L’arte Maya del Periodo Classico e il posizionamento spaziale del passato

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Giancarlo Sette L’arte Maya del Periodo Classico e il posizionamento spaziale del passato Le placche da cintura regale, in giadeite Pieces of this type, when ornamented by incising, tend to feature an image on one face and a glyphic text on the other. The image is usually that of a standing figure facing viewer’s left.(Houston & Amaroli, 1988, pag. 4, “Oggetti di questo tipo, quando sono decorati da incisioni, tendono a riportare un'immagine su un lato e un testo glifico sull'altro. Di solito, l’immagine è quella di una figura in piedi rivolta verso la sinistra dell’osservatore”, trad. mia). Questa osservazione si riferisce alle immagini incise su alcune placche da cintura in giadeite, che i sovrani Maya del Periodo Classico (200 d.C. 800 d.C.) portavano appese alla cintura. Solitamente, queste placche erano raggruppate in numero di 3 ed erano legate a una maschera appesa alla cintura regale, maschera che rappresentava un antenato o una divinità. L’osservazione mi ha incuriosito e mi sono chiesto per prima cosa se il fatto che la figura sia di solito rivolta a sinistra di chi osserva corrisponda alla realtà e secondariamente se questo avesse un particolare significato. Si conoscono solo 3 placche intatte che riportano immagini simili: la cosiddetta Placca di Leida (c. 320 d.C.), ritrovata nel nord del Guatemala, oggi al Rijksmuseum voor Volkenkunde di Leida, Olanda, quella di provenienza ignota (c. 435 d.C.), attualmente di proprietà del Museo Kimbell, Fort Worth, Texas, e quella forse da Rio Azúl (Mora Marín, 2008, fig. 3) o da Tikal, esposta al Miho Museum di Kyoto, Giappone (http://research.famsi.org/uploads/montgomery/354/image/JM00913UpvJadeCeltFr2.jpg) . E’ molto probabile che queste ultime due facessero parte di uno stesso gruppo di 3. Pag. 1 A sx, fig. 1: disegno del recto della placca di Leida. Rinvenuta nel 1864, a Bahia Graciosa (Guatemala), il testo glifico inciso sul verso porta una data nel computo lungo corrispondente al 320 d.C. Un più dettagliato disegno si trova qui http://research.famsi.org/uploads/ schele/hires/04/IMG0089.jpg A dx, fig. 2: foto della placca del Kimbell Art Museum, forse proveniente Rio Azul o Tikal. Il testo glifico inciso sul verso porta una data corrispondente al 435 d.C. e nomina un personag- gio, Machaak, ricordato anche nella placca del Museo di Kyoto. Vista anche la grande somiglian- za stilistica delle incisioni sul recto delle 2 placche, si pensa facessero parte della stessa “triade” da cintura regale e quindi provengano dalla stessa località.

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Giancarlo Sette

L’arte Maya del Periodo Classico e il posizionamento spaziale del passato

Le placche da cintura regale, in giadeite

“Pieces of this type, when ornamented by incising, tend to feature an image on one face and a glyphic text

on the other. The image is usually that of a standing figure facing viewer’s left.” (Houston & Amaroli,

1988, pag. 4, “Oggetti di questo tipo, quando sono decorati da incisioni, tendono a riportare un'immagine su

un lato e un testo glifico sull'altro. Di solito, l’immagine è quella di una figura in piedi rivolta verso la

sinistra dell’osservatore”, trad. mia).

Questa osservazione si riferisce alle immagini incise su alcune placche da cintura in giadeite, che i sovrani

Maya del Periodo Classico (200 d.C. – 800 d.C.) portavano appese alla cintura. Solitamente, queste placche

erano raggruppate in numero di 3 ed erano legate a una maschera appesa alla cintura regale, maschera che

rappresentava un antenato o una divinità.

L’osservazione mi ha incuriosito e mi sono chiesto per prima cosa se il fatto che la figura sia di solito rivolta

a sinistra di chi osserva corrisponda alla realtà e secondariamente se questo avesse un particolare significato.

Si conoscono solo 3 placche intatte che riportano immagini simili: la cosiddetta Placca di Leida (c. 320

d.C.), ritrovata nel nord del Guatemala, oggi al Rijksmuseum voor Volkenkunde di Leida, Olanda, quella di

provenienza ignota (c. 435 d.C.), attualmente di proprietà del Museo Kimbell, Fort Worth, Texas, e quella

forse da Rio Azúl (Mora Marín, 2008, fig. 3) o da Tikal, esposta al Miho Museum di Kyoto, Giappone

(http://research.famsi.org/uploads/montgomery/354/image/JM00913UpvJadeCeltFr2.jpg) .

E’ molto probabile che queste ultime due facessero parte di uno stesso gruppo di 3.

Pag. 1

A sx, fig. 1: disegno del recto

della placca di Leida. Rinvenuta

nel 1864, a Bahia Graciosa

(Guatemala), il testo glifico

inciso sul verso porta una data nel

computo lungo corrispondente al

320 d.C.

Un più dettagliato disegno si

trova qui

http://research.famsi.org/uploads/

schele/hires/04/IMG0089.jpg

A dx, fig. 2: foto della placca del

Kimbell Art Museum, forse

proveniente Rio Azul o Tikal.

