Friedrich Wilhelm Murnau. L’arte di evocare fantasmi (Eds, 2010)

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LE TORRI 12

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LE TORRI12

Andrea Minuz

FRIEDRICH WILHELMMURNAU

L’arte di evocare fantasmi

Le TorriProgetto ideato e diretto da Giorgio Simonelli e Luca Venzi

ISBN 978-88-85095-55-7

Copyright © 2010by Edizioni Fondazione Ente dello Spettacolo™Fondazione Ente dello SpettacoloVia G. Palombini, 6 – 00165 Romatel. 06/96519200; e-mail: [email protected]

Redazione: Chiara Supplizi

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Nota dell’AutoreRingrazio Rossella Catanese per i preziosi consiglie le indicazioni ricevute.

FRIEDRICH WILHELM MURNAUL’arte di evocare fantasmi

«In quanto conferisco al volgare un altosignificato, al comune un aspetto enigmatico,al noto la dignità dell’ignoto, al finito un’ap-parenza infinita, io lo rendo romantico»

(Novalis)

«Certo è che nessun’opera letteraria scrit-ta o recitata potrà mai esprimere lo spettrale,il demoniaco e il soprannaturale al pari delcinema»

(B. Balázs)

«Il cinema è l’arte di evocare fantasmi»(J. Derrida)

Friedrich Wilhelm Plumpe nasce il 28 dicembre del1888 a Bielefeld, una piccola città del Nord-Reno Westfa-lia situata nei pressi della foresta di Teutoburgo, da unafamiglia di origini svedesi. Figlio del secondo matrimoniodel commerciante di tessuti Heinrich Plumpe con FrauOttilie, cresce assieme ai fratelli Robert e Bernhard e alledue sorelle Ida e Anna, nate dal primo matrimonio del pa-dre. Nel 1892 la famiglia si trasferisce a Wilhelmshöhe,nelle vicinanze della città di Kassel, in Assia Settentriona-le. L’infanzia trascorre nell’atmosfera felice e incontami-nata di questa grande casa di campagna e, sin da questoperiodo, Friedrich manifesta un forte interesse per l’arte,la letteratura e il teatro, sviluppando le proprie curiositàsotto la guida della sorella Anna. Più grande dei suoi fra-telli, Anna studia pittura a Kassel e allestisce nella tenutadi Wilhelmshöhe piccole rappresentazioni teatrali che im-pressionano molto suo fratello Friedrich. Tra i dieci e i do-dici anni il futuro regista si immerge nelle letture dei clas-sici, soprattutto William Shakespeare, Fëdor Dostoevskij eHenrik Ibsen, e poi, più avanti negli anni, Johann Wolfgang

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IIl viandante sul mare di nebbia

rirà a trentasei anni, nella battaglia di Verdun), troveran-no una fertile risonanza nell’immaginazione visiva, nellavoro sulla figurazione e nella messa in scena del cine-ma di Murnau1.

A partire dal 1910, dopo aver studiato Filologia a Berli-no, Murnau e Degele frequentano i corsi di storia dell’artedell’Università di Heidelberg, tenuti da Carl Neumann.Questi sviluppa le idee emergenti dello storico dell’arteHeinrich Wölfflin, secondo cui ai caratteri nazionali cor-rispondono altrettante fisionomie artistiche e costanti sti-listiche della composizione, distribuite attorno alle cop-pie oppositive dei valori formali (superficie/profondità;lineare/pittorico, e così via). Il progetto perseguito daWölfflin di una “storia dell’arte senza nomi”, da riscrive-re vale a dire in base ai caratteri e alla forza delle formemesse in gioco, nonché l’idea stessa di una definizionedei valori formali specifici dell’arte germanica, diventaben presto l’approccio dominante nelle università di Ber-lino e Heidelberg. È in questo quadro di rinnovamentoculturale della tradizione artistica nazionale che, nel1906, la Galleria Nazionale di Berlino organizza un’ampiaretrospettiva dedicata agli ultimi cento anni della pitturatedesca, da cui emerge chiaramente la centralità dell’ope-ra di Caspar David Friedrich. La riscoperta di Friedrich(ma anche di Albrecht Dürer, Matthias Grünewald, HansHolbein e altri) e in generale l’emergere di un nuovosguardo sul Romanticismo pittorico tedesco, è un feno-meno determinante per il rilancio di nuovi fermenti arti-

von Goethe e Edgar Allan Poe, ma anche di filosofi comeFriedrich Nietzsche e Arthur Schopenhauer. A partire dal1905 si reca spesso a Parigi e visita varie altre località del-l’Europa, mentre nel frattempo decide di trasferirsi a Ber-lino per studiare Filologia.

La Berlino che lo accoglie è una città in continuo fer-mento che contende a Parigi il primato di capitale dell’ar-te e della cultura. È in ogni caso nel corso di questo perio-do denso di viaggi che adotta il nome d’arte di FriedrichWilhelm Murnau, in onore del piccolo villaggio delle Al-pi Bavaresi dove trascorre le vacanze con l’amico e poetaHans Ehrenbaum-Degele. È qui, a Murnau, che nell’ago-sto del 1910 Vasilij Kandinskij redige il testo attorno a cuisi raduna la Neue Künstlervereinigung München (Nuo-va Associazione Monacense), un gruppo in cui conflui-scono differenti personalità artistiche e che comprendeanche musicisti, poeti e danzatori. Grazie all’amiciziacon Degele, Murnau conosce e frequenta artisti impor-tanti come il pittore Franz Marc e la poetessa ElseLasker-Schüler, la quale con la raccolta di poesie MeineWunder diventerà una delle principali esponenti del-l’Espressionismo. Franz Marc sarà invece tra i fondatoridel movimento “Der Blaue Reiter”. Nel 1910, visitandola seconda mostra dell’Associazione monacense (in cuisono esposte le opere di Kandinskij, Alexej von Jawlensky,Gabriele Münter), Marc decide di scrivere un testo in cuimanifesta la propria adesione alla nuova arte, sottolinean-do l’importanza dell’idea di ritmo interiore della compo-sizione pittorica, e la necessità di riuscire a «cogliere at-mosfere spirituali che hanno poco a che fare con la mate-ria della rappresentazione, ma preparano una nuovaestetica spirituale». Le idee di purezza e semplicità dellaforma, la commistione di primitivismo e simbolismoperseguite nella ricerca artistica di Franz Marc (che mo-

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1 Cfr. F. Marc, Schriften, DuMont, Köln 1978, tr. it., Scritti (1910-1915), Hopefulmonster, Firenze 1987. Sull’importanza dellecomponenti primitiviste nello sviluppo dell’Espressionismosi veda D. Pan, Primitive Renaissance. Rethinking German Ex-pressionism, University of Nebraska Press, Lincoln and Lon-don 2001.

quegli anni Max Reinhardt radunò attorno a sé alcunedelle personalità più importanti del futuro cinema tede-sco (Georg Wilhelm Pabst, Fritz Lang, Ernst Lubitsch, maanche Marlene Dietrich, e l’attrice svedese Greta Garbo,che resterà legata per tutta la vita a Murnau da un’amici-zia profonda). Come scrive Lotte Eisner:

«I legami che uniscono il teatro di Max Reinhardt al ci-nema tedesco sono evidenti sin dal 1913; in effetti, i prin-cipali attori di questi film, Wegener, Bassermann, Moissi,Theodor Loos Winterstein, Veidt, Krauss, Jannings,per citarne solo qualcuno, provengono dalla troupedi Max Reinhardt. Non bisogna dimenticare cheReinhardt, a partire dal 1907 e fino al 1919 (data in cui larivoluzione portò in primo piano Piscator e il suo teatrocostruttivista) fu una sorta di Kaiser del teatro a Berlino,e che la sua figura aveva assunto una tale importanzache i buoni borghesi avevano l’abitudine, leggendo ilgiornale, di “saltare” la pagina politica per leggere ciòche il famoso critico Alfred Kerr diceva dello spettacolodel giorno prima […]. Diventando un’arte era del tuttonaturale che il cinema mettesse a profitto le trovate diMax Reinhardt, che utilizzasse il chiaroscuro, che mo-strasse, diffuse da un’alta finestra, quelle falde di luce inun interno oscuro, come si vedevano tutte le sere alDeutsches Theater […]. Il suo teatro diventava un vastospazio in cui turbinava il movimento e dove un’evolu-zione incessante metamorfosava la vita. Pannelli in mu-ratura e drappeggi dissimulavano in parte la curva dol-ce d’un Rundhorizont, un orizzonte la cui superficie con-cava era inondata ora dalla luce della luna, ora dai raggidi un sole sfolgorante, per essere poi subito reimmersain un’oscurità dove si vedevano tremolare le stelle,

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nau, vol. 2, Etapa Americana, Filmoteca Española, Madrid 1990,pp. 427-428.

stici che culmineranno di lì a poco con la stagione del-l’Espressionismo2.

L’incontro determinante per la futura carriera di Mur-nau è senz’altro quello con il grande regista teatrale MaxReinhardt, che nel 1911 lo ammette nella sua scuola di re-citazione a Berlino. I rapporti già difficili con la figura au-toritaria del padre si complicano ulteriormente quandocomunica il proprio desiderio di dedicarsi al teatro comeattore. Tra il 1913 e il 1915 interpreta alcuni ruoli neglispettacoli messi in scena da Reinhardt al Deutsches Thea-ter di Berlino (tra cui Il miracolo, Faust e Sogno di una nottedi mezza estate). Molti anni dopo, giunto ad Hollywoodcome regista di fama internazionale, Murnau ricordavacon queste parole il periodo trascorso con Reinhardt:«Sento per lui un’ammirazione senza limiti. Egli conosceil teatro più di chiunque altro. Non potrò mai trovare leparole adatte per spiegare quanto egli significò per me[…] ci sarebbe bisogno di un Max Reinhardt del cine-ma»3. Sperimentatore coraggioso e abile imprenditore, in

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2 Si veda in tal senso lo studio di Angela Dalle Vacche condottosul film Nosferatu, eine Symphonie des Grauens (1922; Nosferatu ilvampiro). Essa dedica alcune pagine interessanti alla ricostru-zione del contesto culturale della Berlino dei primi anni del No-vecento, individuando nella mostra del 1906 alla Galleria Na-zionale, e nella più generale riscoperta dell’opera di Friedrich,un momento decisivo della formazione artistica del giovaneMurnau e di quelle idee visive che più tardi egli svilupperà nelcinema. Cfr. A. Dalle Vacche, F.W. Murnau’s “Nosferatu”.Romantic Painting as Horror and Desire in Expressionist Cinema, inId., Cinema and Painting. How Art is Used in Film, University ofTexas Press, Austin 1996, pp. 161-196 (vedi in particolare il pa-ragrafo intitolato Murnau’s Education in Berlin and Heidelberg).

3 Dichiarazioni di Murnau rilasciate nel 1926 al «Motion PictureClassic». Cit. in L. Berriatúa, Los proverbios chinos de F.W. Mur-

Murnau viene internato nelle pensione Felsberg diAndermatt, nei pressi di Lucerna. In questo periodo di de-genza compone alcune sceneggiature e drammi teatrali.

Nel frattempo, eventi politici interni cambiano radi-calmente il volto della Germania. Il 9 novembre Gugliel-mo II accetta di abdicare e fugge mentre viene proclama-ta la Repubblica da parte di Philipp Scheidemann. L’11novembre del 1918 viene firmato l’armistizio, mentre il13 febbraio 1919, Scheidemann viene nominato Cancel-liere dall’Assemblea Nazionale riunita a Weimar (si di-metterà pochi mesi dopo, in contrasto con il trattamentoriservato alla Germania dal Trattato di Versailles). Nelfrattempo, nel gennaio del 1919, il tentativo rivoluziona-rio della Spartakusbund (Lega Spartachista) veniva dura-mente represso con l’omicidio di molti suoi membri tra iquali Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht (uno dei fonda-tori del Partito Socialdemocratico). Pur frequentandoambienti artistici legati alla sinistra e al Partito Comuni-sta, Murnau resta sostanzialmente estraneo agli eventitumultuosi che accompagnano la nascita della Repubbli-ca di Weimar. In seguito, dichiarerà che appena terminatala guerra aveva realizzato alcuni film di propaganda pa-cifista. Non si ha tuttavia alcuna notizia di questo pre-sunto materiale.

Di fatto l’ingresso nel mondo del cinema avviene tra-mite l’amicizia con gli attori Ernst Hofmann e ConradVeidt. Con Ernst Hofmann nelle vesti di attore e produtto-re, Murnau realizza nel 1919 il suo primo film, Der Knabein Blau [Il ragazzo in blu], i cui esterni vengono girati aVischering, una località poco distante da Bielefeld, suoluogo di nascita. Tra il 1919 e il 1920 Murnau realizza ottolungometraggi. Il 28 giugno del 1919 termina Der Knabein Blau, mentre prima della fine dello stesso anno, all’incir-ca a ottobre, conclude le riprese del più ambizioso Satanas

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mentre il gioco d’una particolare lanterna magica la co-priva di nubi mutevoli»4.

Nel 1915 Murnau è arruolato come soldato nel primoreggimento di guardia a Postdam. Alcuni mesi dopo en-tra nell’aviazione come tenente della Luftwaffe5. Duranteil periodo della guerra si reca a Berlino per sottoporsi aun’operazione in seguito alla quale gli viene rigorosa-mente proibito di bere e fumare. Per tutta la sua esisten-za, Murnau si atterrà a questo regime di vita sana che loterrà lontano dall’alcool. Il 28 luglio Hans Ehrenbaum-Degele muore sul fronte russo. La scomparsa dell’amicolascia una ferita profonda in Murnau. Nell’aprile del1917, in seguito a un atterraggio di fortuna in Svizzera,

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4 L. Eisner, L’ecran démoniaque. Les influences de Max Reinhardt etde l’expressionnisme, Le Terrain Vague, Paris 1965, tr. it. Lo scher-mo demoniaco. Le influenze di Max Reinhardt e dell’espressionismo,Editori Riuniti, Roma 1983, pp. 47-48.

5 Robert Plumpe, fratello di Murnau, riporta queste impressionidel maggiore Wolfgang Schramm, compagno di armi di Mur-nau: «Era il 1917 e il nostro reggimento d’aviatori era di stanzanei pressi di Verdun, in un bel castello dall’aria malinconica cheera stato abbandonato dai suoi proprietari. Murnau era alloraun giovane attore del teatro di Max Reinhardt. Era molto alto,assai magro. I suoi occhi bruni erano pieni di vita. Lo vedeva-mo partecipare a tutte le manovre ma sempre con un’aria unpo’ trasognata. C’era in lui un curioso mescolarsi di eleganzanaturale ed erranza bohémien. La camera dove egli alloggiavanel castello era la più grande, arredata con un gusto perfetto.Quando lo si andava a trovare era come dimenticare per unistante la guerra, immergendosi in questo ambiente di formeeleganti […] era facile intuire che un personaggio del genereavrebbe fatto strada». In L. Eisner, F.W. Murnau (con testi ag-giuntivi di Robert Plumpe e Robert Herlth), Ramsay, Paris 1987(1964), p. 16.

Murnau sono altrettante occasioni per mettere a punto ilsuo stile visivo, sperimentando inedite soluzioni lumini-stiche apprese nell’esperienza con Reinhardt, ma debitri-ci anche del cinema scandinavo degli anni Dieci (dei filmdi Mauritz Stiller e Victor Sjöström, soprattutto). Proprioin riferimento all’impiego dell’illuminazione naturale eall’uso delle figurazioni del paesaggio in chiave dram-matica si intravede già, oltre alla sicurezza con cui dirigegli attori, quel sentimento della natura che a partire da unfilm chiave come Nosferatu, eine Symphonie des Grauens(1922; Nosferatu il vampiro), avrà un ruolo determinantenell’opera più matura di Murnau, trovando la propriaapoteosi nel suo ultimo film Tabu (1931; Tabù). In ogni ca-so di tutti questi primi film si è conservato a tutt’oggi ilsolo Der Gang in die Nacht. In generale, a proposito dellaprima fase della carriera di Murnau, abbiamo informa-zioni contrastanti. Secondo alcune testimonianze, alme-no i primi due film sarebbero stati prodotti da una socie-tà fondata da Murnau e Conrad Veidt, assieme ad altriamici provenienti dalla scuola di Reinhardt, dal nome“Murnau Veidt Filmgesellschaft”. D’altro canto, così co-me attesta la filmografia stilata da Erika Ulbrich e WernerZurbuch per il libro di Lotte Eisner, il produttore risultainvece essere il noto attore – nonché amico di Murnau –Ernst Hofmann (protagonista nel ruolo di Thomas vonWeerth in Der Knabe in Blau). Altri film del primo periododi Murnau sono prodotti da case come “Helios Film”,“Goron Film”, “Lipow Film”, nonché dalla “Decla-Bioscop” e infine dalla celebre “Prana” di Albin Grau,l’ideatore del progetto di Nosferatu che prenderà formanel 19227.

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7 Cfr. L. Berriatúa, Los proverbios chinos de F.W. Murnau, vol I. Eta-pa alemana, Filmoteca Española, Madrid 1990, pp. 83-84.

[Satana], film storico-mitologico in tre episodi con la su-pervisione artistica di Robert Wiene che ne sigla anche lasceneggiatura. Nel 1920 dirige quindi sei film, nell’ordi-ne: Der Bucklige un die Tänzerin [Il gobbo e la ballerina],Der Januskopf [La testa di Giano], un adattamento delDr. Jekyll and Mr. Hyde (Lo strano caso del dottor Jekyll e delsignor Hyde) di Robert Louis Stevenson, Abend-Nacht-Morgen [Sera.. notte… mattino], Der Gang in die Nacht [Ilcammino nella notte] e infine Marizza, genannt dieSchmugglermadonna (Marizza, detta la signora dei contrab-bandieri)6. Sono film assai diversi tra loro per generi e te-mi affrontati, rappresentativi tuttavia dell’ecletticità delcinema tedesco a cavallo tra gli anni Dieci e Venti. Per

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6 Il film è importato in Italia nel 1920. Si tratta di una rarità rispet-to al quadro complessivo dei film di Murnau e di altri grandi re-gisti del cinema di Weimar che, all’epoca della loro uscita, nonebbero quasi alcuna circolazione nel nostro paese. Tra i numero-si film di produzione tedesca che uscirono in Italia, ben pochi ti-toli rientrano nel novero dei capolavori del cinema muto di Wei-mar. Come ricorda Vittorio Martinelli: «Tra il 1921 e il 1930, l’Ita-lia venne inondata da una marea di film provenienti dalla Ger-mania, in media due alla settimana, ma non vi sono, se non ec-cezionalmente e passati quasi clandestinamente, i titoli riportatidalle storie del cinema: la quasi totalità dei film dell’Espressio-nismo, del Kammerspiel, Della Neue Sachlichkeit, non sonomai giunti all’epoca. Li abbiamo conosciuti venti, trenta, alcunicinquanta anni dopo, grazie ai cine-club, alle retrospettive, alle“Giornate di Pordenone” o al “Cinema ritrovato” di Bologna».V. Martinelli, Dal Dott. Calligari a Lola-Lola. Il cinema tedesco deglianni Venti e la critica italiana, La Cineteca del Friuli, Udine 2001,p. 7. Si tratta di un aspetto spesso ignorato nella manualistica distoria del cinema che, nel caso in questione, dimentica come peril pubblico dell’epoca (italiano, ma non solo) il cinema tedescofosse soprattutto sinonimo di film d’operetta, polizieschi e filmdi montagna (una specialità cinematografica tutta germanica).

compie in questo periodo un altro passo decisivo per ilproprio sviluppo, incrementando il suo patrimonio conun investimento economico attraverso cui passa nel girodi poco tempo da un capitale di venticinque milioni dimarchi a oltre duecento milioni (fondamentale sarà in talsenso, oltre l’acquisizione della casa di produzione “De-cla-Bioscop”, la strategia messa in atto da Erich Pommer,responsabile dell’UFA tra il 1924 e il 1926)9. È in ogni casoattorno al clamore e alla diffusione di un gusto espressio-nista che il cinema tedesco si afferma progressivamentein tutto il mondo, diffondendo i suoi canoni di riferimen-to per temi trattati (il doppio, il demoniaco e l’Unheimlichche Sigmund Freud indaga nel noto saggio del 1919)10 esoluzioni di messa in scena (recitazione allucinata, illu-minazione e profilmico fortemente stilizzati).

Nel 1920 Murnau si trasferisce nella grande casa nelquartiere di Grunewald a Berlino, che Mary Ehrenbaum-Degele, madre del suo defunto amico Hans, ha deciso dilascargli in eredità. A partire dalla morte della donna, nel1921, Murnau ci abita assieme al suo compagno Walter

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9 Scrive Thomas Elsaesser: «Per realizzare la sua visione di un ci-nema di qualità artistica che potesse competere sul piano com-merciale con le grandi produzioni americane, Pommer fu pro-motore di una politica innovativa che lasciava grandi libertàcreative ai registi posti sotto contratto i quali lavoravano senzasupervisioni o interferenze. Ciò da un lato poteva costituire ungrande rischio economico, ma dall’altro costitutiva un efficaceprincipio di differenziazione produttiva». T. Elsaesser, WeimarCinema and After. Germany’s Historical Imaginary, Routledge,New York 2000, p. 119. Vedi anche T. Elsaesser (a cura di) A Se-cond Life: German Cinema’s First Decade, Amsterdam UniversityPress, Amsterdam 1996.

10 S. Freud, Das Unheimliche, in «Imago», vol. V, 1919, tr. it., Il per-turbante, raccolto in Id., Saggi sull’arte, la letteratura e il linguag-gio, Bollati Boringhieri, Torino 1969.

È già in questo periodo, in ogni caso, che Murnau silega allo sceneggiatore Carl Mayer e all’operatore KarlFreund, avviando una collaborazione che si rivelerà tra lepiù importanti per la storia del cinema. Questo è d’al-tronde un periodo decisivo per lo sviluppo del cinema te-desco. Nel corso degli anni Dieci il successo dei film stra-nieri, soprattutto danesi e svedesi, teneva in una condi-zione subalterna la produzione locale. La situazione ini-zia a cambiare verso la fine della guerra per molteplici ra-gioni. Da un lato il fermento intellettuale e artistico del-l’immediato dopoguerra conduce verso esperienze radi-calmente innovative, come il celebre Das Cabinet des Dr.Caligari (1920; Il gabinetto del Dottor Caligari) il film di Ro-bert Wiene, scritto da Carl Mayer e Hans Janowitz, concui l’arte espressionista tedesca irrompe negli schermi ci-nematografici di tutto il mondo per affermare in mododirompente l’idea di un cinema artistico, costruito su vio-lenti contrasti luministici e scenari deformanti; ma i rap-porti tra il cinema muto tedesco e l’Espressionismo sonosolo uno dei caratteri di rinnovamento di questo periodofervido e gran parte dello sviluppo dell’industria nazio-nale del cinema è dovuto in realtà alla diffusione di gene-ri più popolari o a grandi film in costume come MadameDuBarry (1919; Id.) di Ernst Lubitsch, con Pola Negri eEmil Jannings, il cui enorme successo di pubblico negliStati Uniti, oltreché in patria8, sarà determinante al fine dirimuovere l’embargo economico nei confronti della Ger-mania. Dall’altro lato, la riorganizzazione dell’industriacinematografica tedesca che aveva condotto già nel 1917 al-la nascita dell’UFA (Universum Film Aktiengesellschaft),

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8 Il film fu proiettato in occasione dell’inaugurazione dell’UFAPalast am Zoo, la più grande sala cinematografica di Berlino, il18 settembre 1919.

per questi motivi il film sarà ben presto adottato dai sur-realisti francesi. Ben più concrete furono invece le trava-gliate vicende legali del film, per via dei diritti d’autorereclamati dagli eredi di Bram Stoker, autore di Dracula(1897; Id.), da cui era tratta la sceneggiatura di HenrikGaleen. Il film esce il 4 marzo quasi in contemporanea aDer brennende Acker [La terra che brucia] un dramma ru-rale che Murnau ha girato nel febbraio del 1922. Successi-vamente egli realizza Die Austreibung [1923; L’espulsio-ne] anch’esso perduto, Die Finanzen des Grossherzogs(1924; Le finanze del Granduca) e Phantom (1922; Fantasma)tutti film tratti da sceneggiature di Thea von Harbou.Quest’ultimo è commissionato a Murnau in occasionedei festeggiamenti per il sessantesimo compleanno delloscrittore Gerhart Hauptmann. Viene proiettato il 20 no-vembre 1922 a Breslavia, alla presenza di Murnau, FritzLang, Thea von Harbou, Alfred Kerr e Thomas Mann.

Il 1924 è un anno decisivo per la carriera di Murnau.Tra marzo e ottobre gira Der letze Mann (L’ultimo uomo) suuno scenario di Carl Mayer. Il film è uno dei progetti dipunta dell’UFA di Erich Pommer, con cui la casa di pro-duzione tedesca mira a conquistare il mercato americano.Con un’abile strategia pubblicitaria l’UFA dà grande ecoalla lavorazione di questo film mentre d’altra parte tienesegrete le tecniche innovative messe a punto durante leriprese. Il film esce negli Stati Uniti il 5 dicembre con il ti-

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confermato l’appartenenza di Grau all’Ordine dei TemplariOrientali, una delle sette che si rifà alla tradizione paracelsianae dei Rosa-Croce. Ma anche Henrik Galeen, lo sceneggiatoredel film – che tra l’altro realizzò il primo Der Golem, wie er in dieWelt kam [1920; Golem] – fu vicino alla setta del Loto. La “PranaFilm” realizzò anche Schatten - Eine nächtliche Halluzination diArthur Robinson (1923; Ombre) sempre da un soggetto di AlbinGrau che anche in questo caso curò le scenografie.

Spies, un giovane pittore cresciuto in Russia e come moltialtri rifugiatosi in Germania in seguito agli eventi dellarivoluzione d’Ottobre. In questa casa arredata interamen-te con preziosi mobili italiani, nello studio dove Murnauè solito lavorare, Spies dipinge le pareti con delle minia-ture indiane. Artista vicino alla corrente del primitivi-smo, è membro del cosiddetto Novembergruppe, un grup-po di artisti collocati nell’estrema sinistra che aveva tra isuoi obiettivi il rinnovamento radicale del rapporto traarte e pubblico, e le cui premesse confluiranno in granparte nell’esperienza del “Bauhaus” di Walter Gropius.

Tra febbraio e marzo del 1921, Murnau gira SchlossVogelöd [Il castello di Vogelod] film con cui ha inizio la col-laborazione con il produttore Erich Pommer. Ad agostocominciano le riprese di Nosferatu che lo condurranno sinoin Slovacchia, nel castello di Orava, per alcuni dei nume-rosi esterni di cui è composto il film. Non sono poche leleggende che avvolgono questo celebre capolavoro dellastoria del cinema, a cominciare dai legami con la tradizio-ne occultista dello scenografo (e ideatore dell’operazio-ne) Albin Grau e dalla misteriosa scomparsa dell’attoreMax Schreck interprete di Orlok/Nosferatu (ricordandoanche che Schreck in tedesco vuol dire “terrore”)11. Anche

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11 Produttore e ideatore del film, nonché autore dei costumi e del-le scenografie, Albin Grau fu un noto occultista e seguace diAleister Crowley. Secondo alcuni morì nel campo di concentra-mento di Buchenwald, mentre secondo altri da lì sarebbe scap-pato e morto poi nel 1971 a Berlino. Aspetti questi che sono alcentro di un recente film americano, per la regia di E. EliasMerhige, che è un tributo “fantastico” alla creazione e alla lavo-razione di Nosferatu dal titolo, Shadow of the Vampire (2000;L’ombra del vampiro). La “Prana Film”, casa di produzione diGrau, fa inoltre riferimento nel nome al cosiddetto “soffio dellavita” nella tradizione esoterica – ricerche storiche hanno infatti

film rappresentano l’apice tecnologico e il punto più altodegli sforzi produttivi messi in atto dall’UFA di ErichPommer per far concorrenza all’industria del cinemaamericano. Parallelamente essi sono il frutto di un perio-do decisivo per l’UFA che tra il 1925 e il 1927 avvia unagrande ristrutturazione economica godendo di nuovi af-flussi di capitali e di un accordo commerciale siglato conla Paramount e la MGM. Le riprese di Faust impegnanoMurnau fino alla fine di aprile del 1926. Il 14 ottobre dellostesso anno, il film esce nelle sale di Berlino, mentre il 5dicembre fa il suo esordio negli Stati Uniti, a New York. Ilsuccesso di Murnau oltreoceano attira ben presto l’inte-resse dei produttori di Hollywood, desiderosi soprattuttodi avvalersi di quelle brillanti soluzioni di regia che ormaivengono associate al suo stile visivo, come nel caso degliinnovativi movimenti di macchina orchestrati per il filmL’ultimo uomo. Il cinema americano degli anni Venti, no-nostante la codificazione dei generi, la divisione gerarchi-ca delle competenze e dei ruoli e un modello di produzio-ne fortemente standardizzato è certo sensibile al richiamodelle suggestioni europee, all’idea del cinema come for-ma d’arte. La sua efficacia narrativa e il rapporto con lospettacolo non escludono a priori la ricerca sulla visualitàe lo sviluppo delle componenti specifiche dell’immaginefilmica. D’altronde è proprio in virtù di questo processodi assimilazione e fusione di tecniche produttive che igrandi registi stranieri, soprattutto legati al cinema tede-sco, vengono chiamati a lavorare negli studios (come av-viene per Lubitsch, Pabst e Lang).

I primi contatti tra la Fox e Murnau risalgono alla finedel 1925. In un primo accordo si prevedeva che egliavrebbe girato un film dal titolo Down to Earth (come te-stimonia un inserto pubblicitario comparso il 18 febbraio1926). Ma su «Variety» del 4 giugno 1926 compare l’an-

tolo di The Last Laugh, in un’anteprima al cinema Crite-rion di New York, alla presenza di Murnau e Pommer. Lacritica americana è entusiasta del film, salutato come unatappa fondamentale nello sviluppo del linguaggio cine-matografico. Ma gran parte del successo di L’ultimo uomosi deve anche alla prova del grande attore Emil Jannings,indubbiamente un veicolo determinante nella carriera diMurnau. Pommer inizia le negoziazioni con la Metro-Goldwyn-Mayer per la coproduzione del film Faust - Einedeutsche Volkssage (1926; Faust). Dopo L’ultimo uomo, èquesto il film che Murnau avrebbe dovuto girare; un pro-getto cui di fatto aveva già iniziato a lavorare tempo pri-ma. Le cose vanno tuttavia diversamente. Sin dal 1923 Ri-chard Oswald aveva suggerito a Carl Mayer la possibilitàdi adattare per il cinema la pièce di Molière, Tartuffe oul’imposteur (1664; Tartufo), tuttavia l’UFA non si decidevaa produrre la pellicola. Determinante è pertanto l’interes-samento in prima persona di Emil Jannings, desiderosodi lavorare su questa sceneggiatura tratta da Molière, an-che per via della sua passione di recitare nei film in costu-me. Jannings era in quel momento uno degli attori dipunta del cinema tedesco, un investimento dal risultatosicuro e un patrimonio prezioso per l’UFA, così ErichPommer decide di produrre la pellicola le cui riprese so-no annunciate per il novembre del 1924. Il tournage diHerr Tartüff (Tartufo) inizia nel febbraio del 1925, nelloStudio 1 dell’UFA a Tempelhof. Murnau viene pertantocoinvolto nell’operazione anche nel tentativo di replicare ilsuccesso che il terzetto composto da lui, Jannings e Mayeraveva ottenuto con L’ultimo uomo e, anche se un po’ recal-citrante, il regista decide di accettare abbandonando per ilmomento il progetto del Faust, le cui riprese iniziano in-vece il 10 settembre. Appena due settimane dopo si iniziaa girare Metropolis (Id.) per la regia di Fritz Lang. I due

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Di fatto Aurora, nonostante alcune perplessità legateai costi elevati della sua lavorazione, viene accolto sin dasubito come un capolavoro e tale viene considerato anco-ra oggi in molte delle classifiche compilate dai critici perdecretare il “film più bello della storia del cinema”. Nel-l’ambito della prima edizione degli Oscar che si svolge il18 febbraio del 1929, ad Aurora vanno i premi per la mi-glior attrice protagonista (Janet Gaynor) e la fotografia(Charles Rosher e Karl Struss), nonché uno per il caratte-re “unico e artistico” del film. Rochus Gliese riceve unanomination per la migliore scenografia. L’accoglienza delpubblico americano tuttavia non è altrettanto entusiastae la libertà creativa pressoché assoluta (nonché l’ampiobudget a disposizione) di cui Murnau gode sul set di Au-rora vengono drasticamente ridimensionati nel caso deisuoi due successivi film americani girati per la Fox, 4 De-vils [1928; I quattro diavoli] un film sul mondo del circo,andato perduto, manomesso in ogni caso dalla produzio-ne che ne cambia il finale tragico, e Our Daily Bread [Il no-stro pane quotidiano] un altro melodramma rurale sullascia di Aurora strutturato sul conflitto tra città e campa-gna, poi uscito con il titolo City Girl [1930; Ragazza di cit-

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danzatrice rossa, Raoul Walsh), Hangman’s House (1928; La casadel boia, John Ford), The River (1929; Il fiume, F. Borzage)». Cfr. R.Koszarski, An Evening’s Entertainment: The Age of the Silent Fea-ture Picture 1915-1928, University of California Press, Berkeley1990, pp. 85-86. Più in generale, infatti, a proposito degli scam-bi artistici tra cultura europea e americana che informano i pri-mi decenni del XX secolo, bisogna ricordare che «l’idea, che lacritica americana metteva bene in luce, era di usare, adoperare,citare le ricerche artistiche delle avanguardie europee, e pertan-to queste dovevano diventare oggetto di studio e riflessione».Vedi anche M. Passaro, L’arte espressionista. Teoria e storia, Ei-naudi, Torino 2009, p. 166.

nuncio che Murnau girerà A Trip to Tilsit [Viaggio a Tilsit]con Margaret Livingston e George O’Brien. Il titolo (presodal racconto Die Reise nach Tilsit di Hermann Sudermann,da cui è tratta la sceneggiatura di Carl Mayer) verrà cam-biato dallo stesso Murnau in Sunrise: A Song of TwoHumans (Aurora. La canzone di due esseri umani). Il 22 giu-gno del 1926, a Brunnen, Murnau si imbarca a bordo del“Columbus”, diretto negli Stati Uniti per l’inizio di unanuova carriera che si annuncia trionfale. Tra i suoi compa-gni di viaggio ci sono Rochus Gliese, Carl Mayer e JuliusAssenberg (Direttore Generale della Fox Europa). WilliamFox presenta il suo sodalizio con Murnau attraverso unagrande campagna pubblicitaria. Murnau è considerato ilpiù grande regista europeo in circolazione, una persona-lità artistica il cui genio visivo rivoluzionerà il cinemaamericano. I bollettini della stampa corporativa scrivonoin proposito:

«Murnau avrà a disposizione la propria squadra ditecnici e operatori così come disporrà dei grandi im-pianti degli studi della Fox. È un genio riconosciuto delcinema, che numerosi critici considerano all’apice dellasua carriera, ed è sicuro che le sue innovazioni nel cam-po del cinema contribuiranno al prestigio della Fox madisserrano nuovi codici stilistici per tutto il cinemaamericano»12.

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12 Cit. in J. Bergstrom, Murnau in America: Chronicle of Lost Films,in «Film History», n. 3-4, 2002, p. 430. Come scrive RichardKoszarski: «I risultati disastrosi di L’ultimo uomo al box-officeamericano non scoraggiarono la Fox: non soltanto si lasciò ma-no libera a Murnau per Aurora, ma si incoraggiarono gli altri re-gisti sotto contratto a studiare lo stile di Murnau. I risultati fu-rono dei brillanti amalgama stilistici germano-americani come7th Heaven (1927; Settimo cielo, Frank Borzage), Street Angel(1928; L’angelo della strada, F. Borzage), The Red Dance (1928; La

New York, luogo deputato della tecnologia del suono.Per restare vicina agli ingegneri del suono e alle vedet-tes di Broadway, la Warner gira i suoi primi cortome-traggi sonori in un teatro di posa allestito nell’opera diManhattan. Poco più tardi la Paramount riesuma i pro-pri studi di Astoria, per girarvi fino al trenta per centodelle proprie produzioni annuali. Altri si installano aCamden (New Jersey) presso gli uffici della RCA, o nel-la stessa New York, all’ombra dei laboratori Bell/We-stern Electric. A partire dall’estate 1928 quasi tutti glistudios possiedono una succursale newyorchese: Me-tro-Goldwyn-Mayer, First National, Warner, Universal,RKO, Fox, Paramount. E il soggiorno sulla Costa Orien-tale sconvolge i rapporti tra tecnici. Del sistema di pro-duzione stabilizzatosi intorno al 1925-26 non resta piùnulla qualche anno più tardi quando, gradualmente, glistudios riportano a Hollywood le produzioni sonore»13.

Murnau capisce che in queste condizioni e assai diffi-cile per lui continuare a portare avanti la propria ricercastilistica fondata sul simbolismo delle immagini e la co-struzione di una visualità pura. Ne approfitta per realiz-zare un proprio sogno: compra uno yacht e si reca neiMari del Sud alla ricerca del suo amico Walter Spies, par-tito per Bali dalla Germania nel 1923. Nel marzo del 1929Murnau incontra il documentarista Robert J. Flaherty cheha lavorato per la Fox e gli propone di creare assieme unasocietà di produzione cinematografica per lavorare in to-tale autonomia artistica. Il 22 giugno 1929 Murnau arrivaa Bali e, mentre aspetta l’arrivo di Flaherty, si reca in visi-ta sulla tomba del pittore Paul Gauguin. Murnau si stabi-

tà]. Gran parte delle incomprensioni con gli studios, tutta-via, sono dovute alla nuova riconfigurazione tecnologicadel cinema che si avvia a diventare interamente sonoro.Già Aurora era stato realizzato con una banda sonora sin-cronizzata (fu il primo film uscito nelle sale con il sistemadi registrazione sonora “Movietone” brevettato dallaFox) e il 6 ottobre del 1927 era apparso sugli schermi TheJazz Singer (Il cantante di Jazz, di Alan Crosland) conside-rato dagli storici come il film da cui prende avvio l’eradel cinema sonoro. Così, ad esempio, Our Daily Bread vie-ne sonorizzato dalla produzione (rigirando integralmen-te alcune scene a cui vengono aggiunti i dialoghi in sosti-tuzione degli intertitoli) in assenza di Murnau il quale,ormai, rescisso il contratto con la Fox, si trovava già a Ta-hiti per lavorare con il documentarista Robert J. Flaherty.Esiste tuttavia una copia muta del film, destinata al mer-cato straniero, che è stata poi ritrovata nel 1970 negli ar-chivi della Fox.

