87.

70 Della Torretta a Mussolini, 29 novembre 1925, tel.2807/869, ASMAE,«Rappresentanze diplomatiche»,Ambasciata di Londra, busta 600.

71 Cfr. DBFP, Series I A, doc.121; DDI, Serie Settima, vol.IV, nota 2 a p.136.72 Sull’atteggiamento generale della stampa democratica nei confronti del fascismo, si

veda P. PASTORELLI, Il principio di nazionalità, cit., p.197. Per la stampa britannica, siveda: Preziosi a Mussolini, 29 settembre 1925, tel.570 P.R./725, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41. Preziosi sosteneva che gli attacchi rivolti a Mussolini dal «Daily News»altro non erano che una risposta alla crescente tendenza dei giornali conservatoriinglesi (come il «Morning Post» e l’«Evening Standard») ad evocare la necessità di unapersonalità forte come Mussolini per risolvere l’attuale crisi generale. Preziosi aMussolini, 29 settembre 1925, tel.571 P.R./279, ibidem. È da ricordare che Mussolinisapeva che Chamberlain aveva deplorato vivamente gli attacchi del «Daily News»all’Italia: Mussolini a Della Torretta, 3 ottobre 1925, tel.263 P.R., ibidem. Sorprende ilfatto che proprio il «Daily News» inviasse a Mussolini, il 29 settembre, il seguente tele-gramma: «Offeriamo all’onorevole Mussolini servigio più grande se desiderasserispondere ai nostri articoli». Trasmettendone notizia all’ambasciatore a Londra (contel.266 P.R. del 4 ottobre 1925), Grandi commentò: «Naturalmente non sarà risposto».ASMAE,Arch.Gab., GM, busta 5, fasc. «Rapporti con la stampa e le agenzie telegrafi-che, 1925». Quanto al filofascista «Morning Post» il suo direttore Gwym, per il trami-te dell’on. Zimolo e di un certo Sovrani (da Paulucci detestato, per il suo atteggiarsi a«super-ambasciatore»), aveva fatto pervenire il 23 maggio a Mussolini richiesta diun’intervista per il suo corrispondente romano, in modo da presentare nella migliore

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luce il fascismo agli inglesi. Sulla lettera di raccomandazione dello Zimolo Mussoliniappose il suo «Niente», e incaricò poi Grandi di liquidare la faccenda. Ibidem. Sulleconsiderazioni svolte nella stampa americana, si veda quanto De Martino scriveva circauna corrispondenza londinese sulla «Chicago Tribune», ove si diceva che Mussolini eraancora la spina nel fianco dei diplomatici, perchè nessuno sapeva ciò che egli voleva,ma tutti sapevano che suo scopo era trarre vantaggi per l’Italia dalla firma del patto disicurezza: De Martino a Mussolini, 21 settembre 1925, tel.1621/378, ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41. Quanto alla stampa polacca, il «Kurier Poranny» del 10 set-tembre riportava la voce di un do ut des tra Mussolini e Stresemann: questi non avreb-be sollevato il problema dell’Anschluss e quello l’avrebbe appoggiato su disarmo, sgom-bero della Renania e sulla questione della revisione dei confini tedesco-polacchi:Majoni a Mussolini, 10 settembre 1925, tel.1717/604/A.1, ibidem.

