R. Cassanelli, "La Certosa di Pavia e la fotografia delle origini: prime verifiche", in Disegni e...

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Dalla traduzione alla riproduzione Pur costituendo indubitabilmente un capitolo fonda- mentale della fortuna critica e visiva del celebre monu- mento, la produzione fotografica cresciuta intorno alla Certosa di Pavia nei decenni che seguono la diffusione del nuovo mezzo riproduttivo, in coerente continuità con la precedente tradizione vedutistica e incisoria, non ha sinora ricevuto – se si esclude lo strumentale utilizzo come testimone iconografico per il restauro 1 – la neces- saria attenzione, ad eccezione dell’utile scrutinio docu- mentario di Barbara Fabjan, che sulla scorta dei docu- menti conservati nell’Archivio Centrale dello Stato ha sinteticamente ricostruito la sequenza delle campagne fotografiche succedutesi dal 1876 alla prima guerra mondiale 2 , e la più recente e circoscritta indagine di Dario Trento sull’album di riproduzioni di calchi di scul- ture della Certosa già appartenuto all’arciduca Massimi- liano d’Austria 3 e ora nelle raccolte fotografiche dell’Al- bertina di Vienna 4 . Un largo tratto delle pratiche foto- grafiche del periodo delle origini è rimasto così in una sorta di cono d’ombra, quasi del tutto inesplorato, di- menticato negli archivi o disseminato nelle pubblica- zioni generali sulla fotografia italiana dell’Ottocento e nei repertori dei singoli fotografi. Negli ultimi anni dell’Impero napoleonico e nei primi che immediatamente seguirono la Restaurazione, il complesso monastico alle porte di Pavia attrasse un sempre maggiore interesse da parte della nascente cri- tica dell’arte lombarda 5 , che si concretizzò tra 1817 e 1818 nella pubblicazione delle prime guide a stampa: la Visita erudita dell’insigne basilica della Certosa di Pavia (1817) del sacerdote Luigi Baggi 6 e soprattutto la Descri- zione della Certosa di Pavia del marchese Luigi Mala- spina di Sannazzaro 7 , che ne rifonderà il testo l’anno se- guente nella Guida di Pavia 8 . L’opera di valorizzazione poteva certamente profittare delle facilitazioni nei colle- gamenti e nei trasporti rese possibili dall’apertura del 1 LA CERTOSA DI PAVIA E LA FOTOGRAFIA DELLE ORIGINI. PRIME VERIFICHE* Roberto Cassanelli * La cautela del titolo è resa necessaria dalla natura ancora in parte pionieristica della ricerca, che richiede ulteriori scandagli e approfondimenti critici, e dalla limitatezza della campionatura assunta come preliminare verifica. Un cordiale ringraziamento a Letizia Lodi, per l’entusiasmo che ha saputo trasmettere e il costante sostegno nelle ricerche; e inoltre a Francesca Valli, Cecilia Ghibaudi, Beppe De Juliis, Maria Piatto, Elisa Albano, Alessandro Campagnoli. 1 Cfr. ad es. La Certosa di Pavia. Passato e presente nella facciata della chiesa, Roma, CNR, 1988 (2001). 2 B. Fabjan, “La fotografia”, in Il Museo della Certosa di Pavia. Catalogo generale, a cura di B. Fabjan e P.C. Marani, Firenze, Cantini, 1992, pp. 21-24. 3 D. Trento, “Copie e calchi in Certosa per la storia dell’arte lombarda”, in La Certosa di Pavia e il suo museo. Ultimi restauri e nuovi studi, atti del convegno, a c. di B. Bentivoglio Ravasio con L. Lodi e M. Mapelli, Milano, Direzione regionale bb.cc., 2008, pp. 425-451, in part. 433 e sgg. 4 L’album, che contiene riproduzioni fotografiche di Pompeo Pozzi dei calchi di elementi plastici della Certosa realizzati dal formatore Pierotti, è stato segnalato per la prima volta da Monika Faber, con attribuzione cumulativa a Luigi Sacchi e datazione erronea al 1848-50, in Das Auge und der Apparat. Eine Geschichte der Fotografie aus den Sammlungen der Albertina, Paris, Seuil, 2003, p. 56 (e ripr. a p. 54). D. Trento ne ha chiarito la vicenda e precisato la datazione al 1857 (v. nota prec.). 5 Contingenza felice fu la pubblicazione nel 1810 del volume di Giuseppe Bossi Del Cenacolo di Leonardo da Vinci, nel 1811 della Scuola di Lionardo da Vinci in Lombardia di Ignazio Fumagalli, e nel 1812 del primo volume del catalogo della Pinacoteca di Brera (inaugurata nel 1809) di Robustiano Gironi con illustrazioni di Michele Bisi. I materiali riuniti da Gaetano Cattaneo sull’arte lombarda, e intesi a proseguire le ricerche di Giuseppe Bossi, segnalati ancora alla metà dell’800 nella biblioteca Melzi, sono andati dispersi. 6 Pavia, Capelli, 1817. 7 Milano, Bernardoni, 1818. Il nome dell’autore, non indicato nel frontespizio, è esplicitato nella premessa degli editori. Sulla sua figura, cruciale per la cultura pavese della prima metà dell’800, v. Luigi Malaspina di Sannazzaro, 1754-1835. Cultura e collezionismo in Lombardia tra Sette e Ottocento, atti del convegno a c. di M. Albertario, Pavia-Milano, Musei Civici-Aisthesis, 2000. 8 L. Malaspina di Sannazaro, Guida di Pavia, Pavia, Fusi, 1819, p. 108 sgg.

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Dalla traduzione alla riproduzione

Pur costituendo indubitabilmente un capitolo fonda-mentale della fortuna critica e visiva del celebre monu-mento, la produzione fotografica cresciuta intorno allaCertosa di Pavia nei decenni che seguono la diffusionedel nuovo mezzo riproduttivo, in coerente continuitàcon la precedente tradizione vedutistica e incisoria, nonha sinora ricevuto – se si esclude lo strumentale utilizzocome testimone iconografico per il restauro1 – la neces-saria attenzione, ad eccezione dell’utile scrutinio docu-mentario di Barbara Fabjan, che sulla scorta dei docu-menti conservati nell’Archivio Centrale dello Stato hasinteticamente ricostruito la sequenza delle campagnefotografiche succedutesi dal 1876 alla prima guerramondiale2, e la più recente e circoscritta indagine diDario Trento sull’album di riproduzioni di calchi di scul-ture della Certosa già appartenuto all’arciduca Massimi-liano d’Austria3 e ora nelle raccolte fotografiche dell’Al-

bertina di Vienna4. Un largo tratto delle pratiche foto-grafiche del periodo delle origini è rimasto così in unasorta di cono d’ombra, quasi del tutto inesplorato, di-menticato negli archivi o disseminato nelle pubblica-zioni generali sulla fotografia italiana dell’Ottocento enei repertori dei singoli fotografi.Negli ultimi anni dell’Impero napoleonico e nei primiche immediatamente seguirono la Restaurazione, ilcomplesso monastico alle porte di Pavia attrasse unsempre maggiore interesse da parte della nascente cri-tica dell’arte lombarda5, che si concretizzò tra 1817 e1818 nella pubblicazione delle prime guide a stampa: laVisita erudita dell’insigne basilica della Certosa di Pavia(1817) del sacerdote Luigi Baggi6 e soprattutto la Descri-zione della Certosa di Pavia del marchese Luigi Mala-spina di Sannazzaro7, che ne rifonderà il testo l’anno se-guente nella Guida di Pavia8. L’opera di valorizzazionepoteva certamente profittare delle facilitazioni nei colle-gamenti e nei trasporti rese possibili dall’apertura del