Il testo glifico inciso sul verso

porta una data corrispondente al

435 d.C. e nomina un personag-

gio, Machaak, ricordato anche

nella placca del Museo di Kyoto.

Vista anche la grande somiglian-

za stilistica delle incisioni sul

recto delle 2 placche, si pensa

facessero parte della stessa

“triade” da cintura regale e quindi

provengano dalla stessa località.

Nelle incisioni presenti su queste placche si nota bene dove e come esse erano collocate: le 3 placche

pendevano tra le gambe del sovrano, posizione che viene spiegata, tra l’altro, con l’omofonia tra le parole

Maya tun (pietra, giada) e ton (scroto, testicoli).

Oltre alle 3 placche intere appena presentate, se ne conoscono almeno 7 riconoscibilissimi frammenti: 1 pro-

veniente da Igualtepeque, Lago Güija, El Salvadòr (Houston & Amaroli, 1988, pag. 3), 1 conservato al

Dumbarton Oaks Museum di Washington D.C. (Schele & Miller, 1986, pag. 82), 4 conservati presso il

Museo del Jade di San José di Costa Rica (INS cat. nr. 4442, 4439, 4447 e 2007, León, 1982 pag. 239,

Balser, 1993, lam. 42, 43 e 46) e 1 identificato da Mora Marín (2008, fig. 3), rinvenuto a Cerro de las Mesas

(Belize), forse in origine proveniente anch’esso da Rio Azúl ma pesantemente rilavorato in Costa Rica (e

poi, tornato nei territori Maya…)

In tutti questi 10 oggetti è evidente che la figura umana incisa sul recto è rivolta verso la sinistra dell’osser-

vatore, anche se nei 7 frammenti la figura non è intera.

A parte quello identificato da Mora Marín, sul verso degli altri ci sono iscrizioni glifiche, parzialmente

leggibili, che portano: una data scritta con il sistema del computo lungo, il nome di una cerimonia, quello del

possessore, in genere un sovrano, e a volte, come nel caso della Kimbell e della Miho, anche il nome di un

nobile, subordinato al sovrano. Nei casi in cui è stato possibile identificare la cerimonia (le 3 intere, quella

nel Dumbarton Oaks Museum e 2 delle costaricensi), si tratta di un autosalasso da parte del sovrano o

l’intronizzazione dello stesso, che pure avveniva dopo un autosalasso.

Raffigurazioni molto simili sono scolpite su numerose stele che celebrano l’intronizzazione di un sovrano o

l’autosalasso di questi in occasione di particolari ricorrenze. In effetti, le placche da cintura sono statue-stele

in miniatura. Le stele ancora esistenti e leggibili sono veramente molte, elencarle ed esaminarle tutte è

virtualmente impossibile. Esaminiamone quindi alcune, relative appunto alla intronizzazione e/o

all’autosalasso.

Le stele dei Maya relative all’autosalasso

Una delle più antiche stele note che ritraggono un sovrano divinizzato è la stele 11 di Kaminaljuyú, datata al

Periodo Preclassico Medio, circa il 200 a.C.

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Fig. 3: Kaminaljuyú stele 11, Periodo Preclassico Medio, c. 200 a.C.

Museo Nacional de Arqueología y Etnología, Città di Guatemala.

Assieme a motivi tipici del Periodo Classico (p. es. il giglio d’acqua sopra il

copricapo) questo bassorilievo mostra ancora chiari caratteri olmecoidi, come

la maschera indossata dal personaggio, (v. per es. il monumento 19 di La

Venta), e il motivo nell’angolo in basso a destra della gonna, che richiama la

caverna primigenia degli Olmechi (v. per es. il monumento 9 di Chalcatzingo).

Il sovrano, del quale si ignora il nome, è ritratto in piedi, di profilo, rivolto

verso la sinistra dell’osservatore. Indossa una maschera di uccello e porta

quelli che sono considerati i primi esempi dei segni della avvenuta cerimonia

dell’autosalasso. Dall’alto cala su di lui l’uccello celeste (personificazione

della divinità che in seguito sarà chiamata Itzamná), mentre sotto i suoi piedi

si aprono le fauci del mostro terrestre (il futuro Cauac). Quindi, il sovrano è

ritratto nel momento in cui si è trasformato nel legame spirituale tra il mondo

celeste e quello sotterraneo, venendo forse a personificare il dio-sole all’alba.

Qui, un disegno che ne evidenzia tutti i particolari

http://research.famsi.org/uploads/montgomery/hires/JM05714.jpg

Pag. 3

Fig. 5: Tikal, stele 31, Periodo Classico Iniziale, 445 d.C.

Museo delle Ceramiche di Tikal.

Fu la prima stele di Tikal a essere scolpita su tutte e 4 le facce, al

verso è stata scolpita la più lunga iscrizione glifica del Periodo

Classico Iniziale nota sino ad oggi.

Siyaj Chan K'awiil II, 17° sovrano di Tikal, è ritratto alla fine

della rito di autosalasso che precede l’accesso al trono, mentre sta

avendo la visione dell’antenato divinizzato.

Al di sopra di lui fluttua il ritratto del padre, Yaax N’un Ajyiin I,

la mano destra di Siyaj regge il ritratto del nonno, Jatz'om Kuh,

mentre sulcopricapo di Siyaj è ritratto il fondatore della dinastia,

Yax Ehb’ Xook.