73 Della Torretta a Mussolini, 28 novembre 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.188;nelle carte dell’Ambasciata di Londra conservate presso l’ASMAE, (busta 600) trovasil’originale autografo di questo telegramma. Per una rassegna documentaria su questoproblema si vedano nell’ordine: Preziosi a Mussolini, 13 novembre 1925, DDI, SerieSettima, vol.IV, doc.176 (da confrontarsi col doc.178); idem, 17 novembre 1925,doc.179 e 18 novembre 1925, doc.181 (da cui sembrerebbe che Mussolini non avesseancora deciso se andare a Londra per firmare i patti di Locarno); idem, 25 novembre1925, tell.2775/843 (ove si dava notizia di una lettera di protesta di GuglielmoMarconi al «Times», che quest’ultimo avrebbe pubblicato solo qualora fosse stato sicu-ro della presenza di Mussolini a Londra) e 2778/848,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta42.Tra l’altro, anche i rapporti tra Italia e Francia erano in quel momento abbastanzatesi, più o meno per gli stessi motivi: Romano Avezzana a Mussolini, 30 novembre1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.190. Scrivendo il 16 novembre (cioè a una datain cui Mussolini effettivamente prevedeva di venire a Londra), De Fleuriau ritenevache il “duce” sarebbe rimasto a Roma a causa delle manifestazioni anti-fasciste che aLondra si preparavano. De Fleuriau a MAE, 16 novembre 1925, tel.707,AMAE, SérieY: Internationale, vol.27.

74 Un’idea di Mussolini sarebbe stata, in virtù della posizione privilegiata conferitale neiBalcani, fare dell’Italia l’unica potenza in grado di «innestare nella situazione dei [paesi]danubiani i principi fondamentali di Locarno». Cfr. DDI, Serie Settima, vol.IV,doc.222.

75 La convinzione che la Germania fosse la vera vincitrice del negoziato sui patti diLocarno si confermò quando i rapporti italotedeschi, già all’inizio del 1926, divenne-ro molto tesi: Mussolini a Scialoja, 12 marzo 1926, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.276.Va osservato che Mussolini fu molto incuriosito (tanto da ordinare che gli fosse subi-to procurata una copia) dall’uscita di un libro di un russo, Oscar Blum, intitolato DieEuropäische Ruinen, e dato alle stampe a Berlino. In esso l’autore sosteneva che gli Stati

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Capitolo VI – Dalla Conferenza alla firma dei Patti di Locarno

vincitori della guerra erano in verità in condizioni di maggiore decadenza rispetto aivinti. La stessa America, «l’unica profittatrice della guerra», ne stava ora pagando lespese. Solo il fascismo e il bolscevismo, per quanto tra loro diversi, si presentavanocome le uniche dottrine in grado di assurgere ad un’esperienza mondiale. ASMAE,Arch.Gab., GM, busta 5, fasc. «Rapporti con la stampa e le agenzie telegrafiche, 1925».

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CONCLUSIONI

Avevamo preso le mosse da una proposta tedesca che, mesi dopo, avreb-be portato ai patti di Locarno, che fecero del 1925 l’anno simbolo dellasicurezza europea.

Abbiamo visto gli sviluppi del dibattito tra le cancellerie delle maggio-ri potenze ed il susseguirsi di note, di pareri giuridici e politici, di prese diposizione, ufficiali ed ufficiose, sui più svariati temi della sicurezza.

Se dovessimo dipingere un quadro d’insieme di ciò che fu lo “spirito diLocarno”, daremmo ragione al Solmi, il quale, fin dal 1931, aveva scrittoche Stresemann perseguiva due scopi: «Attenuare il peso delle disposizionidel trattato di pace, che parevano alla Germania troppo gravi»; «cancellareo far dimenticare praticamente quella condanna morale, che la Germaniagiudicava ingiusta ed eccessiva»1.

Essendoci occupati, nel presente studio, della politica di Mussolini inmateria di sicurezza, come possiamo valutare la sua azione?

L’Italia di Mussolini fu messa al corrente dagli ex alleati dell’esistenza diuna proposta tedesca sul patto di sicurezza solo alcuni giorni dopo la suapresentazione a Londra e a Parigi, e mentre la stessa Germania si accinge-va a renderla nota a Roma. Se si tien conto del fatto che la proposta chia-mava in causa direttamente anche l’Italia, il ritardo con cui questa neconobbe il contenuto è sintomatico, a nostro avviso, dello stato dei rappor-ti nella coalizione dei vincitori. Si ricordi che Mussolini dove’ chiedere aRomano Avezzana di procurarsi copia della nota inoltrata dal governotedesco a quello francese, ritenendola versione facente fede.