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LA CERTOSA DI PAVIA E LA FOTOGRAFIA DELLE ORIGINI. PRIME VERIFICHE*

Roberto Cassanelli

* La cautela del titolo è resa necessaria dalla natura ancora in parte pionieristica della ricerca, che richiede ulteriori scandagli e approfondimenticritici, e dalla limitatezza della campionatura assunta come preliminare verifica. Un cordiale ringraziamento a Letizia Lodi, per l’entusiasmo cheha saputo trasmettere e il costante sostegno nelle ricerche; e inoltre a Francesca Valli, Cecilia Ghibaudi, Beppe De Juliis, Maria Piatto, ElisaAlbano, Alessandro Campagnoli.1 Cfr. ad es. La Certosa di Pavia. Passato e presente nella facciata della chiesa, Roma, CNR, 1988 (2001).2 B. Fabjan, “La fotografia”, in Il Museo della Certosa di Pavia. Catalogo generale, a cura di B. Fabjan e P.C. Marani, Firenze, Cantini, 1992, pp.21-24.3 D. Trento, “Copie e calchi in Certosa per la storia dell’arte lombarda”, in La Certosa di Pavia e il suo museo. Ultimi restauri e nuovi studi, attidel convegno, a c. di B. Bentivoglio Ravasio con L. Lodi e M. Mapelli, Milano, Direzione regionale bb.cc., 2008, pp. 425-451, in part. 433 e sgg.4 L’album, che contiene riproduzioni fotografiche di Pompeo Pozzi dei calchi di elementi plastici della Certosa realizzati dal formatore Pierotti,è stato segnalato per la prima volta da Monika Faber, con attribuzione cumulativa a Luigi Sacchi e datazione erronea al 1848-50, in Das Augeund der Apparat. Eine Geschichte der Fotografie aus den Sammlungen der Albertina, Paris, Seuil, 2003, p. 56 (e ripr. a p. 54). D. Trento ne hachiarito la vicenda e precisato la datazione al 1857 (v. nota prec.).5 Contingenza felice fu la pubblicazione nel 1810 del volume di Giuseppe Bossi Del Cenacolo di Leonardo da Vinci, nel 1811 della Scuola diLionardo da Vinci in Lombardia di Ignazio Fumagalli, e nel 1812 del primo volume del catalogo della Pinacoteca di Brera (inaugurata nel 1809)di Robustiano Gironi con illustrazioni di Michele Bisi. I materiali riuniti da Gaetano Cattaneo sull’arte lombarda, e intesi a proseguire le ricerchedi Giuseppe Bossi, segnalati ancora alla metà dell’800 nella biblioteca Melzi, sono andati dispersi.6 Pavia, Capelli, 1817.7 Milano, Bernardoni, 1818. Il nome dell’autore, non indicato nel frontespizio, è esplicitato nella premessa degli editori. Sulla sua figura, crucialeper la cultura pavese della prima metà dell’800, v. Luigi Malaspina di Sannazzaro, 1754-1835. Cultura e collezionismo in Lombardia tra Sette eOttocento, atti del convegno a c. di M. Albertario, Pavia-Milano, Musei Civici-Aisthesis, 2000.8 L. Malaspina di Sannazaro, Guida di Pavia, Pavia, Fusi, 1819, p. 108 sgg.

nuovo Naviglio pavese9, evento che giustifica l’attrazionedel monumento nell’orbita milanese, con gli ampi capi-toli dedicatigli nelle guide di Milano di Luigi Bossi(1818)10 e Francesco Pirovano (1822)11. A quest’ultimosi deve una Descrizione della celebre Certosa di Pavia(1823), disponibile anche in francese per rispondere allerichieste dei viaggiatori stranieri12. Negli stessi anni ilcomplesso entra nell’orbita dei pittori vedutisti comesoggetto di speciale interesse, e Giovanni Migliara lostudia analiticamente anche nei dettagli decorativi13. Ineffetti, come edificio di transizione, al tempo stesso tar-dogotico e rinascimentale, risponde sia al gusto neome-dievale e troubadour, sia all’incipiente orientamento“neobramantesco”14.Il singolare successo editoriale impone di realizzareanche un adeguato corredo iconografico a illustrazionedel monumento, che dopo la soppressione dei Certosininel 1782 aveva visto l’alternarsi vorticoso ed effimero dialtre congregazioni (cistercensi, carmelitani scalzi) e in-fine l’affidamento a un’amministrazione laica che neavrebbe retto le sorti sino al rientro nel 1843 dei monacieponimi15. Nella premessa alla Guida di Malaspina, ifratelli Bettalli precisavano che “già da qualche tempo”avevano ritenuto opportuno “far incidere in varie tavolela celebre Certosa presso Pavia”, procurandosi “fin dal-l’anno scorso” (il 1817) “un bel disegno della magnifica

facciata di quel tempio superbo”, ma che avevano do-vuto rallentarne l’esecuzione in quanto ancora “privi dierudita relativa descrizione, cui tali incisioni servir po-tessero di opportuno corredo”16. Le tavole previste, dipura funzione strumentale, erano solo due, “cioè la ve-duta dell’esteriore e quella dell’interno del tempio, dise-gnate ed eseguite all’acqua forte con diligenza e mae-stria”, da commercializzarsi “in tre modi diversi coi variprezzi corrispondenti, vale a dire a semplici contorni,acquerellate soltanto a chiaro-scuro, ed anche a colori, ominiate”17. Anche Malaspina riserva nell’introduzioneun cenno a tali tavole, dichiarandone tre (“il piano, la ve-duta dell’esteriore del tempio e quella del suo interno”),e consigliando, nelle more della stampa, “chi poi bra-masse di avere sott’occhio incisi anche parziali oggetti discultura” di rivolgersi all’“eruditissima storia della scul-tura del sig. conte Cicognara, ove in alcune tavole del IIvol(ume) varj di essi trovansi compresi”18.Se al momento s’ignora il nome dei disegnatori e degliincisori arruolati dai fratelli Bettalli per accompagnare ilvolume, a ben altra impresa, e di assai più largo respiro,si stavano intanto accingendo nello stesso giro d’anni ifratelli Gaetano e Francesco Durelli, il primo professoredi Ornato a Ginevra19, il secondo di Prospettiva nell’Ac-cademia di Brera20. Dell’opera, stampata a Milano daNicolò Bettoni e distribuita nell’arco di alcuni anni in fa-

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9 C. Cattaneo, Notizie naturali e civili su la Lombardia, Milano, Bernardoni, 1844, pp. 180-181.10 L. Bossi, Guida di Milano o sia descrizione della città e de’ luoghi più osservabili ai quali da Milano recansi i forestieri, Milano, Vallardi, 1818,cap. LXII, pp. 171-191.11 F. Pirovano, Milano nuovamente descritta, Milano 1822, p. 93.12 Milano, Rivolta, 1823. Per quanto riguarda i visitatori stranieri, Francesca Valli mi ricorda la suggestione che poteva evocare nei viaggiatorifrancesi il fatto che Francesco I si rifugiò proprio nella Certosa dopo la battaglia di Pavia, come riferisce A.L. Millin, Voyage dans le Milanais…,II, Paris, au Bureau des Annales Encyclopédique, 1817; Id., Viaggio per diverse parti d’Italia…, Milano, Sonzogno, 1832, p. 250.13 Cfr. A. Mensi, Giovanni Migliara, Bergamo, IIAG, 1937, ad indicem. Al 1818 risale la veduta della facciata della chiesa monastica (olio su tela) segnalatada Mensi nella coll. Azimonti di Busto A. (cfr. tav. XL); numerosi sono i disegni dedicati alla Certosa negli album oggi nella Pinacoteca di Alessandria.14 Sui temi medievali nella sua produzione v. F. Cervini, “Il gusto della buona architettura. Il medioevo secondo Migliara”, in Giovanni Migliara(Quaderni del Museo e della Pinacoteca Civica, 1), Alessandria 2006, pp. 19-33; su quelli neorinascimentali v. Reviving the Renaissance. The useand abuse of the past in nineteenth-century Italian art and decoration, ed. by R. Pavoni, Cambridge, Cambridge University Press, 1997.15 Per questi aspetti istituzionali cfr. M.T. Mazzilli, “Istituzioni e personaggi della storia conservativa della Certosa di Pavia. Il secolo XIX”, in La Certosa di Pavia cit., 2008, pp. 23-50.16 [Malaspina] cit., 1818, p. III.17 Ibid., p. IV.18 Ibid., p. VII. Nella Gazzetta di Milano del 19 febbraio 1818, n. 50, Foglio d’annunzi n. 34, si dà notizia della pubblicazione della Guida diMalaspina, aggiungendo che è pure in vendita “la veduta esterna della Certosa stessa, tanto a colore che in nero, e fra un mese circa si avrà anchela veduta dell’interno di detto magnifico tempio”.19 Su Gaetano Durelli (Milano 1789-Ginevra 1855) v. la ‘voce’ di F. Fiorani, in Dizionario Biografico degli italiani, 42, 1993, pp. 187-188. Allievodi Giocondo Albertolli, fu professore all’Ecole d’ornament di Ginevra dal 1826 al 1848.20 Su Francesco Durelli (Milano 1792-1851) v. la ‘voce’ di F. Fiorani, in Dizionario Biografico degli italiani, 42, 1993, pp. 185-187. Allievo di Levati,di cui fu aggiunto dal 1819, gli successe l’insegnamento nell’Accademia di Brera.

