La tutela giurisdizionale e il silenzio della P.A.
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La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
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Indice
Introduzione……………………………………………………..4
Capitolo 1 – Silenzio della p.a.: presupposti ed evoluzione
storica…………………………………………………………….6
1. Precisazioni terminologiche: i “tre silenzi” della pubblica
amministrazione …………………………………………………....6
2. Evoluzione e ambito del silenzio ………………………………….7
3. Il silenzio-diniego………………………………………………....13
4. Il silenzio-assenso ………………………………………………...18
5. Il silenzio-rifiuto (o silenzio-inadempimento)…………………….22
6. La disciplina anteriore alla legge 7 agosto n.241 del 1990 conte-
nente disposizioni sul procedimento amministrativo .......................30
7. La disciplina del silenzio-rifiuto oggi: i problemi connessi con la
necessita della diffida, il termine per impugnare …………………35
a) Il ruolo della diffida: da passaggio necessario per ricorrere con-
tro il silenzio della P.A. a strumento facoltativo nelle mani del
cittadino ……………………………………………………………35
b) i termini per impugnare l’inerzia della P.A………………………..40
c) le connesse modifiche alla comunicazione di avvio del procedi-
mento ………………………………………………………………41
d) i presupposti del silenzio-rifiuto ed in particolare il perdurare
dell’inerzia; il provvedimento amministrativo tardivo…………….42
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Capitolo 2 - La situazione alla luce della legge n.241 del 7
agosto 1990……………………………………………………..45
1. Le novità apportate dalla legge 241/1990…………………………..45
2. Il superamento del meccanismo procedurale previsto nell'art. 25
del T.U. n. 3 del 1957(sugli impiegati civili dello stato) e l'applic-
azione degli art. 2 e 3 della legge 241/1990………………………....47
3. L’ambito di applicazione della l. 7 agosto 241/1990……………….55
4. I termini del procedimento………………………………………….58
Capitolo 3 – Silenzio della p.a. e tutela giurisdizionale alla luce
della l. 205 del 2000 e dalla l. 69 del
2009………………………………...………………………………65
1. Riflessioni introduttive sul nuovo processo amministrativo…………65
2. Il rito processuale relativo al ricorso contro il silenzio nella legge n.
205/2000……………………………………………………………...73
3. La natura giuridica del giudizio sul silenzio ………………………..79
4. I poteri cognitori del G.A. in materia di silenzio inadempimento……84
5. Il commissario ad acta …………………………………………….....91
6. Cambiamenti alla legge 241 del 1990 da parte della legge 69
del 2009………………………………………………………………99
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7. Il mutamento di rito ed i motivi aggiunti nell'ambito del giudi-
zio avverso il silenzio……………………………………………….103
Conclusioni..........…………………………………………………….105
Bibliografia................................................................................112
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Introduzione
Il silenzio della pubblica amministrazione, e più in generale il tempo
dell’azione amministrativa, è un tema che da sempre ha catturato l’interesse
della giurisprudenza e della dottrina. In modo particolare, è un tema che
negli ultimi anni si è imposto al centro d’un acceso dibattito scaturito dalle
molteplici novità legislative recentemente susseguitesi, fino ad arrivare al
D.L. n. 35 del febbraio 2005, convertito nella legge n. 80, 14 maggio 2005.
Il termine silenzio sta a indicare da un lato il comportamento inerte della
pubblica amministrazione a fronte di un atto propulsivo di parte; dall’altro
può essere anche riferito a quella serie d’istituti specificamente preposti
alla rimozione degli effetti negativi prodotti dall’inerzia della P.A.
Si tratta di uno degli argomenti più complessi del diritto amministrativo,
perché l’inerzia della P.A. è tematica collegata ai tempi di conclusione del
procedimento amministrativo e certezza di conclusione dello stesso. In
questo quadro di crescente interesse per il “tempo” dell’azione
amministrativa, il legislatore, come già anticipato, è nuovamente
intervenuto sul comportamento omissivo della P.A. nel 2000 (legge n.205)
e poi nel 2005 (legge n.15 e legge n.80 di riforma alla legge 241\1990 sul
procedimento amministrativo), ponendo le basi per una nuova stagione di
rapporti tra cittadino e autorità amministrative.
Muovendo da tali premesse, con il presente lavoro verranno pertanto
descritte le varie tipologie di silenzio della P.A. e i relativi strumenti di
tutela per il privato, con particolare riferimento al silenzio-diniego e al
silenzio-rifiuto.
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Capitolo 1
Silenzio della p.a. : presupposti ed evoluzione storica
1. Precisazioni terminologiche: I “tre silenzi” della
pubblica amministrazione
Il silenzio della pubblica amministrazione e più in generale il tempo
dell’azione amministrativa sono stati argomenti che hanno sempre catturato
l’interesse dei giuristi e della dottrina. In modo particolare tali argomenti
sono entrati negli ultimi anni al centro di un acceso dibattito scaturito dalle
molteplici novità legislative susseguitesi negli ultimi tempi.
Uno sguardo attento infatti già dai primi anni novanta è stato volto dal
legislatore all’articolo 2 della legge 241 del 1990 in merito al tempo del
procedimento sino ad arrivare a quella che da alcuni autori viene definita
una “rivoluzione” avutasi con il D.L n. 35 del febbraio 2005 convertito
successivamente nella legge n. 80, 14 maggio 2005
Si usa il termine “rivoluzione” perché è con la legge n. 80 del maggio
2005 che si e stravolto il modo di concepire l’inerzia della Pubblica
Amministrazione essendo stati riscritti gli articoli 2, 19 e 20 della legge 241
del 1990.
Nell’ambito della pubblica amministrazione si configurano tre categorie
di silenzi. Prima di vedere questi silenzi si ritengono necessarie alcune
precisazioni di caratere terminologico, con l’intento di rendere più chiaro
ciò che qui si scriverà.
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In particolare, si utilizzerà in modo fungibile la locuzione “silenzio” con
quella di inerzia, per indicare il mancato esercizio della funzione
amministrativa doverosa, sia in fase endoprocedimentale che di
conclusione del procedimento, da cui discendono lesioni di posizioni
giuridiche soggettive.
Si utilizzerà, invece, la locuzione silenzio-rigetto species del genus
silenzio-diniego, limitatamente al caso di mancata risposta entro i termini
previsti dalla legge ai ricorsi in via amministrativa. In relazione all’inerzia
con valore provvedi mentale positivo, si adotteranno le locuzioni “silenzio-
assenso” e “silenzio-accoglimento” in modo del tutto fungibile, con una
preferenza per la prima rispetto alla seconda.
2. Evoluzione e ambito del silenzio
Il silenzio1 è un comportamento di inazione che non ha un significato
giuridico proprio, ma può essere qualificato dalla legge. Esso costituisce un
mero comportamento inerte in cui manca ogni espressione volontaristica
dell’amministrazione e assume una connotazione giuridica solo nei casi in
cui la legge gli attribuisce un valore tipico.
1 L'istituto del silenzio è stato previsto per soddisfare un'esigenza specifica cioè la tutela degli interessi legittimi del privato in attesa dell'emanazione dell 'atto. Tale esigenza non ricorre, e l'istituto del silenzio non si applica, quando in gioco ci siano diritti soggettivi e il comportamento della pubblica amministrazione sia qualificabile come inadempimento di un'obbligazione. In tale caso, il privato può ricorrere davanti al giudice civile senza bisogno di porre in essere, prima, quegli atti che altrimenti sarebbero necessari per la ''formazione'' del silenzio.
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Tale comportamento è definito come “una delle manifestazioni più
scandalose del (mal) funzionamento del costume amministrativo” o come,
“un fatto di disfunzione amministrativa”, determina, per il cittadino,
un’insoddisfazione dell’interesse personale cui aspira.
Ma a parte questa precisazione, ritengo opportuno riassumere
l’evoluzione normativa e giurisprudenziale che ha riguardato il silenzio
della pubblica amministrazione.
Storicamente l’esigenza di tutela del privato a fronte dell’inerzia della
pubblica amministrazione si è manifestata in principio in un ambito
particolare, costituito dall’ipotesi di ricorso gerarchico contro un atto
emesso dall’ente pubblico. La legge 21 marzo del 1889 n. 5993 istitutiva
della IV Sezione del Consiglio di Stato poneva come requisito basilare per
l’impugnazione dell’atto amministrativo la sua definitività, caratteristica
questa che veniva ad esistenza solo se vi era una decisione sul ricorso da
parte dell’organo gerarchicamente superiore a quello che aveva emesso
l’atto impugnato. Logica conseguenza era che l’eventuale mancata
decisione sul ricorso gerarchico precludeva la possibilità di impugnazione
dell’atto dinanzi al giudice amministrativo. Si rendeva, pertanto, necessario
un rimedio che consentisse al privato di superare una simile impasse. Tale
rimedio fu individuato con la sentenza n. 429, resa dalla IV Sezione del
Consiglio di Stato in data 22 agosto 1902: in pratica, decorso un “congruo
termine” di tempo della presentazione del ricorso gerarchico, l’interessato
doveva notificare una formale diffida all’amministrazione, intimando alla
stessa di decidere in merito entro un determinato ulteriore termine. Il
decorso di tale termine senza alcuna pronuncia doveva interpretarsi come
rigetto del ricorso (c.d. silenzio-rigetto), assumeva cioè valore di un
provvedimento negativo.
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Tale soluzione costituiva una finzione giuridica ed era resa necessaria
dal carattere impugnatorio, proprio del processo amministrativo, ovvero il
carattere di processo che ha ad oggetto un atto amministrativo. Evidenzio
che la soluzione – seppur mossa dal lodevole intento di tutelare il cittadino,
evitandogli una situazione di assoluta soggezione a fronte di atteggiamenti
di inerzia della pubblica amministrazione – era pur sempre una finzione
giuridica e, inoltre, si riferiva al caso specifico dell’inerzia conseguente alla
proposizione di un ricorso gerarchico. Tale rimedio, tuttavia, ebbe una
successiva trasposizione in ambito legislativo con il T.U. della legge
comunale e provinciale del 1934, il cui art. 5 riconobbe al ricorrente –
decorsi senza esito 120 giorni dalla presentazione del ricorso – il potere di
notificare istanza alla p.a. affinché decidesse. In assenza di decisione,
decorsi 60 giorni, il ricorso era considerato rigettato.
Si compiva così un piccolo passo avanti, eliminando il problema
preesistente di come interpretare l’espressione “congruo termine”, ma si
restava sempre nel caso specifico del ricorso amministrativo, nulla
dicendosi riguardo al silenzio dell’ente pubblico a seguito di un’istanza del
privato volta ad ottenere un concreto provvedimento. La giurisprudenza
amministrativa, seppure con alcuni tentennamenti, ritenne di poter colmare
tale lacuna interpretando la disciplina suddetta come il frutto di un
principio di carattere generale, riferibile a qualsiasi caso di inerzia della
p.a.2.
Permanevano, tuttavia, in dottrina forti perplessità, incentrate sulla
circostanza che il silenzio non costituiva altro che un comportamento della
p.a., cui per mera finzione si attribuiva il carattere di un atto. Tali
perplessità trovarono un espresso riconoscimento da parte dell’Adunanza
2 Cons. di Stato, sez. IV, 21 gennaio del 1936 n. 26 e Cons. di Stato, sez. IV, 29 ottobre del 1951 n. 534.
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Plenaria del C.d.S., che con la sentenza n. 8 del 3 magio 1960 superò la
concezione del processo amministrativo quale esclusivamente di tipo
impugnatorio, riconoscendo che i ricorsi giurisdizionali contro il silenzio-
rifiuto hanno ad oggetto non un atto amministrativo, ma il comportamento
della p.a. omissivo (rispetto all’obbligo di provvedere)3
Procedendo nel tempo, si giunse all’abrogazione dell’art. 5 del T.U.
della legge comunale e provinciale del 1934 ad opera dell’art. 6 del D.P.R.
1199 del 1971 (di disciplina dei ricorsi amministrativi), che previde che
“decorsi 90 giorni dalla data di presentazione del ricorso gerarchico, senza
che l’organo abbia comunicato la decisione, il ricorso si intende respinto a
tutti gli effetti e contro il provvedimento impugnato è esperibile il ricorso
all’autorità giurisdizionale competente, o quello straordinario al Presidente
della Repubblica”. A tale sviluppo normativo la giurisprudenza fece
seguire un’importante pronuncia, resa dall’Adunanza Plenaria del C.d.S.
con sentenza n. 10 del 10 marzo del 1978. In tale occasione, accogliendo la
posizione espressa in dottrina dal Sandulli, la magistratura amministrativa
ritenne di dover applicare al silenzio-rifiuto la procedura contemplata
dall’art. 25 del D.P.R. 3 del 1957 (Testo Unico degli impiegati civili dello
Stato), per cui decorsi inutilmente 60 giorni dalla presentazione di
un’istanza, il privato doveva diffidare e mettere in mora la p.a. affinché
provvedesse entro un termine (di almeno 30 giorni). Decorso
infruttuosamente tale termine, era possibile impugnare il silenzio-rifiuto
dinanzi al giudice amministrativo.
Con l’impiego di tale impostazione si giunse all’entrata in vigore della l.
241/90, il cui art. 2 introdusse il principio dell’obbligo 3 Nel tempo, l’evoluzione normativa e giurisprudenziale hanno portato a riconoscere il potere del giudice amministrativo di condannare la p.a. al risarcimento del danno cagionato al privato in materia Giuliano Lentini, La tutela risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo in www.diritto.it 2008
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dell’amministrazione di concludere il procedimento amministrativo con un
provvedimento espresso. Alla luce delle risultanze della giurisprudenza,
sembrerebbe possibile affermare che sussiste un obbligo di provvedere, e
quindi di concludere il procedimento, tutte le volte in cui, pur non avendo
l’amministrazione l’obbligo, abbia deciso di avviarlo (avendone la facoltà
non l’obbligo ). Deve trattarsi, inoltre, di un’attività dovuta – deve quindi
sussistere un obbligo di provvedere sancito, o che si posa desumere dalla
legge – con la conseguenza che per la giurisprudenza è da escludersi la
configurazione delle fattispecie in ipotesi di mancata pronuncia su
un’istanza palesemente infondata o nel caso di istanze volte ad ottenere il
riesame di provvedimenti autoritativi già adottati e divenuti inoppugnabili
(salvo che per ragioni di pubblico interesse ) ovvero, più specificamente,
nel caso di istanze volte ad ottenere la revoca di precedenti atti.
In via generale è dunque da affermarsi che, ove le situazioni siano
mature per una decisione, esiste per l’amministrazione titolare del potere un
vero e proprio obbligo di provvedere. Provvedere non significa tuttavia
necessariamente emanare un atto od effettuare una formale comunicazione
a terzi in merito ai propri intendimenti. Provvedere è, in senso proprio e
sostanziale, considerare il caso ai fini del decidere. Dalla valutazione delle
circostanze potrebbe derivare per l’Amministrazione il convincimento che
la situazione non sia ancora matura, che valga la pena di attendere sia
perche la situazione potrebbe mutare, altre circostanze potrebbero
emergere, o si potrebbe addirittura non decidere affinché alcuni aspetti
vengano accertati in modo più chiaro e sicuro od anche perche si vuole
disporre di più tempo per una mediata riflessione .
Per l’amministrazione tuttavia il discorso si complica perché, se vi è una
libertà in merito al se e al quando compiere la scelta, la libertà stessa non
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dovrebbe sfuggire, in tesi, all’applicazione dei principi propri della
discrezionalità amministrativa. Vi sono dei casi in cui la liberta nell’an è
limitata, nel senso che il legislatore o la stesa amministrazione con una
previa determinazione, abbiano stabilito un termine entro il quale
l’amministrazione è tenuta a dare una risposta formale.
Ma ritornando alla diposizione del art.2 della legge 241 del 1990 sul
procedimento amministrativo, bisogna precisare che tale disposizione
previde che gli enti pubblici – ove non vi fosse disciplina di legge e
regolamenti – dovessero stabilire per i procedimenti di propria competenza
termini di conclusione dei medesimi. Ove ciò non avesse luogo, la stessa
disposizione di legge fissava un termine generale di conclusione del
procedimento di 30 giorni, con decorrenza dall’inizio d’ufficio del
procedimento o della ricezione dell’istanza del privato.
Devo sottolineare che malgrado l’avvento dell’art. 2 della l. 241 del
1990 sopra citato rimasero in vita dubbi in merito alla necessità che il
privato procedesse alla diffida a provvedere nei confronti della p.a.. A
sostegno dell’utilizzo del meccanismo di cui al T.U. degli impiegati civili
dello Stato del 57 si osservò, in giurisprudenza, che l’automatica
formazione del silenzio-rifiuto costituiva un pericolo per il privato, in
quanto lo stesso avrebbe potuto non rendersi conto dello spirare del termine
di decadenza per l’esercizio dell’azione dinanzi al giudice amministrativo.
Inoltre il meccanismo della diffida avrebbe consentito un più ampio
margine temporale all’ente pubblico per ovviare ai propri inadempimenti.
La questione è stata risolta con la novella del 2005 4a seguito della quale
l’attuale art. 2 comma 5 della l. 241 del 1990 espressamente prevede che “il
4L. n.15 del 2005 e l. n.80 del 2005
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ricorso avverso il silenzio dell’amministrazione …può essere proposto
anche senza necessità di diffida all’amministrazione inadempiente fintanto
che perdura l’inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza
dei termini di cui ai precedenti commi 2 o 3…”. In tal modo l’utilizzo della
diffida è stato rimesso alla libera scelta della parte privata e non costituisce
più un obbligo per la stessa.
3. Il silenzio-diniego
Una forma di silenzio della pubblica amministrazione è quello del
silenzio-diniego. Il silenzio-diniego è quel silenzio che equivale ad un
provvedimento di rigetto della pubblica amministrazione.
Esistono numerose norme che stabiliscono che, trascorso un determinato
periodo di tempo, la domanda rivolta dal privato all’amministrazione si ha
per rigettata. Il problema è di verificare se, in presenza di simili formule
legislative si abbia realmente un silenzio significativo, ossia un silenzio con
valore di provvedimento di diniego (ovvero si determini un silenzio mero,
non significativo di decisione di rigetto della domanda).