In generale i tre anni di permanenza di Murnau adHollywood coincidono fatalmente con un periodo digrande concorrenza tra gli studios, impegnati ad adegua-re in fretta il loro assetto produttivo con le nuove tecnolo-gie del cinema sonoro. È un momento di ricambio radica-le e di decentramento delle competenze che coinvolgepressoché tutte le parti in gioco nell’industria del cinema.Il talento visivo del regista, tanto più di un regista artisti-co come Murnau, non è più quel valore aggiunto da col-locare al centro del progetto di un film ambizioso, e ciòappare con evidenza soprattutto nei primi anni di asse-stamento del cinema sonoro:

«La destabilizzazione tecnica dei primi anni del so-noro è accentuata dalla decisione di realizzare i primiesperimenti, invece che a Hollywood, nei dintorni di

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13 R. Altman, Le son contre l’image ou la bataille des technicians, in A.Masson (sous la dir. de), Hollywood, 1927-1941. La propagandapar les rêves ou le triomphe du modèle américain, Autrement, Paris1991, p. 75.

dell’immagine documentaristica (Flaherty) e la rifigura-zione delle forme del reale attraverso il lavoro simbolicodella messa in scena (Murnau). Murnau vende Tabù allaParamount e il film viene sonorizzato negli studi “Tec-Art”. Il compositore Hugo Riesenfeld, fedele collaborato-re di Murnau, combina dei temi musicali di Aurora conaltro materiale di repertorio, mentre, nel dicembre del1930, Murnau termina di montare il film a Hollywood.La Paramount nel frattempo prepara la campagna pub-blicitaria per l’anteprima del film a New York, ma unasettimana prima dell’uscita di Tabù, Murnau è vittima diun incidente stradale in una strada nei pressi di SantaBarbara, in California.

Muore l’11 marzo del 1931, nell’ospedale di Santa Mo-nica, all’età di 42 anni. Una settimana dopo, si tiene la“prima” del film a New York, mentre il 19 marzo si svol-gono i funerali a Hollywood, celebrati alla presenza dellepiù grandi personalità della storia del cinema. L’attriceGreta Garbo fa realizzare una maschera mortuaria da uncalco in gesso del volto di Murnau. La salma viene ripor-tata in Europa e il 12 aprile viene sepolta nel cimitero diBerlino. Il 25 novembre, a Bielefeld, la sua città natale, hainizio una settimana di commemorazioni in suo onore.Poco prima dell’incidente avrebbe dovuto firmare uncontratto con la Paramount per la realizzazione di cinquefilm sonori che sarebbero stati girati tra Bali e le isole deiMari del Sud.

lisce nell’isola, e vive in una grande casa fattasi costruiresulla riva del mare; esistono delle fotografie che lo ritrag-gono assieme al pittore Henri Matisse, giunto a Tahitiqualche mese dopo l’arrivo di Murnau a Bali. Durantequesto periodo di riposo Murnau scatta molte fotografiedell’isola che ritraggono i suoi favolosi panorami o i ri-tuali indigeni e le scene quotidiane di pesca. Nell’ottobredel 1929 Murnau inizia la preparazione di un film pro-dotto dalla “Color Art” che dovrebbe intitolarsi Turia, mala crisi finanziaria mondiale del 1929 costringe la casa diproduzione a ritirare la sua troupe dall’isola. Murnau de-cide così di girare e autofinanziare il film Tabù. Matahi,un giovane pescatore balinese, e Anne Chevalier (nelruolo di Reri) saranno i protagonisti di questo melodram-ma esotico che diventerà anche uno degli ultimi grandifilm del cinema muto. A quasi dieci anni di distanza daNosferatu, Murnau riprende l’idea della coppia esposta aisortilegi di una forza malefica, sullo sfondo di una naturainsondabile. Il film segna infatti anche il trionfo di quelsentimento della natura che pervade tutto il suo cinema,l’approdo a quella semplicità primitiva della formaesplorata lungo tutta la sua carriera di regista. Inizial-mente Murnau, che ha scritto la storia, decide di affidarela regia a Flaherty. Tuttavia ingaggia ben presto l’opera-tore Floyd Crosby che dovrà aiutare Flaherty nelle ripre-se del film. Alla fine Flaherty non girerà che qualche in-quadratura di contorno mentre è a Crosby, diretto daMurnau, che si devono la maggior parte delle riprese. So-no infatti forti i dissidi tra le due personalità dei registi, eben presto Flaherty, che voleva realizzare in realtà un do-cumentario sulla condizione degli indigeni sull’isola, ab-bandona il set. Non pochi storici del cinema hanno volu-to leggere in questa lite il contrasto stesso tra le due op-poste concezioni dell’immagine filmica, tra l’autenticità

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2.1 Murnau e il cinema di Weimar

Nel suo celebre libro Lo schermo demoniaco, Lotte Eisnerindividuava nell’opera del regista teatrale Max Reinhardt– come dichiarato in modo programmatico sin dal sotto-titolo – uno dei poli di riferimento dello sviluppo delgrande cinema muto tedesco degli anni Venti. Da un latole radici del Romanticismo, gli “inni alla notte”, la fasci-nazione per l’oscuro e le tenebre. Dall’altro, la fluidità delsogno e l’atmosfera incantata delle sontuose messe inscena di Reinhardt. Così, mentre «l’anima faustiana delnordico si abbandona agli spazi brumosi, Reinhardt dàforma al suo mondo magico con la luce, l’oscurità fungen-do solo da contrappunto. È questa» – concludeva Eisner –«la doppia eredità del cinema tedesco»1. Eisner non si limitaqui a richiamare due diverse soluzioni luministiche, maappunto intende definire i due principali orizzonti di ri-

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1 L. Eisner, Lo schermo demoniaco. Le influenze di Max Reinhardt edell’espressionismo, cit., p. 52.

IIIl sentimento della forma

anche l’impiego dello stesso termine «Espressionismo» (alungo richiamato con eccessiva disinvoltura per definirel’intero cinema tedesco degli anni Venti e percorsi artisticiassai diversi tra loro) è stato collocato al centro di un am-pio dibattito critico che, pressoché ciclicamente, chiamagli studiosi di cinema a interrogarsi sul suo uso.

Concetto vago e instabile, che tuttavia nulla ha perdu-to della sua potenza evocativa, l’Espressionismo è ancoraoggi tra le categorie che, ben più di altre, si presta a lettu-re così divergenti, quando non apertamente in contrasto,tra loro (letture che negano sia mai esistito un “cinemaespressionista”, che lo concentrano in un corpus esiguo difilm o addirittura nel solo Caligari di Robert Wiene o che,infine, lo estendono per così dire al cinema di DavidLynch e Tim Burton)2.

ferimento delle molteplici forme che si configurano nelcinema muto tedesco degli anni Venti. Da questo puntodi vista l’opera di Murnau – il «più grande regista che itedeschi abbiano mai avuto», nelle parole della stessaEisner – è forse la migliore esemplificazione di una taleduplicità. Nell’eterogeneità della sua filmografia e nelladifficoltà di ridurre attorno a un unico denominatore unpercorso artistico così variegato ed eclettico, risuonaquella stessa complessità di stili, forme e generi che attra-versa il cosiddetto cinema di Weimar, vale a dire uno tra iperiodi più affascinanti dell’intera storia del cinema, lacui lettura è stata a lungo viziata e condizionata dalla so-la dominante espressionista.

Se da un lato gli studi più avanzati hanno ormai evi-denziato l’impossibilità di ridurre le molteplici compo-nenti del cinema muto tedesco sotto l’egida dell’Espres-sionismo (mettendo in dubbio, in alcuni casi, l’opportuni-tà stessa di adottare il termine all’interno della storia delcinema), dall’altro è la più ampia prospettiva avanzatanelle analisi di impostazione culturalista o nelle interpre-tazioni proposte dalla cosiddetta «storia sociale», ad avermostrato come l’immaginario dell’epoca di Weimar fosseun caleidoscopio di contaminazioni visive e stimoli etero-genei in cui confluivano tanto il modernismo e le sugge-stioni delle avanguardie artistiche che le nuove forme dicultura di massa e la pubblicità, il design razionalista del“Bauhaus” e il primitivismo, la fascinazione per l’esotico elo Jugendstil, le “cineserie”, e molto altro ancora. In questafusione tra i valori dell’arte, le sperimentazioni, la ripresadi motivi della cultura popolare e le nuove configurazionidell’immaginario metropolitano, il cinema – assieme e piùdi altri media – si configurava innanzitutto come un nuo-vo spazio negoziale per ridefinire i rapporti gerarchici tra“alto” e “basso” nel consumo culturale. Per questo motivo

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2 Oltre al testo fondativo di Rudolf Kurtz, Expressionism und film(pubblicato nel 1926), i due libri che più a lungo hanno influen-zato la critica e la storiografia del cinema sono stati com’è noto ilcitato lavoro di Lotte Eisner e quello di Sigfried Kracauer (FromCaligari to Hitler. A Psychological History of the German Film, Prin-ceton University Press, Princeton 1947, tr. it., Da Caligari a Hitler.Una storia psicologica del cinema tedesco, Lindau, Torino 2007).Successivamente si è tentato di storicizzare queste due domi-nanti interpretative del cinema tedesco; ovvero sia quella for-malista (proposta da Eisner) sia l’interpretazione culturale in-centrata però sul solo orizzonte tematico dei film, avanzata daKracauer. Si è innanzitutto messo in evidenza come entrambe leletture siano state sviluppate in una condizione di esilio (inFrancia nel caso di Eisner, e negli Stati Uniti per Kracauer) edunque sulla scia della necessità di esorcizzare il senso di colpadella cultura tedesca e il suo trauma generato dagli orrori delnazismo. Un lavoro più attento di modelli di linguaggio attivatinel cinema tedesco degli anni Venti si trova in M. Henry, Le ciné-ma espressioniste allemand: un langage métaphorique, Éditions duSigne, Fribourg 1971. Opzioni interpretative significativamente

Una distinzione terminologica – richiamata da Tho-mas Elsaesser – tra un cinema di Weimar e uno stile, omeglio un design espressionista, può essere utile ad argi-nare simili fraintendimenti:

«Ciò che nei film viene identificato come espressioni-smo è un’illuminazione inusuale, la stilizzazione del sete della recitazione, il materiale gotico e i motivi prove-nienti dalla fiaba popolare, gli esterni distorti e gli inter-ni claustrofobici, e soprattutto un eccesso di pathos “ti-picamente germanico”. Le letture politico-ideologicheabbandonano l’intrinseco formalismo di questa etichet-ta preferendogli il termine cinema di Weimar, al fine didistinguere un periodo e uno stile espressionista all’in-terno di una più ampia analisi della mentalità e dellecongiunture politiche identificabili con quel fenomenoaffascinante, compreso tra il 1918 e il 1933, che chiamia-mo “cultura di Weimar”. Una tale distinzione ci invita arileggere la versione canonica, e forse a decostruirla pursenza abbandonarla del tutto, e piuttosto provare aidentificare il terreno su cui entrambi i termini possonotrovare un posto nuovo nella storia del cinema»4.

In tal senso con il termine Espressionismo si avvicinanomodelli stilistici anche contrastanti tra loro, ma che in-dubbiamente partecipano di quella più ampia cultura vi-suale in cui si definirono le forme di un’interpretazioneweimariana della modernità5, e che come tale non è ridu-

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4 T. Elsaesser, Weimar Cinema and After. Germany’s Historical Ima-ginary, cit., p. 20.

5 In questo senso vedi la proposta interpretativa di Anton Kaesche, prendendo le mosse da una critica a Kracauer e alla sua let-tura sintomatologica del cinema tedesco come prefigurazionedell’incubo nazista, guarda alla cultura di Weimar come a un in-sieme di reazioni al trauma della modernità. Cfr. A. Kaes, Shell

Il caso di Murnau è in tal senso esemplare. Come harecentemente ricordato Paolo Bertetto in un saggio sul ci-nema espressionista,

«il caso di Murnau ha persino aspetti paradossali. Daun lato Nosferatu è stato interpretato come il film espres-sionista per eccellenza. Dall’altro Bazin consideravaMurnau – non si sa proprio perché – come un autore rea-lista nell’epoca del muto al pari di Flaherty o Stroheim.La posizione di Bazin è palesemente assurda. Ma anchela collocazione di Murnau nell’area espressionista è for-temente discutibile»3.

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distanti dalle ipotesi di Eisner e Kracauer sono poi discusse in B.Salt, From Caligari to Who?, in «Sight and Sound», vol. 48, 1979,pp. 119-23 e K. Thompson, Dr. Caligari at the Folies-Bergere, in M.Budd (ed.), The Cabinet of Dr. Caligari: Text, Contexts, RutgersUniversity Press, New Brunswick 1990. Bisogna inoltre ricorda-re oltre alla componente romantica dell’Espressionismo, l’in-fluenza che ebbe il cinema scandinavo (soprattutto danese esvedese) degli anni Dieci con il suo «sviluppo di nuovi metodinelle tecniche di illuminazione, nel posizionamento della mac-china da presa e nell’organizzazione delle scenografie». Vedi P.Cherchi Usai, Cinema muto nei paesi nordici, in G.P. Brunetta (acura di), Storia del cinema mondiale, vol III. L’Europa. Le cinemato-grafie nazionali, Einaudi, Torino 2000, p. 197. Tra i lavori più re-centi che rileggono la tradizione di studi sul cinema espressioni-sta vedi almeno, T. Elsaesser, Weimar Cinema and After. Germa-ny’s Historical Imaginary, cit.; D. Scheunemann (ed.), Expressio-nist Film. New Perspectives, Camden House, New York 2003,J. Aumont - B. Benoliel (sous la dir. de), Le Cinéma espressioniste.De Caligari à Tim Burton, La Cinémathèque Française, PressesUniversitaire de Rennes, 2008.

3 P. Bertetto, Il cinema espressionista e la forma dell’immaginario, inP. Bertetto - S. Toffetti (a cura di) Incontro ai fantasmi. Il cinemaespressionista, catalogo della retrospettiva (Roma, Cinema Trevi,26 marzo-5 aprile), Fondazione Centro Sperimentale di Cine-matografia, Roma 2008, pp. 40-45.

artistico del film espressionista e che, come tale, divenneben presto sinonimo intercambiabile di “tedesco”. Men-tre il cinema destinato al mercato interno restava imper-niato sui generi più popolari e sui divi, l’adozione e ladiffusione di un design espressionista permetteva di av-venturarsi in grandi produzioni (il cosiddetto Großfilme),destinate a competere con Hollywood, promuovendofilm in cui la natura industriale e commerciale dell’operarisultava per così dire attenuata dalla sua associazione alcampo dell’arte europea d’avanguardia7. Insomma

«se collochiamo Fritz Lang, Ernst Lubitsch e FriedrichWilhelm Murnau nella mappa mentale della Berlino de-gli anni Venti, patria del modernismo e dell’avanguar-dia più vitale dell’epoca, allora con il cinema espressio-nista si evoca un’invenzione artistica ribelle e spregiu-dicata. Se invece vediamo i loro film come frutto dei

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7 In questo senso anche la moda del film fantastico e la ripresa dimotivi gotici e romantici nel cinema di Weimar viene letta nelcontesto di una più ampia legittimazione culturale del nuovomezzo presso la borghesia, ma anche nell’ambito di una com-petizione di mercato internazionale, poiché si trattava di un ge-nere che ben si prestava allo sviluppo di inedite tecniche di ri-presa e allestimento di effetti speciali. In tal senso il film espres-sionista può essere considerato da un lato come l’eccezione ar-tistica nell’ambito di una più ampia produzione di generi po-polari, dall’altro e allo stesso modo, come la punta avanzata diuna precisa strategia culturale. Non è un caso che sin dai primianni Venti, alcuni film vengano di fatto prodotti per inaugurarei nuovi prestigiosi palazzi del cinema a Berlino. Grandi produ-zioni come Die Nibelungen (I Nibelunghi) o Metropolis di FritzLang, che rafforzano vicendevolmente il prestigio dell’istitu-zione cinematografica tedesca. Cfr. T. Elsaesser, Weimar Cinema,Mobile Selves, and Anxious Males: Kracauer and Eisner Revisited,in D. Scheunemann (ed.), Expressionist Film. New Perspectives,cit., pp. 33-110.

cibile ad un solo movimento artistico. Tuttavia esso nonindica solo un particolare design con cui confezionare vi-sivamente film assai differenti. L’Espressionismo circolòinfatti come una parola particolarmente alla moda, assaiefficace nell’evocare immediatamente una specificità tede-sca all’interno della produzione cinematografica interna-zionale. Nella fattispecie, ebbe innanzitutto la funzionedi dissociare il film dalla sua natura di intrattenimentoindustriale per collegarlo piuttosto ai valori dell’arte;funzionò insomma come ciò che oggi chiameremmo un«brand», qualcosa in grado di identificare immediata-mente un prodotto (e il tipo di esperienza che promette) edifferenziarlo parallelamente dagli altri6. L’UFA, vale adire la più grande casa di produzione cinematograficaeuropea dell’epoca e l’unica in grado di far concorrenzaad Hollywood, adottò pertanto una precisa strategiad’esportazione che faceva leva sull’intrinseco coefficiente

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Shock Cinema. Weimar Culture and the Wound of War, PrincetonUniversity Press, Princeton 2009.

6 Come ricorda Leonardo Quaresima: «dopo il successo del Cali-gari si moltiplicano i tentativi, anche da parte di piccole case diproduzione, di muoversi nella stessa direzione e molte valuta-zioni retrospettive che, riferendosi a quegli anni, parlano diuna “psicosi da Caligari” confermano l’ampiezza del fenome-no. Le stesse procedure dell’organizzazione della visione delpubblico si adeguano alla nuova situazione. Si aprono sale ci-nematografiche “espressioniste” o si ristrutturano in base aimedesimi criteri locali già esistenti. Vengono rivoluzionate,inoltre, le strategie promozionali. Per mesi la grafica delle pub-blicità cinematografiche adotta le forme dell’espressionismo –anche quando i film non hanno nulla a che vedere con la nuovatendenza». L. Quaresima, Cinema Tedesco: gli anni di Weimar, inG.P. Brunetta (a cura di), Storia del cinema mondiale, vol. III, cit.,p. 86. Vedi anche G. Grignaffini - L. Quaresima, Cultura e cinemanella Repubblica di Weimar, Marsilio, Venezia 1978.

stazione e di radicale mutamento dell’uomo e dell’artequale fu l’Espressionismo. Resta tuttavia il fatto che èdifficile rimuovere dallo spettro di associazioni visiveevocate dal richiamo all’Espressionismo, alcune immagi-ni del cinema di Murnau, tra le quali soprattutto l’ombraminacciosa di Nosferatu che si staglia sui muri. Di frontead un immaginario così consolidato, le precisazioni sto-riografiche e le riconsiderazioni estetiche possono benpoco. Tuttavia è bene ricordare che i doppi, i vampiri e lecreature artificiali non sono in sé motivi del movimentoespressionista. Come alcuni studiosi hanno avuto mododi sottolineare, questi temi, che appartengono al baga-glio del Romanticismo9, vengono semmai ripresi nel ci-nema tedesco a cavallo tra gli anni Dieci e Venti in quan-to considerati serbatoi narrativi ideali per sviluppareesperienze visive radicalmente innovative e che solo imezzi del cinema potevano rendere (finalmente) possibi-li. Appoggiandosi a queste storie di doppi, di fantasmi edi creature inquietanti, il cinema scopre la possibilità diindagare aspetti strutturali dell’immagine, delle sue va-rie potenzialità espressive e manipolatorie, facendo sìche l’esperienza filmica si offra come reviviscenza del-l’esperienza stessa del perturbante, luogo di evocazionedell’invisibile, del fantasma. È pertanto a questo revivaldel racconto gotico e del fantastico che va ricondotto unfilm come Nosferatu.

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9 Cfr. A. Webber, The Doppelgänger. Double Visions in German Lite-rature, Clarendon Press, Oxford 1996; J. Mayne, Dracula in theTwilight: Murnau’s Nosferatu, in E. Rentschler (ed.), GermanFilm and Literature: Adaptations and Transformations, Methuen,New York-London 1986, pp. 26-51. Vedi anche D. Scheunemann,Activating the Differences: Expressionist Film and Early WeimarCinema, in Id. (ed.), Expressionist Film. New Perspectives, cit.,pp.1-31.

grandi studi dell’UFA, allora quest’epoca d’oro del filmmuto si definisce piuttosto come la punta avanzata diuna grande industria del cinema che non dell’arte»8.

Murnau riuscì (assieme ad altri grandi autori comeLang e Lubitsch, appunto) a trovare una perfetta sintesitra questi due paradigmi, a ricondurre insomma le stra-ordinarie possibilità produttive dell’UFA verso una con-cezione altamente personale del cinema e della messa inscena. Elementi provenienti dal clima delle avanguardieartistiche, ma soprattutto dalla cultura romantica tede-sca, vengono così rilanciati all’interno di inedite soluzio-ni visive rese possibili dall’alta tecnologia degli studiUFA. Gli effetti speciali allestiti per Faust, le innovativetecniche di ripresa di L’ultimo uomo, testimoniano al con-tempo sia una delle vette tecnologiche del cinema deglianni Venti, sia il personale universo figurativo di uno de-gli autori più prestigiosi del cinema tedesco. Tutto ciò erad’altronde parte integrante della più ampia strategiamessa in piedi dal produttore Erich Pommer. L’alto spes-sore professionale dei tecnici UFA doveva infatti magnifi-care tanto il livello e l’indubbia competitività raggiuntedal cinema tedesco, che essere messo al servizio diun’idea di arte cinematografica che si esprimeva poi nel-lo stile e nella poetica individuale e fortemente riconosci-bile di autori come Lang, Murnau, Lubitsch e Pabst.

La centralità che Murnau rivestì nelle strategie dimercato dell’UFA – che gli affidò tre delle sue più impor-tanti grandi produzioni (Tartufo, Faust, L’ultimo uomo) – è,se vogliamo, un’ulteriore conferma della sua sostanzialeestraneità rispetto a un movimento di tumultuosa conte-

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8 T. Elsaesser, Weimar Cinema and After. Germany’s Historical Ima-ginary, cit., p. 3.

Deleuze – che pure nei suoi lavori sul cinema impiega iltermine con una certa disinvoltura, inserendo Murnaunell’alveo dei cineasti espressionisti – rilevava come egli«fra tutti gli espressionisti, è il più vicino al romantici-smo: ne conserva un individualismo e un “sensualismo”che si manifesteranno sempre più liberamente nel suoperiodo americano, con Aurora e soprattutto Tabù»12. Unsensualismo che, appunto, appare più debitore di certeatmosfere romantiche o dello Jugendstil e della concezio-ne reinhardtiana dell’arte, che non della radicale rivolu-zione dello spirito promulgata dall’Espressionismo. Ri-spetto a quest’ultima, le idee visive di Murnau «riflettonoun gusto figurativo e un’opzione di messa in scena se-gnata da una volontà compositiva rigorosa, ma più tradi-zionale, volta a ripensare il visibile come iconografia, maa legare l’iconografia alla tradizione pittorica e non allerotture delle avanguardie»13.

Il cinema di Murnau evoca paesaggi interiori, lavorasu corrispondenze invisibili e analogie visive cercandoun rapporto organico tra le forme, e in un certo senso am-bendo a sviluppare ciò che potremmo definire come unasintesi naturalista tra tutte le componenti del quadro edella messa in scena. Al posto della stilizzazione geome-trica del cinema di Lang o della deformazione radicaledel profilmico ascrivibile seppur in modo generico al-l’area espressionista, Murnau opera semmai nell’oriz-zonte di una trasfigurazione del reale, di una restituzionesulfurea dell’atto di visione e dell’evocazione di una di-mensione impalpabile e intima delle forme configurate

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12 G. Deleuze, L’image-mouvement, Minuit, Paris 1983, tr. it., L’im-magine-movimento, Ubulibri, Milano 1985, p. 71.

13 P. Bertetto, Il cinema espressionista e la forma dell’immaginario, cit.,p. 45.

Sia Eisner, che in modo ancora più incisivo Eric Rohmer,avevano d’altronde già messo in rilievo la complessitàdelle fonti visive del cinema di Murnau, sottolineando lasua anomala collocazione all’interno di un orizzonte giàdi per sé incerto quale quello del cinema espressionista.Aprendo il suo lavoro di analisi del Faust, il regista dellaNouvelle Vague scriveva:

«Cogliamo l’occasione per dire una volta per tuttequanto poco l’influenza della pittura espressionista siariscontrabile in Murnau, non solo in Faust, ma in tutti isuoi altri film. Anche da questo punto di vista – plastico– Murnau è il cineasta tedesco meno espressionista. Glieccessi che possiamo rivelare nella interpretazione degliattori, le loro smorfie, si riallacciano a una remota tradi-zione del grottesco, antica e medievale, lontana dallavisione parossistica e urlata di Kirchner, Beckmann,Kokoschka o dello stesso Nolde, autore di un Faust inci-so su legno»10.

Ma ancora di più che dall’estetica, è soprattutto dal-l’ideologia di fondo del movimento espressionista11 cheMurnau si discosta radicalmente. Anche il filosofo Gilles

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10 E. Rohmer, L’organisation de l’espace dans le Faust de Murnau, Petitebibliotèque des Cahiers du Cinéma, Union Général d’Éditions,Paris 1977, tr. it., L’organizzazione dello spazio nel «Faust» di Murnau,Marsilio, Venezia 1991, p. 30.

11 Come scrive Jacques Aumont, non si trattò di «un movimentodi pittori, né in fondo di un movimento esclusivamente artisti-co, ma di un movimento sociale e ideologico ambizioso, chemirava niente di meno che a rivoluzionare la vita o in ogni casoa creare le condizioni intellettuali e soprattutto spirituali diuna tale rivoluzione». Vedi J. Aumont, Où commence, où finitl’expressionisme?, in J. Aumont - B. Benoliel (sous la dir. de), LeCinéma espressioniste. De Caligari à Tim Burton, cit., p. 16.

nanze interne”, si può avvertire l’influenza delle idee sul-l’arte promulgate dal movimento del “Blaue Reiter” –idee che tra l’altro vennero formalizzate nella cittadinabavarese da cui Murnau prese il proprio nome d’arte – ein particolar modo dal suo amico Franz Marc, tra i piùsensibili, nel circolo della prima avanguardia, alle sugge-stioni mistiche e al rapporto tra astrazione e forme dellanatura16.

Recensendo il film Nosferatu per «Der Tag», Béla Balázsscriveva che con questo film Murnau ci mostra come «ilpiù forte presentimento del sovrannaturale sia ricavabiledalla natura»17. O ancora, come osservava sempre EricRohmer, «Se Nosferatu ci spaventa, è per l’intensità dellasua presenza, non per il mistero della sua assenza»18. Pro-prio uno sguardo ravvicinato al caso di Nosferatu, cioè alfilm che più di altri legherebbe Murnau all’Espressioni-smo, appare in tal senso emblematico. Anche se risultadifficile separare quest’opera dall’immaginario del filmespressionista e da alcuni suoi temi e simboli prediletti(l’esperienza del doppio, l’ombra, l’allucinazione e cosìvia) esso se ne distanzia tuttavia su più piani. Innanzitut-to, come abbiamo già detto, da un punto di vista tematicoil film va ricondotto, più che al milieu espressionista, aquella riscoperta del gotico e delle fiabe popolari già ma-nifestatasi nella cultura romantica e inaugurata nel cine-ma tedesco con Der Student von Prag (1913; Lo studente diPraga) di Stellan Rye e Paul Wegener – un film-chiave per

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16 Cfr. I. Pittiglio, Franz Marc. Intuire l’invisibile, Atheneum, Firen-ze 2000.

17 B. Balázs, in «Der Tag», 3 marzo 1922, cit. in L. Quaresima, In-troduzione, in B. Balázs, Der sichtbare Mensch oder die Kultur desfilms (1924), tr. it. L’uomo visibile, Lindau, Torino 2008, p. 20

18 E. Rohmer, L’organizzazione dello spazio nel «Faust» di Murnau,cit., p.35.

nel lavoro di messa in scena. La sua opera va innanzitut-to interpretata alla luce di un orizzonte complesso e va-riegato di influenze figurative. Vi confluiscono – oltre al-l’esperienza con Reinhardt e le sue innovative soluzioniluministiche – un ampio quanto sicuro patrimonio figu-rativo legato alla storia dell’arte (e in particolare alla pit-tura romantica tedesca), ma anche le atmosfere rarefattedel cosiddetto Naturalismo cinematografico scandinavo,ricomposte sullo sfondo di una più generale malinconiadella natura14 che, in Murnau, si tinge di aspetti magico-esoterici e rimanda alla poesia elegiaca di Novalis o allecorrenti spiritualiste dell’arte (Kandinskij, Franz Marc).Ovvero,

«Murnau impregna il visibile dell’atmosfera fluidadel mondo descritto. Da un lato, la strutturazione delvisibile riflette una volontà di comporre un quadro fi-gurativo coerente e lo spazio diventa una componenteattiva nella ricomposizione dell’insieme. Dall’altro, lospazio e la presenza antropomorfica sono proposti inun’unità, in una condizione di interazione e di corri-spondenze che creano un rapporto organico e naturaletra tutte le componenti dell’universo»15.

Proprio nell’idea di una composizione totalizzante,non frantumata, di una visione che aspira a fondersi conil tutto cogliendo il senso intimo delle cose e le loro “riso-

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14 La malinconia, come sentimento prevalente che circola nel-l’opera di Murnau, è al centro della recente monografia di HansHelmut Prinzler, Friedrich Wilhelm Murnau: ein Melancholiker desFilms, Bertz, Berlin 2003, pubblicata in occasione della retro-spettiva organizzata dal Festival del Cinema di Berlino.

15 P. Bertetto, Il riflesso, la lacrima, il nero, in G. Carluccio - F. Villa,La post-analisi. Intorno e oltre l’analisi del film, Kaplan, Torino2005, p. 66.

mazione dell’identità dei personaggi. Se certo il film ri-sente del clima espressionista, da intendere qui come«spirito dell’epoca» (più che come modo di figurazione),è pur vero che in esso non si esibisce il sogno dell’artecome antiphysis, ma semmai l’idea conturbante di una fi-losofia della natura – quella di Goethe, di FriedrichSchelling – aggiornata, per così dire, nella Weltanschauungirrazionalista dell’Espressionismo. Tra gli ultimi critici adaver insistito su questo punto, Emmanuel Siety indicaun legame profondo tra l’idea di movimento e mobilitàdelle forme, così specifica della figurazione di Murnau,e il principio della variazione universale, della naturanaturans: «la mobilità, ovvero la fluidità del mondo, l’al-chimia dei sentimenti e la fluidità dei corpi, la trasfor-mazione reciproca delle forze della natura in forze dellospirito, la straordinaria reversibilità del positivo e delnegativo»20.

Certo il lavoro di Murnau è indissociabile dalla sua col-laborazione con Carl Mayer, Karl Freund o Emil Jannings,vale a dire alcune delle figure chiave nella diffusione del-l’immaginario del cinema espressionista (ricordando poianche i suoi rapporti con Robert Wiene e l’attore ConradVeidt nel contesto della prima fase della sua carriera). So-prattutto il sodalizio con Carl Mayer, colui che a partiredal successo di Caligari ebbe un ruolo guida nello svilup-po del cinema tedesco degli anni Venti, non può essereposto in secondo piano rispetto alle creazioni artistiche diMurnau. D’altronde fu sulla scia del successo che la “mo-da dell’Espressionismo tedesco” riscuoteva in tutto ilmondo – ovvero di una forma visiva in grado di definire

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20 E. Siety, Quel «isme» pour Murnau?, in J. Aumont - B. Benoliel(sous la dir. de), Le Cinéma espressioniste. De Caligari à Tim Bur-ton, cit., p. 94.

comprendere i mutamenti del cinema tedesco degli anniDieci, il cui successo di pubblico fu decisivo nella diffu-sione della moda del film fantastico e delle storie inquie-tanti. Ma ancora più determinante appare il ruolo rivesti-to dagli esterni, dal paesaggio – e più in generale da quelsentimento della natura che percorre il cinema scandina-vo degli anni Dieci – in Nosferatu, un film che da questopunto di vista si offre come una perfetta sintesi tra il Na-turalismo del cinema svedese e (soprattutto) danese, lesuggestioni tardo-romantiche e le fantasie gotiche dellacultura popolare germanica19. Nessuna distorsione pro-spettica, nessuna sostanziale astrazione, procedimenti ir-realizzanti o ricostruzioni radicali del profilmico; il de-moniaco in Nosferatu penetra come un “soffio che siespande nella natura”. Le procedure compositive e il la-voro di messa in scena operano in una riduzione all’es-senzialità, in un’evocazione del perturbante nel quotidia-no e nel cuore stesso della natura. Così anche il vampiri-smo, lungi dal rivelarsi come una mostruosità, si radicanell’orizzonte della natura e alimenta il gioco di frantu-

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19 Sul piano della figurazione è utile riprendere qui alcune osser-vazioni di Eisner sul chiaroscuro, così specifico del cinema te-desco: «Diventando un’arte, era del tutto naturale che il cinemamettesse a profitto le trovate di Max Reinhardt, che utilizzasseil chiaroscuro, che mostrasse, diffuse da un’altra finestra, quel-le falde di luce in un interno oscuro, come si vedevano tutte lesere al Deutsches Theater. Questo famoso chiaroscuro del cine-ma tedesco non ha origine solo nel teatro di Max Reinhardt.Non dobbiamo trascurare l’apporto dei cineasti nordici, e so-prattutto danesi, che invasero gli studi tedeschi, quali StellanRye, Holger-Madsen o [Robert] Dinesen. Essi vi introdussero,prima ancora che lo stile espressionista si definisse, il loro amo-re della natura e il loro senso del chiaroscuro». L. Eisner, Loschermo demoniaco. Le influenze di Max Reinhardt e dell’espressioni-smo, cit., 48.

t’oggi mancano nove titoli, vale a dire quasi la metà dellasua opera. Film di cui si è persa ogni copia o di cui nonrestano che alcuni frammenti o bobine. Una perdita checolpisce particolarmente la prima parte dell’attività cine-matografica di Murnau; ma anche per ciò che concerne ilperiodo americano, il solo Aurora (come avremo modo divedere) può considerarsi un suo film a tutti gli effetti.Grazie ad una prima filmografia compilata da TheodoreHuff nel 194821, e soprattutto al lavoro di ricerca sullefonti svolto da Lotte Eisner (e Henri Langlois) prima, eda Luciano Berriatúa poi, siamo ormai in grado di svi-luppare delle ipotesi attendibili sulla portata complessi-va di questa prima fase della carriera di Murnau, a parti-re dallo studio dei materiali e delle varie testimonianzerelative ai suoi film perduti. Già a un primo sguardo siimprime quell’idea di molteplicità e assoluta eterogenei-tà che contraddistingue l’eclettismo della sua filmogra-fia, ma che tuttavia fornisce anche una prova ulterioredella varietà di temi e atmosfere che circolavano nel cine-ma tedesco tra la fine degli anni Dieci e gli anni Venti.Trovano posto tradizioni popolari consolidate, come ilmito romantico del castello in rovina preda di una anticamaledizione, sui cui è costruita la trama di Der Knabe inBlau, oppure il magniloquente racconto storico ad episo-di ricalcato sul modello di D.W. Griffith, dove il temadi fondo si sviluppa nel corso dei secoli (Satanas)22, o an-

e diffondere all’estero una specifica fisionomia nazionale– che Murnau fu chiamato ad Hollywood e osannato co-me uno tra i più grandi registi del cinema muto europeo.Posto tutto questo, non c’è altro cinema che possa esserevisto come diretta emanazione di quel clima culturale mache, allo stesso tempo e in modo altrettanto evidente, la-vori attorno a quelle forme in modo cangiante, mutevoleed eclettico, fino a creare un universo visivo-cinetico as-solutamente personale e per certi versi fuori dal (suo)tempo. La complessità e la ricchezza della sua opera vaben al di là dei luoghi comuni, peraltro fortemente discu-tibili, cui è spesso ridotta nei grandi quadri proposti daimanuali di storia del cinema, che fanno di Nosferatu ilprimo classico del cinema horror, di L’ultimo uomo unfilm che apre alla corrente realista del cinema tedesco de-gli anni Venti, e di Aurora l’apoteosi del percorso ecletticoma instabile di un autore che da lì in poi perde il control-lo della sua opera, schiacciato dai meccanismi dell’indu-stria cinematografica hollywoodiana. Proprio attorno aquesti tre film, indubbiamente i più noti di Murnau pres-so il grande pubblico, condurremo pertanto il lavoro dianalisi affidato al terzo capitolo. Uno sguardo più attentoai valori del testo (sviluppato sulla scia dei contributi piùsignificativi della peraltro non vasta letteratura su Mur-nau) permetterà di intravedere le possibilità interpretati-ve e la ricchezza di un’opera che non smetterà mai di sor-prenderci.

2.2 I film perduti

Ogni interpretazione complessiva del cinema di Mur-nau, volta ad evidenziare tematiche costanti e ricorrenzestilistiche, si confronta con una filmografia da cui a tut-

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21 Cfr. T. Huff, An Index to the Films of Murnau, in «Sight andSound», n. 15, 1948.

