Lot e la famiglia in fuga da Sodoma di Castelvecchio: primi appunti per i disegni a penna di...

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41 34 Thomas Dalla Costa I l Gabinetto dei disegni del Museo di Castelvecchio conserva, tra gli al- tri, un disegno che credo possa essere attribuito senza esitazioni a Carlo Calia- ri, come già sosteneva Sergio Marinelli. 1 Esso rappresenta Lot e la famiglia in fuga da Sodoma, 2 raffigurando l’episodio così come lo narra la Bibbia, 3 cosicché in primo piano riconosciamo il nipote di Abramo il quale, in compagnia delle due figlie e tenuto per mano dagli angeli mandati da Dio, fugge dalla città che, sullo sfondo, attende di conoscere l’ira del Signore. Accanto a Lot è riconoscibile l’ab- bozzo non ripassato a penna di un’altra figura, apparentemente immaginata in abiti femminili, con un braccio alzato, che l’artista non terminò e in cui credo vo- lesse rappresentare la moglie di Lot che, voltatasi nonostante le raccomandazioni degli angeli, fu tramutata in una statua di sale. A sinistra si distinguono i resti di un colonnato ornato da capitelli corinzi, mentre un cielo fitto di nubi sovrasta la veduta ideale di Sodoma, arrampicata in cima alla collina sullo sfondo. Il disegno fu inizialmente accostato all’ambito di Paolo Veronese da Terence Mullaly, il quale su una vecchia montatura fece il nome di Francesco Montemez- zano. Più tardi, il primo studioso a proporre di riconoscere quale autore Carlo Caliari fu appunto Marinelli, seguito da Giorgio Marini, 4 mentre recentemente il foglio è stato oggetto di alcuni studi e analisi diagnostiche non invasive par- Lot e la famiglia in fuga da Sodoma di Castelvecchio: primi appunti per i disegni a penna di Carletto Caliari Desidero rivolgere un particolare ringraziamento alla Direzione della rivista che ha accettato di pubblicare questo primo contributo sulla grafica di Carlo Caliari, e in particolare a Paola Marini. Inoltre un grazie va al sempre presente Bernard Aikema. 1. S. Marinelli, in Museo di Castelvecchio. Disegni, catalogo della mostra a cura di S. Marinelli e G. Marini, Milano 1999, p. 39, cat. 5. 2. Gesso nero, ripassato con penna e inchiostro bruno, rinforzato con acquerello, su carta preparata azzurra filigranata, 269 × 205 mm, inv. 12365-2B45. Sul verso si legge l’iscrizione a matita « Sodoma incen- diata », posteriore e da riferire alla catalogazione di un collezionista. Vi si leggono poi tracce di contabilità, che invece sono coeve al disegno. 3. Gn 19, 1ss. 4. G. Marini, I grandi disegni italiani del Museo di Castelvecchio, Milano 2000, n. 10; e la scheda dello stesso Marini in Italian Drawings and Prints from the Castelvecchio Museum, Verona, catalogo della mostra, Cinisello Balsamo (Milano) 2002, p. 72, cat. 14.

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Thomas Dalla Costa

Il Gabinetto dei disegni del Museo di Castelvecchio conserva, tra gli al-tri, un disegno che credo possa essere attribuito senza esitazioni a Carlo Calia-ri, come già sosteneva Sergio Marinelli.1 Esso rappresenta Lot e la famiglia in fuga da Sodoma,2 raffigurando l’episodio così come lo narra la Bibbia,3 cosicché in primo piano riconosciamo il nipote di Abramo il quale, in compagnia delle due figlie e tenuto per mano dagli angeli mandati da Dio, fugge dalla città che, sullo sfondo, attende di conoscere l’ira del Signore. Accanto a Lot è riconoscibile l’ab-bozzo non ripassato a penna di un’altra figura, apparentemente immaginata in abiti femminili, con un braccio alzato, che l’artista non terminò e in cui credo vo-lesse rappresentare la moglie di Lot che, voltatasi nonostante le raccomandazioni degli angeli, fu tramutata in una statua di sale. A sinistra si distinguono i resti di un colonnato ornato da capitelli corinzi, mentre un cielo fitto di nubi sovrasta la veduta ideale di Sodoma, arrampicata in cima alla collina sullo sfondo.

Il disegno fu inizialmente accostato all’ambito di Paolo Veronese da Terence Mullaly, il quale su una vecchia montatura fece il nome di Francesco Montemez-zano. Più tardi, il primo studioso a proporre di riconoscere quale autore Carlo Caliari fu appunto Marinelli, seguito da Giorgio Marini,4 mentre recentemente il foglio è stato oggetto di alcuni studi e analisi diagnostiche non invasive par-

Lot e la famiglia in fuga da Sodoma di Castelvecchio:primi appunti per i disegni a penna di Carletto Caliari

Desidero rivolgere un particolare ringraziamento alla Direzione della rivista che ha accettato di pubblicare questo primo contributo sulla grafica di Carlo Caliari, e in particolare a Paola Marini. Inoltre un grazie va al sempre presente Bernard Aikema.

1. S. Marinelli, in Museo di Castelvecchio. Disegni, catalogo della mostra a cura di S. Marinelli e G. Marini, Milano 1999, p. 39, cat. 5.

2. Gesso nero, ripassato con penna e inchiostro bruno, rinforzato con acquerello, su carta preparata azzurra filigranata, 269 × 205 mm, inv. 12365-2B45. Sul verso si legge l’iscrizione a matita « Sodoma incen-diata », posteriore e da riferire alla catalogazione di un collezionista. Vi si leggono poi tracce di contabilità, che invece sono coeve al disegno.

3. Gn 19, 1ss.4. G. Marini, I grandi disegni italiani del Museo di Castelvecchio, Milano 2000, n. 10; e la scheda dello

stesso Marini in Italian Drawings and Prints from the Castelvecchio Museum, Verona, catalogo della mostra, Cinisello Balsamo (Milano) 2002, p. 72, cat. 14.

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ticolarmente approfondite che hanno portato alla luce diverse novità.1 L’analisi riflettografica ha permesso di rintracciare la presenza di residui carboniosi sullo sfondo, appena sopra la città, che appartengono a una prima versione del dise-gno; successivamente essi furono cancellati a beneficio di quelli visibili nell’at-tuale composizione, che fu poi ripassata a penna. Oltre a essere rari, questi dati tecnici sono interessanti poiché ci consentono di ricostruire il metodo di lavoro dell’artista: egli dovette tracciare dapprima il disegno a carboncino, cercando il giusto assetto della composizione, per poi ripassarlo a penna e completarlo rafforzandolo con dei tocchi di acquerello. Diversi sono i fogli di Carletto che presentano tracce di un disegno a matita di base ripassato a penna, aspetto che aiuta a confermare nel suo catalogo anche il foglio di Castelvecchio. Anche se non è possibile collegarlo ad alcun dipinto conservatosi, il disegno è facilmente accostabile alla produzione di Carletto per una serie di evidenze formali: il ductus aperto e corsivo, il fare tormentato della linea di contorno, ma anche il modo di disegnare gli occhi, accennati e quasi incompleti, così come il profilo tagliente delle figure colte di scorcio. Inoltre il modo di realizzare il fogliame dell’albero, così come la città dalle forme idealizzate sullo sfondo, oltre all’abbigliamento di ispirazione classicheggiante delle figurine rimandano a tipologie che rientrano nelle soluzioni della bottega di Paolo Veronese.

Carlo Giusto Caliari nacque a Venezia nel 1570 da Paolo Caliari ed Elena Ba-dile,2 secondo di quattro fratelli.3 Le notizie documentarie certe su di lui sono scarse e, come se non bastasse, la morte lo colse in giovane età, a soli ventisei anni, nel 1596.4 La precocità della morte non gli impedì di intraprendere una brillante carriera pittorica, dapprima a seguito del padre, secondo la tradizione familiare veneziana, poi, al dire delle fonti, in bottega presso i Bassano.5 Infine il ritorno alla ditta di famiglia, con una personalità ormai formata, pochi anni prima della morte del padre, che sopraggiunse inaspettata la notte tra il 19 e il 20 aprile

1. B. Ponzoni, in Da Veronese a Farinati. Storia, conservazione e diagnostica al Museo di Castelvecchio di Verona, a cura di P. Marini e L. Olivato, Treviso 2010, pp. 132-135, n. 17.

2. Carlo venne battezzato presso la chiesa di San Samuele il 20 luglio 1570 (Archivio Canonicale Patriar-cale di Venezia, parrocchia di San Samuele, Battesimi, libro IV, c. 28).

3. Su Carlo Caliari si vedano: L. Crosato Larcher, Per Carletto Caliari, « Arte Veneta », xxi, 1967, pp. 108-124; C. Rigoni, La bottega dei Caliari a Verona, in Veronese e Verona, catalogo della mostra a cura di S. Marinelli, Verona 1988, pp. 85-98; L. Crosato Larcher, La bottega di Paolo Veronese, in Nuovi studi su Paolo Veronese, atti del convegno internazionale di studi a cura di M. Gemin, Venezia 1990, pp. 256-265; H.D. Huber, voce Caliari, Carlo, in Saur Allgemeines Künstler Lexikon. Die Bildenden Künstler aller Zeiten und Völker, xv, Leipzig 1997, pp. 579-580; H.D. Huber, Paolo Veronese. Kunst als Sozial Systeme, Monaco 2005, pp. 127-135.

4. Archivio Canonicale Patriarcale di Venezia, parrocchia di San Samuele, Libro dei morti II, 1.5. C. Ridolfi, Le maraviglie dell’arte, overo le vite degl’illustri pittori veneti e dello stato, Venezia 1648,

edizione a cura di D. von Hadeln, i, Berlin 1914, p. 353. Si veda poi M. Boschini, Le ricche minere della pittura veneziana. Compendiosa informazione … non solo delle pitture publiche di Venezia ma dell’isole ancora circonvicine. Seconda impressione con nove aggiunte, Venezia 1674, p. 267; A.M. Zanetti, Della pittura vene-ziana e delle opere pubbliche de’ veneziani maestri, Venezia 1771, p. 267.

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1588. Poco tempo dopo, considerata la presenza di lavori lasciati in sospeso e commissioni da onorare, Carletto decise, insieme allo zio Benedetto (1538-1598) e al fratello Gabriele (1568-1630), di fondare il sodalizio artistico noto come Hae-redes Pauli che rappresenta un caso unico nel panorama artistico veneziano.

