MARIANO CAVATAIO e Luciano M. Fasano (2013), La voce ai dati. La slealtà ti fa male, lo sai..., in...

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[1] C&LS - candidateandleaderselection.eu 27 Novembre 2013 Editoriale Scacco al Re(nzi)? Uno sguardo al 9 dicembre……p. 1 L’opinione - Strategie comunicative e ruolo dei medi a…….…..p. 3 Il fatto della settimana /1L’iscritto conta (per chi lo sa contare). Un’analisi del voto nei circoli ……………………….……………………..p. 5 Il fatto della settimana/2 Niente di nuovo dentro il voto…....p. 7 La voce ai dati - Le primarie viste dalle interviste. Cosa ci raccontano i candidati?........................................................................…………p. 9 La voce ai dati - La slealtà ti fa male lo sai… ……...........…………p.11 Editoriale SCACCO AL RE(NZI)? UNO SGUARDO AL 9 DICEMBRE Fulvio Venturino, Università di Cagliari La posizione più alta del podio conquistata in occasione delle primarie chiuse ovvero limitate ai soli iscritti democratici delle scorse settimane ha aperto la strada verso la segreteria a Matteo Renzi.Il sillogismo, tutto sommato, è abbastanza semplice. Il Rottamatore è più popolare fra i simpatizzanti e gli indipendenti che fra gli iscritti; il Rottamatore ha vinto fra gli iscritti (come C&LS aveva previsto circa un mese fa); a maggior ragione, il Rottamatore vincerà le primarie aperte dell’8 dicembre grazie al voto dei simpatizzanti e degli iscritti. I quali, fra l’altro, nel passato hanno sempre costituito almeno i tre quarti del selettorato. Quindi tutto facile? Forse no, perché l’establishment del Partito Democratico, travolto dalla blitzkrieg di Renzi, sta predisponendo le trincee per la guerra di posizione del giorno dopo. Come già avvenuto un anno fa in occasione delle primarie di coalizione per la premiership, il contrasto a Renzi si basa in larga misura sull’uso contra personam delle regole. Nel 2012 questo uso si concretizzò in tre innovazioni: la pre-registrazione introdotta nelle settimane precedenti le primarie; il diniego del diritto di voto ai diciassettenni; il doppio turno. I primi due accorgimenti, senza intaccare la natura aperta delle primarie, aumentavano gli ostacoli per, o impedivano la partecipazione di, quegli elettori che si sapevano inclini a sostenere Renzi. Il doppio turno aveva invece la funzione di consentire ai sostenitori di Vendola di convergere su Bersani in occasione del ballottaggio, come puntualmente poi avvenne. E quest’anno? Quest’anno le regole non sono state aggiustate in modo tale da prevenire la vittoria di Renzi, compito evidentemente ritenuto impossibile. Piuttosto, due interventi sul regolamento congressuale e uno in fieri? sullo statuto sembrano predisporre un tentativo di evitare le conseguenze più sgradite di quella vittoria. Primo intervento. Nel 2009 l’elezione del segretario nazionale e dei segretari regionali avvenne nello stesso giorno. Ne derivò un chiaro effetto bandwagon, per cui vennero eletti 19 segretari regionali su 20 di comprovata fede bersaniana. Quest’anno le “norme di raccordo” contenute nell’articolo 12 del regolamento congressuale stabiliscono che, a scanso di equivoci, i segretari regionali saranno eletti “dopo la proclamazione del Segretario Nazionale ed entro il 31 marzo”. L’enorme sostegno di cui il segretario in pectore gode attualmente dentro il PD è, in verità, un po’ sospetto e, in caso di avversità, potrebbe fare la fine della neve al sole.

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27 Novembre 2013

Editoriale –Scacco al Re(nzi)? Uno sguardo al 9 dicembre……p. 1

L’opinione - Strategie comunicative e ruolo dei media…….…..p. 3

Il fatto della settimana /1– L’iscritto conta (per chi lo sa contare).

