Marialaura Simeone, La diva gentile. Soava Gallone nelle riviste cinematografiche italiane dal 1915...

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Marialaura Simeone Ricercatrice indipendente [email protected] LA DIVA GENTILE. SOAVA GALLONE NELLE RIVISTE CINEMATOGRAFICHE ITALIANE DAL 1915 AL 1925 THE “DIVA GENTILE”. THE ACTRESS SOAVA GALLONE IN ITALIAN CINEMA MAGAZINES FROM 1915 TO 1925 Abstract: This article illustrates the critical reception of Soava Gallone, born Stanislava Winawer, according to Italian movie magazines between 1915 and 1925. The career of the Polish actress, who settled in Italy in 1911, developed especially during the golden age of the “Diva-Film”, a proper Italian film genre that focuses attention on female roles and on the characters that they play, of Symbolist and Dannunzian derivation. The actress’ approach to her craft was a far cry from the canons of the “divas” of that time, who were characterised by languid gazes and mannered poses. While Lyda Borelli, Francesca Bertini, Pina Menechelli played mainly “femmes fatales”, Soava Gallone preferred more reassuring characters whose seductive implications were often derived from the cruelty of the male characters. In Avatar (Carmine Gallone, 1915), Gallone played a loyal wife; in Senza Colpa! (Carmine Gallone, 1915), she played an innocent woman forced to defend herself from an attempted rape with homicide; in La Chiamavano Cosetta (Eugenio Perego, 1917), she portrayed a woman pushed to false desires for luxury and wrongful wishes, having been ripped from her simple world. Finally, in Il Bacio di Cyrano (1919), Maman Poupée (1919), Amleto e il Suo Clown (1920) and Marcella (1921), she consistently portrayed the same type of character: a gentle woman with angelic features. Even the public image she tried to build for herself was that of a reassuring, smart and cultured woman. The photographs depicting her never showed her in poses as seductive as those of Menechelli or Bertini, and for the majority of the columnists of the Italian press of those years, Soava Gallone was described as “the pale blonde creature”, “the beautiful, simple and spontaneous [one]”, the “gentle and pleasing interpreter”. Keywords: Soava Gallone, Diva film, critical reception, Italian cinema, Italian film magazines Published: 10/09/2015 ISSN 2084-4514 How to reference this article Simeone, M. (2015). La diva gentile. Soava Gallone nelle riviste cinematografiche italiane dal 1915 al 1925. Italica Wratislaviensia, 6, 239–252. DOI: http://dx.doi.org/10.15804/IW.2015.06.14

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Marialaura SimeoneRicercatrice indipendente

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La diva gentiLe. Soava gaLLone neLLe RiviSte cineMatogRafiche itaLiane

daL 1915 aL 1925

the “diva gentiLe”. the actReSS Soava gaLLone in itaLian cineMa MagazineS fRoM 1915 to 1925

Abstract: this article illustrates the critical reception of Soava gallone, born Stanislava Winawer, according to italian movie magazines between 1915 and 1925. the career of the Polish actress, who settled in italy in 1911, developed especially during the golden age of the “diva-film”, a proper italian film genre that focuses attention on female roles and on the characters that they play, of Symbolist and dannunzian derivation. the actress’ approach to her craft was a far cry from the canons of the “divas” of that time, who were characterised by languid gazes and mannered poses. While Lyda Borelli, francesca Bertini, Pina Menechelli played mainly “femmes fatales”, Soava gallone preferred more reassuring characters whose seductive implications were often derived from the cruelty of the male characters. in avatar (carmine gallone, 1915), gallone played a loyal wife; in Senza colpa! (carmine gallone, 1915), she played an innocent woman forced to defend herself from an attempted rape with homicide; in La chiamavano cosetta (eugenio Perego, 1917), she portrayed a woman pushed to false desires for luxury and wrongful wishes, having been ripped from her simple world. finally, in il Bacio di cyrano (1919), Maman Poupée (1919), amleto e il Suo clown (1920) and Marcella (1921), she consistently portrayed the same type of character: a gentle woman with angelic features. even the public image she tried to build for herself was that of a reassuring, smart and cultured woman. the photographs depicting her never showed her in poses as seductive as those of Menechelli or Bertini, and for the majority of the columnists of the italian press of those years, Soava gallone was described as “the pale blonde creature”, “the beautiful, simple and spontaneous [one]”, the “gentle and pleasing interpreter”.