Il problema della formazione presso i Bassano è ancora poco chiaro: secondo le fonti, Ridolfi e Boschini su tutti, il giovane Carletto venne inviato a completa-re la sua formazione nella bottega di Jacopo Dal Ponte, che avrebbe influenzato la sua pittura, la quale in effetti è caratterizzata da un naturalismo di impronta chiaramente bassanesca. In realtà è molto più ovvio pensare che, se davvero det-ta esperienza dovette esserci, essa si svolse presso la bottega veneziana di Fran-cesco (più che di Leandro) Bassano;1 inoltre dobbiamo credere che, anziché di un comune garzonato, si trattasse di una sorta di collaborazione, a cui Carletto giungeva forte di una prima educazione ricevuta presso la bottega di famiglia.2 Accettando infatti ciò che racconta Ridolfi,3 possiamo pensare che Carletto di-segnasse e dipingesse già entro il suo dodicesimo compleanno.4 Era dunque un artista precoce, che tra i quindici e i sedici anni doveva ormai essere stato incluso nella bottega di famiglia.5 Se consideriamo che il giovane Caliari doveva essere attivo sin da allora, si evince che la collaborazione presso Francesco Bassano può inserirsi tra il 1582 e il 1585 circa. Sebbene alcuni dati stilistici relativi alla produ-zione veronesiana possano indurre ad abbassare leggermente la data di questa

1. Il primo a contraddire la testimonianza dei due cronisti fu Giuseppe Fiocco, il quale sosteneva che Carlo fu inviato presso uno dei due figli di Jacopo Bassano: G. Fiocco, Paolo Veronese 1528-1588, Bologna 1928, p. 95.

2. Su questa ipotesi, che deve essere considerata ancora la più plausibile, si veda: R. Rearick, Jacopo Bassano e Paolo Veronese, « Bollettino del Museo Civico di Bassano », n.s., 1987-1988, 3-6, pp. 36-37, e più recentemente Huber, Paolo Veronese. Kunst cit., pp. 126-129.

3. Per Veronese, Ridolfi può essere considerato piuttosto attendibile. Dobbiamo ricordare che Carlo si formò alla bottega dell’Aliense, il quale dovette conoscere Paolo avendone frequentato la bottega, come dimostrano sia le fonti stesse, sia gli aspetti stilistici della sua prima attività (sull’argomento si veda Ridol-fi, Le maraviglie dell’arte cit., ii, Berlin 1924, pp. 207-222; G. Bocassini, Profilo dell’Aliense, « Arte Ve-neta », xii, 1958, pp. 111-125; B.W. Meijer, Disegni di Antonio Vassilacchi detto l’Aliense, « Arte Veneta », 53, 1998, pp. 34-51). Inoltre non si scordi che la Vita di Veronese era dedicata a Giuseppe Caliari, figlio di Gabriele, con il quale Ridolfi era in contatto: possiamo realisticamente pensare che l’erede dei Caliari aves-se contribuito con le sue testimonianze alla sua stesura. Ciò non toglie che in molte occasioni l’attendibilità dei racconti di Ridolfi sia molto lontana dalla realtà dei fatti, un aspetto che a tratti ha fatto somigliare il testo più a una costruzione a tavolino che a una realistica cronaca.

4. Ridolfi, Le maraviglie dell’arte cit., i, pp. 353-354.5. Sembra possibile riconoscerne l’intervento nella decorazione delle ante dell’organo della chiesa ve-

neziana di Ognissanti (ora a Brera), che presumibilmente dovettero essere collocate contestualmente alla consacrazione della chiesa, avvenuta il 22 luglio 1586. T. Pignatti, P. Pedrocco, Veronese, Milano 1995, cat. A51. Per la partecipazione a fianco di Benedetto (principale responsabile dell’esecuzione) e di Alvise dal Friso anche del giovane Carletto, si vedano: Crosato Larcher, Per Carletto cit., p. 110; R. Rearick, in Paolo Veronese. Disegni e dipinti, catalogo della mostra, Vicenza 1988, p. 85, cat. 47. Per la ricostruzione delle date e dei documenti relativi alla consacrazione della chiesa si veda R. Gallo, Cinque quadri ignoti del Veronese alla Mostra di Venezia, « Ateneo Veneto », aprile 1939, pp. 199-204.

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collaborazione,1 non dobbiamo dimenticare che sino all’età di dodici anni non era consentito dalle regole dell’Arte dei depentori di iscriversi a un apprendistato. Tuttavia il vantaggio dei figli di pittori era evidente: essi potevano cominciare an-che prima della fatidica età di dodici anni. Inoltre ritengo poco credibile che Paolo decidesse di inviare uno dei figli presso un’altra bottega solo a svolgere un sempli-ce garzonato, totalmente privo di una formazione artistica che ne avesse già de-terminato lo stile, mentre sarebbe stata certo più proficua (anche da un punto di vista commerciale) una collaborazione che puntasse a plasmare una nuova figura, con uno stile individuale fondato su questi differenti registri linguistici.

La storiografia ha da tempo sottolineato che un altro indizio a sostegno di un’esperienza a fianco del secondogenito di Jacopo è deducibile da particolari sti-listici, osservando che in Carletto troviamo un « gusto aneddotico e naturalistico tipico […] di Francesco ».2 Restano purtroppo ancora da chiarire quali circostan-ze portarono a tale relazione, benché sia logico pensare che essa fu favorita, come ebbe già a sostenere Roger Rearick, dall’incarico che Francesco ricevette per la realizzazione, a fianco di Paolo (e della sua bottega), della grande tela del Paradi-so nella Sala del Maggior Consiglio in Palazzo Ducale, ricevuto proprio nel 1582.3

È dunque a partire dal 1586 circa che l’attività pittorica del giovane Caliari con-fluisce in quella della bottega paterna, e in seguito in quella degli Haeredes Pauli. Inseritosi quindi nel migliore dei modi, Carletto fu oltre che un capace pittore, anche uno dei più abili e indipendenti disegnatori del XVI secolo.

Eppure la produzione grafica di questo artista non ha ancora ricevuto la giu-sta attenzione, con uno studio che tenti di riassumerne e ordinarne perlomeno i contorni generali in un corretto inquadramento cronologico. Se non all’interno di altri contributi, quali ad esempio l’ancora fondamentale catalogo dei disegni di Paolo Veronese di Richard Cocke,4 o il volume di Roger Rearick sul disegno veneto,5 senza dimenticare il primo deciso tentativo di isolamento della mano del giovane Caliari operato dai Tietze nel 1944,6 i fogli solitamente ascritti a Carletto

1. Si veda soprattutto la pala con la Adorazione dei pastori della chiesa di San Giuseppe di Castello a Venezia, olio su tela, 375 × 182 cm, eseguita tra il maggio 1582 e il novembre 1583 (T. Martin, Grimani Pa-tronage in S. Giuseppe di Castello: Veronese, Vittoria and Smeraldi, « The Burlington Magazine », 133, 1991, pp. 825-833). Nel dipinto oltre all’intonazione cromatica generale, anche alcuni brani compositivi devono molto alla tradizione bassanesca.

2. Crosato Larcher, Per Carletto cit., p. 108.3. Sulla vicenda dell’assegnazione a Francesco Bassano e Paolo Veronese dell’esecuzione della grande

tela nella sala del Maggior Consiglio, in sostituzione del telero del Guariento danneggiato dall’incendio del 1577, si veda almeno: Rearick, Jacopo Bassano cit., pp. 32-35; S. Mason, Francesco Bassano e il soffitto del Maggior Consiglio in Palazzo Ducale, « Arte Veneta », 34, 1980, pp. 214-219; Il “Paradiso” di Tintoretto. Un concorso per Palazzo Ducale, catalogo della mostra a cura di J. P. Habert, L. Marabini, Milano 2006.

4. R. Cocke, Veronese’s Drawings. A Catalogue Raisonne, London 1984, in particolare p. 356, nota 3.5. Mi riferisco a R. Rearick, Il disegno veneziano del Cinquecento, Milano 2001, pp. 178-185.6. Il testo in questione è il noto H. Tietze, E. Tietze-Conrat, The Drawings of the Venetian Painters

of Fifteenth and Sixteenth Centuries, New York 1944, in particolare i nn. 2197-2212 alle pp. 358-359. Altri

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non sono stati trattati in maniera indipendente, con l’obbiettivo di riconoscerne dei nuclei omogenei e di sicura attribuzione. Anche per questa ragione si sente ora la necessità di uno studio che tenti una sistemazione, se non altro nei passaggi fondamentali, della sua attività grafica.

A partire dagli ultimi anni della formazione, soprattutto compatibilmente al suo impegno nella bottega di famiglia, la sua carriera di disegnatore può essere seguita in maniera abbastanza dettagliata, creando un corpus indipendente di fo-gli che gli possono essere ascritti, sia sulla base di riferimenti con opere pittori-che, sia su indizi stilistici. È oggi verosimile realizzare una suddivisione dei suoi prodotti grafici in diverse tipologie, dove i disegni possono essere distinti dap-prima per tecnica, e poi per funzione, essendo la scelta della prima fortemente correlata al fine intrinseco della seconda.

Un primo insieme di fogli intorno al quale si può organizzare un gruppo di suoi esercizi grafici è costituito dai disegni a penna e inchiostro acquerellato, talvolta arricchiti con tocchi di biacca, realizzati solitamente partendo da un disegno di base a matita nera. In questo gruppo si inseriscono anzitutto i fogli che Carletto realizzò verosimilmente come esercizi per uniformare lo stile a quello del capo bottega, nei primi anni di formazione, solitamente copiando opere o disegni del padre. Era questa una pratica necessaria per la formazione degli allievi che un maestro come Paolo Veronese doveva seguire al fine di mantenere un livello di produzione qualitativamente costante. La medesima tecnica veniva utilizzata anche per i disegni preparatori direttamente collegabili con opere dipinte dal ma-estro, eseguite dalla bottega o da Carletto stesso, ai quali poteva essere affidato il compito di realizzarne delle varianti. Tale gruppo di disegni include anche i co-siddetti ‘primi pensieri’, una tipologia in cui Veronese si espresse con esiti, come è noto, di elevatissima qualità, e con la stessa tecnica a penna: è dunque ovvio che anche Carletto avesse imparato a sfruttarne le potenzialità.

