Materiali arcaici e classici (Seconda metà VII-V secolo a.C.) da Marina di Caronia (ME). Nuovi dati...

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1 Francesco Collura MATERIALI ARCAICI E CLASSICI (SECONDA METÀ VII-V SECOLO A.C.) DA MARINA DI CARONIA (ME). NUOVI DATI SULLA PRESENZA GRECA LUNGO LA COSTA TIRRENICA IN ETÀ COLONIALE. L’EMPORION DI KALÈ AKTÉ ARCHAIC AND CLASSICAL MATERIALS (VI-V CENTURY BC) FROM MARINA DI CARONIA (ME). NEW DATA ON GREEK PRESENCE ALONG THE TYRRHENIAN COAST IN COLONIAL AGE. THE EMPORIONOF KALE AKTE Preprint. 4.2015

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1

Francesco Collura

MATERIALI ARCAICI E CLASSICI (SECONDA METÀ VII-V SECOLO A.C.) DA

MARINA DI CARONIA (ME). NUOVI DATI SULLA PRESENZA GRECA LUNGO

LA COSTA TIRRENICA IN ETÀ COLONIALE. L’EMPORION DI KALÈ AKTÉ

ARCHAIC AND CLASSICAL MATERIALS (VI-V CENTURY BC) FROM MARINA DI CARONIA (ME). NEW DATA ON

GREEK PRESENCE ALONG THE TYRRHENIAN COAST IN COLONIAL AGE. THE “EMPORION” OF KALE AKTE

Preprint. 4.2015

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MATERIALI ARCAICI E CLASSICI (SECONDA METÀ

VII-V SECOLO A.C.) DA MARINA DI CARONIA

(ME). NUOVI DATI SULLA PRESENZA GRECA

LUNGO LA COSTA TIRRENICA IN ETÀ COLONIALE.

L’EMPORION DI KALÈ AKTÉ

Francesco Collura Preprint. 4.2015

i dà notizia del recente casuale rinvenimento da

parte di chi scrive di materiali di epoca arcaica e

classica in terreno di risulta, proveniente da vecchi

scavi edilizi eseguiti a Marina di Caronia, probabilmente

negli anni ‘80 del secolo scorso e contenuti in una

discarica scoperta davanti alla spiaggia in contrada

Pantano.1 Sebbene le modalità della scoperta siano

estremamente fortuite e al di fuori di qualsiasi criterio

scientifico di ricerca, i materiali presenti risultano di

grandissima importanza per elaborare nuove ipotesi e

gettare luce sulla presenza coloniale greca lungo la fascia

settentrionale della Sicilia, che fin qui ha rivelato

principalmente evidenze di epoca ellenistica e romana e,

per l’epoca antecedente, è stata tradizionalmente

considerata esclusiva pertinenza di popolazioni indigene,

eventualmente entrate in contatto con la cultura greca,

senza tuttavia una presenza stabile di tipo greco al di là

della lontanissima colonia di Himera. Il presente preprint

costituisce un’anteprima di nuove ipotesi di lavoro,

supportate da dati concreti quali possono essere le

ceramiche di determinate fasi storiche, che saranno

trattati in maniera più completa in un volume di prossima

pubblicazione a cura dell’autore2.

La discarica da cui provengono i materiali in argomento

era formata da sette cumuli di terra, larghi ciascuno circa

4 metri per un’altezza di circa un metro, depositati sulla

spiaggia sassosa a poca distanza da numerose altre

discariche di terreno, alcune delle quali contenenti

materiali antichi, principalmente di età romana

imperiale.3 Prevalevano i materiali edilizi, costituiti

soprattutto da grandi ciottoli non lavorati, spezzoni di

calcare bianco e di conglomerato di origine alluvionale,

1 I materiali, parzialmente recuperati per forza di cose al di fuori di precise regolamentazioni in materia, con il preciso scopo di evitarne la

scomparsa, trattandosi di terreno depositato davanti al mare e soggetto

quindi a erosione e disfacimento, si presentano in questa sede in maniera molto preliminare, in attesa di un esame più approfondito che

riguardi le diverse tipologie ceramiche attestate 2 F. Collura, Studia Calactina I. Studi e ricerche su una città greco-romana di Sicilia. In c.d.p. 2015 3 La periferia occidentale del moderno abitato di Marina di Caronia

(contrada Pantano) è stata da sempre luogo di discariche da scavi edilizi. Molte di queste non sono più esaminabili perché erose dal mare, quando

depositate davanti alla spiaggia, o perché inglobate all’interno di una

fittissima vegetazione spontanea. Quelle presenti ai margini di un viottolo che parte dal “campo sportivo”, contengono in molti casi

materiale archeologico, in particolare mattonacci ellenistico-romani,

tegolame e ceramiche principalmente di età romana imperiale. Altri siti di discariche da scavi in area urbana, che sarebbe stato interessante

esaminare all’epoca della loro creazione per la presenza di materiale

archeologico di varie epoche, si trovano presso la contrada Chiappe (occultata da infrastrutture pubbliche moderne), presso la contrada

Fiumara (margine ovest del torrente Caronia) e nell’area del Ponte

Vecchio, sempre ai margini del torrente.

tutti elementi abbondantemente presenti sia a Marina di

Caronia (ciottoloni di spiaggia) sia lungo i pendii

collinari retrostanti. A questi si associavano numerosi

frammenti di solenes a pasta chiara, di probabile

produzione locrese,4 e qualche rado frammento di tegola

curva con le medesime caratteristiche nelle argille

impiegate. Pochi spezzoni di mattonacci di tipo

ellenistico-romano e di tegole curve a bordo ispessito

attestavano che i livelli asportati nello scavo avevano

interessato anche fasi di frequentazione di età imperiale.

Una grande quantità di frammenti ceramici era contenuta

in alcuni dei cumuli di terra e, tra questi, uno

comprendeva principalmente ceramiche arcaiche e

classiche, individuandosi in questo terrapieno

probabilmente lo strato più profondo intercettato, sebbene

materiali di identica cronologia fossero presenti in altri

cumuli, mischiati ad altri di età ellenistica e romana.

Il rinvenimento, di per sé, non porta novità assolute

quanto alla cronologia della prima frequentazione del sito

di Marina di Caronia, poiché materiali arcaici e classici

erano già stati presentati da A. Lindhagen5 e C. Bonanno6

in occasione degli scavi eseguiti tra il 1999 e il 2005 in

contrada Pantano, ad est del presunto bacino portuale

interno trasformatosi nei secoli in palude e bonificato agli

inizi del ‘900. Tuttavia le notizie contenute nelle

pubblicazioni dei due autori presentano un esiguo numero

di reperti di quell’epoca, peraltro non tutti di

rinvenimento in contesto, a fronte della quasi esclusiva

descrizione di materiali ellenistici e romani. Lindhagen

soprattutto presentava in appendice alcuni frammenti in

possesso di un privato che li recuperò da una discarica

oggi scomparsa, comprendente, tra gli altri, un

frammento di coppa Iato K480, uno di probabile cratere

attico a figure nere ed un frammento di skyphos di tipo

corinzio con decorazione a filettature verticali, databili tra

gli ultimi decenni del VI e i primi decenni del V secolo

a.C. A questi si aggiungeva una porzione di anfora

corinzia A e uno di anfora samia rinvenuti in corso di

scavo dai livelli più profondi raggiunti nel 1999-2001,

datati agli inizi del V secolo a.C. Bonanno, invece,

presentava unicamente un’applique molto consunta

configurata a testina in stile dedalico, datata alla fine del

VII secolo a.C., recuperata da terreno rimescolato

all’interno dell’area di scavo, dando notizia di altri

materiali di epoca sicuramente anteriore all’età

ellenistica.7

4 Le tegole, caratterizzate da alette con profilo a quarto di cerchio, sono

realizzate generalmente con argille di colore beige chiaro, internamente rosate, contenenti numerosissimi inclusi sabbiosi di colore bianco e

nero-grigio. Simili manufatti sono stati rinvenuti, sempre a Caronia

Marina, in un crollo affiorato nell’area della Stazione Ferroviaria, nonché, in area nebroidea, nell’insediamento indigeno di Monte Scurzi

e in quello di Gioiosa Guardia. La loro cronologia sembra spaziare, in

base ai contesti di rinvenimento, tra la fine del VI o inizi V secolo a.C. e i primi decenni del IV secolo a.C. 5 Lindhagen 2006 6 Bonanno 2008 7 Da comunicazione personale di A. Lindhagen, che ha avuto modo di

visionare velocemente i materiali dello scavo 2003-2005, e di F.

