Perché l’arte e non, piuttosto, la filosofia? In margine alla prima «estetica» di Schelling, in...

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Perché l'arte e non, piuttosto, la filosofia? In margine alla prima «estetica» di Schelling. Tonino Griffero «[La poesia] ti conduceva immediatamente alla condizione della produzione, come la precisione della percezione portava lui [Fichte] alla coscienza». Così perfettamente inquadrata nei suoi cardini estetici (lettera di Caroline a Schelling; 1-3-1801), la filosofia del primo Schelling ha sempre offerto un punto di partenza privilegiato alla discussione dei rapporti, più o meno conflittuali, tra filosofia e arte, riflessione e intuizione. Favorita dalla convergenza di due superamenti, segnatamente del determinismo naturalistico e della concezione ornamentale o moralistica dell'arte, l'estetica postkantiana era divenuta un'autentica metafisica, inclusiva di istanze filosofiche (l'arte come vertice presente o futuro dei saperi) non meno che religiose (l'arte come sola rivelazione dell'assoluto) e soteriologiche-politiche (l'arte come redenzione dall'umana finitezza e dalla Zerrissenheit della società analitico-riflessiva). E' proprio questo il contesto entro cui tematizzare la celebre tesi conclusiva del System des transzendentalen Idealismus (1800): se l'intuizione estetica è solo l'intuizione intellettuale divenuta obiettiva, si comprende da sé che l'arte è l'unico vero ed eterno organo e insieme documento della filosofia [...] è per il filosofo quanto v'è di più alto, perché essa gli schiude per così dire il santuario dove, in eterna e originaria unione, arde come in una fiamma ciò che nella natura e nella storia è separato, ciò che nella vita e nell'agire come nel pensiero deve per l'eternità fuggire se stesso (SW III 627-628; corsivi nostri). 1 1 Con HKA (seguito da serie, volume e pagina) citiamo dalla Historisch-kritische Ausgabe im Auftrag der Bayerischen Akademie der Wissenschaften , hrsg. von H. M. Baumgartner, W. G. Jacobs, H. Krings und H. 1

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Perché l'arte e non, piuttosto, la filosofia? In margine alla prima «estetica» di Schelling.

Tonino Griffero

«[La poesia] ti conduceva immediatamente allacondizione della produzione, come la precisione dellapercezione portava lui [Fichte] alla coscienza». Cosìperfettamente inquadrata nei suoi cardini estetici(lettera di Caroline a Schelling; 1-3-1801), lafilosofia del primo Schelling ha sempre offerto un puntodi partenza privilegiato alla discussione dei rapporti,più o meno conflittuali, tra filosofia e arte,riflessione e intuizione. Favorita dalla convergenza didue superamenti, segnatamente del determinismonaturalistico e della concezione ornamentale omoralistica dell'arte, l'estetica postkantiana eradivenuta un'autentica metafisica, inclusiva di istanzefilosofiche (l'arte come vertice presente o futuro deisaperi) non meno che religiose (l'arte come solarivelazione dell'assoluto) e soteriologiche-politiche(l'arte come redenzione dall'umana finitezza e dallaZerrissenheit della società analitico-riflessiva). E'proprio questo il contesto entro cui tematizzare lacelebre tesi conclusiva del System des transzendentalenIdealismus (1800):

se l'intuizione estetica è solo l'intuizione intellettuale divenutaobiettiva, si comprende da sé che l'arte è l'unico vero ed eternoorgano e insieme documento della filosofia [...] è per il filosofoquanto v'è di più alto, perché essa gli schiude per così dire ilsantuario dove, in eterna e originaria unione, arde come in unafiamma ciò che nella natura e nella storia è separato, ciò chenella vita e nell'agire come nel pensiero deve per l'eternitàfuggire se stesso (SW III 627-628; corsivi nostri).1 1 Con HKA (seguito da serie, volume e pagina) citiamo dallaHistorisch-kritische Ausgabe im Auftrag der Bayerischen Akademie der Wissenschaften,hrsg. von H. M. Baumgartner, W. G. Jacobs, H. Krings und H.

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Vi si è da sempre voluto leggere una vera e propriaapoteosi (romantica?) dell'arte, l'espressione di un«assolutismo estetico»2 tanto effimero da apparire giàfortemente ridimensionato nella di poco posteriorePhilosophie der Kunst (1802-1803), e col quale viene oggipiuttosto naturale far interagire la neorivendicazioneontologica e anti-rappresentazionalista della veritàdell'arte, avanzata, per motivi almeno parzialmentediversi, da Heidegger e Adorno e dai loro seguaci3.

Zeltner, Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1976 sgg. (checopre, per ora, il periodo 1790-1797); con SW (seguito dal volume epagina) dai Sämmtliche Werke, hrsg. von K. F. A. Schelling, Cotta,Stuttgart-Augsburg 1856-1861.2 Cfr. B. Lypp, Ästhetischer Absolutismus und politische Vernunft. Zum Widerstreitvon Reflexion und Sittlichkeit im deutschen Idealismus, Suhrkamp, Frankfurt a. M.1972, in specie pp. 94-136.3 Cfr. A. Bowie, Schelling and modern European philosophy: an introduction,Routledge, London-New York 1993, ad es. pp. 49-54.

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L'approccio del System, infatti, sembra sancire unaforse irripetibile «carriera» intrafilosoficadell'estetica, andata molto al di là del pur epocalericonoscimento baumgarteniano della necessariacomplementarità di razionalità filosofica (conoscenzaconcettuale) e razionalità estetica (conoscenzasensibile o gnoseologia inferior), in nome di un'autonomiacognitiva dell'analogon rationis, della claritas extensiva,eventualmente confusa, ma non per questo bisognosa di unatraduzione concettuale. La filosofia del System, cui ciriferiremo qui in maniera evidentemente cursoria, non silimita, ad esempio, a sostituire, quale organon dellabellezza, la sensibilità (il gusto) alla ragione, etanto meno ad assegnare all'«orizzonte estetico»,antiplatonicamente riabilitato, una funzionepropedeutica o, peggio ancora, «compensativa» e per ciòstesso provvisoria rispetto all'«orizzonte logico»,quasi che all'estetico competesse (come si può leggereancora in Baumgarten) ciò che la scienza non è ancora, onon è più, in grado di trattare adeguatamente. Il «gesto»teorico, non più iscrivibile nell'acritica ripresa delgradualismo leibniziano, consiste piuttostonell'insidiare il tradizionale primato della veritàfilosofica, nel gettare le premesse di una metafisicadell'arte che, tramutato in costitutivo il regolativo,parte dalla reciprocità estetica libertà-natura chechiudeva la filosofia kantiana4, ed estende il principioschilleriano della bellezza come libertà nel fenomeno adottrina dell'universale simbolicità (identità di esseree significato, Bild e Sinn), intesa come l'indispensabilemateriale preparatorio della «nuova mitologia» (dellaragione).

4 Non più proiezione ma condizione, per quanto arcaica, dellacoscienza, la Technik der Natur diviene qui, come principioesplicativo del parallelismo natura-intelligenza, la basedell'intero System, pur diventando cosciente per l'io solo nellasua conclusione estetica.