Proprio a questo primo nucleo appartiene anche il disegno con Lot e la fami-glia in fuga da Sodoma, per il quale vorrei tentare di proporre, a quanto mi risulta per la prima volta, una datazione. Intorno a questa datazione si propone qui un gruppo coerente di disegni che possono essere ascritti a Carletto, senza evitare di affrontare anche alcuni casi spinosi; d’altra parte, la trattazione di questo dise-gnatore dovrà necessariamente passare al vaglio anche i casi in cui il suo stile, che si fa più riconoscibile dopo il 1588, tende a nascondersi per inserirsi in quello più generico dei seguaci di Paolo Veronese. Per quanto riguarda il foglio di Verona purtroppo non possediamo alcuna testimonianza grafica o pittorica che consen-

aspetti dell’attività grafica di Carletto sono stati trattati da Alessandro Ballarin, che ha inserito una discus-sione sui disegni a carboncino del Caliari (un problema sul quale prevedo, in futuro, di tornare) all’interno dei suoi studi sulla grafica di Jacopo Bassano: A. Ballarin, Introduzione a un catalogo dei disegni di Jacopo Basano – I, « Arte Veneta », xxiii, 1969, pp. 85-114; Idem, Introduzione a un catalogo dei disegni di Jacopo Bassano – II, in Studi di storia dell’arte in onore di Antonio Morassi, Venezia 1971, pp. 143-151.

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ta un diretto riferimento a opere di Veronese o della sua cerchia,1 perciò risulta difficile dire con sicurezza se questo fosse uno studio preparatorio oppure una copia realizzata da un allievo alle prime armi. In ogni caso tenderei a escludere, per la sicurezza del tratto, una data troppo bassa, collocandolo nel periodo con-clusivo della sua formazione, intorno al 1588: i residui di cancellature di matita scoperti nelle recenti analisi scientifiche potrebbero dimostrare che Carlo avesse dapprima copiato il disegno, per poi rinforzarlo con la penna e delle deboli acque-rellature. In un momento di formazione qualche incertezza è naturale, per questo l’artista potrebbe aver deciso di cancellare i primi segni della città sullo sfondo; ma potrebbe altresì aver dimostrato, con la decisione di cambiare alcuni dettagli, una certa autonomia e maturità compositiva. Infatti possiamo pensare che pro-prio in questo momento il giovane Carlo fosse alla ricerca di uno stile personale, che si staccasse da quello del padre, il quale forse era già morto. Le figure sono ancora massicce, le corporature sono meno affusolate rispetto a come appariran-no in alcuni esercizi successivi, quando lo stile di Carlo tenderà a rendersi sempre più autonomo.

Se il foglio di Castelvecchio può aiutarci a separare, verrebbe da dire, in due momenti la carriera di Carletto come disegnatore, dobbiamo necessariamente muovere dai primi esercizi di Caliari, che dovettero essere quelli comuni agli altri allievi della ditta. Purtroppo i fogli relativi a questo momento sono di più com-plessa individuazione, e rimangono anche i più complicati da discutere, proprio perché in questo momento il giovane era tenuto ad assecondare lo stile domi-nante della bottega, adeguando la sua maniera a quella che la perpetuazione del marchio veronesiano richiedeva per continuare a produrre. Uno dei punti fon-damentali nella formazione degli allievi doveva necessariamente dipendere dalla copia di disegni, particolari e opere del maestro, al fine di uniformare lo stile dei componenti della bottega a quello di Paolo, prendendo confidenza anche con le principali tecniche grafiche utilizzate dal maestro. Anche se è più semplice allora riconoscere lo stile di Carlo in seguito alla scomparsa del padre, quando la sua abilità e il suo talento escono allo scoperto, possiamo distinguere qualche suo esercizio relativo alla prima formazione.

Sebbene sia difficile individuare con certezza la mano di Carletto nelle copie di disegni del padre, uno dei casi maggiormente dibattuti è certo quello del foglio con Venezia riceve ricompense e onori delle collezioni della Royal Library presso

1. Per le due opere con questo soggetto conservatesi si veda: T. Pignatti, Veronese, Venezia 1976, cat. A239; Pignatti, Pedrocco, Veronese cit., cat. 365. Ho rinvenuto una segnalazione di una tela di identico soggetto, misurante 80 × 60 cm, e attribuita dal suo antico possessore a Paolo Veronese, in G. Riva, Alcuni quadri raccolti ed illustrati, Padova 1853, p. 26. La descrizione dell’opera in questione fatta da Riva tuttavia, che per il formato rettangolare poteva far pensare a una connessione con il disegno veronese, non solo smentisce questa ipotesi, ma ci fa anche dubitare che essa possa essere considerata opera paolesca.

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Windsor Castle,1 il quale, va detto, rappresenta un caso davvero complicato. Fu per primo Richard Cocke a considerare il foglio una rielaborazione da parte di Carlo di un disegno autografo di Paolo, conservato in una collezione privata a New York, uno Studio per il battesimo di Cristo e Venezia in trono riceve onori.2 Il disegno di Carletto sembra essere in relazione con il gruppo centrale di questo disegno, come sostiene Cocke, il quale inoltre lo colloca nella serie di disegni preparatori per la decorazione della Sala dell’Anticollegio di Palazzo Ducale cui Veronese attese, con la collaborazione della bottega, dopo il marzo del 1577.3

La vicenda è complicata, ma vale la pena soffermarci su questo punto poiché considero il disegno di Windsor uno dei primi esercizi di Carletto nella bottega paterna. Secondo l’ipotesi dello studioso inglese, il disegno di Carletto sarebbe la testimonianza di un passaggio intermedio tra lo sviluppo della prima idea dell’af-fresco per Palazzo Ducale, riconoscibile nel disegno americano, che Veronese avrebbe sviluppato forse in un modello, e quella successiva del dibattuto foglio con Studi per Venezia distribuisce onori della Staatliche Kunstsammlungen di Kas-sel.4 Nel disegno Windsor vediamo una donna seduta su di un trono, sagomato come fosse una conchiglia, reggente uno scettro filiforme; ai suoi piedi un leone alato la identifica come allegoria di Venezia, davanti alla quale sono in ginocchio e incatenati due infedeli, riconoscibili per il copricapo, mentre altri due uomini, evidentemente sudditi fedeli, le porgono (così cita la iscrizione-didascalia sul di-segno americano) tributi e onori come ringraziamento per il suo buon governo. Vicino al trono, due santi sono identificabili come Giustina e Giacomo: la loro presenza ci permette di ipotizzare una datazione successiva al 1576: la santa ri-corda la vittoria delle milizie cristiane su quelle mussulmane a Lepanto, il 7 otto-bre 1571, mentre il santo pellegrino potrebbe aver trovato posto come ringrazia-mento per la protezione accordata alla città durante l’epidemia del 1576. Anche se date così basse sono poco credibili per il giovane Caliari, che aveva solo sei o

1. Gesso nero ripassato con penna e inchiostro, rafforzato con acquerello, vi è accennata una cornice ornamentale di contorno, circolare, 220 × 222 mm, inv. 4789. Iscrizione a penna: « Carletto ». Per una dis-cussione sul disegno: Tietze, Tietze-Conrat, The Drawings cit., n. 2211; E.A. Popham, J. Wilde, The Italian Drawings of the XV and XVI Centuries at Windsor Castle, London 1949, n. 1023; R. Cocke, Observations on Some Drawings by Paolo Veronese, « Master Drawings », xi, 2, 1973, p. 141; Idem, Veronese’s Drawings cit., p. 197, cat. 82, fig. 53; p. 356, cat. 188, nota 3.

2. Penna e inchiostro, rafforzato con acquerello, 203 × 288 mm. Iscritto a penna sul recto: « Vene[z]ia che seli aprese[n]ta Tributi [dalle] provincie citta Castele p[er] il buo[n] governo ed […] da grazie »; sul verso: « [Pr]imo nel fianco a la ba[n]da destra del Coligio », « P. Verse 7.2 ». Il disegno è discusso in Cocke, Obser-vations on Some Drawings cit., pp. 140-141; Idem, Veronese’s Drawings cit., p. 197, cat. 82.

3. Venezia distribuisce ricompense e onori, affresco ottagonale, 200 × 200 cm; Pignatti, Pedrocco, Ve-ronese cit., cat. 234.

4. Penna e inchiostro, rafforzato con acquerello, 248 × 206 mm, inv. 1124. Iscrizione autografa: « i / in / tvto / ivstvs », « ii / relligio / ex / operibvs », « iii / vera / digno / scitvr », « iiii / nvmen / forti / robvr », « qhk ». Riprodotto e discusso in Cocke, Veronese’s Drawings cit., p. 198, cat. 83; Rearick, in Paolo Veronese. Disegni cit., p. 66, cat. 24.

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sette anni, da un punto di vista stilistico il foglio di Windsor Castle può essere riferito a Carletto e inoltre presenta delle somiglianze innegabili con il disegno di collezione privata americana. Per questo concordo con Cocke nel ritenere che esso potrebbe essere stato tratto da un successivo modello, o disegno più partico-lareggiato, realizzato da Paolo e destinato a rimanere tra il working material della bottega. Che il disegno del giovane Caliari sia una copia lo dimostrano l’assenza di pentimenti e la cura nella resa dei dettagli, caratteristiche che di rado si trova-no in disegni di studio o preparatori.

È più complicato invece sostenere l’altra tesi di Cocke, secondo la quale il disegno di New York (e quindi anche quello di Windsor) rappresenterebbe una prima idea per l’affresco con Venezia che distribuisce ricompense e onori della Sala dell’Anticollegio. Anzitutto dovremmo pensare alla modifica del proget-to iconografico da parte dei Provveditori, poiché i disegni di Paolo e Carletto, come si evince anche dalle iscrizioni sul foglio americano, rappresentano una Venezia che riceve onori, non che li distribuisce. C’è poi da considerare la scel-ta del punto di vista, che non sembra ideale per un dipinto da collocare in un cassettone sul soffitto, che avrebbe richiesto un più audace scorcio, nella tipica tradizione veronesiana; di questo scorcio non solo non c’è traccia nel disegno di Carletto, ma nemmeno nelle idee di Paolo. Inoltre non si spiegano la traccia di cornice appena accennata e la sua forma circolare, così diverse dal profilo ottagonale che doveva essere definito già nel marzo 1577, quando veniva sal-dato il lavoro allo stuccatore Marco Agnolo del Moro (1536-1586)1 e Veronese poteva cominciare il suo. Relativamente a questo affresco quindi, considerati i dati in nostro possesso, solo il disegno di Kassel può esservi messo in relazione, mentre sia il disegno di New York sia il successivo sviluppo di Carletto devono considerarsi relativi a un lavoro mai realizzato, o perduto, e in particolare quel-lo del giovane Caliari rappresenta uno dei primi esercizi stilistici sulla base di disegni del padre.