Notare come la cintura di Siyaj Chan K'awiil II sia ornata con le

maschere di due divinità, probabilmente i due gemelli-eroi

Hunahpu e Xbalanque. Da ciascuna maschera pendono 3 placche,

del tutto uguali, nella forma, a quelle illustrate in precedenza.

I dettagli si vedono meglio in questo disegno

http://research.famsi.org/uploads/montgomery/333/image/JM000

852TikSt31LFr.jpg

Fig. 4: la cosiddetta Stele Hauberg, Periodo Preclassico Tardo o

Protoclassico, 197 d.C. (Schele, Mathews & Lounsbury, 1990)

Princeton University Art Museum

Questa stele è particolare sia per la scena rappresentata, sia per-

ché è molto piccola, misura solo 84 cm in altezza, il personaggio

al centro è alto circa 45 cm, copricapo escluso.

Non ne è nota la provenienza, stilisticamente sembra molto vicina

alle stele di Tikal datate allo stesso periodo.

Come si legge nei glifi 7, 8 e 9 della colonna a sinistra, Bac T’ul,

signore della città nominata nel 13° glifo, ha appena compiuto il

rito dell’autosalasso. Il 14° glifo dice che 52 giorni dopo egli

celebrò l’accesso al trono (Schele & Miller, 1986, pag. 191).

Il sovrano indossa la maschera del dio sole e lungo il suo corpo si

snoda il “serpente della visione”, probabile simbolo celeste e per-

sonificazione del “condotto” apertosi tra il sovrano e “l’ultramon-

do” in conseguenza del salasso: la sua mano destra è atteggiata

nella classica posizione dello spargimento di sangue e sotto di

essa c’è l’albero personificazione dell’axis mundi, lungo il quale

scende il sangue versato, personificato da tre esseri soprannaturali

(Schele, 1983, pag. 140).

Lungo il serpente si arrampicano 4 divinità, forse GI e GIII di

Palenque con i loro duali, la coda termina con una lama di ossi-

diana utilizzata per l’autosalasso e dalle fauci del serpente esce il

volto del divino antenato evocato (ibid., pagg. 143-144), segno

dell’avvenuta visione e della presa di contatto.

Tutti i dettagli si vedono meglio qui

http://research.famsi.org/uploads/schele/hires/11/SD7644.jpg

La scena della “ricerca della visione” con l’apparizione dell’antenato divinizzato tra le fauci del serpente

celeste (notare che in lingua Maya kan e k’an significano serpente e cielo, rispettivamente) è scolpita su

numerosi bassorilievi e la modalità di rappresentazione è la stessa appena vista. Forse i più famosi sono

quelli sulle architravi 15 (755 d.C.) e 25 (681 d.C.) provenienti da Yaxchilan (stato messicano del Chiapas) e

conservati al British Museum di Londra. La nobildonna in questo caso protagonista dell’autosalasso è rivolta

verso la sinistra dell’osservatore, là dove compare il serpente celeste la cui testa fluttua sopra il viso della

protagonista. Dalle fauci del serpente esce il viso dell’antenato divinizzato, invocato dal rituale.

Pag. 4

Fig. 6: Calakmul, Stele 51, Periodo Classico Tardo, 731 d.C.

Eretta sulla terrazza occidentale della Struttura 1 di Calakmul,

oggi al Museo Nacional de Antropología, Città del Messico

Benché danneggiata da saccheggiatori clandestini attorno al

1960, questa è comunque la stele meglio conservata del sito di

Calakmul, che dal 600 d.C. al 700 d.C. fu forse la più potente

città-stato della Penisola dello Yucatan.

E’ una delle poche stele firmate dall’autore, il cui nome com-

pare nell’iscrizione glifica sul verso assieme a quello del diret-

to responsabile dell’esecuzione, il sovrano in persona,

Yuknoom Took' K’awiil (Stuart, 2015).

Secondo l’iscrizione, il sovrano, sontuosamente abbigliato,

celebra, con il rituale per invocare il serpente delle apparizioni

sulla montagna (cioè la piramide nota come Struttura I), la fine

del katun 9.0.0.0.0, corrispondente al 731 d.C. Forse non si

trattò solo di un autosalasso, dato che il sovrano impugna una

lancia e sembra calpestare un prigioniero, probabile vittima del

sacrificio di sangue.

Notare anche qui la presenza di 3 placche pendenti dalla

maschera del dio sole che il sovrano porta alla cintura.

Fig. 7: Ceibal, stele 11, Periodo Classico Tardo, 830

d.C.

Aj Bolon Haabtal Wat’ul K’atel, signore di Ceibal e

alleato di Chan Ek' Hopet, sovrano della città di Ucanal,

celebra la sua intronizzazione, portando sul suo

abbigliamento il segno dell’avvenuto autosalasso.

Dopo un periodo di decadenza, durato dal 761 d.C.

all’829, Wat’ul K’atel descrive, nei glifi incisi sulla

stele, la rifondazione della città, alleatasi con Ucanal e

Caracol. Il nuovo signore, che probabilmente non

apparteneva alla precedente linea di sangue, esibisce il

glifo emblema di Ceibal, forse reclamando in questo

modo di essere il legittimo erede al trono, non ostante

l’iscrizione precisi che l’intronizzazione avviene sotto

gli auspici di Ek’ Hopet (Inomata & Triadan, 2013).