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Si ha così una definizione dell'arte5 come compimentofilosofico-sistematico, la cui giustificazione vacercata nel duplice sforzo (Naturphilosophie comespiritualizzazione della natura e Transzendentalphilosophiecome naturalizzazione dello spirito) di aggirare ilpatologico irrigidimento riflessivo della coscienza edel dualismo soggetto-oggetto. Al termine dellaripetizione filosofica della storia («epoche»)dell'autocoscienza, conciliato il contrasto che dellosviluppo è stato il principio-motore e ricondotta ognioggettività alla produttività infinita e insiemeautolimitantesi dell'io, all'arte viene attribuito ilcompito di realizzare quanto fino a quel momento erasolo postulato, nell'intuizione intellettuale dell'iofilosofico, come principio del sapere, e cioè l'ioassoluto o identità originaria soggetto-oggetto. Questoprincipio assoluto, infatti, del tutto inoggettivabile eposto al di sotto della soglia della coscienza, eproprio per questo condannato, già nel primo emergeredella coscienza, alla scissione soggetto-oggetto eteoretico-pratico, appare, alla luce del lavoromaieutico-ermeneutico dell'io che filosofa sul suooggetto o io comune, continuamente indotto alla propriaoggettivazione attraverso le successive autolimitazionidella propria attività, senza per altro riuscirecompiutamente in tale oggettivazione né nella natura nénella prassi. Di qui il fatto che l'«odissea dellospirito» non possa terminare con la rammemorazioneinteriore della filosofia, alla quale è concesso diriconnettere metodicamente e sistematicamente lesuccessive determinazioni alla soggetto-oggettività

5 Prescindiamo qui anzitutto dagli argomenti di chi vi vuoleleggere unicamente l'indolore esercizio occasionalistico di alcuniSonntagskinder impegnati a mettersi al sicuro dalle aporie dellaprassi in una «natura privata delle sue conseguenze» (così, adesempio, O. Marquard, Schelling - Zeitgenosse inkognito, in H. M.Baumgartner (hrsg.), Schelling. Einführung in seine Philosophie, Alber,Freiburg-München 1975, p. 16).

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originaria, ma non ciò che è possibile all'ametodica (eperciò non solo approssimativa) produzione artistica,cioè ad un'attività conscio-inconscia (precisamenteiniziata coscientemente e terminata nell'inconscio) chepuò contare in modo del tutto specialesull'immaginazione come facoltà che si libra «trafinitezza e infinità» (SW III 558) e rende quindipossibile «pensare e riunificare il contradditorio» (SWIII 626). Solo l'arte può esibire, in modo concreto manon obiettivante, l'armonia prestabilita di libertà enatura6 fino ad allora solo filosoficamente postulata ostoricamente sperata, cioè mettere-in-opera in modoextraconcettuale e unitario «ciò che esisteseparatamente nel fenomeno della libertà enell'intuizione del prodotto naturale, cioè l'identità delconscio e dell'inconscio nell'io, e la coscienza di questaidentità» (SW III 612; corsivi nostri); identità ecoscienza assenti, rispettivamente, la prima nell'agirepratico, pena la negazione della libertà o l'avventotacitante dell'assoluto, e la seconda nel prodottonaturale, non essendo l'organismo che una «strutturaquasi-intelligibile»7. «Infinità inconscia» (SW III619), «calma e serena grandezza» (SW III 620), bellezza,ossia «infinito espresso in modo finito» (SW III 620):così caratterizzata, l'arte illumina l'intero «passatotrascendentale» e si presenta come una soluzioneextrafilosofica giustificata dall'impossibilità dellafilosofia stessa di divenire a sua volta unadeterminazione oggettiva, pena il de-cadere del punto divista originario da principio architettonico a contenuto6 Una concezione della filosofia dell'arte come conciliazione distoria e natura cui Schelling comincia ad alludere nell'AllgemeineÜbersicht (1797-1798): «Dev'esserci quindi una filosofia della natura e unafilosofia della storia. Quale terzo rispetto ad entrambi bisognerebbeaggiungere la filosofia dell'arte (in cui si riunificano natura elibertà)» (HKA I 4 183).7 H. Paetzold, Ästhetik des deutschen Idealismus. Zum Idee ästhetischer Rationalitätbei Baumgarten, Kant, Schelling, Hegel und Schopenhauer, Steiner, Wiesbaden1983, p. 129.

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particolare tra gli altri8. Quel che si tratta divagliare è se in questo svolgimento si debba leggeresemplicemente un'apologia dell'ulteriorità dell'arterispetto alla filosofia e di conseguenza una sorta disconfessione ante litteram del necrologio hegelianodell'arte (uns gilt die Kunst nicht mehr als die höchste Weise, inwelcher die Wahrheit sich Existenz verschafft, dal momento che derGedanke und die Reflexion hat die schöne Kunst überflügelt), oppurequalcosa di più complesso e stratificato.

1.L'arte come Versinnlichung pedagogica: superiorità dellafilosofia

8 Cfr. F. Moiso, Vita natura libertà. Schelling (1795-1809), Mursia, Milano1990, p. 173.

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Conviene prendere le mosse dall'ipotesi piùelementare, secondo la quale il bello, come crittogrammafilantropico (Biblia pauperum) di valore indifferentementenostalgico e utopico, renderebbe accessibile a tutti ilvero esoterico filosofico in virtù di una suacomunicabilità che pertiene non alla dimostrazionededuttivo-apriori ma all'universalità soggettiva delgiudizio estetico kantiano. Ma già qui cominciano iproblemi: proprio l'ammissione di un'universalitàgeniale sembra presupporre che l'artista non sia altroche la metamorfosi ultima del filosofo (nell'ipotesi chesi possa esteriorizzare solo ciò che si è primainteriormente intuito), oppure che egli venga aconoscere solo dal filosofo il senso della sua stessacreazione, dato che mai si fa cenno alla possibilità cheil filosofo guadagni dalla contemplazione artistica lapropria intuizione del principio assoluto. In tal caso,necessitando della sensibilizzazione intersoggettiva nonl'io filosofico ma esclusivamente l'io comune che ne èl'oggetto «pedagogico», l'arte si configurerebbe come unmero ausilio socio-comunicativo (magari demagogicamenteenfatizzato) ad uso e consumo del partner discente, diper sé estromesso dalla verità.

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In altri termini: avendo, a differenza di Kant,ammesso fin da principio l'attingimento della sintesiassoluta mediante l'intuizione intellettuale, ed essendoquesta non solo la «forma della certezza, l'inizio dellafilosofia, il punto luminoso nella coscienza», insommail «principio della ricostruzione», ma anche sempre il«principio ricostruito»9 estraneo tanto allaconcettualità che alla coazione asintotica implicitanella teoresi e nella prassi, la filosofia sembrerebbedisporre di tutto ciò di cui ha bisogno (anche se solointeriormente) e poter quindi effettivamente fare a menodello stratagemma extrafilosofico del bello come simbolodella moralità (a parte il fatto che il kantiano «mulinoa braccia», o «mola a mano», ha ben poco in comune conil simbolo inteso schellinghianamente come identità diessere e significato)10. Solo se la filosofia fossetotalmente irretita nella riflessione, sarebbe lecitopensare il rapporto tra intuizione intellettuale eintuizione estetica analogamente a quello tra ipotesi edimostrazione — un'interpretazione comunque aporetica,dato che, «per potersi vedere rappresentata nell'arte,la filosofia deve già sapere che cosa quellarappresenti»11 — mentre qui, al contrario, sarebbeperfino eccessivo parlare di una complementarità difilosofia e arte.