Un’analisi del voto nei circoli ……………………….……………………..p. 5

Il fatto della settimana/2 – Niente di nuovo dentro il voto…....p. 7 La voce ai dati - Le primarie viste dalle interviste. Cosa ci raccontano i candidati?........................................................................…………p. 9 La voce ai dati - La slealtà ti fa male lo sai… ……...........…………p.11

Editoriale

SCACCO AL RE(NZI)? UNO SGUARDO AL 9 DICEMBRE

Fulvio Venturino, Università di Cagliari

La posizione più alta del podio conquistata in occasione delle primarie chiuse – ovvero limitate ai soli iscritti democratici – delle scorse settimane ha aperto la strada verso la segreteria a Matteo Renzi.Il sillogismo, tutto sommato, è abbastanza semplice. Il Rottamatore è più popolare fra i simpatizzanti e gli indipendenti che fra gli iscritti; il Rottamatore ha vinto fra gli iscritti (come C&LS aveva previsto circa un mese fa); a maggior ragione, il Rottamatore vincerà le primarie aperte dell’8 dicembre grazie al voto dei simpatizzanti e degli iscritti. I quali, fra l’altro, nel passato hanno sempre costituito almeno i tre quarti del selettorato.

Quindi tutto facile? Forse no, perché l’establishment del Partito Democratico, travolto dalla blitzkrieg di Renzi, sta predisponendo le trincee per la guerra di posizione del giorno dopo. Come già avvenuto un anno fa in occasione delle primarie di coalizione per la premiership, il contrasto a Renzi si basa in larga misura sull’uso contra personam delle regole. Nel 2012 questo uso si concretizzò in tre innovazioni: la pre-registrazione introdotta nelle settimane precedenti le primarie; il diniego del diritto di voto ai diciassettenni; il doppio turno. I primi due accorgimenti, senza intaccare la natura aperta delle primarie, aumentavano gli ostacoli per, o impedivano la partecipazione di, quegli elettori che si sapevano inclini a sostenere Renzi. Il doppio turno aveva invece la funzione di consentire ai sostenitori di Vendola di convergere su Bersani in occasione del ballottaggio, come puntualmente poi avvenne.

E quest’anno? Quest’anno le regole non sono state aggiustate in modo tale da prevenire la vittoria di

Renzi, compito evidentemente ritenuto impossibile. Piuttosto, due interventi sul regolamento congressuale e uno – in fieri? – sullo statuto sembrano predisporre un tentativo di evitare le conseguenze più sgradite di quella vittoria.

Primo intervento. Nel 2009 l’elezione del segretario nazionale e dei segretari regionali avvenne nello stesso giorno. Ne derivò un chiaro effetto bandwagon, per cui vennero eletti 19 segretari regionali su 20 di comprovata fede bersaniana. Quest’anno le “norme di raccordo” contenute nell’articolo 12 del regolamento congressuale stabiliscono che, a scanso di equivoci, i segretari regionali saranno eletti “dopo la proclamazione del Segretario Nazionale ed entro il 31 marzo”.

L’enorme sostegno di cui il segretario in pectore

gode attualmente dentro il PD è, in verità, un po’

sospetto e, in caso di avversità, potrebbe fare la fine della neve al sole.

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Secondo intervento. Lo stesso articolo del regolamento congressuale prevedeva che gli organi provinciali del partito fossero eletti entro il 6 novembre, come è già avvenuto fra molte polemiche. Siccome a pensare male si fa peccato, ma di solito ci si azzecca, anche questa norma sembra mirare alla predisposizione di una trincea per il post 8 dicembre. E ha già consentito a Massimo D’Alema di sparare alcuni colpi di avvertimento affermando che, vada come vada, “Renzi ha il partito contro”.

Terzo, probabile, intervento. Lo statuto del PD stabilisce che il segretario è anche l’unico possibile candidato alla presidenza del consiglio (artt. 3.1 e 18.8). Sennonché la norma è pubblicamente contestata dallo stesso segretario in carica, e la posizione di Renzi sul punto è notevolmente indebolita dalla deroga da lui stesso pretesa ed ottenuta appena un anno fa. Molto si parla della possibile aggressività di Renzi verso Enrico Letta e il suo governo. Tuttavia, la fine dell’unione fra la leadership e la premiership, attualmente prevista

dallo statuto, sembra fatta apposta per favorire l’uscita dalle trincee di cui sopra e marciare contro Renzi sotto le insegne di Letta, unico condottiero credibile fra i vari Fioroni e Fassina.