A partire dal Periodo Preclassico e fino al Tardo Classico, le stele erette dai sovrani Maya per ricordare i

loro riti di autosalasso e spargimento di sangue, celebrati in occasione delle intronizzazioni o di particolari

ricorrenze, sono moltissime, ma per quanto mi è noto seguono tutte uno stesso schema.

Come si vede dagli esempi illustrati in precedenza, nel corso dei secoli ci fu una notevole continuità nelle

modalità di rappresentazione del sovrano: egli è ritratto mentre guarda alla sua destra, cioè verso la sinistra

dell’osservatore, è abbigliato con una veste decorata, indossa gioielli di giada e porta i segni del sacrificio di

sangue oppure il sacrificio è descritto nel testo glifico che accompagna e descrive la scena.

Occorre tener presente un’altra importantissima osservazione:

“For the Maya, the purpose of state art was to construct symbolic arrays and thus to define models of social

reality whose purpose was generating social cohesion.” (Schele & Miller, 1986, pag. 106. “Per i Maya, il

fine dell'arte di Stato era di presentare esempi-quadro simbolici e definire in questo modo modelli di realtà

sociale il cui scopo era generare coesione sociale”, trad. mia., l’osservazione si riferisce alla cultura sociale

dei Maya a partire almeno dal Periodo Preclassico Tardo, fino all’inizio del Post-Classico, cioè dal 400 a.C.

al 900 d.C. circa.)

Queste rappresentazioni, scolpite o incise sulle stele, sulle placche in giadeite, sui pannelli posti all’interno

di celle templari o di edifici pubblici, erano veri e propri manifesti, destinati a proclamare e rendere evidenti

a tutti la legittimità del sovrano a regnare. Con l’offerta di sangue egli ne era legittimato dall’autorità dei

suoi antenati divinizzati: il sangue umano era l’unico alimento degli Esseri Ultraterreni e il sovrano, offrendo

ad essi il suo sangue e quello delle vittime sacrificali, procurava al suo popolo benessere e prosperità

attraverso la benevolenza degli stessi esseri divini, e al contempo manteneva inalterati l’esistenza e

l’equilibrio di tutto il Cosmo (Schele & Freidel, 2000).

Secondo i Maya del tempo, un diaframma invisibile separa gli esseri del mondo terreno da quelli del mondo

ultraterreno. Il diaframma era stimato particolarmente sottile all’interno della cella più interna del tempio

sommitale di una piramide.

L’autosalasso da parte del sovrano, catalizzato dai gioielli di giadeite che egli indossava ed eseguito nella

cella, scatenava le forze che riuscivano a dissolvere il diaframma, che si assottigliava ulteriormente ad ogni

ripetizione della cerimonia.

Era importantissimo il fatto che il sovrano appartenesse alla linea di sangue regale o che perlomeno fosse

legittimato da questa linea, perché solo il sangue regale possedeva forza sufficiente per sortire questo effetto,

anche se questa forza doveva essere accresciuta e catalizzata dai gioielli di giadeite e canalizzata dal luogo in

cui si svolgeva la cerimonia dell’autosalasso.

Ecco quindi che ogni nuovo sovrano cercava di rendere nota al popolo, attraverso una raffigurazione

simbolica comprensibile a tutti, la sua legittimazione a sedersi sul trono, ottenuta attraverso la procurata

visione dell’antenato divinizzato.

Vediamo come alcuni sovrani che ebbero difficoltà in tal senso risolsero la questione.

I bassorilievi con scene di intronizzazione

Quando Pacal il Grande (K’inich Janaa’b Pacal, 603 – 683 d.C.) venne intronizzato sovrano di Palenque nel

615 d.C., aveva solo 12 anni.

La linea diretta di sangue di Kuk’ Balam I, il fondatore intronizzatosi nel 431 d.C., si interruppe nel 583

quando a K’an Balam I succedette la figlia, Yohl Ik’nal, unica donna ufficialmente intronizzata a Palenque,

morta nel novembre del 604.

Seguendo la ricostruzione della linea di successione più accreditata (Schele e Freidel, 2000), nel gennaio del

605 le succedette il figlio maggiore, Ajen Yohl Mat, che nel 611 subì una gravissima sconfitta, forse da parte

di Calakmul, in seguito alla quale la dinastia regale venne delegittimata. Ajen Yohl Mat non venne deposto,

ma ridotto in condizione di vassallaggio e morì nell’agosto del 612.

Suo fratello minore, Janaab’ Pacal, era morto nel marzo precedente. Non essendoci più eredi maschi diretti,

si interruppe nuovamente la linea di sangue. La figlia di Janaab’ Pacal, Sak Kuk’, fu probabilmente una

donna dalla personalità molto forte, anche se non venne mai incoronata ufficialmente regina. Forse sotto lo

pseudonimo maschile di Muwaan Mat, nei burrascosi anni dal 612 al 615, governò Palenque in nome del suo

giovanissimo figlio, il futuro Janaab’ Pacal il Grande.

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Toccò a lei il compito di intronizzare il figlio, il quale probabilmente ebbe delle difficoltà a far riconoscere la

sua legittimità a regnare, visto il fatto che il precedente sovrano era suo prozio per parte di madre.