Nel 1586 Carletto dovette rientrare presso la bottega di famiglia. Più proba-bilmente non la abbandonò mai, poiché è difficile credere che Paolo mandasse il figlio a far pratica da un altro pittore unicamente per alleggerirsi di una spesa. È presumibile che appena terminata la sua esperienza, il giovane avesse preso a lavorare attivamente con la bottega, se la sua mano si fa notare nella Madonna con il bambino in gloria e quattro santi del Musée des Beaux-Arts di Digione,2 dipinta attorno al 1586 per la confraternita di Sant’Antonio di Pesaro.3 Anche se non mi

1. L’affresco venne eseguito subito dopo il marzo 1577, quando del Moro aveva completato la preparazio-ne del soffitto, che era stata iniziata il 29 luglio dell’anno precedente.

2. Olio su tela, 337 × 218,7 cm. Firmata in basso: « pavli caleari ».3. La data è rivelata dai documenti pubblicati da A. Arfelli, Per la storia di un quadro di Paolo Veronese,

« Arte Veneta », xiii-xiv, 1959-1960, pp. 203-204. La pala fu pagata il 31 maggio 1586: Carletto doveva essere poco più che sedicenne.

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trovano concorde le opinioni di Crosato Larcher,1 Pignatti e Pedrocco2 e Huber,3 che vorrebbero attribuire per intero il dipinto al giovane Caliari, che lo avrebbe eseguito sotto la direzione del padre, è indubbio che l’impianto compositivo si avvicina molto a quello di altre opere del medesimo periodo assegnate a Carlo. Trattandosi di una commissione marginale, non destinata a una chiesa venezia-na, Paolo potrebbe in effetti aver scelto di affidare a Carlo una parte del lavoro, ma dubito che avrebbe consentito a un giovane di sedici, diciassette anni di accol-larsi l’onere di un’intera commissione. Piuttosto possiamo pensare che il lavoro sia stato affidato al fedele fratello Benedetto, coadiuvato dal nipote.

Al di là di della querelle formale, un elemento di sicuro interesse è dato dal dise-gno con La Vergine appare ai santi Antonio abate, Paolo eremita, Pietro e Paolo del Cabinet des Dessins del Louvre4 che per prima Crosato Larcher mise in rappor-to con questo dipinto.5 Nonostante la studiosa fosse incline a ritenerlo uno studio preparatorio, credo che il foglio mostri una tale aderenza alla redazione dipinta che è plausibile ipotizzare si tratti di un ricordo; il disegno sarebbe stato dunque parte del working material della bottega, che lo avrebbe custodito considerandolo una fonte da cui trarre spunti per futuri incarichi.6 Questo è dimostrato anche dal fatto che le pose di alcuni santi del registro inferiore si ripetono in successive opere che la critica ha attribuito a Carletto. Già Crosato Larcher sottolineava infatti come il sant’Antonio della tela pesarese fosse uguale, seppur in contro-parte, al san Frediano nella pala con la Madonna in gloria e santi degli Uffizi.7 Pur mostrando una difformità qualitativa tra la parte inferiore e quella superiore, che ci ricorda che dovremmo sempre tenere a mente, anche quando studiamo dei disegni, come non sia da escludere che in alcune occasioni su uno stesso foglio lavorassero più mani contemporaneamente, il foglio può essere incluso nel cata-logo di Carlo Caliari e certifica oltremodo una sua partecipazione all’esecuzione del dipinto di Digione.

Un caso interessante di rielaborazione di uno studio del maestro è rappresen-tato dal disegno con Studio per la morte di Adone, databile al 1587 circa, che si

1. La studiosa attribuiva la pala interamente a Carlo: Crosato Larcher, Per Carletto cit., p. 111.2. Pignatti, Pedrocco, Veronese cit., cat. A16.3. Huber, Paolo Veronese. Kunst cit., p. 26.4. Penna e inchiostro bruno, acquerello bistro, sopra tracce di gesso nero, rialzato a biacca, su carta

preparata azzurra, 660 × 430 mm, inv. 4716.5. Crosato Larcher, Per Carletto cit., p. 111. Anche Cocke ricorda il disegno, ma respinge categorica-

mente l’idea che possa trattarsi di un disegno di Carletto, mentre lo ritiene una copia successiva dal dipinto: Cocke, Veronese’s Drawings cit., p. 378, cat. 211.

6. Non si sottovalutino poi le grandi dimensioni del foglio. Che senso avrebbe infatti fare un disegno pre-paratorio così grande, anche qualora lo si volesse presentare al committente? Inoltre se la sua funzione fosse stata questa, certo non ci sarebbe stato bisogno di un così manifesto sforzo di aderenza alle figure dipinte.

7. Olio su tela, 299 × 182 cm, inv. 925. Firmata in basso a sinistra: « Carlo figlio Pauli Caliari f. ». La pala si trovava originariamente a Castelfranco di Sotto, in provincia di Verona. Riprodotta in Crosato Lar-cher, Per Carletto cit., p. 113. La tela è solitamente riferita al biennio 1588-1590.

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trova in una collezione privata francese1 ed è riprodotto da Cocke, che lo con-netteva a un disegno autografo di Paolo oggi allo Statens Museum for Kunst di Copenhagen.2 Il foglio del capo bottega è tradizionalmente messo in relazione con il dipinto Venere e Adone morente con amorini proveniente dalla collezione di Rodolfo II conservato al Nationalmuseum di Stoccolma,3 quadro che da sempre desta nella critica delle divisioni circa l’autografia. In passato è stata avanzata da più parti l’ipotesi di una collaborazione della bottega nella sua realizzazione, come rivelano le tonalità cromatiche cupe e dai riflessi argentei, l’ambientazione in un folto bosco, le tipologie di cani così diverse da quelle a cui ci ha abituati il capo bottega; il pittore cui paiono corrispondere tutti questi aspetti è proprio Carletto.4 Che il giovane Caliari avesse confidenza col soggetto è confermato an-che dalla replica conservata a Praga,5 attribuita già da Ballarin a Carletto.6 Ma il disegno di Carlo non pare essere preparatorio né per la tela svedese, né per quella praghese: diverso è l’orientamento dei due amanti e la disposizione del gruppo: guardiamo soprattutto al cane, che nella tela di Stoccolma è sulla destra della composizione, nel disegno di Paolo è accennato sulla sinistra e nel disegno di Carletto è al centro. Fortunatamente questa rielaborazione può essere con-frontata con il quadro relativo, una variante del dipinto svedese, conservato a Ve-nezia presso la collezione Rogante (già?),7 per il quale il disegno si rivela essere preparatorio. L’invenzione tuttavia non spetta a Carlo, bensì ancora una volta a Paolo: infatti il giovane artista trasse la sua variante dal primo pensiero che il pa-dre schizzò sul verso del disegno passato da Sotheby’s. Nonostante il riferimento generale sia sempre e comunque l’idea paterna, fin d’ora Carletto non appare solo uno strenuo copiatore delle idee di Paolo.

Nella stessa collezione si conserva anche un altro disegno, inedito, attribui-

1. Penna e inchiostro bruno acquerellati, tracce di gesso nero, su carta preparata azzurra, 210 × 180 mm. Per una riproduzione del disegno si veda Cocke, Veronese’s Drawings cit., p. 248, fig. 76.

2. Penna e inchiostro bruno, acquerellato, 305 × 210 mm, inv. 1970-319; sul verso è iscritto con una serie di conti, nell’angolo in alto a sinistra in grafia dell’artista: « di ditamo che sta[v]a / con arco in mano / co[n] saette »; in basso, con una grafia successiva: « di Paulo Veronese ». Il foglio è stato acquistato dalla Kobber-stichsamling all’asta a Londra, Sotheby’s, 27th March 1969, lot. 7. Per una discussione sul disegno si veda R. Cocke, Veronese’s Omnia Vanitas and Honor et Virtus post mortem floret, « Pantheon », 35, 1977, p. 124, nota 27; Idem, Veronese’s Drawings cit., p. 247, cat. 105; Rearick, in Paolo Veronese. Disegni cit., pp. 69-70, cat. 28.

3. Olio su tela, 145 × 173 cm, inv. 4414. Il dipinto è identificabile nella tela presente nell’inventario del 1621 della collezione di Rodolfo II con il numero 1201, come si ritrova in H. Zimmermann, Das Inventar der Prager Schatz- und Kunstkammer vom 6, Dez 1621, « Jahrbuch des Kunsthistorischen Sammlungen des allerhöchsten Kaiserhauses », xxv, 1905, p. xvi.

4. Su questo punto concordo con l’ipotesi di L. Crosato Larcher, L’opera completa del Veronese, « Arte Veneta », xxii, 1968, p. 222.

5. Olio su tela, 120 × 140 cm, inv. 0-10.478.6. A. Ballarin, Quadri veneziani inediti nei musei di Varsavia e Praga, « Paragone », xx, 1969, 229, pp.

54-55.7. Olio su tela, 120 × 140 cm. Riprodotto in Ballarin, Quadri veneziani inediti cit., fig. 55.