Insomma, è prevedibile che l’8 dicembre finisca la battaglia per la leadership e inizi la guerriglia per la premiership con modalità meno congeniali alle qualità di Matteo Renzi. Come finirà? Difficile dirlo. L’enorme sostegno di cui il segretario in pectore gode attualmente dentro il PD è, in verità, un po’ sospetto e, in caso di avversità, potrebbe fare la fine della neve al sole. Ma molto dipenderà anche da quello che avviene fuori dal PD. Richiamiamo solo due fattori: la forza presumibile che conseguirà la costituenda coalizione di centrodestra e il tipo di sistema elettorale in uso in occasione delle prossime elezioni parlamentari. Questi due fattori determineranno quanto bisogno il PD e il centrosinistra avranno di un leader in grado di essere decisivo nella battaglia elettorale. E lì, Matteo Renzi non sembra avere rivali.

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L’opinione

STRATEGIE COMUNICATIVE E RUOLO DEI MEDIA

Michele Sorice, LUISS – Guido Carli

I quattro candidati alla segreteria del PD – ridotti a tre dopo la Convenzione Nazionale dello scorso 24 novembre – hanno evidenziato strategie comunicative molto diverse, solo in parte riconducibili alle proprie constituencies di riferimento. E se quelle di Pittella e Civati si sono sviluppate coerentemente rispetto alle attese, sono state proprio le campagne di Matteo Renzi e Gianni Cuperlo a evidenziare i tratti più evidenti di novità.

Gianni Pittella si è mosso su un duplice piano: quello europeo (o comunque transnazionale) tipico della propria esperienza politica e quello locale. Da qui l’insistenza sui temi europei o – con più convinzione – sulla “questione meridionale”, rivisitata alla luce di un’interlocuzione propositiva e “in positivo”. Il doppio registro – locale (comunque macroregionale) ed europeo – ha rappresentato un elemento di novità ma, al tempo stesso, il limite maggiore di una strategia comunicativa in cui il grande assente sembrava essere proprio il partito nazionale.

La linea comunicativa di Pippo Civati si è mossa lungo tre direttrici: a) una forte presenza sul web, supportato da simpatizzanti attivi e molti influencers in Twitter; b) la negativizzazione degli avversari; c) la logica “interno/esterno”, ovvero il richiamo continuo all’appartenenza alla storia del PD ma sempre marcando una differenza, una cesura, quasi un’alterità radicale rispetto ai gruppi dirigenti e alle strutture organizzative. Quest’ultimo punto ha rappresentato, probabilmente, un elemento di debolezza della campagna di Civati, per altri versi pregevole: una strategia troppo simile a quella adottata da Matteo Renzi nelle primarie del 2012. Troppo simile per poter essere considerata originale, col risultato di entrare in conflitto proprio con uno dei suoi “target” di riferimento, quello costituito da un’area del PD, che qui – per comodità – definiamo “movimentista” e che accanto all’appoggio al deputato di Monza manifestava una netta contrarietà alle posizioni di Renzi.

Diverse le strategie di Renzi e Cuperlo. Il primo, abbandonati i panni del “rottamatore” (anche perché appoggiato proprio da gran parte di quelli che intendeva rottamare solo un anno fa) si è

mosso in maniera più istituzionale, recuperando un immaginario che non può essere definito “generazionale” (e sicuramente non è della generazione del sindaco di Firenze): gli oggetti e le evocazioni della Leopolda, per esempio, cercavano di uscire dall’ambito angusto della X Generation che tanto aveva segnato la campagna per le primarie per il candidato premier del 2012. Al tempo stesso – in apparente contraddizione con il tono istituzionale adottato negli incontri pubblici – Renzi ha enfatizzato scientemente la sua divaricazione dal partito, non più inteso come “apparati da rottamare” ma proprio come iscritti e identità territoriali. Frasi come “quelli del PD”, che hanno irritato i militanti e gli iscritti, non rappresentano una caduta di stile ma una strategia precisa di allargamento del proprio pubblico di riferimento.

La campagna di Cuperlo costituisce, però, la vera novità comunicativa. Fondata su un mix di proposta politica organica, progettualità ed evocazione, la strategia comunicativa del deputato triestino è riuscita ad andare oltre le barriere generazionali. Cuperlo, infatti, ha scelto alcuni temi forti, li ha inquadrati nella cornice di una nuova

Renzi ha enfatizzato scientemente la sua divaricazione dal partito, non

più inteso come “apparati da rottamare” ma proprio come

iscritti e identità territoriali. Frasi come “quelli del PD”, che hanno

irritato i militanti e gli iscritti, non rappresentano una caduta di stile

ma una strategia precisa di allargamento del proprio pubblico

di riferimento.