Sul piano sostanziale , nell’uno e nell’altro caso non si verifica alcun
effetto innovativo (costitutivo di un nuovo asseto di interessi): la situazione
giuridica obbiettiva preesistente rimane inalterata, dato che nessun nuovo
precetto interviene a modificarla. Diverse sono le conseguenze sul piano
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procedimentale: il silenzio mero lascia integro il potere
dell’amministrazione di provvedere, sia pure tardivamente; il silenzio-
diniego, viceversa, sostituendo ex lege il provvedimento esplicito, chiude il
procedimento ed estingue il potere di provvedere, lasciando sussistere solo
poteri di autotutela. Con la conseguenza che l’eventuale provvedimento
tardivo, magari favorevole al privato, dovrebbe considerarsi inutiliter
datum.
Sul piano giurisdizionale, mentre il silenzio mero apre la tutela alla
cognizione delle situazioni soggettive spese nel procedimento e consente
una decisione sostanzialmente di condanna all’adozione del
provvedimento; il silenzio-diniego comporta: a) la inutilizzabilità del rito
accelerato di cui all’art. 21-bis; b) un’azione soltanto impugnatoria,
sottoposta ad un termine (ingiustificato) di decadenza; c) una sentenza
semplicemente demolitoria; d) una materia di contendere asfittica, dato che
il silenzio, pur avendo valore di diniego, non possiede retroterra
procedimentale, né veste formale, né sostanza motivazionale.
A fronte di queste considerazioni occorre chiedersi se possa realmente
ritenersi che sia stato introdotto nel nostro ordinamento la figura del
silenzio-diniego o se le formule normative che al silenzio-diniego
sembrano far riferimento non siano interpretabili come indicative di un
silenzio mero. Soprattutto tenendo conto del fatto che nessuna norma di
carattere generale ha sinora previsto e disciplinato un siffatto istituto; e che
l’ipotesi principale del silenzio-rigetto, l’unica compitamente disciplinata
( il silenzio sui ricorsi amministrativi), è stata intesa dal legislatore come
silenzio mero. La certezza del diritto impone che tale alternativa venga
rapidamente sciolta, ad evitare, che nell’incertezza, il privato, colpito dal
silenzio-diniego, si trovi a non sapere come difendersi in giudizio o,
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peggio, sia costretto a difendersi in due modi e con due strumenti
processuali diversi.
Ma a parte questa riflessione sul significato delle formule legislative, si
dovrebbe precisare che l’amministrazione abbia l’onere e non l’obbligo di
provvedere ( nel senso che non c’è un obbligo di provvedere), a differenza
di quanto avviene in presenza di un inadempimento non qualificato da
alcuna previsione normativa , poiché la legge collega l’accoglimento o il
rigetto dell’istanza direttamente al comportamento inerte
dell’amministrazione serbato per un determinato periodo di tempo.
L’autorità amministrativa può scegliere di rimanere inerte o di agire. A
prima vista si potrebbe ritenere che la tipizzazione legislativa del silenzio
deroga al principio generale che impone all’autorità amministrativa di
avere come fine ultimo del proprio agire il perseguimento del pubblico
interesse. Nel caso del silenzio tipizzato manca qualsiasi ponderazione
degli interessi coinvolti e il diniego o l’assenso si verificano in base alla
sola previsione normativa. In realtà le cose non stanno così, anche perché il
principio del perseguimento del pubblico interesse ha natura costituzionale
(trovando fondamento nell’art.97 Cost.) e perciò non e derogabile5: più
semplicemente, siamo di fronte ad ipotesi in qui la legge stesa determina i
presupposti dell’agire amministrativo, che costituisce mero esercizio della
legge.
Anche per questa tipologia di silenzio sussiste contrasto tra dottrina e
giurisprudenza riguardo alla qualificazione della natura giuridica
dell’istituto. Per la teoria prevalente il silenzio-diniego consisterebbe in
un’ipotesi di silenzio significativo, speculare a quella del silenzio-assenso,
5 Nell’art. 97 della Cost. è stabilito che gli uffici pubblici debbono essere organizzati “secondo disposizioni di legge” al fine di assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’azione amministrativa”
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in quanto l’inerzia dell’esercizio amministrativo per il termine stabilito
nelle ipotesi tassativamente delineate dalla legge equivarrebbe
all’emanazione di un provvedimento implicito di rigetto.
Per l’opinione opposta che si basa sull’assenza nell’ordinamento di una
disposizione normativa che preveda l’istituto in linea generale, il silenzio
serbato dall’amministrazione sull’istanza del privato configurerebbe una
fattispecie di mero silenzio rifiuto, differenziandosi dallo stesso solamente
perché non sarebbe necessaria la previa diffida per l’impugnazione.
Le ipotesi di silenzio-diniego non sono molte. L’articolo 25 della legge
241 del 1990 prevede che il diritto di acceso agli atti amministrativi si
esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti
amministrativi, nei modi è con i limiti indicati dalla legge. La richiesta di
acceso ai documenti – che deve essere munita di idonea motivazione – è
rivolta all’amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene in
modo stabile, deve essere messa a disposizione del richiedente entro 30
giorni. L’eventuale rifiuto o differimento dell’acceso va motivato. Qualora,
ai sensi della del quarto comma, siano decorsi infruttuosamente trenta
giorni dalla richiesta, questa si intende rifiutata. Contro il rigetto esplicito
ed implicito della richiesta, l’interessato può rivolgersi, mediante un
speciale procedimento, immediatamente, al TAR che in Camera di
Consiglio, entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del
ricorso, decide. La sua decisione è appellabile entro trenta giorni dalla
notifica della stesa al Consiglio di Stato, chiamato ad esprimersi con le
modalità ed i termini con i quali si pronuncia il Tribunale Amministrativo
Regionale.
Siccome il diritto di acceso va raffigurato in termini di interesse
legittimo, il giudizio introdotto con il ricorso previsto ha natura
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impugnatoria di un provvedimento autoritativo di diniego
dell’amministrazione, per cui tale giudizio è sottoposto alla generale
disciplina del processo amministrativo. Da quanto detto, consegue che il
ricorso deve essere notificato, a pena si inammissibilità, tanto al all’organo
che ha emanato l’atto impugnato quanto ai contro interessati, quali debbono
considerarsi i soggetti determinati ai quali si riferiscono i documenti
richiesti, nel termine perentorio di trenta giorni stabilito dalla legge; per
questo motivo, è irricevibile il ricorso diretto all’acceso agli atti della gara a
trattativa privata per l’affidamento del servizio di vigilanza non notificato
alla dita risultata aggiudicataria, posto che l’istanza è rivolta ad ottenere
una copia dell’offerta della dita eventualmente aggiudicataria.6
Un altro esempio di silenzio-rigetto è dato in materia edilizia. Il silenzio
tenuto sulla istanza di concessione edilizia in sanatoria non è qualificabile
come silenzio-inadempimento o silenzio-rifiuto, giacché l’ordinamento ha
previsto espressamente quale sia la conseguenza giuridica dall’inutile
decorso del termine per provvedere. L’art.13 della legge n. 47 del 1985, ora
travasato nell’art.36 del D.P.R. n. 380 del 2001, esplicitamente prevede
un’ipotesi di silenzio-diniego, ovvero di silenzio che la norma costruisce
come fattispecie legale tipica avente valore di provvedimento a contenuto
negativo reiettivo dell’istanza.7
L’art. 36 D.P.R. n. 380 del 2001 afferma che “sulla richiesta di
permesso in sanatoria, il dirigente o il responsabile del competente ufficio
comunale, si pronuncia con adeguata motivazione, entro e non oltre
sessanta giorni, decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata”. In questa
6 T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 14 giugno 2005, n.10957 T.A.R Campania, Napoli, sez. III. n. 4373 del 2006
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ipotesi si è, dunque, palesemente fuori l’ipotesi di silenzio-inadempimento,
cui la norma della novella del 2005 vuole offrire una tutela più semplificata
e rapida. Qui il silenzio è un provvedimento di rigetto immotivato, e
conseguentemente viziato, facendo in questo modo, che il giudice deve
limitarsi a pronunciarsi sull’annullamento dell’atto (in questa ipotesi,
tacito) illegittimo, demandando lo svolgimento dell’attività amministrativa
al ente competente.8
4. Il silenzio-assenso
L’istituto del silenzio assenso trova applicazione quando una norma di
legge stabilisce un termine per l’emanazione di un atto amministrativo
richiesto da un privato prevedendo che, allo scadere di quel termine senza
che l’amministrazione abbia provveduto, si producano comunque gli
effetti giuridici tipici dell’atto atteso e non emanato; quindi, se il privato
presenta una richiesta di autorizzazione e se, allo scadere del termine
prescritto nel caso di specie, il diniego non gli e’ stato comunicato, la
richiesta s’intende accolta; oppure, se viene richiesto un parere e l’organo
consultivo9 non si pronuncia nel termine previsto, il parere s’intende reso
8 T.A.R. Lazio, Roma, sez. II-bis, n. 504 del 20069 Gli esempi corrispondono a due diverse ipotesi di silenzio assenso: provvedimentale e procedimentale. Tale distinzione viene fatta avendo come riferimento il procedimento amministrativo e si fonda sulla posizione che, all’interno del procedimento, riveste l’atto da sostituire. Il silenzio assenso procedimentale riguarda un atto interno all’iter procedimentale come un parere, un nulla osta, un atto di controllo. E’ da considerarsi tale anche il silenzio assenso che inerisce alla fase costitutiva di un provvedimento, quando la legge prevede una decisione oggettivamente o soggettivamente complessa. Il
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in senso favorevole. Coerentemente agli esempi fatti, il privato otterrà, in
forza del silenzio assenso, la medesima legittimazione all’attività che
avrebbe avuto in forza del rilascio dell’autorizzazione attesa, senza ritardo
nell’attribuzione della stessa; oppure, nel secondo esempio,
l’amministrazione potrà procedere come se il parere fosse stato rilasciato e
in senso favorevole evitando ritardi nel procedimento.
Il silenzio assenso è, come noto, stato generalizzato con riferimento ai
procedimenti ad istanza di parte con le recenti legge di riforma della l. n.
241/1990 (l. n. 15/2005; 80/2005) e si presenta in ogni caso come istituto
eccezionale rispetto al rimedio generale del silenzio rifiuto.
Quello che accomuna il silenzio assenso al silenzio-rifiuto è solo il fatto
dell’inerzia della p.a., ma se ne differenzia per gli effetti sostanziali che la
legge collega all’inerzia. In questo caso, infatti, a differenza di quel che
accade nel silenzio-rifiuto, l’ordinamento ricollega all’inerzia il venire in
essere di quell’assetto di interessi previsto in astratto dalla legge e
concretamente voluto dal privato con la presentazione dell’istanza.
E’ una figura complessa, dai risvolti interpretativi e qualificativi
compositi e che pone agli interpreti problemi applicativi continui.
Fondamentale si presenta dunque l’esigenza di esaminarne prima le
silenzio assenso provvedimentale investe la parte finale dell’iter procedimentale, capace di incidere direttamente sulle situazioni soggettive dei cittadini e di solito riguarda atti autorizzativi (art. 20 gennaio 241 del 1990), ma non si esclude a priori la possibilità di prevederlo anche per ipotesi diverse (ad es. articolo 19, legge 24 novembre 1981, n. 689 che introduce il silenzio assenso rispetto ai ricorsi amministrativi contro provvedimenti di sequestro per infrazioni amministrative). Le problematiche sollevate sono di tenore differente: nel tipo procedimentale c’e’ un problema di salvaguardia dell’ordine delle attribuzioni; nel tipo provvedimentale viene in rilievo il rapporto tra amministrazione e cittadino direttamente coinvolto e quindi un problema di equilibrio di contrapposte esigenze di tutela: della legalità, dell’interesse pubblico e dell’affidamento dei cittadini.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
19
caratteristiche strutturali, cioè quelle caratteristiche che precedono la
qualificazione e che, almeno in parte, la condizionano.
Quando parliamo di caratteristiche strutturali del silenzio assenso ci
riferiamo a quegli elementi minimi la cui presenza è indispensabile
affinché possa ricorrere la fattispecie configurata dal legislatore e possa
così esserne sfruttato lo scopo pratico.
La tecnica utilizzata per esaminare la fattispecie del silenzio assenso è
quella delle finzioni giuridiche. Questa tecnica consiste nell’attribuire ad
una determinata fattispecie (il silenzio), gli effetti giuridici tipici di una
fattispecie diversa ( l’atto formale). La previsione legislativa del silenzio
assenso assolve alla funzione di ricollegare effetti giuridici ad una
fattspecie omissiva che, di per sé, non sarebbe in grado di produrne. La
norma, per conseguire questo risultato, utilizza come termine di
individuazione la fattispecie che tipicamente è idonea a produrli e cioè
l’atto di assenso10 dell’amministrazione.
Strutturalmente, la fattispecie del silenzio assenso è caratterizzata dalla
produzione di un regime giuridico equivalente a quello dell’atto di assenso
dell’amministrazione. Una volta formatosi il silenzio assenso, la situazione
giuridica concreta viene disciplinata come se l’atto di assenso fosse stato
veramente emanato.
Il silenzio assenso elimina la possibilità di una non definizione del
procedimento, o del subprocedimento, in danno del soggetto interessato
all’emanazione dell’atto. Altra caratteristica dell’istituto in esame è la
necessaria correlazione con l’atto d’iniziativa procedimentale: mancando la
disciplina dettata dall’amministrazione, la disciplina del silenzio assenso
10 A. Travi, “Silenzio assenso” cit , 100 ss.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
20
deve necessariamente desumersi e correlarsi al contenuto11 dell’atto
d’iniziativa presentato dal privato.
Ancora, quando la norma utilizza espressioni come “si considera”,
“s’intende”, e altre locuzioni simili, stabilisce un’equivalenza tra effetti del
silenzio ed effetti tipici dell’atto amministrativo tale che non possa essere
derogata; tale equivalenza d’effetti è una caratteristica del silenzio assenso
e quest’ultimo è un meccanismo legale che si realizza a prescindere, e
quindi anche contro, la volontà dei soggetti coinvolti nella12 vicenda. Le
parti del rapporto amministrativo non possono sottrarsi al meccanismo
legale del silenzio assenso per cui, l’amministrazione, allo scadere del
termine, dovrà subire la sottrazione del potere di provvedere nel caso
concreto: infatti il suo potenziale operato verrà sostituito legalmente dal
silenzio-assenso; il privato, dal canto suo, non potrebbe scegliere di
aspettare l’autorizzazione espressa o il diniego da parte
dell’amministrazione, nonostante potrebbe avervi un concreto interesse e
quindi anch’egli subisce il regime del silenzio assenso.
Il rimedio in esame si presenta come rigido e drastico all’inerzia; infatti
in
primo luogo opera in modo da sostituire in tutto o in parte la funzione
amministrativa con una valutazione legale che, proprio per questo si
presenta inevitabilmente astratta, poco attenta al caso concreto e quindi non
in grado di assicurare il medesimo risultato pratico dell’azione
amministrativa. Per quante cautele possa utilizzare il legislatore, il rispetto
delle norme sostanziali che regolano la materia e la tutela dell’interesse
11 V. Cerulli Irelli, “Corso di diritto amministrativo”, Torino, Giappichelli, 1997, 484, dove si sottolinea in generale che “ il silenzio può senz’altro acquistare contenuto decisorio, perché questo viene identificato dalla legge con il contenuto dell’istanza così come prospettato dall’interessato stesso”. 12 Travi, “Silenzio assenso” cit., 182 ss.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
21
pubblico, vengono notevolmente diminuiti in presenza di un’ipotesi di
silenzio assenso.
In secondo luogo il funzionamento pratico dell’istituto è esposto al
rischio di una non coincidenza tra l’interesse astrattamente tutelato dalla
norma e interessi concreti, tra cui spicca l’interesse ad ottenere una
pronuncia espressa da parte dell’amministrazione.
E’ importante segnalare come uno dei problemi principali relativi
all’introduzione del silenzio assenso nel nostro ordinamento sia quello
relativo alla garanzia della certezza delle situazioni giuridiche coinvolte.
Sebbene gli effetti giuridici del silenzio assenso siano equivalenti a quelli
dell’atto esplicito, nel primo caso non vi è certezza sulla loro esistenza;
proprio perché si prescinde dall’atto per la produzione di effetti, l’esistenza
del silenzio assenso è sottoposta a continuo rischio di contestazione da
parte dell’amministrazione.
Da quanto esposto risulta come il silenzio assenso ponga un problema di
equilibrio tra interessi difficilmente armonizzabili: esigenze di tutela della
legalità e interesse pubblico, l’interesse del destinatario del silenzio assenso
alla certezza delle situazioni giuridiche che lo riguardano, l’interesse dei
terzi.
5. Il silenzio-rifiuto ( o silenzio-inadempimento)
Con il termine silenzio-rifiuto si indica quella situazione che si verifica
nel caso in cui venga presentata una istanza alla p.a. e quest’ultima, pur
avendo l’obbligo di provvedere, rimane inerte.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
22
Questo termine di silenzio-rifiuto è frutto dell’elaborazione del giudice
amministrativo che ha anche indicato come “costruire” il silenzio13. Mentre
il silenzio-significativo trova la propria fonte nella legge, il silenzio-rifiuto
trova la propria origine nella costruzione giurisprudenziale, mossa
sopratutto dall’esigenza di porre limiti all’inerzia della p.a. e ad assicurare
agli amministrati un minimum di garanzia. Tale esigenza si fa risalire ad
alcune sentenze del Consiglio di Stato dell’inizio del secolo scorso, che pur
di fronte a notevoli difficoltà dogmatiche e alla opposizione di autorevole
dottrina e soprattutto in mancanza di norme di riferimento, ritenne che si
poteva proporre ricorso contro il mero fatto dell’inerzia14. L'istituto del
silenzio-rigetto risale alla fine del 1800, periodo in cui non esisteva uno
strumento di tutela delle pretese del cittadino nei confronti della pubblica
amministrazione legislativamente disciplinato; la tutela era, infatti,
costruita solo sulla base della possibile impugnazione dei provvedimenti
emanati dall'amministrazione che incidevano su situazioni sostanziali dei
cittadini giuridicamente protette. Nel 1902 fu emanata la prima decisione
giurisprudenziale che prevedeva l'obbligo dell’amministrazione di
pronunciarsi su un'istanza del privato (Cons. Stato, sez. IV, 22 agosto
1902), il cosiddetto caso Longo, impiegato statale destituito che aveva
proposto ricorso amministrativo contro il provvedimento di destituzione;
pur nel silenzio del suo superiore gerarchico e in mancanza di un
provvedimento espresso di rigetto, essendo ancora nei termini per il ricorso
13 Sulla procedura per la sua formazione non è registrabile un orientamento univoco. Una questione discussa in passato riguardava la durata dei tempo necessario per potere affermare di essere in presenza di una fattispecie di silenzio significativo sui piano giuridico e, in questo senso, fu rilevante la decisione di Cons. di Stato, sez. IV, 22 agosto 1902, n. 429, cd. decisione Longo.