Keywords: Soava Gallone, Diva film, critical reception, Italian cinema, Italian film magazines

Published: 10/09/2015ISSN 2084-4514

How to reference this articleSimeone, M. (2015). La diva gentile. Soava Gallone nelle riviste cinematografiche italiane dal 1915 al 1925. Italica Wratislaviensia, 6, 239–252. DOI: http://dx.doi.org/10.15804/IW.2015.06.14

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L’antidiva dei diva fiLM

Sulla prima pagina di “film” del 29 novembre 1915 campeggia il vol-to sensuale di Lyda Borelli. il giornale ha anche fatto coniare una

moneta d’argento, da regalare ai lettori, con incisione a rilievo del volto della “somma attrice” (1915, novembre 29). La seconda pagina è tutta per Francesca Bertini e il suo ultimo film, Odette (1916, regia di giu-seppe de Liguoro), ma ecco che in terza pagina si trova una delle prime immagini di Soava Gallone, al secolo Stanisława Winawerówna. Il viso leggermente inclinato, incorniciato da un cappello a tesa larga, il mento appoggiato delicatamente sulla mano, lo sguardo di una vivace dolcez-za: è il biglietto d’ingresso dell’attrice polacca nell’universo divistico italiano.

Stanisława Winawerówna, nata a Varsavia nel 1880, da una stimata e benestante famiglia polacca, giunge in italia nel 1911, per riprendersi da un matrimonio fallito. a Sorrento conosce e sposa carmine gallone, che con lei condivide l’amore per il teatro e le aspirazioni artistiche. in-telligente e colta, traduttrice di gabriele d’annunzio e Sibilla aleramo, autrice di feuilletton per riviste americane, Stanislawa ha studiato medi-cina e parla correntemente tre lingue. Si ingentilisce il nome, dandosene uno italiano dolce e musicale e prende il cognome del marito, a voler sottolineare l’unione anche artistica che li lega. i due coniugi inizial-mente proiettati verso la carriera teatrale, ripiegano poi sul cinema, dove l’attrice può fare a meno del suo troppo marcato accento straniero e il metteur en scène dimostra capacità artistiche maggiori.

Soava va, così, ad infoltire la schiera delle bellezze dell’est del ci-nema nostrano: diana Karenne, Stacia napierkowska, elena Makowska

e condivide con loro il periodo dell’affermarsi e del progressivo e defi-nitivo declino del “diva-film”. Inaugurato da Ma l’amore mio non muore (1913, regia di Mario caserini), si tratta di un vero e proprio genere cinematografico che, raggiunto il suo apice negli anni della guerra, si va esaurendo agli albori degli anni venti. Le passioni e i sentimenti di-ventano il centro propulsore di una varietà di pellicole dove le figure femminili, di derivazione dannunziana e simbolista assumono primaria importanza. Lyda Borelli, protagonista del film di Caserini, Francesca

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Bertini, e in misura minore Pina Menichelli, accompagnate da un uni-verso di attrici minori, sono le artefici dell’affermarsi di questo cinema. Come indicato da Bianchi le donne dei film che portano sullo schermo, sono “ciò che la comune italia non [è]; fuori dalla folla, come esseri immateriali […] le dive [sono] donne stupende, inattingibili da parte dei comuni mortali” (Bianchi, 1969, p. 6). tra i personaggi interpretati e le attrici c’è uno scambio reciproco di gesti, di pose, di atteggiamenti, esse stesse contribuiscono alla propria immagine pubblica, studiando insie-me agli operatori l’illuminazione e lo stile di recitazione per rendere affascinante non tanto il personaggio interpretato ma se stesse.