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36bile a Carlo Caliari, uno Studio per due apostoli,1 di cui quello di sinistra sembra riconoscibile come Pietro per gli attributi del libro e delle chiavi. Stilisticamen-te il foglio si presta al confronto con esiti degli ultimi anni del nono decennio, come il disegno di Castelvecchio, al quale si accosta per la resa delle fisionomie – si confronti il volto di Pietro con quello di Lot – e della vegetazione. Lo stesso uso pesante delle acquerellature nel corpo centrale del disegno, mediate in parte dai calibrati rialzi di biacca, ce lo fanno collocare in questo momento della fase formativa di Carletto; questi aspetti inoltre, insieme all’assenza di pentimenti e allo sviluppo piuttosto sicuro del tratto, inducono a supporre che il disegno fosse relativo a una fase avanzata di studio per la preparazione del dipinto. Ancora una volta non ci è dato conoscere l’opera per cui era pensato il foglio: si può tuttavia supporre che il dipinto non dovesse discostarsi molto come tipologia dalla tela con I santi Filippo e Giacomo minore della National Gallery di Dublino,2 connessa forse a quella ricordata da Ridolfi come pala d’altare di una chiesa leccese,3 che presenta la stessa disposizione delle figure in un luogo alberato, lasciando intuire uno scorcio paesaggistico sullo sfondo.

Queste testimonianze grafiche certificano che il ritorno di Carletto nella bot-tega paterna doveva essere ormai cosa fatta già dal 1586. La lezione bassanesca però non veniva dimenticata dal giovane, come testimonia lo Studio per una ado-razione dei pastori che si conserva nelle collezioni di Windsor Castle.4 Anche Co-cke lo attribuisce a Carletto,5 ma credo si sbagli nel metterlo in relazione con l’Adorazione dei pastori della chiesa di Sant’Afra a Brescia, riferita al 1588. Le differenze compositive tra il dipinto e il disegno sono evidenti e l’unico elemento di continuità può essere il bambino adagiato in una cesta di vimini ben caratte-rizzata, che nel foglio londinese è posta su una sorta di gradino che la rialza come nel dipinto bresciano.

Relativamente alla fase formativa e all’impegno del giovane Carlo nell’impre-sa familiare, un disegno problematico è conservato alla Graphische Sammlung di Monaco. Il foglio è molto importante poiché sul verso conserva una lettera auto-grafa di Carletto indirizzata al padre, al quale chiede conferma della bontà della sua idea compositiva disegnata sul recto.6 Qui si trova una rappresentazione di

1. Penna e inchiostro marrone, acquerello bistro, rialzato a biacca, su carta preparata, 272 × 137 mm.2. Olio su tela, 204 × 156 cm, inv. NGI 115.3. Ridolfi, Le meraviglie dell’arte cit., i, p. 331: « & à Lecce, Città della Puglia, godono que’ popoli due

figure di S. Filippo e Giacomo di questa egregia mano ».4. Penna e inchiostro marrone, acquerello bistro, sopra tracce di gesso nero, 215 × 265 mm, inv. 6711.

Il disegno è discusso da Popham, Wilde, The Italian Drawings cit., n. 1035; riprodotto in Ballarin, Introduzione cit., fig. 350.

5. Cocke, Veronese’s Drawings cit., p. 188, nota 3.6. Penna e inchiostro con acquerello, su tracce di gessetto grigio, 185 × 240 mm, inv. 34850. Trascrizione

della lettera sul verso: « All’Honorand.o sig.r Paulo Caliari / S. Apostolo Venetia / Io Carlo feci il presente dissegno p[er] la sala di Ca Cornaro / a Poisolo p[er] il Spatio grande. / Carissimo Sig.r Padre mi ritrouo al

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37-38 Amore e Psiche in un paesaggio, prevista come una prima idea per la decorazione ad affresco di villa Cornaro (ora Venezze) a Poisolo di Castelfranco, pesantemen-te rimaneggiata durante l’Ottocento.1 Oltre a essere un fondamentale documen-to per immaginare quale potesse essere il tenore delle decorazioni interne della villa, la lettera fornisce indicazioni utili a comprendere il grado di autonomia di Carletto, che veniva inviato giovanissimo dal padre a partecipare a un così impor-tante cantiere,2 oltre a permetterci di avere un termine di confronto sicuro per la sua grafica. Purtroppo la lettera è mutila e manca della data, tuttavia una crono-logia è ugualmente ipotizzabile. Se consideriamo che Veronese morì nell’aprile 1588, sarebbe verosimile circoscrivere l’impegno di Carletto a Poisolo, e quindi la lettera e il disegno di Monaco, a un periodo compreso tra l’estate del 1587 e, al più tardi, il principio della primavera dell’anno successivo. I mesi autunnali e invernali infatti, come è noto molto umidi in Veneto, anche nell’entroterra, non dovevano certo essere i più indicati per le realizzazione di cicli ad affresco.

Sebbene la critica lo abbia sempre considerato autografo in virtù dell’iscrizione sul verso,3 lo studio approfondito del disegno riserva diverse perplessità: la figura femminile distesa in primo piano è stata ripassata a penna e modificata, come si nota osservando il disegno tracciato con un gessetto grigio molto sottile. Tali cambiamenti rintracciabili tra la stesura a carboncino del disegno sottogiacente e la successiva ripassatura a penna sono usuali per Carletto,4 però qui le variazioni sono consistenti e piuttosto diffuse. Anche lo strano edificio, le cui linee principa-li sono state tirate con un righello, era stato in principio pensato diversamente: l’acquerello steso per dare volume lascia affiorare un segno a matita che disegnava una struttura differente. Persino la figura femminile identificata solitamente con Psiche, che cerca di acciuffare l’amorino, ha subito forti ritocchi nel momento in cui l’artista l’ha ripassata con la penna: la posizione delle gambe era nettamente diversa, la sinistra ora è tesa, ma era stata pensata flessa. Ciò nonostante alcuni particolari stilistici non ci permettono di espungere con certezza l’opera dal cata-

fino dell’opera / dello salla, e L’M.gno uorebbe che segni fatti anco / nelle camere uerso il giardino auisat-temi quella / che deuo fare ».

1. Per delle notizie su questo cantiere si veda L. Crosato Larcher, Le ville venete del Cinquecento, Treviso 1962, pp. 168-169.

2. Viene tuttavia da chiedersi se davvero quella di Carlo fu solo una partecipazione, o se ebbe un incarico di maggiore responsabilità: infatti pare di capire che egli si stesse occupando di una delle sale principali del-la villa, chiamata « il spatio grande », e che il disegno fosse di sua mano. Ma l’utilità di questa testimonianza non si esaurisce qui, poiché ulteriori sviluppi potrebbero nascere dalla riflessione sulle funzioni del disegno in simili opere (a cui Paolo non partecipava, evidentemente, in maniera fisica, ma a cui poneva virtualmente la sua firma stilistica con la presenza dei fedeli collaboratori), oltre che sulla divisione dei compiti dei diversi membri dell’attiva bottega.

3. Più recentemente se ne sono occupati Cocke, Veronese’s Drawings cit., p. 335, e Huber, Paolo Verone-se. Kunst cit., p. 192. Nessuno dei due studiosi ha mai messo in dubbio l’attribuzione del foglio, o perlome-no discusso le evidenti problematiche che lo interessano.

4. Vedi infra l’Adorazione dei pastori del Louvre (nota 5 di p. 57).

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logo di Carletto, anzi ci costringono a inserirvelo (seppur con le debite precauzio-ni): le dita quasi prive di polpastrelli, unitamente al segno che si sfrangia in certi istanti, sono quelli di Carletto, mentre tipicamente veronesiana è la presenza di alberi con del fogliame che ricorda quello del disegno di Castelvecchio.

A dispetto di queste perplessità dobbiamo notare come per diversi aspetti que-sto foglio si riveli uno straordinario documento, potenzialmente utilissimo per ri-costruire i diversi passaggi dell’attività non solo grafica, ma soprattutto pittorica di Carletto all’interno dell’impresa familiare.

Tornando al foglio con Lot e le figlie in fuga da Sodoma, ribadisco come esso sia collocabile, a mio avviso, al principio del ripensamento linguistico che dovette in-teressare Carletto in seguito alla morte del padre. Da allora il giovane fu costret-to a rielaborare il proprio vocabolario stilistico che da quel momento pare virare maggiormente verso quello veronesiano, pur mantenendo peculiarità personali che lo rendono distinguibile dagli altri Haeredes. Da un punto di vista grafico que-sto pare essere stato anche il periodo più prolifico per l’artista. Per un confronto stilistico tra questo e altri disegni di Carletto, Marinelli e Marini hanno citato in particolare – con ragione – il foglio con la Presentazione di Cristo al popolo del British Museum1 e il Cristo caduto sotto la croce del Museo Cerralbo di Madrid,2 che sono accostabili al disegno di Castelvecchio sia su un piano stilistico sia per la loro possibile funzione. Entrambi i disegni non lasciano dubbi circa la loro au-tografia e una certa autonomia dello stile è già piuttosto riconoscibile, tanto da farceli avvicinare senza esitazioni a quello di Verona. In particolare è il disegno di Madrid, preparatorio per il dipinto con la Caduta di Cristo sotto la croce e incontro con Veronica3 che Carlo eseguì per la chiesa di Santa Croce a Belluno,4 quello che si presta meglio a essere confrontato con quello veronese. Si veda l’identico modo di rendere le fattezze dei volti di Lot e di Cristo, con gli stessi occhi sbar-rati, la soluzione del paesaggio e soprattutto della città idealizzata sullo sfondo,

1. Penna e inchiostro, rinforzato con acquerello grigio-bruno, tracce di gesso nero su carta preparata azzurra, 324 × 284 mm, inv. 1870-4-15-172.

2. Gesso nero, ripassato con penna e inchiostro bruno, rinforzato con acquerello e rialzato con biacca, su carta preparata azzurra, 230 × 258 mm, inv. 4771. Riprodotto in S. Pastor, F. De Pierola, Museo Cerral-bo: Catálogo de Dubujos, Madrid 1976, p. 192.

3. Gallerie dell’Accademia di Venezia, olio su tela, 240 × 312 cm, inv. 56. Opera firmata sul margine in-feriore destro: « carolvs caliarivs pavli veron. fil. f. ». Attualmente la tela è in deposito presso la cappella del Rosario della chiesa dei SS. Giovanni e Paolo a Venezia.