Mussolini, dinanzi al mutare degli eventi ed alla marcata attenzione diLondra verso il passo tedesco, attese di avere il quadro della situazione. Maegli chiarì fin da principio che la preoccupazione italiana era di non vedermutati i trattati di pace con la creazione di una doppia categoria di fron-

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tiere. Il passo tedesco dunque doveva riconfermare, e non alterare, l’assettodi Versailles.

Tale atteggiamento è stato giudicato proprio di un opportunista legalita-rio, in quanto Mussolini guardava alla Società delle Nazioni e all’Inghilterraper soddisfare «talune suggestioni e velleità» e realizzare le sue mire revisioni-ste2. Su una tale visione si può concordare, nella misura in cui sia possibileestenderla ad altri contemporanei di Mussolini.Come altrimenti valutare l’at-teggiamento britannico sul Protocollo di Ginevra? Come definire la posizio-ne francobritannica sulle frontiere orientali? E che nome dare, se non sugge-stione e velleità, all’inesausta ricerca francese di un patto di garanzia bilatera-le o trilaterale, escludente la Germania? Il fatto stesso, poi, che la Società delleNazioni dichiarasse forfait sul protocollo di Ginevra, ammettendo l’opportu-nità di patti regionali conclusi esternamente ad essa, non era un mourir sansélégance? E non si parlava poi,da qualche parte,di rivedere il sistema dei “man-dati” per farvi partecipe la Germania, una volta entrata nella Società delleNazioni? Non si vedeva nell’articolo 19 del Covenant il mezzo per legalizza-re il revisionismo tedesco? Come non accusare, infine, la Francia di averabbandonato al loro destino gli alleati ad oriente, e di non voler ammettereciò? «Avec ces Français – esclama Fabrizio nella Certosa di Parma di Stendhal– il n’est pas permis de dire la vérité quand elle choque leur vanité».

A Mussolini spetta naturalmente la sua parte di responsabilità, special-mente per non aver compreso che il negoziato sulla sicurezza richiedeva dirinunciare a quella politica di do ut des, che ispirò la sua azione verso laFrancia. Egli si aspettava da Briand ben più di quanto non si aspettasse daHerriot: da ministro,Briand avrebbe avuto per gli interessi italiani in Tunisiaed a Tangeri la stessa considerazione dimostrata nei colloqui romani conMussolini, alla fine del 1924. Ma ciò non fu, anche per il fatto che le piùimportanti questioni politiche erano appannaggio di un gruppo di funzio-nari del Quai d’Orsay, rimasti al loro posto all’avvento di Briand.Tale grup-po anzi, per la sua alta specializzazione in vari temi, guidò la politica delnuovo ministro degli esteri.

La stagnazione dei “sospesi” italofrancesi portò Mussolini a rifiutare l’i-dea di un accordo sulla questione della sicurezza, a tutela dell’indipendenza

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austriaca ed eventualmente della frontiera del Brennero. Fu un errore cuiegli non pose rimedio, e l’ostentata vicinanza alla Gran Bretagna ne produs-se un secondo. Sulla scorta di alcune minime soddisfazioni in Africa (accor-di sull’Oltre Giuba, sul Gash e su Giarabub), e memore dello scambio di ideesul protocollo ginevrino, Mussolini pensò che vi fosse con Londra comu-nanza di vedute anche nel campo della sicurezza. Ma dimenticava che laGran Bretagna aveva in passato assunto posizioni che egli stesso aveva criti-cato, in temi che avevano riflessi anche sulla sicurezza (come Colonia e idebiti interalleati; cfr. cap. II. § 1). La Gran Bretagna inoltre, durante il nego-ziato sul patto di garanzia, non mancò di lasciare in disparte gli italiani. Inpiù, si è visto come le concessioni di Chamberlain all’Italia non esorbitasse-ro dagli stessi interessi della Gran Bretagna. Nemmeno sull’Anschluss la posi-zione inglese fu chiara una volta per tutte; mentre Mussolini desiderava cheil patto renano suonasse esplicita conferma del divieto di unione tra l’Austriae la Germania, previsto dagli articoli 80 di Versailles ed 88 di Saint-Germain.