9 Così H. Freier, Die Rückkehr der Götter. Von der ästhetischen Überschreitung derWissensgrenze zur Mythologie der Moderne. Eine Untersuchung zur systematischen Rolleder Kunst in der Philosophie Kants und Schellings, Metzler, Stuttgart 1976, pp.152-153.10 Per una ampia ricostruzione della nozione schellinghiana disimbolo ci permettiamo di rinviare a T. Griffero, Senso e immagine.Simbolo e mito nel primo Schelling, Guerini, Milano 1994, in particolarepp. 99-208.11 H. Freier, op. cit., p. 155.

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Inoltre, che l'intuizione estetica sia finalizzataesclusivamente alla coscienza comune non chiarisceaffatto se essa garantisca l'accesso al punto d'avviopostulatorio della filosofia trascendentale oppure allasua conclusione contenutisticamente certificata.Altrettanto incerto è se raggiunga il suo scoponell'intera comunità, quanto meno in quella che vivenell'intuizione dell'arte, oppure solo nell'artista (perdi più solo in quello geniale), dato che, se valesse laseconda ipotesi, cadrebbe la tesi dell'arte comeessoterizzazione della filosofia, mentre, se valesse laprima, sarebbe inintelligibile il finale richiamo allamitologia come genialità di «una nuova stirpe, che quasirappresenti un solo poeta» (SW III 629) — un richiamointeso, evidentemente, a immaginare un teatrod'esperienza che sia universale quanto l'arte geniale manon altrettanto elitario, che fornisca cioè allacontraddizione conscio-inconscio insita nell'attivitàproduttiva quotidiana una soluzione inattesa, ma in findei conti meno miracolosa e incerta di quella offertadall'iter creativo di un singolo12. 2. Poiesis universale e simbolicità dell'arte:superiorità dell'arte

12 Che è stata felicemente paragonata a «una camminata sulla vettaa occhi bendati» (D. Salber, System und Kunst. Eine Untersuchung desProblems bei Kant und Schelling, Diss., Aachen 1984, p. 156).

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Ma anche la tesi dell'ulteriorità dell'arte non èesente da problemi, tanto nella sua versione piùstrettamente filosofica quanto in quella (in senso lato)teologica. Anzitutto si dovrà ricordare che l'arte è perSchelling la potenza suprema, giunta finalmentenell'uomo ad autocoscienza e perciò anche divenutaretrospettivamente rivelativa, della poiesis (comeDichtungsvermögen o Einbildungskraft) inconscia e onnicreativasituata alle scaturigini dell'autocoscienza. Giustal'estensione del concetto di Poesie (componente inconsciadell'arte) ad ogni processo agonale e inintenzionale, sipotranno considerare intimamente poetici, e quindivalutabili sulla stregua dell'opera d'arte, sia iprocessi dinamici della natura come «poesia originaria eancora inconscia dello spirito» (SW III 349), cioèparziale e inconscia reidentificazione della polarità diattività, sia lo svolgimento (theatrum mundi) dellastoria, la cui eterogenesi dei fini è infatti retta daEin Geist, der in allen dichtet (SW III 602), sia, infine, —questione decisamente più rilevante per il nostro tema —il percorso ermeneutico-mimetico mediante cui ilfilosofo trascendentale, servendosi di creazioni (solointerne) dell'immaginazione produttiva, s'impegna a re-intuire quell'originaria poesia dello spirito,consistente nella duplicità del produrre e dell'intuire,che gli appariva dapprima necessariamente occultata inoscuri geroglifici naturali. In questo senso si potràben dire che, fatta salva la loro inversa direzione(interna per la filosofia, esterna per l'arte), filosofia earte sono nel fondo la medesima cosa, che «lalegittimità del volgersi della filosofia all'arte poggiasul carattere poetico del conoscere e sul carattere diverità della poesia»13, ma anche, com'è evidente dallametaforica influente, la loro equiparazione avviene nelsegno dell'universale poesia o poieticità dello spirito,13 D. Jähnig, Schelling. Die Kunst in der Philosophie, 2 Bde, Neske,Pfullingen, II, p. 305.

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nella Philosophie der Kunst esplicitamente attestata altresìdal nesso tra Einbildungskraft dell'artista umano eImagination dell'artista divino. E' nel genio, attraversoil quale l'io perviene, mediante la contemplazionedell'oggetto della propria poiesis, alla pienaautocomprensione di sé, che si dovrebbe, in ultimaanalisi, vedere il telos dell'umanità.

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Quanto alla seconda versione, la si può riassumerenel passaggio dall'ancora sobria dichiarazionedell'indispensabilità dell'intuizione estetica per ilfilosofo trascendentale all'istituzione di un'autentica«religione dell'arte», a differenza di quanto pensaHegel storicamente non circoscritta, anzi virtualmenteeterna. Se il «sistema dell'arte» è «il sistemadell'ideal-realismo divenuto oggettivo» (SW IV 86),l'arte si presenta come la sola messa-in-opera dellaverità, in definitiva come la sola dimostrazionepossibile, e nel presente, dell'esistenza di Dio14 (nellaforma ancora relativamente secolarizzata del System:l'assolutamente identico in quanto autenticoresponsabile della genialità); una dimostrazione,inoltre, superiore a quella filosofica perché positiva enon confinata nei limiti di una teologia negativa epostulatoria, che era costretta a identificarel'assoluto di volta in volta con ciò che non erano i varistadi, riflessivo-concettuali, della storiadell'autocoscienza, la quale, d'altronde, proprio perchécapace di rinviare ad un immanente surplus di senso, nonrisulta del tutto irretita nella cattiva infinità (nellaserie 1-1+1)15. L'assoluto, di per sé transrelativo etransriflessivo, inoggettuale (undinglich) eincondizionato (unbedingt), è ovviamente irriducibile alconcetto (un passaggio nel quale si può leggere la14 Tesi della quale si tende oggi a enfatizzare le versioni,«deboli» e secolarizzate, psicoanalitica — l'arte fungerebbe dametafora necessaria dell'assoluto (assoluta produttività)esattamente come sogni, fantasie e linguaggio sono metaforeindispensabili dell'inconscio (altrettanto definibile come assolutaproduttività) — e post-filosofica alla Rorty: nel quadro di una«hermeneutic understanding of science and art as forms of world-disclosure», la chiusa estetica del System potrebbe significare che«the happening of truth is best revealed to us in the continualemergence of new metaphors» (così A. Bowie, op. cit., pp. 53-54).15 Per la spiegazione in questi termini della storiadell'autocoscienza cfr. M. Frank, Einführung in die frühromantische Ästhetik,Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1989, pp. 163-165, e per unapprofondimento, F. Moiso, op. cit., pp. 210 e sgg.

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deregolativizzazione dell'«idea estetica» kantiana o, sesi vuole, la metafisicizzazione del je ne sais quoileibniziano), che della patologia moderna dellariflessione è per così dire lo stadio più virulento, maanche ad ogni altro medium cognitivo che, non intuitivoe almeno parzialmente inconscio, o manca l'obiettivofornendone un'immagine automaticamente fuorviante, o locentra ma non può comunicarlo (un destino che Schellingattribuisce qui alla filosofia e più avanti allateosofia). Oltre tutto, lo stigma di condizionatezza elimitazione che è inestricabilmente congiunto allaconcezione schellinghiana della coscienza come attività«reale» (illimitata) che, ostacolata, ritorna su di séfacendosi «ideale» (limitata), esclude immediatamenteche dell'assoluto si possa avere coscienza.