14Cons. di Stato, sez. IV, 22 agosto 1902, n. 409, in Giur. It., 1902, III, 344, in cui il prolungato silenzio dell’autorità superiore Ministro di grazia e giustizia nei confronti di un ricorso gerarchico, vene equiparato a conferma del provvedimento oggetto del ricorso amministrativo: tale sentenza venne definita “ardita” (per quanto meritoria) da S. Romano, Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1953, 6.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
23
al Consiglio di Stato, il cittadino propose ricorso giurisdizionale ed il
Supremo Consesso si pronuncio per l'ammissibilità dell’istanza,
affermando che il silenzio prolungato dell'amministrazione e la successiva
diffida proposta nei confronti della medesima con assegnazione di un
congruo termine per provvedere legittimavano il ricorrente a proporre
ricorso giurisdizionale. Questa decisone costituì, dunque, la base per la
nascita del sistema per la tutela del privato dal silenzio
dell'amministrazione. Si parlò allora per la prima volta di silenzio-rifiuto,
perché vi era un rifiuto dell’amministrazione di pronunciarsi sul istanza del
privato o sul ricorso gerarchico proposto dal cittadino innanzi al superiore
dell’autorità amministrativa interessata, ma non si era ancora formato il
concetto giuridico di silenzio-rigetto. II silenzio era, infatti, considerato
come una figura di mero diritto processuale, poiché permetteva al privato
di adire il giudice in seguito alla decorrenza di un congruo termine in
costanza dell'inerzia mantenuta dall’amministrazione15. Successivamente
si affermò la pretesa all'emanazione del provvedimento avanzata nei
confronti dell'amministrazione ed il ricorso al superiore gerarchico per la
rimozione del provvedimento16: nel primo caso il silenzio era concepito
come un provvedimento immotivato di rifiuto ed il vizio consisteva nel
difetto di motivazione; nel caso di ricorso invece, il silenzio del superiore
gerarchico veniva equiparato all'approvazione dell'atto del sottordinato: il
vizio consisteva, quindi, nello stesso vizio dell'atto impugnato con il ricorso
15 Cons. St.a.pl. n.8/196016 Da parte della dottrina non sono mai mancate contestazioni riguardo alla figura giurisprudenziale del silenzio rifiuto sostenendo che essa non equivalesse ad un atto tacito o presunto di diniego. E' I'obbligo esistente in capo all'amministrazione di emanare un determinato provvedimento che consentiva all'interprete di considerare l'eventuale inerzia come rifiuto , a solo al fini di aprire la tutela giurisdizionale amministrativa. Si veda Forti “Il silenzio della pubblica amministrazione e suoi effetti processuali”, 1933. ora in Studi di diritto pubblico , Roma. 1937, 231.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
24
gerarchico. In ogni caso era sempre compito del giudice sindacare se il
silenzio amministrativo fosse perdurato per un periodo troppo lungo.
Il T.U. n.383 del 1934 , con l’art. 5. costituì la prima disciplina del
silenzio dell’amministrazione locale su ricorso gerarchico. Tale norma fu
considerata di portata generale e si applico, dunque, anche alle
amministrazioni statali. La legge, intendendo stabilire un termine preciso
per il formarsi del silenzio amministrativo, consentì l'impugnazione
trascorsi 120 giorni dalla presentazione del ricorso gerarchico e 60 giorni
dalla notificazione di un'istanza del ricorrente di decisione del ricorso (la
cosiddetta diffida). Questa espressa previsione costituì la formalizzazione
della tesi del silenzio-rigetto come decisione implicita di reiezione,
procedimento implicito ad effetto sfavorevole. L'interessato era, dunque,
onerato ad impugnare il silenzio per difetto di motivazione entro i termini
di decadenza, poiché il silenzio era considerato come provvedimento tacito
di rigetto.
Con la decisione n. 8 del 1960 resa in Adunanza plenaria il Consiglio di
Stato aveva affermato che, formatosi il silenzio sul ricorso gerarchico, il
privato potesse agire avverso il provvedimento originario avanzando le
medesime censure proposte in sede gerarchica. In tal modo l'interessato
riceveva adeguata tutela anche per le ipotesi in cui fossero dedotti vizi di
merito, atteso che, in tali casi, il giudice avrebbe dovuto accogliere il
ricorso dichiarando l'illegittimità del silenzio e sancendo 1'obbligo
dell'autorità gerarchicamente sovraordinata di pronunciarsi espressamente
sulle censure di merito. In tali fattispecie il silenzio rigetto veniva, dunque,
equiparato al silenzio rifiuto. Con la decisione resa in Adunanza plenaria il
7 febbraio 1978, n. 4, però, il Consiglio di Stato affermò che, in virtù
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
25
dell'equiparazione del silenzio ad un provvedimento tacito di rigetto
motivato per relationem con riferimento all'atto impugnato in sede
gerarchica, I'amministrazione, allo scadere del termine per la decisione del
ricorso gerarchico, fosse privata del potere di emettere un provvedimento
sopravvenuto, divenendo, quindi, illegittima l'eventuale decisione tardiva di
accoglimento intervenuta sul ricorso, perche in violazione del principio del
ne bis in idem, mentre quella di reiezione sarebbe stata improduttiva di
effetti, perche meramente confermativa e non impugnabile autonomamente.
Solo in seguito alle opinioni dissenzienti della maggioranza della
dottrina, fondate soprattutto sull'assenza di tutela per il privato per le
ipotesi di censure basate su vizi di merito del provvedimento, non
deducibili, di norma in sede giurisdizionale, il Supremo consesso si
pronunciò con le decisioni n. 16 e 17 rese in Adunanza plenaria il 24
novembre cd il 4 dicembre 1989, affermando il principio per il quale il
decorso del termine per la formazione del silenzio-rigetto previsto dall'art.
617 ha effetti soltanto processuali, con la conseguenza che il ricorrente in
sede gerarchica, anziché l'onere, ha la mera facoltà di agire
immediatamente in sede giurisdizionale, restando integra la sua possibilità
di impugnare il provvedimento originario unitamente alla eventuale
decisione tardiva sul proposto ricorso gerarchico. Nel caso in cui il privato
decida, comunque, di ottenere una decisione in sede gerarchica per la
deduzione di vizi di merito nel perseverare dell'inerzia dell'autorità
amministrativa, potrà, invece, attivarsi con il rimedio previsto per il
silenzio-rifiuto, assolvendo, in tal caso, il giudizio proprio la funzione di
accertare l'illegittimità del comportamento omissivo dell'amministrazione e
di ottenere la dichiarazione dell'obbligo di provvedere.
17 D.P.R. 1199 del 1971
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
26
La tutela giurisdizionale avverso il silenzio della p.a. con riferimento ad
un’istanza proposta da un interessato presuppone, quindi, la violazione di
un obbligo giuridico in capo alla stessa amministrazione posto in
correlazione con una specifica posizione soggettiva lesse. In mancanza di
tale obbligo giuridico di provvedere nel senso prospettato dall’interesato a
tutela di una propria posizione soggettiva ogni richiesta, lettera, diffida o
altro costituisce una mera sollecitazione di intervento d’ufficio della
pubblica amministrazione affinché la cura dei pubblici interessi alla stessa
affidati avvenga nel modo migliore per un buona amministrazione ma non
consente, successivamente, alcuna azione giudiziaria. In seguito alla
modifica degli artt.2 e 20 della legge n. 241 del 199018 il silenzio-rifiuto
divenne figura residuale, che si configura proprio nelle ipotesi succitate.
Il tradizionale orientamento della dottrina e della giurisprudenza
amministrativa, elaborato sin dalla decisione del Cons. Stato 10 marzo
1978, n. 10, resa in Adunanza plenaria, non riteneva applicabile in via
analogica la normativa del 1971 sul silenzio-rigetto, bensì quella dell’art.
24 del Testo unico del pubblico impiego 10 gennaio 1957, n.3, norma di
riferimento per le ipotesi di responsabilità specificamente previste che si
reputava applicabile analogicamente anche alle conseguenze dell’inerzia da
parte dall’amministrazione nell’emissione di un provvedimento dovuto.
Per poter impugnare il silenzio-rifiuto dell’amministrazione, dunque, il
privato doveva far seguire all’originaria istanza una rigorosa procedura che
garantisse la constatazione dell’omissione mediante la notifica di un diffida
all’amministrazione ad adempiere entro un termine avente almeno la durata
18 Operata prima della legge n.15 del 2005 e poi dal d.l. n. 35 del 2005 convertito poi nella legge n.80 del 2005, che ha portato la generalizzazione del silenzio-assenso salvo che per le ipotesi espressamente previste dall’art. 20,
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
27
di trenta giorni, allo scadere del quale sarebbe stato proposto ricorso in sede
giurisdizionale.
Tale schema, pur se criticato dalla dottrina soprattutto in seguito
all’entrata in vigore della legge n. 241 del 1990, con la quale si è sancito
definitivamente il principio generale della certezza dei termini dell’azione
amministrativa e perché considerato di ostacolo al principio di effettività
della tutela giurisdizionale, è stato seguito da tutta la giurisprudenza
amministrativa, salvo qualche eccezione, anche in seguito all’entrata in
vigore della legge n. 205 del 2000, che ha espressamente previsto il
giudizio in materia di silenzio-rifiuto per la tutela di quei soggetti che,
nell’esercizio di potestà ed interessi legittimamente riconosciuti
dall’ordinamento, non trovano riscontro alle richieste avanzate nei riguardi
dell’amministrazione
Tale orientamento si è mantenuto quasi costante fino alla modifica
apportata dal legislatore nel 2005 all’art. 2 della legge n.241 del 1990, il
cui comma 5 ora così recita: “ Salvi i casi di silenzio-assenso, decorsi i
termini di cui ai commi 2 o 3, il ricorso avverso il silenzio
dell’amministrazione, ai sensi dell’art. 21bis della legge 6 dicembre 1971,
n. 1034, può essere proposto anche senza necessità di diffida,
all’amministrazione inadempiente, fintanto che perdura l’inadempimento e
comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini di cui ai predetti
commi 2 o 3. Il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza
dell’istanza. È fatta salva la riproponibilità dell’istanza di avvio del
procedimento ove ne ricorrano i presupposti.”
In seguito alla modifica degli artt. 2 e 20 della legge n. 241 del 1990
operata prima della legge n. 15 del 2000 e poi dal d.l n. 35 del 2005,
convertito nella legge n. 80 del 2005, che come osservato in precedenza, ha
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
28
operato la generalizzazione del silenzio-assenso salvo che per le ipotesi
espressamente previste dall’art. 20, il silenzio-rifiuto divenne figura
residuale. La problematica del silenzio serbato della pubblica
amministrazione obbligata a pronunciarsi su un’istanza presentata da un
privato era già oggetto di ripetuti approfondimenti ad opera delle più
avvedute opinioni dottrinarie e giurisprudenziali, acquisendo ulteriori
sviluppi a seguito dell’introduzione, operata dall’art. 21-bis della legge 6
dicembre 1971, n. 1034.
Già anteriormente all'emanazione della disposizione normativa
succitata, la più autorevole dottrina aveva sostenuto che, per ovviare
all'inesistenza nel nostro ordinamento di un'azione di condanna
dell'amministrazione all'adozione di un atto amministrativo omesso o
rifiutato espressamente, si sarebbe potuta adottare una norma che
consentisse al giudice, a seguito di istanza espressa proposta dal ricorrente
ed accertato l'inadempimento, di fissare direttamente all'amministrazione il
termine per provvedere, nominando un commissario ad acta per l'esercizio
dei poteri sostitutivi per il caso in cui ciò non avvenisse e dettando le
opportune direttive per la definizione dell'assetto del rapporto sostanziale
riguardo alla pretesa dedotta. Il legislatore, mediante l'introduzione dell'art.
21-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, pur mirando ad ottenere una
più effettiva e sollecita tutela del singolo cittadino a fronte del
comportamento inerte portato avanti dalla pubblica amministrazione, ha
involontariamente innescato molteplici dibattiti, per nulla sopiti
dall’intervento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1 del 2002
che19 ha cercato di risolvere alcune delle suddette questioni anche se in
maniera non totalmente esaustiva. Il legislatore e, allora, di nuovo
19 Sollecitata dalla sesta sezione dello stesso Supremo connesso ordinanza 10 luglio 2001, n. 3803
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
29
intervenuto, questa volta modificando la disciplina sostanziale sul
procedimento amministrativo ed in particolare l’art. 2 della legge 241 del
1990.
Un altro argomento dibattuto è quello che riguarda la questione se la
norma sul rito speciale del silenzio introduca una fase processuale unica o
plurima (prima di cognizione e poi di esecuzione), con la conseguenza che
per la prima soluzione il giudice potrebbe, unitariamente alla pronuncia
dell’obbligo di provvedere a carico dell’amministrazione, disporre, altresì
la nomina del commissario (che interverrà, naturalmente, solo in ipotesi di
ulteriore inadempimento della pubblica amministrazione), se richiesta nel
ricorso introduttivo e in sede di discussione, in osservanza delle finalità
acceleratorie e semplificatrici, facendo in modo che l’interessato non deve
proporre un ulteriore un'altra istanza a tal fine.
Mentre per i sostenitori dell’altra teoria, che si basa essenzialmente sul
dato letterale della seconda comma della norma, sarebbero previsti due
momenti: il primo, di cognizione, che si conclude con la pronuncia
favorevole del giudice; il secondo, di esecuzione, nel quale avvera la
nomina del commissario ad acta che provvederà alla concreta esecuzione
della pronuncia.
6. La disciplina del silenzio-rifiuto, e la tutela avverso tale silenzio, anteriore alla legge 7 agosto n.241 del 1990 contenente disposizioni sul procedimento amministrativo
È noto, in particolare, che il problema della inerzia dell’amministrazione
di fronte alle istanze dei cittadini era già percepita, in tutta la sua
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
30
importanza al momento della istituzione della IV sezione del Consiglio di
Stato, ma non essendosi tradotta in una disposizione normativa di carattere
generale né in quell’occasione né nelle successive leggi di riforma della
giustizia amministrativa 20, è stato affrontato per la prima volta nelle
decisioni del Consiglio di Stato sotto la pressione di reali esigenze di
giustizia, del resto presenti in tutti i Stati a diritto amministrativo (e altrove
percepiti dal legislatore con ben maggiore prontezza). I termini della
questione furono chiari fin dall’inizio e si avvertì subito, anche grazie
all’elaborazione del concetto di silenzio da parte della dottrina civilistica,
che l’omissione può acquistare rilevanza solo in presenza di un obbligo
esistente a carico dell’organo pubblico, cosicché è soprattutto
sull’individuazione di tali situazioni che si concentrò l’attenzione della
giurisprudenza.
Il primo importante contributo della giurisprudenza amministrativa alla
realizzazione di un’efficace tutela giurisdizionale nei riguardi del
comportamento inerte della pubblica amministrazione è rinvenibile in una
decisione del Consiglio di Stato risalente al 1902 (il caso Longo)21. In tale
pronuncia, concernete l’impugnativa proposta da un impiegato del
Ministero della Giustizia (alunno di Cancelleria) avverso un provvedimento
disciplinare irrogato dal capo dell’ufficio in cui prestava servizio (il Primo
Presidente della Corte d’Appello di Napoli), il Consiglio di Stato dichiarò
ricevibile il ricorso giurisdizionale, quantunque non fosse ancora definito il
ricorso gerarchico precedentemente proposto dal medesimo impiegato al
Ministro Guardasigilli. Disattendendo le eccezioni formulate
20 Non mancano tuttavia figure particolari di silenzio legislativamente qualificato ora come accoglimento ora come rigetto. 21 Cons. di Stato, Sezione IV, decisione 22 agosto 1902, n. 429 (con commento di Marina Chiappetta, Marco De Giorni e Aldo Sandulli), in Le grandi decisioni del Consiglio di Stato, a cura di Gabriele Pasquini a Aldo Sandulli, Giuffrè, 2001, pagg. 62-69.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
31
dall’avvocatura erariale, che dubitava dell’ammissibilità del ricorso in sede
giurisdizionale sul rilievo che il provvedimento impugnato non potesse
considerarsi definitivo, il giudice amministrativo degli inizi del novecento
dichiarò che, a seguito di esperimento del rimedio gerarchico e di ripetuti
inviti all’Autorità di seconda istanza a provvedere rimasti senza alcuna
risposta, «non potrebbesi non riconoscere nel prolungato silenzio
dell’Autorità superiore la determinazione di far proprio il provvedimento
contro il quale fu invano ad essa prodotto reclamo». Per tal via, il
Consiglio di Stato ha, per la prima volta, attribuito spessore giuridico
all’inerzia dell’amministrazione, riconoscendo l’equivalenza fra silenzio e
rigetto del ricorso gerarchico, anche se al solo fine processuale di ritenere
ammissibile il ricorso giurisdizionale proposto avverso un provvedimento
formalmente non definitivo (a causa della diuturna pendenza del ricorso
gerarchico)22.