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identità relazionale, ha fatto leva su un’idea di partito che ha un progetto di società. Dei quattro candidati è stato quello che più di tutti ha parlato di “partito”. Grava su di lui una relativa assenza dal panorama mediale; ma di questo Cuperlo non ha responsabilità. Nelle sue presenze televisive, infatti, è apparso efficace nei contraddittori, pacato ma deciso, capace al tempo stesso di ironia e di richiamo “epico”. Il problema, per il candidato della sinistra del partito, è rappresentato dalla sua sottorappresentazione mediatica.

Da metà settembre a metà novembre, per fare un esempio, i giornali nazionali hanno fatto riferimento a Renzi in prima pagina in oltre 130

articoli mentre Cuperlo vi appare – nello stesso periodo – 15 volte. Persino meno di Civati, presente in 43 circostanze. Il Corriere della Sera e la Repubblica adottano lo stesso trattamento: il rapporto fra la presenza in prima pagina del sindaco di Firenze e di Gianni Cuperlo è di circa 10 a 1. Più bassa la forbice – ma sempre a favore di Renzi – anche nelle altre testate nazionali. Situazione tendenzialmente simile nella copertura televisiva.

Al di là dei candidati, chi ci fa, ancora una volta, una brutta figura è proprio il sistema dei media del nostro Paese.

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Il fatto della settimana/1

L’ISCRITTO CONTA (PER CHI LO SA CONTARE). UN’ANALISI DEL VOTO NEI CIRCOLI

Marco Valbruzzi, Istituto Universitario Europeo

Stefano Rombi, Università di Pavia

Erano partiti in quattro e, dopo il voto degli iscritti, sono rimasti soltanto tre candidati a contendersi la leadership del Partito Democratico: Matteo Renzi, Gianni Cuperlo e Giuseppe Civati. Seppur nel loro piccolo, i militanti, soprattutto quando non sono gonfiati o “cammellati”, possono ancora svolgere un ruolo importante all’interno del PD. Per questo, è utile analizzare più nel dettaglio i dati del voto degli iscritti nei circa 7200 circoli del partito.

Il primo elemento che emerge dalla Tabella 1 è il rapporto tra il radicamento organizzativo del PD (misurato come il rapporto tra numero di iscritti e numero di elettori in ciascuna provincia italiana) e il risultato dei tre candidati rimasti in gara. Mentre la distribuzione geografica del voto di Cuperlo indica una (seppur lievissima) correlazione con il radicamento del PD, i risultati di Renzi e, soprattutto, di Civati vanno in tutt’altra direzione. In particolare, il risultato di quest’ultimo è negativamente e significativamente correlato con la forza organizzativa del partito. Dunque, Civati è, in questa competizione, l’autentico outsider, colui che non solo sfida il gruppo dirigente, ma che ha i suoi punti di forza elettorale laddove il partito è debole e poco strutturato. Peraltro, come si nota anche dalla relazione tra il voto degli iscritti a Bersani nei circoli (nel 2009) e i risultati della scorsa settimana, è evidente come Civati sia sostanzialmente rimasto l’unico candidato a cercare consensi al di fuori del perimetro della “ditta”, all’interno della quale, non senza mugugni, sono stati ammessi anche molti renziani più o meno devoti.

Il secondo elemento che merita di essere sottolineato riguarda la compattezza degli schieramenti interni al partito che si stanno affrontando durante questa fase congressuale. La Tabella 1 mostra chiaramente come il voto di chi scelse Bersani al primo turno delle primarie dello scorso anno sia positivamente correlato con il voto a Cuperlo tra gli iscritti del PD. Quindi, al di là dei repentini salti sul carro del probabile vincitore fiorentino da parte di molti parlamentari, i militanti sembrano essere molto meno trasformisti od opportunisti dei loro rappresentanti.

Ugualmente significativa è la correlazione tra la distribuzione del voto a Renzi nelle primarie del 2012 e quella del recente voto nei circoli. Ovviamente, la relazione è negativa per quel che riguarda il consenso elettorale di Cuperlo: almeno al livello della base, i due principali candidati sembrano pescare su bacini diversi e, in buona parte, non comunicanti. Da una parte la ditta, o quel che ne resta, e dell’altra un’OPA, più o meno ostile, per acquisire il potere all’interno del partito. Tuttavia, è emblematico che la correlazione statisticamente più forte tra il voto a Renzi nel 2012 e i risultati provinciali degli attuali tre candidati sia quella di Civati. Forzando un po’, ma non troppo, il paragone, potremmo dire che Civati è il Renzi del 2013, e cioè il ragazzotto scapestrato alla testa di supporter che vogliono cambiare tutto e subito per via, però, non più truculenta (la “rottamazione”), ma mediante una indignada non-violenza (l’occupazione del partito: OccupyPD). Brutalmente, il civatismo è la prosecuzione del renzismo con altri mezzi.