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1. Louis Cherbuin, Facciata della Certosa di Pavia (da G. Migliara),acquatinta, 1835 ca.; Pavia, coll. Campagnoli.

2. Louis Cherbuin, Facciata della Certosa di Pavia, incisione suacciaio da dagherrotipo, 1841; Pavia, coll. Campagnoli.

3. Luigi Sacchi, Chiostro piccolo della Certosa diPavia, carta salata da calotipo, 1852-53; Venezia,Museo Fortuny.

4. Luigi Sacchi, Facciata della Certosa di Pavia. Par-ticolare, carta salata da calotipo, 1852-53; Milano,Accademia di Belle Arti di Brera, Fototeca storica.

scicoli dei quali Letizia Lodi ha ora chiarito la scansionee periodicità, e poi più volte ristampata21, dà precoce no-tizia Francesco Pirovano in una nota della sua Guida diMilano: “si stanno ora incidendo dai valenti fratelli Gae-tano e Francesco Durelli tutte le parti, o come diconsidagli artisti, i dettagli di quella maestosa fabbrica in 161[sic] tavole, i di cui disegni eseguiti colla maggiore accu-ratezza hanno già riscosso gli applausi del corpo acca-demico”22. L’opera fu subito accolta favorevolmente, ericevette giudizi entusiastici, come quello di Alexandredu Sommerard23, ma anche qualche riserva24. Le inci-sioni dei fratelli Durelli favorirono l’ingresso del monu-mento nel circuito della didattica accademica, in parti-colare dell’Accademia di Brera, non circoscritta al pro-filo architettonico – per quanto rilevante –, ma aperta so-prattutto a recepire lo straordinario repertorio decora-tivo dell’elaborato complemento plastico, in particolaredella facciata, la quale iniziava peraltro a manifestareproblemi conservativi che indussero nel 1821 a incari-care Giuseppe Marchesi, architetto di punta della sta-gione neoclassica pavese, di interventi che si protrasseroper alcuni decenni25.La fortuna visiva del monumento proseguì costantenegli anni Trenta, caratterizzati dalla massiccia diffu-sione di libri illustrati con litografie e xilografie26, ai

quali si affiancò una stampa periodica innovativa, fon-data sul ruolo incisivo dell’immagine, come il Cosmo-rama pittorico dei cugini Giuseppe e DefendenteSacchi27. Nel 1837 Luigi Bisi, allievo e stretto collabora-tore di Francesco Durelli, espose all’annuale mostra diBrera un Interno della Certosa di Pavia (Milano, Acca-demia di Brera) che suscitò grande clamore per l’abilitàtecnica e fu più volte replicato28. Ulteriore testimo-nianza della fortuna del tema è un’incisione rappresen-tante la facciata, con elementi in parte d’invenzione,tratta da un controverso dipinto di Migliara29, realizzatada Louis Cherbuin30 per Luigi Valeriano Pozzi, che dapoco aveva aperto un negozio di stampe nell’appenainaugurata galleria De Cristoforis31.Già nello stesso 1839 – l’annus lucis che si apriva con lafulminea diffusione della notizia dell’invenzione della fo-tografia – il nuovo procedimento riproduttivo, che esclu-dendo il diretto intervento della mano dell’uomo con-sentiva alla realtà grazie all’azione della luce d’impri-mersi automaticamente su una sottile lastra metallica,determinò una rivoluzione nell’editoria di viaggio. Ladagherrotipia, tecnica intimamente connessa alla cul-tura e alla pratica accademica32, fu infatti subito accoltae sfruttata dagli incisori e dagli editori33. A causa delladifficoltà nell’impiego diretto delle lastrine di rame ar-

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21 La Certosa di Pavia descritta e illustrata con tavole incise dai fratelli Gaetano e Francesco Durelli, Milano, Bettoni, 1823 [e ss.] (rist. anast.Milano, Serravalle, 1996); poi Milano, Bernardoni, 1853 e Milano, Civelli, 1863. Le vicende editoriali dell’opera, a tutta evidenza un work inprogress, non sono state ancora pienamente chiarite. Ma v. ora le importanti precisazioni di Letizia Lodi in questo volume. Cfr. intanto P. Cordera,“L’editoria ottocentesca sull’architettura”, in La cultura architettonica nell’età della Restaurazione, atti del convegno, a cura di G. Ricci e G. D’Amia,Milano, Mimesis, 2002, p. 335 sgg., in part. 337, e n. 39 p. 341.22 Pirovano 1822, p. 93 n. 1. Nella seconda edizione della guida (1830) alla fine della frase si aggiunge “e dell’I.R. Governo” (p. 81).23 Per il giudizio di Sommerard v. C. Zardetti, “Fabbriche antiche di Roma […]”, Giornale dell’I.R. Istituto Lombardo di Scienze Lettere ed Arti, I,1841, pp. 376 sgg., a p. 380. Dell’immediata fortuna è testimonianza la presenza della prima edizione nella biblioteca di C. Cattaneo: La bibliotecadi Carlo Cattaneo, a cura di C. Lacaita, L. Gobbo, A. Turiel, Bellinzona, Casagrande, 2003, p. 200, n. 589.24 D. Sacchi, “Opere appartenenti alla storia comprovata dai monumenti”, Annali universali di statistica, 1828, p. 213 sgg. (213-217).25 Cfr. La Certosa di Pavia cit., 2008, passim.26 F. Mazzocca, “L’illustrazione romantica”, in Storia dell’arte italiana, 9/2, Torino, Einaudi, 1981, pp. 323-419.27 P. Esposito, “Defendente Sacchi giornalista”, in Defendente Sacchi filosofo, critico, narratore (Fonti e studi per la storia dell’università di Pavia, 18),Milano, Cisalpino, 1992, pp. 287-301.28 Cfr. G. Ginex, in Pinacoteca di Brera. Dipinti dell’Ottocento e del Novecento, Milano, Electa, 1993, I, pp. 118-119. Per la serie di disegni dellaCertosa di Bisi recentemente acquisiti dalla Pinacoteca di Brera v. il contributo di Letizia Lodi in questo stesso volume.29 Sul dipinto con la Veduta della Certosa di Pavia (Milano, Pinacoteca Ambrosiana) da cui deriva l’incisione di Cherbuin, cfr. da ultimo P. Segramora Rivolta, scheda n. 1352, in Pinacoteca Ambrosiana, IV, Milano, Electa, 2008, pp. 280-281.30 C. Alberici, “Luigi Cherbuin e un suo album di incisioni e litografie in parte inedite”, Rassegna di studi e notizie, VI, 1979, vol. VII, pp. 9-42.31 M. Biraghi, “La Galleria De Cristoforis a Milano: cultura e società”, in La cultura architettonica nell’età della Restaurazione cit., 2002, pp.465-480.32 Per questo aspetto, di solito trascurato dalla critica anche per una oggettiva difficoltà di documentazione, mi permetto di rinviare al miocontributo “Dalle aule al museo”, in corso di stampa negli atti del convegno nazionale sulle Accademie di belle arti (Napoli 2013).33 S. Bann, Parallel lines. Printmakers, painters and photographers in Nineteenth-Century France, New Haven-London, Yale University Press, 2001.

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6. Domenico Bresolin (attr. a), Facciata della Certosa di Pavia. Particolare, albumina, 1856; Mo-naco di Baviera, Fotomuseum im Stadtmuseum,coll. Dietmar Siegert.

8. James Anderson, Abside della Certosa di Pavia, albu-mina, ante 1863; Parigi, Bibliothèque Nationale de France,dép. des estampes et de la photographie.