Storicamente molto significativa, per approfondimento dogmatico e
sforzo ricostruttivo, è anche la decisione dell’Adunanza Plenaria del 10
marzo 1978 (c. d. caso O. R. M. A.)23. In una cornice normativa
radicalmente cambiata rispetto al passato24, l’Adunanza Plenaria ha
affrontato il problema del silenzio nella giustizia amministrativa precisando
alcune fondamentali caratteristiche dell’istituto e risolvendo i principali
dubbi applicativi dell’epoca. Prendendo le mosse da un’approfondita ed
articolata analisi dei contributi dottrinali e giurisprudenziali intervenuti nel
22 Giova rammentare che la citata decisione del 1907 ha consentito il superamento di un grave inconveniente della giustizia amministrativa dell’epoca, la quale operava esclusivamente nei confronti dei provvedimenti definitivi e presupponeva, quindi, l’esaurimento del ricorso amministrativo. Il problema è stato poi superato con la riforma introdotta dalla legge 6 ottobre 1971 n. 1034, la quale ha esteso la tutela giurisdizionale anche nei confronti dei provvedimenti non definitivi. 23 Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, decisione 10 marzo 1978, n. 10 (con commento di Aldo Sandulli), in Le grandi decisioni del Consiglio di Stato, cit., pagg. 446-460. 24 Si fa riferimento, in particolare, alle riforme intervenute agli inizi degli anni settanta: la legge 24 novembre 1971, n. 1199 e la legge 6 dicembre 1971, n. 1034.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
32
corso del tempo sulle maggiori problematiche connesse al silenzio della
pubblica amministrazione, il Consiglio di Stato ha definitivamente preso
atto del superamento dell’originaria unità dell’istituto, rilevando che «se si
va alla sostanza delle vicende non si può dubitare della profonda diversità
esistente fra un caso in cui, essendosi in fase di riesame, sia già intervenuta
una determinazione amministrativa, ed un altro in cui invece manchi
qualsiasi presa di posizione dell’amministrazione sull’assetto degli
interessi che sono messi in gioco». Sul piano concettuale, è stata così
confermata la differente qualificazione giuridica dei due fondamentali
fenomeni di silenzio amministrativo (silenzio come condizione per
l’impugnazione dell’atto di primo grado, in contrapposizione al silenzio
come inadempimento dell’obbligo di provvedere). Sul piano funzionale, si
è resa quindi necessaria l’individuazione di modalità procedimentali nuove
e differenziate.
Per quel che concerne il silenzio sui ricorsi amministrativi (c. d.
silenzio-rigetto), il legislatore del 1971 ha escluso la necessità di
configurare il silenzio come un atto tacito riconducibile alla volontà
inespressa dell’amministrazione di confermare il provvedimento gravato in
sede amministrativa, e ha risolto il problema facendo perno sull’atto di
primo grado e riducendo l’inerzia del soggetto pubblico alle sue reali
dimensioni giuridiche di mero fatto condizionante l’esercizio dell’azione
nei confronti dell’unica determinazione amministrativa esistente. Con
riferimento al fenomeno del silenzio come inadempimento dell’obbligo di
provvedere (c. d. silenzio-inadempimento o silenzio-rifiuto) l’Adunanza
plenaria del 1978, in assenza di una esplicita disciplina dell’azione.
La norma, quantunque emanata per dare applicazione al principio
costituzionale (art. 28) della responsabilità personale dei pubblici
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
33
impiegati, è stata ritenuta idonea, specie per il suo contenuto implicito, a
colmare la lacuna normativa evidenziata dalla giurisprudenza nel più ampio
ambito dell’inerzia amministrativa ed a costituire una valida fonte per la
disciplina del silenzio rifiuto. L’Adunanza plenaria ha dedotto la validità
della amministrativa, ha ritenuto applicabile la disposizione contenuta
nell’art. 25 del Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli
impiegati civili dello Stato, approvato con il Decreto del Presidente della
Repubblica 10 gennaio 1957, n. 325 soluzione accolta anche (e soprattutto)
dai profili procedimentali, che rispondevano a tutti i requisiti indicati,
dall’interpretazione giurisprudenziale, per il silenzio rifiuto.
Particolarmente opportuni sono stati ritenuti la strutturazione bifasica del
procedimento (istanza e diffida), il passaggio obbligato della diffida (essa
introdurrebbe, a parere della giurisprudenza in esame, un ulteriore e
provvidenziale spazio di tempo per l’amministrazione per concludere il
procedimento e rappresenterebbe un presidio per il privato, che sarebbe
altrimenti esposto al continuo pericolo della scadenza automatica spesso
ignota dei termini di impugnazione che caratterizzano il rito
25 Si riporta qui di seguito la norma in esame: “(Diffida) 1. L'omissione di atti o di operazioni, al cui compimento l'impiegato sia tenuto per legge o per regolamento, deve essere fatta constare da chi vi ha interesse mediante diffida notificata all'impiegato e all'Amministrazione a mezzo di ufficiale giudiziario. 2. Quando si tratti di atti o di operazioni da compiersi ad istanza dell'interessato, la diffida è inefficace se non siano trascorsi sessanta giorni dalla data di presentazione dell'istanza stessa. 3. Qualora l'atto o l'operazione faccia parte di un procedimento amministrativo, la diffida è inefficace se non siano trascorsi sessanta giorni dalla data di compimento dell'atto od operazione precedente ovvero, qualora si tratti di atti od operazioni di competenza di più uffici, dalla data in cui l'atto precedente, oppure la relazione o il verbale della precedente operazione, trasmesso dall'ufficio che ha provveduto, sia pervenuto all'ufficio che deve attendere agli ulteriori incombenti. 4. Se le leggi ed i regolamenti amministrativi, ovvero i capitolati generali o speciali e i disciplinari di concessione, stabiliscono per il compimento di determinati atti od operazioni termini più brevi o più ampi di quelli previsti nei commi precedenti la diffida è efficace se notificata dopo la scadenza del termine entro il quale gli atti o le operazioni debbono essere compiuti, secondo la specifica norma che li concerne. 5. Decorsi inutilmente trenta giorni dalla notificazione della diffida, l'interessato può proporre l'azione di risarcimento, senza pregiudizio del diritto alla riparazione dei danni che si siano già verificati in conseguenza dell'omissione o del ritardo”.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
34
amministrativo) e la riduzione dei termini minimi a novanta giorni
complessivi.
Individuato nell’art. 25 del D. P. R. n. 3 del 1957 lo strumento
procedimentale per far emergere il silenzio della pubblica amministrazione,
l’Adunanza plenaria del 1978 si è anche soffermata sul problema della
rinnovabilità della diffida, osservando che «se non sono intervenuti fatti
nuovi a modificare l’assetto degli interessi (acquiescenza, rinuncia o
comunque estinzione dell’obbligo di procedere della pubblica
amministrazione), si deve riconoscere al privato il potere di far
nuovamente valere, in via stragiudiziale, prima, e giudiziale, poi, il proprio
interesse», ed ha anticipato, con straordinaria lungimiranza, la questione
delle nuove prospettive di intervento del giudice in materia di silenzio,
specialmente nei casi in cui la «diffida attenga ad atti non provvedimentale
o addirittura materiali».
Giustizia amministrativa avvisava, infatti, che, «nei limiti in cui l’inerzia
riguardi scelte o attività vincolate, la decisione possa e debba andare oltre
il mero riconoscimento dell’obbligo di procedere, precisando anche come
e quando tale obbligo debba essere adempiuto, e che la relativa pronuncia
sia suscettibile di ottemperanza, secondo i criteri di esecuzione del
giudicato amministrativo». Come si vedrà in seguito, nella sentenza citata,
sono già presenti, con quasi trenta anni di anticipo, tutti i principi acquisiti
nei più recenti approdi giurisprudenziali sulla materia del silenzio, così
come modificata dalla recenti riforme legislative.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
35
7. La disciplina del silenzio-rifiuto oggi: i problemi connessi
con la necessita della diffida, il termine per impugnare
a) Il ruolo della diffida: da passaggio necessario per ricorrere contro il
silenzio della P.A. a strumento facoltativo nelle mani del cittadino
Tra le innovazioni introdotte dalla legge 15/ 2005 nel tessuto normativo
previgente, di particolare pregio si rivela l’aggiunta di un nuovo comma, il
4bis, alla disposizione dell’art. 2.
Come osserva Cerulli Irelli26, l’innesto in questione è strumentale al
rafforzamento del principio della conclusione del procedimento entro un
termine ragionevole, in conformità con la previsione dell’art II-101 della
Cost. Europea. L’innovazione di cui si tratta, afferente l’istituto del silenzio
inadempimento, ha il sapore di un’interpretazione autentica volta a
dirimere il nodo problematico relativo alla necessità della previa
attivazione della procedura ex art. 25 t.u. 3/1957 come passaggio
endoprocedimentale necessario per poter successivamente esperire il
ricorso giurisdizionale avverso il silenzio inadempimento. Tale procedura,
che rendeva obbligatoria la diffida all’amministrazione inadempiente prima
di ricorrere alla giurisdizione amministrativa per ottenere sentenza
declaratoria dell’obbligo di provvedere, era costantemente ritenuta
applicabile dalla giurisprudenza dominante dopo la celeberrima sentenza n.
10 del 1978 del Consiglio di Stato riunito in Adunanza Plenaria, che ha
recepito la nota teoria di Sandulli27, avallata, peraltro, dall’interpretazione
26 Cerulli Irelli “Osservazioni generali sulla legge di modifica della l. n.241 del 90” parte II, p. 2, in www.giustamm.it. 27 Come è noto la norma cui originariamente dottrina e giurisprudenza facevano riferimento come fondamento dell’istituto era l’art. 5 del T.U. 383 del 1934, dettata in materia di ricorso gerarchico nell’ambito della normativa su comuni e province, ma ritenuta suscettibile di estensione analogica a tutte
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
36
governativa, anche dopo l’emanazione della legge 241. Il dipartimento
della Funzione pubblica della Presidenza del Consiglio, infatti, riteneva
che, non contenendo la legge 241 nel testo originario alcuna previsione che
disponesse in ordine alla qualificazione dell’inerzia imputabile
all’amministrazione, fosse perciò necessario seguire la normale procedura
del silenzio rifiuto28. Si trattava di un iter alquanto macchinoso e
defatigante, poiché, prima di ricorrere per veder riconosciuto dalla
magistratura amministrativa il silenzio inadempimento, bisognava diffidare
la p.a. inerte con atto giudizialmente notificato29, non essendo sufficiente
una semplice lettera, e solo dopo l’inutile decorso del termine di 30 giorni
dalla notifica dell’atto di diffida era possibile attivare il rimedio
giurisdizionale. Pertanto, l’impatto del principio sancito dall’art. 2 della
legge 241 del 90 si era rivelato ben modesto in materia di silenzio
inadempimento, dal momento che esso era servito soltanto a far sì che per
la presentazione della diffida fosse sufficiente il decorso, dalla
presentazione dell’istanza o dall’inizio d’ufficio del procedimento, non più
di 60, bensì di 30 giorni, salvo il diverso termine fissato per la conclusione
del procedimento dalla legge o dall’amministrazione procedente. Si trattava
di un mero coordinamento piuttosto che di una vera e propria innovazione,
con conseguente svilimento della ratio su cui si reggeva tale disposizione.
Orbene, se la posizione di Sandulli era per varie ragioni condivisibile prima le ipotesi in cui fosse infruttuosamente scaduto il termine per l’adozione di un provvedimento amministrativo. Dopo l’abrogazione di tale articolo a seguito dell’entrata in vigore della legge 1034 del 71 dottrina e giurisprudenza si impegnarono nella ricerca di altra disposizione cui dare valenza di rimedio generale applicabile analogicamente a tutte le fattispecie di silenzio inadempimento e prevalse la posizione di Sandulli (cfr., in proposito, A. Sandulli “Diritto amministrativo” I, Napoli, 1973, pp. 395-399, in particolare pag. 398, nonché dello stesso, “Il silenzio della pubblica amministrazione oggi: aspetti sostanziali e processuali”, in Dir. e Società, 1982, in particolare pag. 725) il quale riteneva l’art. 25 del D.P.R. n. 3 del 1957 suscettibile dell’impiego in questione. Tale posizione trovò poi definitivo suggello nell’Ad. Plen. n. 10 del 10 marzo 1978, in Riv. amm. Rep. It. , 1978, pp. 435 e ss. 28 Circolare del Ministro della Funzione pubblica, 8 gennaio 1991, n. 60397-7/463, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 19 del 23 gennaio 1991. 29 Sulle formalità dell’atto di diffida si veda Cons. di Stato, sezione IV, 14 giugno 2002, n. 3520
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
37
della legge sul procedimento amministrativo, lo stesso non può dirsi una
volta che, con il predetto art. 2 della normativa in questione, viene
finalmente posto a carico della p.a. l’obbligo di concludere mediante
l’adozione di un provvedimento espresso il procedimento amministrativo,
ove esso consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere
iniziato d’ufficio.
Difatti, ferme le superiori considerazioni, non è più sostenibile l’assunto
posto a base dell’Ad. Plen. del 1978 per cui, mancando una norma che
statuisse in ordine ai tempi del processo decisionale pubblico, la procedura
prevista dal T.U. del 1957 si rivelava necessaria per poter acclarare il
mancato rispetto del profilo di doverosità dell’azione amministrativa30. Né,
d’altra parte, si può continuare a ritenere che la formazione automatica del
silenzio alla scadenza del termine fissato per la conclusione del
procedimento faccia decorrere il termine decadenziale d’impugnazione in
assenza di un’adeguata percezione da parte dell’interessato, dal momento
che le determinazioni concernenti la fissazione del termine entro il quale il
procedimento deve esaurirsi sono rese pubbliche ai sensi dell’art. 2 comma
4 della 241, e comunque dell’avvio del procedimento viene data
comunicazione ex art. 8. Pertanto, una volta affermatosi il principio della
certezza dei tempi entro i quali il procedimento deve concludersi, ed
accanto a questo il principio di doverosità dell’esercizio del potere, non ha
senso far precedere l’impugnazione del silenzio inadempimento da un atto
che avrebbe la funzione di far acquisire al contegno dell’amministrazione il
valore di manifestazione di volontà negativa, giacché, alla luce dei prefati
principi, l’inadempimento dell’obbligo di provvedere da parte
dell’amministrazione silente è già conclamato alla scadenza del termine 30 F.G. Scoca, “Il silenzio della pubblica amministrazione alla luce del suo nuovo trattamento processuale” in Dir. proc. amm., 2002, p. 245.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
38
procedimentale31. Pertanto, il governo, re melius perpensa, ha ritenuto
opportuno, assumendo l’iniziativa che ha condotto all’approvazione della
legge 15/2005, superare il precedente orientamento, con la conseguenza
che, venuta meno la ratio che ispirava la posizione sandulliana
successivamente recepita dai giudici di Palazzo Spada, il contegno
puramente omissivo della pubblica amministrazione assume con assoluto
nitore la facies dell’inadempimento, sin dalla scadenza dei termini previsti
dai commi 2 e 3 dell’art. 2. Giova comunque rilevare che la diffida, pur non
costituendo più passaggio procedimentale obbligatorio, vera e propria
condicio sine qua non per l’attivazione del rimedio ex art. 21 bis l. 1034/71,
rimane comunque atto facoltativo, rimesso alla discrezionalità del privato,
al quale spetterà valutare in piena libertà se nella fattispecie concreta essa
possa rivestire o meno alcuna utilità pratica. L’atto di messa in mora,
quindi, come osservato in uno dei primi commenti, da passaggio
potenzialmente vessatorio e defatigante per il privato, si trasforma in uno
strumento ulteriore di cui questo dispone nel dialogo con la p.a.32.Una
simile innovazione si palesa tanto opportuna quanto tardiva. E’ da
osservare, infatti, come, la diffida, anziché fungere da espediente tattico
facoltativo il cui ricorso era rimesso nelle mani del cittadino vulnerato dal
contegno omissivo della p.a, abbia invece pesato come un macigno per
quasi 15 anni sulla effettività di quella certezza dei tempi del procedimento,
logico riflesso della doverosità dell’esercizio del potere amministrativo, che
l’art. 2 mirava ad affermare e realizzare, mortificando quella carica
precettiva riconosciuta a tale disposizione (meritevole quindi di
31 M. Occhiena, “Riforma della l. 241 del 90 e “nuovo” silenzio-rifiuto: del diritto v’è certezza” su www.giustamm.it , nonché G. Morbidelli, “Il procedimento amministrativo”, in AA.VV., a cura di L. Mazzarolli, G. Pericu, A. Romano, F. A. Roversi Monaco, F.G. Scoca, Bologna, II, 1998, 1144.ss. 32 A. Ricciardi “Le modifiche al capo I sui principi” in La riforma del procedimento amministrativoBiondi-Moscara-Ricciardi, Rimini, 2005 p. 28.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
39
applicazione immediata ed incondizionata) finanche da talune significative
pronunzie della Consulta33.
b) i termini per impugnare l’inerzia della P.A.
Ulteriore merito della novella in commento è quello di aver sciolto il
nodo problematico relativo al termine per l’impugnazione del silenzio e
alla sua decorrenza34. In proposito, infatti, l’art. 2 comma 4 bis della legge
241 stabilisce che il dies a quo per la proposizione è rappresentato dallo
spirare dell’ordinario termine procedimentale; il dies ad quem, invece, è il
decorso di un anno dalla prefata scadenza del termine entro il quale il
procedimento doveva concludersi. Si tratta, pertanto, di un termine
perentorio, che, comunque, per la sua ampiezza, mette al riparo il cittadino
dal rischio di eventuali decadenze suscettibili invece di verificarsi ove il
legislatore avesse optato per il termine ordinario di 60 giorni. Ad ogni
modo anche nel caso in cui il termine annuale previsto dal comma 4 bis
fosse già scaduto il cittadino non è comunque sprovvisto della possibilità di
far valere l’inerzia dell’amministrazione procedente, poiché ha facoltà di
riproporre l’istanza di avvio del procedimento laddove ne sussistano i
presupposti, dovendosi tale locuzione interpretarsi nel senso della
permanenza in capo all’istante di un interesse all’ottenimento del
33 Si veda Corte Costituzionale, sentenza n. 262 del 1997, con la quale la Corte ha inteso riconoscere efficacia precettiva all’obbligo di provvedere in quanto già esistente nell’ordinamento giuridico sotto forma di regola che attua, sia pure in maniera non esaustiva, il principio costituzionale di buon andamento dell’amministrazione “negli obiettivi di trasparenza, pubblicità, partecipazione, e tempestività dell’azione amministrativa, quali valori essenziali in un ordinamento democratico”; ed ancora Corte Costituzionale, sentenza n. 176 del 2004, nella quale testualmente si afferma: “la eventuale inosservanza del termine per la definizione dei procedimenti …pur non comportando la decadenza del potere, connoterebbe in termini di illegittimità il comportamento della pubblica amministrazione, con conseguente possibilità per i soggetti interessati di ricorrere in giudizio avverso il silenzio rifiuto ritualmente formatosi”. 34 In proposito, prima dell’entrata in vigore della legge 15 del 2005, la giurisprudenza prevalente riteneva applicabile il termine decadenziale di sessanta giorni decorrente dalla formazione del silenzio, stante la natura provvedimentale del silenzio costruito attraverso la diffida del privato. Per tutte si veda Cons. di Stato, sez. V, 1 marzo 2003, n. 1128.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
40
provvedimento connotato dal predicato dell’attualità. La previsione della
possibilità di ripresentare l’istanza si rivela altresì in grado, per la sua
valenza garantistica, di fugare definitivamente talune perplessità sorte nel
corso dei dibattiti parlamentari in merito alla scelta di non confermare
l’obbligatorietà della previa diffida per l’attivazione del rimedio ex art. 21
bis legge n. 1034 del 197135. Unico inconveniente sarebbe, in questo caso,
la postergazione della possibilità di impugnare nuovamente il silenzio
mediante ricorso, dal momento che, per effetto della riproposizione
dell’istanza, i termini di cui all’art. 2 comma bis comincerebbero a
decorrere ex novo et integro.
c) le connesse modifiche alla comunicazione di avvio del procedimento
Di particolare importanza nell’ottica del potenziamento della valenza
garantistica del rimedio avverso il silenzio inadempimento è la modifica
dell’art. 8, al quale sono state aggiunte 2 lettere, rispettivamente la c-bis e
la c-ter: la prima aggiunge al contenuto obbligatorio della comunicazione
di avvio del procedimento l’indicazione dei termini entro i quali il
procedimento deve concludersi, nonché dei rimedi eventualmente esperibili
in caso di inerzia dell’amministrazione; la seconda, invece, stabilisce che
nei procedimenti ad istanza di parte vada indicata nella comunicazione di
avvio del procedimento la data di presentazione dell’istanza.