Da ultimo, è interessante notare come il voto nei circoli di nessuno dei tre candidati sia correlato alla distribuzione geografica del voto al PD. Questo risultato può essere interpretato come lo stato di effettivo equilibrio che si è venuto a creare all’interno del partito

Tutti per qualcuno, qualcuno per tutti: questa è oggi la sintesi

migliore della situazione interna al partito, dove nessuno ancora prevale nettamente sugli altri e dove solo tutti assieme riescono a dare un’immagine fedele del

PD

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dopo il voto degli iscritti. Nessun candidato rappresenta, a tutt’oggi, così bene e così perfettamente l’intera struttura organizzativa del PD da essere in grado di far combaciare il suo consenso con quello del partito. Tutti per qualcuno, qualcuno per tutti: questa è oggi la sintesi migliore della situazione interna al partito, dove

nessuno ancora prevale nettamente sugli altri e dove solo tutti assieme riescono a dare un’immagine fedele del PD. Questo equilibrio, però, non è destinato a durare e ha già una data di scadenza: 8 dicembre 2012, quando la palla passerà ai simpatizzanti e potenziali elettori. Alea iactanda est.

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Il fatto della settimana/2

NIENTE DI NUOVO DENTRO IL VOTO: I CIRCOLI, IL SUD E L’ASSENZA DI CAPITALE SOCIALE

Stefano Rombi, Università di Pavia

Marco Valbruzzi, Istituto Universitario Europeo

Conclusa la Convenzione nazionale del Partito Democratico è opportuno fermarsi a riflettere su alcuni dati riguardanti il voto degli iscritti nei circoli. Quel che oggi sappiamo per certo è che, nel 2013, i tesserati del PD sono 539 mila; ciò significa che, nel giro di quattro anni, un iscritto su tre non ha rinnovato l’iscrizione. Un dato, non solo preoccupante, ma molto simile a quello riferito al quadro elettorale: un elettore su tre dal 2008 ad oggi ha abbandonato il PD. Questa è la diagnosi, ed è tutt’altro che positiva.

Analizzando più nel dettaglio la partecipazione degli iscritti nel 2013, il quadro però non cambia. Anzi, alcuni segnali indicano un ulteriore peggioramento della situazione che può essere osservato valutando quanti degli iscritti che votarono nei circoli nel 2009 sono tornati a votare anche nel 2013. Dalla Figura 1 emerge una evidente “smobilitazione” dei tesserati, concentrata prevalentemente nel centro-nord. Al sud, soprattutto in alcune province in Sicilia, Campania e Calabria, il quadro è più variegato e solo apparentemente più promettente.

Infatti, come sappiamo, la distribuzione del voto è associabile alle peculiarità dei territori. E il capitale sociale, costituisce un rilevante indicatore di queste peculiarità. Sotto questo profilo, il voto nei circoli del PD ha prodotto un fenomeno piuttosto contro-intuitivo: a livello provinciale, la quantità di iscritti partecipanti alle votazioni di circolo è negativamente correlata con la quantità di capitale sociale. In altre parole, minore è la dotazione di risorse individuali e sociali in grado di mettere in moto una partecipazione libera e incondizionata (o poco condizionata), maggiore è il numero di partecipanti. Un bel paradosso? No, la semplice conseguenza dell’insuperabile frattura geografica che, da 150 anni, affonda nelle viscere del nostro paese: il centro-nord da una parte e il sud dall’altra. Il 57% degli iscritti che hanno votato tra il 7 e il 17 novembre, infatti, proviene proprio dal Meridione. E, anche normalizzando questo dato per il numero di province che compongono ogni area, il sud resta la zona dalla quale proviene la maggior parte dei partecipanti (43%). Questo dato, peraltro, è in profonda

controtendenza con l’andamento del voto al PD alle politiche del 2013. Lo scorso febbraio, infatti, la relazione del voto con la distribuzione di capitale sociale era positiva e significativa. In quel caso, infatti, il traino della (ex) zona rossa faceva sentire tutta la sua forza. Ma quando, come nel caso delle convenzioni di circolo, i legami personali – la micro-personalizzazione, direbbe Calise – costituiscono il tratto dominante del voto, la relazione non può che invertirsi.