7. Giorgio Sommer, Facciata della Certosa di Pavia, albu-mina, 1860 ca.; Milano, Accademia di Belle Arti di Brera.

5. Autore non identificato (L. Sacchi?), Facciatadella Certosa di Pavia. Portale, albumina, secondametà degli anni cinquanta dell’800; Milano, Acca-demia di Belle Arti di Brera, album “L’Arte in Italia I”.

gentato come matrici calcografiche34, si svilupparonoforme di traduzione incisoria che misero a frutto, conopportune correzioni, i vantaggi derivanti dalla riprodu-zione attraverso il dispositivo della camera obscura dimonumenti, vedute e paesaggi (per il momento tutti sog-getti immobili, a causa dei tempi di esposizione). Inizia-rono così a comparire volumi con vedute “dal dagherro-tipo” realizzate all’acquatinta di cui l’ottico e dagherroti-pista parigino Lerebours fu uno dei pionieri e principalieditori35. È lo stesso Lerebours a spiegare il procedi-mento attraverso il quale avveniva il trasferimento del-l’immagine dalla lastra fotografica alla matrice in ac-ciaio: “après avoir obtenu le report sur acier d’un calqueà la pointe sèche, […] la part spéciale de l’artiste, dansl’exécution est de completer par la couleur l’expressiondes sites, des monuments ou des objets représentés. […]Les vues gravées seront animées par des figures. Lorsqueles épreuves faites sur les lieux n’en auront pas, on y sup-pléera par quelques groupes pris dans le croquis tracésd’après nature dans les mêmes localités”36.Si tratta di un programma che troverà fedeli prosecutoriin tutta Europa. Il primo a raccogliere la sfida a Milano(città che nel 1838 aveva visto l’incoronazione con la co-rona ferrea del nuovo imperatore austriaco) è Ferdi-nando Artaria, che già nel 1840 mette in cantiere unaserie di vedute “dal dagherrotipo” di siti e monumenti diLombardia poi progressivamente estesa al resto delpaese37. Artaria si era procurato la macchina fotograficadirettamente a Parigi, e provvedeva ad eseguire con il

suo staff i dagherrotipi, mentre per la traduzione inci-soria si avvaleva dei principali specialisti operanti a Mi-lano. Affidò così a Louis Cherbuin, che pochi anni primasi era cimentato nella traduzione del dipinto di Migliara(fig. 1), il compito di incidere la veduta della facciatadella Certosa (fig. 2). Disponibile sia come stampasciolta, sia inserita in un album editoriale indirizzato aivisitatori stranieri38, venne eseguita, come ha accertatoDonatella Falchetti, nel giugno 184139. Il confronto deidue d’après consente di cogliere in modo flagrante e inqualche misura paradigmatico le radicali novità intro-dotte dal nuovo mezzo riproduttivo. Alla veduta d’an-golo, di tradizione ancora settecentesca, prescelta da Mi-gliara, si contrappone quella tendente alla centralità deldagherrotipo, che nella traduzione è opportunamenteregolarizzata con la correzione di eventuali distorsioni elinee cadenti. Scomparse le figurette dei monaci e lequinte fantastiche di inesistenti porticati che facevanodella stampa da Migliara una sorta di immaginaria eamplificata scenografia, lo spazio antistante è reso nellasua dimensione reale e quotidiana, con i necessari inse-rimenti di personaggi ‘d’après nature’ e la rielaborazionedel cielo. Arte e scienza si fondono così in omaggio al“vero”. Argomenti questi che verranno ripresi e discussipochi anni dopo nel celebre discorso tenuto all’Acca-demia di Belle Arti di Venezia nel 1852 da Pietro Selva-tico Estense, convinto fautore dell’impiego della foto-grafia (”insigne trovato della chimica e dell’ottica con-giunte insieme”) nella didattica accademica40.

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34 Per una informata sintesi su questo passaggio cruciale v. M.F. Bonetti, “D’après le Daguerréotype… L’immagine dell’Italia tra incisione efotografia”, in L’Italia d’argento 1839-1959. Storia del dagherrotipo in Italia, catalogo della mostra (Roma-Firenze 2003), Firenze, Alinari, 2003,pp. 31-40; U. Pohlmann, “Excursions daguerriennes en Italie”, in Voir l’Italie et mourir. Photographie et peinture dans l’Italie du XIXème siècle, a c. di U. Pohlmann e G. Cogeval (Parigi, Musée d’Orsay, 2009), Paris, Skira-Flammarion, 2009, pp. 84-111.35 Excursions daguerriennes, représentant les vues et les nombreux monuments […], Paris, Lerebours, 1841-43.36 “Dopo aver ottenuto il riporto su acciaio di un calco [dell’immagine dagherrotipica] con la puntasecca, il compito speciale dell’artistanell’esecuzione consiste nel completare col colore il carattere dei luoghi, dei monumenti o degli oggetti rappresentati. Le vedute incise sarannoanimate da figure. Nel caso le prove realizzate sul posto non ne presentassero, vi si supplirà con qualche gruppo tratto dagli schizzi fatti dal veronelle stesse località”. Cfr. Bonetti cit., 2003, p. 34.37 Sull’impresa editoriale v. l’approfondita analisi di D. Falchetti, in L’Italia d’argento cit. 2003, pp. 185-187; G. Mori, “Incisione e fotografia: levedute di Milano nelle edizioni Artaria presso la Civica Raccolta delle Stampe A. Bertarelli”, in Lo sguardo della fotografia sulla città ottocentesca.Milano 1839-1999, a cura di S. Paoli, Torino, Allemandi, 2010, pp. 16-18.38 Recueil des vues principales de Milan et de ses environs executées d’après le daguerréotype et gravées par J.J. Falkenstein et L. Cherbuin, Milano,Artaria, s.d. Ne esiste un’edizione anastatica, arbitrariamente datata 1840: Vedute di Milano di Monza, della Certosa di Pavia, dei laghi di Como eMaggiore, nelle incisioni tratte dal dagherrotipo 1840, introduzione di G. Bezzola, Milano, Polifilo, 1996.39 Falchetti cit., 2003, p. 186 n. 11. Nel contratto stipulato con Artaria il 28 gennaio 1842, Cherbuin s’impegnava a “dilucidare i contorni deglioggetti rappresentati dalle lastre suddette, trasportarli su rame ed ivi eseguire le ombre analoghe con l’aggiunta del cielo e delle macchietteoccorrenti concertati seco loro” (Alberici cit., 1979, p. 14).40 P. Selvatico Estense, “Sui vantaggi che la fotografia può portare all’arte”, in Scritti d’arte, Firenze, Barbera, 1859, pp. 337-341; ma tutti i saggiraccolti nel volume sono importanti per chiarire la cultura delle Accademie di metà Ottocento.

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9. Francesco Ciappei, Lavacro dei monaci, albu-mina, 1876; Milano, Accademia di Belle Arti diBrera.

11. Giacomo Brogi, Certosa di Pavia. Parte posteriore dellachiesa, albumina, 1879; Milano, Soprintendenza ai beni arti-stici e storici, Archivio fotografico.

12. Autore non identificato, Ingresso della Certosa di Pavia, albumina, 1860 ca.; Milano, Accademia di Belle Arti di Brera,album “L’Arte in Italia I”.

10. Album “Certosa di Pavia”della serie “Fotografie di opered’arte (Legato Mongeri)”, 1891;Milano, Accademia di Belle Artidi Brera.