“Lady Kanal-Ikal and Lady Zac-Kuk were legitimate rulers because they were the children of kings and, as

such, members of the current royal lineage. The offspring of their marriages, however, belonged to the

father's lineage. Each time these women inherited the kingship and passed it on to their children, the throne

automatically descended through another patriline. This kind of jump broke the link between lineage and

dynasty in the succession." (Schele & Freidel, 2000: “Lady Kanal Ikal [vecchia dizione per Yohl Ik’nal, ndr]

e Lady Sac Kuk’ erano governanti legittime perché erano le figlie di re e, in quanto tali, membri del corrente

lignaggio regale. I figli dei loro matrimoni, però, appartenevano alla stirpe del padre. Ogni volta che queste

donne ereditarono il regno e lo passarono ai loro figli, il trono scese automaticamente attraverso un’altra

linea paterna. Questo sorta di salto ruppe il legame nella successione tra lignaggio e dinastia.” - Trad. mia.)

Vediamo come Pacal risolse la questione, attraverso un “manifesto” inciso su una lastra di pietra.

Seguendo l’interpretazione di Linda Schele (1994, pag. 1), Sak Kuk’ è vestita come la Prima Madre della

Creazione e dato che nel primo dei glifi del suo nome, scolpiti sopra la sua testa, è citato il dio GI della

triade di Palenque, ha anche il ruolo di Primo Padre.

Pacal siede sul Trono del Giaguaro, personificazione del primo dei 3 Troni delle Pietre della Creazione

(come si legge sulla stele C di Quiriguà, ndr), porta un pettorale con il segno “ik” che in questo caso ha il

valore fonetico di “nal”, cioè pannocchia di mais e quindi si riferisce a Hun Nal Ye, il dio giovane del mais,

e nella sua acconciatura oltre al giglio d’acqua (come in fig. 3, ndr) compare anche una personificazione di

K’awiil. Il testo glifico dietro di lui specifica che “K’ina Janaab’ Pacal, re divino di Bak” (K’ina è una delle

forme per K’inich, =dio splendente, Bak sta per B’aak, cioè ossa, uno dei nomi di Palenque, ndr), “è

diventato Hun Nal” oppure “ha ricevuto hunal (che sembra essere il nome del copricapo, ndr)”. Data

l’omofonia delle 2 espressioni, probabilmente si intendono entrambe le cose (ibid., pagg. 1-2).

Concludendo: 37 anni dopo la sua intronizzazione e ormai all’apice del suo prestigio e della sua fama, Pacal

sentì il bisogno di confermare e proclamare la sua legittimità a regnare. E lo fece confermare anche sul suo

sarcofago.

Non a caso, credo, Pacal guarda alla sua destra, cioè alla sinistra dell’osservatore, dove siede sua madre che

gli consegna l’insegna del potere, in veste di prima Madre e Primo Padre, i primi e più antichi antenati.

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Fig. 8 – Palenque, Tavoletta Ovale dal Palazzo,

652 d.C.

Janaab’ Pacal, raffigurato nel primo atto della

sua intronizzazione. Seduto su un trono a forma

di giaguaro bicefalo, vestito solo di un gonnel-

lino, ha una complicata acconciatura tra i capelli

(simile in piccolo a quella della fig. 3) e un

pettorale di giada con il segno Ik, soffio vitale.

Riceve dalla madre Sak Kuk’ una delle insegne

regali di Palenque, il cosiddetto copricapo “tam-

buro maggiore”, intessuto di tessere di giada e

portante sulla fronte una maschera personifica-

zione di K’awiil.

Sak Kuk’ è sontuosamente vestita, con gonna e

cappa ricoperte di tubetti di giada. Porta nell’ac-

conciatura la personificazione di K’awill, il dio

del lignaggio regale, a testimoniare la sua appar-

tenenza allo stesso e il suo diritto a proclamare il

figlio “legittimo sovrano di sangue”.

“The Maya solution to social crisis was not to manipulate economics or intensify agricultural technology;

instead, they adjusted ideology… They [the Maya] asserted through myth and symbol that differential social

ranking and ruling elite are the natural order of existence ordained by the gods.” (Schele & Miller, 1986,

pagg. 106-107. “La soluzione dei Maya a una crisi sociale non era di manovrare l'economia o intensificare la

tecnologia agricola; viceversa, essi adattavano l'ideologia... Essi [i Maya] affermavano attraverso mito e

simbolo che una differenziazione delle posizioni sociali e una classe dirigente sono l'ordine naturale

dell'esistenza stabilito dagli dei.” - Trad. mia)

Il modello presentato da Pacal probabilmente funzionò perché questo sovrano si era dimostrato talmente

all’altezza del suo compito che la sua “manovra” simbolica venne accettata di buon grado e replicata.

Suo figlio, K’inich K’an Joy Chitam II, salito al trono nel 702, copiò in un altro pannello il modello del

padre. Dato, però, che aveva un padre legittimato, coinvolse nel suo pannello sia la figura del padre, Pacal,

posto correttamente alla sinistra di chi guarda, sia quella della madre, Tz'akb’u Ajaw, posta all’altro lato.

Pacal è raffigurato nello stesso atteggiamento di sua madre nella Tavoletta Ovale, mentre porge al figlio, che

sta rivolto leggermente inclinato verso di lui, il copricapo “tamburo maggiore”.

Tz'akb’u Ajaw è ritratta con l’abbigliamento della madre di Pacal e nell’atto di porgere al figlio la

personificazione della lama di ossidiana con la quale attuare l’autosalasso.

