Linee programmatiche per il riconoscimento e lo studio della policromia sulle urne etrusche e i...

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Diversamente bianco la policromia della scultura romana a cura di Paolo Liverani e Ulderico Santamaria Edizioni Quasar

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Diversamente biancola policromia della scultura romana

a cura di

Paolo Liverani e Ulderico Santamaria

Edizioni Quasar

ISBN 978-88-7140-557-5

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Linee programmatiche per il riconoscimento e lo studio della policromia sulle urne etrusche

e i sarcofagi romani Fulvia Donati1

Avvio della ricerca

Quando, alla fine degli anni ’80, iniziammo a lavorare allo studio della policromia antica su superfici lapidee,2 le difficoltà che si presentavano erano molteplici, sia per l’approccio al problema, che di carattere pratico e tecnico per il riconoscimento e la documentazione dell’evidenza colore, mentre pochi erano nel complesso gli studi di riferimento. Ricordo en passant come i primi risultati analitici sulle campionature ri-levate offerti da un’importante istituzione circa l’indagine chimico-fisica, in presenza di presunte policromie su materiale lapideo, si limitavano a segnalare la presenza di ossidi di ferro in rapporto a una pigmentazione rossa, verosimilmente un’ocra. La presenza di perni in ferro sul manufatto e conseguenti scolature di ruggine più o meno in corrispondenza del colore rendevano il dato piuttosto insignificante.

Casualità voleva infatti che, in occasione di un intervento conservativo effettua-to presso il Laboratorio del Dipartimento di Scienze Archeologiche di Pisa sul nucleo di urne etrusche del Camposanto Monumentale, destinate a una nuova collocazione museale, mi capitasse di imbattermi in evidenti pur se residuali tracce della coloritura superficiale, a cui eravamo in pochi a credere, di lì prese avvio l’indagine e l’interesse a individuarne le logiche.

In particolare, l’esempio più interessante della collezione pisana era costituito da un’urna in alabastro di produzione volterrana, con rappresentazione di un mo-stro ferino (Olta?) sorgente dal puteale e contrastato da un gruppo di uomini armati (attribuibile al secondo quarto II sec. a.C. figg. 1-2); si tratta di un esemplare di buona

1 Università di Pisa2 Il progetto di ricerca sulla policromia dell’archi-

tettura e scultura antica, promossa in una stagione molto intensa di eventi sui monumenti della capitale, da A. La Regina, Soprintendenza Archeologica di Roma, era stato avviato in équipe presso la Scuola

Normale di Pisa, con il coordinamento di S. Settis. Primi risultati furono pubblicati in un dossier mo-nografico dedicato al “Colore dell’antico” in Ricerche di Storia dell’arte (38/ 1989), con contributi di Parra, 5-21, e Levi, 22-43; per la policromia delle urne cfr. Donati, ibidem 44-59.

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fattura a dispetto del cattivo stato di con-servazione aggravato da arbitrarie inte-grazioni (tutto il lato sinistro) imposte da logiche del collezionismo privato, pri-ma che fosse acquisita dal conservatore Carlo Lasinio per il Camposanto Monu-mentale di Pisa 1812 (inv. 1833, 110).3 In occasione della pulitura – a mezzo di acqua nebulizzata fine in camera umida – si osservava come quelli che sembra-vano semplici depositi di polveri e incro-stazioni da rimuovere – e qui si veniva subito a toccare un punto critico del

rapporto fra patinature/policromie originarie e intervento di restauro archeologico – erano invece resti della superstite trattazione per il colore. Questo interessava in pri-mo luogo la massa nera del corpo del grosso felino che emerge dal pozzo, col grande occhio di profilo pure segnato di nero, secondo convenzioni comuni nella pittura

Fig. 1. Pisa, Museo dell’Opera del Duomo: urna già nel Camposanto Monumentale (inv. 1833, n. 110) (in corso di restauro).

Fig. 2. a-b-c-d. Idem. Particolari del Mostro, della zampa feli-na, della veste di un guerriero e della cornice a dentelli.

3 Oggi collocata al Museo dell’Opera del Duomo, cfr. Bonamici 1984, 80-81, n. 24; Settis 1986, 187-189;

Chierici 1994, 358-359, fig. 5.

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etrusca. Lo strato di colore nero appari-va ancora piuttosto spesso e aderente al sostrato. Sull’estremità della zampa che artiglia la vera del pozzo si aggiunge un tocco dorato, quasi una lumeggiatura ti-pica della prassi pittorica, che prosegue poi lungo il profilo che delinea la vera del pozzo. Dorate erano pure le orlature delle vesti dei guerrieri, mentre altri par-ticolari dell’armatura erano distinti da colore verde rame (es.: pugnale e mani-glia dello scudo) e i calzari erano dipinti di colore rosso, i cui particolari non sono più distinguibili.

Altri dettagli decorativi erano infatti sottolineati esclusivamente con il colore, contribuendo ad accrescere la vivacità della scena: ad esempio la cornice supe-riore della cassa con fregio a dentelli, in oro applicato su un fondo rosso mogano (mordente?), e sottostante kymation lesbio in verde, nonché la decorazione a linea ondulata in verde lungo il profilo dello scudo imbracciato dal guerriero al cen-tro (Pelope?). Erano qui delineati alcuni degli elementi principali che caratteriz-zano la presenza della policromia sulle superfici lapidee: essi tornavano costantemen-te in altri esemplari di urne a cui occorreva allargare il campo. Pur nella precarietà di conservazione, era chiaro come questa non costituisse un elemento accessorio o un banale completamento di bottega, ma un mezzo espressivo al pari dell’esecuzione del rilievo e che l’effetto d’insieme ricercato intenda riportare a composizioni pittoriche ben più importanti, come ad esempio le scene di battaglia sul cosiddetto sarcofago di Alessandro dalla necropoli di Sidone o sul sarcofago delle Amazzoni (ma vedi anche i sarcofagi di Larthia Seianti, pure al Museo di Firenze, o quello del Sacerdote di Tarquinia), con le quali non c’è che apparente soluzione di continuità.