Incunaboli della fotografia in Certosa

Milano si aggiorna subito alle novità provenienti da Pa-rigi, e già nel quinto fascicolo della prima annata delPolitecnico compare un ampio contributo con stralcidalla relazione di Arago, privo di responsabilità auto-riale (quindi redazionale), ma generalmente attribuito aCarlo Cattaneo41, mentre con tutta probabilità spetta aFrancesco Durelli, che del metodo di Daguerre fu pre-coce e attento sperimentatore42. Numerosi ottici – comeAlessandro Duroni, il vero pioniere della fotografia inLombardia –, si offrirono subito di fornire esempi e spe-rimentazioni del procedimento al corpo docente del-l’Accademia di Brera, che preferì però muoversi auto-nomamente. Acquistata, dopo varie tribolazioni, per400 franchi la macchina a Parigi, l’affidò a FrancescoDurelli e a Luigi Bisi, professore di Pittura di paesaggio,per custodirla e valutarne le possibili applicazioni, evi-dentemente ancora sotto il profilo del dispositivo pro-spettico43. Depositata in biblioteca, della macchina daquesto momento si perdono purtroppo le tracce, e s’i-gnora se le sperimentazioni siano state effettivamenteportate a termine e abbiano avuto o meno esito felice.Occorre considerare a questo proposito che la didatticadelle Accademie riformate nella seconda metà del Set-tecento era fondata sull’esercizio della copia dal mo-dello – disegnato, inciso e plastico (il gesso) –, progres-sivo affinamento delle specifiche capacità disegnative emimetiche dell’alunno, ma anche e soprattutto esplora-

zione in chiave tecnica del medium di volta in volta as-sunto a modello, culminante nella copia dal vero (la“Scuola del nudo”). In questa continua circolarità di ri-specchiamento e interrogazione tra originale e sua mol-teplice restituzione, la fotografia, in quanto “calco delvero”, costituiva un elemento di rottura, introducendouna sorta di cortocircuito che si sarebbe potuto positi-vamente risolvere solo attraverso la piena padronanzatecnica del dispositivo44, come in effetti sperimentò ilmaggiore pittore americano di fine Ottocento, ThomasEakins, nella Pennsylvania Academy of the Fine Arts diPhiladelphia45.Scomparso il dagherrotipo originale di Artaria, per leprime prove fotografiche conosciute della Certosa oc-corre attendere gli inizi degli anni Cinquanta e l’affer-mazione di una nuova tecnica, la calotipia. È ancora nel-l’ambito dell’Accademia di Brera che prosegue l’inte-resse verso la Certosa. Alla metà degli anni Quaranta ilconte Ambrogio Nava restaura il coro monastico, e del-l’intervento dà conto nel 1847 Giuseppe Mongeri46, chepochi anni dopo entrerà in Accademia come segretario epresidente f.f.47. Amico di Francesco Durelli (di cui terràl’elogio funebre nel dicembre 1851)48, è precoce estima-tore della fotografia anche come forma d’arte, e nel 1852dedica due lunghi articoli alla produzione di LuigiSacchi49, che l’anno precedente aveva offerto in acquistoall’Accademia – in realtà senza troppo successo – alcunesue prove positive (‘vedute a tinte scure’) raffigurantivari monumenti50. Pittore e incisore, Sacchi si era for-

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41 [s.a.], “Sulle scoperte lucigrafiche di Daguerre e Niépce. Estratto del rapporto del sig. Arago”, Il Politecnico, I, 1839, fasc. V, maggio, pp. 578-591;cfr. C. Cattaneo, Scritti scientifici e tecnici, I, a c. di C. Lacaita, Firenze, Giunti, 1969, pp. 177-190.42 Per i rapporti Durelli-Cattaneo rinvio al contributo di Lorenzo De Stefani in questo volume.43 R. Cassanelli, “La fotografia delle origini a Milano e il caso dell’Accademia di Brera”, in Lo sguardo della fotografia cit., 2010, pp. 19-28.44 R. Cassanelli, “Nuovi strumenti”, in Due secoli di progetto scenico. Prospettive d’invenzione 1802-1861, Milano 1997, pp. 143-144.45 S. Danly, C. Leibold, Eakins and the Photograph. Works by Thomas Eakins and his Circle in the Collection of the Pennsylvania Academy of theFine Arts, Washington-London 1994; M. Tucker, N. Gutman, “Photographs and the Making of Paintings”, in Thomas Eakins, catalogo dellamostra, ed. by D. Sewell, Philadelphia 2001, pp. 225-238.46 G. Mongeri, Il coro della Certosa di Pavia ristaurato per opera del conte Ambrogio Nava, Milano, Redaelli, 1847.47 Sulla sua figura, che necessita ancora di un adeguato inquadramento, v. intanto A. Squizzato, “Note per Giuseppe Mongeri scrittore d’arte: lacollaborazione all’‘Archivio Storico lombardo’ (1874-1888)”, in Percorsi di critica. Un archivio per le riviste d’arte in Italia dell’Ottocento e delNovecento, a c. di R. Cioffi e A. Rovetta, Milano, Vita e Pensiero, 2007, pp. 259-280.48 [s.a.], “Cenni necrologici di Francesco Durelli”, Annali universali di statistica, XXIX, 1852, n. 85, pp. 109-112.49 G. Mongeri, “Della fotografia e di alcune recenti pubblicazioni calotipiche del pittore Luigi Sacchi”, I-II, Il Crepuscolo, 25 aprile 1852, pp. 265-268;2 maggio 1852, pp. 283-286, ristampato in appendice a L. Pini, “Giuseppe Mongeri interprete della prima attività di Luigi Sacchi”, in Luigi Sacchi.Un artista dell’Ottocento nell’Europa dei fotografi, a cura di R. Cassanelli, Torino, Provincia, 1998, pp. 57-71.50 R. Cassanelli, “La fotografia nell’Accademia di Brera. Le prime acquisizioni 1850-1860”, in Alle origini della fotografia. Luigi Sacchi lucigrafo aMilano 1805-1861, a c. di M. Miraglia, Milano, Motta, 1996, pp. 31-38. Come ragione del parziale rigetto si adduce la necessità di dotarsi soprattuttodi stampe, “assai più servibili all’uopo di questo istituto”. Sono ancora Durelli e Bisi, per incarico del presidente Nava, a scegliere sei sole prove traquelle presentate. Nel verbale Sacchi viene indicato come ‘lucigrafo’, termine introdotto dall’articolo del Politecnico del 1839 (cfr. n. 41).

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13. Giacomo Brogi, Ricordo della Certosa di Pavia,album, piatto anteriore, 1879.

14. Giacomo Brogi, Ricordo della Certosa di Pavia,album, frontespizio, 1879.

15. Giacomo Brogi, Sculture sotto il portico della chiesa,albumina, 1879; Milano, Accademia di Belle Arti di Brera.

16. Giacomo Brogi, Facciata e fianco della chiesa, albu-mina, 1879; Milano, Accademia di Belle Arti di Brera,Album “Certosa di Pavia”, legato Mongeri.

mato nell’Accademia di Brera con Domenico Aspari eFrancesco Hayez51, collaborando col fratello Giuseppe ecol cugino Defendente nelle loro diverse iniziative edito-riali (dal concorso indetto nel 1826 dall’Ateneo di Bre-scia al Cosmorama pittorico). Nel 1838 Alessandro Man-zoni l’aveva incaricato di coordinare l’opera di illustra-zione xilografica della seconda edizione dei PromessiSposi (1840-42), e così nel 1839 era a Parigi alla ricercadi collaboratori52. La dagherrotipia però non lo aveva in-teressato in modo particolare, probabilmente per la suanatura di esemplare unico e irriproducibile che ne im-pediva un adeguato sfruttamento commerciale. L’acco-stamento alla pratica fotografica – nella versione caloti-pica messa a punto da William Henri Fox Talbot, checonsentiva di trarre da un’unica matrice negativa piùprove positive (dette ‘carte salate’) –, avviene alla metàdegli anni Quaranta. Gli anni successivi sono occupatida un’intensa serie di sperimentazioni a Milano e Ve-nezia che trovano un punto di svolta nel 1851, l’anno del-l’esposizione universale di Parigi, con l’acquisto di unanuova più versatile macchina fotografica53. Il 1851 è perla fotografia un anno cruciale: è l’anno della morte diDaguerre, della comparsa del primo numero della Lu-mière, la rivista dei fratelli Gaudin, e della Mission hélio-graphique di Baldus, Le Gray, Le Secq e Mestral. Sacchiin primavera è a Parigi, e acquista da Chevalier unanuova macchina, con una strumentazione ottica (a duelenti acromatiche combinate) particolarmente adattaalla riproduzione delle architetture, che gli consente diaccedere al grande formato e di progettare nuove im-prese editoriali.“Cessato il tempo degli esperimenti, scrive Mongeri, sen-tiva egli il bisogno di dar vita ad opere più stabili e dilunga lena: ed ora infatti, dopo alcuni mesi di oblio, dalui impiegati in una peregrinazione fotografica nellamedia Italia, ci riappare davanti, porgendoci i frutti di