L’esperienza di Soava Gallone ha, in questo contesto, una sua pe-culiarità che qui ci preme illustrare. Citata nei primi manuali cinemato-grafici, già presente nei primi studi monografici degli anni Venti sulle attrici, la presenza della gallone si va a poco a poco diradando. Le de-dica un capitolo Pietro Bianchi ancora nel 1969, ne parla brevemente cristina Jandelli nel recente studio sulle dive (2006), non ne fa alcun accenno il volume collettaneo Non solo dive. Pioniere del cinema italia-no a cura di Monica dell’asta (2007). eppure l’attrice polacca capace di ricostruirsi una vita e una carriera in italia, è stata soprattutto in grado di costruire una propria immagine, ben diversa dal clichè divistico con-temporaneo.

La sua presenza concorre alla riuscita di alcuni film del marito, il quale da parte sua contribuisce a dare della moglie la giusta imma-gine. Le preferisce Lyda Borelli quando è la femme fatale la protago-nista dei suoi film (tra gli altri ne La donna nuda del 1914, in Marcia nuziale del 1915, in La falena nel 1916), e affida alla moglie il ruolo di personaggi più rassicuranti, i cui risvolti seduttivi sono spesso deriva-ti dalla crudeltà dei personaggi maschili. in Avatar (1915, regia di car-mine gallone) è una moglie fedelissima, in Senza colpa! (1915, regia di carmine gallone) una creatura innocente costretta a difendersi da una tentata violenza con l’omicidio, in Il bacio di Cyrano (1919), Maman Poupèe (1919), Amleto e il suo clown (1920), Marcella (1921), il suo è il più delle volte un personaggio positivo, delicato, dai tratti angelici, dignitosamente sofferente. Per un primo piano di Soava, carmine gallo-ne – come ricorda Lucio d’ambra – studiava e ristudiava una giornata,

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cercando la luce perfetta che le illuminasse il volto, il regista “si acca-parrava lo stabilimento, bruciava un firmamento di lampade” e obbliga-va l’operatore emilio guattari a ritmi estenuanti, non lavorava che “per fare di Soava una luminosa stella del cinema artistico, dell’arte muta ma intelligente” (D’Ambra, 1989, p. 208). Questa immagine voluta dal-la stessa attrice e da suo marito è riproposta e accentuata dalle riviste di settore. Come già indicato da Lucio D’Ambra (1989), sceneggiatore del suo primo notevole successo, La chiamavano Cosetta (1917, regia di eugenio Perego), il pubblico e la critica si accorsero subito che Soava non aveva soltanto “la leggiadrìa del volto, le mirabili virtù espressive e la singolare coscienza artistica dell’interprete sensibile, umana, vera” (D’Ambra, 1989, p. 169), l’attrice era soprattutto la prima che si con-trapponesse alla maniera convenzionale delle altre dive, fatta di gesti manierati, di atteggiamenti artificiosi, di occhi stralunati.

Fin dagli esordi gli articolisti sottolineano quanto l’attrice si diffe-renzi dagli atteggiamenti divistici e, nelle foto a corredo degli artico-li, la ritraggono sempre in pose rassicuranti, graziosa e priva di artifici. “La vita cinematografica” le dedica parole di elogio per l’interpretazio-ne di Senza colpa, sottolineando l’interpretazione appropriata, misurata, priva di esagerazioni mimiche, sottolineando la capacità di mostrare, con rara arte drammatica, i differenti stati d’animo che il suo personag-gio deve affrontare. L’articolista, a firma Massimo (1915, febbraio 7), suggerisce che le si cambi il nome in Soave, tanto è piacevole la sua vi-sta sullo schermo. Ancora qualche anno dopo sulla stessa rivista, le sue interpretazioni e i suoi gesti sono giudicati sempre spontanei, veritieri. Soava è ancora per l’articolista Bertoldo (1918, dicembre) “tra le più personali attrici mute, scevra d’artificio e di pose uggiose” (p. 223). Ciò che colpisce dell’attrice – come indicato per un decennio ed oltre dai re-censori delle riviste cinematografiche italiane – è soprattutto la bellezza eterea e nello stesso tempo semplice e spontanea, sommata alla gentilez-za, alla sensibilità, all’intelligenza, alla cultura. agli esordi la terra natia veniva a completarsi nella terra d’adozione: “il proverbiale fascino sla-vo […] con un’anima essenzialmente italiana” (“cosetta”, 1917, marzo 31), Soava è ora “una divina piccola donna polacca, riscaldata dal sole d’Italia. La sua passionalità slava si è ingentilita e raffinata”, ed è venuta