22 Ancora più esplicito potrebbe essere il riferimento al secondofilm di Carl Theodor Dreyer, Blade af Satans bog (Pagine dal librodi Satana), un film a episodi «girato nel 1919 a partire da unfeuilleton di Marie Corelli ma uscito solo nel 1921, ed evidente-mente derivato dalla struttura quadripartita di Intolerance. Inesso, Satana compie un viaggio nel tempo allo scopo di semina-

ricorrente in molti di questi film è d’altronde l’attoreConrad Veidt (interprete assieme a Bela Lugosi di DerJanuskopf) la cui figura e lo stile di recitazione richiamanoinevitabilmente il Cesare di Il gabinetto del dottor Caligari(soprattutto in Abend-Nacht-Morgen, dove per tutto ilfilm indossa un vestito completamente nero). Ma, al di làdi Der Januskopf, letto un po’ forzatamente come una sor-ta di prova generale per Nosferatu, i motivi di interessenello studio di questi materiali frammentari (scenari, fo-tografie di scena, programmi di sala, recensioni dell’epo-ca, locandine e in certi casi alcuni metri di pellicola) nonmancano di certo – tralasciando il fatto che, secondoquanto riportato da Eisner, Murnau ritenesse i suoi primifilm «insopportabili». Già con il suo esordio, Der Knabe inBlau, Murnau mette in risalto il suo amore per l’arte el’influenza esplicita che la pittura avrà sul suo modellodi messa in scena e sul lavoro di figurazione delle imma-gini. Tra le fonti pittoriche di questo film (desumibili dal-le fotografie e dai disegni che si sono conservati) c’è il fa-moso ritratto Blue Boy di Thomas Gainsborough (il cuimodello è interpretato nel film da Ernst Hofmann)un’opera che entra come citazione esplicita e determi-nante anche ai fini dello sviluppo narrativo dell’intrec-cio. Satanas, da uno scenario di Robert Wiene con la foto-grafia di Karl Freund, presenta invece una interessante

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(ribaditi dalle acquisizioni psicoanalitiche largamente diffusenei gruppi intellettuali tedeschi degli anni Venti) si saldano allesuggestioni delle Stimmungen notturne di Novalis e Hölderlin,alle atmosfere romantiche di Lenau e, soprattutto, all’ipotesinietzschiana dell’incombenza dell’Urgrund dionisiaco sul ver-sante manifesto, apollineo dell’esistere, inaugurando uno sche-ma destinato a proseguire in Schloss Vogelöd e Nosferatu fino aTartüff e Faust». Vedi P.G. Tone, F.W. Murnau, La Nuova Italia,Firenze 1976, p. 13.

cora il poliziesco di Abend-Nacht-Morgen, un cosiddetto«Detektivfilme», genere assai di moda nel cinema tede-sco di quegli anni in cui era specializzato il produttoreErich Pommer, e su cui si eserciteranno anche Dupont eLang. Ma c’è spazio anche per il sensualismo esotico diDer Bucklige und die Tänzerin e per il melodramma, svilup-pato quest’ultimo sia nell’orizzonte del decadentismo diSehnsucht [1920; Nostalgia], che trattato nell’orizzontedell’ambientazione rurale di Marizza, detta la signora deicontrabbandieri (su scenario di Hans Janowitz) o in quellodel paesaggio innevato di Die Austreibung (film del 1923su scenario di Thea von Harbou realizzato a partire daldramma teatrale di Carl Hauptmann, fratello di Gerhardt).Grande rilievo, nel contesto dell’opera perduta di Mur-nau, viene dato a Der Januskopf soprattutto per la com-parsa del motivo del doppio – qui ripreso dal Dr. Jekyll diStevenson, alla base della sceneggiatura di Hans Janowitz– che rappresenta evidentemente sia una radice tematicache Murnau svilupperà anche nei suoi film successivi,sia lo stimolo espressionista più lampante che sia rintrac-ciabile in questa fase remota della sua attività23. Figura

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re discordia e tradimento tra i popoli; a differenza di Griffith,Dreyer racconta le quattro storie in ordine cronologico (il tradi-mento di Cristo, l’Inquisizione, la Rivoluzione francese del 1789e la guerra russo-finlandese del 1918) e il ritmo ne risente». P.Cherchi Usai, Cinema muto nei paesi nordici, cit., pp. 162-163.

23 Il carattere (eccessivamente) inaugurale di questo film perdutodi Murnau è sottolineato ad esempio da Pier Giorgio Tone, ilquale scrive che «in questa congerie di materiali tematici, unnodo significativo sembra però rappresentato dalla problema-tica di Der Januskopf. Qui il motivo del doppio, coinvolgendocontemporaneamente la tipologia del personaggio e il cinemain quanto duplicazione illusoria del reale, si situa in una di-mensione culturale complessa, dove gli stimoli espressionistici

servino del cinema di Murnau)26 esprime assai bene, purnei suoi pochi secondi, quel sensualismo romantico di cuiparla Deleuze a proposito della personale rielaborazionedelle figure e dei temi di area espressionista da parte diMurnau. Oppure, come ancora riporta un critico del«Film Kurier» discutendo del lavoro di regia a propositodel film Der Bucklige und die Tänzerin: «non ho mai vistouna messa in scena che sembra avvolgere i personaggi inun’atmosfera che emana qualcosa di psichico, qualcosache ricorda gli antichi profumi giavanesi»27 (profumi, eli-sir e diamanti provenienti dall’isola di Giava sono d’al-tronde al centro della trama del film). I materiali conser-vati per il film Marizza rivelano invece, oltre all’attenzio-ne per la composizione in chiaroscuro, una messa in sce-na che impiega la costruzione del quadro in profonditàdi campo, che secondo Eisner è un altro dei tratti stilisticispecifici nell’opera del primo Murnau.

2.3 L’arte di evocare fantasmi. Temi, figure, motivi

Nosferatu fu tra i primi grandi successi di Murnau eancora oggi possiamo considerarlo come il suo film piùcelebre, un’opera il cui fascino indiscusso si rinnova pres-so il pubblico di ogni epoca. È soprattutto in seguitoall’“adozione” di questo film (e via via di tutta l’opera diMurnau) da parte del gruppo dei giovani critici dei «Ca-hiers du Cinéma» che, a partire dagli anni Cinquanta, ilsuo cinema entra in una feconda fase di riscoperta critica

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26 Questo frammento è visibile nel bel documentario di LucianoBerriatúa, Die Sprache der Schatten. Friedrich Wilhelm Murnau undSeine Filme (Il linguaggio dell’ombra. F.W. Murnau e i suoi film).

27 Cit. in L. Eisner, F.W. Murnau, cit., p. 138.

anticipazione che ritroveremo più tardi nel Faust. Secon-do Eisner, Murnau modificò in alcuni passaggi la sceneg-giatura abbastanza convenzionale di Wiene, mostrandola sua particolare attenzione per la composizione lumini-stica della scena e per i valori plastici dell’immagine. So-prattutto però troviamo l’aggiunta di una sorta di “pro-logo celeste” «alla maniera di Goethe», con il confrontotra Dio e Lucifero, l’angelo caduto, da cui poi prende av-vio la vicenda che si sviluppa in tre distinte parti lungo isecoli24. Alcuni brevi frammenti di pellicola di questofilm, giunti sino ai giorni nostri (tra cui una sensuale sce-na d’amore tra Fritz Kortner e Sadjah Gezza), rivelanoinoltre una particolare sensibilità nei confronti del lavorodi figurazione del corpo, un altro motivo che percorre inmodo sotterraneo l’opera di Murnau e che troverà la pro-pria sintesi suprema nell’ultimo film, Tabù. L’ambienta-zione dell’antico Egitto del primo capitolo di Satanas (in-titolato Il tiranno) da cui è estratto questo breve segmen-to, lascia spazio all’evocazione di un imprecisato esoti-smo dell’anima, a un erotismo conturbante che avvolge idue corpi seminudi qui trattati come fossero un’unica,pura materia sensibile in movimento25. Questa immagi-ne filmica di una potenza evocativa straordinaria (che èdunque tra le prime immagini in movimento che si con-

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24 Cfr. L. Eisner, F.W. Murnau, cit., p. 135.25 Come ricorda Elsaesser, a proposito del lavoro sulla luce com-

piuto dai grandi direttori della fotografia del cinema di Weimar(Freund, Fritz Arno Wagner, Carl Hoffmann), questa specialeluminosità tattile che immette nel film i valori della percezionepittorica «non si applica solo agli oggetti: anche i personaggidel cinema di Murnau, ad esempio, spesso sono trattati in mo-do non differente dalle altre forme modellate dalla luce e dellaprofondità». T. Elsaesser, Weimar Cinema and After. Germany’sHistorical Imaginary, cit., p. 251.

complesso in cui confluiscono le soluzioni luministichedel cinema scandinavo e le suggestioni della pittura ro-mantica di Caspar David Friedrich.

Tuttavia gran parte di questi aspetti, ampiamente sot-tolineati dalla letteratura critica su Murnau, sono già rin-tracciabili in Der Gang in die Nacht, che è il primo, in ordi-ne di tempo, tra i film che si sono conservati sino ai giorninostri. Lo scenario di Carl Mayer, desunto da un roman-zo d’appendice della scrittrice danese Harriet Bloch (DerSieger) ruota attorno ad una torbida storia d’amore in cuisono coinvolti i tre protagonisti principali, un medicooculista di nome Eigil Börne, Lily, una ballerina, e un gio-vane pittore cieco (interpretato da Conrad Veidt). Inva-ghitosi di Lily, il medico lascia la sua fidanzata per sposa-re la ballerina mentre quest’ultima, nel frattempo, si in-namora del pittore cui il professor Börne restituirà la vi-sta. In questo melodramma a tinte fosche costruito secon-do le atmosfere e il décor tipici di quel decadentismo incui andavano immerse storie del genere, scopriamo unMurnau fortemente influenzato dalle soluzioni visive delcinema nordico e, in particolar modo, dal film danese.D’altronde, come ricorda Eisner, alla base del film vi erauno dei numerosi scenari che la “Nordisk Film”, all’epo-ca nella sua fase di declino, aveva immesso nel più fio-rente mercato tedesco30. Nei suoi passaggi chiave l’inten-sità drammatica della vicenda appare quindi filtrata dal-l’osservazione del paesaggio che si offre come il correlati-vo oggettivo degli stati d’animo dei personaggi. In talsenso è esemplare il lavoro di figurazione condotto sulloscatenamento della tempesta che, «sintonizzandosi conla rottura della coppia, esalta i legami occulti, le corri-spondenze sotterranee esistenti tra l’indecifrabilità delle

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30 Cfr. L. Eisner, F.W. Murnau, cit.

e rivisitazione storiografica dopo che, con la sua morte,era sostanzialmente caduto nell’oblio28. In Nosferatu d’al-tronde sono presenti alcuni temi che, pure in una filmo-grafia così refrattaria a una lettura omogenea, sono consi-derabili come delle costanti del cinema di Murnau. Tro-viamo qui sviluppati innanzitutto l’elaborazione di unmodello di figurazione e un lavoro sulla costruzione de-gli spazi che segnano in modo decisivo la sua idea dimessa in scena, così come si realizzerà poi nei più ambi-ziosi progetti concretizzati per l’UFA o a Hollywood. Maanche l’attenzione al motivo dello sguardo e ai modi di sog-gettivazione delle immagini, emergono già in tutta la lo-ro importanza nell’economia complessiva della messa inscena. Come ricorda Eisner:

«Le storie del cinema non cessano di ripeterci che Du-pont è stato l’unico in Varieté, a essere capace di filmareuna scena come se fosse vista dall’attore, collocando lamacchina da presa sopra la sua spalla. Però Murnau nonha avuto nessun bisogno della lezione di Dupont: già inNosferatu la macchina da presa, e quindi lo spettatore, ve-de con gli occhi del folle che si aggrappa al tetto le piccoleforme fluttuanti che si agitano per il vicolo»29.

Il libero adattamento dal Dracula di Bram Stoker di-venta inoltre l’occasione per rileggere il tema del doppio ele atmosfere oscure e minacciose care al cinema tedescodi quegli anni, alla luce di un orizzonte figurativo più

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28 Vedi gli interventi di Jean Domarchi (Présence de F.W. Murnau in«Cahiers du Cinéma», n. 18, 1953), Alexandre Astruc (Le feu etla glace in «Cahiers du Cinéma», n. 8, 1952») e Maurice Schérer– pseudonimo di Eric Rohmer (La revanche de l’occident, in «Ca-hiers du Cinéma», n. 18, 1953).

29 L. Eisner, Lo schermo demoniaco. Le influenze di Max Reinhardt edell’espressionismo, cit., p. 200.

ture che Murnau recupererà poi, più o meno esplicita-mente, in Nosferatu. Simili sono appunto le raffigurazionidei paesaggi in tempesta. Ma anche alcune pose estatichedei corpi – come nel caso della morte di Lily, raffiguratacon la mano tesa e pallida (in un’inquadratura che lasciail resto del corpo fuoricampo), ritratta cioè in una posturache ritroveremo in occasione del sacrificio di Ellen al co-spetto del vampiro. Di tutte queste similitudini con il piùnoto Nosferatu, la più interessante riguarda però la messaa punto di quel sistema di congiunzione virtuale degli spaziche prende forma attraverso un uso anomalo dei raccor-di. Una soluzione che Berriatúa ha definito come «il me-todo del pensiero-realizzato» e che consiste nell’impiegodi forme di montaggio che, nel corso della stessa scena,mettono in connessione spazi tra loro distanti. Si crea cosìuna continuità visiva tra elementi e personaggi che nelladiegesi filmica occupano luoghi diversi, spesso attraver-so l’attivazione di raccordi “impossibili” che si incarica-no di figurare le visioni interiori, i desideri o gli oscuripresentimenti degli stessi personaggi. È il caso del cele-bre raccordo che in Nosferatu unisce i due spazi della casadi Wisborg, dove si trova Ellen, e la stanza del castello delconte Orlok, dove il vampiro nel frattempo sta per gettar-si su Hutter33. Una soluzione di montaggio del tutto simi-le era quindi già stata sperimentata in Der Gang in dieNacht. L’attrazione tra Lily e il pittore cieco è sottolineatacon la creazione di un falso spazio diegetico che raccorda,sulla linea dello sguardo dei due personaggi coinvolti, idiversi ambienti dove si trovano rispettivamente. Ovve-ro, vediamo la donna, tra le braccia del medico, che rivol-ge il proprio sguardo in un punto fuoricampo a destra

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33 Rimandiamo il lettore all’analisi di questo segmento contenutanel primo paragrafo del terzo capitolo del libro.

forze naturali e il mondo delle tenebre, la dimensione im-penetrabile in cui è immerso il pittore cieco»31. Allo stessotempo possiamo osservare il gioco di scambi e i rispettiviprestiti semantici che coinvolgono la composizione pla-stica del quadro e alcuni motivi ricorrenti della pitturaromantica. Luciano Berriatúa individua, ad esempio, l’in-fluenza di un quadro di Johan Christian Clausen Dahl(Wolkenstudie, 1832) conservato presso il Museo Naziona-le di Berlino – uno scorcio di paesaggio alberato sovrasta-to da nubi minacciose – che sarebbe alla base di alcuneinquadrature in particolare ma, più in generale, di quelsentimento della natura che in Murnau fa da contrap-punto all’azione drammatica e alla costruzione o alla ri-velazione della soggettività dei personaggi. Ritroviamopertanto anche i riferimenti al celebre Die Toteninsel (1880;L’isola dei morti) di Arnold Böcklin (che ritorneranno inNosferatu) o ancora una citazione esplicita da un quadrodi Karl Friedrich Schinkel del 1820, da cui Murnau ri-prende la composizione dell’inquadratura tagliata da unarco (funzionante qui come una sorta di iris) che oscura laparte superiore dell’immagine e crea un senso di minac-ciosa incombenza nel paesaggio – nel momento in cui ilpittore è a bordo di un’imbarcazione32.

Nella natura, nei paesaggi rarefatti e nelle tempeste diDer Gang in die Nacht prendono insomma già forma i pre-sagi, le forze occulte e le risonanze misteriose che, comein una tragedia classica, sembrano avere la meglio sullavolontà dei personaggi e sulle loro azioni – un aspettoquesto che percorre tutta l’opera di Murnau, e che ritro-viamo in modo esemplare in film come Nosferatu, Aurora,Tabù. Ma questo film contiene anche numerose inquadra-

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31 P.G. Tone, F.W. Murnau, cit., p. 15.32 Ivi, pp. 104-109.

Thomas Elsaesser invece l’impatto del cinema di Griffith(e specialmente di Intolerance, uscito in Germania nel1920) non può essere sottostimato. I modelli di montag-gio del cinema di Weimar, anche per ciò che riguarda ifilm espressionisti, sono pertanto variazioni più o menopersonali del modello ideato da Griffith e, tra coloro chenel corso degli anni Venti proseguono la lezione del regi-sta e sviluppano le sue idee sul montaggio, Murnau è daconsiderarsi tra gli interpreti più originali. Tuttavia, so-prattutto in Nosferatu, la giustapposizione degli spazi edelle linee narrative è sviluppata attraverso un richiamoal sovrannaturale e alle forze psichiche attivate che pren-de forma innanzitutto nell’uso libero e (verrebbe da dire)trascendentale dello spazio fuoricampo35. Ciò che in ogni

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35 T. Elsaesser, Weimar Cinema and After. Germany’s Historical Ima-ginary, cit. (vedi oltre al capitolo su Murnau – Nosferatu, Tartuffeand Faust: Secret Affinities in Friedrich Wilhelm Murnau, pp. 223-258 – anche Fritz Lang’s Traps for the Mind and Eye: Dr. Mabusethe Gambler and Others Disguise Artists, pp.145-194). SecondoElsaesser l’anomalo sviluppo di più linee narrative in Murnau(e in particolare in Nosferatu) dimostra una consapevole varia-zione attorno al modello griffithiano. D’altronde, proprio in ri-ferimento a Intolerance e alla sua visione simultaneista dellaStoria, si parla di un modello di racconto che implica una pro-pria logica di sovversione del canone. Ovvero, come afferma Giu-lia Carluccio, «il carattere discorsivo, intellettuale o mentale delfilm, la sua forza violentemente anticlassica, e il suo fascino diopera aperta, straniante, risiedono pure (e, verrebbe da dire invia suggestiva e garbatamente provocatoria, soprattutto) nellearchitetture locali, parziali, delle singole inquadrature […] inuna logica di sovversione del centramento e della continuitàpreviste dalla propedeutica del découpage classico, e in una sor-ta di esasperazione manierista e deformante del canone acqui-sito». Vedi G. Carluccio, Storia e storie. Architetture della visione egeometrie non euclidee in “Intolerance”, in M. Bertozzi (a cura di),Il cinema, l’architettura, la città, Dedalo, Roma 2001, p. 37.

del quadro e di seguito, con uno stacco, ci viene mostratolo spazio della casa del pittore in cui egli, seduto di frontealla vetrata della sua finestra, sta guardando nella dire-zione opposta (ossia verso la destra dell’inquadratura). Sigenera dunque l’impressione che i due si stiano guardan-do anche se ovviamente non possono vedersi.

Come ha osservato lo stesso Berriatúa, questa sorta dicorrispondenza degli spazi, costruita sulla scia di un con-tatto sublime o di una visione interiore dei personaggi,non è certo un’invenzione di Murnau, e in tal senso sitratta di una soluzione che è già presente in Griffith. Tut-tavia in Murnau essa si tinge di aspetti drammaturgiciprofondi e complessi, costruendosi come il processo di fi-gurazione di una impalpabile corrispondenza visiva deiluoghi e degli stati d’animo. Una soluzione di montaggioattraverso cui si esprimono quelle forze invisibili – oquell’arte di evocare i fantasmi – in cui anche le vicende diambientazione più naturalistica del cinema di Murnausembrano immerse. Secondo Janet Bergstrom questa am-biguità costitutiva del montaggio, così in contrasto con lachiarezza espositiva del cinema classico, non può esseretuttavia ricondotta all’idea di una violazione delle sue re-gole compositive (come, ad esempio, la costruzione omo-genea di uno spazio a 180°) perché il cinema di Weimar –soprattutto per ciò che riguarda la sua produzione artisti-ca – si basa su altre convenzioni. Ellissi improbabili, pun-ti di vista anomali, e incoerenze spaziali sono insomma,secondo Bergstrom, non tanto delle trasgressioni stilisti-che che incrinano l’esperienza cognitiva dello spettatore,quanto delle soluzioni condivise e specifiche di una certalibertà artistica del cinema tedesco degli anni Venti34. Per

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34 Cfr. J. Bergstrom, Sexuality at a Loss. The Films of F.W. Murnau, in«Poetics Today», vol. 6, n. 1-2, pp. 185-203.

sere una trama in cui la verità si disgrega in mille rivoliper poi riapparire e ricomporsi come gioco di maschere eapparenze. È proprio nel segno della maschera e dell’in-ganno che Murnau attinge qui – non senza ironia e di-stacco – all’idioma culturale dell’Espressionismo, e inparticolare al suo orizzonte nietzschiano. Per ciò checoncerne i rapporti tra Nietzsche e il cinema espressioni-sta, e la comune indagine sulla disgregazione del reale,Paolo Bertetto nota che:

«La crisi della verità, il carattere soggettivo della vi-sione e dell’interpretazione, la disparizione del mondovero e la sua sostituzione con il mondo apparente, chesembra esso stesso destinato a scomparire, il dissolvi-mento del soggetto nel gioco delle maschere che finisco-no per occupare tutta la scena intersoggettiva (e quellapsichica) sono tutte determinazioni discorsive, elementianalitici di interpretazione che dal testo nietzschiano sidiffondono nella cultura espressionista, ed in particola-re nell’immaginario e nella visione del cinema espres-sionista, costituendone non solo l’atmosfera, il climadiffuso, ma in fondo le stesse coordinate implicite dellainvenzione linguistica»37

In questo senso la proverbiale risoluzione dell’enig-ma dell’intreccio di Schloss Vogelöd, secondo i canoni delgenere, non deve trarci in inganno. L’ambiguità del so-gno e gli scenari allucinati del castello invadono l’azionenarrativa facendo dei personaggi (siano essi i colpevoli ogli innocenti) delle maschere che agiscono in preda a

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37 P. Bertetto, L’ombra, l’apparenza, la maschera. Nietzsche e il cinemaespressionista, in AA.VV. Nietzsche e la cultura contemporanea, Ar-senale, Venezia 1982, pp. 145-146. Su questi temi vedi il classicoG. Vattimo, Il soggetto e la maschera. Nietzsche e il problema della li-berazione, Bompiani, Milano 2003.

caso, e in entrambe le ipotesi, può essere evidenziato è lapersonale rielaborazione da parte di Murnau di quellepulsioni oscure che abitano il cinema e più ampiamentela cultura espressionista – il doppio, l’allucinazione e laproiezione fantasmatica, l’intreccio delle dinamiche in-tersoggettive, il rovesciamento dei corpi in ombre. Po-tremmo qui richiamare in proposito – pensando a un’as-sociazione tra la rappresentazione discontinua degli og-getti nel quadro e quelle della soggettività nella costru-zione diegetica, la descrizione di un quadro di GabrieleMünter riportata da Kandinskij nel suo saggio Sulla que-stione della forma:

«La natura morta di Münter dimostra che la traspo-sizione non uniforme, discontinua, degli oggetti in unostesso quadro non soltanto non è dannosa, ma può crea-re, se rettamente applicata, una forte e complessa riso-nanza interiore. Lo stesso accordo che all’esterno pro-duce un effetto disarmonico promuove, in questo caso,l’effetto armonico interiore»36.

Realizzato nel 1921, Schloss Vogelöd, anch’esso su sce-nario di Carl Mayer come Der Gang in die Nacht, fu pro-dotto da Erich Pommer per la “Decla-Bioscop” poco pri-ma che questa fosse integrata nell’operazione che con-dusse alla nascita dell’UFA. Il film fonde abilmente le at-mosfere visive del racconto fantastico con la strutturanarrativa di un giallo costruito su indizi tortuosi e falsepiste. L’omicidio del conte Peter Paul Oetsch, e i sospettiinfondati sul conte Johann, suo fratello (ovvero l’eventoscatenante dell’intreccio) diventano l’occasione per tes-

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36 W. Kandinskij, Sulla questione della forma, in W. Kandinskij - F.Marc, Der Blaue Reiter, Piper, München 1912, tr. it., L’almanaccodel cavaliere azzurro, SE, Milano 1998, p. 125.

In tal senso Schloss Vogelöd recupera sul piano dellaletteratura popolare (Thea von Harbou trae lo scenarioda un popolare racconto dell’epoca) un tema che Murnauaffronterà poi con Tartufo, cioè nel contesto di una dram-maturgia “alta”, messa al servizio di un film che è an-ch’esso costruito attorno al dispositivo dello smaschera-mento delle apparenze.

In Nosferatu, dunque, l’orizzonte allucinatorio e in-quieto dell’Espressionismo si fonde invece con le figura-zioni del paesaggio e il sentimento conturbante della na-tura. È allora attorno a questa duplicità (l’ombra e il dop-pio da un lato, l’infinita mutevolezza della natura, dall’al-tro) che si può rintracciare uno dei primi motivi di fondodel cinema di Murnau. Sul conflitto definibile un po’ sem-plicisticamente come l’opposizione tra Naturalismo eEspressionismo, è interamente costruito secondo DudleyAndrew un film come Aurora, un’opera in cui tutti gli ele-menti (dalla costruzione narrativa, alla messa in scena,dall’illuminazione alla recitazione degli attori) concorro-no a sviluppare questa dicotomia, come il motivo stessodella struttura drammaturgica del testo che si presentanella coabitazione di due stili di regia e due modelli di ci-nema40. Ed è attorno all’idea di uno stile molteplice, o sa-rebbe più corretto dire scisso nel suo doppio, che può esse-re anche ricondotto Nosferatu. Nosferatu, vale a dire, non èsoltanto una delle più importanti opere del cinema tede-sco degli anni Venti, o il primo film sui vampiri della sto-ria del cinema cui ancora oggi si guarda come all’archeti-po di ogni adattamento cinematografico del Dracula diBram Stoker. Esso è anche una delle più evidenti dimo-strazioni dell’eclettismo stilistico di Murnau e della sua

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40 Cfr. D. Andrew, The Gravity of «Sunrise», in «Quarterly Reviewof Film Studies», n. 2, 1977, pp. 356-379.

motivazioni e ossessioni insondabili. Assieme alla regiadi Murnau, che si segnala qui per un uso intensivo diampie inquadrature d’ambiente costruite in profonditàdi campo, fondamentale appare il lavoro dello scenogra-fo Hermann Warm, che opera nella restituzione di unospazio riscritto integralmente come struttura metaforicadi fondo dello slittamento incessante della verità e del-l’identità dei personaggi. L’universo del castello, la con-figurazione claustrofobica delle sue sale e dei suoi corri-doi definiscono tanto la tensione narrativa – il vicolo cie-co delle indagini, la ragnatela degli eventi, le svolte im-provvise – che l’idea di una prigione esistenziale, ovveroil «ritorno del protagonista su se stesso, secondo una di-namica tipica del personaggio-doppio»38 (il conteOetsch/il frate Faramund). A differenza che in Nosferatu(o in Der Gang in die Nacht), in Schloss Vogelöd sono quin-di gli interni a svolgere il ruolo di contrappunto dram-matico dell’azione e a evocare la psicologia dei perso-naggi mentre la natura resta estranea, indifferente po-tremmo dire, al gioco della moltiplicazione delle ma-schere, degli specchi, delle apparenze, del perturbante.Le proiezioni materializzate del doppio e del desideriosi ridefiniscono quindi dentro la struttura del genere, co-sì come dentro gli spazi del castello, e

«inteso come territorio delle ombre, come organiz-zazione stilistica di un’apparenza che è altro dal mondo,il film infrange la presunta continuità del reale, coglien-do l’aldilà dei fatti e delle convenzioni; individua, oltrela maschera dell’ipocrisia sociale e la coesione superfi-ciale egli eventi, la spettralità del disordine quotidianodella vita»39.

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38 P.G. Tone, F.W. Murnau, cit., p. 28. 39 Ibid., p. 33.

all’interno del processo di registrazione del visibile del-l’immagine filmica42. Proprio il discorso relativo a Nosfera-tu ci permette di chiarire meglio questo punto richiaman-doci esplicitamente – con Jean Douchet – all’idea di unreale vampirizzato:

«Murnau fu certamente il maestro del vampirismo.E questo non è forse al cuore stesso del meccanismo ci-nematografico? La ripresa raccoglie e cattura la luce delgiorno, che la proiezione rimanda in luce notturna. Ilreale vampirizzato dalla pellicola non è più che un fantasmasullo schermo. Questa riflessione sull’arte, che si manife-sta in Murnau a partire dai primi film, trova compimen-

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42 Il cinema tedesco degli anni Venti è nel suo complesso la sintesidelle più significative soluzioni visive e dei modi di produzio-ne dell’immagine filmica sino a quel momento sperimentate.Vale la pena di riprendere in tal senso questo passaggio diEisner sul fondamentale contributo degli operatori tedeschi(Karl Freund, Fritz Arno Wagner, Carl Hoffmann e molti altri):«Può darsi che la fantasia romantica dei film tedeschi nonavrebbe mai raggiunto questo apice dell’irreale poetico senzale sovrimpressioni, gli sfumati, le distorsioni e altri trucchi sa-pienti dovuti agli operatori del tempo. Evidentemente, ben pri-ma di loro, il grande Méliès ne conosceva giù tutti i segreti, el’avanguardia francese degli anni venti ha fondato su di essitutte le sue visioni suggestive. Indubbiamente il cinema scandi-navo si è servito della magia bianca, delle apparizioni spettralie di un chiaroscuro affascinante. Ma il cinema tedesco si impa-dronisce di tutti i trucchi, apprende dai cineasti tedeschi e svede-si che lavorano negli studi intorno a Berlino, la portata del chia-roscuro che i suoi operatori sanno unire alla padronanza del do-saggio di ombre e luci insegnato dalle regie di Max Reinhardt, odallo choc dell’illuminazione espressionista». Vedi L. Eisner, Loschermo demoniaco. Le influenze di Max Reinhardt e dell’espressioni-smo, cit., p. 234 (da un articolo originariamente pubblicato nella«Revue des Belles Lettres», janvier-février, 1955).

capacità di raccontare storie sospese tra il reale e il fanta-stico rielaborando in modo personale sia la lezione delNaturalismo scandinavo che le suggestioni dell’Espres-sionismo, entrambi riletti infine alla luce di una sensibilitàvisiva impregnata di elementi romantici e di fascinazioneper il sovrannaturale, in cui l’eco della pittura di Friedricho di Böcklin si fonde con gli accenti mistici del Romantici-smo di Novalis o di Franz Marc. Un film, come recita lapubblicità dell’epoca, «erotico, occultista, spiritista e me-tafisico». Il lavoro sulla messa in scena allestita da Grau eMurnau, compone immagini attraverso cui il piano delreale si riorganizza nelle forme simboliche per lo più pro-venienti dalla pittura, ma in generale guardando a quel-l’orizzonte fantasmatico e allucinatorio che si realizza nel-la natura. Senza cioè che l’artificio, la deformazione del vi-sibile o vari processi irrealizzanti intenzionalmente esibitinella messa in scena, abbiano il sopravvento sulla dimen-sione indexicale dell’immagine filmica41. Si veda ad esem-pio l’uso della pellicola in negativo nel segmento in cui,come una presenza spettrale, compare la carrozza che at-traversa la foresta. Pur evidenziando il carattere di tracciafantasmatica dell’immagine filmica, questo processo nonimplica qui nessuna disgregazione della forma, nessunadistorsione degli oggetti cara al principio della stilizzazio-ne espressionista. È un cambiamento della luce in cui sci-volano le immagini, i corpi, le forme, e semmai una iscri-zione del tema del doppio e del volto nascosto delle cose,

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41 Ovvero, «un’ombra in Murnau assorbe e cattura la figura; e an-ziché connotare la presenza oppressiva del Doppelgänger, si po-ne – è il caso delle celebri silhouette di Nosferatu o Tartuff – comela registrazione di una traccia, di un’assenza fisica, di un diffe-rimento temporale». Vedi T. Elsaesser, Nosferatu, Tartuffe andFaust: Secret Affinities in Friedrich Wilhelm Murnau, in Id., Wei-mar Cinema and After. Germany’s Historical Imaginary, cit., p. 237.

“vampirizza” Orgone, Mefistofele in Faust o la “donna dicittà” in Aurora, per citare i casi più emblematici. Ma an-che – sempre pensando a Nosferatu – il vampirismo è unfenomeno interno alla natura e non fuori dal suo orizzon-te; non è una mostruosità che la natura esclude, ma un fe-nomeno che essa porta dentro di sé. Pensiamo alla cele-bre sequenza, costruita nel modo di un interludio auto-nomo nel film, in cui il professore paracelsiano sottolineacome nello stato di natura siano presenti delle pratichenon lontane dall’orizzonte dei vampiri e dei fantasmi(mentre il film ci mostra le immagini ravvicinate di unpolipo etereo, quasi fantasmatico nella sua trasparenza, esoprattutto la conturbante pianta carnivora definita nelcommento «una pianta che agisce come un vampiro»).Questo stesso ruolo, in modo altrettanto esplicito, può es-sere svolto dagli spazi della metropoli. Può cioè identifi-carsi con il progresso, con il ritmo frenetico e alienantedella vita urbana e dei suoi spietati ingranaggi, come cimostrano sia Fantasma che L’ultimo uomo, o in manieraesemplare i film americani di Murnau costruiti sul con-flitto città-campagna come Aurora e City Girl. Conflittoche spesso viene rifigurato nelle forme dell’attraversa-mento, dello scorrere di uno spazio nell’altro.

Il viaggio compiuto dal giovane Hutter fino ai Carpazi,nel castello del conte Orlok, per concludere l’atto di com-pravendita con cui quest’ultimo verrà ad abitare in unacasa nel paese di Wisborg, è quasi l’archetipo di quei pas-saggi su cui sono costruiti molti film di Murnau (dalla cittàalla campagna, dalle tenebre alla luce, dai luoghi familiariall’inquietante estraneità della terra dei fantasmi). Questiconfini vengono continuamente incrinati, scivolano gra-dualmente uno nell’altro secondo un sistema di produzio-ne illusiva altamente formalizzato che trova, nel sistemadelle congiunzioni virtuali degli spazi che abbiamo visto

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to nell’adattamento di Dracula. Nosferatu rivela e liberale fonti d’ispirazione del cineasta: il romanticismo tede-sco sempre vivo, la paura interiore e occulta di una for-za estranea, parassitaria, che si sente prendere possessodell’essere e nutrirsene (specificatamente, per Murnau,il profondo senso di colpa per la sua omosessualità); einfine l’esteriorizzazione di questa paura»43.

Non è un caso che alcuni critici abbiano interpretatoNosferatu in una prospettiva metalinguistica, vale a direnei termini di un film sul potere perturbante del cinema.Sulla scia del Dracula di Stoker, metafora della paura deicambiamenti legati alla modernità, anche la lotta del-l’ombra e della luce in Nosferatu, e la stessa impalpabilefigura del Principe delle Tenebre, incrociano il processodi reificazione della tecnica. Le inquietudini più recondi-te dell’uomo diventano insomma lo specchio e l’allegoriadella sua alienazione contemporanea44. In modo similel’idea di vampirismo di cui parla Douchet rimanda dun-que al lavoro che la macchina da presa compie nei con-fronti del profilmico, sia che esso venga allestito in stu-dio, sia che si configuri nelle forme del paesaggio e nellanatura delle riprese in esterno. In seconda battuta il vam-pirismo assume le forme vicarie di precisi personaggi al-l’interno del mondo diegetico costruito e sviluppato dalracconto del film. Il conte Orlok in Nosferatu, Tartufo che

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43 J. Douchet, La ville tentaculaire, in AA.VV., Cités-Cines, Ramsay,Paris 1987, tr. it. in O. Caldiron - S. Lucci - L. Marzo (a cura di),Cineamerica 1919-1929. Alle fonti del mito, Merdiana, Roma 1991,p. 101.

44 Cfr. T. Elsaesser, Nosferatu, Tartuffe and Faust: Secret Affinities inFriedrich Wilhelm Murnau, in Id., Weimar Cinema and After. Ger-many’s Historical Imaginary, cit., pp. 223-258; A. Dalle Vacche,F.W. Murnau’s Nosferatu. Romantic Paintings as Horror and Desirein Expressionist Cinema, cit., 1996.

la fattoria paterna, Johannes punta in realtà ad imposses-sarsi dei beni del conte, e in particolare della cosiddettaterra del diavolo, luogo di un ricco giacimento di petrolio.Per raggiungere il suo scopo, Johannes tenta dapprima disedurre senza successo Gerda, figlia del conte, poi, allamorte di quest’ultimo, sposa la sua seconda moglie, Hel-ga. Accortasi dell’opportunismo dell’uomo, Helga vendeil terreno mandando su tutte le furie Johannes che la ucci-de gettandola in un torrente. Per vendicare la donna,Gerda dà alle fiamme il pozzo di petrolio restando tutta-via anche lei uccisa nell’incendio. A questo punto Johan-nes rinuncia a tutto e fa ritorno alla sua fattoria, dove loattende Maria, una ragazza semplice che da sempre è in-namorata di lui. Un melodramma in piena regola, dun-que, costruito attorno alla cieca ambizione di Johannes ealle fatali distruzioni che questa lascia dietro di sé. Il con-trasto tra le classi sociali viene così riscritto anche nei ter-mini del conflitto tra i falsi miti della modernità e i valoridi una vita semplice nella fattoria, ovvero attorno a quel-la dicotomia che oppone i due spazi, della città da un la-to, e della campagna dall’altro, e che si offre come un mo-tivo strutturale del melodramma degli anni Venti, svilup-pato da Murnau nell’orizzonte del tema dell’“innocenzaperduta”. Si tratta di un aspetto che sarà condotto sino al-le estreme conseguenze in Tabù dove, radicalizzandosi,assumerà le forme vere e proprie di una redenzione nellanatura, mentre per ora, in Der brennende Acker, il discorsoriguarda ancora una presa di posizione morale sui con-flitti sociali e un’esaltazione dei valori rurali portataavanti con accenti sostanzialmente conservatori e anti-moderni, cari alla sceneggiatrice Thea von Harbou47.

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47 Thomas Koebner attribuisce il conservatorismo di questo filmdi Murnau all’influenza di Thea von Harbou e alla “Duelig

prima, una sua prima importante soluzione di regia. Maanche la composizione luministica della scena che scolpi-sce i volumi plastici del quadro e il lavoro di montaggionel senso più ampio della sua capacità organizzativa deglispazi, risentono di questa volontà di sfumare il confine trapercezione, immaginazione e visione interiore, cosicché inMurnau, e specificatamente in Nosferatu,

«tutte le componenti visive sono immerse in un’at-mosfera cromatica, segnata da un lento, graduale chia-roscuro, un trascolorare dal nero alle tonalità del grigio.E il montaggio opera nella prospettiva del potenzia-mento della visione, della rivelazione e della contem-plazione delle configurazioni visive. Favorendo sem-mai una dilatazione del visibile che permetta una perce-zione prolungata del quadro»45.

Questa duplicità che lega inquietudine espressionistae Naturalismo è rafforzata dal fatto che, nello stesso annodi Nosferatu, Murnau realizza un film come Der brennendeAcker 46 – scritto da Willy Haas, Thea von Harbou e Ar-thur Rosen – passando così, con estrema disinvoltura,dalle inquietanti atmosfere gotiche a un melodramma ru-rale che avvicina temi e questioni sociali. Johannes Rog(interpretato dall’attore russo Vladimir Gajdarov, forma-tosi nel teatro di Konstantin S. Stanislavskij) è il perso-naggio centrale di questa storia che prende avvio dallamorte di suo padre, un vecchio contadino, segretario delconte Rudenburg. Ereditata assieme a suo fratello Peter

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45 P. Bertetto, Il cinema espressionista e la forma dell’immaginario, cit.,p. 45.