Sudano, che partecipò a quello scavo, si conosce il rinvenimento di frammenti di ceramiche probabilmente databili a partire dalla seconda

metà del VI secolo a.C., tra cui esemplari di coppe ioniche e coppe tipo

Iato K480

S

3

In questa sede si presentano alcuni esemplari, tra i

numerosi presenti, di ceramiche rinvenuti nella discarica,

pertinenti sia a vasellame che ad anfore, la cui cronologia

spazia almeno dalla prima metà del VI secolo a.C. alla

fine del secolo successivo. Una particolare

concentrazione riguarda il V secolo ed è probabilmente a

questa fase che si daterebbero le strutture intercettate e

distrutte dallo scavo, a cui si riferisce il tegolame prima

descritto. Va detto preliminarmente che la discarica non

conteneva solo materiali arcaici e classici ma, in

concentrazioni diverse, anche di età ellenistica e, assai

meno, di età imperiale. L’esemplare più tardo è costituito

da una porzione di anfora tipo Termini Imerese 151/354

di produzione locale, mentre alla prima età imperiale si

riferiscono pochi frammenti di sigillata italica, tra cui uno

con bollo rettangolare L. TI. TI. riferibile alla produzione

del ceramista aretino L. Titius8 Ad età ellenistica si

riferiscono numerosi esemplari di anfore greco-italiche,

databili tra la fine del IV e tutto il III secolo a.C. e oltre,

nonché uno di Lamboglia 2, assieme a frammenti di

vasellame a vernice nera e acroma (assente la Campana

C). Tuttavia oltre i due terzi dei materiali contenuti nel

terreno si datano fino al IV secolo a.C., presumibilmente

perché la discarica in questione conteneva gli strati di

terreno più profondi, dopo che quelli più superficiali

erano stati smaltiti altrove.9

I materiali più antichi sono costituiti da alcune lame

frammentarie e scarti di lavorazione in ossidiana. Non

sappiamo se lo scavo abbia intercettato livelli preistorici,

non attestati comunque da ceramiche, o se piuttosto

questi utensili siano stati già in antico rimescolati nel

terreno in occasione dell’occupazione del sito in fase

storica. In ogni caso, la presenza di ossidiana è attestata

in diversi punti a Marina di Caronia, ad esempio nell’ex

proprietà Naselli10 e sporadicamente nella stessa area di

contrada Pantano in cui sono stati eseguiti gli ultimi

scavi. L’assenza di ceramiche pre e protostoriche nella

discarica in argomento, assieme alle notizie di altri

rinvenimenti di ossidiana, fa pensare all’esistenza di un

insediamento probabilmente dell’Età del Bronzo, come

altri ne sono stati individuati nell’area di Caronia,11 che

forse venne abbandonato prima dell’Età del Ferro in

seguito allo spostamento della popolazione in siti

d’altura. In effetti, sia dai dati di scavo che dai

rinvenimenti sporadici di materiali, compresi quelli della

discarica in argomento, si osserva uno iatus di diversi

secoli nella frequentazione del sito, almeno dalla fine

dell’Età del Bronzo fino al VII secolo a.C., che potremmo

estendere anche alla retrostante collina di Caronia.

Oltre i due terzi dei frammenti presenti nel terreno è

costituito da porzioni di anfore commerciali. L’esemplare

più antico sembra essere costituito da alcuni bordi di

anfore fenicio-puniche del tipo Ramòn 10.1.2.1, la cui

cronologia spazia tra la metà del VII e la metà del VI

8 Comunicazione S. Cascella 9 I materiali di rinvenimento sporadico presentati in Lindhagen 2006 proverrebbero, infatti, dalla stessa area di scavo, come pare suggerire la

contemporanea presenza, in due distinte discariche, di due frammenti

della stessa coppa (?) a vernice nera, decorata con un raro motivo a fila di civette stampigliate, di probabile produzione ateniese. 10 Bonanno 1993-1994 11 Rinvenimento personale di un insediamento in c.da Fiumara, inedito

secolo a.C., sebbene la frammentarietà degli esemplari

non consentana una datazione certa e assoluta. Alla

seconda metà del VI secolo si datano alcuni esemplari di

anfore con bordo bombato e listello sottostante,

inquadrabili nella diversificata categoria dei contenitori

da trasporto indicati di volta in volta come “greco-

occidentali” arcaiche, “massaliote”, “ionio-massaliote” o

“corinzie B” arcaiche, che a tutt’oggi non riescono ad

essere riunite entro un tipo univoco. La loro

caratterizzazione dipende dalla forma del bordo, del collo

e del corpo piuttosto panciuto. Gli esemplari di cui

parliamo si conservano solo nella parte corrispondente al

bordo, fino all’attacco dell’ansa e parte del collo

cilindrico, per cui non si può determinare l’esatta forma

dell’intero contenitore. Inoltre sono diverse le argille

impiegate, il cui colore varia dal rosa-arancio al rosato

con sbiancatura superficiale. Tuttavia, il profilo

conservato dei bordi, con evidente listello sottostante, e

talvolta la forma dell’ansa ricurva verso l’alto prima di

scendere verticalmente, li pongono in una fase molto

antica, che per alcuni potremmo genericamente

assegniaro al 540-500 a.C. Tra la fine del VI e gli inizi

del V secolo a.C. si data un bordo di anfora corinzia A

con profilo superiormente piano e argilla di colore

arancio-rossastro con numerosi inclusi grigiastri. Intorno

alla metà del V secolo si datano invece un bordo di anfora

corinzia A’ e un puntale di corinzia B, la cui tonalità

dell’argilla, di colore giallino o beige pallido richiama le

produzioni dell’area di Corinto. Un cospicuo gruppo di

bordi e anse si riferisce alla categoria delle “greco-

occidentali” classiche o “pseudo-chiote”, caratterizzati da

profilo a cuscinetto, talvolta con incavo di produzione

interno, sottolineato inferiormente da una gola più o

meno profonda. Parti del collo conservate ne fanno

ipotizzare un profilo leggermente rigonfio, tipico, per

l’appunto, delle “pseudo-chiote”. Questo tipo di anfora si

daterebbe dalla metà del V alla metà circa del IV secolo

a.C.: quasi tutti gli esemplari sembrano di produzione

locrese, con argille di colore beige pallido-crema e

minuscoli inclusi sabbiosi bianchi e grigiastri, oltre a

tracce più o meno evidenti di mica. Un unico esemplare,

conservato nel bordo e in parte del collo in

corrispondenza dell’attaccatura dell’ansa, presenta

tuttavia caratteristiche materiali diverse, mostrando

numerosi inclusi di quarzite bianca nell’argilla di colore

camoscio, simile per certi versi a produzioni locali

osservate, ad esempio, nell’insediamento indigeno di

Pizzo Cilona nell’entroterra e nella stessa Caronia per

l’epoca ellenistica e romana. Al V-IV secolo a.C.

appartengono alcuni bordi molto frammentari di anfore

puniche di vario tipo: la più che discreta presenza di

contenitori da trasporto di produzione fenicio-punica di

varie epoche suggerisce contatti non solo con la colonia

di Himera, individuabile come mercato mediatore dei

materiali di produzione occidentale, ma probabilmente

l’arrivo su questo tratto di costa di mercanti provenienti

da Solunto o Panormos. Infine ad epoca tardoclassica

(fine V – seconda metà IV secolo a.C.) si datano alcuni

bordi parzialmente conservati di anfore con bordo a

echino (MGS III).