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fuori “una grande arte sincera (n.B.z. 1925, maggio-giugno). il bino-mio di bellezza e bravura nelle recensioni che la riguardano è impre-scindibile: aristocratica, fine e delicata la sua figura completa le sue doti artistiche. A questo si aggiunge un’ammirevole modestia come scrive Il Rondone (1917, aprile 22–30) che la “fa rifulgere da tutto quanto sia di réclame e di glorificazione” (p. 78).

Pasquale Marica accenna a Soava Gallone come a colei la cui prete-sa “a far parlare più l’animo che il corpo, ha dello straordinario” (1920, p. 35). Le altre dive pretendono il primo piano e molto spesso sono più interessate a mostrare i propri abiti alla moda che non le capacità reci-tative, Soava è più propensa a passare il suo tempo a studiare la giusta contrazione del volto che a recarsi nei negozi à la page. il suo abbiglia-mento risulta in ogni caso sempre indovinato, scelto con gusto e sobria eleganza, ma in lei è evidente soprattutto lo studio che dedica all’arte della recitazione.

nel 1917 raggiunge il successo di pubblico con La chiamavano Co-setta, film di Lucio D’Ambra accolto dalla critica come una vera e pro-pria espressione d’arte in mezzo al dilagare della banalità e della vacu-ità della filmografia coeva. Soava conquista la prima pagina di “Film. Corriere dei cinematografi”, che riporta una serie di foto di scena per registrare l’affermazione dell’attrice. La stessa rivista (1917, maggio 27) titola: “il trionfo di Soava gallone ne La chiamavano Cosetta” e la ritrae in posa rassicurante con un gatto bianco tra le mani. anche “La vita cinematografica” (1917, ottobre 22–31) le dedica la copertina, ritraendo il suo volto a tutta pagina, con quello sguardo vivo negli occhi di cui tanto parlano le recensioni che la riguardano: occhi vivi, intel-ligenti, massimamente espressivi. “film” riporta le recensioni apparse sui diversi quotidiani, si torna a parlare dell’attrice a proposito della sua capacità di passare da uno stato d’animo all’altro con estrema facili-tà. Campman su “La Tribuna” loda “questa artista di rara intelligenza, meravigliosamente mutevole negli atteggiamenti, eloquentissima nello sguardo, nel sorriso, in tutte le espressioni del volto”. e ancora suggeri-sce che il suo personaggio sia una “vera creazione” ottenuta grazie alla “coscienziosità di studio” come nessun’altra attrice dimostra. colei che è capace di trasformare un film “che poteva essere una cosa banale”

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in un “gran successo” grazie alla sua “eccezionale intelligenza”. Soava è ormai considerata da più parti un’attrice di prim’ordine, capace di rap-presentare tutte le modulazioni dell’animo femminile, i suoi personaggi sono “una creazione perfetta e completa”, la sua arte ha raggiunto vette di “eloquenza” come nessuna altra artista della scena muta e per questo merita “uno dei primissimi posti dell’olimpo cinematografico”. Riesce ad esprimersi con gli occhi ancor prima che con i gesti, tanto da rende-re inutili le didascalie. L’anonimo articolista de “il Messaggero” non è meno prodigo di elogi, anzi pare quasi rimpianga l’abbandono del-le scene teatrali da parte di Soava dove la straordinaria potenza dello sguardo sarebbe accompagnata dalla “voce, dolcissima e melodiosa”. Le doti artistiche e la bellezza, lo studio, l’intelligenza sono le parole chiave degli articoli che la riguardano, così come la modestia con cui l’attrice non fa sfoggio di queste doti: “questa valorosa ma forse troppo modesta attrice. ella sa essere ad un tempo ingenua, tenera, appassio-nata, capricciosa, e perfino tragica, […] il suo temperamento artistico si presta mirabilmente a qualsiasi cimento, rivaleggiando con le poche dive nostre e dell’estero” (il Rondone, 1917, aprile 22–30).