L’esposizione «disordinata» fatta dal “duce” al Senato, il 20 maggio, nondeve trarre in inganno. Come ha rilevato il Di Nolfo, «questa presa di posi-zione di Mussolini contro l’annessione era solo in apparente contrasto conla succesiva richiesta di una garanzia del Brennero rivolta, forse più checontro l’Austria, contro i cedimenti alleati»3. Ma proprio questo, a diffe-renza di quanto è stato scritto4, non poteva indurlo a liquidare, fin dai primianni di potere, la diplomazia liberale.

Fu infatti il maggior esponente di questa, Salvatore Contarini, colui checercò di convertire Mussolini ad una visione diversa, quando si accorse che,stando fuori dal patto renano, l’Italia avrebbe rischiato l’isolamento.Contarini riuscì nell’intento solo nel settembre 1925, ottenendo di far par-tecipare l’Italia alla conferenza dei giuristi di Londra, ed assicurando i fran-cesi che essa non avrebbe posto intralci o chiesto compensi per la parteci-pazione al negoziato ed al patto. Per la “carriera”, dunque, il pericolo di iso-lamento, corso dall’Italia nel campo della sicurezza europea, rendeva urgen-te il momentaneo accantonamento di istanze espansioniste, che pur nonerano estranee alla stessa diplomazia di età liberale, e che anzi Mussoliniaveva da questa ereditato.

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Conclusioni

Le ricerche effettuate provano dunque che Mussolini aveva bisogno,non solo delle “direttive contariniane”, ma anche del consiglio di una parteconsistente della “carriera” (di Sandicchi, capo dell’Ufficio Trattati e Societàdelle Nazioni; di Arlotta, capo della Direzione Generale Affari Politici; diBiancheri-Chiappori, capo dell’“Ufficio Austria” di quella Direzione).Certa è la presenza costante, nel campo della sicurezza come negli affariaustriaci, di questo gruppo di funzionari, che aveva la sua controparte, nonsolo nell’ambasciata a Berlino, ma forse anche in altri uffici del Ministerodegli Esteri (si pensi alla Direzione Affari Generali, retta da Lojacono).Risulta dunque palese, in questo momento, il prevalere della visione diContarini, della “carriera classica”, ancora per poco ascoltata dal Mussoliniministro e fascista, il quale intanto si coltivava un Grandi sottosegretario, maper il momento étrangèr aux affaires.

Di fronte al pericolo dell’Anschluss ed alle sempre più frequenti manife-stazioni d’isteria annessionista e pangermanista, con ordini del giorno, pro-clami, giornate della fratellanza germanica, cui si assisteva in Austria ed inGermania, non riusciamo inoltre a comprendere come Mussolini potesseaccettare la prospettiva dell’Anschluss «o sotto forma di un accordo privatocon la Germania o nel contesto di un ampio fronte revisionista nell’Europaorientale sotto il predominio dell’Italia»5. Infatti, in entrambi casi, una voltarealizzato l’Anschluss, l’Italia non avrebbe potuto competere con laGermania, dalla quale sarebbe stata scalzata nella guida del fronte revisioni-sta d’Europa orientale. Come avrebbe potuto dunque l’Italia concluderecon la Germania un accordo che la trasformava in contraente debole, congli immaginabili effetti anche in Alto Adige?