Ma il capitale sociale non ha un impatto solo sulla quantità di partecipanti, esso incide, spesso, anche sulle scelte di voto. A questo proposito, non è affatto casuale la sua robusta correlazione con il voto a Giuseppe Civati. Al di là delle percentuali relativamente modeste, infatti, l’ex alleato di Renzi, si è fin da subito proposto (ma non imposto) come capetto di numerosi movimenti d’opinione interni al PD (qualcuno ricorda OccupyPD?) e questa sua caratterizzazione lo ha reso appetibile soprattutto per quegli iscritti liberi da profonde affiliazioni interne i quali, non sorprendentemente, sono situati soprattutto nelle aree a maggiore capitale sociale.

i dati indicano un altro elemento non entusiasmante: in troppi casi,

quando hanno l’opportunità di esercitare qualche forma di potere, gli iscritti non la sfruttano, se non

in seguito ad una precisa mobilitazione dei loro referenti

politici

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Ma, purtroppo per Civati (e per il PD?), sono anche pochissimo numerosi. In definitiva, la strategia dominante degli iscritti è, senza dubbio, l’exit. Fuor d’accademia: la fuga dal partito. Ma i dati indicano un altro elemento non entusiasmante: in troppi casi,

quando hanno l’opportunità di esercitare qualche forma di potere, gli iscritti non la sfruttano, se non in seguito ad una precisa mobilitazione dei loro referenti politici. Un po’ poco per un partito che si vuole – e talvolta sa essere – aperto e lontano da logiche clientelari.

Fig. 1 – Mappa della mobilitazione degli iscritti al PD

FONTE: Partito Democratico

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La voce ai dati

LE PRIMARIE VISTE DALLE INTERVISTE. COSA CI RACCONTANO I CANDIDATI?

Andrea Caretta, Osservatorio di Pavia

Le primarie per la Segreteria del PD sono un’occasione di analisi interessante per la diversità dei pubblici a cui i candidati devono rivolgersi (i tesserati del PD, coloro che in passato hanno votato PD e che possono votare alle primarie, i potenziali elettori del PD in una prossima competizione elettorale). La scelta degli argomenti e il linguaggio utilizzato devono riuscire a integrare i temi più tradizionali e identitari del Partito Democratico con istanze di novità e cambiamento in grado di aggregare anche un elettorato più ampio.

Lo scenario scelto per rappresentare il dibattito sulle primarie è stato quello delle interviste ai quattro candidati apparse sui quotidiani nazionali e reperibili sul sito del Partito Democratico sotto la voce interventi, quindi una fonte facilmente accessibile agli elettori. Quello dell’intervista è un terreno di comunicazione ambiguo, che mischia promozione e rappresentazione del candidato, in cui i soggetti contemporaneamente costruiscono e “subiscono” la comunicazione. Se gran parte dell’articolo è costituito dalle risposte e quindi dalle parole del candidato, il filtro delle domande del giornalista ne delimita il campo d’azione argomentativo.

Le interviste analizzate sono state 49 (17 Civati, 13 Cuperlo, 12 Pittella, 7 Renzi), realizzate tra il 15 agosto e l’8 novembre, lo scopo dell’analisi valutare di cosa è costituito il dibattito sulle primarie, ovvero di cosa si parla quando si parla di primarie, sia di verificare come ogni singolo candidato cerca di rappresentarsi all’interno di questo processo. L’analisi testuale ci permette infatti di individuare e “pesare” i temi che costituiscono l’intero dibattito, valutando anche quali siano le caratteristiche del linguaggio di ogni candidato.

Il dibattito appare strutturato sostanzialmente in due parti: il confronto interno al Partito Democratico e l’attività del partito rivolta all’esterno, ossia come il PD trasforma l’elaborazione interna in azione politica.