Si tratta di una innovazione di particolare importanza non soltanto
perché compie un importante passo avanti verso la garanzia dell’effettività
35 Scrive in proposito A. Ricciardi, op. cit. p. 31, sub nota 24 “La giurisprudenza, infatti, aveva fin qui ritenuto che anche dopo lo spirare del termine per proporre ricorso il privato potesse reiterare la diffida, e questo lo reimmetteva nei termini. Di fatto in questo modo il privato non perdeva mai la possibilità di adire il giudice contro il silenzio della p.a. A questo proposito l’on. Marone, nella seduta del 10 novembre 2003, ebbe a dire che la diffida “risolverebbe il problema perché la pubblica amministrazione, di fronte ad una diffida, è certamente molto più sensibile ed attenta a rispondere di quanto non faccia con riferimento ad una delle semplici domande che arrivano a centinaia presso le pubbliche amministrazioni”.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
41
della tutela giurisdizionale nei confronti del silenzio inadempimento, ma
anche perché pone fine ai dubbi interpretativi sorti nel vigore della
precedente disciplina circa la necessità della comunicazione di avvio del
procedimento attivato su istanza di parte, dubbi che la giurisprudenza aveva
risolto ritenendo che, essendo l’istanza stessa a dare impulso all’attività e
far decorrere i termini del procedimento, gli effetti utili della
comunicazione, ossia il mettere al corrente dell’inizio dell’attività
procedimentale il destinatario di questa, potevano dirsi già raggiunti
attraverso l’istanza medesima36.
Si apprezza, quindi, la coerenza sistematica della legge 15/2005 in
materia di silenzio inadempimento dal momento che la disposizione
dell’art. 2 trova un significativo riscontro nella modifica del contenuto
obbligatorio della comunicazione di avvio del procedimento, orientata
proprio a rafforzare la tutela giudiziaria del principio di doverosità
dell’attività amministrativa.
d) i presupposti del silenzio-rifiuto ed in particolare il perdurare
dell’inerzia; il provvedimento amministrativo tardivo
Tornando alla descrizione del nuovo volto del silenzio inadempimento si
rileva come, ai tradizionali presupposti per l’attivazione del rimedio contro
l’inerzia della p.a., canonizzati dalla prevalente giurisprudenza37 (titolarità
in capo all’amministrazione di un potere del quale viene richiesto
l’esercizio, e quindi posizione di interesse legittimo38 pretensivo vantata
36 Cons. di Stato, sez. V, sent. 24 novembre 1997 n. 136637 Cons. di Stato, sez. V, sent. 10 aprile 2002, n. 1970. 38 Tar Calabria-Catanzaro, sez. II, sent. 6 ottobre 2005 n. 1631, ha stabilito che “allorquando il privato eserciti diritti di credito dal contenuto patrimoniale non può venire in rilievo la procedura per la formazione del silenzio-rifiuto, né la sua appendice processuale di cui all’art. 21bis, l. 6 dicembre 1971 n. 1034”. Nello stesso senso Tar Piemonte-Torino, sez. I, sent. 3 ottobre 2005 n. 2839, con la quale è stata sancita l’inammissibilità del ricorso ex art. 21bis quando rispetto all’attività vincolata della p.a. il privato
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
42
dall’interessato, in corrispondenza del quale sussista un vero e proprio
obbligo di provvedere da parte della pubblica amministrazione, sussistenza
in capo al g.a. della giurisdizione in ordine al rapporto cui si riferisce
l’istanza rimasta inevasa39), ne sia stato formalmente aggiunto uno
ulteriore, il perdurare del silenzio, che era comunque possibile leggere in
filigrana nel contesto della disciplina originaria, in considerazione di taluni
significativi arresti giurisprudenziali, i quali hanno chiarito come, anche nel
corso del giudizio instaurato avverso il silenzio, l’amministrazione conservi
il potere di provvedere espressamente, con la conseguenza che l’adozione
di un provvedimento esplicito di diniego comporta l’improcedibilità del
ricorso avverso il silenzio40. Ed ancora, secondo tale orientamento, ribadito
dai giudici di Palazzo Spada anche nella celeberrima Ad. Plen. n. 1 del 9
gennaio 2002, “l’organo competente in via ordinaria conserva, pur dopo la
vanti un diritto soggettivo, quale, ad esempio, un diritto di credito. Ancora più chiaramente Tar Sicilia-Catania, sez. III, sent. 3 novembre 2005 n. 1938, che afferma: “il giudizio sul silenzio della pubblica amministrazione, anche dopo le modifiche apportate dalla legge 14 maggio 2005 n. 80, secondo cui, tra l’altro, il Giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell’istanza del privato, non può essere attivato relativamente ad istanze aventi ad oggetto diritti patrimoniali del pubblico dipendente poiché esso si riferisce, in ragione della storia dell’istituto e della sua collocazione sistematica, al silenzio-rifiuto (o silenzio-inadempimento) di carattere pubblicistico e non anche all’ipotesi di comportamento omissivo dell’Amministrazione qualificabile come inadempimento di una obbligazione con conseguente responsabilità di tipo contrattuale”. Tutte queste sentenze si collocano peraltro nell’ambito di un consolidato indirizzo del Consiglio di Stato, per cui “il rito per la formazione del silenzio-rifiuto non è esperibile allorché l’istante agisca, non per la tutela di una posizione soggettiva di interesse legittimo e per l’adozione di un provvedimento amministrativo da parte di una pubblica amministrazione, bensì per la salvaguardie di posizioni di diritto soggettivo. Ciò in quanto l’ordinamento non ha disciplinato il rito del silenzio alla stregua di un meccanismo di chiusura del sistema, che permetta al cittadino di superare qualsiasi inerzia delle pubbliche amministrazioni, bensì quale strumento di impulso per sollecitare l’adozione di provvedimenti amministrativi a fronte dei quali l’istante azioni posizioni di mero interesse legittimo”. Si veda per tutte, Cons. Stato, sez. IV, sent. 2 novembre 2004 n. 7088. Ne consegue, pertanto, che, allorquando il privato eserciti diritti di credito dal contenuto patrimoniale, il titolare della pretesa può agire direttamente, nel termine di prescrizione, davanti al giudice munito di giurisdizione per l’accertamento del diritto e l’eventuale condanna del debitore. 39 Tar Lazio-Roma, sez. Iter, sent. 1 settembre 2005 n. 6524, la quale afferma che “il rimedio introdotto dall’art. 2 della l. 205/2000 contro il silenzio serbato dalla p.a. sull’istanza di un privato non è esperibile qualora il g.a. sia privo di giurisdizione in ordine al rapporto cui inerisce la richiesta rimasta inevasa”. Tale precedente si colloca, peraltro, nel solco di un orientamento consolidato del Consiglio di Stato, sancito, di recente, in due sentenze della sez. VI, rispettivamente, la n. 86 e la n. 6747 del 2005. 40 Cons. di Stato, sez. V, sent. 4 febbraio 2004 n. 360.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
43
sentenza e fino all’insediamento del commissario, il potere di provvedere in
senso pieno”. In quest’ottica, pertanto, l’inciso “fin tanto che perdura
l’inadempimento” deve essere letto come norma ricognitiva, piuttosto che
innovativa. Del resto, una siffatta impostazione ha ricevuto significativa
conferma da recentissima giurisprudenza41, successiva all’entrata in vigore
della legge 15 del 2005, la quale, dopo aver osservato che “che l’istituto
dell’esercizio dei poteri sostitutivi configura un fenomeno di esercizio
concorrente di potere, il quale viene meno con l’adozione della
determinazione di uno dei due organi (sostituto o sostituito), atteso che la
determinazione soddisfa in ogni caso l’obbligo di conclusione del
procedimento42”, ha concluso affermando che “la nomina del commissario
ad acta non produce in capo agli organi dell’amministrazione la perdita
della legittimazione ad adottare l’atto il cui compimento è stato affidato al
commissario”43.
41 Si allude alla recentissima sent. n. 1213 del 2005, pronunciata in data 22 marzo 2005, dal Tar Veneto, II sezione. 42 In questo stesso senso si era espresso il Tar Lazio, sez. II, sent. 26 giugno 2002, n. 5887. 43 Di diverso avviso una più recente pronuncia della sez. II del Tar Veneto, la n. 3847 del 4 novembre 2005, la quale abbandona la tesi della concorrenza dei poteri fra amministrazione surrogata e commissario ad acta, per aderire, invece, alla tesi dell’esclusività del potere, in virtù della quale, una volta che sia stato nominato il commissario ad acta, la p.a. non può più esercitare il potere che costituisce oggetto dell’intervento sostitutivo del commissario.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
44
Capitolo 2
La situazione alla luce della legge 7 agosto n.241 del 7 agosto 1990
1. Le principali riforme apportate dalla legge 7 agosto del
1990 n. 241
Prima della legge generale sul procedimento amministrativo la dottrina e
la giurisprudenza avevano elaborato una teoria del procedimento e del
provvedimento amministrativo che, in mancanza di una legge organica,
conteneva una serie di garanzie a tutela del cittadino; e poiché tali garanzie
potessero trovare adeguata tutela giudiziaria, venne elaborata la teoria del
cosiddetto “eccesso di potere”. Nel 1984 viene istituita una commissione
presieduta dal prof. Massimo Severo Giannini per dare attuazione
all’indirizzo programmatico di governo circa la “messa a fuoco di definiti
diritti del cittadino nei rapporti con l’amministrazione per porre fine alle
imperscrutabilità, alle immotivate lentezze, ai superati autoritarismi dei
comportamenti amministrativi” La Commissione ha il compito di
formulare proposte per la revisione della disciplina dei procedimenti
amministrativi allo scopo di promuovere la democratizzazione e la
semplificazione.
La legge n.241 del 7 agosto è la legge fondamentale sul procedimento
amministrativo in generale. Prima di questa legge non esisteva nel nostro
ordinamento giuridico una legge generale sul procedimento
amministrativo, mentre esistevano leggi che disciplinavano singoli
procedimenti (espropriazioni, fallimento, iscrizione anagrafica, ecc.)
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
45
La legge n.241 del 1990 è più nota come la legge sulla trasparenza
amministrativa, dato che ha profondamente rinnovato il rapporto tra i
cittadini e la pubblica amministrazione, informandolo secondo tale
principio. Nei suoi principi e nei suoi tratti fondamentali, si ispira ad
un'altrettanto importante legge di riforma del procedimento amministrativo,
attuata in Germania nel 1976, che prevedeva che il rapporto tra cittadini ed
amministrazione si svolgesse su un piano sostanzialmente paritario. Da
questo si comprende l'importanza della legge, che ha trasformato, almeno
nel principio amministrativo, il rapporto tra amministrazione e cittadini da
un rapporto di tipo autoritativo ad uno di tipo paritario e collaborativo.
La legge ha rinnovato profondamente l'attività amministrativa. a) Sono
stati introdotti diversi momenti e meccanismi tramite i quali il privato può
intervenire nell'attività della pubblica amministrazione; b) i provvedimenti
amministrativi devono riportare obbligatoriamente la motivazione;
c) l'autorità amministrativa ha l'obbligo di dare comunicazione o notizia
dell'avvio del procedimento amministrativo; d) la previsione dell'esistenza
degli interessi collettivi legittimi; e) l'individuazione della figura
responsabile del procedimento amministrativo e la previsione dell'obbligo
di comunicazione del responsabile agli interessati dal provvedimento
amministrativo; f) l'istituzione degli accordi integrativi o sostitutivi tra
privati e pubblica amministrazione, come possibilità per sostituire
provvedimenti di carattere amministrativo; g) l'istituto del silenzio-assenso,
per cui nei casi previsti dalla legge, il silenzio dell'amministrazione assume
carattere di manifestazione di volontà; h) l'istituto del denuncia di inizio
attività nei casi in cui sia richiesta un'autorizzazione; i) il meccanismo
dell'autocertificazione; j) il diritto per i cittadini di avere accesso agli atti
della pubblica amministrazione e di poterne ottenere una copia.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
46
Per quanto qui interessa specificamente, la legge 241/1990 ha altresì
previsto l’obbligo dell’amministrazione di concludere il procedimento
mediante l’adozione di un provvedimento espresso entro un dato termine
prestabilito, recando in tal modo una previsione destinata ad incidere
sull’istituto del silenzio.
2. Il superamento del meccanismo procedurale previsto
nell'art. 25 del T.U. n. 3 del 1957(sugli impiegati civili dello
stato) e l'applicazione degli art. 2 e 3 della legge 241/1990.
Il problema giuridico del silenzio della pubblica amministrazione è tra
quelli che ha più impegnato la dottrina 44e la giurisprudenza, tanto per i
profili sostanziali quanto per le implicazioni processuali. Il silenzio
costituisce un mero comportamento inerte in cui manca ogni espressione
volontaristica dell’amministrazione ed assume una connotazione giuridica
solo nei casi un cui la legge gli attribuisce un valore tipico. In tali casi di
44 Borsi, “Il silenzio della pubblica amministrazione nei riguardi della giustiziaAmministrativa”, in Giurisprudenza italiana 1903,IV,255; Resta, “Il silenzio come esercizio dellafunzione amministrativa” in Foro amministrativo 1929,IV,106; Forti “Il silenzio dellapubblica amministrazione e i suoi effetti processuali” in Rivista di diritto processuale civile1932,121; A.M. Sandulli “Questioni recenti in tema di silenzio della pubblicaAmministrazione” in Foro italiano 1949,III,128; Cannada Bartoli “Inerzia a provvedere daparte della pubblica amministrazione e tutela del cittadino” in Foro padano 1956,I,175; Laalle “Profili giuridici dell’inerzia amministrativa,” in Rivista trimestrale di diritto pubblico1962,360; Cassese “Inerzia e silenzio della P.A.”, in Foro amministrativo 1963,I,30; Ledda “Ilrifiuto di provvedimento amministrativo” Torino 1964; Scoca “Il silenzio della pubblicaamministrazione”, Milano 1971.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
47
silenzio significativo la norma qualifica il comportamento inerte
dell’amministrazione protrattosi oltre un certo termine come equivalente ad
un provvedimento a contenuto positivo (silenzio accoglimento) o negativo
(silenzio diniego). Quando la legge non qualifica il silenzio in senso
provvedimentale, si è di fronte ad un comportamento omissivo
dell’amministrazione, variamente definito come silenzio inadempimento o
silenzio rifiuto o silenzio non significativo 45.Tale figura, in assenza di una
specifica regolamentazione di carattere generale, è stata oggetto di una
lunga e faticosa elaborazione giurisprudenziale finalizzata a trovare rimedi
sistematicamente coerenti avverso il comportamento inerte
dell’amministrazione di fronte all’istanza presentata da un privato per
ottenere un provvedimento favorevole. L’esigenza di tutela del privato
titolare di un interesse legittimo pretensivo doveva fare i conti con le
caratteristiche del processo amministrativo, fondato sul giudizio
impugnatorio volto all’annullamento dell’atto.
La soluzione adottata dalla giurisprudenza sin dagli inizi del secolo
scorso46 richiedeva che l’interessato notificasse all’amministrazione inerte
una diffida a emanare il provvedimento richiesto entro un termine congruo,
decorso il quale era ammesso il ricorso al Consiglio di Stato.
Come è stato efficacemente evidenziato47,sin dalle origini il supremo
organo di giustizia amministrativa si era preoccupato di dare tutela alle
ipotesi di inadempimento della pubblica amministrazione, pur in assenza
45 Parisio “I silenzi della pubblica amministrazione” Milano 1996,67 e segg..46 Cons. di Stato., Sez. IV, 22 agosto 1902 n. 429, in Giurisprudenza italiana 1902,III,343 connota anonima.
47 La Valle”Azione di impugnazione ed azione di adempimento nel giudizio amministrativo diLegittimità” in Jus 1965,165.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
48
dell’atto, che la legge istitutiva dell’organo stesso48 aveva posto a
presupposto di ammissibilità del ricorso.