L’aspetto revisionista non è stato comunque trascurato sul piano storio-grafico. Si può certamente parlare di Mussolini come di un Giano bifron-te, ad un tempo «firmatario di Locarno e confidente di Sir AustenChamberlain», nonché «ideologo (...) trafficante in revisionismo»6. Si puòanche affermare che, già dal 1925, Mussolini «abbracciò ufficialmente la tesidella revisione dei trattati»7. È possibile inoltre vedere il revisionismo mus-soliniano come il mezzo per ottenere qualcosa dalla Francia e dalla GranBretagna, grazie anche ad un “blocco” di stati revisionisti 8.

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Tutto questo nulla toglie al fatto che Francia e Gran Bretagna si dichia-ravano paladine dei trattati di pace e del sistema da essi sorto; ma poi il lorocomportamento finiva per essere non meno incerto e dubbio di quellodell’Italia mussoliniana.

Va quindi detto che nel 1925 Mussolini non aveva interesse ad essererevisionista più di quanto non lo fossero, servendosi dell’articolo 19 delCovenant, la Gran Bretagna e la Francia. Ma non per questo egli si sarebberassegnato all’Anschluss; anzi, il potere di veto dell’Italia in seno al Consigliodella Società delle Nazioni avrebbe frustrato ogni tentativo di annessioneper vie legali.

Questo non significa che Mussolini non aspirasse a guadagni per l’Italia,conseguibili magari in occasione dell’ingresso nel patto renano.Certamentela situazione in Africa (specialmente in Tunisia ed a Tangeri) non favorivale aspirazioni italiane,ma nemmeno le inibiva, essendo sempre libero,maga-ri in Etiopia, un “posto al sole”, e potendo ogni questione risolversi con latradizionale pratica degli accordi diretti (come quelli su Giarabub, sul Gash,e sull’Oltre Giuba), o sul modello del “tripartito” del 1906. La politica mus-soliniana, dunque, aveva certamente connotati espansionistici, ma che noncozzavano affatto con l’antirevisionismo che la contraddistinse nei con-fronti del Trattato di Versailles.

Per questi motivi, sentiamo di sottoscrivere l’opinione del De Felice,quando scrive che «ai suoi esordi la politica estera di Mussolini si mosse inuna prospettiva strategica facilmente individuabile e che si ricollegava allalinea Di San Giuliano-Contarini-nazionalisti moderati»; e che «in base adessa, gli obiettivi da conseguire erano due: assicurarsi la sicurezza nella zonadanubiano-balcanica e tendere all’espansione nel Mediterraneo ed in Afri-ca»9. L’antirevisionismo era la base necessaria del primo obiettivo; l’accor-do diretto con Londra e Parigi lo era del secondo.

Certamente Locarno non assicurava completa stabilità che al quadranterenano; ma consentiva a Mussolini, «dissolvendo l’alleanza di guerra anglo-francese, di allargare verso l’Inghilterra i margini della sua politica»10.Questo però poteva dar vantaggi in alcune piccole questioni africane, nondi certo nel campo della sicurezza, dove l’intesa italobritannica non pagò,

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Conclusioni

poiché Londra ammetteva solo impegni strettamente limitati alla frontieraoccidentale tedesca. Non v’erano quindi che i vantaggi di un’illusoria idil-lica armonia, che già il poco tempo trascorso logorava.

Mussolini si illuse di poter fare a Parigi lo stesso gioco che gli era statopermesso di fare a Londra: avviare un’intesa in Europa sul presupposto diun’intesa in Africa. Ma qui il gioco si rivelò arduo, perché le questioni afri-cane che Mussolini intendeva sollevare erano vitali per i francesi, mentreChamberlain aveva largheggiato in concessioni limitate, ma gabellate perimportanti e generose.