Per ciò che riguarda il vasellame, gli esemplari più

antichi, databili almeno negli ultimi decenni del VI secolo

4

a.C., sono costituiti da ceramiche a bande nere o rosse di

tradizione ionica, pertinenti a coppe skyphoidi, lekanai,

pissidi e amphoryskoi, la cui area di produzione potrebbe

essere Zancle o propriamente il versante egeo. Ad area

greco orientale si riferiscono alcuni frammenti decorati

con strette fasce di colore rosso-arancio o bruno. Stessa

cronologia dovrebbero avere alcuni piccoli frammenti di

coppe tipo Iato K480 di produzione imerese ed un

frammento di kylix di produzione attica, nonché alcuni

frammenti di ceramiche corinzie, di cui uno con

decorazione non decifrabile resa con sovradipintura di

colore paonazzo e sottili motivi incisi. Sempre agli ultimi

decenni del VI secolo a.C. si datano una coppetta a

vernice nera con bordo bombato di produzione coloniale,

alcune coppette apodi con doppia ansa di tipo ionico e un

piede di probabile coppa calcidese. Tra la fine dello

stesso secolo e i primi decenni del successivo si datano

alcuni piedi svasati di skyphoi attici di tipo corinzio e

alcuni esemplari frammentari di lucerne.

Figg. 1-2. Materiali in recupero dalla discarica: in alto,

frammenti di solenes a pasta chiara assieme a elementi edilizi

(pietrame) e contenitori frammentari; in basso, ceramiche fini e

frammenti di anfore e pithoi

Un cospicuo gruppo di frammenti si riferisce a

produzioni attiche. Si tratta principalmente di skyphoi a

vernice nera, caratterizzati da vernice molto compatta con

riflessi iridescenti e piede torico. Due frammenti a figure

rosse si riferiscono ad un medesimo cratere attico a

colonnette inquadrabile nel secondo terzo del V secolo

a.C., mentre ad un secondo cratere attico databile nella

prima metà del V secolo dovrebbe riferirsi un bordo

decorato nella faccia superiore con un motivo a boccioli

di loto intersecati. Alla stessa produzione si assegnano

altri piccoli frammenti decorati non riconducibili a

precise forme. Dall’esame delle decorazioni, quando

presenti, e del profilo dei vasi frammentari, questi

esemplari attici coprono un periodo compreso tra l’inizio

del V secolo a.C. e la seconda metà dello stesso secolo.

L’abbondante presenza di ceramica attica e in particolare

la presenza di vasi decorati di un certo pregio pongono

quesiti circa lo status delle genti che vivevano in questo

avamposto nel corso del V secolo a.C.

Assieme ai prodotti d’importazione si annoverano

numerosi frammenti di ceramiche a vernice nera o

acrome con decorazioni a fasce che andrebbero riferite a

produzioni coloniali, probabilmente dell’area dello

Stretto. Le forme maggiormente attestate sono costituite

da skyphoi, coppette e lekythoi globulari, ma in gran parte

i frammenti, poco diagnostici, non consentono di

ricostruire il profilo del vaso a cui appartengono. Molto

abbondante è la ceramica da cucina (lopadia e chytrai), la

cui cronologia è incerta ma che, per similare contesto,

possiamo datare tra gli ultimi decenni del VI e tutto il IV

secolo a.C. Non sono stati rinvenuti pesi da telaio né

coroplastica di alcun tipo. Di incerta cronologia sono

alcuni strumenti in bronzo e in piombo verosimilmente

utilizzati nell’ambito di attività pescherecce (ami e

utensili per la riparazioni delle reti). Infine si segnala la

presenza di molte ossa animali, a volte semicombuste, e

di diverse vertebre di tonno. Unico al momento il

rinvenimento di un tetras in bronzo di Gela databile al

420-405 a.C. della serie con testa del dio fluviale Gelas e

toro stante a destra.12

I frammenti ceramici sono estremamente lacunosi ma

talvolta parzialmente ricomponibili. Il loro stato, con

superfici perfettamente integre e linee di frattura nette,

induce a ritenere che al momento dello sbancamento i

manufatti si trovassero in giacitura primaria e in molti

casi interamente conservati. Una tale circostanza fa

ritenere che i livelli arcaici e classici non siano mai stati

sconvolti dalle successive sovrapposizioni e che uno

scavo sistematico avrebbe permesso il recupero dei

reperti in condizioni ottimali. Piuttosto, le tracce di

affumicatura in alcune pareti di anfore e diversi brandelli

di carbonella frammisti nel terreno potrebbero suggerire il

verificarsi di un incendio, non sappiamo se esteso su

vasta area o localizzato nelle strutture intercettate.

Pur tenendo conto che non tutti i cumuli di terreno della

discarica sono stati sistematicamente controllati,

essendosi concentrato il recupero su tre di essi dei sette

complessivi, ovvero quelli che a prima vista contenevano

principalmente materiali di epoca greca, possiamo fare

un’osservazione preliminare sotto l’aspetto quantitativo

dei frammenti per cronologia. La maggiore percentuale si

concentra tra l’inizio del V e i primi decenni del IV

12 Sono stati esaminati solo i materiali di alcuni dei cumuli di terreno e non si esclude che altre monete e ceramiche significative ai fini della

ricostruzione delle prime fasi di vita dell’insediamento siano contenute

negli altri cumuli, mischiati a materiali ellenistici e romani

5

secolo a.C., con una fase molto rappresentata

corrispondente al periodo 500-420 a.C. In discreto

numero sono i frammenti databili tra il 530 e il 500 a.C.

La seconda metà del IV secolo è meno rappresentata e

mancano alcune tipiche forme di questo periodo, tra cui

gli skyphoi di tipo attico con profilo del corpo meno

concavo internamente e bordo distinto. La fase compresa

tra III e I secolo a.C., in rapporto a quella di V-IV secolo,

è testimoniata da molti meno frammenti di vasellame

fine, tra cui alcuni piattini, anche in Campana A, mentre,

al contrario, sempre il periodo che va dalla fine del IV al

II secolo a.C. è ben descritto da numerosi esemplari di

anfore greco-italiche, circostanza che potrebbe suggerire

un cambiamento nella destinazione d’uso degli ambienti

intercettati dallo scavo.

La cospicua presenza di anfore commerciali, di cui si

sono identificati, come accennato, alcuni tipi principali e

ricorrenti, ma per le quali non si esclude la presenza di

produzioni diverse, forse anche da area egea, per la

presenza di numerosi frammenti non diagnostici ma con

caratteristiche dell’argilla e delle superfici non

assimilabili alle tipologie riconosciute, induce a ritenere

che alcuni degli ambienti intercettati dallo scavo fossero

dei magazzini. D’altra parte, la presenza di diversi tipi di

vasellame con funzioni diversificate (da mensa, da

dispensa, da cucina, lucerne, ecc.) non esclude che ad essi

fossero associati ambienti di tipo domestico, oltre a

luoghi di rivendita di merci. La presenza di almeno due

crateri attici figurati e di numerosi skyphoi richiama

inoltre la pratica del simposio, tanto cara ai Greci e

praticata in qualsiasi sede abitativa, a meno di pensare

che anche queste preziose suppellettili si trovassero

immagazzinate per un’eventuale rivendita. In ogni caso,

lo scavo edilizio a cui si riferisce la discarica non dovette

essere molto esteso, poiché la quantità di terreno

asportata e depositata sulla spiaggia, in considerazione

della profondità a cui si trovano normalmente i livelli più

antichi sepolti, induce a ritenere che le strutture andate

distrutte dovevano comprendere pochi ambienti.

I materiali sinteticamente descritti, asportati da un unico

contesto probabilmente riferibile ad un luogo di rivendita

o a magazzini per via della preponderante presenza di

anfore frammentarie, non solo confermano

un’occupazione del sito di molto precedente la nascita di

Kalè Akté come polis di metà V secolo a.C., ma

accendono tutta una serie di ipotesi sulla natura di questo

insediamento arcaico-classico sulla costa tirrenica, posto

a metà strada tra le subcolonie zanclee di Mylai e Himera.

Fig. 3. Bordo di cratere attico a colonnette con decorazione a

boccioli di loto intersecanti. Prima metà V secolo a.C.