L’elaborazione del Consiglio di Stato venne recepita dal legislatore
coll’art.5 del regio decreto 3 marzo 1934 n. 383 (T.U. della legge comunale
e provinciale), che regolava il ricorso gerarchico: trascorsi centoventi
giorni dalla presentazione del ricorso gerarchico, l’interessato doveva
notificare atto di diffida, decorsi sessanta giorni dalla quale il ricorso
s’intendeva come rigettato. La giurisprudenza riteneva che tale disciplina,
dettata per il silenzio sul ricorso gerarchico, esprimesse un principio
generale applicabile a tutte le ipotesi di inerzia della pubblica
amministrazione 49.Con l’abrogazione del suddetto art.5 ad opera dell’art.6
del decreto presidenziale 24 novembre 1971 n. 1199 in materia di ricorsi
amministrativi 50,la giurisprudenza 51,su suggerimento di autorevole
dottrina 52,ha ritenuto utilizzabile il meccanismo della diffida e messa in
48 Legge 31 marzo 1889 n. 5992, cd. legge Crispi49 Cons. St., Sez. VI, 29 ottobre 1951 n. 534, in Consiglio di Stato 1951,I,1300; Cons.St., Sez. IV, 4 luglio 1956 n. 729, in Foro amministrativo 1957,I,22.50 QUARANTA, “Il silenzio della pubblica amministrazione” (Nuovi profili derivanti dalla disciplina del D.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199 e della L. 6 dicembre 19741 n. 1034), in Foro amministrativo1972,III,340; MOSCATELLI, “Il silenzio della pubblica amministrazione dopo l’istituzione dei tribunali regionali: silenzio rifiuto e silenzio rigetto”, in Nuova rassegna 1973,1893; ROEHRSSEN, “Notazioni sulla impugnabilità del silenzio della pubblica amministrazione”, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile 1974,127; SALONE, “Silenzio-rifiuto”, abrogazione dell’art.5 t.u. n. 383 del 1934 e termine perprovvedere da parte della pubblica amministrazione, in Consiglio di Stato 1974,II,1290; GIALLOMBARDO, “Silenzio-rigetto” e “silenzio-rifiuto” nell’attuale momento legislativo e giurisprudenziale, in TAR 1975,II,221. Cons. St., Ad. Plen., 10 marzo 1978 n. 10, in Foro italiano 1978,III,352 con nota di GALLO; Consiglio di Stato 1978,II,391 con nota di CIACCIA; Foro amministrativo 1978,I,415; Giurisprudenza italiana 1978,III,305.51 A.M. SANDULLI, “Sul regime attuale del silenzio inadempimento della pubblicaAmministrazione”, in Rivista di diritto processuale 1977,169.52 GHERGHI, “La disciplina dei comportamenti omissivi della PA” in Nuova rassegna 1991,266; PALEOLOGO, “La legge 1990 n. 241: procedimenti amministrativi ed accesso ai documenti dell’amministrazione”, in Diritto processuale amministrativo 1991,28; SCHINAIA, Notazioni sulla nuova legge sul procedimento amministrativo con riferimento alla deregulation delle attività soggette a provvedimenti autorizzzatori ed all’inerzia dell’amministrazione, ivi,196; TODARO, “Spunti innovativi in materia di tutela contro il silenzio” ivi,1992,552; PATRONI GRIFFI, La L. 7 agosto 1990 n. 241 a due anni dall’entrata in vigore. “Termini e responsabile del procedimento: partecipazione procedimentale, in Foro italiano 1993,III,65;
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
49
mora dell’amministrazione ex art.25 del decreto presidenziale 10 gennaio
1957 n. 3 (T.U. delle leggi sugli impiegati civili dello Stato). In
conseguenza di ciò, l’interessato deve far constatare l’inerzia
dell’amministrazione a mezzo di apposita diffida a provvedere, notificata
non prima di sessanta giorni dalla presentazione dell’istanza, e decorsi
inutilmente almeno trenta giorni dalla notificazione, può impugnare il
silenzio innanzi al giudice amministrativo nel termine di sessanta giorni.
Su tale assetto è intervenuta la legge 7 agosto 1990 n. 241 sul
procedimento
amministrativo, il cui art. 2 prevede in capo alle amministrazioni il
dovere di concludere il procedimento amministrativo, iniziato ad istanza di
parte o d’ufficio, mediante l’adozione di un provvedimento espresso
(comma 1), in un termine preciso indicato dalla legge o da regolamento
(comma 2), oppure nel termine suppletivo di trenta giorni (comma 3). Tale
disposizione, che sancisce il fondamentale principio di generale
temporizzazione dei procedimenti amministrativi con termini certi di
conclusione degli stessi, ha immediatamente posto la questione della
permanenza o meno della diffida quale condizione imprescindibile per
adire il giudice contro l’inerzia delle amministrazioni pubbliche.
Secondo la dottrina maggioritaria ,il principio di certezza dei termini
dell’azione amministrativa enunciato dall’art. 2 della L. n. 241/90 comporta
che la formazione del silenzio frutto dell’inadempimento all’obbligo di
provvedere sarebbe conseguenza automatica dellospirare del termine del
procedimento, senza la necessità della diffida ex art.25 D.PR. n. 3/57.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
50
Tale tesi è risultata minoritaria in giurisprudenza, trovando
accoglimento solo in talune sentenze di primo grado 53.
La giurisprudenza maggioritaria 54,avvalorata anche dall’interpretazione
governativa55 ,ha sostenuto, invece, che la notificazione della diffida
rimane una condizione essenziale per la formazione del silenzio ai fini
dell'azione giurisdizionale, facendo leva in particolare sull’assunto della
insidiosità dei silenzi automatici, che fanno decorrere il termine per
l’impugnazione in assenza di un’adeguata percezione da parte
dell’interessato. L’indirizzo giurisprudenziale di primo grado minoritario
ha individuato un ulteriore argomento nell’art. 21 bis della legge 6
dicembre 1971 n. 1034 istitutiva dei TAR, inserito dalla legge 21 luglio
2000 n. 205 di riforma del processo amministrativo, che introduce uno
speciale procedimento a carattere acceleratorio per i ricorsi avverso il
silenzio 56.La disciplina di tale procedimento, caratterizzata dalla brevità
dei termini e dalla snellezza delle formalità, non prevede tra le condizioni
di ammissibilità alcun onere di messa in mora dell’amministrazione, che 53 cfr. TAR Lazio-Latina, 11 febbraio 1993 n. 138, in TAR 1993,I,867; TAR Puglia-Lecce, Sez. I, 25 giugno 1996 n. 514, in Foro amministrativo 1997,586; TAR Calabria-Catanzaro, 17 dicembre 1996 n. 899, in Giornale di diritto amministrativo 1997,568. 54 cfr. Cons. St., Sez. VI, 12 maggio 1994 n. 752, in Consiglio di Stato 1994,I,835; Cons. St., Sez. V, 15 settembre 1997 n. 980, in Foro amministrativo 1997,2307; Cons. St., Sez. V, 18 novembre 1997 n. 1331, ivi,3044 con nota di IANNOTTA; Cons. St., Sez. II, 2 giugno 1998 n. 113/98, in Consiglio di Stato 1999,I,1048; Cons. St., Sez. IV, 7 dicembre 2000 n. 6494, ivi,2000,I,2609. 55 cfr. circolare del Ministero della Funzione pubblica 8 gennaio 1991 n. 6039-7/463, in G.U. 23 gennaio 1991 n. 19.56 cfr., tra i numerosi contributi, SASSANI, Prime considerazioni sulla nuova procedura del silenzio, in Giustizia civile 2000,II,455; FANTINI, Il rito speciale in materia di silenzio della pubblica amministrazione, in TAR 2000,II,609; IARIA, Il ricorso e la tutela contro il silenzio, in Giornale di diritto amministrativo 2000,1074; SAITTA, Ricorsi contro il silenzio della p.a.: quale silenzio?, in questa Rivista; TOGNOLETTI, Commento all’art.2 della legge 21 luglio 2000 n. 205, in Le nuove leggi civili commentate 2001,575; MIRATE, Silenzio della pubblica amministrazione e azione di condanna: riflessioni sul sindacato del giudice amministrativo nel giudizio ex art.21 bis della L. 1034/71, in Giurisprudenza italiana 2001,I,1993; GIACCHETTI, Il ricorso avverso il silenzio dell’amministrazione e “le macchine di Munari”, in Consiglio di Stato 2001,II,471; MARRAMA, Nuovo rito nel giudizio sul silenzio non significativo della pubblica amministrazione, ivi,1987; GRECO, L’art.2 della legge 21 luglio 2000 n. 205, in Diritto processuale amministrativo 2002,1; SCOCA, Il silenzio della pubblica amministrazione alla luce del suo nuovo trattamento processuale, ivi,239.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
51
costituisce, quindi, solo un ulteriore incombente per il soggetto leso
dall’inadempimento dell’amministrazione medesima 57.
Non ha invece mutato opinione il Consiglio di Stato58 ,per il quale la L.
n. 205/2000 ha introdotto elementi innovativi nella disciplina processuale
del silenzio, ma non in quella sostanziale, cui attiene il regime di
formazione dello stesso 59.La legge 11 febbraio 2005 n. 15 recante
modifiche ed integrazioni alla L. n. 241/9060 apporta una significativa
integrazione all’art. 2 della L. n. 241/90, aggiungendovi il comma 4 bis61
,secondo il quale alla scadenza dei termini per la conclusione del
procedimento, come stabiliti dai commi 2 e 3 del medesimo art. 2, il ricorso
avverso il silenzio può essere immediatamente proposto senza necessità di
diffida all’amministrazione inadempiente. Il legislatore pone, quindi, fine
57 cfr. TAR Calabria-Reggio Calabria, 23 novembre 2000 n. 1956, in TAR 2001,I,395; TAR Sicilia-Catania, Sez. II, 10 febbraio 2001 n. 293, ivi,1502; TAR Sicilia-Catania, Sez. II, 13 novembre 2001 n. 1927, ivi,2002,I,376; TAR Campania-Napoli, Sez. I, 22 novembre 2001 n. 4977, in Giornale di diritto amministrativo 2002,201; TAR Campania-Napoli, Sez. I, 17 gennaio 2002 n. 330, in TAR 2002,I,1167; TAR Sicilia-Catania, Sez. II, 31 marzo 2004 n. 869, in giustizia-amministrativa.it; TAR Lazio, Sez. I bis, 18 gennaio 2005 n. 384, in questa Rivista n. 1/2005.58 cfr. Cons. St., Sez. IV, 11 giugno 2002 n. 3256, in Giurisprudenza italiana 2002,I,2402 con nota di MIRATE, Foro amministrativo CDS 2002,1413 e 2037 con nota di LAMBERTI, Foro italiano 2003,III,217; Cons. St., Sez. VI, 24 marzo 2003 n. 1521, in Consiglio di Stato 2003,I,690; Cons. St., Sez. V, 11 giugno 2003 n. 3288, in Foro amministrativo CDS 2003,3101 con nota di CREPALDI; Cons. St., Sez. VI, 27 ottobre 2003 n. 6621, ivi,3058; Cons. St., Sez. V, 4 febbraio 2004 n. 376, in Consiglio di Stato 2004,I,242; Cons. St., Sez. IV, 6 luglio 2004 n. 5020, in Urbanistica e appalti 2004,1421 con nota di TARANTINO; Cons. St., Sez. V, 11 novembre 2004 n. 7331, in Consiglio di Stato 2004,I,2370.59 sulla questione cfr. STICCHI DAMIANI, La diffida a provvedere nel giudizio avverso il silenzio dell’amministrazione, in Foro amministrativo TAR 2002,4205.60 sulla legge n. 15/05 cfr. VIRGA, Le modifiche ed integrazioni alla legge n. 241 del 1990 recentemente approvate. Osservazioni derivanti da una prima lettura, in questa Rivista n. 2/2005; M.A. SANDULLI, La riforma della legge sul procedimento amministrativo tra novità vere ed apparenti, in federalismi.it; TOSCHEI, Le nuove tecniche di diluizione procedimentale del potere delle P.A. dopo la L. 11 febbraio 2005 n. 15: prime riflessioni sulle nuove regole, in Consiglio di Stato 2005,II,229; F. e M. MINNITI, Gli atti, i procedimenti, la trasparenza: ecco che cosa cambia con la riforma, in D&G Diritto e giustizia n. 11/2005,58; FORLENZA, Un’enfatizzazione del principio di efficacia a scapito delle garanzie di tutela dei cittadini, in Guida al diritto n. 10/2005,42; BACOSI-LEMETRE, La legge n. 15 del 2005: ecco il nuovo volto della “241”, in giustizia-amministrativa.it; SPUNTARELLI, Le nuove norme generali sull’azione amministrativa introdotte dala legge 11 febbraio 2005 n. 15 di modifica ed integrazione alla L. n. 241/1990, in diritto.it.61 cfr. FORLENZA, Se c’è silenzio della PA ricorso al TAR senza diffida, in Guida al diritto n. 10/2005,52.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
52
alle dispute descritte in precedenza in ordine alla necessità della diffida,
individuando nel termine di conclusione del procedimento il momento di
formazione del silenzio rifiuto dell’amministrazione. A tal fine l’art.5
della L. n. 15/05 ha inserito nell’art. 8 della L. n. 241/90 la lettera c-bis),
secondo la quale la comunicazione di avvio del procedimento deve
contenere l’indicazione della data entro la quale deve concludersi il
procedimento e i rimedi esperibili in caso di inerzia dell’amministrazione.
Il comma 4 bis consente, inoltre, la proponibilità del ricorso entro un
anno dalla formazione del silenzio e non nell’ordinario termine di
decadenza di sessanta giorni, come sostenuto dalla giurisprudenza
maggioritaria 62.
La previsione di tale termine (unita a quella citata sulla comunicazione
di avvio del procedimento) risolve il problema della pericolosità dei silenzi
automatici, che costituiva nella giurisprudenza del Consiglio di Stato la
fondamentale ragione del mantenimento della diffida ex art.25 D.PR. n.
3/57 quale presupposto indefettibile per la formazione del silenzio rifiuto.
A seguito della nuova disciplina del procedimento amministrativo di cui
alla legge n. 15/2005 (poi integrata dalla legge n. 80/2005), la dottrina63 ha
ritenuto venuta meno la possibilità di assegnare alla diffida valore sia ai fini
della formazione dell’inadempimento imputabile sia ai fini processuali,
quale causa d’inammissibilità dell’azione avverso il silenzio: “(…) la
speciale procedura dell’articolo 25 del D.P.R. n. 3/1957 deve essere dunque
restituita alla sua funzione originaria di meccanismo volto alla
62 cfr. Cons. St., Sez. V, 18 novembre 1997 n. 1331, cit. alla nota n. 10; Cons. St., Sez. VI, 19 marzo 1998 n. 315, in Foro amministrativo 1998,761; Cons. St., Sez. V, 17 ottobre 2000 n. 5565, in Consiglio di Stato 2000,I,2266; Cons. St., Sez. V, 4 febbraio 2004 n. 376 cit. alla nota n. 14.63 CORRADINO M., Termini, efficacia dei provvedimenti e silenzio dell’Amministrazione nelle “riforme” della legge n. 241/1990, in www.giustamm.it
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
53
ricostruzione di un titolo di responsabilità in capo al funzionario
inadempiente, con esclusione di ogni suo strumentale significato sul
diverso piano della ricostruibilità di un atto tacito possibile oggetto di
impugnazione e con esclusione di una sua impropria utilizzabilità pretoria
come causa di inammissibilità extra legem dell’azione avverso il silenzio
della P.A..
A seguito della riforma recata dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15
(ribadita dalla Legge 14 maggio 2005, n. 80) la diffida non rappresenta più
presupposto condizionante l’ammissibilità del ricorso contra silentium;
viene, infatti, accolta la tesi secondo cui (a garanzia del cittadino, l’art. 2, l.
241/1990, ha formalizzato il principio del dovere degli enti pubblici di
procedere qualora sussistano i presupposti di legge e di adottare il
provvedimento finale rispettando il termine del processo decisionale […]
Né è possibile affermare che la diffida sia necessaria per consentire al
privato di acquisire la piena conoscenza del dies a quo per il computo dei
termini decadenziali, così evitando l’inconsapevole formarsi
dell’inopppugnabilità. A questo scopo risponde pienamente la
predeterminazione dei tempi procedimentali, la cui conoscenza da parte del
privato nella disciplina ante riforma era assicurata dalla pubblicità delle
relative disposizioni regolamentari art.2com.4)64
Anche la giurisprudenza65 ha recepito la profonda novità della novella, ed
ha subito dato atto che “la chiara presa di posizione del legislatore statale
nel senso della permanenza, entro il limite di un anno, dell’inadempimento
amministrativo all’obbligo di provvedere sancito dall’art. 2 legge n.
64 Occhiena, Riforma della l. 241/1990 e “nuovo” silenzio-rifiuto: del diritto v’è certezza, in www.giustamm.it65 Cosiglio di stato sez. V Sent. 22 novembre 2005 n. 6500, sul sito istituzionale della giustizia amministrativa
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
54
241/1990, è destinata ad infirmare le giustificazioni teoriche sottese al
riferito indirizzo pretorio, giacché il soggetto interessato a provocare una
risposta provvedimentale dell’amministrazione risulta ora legittimato a
ricorrere direttamente all’autorità giudiziaria, con il rimedio accelerato
previsto dall’art. 21-bis della legge n. 1034/1971, anche in assenza di una
preventiva diffida dell’amministrazione rimasta inerte e, dunque, a fortiori,
pure a seguito di un’intimazione non avvenuta nelle forme indicate dall’art.
25 del D.P.R. n. 3/1957”.
3. L’ambito di applicazione della legge 7 agosto 1990
In particolare l’art.29 , come novellato, individua l’ambito soggettivo di
applicazione della legge n.241/90; peraltro anche il nuovo art.1 comma 1-
ter contiene disposizione utile ai fini che qui interessano.
Il vecchio testo dell’art. 29 prevedeva che le disposizioni della legge 241
contenessero “principi generali dell’ordinamento giuridico” ai quali si
dovevano informare le regioni a statuto ordinario nel disciplinare con
propria legge la materia del procedimento amministrativo; in mancanza
della quale trovava “temporaneamente” diretta applicazione la legge
statale; al secondo comma si rivolgeva alle regioni a statuto speciale ed alle
province di Trento e Bolzano, disponendo che entro un anno dall’entrata in
vigore della legge statale dette regioni e province dovessero adeguare i
rispettivi ordinamenti alle norme fondamentali contenute nella legge 241.
Il nuovo testo dell’art. 29 tiene evidentemente conto delle modifiche
costituzionali al titolo V della Carta e dispone, al primo comma, che la
legge si applica alle amministrazioni statali ed agli enti pubblici nazionali e
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
55
, per quanto stabilito in materia di giustizia amministrativa, sostanzialmente
cioè per la procedura dell’accesso agli atti dell’amministrazione e
verosimilmente per il silenzio, a tutte le amministrazioni pubbliche; al
secondo comma si rivolge a regioni ed enti locali prevedendo una
autonoma regolamentazione della materia, secondo le rispettive
competenze, nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del
cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa, così come definite dai
principi stabiliti dalla stessa legge 241.
Invero secondo una prima lettura di alcuni autori66 la disposizione
riguardante le autonomie locali si presenterebbe sostanzialmente
confermativa dell’originaria disciplina, in quanto non vi sarebbe differenza
sostanziale tra principi generali dell’ordinamento e principi posti a garanzia
del cittadino nei confronti dell’amministrazione. Del resto le materie
disciplinate dalla legge 241 sarebbero in gran parte di competenza
esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117 comma 2 lett. l) od m).