Si spiega dunque come mai l’ipotesi di intesa italofrancese sulla sicurez-za fu destinata al fallimento.Vanno però considerati altri elementi. Come harilevato il Lefebvre D’Ovidio, «l’impostazione francese – giustificata, infondo, dall’atteggiamento preso da Mussolini col discorso del 20 maggio –partiva dal presupposto che la garanzia era una concessione della Franciaall’Italia, essendo quello austriaco un problema in primo luogo italiano»11.Il che non era, come Contarini spiegò a Mussolini nella sua relazione delsettembre12. Questo però non autorizzava a chiedere ai francesi qualcosa incambio per l’attuazione della loro proposta, bensì a concentrarsi sui criteriper aggiungere al patto di garanzia i pezzi mancanti di una completa sicu-rezza. Su questa linea Contarini lavorò; sì che l’arrivo di Mussolini aLocarno può considerarsi principalmente come un successo suo personale,ma anche della “carriera” attiva a Palazzo Chigi.

Si condivide ancora l’opinione del Lefebvre, quando sottolinea che ilPatto di Locarno era un accordo revisionista13. Dal punto di vista giuridi-co, si trae l’impressione che esso estendesse ai vincitori gli obblighi cui laGermania doveva sottostare, in base agli articoli 42 e 43 di Versailles. In talsenso, diventava più difficile per la Francia far scattare tout court il meccani-smo di assistenza ai paesi dell’Europa orientale. Dal punto di vista politico,tutto ciò poneva fine allo stato di subordine della Germania, che nel 1925assurgeva ad un ruolo denso di prospettive e di implicazioni in Europa.

Quale ruolo per l’Italia? Quali implicazioni?A Locarno Mussolini arrivò disilluso, per una serie di motivi che abbia-

mo cercato di spiegare. Tuttavia giungeva nella cittadina svizzera in quel-

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l’aura di garante, forgiatagli addosso dagli alleati, per compensarlo e conso-larlo del poco spazio di manovra concessogli nella delicata fase delle tratta-tive. Firmare a Locarno era d’uopo, se Mussolini non voleva abbreviare l’in-cantesimo e se teneva all’amicizia personale di Chamberlain. E firmò. Mase la Germania avesse in futuro mancato ai suoi obblighi, senza che Franciae Gran Bretagna intervenissero, allora egli avrebbe riconsiderato la sua posi-zione, distanziandosi da un sistema che non aveva contribuito a creare, etutelando da sé gli interessi immediati dell’Italia. Il che avrebbe potuto sor-tire non pochi effetti sull’intero equilibrio europeo.

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Conclusioni

1 A. SOLMI, Italia e Francia, cit., p.43.2 Così R. MOSCATI, Gli esordi della politica estera fascista. Il periodo Contarini-Corfù, in

AA.VV., La politica estera italiana, cit., p.89.3 E. DI NOLFO, Mussolini e la politica estera italiana, cit., p.134.4 H. STUART-HUGHES, The early Diplomacy of Italian Fascism: 1922-1932, in G. A.

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5 L’ipotesi è stata avanzata da J. BURGWYN, Il revisionismo fascista: la sfida di Mussolinialle grandi potenze nei Balcani e sul Danubio, 1925-1933, Milano: Feltrinelli, 1979, p.57.

6 Così A. CASSELS, Mussolini’s early Diplomacy, cit., spec. le pp.391-397.7 La tesi è di C. SETON-WATSON, L’Italia dal Liberalismo al Fascismo, 1870-1925, Bari:

Laterza, 1967. Si ha qui presente l’edizione tascabile del 1976, in 2 volumi: vol.II,pp.770 ss.

8 J. PETERSEN, Hitler e Mussolini: la difficile alleanza, Bari: Laterza, 1975 (ma 1973), p.7.9 R. DE FELICE, Mussolini il Duce, II, cit., p.347.10 G. CAROCCI, La politica estera dell’Italia fascista, cit., p.47.11 F. LEFEBVRE D’OVIDIO, L’Intesa italofrancese, cit., p.94.12 Ibidem, pp.96-97.13 Ibidem, p.99.