Fig. 4. Insediamenti greci (colonie, subcolonie, phrouria ed emporia) della Sicilia settentrionale nel VI-V secolo a.C. (rielaborazione

da Google Maps)

6

Come è noto (Diodoro Siculo 12.8.2), Kalè Akté venne

fondata da Ducezio con la collaborazione di alcuni siculi,

tra cui Archonidas di Herbita, e di un gruppo di coloni

Corinzi nel 446 a.C. Trattandosi di una fondazione

propriamente sicula, nonostante la presenza di Greci e gli

affermati influssi ellenici in materia di organizzazione

urbana e tipologia di sito da scegliere per la fondazione di

colonie, la nuova città doveva rispondere piuttosto ai

consolidati criteri topografici di ascendenza protostorica,

che suggerivano la creazione di abitati su alture

naturalmente difese. La Kalè Akté di Ducezio venne

quindi fondata sulla collina di Caronia, a poca distanza

dalla costa, in un sito sufficientemente sicuro ma con

agevole accesso ai traffici commerciali che si svolgevano

via mare. La scelta del sito da parte di Ducezio, senza in

questa sede volere tenere conto di possibili prescrizioni

da parte delle potenze dell’epoca, di cui comunque non

abbiamo notizia, tenne probabilmente conto

dell’esistenza di un insediamento in vita da tempo sulla

costa, che doveva svolgere un ruolo non secondario da un

punto di vista commerciale. Tale circostanza avrebbe

permesso alla sua città, che ne prese lo stesso nome, di

svilupparsi rapidamente.

I materiali più antichi finora rinvenuti a Caronia13

confermano in buona sostanza la datazione tramandata da

Diodoro. Tuttavia una presenza greca sulla spiaggia di

Caronia, ben prima della fondazione di Ducezio, era

ipotizzabile per due ordini di motivi. Il primo è la stessa

posizione del sito, praticamente al centro della costa

tirrenica settentrionale, che dovette essere precocemente

esplorato dalle genti di Zancle nell’avanzata verso ovest,

dove nel 648 a.C. verrà fondata Himera. Potremmo

immaginare che viaggiatori zanclei si siano spinti in

queste contrade già nei primi decenni del VII secolo a.C.,

dopo la fondazione di Mylai intorno al 715 a.C. e la presa

di controllo della piana di Milazzo-Barcellona entro la

fine dell’VIII secolo a.C. Prima della fondazione di

Himera è ipotizzabile che siano stati esplorati vari siti

lungo la costa, alla ricerca del luogo più adatto per

fondare una subcolonia e che in alcuni di essi siano stati

creati piccoli insediamenti o meglio, postazioni

intermedie dove ricoverare le navi lungo un tratto di costa

molto ampio. A tal fine, tre sono quelli che

morfologicamente si prestavano ad essere utilizzati come

approdi: la baia protetta dal promontorio di Capo

d’Orlando, il basso promontorio di Caronia e quello di

Cefalù. Tra questi, quello di Caronia dovette attirare fin

da subito l’attenzione dei colonizzatori zanclei,

trattandosi di una larga piana proiettata sul mare estesa

per circa 70 ettari, che formava ad est un’insenatura

adatta all’attracco delle navi. La morfologia del sito era

idonea all’impianto di un esteso abitato, potendosi

sfruttare sia la piana costiera, molto ampia, sia il

retrostante altipiano (odierne contrade S. Anna-S.

Todaro) che si innalza verso sud in una naturale acropoli

(la collina di Caronia). Sotto certi aspetti, la morfologia di

quest’area richiama da vicino quella del sito di Himera,

13 Si tratta di frammenti di ceramiche indigene a decorazione geometrica e di alcuni frammenti di ceramiche attiche e di produzione coloniale

databili negli ultimi decenni del V secolo a.C. rinvenuti da chi scrive sul

pendio orientale della collina

che infatti si articolò in una città bassa nella piana

costiera e in una città alta nel retrostante pianoro elevato

(Piano di Imera-Piano del Tamburino). La scelta di

fondare la colonia nella piana di Buonfornello, a così

grande distanza, piuttosto che a Caronia, fu dettata da

migliori condizioni ambientali, in particolare la più

agevole possibilità di entrare in contatto con l’entroterra

sicano attraverso la vallata naturale del fiume Imera ed un

più vasto comprensorio adatto all’impianto di colture, con

bassi rilievi e ampie vallate fluviali.

Il secondo motivo è di interpretazione letteraria ed è

costituito dal cenno di Erodoto 6.22, che descrive il fallito

tentativo di fondare una colonia Samia, su invito di

Zancle, nel sito di Kalè Akté agli inizi del V secolo a.C.

Nel testo di Erodoto14 il toponimo parrebbe ben noto agli

Zanclei a quell’epoca e fa presumere che il luogo

nominato fosse già da tempo sotto il diretto controllo

della città dello Stretto. In quell’occasione, essi dovettero

chiamare gli Ioni a popolare un sito dove esisteva già un

abitato perché questo si trasformasse in polis. In questo

modo, Zancle avrebbe assunto il totale e definitivo

controllo di un’area molto vasta, sottomettendo l’intera

comunità indigena della Sicilia settentrionale e

impedendo l’avanzata verso nord di potenze greche come

Siracusa, Gela e Akragas. E’ da ricordare, in ultimo, che

il nome di Kalè Akté riferito da Erodoto – sia esso un

semplice toponimo a indicare un preciso punto della costa

o quello di un vero e proprio abitato - è l’unico noto per

la Sicilia settentrionale, a parte i toponimi di Mylai e

Himera, fino ad età ellenistica, ad avvalorare

l’importanza che esso ebbe in qualche modo in una fase

piuttosto oscura, l’epoca arcaica e altoclassica, fino

proprio alla fondazione di Ducezio, lungo la fascia di

alture nebroidee, tradizionalmente ritenuta esclusivo

controllo dei Siculi e per questo trascurata nel racconto

degli eventi che interessarono la Sicilia fino a tarda età.

Contatti tra mondo greco e mondo indigeno in questo

settore della Sicilia sono attestati da materiali databili già

a partire dalla fine del VII o inizi VI secolo a.C. A questa

fase, ad esempio, si datano le ceramiche greche più

antiche rinvenute nel sito indigeno-ellenizzato di Gioiosa

Guardia (Gioiosa Marea)15, mentre intorno alla metà del

VI secolo si datano le prime ceramiche greche presenti

nel sito indigeno di Monte Scurzi (Militello

Rosmarino)16. Infine, all’inizio – primi decenni del V

secolo a.C. si collocano i materiali greci presenti in

contrada Arìa17 e Pizzo Cilona18 in territorio di Caronia.

In tutti questi siti indigeni, che appaiono ellenizzarsi (mai

completamente) via via da est verso ovest a partire dalla

fine del VII secolo a.C., ceramiche greche, talvolta di

pregio, convivono con ceramiche di produzione locale,

talvolta fabbricate con metodi arcaici che richiamano

14 “Ζαγκλαῖοι γὰρ οἱ ἀπὸ Σικελίηςτὸν αὐτὸν χρόνον τοῦτον πέμποντες ἐς

τὴν Ἰωνίην ἀγγέλους ἐπεκαλέοντο τοὺς Ἴωνας ἐς Καλὴν ἀκτήν,

βουλόμενοι αὐτόθιπόλιν κτίσαι Ἰώνων. ἡ δὲ Καλὴ αὕτη ἀκτὴ καλεομένη

ἔστι μὲν Σικελῶν, πρὸς δὲ Τυρσηνίην τετραμμένη τῆς Σικελίης.

τούτωνὦν ἐπικαλεομένων οἱ Σάμιοι μοῦνοι Ἰώνων ἐστάλησαν, σὺν δέ

σφι Μιλησίων οἱ ἐκπεφευγότες: ἐν ᾧ τοιόνδε δή τι συνήνεικεγενέσθαι” 15 Tigano 2008 16 Bianco 1988 e ricognizioni di chi scrive 17 Collura - Alfieri 2012; Collura 2015 18 Collura 2015

7

tradizioni artigiane di fase protostorica. Inoltre si osserva,

considerando le caratteristiche materiali del vasellame

importato, che nell’area occidentale dei Nebrodi sono

presenti manufatti di produzione imerese ed anfore

puniche, quest’ultime commerciate da mercanti di

Solunto-Palermo o piuttosto provenienti dalla stessa

Himera, importante polo commerciale dove giungevano

merci sia dall’area greca che da quella punica, magno-

greca ed etrusca.