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Subentrando alla logica nella funzione di «organo»della filosofia, l'arte (oppure — ma è lo stesso? — lafilosofia dell'arte; cfr. SW III 351, 612) assurge auniversale paradigma della filosofia, certo ancheperché, replicando nello stupore provato dall'artistadinanzi all'inattesa riuscita del suo fare la meravigliada cui tradizionalmente si fa nascere la filosofiastessa, l'arte pare ricondurre la filosofia alla suaorigine immemoriale, ma soprattutto in quanto essaunisce ciò che nella prassi cui è legata la coscienzacomune resta eternamente separato (l'agire viene obliatoin favore del suo solo oggetto), e ciò che nell'agirefilosofico, pur non sottostando a questo dualismo (cioèla doppia natura dell'agire: azione e riflessione su diessa), viene a giorno però solo geneticamente, comepassato confinato in interiore homine. La pedagogia delfilosofo-maieuta, che estrae dall'io ingenuo ciò chequesti contiene senza saperlo, lascia qui il campo(«cattolicesimo» estetico!) all'esercitazione pratica,nella fattispecie alla produzione artistica intesa comal'unica prova (la sola opera buona) di quantovirtuosamente pensato (l'intenzione buona), come ciòche, rendendo immediatamente e materialmente possibilel'impossibile («togliere un'opposizione infinita in unprodotto finito»; SW III 626) senza essere costretto arimandare sine die la conciliazione della contraddizionefondamentale e quindi a perpetuare lo stato di doloreche ne deriva, rappresenta anche «il modello cui occorrerivolgersi per comprendere come l'uno-tutto possarealizzarsi per una pluralità di soggetti liberi e intercomunicanti»16.Non bisogna inoltre dimenticare quei passi in cuiSchelling, insistendo sulla superiorità antropologico-politica dell'arte, che si rivolge all'uomo tutto intero(un'istanza lebensweltlich ante litteram) e non solo a quelframmento d'uomo che è l'esito della frammentazionedella coscienza (e della società) moderna e su cui16 F. Moiso, op. cit., p. 169.

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soltanto la filosofia esercita la sua signoria (SW III630), aderisce esplicitamente alla tesi schilleriana(anti-fichtiana) secondo cui sarebbe l'arte e non lafilosofia a promuovere l'educazione del genere umano e asvelare il mistero del reale, ai cui meccanismi geneticisi rivela congenere17.

17 Cfr. L. Pareyson, L'estetica di Schelling, Giappichelli, Torino 1964,pp. 21-28, e Id., Conversazioni di estetica, Mursia, Milano 1966, pp.169-172.

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E' quasi inutile sottolineare come la tesi del belloquale simbolo del vero (assoluto) in un certo senso anticipila destoricizzazione cui Heidegger ha sottoposto lateoria hegeliana dell'arte come «religione dell'arte»,producendo un rovesciamento dell'assiologia che essapresupponeva, ossia la priorità nella sistematica dellospirito della soggettività filosofica. Va da sé chequest'interpretazione della soluzione schellinghianacomporta però le medesime difficoltà solitamenteriscontrate nella proposta heideggeriana, non solo lalaconicità e impraticabilità degli analoghi riferimentiall'auspicata rimitologizzazione del mondo moderno18 (chesi tratti, in Schelling, della fisica speculativa edell'epos filosofico, oppure, in Heidegger, di un«abitare poetico» che renda a tutti accessibile laGeviert-Sprache e la possibilità di vivere eine Erfahrung mitder Sprache)19, ma prima di tutto la perdita dellaspecificità artistica. E' proprio l'aver pensatol'essere nei termini della conflittualità «poetica» diLichtung e Verbergung, l'aver fatto dell'arte il modello(identitätsphilosophisch o fundamentalontologisch, non importa)della verità, a sancirne un destino se non strumentalequanto meno subalterno, di semplice mimesi allegoricadella parusia della poesia trascendentale, dell'Urselbstnella sua «economia» o del Sein nella sua alétheia. Delpari le estetiche di questo tipo pagano la loro«carriera» metafisica perdendo la loro sostanza, cioèogni riferimento alle opere concrete a vantaggio di unaloro ipostasi archetipica («esiste propriamente una solaopera d'arte, che può certo esistere in esemplari

18 «Come possa però nascere a sua volta una nuova mitologia»collettiva, «è un problema la cui soluzione si può attendere solodai futuri destini del mondo e dal corso ulteriore della storia»(SW III 629).19 Cfr. W. Marx, Bemerkungen zum Verhältnis von Philosophie und Dichtung beiSchelling und Heidegger, in Philosophie und Poesie. Otto Pöggeler zum 60.Geburtstag, hrsg. von A. Gethmann-Siefert, Frommann-Holzboog,Stuttgart-Bad Cannstatt 1988, II, pp. 125-141.

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totalmente differenti, ma è tuttavia unica quand'anchenon dovesse esistere nella forma più originaria»; SW III627), un po' come forse accade all'io particolare, chepaga il proprio divenire nel System medium e riflessodell'universale, «garante dell'esistenza concettuale diun io trascendentale, che connette i singoli», appuntocon il proprio svuotamento20.

20 Insiste su questa perdita del particolare (filosofico edestetico) quale stimolo all'abbandono della prospettivatrascendentale in favore di quella del sistema dell'identità, B.Wanning, Konstruktion und Geschichte. Das Identitätssystem als Grundlage derKunstphilosophie bei F. W. J. Schelling, Haag+Herder, Frankfurt a. M. 1988,pp. 1-23.

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3. L'arte come Versinnlichung escatologica: annientamentodi arte e filosofia

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Pensare all'arte come allo strumento per eccellenzacol quale il mondo obiettivo traduce l'idealitàfilosofica (a cui essa è affine, a livello di contenutoprofondo se non di forma esteriore), a ciò che media trail sapere trascendentale inobbiettivabile e il sapereoggettivo della coscienza comune, sembra peraltro averedalla sua la possibilità non solo di evocare eanticipare la svolta lebensweltlich di molta filosofiaposteriore, ma anche di spiegare coerentemente ilricorso in extremis nel System alla mitologia nei terminidell'universalizzazione non coercitiva della funzionemediatrice fino a quel momento affidata al genioindividuale (più o meno concepito fin da principio sulmodello della creazione inconscia e collettiva dellamitologia antica), nonché la più sistematicatematizzazione della mitologia contenuta nella Philosophieder Kunst. E' come se l'appello alla «nuova mitologia», ela conseguente richiesta di universalità rivoltaall'artista moderno che miri a recuperare oggettività esimbolicità (tesi che, peraltro, non chiarisce se ilpopolo organicisticamente armonizzato sia la condizionedi possibilità della nuova mitologia o ne sia l'esito),sancissero ora la storicizzazione, financo escatologicanel suo côté postfilosofico, della mediazione eprefigurassero così uno scenario in cui la filosofia,attualmente indotta a rovesciarsi nel suo altro21 perautocomprendersi pienamente (con i prevedibiliparadossi: la filosofia diviene pienamente se stessa,totalmente consapevole di sé, solo quando cessa diesistere in quanto tale...), apparirà emancipata dallaconsueta cornice interioristico-cartesiana e tornerà adessere vita o, che è lo stesso, religione. Ma in nessuncaso ci sembra sia possibile parlare, restando

21 Una concezione — quella del necessario rinviare della filosofiaal suo altro — com'è noto straordinariamente costante nel pensieroschellinghiano (natura, arte, mitologia, religione) e che a nostroparere, più di altri motivi, ne giustifica l'odierna attualità.