4. Il dipinto di Carlo faceva originariamente parte di un ciclo di dieci tele sulla Passione di Cristo. Oltre a Carlo Caliari lavorarono alle tele, volute dal vescovo Giovanni Battista Valier, l’Aliense, Domenico Tinto-retto, Palma il Giovane, Andrea Vicentino e Paolo Fiammingo, ossia quelli che comunemente sono ritenuti i maggiori rappresentanti del tardo-manierismo veneziano; questo aspetto deve darci la dimensione del livello di apprezzamento che, come pittore, doveva riscuotere Carlo. Relativamente al ciclo che, divenuto di proprietà demaniale nel 1830, fu in seguito smembrato e in parte disperso, si rimanda a G. Fossaluz-za, Tra Venezia e Belluno: il “Bacio di Giuda” dell’Aliense per la chiesa di Santa Croce “impastà del furor de Tintoretto”, in L’attenzione e la critica. Scritti di storia dell’arte in memoria di Terisio Pignatti, a cura di M.A. Chiari Moretto Wiel e A. Gentili, Padova 2008, pp. 181-208.

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le fronde degli alberi con le foglioline separate una dall’altra. Il foglio madrileno differisce unicamente per un uso più consistente e maturo della biacca. Aggiun-gerei inoltre che anche cronologicamente i due disegni sono accostabili al foglio di Castelvecchio, che tuttavia potrebbe essere leggermente precedente: quello veronese tradisce infatti una maniera leggermente più rigida, trattenuta, mentre il trattamento degli altri appare più sciolto.

Cronologicamente prossimo al biennio 1588-1590 è anche il foglio del Fogg Art Museum di Cambridge (Mass.) con Mosè fa scaturire l’acqua.1 Riconoscia-mo la caratteristica disposizione dei personaggi in gruppi ammassati, ma con co-struzioni fisiche che risultano ancora incerte e grossolane. Il segno tormentato, le fisionomie e i profili ‘perduti’, gli occhi indefiniti come le dita delle mani, la posa rigida di Mosè (riconoscibile per la presenza dei due ‘corni’ di luce) visto di spalle in primo piano, sono tutti aspetti che mi fanno propendere per una collocazione di questo studio agli albori di questa fase. La lezione bassanesca è ancora ben pre-sente, e il disegno di Cambridge non si può leggere senza questa consapevolezza, come si evince dalla presenza di diversi animali e dalla figura a destra di Mosè, di spalle con un contenitore in mano, il quale veste una sorta di foulard che gli ricade sulle spalle e calza un copricapo dall’aspetto tipicamente bassanesco. Inoltre la scelta compositiva con cui Carletto ha risolto il problema del gruppo di Ebrei che attende il miracolo non è pensabile senza il ricordo delle soluzioni dapontia-ne delle grandi tematiche veterotestamentarie. Il disegno è catalogato presso il Fogg Art Museum come Mosè fa scaturire l’acqua, ma propongo di interpretarlo in questa sede come uno Studio per la caduta della manna. Infatti, sebbene la figu-ra di Mosè tenga in mano una verga, non si vede la roccia da cui l’acqua miraco-losamente comincia a fluire. Inoltre i contenitori che alcuni protagonisti reggono sembrano poco adatti alla raccolta di un fluido, mentre potrebbero essere delle ceste, le quali ci riportano all’episodio, comunque contestuale nelle sacre Scrittu-re, della Raccolta della manna. Anche questo disegno purtroppo non è riferibile ad alcun dipinto conservatosi, e l’unico termine di confronto rimane la grande tela dipinta dagli Haeredes per la chiesa dei Santi Apostoli a Venezia:2 vi troviamo la stessa ambientazione in una radura, con un riparo di fortuna ricavato tirando un telo tra due alberi, come si vede alla destra del foglio. Dobbiamo comunque riconoscere che i rapporti si fermano a queste similitudini, poiché nel complesso la soluzione compositiva è differente.3

1. Gesso nero, penna e inchiostro bruno, acquerello, con rialzi di biacca, su carta preparata azzurra, 230 × 305 mm, inv. 1918.29. Il disegno, seppur conosciuto, viene pubblicato per la prima volta in quest’oc-casione.

2. Ridolfi, Le maraviglie dell’arte cit., i, p. 354.3. Non ci è nota nessun’altra tela di questo soggetto; tuttavia segnalo che Zanetti ricorda e attribuisce

agli Haeredes un dipinto con La manna nel deserto che si trovava nella chiesa di Sant’Eufemia alla Giudecca: Zanetti, Della pittura veneziana cit., pp. 272-273.

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Discorso diverso deve essere fatto per il confronto avanzato da Ponzoni nella recente scheda relativa al disegno di Castelvecchio, poiché la studiosa cita il fo-glio con Scena mitologica del Victoria and Albert Museum di Londra.1 Pur rite-nendo corretto segnalare le somiglianze tra i due fogli, sono propenso a credere che esse siano da imputare a semplici cifre stilistiche, che possono confondere se non ci si avvede invece della loro diversa funzione. La tipologia di questo fo-glio è diversa rispetto agli altri, poiché sembra essere un primo pensiero per una composizione: è chiaro che l’artista stava cercando di immaginare un assetto per la scena che doveva rappresentare, con ogni evidenza tratta da un racconto mitologico. La stessa tecnica utilizzata, con la sola penna e inchiostro e con as-senza del gesso, differenzia la funzione di questo disegno rispetto a quelli visti sinora. Anche in questo caso non sono sopravissute opere che possano essere messe in relazione con il foglio, ma credo sia suggestiva, anche se difficilmente può essere considerata ancora valida, l’ipotesi dei Tietze che collegavano il di-segno con il mito di Medea che ringiovanisce Esone. Questo soggetto, insieme ad altri episodi mitologici, secondo Ridolfi,2 Boschini3 e Zanetti,4 sarebbero stati dipinti su cuoio dorato da Carlo, in collaborazione con il fratello Gabriele, per il Tinello del Fondaco dei Tedeschi. Purtroppo tali opere non sono sopravissute, né tantomeno si conservano immagini o riproduzioni che possano confermare tale attribuzione; nonostante l’assenza di riferimenti certi con opere pittoriche, credo che il foglio sia autografo e sveli caratteristiche che senza grandi esitazioni consentono di collocarlo nel catalogo di Carlo, datandolo all’ultimo decennio del XVI secolo.

Stilisticamente vicino alla Scena mitologica di Londra è il disegno con la Sacra famiglia e san Giovannino adorati da santi in un paesaggio,5 nelle collezioni reali inglesi di Windsor Castle. Il fare tormentato, di nuovo il modo di rendere la vege-tazione, l’organizzazione compositiva tipicamente veronesiana, il paesaggio con rovine sullo sfondo non lasciano molti dubbi sull’attribuzione a Carletto; anche le figure dai corpi torniti e allungati sono quelle della prima maturità di Caliari. Da notare la particolare maniera di organizzare la composizione inserendo un elemento laterale quasi avesse una funzione scenica: in questo caso c’è il grande

1. Penna e inchiostro bruno, acquerello, su carta preparata gialla, 178 × 351 mm, inv. Dyce 250. Iscrizio-ne a penna, calligrafia tarda: « P. Veronese ». Riprodotto in Tietze, Tietze-Conrat, The Drawings cit., n. 2204.

2. Ridolfi, Le maraviglie dell’arte cit., i, p. 357.3. Boschini, Le ricche minere cit., San Marco, p. 110.4. Zanetti, Della pittura veneziana cit., p. 194; egli tuttavia attribuiva le opere a Paolo.5. Penna e pennello, inchiostro bruno acquerellato, su carta preparata gialla, 246 × 207 mm, inv. 6689.

È riprodotto in Tietze, Tietze-Conrat, The Drawings cit., n. 2212, dove si dice anche che in passato il disegno era attribuito a Battista Zelotti. A questa attribuzione si opponevano Popham e Wilde, i quali tuttavia consideravano troppo debole il disegno perché potesse essere attribuito a Carlo: Popham, Wilde, The Italian Drawings cit., n. 1028.

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telo sulla destra a fare da quinta, molto vicino alla soluzione che Carletto propo-ne per il Mosè di Cambridge.

Nello stesso torno d’anni possiamo collocare il disegno di Parigi con lo Sposa-lizio della Vergine.1 Ancora una volta si tratta di un disegno di studio, anche se di nuovo non ci è permesso metterlo in relazione con alcun dipinto a noi noto. La tipologia compositiva, dallo sviluppo orizzontale e con le figure ammassate, è ti-pica di Carletto negli anni più produttivi e ricorda quella di altri disegni, come la Resurrezione di Lazzaro di Vienna e il Cristo mostrato al popolo di Londra. Si noti anche qui il tentativo di costruire uno scenario architettonico formato da quinte laterali nel quale far muovere i personaggi.

L’individuazione di questo omogeneo gruppo di disegni, isolato a partire dal foglio di Castelvecchio, ci consente di accostarne altri che, per caratteristiche sti-listiche e tecniche, possono essere considerati affini, concorrendo a delineare una fisionomia piuttosto chiara per Carletto Caliari disegnatore. È il caso di una serie di disegni che sono in relazione tra loro per soggetto e stile compositivo, quelli del Nationalmuseum di Stoccolma con la Madonna con il bambino e san Giovannino in casa di Zaccaria ed Elisabetta,2 e Studio per una sacra famiglia,3 oltre ai fogli con Studio per una sacra famiglia con san Giovannino e santa Caterina,4 e Studio per una sacra famiglia, san Giovannino e sant’Anna,5 entrambi conservati al British Museum di Londra. I quattro disegni rivelano caratteristiche formali comuni, riferibili alla maturità di Caliari, quando il ductus si fa più scorrevole e sicuro rispet-to a quello della giovinezza; inoltre sono eseguiti su carta preparata azzurra, un medium che Carlo inizia a dominare pienamente proprio negli anni della maturità. La serie di studi è riferibile a un soggetto e a una tipologia di dipinti di devozione che a Venezia continuava a godere di un’enorme fortuna, e le cui repliche erano molto ricercate sul mercato. L’impresa veronesiana dovette giocare qui un ruolo predominante, non solo nella produzione di repliche di invenzioni del capo botte-ga, ma anche, specie in seguito alla scomparsa di Paolo, rielaborando le formule originarie. Una sorta di dichiarazione di dignità della bottega stessa, ottimamente esemplificata dalla figura di Carletto, che tra tutti gli eredi fu quello che con più profitto si dedicò al disegno. In quest’ottica di attività della bottega, che non era solo legata alla pedissequa imitazione delle richiestissime formule veronesiane, il

1. Penna e inchiostro bruno, su tracce di gesso nero, rialzato a biacca, 210 × 354 mm, inv. 4,662.2. Gesso nero, penna e inchiostro, acquerello grigio, rialzato con tocchi di biacca su carta azzurra,

198 × 245 mm, inv. 1543/1863. Iscrizione a penna: « Ecole Venetienne. Cabinet de Crozat », numerato in basso « 1353 ». Riprodotto in Drawings in Swedish public collections. Nationalmuseum Stockholm, 3, Italian Drawings. Venice, Brescia, Parma, Milan, Genoa, a cura di P. Bjurström, Stockholm 1979, cat. 9.