46 A lungo creduto perduto (eccezion fatta per una copia nitratocon didascalie in polacco, in pessimo stato e incompleta), il filmè stato fortuitamente ritrovato nel 1978 alla Cineteca di Milano.

spalle all’amante dopo aver ottenuto quel che voleva: cen’è abbastanza per odiarlo, ma la sua azione distruttricesi ferma qui»48.

Se le analogie nella conduzione dei caratteri e nellastrutturazione dell’intreccio non mancano, è però soprat-tutto il ruolo decisivo che il paesaggio riveste nel film diGriffith ad aver probabilmente attirato l’attenzione diMurnau. Uno dei momenti visivamente più intensi diAgonia sui ghiacci è la sequenza della violenta tormenta dineve, girata in esterni, che conduce al finale del film. Ol-tre al fondamentale apporto della natura e del paesaggionel cuore stesso del dramma, Murnau deve aver pensatoa queste immagini nella costruzione visiva della scena incui divampa l’incendio nel pozzo di petrolio. In questosenso, in Der brennende Acker, risulta fondamentale l’in-contro con lo scenografo Rochus Gliese che, alcuni annidopo sarà al fianco di Murnau ad Hollywood per curarele scenografie di Aurora, i cui interni dell’ambiente conta-dino dove vive la coppia, richiamano da vicino le atmo-sfere di questo Kammerspiel rurale.

In Fantasma è invece la strada a mettersi in scena comespazio del perturbante, dell’ossessione, del desiderio. An-che se distante dalle produzioni visive di irrealtà, Fanta-sma guarda alla strada secondo i motivi propri del-l’Espressionismo, vale a dire come al luogo di concrezionisimboliche in cui prendono forma i fantasmi dell’io. Alungo ritenuto perduto, è solo in tempi recenti che questofilm ha attirato l’attenzione degli storici del cinema mo-strando elementi decisivi per uno studio complessivo del-lo stile visivo di Murnau. La materia letteraria di Gerhart

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48 P. Cherchi Usai, David Wark Griffith, Il Castoro, Milano 2008, p.350.

Secondo Luciano Berriatúa la messa in scena svilup-pata da Murnau in questo film – soprattutto in riferi-mento al modo in cui si alternano i campi totali dei pae-saggi innevati con le scene d’interni e i primi piani usatiin chiave psicologica – mostrerebbe, più che in altri casi,una precisa influenza del cinema di Griffith; in partico-lar modo, lo storico spagnolo si riferisce qui a un celebremelodramma del 1920, intitolato Way Down East (Agoniasui ghiacci), tra i film più costosi, ma anche tra i piùgrandi successi commerciali della carriera di Griffith.Anche in quest’opera – in cui sin dal titolo si evidenziail ruolo centrale delle aree rurali degli Stati Uniti (inparticolare l’estremità del Maine, a nord est di Boston) –sia i numerosi colpi di scena e le improvvise sferzate ditono, che le varie figure femminili, ruotano attorno adun personaggio negativo e, tuttavia, non così cattivo co-me vorrebbero le regole del genere. D’altronde, secondoun attento interprete dell’opera di Griffith quale PaoloCherchi Usai, è proprio per questo motivo che Agoniasui ghiacci si distaccherebbe dal melodramma nella suaforma classica, in cui la figura del cattivo si incarica diordire le sue macchinazioni per distruggere la felicitàdella coppia. Lennox Sanderson (protagonista del filmdi Griffith), invece,

«non corrisponde a questo identikit del farabutto daromanzo d’appendice. Lennox è un ragazzotto irre-sponsabile e senza scrupoli, marcio nell’anima; mette inscena un finto matrimonio a proprio vantaggio; volta le

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Film”, una casa di produzione che sin dalla sua fondazione siera proposta un preciso programma di riqualificazione dei va-lori rurali della Germania. Cfr. T. Koebner, Murnau – On FilmHistory as Intellectual History, in D. Scheunemann (ed.), Expres-sionist Film. New Perspectives, cit., pp. 111-123.

condo i principi canonici dell’espressionismo, si incon-trano la realtà e l’altro, il calesse che investe Lorenz e l’im-maginario che travolge la sua psiche, sovvertendo la con-catenazione logica, la successione consueta dei gesti e de-gli avvenimenti»49. Un desiderio che agisce come un’ip-nosi, insomma, e che trasforma Lorenz in uno di queisonnambuli e fantasmi che animano il cinema espressio-nista tedesco50. Questa fluidità dell’immagine e di una vi-cenda in cui via via immaginario e realtà si fondono l’unonell’altro, sottende tuttavia una struttura narrativa cheavanza per opposizioni nette e ben definite. Alla realtàpiccolo-borghese di Lorenz si oppone la sua evasionenella poesia, la fuga dal bisogno e dalle necessità econo-miche, il desiderio irrealizzabile per una donna di un’al-tra classe sociale. Tuttavia, anche qui come in Nosferatu, leopposizioni della struttura narrativa assumono innanzi-tutto le forme di un doppio stile in cui si alternano il natu-ralismo degli ambienti e le figurazioni dell’inconscio. Co-sì alla ricostruzione dell’ambiente patetico-familiare diLorenz e del suo microcosmo domestico (la casa dove vi-ve con la madre e Melanie, la sorella minore) si sovrap-pongono le sue proiezioni fantasmatiche e la messa inscena di un desiderio che assume le forme di una sogget-tivazione radicale dell’esperienza, come reso evidentedalla temporalità tutta interiore del racconto. D’altronde,secondo un procedimento caro all’Espressionismo, il filmsvela sin da subito il suo procedimento narrativo e ilmeccanismo della finzione con una sequenza d’aperturain cui vediamo Lorenz accingersi a scrivere le memoriedella sua vita.

Hauptmann, adattata fedelmente da Thea von Harbou,viene messa in scena da Murnau guardando alla configu-razione visuale di quei meccanismi profondi – il doppio,il desiderio impossibile – che la animano. La vicenda ruo-ta attorno all’ossessione di Lorenz Lubota (Alfred Abel, ilcinico industriale di Metropolis), un piccolo impiegato convelleità letterarie, per Veronika Harlan, una giovane e bel-lissima dama, interpretata da Lya De Putti, incontrata percaso per la strada (la donna lo investe accidentalmentecon la sua carrozza). L’amour fou dunque assume sin dasubito le forme dell’allucinazione, di un investimentofantasmatico che si rivelerà irrealizzabile. Prendiamo ilsegmento dell’incontro fortuito con la donna. In campototale vediamo Lorenz investito dalla carrozza di Veroni-ka. La dama scende e assieme ad altri passanti si accertadelle condizioni dell’uomo. Attraverso una dinamica disguardi resa esplicita dai primi piani di Lorenz raccordaticon quelli di Veronika, capiamo che l’uomo è rimasto col-pito ben più dalla sua apparizione che dallo scontro conil calesse. Questa scena tornerà difatti a ossessionarlo piùavanti, in uno scenario onirico che trasfigura la piazzadella città, teatro dell’incontro, in un impalpabile fondalesolcato dall’attraversamento di un calesse fantasma, trai-nato da due cavalli bianchi che spiccano nella tintura bludelle immagini (e che richiamano in tal senso il controlu-ce impiegato in una scena simile per Nosferatu). In lineacon un certo canone gotico-romantico materializzato dalcelebre film di Victor Sjöström, Körkarlen (1920; Il carrettofantasma), la logica di produzione del fantasma e le visua-lizzazioni dell’inconscio di Lorenz si realizzano attraver-so un marcato ricorso alla sovrimpressione e, in generale,a quelle soluzioni (controluce e angolazioni anomale) cherichiamano la subordinazione della diegesi alle proiezio-ni interiori dei personaggi; d’altronde «nel desiderio, se-

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49 P.G. Tone, F.W. Murnau, cit., p. 59.50 Cfr. M. Henry, Phantom. L’extase et l’agonie, in «Positif», n. 523,

2004, pp. 83-85.

dei segmenti più intensi del film, la scena del ballo nel ri-storante. Lorenz e Melitta sono seduti a un tavolo del lo-cale. Con uno stacco, la macchina da presa li inquadradall’alto e inizia un movimento a salire, suggerendo lacaduta morale dell’uomo come un lento inabissarsi ver-so i gradini più bassi dell’esistenza. L’operatore Her-mann Warm costruisce qui un dispositivo complesso at-traverso cui lo spazio scenico dove si trovano i due attoriviene lentamente calato in una botola, dando invecel’impressione che sia la macchina da presa ad allontanar-si. Il tavolo tondo e i motivi circolari che decorano i piattiduplicano, dall’interno del profilmico, il motivo dellavertigine che coglie lo sguardo di fronte a quest’immagi-ne. In un’altra inquadratura, del tutto emblematica dellavisionarietà qui adottata da Murnau, vediamo poi Lo-renz e Melitta collocati al centro di una serie di progres-sivi cerchi concentrici sulla cui superficie corre l’ombradi un ciclista. Ed è d’altronde proprio nel corso del balloche lo stato di alterazione di Lorenz viene reso da Mur-nau attraverso il ricorso a una serie di panoramiche cir-colari che esprimono lo sguardo in soggettiva dell’uo-mo, e che di nuovo sembrano imprigionarlo in un movi-mento vertiginoso. Murnau, in generale, sperimenta quiper la prima volta quelle tecniche che liberano la macchi-na da presa permettendo la produzione di riprese inedi-te, e che saranno alla base nel fondamentale lavoro suimovimenti di macchina realizzato in L’ultimo uomo dal-l’operatore Kark Freund.

La ricorrenza formale di questo motivo “a spirale” checompare tanto nel profilmico che nell’orchestrazione deimovimenti di macchina, suggerisce infine il richiamo aun altro celebre film della storia del cinema costruito sulmeccanismo del doppio femminile e delle derive alluci-natorie dell’amour fou, quale appunto Vertigo (1958; La

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Certo, il doppio stile della messa in scena di Fantasmaesibisce anche il motivo specifico del Doppelgänger, rilet-to tuttavia qui in una chiave psicologica, anziché fanta-stica. Il doppio, difatti, assume le forme di un’altra don-na attraverso cui soddisfare il desiderio impossibile perVeronika, ritrovata in una volgare cocotte che assomigliaincredibilmente alla donna amata (Melitta, interpretatadalla stessa attrice, Lya De Putti) e che come tale rendepossibile il transfert – visualizzato attraverso la sovrap-posizione dei tratti di Veronika che emergono nel voltodi Melitta. In realtà l’impossibile appagamento attiva ilmeccanismo della caduta agli inferi, della degradazioneirreversibile di Lorenz, che lo vedrà coinvolto in un dise-gno criminoso (l’uccisione della vecchia usuraria Schawbe)per il quale sarà condannato alla prigione. Ma l’impor-tanza delle dinamiche dello sguardo e dei movimenti dimacchina nella regia di Fantasma, vengono ricondotti daMurnau attorno alle variazioni figurative di un precisomotivo visivo. Certo va ricordato che qui è evidente (co-me sottolineato da Berriatúa) l’influenza della pittrice escultrice tedesca Käthe Kollwitz, e in particolare deisuoi disegni di ambientazione umile e popolare pubbli-cati sulla rivista progressista «Simplicissimus» (cui laKollwitz collaborò per un periodo)51. Ma, come si dice-va, a colpire l’attenzione è soprattutto l’ostinato ricorsoal motivo della spirale in cui si esprime il senso della ver-tigine di Lorenz, della sua caduta e dell’impossibilità disottrarsi alla forza illusiva dei suoi fantasmi. Un simbolovisivo che percorre il film a vari livelli dunque, comenell’insistita inquadratura dall’alto, all’interno del pa-lazzo, che mostra la tromba circolare delle scale, o in uno

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51 Cfr. L. Berriatúa, Los proverbios chinos de F.W. Murnau, vol. I.,cit., pp. 196-203.

zo di Franz Heller del 1915. Possiamo tuttavia guardare aquesto film anche come al tentativo riuscito, da parte diMurnau, di mostrare a Erich Pommer che egli era in gra-do di realizzare film commerciali per il grande pubblicocosì da poter essere preso in considerazione per operazio-ni produttive più grandi come, di fatto, avverrà già a par-tire da L’ultimo uomo. Tuttavia, se da un lato lo stessoMurnau riteneva questo film del tutto dimenticabile, dal-l’altro gli storici del cinema ne hanno progressivamentemesso in rilievo alcune pregevoli soluzioni stilistiche. Co-sì, ad esempio, Berriatúa, ci invita a leggere il film comeuna meditazione sul confronto estetico tra lo spazio cine-matografico e lo spazio teatrale. L’inquadratura e i suoi li-miti, il rapporto tra campo e fuoricampo, si promuovonocioè in una tessitura di movimenti degli attori che intrec-ciano l’illusione percettiva del film con la disambiguazio-ne dello spazio filmico52. È in tal senso che qui

«Murnau opera una sorta di divertita demitizzazio-ne non solo della pratica del cinema, ma anche dei luo-ghi comuni e delle situazioni consuete del racconto ci-nematografico, denunciando la falsità dichiarata dei cli-chés espressivi e mostrando quanto il cinema sia diverso– altro radicalmente – dal livello superficiale delle cose edegli eventi»53.

Con questo film dunque si chiude il primo ciclo dellacarriera cinematografica di Murnau. Nell’arco di quattroanni (vale a dire dal 1919 di Der Knabe in Blau, al 1923,anno in cui termina le riprese di Le finanze del Granduca)si definisce tuttavia uno stile filmico che ha già trovatonella pittoricità della composizione, nella dimensione

donna che visse due volte) di Alfred Hitchcock, un film chesin dagli splendidi titoli di testa di Saul Bass, appare dise-gnato e pensato attorno al motivo della spirale (ricordan-do anche qui un’altra ingegnosa soluzione di regia, ossiail celebre connubio di zoom e carrello per creare l’effettovisivo delle alterazioni percettive e delle vertigini di cuisoffre Scottie, il detective impersonato da James Stewart).Ciò che Nosferatu afferma dall’interno dei meccanismi delfantastico, Fantasma lo ribadisce pertanto nel solco deldecadentismo sentimentale che informa il racconto diHauptmann. Ovvero l’assoggettarsi dell’uomo ai suoidemoni più intimi, ai suoi fantasmi, fino a che essi nons’impossessano di tutta la sua realtà, vanificando la pos-sibilità di poter tornare indietro. Il cinema di Murnaumette in scena ossessivamente questa soglia in grado diriscrivere i confini tra reale e immaginario; come recitad’altronde la celebre didascalia di Nosferatu, «oltrepassa-to il ponte, i fantasmi gli vennero incontro…».

In tal senso Le finanze del Granduca viene consideratacome un’opera di transizione tra il cinema del primoMurnau e i grandi successi internazionali che realizzeràcon l’UFA. Questa commedia leggera in cui si intravedequasi il verso al cosiddetto “Lubitsch Touch”, viene archi-viata da Lotte Eisner come un esercizio di stile su un ca-novaccio narrativo sterile e pretestuoso. In una localitàd’invenzione della costa mediterranea, il Granduca Ra-mon XX si rifiuta di sottostare alle indicazioni del suo se-gretario che, al fine di riassestare le sue finanze, lo implo-ra di vendere un terreno su cui ha messo gli occhi un affa-rista locale. Da questo spunto prendono avvio una seriedi trattative ed equivoci che si consumano sullo sfondo diuna possibile insurrezione civile. Un film a metà tra lacommedia e l’operetta, dunque, realizzato anch’esso susceneggiatura di Thea von Harbou a partire da un roman-

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52 Ibid., pp. 228-233.53 P.G. Tone, F.W. Murnau, cit., p. 71.

rimentazione di nuove tecnologie. Lotte Eisner definiscela storia raccontata in L’ultimo uomo come una tragedia te-desca per eccellenza:

«Mayer e Murnau si confrontano con questa tragi-commedia che è il destino di un portiere d’albergo fierodella sua livrea gallonata, ammirato dalla famiglia e daivicini di cortile come un generale. Divenuto troppo vec-chio per portare bagagli pesanti, messo in pensione, vie-ne fatto custode delle toilette per signori: gli tocca per-ciò scambiare il suo costume d’apparato con una sem-plice giacca bianca. La sua famiglia si sente disonorataed egli diventa lo zimbello dei vicini che prendono cosìla loro rivincita dopo l’adulazione che gli avevano untempo prodigata. Ecco una tragedia tedesca per eccel-lenza, che non è comprensibile se non in un paese dovel’uniforme è sovrana, è Dio. Uno spirito latino stenta aconcepire la portata tragica»55.

Ma non è per la portata tragica della storia (incrinataperaltro dal diverso finale del film nella versione ameri-cana)56, né per una rilettura in chiave sociale del temadella “maschera” (caro a Mayer e Murnau) qui ispirato aIl cappotto di Nikolaj Gogol, che L’ultimo uomo occupa unposto di primo piano nella storia del cinema. Questa vi-cenda intimista si converte semmai in una delle più cele-bri tappe dell’evoluzione delle forme cinematografiche,

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55 L. Eisner, Lo schermo demoniaco. Le influenze di Max Reinhardt edell’espressionismo, cit. p. 141.

56 Un happy end (una improvvisa eredità trasforma l’ex-portiere inun milionario, cliente dello stesso albergo) che fu aggiunto supressione di Jannings e Pommer, e che tuttavia, proprio per lasua estraneità rispetto alla vicenda del film, sembra amplificar-ne paradossalmente l’amarezza risuonando appunto come un“improbabile epilogo”.

plastica del quadro e nell’importanza del movimento(sia della macchina da presa, che più genericamente del-la forma) quei motivi strutturali che diventeranno anchei principali paradigmi critici con cui leggere e analizzarela sua opera54. Prescindendo dai materiali letterari dipartenza (siano essi provenienti da Stevenson, Stocker,Hauptmann o da romanzi d’appendice) la componentenarrativa del film viene riscritta in forme simboliche cheaffermano la totale indipendenza del cinema sia nei con-fronti dei modelli teatrali, che dell’orizzonte stesso del-l’esistente. Ma è nel corso della collaborazione con l’UFAche Murnau potrà dispiegare la sua immaginazione intutta la sua visionarietà, attraverso nuove, inedite poten-zialità che riguarderanno innanzitutto l’ampliamentodei mezzi produttivi a disposizione.

2.4 Splendore dell’UFA

I tre film che Murnau realizza per l’UFA tra il 1924 e il1926 (L’ultimo uomo, Tartufo e Faust) sono anche le operecui deve la sua affermazione sul piano internazionale. Trecapolavori della sua filmografia in cui Murnau manifestaun’assoluta padronanza e controllo su tutti i materialidella messa in scena che, all’epoca, funzionarono inoltrecome altrettanti veicoli del prestigio tecnico e produttivoraggiunto dall’UFA. Mai come in questo momento stori-co la casa di produzione tedesca sentì di poter sfidareHollywood sul suo stesso terreno, a cominciare dalla spe-

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54 Dudley Andrew mette in evidenza il funzionamento di questiparadigmi sin nell’analisi delle prime quattro inquadrature diAurora. Vedi D. Andrew, The Gravity of «Sunrise», cit., pp. 356-379.

Potremmo creare tutto questo con una cinepresa final-mente smaterializzata»57.

Una visione siffatta trova la sua forma compiuta pro-prio in L’ultimo uomo e nella nota «Entfesselte Kamera»,la cosiddetta “camera scatenata”. Assieme alla portento-sa recitazione di Jannings, il nuovo metodo di ripresamesso a punto per questo film fu uno dei motivi di mag-gior successo di un’opera per certi versi inclassificabile:Großfilme prodotto allo scopo di magnificare l’ecceziona-le livello tecnico-artistico raggiunto dall’UFA, capolavorodel Kammerspielfilm per cui Murnau sarebbe stato inoltreassociato alla corrente del realismo sociale58 e, infine,film-laboratorio per sperimentare nuove idee di regianell’ambito di una stilizzazione radicale dei materiali vi-sivi. In ogni caso la centralità del movimento e la confi-gurazione di una nuova sensibilità percettiva dello spa-zio è ribadita anche nella pubblicità dell’epoca che invita-va lo spettatore a vedere un film in cui, per la prima vol-ta, avrebbe avuto la netta sensazione di muoversi accantoall’attore, di accompagnarlo nei suoi spostamenti per lastrada o di penetrare con lui negli ambienti. I movimentidi macchina messi a punto dall’operatore Karl Freund,anche grazie all’impiego di agili piattaforme mobili, rap-

una tra le più riuscite sperimentazioni sul linguaggio delfilm messe in atto dal cinema tedesco che destò ammira-zione e stupore in tutto il mondo. L’ultimo uomo è innan-zitutto il trionfo delle strategie attivate dall’UFA con lasua politica delle grandi produzioni. I cospicui budgetmessi a disposizione per il Großfilme – come il milione dimarchi e oltre investito in L’ultimo uomo – avevano lo sco-po di incrementare l’apparato tecnologico del film, mi-gliorando l’equipaggiamento tecnico e rendendo piùcompetitive le infrastrutture del cinema tedesco sul pia-no della concorrenza internazionale. Tutto venne pianifi-cato nei minimi dettagli, attraverso un accurato lavorosui disegni preparatori che descrivevano non soltanto gliambienti del film e il tipo di inquadratura, ma anche imovimenti che avrebbe compiuto la macchina da presa.La scommessa produttiva dell’UFA in questo caso passa-va innanzitutto per le rivoluzionarie tecniche di ripresaimpiegate nel film. Quando lavorava ancora per la “De-cla Bioscop”, lo stesso Murnau fantasticava sulle ineditepotenzialità espressive che sarebbero derivate da un usopiù libero della macchina da presa. In un articolo scrittotra il 1922 e il 1923 egli affermava che:

«Soltanto con questo strumento essenziale si conse-guiranno nuove possibilità, di cui una delle più promet-tenti è quella del film “architettonico”. Si tratta in que-sto caso dell’architettura fluida dei corpi il cui sanguepulserà nelle vene, attraverso uno spazio mobile; si trat-ta del gioco delle linee che salgono e scendono, si dissol-vono; dell’urto delle superfici, dell’eccitazione e del suocontrario – la quiete –, della costruzione e del suo crollo,della formazione e della distruzione di una vita che fi-nora è stata appena sospettata; si tratta così di una sin-fonia nata dalla melodia dei corpi e dal ritmo dello spa-zio; è il gioco del movimento puro che scorre e zampilla.

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57 L. Eisner, F.W. Murnau, cit., p. 92. Eisner cita questi appunti per-sonali di Murnau ritrovati in alcuni fogli di lavoro della “DeclaBioscop” (e verosimilmente destinati a una rivista tedesca di ci-nema) per riequilibrare le affermazioni di Karl Freund e CarlMayer (o anche di Emil Jannings) che si attribuivano la paterni-tà delle invenzioni visive e delle sperimentazioni del film L’ul-timo uomo.

58 Vedi soprattutto la lettura di Raymond Borde, Freddy Buache eFrancis Courtade nel loro assai discutibile Le Cinéma réaliste al-lemand, Serdoc, Lyon 1965.

re il fulcro compositivo del film, di contro alla centralitàassegnata al montaggio e, in un intervento pronunciatoal “Club degli operatori tedeschi” nel 1926 (poi confluitoin un articolo intitolato Arte cinematografica produttiva e ri-produttiva), in cui si riferisce esplicitamente a L’ultimo uo-mo, afferma:

«Il cinema potrebbe diventare un’opera d’arte, nelsenso più alto, se invece che fotografato in modo ripro-duttivo lo fosse in modo produttivo, se l’ultima e decisivaespressione creativa della mente, dell’anima e del senti-mento scaturisse non dalla recitazione e dalla scenogra-fia, ma proprio dalle immagini stesse attraverso la ripresa, sel’operatore, che in ultima analisi è colui che realizza ilfilm, fosse il centro della creazione spirituale, il poetadell’opera […] ma fin quando l’operatore sarà “l’ultimodegli uomini”, il cinema sarà l’ultima delle arti»60.

Sin dalle prime tre inquadrature, il film si pone comeuna celebrazione delle nuove possibilità di ripresa messea punto da Karl Freund. La macchina da presa, collocatasul tetto dell’ascensore dell’albergo, scende assieme aquesto svelando in un unico movimento lo spazio del-l’ingresso, fino ad avvicinarsi poi alle porte girevoli die-tro le quali c’è il portiere indaffarato per l’arrivo e la par-tenza dei clienti. Questo primo segmento del film è unvero e proprio inno al movimento e al dinamismo, intesiqui come orizzonte di significazione della metropoli mo-derna e del cinema; come scrive Eisner «il carosello della

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60 B. Balázs, L’uomo visibile, cit., p. 318. L’idea di una centralità deltournage, manifestata in questo intervento, diede inoltre avvio auna celebre polemica con Sergej M. Ejzenštejn ricostruita inquesta nuova edizione di L’uomo visibile, curata da LeonardoQuaresima, che colma finalmente una grave lacuna nell’edito-ria italiana degli studi sul cinema.

presentano infatti una rivoluzione radicale per l’epoca.Utilizzando una macchina da presa “Stachow”, del pesodi soli otto chilogrammi, indossata direttamente sul cor-po attraverso un sistema di imbrigliamento, Freund riu-sciva a muoversi pressoché liberamente seguendo, prece-dendo o semplicemente restando continuamente in pros-simità del corpo di Jannings e dei suoi movimenti sullascena (con un dispositivo considerabile per certi versi co-me una steadycam primitiva). Gli effetti ottenuti sono tan-to più sorprendenti se si tiene conto delle difficoltà legateal fatto di non poter controllare le proporzioni e la qualitàdell’inquadratura durante la ripresa – e in tal senso il la-voro svolto da Karl Freund, al di là delle note dispute sul-la paternità artistica del film e delle sue invenzioni visive,resta assolutamente decisivo. Tutti gli attori in gioco, in-fatti, da Carl Mayer a Murnau, da Emil Jannings a KarlFreund, fino a Erich Pommer, vollero in seguito rivendi-care la centralità del proprio ruolo perché avevano capitodi aver preso parte a una produzione che avrebbe cam-biato la storia del cinema59. Anche se non è possibile sop-pesare i rispettivi meriti nella creazione del film (un di-lemma su cui si sono esercitati gli storici almeno a partiredal lavoro di Eisner, che ha raccolto varie testimonianzein merito), può essere interessante riprendere qui le ideeche proprio in quegli anni va maturando il teorico del ci-nema Béla Balázs. Egli individua nel lavoro dell’operato-

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59 «Il film» – scrive Berriatúa – «era così sorprendente e formal-mente rivoluzionario, e i tecnici erano talmente convinti cheavrebbe marcato una tappa fondamentale nella storia del cine-ma, che quasi tutti coloro che vi presero parte tentarono di di-mostrare la paternità di qualche invenzione. Lo stesso Pommer,anni dopo, si attribuirà il merito di aver suggerito alcune deter-minate soluzioni tecniche». Vedi L. Berriatúa, Los proverbios chi-nos de F.W. Murnau, vol. I, p. 250.

da un lato, e il libro L’uomo visibile di Balázs dall’altro (en-trambi del 1924), possono essere considerati la summa.Qui Balázs affermava perentoriamente la nascita, grazieal cinema, di una nuova era fondata sulla visibilità anzi-ché sulla parola; visibilità dell’immagine, dei gesti e dellamimica del corpo, da opporre alla cultura della parola,centrata sulla mediazione della comunicazione scritta62.Ancora oggi L’ultimo uomo è utilizzato nelle scuole ameri-cane di sceneggiatura come esempio di scrittura visiva,cioè di comunicazione di idee e concetti attraverso le soleimmagini anziché con i dialoghi. La scena del bottoneche si stacca dalla divisa di cui il portiere viene privato èin tal senso esemplare. Questo dettaglio valorizzato dallacostruzione della scena svolge infatti una doppia funzio-ne. Nell’economia della narrazione è l’elemento che, al

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62 In tal senso il mito della riscrittura di una lingua universale(un’idea cardine dei discorsi sul cinema sviluppati tra gli anniDieci e Venti) va, nel caso di L’ultimo uomo, messo in relazionecon un più preciso contesto culturale di cui traccia i contorniLeonardo Quaresima nella sua recente introduzione a L’uomo vi-sibile: « […] è il panorama comunicativo e della vera e propria in-dustria della comunicazione degli anni ‘20 ad accogliere l’ipote-si di Balázs come naturale, coerente componente interna. Comehanno evidenziato recenti ricostruzioni si assiste nel dopoguer-ra in Germania a una rapidissima variazione degli standard edei riferimenti visivi rispetto a quelli letterari. Trecento sono le ri-viste illustrate pubblicate. A Berlino solo la Postdamer Platz eLipziger Platz si trovano una cinquantina di edicole. La figuraumana è oggetto di una utilizzazione intensiva da parte dellapubblicità. Più in generale è un gigantesco, generalizzato pro-cesso di visualizzazione del pensiero che ha luogo. In questo qua-dro si inserisce ulteriormente un intenso, ramificato processo divalorizzazione della cultura del corpo, che trova manifestazionenei vari movimenti e tendenze della danza moderna». L. Quare-sima, Introduzione, in B. Balázs, L’uomo visibile, cit., p. 23.

porta girevole, il cui movimento il portiere è così fiero didominare dirigendo le entrate e le uscite, diventa il turbi-ne della vita in cui entrano ed escono gli uomini»61. Glieffetti del movimento sono qui esaltati dalla costruzionein falsa prospettiva collocata di fronte all’albergo. Il truc-co di tutti gli elementi visibili in gioco è costruito cali-brando ogni componente dell’immagine. In primo pianovediamo passare delle grandi automobili mentre, dietrodi esse, passano vetture più piccole guidate da bambini.Infine sullo sfondo dell’inquadratura, delle figure umanedisegnate sono manovrate a distanza (per simulare i pas-santi che si affollano nella strada) attraverso un comples-so sistema di binari che si trovano sotto la costruzionedella strada. L’illusione di profondità e la percezione diun movimento incessante dell’insieme della composizio-ne è straordinaria. Ma il dispiego di effetti visivi del filmè assai eterogeneo e si appoggia anche, come nella scenadel sogno del portiere ad esempio, a forme più vicine alledistorsioni percettive del cinema espressionista. Il sognoè un amalgama di impressioni visive e sovrimpressionideformanti in cui movimento, visione e soggettivazionedell’esperienza si intrecciano per evocare lo stato d’ani-mo del portiere umiliato che proietta all’esterno le pro-prie fantasie e frustrazioni.

L’ultimo uomo è anche uno degli esempi migliori diquella visualità pura perseguita dalle ricerche più avanza-te del cinema muto degli anni Venti, e tedesco in partico-lar modo. La rinuncia alle didascalie, sentite come un ele-mento informativo ridondante che contrasta con le speci-ficità dell’immagine filmica, riflette una posizione esteti-ca assai radicata in quegli anni, di cui il film di Murnau

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61 L. Eisner, Lo schermo demoniaco. Le influenze di Max Reinhardt edell’espressionismo, cit., p. 142.

nipote scopre che la governante sta lentamente avvele-nando suo nonno e la caccia di casa. Il gioco di specchi ela metafora di un film all’interno di un film si rivelaronoparticolarmente indicati per l’occasione della “prima” diTartufo. Come spesso avveniva nel corso degli anni Venti,la presentazione del film coincise con l’inaugurazione del“Gloria Palast”, una delle più lussuose e moderne sale ci-nematografiche di Berlino. La visione del film fu ulterior-mente incorniciata da uno spettacolo dal vivo con l’attri-ce Lil Dagover (interprete di Elmira) e un corpo di ballo.Al pubblico intervenuto per l’occasione furono inoltre di-stribuiti dei gadget, fabbricati in serie limitata, che ripro-ducevano i personaggi del film in altrettante statuette diporcellana. A proposito di questi aspetti, cioè delle strate-gie di promozione adottate dall’UFA, Thomas Elsaesserafferma:

«il peculiare carattere performativo che legava legrandi produzioni UFA alla cultura metropolitana, cosìcome le strategie multimediali messe in atto per il mer-cato interno o per l’esportazione, sono un ottimo indi-zio della raggiunta consapevolezza dei propri mezzi daparte dell’industria del cinema tedesca»64.

L’UFA d’altronde rappresentava se stessa come lagrande industria in grado di competere con il cinemaamericano, scendendo sul suo stesso piano per ciò che ri-guarda la tecnica, gli effetti speciali o lo star system, maesaltando tuttavia i valori e le tradizioni specifiche dellacultura tedesca – come farà poi in modo eloquente con legrandi produzioni di Die Nibelunghen (1922-24; I Nibelun-ghi) di Fritz Lang e del Faust di Murnau. Nonostante fos-

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64 T. Elsaesser, Weimar Cinema and After. Germany’s Historical Ima-ginary, cit. p. 241.

termine del sogno, ricorderà al portiere l’umiliazione su-bita (accorgendosi della sua mancanza dalla divisa). Mada un punto di vista simbolico rimanda al senso stessodella caduta, della discesa agli ultimi gradini della socie-tà, equiparata alla frantumazione di una soggettività co-struitasi in funzione dello sguardo degli altri.

Emil Jannings fu indubbiamente uno degli artefici delsuccesso di questo film63, ma più in generale fu un veico-lo determinante per lo sviluppo internazionale della car-riera cinematografica di Murnau. Jannings, come abbia-mo visto, fu anche al centro delle trattative che portaronoalla realizzazione di Tartufo, un film che, lungi dall’essereun semplice adattamento cinematografico di Molière,rientra piuttosto nella autocelebrazione del mito germa-nico portata avanti in quel periodo dall’UFA. La sceneg-giatura che Mayer scrive per il film Tartufo elimina moltesituazioni e personaggi originali. Essa è una libera tra-sposizione del motivo principale della pièce – l’ipocrisiache si cela dietro una falsa maschera – riletta come spun-to di partenza per la trama di un film. Questa distanza èulteriormente rimarcata attraverso l’aggiunta di un pro-logo e un epilogo di ambientazione contemporanea cherestituiscono la vicenda di Elmira, Orgone e Tartufo nellacornice del film nel film. Un’avida governante alle dipen-denze di un anziano trama alle sue spalle per riuscire aentrare in possesso della sua eredità. Il giovane nipotedell’uomo decide di intrufolarsi in casa, travestito da im-presario del cinema ambulante, per proiettare un film,ovvero la “Commedia del Signor Orgone e del suo caris-simo amico”. Nell’epilogo, al termine della proiezione, il

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63 Jannings, all’epoca del film quarantenne, poté interpretare ilruolo del vecchio portiere d’albergo grazie al meticoloso lavorosvolto dal truccatore Waldemar Jabs.

lavoro sulla profondità è qui d’altronde amplificato dal ri-corso alla falsa prospettiva). Ma, come si confà a ogni filmcostruito attorno alla personalità di un grande attore, Tar-tufo presenta anche un uso intensivo del primo piano:

«Per Murnau, come in seguito per il Pabst di Lulù, ilviso di un attore diviene una sorta di paesaggio chel’occhio inquisitore dell’obiettivo esplora instancabil-mente, fino nei suoi angoli più reconditi, scoprendoogni volta nuovi punti di vista, inaspettati e sorpren-denti, nuove superfici da illuminare. La macchina dapresa di Karl Freund scruta per lui ogni sinuosità esporgenza dei visi senza trucco, ogni ruga, increspaturadi labbra o scintillio di occhi, svelando, con le efelidi e identi guasti, i vizi nascosti: monti e abissi alla superficiedi un viso assumono rilievo nella penombra, mentre laluce plasma le curve e gli spigoli»66.

Nella sua composizione degli spazi il film gioca sulcontinuo andirivieni tra volti, oggetti ripresi in dettaglioe ampie inquadrature d’ambiente, rivelando qui la preoc-cupazione ossessiva di Murnau per il particolare, di cuidà conto la testimonianza dell’attrice Lil Dagover chemolti anni dopo raccontò a Alexandre Astruc la sua espe-rienza sul set di Tartufo, ricordando proprio l’attenzionemaniacale di Murnau per i dettagli di scena67. Questa vo-lontà di modellare i volti attraverso la luce e il taglio rav-vicinato dell’inquadratura coinvolge anche l’uso del dé-cor. Le scale e le ringhiere sinuose del palazzo e tutti glielementi d’arredo sembrano inscritti nell’immagine intermini di volume, luce e movimento della forma. Se ilmovimento in L’ultimo uomo si impone soprattutto comela celebrazione della tecnica e di un nuovo modo di im-

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66 Ibidem.67 Cfr. A. Astruc, Le feu et la glace, cit.

se per Murnau un progetto meno sentito di altri, Tartufooffre tuttavia numerosi motivi di interesse. Prologo edambientazione moderni – oltre ad attualizzare la vicenda(ma potremmo dire anche a tentare di renderla universa-le sul modello di quanto Mayer e Murnau faranno con latrasposizione del romanzo di Hermann Sudermann inAurora) diventano anche l’occasione per ulteriori speri-mentazioni visive, seppure condotte in un film calibratoe costruito sulla dialettica e il gioco di rimandi che si in-staura tra il décor e la recitazione. In un’intervista rilascia-ta a «Close Up» nel 1928, Karl Freund afferma:

«Per quanto riguarda il ruolo della macchina da pre-sa, Tartuff era abbastanza interessante. Ho girato il prolo-go e l’epilogo in uno stile moderno, vietando ogni truccoagli attori e adoperando angolazioni di ripresa inaspet-tate, mentre l’azione trattata da un capo all’altro con una“sfocatura artistica” appare come velata di garza»65.

Tra gli esempi più evidenti di tali “angolazioni ina-spettate” ricordiamo in particolare un’inquadratura delprologo. Il momento in cui la governante esce dalla suastanza e si avvia nel corridoio è filmato collocando la mac-china da presa sul pavimento, di fronte ad un paio di scar-pe poggiate a terra. La composizione visiva dell’inqua-dratura è assolutamente anomala non solo per la sceltadel punto di vista ma anche per l’inversione delle propor-zioni che si viene a creare tra le enormi scarpe in primopiano e la piccola figura della governante sullo sfondo (il

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65 K. Freund cit. in L. Eisner, Lo schermo demoniaco. Le influenze diMax Reinhardt e dell’espressionismo, cit., p. 181. Secondo Eisnertale procedimento di sfumatura dell’immagine messo a puntoin Tartufo è alla base di quella “nuova plasticità” del quadro cheMurnau metterà a punto in Faust.

lière e Carl Mayer. Questo è un tema che d’altronde eglisvilupperà, sondandolo nei suoi aspetti archetipici e ri-tuali, anche in Tabù, e in ogni caso si tratta di un’ipotesirafforzata dai numerosi tagli di censura che colpirono laversione americana del film69. Non è difficile ricondurrequesta scelta alla difficile condizione di omosessuale cheMurnau viveva nel suo tempo, e l’ipocrisia che circola inTartufo diventa l’allegoria di un più preciso atteggiamen-to falso di una società che lo costringeva a dover nascon-dere le sue inclinazioni sessuali (se non un più esplicitoatto d’accusa al tristemente celebre «paragrafo 175», l’ar-ticolo del codice penale tedesco entrato in vigore nel 1871che considerava un crimine l’atto omosessuale). Ancheper questo Murnau converte Tartufo in un film sul desi-derio sessuale, che qui funziona come il motore che ali-menta la vicenda e rilegge le soggettività in gioco, cosìcome le relazioni degli sguardi tra i personaggi.