nuovi studi. Genova, Pisa, Firenze, Siena, Roma sonocittà che non lasciano difetto all’artista in fotografia dimonumenti altamente storici, ed unici nei fasti dell’arte.Si aggiunga l’agevolezza, non meno che il dovere, che hala calotipia di offrire sotto prospetti diversi un mede-simo edificio, onde si riesca a padroneggiarne l’ideacomplessiva, non farà quindi gran meraviglia che egli siatornato ricco di oltre trecento impronte negative, cheraccolgono tutto quanto avvi di più singolare e di più im-portante in quella parte bellissima della penisola nostra.E gli è sotto il titolo di “Monumenti, vedute e costumid’Italia” che il Sacchi vien ora pubblicando in partequesta sua collezione annunziata in serie separate diquaranta disegni, corredati con savio intendimento dibrevi notizie storiche”.Anni dopo, Luca Beltrami, commemorando il figlio diSacchi, Archimede, professore al Politecnico di Milanoprematuramente scomparso, avrebbe ricordato con pa-role commosse questo peregrinare dell’artista “in condi-zioni eccezionali”: “non era il visitare una dopo l’altra lecittà d’Italia per divertimento, en touriste, e neppure ilviaggiare con scopi limitati, o studi prefissi”, ma un’ope-razione profondamente diversa, un ritorno alle radicidella civiltà e cultura italiana restituite virtualmentesenza le barriere politiche, doganali e mentali imposteda secoli di dominazioni straniere, alla ricerca della per-duta unità nella prefigurazione del futuro riscatto54. IMonumenti, vedute e costumi d’Italia costituiscono ilprogetto della piena maturità di Sacchi, che vi riversatutta la sua esperienza, in gara con analoghe iniziativestraniere, in particolare francesi. Da un lato Blanquart-Evrard (per Mongeri il “fondatore della calotipia inFrancia”)55, che nel 1851 aveva organizzato a Lille un la-boratorio per la produzione in serie di albi illustrati fo-tograficamente56; dall’altro l’iniziativa intrapresa daEugène Piot, l’erudito collezionista e fotografo autore

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51 Per un profilo biografico aggiornato di Sacchi v. da ultimo Lo sguardo della fotografia… cit. 2010.52 M. Parenti, Manzoni editore, Bergamo, IIAG, 1945.53 Le principali informazioni sulla prima attività di Sacchi sono fornite dall’articolo di Mongeri del 1852 cit. a n. 48, da cui è tratta anche lacitazione che segue.54 L. Beltrami, “Commemorazione della vita e delle opere di Archimede Sacchi”, Atti del Collegio degli Ingegneri e Architetti di Milano, XX, 1886,fasc. 3-4, pp. 181-199 (182-183).55 Sull’argomento v. ora le importanti acquisizioni offerte da due recenti cataloghi: Primitifs de la photographie. Le calotype en France 1843-1860,sous la dir. de S. Aubenas et P.-L. Roubert, Paris, Gallimard-Bibliothèque nationale de France, 2010; A. de Mondenard, M. Pagneux, Modernismeou modernité. Les photographes du cercle de Gustave Le Gray, Arles, Actes sud, 2012.56 I. Jammes, Blanquart-Evrard et les origines de l’edition photographique française. Catalogue raisonné des albums photographiques edités 1851-1855,Genève, Droz, 1981.

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17. Giacomo Brogi, Interno della chiesa,albumina, 1879; Milano, Accademia di BelleArti di Brera, Album “Certosa di Pavia”, legato Mongeri.

18. Giacomo Brogi, Mausoleo di GiovanniGaleazzo, albumina, 1879; Milano, Acca-demia di Belle Arti di Brera, Album “Certosadi Pavia”, legato Mongeri.

19. Giacomo Brogi, Piscina in terra cotta, albumina, 1879.

20. Giacomo Brogi, Porta in marmo di G.A.Amodeo [sic] nel chiostro piccolo, albumina,1879; Milano, Soprintendenza ai beni artistici estorici, Archivio fotografico.

oggi nel Museo Fortuny64. Certamente oltre a quellipubblicati dovettero esistere anche altri scatti della Cer-tosa, come quello della collezione Dietmar Siegert (Mo-naco di Baviera) con una veduta animata della fac-ciata65.Tornando alle tavole dei Monumenti, va considerato chese la selezione tematica appare sostanzialmente esau-stiva al fine di presentare il monumento nei suoi profiliesterni (la tecnica non consentiva ancora infatti ripresedel tutto soddisfacenti degli interni), il modo in cui i di-versi soggetti sono proposti è del tutto originale. Innan-zitutto, e per la prima volta, si rinuncia alla veduta ge-nerale della facciata, cara alla tradizione incisoria, avantaggio di un estremo close up, il dettaglio ravvicinatodi una finestra al fine di renderne con la massima preci-sione possibile il decoro plastico. Certamente occorrevaevitare le linee cadenti (la correzione del parallasse sistava definendo in quel giro d’anni), ma è evidente l’in-teresse per un approccio materico, “tattile”, all’oggettorappresentato, attento alla scabrosità delle superfici, chele caratteristiche proprie della tecnica calotipica, la cuiimpronta negativa si formava nella trama stessa dellacarta, efficacemente esaltano. Un’opzione non dissimilepresenta una prova attribuita a Domenico Bresolin da-tabile intorno al 1856, che ritrae un dettaglio della fac-ciata (fig. 6) mentre sono in corso lavori di rifacimentoal sagrato66. Nella tavola dedicata al chiostro piccolo(fig. 3) prevale invece l’interesse per la distribuzione ge-nerale dei volumi, fortemente articolari dai chiaroscuri.Va tenuto presente che la fotografia delle origini pre-senta sempre, nell’ambito della referenzialità dell’imma-

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57 T. Serena, “La Venise de Piot”, in Venise en France du romantisme au symbolisme, actes des journées d’étude (Paris-Venise, École du Louvre10-11 mai 2004), Paris, École du Louvre, 2006, pp. 289-305.58 Luigi Sacchi. Un artista dell’Ottocento, cit., 1998, fig. a p. 15.59 L’opera è stata ricostruita nelle sue linee essenziali da M. Miraglia in Alle origini della fotografia cit., 1996; per ulteriori integrazioni e correzioniv. Luigi Sacchi. Un artista dell’Ottocento cit., 1998.60 Su P. Pozzi v. la scheda biografica in Lo sguardo della fotografia cit., 2010.61 Il foglio litografato con il catalogo della seconda serie è riprodotto in Luigi Sacchi. Un artista dell’Ottocento, cit., 1998, p. 159.62 Alle origini della fotografia cit., 1996, schede nn. 67-70, pp. 146-147, con datazione imprecisa 1854 (M.F. Bonetti); analoga erroneapostdatazione reca l’esemplare in coll. privata di Kalamata (Grecia) esposto nella mostra Voir l’Italie et mourir… cit., 2009, p. 170 fig. 88.63 Per il repertorio completo del dono Hayez, con utili precisazioni documentarie, v. Verso il museo. Opere dell’Accademia restaurate 1994-2004,a cura del Dipartimento del Patrimonio Storico dell’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano, Eart Consulting, 2005.64 Museo Fortuny, Venezia, album Op F 2795 (Saggi Fotografici / Vedute d’Italia). All’album, già al Museo Correr, ho dedicato una comunicazione(tuttora inedita) al convegno internazionale dell’ASMI Iconic images in modern Italy (Londra, 22-23 novembre 2013).65 Italien sehen und sterben. Photographien der Zeit des Risorgimento (1845-1870), hrsg. Von B. von Dewitz, D. Siegert, K. Schuller-Procopovici,Heidelberg, Braus, 1994, p. 275 cat. n. 186, e ripr. a p. 134.66 Italien sehen und sterben cit., 1994, cat. n. 75. L’opera reca il timbro del negoziante di fotografie Carlo Ponti, Venezia. Debbo la precisazionedella datazione alla cortesia di Letizia Lodi.