Occorreva inventarsi un metodo per registrare e visualizzare i dati – ci soccorre-va allora l’uso di grafici e "laboriose" retinature (fig. 3) – oggi per fortuna rimpiazzate dai mezzi della grafica digitale (fig. 4).

Si presentava subito infatti il problema di come rendere oggettivi o illustrare i dati acquisiti senza falsare con stesure di toni pastello possibili ricostruzioni inevita-bilmente piatte. Vista la casualità delle tracce di colore conservate, che tende ad an-

Fig. 3. Idem. Schema grafico con mappatura (a retino) delle aree interessate dalla policromia.Fig. 4. Idem. Restituzione della policromia (ela-borazione grafica di M.C.Panerai).

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nidarsi nelle cavità delle superfici aggettanti o sui profili del rilievo, come interpretare l’effetto d’insieme? Tendendo a coprire tutta la superficie da quel profilo conservato oppure estendendo al fondo quelle tracce?

Nello studio della policromia, in questi ultimi anni assai progredito sia per l’in-teresse suscitato negli studi che per l’applicazione di nuove tecnologie, la difficoltà di documentare quanto acquisibile in base all’osservazione diretta, al binoculare e con altri metodi di indagine, attraverso il mezzo grafico e fotografico, permane a tutt’oggi; ancora insoddisfacenti ci sembrano le restituzioni delle originarie coloriture effettuate con stesure uniformi di colori primari usati saturi che rischiano di estende-re il dato coloristico, sia per superfici che per grado di intensità, finendo per alterare l’immagine complessiva del monumento.

Si avviò allora, con il supporto fondamentale di Corrado Gratziu (presso il di-partimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa), una mappatura più siste-matica di casi campione analizzando la collezione di urne di produzione volterrana in materiale lapideo del Museo Guarnacci a Volterra, molte delle quali conservano ancora abbondanti resti della policromia originaria (resa possibile grazie alla dispo-nibilità del direttore di questo, l’etruscologo Gabriele Cateni di recente scomparso, a cui dobbiamo grande riconoscenza).

La scelta di esaminare, fra i manufatti antichi interessati da policromia, la serie delle urne etrusche si precisò anche in considerazione del fatto di avere qui un campo di indagine privilegiato trattandosi di una classe piuttosto omogenea per tipologia e arco temporale di produzione collocabile in un momento di trapasso fra mondo gre-co ellenistico e romanizzazione. La storia conservativa e di trasmissione ha facilitato per lo più il mantenimento dell’originaria policromatura delle urne rispetto ad altre classi di materiali archeologici caratterizzati da continuità d’uso e quindi da inter-venti ripetuti di manutenzione e/o ricoloritura, spesso difficilmente riconoscibili, che hanno subìto generalmente maggiori manomissioni da parte dell’uomo, vuoi per motivazioni inerenti il collezionismo, la collocazione all’aperto e il riuso, (come nel caso dei sarcofagi romani, cfr. infra). Scelta che continua a mostrarsi valida.

Forse meno “imbarazzante” per questa classe di monumenti, produzione se-riale nella plastica funeraria di III-I sec. a.C., si presentava inoltre il riconoscimento della policromia, in molti casi così evidente da non poter essere sottaciuta, che aveva costituito anzi un valore aggiunto, motivo di meraviglia e interesse fin dal momento della scoperta all’interno delle camere funerarie. Ci restano infatti dettagliate de-scrizioni degli eruditi sette-ottocenteschi, a suo tempo raccolte,4 a cui si vengono ad

4 Cit. in Donati 1989, 44-46: si veda la precisione con cui in molti casi la policromia è riportata in queste prime edizioni, anche attraverso vere e proprie tavole illustrate contrassegnate da legenda con specifica dei colori, come avviene ad esempio per due urne fittili «rinvenute nel lu-glio 1721 in un ipogeo scoperto fortuitamente nei terreni della nobildonna Aurelia Sozzi Bottarelli, nella località

“Poggio al Moro”», a un miglio da Chiusi, illustrate da Filippo Buonarroti (nella prefazione a Dempster 1723-24, tavv. LXXVI-LXXXVII) su tavole «nelle quali», come riporta l’Autore stesso, «abbiamo notato ogni co-lore, in particolare perché essa è dipinta con i colori più nobili e più floridi – come dicevano – mentre altre sono decorate con colori più vili e più densi».

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aggiungere altre testimonianze,5 che rivelano in ogni caso un livello di percezione non pregiudiziale, se non di valore paritario accanto ad altri parametri di accuratez-za formale e esecuzione artistica, nonché di testimonianza storico-epigrafica, come forse non è mai successo altrove.

Se diviene un tòpos lo stupore per la straordinaria conservazione di colori tanto freschi da sembrare dipinti al momento6 (Buonarroti 1723-24), della cui autenticità però non c’è dubbio (Gori 1743), sorprende a una rilettura odierna l’acutezza critica e la curiosità scientifica anche per aspetti più squisitamente tecnici, con la quale si avanzavano opinioni non peregrine sui modi di applicazione del colore in relazione al supporto materiale utilizzato, che mostrava di essere applicato «direttamente a tempera su pietra, salvo qualche punto troppo poroso, ove è stato posto dello stucco» (come si legge ad esempio nella relazione della Commissione consultiva di Antichità e Belle Arti in seguito a sopralluogo per il ritrovamento del sarcofago delle Amazzo-ni, nell’ottobre 1869).7 Oppure si distingueva il colore steso uniformemente a crudo sulle urne in terracotta e poi fissato dalla cottura, con una più ampia gamma cro-matica (albus, niger rubrus, purpureus, rosaceus, amaranthinus, violaceus, amethistynus, flavus, pullus, castaneus, viridis), mentre nel caso di urne in tufo la pittura sembrava applicata sulla superficie con tecnica lineare che constava solo di cinque colori («urna tophacea, lineari pictura in plano, quae constabat quinque coloribus, rubro, pullo, flavo ac viridi…»). Si se-gnalava inoltre l’uso, oltre ai diversi colori, del “fulgido oro” che metteva in risalto, in più punti, singoli dettagli, applicato in foglia sulla superficie o più precisamente “bracteata” secondo l’espressione del Gori: «Haec cineraria inventa sunt variis coloribus picta, variisque in locis fulgido auro, uti mos locupletiorum veterum Etruscorum fuit, bracteata».8