Inoltre, nel lungo testo che circonda il pannello, K’an Joy Chitam II diventa la personificazione stessa del

K’awiil (Stuart, 2012, pag. 139).

Nel 721 d.C., anche il suo successore, K’inich Ahkal Mo' Nahb III, ebbe problemi nel farsi accettare come

legittimo sovrano, in quanto figlio di Tiwol K’an Mat, morto nel 680, che era figlio di Pacal (Martin &

Grube, 2008, pag. 172). La trasmissione del potere da K’an Joy Chitam ad Ahkal Mo' Nahb III, cioè da zio a

nipote, era probabilmente un caso spinoso, benché Ahkal potesse anche vantare che Pacal era suo nonno.

Seguendo l’esempio dello zio, Ahakl si fece ritrarre nel Pannello degli Schiavi nella stessa identica postura,

con ai suoi lati a suo padre e sua madre, i quali gli porgono gli stessi oggetti.

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Fig. 9: Pannello, parete nord della Casa A-D,

Palazzo di Palenque, c. 720 d.C. K’an Joy

Chitam II riceve il copricapo “tamburo mag-

giore” dal padre Pacal, alla sinistra dell’osser-

vatore, la madre, alla destra, gli porge la per-

sonificazione della lama di ossidiana con la

quale K’an Joy Chitam II eseguirà l’autosa-

lasso. Pacal siede sul Trono del Giaguaro, Joy

siede sul Trono dello Squalo/Acqua, la madre

sul Trono del Serpente, i tre troni della crea-

zione (v. Quiriguà stele C, in Looper, M.G.,

1995, e Schele & Villela, 1996).

Fig. 10: Pannello degli schiavi, 738 d.C. (?),

Palenque, Gruppo IV, attualmente nel Museo

Arqueológico de Palenque Dr. Alberto Ruz

Lhuiller.

K’inich Ahkal Mo' Nahb III nel 721 d.C.

riceve dal padre, morto nel 680, il copricapo

“tamburo maggiore” e dalla madre la

personificazione della lama di ossidiana, gli

stessi oggetti raffigurati nel pannello dello zio.

Le tre persone sono ritratte nella stessa

identica posizione di quelle del pannello di fig.

9, solo le acconciature e i troni sono diversi.

Un altro caso abbastanza simile è quello di Copan, la più meridionale delle grandi città Maya, dato che si

trova in Honduras. Ubicata in una zona abitata da genti non Maya almeno dal 1500 a.C., la sua fondazione

da parte dei Maya Ch’olan viene datata attorno al 100 d.C., ma la sua storia dinastica inizia nel 426 con Yax

K’uk’ Mo’ e termina, 15 generazioni dopo, con Yax Pasaj K’an Yopaat, morto nell’810. Un ultimo signore,

Ukit Took’, cercò di farsi intronizzare nell’822, ma pare non ci sia riuscito perché con tutta probabilità non

apparteneva alla stirpe del fondatore e “scomparve” quasi subito, tanto che prima dell’830 la città venne

praticamente abbandonata.

Yax Pasaj K’an Yopaat, 16° sovrano di Copan e comunemente noto come Yax Pac, ebbe dei grossi problemi

a far approvare e legittimare la sua ascesa al trono.

Per prima cosa, mentre si sa che la madre proveniva da Palenque, non si hanno notizie del padre, per cui è

possibile che non fosse discendente diretto del fondatore della dinastia, Yax K’uk’ Mo’.

In secondo luogo, al momento dell’intronizzazione Yax Pac, Copan stava attraversando da tempo un

periodo di instabilità politica, dovuto al fatto che, nel corso dei quasi 350 anni di ininterrotto governo, la

dinastia aveva dovuto concedere sempre maggiori privilegi alla nobiltà e i membri di questa erano

enormemente cresciuti di numero. Di conseguenza era enormemente cresciuto anche il numero dei grandi

complessi palaziali, fatto che aveva molto ridotto lo spazio coltivabile a disposizione, dato che Copan si

trova in una stretta valle, con poco territorio pianeggiante coltivabile.

L’élite nobiliare non produceva alcunché e doveva essere mantenuta dalla popolazione comune, che dovette

trovare terreni coltivabili sulle erte colline circostanti, in zone via via sempre più lontane e di difficile

accesso.

Di fatto, da almeno 2 generazioni il sovrano doveva ingraziarsi il favore dei nobili più influenti e

contemporaneamente affrontare il disagio della popolazione comune, situazione che condusse alla totale

delegittimazione della dinastia e all’abbandono del sito (Schele & Freidel, 2000).

Per dimostrare alla nobiltà e al popolo come fosse legittima la sua pretesa di accedere al trono, Yax Pac

utilizzò lo stesso sistema adottato a Palenque da Pacal e dai suoi successori, facendo scolpire due monumenti

che avevano un alto valore simbolico, quelli che a noi sono noti come “pannello del sedile del Tempio 11”,

attualmente al British Museum di Londra, e “altare Q”, che si trova ancora in situ.

A sua volta, Ukit Took’ cercò di replicare lo stesso modello, facendo realizzare l’altare L, che però non

venne portato a termine, a testimonianza dell’avvenuto decadimento del prestigio del sovrano.