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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno

INDICE DELLE ABBREVIAZIONI

AA Auswärtiges AmtACS Archivio Centrale dello Stato, RomaADAP Akten zur Deutschen Auswärtigen PolitikAMAE Archives Diplomatiques du Ministère des Affaires Étrangères, ParisArch.Gab. Archivio di GabinettoASMAE Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri, RomaAUSSME Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, RomaDBFP Documents on British Foreign PolicyDDB Documents Diplomatiques BelgesDDI I Documenti Diplomatici Italianidoc. Documentofasc. FascicoloFRUS Foreign Relations of the United StatesGM Serie: Gabinetto del MinistroMAE Ministero degli Affari Esteris.d. Senza datasf. Sottofascicolos.i.p. Stampato in proprioSG Serie: Segretariato GeneraleUCS Serie: Ufficio di Coordinamento e Segreteriavol. Volume

SOMMARIO

5 PREMESSA.

11 INTRODUZIONE.1. Osservazioni introduttive. – 2. La letteratura su Locarno: brevicenni. – 3. Fonti del presente lavoro.

21 CAPITOLO I.LA NOTA TEDESCA DEL 20 GENNAIO 1925. LE REAZIONI IN

GRAN BRETAGNA ED IN FRANCIA.1. Cenni sulle origini diplomatiche della nota tedesca. – 2. La notatedesca: contenuto e caratteristiche. Una possibile spiegazione delsuo significato politico. – 3. Le reazioni della Gran Bretagna. – 4. Lereazioni della Francia.

59 CAPITOLO II.L’ITALIA E LA NOTA TEDESCA.1. La posizione dell’Italia alla vigilia della presentazione della nota. –2. Le valutazioni italiane sulla nota tedesca.

85 CAPITOLO III.L’ITALIA E IL PROBLEMA DELLA SICUREZZA.1. L’indipendenza austriaca ed il principio di non revisione dei tratta-ti nella politica italiana. – 2. Il discorso di Mussolini al Senato del 20maggio 1925. – 3. La risposta della Francia alla nota tedesca. – 4. Ladifficile intesa tra Londra e Parigi. – 5. La situazione austriaca nell’e-state del 1925 e le ripercussioni in Italia. – 6. Osservazioni conclusive.

153 CAPITOLO IV.PREPARANDO LOCARNO: DAGLI SCAMBI DIPLOMATICI ALLA

CONFERENZA DEI GIURISTI.1. Le nuove osservazioni tedesche del 20 luglio ed i problemi correla-ti. – 2.Verso la conferenza sul patto di sicurezza: gli incontri anglo-francesi di Londra e l’evoluzione graduale della posizione italiana. – 3.L’Italia e la conferenza dei giuristi di Londra. – 4. I lavori dei giuristie la redazione del testo del patto renano. – 5. Osservazioni conclusive.

197 CAPITOLO V.L’ITALIA ALLA CONFERENZA DI LOCARNO.1. Problemi irrisolti della sicurezza europea. – 2. Un colpo di scena. –3. L’Italia alla Conferenza di Locarno. – 4. Mussolini a Locarno. – 5.La parafatura dei patti di Locarno. – 6. I patti di assistenza tra laFrancia, la Cecoslovacchia e la Polonia. – 7. Una “appendice” aLocarno: la risposta di Mussolini alla proposta di collaborazione tri-partita nei Balcani. – 8. Osservazioni conclusive.

249 CAPITOLO VI.DALLA CONFERENZA ALLA FIRMA DEI PATTI DI LOCARNO.1. I nuovi patti e le reazioni nei paesi firmatari. – 2. La firma a Londradei Patti di Locarno. – 3. Osservazioni conclusive.

273 CONCLUSIONI.

281 FONTI.

299 INDICE DELLE ABBREVIAZIONI.

Finito di stamparenel mese di giugno 1996

dalle Grafiche Sales di Sales AntonioVia Michele Zannotti, 207

San Severo (Foggia)

Fotocomposizione: Layout Studio - Roma