Rispetto ad altri monumenti antichi indagati che mostrano oggi solo tracce residuali minime del colore, la presenza della policromia sulle urne cinerarie appare una costante, visibile a occhio nudo in molti esemplari delle principali collezioni dei musei dell’Etruria storica che conservano resti ancora freschi della policromia originaria. Pur trattandosi di attestazioni nel complesso modeste, queste ci mostrano comunque un significativo riflesso del gusto artistico e delle tecniche pittoriche speri-mentate in altri ambiti artistici del mondo greco-ellenistico. Ciò nondimeno questo aspetto ha finora suscitato poca attenzione negli studi anche recenti del settore che spesso omettono del tutto il dato della policromia, anche quando esso si impone per

5 Vedi ad esempio l’interessante corrispondenza intercorsa fra Niccolò Maffei, direttore del Museo Guarnacci di Volterra nella seconda metà dell’Otto-cento, e il bibliotecario-conservatore Annibale Cinci (lettera del 12.2.1886), in merito alla scoperta della Tomba di Badia, in cui si richiede un’accurata do-cumentazione corredata di grafici di quanto messo in luce; fra le raccomandazioni si legge: «Si cerchi di riprendere più che è possibile; sarebbe desiderabile un disegno che riproducesse i colori. Ciò che è indetermi-nato si lasci così com’è né si cerchi di indovinare»., cfr.

Bonamici – Rosselli 2003-04, 232-234.6 Buonarroti 1723-24: «può accadere abb. spesso

di meravigliarsi (se accade che gli ipogei in cui sono conservate le urne sono stati poco danneggiati dagli stillicidi e dall’umidità e se i colori sono stati stesi con perizia sui monumenti) che dopo duemila anni e più i colori siano conservati in modo tale che le pitture sem-brino eseguite in tempi a noi vicini», ripreso da A.F. Gori 1743: «tamen antiquitus pictas fuisse, non est dubium».

7 Cfr. Bruni 2007, 15.8 Gori 1743, xxii.

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caratteri di notevole espressività. Questo è il caso di una bellissima urna in alabastro di produzione volterrana, forse attribuibile al contesto della necropoli del Portone, dalle collezioni del Museo archeologico fiorentino (inv. n. 93484) con scena dell’uc-cisione di Mirtilo: in occasione dell’intervento di restauro per la recente esposizione nella Mostra “Etruschi di Volterra” (Volterra 2007-2008)9 essa ha rivelato una co-lorazione di colore azzurro intenso sul piano di fondo del rilievo che, a una prima osservazione non confortata per il momento da altri dati, sembra riferibile al pig-mento noto come blu egiziano (fig. 5). Tale esemplare, connotato come un prodotto di alto artigianato, riferibile al periodo di massima fioritura della produzione verso la fine del II sec. a.C.10, esprime al meglio le capacità coloristiche evidenti già nel movimento delle figure mosse e chiaroscurate, lavorate in altorilievo, di cui il mezzo colore dello sfondo ottico potenziava al massimo l’efficacia. Il dato è estremamente interessante anche come indice di gusto e di prassi nell’applicazione dei colori, finora non evidenziato in questa classe di materiali, ma comune nei monumenti greci di età classica, oltre che nell’espressione di un’intenzionale percezione di questi manufatti.

Una campionatura

Fra gli esemplari sottoposti a campionatura è stata esaminata innanzitutto un’ur-na – Volterra, Museo Guarnacci, Inv. 7 – in alabastro finissimo della produzione più antica (prima metà del III sec. a.C.), a cassa liscia con intaglio longitudinale rettan-golare che mostra una campitura omogenea di colore blu che è risultato riferibile a cupro-rivaite (CaCuSi2O4), noto come blu egiziano: esso costituiva forse il fondo per una figurazione o fregio miniaturistico non più leggibile, in analogia con esemplari di sarcofagi del tipo holztruhe.

9 Cateni 2007. 10 Maggiani 2007, 179.

Fig. 5. Volterra, Museo Guarnacci: Urna con su-perficie di fondo in colore azzurro (inv. 93484).

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Un’analisi più capillare ha richiesto l’urna con rappresentazione del riconosci-mento di Paride – Volterra, Museo Guar-nacci, sala XVII, n. 232 (fig. 6)11 – realiz-zata in alabastro di un certo pregio con

venature grigie (definito bardiglio), assegnata agli anni centrali del II sec. a.C.La colorazione del materiale di supporto altera oggi l’effetto complessivo della

policromia che poteva aver richiesto la stesura di una sottile preparazione omogenea (biancastra?), forse visibile in traccia nonostante le precarie condizioni conservative superficiali; tutta l’urna è interessata infatti dalla presenza di concrezioni crateri-formi, con ogni probabilità risultato della mobilizzazione del materiale costitutivo dell’alabastro (gesso) con qualche impurità di filosilicati provenienti dal terreno di sepoltura (?) disciolto in presenza di umidità e poi ridepositato in superficie.12

Fra i colori di cui è stato effettuato il prelievo (cfr. mappatura fig. 6), è risultata la presenza di:pigmento Rosso scuRo (= RS) tendente al prugna (= ocra) sulla cornice superiore, dove a partire dall’alto, sotto un fregio plastico di perline e fuseruole, un kymation ionico è sovradipinto in verde su fascia liscia a fondo rosso; ad esso fa seguito una cornice a dentelli plastici e un’altra a dentelli più piccoli tracciati a doppia linea in color prugna; ancora sotto, sul piano di fondo dell’urna, una seconda fila di minu-scoli dentelli è tracciata approssimativamente da serie di linee verticali delimitate da riga orizzontale inferiore, nello stesso colore. Le capigliature dei quattro perso-

11 Cateni, 1986, 80, n. 91, Inv. 232.12 Queste problematiche che si pongono alla let-

tura e nell’interpretazione di quanto osservato, dovuti ad esempio ai fenomeni di dissoluzione e rideposizio-ne del materiale alabastro (solfato di calcio biidrato) in

ambiente ipogeico a umidità costante e trasmigrazione o trasformazione di alcuni pigmenti sono attualmente in studio da parte di Corrado Gratziu, date le evidenti implicazioni nel campo del restauro e delle falsificazio-ni di manufatti artistici.