Il dibattito interno al partito si compone di tre argomenti principali. Il primo tema è, per l’appunto, il partito (15%) con riferimento al suo funzionamento e al suo ruolo, cioè come il partito reagisce al processo delle primarie, e come i singoli candidati pensano di agire sul partito [aprire, rinnovare, vivere, iscrivere, polemica, struttura, conservatore, slogan, rottamazione]. Il secondo riguarda invece la competizione (17%) e descrive il confronto anche

polemico tra i candidati e le loro personalità [discutere, capire, usare, scoprire, conquistare, vincere, corrente, modello, stima, persona, uomo, gara, comando, battaglia]. Infine, il terzo topic è riferito al governo delle larghe intese (25%) e riguarda il rapporto dei candidati e del partito con il Governo Letta, quindi le “larghe intese” e i rapporti con il PDl, inteso come problema relativo all’identità del partito.

L’attività esterna del partito comprende invece due dimensioni principali:

- i programmi e proposte, (25%), dove prevale un linguaggio operativo e tecnico e risulta evidente come si cerchi di coniugare il richiamo allo sviluppo economico e l’attenzione all’aspetto di coesione sociale e territoriale [banche, economico, impresa, sviluppo, imprenditori, finanziario, limite, sociale, paese, civile, crisi, famiglia, comunità, sud, italiano].

- l’attività parlamentare (18%) che illustra invece l’attività effettiva del PD in Parlamento [legge elettorale, indulto, legalità, amnistia, responsabilità, stabilità, soluzione]

Per quel che riguarda il posizionamento e il linguaggio dei singoli candidati, quello di Civati è il lessico tipico della pratica politica [formigoni, letta, berlusconi, fiducia, governo, congresso, bisognare, votare] che pone al centro della propria campagna il

Il dibattito appare strutturato sostanzialmente in due parti: il

confronto interno al Partito Democratico e l’attività del

partito rivolta all’esterno, ossia come il PD trasforma

l’elaborazione interna in azione politica

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giudizio e il confronto sull’attività del Governo e sul rapporto con gli alleati/avversari del PDl. I temi che gli sono più propri sono Governo delle larghe intese e l’attività parlamentare.

In Cuperlo emerge un lessico che richiama idee generali, e si rifà a un’idea di appartenenza legata a valori di riferimento comuni [nostro, paese, partito, vita, necessario, principio, pensare, sinistra, democrazia, restare]. Il tema a cui è maggiormente legato è il partito.

In Renzi il lessico sembra indicare riferimenti a un pubblico vasto [italia, gente], la ricerca di adesione ad

una dichiarazione di volontà di azione e di cambiamento [avere, radicale, prossimo, dire, venire, cambiare, vecchio, aprire, diventare], lo stimolo a partecipare ad una gara [perdere, vincere, arrivare, partecipare]. Il tema che gli è più caro è quello della competizione

La caratterizzazione di Pittella, fortemente legato al tema programmi&proposte, è territoriale con l’attenzione rivolta al Mezzogiorno e all’Europa come possibile aiuto allo sviluppo economico [sud, mezzogiorno, banca, spesa, europa, superare]

Fig. 2 - Il Piano Fattoriale riassuntivo delle 49 interviste

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La voce ai dati

LA SLEALTÀ TI FA MALE, LO SAI …

Mariano Cavataio, Università di Milano

Luciano Fasano, Università di Milano

Che effetti avrà la delusione dovuta alla mancata elezione del proprio candidato sul comportamento di iscritti ed elettori del Pd? Prevarrà la lealtà nei confronti del vincitore o la delusione per la sconfitta del candidato votato?

Nel corso delle ultime settimane giornalisti, commentatori e attori politici stanno alimentando un vivace dibattito sugli atteggiamenti e il voto degli iscritti rispetto a quello di simpatizzanti ed elettori del Pd. Già gli esiti delle convezioni di circolo hanno contribuito a infrangere le credenze che volevano gli iscritti più favorevoli a Cuperlo e gli elettori più favorevoli a Renzi. Pochi finora sono stati i contributi che hanno cercato di gettare luce sulle dinamiche di lealtà e defezione dei selettori in vista delle successive elezioni politiche nel caso in cui il candidato votato esca sconfitto dai gazebo. E questo tema diventa particolarmente spinoso oggi, quando addirittura non si esclude la possibilità di un’eventuale scissione post voto.

Se analizziamo le primarie che si sono tenute a livello nazionale, sia per la scelta del candidato premier di coalizione sia per la selezione del leader di partito, considerando il periodo compreso fra il 2007 (Primarie per la selezione del leader PD) e il 2012 (primarie Italia Bene comune vinte da Bersani), siamo in grado di comprendere alcuni possibili comportamenti che potrebbero delinearsi all’indomani del voto dell’8 dicembre.