Invero una prima significativa differenza tuttavia sussiste, e consiste nel
fatto che la precedente normativa prevedeva una diretta applicazione della
legge 241 per tutto il tempo in cui la regione non avesse disciplinato
autonomamente la materia; disposizione che non si rintraccia più nel nuovo
testo e che ha portato la giurisprudenza ad affermare che, medio tempore,
non si applica la legge 241 bensì la normativa regionale vigente in
materia67, quindi non si applicano direttamente tutte le nuove norme
introdotte con le leggi 15 ed 80 del 2005, fermo restando che,
verosimilmente, ogni regione già possiede una disciplina del procedimento
modellata sul vecchio testo della legge 241.
66 Francesco Castello “La nuova attività amministrativa” Maggioli 2006 pag.9867 TAR Puglia Bari sez. II 6 dicembre 2005 n.5196
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
56
Di segno diverso è l’opinione del TAR Sicilia Palermo68 il quale
afferma che anche dopo la novella, nemmeno le regioni a statuto speciale
possono derogare ai principi generali posti dalla legge 241, potendo
introdurre solo garanzie ulteriori per il cittadino, con la conseguenza che
detti principi s’impongono subito direttamente, a prescindere da una norma
regionale che ne replichi il contenuto: così si è stabilita l’immediata
applicabilità nell’ambito regionale dell’art. 2 comma 4 bis in base al quale,
decorsi i termini di cui ai precedenti commi 2 e 3, il ricorso avverso il
silenzio può essere proposto anche senza preventiva diffida ad adempiere,
perdurando l’inadempienza.
Peraltro, in base al comma 1 novellato, non dovrebbero sussistere dubbi
che tutte le disposizioni attinenti alla giustizia amministrativa si applicano
da subito anche agli enti locali; tra queste non solo quelle sull’accesso ma
anche quella sull’impugnazione del silenzio, nei termini stabiliti , senza
necessità cioè di previa diffida ove permanga l’inadempienza69. Nei limiti
quindi di tale precisazione appare pienamente condivisibile anche la
posizione del tribunale siciliano che, se riferita ad altre disposizioni sul
procedimento, avrebbe potuto creare qualche perplessità, considerato che è
stata volutamente espunta dall’ordinamento la norma che rendeva, medio
tempore, direttamente applicabile, e solo alle regioni a statuto ordinario, la
disciplina intera della legge 241.
Anche le nuove disposizioni sull’efficacia ed invalidità del
provvedimento amministrativo, contenute negli artt. da 21-bis a 21-nonies,
rientrerebbero per alcuni nell’ambito delle norme sulla giustizia
68 TAR Sicilia Palermo sez. II 3 novembre 2005 n. 441469 TAR Puglia Bari, sez. III 6 settembre 2005 n.3801
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
57
amministrativa70, opinione che invero desta qualche perplessità avendo le
disposizioni sulla validità, efficacia, revoca e recesso dell’atto una
rilevanza solo indiretta sulla giustizia, non potendosi considerare certo
norme processuali, se non limitatamente ad alcuni aspetti.
Per quanto qui interessa è preliminare chiarire che la normativa della
legge 241 può applicarsi solo a soggetti che agiscono tramite atti e
provvedimenti amministrativi, esclusi quindi anche enti pubblici che
agiscano seguendo la disciplina del diritto privato.
Quindi è escluso ad es. che gli enti pubblici economici possano ritenersi,
in generale, soggetti alla disciplina della legge n. 24171. Per quanto
concerne invece soggetti privati concessionari di pubblico servizio, essi
svolgono attività di natura amministrativa che, come tale, è soggetta alle
regole del procedimento ed alla giurisdizione del giudice amministrativo72.
70 Francesco Castello “La nuova attività amministrativa” Maggioli 2006 pag.10071 TAR Puglia Lecce sez. II 7 maggio 1996 n.339, dove l’aggiudicazione di lavori adottata da consorzio di bonifica è stata esclusa dalla giurisdizione del giudice amministrativo, trattando si ente pubblico economico; TAR Marche 11 aprile 1996 n.191 che ha escluso dall’attività amministrativa la selezione di personale ad opera di ente pubblico economico72 Cassazione SS.UU. 28 agosto 1998 n.8541 che ha considerato attività amministrativa –aggiudicazione di appalto di opera pubblica- quella di un ente pubblico economico che agisce non nell’interesse proprio ma quale concessionario di ente pubblico. Ipotesi opposta quella esaminata da TAR Campania Napoli sez. V 22 settembre 2005 n.15418 riguardante un concessionario della sola realizzazione di lavori e non anche di servizio pubblico di gestione della costruenda linea metropolitana
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
58
4. I termini del procedimento
“I1 procedimento amministrativo è una vicenda che si svolge in un arco
di tempo": quest'ultimo rappresenta dunque un ineludibile fattore di
interesse per qualsiasi legislatore che si proponga di incidere sugli stilemi
dell'agire pubblico. Sono noti in proposito "i tempi senza tempo"
dell’azione amministrativa, tradizionalmente affetta da un'eccessiva
lunghezza del procedimento e da un'incontrollabile incertezza dei tempi di
conclusione dello stesso. Al fine di porre rimedio a tali patologie, il
moderno legislatore ha operato su un duplice piano: sotto il profilo della
certezza, ha sancito l'obbligo di concludere il procedimento con un
provvedimento espresso ed entro un termine prestabilito; sotto il profilo
della lunghezza, ha introdotto un termine residuale e generale di trenta
giorni, “provocatorio" per la sua brevità, accanto a numerosi strumenti di
semplificazione dell'azione amministrativa, quali il silenzio assenso, la
denuncia di inizio di attività e la conferenza di servizi.
All'azione dei pubblici poteri risulta insomma sottesa una nuova
consapevolezza dell'importanza del tempo nella regolazione dei rapporti
giuridici, per cui non appare più sufficiente che l'amministrazione si attivi,
ma è necessario che lo faccia
celermente, in termini brevi predeterminati il cui rispetto viene a essere
assicurato dal responsabile del procedimento.
Gli interventi normativi più recenti (c.d. Leggi Bassanini)73 hanno
proseguito il disegno riformatore già avviato nel '90, riprendendo le linee
73 L. 15 marzo 1997, n59 c.d. legge Bassanini I; l.15 magio 1997, n.127 c.d. legge Bassanini II; l. n.191 del 1998 c.d. legge Bassanini III
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
59
guida contenute nella legge sul procedimento e correggendo le discrasie
manifestatesi dopo i primi anni di attuazione. Più precisamente la legge
Bassanini I ha previsto precise misure sanzionatorie in caso di violazione
dei tempi procedimentali74 (indennizzo e poteri sostitutivi), mentre le leggi
Bassanini II e III hanno valorizzato il principio di semplificazione
dell'azione amministrativa attraverso la riduzione dei termini e la
previsione di nuovi strumenti di snellimento 75.
L'obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso
e la previsione di un termine finale certo entro cui addivenire alla
decisione76 costituiscono le fondamenta su cui si erge il nuovo sistema dei
tempi dell'azione amministrativa. I1 suddetto obbligo di provvedere
risulterebbe peraltro svuotato del suo significato pregnante se non fossero
fissati dei limiti temporali entro cui l'amministrazione e tenuta ad
esprimersi. La sostanziale impunità dell'amministrazione procedente, nel
lasciare aperto ad infinitum un procedimento ritualmente iniziato, ha infatti
costituito un costume riprovevole del nostro sistema su cui il legislatore e
opportunamente intervenuto stabilendo che "le pubbliche amministrazioni
determinano per ciascun tipo di procedimento, in quanto non sia già
disposto per legge o per regolamento, il termine in cui esso deve
concludersi" e, nell'ipotesi in cui le stesse non provvedano, il termine e di
trenta giorni. In base a tale disposizione, dunque, ogni procedimento deve
avere un termine certo e l'amministrazione deve provvedere a determinare i
tempi di svolgimento della propria azione qualora questi non siano stabiliti
in via generale per legge o regolamento (principio della certezza del
termine).
74 Indennizzo e poteri sostitutivi75 c.d. riforma dei pareri, conferenze di servizio obbligatorie, sportello unico delle attività produttive.76 Cfr. art.2 della l. n.241 del 1990
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
60
Nonostante la norma richiamata preveda un sistema di fonti a cascata
per la fissazione del termine del procedimento (legge, regolamento, atti
della pubblica amministrazione), e stato correttamente osservato che il
fondamento della disciplina dei tempi e sempre legale, poiché e una norma
di rango primario77 che pone il principio di certezza del tempo dell'azione
amministrativa, rimettendo a fonti di carattere secondario soltanto la
concreta definizione del quantum. Ciò significa che il termine del
procedimento non si limita a scandire, sotto il profilo temporale, l'attività
della pubblica amministrazione nell'interesse esclusivo di quest'ultima, ma
concorre a definire l'assetto dei rapporti tra potere pubblico e destinatario
del provvedimento, anche in funzione di tutela della sfera giuridica di
quest'ultimo. Nell'ottica delineata dal legislatore del '90 il termine del
procedimento assume, pertanto, una chiara dimensione intersoggettiva e
l'obbligo di provvedere non concerne solo l'an dell'attività amministrativa,
ma anche il quando emanare il provvedimento espresso.
La legge sul procedimento pone soltanto il principio generale della
certezza del tempo dell'agire della p.a., rimettendo tuttavia all'interprete il
compito di individuare la natura del termine e il relativo regime giuridico.
In via generale, come nel processo, anche nel procedimento i termini si
distinguono in perentori, ordinatori e comminatori. Per i termini perentori il
decorso del tempo è fatto impeditivo dell'esercizio della situazione
soggettiva e, se questa e esercita, o è inutiliter data, o rende viziato l'atto.
Nel caso dei termini ordinatori, invece, il tempo fissato dalla norma ha
valore indicativo, costituendo regola di buona amministrazione per
l'autorità cui spetta la potesta di prorogarlo. Infine, il termine e
comminatorio quando il suo superamento non impedisce l'esercizio della 77 La legge 241 del 1990
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
61
situazione soggettiva o del potere, ma comporta o può comportare una
sanzione a carico di chi lo ha trasgredito. Muovendo da tali definizioni il
dibattito sulla natura del termine e stato caratterizzato da diversi e
contrastanti approcci ermeneutici, non sempre coerenti e rispettosi della
ratio legis.
Un primo orientamento, invocando il principio tradizionale secondo cui
i termini sono di regola ordinatori è soltanto in via eccezionale, nei casi
espressamente previsti dalla legge, sono perentori, ha concluso per la
natura meramente sollecitatoria del termine finale del procedimento . Tale
impostazione , recepita anche in sede ministeriale , non appare tuttavia
conforme alla lettera e allo spirito della normativa che configura piuttosto il
termine come obbligatorio. La formula legislativa utilizzata al riguardo è
infatti chiarissima quando fa riferimento al "termine entro cui deve
concludersi il procedimento”, d'altro canto, le finalità di certezza e celerità
che ispirano la normativa di riforma suggeriscono di attribuire al termine
un valore vincolante e non meramente indicativo. In definitiva, il tempo
assegnato alla p.a. per l'emanazione del provvedimento non ha funzione
semplicemente orientativa sicché il termine finale non può essere
classificato come meramente ordinatorio, ma come cogente.
Secondo una diversa e valida ricostruzione interpretativa, per
individuare la natura del termine del procedimento occorre distinguere tra
procedimenti ad istanza di parte e procedimenti d'ufficio: i primi, iniziati
dal privata, sono diretti ad ottenere provvedimenti che producono effetti
ampliativi della sfera giuridica del destinatario, mentre i secondi, avviati
dalla p.a., sono volti all'emanazione di provvedimenti restrittivi. In
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
62
entrambi i casi il termine assume una dimensione intersoggettiva, in quanto
si inserisce nel rapporto tra p.a. e cittadino sul quale ricadono gli effetti del
provvedimento, ma la sua natura varia in relazione al tipo di interesse (
rispettivamente pretensivo ed oppositivo) di cui e titolare il privato. Nei
procedimenti ad istanza di parte il termine si colloca all'interno della
relazione "diritto soggettivo-obbligo" che si instaura tra il privato che
presenta la domanda e la p.a. che è obbligata a provvedere. Poiché si
riproduce un assetto di rapporti corrispondente a quello esistente tra
debitore e creditore, il modello concettuale di riferimento deve rinvenirsi,
secondo l'Autore, nel termine per l'adempimento delle obbligazioni, con la
conseguente applicabilità del regime civilistico. Nei procedimenti d'ufficio,
invece, il termine svolge essenzialmente una funzione di garanzia,
collocandosi all'interno della relazione tra il potere dell'amministrazione
che incide negativamente nella sfera giuridica del destinatario e l'interesse
legittimo oppositivo di quest'ultimo. In tal caso il rapporto e di potestà-
soggezione, per cui il modello concettuale di riferimento e il termine per
l'esercizio dei diritti potestativi o, mutatis mutandis, il termine perentorio.
Tale tesi coglie sicuramente nel segno quando sottolinea il nuovo ruolo
che il termine svolge nel procedimento. Il fattore temporale non
rappresenta infatti un mero elemento integrativo della fattispecie costitutiva
del potere esercitato dall'amministrazione, ma svolge una funzione di
garanzia dei destinatari del provvedimento, collocandosi all'interno di una
relazione di tipo obb1igatorio (diritto dell'istante ad una risposta e obbligo
della p.a. di provvedere). Meno convincente è invece il tentativo di
ricostruire la natura del termine muovendo dalla distinzione tra
procedimenti su istanza e d'ufficio, atteso che non esiste una
corrispondenza biunivoca tra tipo di iniziativa e natura del provvedimento
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
63
finale. Infatti, sebbene per communis opinio, le autorizzazioni, concessioni,
ammissioni conseguono a procedimenti iniziati su domanda del privato, in
quanto provvedimenti ampliativi della sua sfera giuridica, ciò non esclude
che anche atti, in apparenza restrittivi per il destinatario, possano essere
avviati su istanza di parte: si pensi, ad es., alla notifica di vincolo per un
bene culturale che è spesso direttamente sollecitata dallo stesso proprietario
privato.
Sotto il profilo dogmatico, poi, lascia perplessi l'individuazione di un
termine perentorio (o di decadenza) in caso di procedimenti d'ufficio, atteso
che la deroga al principio della inesauribilità del potere dovrebbe trovare un
preciso fondamento nelle disposizioni normative. La legge sul
procedimento non contiene, tuttavia, alcuna qualificazione in tal senso, ne,
d'altro canto, l'effetto preclusivo può essere dedotto in via interpretativa,
per esigenze di garanzia del privato, ponendosi in contrasto con il principio
di legalità dell'azione amministrativa e con le esigenze insopprimibili di
continuità della stessa78.
Da tali rilievi derivano due importanti conseguenze sotto il profilo
teorico e pratico. Anzitutto, il termine finale del procedimento non può
considerarsi perentorio, ma più tecnicamente comminatorio, sia nei
procedimenti ad istanza di parte che in quelli ad iniziativa d'ufficio. Il non
provvedere entro il termine rituale non estingue il potere
dell'amministrazione, ma può comportare una reazione sanzionatoria
nell'interesse dei soggetti nei cui confronti e stato iniziato il procedimento
incompiuto. Più precisamente, come vedremo nel prosieguo dell'indagine,
78 Cons. St., sez. V, 8 giugno 1994, n. 614, in Foro it., 195,III, 265
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
64
il superamento dei tempi procedimentali legittima il privato a reagire
contro l'inerzia della p.a., avvalendosi dei mezzi di tutela amministrativa,
risarcitoria e persino penale. In secondo luogo, la distinzione tra
procedimenti d'ufficio e ad istanza di parte non incide sulla natura del
termine e sulla sua funzione, ma soltanto sulle modalità di individuazione
del dies a quo che sarà diverso a seconda del tipo di iniziativa.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
65
Capitolo 3
Silenzio della p.a. e tutela giurisdizionale alla luce della l. 205
del 2000 e dalla l. 69 del 2009
1.Riflessioni introduttive sul nuovo processo
amministrativo
Il sistema della giustizia amministrativa si evidenzia parzialmente
attraverso un percorso cadenzato da una serie di momenti che
essenzialmente possono così individuarsi : la genesi è del marzo 1865 n.
2248 che ha tracciato i limiti della giurisdizione del giudice ordinario; poi
la legge n. 5992 del 1889 istitutiva della IV sezione del Consiglio di Stato
che ha segnato la nascita del giudice amministrativo; e ancora la legge n.
1034 del 1971 istitutiva dei T A R che ha generalizzato il doppio grado di
giudizio; di certo strumento catalizzatore di cambiamento che ha agito
nell’iter processuale è stata la legge 205 del 2000. La legge del 21 luglio
2000 “Disposizioni in materia di giustizia amministrativa” è stata
approvata nella fase conclusiva di una legislatura nata all’insegna di un
progetto ambizioso di riforma costituzionale, elaborato con la legge
costituzionale n. 1 del 1997, che avrebbe modificato in modo radicale
l’assetto della giustizia amministrativa79.
79 Il disegno di legge è stato presentato al Senato il 10 dicembre 1997, Atto Senato n. 2934; cfr. S. CASSESE, Il Consiglio di Stato e la riforma costituzionale, Milano, 1997. Ancora in materia v. C. CALABRO’, Pronti a giocare la sfida della qualità, in Guida al diritto, 12 agosto 2000, n. 30, 30; cfr. G. GIOVANNINI, Note di commento alla legge n. 205 del 2000, in Giorn. dir. amm., 2000; v. tra gli altri, Cons. St., I, 988 e ss. Sulla nozione di parti nel processo cfr. V. DOMINICHELLI, Le parti del processo, in Trattato di diritto amministrativo – Tomo IV il processo amministrativo, (a cura di CASSESE ), Milano, 2000, 2365 e ss.; ancora, C. E. GALLO, La modifica del processo amministrativo, Torino, 1985; C. MIGNONE, I motivi aggiunti nel processo amministrativo, Padova, 1984.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
66
Più precisamente la legge conferma, razionalizza e stabilizza una serie
di innovazioni introdotte negli ultimi anni in parte sia in via legislativa, sia
in via giurisprudenziale e apre prospettive di sviluppo del processo
amministrativo nella direzione di un’effettività più piena e di una
paritarietà delle tecniche di tutela impiegate dal giudice amministrativo e
dal giudice ordinario rispetto a situazioni giuridiche soggettive di
consistenza identica e in particolare dei diritti soggettivi. La forzata
sottolineatura di tale fattore rischia di far dimenticare che, però, l’ossatura
del provvedimento è costituita da un progetto 80di adeguamento del
processo amministrativo ai principi posti dalla Convenzione Europea per i
diritti dell’uomo, su cui era stata favorevole anche l’Adunanza Generale del
Consiglio di Stato81. Qualche imperfezione tecnica non rende meno
ammirevole il tentativo di dare risposta alle istanze di tutela, man mano che
emergevano nella prassi (si pensi alla consacrazione legislativa del
principio della risarcibilità delle lesioni di interessi legittimi); ancora
qualche difetto di coordinamento tra le norme non deve distogliere
l’attenzione dalla nuova disciplina processuale che si formava e che segna
una svolta nella (scelta del sistema). Molte sono, quindi, le importanti
modifiche e innovazioni apportate dalla riforma 205 del 2000, tipo, ricorso
avverso l’inerzia della Pubblica amministrazione (art.2), tutela cautelare
(art. 3), tutela sommaria non cautelare (art.8), ma in particolare affrontiamo
l’art. 9 che introduce l’istituto della sentenza breve, prevedendo che i
ricorsi, palesemente inammissibili, possono essere definiti con sentenze
adottate con motivazione sintetica. La sentenza con motivazione succinta,
precisamente così definita, ha ricevuto dignità di istituto ordinario del
processo amministrativo ad opera dell’art.9 della legge 205/2000.