Fig. 6. Volterra, Museo Guarnacci: urna con mito del riconoscimento di Paride (inv. 232) (Mappatura dei prelievi).

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naggi sono rese nello stesso colore rosso scuro, trattate come una massa uniforme; rosse sono le spesse profilature del toro inferiore e della cornice superiore dell’ara su cui l’eroe appoggia la gamba piegata al ginocchio, mentre all’interno di questa alcune linee screziate sembrano riferirsi a un’intenzionale imitazione marmorea dell’ara.

• Tonalità di Rosso chiARo (= R) tendente al mattone – sempre costituite da ocra – interessano poi le vesti femminili in alternanza col verde (= V): ad esempio la figura di demone alato a sinistra coperta solo nella parte inferiore del corpo, mentre il lembo del mantello ripiegato all’altezza delle ànche è verde; e la suc-cessiva figura femminile con tunica a fasce rosse e verdi e lembo del mantello portato diagonalmente in avanti rosso; la terza figura femminile ha il corpetto della tunica rosso, mentre questa è verde dalla vita in giù, e orlata nuovamente di rosso.

• PiGMEnto VERDE (= V) è presente, sia in associazione che in vivace alternanza al rosso, sulla cornice superiore della cassa con ovuli tracciati su fondo rosso e sui panneggi di quasi tutte le figure; ricorre inoltre sul corpo dei mostri angui-formi nei peducci dell’urna e sulla patere umbilicate nel fregio inferiore (fig. 6 c). Si tratta di un colore a base di rame, il cui contenuto è stato mobilizzato (sciolto e ridepositato) a causa dell’umidità dell’ambiente.La sovrapposizione dei colori rosso/verde della cornice superiore, meno funzio-

nale come uso di strati di fondo, sembra corrispondere piuttosto a un ripensamento per ottenere un’alternanza dei colori, criterio che uniforma del resto tutta l’urna nel suo complesso.

• Un campione di colore GiALLo bRiLLAntE (= G), dal bracciale della figura fem-minile (Cassandra), osservato in micro analisi al S.E.M., è risultato costituito da un composto in cui predomina il ferro: si tratta pertanto di ocra gialla, con cui sono trattati singoli dettagli e soprattutto i monili indossati dalle figure, eviden-temente in sostituzione dell’oro: es. orecchini e torques del demone alato, torques e armille al collo e alle braccia dei personaggi. Anche se l’oro, usato in lamine sottilissime (di ca. 2 micron) era in quest’epoca facilmente disponibile e relativa-mente poco costoso, dobbiamo considerare come la sua applicazione su piccole porzioni del rilievo richiedeva comunque una maggior accuratezza rispetto a una più semplice stesura di colore. Sotto il giallo era presente una sottile LAMinAzionE biAncA da attribuire forse

ad uno strato di preparazione per il colore, osservabile anche in altre aree della stes-sa urna, fra i cui componenti risultarono silice, alluminio e stagno, con prevalenza di quest’ultimo elemento (Sn), che aveva fatto pensare alla Cassiterite, minerale di colore bianco a elevato indice di rifrazione, assai adatto come sottofondo di colore molto brillante. Il dato, rimasto senza altri riscontri, potrebbe ricollegarsi all’uso di sovrapposizioni di colore osservato recentemente per il bianco di piombo applicato sull’alabastro come sottofondo per gli altri colori nel sarcofago delle Amazzoni e sui

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monumenti funerari macedoni.13 Tutte le figure mostrano poi gli occhi e i dettagli del volto segnati da colore bRuno/nERo (= atramentum).

Ne risulta nell’insieme (fig. 7) una trattazione piuttosto convenzionale cui si uniforma anche la policromia, dove l’o-ro è assente, in cui tuttavia si riconosce un’attenzione quasi eccessiva al dettaglio, evidente anche nell’applicazione di una discreta gamma di colori fittamente alter-nati fra loro che riguardano l’apparato or-namentale, mai in apparenza gli incarnati delle figure rappresentate.

Se passiamo a esaminare più in det-taglio esemplari di elevata qualità artisti-ca, attribuibili agli anni centrali del II sec. a.C., dove la scelta di un materiale di buo-na qualità si accompagna a una raffinata policromia, significativa è l’urna con rap-presentazione del mito di Telefo – Volter-ra, Museo Guarnacci, inv. 51114 – realizzata in alabastro compatto di tessitura omo-genea, di colore miele translucido; per l’alto livello è stato attribuita allo stesso atelier che ha prodotto l’urna da Barberino al Museo Archeologico di Firenze (figg. 8-10). L’applicazione delle notazioni policrome con presenza predominante delle dorature conferma il grado di ricercatezza formale del manufatto.

L’oro, applicato in foglia, la cui tessitura appare a tutt’oggi piuttosto compatta, aderente alla superficie lapidea è per così dire resa più solidale con questa, in quanto variamente inglobata nel componente alabastro in seguito a dissoluzioni e ricristal-lizzazioni di composizione carbonatica ridepositatisi sulla superficie dell’oro. Questa conserva ancora quasi ovunque tutta la brillantezza e l’integrità di superficie copren-te, anche sotto quella sorta di “glassatura” conferitagli dallo strato bianco cristallino, a eccezione di alcune parti, in origine sicuramente dorate, dove l’oro è caduto la-sciando al suo posto residui di colore nero.