Lo studio della colonizzazione greca in Sicilia e, in

generale, in Occidente, è stato intrapreso molti decenni fa

e le linee principali sono state fissate sulla base del

resoconto delle fonti storiche e di scavi sistematici in situ.

Tuttavia riferirsi pedissequamente ai dati letterari può

essere in alcuni casi fuorviante e si deve pur sempre

tenere conto della loro parzialità e sinteticità. Il fenomeno

della prima colonizzazione a partire dall’ultimo terzo

dell’VIII secolo a.C. dovette essere preceduto da una fase

di ripetuti contatti tra la Grecia continentale e le coste

siciliane, con reiterate esplorazioni finalizzate alla ricerca

del sito più adatto alla creazione di una città, tenendo

conto sia delle preesistenze che della morfologia dei

luoghi. Anche la seconda generazione di colonie dovette

rispondere agli stessi criteri, nel tentativo di espansione,

da parte di centri già insediati, verso territori ancora

sconosciuti nei quali individuare siti adatti alla creazione

di subcolonie. Pensare che, dopo la precoce fondazione di

Mylai, Zancle si sia diretta nel sito in cui fonderà Himera

senza avere prima frequentato altri siti intermedi, pare

fuori di logica. Nei circa 70 anni che intercorrono tra

l’insediamento della postazione di Mylai e la nascita di

Himera dovette essere esplorata l’intera costa tirrenica e

il numero di anni in questione dovette essere sufficiente

alla frequentazione o occupazione di alcuni luoghi

ritenuti adatti, quantomeno ad accogliere le imbarcazioni

su cui si muovevano i coloni. Possiamo pensare alla

creazione di accampamenti davanti alla spiaggia da parte

di spedizioni isolate di coloni, che permettessero di

esplorare sufficientemente il territorio circostante ed

entrare in contatto con le popolazioni locali, il che

richiedeva anche molte settimane. Alcuni di questi

diedero forse vita a piccoli insediamenti stabili,

ripetutamente frequentati dalle navi che si spingevano

verso ovest, diversi dei quali tuttavia si esaurirono nel

giro di qualche decennio una volta che si decise a quali di

essi dare ulteriore sviluppo come città vera e propria,

come emporion o come semplice phrourion. Dopo la

fondazione di Himera, qualcuna di queste postazioni

temporanee probabilmente continuò ad essere frequentata

o trasformata in un vero e propria stazione permanente:

per l’appunto un emporion o, come viene chiamato nella

letteratura anglosassone, un trading post, espressione che

definisce per l’appunto un insediamento, di dimensioni e

struttura diversificata, creato quale polo commerciale,

piuttosto che una apoikia che dava luogo alla creazione di

una vera e propria polis politicamente e urbanisticamente

organizzata.19

19 Hansen 1997

Figg. 5-6. Modello digitale del territorio di Kalè Akté (in alto) e

Himera (in basso). Come si può notare, la seconda fu insediata

su un’area di bassi rilievi con ampie vallate fluviali che

mettevano la città in rapido collegamento con l’entroterra. Il

complesso di alture delle Madonie, a sud-est, impediva

un’espansione verso il centro della Sicilia. Kalè Akté, invece,

seppure esistente in un sito molto favorevole all’impianto di una

città, era tuttavia relativamente isolata rispetto all’entroterra

da una fitta serie di rilievi alti oltre 1000 metri e con poche vie

naturali di penetrazione, che tuttavia permettevano contatti con

le città indigene poste a sud delle alture nebroidee

(rielaborazione da DTM Sitr Sicilia)

Figg. 7-8. Panoramica virtuale del tratto di costa di Kalè Akté e

Himera così come doveva apparire ai naviganti provenienti da

est, che evidenzia la diversa morfologia del territorio alle spalle

e intorno al sito individuato come possibile sede di un

insediamento coloniale. Appare evidente la natura

notevolmente più accidentata dell’area in cui insisteva la piana

di Kalè Akté, sebbene essa si prestasse favorevolmente

all’insediamento di una città dotata di un approdo naturale

(rielaborazione da Google Earth 2014)

8

A Caronia non sono ancora stati rinvenuti materiali

sicuramente antecedenti la fine del VII secolo a.C.20 A

questo periodo, in attesa di possibili future scoperte,

dovrebbe quindi risalire la creazione dell’ipotizzato

emporion, la cui esistenza, in base ai materiali di cui

parliamo, è confermata senz’altro per la seconda metà del

VI secolo a.C. A questo punto, trovano un precedente sia

la mancata colonizzazione dei Samii per l’inizio del V

secolo a.C. riportata da Erodoto, che la stessa fondazione

di Ducezio un cinquantennio dopo.

Se infatti gli Zanclei avrebbero voluto dare impulso

demografico ad un abitato già esistente, facendone una

vera e propria polis, Ducezio si sarebbe diretto a Kalè

Akté, probabilmente con la compiacenza di Siracusa21,

più che con quella di Zancle-Messene che in quella fase

viveva un momento convulso della propria vita dopo la

caduta della tirannide di Anassila e l’instaurarsi di nuovi

rapporti con la stessa Siracusa, secondo un preciso

obiettivo. La scelta del sito, cioè, non sarebbe stata

casuale ma probabilmente indotta dal ruolo che già quel

luogo rivestiva nel panorama dei commerci e degli

equilibri politici di quella precisa fase storica. Riteniamo

comunque che la fondazione siculo-greca di metà V

secolo a.C. non abbia interrotto o modificato la vita

dell’emporion sulla costa che, a giudicare dalla continuità

cronologica dei materiali sinora noti, in particolare delle

anfore da trasporto, continuò ad esercitare la propria

attività prettamente mercantile, non sappiamo bene in

quali rapporti con il nuovo abitato sulla collina. A questo

proposito, rileva la presenza di frammenti di ceramiche

indigene databili alla seconda metà del V secolo a.C. (o

agli inizi del successivo) nel sito collinare e la quasi

totale assenza di materiali similari sulla costa22, come se

per un certo lasso di tempo i due centri, in verità

vicinissimi, facessero parte ancora di due entità distinte

anche sotto l’aspetto culturale.23 Bisognerebbe infine

verificare se i coloni Corinzi che seguirono Ducezio

nell’impresa si siano effettivamente insediati nella nuova

città o si siano sparsi tra collina e costa.

L’ipotesi di una pre-colonizzazione della costa tirrenica

da parte dei Calcidesi di Zancle nel corso del VII secolo

a.C., prima della fondazione di Himera, era stata già

avanzata da alcuni studiosi, pur in mancanza di riscontri

materiali. In particolare, Dominguez24 osserva che

l’interesse di Zancle nei confronti di quell’area è

testimoniato dalla precoce fondazione di Mylai,

ipotizzando che già intorno alla metà del VII secolo a.C.

la città dello stretto cercò di fondare una colonia a Kalè

20 Potrebbero datarsi a partire dalla metà dello stesso secolo alcuni esemplari frammentari di anfore fenicio-puniche tipo Ramòn T-10.1.2.1

rinvenute nella discarica 21 Prestianni Giallombardo 2006 22 Si menzionano solo alcuni frammenti di grandi contenitori a bordo

svasato, simili a dei pithoi, nei quali erano probabilmente state

commerciate derrate alimentari, ma non frammenti di vasellame fine o decorato 23 Occorre rilevare che probabilmente sino alla fine metà del IV secolo

a.C. l’abitato collinare non ebbe grandi dimensioni, rimanendo concentrato nella parte più alta ed avanzata della collina. Il basso peso

demografico del centro si rispecchia nella quantità di ceramiche presenti

in situ, che appaiono in percentuali crescenti a partire dagli ultimi decenni del IV secolo a.C. per raggiungere l’apice in corrispondenza del

II-I secolo a.C. 24 Dominguez 2006, pp. 294-295

Akté, spinta dall’intenzione sia di dare un luogo da

abitare ad un’eterogenea popolazione concentrata in città

e nella vicina Mylai, sia di creare un mercato per

esercitare i commerci con i centri che si affacciavano sul

Tirreno (in primis gli Etruschi) e con le popolazioni

fenicie del Mediterraneo occidentale. L’esigenza di

disporre di un ampio territorio adatto allo sfruttamento

agricolo e la maggiore vicinanza ai centri fenici della

Sicilia occidentale fece scegliere il sito di Himera per

l’insediamento di una colonia. Questo scenario sembra

trovare oggi riscontro nei ritrovamenti di cui discutiamo,

che finora confermano la frequentazione del sito di

Caronia negli ultimi decenni del VII secolo a.C.