3. Gesso nero, penna e inchiostro, acquerello grigio, rialzato con tocchi di biacca su carta azzurra, 198 × 245 mm, inv. 1543/1863. Numerato in basso in penna: « 1544 », « 1354 ». Riprodotto ivi, cat. 10.

4. Penna, inchiostro e acquerello, su tracce di gesso nero, su carta azzurra, 190 × 205 mm, inv. 1895-9-15-848.

5. Penna e inchiostro acquerellato, su carta azzurra, 220 × 200 mm, inv. 1895-9-15-847.

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caso dei due fogli londinesi è particolarmente interessante. Già Cocke1 faceva no-tare come lo Studio per una sacra famiglia con san Giovannino e santa Caterina fosse una rielaborazione, una variante autografa, dello Studio per una sacra famiglia, san Giovannino e sant’Anna, a sua volta accostabile al dipinto di medesimo soggetto conservato a Dresda, che vanta un’antica attribuzione proprio a Carletto.2

A questi fogli è stato accostato in tempi piuttosto recenti il disegno del Cabinet des Dessins del Louvre con Studio per una sacra famiglia e san Giovannino,3 che prima della attuale attribuzione a Carletto, dovuta a Cocke,4 era dato a Paolo Veronese stesso. Il foglio rappresenta un unicum per quanto riguarda i disegni a noi noti di Carletto, poiché è quadrettato ossia pronto per essere trasferito sul supporto del dipinto. Anche se il segno torna a essere più trattenuto, evidente-mente a causa della funzione stessa del foglio, lo stile di Carletto non stenta a far-si riconoscere nella resa minuta delle capigliature dei santi e nelle dita affusolate e incomplete, come prive dei polpastrelli. Il dubbio però non è tanto sulla paternità del disegno, quanto piuttosto sull’invenzione: la figura di Giuseppe, nella posa marginale e di spalle, con il profilo perduto, ricorda da vicino esiti del Veronese degli anni ottanta.5 Anche se non possediamo un quadro a cui sia possibile riferi-re direttamente il foglio, è plausibile credere che esso sia, oltre che una delle rare testimonianze di una tecnica di trasferimento del disegno sulla preparazione del-la tela come quella della quadrettatura,6 un foglio che faceva parte del patrimonio grafico dell’impresa dei Caliari. I disegni di Stoccolma, Londra e Parigi si fanno dunque riconoscere e ascrivere come opere di Carletto, inseribili a mio avviso nella prima attività degli Haeredes Pauli.

La bottega dei Caliari si era arricchita di un disegnatore abile nella riprodu-zione come nella rielaborazione dei modelli e dei concetti paterni, ma che non disdegnava nemmeno la fase di inventio, che era in grado di arricchire con una mediazione tra i modi bassaneschi e quelli veronesiani. A questa fase matura dell’attività di Caliari risale anche il disegno a penna e pennello con l’Adorazione dei pastori del Musée du Louvre,7 messa in relazione con la tela di eguale soggetto

1. Cocke, Veronese’s Drawings cit., p. 336.2. Per le vicende attributive del dipinto si veda il commento di von Hadeln a Ridolfi, Le maraviglie

dell’arte cit., i, p. 357, nota 6; H. Posse, Dresden Staatliche Gemäldegalerie: die Romanischen Länder, Dre-sden 1929, n. 241.

3. Penna e inchiostro bruno acquerellato, rialzato con biacca, tracce di gesso nero, su carta preparata grigio azzurra, 273 × 191 mm, inv. 4,664. Il foglio è quadrettato con l’ausilio di gesso rosso.

4. Cocke, Veronese’s Drawings cit., p. 337, nota 2.5. Penso alle numerose redazioni della Fuga in Egitto: Pignatti, Pedrocco, Veronese cit., catt. 335,

337, 380-381.6. Nonostante si siano conservati alcuni fogli quadrettati attribuibili a Caliari, è noto che egli faceva

ricorso a tale tecnica solo raramente, in circostanze particolari. Si veda a riguardo l’analisi di Rearick in Paolo Veronese. Disegni cit., p. 64, cat. 19. Per l’uso della quadrettatura in Veneto nel corso del XVI secolo si rimanda invece a M. Hochmann, Le dessins dans le peinture vénitienne: nouvelle recherches, « Revue de l’art », clx, 2008, 2, pp. 11-22.

7. Penna e pennello con inchiostro bruno acquerellato, sopra tracce di gesso grigio, su carta preparata

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alle Gallerie dell’Accademia di Venezia dai Tietze prima e da Cocke poi. Il foglio rappresenta un caso interessante, e dibattuto, poiché siamo evidentemente in presenza di un disegno preparatorio proprio della pala, dipinta originariamen-te per la chiesa di Ognissanti di Treviso e ora in deposito presso la Fondazione Cini.1 La pala era anticamente attribuita, seppur senza fondamento, a Gabriele Caliari, mentre in seguito Crosato Larcher la attribuì a Carletto;2 i Tietze invece ascrivevano pala e disegno, più genericamente, agli eredi.3 Tuttavia se il dipinto tradisce una collaborazione più estesa rispetto alla mano di Carletto, comunque evidente nella bassa intonazione cromatica, ricca di riflessi argentei, oltre che nel-la predilezione per una certa descrizione dettagliata dei particolari, la presenza di un nutrito numero di animali e alcuni passaggi strettamente legati a repertori bassaneschi (il pastore in primo piano a destra, come i due angeli che reggono il cartiglio nella parte superiore della pala, vanno connessi a tipologie dapontiane) mi fanno ritenere che il disegno spetti a Carletto.

Che il foglio non sia una copia né un ricordo di bottega è dimostrato dalle troppe differenze che emergono confrontandolo con la tela, anche se la tecnica utilizzata ricorda altri fogli con la medesima funzione prodotti dalla bottega vero-nesiana: uno su tutti la copia dal Riposo nella fuga in Egitto di Rotterdam attribu-ibile a Benedetto.4 Del tutto simile in effetti è l’uso copioso delle acquerellature, che servono al pittore per evidenziare le zone di luce, proprio quasi a ricordarne (o, meglio, a testarne) l’incidenza e il modo in cui definiscono i volumi; eppure in diverse parti il disegno di Parigi è più distante dalla relativa composizione pit-torica che non il foglio olandese, il quale viceversa sembra corrispondere a un più preciso ricordo. Troppe sono le figure che non corrispondono con quelle del dipinto, come diverso è lo sfondo, che nel disegno non accenna minimamente al delicato paesaggio che invece nel dipinto digrada dolcemente in profondità. Come nel foglio di Castelvecchio, il pittore prima tracciò un disegno a gesso che poi rinforzò a penna, e questo è evidente nei segni grigi che affiorano in alcuni punti, nelle due colombe e nel bue soprattutto, che Carletto decise evidentemen-te di modificare mentre la fase progettuale andava definendosi. In qualche punto inoltre, e mi riferisco allo sfondo con le architetture e alle zone marginali della

marroncino, 300 × 196 mm, inv. 4,686. Iscritto al verso in grafia successiva: in alto a sinistra « A »; a destra « Alessio Lugana ». Discusso in Tietze, Tietze-Conrat, The Drawings cit., n. 2181. Lo discute anche Cocke, Veronese’s Drawings cit., p. 385, mettendolo in relazione con la pala dipinta per Ognissanti.

1. Gallerie dell’Accademia di Venezia (in deposito presso la Fondazione Cini), olio su tela, 235 × 137 cm, inv. 969. La pala è firmata « HAE. PA.I VE.IS FA. » sulla base della colonna a sinistra. L’opera è trattata e riprodotta in Pignatti, Veronese cit., cat. A342; S. Moschini Marconi, Le Gallerie dell’Accademia. Opere d’arte del secolo XVI, Roma 1962, n. 151.

2. Crosato Larcher, Per Carletto cit., p. 113.3. Tietze, Tietze-Conrat, The Drawings cit., n. 2181.4. Rotterdam, Museum Boymans-van Beuningen, penna e pennello con inchiostro bruno acquerellato,

306 × 210 mm, inv. I408. Iscritto sul verso con una serie di conti. Riprodotto in Cocke, Veronese’s Drawings cit., p. 379, cat. 212.

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parte inferiore del foglio, si può notare che il pittore ha avuto delle incertezze, cui rimediò ripassando con la penna: per ciò non può certo essere ritenuto una copia. Credo, ancora, che la funzione del disegno francese non possa essere nemmeno quella di ricordo poiché troppi sono i particolari che non vi vengono rilevati, e che viceversa sono inseriti nella pala, a cui corrispondono in maniera netta solo le figure più bassanesche dell’intero, serrato gruppo principale (ossia i due pastori in primo piano a destra e gli angeli della parte superiore, che tra gli Haeredes solo Carletto poteva realizzare). Se nella realizzazione del dipinto è probabile che i familiari abbiano aiutato in qualche punto il giovane pittore, dobbiamo invece ritenere che il disegno preparatorio gli spetti interamente. Sulla base di queste osservazioni, proporrei di rinominare il disegno di Parigi come Studio per l’Ado-razione dei pastori di Ognissanti.