dopo il successo di La chiamavano Cosetta, nel 1918 Soava interpre-ta La storia di un peccato per la regia di carmine gallone, da un romanzo di un autore suo connazionale Stefan Żeromski. La “Cine-Gazzetta” ne elogia trama, messinscena e interpretazione. Per quanto riguarda Soava gallone sono sottolineate ancora una volta le sue doti derivanti dall’alto intelletto di cui è dotata e dalla vasta cultura che lo accompagna. Soava è capace di “raggiungere l’interpretazione cinematografica”, laddove in-terpretazione sta per “realizzazione di sentimenti e di passioni umane” e non “stereotipate esercitazioni di virtuosismo espressivo” (“La storia di un peccato”, 1917, novembre 10). ancora una volta Soava mostra la sua eccezionalità: in un contesto in cui recitare è esagerare, l’attrice sa rappresentare la passione e il sentimento in maniera misurata eppure ancor più eloquente. La stessa rivista ne riporta un ritratto che la mostra in tutta la sua dolcezza e raffinatezza. “In penombra” nel 1918 le dedica un servizio. nelle foto appare sempre discreta, ironica, posata, intel-ligente. ne ricostruisce la storia dalla “triste, sfortunata Polonia” alle scene teatrali e allo schermo. non “donna dai mille volti” ma dall’uno

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e “molto grazioso, molto espressivo”, “esile biondissima attrice”, “at-trice d’eccezione” per la rivista “in penombra” che la considera unica, insieme a diana Karenne, nella capacità di esprimere dei sentimenti, degli stati psicologici, delle emozioni, “rifuggendo da quelle volgarità che son diventati canoni sacrosanti di valore commerciale” (Corsi 1918, settembre). Anche Goffredo Bellonci (1918, giugno 22–30) profittando dell’uscita del film Storia di un peccato tratteggia un ossequioso ritrat-to dell’attrice, sottolineando la capacità di Soava di non mostrare solo la bellezza del corpo, ma anche quella del cuore e dell’intelletto. Una vera attrice disposta addirittura a diventar brutta, a vestire abiti dismes-si e laceri, quando occorra farlo per meglio esprimere un sentimento. il leit motiv che la riguarda è sempre lo stesso: lo studio, l’intelligenza, l’eccezionalità rispetto alle abitudini consuete delle altre attrici. Proprio la perseveranza nello studio dell’arte recitativa le permette di passare dal carattere forte di cosetta all’umanità di Maman Poupée (1919, re-gia di carmine gallone), creatura mite d’amore, d’innocenza, di bontà, creata a sua immagine da Washington Borg. Il marito, in questo film, la riprende in molti primi piani, che suggeriscono tutte le sfumature dei sentimenti della protagonista. Per Soava è la consacrazione definitiva quale attrice in cui bellezza e bravura non potrebbero fondersi meglio.

Soava, teStiMone deL decLino deL diva-fiLM

Intanto già dal dopoguerra il diva-film ha esaurito il suo potenziale, le dive ritorneranno in auge, ma in america. con la crisi del divismo c’è senza dubbio un’attenzione minore alle attrici, evidente già nella co-struzione delle locandine pubblicitarie, dove non è più il nome dell’in-terprete femminile a risultare in primo piano ma quello dell’inscenatore. Le riviste non dedicano, ora, ampi spazi alle attrici e i giudizi sulle loro doti artistiche si trovano nelle recensioni brevi delle varie rubriche. Si è esaurito il film a forte protagonismo femminile e le dive sono invec-chiate, le maggiori tra loro si ritirano dalle scene. La Borelli abbandona gli schermi già nel 1918, dopo il matrimonio con il conte Cini, la Bertini lo farà nel 1921 dopo il matrimonio con il gioielliere cartier, la Meni-chelli le segue nel 1923, stanca di rappresentare sempre lo stesso ruolo