I materiali recuperati dalla discarica, che abbiamo prima

descritto, parlano di un insediamento propriamente greco

e non di un possibile emporion indigeno, di cui peraltro

non si conoscono precedenti, almeno lungo la costa

tirrenica. La varietà dei manufatti, molti dei quali

provenienti dall’Attica, da Corinto e da area greco-

orientale, assieme a produzioni coloniali di Zancle-Mylai

e Himera e ad anfore puniche, oltre ai contenitori da

trasporto di Corinto, Locri (o Sibari) e forse anche

Marsiglia, fanno pensare ad un centro magari di piccole

dimensioni ma molto vitale, dove è possibile che

rimanesse parte del carico di navi in transito da est verso

ovest e viceversa, per un immagazzinamento temporaneo

e per un’eventuale commercio con i centri indigeni. E’

probabile che in epoca arcaica e classica Kalè Akté abbia

esercitato, in piccolo per ovvie ragioni, un ruolo

commerciale analogo a quello svolto su vasta scala da

Himera: il basso Tirreno era intensamente percorso da

rotte mercantili che collegavano la Sicilia greca con la

penisola (Calabria, Campania, Etruria), con la Francia

meridionale e, ovviamente, con i mercati fenicio-punici

sia siciliani che del nord-Africa e del Mediterraneo

occidentale. E’ impensabile che i soli centri (fin qui

tradizionalmente noti) di Mylai e Himera abbiano

sostenuto da soli i flussi commerciali provenienti dal

medio e alto Tirreno e dall’area fenicio-punica,

indirizzandoli parzialmente verso l’entroterra indigeno.

E’ più logico pensare all’esistenza di una serie di stazioni

commerciali intermedie, in particolare lungo la parte

centrale della costa tirrenica, da dove una serie di vallate

fluviali e passaggi tra le montagne metteva in

comunicazione la costa con un entroterra disseminato di

centri siculi molto floridi, come Centuripe, Agyrion,

Assoros, Henna o Morgantina.

Sarebbe interessante eseguire ricerche sistematiche nei

numerosi siti indigeni sparsi lungo le dorsali nebroidea e

madonita e a sud di queste per accertare la presenza di

determinati prodotti d’importazione, in particolare di

contenitori da trasporto e di certi tipi di vasellame, per

appurare quale merce vi giungesse e attraverso quali

canali25. La costa tirrenica era altamente strategica per le

25 Possediamo alcuni dati per tre di questi insediamenti, due dei quali

ricadenti proprio nel territorio dell’odierna Caronia. A Pizzo Cilona, a circa 6 km dalla costa, sono presenti anfore greco-occidentali di V -

prima metà IV secolo a.C. (“pseudo-chiote” di probabile produzione

locrese) e corinzie B, mentre riguardo al vasellame si sono osservate produzioni coloniali (in particolare di Himera) ed alcune importazioni

attiche. In contrada Arìa, alcuni km a sud della frazione di Canneto di

Caronia, i materiali dalla necropoli appaiono essere in gran parte di

9

colonie greche ma la risalita verso nord delle principali

tra esse in una certa fase storica, come Siracusa, Gela e

Akragas dovette senz’altro essere ostacolata dalla

resistenza delle popolazioni autoctone che abitavano

l’aspro settore centro-settentrionale dell’isola. Fu invece

più agevole per Zancle, forse anche per Naxos, aggirare

l’ostacolo occupando la costa, verso la quale sembra

fosse meno pressante l’esigenza di un controllo assoluto

da parte dei Siculi, proiettati soprattutto verso i siti

d’altura e l’entroterra. Non dobbiamo necessariamente,

pertanto, pensare ad un rapporto conflittuale tra Greci e

popolazioni autoctone, che vivevano in piccoli centri su

rilievi (“kata komas” secondo la definizione di Tucidide),

apparentemente autonomi e con un’area geografica di

pertinenza non molto estesa. Non si conoscono

insediamenti indigeni costieri su tutta la fascia tirrenica.

L’evidenza non esclude una presenza greca stabile e non

invasiva in alcuni siti costieri, ai quali potevano avere

accesso gli stessi indigeni per scambiare i loro prodotti,

con proficuo vantaggio per entrambi. L’esistenza di

emporia, piuttosto che di poleis con necessità di un vasto

retroterra (che avrebbe condotto a conflittualità con le

popolazioni locali), potrebbe avere dato vita non ad una

vera e propria colonizzazione ma ad una graduale

ellenizzazione di questa parte di Sicilia, basata su una

tranquilla coesistenza di culture fino a tarda età (prima

metà IV secolo a.C.), attraverso la creazione di postazioni

commerciali costiere, senza necessità di controllo politico

di un vasto territorio.

Fig. 9 Ipotesi di localizzazione dell’emporion nell’area degli

attuali quartiere Nunziatella – contrada Pantano a Marina di

Caronia e probabile andamento dell’antica linea di costa

L’emporion arcaico di Kalè Akté è finora attestato dai

materiali mobili cui si è accennato e da un’interpretazione

più pratica e adattata alla realtà dei luoghi di quanto

riferiscono sinteticamente le fonti letterarie. Occorrerebbe

adesso eseguire scavi sistematici sotto i livelli ellenistici e

romani fin qui indagati ed effettuare saggi nell’area di

Marina di Caronia non ancora urbanizzata allo scopo di

accertarne le dimensioni e la struttura. Diversi indizi ne

produzione coloniale. A Monte Scurzi, in territorio di Militello

Rosmarino, si sono osservati pochi frammenti di anfore da trasporto, tra

le quali rilevano almeno due esemplari di anfore puniche di V secolo a.C., mentre relativamente al vasellame si osservano produzioni

coloniali, presumibilmente dall’area nord-orientale della Sicilia, vasi

calcidesi e alcuni esemplari di materiali attici

suggeriscono la localizzazione alle spalle dell’insenatura,

a partire dal corso del torrente S. Anna verso est nella

parte più ampia della piana costiera, anche laddove,

probabilmente in età romana, venne aperto un bacino

portuale interno (il “pantano” attuale). Essendo a così

grande distanza dalle poleis di riferimento, ovvero Zancle

e Himera, riteniamo che dovette dotarsi sin dalle prime

fasi di vita di una struttura urbana organizzata, dotata di

tutti gli apprestamenti necessari ad una permanenza

prolungata.26

Pensiamo ad un gruppo di abitazioni e strutture di

accoglienza, nonché ad attività artigianali, a ridosso di

magazzini, luoghi di rivendita e attrezzature portuali, con

l’immancabile presenza di piccoli santuari e naturalmente

di un’area cimiteriale, da ricercarsi forse verso est, oltre il

corso del torrente.27 Dovette passare da qui, tra VI e V

secolo a.C., buona parte del carico commerciale diretto

verso i centri indigeni dell’entroterra e dei rilievi

nebroidei. E’ logico pensare che qui fossero

immagazzinati i prodotti acquistati dalle popolazioni

locali (legname, pelli, minerali, ecc.) per rifornire le

colonie. La totale assenza di notizie circa eventi bellici

che possano essersi verificati in queste contrade tra VI e

V secolo a.C. induce a ritenere che i rapporti tra Greci e

indigeni si siano basati su una pacifica convivenza e che

l’area sia fondamentalmente rimasta estranea a lungo da

concreti tentativi di penetrazione da parte delle principali

potenze dell’epoca.