L’oro ricorre in parecchi elementi della figurazione, di dettaglio rispetto alla scena rappresentata, a cominciare dalle PARtizioni ARchitEttonichE che definisco-no il contesto strutturale in cui si svolge la scena: dorature sulla cornice superiore consistente in tre successivi fregi a perline, alternati a listello su cui forse era dipinto un kyma (lesbio?) in colore rosso e modanatura a dentelli non interessati dal colo-

Fig. 7. Idem. Restituzione della policromia (ela-borazione grafica di M.C. Panerai).

13 Brécoulaki 2000, 199-201; Brécoulaki 2001; Giachi – Pallecchi – Colombini et alii 2007.

14 Cateni 1986, 94, n. 106, Inv. 511.

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re. Nella parte inferiore della cassa nuovi fregi di perle erano accompagnati da un fregio di foglie dipinto di rosso, colore che forse doveva ricorrere in maggiore ab-bondanza di quanto sia oggi riscontrabile. Il capitello della colonna ionica nel fondo della scena a sinistra è sottolineato da profilo dorato sia nell’occhio interno alle volute che nel fregio e nel cuscino superiore.

MoniLi E GioiELLi: in questo caso l’oro, oltre che elemento decorativo di in-dubbio effetto, richiama anche la consistenza materica degli oggetti, concorrendo a mettere in risalto la ricchezza dei personaggi rappresentati: diademi, armille, torques e orecchini delle figure femminili di Lasa e Clitennestra; le cinture di quasi tutti i per-sonaggi, la fibula circolare che chiude sul petto il mantello di Telefo, le orlature delle

Fig. 8. Volterra, Museo Guar-nacci: urna con mito di Telefo (inv. 511).

Fig. 9. a-b-c. Idem. Particolari degli elementi interessati da do-ratura.

Fig. 10. a-b-c-d. Idem. Particolari degli elementi interessati da do-ratura.

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vesti e dei mantelli sono evidenziate dall’applicazione di foglia d’oro. L’oro serve anche a delineare in spesso profilo le ALi della figura di Lasa.

ARMi E EquiPAGGiAMEnti: la doratura ricorre poi a sottolineare gli oggetti in metallo (certamente non d’oro), attributi che connotano l’azione della scena, come il gladio impugnato con movimento ritmico parallelo sia da Agamennone che da Te-lefo presso l’altare, e ritorna sia sul bordo esterno dello scudo del guerriero in piedi a sinistra che sul profilo decorato a perline imbracciato da Agamennone.

LinEAMEnti DEL VoLto: i dettagli dei volti dei singoli personaggi sono accurata-mente tracciati con semplice linea di colore nero per il profilo superiore dell’occhio, la pupilla, l’arco sopracciliare; e di colore rosso per la linea interna delle labbra; la realizzazione sembra ottenuta con l’ausilio di un pennellino intinto nel colore dilui-to.

Le parti nude dei coRPi, sia maschili che femminili o pertinenti a creature de-moniache, erano escluse dalla policromia.

Si pone qui la questione della metodologia impiegata per l’applicazione della la-mina aurea, in spessore di ca. 2 micron sulla superficie lapidea, se effettuata con l’uso di missione o mordente, in base a quanto riportato dal testo pliniano: in tal caso questo sarebbe riconoscibile dal residuo colore nero o bruno violaceo spesso associato alla do-ratura. Comunemente la presenza di tali tracce nei manufatti archeologici – con colori che variano dal nero al rosso al violaceo – viene interpretata tout court come attestazione della sostanza “collante” per l’oro (anche in mancanza dell’oro stesso!). Impraticabile per il materiale lapideo il metodo di doratura con amalgama a caldo ottenuta con mer-curio, si pensa in genere a un’applicazione a freddo della lamina d’oro (Plin. XXXV, 36; XXXIII, 64) ottenuta con leggera pressione sulla superficie trattata con una so-stanza organica (chiara d’uovo, colla animale?) in funzione adesiva.15 Poco sappiamo di eventuali stesure di protezione e/o di finitura superficiale che dovevano interessare l’urna dorata e policromata. La situazione però risulta complicata da fattori diversi che vedono all’esame analitico presenza di sostanza nera sia isolata che sui margini della foglia d’oro e talvolta al di sopra dell’oro stesso, qualora non ricoperto da incrostazione gessosa; inoltre la sezione lucida e sottile eseguita in laboratorio su un campione prele-vato sul margine superiore del fregio a perline non ha permesso di riscontrare, in luce riflessa, presenza di strato nero interposto fra l’oro e il substrato lapideo.

Come si vede le analisi per il momento offrono risposte non definitive in pro-posito, tenuto conto anche del grado di ossidazione e deterioramento della sostanza originale. Lo strato nerastro o violaceo potrebbe in via ipotetica imputarsi alla disso-luzione dell’oro in presenza di sostanza riducente (?) contenuta nel collante organico utilizzato per l’adesione della lamina.

Nel senso di un uso limitato e raffinato della policromia può leggersi anche l’inserzione di un nucleo di pasta vitrea azzurra nell’occhio di un personaggio eroi-

15 Cfr. le risultanze di un legante a base di gomma arabica su un sottofondo di ocra gialla nell’impiego

della doratura su materiale lapideo dalle tombe dei so-vrani macedoni, in Brécoulaki 2000, 212-213.

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co16 osservata su un altro esemplare di urna volterrana in alabastro (inv. n. 371) che non ha rivelato al momento altre notazioni a colore.