Le indagini demoscopiche condotte a tale proposito da Candidate and Leader Selection, evidenziano, in accordo con un importante filone di studi sulle primarie USA, come quote consistenti di supporter dei candidati sconfitti tenderebbero successivamente a rifugiarsi nell’astensionismo o nella defezione (cioè nel voto per un candidato o schieramento concorrente).

Sempre a livello diacronico, sebbene la fedeltà continui a rimanere nel tempo l’orientamento di voto post primarie prevalente, si registra una lenta, ma progressiva crescita dell’incertezza e della defezione nel passaggio dalle elezioni primarie alle elezioni politiche, con parallela riduzione della lealtà anche nelle fasce di selettorato che tradizionalmente esprimono elevati livelli di fedeltà: primi fra tutti gli iscritti e i cosiddetti “veterani”, ossia i selettori che partecipano con maggiore frequenza a queste consultazioni. Lo stesso fenomeno si verifica anche fra coloro che si auto-collocano nelle posizioni di sinistra e centro-sinistra e gli

elettori che scelgono di votare un candidato la cui collocazione politica è uguale alla propria.

Gli orientamenti di voto post primarie, evidenziati dall’analisi condotta sul periodo 2007/2012 potrebbero trovare conferma, se non addirittura accentuarsi, in occasione del voto dell’8 dicembre.

Il tendenziale e continuo calo degli iscritti che si registra nel principale partito del centro-sinistra italiano, così come il rilevante calo del voter turnout nelle elezioni primarie nazionali tra il 2007 e il 2012, vanno ad aggiungersi al calo della lealtà di iscritti ed elettori nei confronti degli esiti delle primarie, definendo un quadro per il Pd a dir poco preoccupante. In questo quadro, diventano sempre più determinanti, ai fini della competizione dell’8 dicembre così come di una più generale capacità di mobilitazione partitica, le valence images dei candidati. Il caso di Matteo Renzi si inserisce piuttosto bene in questa tendenza di crescente partecipazione su base personalizzata anziché di appartenenza partitica, secondo una dinamica simile a quella che negli anni Sessanta alcuni studiosi avevano ravvisato già nelle primarie USA.

Le primarie dell’8 dicembre, quindi, si giocheranno all’insegna del confronto fra continuità e cambiamento. E la vittoria finale nella competizione avrà maggiore significato se riuscirà a segnare un’inversione di tendenza rispetto alla crescente slealtà dei selettori nei confronti del responso dei gazebo.

. Il caso di Matteo Renzi si inserisce piuttosto bene in questa tendenza

di crescente partecipazione su base personalizzata anziché di

appartenenza partitica, secondo una dinamica simile a quella che

negli anni Sessanta alcuni studiosi avevano ravvisato già nelle primarie

USA

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Fig. 3 – Le strategie post-primarie degli iscritti

Fig. 4 – Le strategie post-primarie dei simpatizzanti

Fig. 5 – Collocazione politica e strategie post-primarie

FONTE: Sondaggi C&LS tra i partecipanti alle elezioni primarie. Base casi sondaggio 2007: 3143 ; sondaggio 2009: 3246 ; sondaggio 2012: 3334.

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"Questioni Primarie" è un osservatorio sulle primarie. È un progetto di Candidate & Leader Selection, realizzato grazie alla collaborazione con l'edizione online della rivista "il Mulino" e il coinvolgimento dell'Osservatorio sulla Comunicazione Politica dell'Università di Torino. Come già avvenuto in occasione delle Primarie della Coalizione Italia Bene Comune anche per le primarie per la selezione del leader del Partito Democratico C&LS si propone di seguire attentamente la campagna elettorale accompagnandola con contributi settimanali di riflessione su questo tema. L'obiettivo è offrire uno spazio di analisi, approfondimento e discussione aperto a diversi orientamenti e approcci, ma ancorato a due riferimenti irrinunciabili: l’impiego di conoscenze di tipo empirico e il ricorso a una terminologia appropriata.

"Questioni Primarie" è un progetto coordinato da Luciano Fasano (Università di Milano) e Fulvio Venturino (Università di Cagliari). Al comitato di redazione di Questioni Primarie partecipano: Giuliano Bobba (Università di Torino), Natascia Porcellato (Università di Cagliari), Stefano Rombi (Università di Pavia), Antonella Seddone (Università di Torino), Marco Valbruzzi (European University Institute).

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Sito web:

www.candidateandleaderselection.eu