Con la realizzazione del Faust, subito dopo Tartufo, sia-mo di fronte ancora una volta all’eclettica capacità diMurnau di padroneggiare materiali estremamente diver-si tra loro, riuniti sotto il dominio e il controllo della for-ma filmica e del set. Faust è innanzitutto assieme a I Nibe-lunghi e Metropolis (1926; Id.) di Fritz Lang, una delle piùgrandi celebrazioni dello stile monumentale dell’UFA edella sua idea di spettacolo in cui si fondono l’esaltazionedell’identità e della tradizione nazionale. Assieme a que-sti film, Faust rientra nell’elogio dei valori della tradizio-ne e dell’identità germanica, trattandosi appunto di unaleggenda popolare tedesca, come recita la didascalia inizialedel film. Parallelamente, il film è anche pensato come il

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69 Per un’analisi comparata delle versioni di Tartufo e dei vari ta-gli operati dalla censura vedi L. Berriatúa, Los proverbios chinosde F.W. Murnau, vol. 1, cit., pp. 275-294.

piegare la macchina da presa, in Tartufo il dinamismo del-le inquadrature è restituito attraverso un minuzioso lavo-ro di gestione del movimento degli attori preparato daMurnau in ogni dettaglio (cui vanno aggiunti i micromo-vimenti delle espressioni facciali esaltate nei numerosiprimi piani di Jannings).

Anche il lavoro sulla falsa prospettiva compiuto dagliscenografi, sia nei fondali del castello che nella creazionedegli interni, è davvero formidabile e raggiunge gli stessilivelli già ottenuti in L’ultimo uomo (nella sequenza finaleambientata nel ristorante). Nella scena in cui Orgone eTartufo fanno colazione all’aperto, l’effetto di profonditàdel fondale con il castello dipinto è accuratamente sotto-lineato da un appena percettibile movimento delle pianteposte in prossimità del piano, che contrasta così con lafissità dello sfondo. L’ambiente di Tartufo si esibisce in-somma come spazio del gioco, della maschera, e dellafinzione. Poiché, come sempre in Murnau,

«è solo in quanto diviene altro dal reale, o meglio so-lo perché reinventa il mondo nella trascendentalità del-la scrittura, che il cinema può investigare (spiare, chiari-ficare e, al limite, redimere) la fenomenicità inautentica,magari sciogliendo come avviene esemplarmente inTartufo, il tono dell’apologo gioioso e trasformandosinella metafora di una condizione socio-esistenziale ca-povolta, insostenibile»68.

Ma qual è la metafora che dovremmo scorgere in Tar-tufo, al di là della “morale della favola”? Il tema di fondodel film non è tanto l’ipocrisia, quanto semmai la religio-ne come repressione sessuale. O almeno si può dire cheMurnau forzi questa chiave di lettura assai più che Mo-

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68 P.G. Tone, F.W. Murnau, cit., pp. 93-94.

cavallo del tappeto magico assieme a Mefistofele, è in talsenso esemplare. L’allestimento dettagliato dello sceno-grafo Robert Herlth, sotto la supervisione di Murnau, diquesto paesaggio fantastico in miniatura è pensato infunzione dei complessi movimenti compiuti dalla mac-china da presa che ne svela progressivamente lo spazio.In questa che è probabilmente tra le sequenze più belledella storia del cinema, il viaggio aereo e la fantasticheriasi pongono apertamente come un rimando all’esperienzafilmica e alla riflessione sul falso e sull’illusione. Per quan-to costruiti in modo dettagliato, questi modellini nonintendono infatti ingannare lo spettatore ma esibire sem-mai la produzione falsificante e illusoria della macchina-cinema70. L’orizzonte della simulazione da un lato, e quel-lo del jardin-paysage, cioè di un grande travelogue visivosviluppato come una sorta di percorso tattile per l’occhio,dall’altro – ovvero i due grandi paradigmi della risignifi-cazione dell’esistente e della rilocazione dell’esperienzadel viaggio realizzati dal cinema71– confluiscono pertanto

veicolo di un’affermazione e consacrazione internaziona-le del cinema tedesco, guardando in particolare al merca-to americano. Ciò si evidenzia sin dal cast degli attori. Dinuovo Emil Jannings (nel ruolo di Mefistofele), l’attore sve-dese Gösta Ekman nei panni di Faust, e Yvette Guilbert,scelta per interpretare Marta e facilitare così la diffusionedel film sul mercato francese. Grazie a un accordo econo-mico tra l’UFA e la Metro-Goldwyn-Mayer, poi saltato,il ruolo di Margherita doveva inizialmente essere affida-to all’attrice americana Lillian Gish (sarà invece interpre-tato dall’attrice all’epoca diciassettenne Camilla Horn,già impiegata da Murnau come controfigura per Tartufo).Ma gli oltre due milioni di marchi investiti in questa su-perproduzione (di cui ne saranno recuperati meno dellametà) sono apertamente esibiti nella tecnica e negli effettispeciali del film allestiti da Murnau assieme al direttoredella fotografia Carl Hoffmann e allo scenografo RobertHerlth. Nazionalismo da un lato, ed esibizione dello spet-tacolare più avanzato della tecnologia del film dall’altro,fanno insomma di Faust il veicolo di una sorta di panger-manesimo mediale. L’aspirazione a unificare in una gran-de opera le componenti più importanti della tradizioneculturale nazionale si intreccia qui con l’idea del cinemacome grande Gesamtkunstwerk, sintesi delle arti sceniche,della musica, della pittura e della letteratura. Tentazioneinfinita della cultura tedesca, il mito di Faust, è dunqueraccontato essenzialmente come riorganizzazione in chia-ve spettacolare dei suoi materiali narrativi. Un kolossal,appunto, il cui lavoro sugli effetti speciali risulta ancoraoggi sbalorditivo e di cui, come ricorda Elsaesser, alcuneingegnose soluzioni furono superate solo, quasi cinquan-t’anni dopo, da 2001: A Space Odyssey (1968; 2001: Odisseanello spazio) di Stanley Kubrick. La celebre sequenza delvolo del giovane Faust che compie un giro per il mondo a

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70 Come ha scritto Rohmer nell’analisi di questa sequenza: «Qui,in quest’opera fiabesca, non solo non cadiamo mai nell’ingan-no, ma il modellino si espone alla nostra ammirazione in quan-to tale, e cioè come un’opera d’arte scolpita a immagine dellarealtà. Non ci stanchiamo di apprezzare la qualità e la finitezzadell’imitazione: “Che bella imitazione” siamo tentati di dire,come se fossimo di fronte a un giocattolo o a un esemplare inscala ridotta. In questo consiste la parte più infantile del nostropiacere». E. Rohmer, L’organizzazione dello spazio nel «Faust» diMurnau, cit., p. 49.

71 Una riflessione decisiva sui rapporti tra la cultura del viaggio, learti visive, l’emergere dell’esperienza filmica e dell’idea del ci-nema come “grande mappatura del mondo” è stata condotta daGiuliana Bruno nel suo Atlas of Emotion. Journeys in Art, Architec-ture, and Film, Verso, New York 2002, tr. it., Atlante delle emozioni.In viaggio tra arte, architettura e cinema, Mondadori, Milano 2006.

Paradies73. In questo senso il film è strutturato da un latonell’orizzonte del motivo, così specifico del cinema diWeimar, del Doppelänger (il giovane Faust che scopre sestesso vecchio riflesso nello specchio) mentre, dall’altro,la storia d’amore che coinvolge Faust e Margherita siconfigura come un melodramma (sulla scia degli adatta-menti di Charles Gounod e Hector Berlioz certo, ma so-prattutto nel più paradigmatico stile del melodrammahollywoodiano). Alla semplificazione sentimentale delFaust costruita nella sceneggiatura di Kyser fa eco la ri-dondanza letteraria delle didascalie scritte in versi daGerhart Hauptmann. Allo stesso modo, accanto alle fontidella tradizione pittorica più aulica, trova posto l’icono-grafia popolare delle miniature, ma più in generale quel-lo che è stato definito come l’immaginario turistico diuna Germania medievale, specificatamente evocata guar-dando al mercato internazionale e soprattutto al pubblicoamericano.

Questo discorso può essere rafforzato considerandol’uso che qui Murnau fa del bagaglio di soluzioni visualispecifico dell’Espressionismo. Faust è infatti anche la di-mostrazione del carattere ormai stereotipato e perfetta-mente integrabile nella grande industria cinematograficadi un certo uso della luce, della recitazione allucinata edel set stilizzato. I moduli espressionisti entrano cioè inFaust come cliché, ovvero come una tradizione già codifi-cata in “repertorio” e pertanto passabile di citazione, per-sino di parodia (l’Espressionismo come stereotipo e mo-da culturale che veicola il cinema tedesco nel mondo). Ilfilm pertanto

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73 Cfr. H. Schanze, On Murnau’s Faust: A Generic Gesamtkunstwerk?,in D. Scheunemann (ed.), Expressionist Film, cit., pp. 223-236.

in un discorso che, nell’idea dell’arte come illusione, in-treccia il mito del cinema con il mito di Faust.

Come ha avuto modo di notare Eric Rohmer nel suofondamentale studio sul film, con Faust ci troviamo difronte a due film in uno. Da un lato la galleria spettacola-re degli effetti speciali, la glorificazione dell’industria ci-nematografica tedesca e delle possibilità degli studi UFA,dall’altro, e contemporaneamente, c’è il film modernistache rilegge in chiave di spazio, forme, volumi, movimen-to e luce, le questioni metafisiche sottese al mito delFaust. In modo programmatico Rohmer affermava che«Murnau nei suoi film e in particolare in Faust, mostrauna reale e profonda cultura pittorica. È uno dei rari ci-neasti – con Ejzenštejn e Dreyer – la cui concezione foto-grafica deve più alla pittura dei musei che alle illustrazio-ni popolari»72. È indubbio che il recupero della pittura inFaust svolge un ruolo di primo piano nel lavoro dellamessa in scena, tuttavia si tratta di uno tra gli elementiche caratterizzano un prodotto culturale così complesso emultiforme. Lungi dal porsi come un’affermazione delcinema come forma d’arte, potremmo dire che più in ge-nerale “alto” e “basso” si intrecciano in modo talmentefitto nel Faust che il film è considerabile nei termini diuna riflessione sull’interdipendenza di kitsch e spettaco-lare nell’industria del cinema, condotta a vari livelli. In-nanzitutto si tratta di un aspetto che riguarda il lavorosulle fonti letterarie di riferimento. La sceneggiaturascritta da Hans Kyser non rielabora soltanto i materiali diGoethe e (soprattutto) di Christopher Marlowe, ma recu-pera anche le fiabe popolari, il Volksbuch, e in particolareun manoscritto di Ludwig Berger intitolato Das verlorene

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72 E. Rohmer, L’organizzazione dello spazio nel «Faust» di Murnau,cit., p. 21.

uno dei film più rappresentativi, non soltanto della padro-nanza del lavoro di regia raggiunta da Murnau, ma anchedelle aspirazioni e delle contraddizioni stesse dell’UFA.Come abbiamo visto, infatti, i tre film realizzati da Mur-nau con Emil Jannings, possono considerarsi anche l’occa-sione di una serie di sperimentazioni e ricerche sul lin-guaggio del cinema con cui la casa di produzione tedescacercò – dietro il paravento della celebrazione dell’identitàe della tradizione culturale nazionale – di puntare al mer-cato internazionale e di concorrere con Hollywood sul pia-no stesso dello sviluppo produttivo e delle innovazionitecniche. Il passo successivo di una carriera come quella diMurnau, non poteva a questo punto che essere il confrontodiretto con le stesse strutture produttive hollywoodiane.

2.5 L’invenzione della tradizione

A proposito della prima sequenza del Faust, Lotte Eisneraffermava che:

«l’inizio di questo film offre ciò che il chiaroscuro te-desco ha creato di più notevole, di più sorprendente: ladensità caotica delle prime immagini, questa luce chenasce nelle brume, questi raggi che traffiggono l’ariaopaca, questa fuga orchestrata visivamente come da or-gani che risuonano per tutta la distesa del vasto cielo, citolgono il fiato»76.

È uno degli atti inaugurali da cui prenderà avvioun’interpretazione del cinema di Murnau nel solco dianalisi comparate tra il suo cinema e i numerosi riferi-

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76 L. Eisner, Lo schermo demoniaco. Le influenze di Max Reinhardt edell’espressionismo, cit., p. 197.

«cita continuamente ambienti canonici e oggetti tipi-ci del décor espressionista; secondo le norme del déjà vu,appare come un universo cinematografico casuale, cao-tico, ma in realtà è rigorosamente determinato da un’in-tenzione registica che stabilisce distanze, costruiscetracciati emotivi, riduce a forma e a equilibrio un mate-riale profilmico fatto di scale, di polverosi studi di alchi-mista, di case dai tetti scoscesi, di viuzze incassate, dicittadine medievali»74.

Pertanto anche l’Espressionismo viene coinvolto inquesto pastiche di citazioni, di recupero dell’arte alta edello sviluppo degli stereotipi della tradizione letterariae delle leggende popolari. Non è tuttavia nella sola formadella citazione che in Faust “alto” e “basso” convergono esi intrecciano in modo inestricabile. Ne è un ottimo esem-pio la scena della schermaglia amorosa tra Faust e Mar-gherita, che,

«ambientata sullo sfondo di un idilliaco giardino in-tessuto di fiori e di giochi infantili, dovrebbe segnare ilvertice della tensione lirico-emotiva del film, finiscesmitizzata dalla connotazione volgare della coppia Me-fistofele-Marta, la quale – in un controcanto burlesco,ritmato sulla meccanica scontata dell’inseguimento edella sottrazione, dell’offerta e della ripulsa – contami-na l’aulico con il prosaico, il raffinato con il plebeo, inun gioco volutamente dissacrante dove i termini in que-stione si riprendono e si castigano a vicenda»75.

Questi dunque gli aspetti che fanno di Faust un com-plesso melodramma visivo, una Gesamtkunstwerk in cuiconfluiscono media e registri di stile differenti, facendone

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74 P.G. Tone, F.W. Murnau, cit., p. 96.75 Ibid., pp.100-101.

«L’accostamento che tentiamo tra la sua opera e quelladi certi pittori, per noi, non è un fine, ma un mezzo, il solomezzo per porre in evidenza quel potere che difficilmenteviene riconosciuto a un cineasta, ma che lui, invece, sicu-ramente possiede e che noi abbiamo definito “il disegno”.Che faccia pensare a X o a Y, o persino che un tale raffron-to abbia o non abbia senso, non è questo il punto. Ma ilfatto è che se Murnau assomiglia a un dato pittore perqualcosa di più di una comune preferenza verso una certamateria aneddotica, oppure formale, allora deve essereper lo stile, per il disegno, la cui esistenza in un’opera fo-tografica non è evidente e va dunque provata»78.

L’idea di un’opera, qual è quella di Murnau, in cui laforma viene subordinata alla luce, conduce Eric Rohmera definire ad esempio il Faust nei termini di un film il cuisoggetto stesso non è tanto il motivo goethiano del pattocol diavolo, quanto la lotta tra l’ombra e la luce. Ma i riferi-menti e le allusioni alla pittura nel cinema di Murnaupossono essere letti anche nella prospettiva di un raffor-zamento dell’aura di prestigio artistico del cinema diWeimar, così come dell’affermazione di un’identità na-zionale tedesca che, sulla scia della teoria dell’arte diHeinrich Wölfflin e del binomio forma-costanti stilistichenazionali79, passa per il recupero e la celebrazione di unaprecisa tradizione pittorica all’interno di quel nuovomezzo popolare che è il cinema. Anche in questa direzio-ne andrebbe letto – come sostiene Angela Dalle Vacchenella sua accurata analisi iconologica di Nosferatu – il re-cupero della pittura di Böcklin e (soprattutto) di Friedrichnell’opera di Murnau. Così:

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78 Ivi.79 Cfr. H. Wölfflin, Concetti fondamentali di storia dell’arte (1915),

Neri Pozza, Vicenza 1999.

menti alla storia della pittura, da Rembrandt a FranzMarc e Kokoschka, passando per la grande tradizione fi-gurativa del Romanticismo tedesco. Lotte Eisner, prima, eEric Rohmer, Luciano Berriatúa e via via molti altri poi,hanno insistito su una lettura del lavoro di figurazionemesso in atto da Murnau in relazione all’aspetto icono-grafico e alle citazioni pittoriche replicata nella messa inquadro, dando l’avvio a una tradizione di studi sulla suaopera che è indubbiamente tra le più note e consolidate.Attenzione alla composizione luministica dell’inquadra-tura e una particolare sensibilità per i valori formali delmovimento, fanno d’altronde del cinema di Murnau unluogo ideale per esercitazioni interpretative volte a inda-gare o ripensare il binomio cinema e pittura. Numerosi so-no i riferimenti individuati da Eric Rohmer – Rembrandte soprattutto Caravaggio per l’uso del chiaroscuro, ma an-che Albrecht Altdorfer per il lavoro e l’importanza asse-gnati al movimento e la prevalenza di forme circolari. Piùin generale, così come l’opera di Caravaggio rappresente-rebbe agli occhi di Rohmer il punto di congiunzione travisione fotografica e pittura – ovvero come egli stesso af-ferma, «ciò che il caravaggismo e la fotografia hanno incomune, non è tanto il realismo ordinario quanto propriol’irrealismo di certi effetti»77– l’opera di Murnau lavorereb-be in direzione di una corrispondenza sincretica tra visio-ne pittorica e cinema. Bisogna pertanto ricordare chel’idea di Rohmer non muove tanto nella direzione di unsemplice “accostamento” (la citazione più o meno esplici-ta di questo o quel quadro) quanto semmai nella sottoli-neatura dei valori plastici dell’inquadratura, della luce einsomma del lavoro compiuto sulla figurazione:

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77 E. Rohmer, L’organizzazione dello spazio nel «Faust» di Murnau,cit., p. 25.

ditazione sulla visione, una riflessione in cui prende for-ma l’intreccio di sguardo e desiderio. In tal senso è inte-ressante il richiamo ad una sorta di rilocazione filmicadella Rückenfigur tipica della pittura romantica e del-l’opera di Friedrich in particolare81. Con questo terminesi indica l’inclusione di una figura umana, ripresa dispalle, nel contesto di un paesaggio. Essa si offre quindiallo sguardo come un doppio dell’osservatore, vale a direla replica di un punto di vista riscritto all’interno dell’im-magine secondo un procedimento di mise en abyme del-l’atto di visione. Diversi sono i quadri di Friedrich co-struiti con questa tecnica compositiva. Tuttavia Murnaunon si limita alla sola citazione (come ad esempio nellacelebre inquadratura che ci mostra Ellen, ripresa di spal-le, sulla cima di una scogliera di fronte al mare apertomentre attende il ritorno di Hutter). Il raddoppiamentodello sguardo all’interno dell’immagine si inscrive anchecome motivo formale della figurazione complessiva del-l’inquadratura. Secondo Michel Bouvier e Jean-LouisLeutrat, in Nosferatu, quest’effetto si costruisce attraversoun uso intensivo dell’iride e della maschera. Questi moti-vi grafici non si limiterebbero a circoscrivere o demarcarel’immagine, ma si proporrebbero in un rinvio sia alla pul-sione scopica, sia alla configurazione di uno sguardo im-possibile, perturbante, incrinando così tanto la concezio-ne dell’inquadratura come finestra, che l’idea di una vi-sione riconducibile ad un soggetto stabile. Questi motivigrafici sarebbero infine la traduzione filmica di una ten-sione voyeuristica implicita nella composizione di alcune

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81 Aspetto evidenziato soprattutto nell’analisi di Angela DalleVacche (cit., cfr. pp. 171-178) e, seppur su un piano differente,richiamato anche in M. Bouvier - J.-L. Leutrat, Nosferatu, Galli-mard-Cahiers du Cinéma, Paris 1981.

«nonostante una sicura conoscenza della storia del-l’arte che egli avrebbe dispiegato nel Faust, Murnau re-siste qui alla tentazione di includere troppe ed ecletticheallusioni ad altre tradizioni pittoriche proprio perché, inNosferatu, una delle sue preoccupazioni di fondo, era dicarattere wölffliniano, ovvero fare un film tedesco utiliz-zando delle fonti tedesche»80.

Da questo punto di vista i paesaggi romantici di Ca-spar David Friedrich si rivelano perfetti per quello stilesoggettivo della visione, per quel gusto simbolico e ele-giaco, che caratterizza nel suo complesso il lavoro di fi-gurazione di un film come Nosferatu. La sublime malin-conia e l’angoscia esistenziale dell’uomo di fronte ai mi-steri arcani della natura che attraversano i paesaggi diFriedrich, erano d’altronde una sorta di trasposizionepittorica delle affermazioni di Friedrich Schiller quando,in un saggio del 1794, affermava che nonostante la lorocollocazione minore, la pittura e la poesia di paesaggio,non più concepite in termini statici e descrittivi, avrebbe-ro dovuto essere poste all’altezza delle arti maggiori. Inmodo simile il recupero esplicito della pittura alta nel-l’ambito di un racconto fantastico, proposto da Murnaucon Nosferatu, era anch’esso un’affermazione dell’appar-tenenza del cinema al sistema delle arti maggiori. Nel-l’opera di Murnau le acquisizioni simboliche della pittu-ra travalicano tuttavia il piano della citazione colta, e sipongono apertamente come un discorso sulla forma cheva al di là del gioco comparatistico che avvolge il cinemae la pittura. Ad esempio è anche la dimensione autorefe-renziale della pittura di Friedrich che Nosferatu riscrive alsuo interno, guardando cioè al paesaggio come a una me-

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80 A. Dalle Vacche, F.W. Murnau’s “Nosferatu”. Romantic Paintingas Horror and Desire in Expressionist Cinema, cit., p. 171.

Biedermeier allestito da Albin Grau, serve a sottolinearel’atmosfera sentimentale e il côte delle convenzioni bor-ghesi degli Hutter, per contrasto con il paesaggio inquie-tante e minaccioso del castello. Ma qui troviamo precisa-mente l’intreccio indissociabile delle due facce della mo-dernità, quella familiare e rassicurante del confortevoleambiente domestico, e quella minacciosa, perturbante,associata alla smaterializzazione dell’esperienza e al ca-rattere spettrale della stessa immagine filmica (intesa quicome allegoria della modernizzazione) cioè a Nosferatu.Un procedimento per certi versi speculare a quello chemetterà in scena Alfred Hitchcock in Psycho (1960; Psyco)nell’opposizione tra i due spazi antistanti del Bates Motele della lugubre casa in stile vittoriano dove è nascosta lasalma della madre di Norman.

Il lavoro sulla forma, il nodo cinema-pittura, la costru-zione delle scenografie, in Murnau assumono tuttaviaaspetti poliedrici. Possiamo vedere un altro esempio digermanizzazione artistica nella rielaborazione delle sce-ne di Tartufo. Questa commedia così specifica della cultu-ra e dell’umorismo francesi viene riletta sullo sfondo del-la cultura tedesca, ma più in particolare della Prussia diFederico il Grande. Il segno più evidente di questa riscrit-tura passa proprio per il lavoro sul décor. La residenza diOrgone e Elmira in cui si insinua Tartufo è modellata sulnoto Palazzo d’Estate voluto da Federico il Grande, il co-siddetto castello “Sanssouci”, a Postdam, appena fuoriBerlino, il maggior esemplare di una via squisitamenteprussiana al Rococò. Ma anche il lavoro sugli interni diTartufo realizzato da Robert Herlth e Walter Röhrig man-tiene questo modello di riferimento.

Nel cinema di Murnau, l’iscrizione della messa in sce-na e della figurazione in una tradizione germanica si ri-flette tuttavia in modi decisamente eterogenei, quanto

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tele di Friedrich (come nelle Die Kreidefelsen auf Rügen,1818; Le scogliere di gesso di Rügen, in cui lo scorcio di pae-saggio che vediamo è ritagliato tra le cime degli alberi e ilmanto erboso, per mezzo di una sorta di cornice internache disegna una penombra circolare attorno al mare e al-la scogliera che occupano il centro della tela).

L’enfasi sul rapporto tra la fissità della visione e la mo-bilità del paesaggio espressa nella Rückenfigur, non fun-ziona pertanto nei soli termini dell’omaggio o della cita-zione ma è trasferita all’interno della dialettica deglisguardi che in Nosferatu scandisce i rapporti tra Hutter,Ellen e il vampiro. Ciò che nella Rückenfigur rimanda al-l’idea romantica di contemplazione, viene in generale con-vertito nella messa in scena di Murnau, e in Nosferatu inparticolare, nei termini del desiderio e del suo dislocamen-to nelle architetture degli sguardi tra i personaggi. Ancheper questo – come ha osservato Janet Bergstrom – il siste-ma del doppio si converte spesso in Murnau nei modi diun meccanismo di triangolazione, in cui un personaggio(qui, ad esempio, Hutter o, secondo un’altra interpreta-zione che fa leva sulla latenza del desiderio omosessuale,Ellen) funziona come mediatore del desiderio degli altridue82. Allo stesso modo è possibile leggere i circuiti deldesiderio che attraversano le triangolazioni di Tartufo,Orgone ed Elmira in Tartufo, Mefistofele, Faust e Marghe-rita in Faust, l’“uomo”, “sua moglie” e la “donna di città”in Aurora, o ancora Matahi, Hitu e Reri in Tabù.

La dialettica oppositiva del giorno e della notte, delregno delle tenebre e della luce, assume inoltre in Nosfe-ratu le sembianze dei due diversi modelli di messa in sce-na e di configurazione dello spazio del castello da un la-to, e della casa di Hutter dall’altro. In quest’ultima lo stile

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82 Cfr. J. Bergstrom, Sexuality at a Loss. The Films of F.W. Murnau, cit.

genuini, ma dall’alto valore spirituale. Proprio Murnau,la cittadina bavarese, fu tra i luoghi protagonisti di que-sta tendenza:

«Gli artisti della cerchia non lavorano nella grandemetropoli ma nella campagna, a Sindeldorf, a Murnau,dove non era scomparso ancora l’artigianato, raramentespecializzato, che ignora la tecnica raffinata e si mescolaall’attività del tempo libero. […] Così la piccola comuni-tà, frequentando le botteghe dei vecchi maestri, potevaancora acquisire la tecnica di questo antico mestiere. E in-fatti Kandinskij, Gabriele Münter, August Macke realiz-zarono in quegli anni numerosi dipinti su vetro. Un’arte,questa, che apriva su un mondo dell’immagine che nonaveva mai avuto come modello la realtà esterna, ma siera da sempre nutrita a un’altra sorgente: al misticismo,alle fiabe, ai miti, alla vita religiosa del popolo. […] L’atti-vità del Blaue Reiter in questi anni testimonia come l’artecontadina su vetro non fosse considerata un’arte minorema occupasse lo stesso spazio dell’arte colta»84.

Si tratta di una chiave di lettura ulteriore, sia per qua-lificare l’“atmosfera impressionista” del lavoro di figura-zione di Murnau dall’interno di una matrice squisita-mente tedesca, sia per comprendere la sua propensionead una riduzione dei materiali della messa in scena se-condo un’idea di semplicità che oscilla ambiguamentetra l’orizzonte tecnologicamente più avanzato del cinemada un lato, e la sua dimensione artistica che lo ricollegaalle forme più arcaiche della creazione di immagini, dal-l’altro. Poiché, come affermava egli stesso, «la vera arte èsemplice, ma la semplicità esige un’arte grandissima».

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84 M. Passaro, L’arte espressionista. Teoria e storia, cit., pp. 43-44. Ve-di anche D. Plan, Primitive Renaissance. Rethinking GermanExpressionism, cit.

personali. La valorizzazione e il ricorso alla superficie deivetri (come nel caso più evidente del motivo della fine-stra) rispetto agli specchi è ad esempio un’ulteriore affer-mazione dell’anomala collocazione del cinema di Mur-nau nell’alveo espressionista (il cui ricorso alle superficiriflettenti rientra nel più ampio lavoro di strutturazionedel doppio, dell’ambiguo, dell’illusivo e del falso). È unaspetto richiamato da Lotte Esiner, la quale così si espri-me a proposito di L’ultimo uomo:

«Murnau predilige questa superficie levigata dei ve-tri, che tanto frequentemente sostituisce, per i registi te-deschi, un’altra superficie levigata, quella degli specchi.La sua macchina da presa si diletta di queste superficiopalescenti, sfavillanti di riflessi, di pioggia o di luce:vetri d’automobile, battenti vetrati di porte a tamburoche riflettono la sagoma del portiere rivestito di un’in-cerata luccicante, masse scure di edifici dalle finestre il-luminate, lastricati bagnati, pozzanghere come specchid’acqua. È una maniera quasi “impressionista” di evo-care l’atmosfera»83.

Ci sembra interessante richiamare qui una delle fontidecisive nella formazione degli artisti del “Blaue Reiter”che potrebbe funzionare come un ulteriore tassello delvasto orizzonte di riferimenti pittorici che attraversanol’opera di Murnau. Si tratta delle cosiddette BayerischeGlasbilder ovvero delle pitture contadine su vetro, uno trai motivi dell’arte popolare tedesca che ebbero una grandeinfluenza in pittori come Kandinskij, Franz Marc e Au-gust Macke, i quali predicavano un ritorno alla semplici-tà dell’artigianato e alla purezza di modelli tradizionali e

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83 L. Eisner, Lo schermo demoniaco. Le influenze di Max Reinhardt edell’espressionismo, cit., p. 145.

lywood. Nonostante uno scarso successo di pubblico,l’entusiasmo di critici e addetti ai lavori per le inedite so-luzioni di regia elaborate da Murnau, Freund e Mayer inquesto film, furono alla base della volontà da parte dellaFox di immettere sul mercato film americani realizzaticon tecniche tedesche, a cominciare dal design complessi-vo del film. Così si può affermare che le principali inno-vazioni che, attraverso Murnau, penetrano a Hollywood,sono soprattutto una maggiore attenzione ai movimentidi macchina sofisticati, l’impiego espressivo dell’illumi-nazione in chiave bassa, e l’uso di scene costruite conla falsa prospettiva. Aurora, il primo film realizzato daMurnau negli Stati Uniti è in tal senso del tutto esempla-re, e può essere ritenuto uno dei frutti più alti di questotransfert culturale tra Weimar e Hollywood. Consideratopressoché unanimemente dalla critica come uno dei mi-gliori film di tutti i tempi86, Aurora deve, infatti, gran par-te del proprio fascino al suo carattere ibrido di film euro-hollywoodiano. L’idea del film come ricerca artistica por-tata avanti nel cinema di Weimar, da un lato, e la formadella narrazione classica hollywoodiana, dall’altro, sonoqui intrecciate in una sorta di sintesi irripetibile nella sto-ria del cinema. In un importante studio in cui analizzanoa fondo e ricostruiscono il quadro storico-culturale dellaproduzione di Aurora, Douglas Gomery e Robert C. Allen

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86 L’atto inaugurale della lunga serie di elogi a Aurora può essereconsiderata l’affermazione di John Ford quando, nel febbraiodel 1927, dichiarò alla stampa che considerava Aurora come ilpiù grande film mai prodotto sino ad allora, e che a suo avvisosarebbe rimasto tale ancora a lungo. Questo giudizio assumeràla forma di un’esplicita influenza di Murnau sul cinema diFord particolarmente evidente nel film Four Sons (1928; L’ulti-ma gioia, 1928). Cfr. T. Gallagher, Ford et Murnau, in «Positif», n.523, 2004, pp. 90-94.

2.6 Murnau e Fox

L’assorbimento della cultura di Weimar da parte dellasocietà e della cultura americana – un fenomeno svilup-patosi tra la fine degli anni Venti e intensificatosi poi nelcorso degli anni Trenta soprattutto in seguito all’avventodel nazismo – è uno dei capitoli fondamentali della storiaculturale del XX secolo. Non si tratta soltanto di ciò che sipuò definire un’influenza o un gioco di scambi; più in ge-nerale, infatti, «l’operazione si mostrava come una vera epropria sfida alla supremazia dell’intera Europa. D’altraparte l’obiettivo doveva essere la definizione di un nuo-vo modello di arte in cui fosse possibile riconoscere lospirito della cultura artistica americana»85. Assieme aimusei, alle gallerie, alle riviste, proprio il cinema si confi-gurava come uno spazio negoziale decisivo per una ri-scrittura americana dei valori artistici che definivanol’identità della cultura europea. È in questo quadro chedeve essere collocato l’arrivo ad Hollywood di Murnau(e di altri celebri registi europei).

In virtù del suo intrinseco coefficiente di artisticità, ilcinema di Weimar divenne insomma l’interlocutore pri-vilegiato per passare da una mera diffusione dell’arte eu-ropea negli Stati Uniti, al tentativo di mettere in piediproduzioni che mostrassero di aver assorbito e rielabora-to la lezione dell’arte d’avanguardia del Vecchio Conti-nente. Ad esempio, tra le innovazioni tecniche sperimen-tate dall’UFA, furono proprio i movimenti di macchinaresi possibili dalla cosiddetta camera scatenata impiegatain L’ultimo uomo, a destare una grande impressione a Hol-

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85 M. Passaro, L’arte espressionista, cit. pp. 181-82. Su questi temivedi anche M. Cerisuelo (sous la dir. de), Vienne et Berlin à Hol-lywood, PUF, Paris 2006.

testimonianze dell’epoca raccontano infatti di una grossaimpressione generata sul pubblico da alcuni temi musi-cali in particolare88, come nel caso della passeggiata not-turna che conduce l’uomo all’incontro segreto con ladonna di città – commentata dall’ossessiva ripetizione didue sole note, sul modello del celebre, quanto inquietan-te tema che molti anni dopo il compositore John Williamsavrebbe elaborato per il film di Steven Spielberg Jaws(1975; Lo squalo). Per questo suo costitutivo carattereibrido Aurora può essere ricondotto all’orizzonte di unfenomeno che studiosi come Miriam Hansen e JamesNaremore hanno definito «vernacular modernism», termi-ne con cui – seppur in modi diversi – indicano il supera-mento della dicotomia tra pratiche alte e basse, tra le for-me di produzione della cultura europea e quella america-na, mostrando la capacità di quest’ultima di assorbire e ri-lanciare le tensioni artistiche proprie del modernismo, suun piano più popolare e industrializzato. Ciò è alla basedi un eclettismo stilistico che, nel caso del cinema, puòesercitarsi, ad esempio, con l’introduzione di tecniche esperimentazioni visive dell’“Art Film” all’interno del rac-conto hollywoodiano e del cinema di genere (come nelcaso del film noir, il genere per eccellenza più “europeo”del sistema del cinema classico hollywoodiano) oppureevidenziando il lavoro di quelle strategie dell’eccesso sotte-se al modello di messa in scena, solo apparentementeneutro e linguisticamente trasparente, del film classico89.

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88 Cfr. L. Fisher, Sunrise. A Song of Two Humans, BFI, London 1998.89 Cfr., M. Hansen, The Mass Production of the Senses: Classical Cine-

ma as Vernacular Modernism, in «Modernism/Modernity», n. 6,1999, pp. 59-77, tr. it., La produzione di massa dei sensi. Il cinemaclassico come modernismo vernacolare, in «La Valle dell’Eden», n.4, 2000, pp. 17-37. J. Naremore, More Than Night. Film Noir in ItsContexts, University of California Press, Berkeley 1998.

rilevano il ruolo decisivo che vi giocò la volontà del pro-duttore William Fox di realizzare – con l’ingaggio di unodei più celebri registi del cinema di Weimar – un film cul-turalmente elevato. Un’opera di prestigio che, nelle suestesse parole, doveva risultare agli occhi del pubblico co-me un film «completamente europeo»87. Quest’idea rien-trava in una più ampia strategia attraverso cui la casa diproduzione hollywoodiana intendeva risalire la sua posi-zione sia sotto il profilo del prestigio culturale che, evi-dentemente, sotto quello economico. Murnau, dal cantosuo, accettò l’offerta di Hollywood per misurarsi con unnuovo, diverso contesto produttivo che gli avrebbe datol’opportunità di sviluppare il suo stile in direzioni ine-splorate. Così, da un lato egli metteva la sua creatività ar-tistica al servizio di Hollywood e, dall’altro, Hollywoodmetteva i suoi mezzi e la sua straordinaria macchina pro-duttiva a completa disposizione del grande regista tede-sco. Il risultato portò dunque alla creazione di uno deipiù bei film di tutti i tempi, ma anche a un insuccessocommerciale. Per questo motivo nei due successivi filmamericani, Murnau non poté disporre né degli stessimezzi né della stessa libertà creativa, facendo sì che Auro-ra restasse una sorta di esperimento unico, reso possibiledalle particolari condizioni in cui fu realizzato. La singo-larità di quest’opera è ulteriormente sottolineata dal fattoche si tratta di un film che al tempo stesso simboleggiasia la perfezione raggiunta dal linguaggio gestuale e vi-sionario del cinema muto, sia di uno dei primi film sin-cronizzati con una colonna sonora musicale registrata. Le

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87 Cfr. R.C. Allen - D. Gomery, Film History. Theory and Practice,Knopf, New York 1985, pp. 91-108. Le dichiarazioni di WilliamFox e Murnau sono riportate da Eisner (Cfr. L. Eisner, F.W.Murnau, cit., pp. 167-168).

nebre è sviluppata come motivo della discesa agli inferi eriscoperta di una possibile “nuova alba del mondo”.