I sarcofagi romani

Molti dei caratteri riscontrati per la policromia delle urne si ritrovano nel rilievo funerario di età romana, in particolare per quanto riguarda la classe dei sarcofagi romani di cui per lo più differente è stata la sorte conservativa rispetto alle originarie patinature e/o coloriture, segnata spesso da una prolungata permanenza all’aperto e dal frequente reimpiego funzionale nelle epoche successive ad es. come vasca di fontana o come nuovo sepolcro. L’azione degli agenti atmosferici, le aggressive pu-liture e restauri non bastano forse a giustificare la scomparsa pressoché totale delle coloriture, in mancanza di studi più approfonditi sulle modalità e tecniche di esecu-zione che per la classe dei sarcofagi romani sono ancora in gran parte da impostare.17 Difficoltà legate ancora una volta al fatto che, ad eccezione di casi celeberrimi (come i sarcofagi Ludovisi, da Acilia, dalla via Casilina, ecc.), la presenza del colore venga solo sporadicamente e marginalmente segnalata nei principali repertori delle colle-zioni di sarcofagi.18

È d’altra parte innegabile come, a un esame superficiale, sarcofagi e urne di età romana sembrano aver conservato in misura minore la policromia originale, visibile per lo più in piccoli tocchi lineari o sottolineature spesso entro le cavità del rilievo, forse a causa di un cambiamento nell’uso del colore come mezzo per accrescere gli effetti di luce-ombra, se non per un cambiamento della tecnica e per l’impiego di pig-menti più deperibili, come accade per la pittura murale coeva. Conforta comunque che in questi ultimi anni, una banale pulitura dei depositi accumulati effettuata sui sarcofagi del Museo Nazionale Romano in occasione del riallestimento di queste col-lezioni, abbia portato a “riscoprire” in più di un caso policromie originali,19 accanto al riesame di pezzi di grande interesse, come il sarcofago con composizione pastorale del Museo Pio Cristiano, estesamente dorato (per cui cfr. Liverani in questo stesso volume).

16 Vedi Brinkmann 2004, 209-224.17 Il progetto di censimento – avviato da chi scrive

negli stessi anni e presto sospeso – dei sarcofagi romani che segnalavano presenza di colore, è oggi ripreso da Eliana Siotto con l’ausilio di un sistema informatizzato applicato ai Beni Culturali sui sarcofagi delle collezio-ni vaticane, e patrocinato dalla Scuola di Dottorato in Archeologia dell’Università di Pisa, in collaborazione con la Soprintendenza ai BeniAAAS di Pisa e i Musei Vaticani.

18 L’interesse per la policromia dei sarcofagi ro-mani sembra datare dal rinvenimento, a Roma nel 1930, di un sarcofago con rappresentazione dionisia-ca (Roma, Museo dei Conservatori) e dal lavoro av-

viato per questo da Antonio Pietrogrande (1933) che estese queste risultanze ad altri esemplari, avviando le prime proposte di sistematizzazione circa l’uso del colore sui sarcofagi romani. Molte delle sue prezio-se osservazioni sono rimaste allo stadio di appunti, di recente in parte presi in esame da Marina Sapelli (2003). Un qualche approccio innovativo si deve an-che a Paul Philippot (1980) il quale dedicò un artico-lo alla policromia sui sarcofagi in cui evidenziava il passaggio da una concezione del colore come parte integrante della forma plastica a una policromia ot-tica, preludio alle soluzioni adottate in pittura o nel mosaico bizantino.

19 Cfr. Sapelli 2001; Spinola 2001.

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Il frequente riuso già in età tardoan-tica e nel Medioevo come tombe di pre-stigio ha comportato spesso l’aggiunta di policromia o una nuova ripolicromatura del rilievo, in modi che sorprendono per l’apparente continuità tecnologica e in-ducono talvolta a dubitare che si tratti di una rinnovata stesura su strati preesisten-ti. Questo è il caso di alcuni sarcofagi del Camposanto Monumentale di Pisa, finora non analizzati sotto questo aspetto, fra cui si segnala il sarcofago strigilato riutilizzato come tomba duecentesca del beato Do-menico Vernagalli,20 con resti molto evidenti di colore emersi in particolare dopo l’intervento recente di pulitura: esso interessa tutta l’area del clipeo che contiene il busto rilavorato del defunto (e forse il nimbo dello stesso), nonché i campi figurati laterali con eroti tedofori, a fondo verde rame con dettagli rossi, mentre sulla cornice superiore sussistono tracce di probabile doratura per un fregio a dentelli (?) che ri-chiama da vicino gli esempi visti sopra (fig. 11).

E un altro esempio della stessa collezione pisana è offerto dal sepolcro del Beato Giovanni della Pace, fondatore di una congregazione di ordine terziario, murato alla parete sud, con analogo gusto dei fondi verdi con poche tracce di rosso nei campi figurati con eroti funerari, cui si accompagnava una scena dipinta con il defunto disteso fra due angeli sulla parete soprastante la cassa marmorea relativa al momen-to della deposizione del beato Giovanni nel 1331 (fig. 12, a-b). Interessante appare la ricompaginazione della cassa di sarcofago antico, con nuovi tocchi policromi ed elementi pittorici di nuovo significato sulla parete sud del Camposanto, presso il pri-mitivo ingresso di questo.21

Meno facile decidere in merito ad altri casi come quello del sarcofago strigi-lato con clipeo centrale e cornucopie dalla chiesa di S.ta Giusta di Gesico (Museo di Cagliari) abbondantemente policromato e dorato, forse anche qui in relazione al reimpiego come reliquario (per S. Amatore?)22, o quello fiorentino conservato nella prima cappella laterale sinistra della Chiesa di Santa Trinita (databile alla metà del III sec. d.C.) e reimpiegato per Giuliano Davanzati nel 144423. Anche qui la doratu-ra, ancora presente in abbondanza, riguarda sia il muso della protome leonina con anello nelle fauci che la figura del Buon Pastore al centro della cassa; degno di nota anche in questo caso il rimando, certo intenzionale, al dipinto realizzato per l’attigua

20 Trasferito in Camposanto nel 1812 dalla pre-cedente sistemazione sotto l’altare nella chiesa di San Michele in Borgo; cfr. Donati 1996, 108-110, fig. 8.

21 Donati 1996, 89-93, figg. 1-3.

22 Pesce 1957, p. 54, n. 21, figg. 46-48.23 Saladino 1983, 1-26, tav. I, 1-3; Chiarlo 1983,

125-126, figg. 4, 7.