della raccolta L’Italie monumentale (avviata nel 1851 epubblicata nel 1853), i cui negativi originali sono statifortunosamente ritrovati alcuni anni fa negli archividell’INHA a Parigi57. Sacchi conosceva bene il progettodi Piot (di cui era comparsa notizia su La Lumière) e siera procurato almeno una stampa, quella raffigurante ilcortile di Palazzo Ducale (Torino, Biblioteca della Pro-vincia)58. L’edizione, ideata in quattro serie, prevedevala pubblicazione annuale di 25 immagini ripartite in seifascicoli, i primi cinque dei quali di 4 carte salate e l’ul-timo di 5. Una leggera cartella di carta poco pregiatafungeva da raccoglitore delle tavole, ciascuna dellequali recava litografate l’indicazione della città e delmonumento oggetto della ripresa, eventuali brevi no-tizie sull’opera e la firma del fotografo59. È da supporreche venissero vendute nel negozio di stampe gestito inGalleria de Cristoforis da Pompeo Pozzi, figlio di LuigiValeriano e anch’egli dalla metà degli anni Cinquantafotografo60.Sacchi dedica alla Certosa di Pavia ben quattro tavole(nn. 9-12) della seconda serie, distribuita nel 185361, se-lezionando tra le prese un particolare di una finestradella facciata (“disegno del Fossano 1475”) (fig. 4), ilchiostro piccolo (fig. 3), il chiostro grande e una vedutadell’abside (“opera di Marco Campione 1396”)62. Tutte equattro, ancora applicate al supporto originale litogra-fato, si conservano nelle raccolte dell’Accademia diBrera negli esemplari che Sacchi donò nel 1853 a Fran-cesco Hayez63; del chiostro piccolo un esemplare mon-tato su un foglio con la sola scritta “Pavia” in alto alcentro (fig. 3) è compreso nella selezione dell’album

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21. Giacomo Brogi, Porta in marmo di G.A.Amodeo [sic] nel chiostro piccolo, albumina,1879; Milano, Soprintendenza ai beni artistici estorici, Archivio fotografico. Ripresa “animata”dalla presenza di un monaco, che reca il mede-simo numero d’ordine della precedente (4641).

22. Giacomo Brogi, Veduta del chiostro grande, albumina, 1879.

23. Giacomo Brogi, Veduta del chiostro grande, albumina, 1879;Milano, Accademia di Belle Arti di Brera, Album “Certosa diPavia”, legato Mongeri.

24. Giacomo Brogi, Distribuzione della zuppa,albumina, 1879; Milano, Soprintendenza ai beniartistici e storici, Archivio fotografico.

gine, una triplice valenza: quella immediatamente do-cumentaria, in linea con la precedente tradizione inci-soria, già tradizionalmente vincolata alle esigenze delGrand Tour e modulata ora sulle nuove aperture del tu-rismo di matrice borghese, facilitato dall’intensificarsidell’attività editoriale illustrata e dalla ramificazione deltrasporto su rotaia; quella conservativa, volta a faremergere, al di là di un’eventuale dimensione “pitto-resca”, la situazione spesso precaria dei monumenti e leesigenze di interventi conservativi e di restauro; infinequella repertoriale, soprattutto per quanto riguarda imotivi decorativi, destinata a suggerire modelli alla pra-tica artigianale contemporanea. A tutto ciò si deve ag-giungere, nell’arco degli anni Cinquanta, l’aspirazione,soprattutto da parte dei calotipisti che aderivano alla“teoria dei sacrifici” di Francis Wey, a realizzare dellefotografie che rivaleggiassero con le opere d’arte tradi-zionali. Ma quando finalmente nel Salon parigino del1859 si aprirono le porte anche alla fotografia, la rea-zione negativa, di cui si fece interprete Charles Baude-laire nel celebre saggio Il pubblico moderno e la foto-grafia, fu immediata e recisa. L’industrializzazione delmezzo era ormai alle porte.

Un monumento “in posa”

Con la fine degli anni Cinquanta iniziano a rivolgere illoro interesse alla Certosa i primi operatori legati a studifotografici commerciali, che avviano la costruzione diquell’immaginario e astratto “museo dell’arte italiana”67

che si definisce e organizza in parallelo all’istituzionaliz-zazione della storia dell’arte nella sua doppia valenza di

scienza storica (sul modello della Kunstwissenschaft te-desca) e di esercizio dell’occhio orientato al mercato, almuseo e al collezionismo (connoisseurship). In unaprova dell’inizio degli anni Sessanta, il francese Hyppo-lite Deroche68 ripropone quasi alla lettera il taglio pre-scelto da Sacchi per isolare il particolare di una finestradella facciata69, mentre a Giorgio Sommer di Fran-coforte, che aprirà dal 1857 un fortunato stabilimentofotografico a Napoli70, spetta una veduta generale dellafacciata della fine degli anni Cinquanta (fig. 7) disponi-bile in vari formati71. Alla produzione di James An-derson72 sono riferite quattro vedute della Certosa con-tenute nell’album miscellaneo Voyage en Italie / 1863 /C.L. della Bibliothèque Nationale de France73, montatesu fogli con didascalie a stampa (fig. 8), nelle quali iniziaa manifestarsi un’incipiente stereotipizzazione dei sog-getti e dello sguardo74.L’applicazione della circolare del Ministero della P.I. del25 giugno 1876, che imponeva ai fotografi di richiedereuna specifica autorizzazione per eseguire riprese foto-grafiche di opere d’arte e di consegnare due copie dellestampe, una da conservarsi in loco e una da inviare alMinistero stesso, consente da questo momento di rico-struire con precisione – almeno dal punto di vista docu-mentario – il succedersi delle campagne in Certosa daparte dei principali studi fotografici italiani75. Nellostesso anno 1876 esegue 27 riprese lo studio Ciappei diGenova (fig. 9); nel 1879 è Giacomo Brogi di Firenze aeseguirne ben 46, mentre Giulio Brogi, con studio a Mi-lano, ne realizza 11. Nel 1881 è Alfredo Noack, il mag-giore fotografo operante Genova, a scattare 23 dettaglidella facciata. Si stratifica così in breve tempo un vero eproprio archivio fotografico del monumento che nel

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67 U. Pohlmann, “Le musée imaginaire d’art italien”, in Voir l’Italie… cit., 2009, pp. 70-74.68 Aperto all’inizio degli anni Sessanta uno studio a Bologna, Deroche a Milano si associa a Francesco Heyland, col quale aprirà anche unasuccursale a Parigi. Sulla sua attività v. i dati raccolti in Lo sguardo della fotografia… cit., 2010, p. 287.69 Riproduzione in C. Bouqueret, F. Livi, Le voyage en Italie. Les photographes français en Italie 1840-1920, Paris, La manufacture, 1992, p. 92.70 Cfr. Un viaggio fra mito e realtà. Giorgio Sommer fotografo in Italia 1857-1891, a c. di M. Miraglia e U. Pohlmann, Roma, Carte segrete, 1992.71 Cfr. GIORGIO SOMMER FOTOGRAFO DI S.M. IL RE D’ITALIA, Catalogo di fotografie d’Italia, Malta e ferrovie del Gottardo, Napoli, A. Trani, 1886, p. 82,dove si enumerano quattro scatti dedicati alla Certosa, con numeri d’ordine piuttosto bassi. Il n. 1904, riportato sull’esemplare conservato nelFondo Boito dell’Accademia di Brera, indica la veduta della facciata nel formato ‘mezzana’; ma erano disponibili anche i formati grande, album,stereoscopico e carte-de-visite.72 Sulla sua attività romana cfr. D. Ritter, James Anderson und die Maler-Fotografen. Sammlung Siegert, Heidelberg, Braus, 2005.73 Bibliothèque Nationale de France, Fol-VF-292.74 Cfr. le tavv. 18-21, con una veduta esterna complessiva, una del chiostro piccolo, una della facciata e un dettaglio con il portale.75 Come già ricordato, il tema è stato oggetto di uno specifico contributo di B. Fabjan (cit. a n. 2). I materiali fotografici della Direzione Generaledelle Antichità e Belle Arti sono ora confluiti delle collezioni dell’ICCD. Per un primo approccio al fondo cfr. Fotografare le belle arti. Appunti peruna mostra, Roma, ICCD, 2013.