Come ogni mito che si rispetti la struttura narrativa diAurora si sviluppa in tre grandi atti in cui l’eroe passa at-traverso la tentazione (1), la prova centrale (2) e il riscattofinale (3), il tutto nel quadro di un intreccio tra la rotturae la ricomposizione della coppia e del conflitto tra il sen-timento della natura contrapposto all’inautenticità dellavita metropolitana (un’opposizione radicale che assumele sembianze della spregiudicata donna di città, la vampche rimanda ad una pulsione erotico/distruttiva, da unlato, e della angelica donna del focolare, dall’altro). È tut-tavia significativa l’inversione che proprio in questo filmsubisce lo spazio della città. Se la visione della metropolievocata dalla donna di città funziona come motore dellatentazione iniziale dell’uomo, sarà lo spazio concreto del-la città, attraversata come in un viaggio iniziatico, a sigla-re una ritrovata armonia tra l’uomo e sua moglie. Co-munque in entrambi i casi ci troviamo di fronte a unaproiezione dello spazio urbano, esplicitamente richiama-ta come desiderio fantasmatico nella conclusione dellasequenza dell’incontro notturno tra la donna di città el’uomo, in cui entrambi si stendono al suolo mentre sullago di fronte a loro prendono forma le immagini del caosurbano. È, invece, nel caso della lunga traversata dei luo-ghi della metropoli dell’uomo e di sua moglie, che il mon-do urbano si offe come spazio concreto di un’esperienza.Qui, infatti,

«la coppia scopre non la città (l’universo caotico-grottesco di un vivere sociale capovolto, la totalità reifi-cata che, secondo la situazione canonica di Fantasma, se-cerne la disumanizzazione del soggetto) ma piuttosto lasua città l’immagine mitica della fantasmagoria urbana,uno spettacolo luccicante da fruire, attraverso un capil-

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In modo simile Bernard Eisenschitz (nel suo film, Traversées.Genèse de «L’Aurore»90) mette in rilievo l’assoluto eclet-tismo iconografico di Aurora, leggendolo come un filmche guarda sia ai modelli pittorici cari a Murnau (la tra-dizione dell’arte romantica) che all’immaginario dellapubblicità degli anni Venti, così specifico della cultura vi-siva americana (vedi ad esempio alcune immagini inizia-li del film e la sequenza del luna park). Ma è soprattuttoper quel che riguarda il lavoro sulla tecnica e la speri-mentazione linguistica sul cinema, compiuta in particola-re nei film prodotti dall’UFA, che Aurora può considerar-si come la sintesi del lavoro sul set e della padronanza deimateriali della messa in scena. Il lavoro svolto dallo sce-nografo Rochus Gliese per l’allestimento delle mirabo-lanti costruzioni in falsa prospettiva è in tal senso fonda-mentale. Gran parte dell’impatto visivo e della forzadrammatica del film deriva dalla creazione dei due spazidella campagna e della città che vengono evocati comealtrettante proiezioni degli stati d’animo dei personaggi.Con Aurora Murnau recupera tutti i suoi temi predilettiall’interno di una storia il cui punto di partenza (il rac-conto “naturalistico” di Hermann Sudermann, Die Reisenach Tilsit) è ricondotto da Carl Mayer alla sua strutturaessenziale, ovvero a quella stilizzazione narrativa cheben si adatta alla trasformazione atemporale di un rac-conto mitico, la “storia di due esseri umani” appunto, co-me recita il sottotitolo del film. Ancora una volta, anchein Aurora, il tema del doppio è filtrato e riscritto nellastruttura triangolare (l’uomo, sua moglie, la donna di cit-tà) e il potenziale eversivo del desiderio ricondotto allapulsione omicida e alla disgregazione del soggetto, cosìcome, allo stesso tempo, l’opposizione tra la luce e le te-

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90 Il film di Bernard Eisenschitz è uscito in DVD in Francia nel 2005.

film-documentario da lei stessa curato, intitolato Murnau’s4 Devils: Traces of a Lost Film (2003). Janet Gaynor, MaryDuncan e Charles Morton sono gli attori principali diquesto dramma ambientato nel mondo del circo sul mo-dello del celebre Varieté (1925) di Ewald André Dupont,film cui fu subito paragonato. Il film ruota attorno allevicende di quattro orfanelli allevati nel circo “Cecchi”sotto la protezione del clown Walker i quali, cresciuti edivenuti acrobati, si esibiscono come “i quattro diavoli”specializzandosi nel pericoloso numero del “salto dellamorte”. Su questo sfondo si inserisce il triangolo amoro-so che coinvolge i due acrobati Marion (Janet Gaynor) eCharles (Charles Morton) e una donna dell’alta società(l’attrice Mary Duncan) che si invaghisce del ragazzo.Quest’ultimo si abbandona progressivamente al fascinodella ricca signora, mentre Marion si dispera. La disgre-gazione della coppia conduce al tragico finale in cui idue trovano la morte nel corso del pericoloso numeroaereo. Dopo le anteprime per la stampa fu girata unanuova versione del finale. Invece della coppia che cadenel vuoto e muore, è la sola Marion che, per la dispera-zione, lascia la presa del trapezio nel corso del numeroaereo; ma anche se all’inizio la donna sembra morta, inrealtà rinviene e dichiara il proprio amore a Charles chesi pente.

È dunque con questo finale che 4 Devils fu visto allaprima del film al “Gate Theatre” di New York, nell’otto-bre del 1928, con l’integrazione di una banda sonora sin-cronizzata. Paradossalmente fu però proprio questo im-probabile happy end ad essere al centro delle critiche alfilm su diversi giornali. Ma 4 Devils, che Murnau avevagirato come un film muto, fu ulteriormente modificatodalla Fox che ne produsse anche una versione sonora, ri-girando alcune scene, per distribuirlo come un film par-

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lare edonismo, nelle sue componenti più macroscopi-che: il caffè di lusso, il parrucchiere chic, lo studio del fo-tografo, e soprattutto il Luna-park»91.

Non c’è insomma un reale da contrapporre all’imma-ginario metropolitano, cioè del cinema ancora una voltausato come il doppio stesso della modernità. Anche l’ar-monia della coppia si ritrova nell’orizzonte dell’inauten-tico e dell’illusione, ma si rinsalda definitivamente sol-tanto dopo la prova della tempesta e del naufragio in cuila donna rischia di morire. Gli elementi della natura (sututti dovremmo ricordare la luna, motivo che il cinema diMurnau sviluppa in ognuna delle sue componenti sim-boliche) sanciscono quindi il sorgere di uno spazio pri-mordiale, fluido e incontaminato. Un’aurora che è il sim-bolo della potenza trasfigurante del cinema sull’inauten-ticità del reale. Tuttavia è proprio questo eccesso di stiliz-zazione simbolica una delle ragioni del sostanziale insuc-cesso del film presso il pubblico americano. Assieme al-l’imminente riconfigurazione tecnologica del cinema so-noro, si tratta di un aspetto decisivo per comprendere ledifficoltà incontrate da Murnau nei suoi due film succes-sivi, 4 Devils e City Girl.

Del suo periodo americano, 4 Devils è l’unico film chenon è giunto sino a noi92. Gran parte delle notizie su que-sta ulteriore opera fantasma di Murnau si devono al la-voro di ricerca compiuto dalla storica del cinema JanetBergstrom, che ha condotto poi alla realizzazione di un

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91 P.G. Tone, F.W. Murnau, cit., pp. 109-110.92 Nel 2007, un frequentatore del forum della Criterion annunciò

che un negativo del film era stato trovato a Tacoma, Washington.Tuttavia nessuna prova evidente del ritrovamento è comparsain seguito a rafforzare la notizia, che è stata archiviata come unoscherzo.

loppare con i cavalli»93 in modo da rendere, attraverso unpunto di vista anomalo, la tensione della scena – così co-me, per orchestrare complessi movimenti di macchina,avrebbe usufruito di una specie di gru-mobile con unapiattaforma in cima al braccio per la cinepresa. Sono di-chiarazioni apparse in un articolo scritto da Murnau per«McCall’s Magazine», uscito nel settembre del 1928 e in-titolato The Film of the Future, in cui egli entra nello speci-fico della sua idea della costruzione drammatica del pun-to di vista:

«Non filmo delle scene da una posizione anomaladella macchina da presa solo per provocare un effetto fi-ne a se stesso. Per me l’occhio della camera rappresentaquello della persona attraverso il cui spirito lo spettatorevede gli avvenimenti rappresentati sullo schermo. La ca-mera a volte deve seguire i personaggi in passaggi diffi-cili: è il caso, per esempio, di Aurora, con la macchina dapresa che passa attraverso la boscaglia e segue l’uomomentre si reca al suo appuntamento con la donna di cit-tà. La camera deve girare, spiare, spostarsi da una parteall’altra con la stessa rapidità del pensiero, quando perlo spettatore è necessario entrare nello stato d’animo chedomina il personaggio in quel momento. Penso che ifilm del futuro faranno sempre più uso di queste riprese,o come preferisco chiamarle io di queste angolazionidrammatiche. Esse aiutano a fotografare il pensiero»94.

lato. Il film ebbe così due anteprime a otto mesi di distan-za una dall’altra, e la versione sonora debuttò a Los An-geles, il 10 giugno 1929. Nuove riprese e dialoghi diversi(oltre al finale cambiato) lo resero un film assai diversodalle intenzioni di Murnau, il quale più che al plot era in-teressato alla bellezza dinamica delle acrobazie. Dalleprime tre stesure della sceneggiatura da lui redatte (econservate presso gli archivi della Fox) emerge chiara-mente la logica visiva del film costruita su cambiamentiveloci, con una grande attenzione ai movimenti di mac-china e a punti di vista anomali. Dai disegni di produzio-ne, ad esempio, risulta che il soffitto del carrozzone “Cir-cus Cecchi” era costruito come una piattaforma mobileper permettere diversi movimenti della macchina da pre-sa nelle riprese degli interni. Attraverso l’analisi dei dise-gni di produzione, delle fotografie di scena e delle recen-sioni dell’epoca (oltre che delle varianti di sceneggiatura)Bergstrom ha inoltre ricostruito alcune sequenze partico-larmente interessanti dal punto di vista delle dinamichedi messa in scena. Siamo nel circo di Parigi, nel dietro lequinte. Animali e artisti entrano ed escono nell’arena chesi vede sullo sfondo. I quattro diavoli sono la maggioreattrazione del circo e il pubblico attende il loro numeroaereo, il più importante dello spettacolo. Come ricorda lastudiosa americana, entusiastiche recensioni dell’epocaraccontano dello spettacolare ingresso in pista dei quat-tro acrobati in piedi su cavalli bianchi, fino a che, giuntisotto i trapezi si tolgono i mantelli e volteggiano in aria.La loro ascesa era filmata collocando la macchina da pre-sa sulla sommità della tenda del circo, per aumentare ilsenso di dinamismo complessivo della scena. Lo stessoMurnau, nel corso della preparazione di 4 Devils, e inparticolare a proposito delle riprese dei numeri acrobati-ci, disse che la macchina da presa avrebbe dovuto «ga-

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93 A proposito di questi passaggi, nella sceneggiatura del film(scritta da Carl Mayer, Berthold Viertel e Marion Orth) si leggeinfatti «cinepresa fissata sulla testa del cavallo».

94 F.W. Murnau, The Films of the Future, in «McCall’s Magazine»(1928) poi in «Positif», n. 523, 2004, p. 65. In 4 Devils vi sono al-tre soluzioni che ricordano il lavoro svolto su Aurora, come adesempio l’impiego di sequenze di montaggio realizzate attra-verso un caleidoscopio di sovrimpressioni (che richiamano

del film, invitandoci a guardarlo come a un’opera diMurnau a tutti gli effetti (e che alcuni critici consideranooggi come decisivo per la sua poetica)96. Scrive Berriatúa:

«Senza dubbio uno dei film che più ha influenzato ilcinema americano degli anni Trenta, e che ci aiuta acomprendere il senso che il termine espressionismo haavuto nella cultura americana. L’impiego drammaticodella luce e le inquadrature, rispondono esattamente aciò che anni dopo si chiamerà espressionismo americano.Tutto è in questo film»97.

Alla base del progetto per Our Daily Bread c’è una piècedi Elliott Lester, The Mud Turtle, messa in scena nei tea-tri americani nel 1925 (mentre il primo adattamento condécoupage del film è datato 7 luglio 1928). Il film può esse-re diviso in due grandi segmenti che corrispondono aglispazi urbani di Chicago (ricostruiti in studio) della primaparte del film, e della campagna dell’Oregon (con le ri-prese esterne qui realizzate). Con una significativa inver-sione rispetto al trattamento dell’opposizione spazio me-tropolitano-mondo rurale, affrontata nella stilizzazione diAurora o, nei modi del Kammerspiel, in Der brennende Acker,Murnau esibisce in modo del tutto problematico la negati-vità del mondo contadino, ovvero l’impossibilità di sfug-gire alle dinamiche spietate della modernità che produco-no, esse stesse, il falso mito di un ritorno alla natura incon-taminata. La storia dell’amore tra Lem Tustine (Charles

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96 Cfr. S. Goudet, City Girl. Corps étranger, in «Positif», n. 523,2004, pp. 98-100. Vedi anche Janet Bergstrom che lo considera«il film più moderno di Murnau e quello in grado di toccare piùdirettamente il pubblico contemporaneo». J. Bergstrom, Murnauin America. Chronicle of Lost Films, cit., p. 431.

97 L. Berriatúa, Los proverbios chinos de F.W. Murnau, vol II, cit., p. 550.

In una lettera indirizzata a William Fox, il 28 dicembredel 1927, Murnau scriveva: «Questa estate, vorrei girareun film sul grano, sul carattere sacro del pane, sull’alie-nazione della metropoli moderna e sulla sua ignoranzacirca le sorgenti essenziali della natura»95. Sono i temi at-torno ai quali avrebbe dovuto ruotare il suo terzo filmamericano che egli pensa (e gira) di nuovo come un filmmuto dal titolo Our Daily Bread e che, in seguito alle ma-nipolazioni della Fox, diventerà invece un film parlatointitolato City Girl. Come già accennato nel primo capito-lo, nel 1970 fu tuttavia ritrovata negli archivi della casa diproduzione la versione muta del film destinata al merca-to straniero, una versione cioè precedente all’interventodi sonorizzazione operato dalla Fox. Nonostante questoritrovamento, City Girl/Our Daily Bread è ancora oggi tra ifilm meno studiati dell’opera di Murnau, probabilmenteperché a lungo viziato dal giudizio negativo espresso daLotte Eisner nel suo libro, che in ogni caso si riferiva allasola versione sonorizzata del film. La versione muta –nonostante il fatto che alcune scene siano state probabil-mente girate da alcuni assistenti di Murnau, che era as-sente al momento del montaggio finale – manifesta infat-ti una coerenza interna, tanto del trattamento narrativo edella direzione degli attori che della forma complessiva

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l’evocazione della metropoli nella scena notturna dell’incontrotra l’uomo e la vamp). Si veda questo passaggio di sceneggiatu-ra analizzato da Bergstrom nel suo documentario sul film: «SO-VRIMPRESSIONE. Mentre piroettano insieme. È sera. Unagrande città innevata, dove giungono illuminando, turbinan-do, roteando le loro torce la cui luce vediamo su soffitti e faccia-te. Insegne in costruzione, nomi di alberghi, luoghi di diverti-mento, dove appaiono le scritte: “I QUATTRO….”; “SENSA-ZIONALE”; “Il GIRO DELLA MORTE”; “OGGI AL CIRCO”».

95 Cit. in L. Eisner, F.W. Murnau, cit., p. 188.

il giovane Lem mentre si sta recando in città con il trenoper vendere il grano del padre. Qui, tuttavia, il vampiri-smo della metropoli non assumerà le forme della corru-zione morale o della tentazione sessuale, manifestandosiinvece in una maggiore ambiguità-complessità dei con-flitti. Se in Aurora lo spazio urbano della metropoli diven-tava paradossalmente il luogo di riunificazione della cop-pia, in City Girl, la fattoria dei Tustine e i campi sterminatidell’Oregon si configurano come lo spazio della sua di-sgregazione. Se alla base dell’insuccesso di Aurora è ascri-vibile un’eccessiva opera di astrazione dei personaggi edegli spazi in gioco (in cui ancora è forte la componentestilizzante dell’Espressionismo), City Girl può essere in-vece considerato come il più americano dei film di Mur-nau realizzati ad Hollywood, proprio perché si muovecon maggiore ambiguità nella creazione dei personaggi,dei luoghi e dei contrasti drammatici. Gli elementi dimaggior continuità con Aurora, e con il cinema tedesco diMurnau, sono rintracciabili nel lavoro sull’illuminazionecompiuto dal direttore della fotografia Ernest Palmer. Èsoprattutto attraverso i tagli di luce drammatici e l’impie-go simbolico delle ombre, che lo spazio della casa dei Tu-stine si manifesta come un luogo ostile e minaccioso perKate. L’angustia degli interni contrasta dunque con la bel-lezza dei campi intorno alla casa e con il sentimento di li-bertà che emanano. D’altronde è lo stesso paesaggio del-l’Oregon, simbolo dei vasti spazi dell’America rurale,uno dei protagonisti effettivi del film, tanto che nelle dif-ficoltà che Kate incontra per essere accettata nella fami-glia e nell’ambiente rurale di Lem, è possibile scorgerequelle provate dallo stesso Murnau per entrare in contat-to con l’identità culturale americana100.

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100 Cfr. S. Goudet, City Girl. Corps étranger, cit.

Farrell) e Kate (Mary Duncan), la donna incontrata a Chi-cago che egli decide di sposare per andare a vivere assie-me nella sua fattoria, si muove pertanto sullo sfondo diuna campagna «dominata dalla stessa logica del guada-gno che vive nell’ambiente cittadino»98. La stessa idea del“carattere sacro del pane”, espressa inizialmente nella let-tera di Murnau, si perde del tutto di fronte a un film in cuiil grano e la sua trasformazione in pane sono raccontatiper esprimere l’idea della catena di montaggio industria-le di cui comunque anch’esso è parte integrante. CosìMurnau, «si incarica di mostrare che nella campagna, co-me nella grande città, la presenza fisica del grano lascia ilposto a una astrazione disumanizzante, che uccide quelpiacere magnificamente espresso dal lungo carrello cheinsegue la corsa della giovane coppia attraverso i cam-pi»99. Questa è una delle sequenze-simbolo di City Girl –un film che peraltro rinuncia a quell’orchestrazione dimovimenti di macchina complessi che caratterizzava Au-rora e 4 Devils. Si tratta di un travelling articolato che seguel’arrivo in campagna di Lem e Kate e li accompagna men-tre corrono come due bambini negli immensi spazi dilata-ti dei campi di grano. Il contrasto tra i loro due mondi, laminaccia che grava sulla loro unione appare tuttavia nel-lo spazio della fattoria che emerge sullo sfondo come unapresenza sinistra, raccordata a un’inquadratura in cui co-gliamo lo sguardo preoccupato del giovane. Si intuisceinsomma l’arrivo in uno spazio rurale che, dietro l’incon-taminato estendersi dei suoi campi, prepara il drammadel film. Già nel suo segmento d’apertura, d’altronde, ilfilm mostra di voler giocare con i cliché esibiti nella strut-tura narrativa di Aurora, con la vamp che tenta di sedurre

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98 P.G. Tone, F.W. Murnau, cit., p. 117.99 J. Bergstrom, Murnau in America. Chronicle of Lost Films, cit., p. 454.

“Da qualche tempo mi interesso personalmente a que-sta invenzione e confido nelle sue possibilità, soprattut-to per via della semplicità del metodo di ripresa e diproiezione”. Così contava di filmare Tabù in Technicolor(nella prima versione a due negativi) fino al momentoin cui la Colorart, la società di produzione che sostene-va il progetto e che aveva promesso materiali e operato-ri, si rivela incapace di finanziare il film»102.

Il contesto cui deve essere ricondotto il sentimento del-la natura e la fascinazione per l’incontaminato che sotten-de Tabù è dunque un altro. Innanzitutto potremmo direche qui, come in Nosferatu, si manifesta quella “doppiaspinta”, così specifica della cultura tedesca del XX secolo,attraverso cui il regime della modernità e del progressoconvive con un’insopprimibile fascinazione per il mito eper il dionisiaco. Seppur in modi diversi, ad esempio, tan-to in Sigmund Freud che in Nietzsche, l’arte e il mito siproducono in una manifestazione delle forze oscure dellanatura, attualizzando i conflitti che esse generano nel-l’esperienza umana. Gran parte dell’ambiguità dei rappor-ti che intercorrono tra la modernità e l’Espressionismo,d’altronde, possono essere interpretati alla luce delle in-fluenze che su quest’ultimo hanno le riletture del primitivo(in Freud) e del dionisiaco (in Nietzsche), letture che, com’ènoto, si muovono in aperto contrasto con le epistemologieforti del Positivismo o con la teleologia del progresso103.

La radicalità di queste proposte, come dell’arte di al-cune avanguardie tra cui l’Espressionismo tedesco, staappunto nel recupero del primitivo non già come puroesotismo e fuga nell’altrove, ma come inclusione dellespinte primordiali del mito nel cuore della modernità. Al-

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102 J. Bergstrom, Murnau in America. Chronicle of Lost Films, cit., p. 458.103 Su questi aspetti vedi D. Pan, Primitive Renaissance, cit.,

2.7 Una sinfonia della natura

Bisogna resistere alla tentazione semplicistica di vede-re in Tabù il film “primitivista”101 con cui, Murnau, si ri-bella alla logica di Hollywood, si avvale di attori tahitianinon professionisti e rifiuta la nuova riconfigurazione delcinema sonoro che compromette il primato dell’immagi-ne e della ricerca sulla forma visiva. Indubbiamente è at-traverso tale operazione che il regista tedesco emigrato aHollywood cercò di ritrovare quel controllo assoluto delfilm, perso in seguito all’insuccesso commerciale di Auro-ra; tuttavia i suoi problemi con il cinema sonoro, adesempio, non dipendevano affatto da un rifiuto a prioridello sviluppo tecnologico del cinema, quanto dalla diffi-coltà di continuare a portare avanti un modello di regianel contesto della pratica dell’epoca, un contesto cioè incui il film veniva girato in una doppia versione, e in cui larealizzazione di quella “parzialmente parlata” era spessoaffidata a una troupe diversa (e ad altri sceneggiatori chein questi casi non si limitavano a tradurre le didascalie indialoghi, ma a cambiare e riscrivere intere scene). Più ingenerale, come scrive Janet Bergstrom:

«Murnau era troppo intelligente per opporsi eterna-mente al dialogo. In più le nuove possibilità tecnologi-che del cinema lo affascinavano. Prova ne è la sua pre-occupazione costante per l’immagine, come ad esempioil suo interesse per il 70mm in sperimentazione alla Fox,che prevedeva di inaugurare con la bellezza epica degliimmensi campi di Our Daily Bread. In una lettera a Wil-liam Fox, egli accenna inoltre ad un procedimento perrealizzare film a colori messo a punto in Danimarca:

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101 Vedi ad esempio A. Oksiloff, Shot on the Spot: Primitive Film, in«South Central Review», vol. 16, n. 2-3, 1999, pp. 16-33.

suoi movimenti, realizzata qualche anno dopo da LeniRiefenstahl nel dittico Olympia 1. Teil - Fest der Völker eOlympia 2. Teil - Fest der Schönheit (1938; Olympia: Festa deipopoli, Olympia: Festa della bellezza), il documentario com-missionato dal Comitato Olimpico Internazionale in occa-sione delle Olimpiadi di Berlino 1936, che diventa il prete-sto per scrivere una delle più pagine più vibranti della storiadelle forme filmiche. Anche qui, insomma, l’orizzonte diespansione tecnologica delle possibilità del cinema (nuo-vi modelli di ripresa e soluzioni di montaggio, angolazio-ni anomale e sperimentali etc.) coincide con la ricerca diuna stilizzazione dei valori plastici del corpo e dei suoimodelli di figurazione messi a punto dall’arte greca. An-che qui, infine, si potrebbe dire che il cinema diventaquell’orizzonte in cui i valori della “Zivilisation” non so-no radicalmente rifiutati – come nel solco della netta con-trapposizione con l’idea di “Kultur”, ossia di quel patri-monio dei valori dell’arte e dello spirito cari al Romantici-smo e all’idealismo tedeschi – quanto rielaborati comeuna nuova possibilità di unità della forma e del pensieroche non esclude il progresso tecnico e l’artificio.

Certo, in Tabù la dimensione della bellezza dei corpiincrocia apertamente la circolazione del desiderio, ren-dendo palese, secondo alcuni critici, l’elaborazione di unsottotesto omosessuale106. D’altronde lì dove in film co-me Nosferatu o Aurora, l’erotismo veniva trasfigurato neimeccanismi del genere o di una palese stilizzazione deicorpi trattati come figure, in Tabù esso si manifesta in tut-ta la sua evidenza estatica. Il corpo, la danza, il movimen-to, diventano altrettanti luoghi di fascinazione dellosguardo che si sviluppano poi come autonomi segmenti

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106 Vedi soprattutto R. Wood, Murnau. Midnight and Sunrise, in«Film Comment», n. 12, 1976, pp. 4-9.

lo stesso modo la sfida di Tabù non sta nell’opporsi aimeccanismi dell’immaginario cinematografico per ritro-vare un’arte pura e incontaminata. Essa consiste, piutto-sto, nel portare nel cuore della natura quel modello alta-mente stilizzato di messa in scena elaborato e perfeziona-to nei grandi studi dell’UFA, così come nell’esperienza adHollywood. Lo stesso Murnau ripeteva alla sua troupe(stando a quanto ricorda Robert Herlth) che tutto ciò cheessi realizzavano in una scenografia artificiale, un giorno loavrebbero fatto in una scenografia naturale104. In questa affer-mazione si esprime in modo limpido l’idea di una ricercasulla forma che è certo assai distante dalle intenzioni do-cumentaristiche di Flaherty. Allo stesso tempo si manife-sta quell’intenzione di condurre la spinta della modernità(cioè il cinema) sin dentro il mito e la natura, senza perquesto abbandonare né la tecnica, né il patrimonio figura-tivo di riferimento della cultura occidentale. Si prenda ilcaso della prima immagine del film, un indigeno ripresoin figura intera, nell’atto del tiro della lancia da pesca. Laposa in cui esso è ritratto richiama in modo esplicito l’ar-monia compositiva delle sculture greche, assai più che imodelli di figurazione dell’arte primitiva. Questa imma-gine, circolata anche in alcune locandine del film, è dun-que del tutto emblematica delle forme simboliche che siattivano in Tabù, un’opera in cui, soprattutto per ciò checoncerne la dimensione plastica del corpo, si manifesta,come notato tra gli altri da Eric Rohmer, «un felice con-nubio tra lo spirito delle isole del Pacifico e l’arte classicaoccidentale»105. In tal senso il film di Murnau getta unponte ideale con la celebrazione estetica del corpo e dei

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104 Cfr. L. Eisner, F.W. Murnau, cit.105 E. Rohmer, On est toujours dans l’image (intervista di N. Herpe),

in «Positif», Dossier Murnau, n. 523, 2004, p. 81.

no qui le sinistre maledizioni che, tramite il grande sacer-dote Hitu, gravano sulla coppia Reri-Matahi. Qui tuttaviaviene rimosso lo spazio della redenzione e del sacrificioche sottende il racconto di Nosferatu o, infine, quello di unariunione della coppia che troviamo sviluppato in Aurora.Nella natura incontaminata di Tabù, il male si offre comeuna forza misteriosa, insondabile, e soprattutto invincibile.Anche per questo motivo Tabù è un film del tutto significa-tivo di quella reversibilità che informa i rapporti tra “natu-ra” e “studio” nel modello di regia di Murnau107.

Quella verso i Mari del Sud, dunque, non è una fugaalla ricerca di altri modi di produzione dell’arte e di con-figurazione dell’immagine filmica. Semmai possiamo ve-dere in Tabù la summa delle invenzioni figurative di Mur-nau, ciò che lo rende, oltre che uno dei capolavori dell’ul-timo periodo del muto, l’opera in cui tutto il suo cinemaviene ripercorso e rielaborato come una sinfonia della na-tura. Riprendendo la celebre distinzione schilleriana trala poesia ingenua e quella sentimentale («il poeta o è naturao la cercherà. Nel primo caso si ha il poeta ingenuo, nel se-condo il sentimentale»108), attraverso cui si intravede ladifferenza tra la classicità, intesa come integrità armoni-ca, e la modernità, in cui prevale il sentimento dell’assen-za e una malinconica aspirazione alla totalità, si può af-fermare che la natura di Tabù non si configura come l’ap-prodo definitivo di un motivo insito nel cinema di Mur-nau, ma come il suo rilancio infinito nelle forme di unamelanconia specifica della modernità.

del motivo profondo del film, ossia del conflitto tra desi-derio e religione, tra norma e tabù. Sulla scelta di Reri co-me vergine consacrata, pesa infatti la maledizione dellamorte per chi, nonostante ciò, continuerà a desiderarla.Come di fatto accadrà a Matahi, il suo giovane innamora-to, il meccanismo pulsionale incrocia in termini costituti-vi il desiderio e l’incantesimo, l’amore e la morte, intrec-ciando così la dimensione dell’esotico di Tabù con quelladell’esoterico sviluppata in Nosferatu (una relazione che,attraverso la figurazione dell’entrata in campo del velie-ro, costruita in modo simile in entrambi i casi, prende leforme di un preciso scambio semantico tra i due film, incui la superficie fluida dell’acqua si offre come luogo dipassaggio e circolazione della minaccia).

A questo conflitto corrisponde anche la divisione delfilm in due grandi parti, intitolate rispettivamente Il paradi-so e Il paradiso perduto. Se la prima appare dominata dallasuperba bellezza di una natura incontaminata, dalla lumi-nosità piena e armoniosa di un idillio atemporale, la secon-da parte del film si sviluppa, in termini opposti, nell’oriz-zonte notturno e crepuscolare della minaccia, in cui emer-gono i simboli cari al cinema di Murnau, l’ombra, la notte,la luna piena. Si vede bene come, nonostante la dimensio-ne esotica del film, e nonostante il racconto sia elaboratonel contesto culturale delle leggende polinesiane, ciò cheviene messo in scena in Tabù è ancora una volta l’eterna lot-ta delle tenebre e della luce, quel contrasto violento e irriduci-bile che trova nel prologo del Faust uno dei suoi esiti piùvisionari, ma che informa certo tutta l’opera di Murnau (eovviamente l’orizzonte del cinema espressionista). D’al-tronde anche in Tabù ancora una volta il conflitto dramma-tico è rielaborato nella struttura ternaria in cui si dispongo-no i personaggi; così alle dinamiche e alle forze oscure cheintrecciano Ellen, Hutter e Orlok/Nosferatu, corrispondo-

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107 «Nell’opera di Murnau il rapporto tra la natura e lo studio nonè pensabile nella forma di una semplice opposizione ma nelmodo della metamorfosi, dell’ibridazione e della reversibilità».Vedi E. Siety, Quel «isme» pour Murnau?, cit., p. 99.

108 F. Schiller, Über naive und sentimentalische Dichtung (1795), tr. it.,Sulla poesia ingenua e sentimentale, SE, Milano 2005, p. 37.

3.1 La produzione del fantasma e le congiunzioni virtuali

Come abbiamo visto, l’idea di una continuità tra laconcezione romantica dell’arte e la volontà irrealizzantepropria dell’Espressionismo, di un’organicità della natu-ra e di un continuo divenire che unisce e avvolge tutte lecose, filtrato nell’infinita sfida delle ombre e della lucedel film espressionista, è una delle principali linee inter-pretative messe in atto dai numerosi commentatori delcinema di Weimar (da Lotte Eisner a Gilles Deleuze e ol-tre naturalmente). Proprio pensando alla ripresa dei temie delle ossessioni del Romanticismo, più che al suo patri-monio figurativo, Deleuze ha definito la concezione del-l’immagine filmica fatta propria dall’Espressionismo co-me antidialettica. Una concezione vale a dire che si distan-zierebbe sia dalle soluzioni narrative di Griffith, che dagliesperimenti formalisti delle avanguardie del cinema so-vietico. Da questo punto di vista – secondo una letturafiltrata dalla personale rielaborazione di Baruch Spinozae Nietzsche che il filosofo francese fornisce dell’Espres-

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III Tre sequenze

È un aspetto che vale la pena di approfondire sulla sciadi quelle congiunzioni virtuali degli spazi che abbiamo giàevocato nel secondo capitolo. Uno sguardo al lavoro delmontaggio, e specificatamente alle forme di raccordo atti-vate in Nosferatu, ci permetterà di precisare meglio questodiscorso. Prenderemo in considerazione un’ampia sequen-za del secondo atto del film. Si tratta di uno snodo narrati-vo fondamentale del racconto in cui le due linee principalidell’azione sviluppate sin qui parallelamente – la storiad’amore tra Ellen e Hutter e la missione di quest’ultimopresso il misterioso castello abitato dal conte Orlok – ven-

gono a sovrapporsi. Co-me vedremo, Ellen, Hut-ter e Nosferatu diventanoi tre poli principali di unasorta di perverso melo-dramma che si risolveràsoltanto con il sacrificiofinale della donna. La se-quenza ha una duratacomplessiva di poco infe-

riore ai sette minuti ed è composta di quarantasette inqua-drature più undici didascalie. Significativamente essa siapre e chiude su due esterni – una cupa e suggestiva im-magine di un cielo notturno solcato dalle nuvole. Il primogruppo di inquadrature (inqq. 1-12) ci mostra il conte Or-lok, seduto a un tavolo di fronte a Hutter, mentre si appre-sta a firmare il contratto con cui viene siglato l’acquistodella casa situata di fronte all’abitazione degli Hutter. Unparticolare tuttavia attira la sua attenzione: la fotografia diEllen racchiusa nel ciondolo che Hutter porta con sé, di cuiOrlok nota – come recita la didascalia che segue al raccor-do di sguardo con l’oggetto inquadrato – «il collo magnifi-co». Dopo questo prologo, prende avvio il segmento cen-

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sionismo – con esso si invocherebbe «un’oscura vita pa-ludosa in cui tutte le cose affondano, sia lacerate dalleombre, sia sommerse nelle foschie. La vita non-organicadelle cose, una vita terribile che ignora il senno e i limitidell’organismo, tale è il primo principio dell’espressioni-smo, valido per l’intera Natura»1. Deleuze, che in tal sen-so riconduce i modelli di montaggio messi a punto dal ci-nema degli anni Venti ad altrettanti sistemi di pensiero fi-losofico, guarda così all’Espressionismo come alla mani-festazione dell’idea di sublime dinamico nella filosofiakantiana, orizzonte in cui si definisce una forma di mon-taggio che egli chiama intensivo-spirituale.

Abbiamo già avuto modo di vedere come l’apparte-nenza di Nosferatu all’Espressionismo sia stata fortementemessa in dubbio da alcuni critici a causa dell’uso degliesterni e del ruolo indubbiamente decisivo che il paesag-gio naturale riveste nell’economia della messa in scena edei significati complessivi del film. Tuttavia è proprio nel-la riorganizzazione dei materiali figurativi e nelle soluzio-ni di montaggio che il film può essere anche ricondotto aquel principio dell’Espressionismo indicato da Gilles De-leuze come la totalità di un «universo spirituale che gene-ra le proprie forme astratte, i propri esseri di luce, i propriraccordi che sembrano falsi agli occhi del sensibile»2.

128

1 G. Deleuze, L’immagine-movimento, cit. p. 69. Tuttavia, lì doveEisner rintraccia una continuità artistica tra Romanticismo edEspressionismo, Deleuze mette in risalto una profonda diffe-renza sul piano filosofico, poiché con l’Espressionismo «non sitratta più, come nel romanticismo di una riconciliazione dellaNatura e dello Spirito, dello Spirito quale esso è alienato nellaNatura, e dello spirito quale esso si riconquista in sé: questaconcezione implicava qualcosa come lo sviluppo dialettico diuna totalità ancora organica» (p. 72).

2 Ivi.

samente dal letto. Ha così inizio l’ultimo segmento dellasequenza (inqq. 32-57) che intreccia parallelamente ledue azioni, Hutter-Nosferatu nel castello del conte Orlokin Transilvania, e Ellen nella casa di Wisborg. Sonnambu-la, la donna si dirige verso la finestra aperta e sale in pie-di sulla balaustra. Mentre percorre pericolosamentel’estremità della balconata, viene soccorsa all’ultimoistante da Harding che intima a sua moglie Ruth di chia-mare un dottore (inq. 43). Torniamo pertanto nel castello,

di nuovo sull’immagine di Hutter svenuto nel suo letto.Ora vediamo emergere l’ombra minacciosa di Nosferatuproiettata sul muro alle spalle del giovane. Con uno stac-co l’immagine ci mostra quindi Ellen – sdraiata al letto,attorniata da Harding, sua moglie e il dottore – che, inpreda a un delirio, tende le braccia in avanti e, con losguardo allucinato diretto fuoricampo, invoca il nome disuo marito. Nosferatu, ormai vicinissimo al corpo diHutter, improvvisamente si ferma. Si volta ed esce dallastanza. Ellen sviene nel letto. Dopo la didascalia con il re-soconto del narratore, la sequenza si chiude sull’immagi-ne – assai simile a quella con cui si era aperta – di un cielominaccioso e cupo che si intravede oltre gli alberi che cir-condano il castello di Orlok (inq. 58). Da un punto di vi-sta narrativo, e più specificatamente per il modo in cuiintreccia i differenti piani dell’azione risolvendoli peral-

trale della sequenza, ovvero l’aggressione notturna di No-sferatu a Hutter (inqq. 13-30). L’azione si sposta quindinella stanza del castellodove è alloggiato il gio-vane. Lo vediamo sfo-gliare qualche pagina dellibro sui vampiri che hacon sé, mentre un maca-bro orologio rintocca lamezzanotte. Colto dallospavento, Hutter si dirigeverso la porta della stan-za e guarda fuori. A questo punto – in quella che è certouna tra le inquadrature più celebri del cinema di Weimar –vediamo Nosferatu, con la sua figura immobile e ritta inpiedi, ripreso in profondità di campo all’estremità della sa-la (inq. 21). Hutter, spaventato, cerca in qualche modo ri-paro (qui troviamo un altro inserto esterno della sequenza,ossia la vista del precipizio davanti alla finestra aperta daHutter nell’inutile tentativo di fuggire).

Ormai in trappola, il giovane cade tremante nel suoletto mentre Nosferatu penetra nella stanza (inqq. 25-30).Contemporaneamente – introdotta da una didascalia cherecita «in quel momento…» – l’azione si sposta nellastanza di Ellen, dove vediamo la donna alzarsi improvvi-

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to, ma la natura precisa del pericolo, la sua forma, il suoposto nello spazio restano tutti da scoprire»4.

Questa fluidità degli spazi è d’altronde il fulcro del la-voro compiuto sull’illuminazione, oltre che nell’allesti-mento delle scene, dallo stesso ideatore del film AlbinGrau. Nel film la luce tende infatti a dematerializzare glioggetti, a investirli di un’atmosfera quasi impalpabile, piùche a deformarli secondo lo stile espressionista. Questomodo di evocare una transizione continua tra il visibile el’invisibile è certo uno dei tratti del film (e complessiva-mente dell’intelligenza visiva di Murnau) che più diretta-mente appare debitore della lezione della grande pitturaromantica – e in particolare di Caspar David Friedrich5.Più che del gioco di corrispondenze, affinità e prestiti se-mantici tra il film e i suoi (numerosi) riferimenti pittorici,ciò che qui si esprime è quel preciso sottofondo sovran-naturale che pervade, oltre va da sé il racconto, tutte lecomponenti della messa in scena. Attraverso un uso deltutto anomalo dei raccordi e la sovrapposizione tra i duespazi, il collegamento psichico tra Nosferatu ed Ellen nonviene soltanto evocato con l’alternanza dell’azione, quan-to iscritto nel tessuto visivo della scena e della sua archi-tettura formale disegnata dal montaggio.