Fig. 11. Pisa, Camposanto Monumentale: Sar-cofago reimpiegato come sepoltura del Beato Vernagalli (1219), particolare del clipeo con ri-tratto del beato.

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cappella Sassetti dove la rappresentazione della natività vede appunto una cassa di sarcofago, utilizzato quale mangiatoia e culla per il Bambino divino, forse allusione a un analogo destino di rinascita.

Qualche considerazione generale

Rifacendosi alle premesse iniziali circa lo stato della ricerca, le condizioni di conser-vazione degli oggetti e l’incapacità per noi di avere la reale percezione di quale fosse l’effetto ricercato dal manufatto finito e nel contesto ambientale cui era destinato, si può tentare comunque di trarre alcune considerazioni di carattere generale sulla base del modesto campione fin qui esaminato e della ricognizione condotta, da sot-toporre a verifica.

L’uso, parziale o integrale, della policromia, resa più efficace in entrambi i casi dalla collocazione al buio delle camere sepolcrali, è in ogni caso una costante e si differenzia in base a diversi parametri, dipendenti in primo luogo dalle tipologie del manufatto archeologico anche in termini di qualità artistica e del materiale litoide utilizzato, in cui è forse possibile cogliere l’evolversi di linee significanti, di prassi di bottega e di tendenze artistiche.

In particolare per quanto riguarda la produzione delle urne, l’uso esteso della policromia ad arricchire la figurazione in rilievo sembra affermarsi negli anni centrali della produzione, mentre abbiamo visto che quelle della prima produzione volterrana (in qualche caso appartenenti ancora alla fine del IV sec. a.C.), in terracotta o pietra locale a cassa liscia, sembrano prediligere la presenza di motivi figurati o vegetali an-che singoli esclusivamente affidati al mezzo pittorico. Questo era il caso ad esempio dell’urna (Volterra, Museo Guarnacci, inv. n. 602) con la rappresentazione del defunto che incede nel suo viaggio agli Inferi a cavallo preceduto da due figure appiedate, di

Fig. 12. a.-b. Camposanto Monumentale: Sarcofago del Beato Giovanni della Pace (1300) murato alla parete. Particolare del campo figurato sinistro.

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cui oggi si coglie solo la pallida sagoma di colore rosso. Oppure si può riscontrare su una coppia di urne realizzate in tufo (inv. 530-531), con motivo di girale schematico orizzontale, dipinto nei colori rosso/giallo e nero con intenzione prospettica, che corre sui tre lati della cassa, tracciato all’interno di linee guida incise nella pietra; mentre sul coperchio displuviato un fregio di grandi ovuli è tracciato a semplice linea rossa.

Ma con il prevalere della lavorazione a rilievo che interessa solo il lato frontale del-la cassa – corrispondente a mutamento artistico, ma certo anche all’impianto di officine specializzate che rinnovano il repertorio decorativo di tale classe – non si rinuncia alla notazione coloristica di cui si sfruttano le potenzialità. Ciò si verifica in esemplari più modesti in cui il colore, utilizzato a campitura piena, vivacizza l’effetto decorativo di un rosone multipetalo segnato da colori alternati rosso/blu scuro su campo ribassato a fondo nero (fig. 13); oppure in casi di più alto livello tecnico, come l’urna (Volterra, Mu-seo Guarnacci, inv. n. 73; fig. 14) in cui una figura di demone marino (Scilla?) occupa la fronte con le estremità anguiformi dispiegate ai lati, certo intenzionalmente dipinte di blu come pure in verde sono le ali dipinte sul fondo, mentre il resto del corpo compreso il volto e la capigliatura sono interamente colorati di rosso. La figura è arricchita poi con sottolineature tracciate finemente a pennello con vernice diluita rosso brillante a segnare certi dettagli del rilievo, come nel gonnellino di foglie, e nelle partizioni interne del corpo umano e pisciforme; lo stesso tratto di colore rosso ricorre inoltre quale linea di contorno della figura per accrescerne l’effetto di profondità.

In sottordine alle casse, anche i coperchi – di cui quasi mai è possibile ristabilire la giusta associazione – mostrano qualche notazione di colore, per lo più affrettata, che riguarda sia le figure recumbenti del defunto, negli accessori dell’abbigliamento e in particolare nel volto, spesso tinto di rosso, esteso fin nell’interno dell’occhio, o di nero, che allude probabilmente alla dimensione ultraterrena.24 Ma soprattutto il

24 Per la convenzione di dipingere gli occhi di rosso attestata dalle fonti per rappresentazioni umane ideali,

cfr. Rouveret 2006, 23-25.

Fig. 13. Volterra, Museo Guarnacci: urna con rosone multipetalo.

Fig. 14. Volterra, Museo Guarnacci: urna con fi-gura di Scilla (inv. n. 73).

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colore ricorre negli attributi recati dal defunto, di cui sussiste un’ampia casistica (es. dittici, patere, flabelli, ghirlande) o sulla klìne su cui si trovano a giacere; non man-cano anche qui casi di maggiore raffinatezza formale, con presenza di dorature, per esempio nelle guarnizioni del cuscino o dei materassi su cui il defunto si appoggia (cfr. fig. 4).

Ma è soprattutto in rapporto all’impiego di maestranze di formazione ellenica e di un repertorio mitologico scelto, oltre che all’uso di materiali più pregiati, marmo o alabastro di migliore qualità – indizio di una committenza di rango più elevato – che si osserva un maggiore grado di affinamento della resa cromatica: l’utilizzo dell’oro non può non essere un marcatore ulteriore in tal senso.

In presenza di abbondanti dorature sembra che la palette degli altri colori si ri-duca, contemplando la possibilità di lasciare superfici a vista della figurazione, come si è visto sull’urna con mito assimilabile al ciclo troiano di Telefo che minaccia Oreste (ma vedi anche l’urna Museo Guarnacci inv. n. 348 con rappresentazione corrispon-dente): in particolare in questi casi le parti nude dei carnati possono essere lasciate nel colore naturale della pietra sfruttandone le proprietà di riflessione cromatica.