Il bassorilievo scolpito sul pannello del Tempio 11 è identico a quello scolpito sui lati dell’Altare Q: si tratta

della teoria dei 16 sovrani di Copan, da Yax Kuk’ Mo’ a Yax Pac, elencati nell’ordine un cui sono saliti al

trono. L’unica differenza è che il pannello è lineare mentre l’altare è quadrangolare e quindi quest’ultimo

riporta la figura di 4 sovrani su ciascun lato.

Yax Kuk’ Mo’ e Yax Pac si trovano al centro della teoria, uno di fronte all’altro, raffigurati mentre il primo

consegna uno scettro, cioè l’insegna del comando, al secondo, suo 15° successore.

Yax Kuk’ Mo’ si trova alla sinistra dell’osservatore, dietro di lui è raffigurato il suo primo successore,

K'inich Popol Hol, poi il secondo e così via.

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Fig. 11: L’altare Q di Copan venne

fatto realizzare da Yax Pac nel 776

d.C. Si tratta di un blocco quadrango-

lare di pietra sui cui lati sono scolpiti

i ritratti dei 16 sovrani saliti al trono

di Copán dal 426 al 776.

Sulla facciata ovest, Yax Pac è raffi-

gurato al centro della teoria, mentre

riceve dal fondatore della dinastia,

Yax K’uk’ Mo’, lo scettro, insegna

del comando. Il fondatore siede di

fronte a Yax Pac, alla sinistra di chi

guarda e porge lo scettro con la mano

sinistra.

Giova notare che il testo glifico, scolpito sulla tavola soprastante il fregio, non descrive la accessione di Yax

Pac al trono, bensì la fondazione della dinastia da parte di Yax K’uk’ Mo’. E non mi sembra un caso il fatto

che Yax Pac, in cerca di legittimazione, abbia voluto l’altare Q alla base della scalinata principale del

Tempio 16, dentro il quale è la tomba chiamata Hunal, che si ritiene sia quella appunto di Yax K’uk’ Mo’.

L’esame dei resti ossei rinvenuti nella tomba, ha rivelato una frattura mai saldata all’ulna dell’avambraccio

destro (Martin and Grube, 2008, pag.193). Forse per questo motivo, sul bassorilievo dell’altare Q, Yax

K’uk’ Mo’è ritratto come mancino.

Come ho già accennato, nell’822 un personaggio noto col nome di Ukit Took’ tentò di farsi intronizzare ed è

dubbio se ci sia riuscito. L’unica opera da lui commissionata che ci resta è l’incompiuto Altare L.

I Maya del Periodo Classico e l’immaginaria linea passato – presente – futuro

Mi sembra di aver ormai risposto alla prima domanda che ho formulato all’inizio, e cioè se corrisponda al

vero che nelle raffigurazioni che li vedono protagonisti dell’autosalasso e/o dell’intronizzazione, incise sulle

placche da cintura e, più in generale, scolpite sui bassorilievi in pietra, i sovrani Maya sono sempre ritratti

rivolti verso la loro destra, corrispondente alla sinistra dell’osservatore.

In effetti, sono note 3 placche intere e 7 frammenti che riportano raffigurazioni riconducibili a questa

tipologia e su tutti questi oggetti il sovrano è ritratto rivolto verso la sua destra.

Per quanto riguarda i bassorilievi, ho illustrato gli esempi presenti su 4 stele, 4 pannelli e 2 altari e anche in

questi esempi il sovrano è ritratto rivolto verso la sua destra.

Pur non presentandoli, ne ho esaminati molti altri e la “regola” vi è sempre rispettata.

La seconda domanda che mi sono posto è se questa modalità di raffigurazione abbia un particolare

significato.

Ritorno su un concetto espresso da Linda Schele e Mary Ellen Miller.

“Per i Maya, il fine dell'arte di Stato era di presentare esempi-quadro simbolici e definire in questo modo

modelli di realtà sociale il cui scopo era generare coesione sociale” (Schele & Miller, 1986, pag. 106. trad.

mia.)

A questo proposito, ho osservato che le rappresentazioni di cui sto trattando sono veri e propri manifesti.

Quasi sempre, esse sono accompagnate da un testo glifico, che riporta la data in cui il rituale è stato

compiuto, lo descrive brevemente (in genere, si legge una espressione verbale corrispondente a “egli diede il

sangue” oppure “si sedette sul trono”) e nomina il protagonista e gli eventuali co-partecipanti, riportandone

anche i rispettivi titoli.

Tuttavia, penso che il testo glifico non fosse comprensibile alla stragrande maggioranza della popolazione a

cui era destinata la raffigurazione, perché quasi sicuramente solo i membri della élite nobiliare erano in

grado di leggere i glifi.

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Fig. 12: L’altare L di Copan, voluto

da Ukit Took’, successore di Yax

Pac, e non completato a causa del

collasso della struttura sociale di

Copan. Fu completato il rilievo solo

sulla faccia principale, che mostra

Ukit Took’, alla dx della foto,

ricevere lo scettro K’awiil da Yax

Pac, nella stessa posizione e

atteggiamento in cui quest’ultimo è

ritratto sulla faccia ovest dell’altare

Q.

Inoltre, il testo è in genere molto breve e non riporta gli impliciti significati e le conseguenze in termini

sociali del rituale celebrato e raffigurato: era la raffigurazione stessa a essere una forma di scrittura in senso

lato, una narrazione il cui svolgimento e i cui significati dovevano essere noti e comprensibili a tutti, la fonte

dell’interpretazione era costituita dal patrimonio culturale e sociale collettivo.