Possiamo collocare negli anni della maturità e della prima collaborazione con lo zio Benedetto e il fratello Gabriele, in un momento successivo alla pala trevi-giana, anche lo Studio per Adamo ed Eva dopo la cacciata dal Paradiso (La famiglia di Adamo), che si conserva presso la Pinacoteca Ambrosiana di Milano1 e che stimo preparatorio per la tela del Kunsthistorisches Museum di Vienna di iden-tico soggetto.2 Il primo a connetterlo al dipinto viennese, di cui peraltro esistono diverse versioni, spesso assegnate dalla critica alla bottega, fu Morassi. Più tardi i Tietze riconobbero che la composizione e lo stile del disegno sono tipiche della produzione tarda della bottega, mentre Bora sosteneva che il disegno fosse deri-vato dal dipinto viennese, come dimostrerebbe la mano sinistra alzata di Adamo, che nella tela invece è appoggiata al tronco. Molto più tardi fu Cocke a far giu-stamente notare che questa modifica prova che il disegno è uno studio prepara-torio, dunque passibile di subire delle successive modifiche. Se la paternità del dipinto può essere estesa alla responsabilità della bottega, credo viceversa che la libera calligrafia del disegno lo faccia ascrivere a Carletto. Lo dimostrano anche le cifre stilistiche con cui siamo ormai entrati in confidenza: il segno aperto, il ti-pico modo di trattare il fogliame e la vegetazione, il profilo tagliente di Eva, sono tutti elementi che rimandano al suo stile. Cronologicamente credo possa essere inserito nell’attività degli Haeredes Pauli, ossia post 1588, per la maturità e la sicu-rezza della linea di contorno delle figure, appena accennate da una debole stesura preparatoria a matita, mentre ormai a Carletto bastano pochi tratti in una grafia sciolta ma efficace per accennare il paesaggio sullo sfondo, che nel dipinto vienne-se ricorda di lontano le soluzioni veronesiane della metà del nono decennio, come

1. Tracce di gesso nero, penna e inchiostro acquerellato a bistro, su carta preparata azzurra, danneggiata nell’angolo superiore sinistro, 200 × 275 mm, inv. 98/2. Il disegno è stato trattato da A. Morassi, Di due opere del Veronese, « Bollettino d’Arte », 31, 1937-1938, pp. 241-242; W.E. Suida, Notes sur Paolo Veronese, « Gazette des Beaux-Arts », 19, 1938, p. 169, fig. 2; Tietze, Tietze-Conrat, The Drawings cit., n. 2174; G. Bora, I disegni del Codice Resta, Milano 1978, p. 97; Cocke, Veronese’s Drawings cit., p. 359, cat. 190.

2. Olio su tela, 124 × 174,5 cm. Pignatti, Pedrocco, Veronese cit., cat. 384.

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conferma la tela con Il buon samaritano ora a Dresda.1 Il disegno inoltre potrebbe essere stato un utile aiuto per la produzione, da parte della bottega, di varianti e repliche di questo tema, come accerta la tela, chiaramente una variante, in depo-sito presso il Palazzo Ducale di Venezia.2

Negli anni estremi della carriera Carletto dipinse per la confraternita dei Va-rottari di Venezia la tela con la Resurrezione di Lazzaro, firmata « Carlo C.V.F. ».3 Ridolfi conferma che il dipinto « fu dell’opere vicino il fine della vita e delle sue più studiose »,4 e non si può certo negare che difetti di eleganza compositiva, né di equilibrio, che il pittore riesce a garantire tramite una sapiente costruzione della scena, la quale si svolge tra le quinte di un elegante colonnato tipicamente veronesiano, aperto a lasciar intravvedere lo scorcio di una città. Del quadro si è conservato un disegno, oggi all’Albertina di Vienna, raffigurante appunto la Re-surrezione di Lazzaro,5 che fu realizzato senza ombra di dubbio in una fase avan-zata del progetto, ma comunque in una fase preparatoria. Attribuito al giovane Caliari già da von Hadeln e Fiocco, i Tietze lo consideravano tratto da un dipinto degli Haeredes Pauli, mentre Wickhoff era propenso ad assegnarlo agli eredi; in seguito fu Crosato Larcher a confermarne l’autografia, che rimane giustamente indiscussa anche nel catalogo della collezione austriaca. Così anche qui ritrovia-mo un segno minuto, aperto, che incide gli zigomi e accenna appena gli occhi dei personaggi, mentre le forme degli stessi si sono fatte più affusolate e longilinee. Che il disegno non sia una copia o un ricordo, lo dimostrano alcuni particolari che differiscono nella redazione pittorica, anche se per dettagli minimi; è il caso della figura del fedele proveniente da sinistra, che nella tela non si appoggia a un bastone, e diversa appare anche la posa di uno degli abitanti di Betània, che aiuta Maria Maddalena a sciogliere le bende dal corpo del resuscitato.

Agli stessi anni si data lo Studio per una sacra famiglia con santa Barbara e san Giovanni battista conservato al Gabinetto dei disegni degli Uffizi di Firenze,6 sebbene in questo caso a essere incerta sia la completa autografia del foglio, che rappresenta un caso complicato del catalogo di Carletto. Infatti il suo tipico tocco si mostra più debolmente nel foglio fiorentino. Tuttavia il disegno ostenta una evidente relazione con il dipinto conservato presso il Museum of Fine Arts di

1. Per la tela in questione si veda Pignatti, Pedrocco, Veronese cit., cat. 385.2. Riprodotta e discussa come variante da R. Marini, L’opera completa del Veronese, Milano 1968, n. 242b.3. Olio su tela, 215 × 314 cm, inv. 319. Discussa e riprodotta in Moschini Marconi, Le Gallerie dell’Ac-

cademia cit. n. 133. La tela è in deposito alle Gallerie dell’Accademia. Cfr. anche Crosato Larcher, Per Carletto cit., p. 120.

4. Ridolfi, Le maraviglie dell’arte cit., i, p. 357.5. Penna e inchiostro bruno, 179 × 400 mm, inv. 1630 SV 216. Iscrizione al verso: « Paul Veronese ». Di-

scusso da D. von Hadeln, voce Caliari, Carletto, in U. Thieme, F. Becker, Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, v, Leipzig 1911, p. 391; Fiocco, Paolo Veronese cit., p. 160; Crosato Larcher, Per Carletto cit., p. 120; Die Italienischen Zeichnungen der Albertina, a cura di V. Birke, II, Wien-Köln-Weimar, 1992, pp. 865-866.

6. Gesso nero, acquerello marrone su carta azzurra filigranata, 265 × 293 mm, inv. 1857 F.

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Baltimora,1 accostabile alla produzione della bottega veronesiana, che si mostra piuttosto vicino alle caratteristiche cromatiche tipiche del giovane Caliari. Accet-tando allora l’attribuzione, il disegno testimonia che, nonostante negli anni aves-se mostrato di possedere ingegno e autonomia compositiva, Carletto dovette tro-varsi in diversi casi a riprendere i disegni di Paolo. Escluderei che questa ripresa di modelli sia da collocare negli anni di collaborazione di Carlo a fianco del genitore per una ragione puramente stilistica, riscontrabile nell’analisi del relativo dipin-to: infatti, la tela di Baltimora si stacca nettamente nella resa cromatica da quella ‘gemella’ degli Uffizi,2 poiché rispetto a essa il colore si rivela più accentuato, nei modi e nei riflessi argentei che in realtà sono consoni a quelli dell’ultimo Carletto. C’è poi un dato che non può essere tralasciato, già sottolineato da Marinelli, re-lativamente allo sfondo del dipinto: questo particolare fondale scuro, che non ha riscontro in Veronese come in nessun altro dei suoi collaboratori e primi seguaci, parrebbe riflettere un gusto seicentesco. Il dato non aiuta certo a consegnare il foglio fiorentino a Carlo, che morì nel 1596. Eppure, credo sia divenuto facile ormai notare come esso sia piuttosto vicino ai suoi modi, ad esempio negli occhi accennati della Vergine, nel profilo di Caterina, nella resa delle dita delle mani. Questi aspetti mi inducono comunque a collocare il disegno nel catalogo dell’ar-tista, anche se con il dubbio legato alla relativa redazione dipinta, e comunque in un momento tardo, nella seconda metà dell’ultimo decennio del XVI secolo.

Possiamo affermare che la prematura morte di Carletto, appena ventiseien-ne, alla fine del dicembre 1596, sottrasse alla storia dell’arte uno dei più capaci disegnatori del Cinquecento veneto. In questo intervento ho cercato di ricostru-ire la figura Carlo Caliari come disegnatore partendo dai casi in cui l’autografia sembra più sicura, scegliendo però di trattare solo un aspetto della sua produzio-ne grafica, quello dei disegni a penna. È noto infatti come una delle più spinose vicende relative alla storia del disegno veneto dell’ultimo quarto del XVI secolo sia quella connessa ai disegni a carboncino e gessi colorati, specie di ritratti (o presunti tali), preparatori in molti casi per personaggi di grandi tele di soggetto storico. Spesso questi fogli palesano un’oscillazione qualitativa tale che la storio-grafia li ha attribuiti alle più diverse personalità: da Jacopo a Leandro Bassano, da Carlo a Benedetto Caliari. Nonostante negli anni gli studi abbiano trovato delle risposte ad alcune domande relative a questo intrigante aspetto, il problema dei disegni a carboncino su carta azzurra riflette uno dei momenti più interessanti dell’attività di Carletto disegnatore. Un’attività che fu particolarmente produtti-va anche nei fogli di studio: per questa ragione è stato necessario occuparsi, per ora, solamente di questo aspetto.

1. Olio su tela, 96,5 × 118,5 cm. Pignatti, Pedrocco, Veronese cit., p. 504, cat. A4.2. Olio su tela, 86 × 122 cm. Pignatti, Pedrocco, Veronese cit., p. 256, cat. 154; S. Marinelli, in

Veronese e Verona cit., pp. 212-215, cat. 11.

ii. Carletto Caliari, Presentazione di Cristo al popolo. Londra, British Museum

34. Carletto Caliari, Lot e la famiglia in fuga da Sodoma. Verona, Museo di Castelvecchio, Gabinetto dei disegni

35. Carletto Caliari, Venezia riceve ricompense e onori. Windsor Castle, Royal Library

36. Carletto Caliari, Studio per due apostoli. Francia, collezione privata

37-38. Carletto Caliari, Studio per Amore e Psiche (recto e verso). Monaco di Baviera, Staatliche Graphische Sammlung

39. Carletto Caliari, Studio per la caduta della manna, Cambridge (Mass.), Fogg Art Museum

40. Carletto Caliari, Presentazione di Cristo al popolo. Londra, British Museum

41. Carletto Caliari, Studio per l’Adorazione dei pastori di Ognissanti. Parigi, Musée du Louvre, Département des arts graphiques

42. Carletto Caliari, Studio per una sacra famiglia. Stoccolma, Nationalmuseum

43. Carletto Caliari, Sacra famiglia con san Giovannino e sant’Anna. Londra, British Museum