Al contrario la produzione di urne fittili, realizzate a stampo, è interessata da una copertura più estensiva della policromia, sia sul fondo che sulle superfici del ri-lievo, dove il colore è applicato in una gamma più variata, anche in più strati sovrap-posti, per non rinunciare agli effetti di profondità e alla sovrabbondanza di dettagli e accessori, come è stato osservato per altri prodotti della coroplastica antica.25

Quanto alla resa del piano di fondo, apparentemente privo di colore negli esem-plari lapidei esaminati, questo ha tuttavia grande risalto nell’esemplare sopra citato di urna delle collezioni fiorentine, recentemente esposta in Mostra a Volterra, con fondo uniforme azzurro su cui si stagliano le figure quasi in altorilievo del mito greco di Pelope e Ippodamia. Anche sui sarcofagi la presenza di sfondi a colore, segnalata a suo tempo dalla Gütschow su alcuni esemplari cristiani, non è attestata con certezza, mentre sappiamo che era comune nella tradizione del rilievo architettonico greco, a partire dall’età tardoarcaica26 (Aristotele, Meteorol. 1, 5).

Una tendenza al linearismo nell’uso del colore, pure sempre presente, sembra prevalente nella produzione più tarda di urne volterrane, col progressivo ridursi della dimensione dell’urna nel corso del I sec. a.C., che accentua il decorativismo di alcuni elementi, caratteristica che è stata osservata anche su una ampia serie di sarcofagi romani, ma tale affermazione andrebbe testata da una casistica più ampia; in tal caso la policromia sembra ridursi per lo più a due uniche notazioni, affidandosi esclusiva-mente al rosso e nero. Ciò si traduce anche in esempi di esecuzione vivace, come nel caso dell’urna con scena di viaggio agli Inferi in carpento (Volterra, Museo Guarnac-ci, inv. 711, fig. 15) appartenente alla classe cosiddetta “del dittico” identificata con una delle più tarde officine volterrane. Qui il colore appare del tutto separato dalla

25 Cfr. ad es. statuette in terracotta di età ellenisti-ca cit. da Brinkmann 2004, 217-218.

26 Walter-Karydi 2004, 225-234.

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forma plastica, accompagnando o sottolineando solo alcune partizioni, ad esempio quando delinea la cornice superiore con linee sbrigative, oppure segna verticalmente le zampe dei muli del traino, o decora il telone del carro con fasce a denti di lupo nell’incrocio del telaio e la ruota dello stesso o segna la profondità all’interno del carro.

Altri esemplari di urne a cassetta piccola con coperchio a lastra (Volterra, inv. 635, I sec. a.C. fig. 16), tipologicamente ormai inquadrabili nella serie delle urne romane, mostrano un motivo vegetale piatto, con notazioni generiche di vari colori con una certa attenzione al naturalismo, es. per il piumaggio degli uccelli.

Quanto all’altro aspetto che conduce all’intenzionale ricerca di naturalismo o convenzionalismo nella tecnica policroma e nella scelta dei colori adottati, sono pre-senti elementi che portano a tutte e due le conclusioni. Tale posizione non è prero-gativa esclusiva delle urne etrusche, ma va analizzata su più ampia scala unitamente alla ricerca di valori semantici che dovevano essere chiari allo spettatore/fruitore – per cui i capelli della divinità erano dorati o le creature degli Inferi avevano la pelle di colore blu/nero – accanto a uno spiccato decorativismo, presente in esemplari della plastica minore come qui ma anche nella statuaria. La policromia non può essere analizzata come un fenomeno a sé stante, ma in relazione al contesto artistico e cro-nologico di riferimento, oltre che funzionale e semantico del monumento antico.

Linee di indirizzo nell’esame della policromia

Al fine di rendere omogenei i dati rilevati si può proporre quindi una sorta di proto-collo di aspetti rilevanti o moduli ricorrenti organizzato per serie di punti qui elenca-

Fig. 15. Volterra, Museo Guarnacci: urna con scena di viaggio agli Inferi in carpento (inv. 711).

Fig. 16. Volterra, Museo Guarnacci: urna di produzione tarda, con tralcio vegetale e pavoni (inv. 635).

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ti, utili all’individuazione di categorie oggetto della policromia all’interno delle serie indagate, sulle quali la ricerca dovrà in ogni caso confrontarsi:

1 – applicazione del colore per campiture unitarie sulla superficie del rilievo: individuazione degli elementi più frequentemente interessati dalla policromia, esiste una gerarchia?

2 – assenza ricorrente di colore su alcune parti, es. parti carnee dei personaggi3 – presenza di sfondo ottico per la rappresentazione, trattato a colore4 – sottolineatura a colore di dettagli del rilievo5 – utilizzo del mezzo pittorico per l’arricchimento della figurazione e/o uso esclusivo del

colore quale complemento per dettagli non eseguiti a rilievo6 – uso delle linee di contorno degli oggetti rappresentati, e con effetto impressionistico7 – resa naturalistica oppure uso simbolico e convenzionale dei colori utilizzati8 – sovrapposizione di colori per creare particolari effetti luministici9 – occorrenze o funzione esclusiva delle dorature nella ricerca dell’effetto cromatico10 – identità/rapporto fra repertorio decorativo e trattazione policroma11 – corrispondenza fra livello artistico del manufatto e applicazione del colore12 – incidenza del materiale usato nella resa della policromia e di conseguenza del mezzo

tecnico adottato13 – aspetti tecnici delle stesure del colore: eventuali strati di preparazione del supporto la-

pideo, presenza di bolo o missione, leganti del colore, sovradipinture, uso di fissativi o interventi di finitura superficiale

14 – sviluppo o tendenze del fenomeno individuabili all’interno delle serie analizzate in rap-porto alle aree di produzione, a fattori inerenti l’artigianato artistico e al dato cronolo-gico

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