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4 E. Rohmer, L’organizzazione dello spazio nel «Faust» di Murnau,cit., p. 81.

5 Angela Dalle Vacche – in uno tra i più dettagliati studi su Nosfe-ratu che maggiormente evidenziano il debito visivo del film neiconfronti della pittura romantica e di Friedrich in particolare –afferma che il principio di riferimento del montaggio nel film èl’empatia, anziché la narrazione. Esso cioè lavora per corrispon-denze e affinità segrete traducendo anche sul piano narrativo, ol-tre che visivo, l’idea di paesaggio interiore propria della pitturaromantica. Cfr. A. Dalle Vacche, F.W. Murnau’s Nosferatu: Ro-mantic Painting as Horror and Desire in Expressionist Cinema, cit.

tro in un insperato salvataggio, questa sequenza mostraun uso quasi parossistico della tecnica del montaggio al-ternato e del cosiddetto last minute rescue, ereditato dallalezione di Griffith. Tuttavia, da un punto di vista formale,e cioè per quanto riguarda la configurazione dello spazioe l’uso dei raccordi, Murnau elabora qui un discorso pro-fondamente diverso. Innanzitutto egli guarda all’assem-blaggio delle inquadrature privilegiando, più che la li-nearità narrativa, le loro consonanze e affinità sotterra-nee. Ad esempio, come afferma Charles Jameux, possia-mo notare quanto in Nosferatu il montaggio sia «fonda-mentalmente poetico e visionario. Unisce realtà distanti.Rompe l’illusione temporale e ci spinge sin dentro l’ideadella durata interiore di un paesaggio mentale»3. E, inmodo più preciso, gli fa eco Rohmer:

«Ciò che Murnau postula, attraverso il montaggio, è,più ancora del realismo dello spazio, l’affermazionedella sua supremazia. Nei suoi film, le relazioni spazialisono predominanti rispetto a quelle temporali, cosicchénon possiamo immaginare in anticipo, come avvieneper altri film, la figura dell’avvenimento sperato o temu-to. Nessun pericolo dal volto conosciuto, il cui momen-to di apparizione viene protratto a piacimento da un ef-fetto di suspense: spesso, al contrario, il momento ci è no-

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3 C. Jameux, F.W. Murnau, Éditions Universitaire, Paris 1965, p. 43.

continuità che d’altronde appare ulteriormente rimarcatanell’uso di un’omogenea colorazione delle due scene7.All’inizio del segmento che ha luogo a Wisborg (la scenadel sonnambulismo) le immagini sono colorate in tinturaverde-blu, anche per sottolineare il senso dello staccod’ambiente rispetto alla colorazione in ocra con cui ci èmostrata l’azione che si svolge nel castello. Tuttavia, apartire dall’inquadratura quarantacinque (il secondopassaggio dell’azione nella stanza di Ellen), i due spazidell’azione si trovano uniformati cromaticamente e mo-strati allo spettatore nella stessa tintura ocra. Si tratta diun elemento della figurazione decisivo per sottolinearel’ambiguità del passaggio e suggerire quella dimensionedi irrealtà evocata dal raccordo di sguardo tra Nosferatue Ellen. Così il disorientamento dei valori spaziali, deivolumi e delle forme non è più ottenuto attraverso un in-tervento sulle scenografie, come in Caligari, quanto attra-verso un uso del montaggio e dell’illuminazione che de-terminano un orizzonte di fluidità che coinvolge tanto la

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7 Il ripristino delle colorazioni originali di Nosferatu è stato possi-bile grazie al ritrovamento da parte di Luciano Berriatúa di unacopia nitrato colorata presso la Cinémathèque Française. Corri-spondente alla prima versione del film distribuita in Francia,questa copia di qualità fotografica eccezionale è ritenuta daglistorici come una versione verosimilmente corrispondente aquella tedesca. L’operazione di restauro e ripristino dei colori(curata dal Filmmuseum des Münchner e dalla Cineteca di Bo-logna, in collaborazione con la Cinémathèque) è stata condottaseguendo da un lato le indicazioni del piano di colorazione delfilm presenti nella copia, dall’altro confrontando quest’ultimecon le pubblicazioni d’epoca dell’Agfa in cui sono riportate letonalità originali dei colori. Sulle questioni generali legate allecolorazioni nel cinema muto si rimanda in sintesi a M. Dall’Asta- G. Pescatore - L. Quaresima (a cura di) Il colore nel cinema mu-to/Colour in Silent Film, Mano Edizioni, Bologna-Udine 1996.

La figurazione dell’impossibile incontro di sguardi traEllen e Nosferatu (inqq. 44-52) appare da questo punto divista del tutto emblematica. Vediamola di nuovo, più indettaglio. Mentre Hutter, inquadrato in mezza figura, èsvenuto nel letto, l’ombra di Nosferatu con le bracciaprotese in avanti (in una posa simile a quella di Ellen,sonnambula in piedi sulla balaustra) cresce minacciosa-mente sul muro alle sue spalle. Uno stacco improvviso cimostra Ellen che si desta improvvisamente. La donnaguarda fuoricampo (a sinistra del quadro), mentre glisguardi del dottore, di Harding e di sua moglie sono fissisu di lei. La donna, allucinata e di nuovo con le bracciatese in avanti, grida ancora il nome di suo marito. Dopola didascalia, torniamo a vedere l’ombra di Nosferatu cheora sembra definitivamente calare sul corpo di Hutter.Tuttavia un altro stacco passa a inquadrare il vampiro,ora di profilo ripreso quasi in piano americano. Nosfera-tu inizia a voltarsi lentamente (verso la destra del qua-dro). Per un attimo il suo sguardo sembra incrociarequello di Ellen (mostrata, con uno stacco, nella stessa po-sa dell’inquadratura precedente). Poi, voltatosi definiti-vamente, il vampiro si avvia fuori dalla stanza. Il raccor-do di movimento – Nosferatu si volta e va verso la portache è alle sue spalle – diventa così, in un modo che appa-re palesemente ambiguo, anche un (impossibile) raccor-do di sguardo tra Ellen e il vampiro. La continuità del re-gno delle ombre e della luce su cui è costruito tutto l’im-pianto visivo del film si riflette insomma, attraverso que-sto passaggio dal fascino indubbio, nella continuità deglispazi e delle corrispondenze psichiche dei personaggi,disegnando le tracce delle loro «affinità elettive»6. È una

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6 Un riferimento esplicito all’opera di Goethe si trova in E. Siety,Quel «isme» pour Murnau? cit., pp. 89-102.

novativo essenziale. Perché nell’oggettivazione dellosguardo fittizio di Orgon, Murnau coglie un altro carat-tere fondante del cinema, il suo attivarsi non solo comedispositivo, ma come automa riproduttivo che ci per-mette di sviluppare esperienze percettive, emozionali econoscitive nuove»9.

La congiunzione virtuale dei luoghi e l’anomala com-posizione degli sguardi attivata nel passaggio di Nosfera-tu qui preso in considerazione, delinea pertanto uno spa-zio immaginario che sembra trascendere la giustapposizio-ne delle due linee narrative. Potremmo dire che a diffe-renza di quanto avviene nel montaggio invisibile (secondola forma del découpage classico), Murnau guarda a unmontaggio delle forze invisibili che animano la vicenda. Seinfatti Ejzenštejn vedeva nel cinema di Griffith l’influen-za della tecnica narrativa di Charles Dickens, le soluzionidi montaggio in Nosferatu possono essere ricondotte aquell’immaginazione romantica e spiritualista che LotteEisner individuava tra le radici dell’Espressionismo e delcinema tedesco degli anni Venti. Infine, se da un lato que-sta forma di montaggio configura uno spazio mentale,

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9 P. Bertetto, Il riflesso, la lacrima, il nero, cit., pp. 66-67. Sui rappor-ti tra visione e allucinazione Bertetto torna più ampiamente inun saggio dedicato ai caratteri strutturali del cinema espressio-nista, in cui afferma che «La visione del cinema espressionistanon implica tanto una percezione, quanto un’allucinazione, oalmeno una percezione allucinata: si configura cioè come unospazio dell’allucinazione, un prodotto fantasmatico che a suavolta richiede e produce una percezione allucinata. La visione èallora allucinazione, sguardo che trapassa i fenomeni, li investedel contenuto emozionale, dell’inconscio, dell’immaginario,del rimosso, forse. La visione è rapporto non con l’oggettività,ma con il fantasma, iniziazione al musiliano “aspetto spettraledell’accadere”». Vedi P. Bertetto, Il cinema espressionista e la for-ma dell’immaginario, cit., p. 12.

narrazione quanto la costruzione dello sguardo e la con-figurazione degli spazi. Il raccordo di sguardo impossibi-le che evoca le forze in gioco tra Nosferatu ed Ellen, puòessere assunto a metafora più ampia di quell’arte di evoca-re i fantasmi che attraversa in modo sotterraneo tutto il ci-nema di Murnau, un sentimento panico che sembra av-volgere le forme del reale in un unico movimento dellospirito8. Nell’analisi delle dinamiche di sguardo attivatein un segmento di Tartufo, Paolo Bertetto evidenzia ungioco di implicazioni fantasmatiche non privo di conso-nanze con questo passaggio di Nosferatu. Si tratta di ungruppo di inquadrature che raccordano lo sguardo di El-mire e quello di Orgone, contenuto in un ritratto:

«Tra lo sguardo di Elmire e quello dipinto di Orgonsi stabilisce uno scambio intensivo realizzato in una sor-ta di campo/controcampo anomalo e particolare tra ilprimo piano di Elmire e il ritratto di Orgon, il volto diElmire e il volto figurato di Orgon […]. In questa dina-mica il ritratto diventa il sostituto della persona, il si-mulacro del soggetto, che può addirittura partecipare auno scambio di sguardi e quindi a un modo linguisticoparticolare del cinema […]. Il ritratto di Orgon nonguarda nessuno. Non potrebbe guardare nessuno. Ep-pure nella dinamica del film pare guardare esso stesso epare guardare Elmire, in un interscambio visivo di in-dubbia intensità [...]. Questa capacità del cinema di pro-duzione di uno sguardo non umano è un elemento in-

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8 A proposito del rapporto tra il cinema di Murnau e l’opera delpittore Albrecht Altdorfer, scrive Eric Rohmer: «La visione delcineasta, come quella del pittore, è dunque cosmica. Nell’unocome nell’altro, l’azione compiuta, l’emozione provata dai per-sonaggi, provocano un’eco che si ripercuote agli estremi limitidell’universo». Vedi E. Rohmer, L’organizzazione dello spazio nel“Faust” di Murnau, cit., p. 11.

L’insistenza sull’immagine di Ellen incorniciata nel cion-dolo che Hutter porta con sé, su questo particolare che at-tira l’attenzione del conte Orlok al momento della firma,simboleggia uno scambio di ruoli e l’intessersi di quel-l’oscuro legame tra la donna e Nosferatu che si manifestanella scena immediatamente successiva. Così la dinamicadegli sdoppiamenti dei personaggi entra anch’essa inuno stato di indecidibilità, colta in uno spettro di ulterioririfrazioni. Nosferatu è il doppio di Orlok ma anche laparte oscura di Hutter. Da un lato Ellen è la fanciulla pu-ra, l’eroina melodrammatica insediata dal Male, ma dal-l’altro, essa è il tramite verso Nosferatu, e la sua psiche ele forze cupe che albergano in Nosferatu entrano in co-municazione12. In generale si manifesta qui un tratto ulte-riore della poetica di Murnau. Ovvero la rifigurazionedel sistema del doppio, caro al cinema espressionista, inun sistema di triangolazioni (Hutter, Ellen e Nosferatu)in cui il ruolo del mediatore sembra essere una sorta dicasella vuota, in continuo slittamento da un personaggioall’altro13.

3.2 Il gioco del movimento puro e le forme dinamichedella soggettività

In L’ultimo uomo, l’idea di una radicale soggettivazio-ne dell’esperienza, vale a dire il presupposto cardine del-l’estetica espressionista, si sviluppa in modi e processi di

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12 Cfr. L. Quaresima, Nosferatu il vampiro (1922), in P. Bertetto - S.Toffetti (a cura di), Incontro ai fantasmi. Il cinema espressionista,cit., pp. 73-80.

13 Sul tema del doppio riletto dal cinema di Murnau in forma ditriangolazione vedi soprattutto il saggio di Janet Bergstrom,Sexuality at a Loss. The Films of F.W. Murnau, cit.

dall’altro con essa si delinea anche quel meccanismo del-le identificazioni speculari che struttura tutto l’impiantodel film. Come già detto in apertura, la sequenza in que-stione rappresenta un momento fondamentale nell’eco-nomia della narrazione degli eventi. I due piani del rac-conto non vengono soltanto a sovrapporsi ma anche inun certo senso a confondersi proprio a partire da qui. Ilgioco del doppio e delle identificazioni speculari checoinvolge i tre personaggi principali (Orlok/Nosferatu,Hutter ed Ellen) trova infatti una prima evidente affer-mazione proprio nella difficoltà di assegnare, con l’avan-zare del racconto, un significato univoco alle scene e alloro assemblaggio. Ad esempio, perché vediamo Ellen at-tendere il ritorno di suo marito all’interno di un cimitero

di fronte al mare, quan-do la donna in realtà sabenissimo che Hutter èpartito a cavallo (mentreè proprio dal mare chearriva Nosferatu, impa-dronitosi della nave“Empusa”)? Numeroseinterpretazioni in chiavepsicanalitica del film10

sono state elaborate attorno all’oscura pulsione che legaNosferatu ed Ellen e, in tal senso, lo scambio di sguardi ela congiunzione virtuale dei due spazi di Wisborg e delcastello di Orlok, oltre ad anticipare l’incontro finale tra idue, manifesta esplicitamente la “vera posta in gioco”del contratto firmato da Nosferatu all’inizio della scena11.

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10 Vedi soprattutto R. Wood, Murnau, in «Film Comment», n. 12,1976, pp. 4-19.

11 Cfr. T. Elsaesser, Weimar Cinema and After. Germany’s HistoricalImaginary, cit.

all’indietro che partedall’ingresso. Con unalunga inquadratura (5)che segue l’ingresso delportiere nello stabile (ri-preso in figura interamentre si aggira circo-spetto rasente alle paretidel corridoio) entriamo

nel vivo dell’azione. Le inquadrature successive (6-11)sono costruite in un gioco di campi e controcampi tra ilpercorso del guardiano notturno che compie la sua rondanell’albergo e il portiere che tenta di non farsi sorprende-re. Finalmente l’uomo penetra nella sala dove è custoditala sua divisa, e poi lo vediamo uscire (ripreso in campomedio). Si guarda intorno per accertarsi di non esser vi-sto ma qualcosa fuoricampo attira il suo sguardo.

Scopriamo tre inservien-ti della reception, i quali peròstanno dormendo profon-damente appoggiati al ban-cone della sala. Il portie-re gli passa davanti rapida-mente senza svegliarli (inq.12). Ora è fuori dall’albergo

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figurazione che non mostrano più alcun debito nei con-fronti del teatro o della pittura (intesa come citazione ostatico recupero di una dimensione pittorica dell’inqua-dratura). Ovvero qui essa si produce:

«non solo agendo sui materiali profilmici, piegandolo spazio esterno a spazio interiore, ma sviluppando nuo-vi principi che portano la macchina da presa a trasformarsi infattore originale di organizzazione dello spazio e protagonistaattivo dell’azione. Caligari, rispetto a questi sviluppi, puòessere considerato ancora un film del passato»14.

Per un discorso più specifico su questa inedita autono-mia della macchina da presa, così specifica di questo film,possiamo prendere in considerazione la sequenza del fur-to della divisa, con cui ha inizio la parte centrale della pel-licola. Degradato a custode della toilette, l’anziano portie-re penetra di notte nell’Hotel Atlantic per riappropriarsidella divisa gallonata che è stato costretto a restituire. Es-sa rappresenta d’altronde il simbolo stesso del prestigiosociale raggiunto, da cui dipende la possibilità di conti-nuare ad essere visto come una persona importante e de-gna di rispetto nel quartiere popolare dove vive.

La sequenza è composta di diciannove inquadratureper una durata complessiva di quattro minuti e quaran-tacinque secondi. Ha inizio con un primo gruppo di in-quadrature d’ambiente fisse (inqq. 1-3) in cui ci vengonomostrate la facciata dell’albergo in notturna e, parallela-mente, il palazzo dove vive l’ex-portiere, in cui si stannocelebrando i festeggiamenti per le nozze di sua figlia. Ve-diamo quindi la ragazza affacciata al balcone che attendel’arrivo di suo padre, poi torniamo di fronte all’albergo.Lo spazio antistante è inquadrato con un rapido carrello

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14 L. Quaresima, Cinema Tedesco: gli anni di Weimar, cit., p. 89.

ne di una mimica e di una recitazione gestuale più accen-tuata, quanto una maggiore compartecipazione della mac-china da presa all’azione e l’impiego di soluzioni visiveche permettono di riconfigurare su un piano simbolico glistati d’animo del personaggio. Quando il portiere penetranell’albergo (inq. 5) la macchina da presa partecipa dellasua titubanza restituendo, con il suo stesso lento incedere,l’incertezza e il tremore dei passi con cui egli avanza nelcorridoio cercando di non far rumore. Se la macchina dapresa in questo caso accompagna il movimento di Janningsesaltandone l’intensità della mimica posturale, con la do-dicesima inquadratura della sequenza, il suo sguardo sioffre come un elemento autonomo del piano visivo-dina-mico del film. Nel momento in cui, appena uscito dallasala dove ha trafugato la divisa, il portiere guarda versoil fuoricampo alla sua destra, la macchina da presa sembradare corpo al suo sguardo mimando, con un rapido movi-mento, la traiettoria della sua visione fino a inquadrare gliinservienti che dormono. Tuttavia, lungi dall’essere un co-siddetto movimento immotivato realizzato per attirare l’at-tenzione sulla macchina da presa in sé, questo passaggiosembra configurare l’idea di una coscienza corporea dellosguardo nei termini che la teoria neo-fenomenologica asse-gna a questa espressione; come scrive Vivian Sobchack:«La camera mobile non è solo uno strumento meccanico,un oggetto di percezione visiva e cinetica; è anche un sog-

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basata su componenti ritmiche, metriche. L’ultima risata è vistocome sintesi avanzata di tale duplice inclinazione, naturalistico-impressionistica e ritmico-visiva». Vedi L. Quaresima, CinemaTedesco: gli anni di Weimar, cit., p. 102. In tal senso il Kammerspiel-film è visto come l’orizzonte di stabilizzazione delle tensioniestetiche del titelloser Film, per cui «la limitatezza di temi e situa-zioni drammatiche rimproverata così spesso al film senza dida-scalie si trasforma ora in fattore di caratterizzazione» (Ibid.).

con la sua divisa in mano. Ansimante cerca riparo dietrol’angolo della strada. Come per assicurarsi che nessunolo abbia seguito, si volta di nuovo in direzione dell’edifi-cio. Questo, in un’improvvisa allucinazione visiva, sem-bra letteralmente crollargli addosso (inq. 15). Infine, ri-presa coscienza, egli indossa la propria divisa e si avviaverso casa per unirsi ai festeggiamenti (inqq. 16-19).

Rispetto ai processi disoggettivazione sopra evo-cati, le inquadrature dodici equindici appaiono decisive.L’eliminazione delle dida-scalie secondo l’estetica del«titelloser Film»15 comportainfatti non soltanto l’adozio-

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15 Lo sceneggiatore Carl Mayer fu tra i più appassionati sostenitoridella pura visualità e della rinuncia alle didascalie, secondo unalinea “purista” caratteristica del dibattito degli anni Venti chealla letterarietà e alla fissità (intesa come perdita del ritmo) delcartello opponeva il dinamismo cinetico delle immagini e il ri-corso a modelli narrativi fondati sulla pantomima. Come ricor-da Leonardo Quaresima, la rinuncia alla didascalia è insommavista come «forte sollecitazione a passare da una semplice di-mensione romanzesco-riproduttiva a un’altra più complessa,

caso dell’inquadratura quindici. Il portiere, ora giuntofuori dall’albergo, si volta lentamente dietro di sé (ripresoin mezza figura). Uno stacco ci mostra la sua visione allu-cinata (realizzata attraverso un gioco di lenti) e improvvi-samente il palazzo sembra crollargli addosso. L’inquadra-tura è in realtà una semi-soggettiva; vediamo cioè la nucae un braccio del portiere alzato verso il cielo come per ri-pararsi dall’edificio che sembra schiacciarlo. Anche inquesto caso, dunque, più che rendere l’oggetto della visio-ne del personaggio, si tratta di investire lo spazio di unprocesso di simbolizzazione radicale18, di imprimere cioèal movimento e al ritmo visivo dell’immagine il caratteredi un’esperienza percettiva in cui lo sguardo della macchi-na da presa e quello del personaggio sembrano confon-dersi in un solo stato di coscienza pur rimanendo scissi.Non solo la «Entfesselte Kamera», la camera scatenata, mapressoché tutto il sistema degli sguardi configurato inL’ultimo uomo, manifesta pertanto un dinamismo interioree una tensione tra sguardo e corpo che non appaiono riduci-bili alla sola idea di un cosiddetto “scavo della dimensio-ne psicologica”. Piuttosto troviamo qui all’opera una diquelle possibilità del cinema intuita tra i primi da EdgarMorin, quando osservava che l’esperienza filmica prevede«un occhio che si stacchi dal corpo, peduncolato, e che siaggiri circolando fuori dal suo punto di congiunzione e siatuttavia collegato ad esso»19.

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18 Vedi ad esempio il lungo sogno del portiere realizzato come uncaleidoscopio visivo in cui Freund mette in atto tutte le possibi-li soluzioni (gioco di lenti, carrelli e piattaforme girevoli) tese arendere in termini puramente cinetici lo stato di coscienza alte-rato del portiere.

19 E. Morin, Le Cinéma et l’homme imaginaire, Minuit, Paris 1956, tr.it., Il cinema o l’uomo immaginario. Saggio di antropologia sociologi-ca, Feltrinelli, Milano 1982, pp. 131-132. Riprendo questo pas-

getto che vede, si muove, ed esprime una percezione. Essapartecipa alla coscienza della sua esistenza nel mondoanimata, intenzionale e corporea»16. D’altronde è a questadimensione antropomorfica della visione, all’idea di unosguardo disincarnato, che allude Murnau auspicando unacinepresa «finalmente smaterializzata». In questo passag-gio del film, infatti, non si tratta soltanto di aggirare il rac-cordo di sguardo (il portiere che guarda fuoricampo/gliinservienti che dormono) in favore di una ripresa soggetti-va continua. Tecnicamente l’inquadratura non è definibi-le come una soggettiva (dal momento che nel corso dellastessa vediamo la sagoma del portiere attraversare rapi-damente il campo mentre passa di fronte al banco dellareception). Si tratta piuttosto di imprimere un ritmo soggetti-vo allo spazio inquadrato, vale a dire di rifigurare in terminiplastico-dinamici uno stato interiore (la concitazione delmomento). È un’inquadratura che in tal senso rientra nel-l’orizzonte della cosiddetta dynamic perception, così comecodificata dalla teoria sul «punto di vista» di EdwardBranigan17. Percezione dinamica che ritroviamo anche nel

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16 V. Sobchack, Toward Inhabited Space: The Semiotic Structure of Ca-mera Movement in the Cinema, in «Semiotica», 41, 1-4, 1982, p. 318.Vedi anche Id., The Address of the Eye: A Phenomenology of Film Ex-perience, Princeton University Press, Princeton 1991. Per una tipo-logia dei movimenti di macchina letti alla luce delle più avanzateteorie del film vedi E. Branigan, Projecting a Camera. Language-Ga-mes in Film Theory, Routledge, New York-London 2006.

17 Cfr. E. Branigan, Point of View in the Cinema. A Theory of Narrationand Subjectivity in Classical Film, Moutoun Pubblishers, Berlin-New York-Amsterdam 1984. Si tratta di una forma di dinamizza-zione dello sguardo del personaggio (attraverso l’uso dello zoomo di movimenti di macchina) tesa a restituire lo stato d’animo dicolui che guarda. In questo caso tuttavia non ci muoviamo sul-l’asse-visivo del personaggio e l’inquadratura si offre pertanto co-me un’oggettiva tesa a legare i due termini in gioco nell’azione.

sociale ma che – proprio pensando all’avanzato lavoro diriconfigurazione del profilmico e alla radicale innovazio-ne delle tecniche di ripresa – guarda all’asse produttivitàtecnologica/visualità metropolitana cara alle avanguardiedegli anni Venti, alle ricerche del “Bauhaus” e, in particola-re, alle sperimentazioni filmiche di László Moholy-Nagy, ilcui intento «consiste nello studio e nella decostruzione delmovimento, che è insieme una qualità particolare dellametropoli e una componente strutturale del cinema»20.

3.3 Weimar/ Hollywood. L’intreccio di melodramma e«Art Film»

L’ibridazione tra l’idea weimariana del cinema comearte e le strutture epiche del cinema popolare americano,e in particolare del melodramma, attraversa Aurora a varilivelli. L’analisi della sequenza con cui prende avviol’azione drammatica del film può essere sviluppata inquesta direzione. Ci riferiamo all’incontro notturno neipressi della palude tra l’uomo e la sua amante di città21,

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20 P. Bertetto, Il cinema d’avanguardia. Teorie, poetiche, immaginazio-ne in Id. (a cura di), Il cinema d’avanguardia. 1910-1930, Marsilio,Venezia 1983, p. 62.

21 I personaggi di Aurora sono identificati come dei tipi universali(«the man», «the wife», «the woman from the city») ovvero“l’uomo”, “sua moglie” e “la donna di città”. A differenza delromanzo di Hermann Sudermann, Die Reise nach Tilsit (Viaggioa Tilsit) da cui è tratta la sceneggiatura di Carl Mayer, in cui iprotagonisti portano rispettivamente i nomi Ansa Balezus, In-dra e Busza. La scelta operata da Mayer della trasformazionedei personaggi in “tipi” mostra il chiaro debito con la dramma-turgia espressionista (in cui il nome proprio dei personaggi e lasingolarità dell’individuo sono sovvertiti con il richiamo a cate-gorie tipiche. Il soggetto più che ad una dimensione psicologi-

D’altronde in L’ultimo uomo l’idea stessa di movimen-to è il luogo di una ricerca stilistica totalizzante che rag-giunge il livello di massima concentrazione espressiva eche come tale percorre il film a vari livelli. Non soltantocon il ricorso alla camera scatenata o nei casi di dinami-smo cinetico dell’immagine realizzati con i numerosi gio-chi di lenti che figurano le percezioni del personaggio,ma anche in occasione delle inquadrature d’ambienterealizzate di fronte all’albergo (soprattutto nell’aperturadel film). Qui, nonostante la fissità del quadro, l’idea ditensione dinamica che attraversa le varie configurazionivisive assume la forma del brulichio incessante della vitametropolitana. Attraverso un uso mirabile della prospet-tiva forzata che esaspera la profondità dell’immagine epermette la disseminazione degli elementi mobili nelquadro, anche queste inquadrature fisse – oltre ai carrelli,ai movimenti di macchina e ai giochi di lenti (e di luci) –recuperano il gioco del movimento puro come pratica to-talizzante, forza tensiva e articolazione ritmica iscritta sinnell’organizzazione e allestimento del profilmico per ri-creare il dinamismo della metropoli. Proprio pensando aqueste celebri inquadrature della città possiamo guarda-re a L’ultimo uomo come ad un “film architettonico” (nelsenso che Murnau stesso attribuiva a questo termine) os-sia a un’opera di stilizzazione radicale dello spazio rea-lizzata attraverso i rapporti di movimento dell’immagi-ne, e che, in tal modo, trascende di gran lunga le eventua-li istanze morali o le coloriture realistiche legate allo sce-nario di Carl Mayer. Un progetto formale che insommanon può essere ridotto alla restituzione di un ambiente

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saggio del libro di Morin citato in M. Vernet, Figures de l’absence.De l’invisble au cinéma, Cahiers du Cinéma – Éditions de l’Etoile,Paris 1988, tr. it., Figure dell’assenza. L’invisibile al cinema, Ka-plan, Torino 2008, p. 57.

bambino, scoppia in lacrime riversa sul letto. Da qui hainizio il segmento di cui ci occupiamo. Esso è composto diventidue inquadrature e otto didascalie per una duratacomplessiva di sei minuti e trentacinque secondi. Tutta-via, la prima inquadratura – un long take che vedremo piùin dettaglio – dura da sola oltre un minuto e mezzo. Da unpunto di vista narrativo è possibile dividere il segmentoin tre atti, con un lungo momento centrale in cui, dopo uniniziale conflitto, l’uomo e la donna di città siglano il loropatto omicida. All’inizio vediamo l’uomo andare incontroalla donna che lo attende nascosta nella boscaglia dellapalude nei pressi del lago (inqq. 1-5).

Qui, nel corso del loro appuntamento amoroso, la don-na gli propone di vendere la fattoria per andare a viverecon lei nella grande città. Di fronte alle perplessità dell’uo-mo che non sa come abbandonare sua moglie, la donnasuggerisce di farla annegare nel lago simulando un inci-dente (inqq. 5-15). Lui ha una reazione rabbiosa e sembraquasi voler strangolare l’amante, ma poi i due si baciano,travolti dalla passione. L’uomo sembra ormai convinto.Improvvisamente scorrono di fronte a loro, sdraiati sullariva del lago, le immagini scintillanti della vita metropoli-tana. La donna si alza in piedi e inizia una danza freneticaquasi suggellando un rituale incantatorio, mentre l’uomo

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quando quest’ultima tenta di convincerlo del progettoomicida – uccidere sua moglie simulando un annegamen-to e fuggire con lei nella grande metropoli. È notte, l’uo-mo è appena uscito di casa attirato dal segnale della don-na di città che lo attende nei pressi della palude. Questospazio evoca già l’oscuro impulso che domina l’incederedell’uomo, il suo lento scivolare in un torbido desiderio lecui implicazioni più minacciose vengono automaticamen-te connotate presentando la donna di città come l’incarna-zione stessa del male e del peccato (e fa ormai parte del-l’epica della storia del cinema, l’idea di Murnau di mette-re dei pesi di piombo nelle scarpe indossate dall’attoreGeorge O’Brien per renderne ancora più inquietante l’an-datura). Mentre sua moglie siede sola e triste a tavola, duedonne commentano la scena («erano come bambini spen-

sierati, sempre felici esorridenti», recita la di-dascalia). Seguono quin-di alcune immagini bu-coliche dei loro giorni fe-lici, in cui vediamo lacoppia immersa nella se-renità della famiglia edella vita di campagna.Le donne proseguono il

racconto – «ora l’uomo si sta rovinando per quella donnadi città. Gli usurai si appropriano dei suoi averi». Tornia-mo quindi al presente, di nuovo sull’inquadratura dellamoglie seduta a tavola sola e sconsolata. A questo puntola donna si alza e, giunta nella stanza in cui dorme il loro

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ca viene ridotto ad un processo elementare di esemplarità). Cfr.P. Chiarini, Il teatro espressionista tedesco, Cappelli, Bologna1959.

visualità e al linguaggio impiegato che si può insommaguardare a Aurora come a un film «né europeo, né ameri-cano, ma qualcosa di una qualità deliberatamente univer-sale, che si trova in mezzo tra i due»23 (da cui discende ap-punto quel fascino che il film mantiene intatto presso glispettatori e i critici di ogni epoca).

Ad esempio, nella prima parte del segmento (inqq. 1-5) possiamo osservare, da un lato, il ricorso al montaggioalternato che esibisce il contrasto drammatico dell’azioneattraverso la giustapposizione dei due stereotipi femmini-li – la donna di città che seduce l’uomo mentre la moglie,rimasta sola in casa con il proprio bambino, piange dispe-rata – mentre dall’altro, l’impiego di quegli straordinarivirtuosismi della macchina da presa già sperimentati inL’ultimo uomo (uno dei principali motivi che attiraronol’interesse di Hollywood per Murnau). Attraverso uncomplesso sistema di binari aerei montati sul soffitto dellostudio, Murnau e i suoi operatori (Charles Rosher e KarlStruss) permettono alla cinepresa di seguire i passi del-l’uomo con un lungo e articolato movimento di macchina,realizzando una tra le più intense riprese in long take delcinema di tutti i tempi. Si tratta dell’inquadratura, delladurata di oltre un minuto e mezzo, con cui si apre il seg-mento. L’uomo avanza nella notte ripreso di spalle, men-tre sullo sfondo della radura che si apre di fronte a lui, laluna in alto nel cielo domina la composizione del quadro.La macchina da presa ne segue lo spostamento, gli gira in-torno penetrando assieme a lui nella boscaglia, fino a ri-prenderlo di fronte. A questo punto è l’uomo a venire in-contro alla cinepresa mentre questa si sposta per entrare

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23 G. Petrie, Hollywood Destinies: European Directors in America,1922-1931, Routledge & Kegan Paul, London/Boston/Melbourneand Henley 1985, p. 41.

si getta ai suoi piedi (inqq. 16-24). Infine la coppia fa ritor-no verso il villaggio. Nel tragitto lei gli ricorda le ultimeistruzioni per realizzare il loro piano (inqq. 25-30).

Questo segmento esibisce alcune delle principali dico-tomie che strutturano il film e presenta elementi di indub-bio interesse per ciò che riguarda il lavoro di messa in sce-na e i modi di figurazione attivati dal testo. Si tratta di op-posizioni binarie, messe peraltro in evidenza dai numero-si commentatori di Aurora22, che si definiscono, ad esem-pio, attorno al contrasto tra la città e la campagna, “dop-piato” per così dire attraverso la netta contrapposizionetra i due modelli di femminilità della donna angelica easessuata, da un lato, e della vamp spregiudicata e tenta-trice, dall’altro. Gran parte di queste diadi del raccontotuttavia possono essere ricondotte – come abbiamo visto –sullo sfondo dei due canoni culturali che sottendono allastessa operazione produttiva di Aurora, in cui la libertàcompositiva dell’“Art Film” europeo e gli standard narra-tivi hollywoodiani sembrano intrecciarsi alla perfezione.È insomma alla luce di un più ampio e continuo scambiotra cultura americana ed europea che devono essere inter-pretate le opposizioni strutturali su cui lavora il testo. Seda un punto di vista narrativo i contrasti e i caratteri deipersonaggi possono sembrare eccessivi, realizzati e con-dotti “a tinte forti” – nel solco della tradizione del melo-dramma popolare cui il film si richiama – da un punto divista stilistico e visivo Murnau lavora in termini assoluta-mente dialettici, integrando lo spirito del cinema di Wei-mar e delle sue conquiste formali nella grande macchinanarrativa hollywoodiana. È soprattutto in riferimento alla

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22 Ad esempio ogni paragrafo del libro di Lucy Fisher è dedicatoa una delle coppie oppositive configurate dal racconto e dallamessa in scena del film, su cui a lungo si è esercitata la critica.Cfr. L. Fisher, Sunrise. A Song of Two Humans, cit.

creando nello spettatore l’attesa per un incontro fatale e di-segnando contemporaneamente uno spazio a spirale chelentamente avvolge l’uomo e lo spinge verso il suo desti-no. Murnau trasforma cioè un momento di transizione – lospostamento di un personaggio da una parte all’altra dellascena – nella figurazione di uno spazio drammatico del-l’azione che esprime i moti interiori del personaggio. Ca-povolgendo l’ida di “punto morto” del film, Béla Balázsscriveva che, a differenza di quanto sostenuto da quei regi-sti ancora legati ad una concezione teatrale del dramma, ènegli spostamenti dei personaggi che si possono esprime-re le sfumature del loro stato d’animo. Scrive Balázs:

«Negli spostamenti si cela l’elemento lirico del film.Il solitario andare e venire del protagonista prima e do-po la scena principale equivale a veri e propri monolo-ghi del personaggio, che, al cinema, non risultano maiinnaturali […]. Riesco a immaginare molto bene uno sti-le cinematografico impressionistico, direi quasi maeter-linckiano, in cui non siano affatto le scene principali aessere rappresentate, ma solo i presentimenti e gli effettilirici degli avvenimenti – tutto questo attraverso le im-magini che presentano degli spostamenti»24.

tra la fitta vegetazione. Quiscorgiamo ora la donna, inpiedi, che attende l’uomo.Anch’essa è presentata sottol’immagine della luna che sispecchia nel lago. La donna,intravisto l’uomo che si av-vicina (ora fuoricampo), siaggiusta rapidamente il

trucco. L’uomo entra in campo e i due si abbracciano ap-passionatamente. Con uno stacco il film ci mostra, co-gliendo anch’essi in un abbraccio, la moglie e il bambinosoli in casa (riprendendo l’inquadratura del segmentoprecedente) e di nuovo un primo piano della donna in la-crime. Poi torniamo sulla riva del lago, dove l’uomo e ladonna di città si stanno baciando sotto la luce lunare.

Se da una parte ilmontaggio alternato sot-tolinea il dramma asso-ciando le due linee del-l’azione, è il movimentodi macchina della primainquadratura che si inca-rica di esprimere la ten-sione tragica della scena,

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24 B. Balázs, L’uomo visibile, cit., pp. 231-232. Da sottolineare che inquesto articolo Balázs propone tra gli esempi più riusciti di

viene mostrata la frenesia e il ritmo urbano della grandecittà, in un’altra suggestiva evocazione spettrale del desi-derio. Infatti, il modello di visualizzazione della metropo-li ricorda qui le ricerche sulla cosiddetta sinfonia visiva svi-luppate nell’ambito delle avanguardie. La sinfonia visiva

è d’altronde uno dei motivi fondamentali della più avan-zata ricerca filmica del periodo. Essa illustra l’«opzioneper un’essenzialità dell’immagine cinetica come ritmo,

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Avant-Garde Films of 1920s, pp. 237-250, e D. Macare, Ruttmann,Rhythm and “Reality”: A Response to Siegrfied Kracauer’s Interpre-tation of “Berlin. The Symphony of a Great City” (pp. 251-270) con-tenuti in D. Schuenemann (ed.), Expressionist Film. New Perspec-tives, cit. A proposito di Berlin, Paolo Bertetto scrive cha lascommessa di Ruttmann «consiste proprio nell’attraversarecon differenti metodi riproduttivi tutta la gamma della vita me-tropolitana, per costruire una sorta di organismo ambivalentein cui alla ricchezza e alla varietà delle determinazioni metro-politane, si sovrappone una superiore intenzione di ritmo visi-vo-sinfonico. Non è tanto la vita di grandi masse, come neiQuerschnittfilme, al centro del film, quanto la molteplicità delleimpressioni, cioè la combinazione di componenti e di stimolidiversi in una medesima orchestrazione formale». Vedi P. Ber-tetto, Il cinema d’avanguardia. Teorie, poetiche, immaginazione, cit.,p. 53. Una molteplicità di impressioni che in questo, e in altrisegmenti del film, caratterizza anche la messa in scena della vi-ta metropolitana in Aurora.