Naturalmente le ipotesi avanzate nel presente contributo

preliminare necessitano di verifiche e approfondimenti

futuri. L’esistenza di un insediamento con funzioni

prettamente commerciali è comunque suggerito dalla

tipologia stessa dei materiali descritti, comprendenti

soprattutto anfore da trasporto. Lo studio degli emporia

greci di Sicilia in realtà non è mai stato intrapreso

concretamente, mentre l’attenzione degli studiosi si è

sempre focalizzata sugli aspetti urbanistici delle poleis e

sulla loro proiezione nel territorio circostante in chiave di

chora agricola. Emporia andrebbero cercati per l’epoca

26 L’organizzazione urbana di un emporion di epoca arcaica e classica poteva variare da un’area geografica all’altra e dipendere da molti

fattori. Quelli più noti fino ad oggi si trovano ai margini opposti del Mediterraneo: Emporion nella penisola iberica e Naukratis nel delta del

Nilo in Egitto. Il primo fu creato poco dopo la fondazione di Massalia

(sud della Francia, nei primi decenni del VI secolo a.C., e dovette convivere con le popolazioni indigene degli insediamenti circostanti,

basando la propria esistenza su rapporti di reciproco scambio e

favorendo l’ellenizzazione di parte dell’attuale Spagna. Le sue dimensioni non furono mai estese: era difesa da una cinta muraria ed

esistevano dei templi. Naukratis fu invece un vitale centro commerciale

greco in territorio egiziano, creato su un ramo del Nilo dove si trovava il porto e dotato di una nutrita serie di santuari dedicati a varie divinità.

L’area occupata, che comprendeva comunque una vera e propria città

egiziana, era piuttosto vasta e a settori fittamente occupati da case e magazzini si alternavano aree dove si svolgevano attività pubbliche e

artigianali. Naturalmente, i contesti in cui sorsero Emporion e Naukratis

appaiono assai diversi da quello che doveva contraddistinguere la stazione commerciale di Kalè Akté, sia da un punto di vista morfologico

e ambientale che sotto l’aspetto della densità abitativa delle popolazioni

locali e dei rapporti con queste. 27 La localizzazione di una necropoli arcaica-classica in questo settore è

suggerita al momento dalla scoperta di tombe ellenistiche nell’area

dell’ex Rifornimento Agip (Scibona 1987) e di materiali della stessa epoca di rinvenimento sporadico presso lo sbocco del torrente Nivale-

Cinquegrana, probabile espansione verso est in fasi successive del

cimitero impiantato all’epoca dell’emporion

10

arcaica sulle lunghe distanze, ad esempio lungo la costa

meridionale tra Gela e Selinunte, oltre che nella stessa

fascia tirrenica, dove non è da escludere esistessero altri

piccoli insediamenti dotati di approdo. Soprattutto la

costa tirrenica si prestava alla creazione di postazioni

commerciali verso cui convogliare i traffici intercorrenti

con mercati eterogenei e molto attivi quali erano quelli

etruschi e quelli fenici, senza trascurare i rapporti con i

diversi centri greci che tra la metà dell’VIII e il VI secolo

a.C. vennero fondati nell’Italia meridionale, nel sud della

Francia e nella penisola iberica.

Materiali28

A. Ceramiche

1. Porzione di coppa skyphoide di tradizione ionica.

Decorazione a bande orizzontali a vernice nera lucente.

Superficie interna a vernice nera con riflessi iridescenti. Argilla

di colore rosa-arancio (Munsell 2.5YR6/12). Seconda metà VI

secolo a.C.29

2. Frammento di vaso (hydria?) con decorazione a linee

incrociate di colore rosso-arancio. Parte interna acroma. Argilla

di colore rosa-beige (Munsell 2.5YR6/10). Probabile

produzione greco-orientale. Seconda metà VI secolo a.C.

3. Piccolo frammento di coppa (?) corinzia con decorazione

graffita e fascia di vernice color paonazzo. Superficie interna a

vernice nera. Argilla di colore beige pallido (Munsell 5YR7/10).

Seconda metà VI secolo a.C.

4. Frammento di parete di coppa tipo Iato K480 di produzione

imerese. Si conserva la fascia a risparmio decorata a tratti

verticali. Superficie interna a vernice nera. Argilla beige scuro

(Munsell 2.5YR5/8). Ultimi decenni VI secolo a.C.30

5. Frammento di vaso di forma aperta di produzione corinzia.

Parte esterna a vernice di colore marrone con decorazione a

linee graffite orizzontali. Superficie interna a vernice bruna.

Argilla di colore beige pallido (Munsell 5YR7/10). Metà VI

secolo a.C.

6. Coppetta a bordo ispessito di produzione coloniale. Vernice

nera interna ed esterna tranne che nel piede e nella parte esterna

del fondo. Bordo ingrossato esternamente. Argilla di colore

28 A causa dell’estrema frammentarietà dei materiali non è stato

possibile, in molti casi, né stabilire la forma dell’oggetto cui si

riferiscono, né attribuire precise cronologie. E’ il caso, ad esempio, di alcuni bordi di anfore puniche, per le quali occorrerebbe conoscere la

forma dell’intero contenitore, o anche di frammenti ceramici la cui

cronologia può essere dedotta solo dalla tipologia decorativa e, talvolta, dal trattamento delle superfici. Solo in alcuni casi è stato possibile

trovare precisi confronti in letteratura. In questa sede si presentano solo

a titolo esemplificativo e in via del tutto preliminare alcuni frammenti, tra i tanti presenti nel terreno di discarica. La frammentarietà e

dispersione all’interno dei cumuli di terra, che necessiterebbero di una

sistematica indagine al fine di recuperare interamente i reperti, non consentono che in pochi casi di ricomporre almeno parzialmente gli

oggetti e suggeriscono che nell’area intaccata dallo scavo ne giacessero

in gran numero e concentrazione 29 Dovrebbe trattarsi di uno skyphos o coppa skyphoide forma Athenian

Agora XII fig. 4 n. 332 30 Cfr. Vassallo 1996, fig. 2 n. 9

beige-arancio (Munsell 2.5YR7/10). Fine VI - inizi V secolo

a.C.31

7. Coppetta apode di produzione ionica. Acroma con parziale

sbiancatura superficiale esterna. Doppia ansa con parte

sporgente a vernice nera. Argilla di colore rosato (Munsell

2.5YR7/8). Fine VI secolo a.C.32

8. Frammento di vaso di forma chiusa (hydria?) con fascia

esterna di colore rosso di tradizione ionica. Superficie interna

acroma. Argilla di colore rosa-beige (Munsell 2.5YR7/10). Fine

VI – inizi V secolo a.C.33

9. Frammento di vaso di forma chiusa (olpe?) con decorazione a

fasce di colore marrone. Superficie interna acroma. Argilla ben

depurata di colore beige (Munsell 5YR6/8). Fine VI – inizi V

secolo a.C.

10. Piede di coppa di produzione calcidese a vernice nera.

Profilo del piede di forma tronconica con base a risparmio.

Argilla di colore beige grigiastro (Munsell 7.5YR6/8). Seconda

metà VI secolo a.C.

11. Frammento di vaso di forma chiusa (brocca?) con

decorazione a fasce di colore rosso e bruno. Argilla ben

depurata, esternamente lucente. Superficie interna acroma.

Argilla di colore rosa-beige (Munsell 10R6/14). Probabile

produzione ionica. Fine VI – primi decenni V secolo a.C.

12. Ansa di boccaletto di produzione attica. Vernice rossa

lucente sull’ansa, nera lucente nella parte conservata della parte

interna dell’attacco. Argilla di colore beige chiaro (Munsell

5YR6/8). Prima metà V secolo a.C.34

13. Frammento di parete di vaso di forma non definibile con

decorazione esterna a bande di colore marrone e nero separate

da fascia a risparmio. Superficie interna a vernice bruna diluita.

Argilla di colore beige pallido (Munsell 5YR7/8). Produzione

corinzia? Prima metà V secolo a.C.

14. Porzione di lucerna a vasca aperta. Vernice nera interna e

sulla spalla. Base d’appoggio piana. Argilla di colore rosa-beige

(Munsell 2.5YR7/10). Simile a Athenian Agora IV tipo 22A (n.

195). Fine VI – primi decenni V secolo a.C.

15. Becco di lucerna a vasca aperta. Vernice nere esterna.

Argilla di colore brunastro tendente al grigio per ipercottura

(Munsell 7.5YR5/6). Prima metà V secolo a.C.