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di donna fatale. nuovi nomi e nuovi volti compaiono sulle riviste: Lola Romanos, elena Korceva, Pauline frederick, annie Wild, Marcella al-bani, ma tutte queste attrici non riescono a raggiungere l’importanza delle dive del decennio precedente. della vecchia guardia ancora attive restano Leda gys e, appunto, Soava gallone.

L’attrice, diretta da suo marito, interpreta la versione femminile di due notissimi personaggi della letteratura: cyrano e amleto. Le lodi non mancano. in Il bacio di Cyrano (1919, regia di carmine gallone) Soava gallone è raccontata dai suoi recensori ancora come un’attri-ce “intelligentissima e modernissima” (Lega 1920, maggio 26–giugno 10), capace di trasmettere gli stati d’animo interpretati con maestria (Morabito 1920, dicembre 15). in Amleto e il suo clown (1920, regia di carmine gallone) “bella, biondissima, dai languidi occhi, Soava Gallone è in questo dramma giovinezza, ispirazione, passione!” (La ri-vista cinematografica, 1920, maggio 29). considerata “brava tra le bra-vissime”, per un anonimo articolista de “La rivista cinematografica” (1920, dicembre 10–25), “sin dal momento in cui ella ci appare, si ha l’impressione d’essere dinanzi a qualche cosa di veramente grande”, la sua presenza scenica viene descritta come qualcosa di davvero ecce-zionale, mai visto prima. Sono ancora una volta i suoi occhi a calami-tare l’attenzione dello spettatore/recensore, in essi vi è tutto un mondo di passioni umane rappresentate con una credibilità unica. Soava gallo-ne è, ancora per Sic (1921, gennaio 10), un’attrice “vera e grande” che “accentra tutta la luce del film, una luce che la riveste d’una luminosità sorprendente” (p. 97).

Appare qualche giudizio poco entusiastico nei confronti della Gallo-ne, ma tendenzialmente i pareri sono ancora molto favorevoli nei riguar-di dell’attrice. “La rivista cinematografica” (1921, marzo 10–25) nella rubrica Le films del giorno parlando di Nemesis (1920, regia di carmine gallone) la accusa di aver assunto quegli atteggiamenti a lei sempre così estranei: “avrebbe potuto fare meno sfoggio di certi divismi” – incalza l’anonimo recensore – “avrebbe dovuto accontentarsi di una parte più modesta, cercando di far sfoggio più del suo aggraziato gestire che della sua maschera evitando di farsi portare il meno possibile in primissimo piano”. L’attrice non viene considerata particolarmente affascinante né