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all'interno di questa ipotesi — ambigua oltre tutto:nell'affermazione secondo cui l'arte è il «modello dellascienza» e quindi «dov'è l'arte, deve (soll) giungere lascienza» (SW III 623), si può infatti leggere tanto ildissolversi della scienza nell'arte quanto l'annullarsidella seconda in favore della prima —, di una permanenteulteriorità dell'arte rispetto alla filosofia. Dalfelice esito della nuova mitologia dovrebbe risultare,piuttosto, il superamento tanto della filosofia, necessaria masolo fino a che durerà l'imperfetta mitologia delModerno, quanto dell'arte stessa, che resterà tale, ossial'incarnazione prolettica del superamento dellascissione e l'inaggirabile materiale ermeneutico dellafilosofia, solo fin quando non si avrà il regno dellaprovvidenza22, fin quando cioè Dio non sarà in sensoproprio. L'oceano della poesia, simbolo dello Zumalpost-moderno, non è evidentemente né filosofia néreligione, né arte né mitologia, bensì tutte queste coseinsieme, fattesi semplicemente vita non tanto nella lorounità sommatoria quanto nella loro obiettivazione eindistinzione archetipica, innegabile rovescionostalgico, cautamente rimandato a un futuroimprecisato, della moderna divisione psicologisticadelle facoltà e sociale del lavoro.

4. L'arte come certificazione oggettiva del filosofico esuo superamento

Unicamente il passaggio a ipotesi meno unilaterali cipermetterà di penetrare più a fondo nella struttura delSystem, anche se, in definitiva, per riproporre daprincipio su di un piano più complesso l'oscillazionetra il primato della filosofia e quello dell'arte.

22 Cfr. K. Baum, Die Transzendierung des Mythos. Zur Philosophie und ÄsthetikSchellings und Adornos, Königshausen & Neumann, Würzburg 1988, p. 10.

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a) Sembra indurre alla tesi dell'ulteriorità dellafilosofia la riflessione sulla più o meno intenzionalepiega ermeneutica del discorso schellinghiano. Chel'opera contenga significati infiniti, e che «non si[possa] ben dire se quest'infinità sia collocatanell'artista stesso o si trovi invece soltantonell'opera d'arte» (SW III 620), parrebbe, infatti,rilanciare l'ipotesi che solo l'interprete (che sia ilfilosofo o l'artista stesso messosi a filosofeggiare,non fa differenza)23 comprende appieno l'arte, e viriesce, paradossalmente, proprio non saturandone ilsenso (non comprendendola pienamente, quindi), anzisoccombendo alla sua inesauribilità. Un paradosso —comprendere l'arte significa qui non comprenderlapienamente, non coglierne il nucleo e perciò rianimarnel'interna dialettica, momentaneamente sopita — cheriguarda però solo la singola opera, effettivamentetrascendente ogni sua interpretazione, ma non l'artecome fenomeno generale. Mentre infatti l'arte (la suaessenza) trova perfetta risoluzione filosofica, comedeve presupporre l'analisi che Schelling ne fa, lasingola opera d'arte costringe effettivamene ogni voltail pensiero filosofico al mutismo, o meglio ad unacoincindenza comprensione-incomprensione, in fin deiconti conforme sia alla coincidenza tra fallimentodell'artista e riuscita dell'opera (riuscitacontraddistinta dal suo alienarsi nell'inconscio-oggettivo, dal fatto che la necessità naturale cominciaa vivere per proprio conto estorcendo al soggetto il suoprodotto secondo il modello dell'incolpevolecolpevolezza dell'evento tragico, dove vincono entrambe,

23 Il fatto che l'oggetto cui Schelling allude — «Ciò chel'intuizione intellettuale è per il filosofo, quella estetica lo èper il suo oggetto» (SW III 630, corsivo nostro) — sia l'io comune(oggetto, appunto, dell'io filosofico) e non il prodotto artistico(per una diversa interpretazione cfr. F. Moiso, op. cit., p. 176),comporta a nostro avviso l'identificazione di artista e intuizioneestetica.

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libertà e necessità; SW V 693)24, sia alla metafora dellastoria come theatrum mundi, rappresentazione divina cuigli uomini-attori collaborano ignorandone però il sensocomplessivo. L'opera sembra sancire allora un modello(tragico-sublime) dell'ermeneutica — la creazione ecomunicazione del senso si ha solo a scapitodell'intenzione cosciente e dell'artista e dei suoiinterpreti — che, pensata nei termini di una direzione«naturalistica» del divenire storico, secondo cui leinfinite possibile interpretazioni dell'operacostituirebbero il trascendimento felice e nonconflittuale del senso in essa riposto (la sua perenneautoorganizzazione), se non sospende, quanto meno mettein difficoltà l'abituale abbinamento di interpretazionee prassi critico-emancipativa. Ma forse a suggerirequesta conclusione è una concezione ancoraeccessivamente esigenzialistica e allegoricadell'infinità del senso. Se, infatti, sostituissimo allostato di perenne insoddisfazione interpretativa che essasembra presupporre una condizione di perenneappagamento, indotta proprio dal fatto che l'operaesaudisce tutte le aspettative e intenzioni, contiene«in sé tutte le vie percorribili» al punto da essere ilsolo oggetto che «non richiede la riaperturaall'infinito della ricerca della libertà nell'oggetto»25,potremmo pensare all'opera non solo comeall'interruzione (felice) dell'etico, ma anche come auna forma simbolica la cui infinità è sempre di volta involta tutta presente nel finito e che perciò può fare ameno di estenuarsi nel rimando, a un dono della fortuna24 E' significativo che l'esperienza tragica, analizzata daSchelling nei Philosophische Briefe über Dogmatismus und Kriticismus (1795)ancora nei termini dell'agire del personaggio dell'opera,caratterizzi ora l'operato dell'artista innalzandolo al ruolo dieroe tragico dell'arte. Nel che si potrebbe anche registrarel'abbandono dell'estetica contenutistica a vantaggio dell'esteticadella produzione e dell'opera (cfr. P. Szondi, La poetica di Hegel eSchelling, tr. di A. Marietti Solmi, Einaudi, Torino 1986, p. 245).25 F. Moiso, op. cit., p. 175.

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che è immer am Ziel e che esige, almeno potenzialmente, diessere universalmente comunicabile. E' comunque fuor didubbio che a comprendere l'opera, ossia a non comprenderlaperfettamente, è abilitato solo il filosofo, non potendoin alcun modo l'artista distanziare riflessivamente ilsuo prodotto.