1882 il conservatore Ferrari chiede al Ministero dipoter incorniciare e disporre in via permanente “inuna delle sale che si visitano dai forastieri”, “non v’hadubbio, aggiunge nella richiesta, con compiacenza egusto d’ogni visitatore, nonché profitto degli intelli-genti”76. Al di là dell’indubbia utilità, parrebbe che l’i-niziativa mirasse soprattutto a favorirne la vendita aituristi.La fortuna visiva del monumento si svolge in questomomento in parallelo ai continui perfezionamentitecnici della fotografia, ormai approdata alla tecnicadella gelatina bromuro(-cloruro) d’argento (anche seper i positivi si proseguirà nell’impiego delle albu-mine, talvolta virate all’oro), che consente final-mente di esplorare gli interni straordinariamente or-nati e d’iniziare a documentare le pitture, anche seper una resa sufficientemente fedele occorrerà at-tendere l’introduzione, all’inizio degli anni Novanta,delle emulsioni ortocromatiche77. La più interes-sante e varia tra queste prime sistematiche cam-pagne è senza dubbio quella del fotografo fiorentinoGiacomo Brogi78, proposta anche con un esito edi-toriale, l’album dal titolo Ricordo della Certosa diPavia79 (figg. 13-14). Si tratta di album realizzati inmodo molto semplice, con piatto anteriore impressoin oro e frontespizio litografato, privi di testo di ac-compagnamento, supplito dalle didascalie delle sin-gole fotografie impresse in lastra, mentre il timbro asecco del fotografo è posto in basso a sinistra. Gliscatti di Brogi presentano un carattere particolare,perché oltre a documentare l’edificio prima dellaserie di incisivi interventi che lo coinvolsero alla finedel secolo a cura dell’Ufficio regionale per la conser-vazione dei monumenti (abbattimento delle stalleaddossate al transetto nord, restauro della testatasettentrionale del refettorio) colgono in vedute ani-mate la vita quotidiana dei monaci alla vigilia dellaloro definitiva espulsione (1881), in veri e propri ta-bleaux vivants nel gusto della pittura naturalistica

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76 ACS, Direzione gen. AA.BB.AA., I vers., b. 518, f. 694, lettera del 16 febbraio 1882, cit. in Fabjan cit., 1992, p. 21.77 Sul problema delle emulsioni ortocromatiche per la documentazione delle opere d’arte v. R. Cassanelli, “Carlo Fumagalli fotografo d’arte ed’architettura e la conservazione dei monumenti in Lombardia alla fine dell’Ottocento”, in Monza illustrata, Milano, Scalpendi, 2014, pp. 123-145.78 S. Silvestri, “Lo studio Brogi a Firenze”, AFT, 20, 1994, pp. 9-12; E. Puorto, Fotografia fra arte e storia. Il “Bullettino della Società FotograficaItaliana”, Napoli, Guida, 1996, pp. 23-24. A questa prima campagna ne farà seguito una seconda alcuni anni dopo.79 L’album della coll. Smith-Lesouëf (Bibliothèque Nationale de France, Dép. des estampes et photographie, 4-VF-452) conta 25 fogli, mentre B. Fabjan segnala un esemplare con 48. L’album recentemente rinvenuto nella Biblioteca Universitaria di Pavia ed esposto in mostra, presentauna paginazione e una selezione di immagini ancora differenti.

26. Autore non identificato, Visita giornaliera alla Cer-tosa di Pavia, stampa ai sali d’argento, inizi Novecento;Milano, Soprintendenza ai beni artistici e storici, Archiviofotografico.

25. Natale Magnini (per i Fratelli Alinari), La facciatadella chiesa (A. da Fossano), albumina, 1894; Milano, So-printendenza ai beni artistici e storici, Archivio fotografico.

contemporanea80 (figg. 11, 15-24), ma anche in allusivacontiguità con le pitture a fresco dell’interno.Con la creazione nel 1875 da parte di Ruggero Bonghidella Direzione Generale agli scavi e ai musei del Regno(divenuta poi alle Antichità e Belle Arti) affidata all’ar-cheologo Giuseppe Fiorelli si fa sempre più pressante l’e-sigenza (in assenza ancora di un’organica legge di tutela)di disporre di cataloghi sistematici delle opere d’arte dis-seminate sul territorio, da condurre in connessione conorganiche campagne di rilevazione fotografica, per lequali nel 1892 si provvide con la fondazione da parte diGiovanni Gargiolli del Gabinetto fotografico Nazio-nale81. Si è ormai alle soglie della stampa tipograficadelle fotografie, e della sostituzione di queste ultime conle pubblicazioni illustrate. Nel 1887 l’editore franceseRothschild propose al Ministero la pubblicazione di unamonografia sulla Certosa sul modello di altre già edite,con un corredo grafico e fotografico da far eseguire acura degli allievi dell’Accademia di Milano per il quale sichiedeva un apposito sussidio; il Ministero chiese un pa-rere al conservatore Carlo Magenta, che però, addu-cendo motivi di orgoglio nazionale, propose la pubblica-zione di un proprio volume, per il quale era già in trat-tative con Hoepli. La sua morte improvvisa ne rinvieràl’uscita al 1897, in connessione al cinquecentesimo an-niversario della fondazione82. La tardiva (1894) realizza-zione da parte di Natale Magnini di una campagna di ri-

prese per Alinari (nn. 14325-95) (fig. 25) composta da70 scatti è un probabile riflesso del nuovo ruolo assuntodalla Certosa dopo la costituzione nel 1891 dell’Ufficioregionale per la conservazione dei monumenti in Lom-bardia diretto da Luca Beltrami, che dedicò al com-plesso particolari cure conservative affiancate da unaserie di ricerche e pubblicazioni tuttora fondamentali83

tra le quali spicca, per la sua rilevanza dal punto di vistadella documentazione fotografica, la grande cartella LaCertosa di Pavia pubblicata da Dunmolard nel 1891.Gaetano Moretti, che nel 1895 successe a Beltrami nelladirezione dell’Ufficio, riprese in modo sistematico ilproblema della completa documentazione fotograficadella Certosa pensando anche ad un’esposizione perma-nente nella galleria dei gessi di palazzo ducale84. Lascelta dell’operatore cade su Achille Ferrario, autoredelle più note riprese del Cenacolo, che tra il 1896 e il1903 realizzò ben 374 scatti, di cui consegnò le lastre esei copie per ciascuna. Incorniciate, le prove positive(recentemente ritrovate da Letizia Lodi) furono effetti-vamente esposte nella galleria dei gessi. Un’ulteriorecampagna di 320 riprese dedicate al chiostro grande, daeffettuarsi sempre da parte di Ferrario, non venne rea-lizzata probabilmente per lo scoppio della prima guerramondiale. Ormai l’immagine della Certosa era definiti-vamente consegnata ai repertori e alle fototeche deglistorici dell’arte.

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80 Fabjan op. cit. 1992, p. 23 n. 9; sul tema v. Q. Bajac, Tableaux vivants. Fantaisies photographiques victoriennes (1840-1880), Paris, RMN, 1999.81 A. Benedetti, Vita di Giovanni Gargiolli, fondatore del Gabinetto Fotografico Nazionale, Pisa, Il Campano, 2012.82 C. Magenta, La Certosa di Pavia, Milano, Bocca, 1897.83 Cfr. Bibliografia degli scritti di Luca Beltrami dal marzo 1881 al marzo 1930, a cura degli amici ricorrendo il 75° anno di sua età, 25° dallanomina a senatore del Regno, prefazione di G. Mazzoni, nota bibliografica di F. Pintor, Milano, Allegretti, [1930]; non apporta elementi di novitàS. Bertelli, Luca Beltrami. Bibliografia 1881-1934, Cinisello B., Silvana, 2014.84 G. Moretti, Quarta relazione dell’Ufficio Regionale per la conservazione dei monumenti in Lombardia, Milano, Tipografia CommercialeLombarda, 1896, pp. 76-77: “L’Ufficio regionale poi, tenuto conto del carattere di Museo d’arte che ha preso ora la Certosa, si è preoccupatoanche di facilitare lo studio del monumento nei suoi più minuti particolari, e così, non appena glielo concederanno i mezzi, intende allestire unagalleria di gessi […], e intende che in tale galleria debba pure figurare una raccolta completa delle fotografie prese alla Certosa in questi ultimianni, comprendendovi anche quelle che, col consenso ministeriale, già da tempo si stanno facendo per illustrare il nuovo inventario artistico delmonumento”. Per una sintesi degli interventi dell’Ufficio alla Certosa v. Id., La conservazione dei monumenti della Lombardia, Milano, s.n.t., 1908,pp. 260-268.