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dal punto di vista artistico, né da quello personale, e i suoi tentativi di in-terrompere il movimento dell’azione con movenze da diva del periodo aureo vengono considerati ridicoli. giulio doria dalle pagine del “cor-riere napoletano” riportato in “La vita cinematografica” (1922, marzo 22–30) dà un giudizio negativo sul film Marcella (1921, regia di car-mine gallone), che già tratto da un brutto romanzo non migliora nella messinscena piuttosto tediosa. Sull’attrice, però, i pareri sono ancora positivi, la sua resta sempre “arte finissima”. “Fine artista” è definita So-ava Gallone, anche in una recensione di qualche mese dopo sulla stessa rivista (La rivista cinematografica, 1922, maggio 10). il cinema italiano, intanto, con il declino del diva-film non sa rinnovarsi, tanto che La fan-ciulla, il poeta e la laguna diretto da carmine gallone nel 1922, viene criticato proprio per essere il solito film italiano degli anni passati e so-prattutto per far interpretare la giovane fanciulla da una ormai ultraqua-rantenne Soava gallone. nel 1923, invece, torna a vestire i panni di una giovane in La madre folle (carmine gallone) e risulta credibilissima per Alberto Bruno (1923, dicembre 18), recensore entusiasta del film. Ot-tiene ancora il plauso dei recensori di La rivista cinematografica (1924, giugno 10–25) in Nemesis (1920, regia di Carmine Gallone), definita “bella e simpatica artista di grande pregio”, ne I volti dell’amore (1924, regia di Carmine Gallone) in cui si sottolinea “quella finissima perfe-zione d’arte che la rende sì cara al pubblico”, ne La tormenta (1922, regia di carmine gallone) dove è “come sempre una grande interprete” (p. 56 e p. 71). Se “Film. Corriere dei cinematografi” (1918, ottobre 14) la indicava come “la regina d’ogni squisita e raffinata gioia” per i lettori di “La rivista cinematografica” (1924, luglio 10), che nel 1922 le aveva dedicato la copertina è ancora la “beniamina del pubblico”. “al cinema: settimanale di cinematografia e varietà” chiude la rivista, nel 1923, con una foto di Soava e la ritrae in copertina in una posa maliziosa e diver-tita. “al cinema” dell’ottobre 1924 dedica a una foto di scena de I volti dell’amore (1924, regia di carmine gallone) la sua prima pagina.

Anche quando non si parla espressamente dei suoi film, la si cita per tesserne le lodi, gli articolisti guttuso e fasulo (1924, maggio 10–25) di “La rivista cinematografica” pur giudicando il cinema ancora “un mezzo limitato” convengono che questo possa “elevarsi al massimo ren-

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dimento di intelligibilità, quando l’attore è veramente artista dell’anima e può spingersi alla perfetta rivelazione del pensiero, alla fedele espres-sione delle emotività più riposte”, specie se a recitare sono “una Leda gys, una Bertini, una Soava gallone” (p. 12).

L’ultima interpretazione per il cinema italiano, e forse la più nota ar-rivata ai giorni nostri, è ne La cavalcata ardente (1925, regia di carmine gallone). Soava gallone è grazia di Montechiaro, promessa in sposa all’anziano Principe di Santafé (emilio ghione), segretamente innamo-rata di giovanni artuni (gabriele de gravonne), patriota e rivoluzio-nario. Da più parti le critiche sul film sono entusiatiche, per Uccellini (1925, maggio–giugno), Soava vi recita “con un’efficacia prodigiosa, con un’umanità sorprendente” (p. 182). Tuttavia Ermanno Contini su “L’ambrosiano” parla di Soava come della “diva” che “dedica al Ri-sorgimento lo stesso stralunamento d’occhi” che il pubblico le ha visto fare tante volte in occasioni meno solenni. Paradossalmente la gallone, antidiva negli anni del divismo, sembra assumere quegli atteggiamen-ti a lei sempre estranei, proprio ora che il divismo va ad esaurirsi. in cerca di una sua identità, al pari del cinema italiano che nel 1926 pro-duce solo venti film, Soava allenta la sua attività artistica. Le riviste le dedicano qualche spazio in cui si evince la consapevolezza della fine della sua carriera. Un bel ritratto privato ne fa Giuseppe Lega (1925, giugno-luglio) su “L’eco del cinema”, in cui ricorda quando anni pri-ma aveva incontrato l’attrice “tutta bionda e primaverile” a casa sua. divenne dopo di allora suo amico ed habituè di casa gallone, ed ebbe il privilegio di osservarla meglio di qualsiasi operatore cinematografico, nella sua veste privata “a sfaccendare come una donnina qualsiasi, come un’umile padroncina affezionata ai suoi mobili, ai suoi ninnoli, alle sue cose più care” (p. 224). “al cinema” (1925, novembre 22), sottolinea il merito che da sempre bisogna riconoscerle, quello di “aver portato una nota originale e personalissima, una evidente forma interpretativa sugli schermi italiani, dove l’imitazione pedissequa esercitava il suo im-perativo categorico e tutte le attrici di piccola, media e grande statura andavano a gara nel rifarsi a un paio di modelli”.