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La stessa metafora schellinghiana dell'arte come«chiave di volta» dell'edificio filosofico, normalmenteassunta nel senso che l'arte porterebbe a compimento erenderebbe così possibile la filosofia, potrebbe peròanche voler indicare che l'arte è costretta apresupporre la filosofia, risultandone quindi del tuttocondizionata26. Si potrebbe perciò dire che «unicamentela filosofia può sapere e dire che l'arte lo fa; l'arteabbisogna della riflessione per dire ciò che l'arte dasé sola non può dire né mostrare»27, che cioé, comeSchelling dirà in seguito, il filosofo comprende l'artemeglio dell'artista stesso (SW V 348). E si tornerebbecosì da capo, alla complementarità, ma su un piùadeguato piano d'analisi, per cui «il filosofo hacertezza ma impossibilità di comunicazione, l'artista hacapacità di comunicazione universale, ma non trasparenzagenetica»28. Lungi dall'esprimere un semplicisticopassaggio dalla filosofia all'arte, ma anche dalrappresentare una soluzione meramente analogica, unaVerlegenheitslösung29 con cui sopperire all'impossibilità diammettere o di negare del tutto la pensabilità (che poisignifica l'immanenza) del soggetto assoluto, la chiusadel System non screditerebbe in alcun modo le formeteoretiche e pratiche dell'autocoscienza di cui èl'esito, e identificherebbe nell'arte, fichtianamente30,26 M. Lingner, Das Organon als Schlußstein, in M. Lingner-A. Rohsmann,Texte zu Franz Erhard Walther, Organon, Ritter, Klagenfurt, s.d., cit. daM. Boenke, Transformation des Realitätsbegriffs. Untersuchungen zur frühenPhilosophie Schellings im Ausgang von Kant, Frommann-Holzboog, Stuttgart-BadCannstatt 1990, p. 366.27 Così W. Beierwaltes, Einleitung a F. W. J. Schelling, Texte zurPhilosophie der Kunst, ausg. und eingel. von W. Beierwlates, Reclam,Stuttgart 1982, p. 18.28 F. Moiso, op. cit., p. 171.29 E' la celebre tesi di W. Schulz, Die Vollendung des Deutschen Idealismusin der Spätphilosophie Schellings (1955), Neske, Pfullingen 19752, p. 132.30 Cfr., ad esempio, J. G. Fichte, Sistema di etica, tr. di R. Cantoni,a cura di C. De Pascale, Laterza, Roma-Bari 1994, p. 329: l'arte«rende comune il punto di vista trascendentale», promuove il finedella ragione, prepara alla virtù, educa al gusto e quindi alla

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soltanto il medium tra filosofia e coscienza comune,«una premonizione, destinata a scomparire, di uno statodiverso e superiore che è ancora soltanto il filosofo apoter divinare attraverso i segni del presente»31. Sipotrebbe, anzi, osservare che già la semplice presenza(in qualche modo compensativa) dell'arte significanecessariamente il mancato raggiungimento dellaconciliazione. Così, di un'estetica che contenda ilprimato alla filosofia, si potrebbe forse parlareunicamente per il periodo 1796-1797, caratterizzatoinfatti dall'insistenza (mediata da un'interpretazioneestetica dell'intuizione intellettuale analizzata daFichte nella Zweite Einleitung in die Wissenschaftslehre del 1797)sull'«estetica» come il sempe disponibile «accessoall'intera filosofia, perché solo al suo interno si puòspiegare che cos'è spirito filosofico, senza il qualevoler filosofare non è meglio che pretendere di durarefuori del tempo o poetare senza immaginazione» (HKA I 4129, n. R). A ciò s'aggiunga la considerazione, spessopassata inosservata, che l'arte compie uno soltanto deiversanti che confluiranno nella filosofia dell'identità(la filosofia trascendentale come sistema del saperesoggettivo) e quindi, anziché essere l'assoluta unità dinatura e intelligenza, di filosofia teoretica efilosofia pratica, nella migliore delle ipotesi nepotrebbe essere soltanto la convergenza soggettiva,«l'indifferenza entro i confini della soggettività»32.L'arte, in ultima analisi, non sarebbe la realizzazionedell'ideale — qualora valga qui ancora l'avvertenza cheil criticismo «diventa a sua volta necessariamentedogmatismo non appena pone il fine ultimo comerealizzato (in un oggetto) o come realizzabile (in unqualsivoglia momento)» (HKA I 3 102) — ma la sua meralibertà, ma solo la filosofia è in grado di indicare il fine nel mondorazionale. Si veda anche Id., Sullo spirito e la lettera, a cura epostfazione di U. M. Ugazio, Rosenberg & Sellier, Torino 1989.31 F. Moiso, op. cit., p. 174.32 H. Freier, op. cit., p. 132.

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approssimazione in immagine, differente dalla filosofiaunicamente per la direzione (esterna) intrapresa.

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b) E tuttavia, nonostante queste e altre contromossein favore della filosofia, dal nostro punto di vistal'ulteriorità dell'arte sembra imporsiirresistibilmente. Cominciamo col notare che, essendopostulatoria e dunque perennemente dubbia, l'intuizioneintellettuale del filosofo non ha che uno statutointerinale, per cui soltanto il bello messo in opera dalgenio artistico è in grado di redimere il vero delfilosofo (genio impotente!) da ogni residuo carattereillusorio, dal tormentoso e solipsistico stato di dubbioche in lui accompagna l'autointuizione raggiunta eppurea rigore sempre mancata, e garantirne cosìl'intersoggettività, rendendo naturale quanto fin lì erapossibile solo artificialmente, e cioè decifrare lanatura come passato trascendentale. Ciò comporterà forsel'equidignità e la complementarità di arte e filosofia,anche in nome della loro comune superioritàextrariflessiva sulla coscienza comune, di per séincapace sia di cogliere il primo principio del sapere,sia di renderlo sensibile, ossia di percorrereautonomamente nella sua interezza l'iter tra i dueconfini estremi dell'intuizione intellettuale edell'intuizione estetica (SW III 630)33, oppure lafunzione integrativa assegnata all'arte dovrebbepiuttosto farci pensare alla produzione estetica come auna mera simbolizzazione della «memoria trascendentale»(SW IV 77), assiologicamente non molto diversa da quellacui mirano gli incitanti «monumenti» della natura, edunque a una, per quanto essenziale, componente dellafilosofia? O non converrà, piuttosto, riconoscere che

33 Estremi che per il Fichte della Zweite Einleitung in die Wissenschaftslehreerano invece l'intuizione intellettuale (per il filosofo) e l'«iocome idea» (per l'oggetto del filosofo o coscienza comune): sempreun iter dal formalismo filosofico all'ambito reale, ma con ladecisiva differenza che corre tra l'obiettivazione esensibilizzazione epifanica dell'assoluto (Schelling) e ladefinizione dell'io come ideale perennemente da realizzare(Fichte).

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l'arte come certificazione oggettiva, aggiungendoqualcosa di altrimenti non surrogabile (il pensierovive, infatti, proprio della non-identità), rappresentaquindi contenutisticamente e non solo formalmente un«incremento d'essere»? E' ciò che ci pare confermare ilrapporto tra l'arte e la prassi storica: sel'eterogenesi storica determina un destinoinequivocabilmente tragico, l'eterogenesi artistica, chepure esiste ma sfocia in una «armonia infinita» a suavolta causa di una «soddisfazione infinita» (SW III617), rappresenta invece una soluzione totalmente felice(almeno a livello conclusivo) dell'altrimenti insolubilecontraddizione fondamentale della quale la creazione èla risposta, è, in breve, un agire storico volto infortuna grazie all'integrazione inconscia. Nell'artel'uomo, dopo essersi inutilmente affaticato nellapianificazione storica, scopre «ciò che senza laproduzione dell'opera gli sarebbe rimasto per semprecelato: [...] una natura assolutamente favorevole in sestesso»34, una conoscenza sempre per estraniazione ma dalfelice esito, e il cui segno positivo, tra l'altro, nonaddossa all'uomo (in questo caso all'artista) minori maaddirittura maggiori responsabilità, dato che egli sa, adifferenza dell'agente storico, che può sempreaddebitare il cattivo esito di un'azione a una funestanatura fuori di sé, di aver colpevolmente sprecatol'occasione offertagli da una provvidenza spontaneamentebenevola, il «dono volontario di una natura superiore»(SW III 615).