In un’opera d’arte il punto di vista dell’osservatore è sempre il più importante. A maggior ragione, lo era nei

casi in esame, data la loro natura di veri e propri proclami scolpiti nella pietra.

Come abbiamo visto, il protagonista di questi proclami è rivolto verso la sinistra di chi guarda.

Secondo le ipotesi formulate da C. G. Jung e gli studi compiuti Emil Jucker, pubblicati nel 1949 e

formalizzati da Karl Koch (1993), la sinistra è il luogo del passato.

Gli studi compiuti dai neurologi (v. per es. Di bono et al., 2012; Bottini et al., 2015; Bonato, Zorzi & Umiltà,

2012), dimostrano che gli esseri umani costruiscono una rappresentazione mentale dello scorrere del tempo

dal passato al futuro, sotto forma di una linea chiamata MTL (Mental Time Line).

Il verso di orientazione di questa linea sembra essere fortemente influenzato dal verso adottato nella

scrittura, per cui quanti scrivono da sinistra a destra costruiscono la MTL ponendo il passato a sinistra e il

futuro a destra, mentre quanti scrivono da destra a sinistra costruirebbero la MTL con lo stesso verso (in

questo caso, il condizionale è d’obbligo perché non ho rintracciato studi sistematici al riguardo).

La questione è aperta, dato che i mancini europei, che scrivono da sinistra a destra, sembrano costruire una

MTL orientata come quella di quanti scrivono da destra a sinistra, mentre dovrebbe avere il verso della loro

scrittura.

In ogni caso, in estremo oriente (Cina, Giappone, Corea) si scrive tradizionalmente dall’alto verso il basso e

da destra verso sinistra, ma la ideale collocazione sul corpo umano delle due forze yin e yang, comune alle

culture prevalenti in quelle zone, vede lo yin, cioè il passato, a sinistra e lo yang, cioè il futuro, a destra.

Tornando alle raffigurazioni oggetto di questo articolo, il protagonista delle scene della “visione del serpen-

te”, ovvero quello che riceve le insegne regali dalle mani di un antenato, guarda verso la sinistra dell’os-

servatore, dove compare l’antenato divinizzato, cioè un personaggio appartenente al passato.

Nelle scene in cui la visione non è evidenziata o non compaiono gli antenati, il protagonista ha comunque

appena celebrato o sta per celebrare quel rituale e guarda verso la sinistra dell’osservatore per fargli capire

che la visione, fonte legittimante del potere, è appena avvenuta o avverrà tra breve.

Quindi, anch’egli sta guardando verso il luogo del passato, in cui risiedono gli antenati.

I Maya sviluppavano i testi glifici sia orizzontalmente che verticalmente, ma il verso di scrittura/lettura è

quasi sempre da sinistra verso destra. Anche quando il testo è formato da colonne in cui i glifi vanno letti a

coppie che procedono dall’alto verso il basso, di ciascuna coppia si deve leggere prima il glifo di sinistra poi

quello di destra, quindi passare alla coppia sottostante. Rari sono gli esempi di testi con andamento da destra

verso sinistra.

In accordo con quanto accertato sperimentalmente dai neurologi e da Koch, quindi, probabilmente i loro

scribi svilupparono una MTL con il passato a sinistra.

Il fatto che la maggior parte degli osservatori fosse in grado di capire il messaggio, pur essendo con tutta

probabilità analfabeta, forse è una conferma che negli individui (destrimani) privi di una sovrastruttura

culturale, quale è il verso della scrittura, il passato viene collocato alla sinistra e la MTL ha il verso orientato

nel senso sinistra=passato -> destra=futuro.

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Crediti per foto e disegni

Fig. 1 – Foto di Pratyeka, da

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/d3/Leiden_Plate_%28Frontal_Design_Linework%29.sv

g, sotto licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported.

Fig. 2 - Foto da

https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Possibly_Guatemala,_Maya_Culture,_Early_Classic_period_%28

A.D._250%E2%80%93600%29_-_Royal_Belt_Ornament_-_Google_Art_Project.jpg, concessa in pubblico

dominio.

Fig. 3 – Disegno dell’autore dell’articolo, ricavato da foto della stele.

Fig. 4 – Foto da https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Mayan_Stela.jpg, concessa in pubblico dominio.

Fig. 5 – Foto di Greg Willis, ritagliata ai bordi per adattarla, da

https://en.wikipedia.org/wiki/Tikal#/media/File:Tikal_Stela_31.jpg, sotto licenza Creative Commons

Attribution-Share Alike 2.0 Generic, in origine pubblicata su Flickr come tikal-14

Fig. 6 – Foto da https://en.wikipedia.org/wiki/Maya_stelae#/media/File:Stele51CalakmulMuseum.JPG,

concessa in pubblico dominio

Fig. 7 - Foto di Teobert Maler, da

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/24/MalerSeibalStela.jpg, in pubblico dominio

Fig. 8 – Foto di Tato Grasso, da https://commons.wikimedia.org/wiki/File:0152_Palenque.JPG?uselang=it

concessa con licenza Attribution ShareAlike 2.5, ne ho ritagliato i bordi laterali

Figg. 9, 10, 11 e 12 – Foto dell’autore dell’articolo

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