Potremmo così parlare di un monologo che, in questocaso, non è solo affidato alla mimica dell’attore, quantosoprattutto al movimento e agli spostamenti figurati dallamacchina da presa. È insomma lo spazio filmico costruitodal lungo movimento della cinepresa, l’elemento che evo-ca i fantasmi dell’uomo travolto dalla propria passione.La pittoricità della composizione (la luna e il paesaggiostilizzati, le pose plastiche degli attori) e il dinamismodella figurazione (il movimento di macchina), ovvero idue tratti emblematici dello stile di Murnau25, si trovanoqui perfettamente integrati con il pathos del melodrammapopolare. Aurora insomma non si limita al rimando a unagenerica atmosfera europea in un film americano. Anzi,nel praticare questa fusione di stili si spinge fino al recu-pero di certe suggestioni dell’avant-garde film26. È il casodel caleidoscopico gioco di sovrimpressioni, con cui ci

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questi «monologhi mimici di spostamento» la camminata soli-taria di Alfred Abel in Fantasma.

25 Questi i due tratti ricorrenti attorno a cui Dudley Andrew svi-luppa l’analisi di Aurora in Film in the Aura of Art, PrincetonUniversity Press, Princeton 1984.

26 Anche se né Eisner né Siegfried Kracauer riconoscono l’impor-tanza dell’avanguardia nello sviluppo del cinema di Weimar, ilmodello di figurazione della vita metropolitana di Aurora ha adesempio non poche consonanze con le ricerche sviluppate nelcontesto della sinfonia visiva e dei modelli di figurazione dellavita metropolitana. Il 23 settembre 1927 (lo stesso anno di Sun-rise) si celebra al Traenenpalast di Berlino il trionfo della primadel film di Walter Ruttmann, Berlin. Die Sinfonie der Großstadt(Berlino, sinfonia di una grande città) filmato da Karl Freund, leg-gendario operatore di film quali Metropolis, Varieté (1925; E.A.Dupont) e L’ultimo uomo. Sui rapporti tra l’avanguardia e il ci-nema di Weimar vedi i saggi di D. Scheunemann, Activating theDifferences: Expressionist Film and Early Weimar Cinema, pp. 1-33,W. Schobert, “Painting in Time” and “Visual Music”: On German

ve fare riferimento all’inclinazione dell’epoca per l’esa-sperazione dei conflitti drammatici, trattati in termini ri-gidamente convenzionali. L’operazione portata avantidalla Fox con l’ingaggio di uno dei più prestigiosi registieuropei in circolazione, intendeva pertanto raccoglieretutta una tradizione popolare (come quella del cosiddettomelodramma rurale, ad esempio) per dimostrare che es-sa poteva essere trattata anche in un modo altamente so-fisticato. È in questo senso che si può parlare di Auroracome della «consapevole ricapitolazione di un genere»29.Aurora si sviluppa, infatti, lungo uno dei temi portantidel cinema popolare, vale a dire l’opposizione tra la città– luogo della tentazione, del vizio e della perdita di valori– e la campagna, che incarna invece la dimensione mora-le messa in pericolo dal progresso e dall’industrializza-zione. Un’opposizione binaria che, come abbiamo detto,viene sviluppata a forti tinte, secondo le regole del melo-dramma, e che ritroviamo nell’opposizione tra l’angelicae asessuata Janet Gaynor e la spregiudicata vamp di città,incarnata da Margaret Livingston, che invece rimanda aimodelli di femminilità inurbata tipici della flapper imper-

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29 R. Koszarski, An Evening’s Entertainment. The Age of the SilentFeature Picture, 1915-1928, Scriben’s New York, New York 1990,tr. it. parz. in O. Caldiron - S. Lucci - L. Marzo (a cura di), Cinea-merica, 1919-1929. Alle fonti del mito, cit., p. 83.

combinazione musicale di unità linguistiche referenzialipure, che attraversa il cinema degli anni venti come un’os-sessione permanente»27. Diversamente dal cinema astrattoo dal cinema puro, attraverso la sinfonia visiva si fa stradal’orchestrazione di materiali prelevati dal profilmico cheguardano al gioco di simbolismi tra il ritmo freneticodella metropoli e la ritmicità della percezione cinemato-grafica in una vicendevole esaltazione del moderno pereccellenza. Non a caso Mary Ann Doane legge questo seg-mento come uno dei momenti più apertamente autorifles-sivi del film – l’uomo e la donna come due spettatori cine-matografici che guardano il film della città o appunto lasua sinfonia visiva proiettata nel cielo di fronte a loro28.Questa allegoria visiva della città (così come le due lunepalesemente artificiali fatte costruire per la ripresa in longtake) che rimanda dunque palesemente all’orizzonte illu-sivo e alla figurazione intensiva del più colto cinema diWeimar, si intreccia con il pathos della scena e si integranell’orizzonte narrativo del film, senza affatto sovvertirnela struttura melodrammatica.

Com’è noto, per tuttal’era del cinema muto, ilmelodramma rappresentòuno dei modelli stilisticipredominanti a Hollywood.Soprattutto in questo casoper melodramma non deveintendersi un genere daiconfini definiti, bensì si de-

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27 P. Bertetto, Il cinema d’avanguardia. Teorie, poetiche, immaginazio-ne, cit., p. 51.

28 M.A. Doane, Desire in Sunrise, in «Film Reader», n. 2, 1977, pp.71-77.

questa linea sviluppando il tema oppositivo in favoredella campagna e dell’idea di “paradiso perduto” che vi ècustodito, in Murnau l’operazione appare culturalmentepiù complessa. Scrive Jean Douchet:

«Nella grande tradizione romantica l’attraversa-mento del male è necessario per la conquista del bene.La possibilità di una complicità tra città e campagnaconferisce a Aurora una profondità e una ricchezza chela semplice opposizione reazionaria tra i due concettinon poteva che annullare. I due archetipi sono qui mo-dernizzati. Con questo suo primo film hollywoodiano,Murnau si trova nella posizione dell’emigrante. Co-struisce, sulle due rive del lago, la scenografia del vil-laggio e quella della città. Il villaggio è tipicamente te-desco, secondo la “imagerie” romantica del gotico; lacittà al contrario è la quintessenza della metropoli con-cepita come americana, così com’è vissuta dalla fanta-sia. Aurora è dunque una riflessione sul rapporto tra lamentalità arcaica della vecchia Europa e i valori dinami-ci del pensiero industriale dell’America, e sulla necessi-tà di arricchire le due visioni una con l’altra»32

La sequenza analizzata sviluppa questa doppia visio-ne dall’interno di precise soluzioni formali. Al di là in-somma dell’andirivieni tra i due archetipi scenografici ri-chiamati da Douchet, si deve ricordare il fatto che in Au-rora il ruolo della città viene invertito da luogo di perdi-zione a luogo di recupero della coppia di sposi. Attraver-so i richiami dell’avanguardia europea e dell’Espressio-nismo, gli elementi tragici e romantici – così specifici del-lo stile visivo di Murnau – si mescolano dunque allo spi-

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32 J. Douchet, La ville tentaculaire, in AA.VV., Cités-Cines; Ramsey,Paris 1987, tr. it. parz. in O. Caldiron - S. Lucci - L. Marzo (a cu-ra di), Cineamerica, 1919-1929. Alle fonti del mito, cit., p. 103.

sonata da attrici come Clara Bow e Joan Crawford, maanche e più specificatamente all’erotismo trasgressivo diWeimar30. Anche per questo Eisner legge la figura delladonna di città – e in particolare i suoi movimenti esaspe-rati nel corso della danza rituale con l’uomo ai suoi piedi– come l’allegoria stessa dell’Espressionismo31. In ognicaso, se sotto l’influenza della coppia «Griffith-Dickens» imaggiori cineasti del muto portarono un contributo a

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30 A proposito del passaggio dai modelli di femminilità del cine-ma degli anni Dieci alle nuove figure femminili della flapper deiRoaring Twenties, Veronica Pravadelli scrive: «Segnata dallo spi-rito di indipendenza e dal desiderio di autoaffermazione, per-seguita anche con un uso libero del corpo e della sessualità, lanuova donna eclissa l’immagine del modello vittoriano, rap-presentato sullo schermo dalle eroine deboli, sofferenti e puredel cinema di Griffith interpretate da Lillian Gish e Mary Pick-ford. Questa dicotomia esprime quella transizione epocale, perla condizione femminile, che gli storici hanno felicemente defi-nito il passaggio dalla “True Womanhood” vittoriana alla“New Womanhood”», vedi Id., La grande Hollywood. Stili di vitae di regia nel cinema classico americano, Marsilio, Venezia 2007, p.53. In tal senso Aurora gioca consapevolmente sulla coesistenzae sulla contrapposizione dei due modelli di femminilità. Tutta-via se il personaggio di Janet Gaynor aderisce perfettamente al-l’eroina sofferente del melodramma degli anni Dieci, nella don-na di città convivono sia l’indipendenza della flapper che i mo-delli di erotismo perturbante e bellezza demoniaca promossinel clima trasgressivo della Berlino di Weimar, e oltremodostigmatizzati negativamente dalla cultura puritana americanadell’epoca. Per un discorso sui modelli di erotismo estremopromossi dalla cultura di Weimar vedi M. Gordon, VoluptuousPanic. The Erotic World of Weimar Berlin, Feral House, Los Ange-les 2006.

31 Cfr. L. Eisner, Murnau, cit. Vedi anche B. Parger, Taming Impul-ses: Murnau’s Sunrise and the Exorcism of Expressionism, in «Lite-rature/Film Quarterly», n. 4, 2000, pp. 284-291.

Filmografia

Der Knabe in Blau [1919; Il ragazzo in blu]

Thomas von Weerth, ultimo discendente di una nobile fa-miglia, vive nel suo castello in compagnia di un servitore.L’uomo è ossessionato dal ritratto di uno dei suoi avi chegli assomiglia in modo straordinario. Nel dipinto spiccauna spilla, il cosiddetto “smeraldo della morte”, su cuigrava una maledizione. Dopo un sogno rivelatore, Tho-mas trova lo smeraldo e decide di tenerlo, nonostantel’invito del servitore a disfarsene per non incorrere nellamaledizione. In seguito a un incendio, il ritratto vieneconsumato dalle fiamme. Thomas, ormai ammalato, ri-torna alla vita grazie all’amore di una giovane attricegiunta al castello assieme a una compagnia di gitani.

Regia: F.W. Murnau; sceneggiatura: Edda Ottershausen;fotografia: Carl Hoffmann; scenografia: Willi A. Hermann;interpreti: Ernst Hofmann, Blandine Ebinger, MargitBarnay, Karl Platen, Georg John, Leonhard Haskel, Ru-dolf Klix, Schmidt-Verden, Marie von Bülow; produzio-ne: Ernst Hofmann-Film; origine: Germania; durata: 85’ a16 fps.

Satanas [1919; Satana]

Tre episodi ambientanti in altrettante epoche storiche(l’Egitto dei Faraoni; la corte dei Borgia; le propagazioni

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rito della cultura americana confermando l’assolutoeclettismo del suo cinema.

Se nella sua struttura di fondo il film segue l’orizzontedella cosiddetta commedia del rimatrimonio (secondo lacelebre formula di Stanley Cavell) – ossia riunire un uo-mo e una donna dopo una separazione – esso ne esploraanche, grazie alla sua straordinaria visionarietà che me-scola sensibilità europea e spirito americano, quello sfon-do universale che rimanda tanto ai suoi lati oscuri che aisuoi momenti utopici e riconcilianti33. Come recita la di-dascalia con cui si chiudono i titoli di testa del film, «que-sta canzone di un uomo e di sua moglie è di nessun luogoe di nessun luogo. La si può ascoltare ovunque in ognimomento. Perché laddove il sole sorge e tramonta nel fer-mento della città o sotto il cielo limpido della campagna;così è la vita, a volte amara, a volte dolce».

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33 Anche se in questo caso la riconciliazione non segue il divorzioo la minaccia di divorzio, ma un tentativo di omicidio. Comeafferma Cavell, «Tutte le commedie del rimatrimonio conten-gono un lato oscuro, momenti nei quali un mondo circostantemalinconico o tragico viene a un soffio di distanza dalle risateche gli uomini e le donne protagonisti di queste commedie siconcedono reciprocamente». Allo stesso tempo rimandano adun elemento utopico, vicino a ciò che intendevano Emerson eThoreau «quando auspicavano un nuovo giorno, una rinnova-ta convinzione che un autentico cambiamento è possibile, chenoi non siamo destinati a volere una ripetizione senza il muta-mento delle istituzioni, matrimonio in testa, che hanno prodot-to la presente scena di ossessione e di assenza di gioia che la ge-nerazione precedente ci ha preparato». Vedi S. Cavell, Pursuit ofHappiness: The Hollywood Comedy of Remarriage, Harvard Uni-versity Press, Harvard 1981, tr. it., Alla ricerca della felicità. Lacommedia hollywoodiana del rimatrimonio, Einaudi, Torino 1999,p. 11.

Der Januskopf [1920; La testa di Giano]

Il Dottor Warren acquista nel negozio di un antiquario unbusto che da un lato mostra il profilo di un Dio e dall’al-tro quello del Demonio. La sua contemplazione però gligenera inquietudine e cerca inutilmente di disfarsene.Warren capisce ben presto che la sua personalità si stasdoppiando: di notte si trasforma nel famigerato Mr.O’Connor che, a poco a poco, prende il sopravvento sultranquillo Dottor Warren.

Regia: F.W. Murnau; soggetto e sceneggiatura: Hans Janowitz(a partire dal romanzo di Robert Louis Stevenson, Lo stra-no caso del dottor Jekyll e del signor Hyde); fotografia: CarlHoffmann; Karl Freund; scenografia: Heinrich Richter; in-terpreti: Conrad Veidt, Magnus Stifter, Bela Lugosi, Mar-garete Schlegel, Willy Kaiser-Heyl, Margarete Kupfer,Danny Gürtler, Gustav Botz, Jaro Fürth, Hans Lanser-Ludolff, Marga Reuter; produzione: Lipow-Film; distribu-zione: Erich Pommer per la Decla-Bioscop; origine: Ger-mania; durata: 121’ a fps.

Sehnsucht [1920; Nostalgia]

Uno studente russo che vive a Ginevra sogna di diventareun famoso ballerino. Vuole tornare in Patria, ma non hasoldi ed entra così in contatto con un gruppo di rivoluzio-nari che, in cambio di una missione, promettono di aiutar-lo. Scoperto dalla polizia, viene portato in carcere. Fuggitodi prigione, cerca la donna amata fino a che scopre chequesta è morta di crepacuore mentre lui era in prigione.

Regia: F.W. Murnau; soggetto e sceneggiatura: Carl Heinz Jarosy; fotografia: Carl Hoffmann; scenografia: Robert Neppach;

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europee della Rivoluzione del 1917) che raccontano lesembianze assunte da Satana tra gli uomini. Gli episodisono preceduti da un prologo in cui Dio promette a Sata-na la redenzione se questi, una volta sulla terra, riuscirà adimostrare che è possibile far sorgere il bene dal male.

Regia: F.W. Murnau; soggetto e sceneggiatura: Robert Wie-ne; fotografia: Karl Freund; supervisione artistica: RobertWiene; scenografia: Ernst Stern; interpreti: Conrad Veidt,Fritz Kortner, Sadjah Gezza, Ernst Hofmann, MargitBarnay, Else Berna, Jaro Fürth, Ernst Stahl-Nachbaur,Martin Wolfgang, Marija Leiko, Elsa Wagner, Max Kronert, produzione: Viktoria-Film; origine: Germania; durata: 140’a 16 fps.

Der Bucklige und die Tänzerin [1920; Il gobbo e la ballerina]

Wilton, un uomo gobbo, malato e misogino, trascorre al-cuni anni nell’isola di Giava dove diventa ricco in seguitoalla scoperta di una miniera di diamanti. Lì conosce laballerina Gina, che accetta la sua corte per far ingelosire ilsuo compagno, Smith. Per vendicarsi del fatto che Ginadecide di tornare da lui, Wilton mette un veleno nelle cre-me e negli elisir javanesi che offre alla donna. Il velenouccide le persone che si avvicinano a Gina, ma non coleiche li usa. Anche lui sarà contagiato.

Regia: F.W. Murnau; soggetto e sceneggiatura: Carl Mayer;fotografia: Karl Freund; scenografia: Robert Neppach; inter-preti: Sascha Gura, John Gottowt, Paul Biensfeld, Annavon Palen, Henri Peters-Arnolds, Bella Polini; produttore:Erwin Rosner; produzione: Helios-Film; origine: Germania;durata: 84’ a 16 fps.

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il villaggio dei pescatori e torna in città. Solo il suicidio diLily lo convince ad operare il pittore per tentare di resti-tuirgli la vista.

Regia: F.W. Murnau; sceneggiatura: Carl Mayer (a partiredal soggetto danese Der Sieger, di Harriet Bloch); fotogra-fia: Max Lutze; scenografia: Heinrich Richter; interpreti:Olaf Fönss [Fønss], Erna Morena, Gudrun Bruun-Steffensen, Conrad Veidt, Clementine Plessner; produzione: Goron-Film; origine: Germania; durata: 105’ a fps.

Marizza, gennant die Schumugglermadonna (1920; Marizza,detta la signora dei contrabbandieri)

Marizza è vittima delle pressioni della contrabbandie-ra Yelina che le chiede di circuire Haslinger affinché leie i suoi complici possano operare liberamente. La gio-vane si rifiuta e va a abitare dalla signora Avricolos,un’aristocratica caduta in disgrazia che vive coi suoidue figli, Antonino e Christo. Marizza inizia una rela-zione con Christo ma quando Antonino la scopre, fug-ge via. Per placare la gelosia di quest’ultimo versoHaslinger, e salvarlo dal suo furore omicida, Marizzauccide l’uomo. Del delitto si autoaccusa Antonino cheva in carcere.

Regia: F.W. Murnau; sceneggiatura: Hans Janowitz (a par-tire dal manoscritto Grüne Augen, di Wolfgang Geiger);fotografia: Karl Freund; scenografia: Heinrich Richter; inter-preti: Tzwetta Tzatschewa, Adele Sandrock, Harry Frank,Hans Heinrich von Twardowski, Leonhard Haskel, GretaSchröder, Marìa Forescu; produzione: Helios-Film; origine:Germania; durata: 96’ a fps.

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costumi: Charles Drecoll; interpreti: Conrad Veidt, GussyHoll, Eugen Klöpfer, Margarete Schlegel, Paul Graetz,Danny Gürtler, Helene Gray, Albert Bennefeld, MarcelaGremo, Ellen Bolan; produzione: Lipow-Film; origine: Ger-mania; durata: 96’ a fps.

Abend-Nacht-Morgen [1920; Sera… notte… mattino]

Spinta da suo fratello Brilburn, Maud fa sì che Cheston,il suo ricco amante, le regali uno splendido collier. Che-ston mostra il gioiello ai suoi amici tra i quali c’è Prince,un giocatore incallito. Nel tentativo di rubare il collierper pagare i suoi debiti, Prince uccide il suo amico Che-ston e fugge simulando un suicidio. Dopo che i primi so-spetti cadono su Brilburn, Prince viene incastrato dallapolizia.

Regia: F.W. Murnau; sceneggiatura: Rudolf Schneider; foto-grafia: Eugen Hamm; scenografia: Robert Neppach; inter-preti: Gertrude Welcker, Conrad Veidt, Bruno Ziener, OttoGebühr, Carl von Balla; produzione: Helios-Film; origine:Germania; durata: 93’ a fps.

Der Gang in die Nacht [1920; Il cammino nella notte]

Per festeggiare il compleanno di Helene, la sua promessasposa, il medico Eigil Börne la porta a vedere uno spettaco-lo di cabaret. Dal momento che la ballerina Lily si innamo-ra di Börne, il medico rompe i suoi rapporti con Helene. L’armonia della nuova coppia è interrotta dall’ingressonelle loro vite di un giovane pittore che ha perso la vista,di cui Lily si innamora perdutamente. Börne abbandona

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do per sconfiggere l’epidemia ed eliminare Nosferatu, èesporlo alla luce del sole. La donna si sacrifica donando ilsuo sangue al vampiro fino a che non giunge l’alba.

Regia: F.W. Murnau; sceneggiatura: Henrik Galeen (a parti-re dal romanzo Dracula di Bram Stoker); fotografia: FritzArno Wagner; musica: Hans Erdmann; scenografia e co-stumi: Albin Grau; interpreti: Max Schreck, Gustav vonWangenheim, Greta Schröder, Georg Heinrich Schnell; pro-duzione: Prana-Film; origine: Germania; durata: 106’ a 16 fps.

Der brennende Acker [1922; La terra che brucia]

Rimasto orfano dopo la morte di suo padre, Peter prendein consegna la fattoria di famiglia. Suo fratello Johannesinvece, ritenendosi insoddisfatto della vita rurale (e del-l’amore della sua fidanzata, Maria), decide di farsi assu-mere come segretario dal conte Rudenberg. La sua ambi-zione lo porta a corteggiare Gerda, l’affascinante unica fi-glia del suo datore di lavoro, ma quando scopre che la se-conda moglie del conte sta per ereditare un giacimento dipetrolio, i suo progetti cambiano. Il suo arrivismo lo con-durrà alla rovina, fino a che non farà ritorno alla campa-gna da cui era partito e ritroverà Maria.

Regia: F.W. Murnau; sceneggiatura: Willy Haas, Thea vonHarbou, Arthur Rosen; fotografia: Fritz Arno Wagner, KarlFreund; musica: Alexander Schirmann; scenografia: Ro-chus Gliese; interpreti: Werner Krauss, Eugen Klöpfer,Vladimir Gajdarov, Eduard von Winterstein, Lya De Putti, Stella Arbenina, Alfred Abel, Grete Diercks, Elsa Wagner,Emilia Unda, Georg John, Robert Leffler, Gustav Botz;produzione: Goron-Deulig-Exclusiv-Film; origine: Germa-nia; durata: 144’ a 16 fps.

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Schloss Vogelöd [1921; Il castello di Vogelod]

Nel castello di Vogelod, un gruppo di aristocratici attendela baronessa Safferstädt. Tra questi c’è anche il conteOetsch, che si è autoinvitato. Tutti sono convinti che, treanni prima, il conte abbia assassinato il primo marito dellabaronessa, ed egli è pertanto un ospite indesiderato.Oetsch invece è deciso a restare al castello e annuncia chetroverà il vero colpevole dell’omicidio. Nei panni di padreFaramund, un religioso giunto da Roma, Oetsch smasche-ra il barone Safferstädt, secondo marito della baronessa.

Regia: F.W. Murnau; sceneggiatura: Carl Mayer (a partireda un romanzo di Rudolf Stratz); collaboratore alla sceneg-giatura: Berthold Viertel; fotografia: László Schäffer, FritzArno Wagner; scenografia: Hermann Warm; direttore arti-stico: conte di Montgelas; interpreti: Arnold Korff, LuluKyser-Korff, Lothar Mehnert, Paul Hartmann, Paul Bildt,Olga Tschechowa, Hermann Vallentin, Julius Falken-stein, Georg Zawatzky, Robert Leffler; produzione: Uco-Film; origine: Germania; durata: 88’ a 16 fps.

Nosferatu, eine Symphonie des Grauens (1921; Nosferatu ilvampiro)

Un commerciante di terreni invia in Transilvania uno deisuoi agenti immobiliari, Hutter, per trattare la vendita diuna casa al misterioso conte Orlok. Questi si rivela essere inrealtà Nosferatu, il terribile vampiro oggetto delle supersti-zioni locali cui, inizialmente, Hutter non dà alcun credito.Nel frattempo, nella città di Wisborg, sua moglie Ellen hainquietanti presentimenti. Dopo aver aggredito Hutter,Nosferatu arriva a Wisborg nascosto in una bara. Mentrenella città si diffonde la peste, Ellen capisce che l’unico mo-

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Regia: F.W. Murnau; sceneggiatura: Thea von Harbou (a par-tire dal dramma di Carl Hauptmann); fotografia: KarlFreund; musica: Hans Joseph Vieth; scenografia: Rochus Gliese, Erich Czerwonski; interpreti: Carl Goetz, Ilka Grüning,Eugen Klöpfer, Aud Egede Nissen, Lucie Mannheim,Wilhelm [William] Dieterle, Robert Leffler, Jacob Tiedke; pro-duzione: Decla-Bioscop; origine: Germania; durata: 85’ a 16 fps.

Die Finanzen des Grossherzogs (1923; Le finanze del Granduca)

Il Granduca di un immaginario paese del Mediterraneoha quasi dilapidato del tutto la propria fortuna e il paeseè sull’orlo della rivolta. Solo la vendita di un ricco giaci-mento di zolfo potrebbe salvarlo dalla crisi, ma l’uomo sirifiuta di ascoltare i consigli del suo segretario. L’arrivodi una misteriosa aristocratica, innamorata dell’uomo,riuscirà a riassestare la situazione.

Regia: F.W. Murnau; sceneggiatura: Thea von Harbou (apartire dal romanzo Storhertigens finanser di Frank Heller); fotografia: Karl Freund, Franz Planer; scenografia: RochusGliese, Erich Czerwonski; interpreti: Harry Liedtke, MadyChristians, Robert Scholz, Alfred Abel, Adolphe Engers,Hermann Vallentin, Julius Falkenstein, Guido Herzfeld,Walter Rilla; produzione: Union-UFA; origine: Germania;durata: 126’ a 16 fps.

Der letze Mann (1924; L’ultimo uomo)

L’anziano portiere del prestigioso Hotel Atlantic, rispetta-to e riverito per il proprio ruolo nel quartiere popolare do-ve vive, viene declassato a sorvegliante dei bagni. Deriso eumiliato, si riscatterà soltanto grazie a una fortuita eredità.

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Phantom (1922; Fantasma)

Lorenz è un impiegato che coltiva sogni letterari. Ungiorno, mentre si reca al lavoro, incrocia lo sguardo diuna bellissima ragazza a bordo della carrozza che lo hainvestito e ne resta immediatamente folgorato. Da quelmomento la sua vita cambia. Ossessionato dalla donna,Lorenz entra in un vortice di perdizione morale che lo ve-drà coinvolto nell’uccisione della vecchia usuraia Schaw-be, omicidio per il quale sarà condannato alla reclusione.

Regia: F.W. Murnau; sceneggiatura: Thea von Harbou (apartire dal romanzo di Gerhart Hauptmann); fotografia:Axel Graatkjaer, Theophan Ouchakoff; musica: Leo Spies;scenografia: Hermann Warm, Erich Czerwonski; costumi:Vally Reinecke; interpreti: Alfred Abel, Frida Richard, AudEgede Nissen, Hans Heinrich von Twardowski, Karl Etlinger,Lil Dagover, Grete Berger, Anton Edthofer, Lya De Putti,Adolf Klein, Olga Engl; produzione: Uco-Film/Decla-Bioscop; origine: Germania; durata: 159’ a 16 fps.

Die Austreibung [1923; L’espulsione]

Steyer, un uomo anziano, vive in una fattoria isolata conil figlio vedovo. Questi si risposa con Ludmilla che, inrealtà, lo avvicina solo per sfuggire alla povertà e infattilo tradisce con Lauer, un cacciatore. Ludmilla convinceSteyer a vendere la fattoria per trasferirsi in città. Steyer,capito che la donna in realtà vuole soltanto stare vicina alsuo amante, ben presto si pente della vendita. Scopertadefinitivamente l’infedeltà di Ludmilla nel corso di unatremenda tempesta di neve, Steyer, disilluso e amareg-giato, permette che la vendita sia portata a termine.

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Regia: F.W. Murnau; sceneggiatura: Hans Kyeser, GerhartHauptmann (a partire dalle opere omonime di JohannWolfgang Goethe e Christopher Marlowe); fotografia: CarlHoffmann; musica: Werner Richard Heymann; scenografiae costumi: Robert Herlth, Walter Röhrig; costumi: GeorgesAnnenkov; trucco: Waldemar Jabs; interpreti: Gösta Ekman, Emil Jannings, Camilla Horn, Yvette Guilbert, FridaRichard, Wilhelm [William] Dieterle, Eric Barclay, HannaRalph, Werner Fuetterer, Hans Brausewetter; produzione:UFA; origine: Germania; durata: 135’ a 16 fps.

Sunrise: A Song of Two Humans (1927; Aurora)

Sedotto da una turista di città arrivata in campagna peruna vacanza, un contadino medita di uccidere sua mo-glie per andare a vivere con la sua amante nella metropo-li. Tenta di annegarla durante una scampagnata in barca,ma all’ultimo momento ci ripensa. Durante una gita incittà, i due si riconciliano ma, nel tragitto di ritorno inbarca, una tempesta rischia di uccidere la donna. Tutto ri-torna sereno con le prime luci dell’alba.

Regia: F.W. Murnau; sceneggiatura: Carl Mayer (a partiredal racconto Die Reise nach Tilsit di Hermann Sudermann);fotografia: Charles Rosher, Karls Struss; montaggio:Harold D. Schuster; musica: Hugo Riesenfeld, WillySchmidt-Gentner; scenografia e costumi: Rochus Gliese; ef-fetti speciali: Frank D. Williams; interpreti: George O’Brien, Janet Gaynor, Margaret Livingston, Bodil Rosing,J. Farrell MacDonald, Ralph Sipperly, Jane Winton, Ar-thur Housman, Eddie Boland, Barry Northon; produzio-ne: Fox Film Corporation; origine: Stati Uniti; durata: 97’ a24 fps.

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Regia: F.W. Murnau; sceneggiatura: Carl Mayer; fotografia:Karl Freund; musica: Giuseppe Becce; scenografia: RobertHerlth, Walter Röhrig; trucco: Waldemar Jabs; interpreti:Emil Jannings, Maly Delschaft, Kurt [Max] Hiller, EmilieKurz, Hans Unterkircher, Olaf Storm, Hermann Vallentin, Georg John, Emmy Wyda; produzione: UFA; origine: Ger-mania; durata: 126’ a 16 fps.

Herr Tartüff (1925; Tartufo)

Il ricco Orgone è vittima del plagio e dei raggiri di Tartu-fo, un finto religioso che si introduce in casa sua per ap-profittare dei suoi beni. Verrà tradito dall’infatuazioneper Elmira, moglie di Orgone, che tenterà in ogni mododi smascherarlo.

Regia: F.W. Murnau; sceneggiatura: Carl Mayer (a partiredella commedia Tartufo di Molière); fotografia: KarlFreund; musica: Giuseppe Becce; scenografia e costumi: Ro-bert Herlth, Walter Röhrig; interpreti: Emil Jannings, Wer-ner Krauss, Lil Dagover, Lucie Höflich, André Mattoni,Rosa Valetti, Hermann Picha; produzione: UFA; origine:Germania; durata: 102’ a 16 fps.

Faust - Eine deutsche Volkssage (1926; Faust)

Sceso in terra per dimostrare a Dio l’invincibilità del male,Mefistofele tenta il vecchio Mago Faust, promettendoglil’eterna giovinezza. Faust seduce Margherita, ma quandoil figlio della donna muore, lei viene condannata al rogoper infanticidio. Faust si maledice e, dopo aver rinunciatoalla giovinezza, sale sul rogo e sacrifica se stesso.

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donna dovrà però scontrarsi con l’aperta ostilità della fa-miglia di suo marito e di tutta la comunità rurale.

Regia: F.W. Murnau; sceneggiatura: Berthold Viertel,Marion Orth (a partire dalla pièce, The Mud Turtle di ElliottLester); fotografia: Ernest Palmer; montaggio: Harold Schuster,H.H. Caldwell, Katherine Hilliker; scenografia: HarryOliver; costumi: Sophie Wachner; interpreti: Mary Duncan,Charles Farrell, David Torrence, Edith Yorke, Tom McGuire,Pat [Patrick] Rooney, Roscoe Ates, Ed Clay, Jack Pennick,Eddie Boland; produzione: Fox Film Corporation; origine:Stati Uniti: durata: 92’ a 24 fps (versione muta), 69’ a 24 fps(versione sonorizzata con 50% di dialoghi).

Tabu (1931; Tabù)

Reri, la più bella ragazza del villaggio, viene scelta per esse-re consacrata alla divinità locale; e come tale dovrà restarevergine. Matahi, il suo fidanzato, non accetta il verdetto delvillaggio e la rapisce. I due innamorati fuggono su un’altraisola ma Hitu, il sacerdote che l’ha consacrata, convince laragazza a tornare a casa. Matahi tenta invano di raggiun-gerla e riportarla indietro, ma muore annegato.

Regia: F.W. Murnau; soggetto e sceneggiatura: Robert J. Flahertye F.W. Murnau; fotografia: Floyd Crosby, Robert J. Flaherty;montaggio: Arthur A. Brooks; musica: Hugo Riesenfeld; in-terpreti: Anne Chevalier, Matahi, Hitu, Bill Bambridge,Jules, Fong Ah; produzione: F.W. Murnau-Robert J. FlahertyProductions; origine: Stati Uniti; durata: 81’.

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Four 4 Devils [1928; I quattro diavoli]

Quattro fratelli orfani – Marion, Charles, Louise e Adolf –vengono affidati al direttore del circo Cecchi. Una voltacresciuti, diventano dei celebri equilibristi che si esibisco-no con il nome di “Quattro diavoli”. Charles, di cui Ma-rion è innamorata, viene sedotto da una dama del belmondo che si invaghisce di lui nel corso di uno spettaco-lo. Il ragazzo si allontana così da Marion che tenta invanodi riconquistarlo. Durante un pericoloso numero aereo,la donna si lascia cadere dal trapezio per la disperazione.Charles, sul punto di impazzire dal rimorso, viene tran-quillizzato dai medici: Marion si salverà.

Regia: F.W. Murnau; sceneggiatura: Carl Mayer, MarionOrth, Berthold Viertel (a partire dal racconto De Fire Djævle di Herman Joachim Bang); fotografia: Ernest Palmer, L.William O’Connell; montaggio: Harold D. Schuster; musi-ca: S.L. Rothafel; scenografia: William Darling; trucco: ChasDudley; interpreti: Janet Gaynor, Charles Morton, MaryDuncan, J. Farrell MacDonald, Anders Randolf, ClaireMcDowell, Jack Parker, Philippe de Lacy, Nancy Drexel,Barry Norton; produzione: Fox Film Corporation; origine:Stati Uniti; durata: 105’ a 24 fps (durata della versione con25% di dialoghi aggiunti uscita nel 1929: 117’ a 24 fps).

Our Daily Bread / City Girl [1929; Il nostro pane quotidia-no / Ragazza di città]

Il giovane contadino Lem si reca a Chicago, su missionedi suo padre Tustine, per la vendita del grano. Qui incon-tra Kate, una cameriera e se ne innamora. I due si sposa-no e vanno a vivere nella fattoria del padre di Lem. La

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Bibliografia essenziale

Scritti di F. W. Murnau

Murnau non ha rilasciato molte interviste né sono ar-rivati a noi molti suoi scritti, se si eccettuano alcuni arti-coli per riviste specializzate comparsi durante il periodoin cui lavorò per la Fox. I più celebri, e gli unici in cuiMurnau si esprime sull’estetica cinematografica, sono:The Ideal Picture Needs No Titles (By Its Very Nature the Art

of the Screen Should Tell a Complete Story Pictorially), in«Theatre Magazine», n. 322, january, 1928;

The Film of the Future, in «McCall’s Magazine», september1928.Anche per quel che riguarda le interviste, la maggior

parte del materiale (per lo più dichiarazioni desunte dal-le presentazioni dei film) concerne soprattutto il periodoamericano. Rimando ai lavori di Luciano Berriatúa cheha raccolto parte di questo materiale (di cui non si cono-sce la reale entità). Si veda in particolare il secondo volu-me di Los proverbios chinos de F.W. Murnau, (Entrevistas yarticolo de Murnau, pp. 465-506).

Scritti su F. W. Murnau

Opere in volumeAA.VV., F.W. Murnau. Rétrospective (novembre-décembre

1986), Le Havre, Maison de la Culture, 1986.

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Amengual, B., De quelques hypotheses sur Nosferatu et lesiens, in «Les Cahiers de la Cinémathèque», n. 49,1988, pp. 21-28.

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180

I Il viandante sul mare di nebbia Pag. 11

II Il sentimento della forma » 332.1 Murnau e il cinema di Weimar » 332.2 I film perduti » 482.3 L’arte di evocare fantasmi. Temi, figure, motivi » 532.4 Splendore dell’UFA » 782.5 L’invenzione della tradizione » 972.6 Murnau e Fox » 1062.7 Una sinfonia della natura » 120

III Tre sequenze » 1273.1 La produzione del fantasma

e le congiunzioni virtuali » 1273.2 Il gioco del movimento puro

e le forme dinamiche della soggettività » 1393.3 Weimar/Hollywood.

L’intreccio di melodramma e «Art Film» » 147

Filmografia » 161

Bibliografia essenziale » 175

183

Indice

LE TORRI

1. Alessio Scarlato, Robert Bresson. La meccanica della grazia2. Andrea Bellavita, Luchino Visconti. Il teatro dell’immagine3. Fabio Carlini, John Ford. Il gusto della narrazione4. Alessia Cervini, Sergej M. Ejzenstejn. L’immagine estatica5. Giorgio Simonelli, François Truffaut. La geometria delle passioni6. Alessandro Mazzanti, Charlie Chaplin. Il tempo delle immagini7. Daniele Dottorini, Jean Renoir. L’inquietudine del reale8. Francesco Netto, Ingmar Bergman. Il volto e le maschere9. Tonino Repetto, Luis Buñuel. La logica irridente dell’inconscio10. Roberto Manassero, Alfred Hitchcock. Lo sguardo del desiderio11. Marco Muscolino, Jacques Tati. Il suono delle immagini12. Andrea Minuz, Friedrich Wilhelm Murnau. L’arte di evocare fantasmi

DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE13. Alessandro Canadè, Howard Hawks. Le forme dei generi

Finito di stampare nel mese di giugno 2010dalla Società Tipografica Romana s.r.l.

Via Carpi, 19 - Pomezia (Roma)