34 H. Freier, op. cit., cit., p. 170.

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Da qui all'eventuale interpretazione dell'esteticadel System come secolarizzazione del processocristologico e/o alchemico, il passo è breve, perlomenoper chi non rinunci a dar conto della profondastratificazione epistemica sottesa al fenomenoartistico35. Capace di sopportare e liberarecreativamente il doloroso travaglio imposto dallacontraddizione originaria (nigredo-putrefactio o melanconiacome condizione gestativa), l'artista, nel quale comenell'alchimista la tradizione dell'Imitatio Christi vedesimboleggiato il Redentore, compie di fattoun'operazione trasformativa «in salita», unaunificazione dei contrari (quadratura circuli), il cuisignificato di purificazione insieme materiale espirituale (cui pertiene, in quest'ottica, anche ilpiacere estetico come vittoria sulla melanconia) ricordae qualche volta ripete persino alla lettera l'opusalchimistico, configurandosi insieme con questo,nell'ambito di una ripresa della sola gratia che non eludedel tutto il ricorso alle opere della legge (la tecnicaartistica e alchimistica), come la replica dellaredenzione cristica. Questo concludersi nel kairósestetico-alchemico, anziché nell'assolutismo delLeviatano, della dialettica (eterogenesi) fatale e degliantagonismi dell'agire storico, ha ben poco a che farecon l'adialettica pace e innocenza dell'idillio allaSchiller, è piuttosto un'anticipazione della restitutioparadisi che, pur senza far suo il dolore supremo dellacroce, non si esime però dal contatto conl'eccezionalità (il genio) e soprattutto col tragico (ildolore dell'esordio dell'artista e quellodell'interprete, per principio trasceso dall'opera,tanto più nel fenomeno del sublime36), che anzi è

35 Per qualche utile indicazione cfr. M. Calvesi, La melanconia diAlbrecht Dürer, Einaudi, Torino 1993, passim.36 Cfr. D. Salber, op. cit., cit., p. 168: «il sublime trasforma in uncerto senso anche lo spettatore in un artista».

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implicito nella concezione stessa dell'arte — circolarequanto quella con cui esordisce il famoso saggioheideggeriano sull'origine dell'opera d'arte37 — inquanto necessario riflesso nell'uomo dell'identitàassolutamente sovrafenomenica e sua necessariaespropriazione in vista della realizzazione di unoggettivo (che è sempre per Schelling un esitoinintenzionale) ermeneuticamente insaturabile. Laprecedente allusione allo sfondo cristologico divieneinoltre chiara quando si rifletta — com'è d'obbligoquando si affronta il plesso di estetica religiosa ereligione estetica che caratterizza gran parte dellaGoethezeit e che potrebbe (dovrebbe) essere il segnodistintivo anche dell'esperienza dell'arte nell'età delnichilismo compiuto38 — sull'analogia tra la naturafinita e infinita dell'opera d'arte e quella umana edivina di Cristo, sull'eccezionalità epifanica e nonframmentaria di entrambe le figure, sul caratteremiracoloso (SW III 625) ed eventualmente unico, come s'èvisto (SW III 627), della loro opera di redenzione(dalla colpa, nella quale si può leggere l'inizialeimpulso contraddittorio che domina l'artista) e dipromessa (dello Zumal simbolico e dell'«ultimo Omero»,oppure del regno di Dio). Cristocentrismo e analogiaalchemica che ci paiono confermabili, in ultima analisi,anche a partire da una superficiale lettura simbolico-costruttiva della troppo spesso aggirata affermazioneschellinghiana dell'arte come «chiave di volta»(Schlußstein des Gewölbes) (SW III 349) dell'intero edificiofilosofico e suo ritorno al principio: che altro è la

37 Cfr. M. Heidegger, L'origine dell'opera d'arte, in Id., Sentieri interrotti,presentazione e trad. di P. Chiodi, La Nuova Italia, Firenze 1968,p. 3: «L'artista è l'origine dell'opera. L'opera è l'originedell'artista. Nessuno dei due sta senza l'altro». Su questo puntocfr. K. Baum, op. cit., cit., p. 215. 38 Cfr. G. Vattimo, Oltre l'interpretazione. Il significato dell'ermeneutica per lafilosofia, Laterza, Roma-Bari 1994, pp. 73-92, ma soprattutto pp. 90-92.

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chiave di volta («pietra quadrata che consolida e decoral'estremità superiore di un'arcata o di una cupola»)39 senon la «pietra angolare»40 unica, e perciò simboleggianteil principio da cui tutto deriva, con la quale,«coronando» l'opera, si passa dal quadrato alla cupola(dalla terra al cielo, dalla squadra al compasso, daipiccoli ai grandi Misteri), o semplicemente si chiude ilvertice della costruzione con qualcosa che genera unpilastro assiale simboleggiante l'Asse del mondo? Nellachiave di volta estetica come «capo» e perfezionedell'opera (clef de voûte, chef-d'oeuvre, keystone, capstone ocopestone) si possono perciò agevolmente vederesimboleggiati, secondo una diffusissima assimilazionetradizionale, il Figlio (la «pietra» discesa dal cielo)e la pietra filosofale, il che conferma la continuitàspeculativo-simbolica tra processo cristico,alchimistico e artistico (necessariamente superiore,perciò, a quello filosofico).

39 H. Biedermann, Enciclopdia dei simboli, Garzanti, Milano 1991, p. 114.40 Per una precisa messa a punto dei rapporti tra tale «pietraangolare» (quinto angolo, angolo degli angoli o quintessenza) postaal vertice dell'edificio fisico-simbolico e la pietra gettata viadai costruttori (Salmo CXVIII, 22; Matteo, XXI, 42; Marco, XII, 10;Luca, XX, 17), cfr. R. Guenon, Simboli della Scienza sacra, tr. di F.Zambon, Adelphi, Milano 1990, pp. 238-250.

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Nella tesi che «il non-rappresentabile, che non è maioggetto, resta l'ir-rappresentabile anche quando fa lasua comparsa nell'ambito del nostro rappresentare come"oggetto" dell'intuizione estetica»41, ci pare, inoltre,di riscontrare un'inaccettabile svalutazione dellaVersinnlichung fenomenica, che fa torto all'indirizzopermanente, anche se divenuto addirittura apologeticosolo nello Schelling intermedio (voltosi apertamente alteismo e, perché no, alla teosofia cabalistica di unOetinger), che vede nella natura e nella corporeità(anche artistica?) la rivelazione suprema, das Ende derWerke (Wege) Gottes (SW VII 325). Come dar conto,altrimenti, e senza limitarsi a modulare su due pianil'inaudito della chiusa42, dell'enfasi estetica eplatonizzante (arte come divina mania, pati deum) di cuiSchelling carica la propria escatologia (ritorno deisaperi, «come altrettanti singoli fiumi, aquell'universale oceano della poesia [...] da cui eranouscit[i]»; SW III 629)43, e forse ancor più dei coevitentativi di poetare in proprio44, i quali attestano nonsolo il fascino di una filosofia poetica o poesiafilosofica, ma anche «una presa di coscienza dell'arte