16. Piede a profilo svasato di skyphos di tipo corinzio. Vernice

nera lucida all’esterno, tranne nel fondo esterno acromo, dove è

dipinto un ampio cerchio a vernice nera. Superficie interna a

vernice marrone lucida. Argilla di colore beige (Munsell

2.5YR5/12). Fine VI – primi decenni V secolo a.C.

17. Porzione di grande skyphos attico, conservato nel bordo,

parte superiore della parete e attacco dell’ansa (orizzontale

appena sotto il bordo. Orlo verticale indistinto. Vernice nera

interna ed esterna molto compatta e con riflessi iridescenti.

Argilla di colore beige (Munsell 2.5YR5/10). Prima metà V

secolo a.C.

31 Cfr. Bacci, Tigano 2002, pag. 135, fig. 7 n. 17 32 Cfr. Meligunis LIpàra IX, tav. XCIV nn. 1161, 162, 166. Il tipo

appare abbastanza attestato nel contesto d’origine per la presenza di

numerosi frammenti, comprese diverse anse 33 Dello stesso vaso, decorato con fasce di colore rosso, sono presenti

nella discarica diversi frammenti non ricomponibili 34 Cfr. Athenian Agora XII pp. 70-76

11

18. Parte inferiore di vaso apode (olpe?). Base piana. Acromo

internamente ed esternamente tranne nella parte inferiore a

vernice brunastra diluita. Graffito sul fondo esterno (N?).

Argilla di colore beige scuro (Munsell 2.5YR3/6). V secolo a.C.

19. Frammento di grande vaso (hydria?)35. Superficie esterna di

colore grigiastro con bande orizzontali schiarite e decorazione

incisa a fitti tratti obliqui affiancati entro fascia orizzontale.

Argilla di colore grigiastro (Munsell 5YR3/2) in superficie,

rossastra internamente (Munsell 10R4/10). Fine VI-V secolo

a.C.36

20. Ansa e bordo di skyphos a vernice nera. Orlo verticale

indistinto, ansa orizzontale. Vernice lucida e compatta. Argilla

di colore rosa-arancio (Munsell 10R5/12). V secolo a.C.

21. Frammento (bordo?) di vaso attico a figure rosse.

Decorazione non interpretabile. Superficie interna acroma.

Argilla di colore rosa-beige (Munsell 2.5YR5/10). V secolo a.C.

22. Frammenti di cratere attico a colonnette. Si conserva parte

della decorazione accessoria a fascia verticale con puntinature

all’interno e della decorazione principale non interpretabile.

Vernice compatta e brillante. Superficie interna a vernice nera

stesa a pennellate orizzontali. Argilla di colore rosa-arancio

(Munsell 2.5YR5/10). Secondo terzo del V secolo a.C.

23. Fondo di lucerna a vernice nera. Base piana leggermente

rientrante. Ombelicatura centrale nella parte interna del fondo.

Vernice nera interna ed esterna lucente e parzialmente evanida.

Argilla di colore rosa-beige (Munsell 2.5YR5/12) Forma simile

a Athenian Agora IV tipo 12 var. (n. 80) per la presenza

all’interno di protuberanza conica. Ultimi decenni VI – inizi V

secolo a.C.

24. Frammento di coppa/kylix a vernice nera con cerchio interno

a decorazione graffita (onde continue). Argilla di colore cipria

(Munsell 2.5YR6/12). Seconda metà V secolo a.C.?

25. Parte inferiore di vasetto di forma chiusa apode (lekythos

globulare o piccola olpe). Fondo piano. Esternamente a vernice

nera, internamente acromo. Argilla di colore beige (Munsell

2.5YR6/12). Seconda metà V – prima metà IV secolo a.C.

26. Bordo e parte della vasca di lekane a vernice nera.

Decorazione lungo il bordo a minute puntinature su fondo

acromo. Vernine nera interna ed esterna brillante. Argilla di

colore beige (Munsell 2.5YR6/12). Seconda metà V – inizi IV

secolo a.C.

B. Anfore da trasporto

1. Bordo di anfora Corinzia A. Superficie piana con parte

esterna leggermente concava. Argilla compatta di colore arancio

(Munsell 10R5/14) con numerosi inclusi di pietrisco grigio,

nero e biancastro. Corpo ceramico interno tendente al grigio.

Ultimi decenni VI secolo a.C.

2. Bordo di anfora punica arcaica tipo Ramòn 10.1.2.1.37 Profilo

internamente convesso, esternamente contraddistinto da

35 Sono stati recuperati numerosi frammenti di questo vaso, molti dei

quali ricomponibili 36 I numerosi frammenti riconducibili a questa produzione potrebbero riferirsi a più vasi. Si segnala la presenza costante di incrostazioni e

tracce di affumicatura nelle pareti interne 37 Ramòn 1995, p. 461, fig. 108, n. 17

ripiegatura in corrispondenza della spalla. Argilla compatta di

colore rosa-bruno (Munsell 2.5YR4/8) esternamente grigiastra

(M. 10YR5/4). Minuscoli inclusi biancastri. Seconda metà VII -

prima metà VI secolo a.C.

3. Bordo di anfora punica simile a Ramòn 10.1.2.1.38 Argilla

molto depurata di colore arancio (Munsell 10R5/12) con stretto

corpo interno grigiastro. Seconda metà VII – metà VI secolo

a.C.

4. Bordo di anfora punica tipo Ramòn 10.1.2.1.39 Profilo

internamente convesso, esternamente contraddistinto da

ripiegatura in corrispondenza della spalla. Argilla di colore

arancio simile all’es. n. 3 con radi minuscoli frammenti micacei.

Seconda metà VII – metà VI secolo a.C.

5. Bordo di anfora greco-occidentale arcaica. Si conserva, oltre

all’orlo, l’attacco dell’ansa e parte del collo cilindrico. Bordo

bombato con listello inferiore. Profilo interno verticale. Argilla

compatta di color cipria (Munsell 2.5R5/10) con schiaritura (M.

2.5YR7/10) nella parte interna del bordo. Minuscoli inclusi

grigiastri e micacei. Ultimi decenni VI – inizi V secolo a.C.

6. Bordo di anfora greco-occidentale arcaica. Bordo bombato

con listello inferiore. Profilo interno lievemente concavo in

corrispondenza dello spigolo superiore. Argilla compatta di

colore rosato (Munsell 2.5YR6/8) con schiaritura superficiale

interna ed esterna (M. 7.5YR7/6). Piccoli inclusi biancastri,

nerastri e micacei. Ultimi decenni VI – inizi V secolo a.C.

7. Bordo di anfora greco-occidentale (“pseudo-chiota”). Orlo a

cuscinetto, inferiormente terminante in una netta gola in

corrispondenza dell’attacco dell’ansa. Profilo interno verticale

con estremità superiore tendenzialmente appuntita. Vacuolo di

produzione interno. Argilla di colore beige pallido (Munsell

5YR7/8), più chiara in superficie. Minuscoli inclusi grigiastri e

micacei, probabile produzione locrese.40 Fine V – prima metà

IV secolo a.C.

8. Bordo di anfora Corinzia A’.41 Si conserva il bordo,

caratterizzato da profilo declinante verso il basso con netta

ripiegatura verso l’estremità inferiore, a contatto con l’ansa, di

cui è conservata l’attaccatura. Produzione di Corinto. Argilla di

colore beige pallido (Munsell 10YR6/6), esternamente tendente

all’avorio (M. 7.5YR8/6). Innumerevoli inclusi di pietrisco di

colore grigiastro/marrone con numerosi vacuoli. Metà V secolo

a.C.

9. Puntale di anfora Corinzia B.42 Parte inferiore del contenitore

concavo ed espanso con breve puntale di forma tronco-

cilindrica con cavità interna. Probabile produzione corcirese.

Argilla di colore beige pallido (Munsell 5YR7/8) molto

depurata, liscia in superficie. Seconda metà V secolo a.C.

38 Ramòn 1995, p. 461, fig. 108, n. 6 (?) 39 Ramòn 1995, p. 461, fig. 108, n. 10 40 Barra Bagnasco 2001 41 Koehler 1981, pl. 99 lett. g 42 Koehler 1981, pl. 99 lett. c

12

Fig. 10. Esemplificazione di ceramiche fini dalla discarica

13

Fig. 11. Esemplificazione di anfore dalla discarica

14

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