Soava presta il suo volto a Lady fawn arden, eroina di un roman-zo inglese trasposto sullo schermo da suo marito e prodotto dalla Paris

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international film nel 1927 e torna un’ultima volta, senza successo, sul-lo schermo nel 1930 ne Il segreto del dottore, versione italiana di The Doctor’s Secret di William C. deMille, diretta da Jack Salvatori. Il film si rivela un fiasco; basti la stroncatura di un critico attento come Enrico Roma (1931, febbraio 18) per dare un’idea. Il giornalista lamenta l’inca-pacità del direttore Salvatori di dirigere un talento quale Soava Gallone è stata. finisce così la carriera artistica della “tenue e bionda creatu-ra”. L’ultima parola può essere lasciata proprio all’attrice, che riafferma quanto raccontato in un decennio dalle riviste specializzate. Già prota-gonista di una Bizzarra intervista a me stessa (1920, novembre 7), nel 1923 in un’intervista a “La rivista cinematografica” (Ego, 1923, agosto 25, p. 14), Soava spiega di aver voluto sempre essere se stessa prima che un’attrice, una donna prima che una diva:

[…] ed è perciò ch’io ho sempre eliminato dalle mie interpretazioni la parte di donna fatale, attenendomi invece a quelle che rispondevano al mio tempe-ramento; sono una donna semplice, esente da ogni morbosa complicazione, e tale desidero apparire. Le nature eccezionali, i grandi enigmi viventi non sono per me, che vivo semplicemente, ascoltando il mio cuore, seguendo la mia sensibilità, forse potente ma, schietta, limpida...

BiBLiogRafia

Al Cinema, 10 (1922, marzo 11). disponibile da: http://www.rivistecinema.it/catalogs/c5-100032

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– n. 47 (1925, novembre 22). disponibile da: http://www.rivistecinema.it/ca-talogs/c5-100173

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Riassunto: il mio intervento intende illustrare la ricezione di Soava gallone, nata Stanislawa Winawer, attraverso le riviste cinematografiche italiane tra gli anni 1915-1925. La carriera dell’attrice polacca, trapiantata in italia nel 1911, si sviluppa soprattutto durante il periodo d’oro del “diva-film”, un vero e proprio genere cinematografico italiano che si concentra sulle interpreti femminili e sui personaggi che queste interpretano, di derivazione simbolista e dannunziana. L’attrice si caratterizza per un atteggiamento ben diverso rispetto ai canoni delle “dive” del tempo, tutte occhi languidi e pose manierate. Lyda Borelli, francesca Bertini, Pina Menechelli interpretano soprattutto ruoli da femme fatale, Soava gallone, invece, preferisce personaggi più rassicuranti, i cui risvolti seduttivi sono spesso derivati dalla crudeltà dei personaggi maschili. in Avatar (carmine gallone, 1915) è una moglie fedelissima, in Senza colpa! (carmine gallone, 1915) una creatura innocente costretta a difendersi da una tentata violenza con l’omicidio, in La chiamavano Cosetta (eugenio Perego, 1917) viene spinta al lusso e a desideri sbagliati perché strappata dal suo mondo ingenuo. e ancora in Il bacio di Cyrano (1919), Maman Poupèe (1919), Amleto e il suo clown (1920), Marcella (1921), il suo è sempre un personaggio delicato e dai tratti angelici. Anche l’immagine pubblica che cerca di costruirsi è quella di una donna rassicurante, intelligente e colta. Le fotografie che la ritraggono non la mostrano mai nelle pose seduttive di una Menechelli o di una Bertini e per la maggior parte degli articolisti della stampa italiana di quegli anni, Soava Gallone è “la tenue bionda creatura”, “la bellissima, semplice e spontanea”, la “gentile e soave interprete”.

Parole chiave: Soava Gallone, Diva-film, ricezione critica, cinema italiano, riviste cinematografiche italiane