41 G. Hebbeker, Absolutes Einheitsbedürfnis als Beweg-Grund der PhilosophieSchellings, dargelegt im Hinblick auf seine Kunstphilosophie, Diss., Stuttgart1966, p. 55.42 Soluzione data da M. Boenke, op. cit., p. 361: mentre l'arte è«documento» della filosofia per la serie reale o prima serie, nelsenso che presentifica per l'io quell'intuizione intellettuale disé che costantemente si è sottratta alla presa del pensierocosciente, è «organo» per la serie ideale o seconda serie, cioè perla filosofia trascendentale.43 Secondo il ben noto modello schlegeliano (contenuto nel § 116dell'«Athenaeum») della riunificazione di «poesia e prosa,genialità e critica, poesia d'arte e poesia ingenua» (cfr. F.Schlegel, Frammenti critici e scritti di estetica, a cura di V. Santoli,Sansoni, Firenze 1967, p. 64), ma anche con la rilevante differenzache Schelling, a differenza di Schlegel, esclude qualsiasiconoscenza riflessa dell'assoluto. 44 Per un'analisi della poesia filosofica di Schelling cfr. T.Griffero, op. cit., pp. 60-71 e soprattutto H. Kunz, Schellings Gedichteund dichterische Pläne, Juris, Zürich 1955.

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in quanto non si esaurisce nella "Poesie" intrinsecaalla filosofia e quindi come attività differenziata neiconfronti della filosofia»45, denunciano cioè l'esigenzadi collocare rispetto alla filosofia non solo la Poesie ela Dichtkunst, fino a quel momento agevolmente integratenella filosofia in quanto delimitanti il «sensoestetico» che il filosofo deve possedere non meno delpoeta se vuole conciliare (appunto, come recita ilSystemprogramm, nell'idea del bello come unione di bontàe verità) la contraddizione soggetto-oggetto, ma anchel'arte (Kunst ) in quanto essa ha di tecnico e fattuale,insomma di autonomo? Solo a patto di non tralasciarequesto indirizzo esplicitamente artistico e non sologenericamente poietico, e di non aggirare l'icasticadefinzione dell'arte come «unica ed eterna rivelazione(Offenbarung)» (SW III 618), si potrà ancora vedere nelSystem quel carattere di inaudita provocazione al logosoccidentale che tradizionalmente gli spetta, sospesocom'è tra l'impegno radicalmente pedagogico di Fichteper una rivoluzione etica del genere umano el'identificazione hegeliana del supremo modo d'esseredell'uomo col concetto. Una provocazione, inoltre, checostituisce un unicum assolutamente transitorio anchenel pensiero di Schelling, normalmente intenzionato amantenere in una condizione di autonomia parallelal'istanza esoterica e quella essoterica46, poichécoincide con quel peculiare momento di transizione, trala dialettica attivistica tipica del trascendentalismorelativamente fichtiano e lo sguardo eternizzante etotalmente paraestetico del sistema dell'identità, incui la filosofia (guidata dall'immaginazione produttivaanziché dalla ragione assoluta) non è ancora in grado diregistrare l'universale trasparenza dell'assoluto nel

45 Così già R. Assunto, Estetica dell'identità. Lettura della Filosofiadell'arte di Schelling, S.T.E.U., Urbino 1962, p. 69.46 Cfr. T. Griffero, Cosmo Arte Natura. Itinerari schellinghiani, PraticaFilosofica 9, Cuem, Milano 1995 (capitolo I).

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particolare, calando così il proprio interdetto suqualsiasi «miracolo» (artistico o meno). All'interno delsistema dell'identità, per quanto grande sial'importanza dell'arte, è certo che la filosofia non hapiù bisogno dell'arte come del proprio relativamentealtro47, perché ne ha ormai interamente assorbito lalogica, riuscendo di conseguenza ad «essere comunicativain proprio»48: è ora intimamente estetica la filosofiastessa, e non solo il suo punto d'accesso o il suocompimento geniale.

47 Bisognerà aspettare, piuttosto, la tarda filosofiaschellinghiana per ritrovare confermata, sotto la formadell'integrazione fornita dal Was (filosofia positiva) al mero Daß(filosofia negativa), l'esigenza per la filosofia di superarsi nelsuo altro, che ora non è più l'arte ma il divenire di Dio comemitologia e rivelazione.48 F. Moiso, op. cit., p. 181.

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In questo senso, e nonostante non sia certo Schellingl'Aristotele dell'estetica a suo tempo auspicato daBaumgarten, ci pare esca comunque confermato, nella chiusadel System e solo in essa, quell'«assolutismo estetico», oinnalzamento dell'arte a strumento di coesione sociale49

e paradigma rivelativo di ogni essente (SW III 616), dalquale eravamo partiti, e che continuiamo a pensare sial'esito più interessante (se l'attualizzazione può farpremio sull'acribia filologica) della Wirkungsgeschichtedel System, nonostante tutte le labirintiche scappatoiee le vertiginose deviazioni che il testo in effettipermette e delle quali abbiamo cercato di dar contonelle pagine precedenti. In che altro modo definire, senon come «assolutismo estetico», la tesi per cui l'arteobiettiva non solo il primo principio del sapere maanche l'«intero meccanismo [ossia il conflitto, chespiega i diversi livelli della storiadell'autocoscienza, tra una forza infinita e una chefinitizza; N.d.A] che la filosofia deduce e sul qualeessa stessa si basa» (SW III 625-626), che essa è, cioè,non solo il medium dell'esperienza dell'assoluto maanche la stessa filosofia giunta ad autotrasparenza(tanto singolarmente, in ogni presente, quanto «inmassa», come s'è visto, nella futura riunificazionepoetica dei saperi)? Un «assolutismo estetico» che sitratta ovviamente di assumere sempre comeun'interpretazione possibile (un'obiezione insuperabileè, infatti, quella per cui l'apologia schellinghianadell'arte resta pur sempre una filosofia dell'arte, ossia unacostruzione in cui la visione non ha la megliosull'argomentazione) e, in ogni caso, con il dovuto sensocritico, svincolandolo in particolare tanto dallasoluzione classicistica data alla querelle des anciens et des49 Cfr. W. Schulz, Einleitung a F. W. J. Schelling, System destranszendentalen Idealismus, Meiner, Hamburg 1957, p. XLIV:«Nell'intuizione estetica dell'opera d'arte sono una cosa sola ilfilosofo e l'oggetto della sua considerazione riflettente, l'io chedoveva essere condotto a sé».

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modernes, quanto da quell'ignoranza dell'arte empiricache ancora ad Adorno appariva invece consustanziale adogni apoteosi metafisica dell'arte. Ma una voltaaccettata, la tesi dell'assolutismo estetico dev'esseresvolta in tutta la sua radicalità, e cioè comedichiarazione di un'ulteriorità dell'intuizione rispettoalla sfera del dicibile e del riflessivo, stigmatizzatacome una perversione solo provvisoriamente necessaria; inbreve nel senso di una rivendicazione dell'autonomiadella ratio estetica, intesa come la sola facoltà che,nei suoi prodotti, coniughi antiriduzionisticamenteassolutezza e sensibilità e, come meccanismo intrafilosofico,riveli una inaggirabile componente estetica dellaragione in generale. Una rivendicazione, questa, cheneppure Heidegger se la sentirà di far sua, limitandosipiuttosto ad ammettere la complementarità di Dichten eDenken in vista dell'auspicato «nuovo inizio».

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