80 Atto Senato 1124 81 Parere n. 236/94 del 1994
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
67
Precisamente con l’art. 9 della legge n. 205/2000 hanno trovato ingresso
nel processo amministrativo alcuni istituti dichiaratamente finalizzati allo
snellimento del procedimento giurisdizionale, che, secondo l’indicazione
contenuta nella rubrica della disposizione, possono sinteticamente
qualificarsi come “ decisioni in forma semplificata ”82.
Questa disposizione disciplina la semplificazione di alcuni tipi di
pronuncia conclusiva del processo : oltre la sentenza di merito, che può
essere redatta con motivazione succinta, si prevede, per i casi di rinuncia,
cessazione della materia del contendere, estinzione del giudizio e
perenzione, il decreto monocratico in luogo della decisione collegiale.
Inoltre con lo stesso articolo si semplifica la definizione del regolamento di
competenza attribuendo al T A R la delibazione della manifesta
infondatezza del relativo ricorso, e quindi, impedendo che il giudizio debba
essere necessariamente sospeso in attesa della decisione del Consiglio di
Stato83 e prevede, al non celato fine di alleggerire il giudice amministrativo
dell’arretrato costituito dai ricorsi pendenti da più di dieci anni, la
82 Per i primi commenti sull’art. 9 della legge 205 del 2000, v. tra gli altri, E. PALMARA, Azzerato il contenzioso pluridecennale se le parti non si affrettano all’istanza. L’analisi della riforma processuale amministrativa, in Dir. e giust., 2000, 28 e ss.; Per ulteriori indicazioni, M. A. SANDULLI, Le nuove misure di snellimento del processo amministrativo nella legge 205 del 2000, in Giust. Civ., 2000, II, 12, 1360; nonché G. TERRACCIANO, Per le questioni chiare debutta << la sentenza breve>> in Guida al diritto, 2000 , 30 e ss..In giurisprudenza, una delle prime applicazioni dell’istituto può rinvenirsi in TAR Calabria, Reggio Calabria, 25 settembre 2000, n. 1406, in Guida al diritto , 2000, 37, 67, con commento di R. BRANCIFORTE, Bocciato l’annullamento della prova d’esame.Il ricorrente è ammesso con riserva all’orale, in cui è stata ritenuta la manifesta fondatezza del ricorso; A. LAMBERTI, Le decisioni in forma semplificata, in AA.VV. ( a cura di V. CERULLI IRELLI ), Verso il nuovo processo amministrativo. Commento alla legge n. 205 del 2000, Torino, 2000, 337 e ss.; R. MONTEFUSCO, Le decisioni in forma semplificata, in AA. VV. ( a cura di R. VILLATA e B. SASSANI ). Aggiungasi naturalmente tutta la manualistica ed opere successive alla riforma: A. TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2000, 271 e ss.; C. E. GALLO, Manuale di giustizia amministrativa, Torino, 2001, 225 e ss.; R. JUSO, Lineamenti di giustizia amministrativa, 2001, 410 e ss..83 M. BRANCA, Brevi note sulla sentenza succintamente motivata, in Cons. St., 1999, II, 1679. Cfr. F. CARINGELLA, R. GAROFALI, M. T. SEMPREVIVA, L’accesso ai documenti amministrativi, Milano, 1999, 423 e ss..
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
68
dichiarazione della perenzione automatica d’ufficio84. Questo tipo di
sentenza sembra la semplificazione processuale di maggior rilievo per
l’ampiezza dell’area su cui è destinata ad incidere.
La norma sembra non costituire novità assoluta del sistema, essendo
stata in qualche misura anticipata da precedenti iniziative di riforme; come
si sa, una analoga innovazione, già ventilata in numerosi progetti di legge
di riforma del processo amministrativo, era stata adottata con carattere di
eccezionalità per la soluzione delle vertenze in materie particolari con il
nome di sentenza con motivazione abbreviata ( art. 19 D. L. n. 67 del 1997;
art. 1 comma 27° legge n. 249 del 1997 )85; ricordiamo infatti gli ultimi tre
disegni di legge in materia ( A. C. 1912 e AA. SS 1124 e 2934 ) di questi il
terzo infine sfociato nella legge 205 del 2000. Tali istituti, pur ricompresi
in un unico contesto normativo, appaiono accomunati non tanto
dall’omogeneità della disciplina, quanto dall’intento del legislatore di
favorire, in via generale e senza comprimere indebitamente le prerogative
di difesa delle parti, la celere definizione dei giudizi e l’alleggerimento di
ruoli notoriamente aggravati86. La sentenza con motivazione succinta
introdotta con la 205/2000 è istituto non proprio identico, a causa di talune
limitazioni in precedenza assenti, ma sostanzialmente equivalenti a quello
ricordato. Tant’è che le due disposizioni citate ( il D. L. 67 del 1997, e la
legge n. 249 del 1997 ) sono state abrogate, oltre che sostituite dalla
84 D. DE PRETIS, Valutazione amministrativa e discrezionalità tecnica, Padova, 1995. Inoltre evidenzia G. VIRGA, I procedimenti abbreviati previsti dalla legge 205/2000, Relazione al Convegno degli avvocati amministrativisti, Il processo amministrativo dopo la riforma, Palermo 2000.85 Cfr. Cons. St., Sez. IV, 1 settembre 1998, n. 1139, in Cons. St., 1998, I, 1255.86 F. DELLA VALLE, Il rito, cit. 90-92, dubita dell’utilità di appellare una sentenza che non si conosce, valendo al massimo a bloccare, se all’impugnazione si affianca la richiesta di inibitoria della sentenza una repentina esecuzione della stessa, salva la riproposizione di detta richiesta quando verrà depositata anche la motivazione.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
69
disciplina generale attuale (art. 23 bis comma 1° della legge n. 1034 del
1971, introdotto dall’ art. 4 della legge n. 205 del 2000, art. 4 comma 2°)87.
Più in particolare, il primo comma dell’art. 9 modifica l’art. 26 della
legge n. 1034/71, sopprimendo il quarto comma88 ed aggiungendone altri
quattro i quali prevedono :
a) decisioni in forma semplificata assunte con sentenza succintamente
motivata (commi 4°, 5° e 6° del testo novellato);
b) decisioni semplificate assunte con decreto sulle cc.dd. “cause di
estinzione del giudizio” (comma 7°);
c) sentenze adottate, con motivazione sintetica o semplificata, in camera
di consiglio in sede cautelare (o a seguito dell’esame istruttorio ex art. 44
del r.d. n. 1054/1024).
Il secondo comma dell’art. 9, senza prevedere modifiche espresse della
legge n. 1034/71, individua poi, quale ulteriore nuova causa di estinzione
del giudizio, la perenzione decennale, al fine di eliminare l’arretrato
costituito dai ricorsi pendenti da più di dieci anni.
A norma del successivo comma 3° dello stesso art. 9 della legge n. 205
del 2000 poi, le disposizioni dettate dall’art. 26 della legge 1034/1971, si
applicano anche ai giudizi pensionistici innanzi alla Corte dei Conti, per
tutti i ricorsi rientranti nella sua giurisdizione. Il quarto comma dell’art. 9
sostituisce, da ultimo, il quinto comma dell’art. 31 della legge n. 1034/71
attribuendo al giudice amministrativo di prime cure il potere di definire
immediatamente in Camera di Consiglio, sempre con decisione
87 “Disposizioni in materia di giustizia amministrativa”, in G.U. 26 luglio 2000, n. 173.88 L’abrogato previgente quarto comma dell’art. 26 regolava il regime delle spese di lite, rinviando alle norme del codice di procedura civile. La disciplina delle spese non ha subito però modificazioni atteso che la disposizione è stata riformulata e riproposta con analogo contenuto nell’ultimo periodo del testo novellato.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
70
semplificata di cui al comma 1°, l’istanza di regolamento di competenza
laddove questa risulti manifestamente infondata89.
Ci si rende così conto che la modifica 205/2000 ha voluto introdurre uno
strumento per la definizione dei giudizi amministrativi di portata
generalizzata; l’evidente favor per l’adozione della sentenza semplificata
emerge da altre disposizioni della legge 205, quali l’ art. 2 per il giudizio
sul silenzio e lo stesso art. 9 comma 4° sul regolamento di competenza90.
Il tema viene affrontato nel quadro dello specifico e del generale:
specifico, perché attiene alla fase, strettamente procedurale, della
conclusione del processo, generale, perché con la suddetta legge, anche in
tema di definizione dei giudizi, sono state introdotte norme di portata
innovativa generale che hanno contribuito a modificare fortemente la
fisionomia del processo amministrativo. Dunque giova premettere che con
la legge 205 del 2000, che nasce per il processo amministrativo, per la
prima volta, dopo la lontana legge 1034 del 1971, si è cercato di rimediare
ai principali inconvenienti che erano emersi nel concreto funzionamento
del processo amministrativo e che la sua promulgazione è stata affrettata
dal fatto che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 292 del 20
giugno/17 luglio 2000, ha dichiarato incostituzionale, per eccesso di
delega, l’art. 33 del decreto
legislativo n. 80 del 1998 sulla giurisdizione esclusiva in materia di
servizi, per cui è stato necessario rimediare immediatamente alla grave
89 Per completezza deve segnalarsi che il 3° comma dell’art. 9 prevede l’applicabilità anche ai giudizi pensionistici innanzi alla Corte dei Conti delle decisioni semplificate assunte con sentenza. Le relative tematiche sono oggetto di separato esame in altra sezione del presente lavoro, cui si fa rinvio.90 Per i primi commenti sull’art. 9 legge 205 del 2000, E. PALMARA, Azzerato il contenzioso pluridecennale se le parti non si affrettano all’istanza. L’analisi della riforma processuale amministrativa, in Dir. e Giust., 2000, 28 e ss.; nonché commento di R. BRANCIFORTE, Bocciato l’annullamento della prova d’esame, in cui è stata ritenuta la manifesta fondatezza del ricorso.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
71
lacuna che si era aperta. Ma il problema non è così semplice e non può
risolversi con la mera riduzione dei tempi di redazione delle decisioni, se
ad essa non si accompagna la previsione degli istituti ed i mezzi per
utilizzare i tempi e le energie recuperate a favore della definizione di un
maggior numero di controversie91.
Non manca chi abbia criticato il provvedimento forse per le
imperfezioni tecniche e le implicazioni sostanziali che la legge presenta nel
suo insieme dovute alla fretta nel formularlo; è però innegabile che la “
sentenza succintamente motivata” sia stata costruita come l’istituto
autonomo rispetto alla definizione del merito nella sede cautelare, e quindi
suscettibile di essere utilizzato in ogni occasione processuale nella quale se
ne verifichino i presupposti92; in effetti gli “ errori della fretta ” sono nel
senso che le norme non appaiono sempre puntualmente rispondenti ai
canoni di tecnica legislativa, con il conseguente aggravio interpretativo per
il giudice, che di tali norme deve dare attuazione. Dunque in conclusione si
può dire che con l’art. 9 della legge 205 del 2000 trovano ingresso nel
processo amministrativo alcuni istituti finalizzati allo snellimento e
all’accelerazione del procedimento giurisdizionale che possono
sinteticamente qualificarsi come (decisioni in forma semplificata)93. In
effetti la legge 205 è stata emanata a dieci anni esatti dalla legge n. 241 del
1990 sul procedimento amministrativo e a conclusione di un decennio di
riforme amministrative tutte caratterizzate dal tentativo di riequilibrare i 91 In Cons. St., 2000, I, 1, Disposizioni sulla legge 205 del 2000.92 In relazione all’argomento si vedano anche, F. O. ZUCCARO, Il tempo ed il processo amministrativo, Milano, 1999; nonché S. GIACCHETTI, La riforma infinita del processo amministrativo, in Cons. St., 1999, II, 1231 e ss.. La tematica del << giusto processo >> rinverdita dalla modifica costituzionale con riferimento al processo amministrativo, cfr. E. PICOZZA, Il giusto processo amministrativo, in Cons. St., 2000, I, 1061 e ss..93 Per maggiore completezza, si rinvia alla relazione di A. LA CAVA, ”La definizione dei giudizi: le sentenze ed i provvedimenti di definizione semplificata” in Seminario di studi, Roma 21, 22, 23 Ottobre 2002.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
72
rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione sulla base di principi di
garanzia, trasparenza, partecipazione, efficienza e semplificazione che
tendono a realizzare in modo più compiuto l’ ideale dello Stato di diritto94.
La legge n. 205 prende atto del cambiamento del modo di essere
dell’amministrazione sotto anche un altro profilo : segna cioè l’emersione
sul piano processuale dei cc.dd. “interessi legittimi pretesivi”,
corrispondenti a una pubblica amministrazione che emana provvedimenti
ampliativi della sfera giuridica del destinatario. Altra linea direttrice della
legge è l’accentuazione del ruolo del giudice amministrativo come giudice
chiamato a ricostruire in modo automatico il fatto che sta alla base
dell’esercizio del potere esercitato e non solo a sindacare la legittimità
dell’atto amministrativo; ma di certo la linea direttrice più importante della
legge 205 attiene alla conferma e all’ulteriore svolgimento della tendenza,
già manifestatasi nel d. lgs. n. 80 del 1998, verso un ampliamento della
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e una sua trasformazione
in una giurisdizione non già per mera sommatoria, ma per materia che
consente cioè al ricorrente di proporre innanzi a un unico giudice tutte le
azioni accertamento, condanna e costitutive necessarie per garantire una
tutela completa delle situazioni giuridiche.
La legge 205 contiene anche disposizioni di tipo organizzativo (aumento
dell’organico, carichi di lavoro, composizione del Consiglio di Stato, ecc..);
in conclusione, dunque, la riforma del processo amministrativo pone nelle
94 La proposta di legge n. 6844 d’iniziativa dell’onorevole CERULLI IRELLI all’esame della Camera dei Deputati introduce una serie di principi in tema di cambiamento del procedimento amministrativo ai destinatari, di esecuzione d’ufficio, di sospensione e revoca.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
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mani dei giudici nuovi strumenti per accelerare e sfoltire il carico di
contenzioso, ma richiede anche un impegno organizzativo accresciuto95.
2.Il rito processuale relativo al ricorso contro il silenzio nella legge n. 205/2000
L'art. 2 di detta legge di riforma ha - dopo una lunga gestazione
(essendo stata la disciplina ora emanata oggetto di proposte, di più o meno
analogo segno, avanzate da lungo tempo da parte di giudici amministrativi
e studiosi) - posto una disciplina processuale ad hoc in relazione al ricorso
avverso il silenzio della P.A., introducendo nella legge n. 1034/1971
l'art.21 bis , la cui rubrica così suona: Ricorso contro il silenzio
dell’amministrazione
Ora, va rilevato che la disciplina posta dalla legge n. 205 del 2000 di
carattere esclusivamente processuale, e come tale non incide sull'attività
amministrativa che precede (cui appartiene, deve ritenersi anche la fase
della constatazione del silenzio della P.A.). Di conseguenza, si doveva
ritenere che la questione rimanesse impregiudicata. Invece, alquanto più
tardi prima la legge 11 febbraio 2005, n.15 - che ha introdotto incisive
modifiche in non pochi punti della legge generale sul procedimento
amministrativo n.241 del 1990, modificando, tra l'altro, l'art. 2 di tale
fondamentale testo normativo -, e poi il D.L. 14 marzo 2005, n. 35,
convertito in legge 14 maggio 2005, n.8096 mutavano la situazione.
Prevede, infatti, la nuova versione dell'art. 2, al comma 5, che il ricorso
contro il silenzio "può essere proposto anche senza necessita di diffida
95 La proposta di legge n. 6844 d’iniziativa dell’onorevole CERULLI IRELLI all’esame della Camera dei Deputati introduce una serie di principi in tema di cambiamento del procedimento amministrativo ai destinatari, di esecuzione d’ufficio, di sospensione e revoca.
96 Che, con l'art. 3, comma 6-bis, riscriveva integralmente detto art. 2 legge n. 241
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all'amministrazione inadempiente,fintanto che perdura l'inadempimento e
comunque non oltre il termine di un anno dalla scadenza dei termini..."
previsti per la conclusione del procedimento. Di qui a poco si dirà del
periodo che segue subito dopo nel medesimo comma 5, e del suo effettivo
contenuto innovativo circa i poteri cognitivi del giudice adito con il ricorso
contro il silenzio.
Quanto al nuovo rito del ricorso contro il silenzio, si osserva in primo
luogo che si tratta di un iter processuale molto semplice e accelerato, la cui
trattazione avviene in camera di consiglio, e che sfocia, tuttavia, in una
sentenza97 .La differenza rispetto alle discipline normative di questi ultimi
riti processuali e che qui la norma espressamente dice che deve trattarsi di
una sentenza succintamente motivata. Fermo restando che non vengono
abbreviati i termini di notificazione e di deposito del ricorso rispetto a
quelli ordinari, la decisione in camera di consiglio deve avvenire "entro
trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso",
assicurato il contraddittorio con (e fra) le parti. In caso di disposizione di
incombenti istruttori il termine di trenta giorni decorre "dalla data fissata
per gli adempimenti istruttori” (evidentemente da parte del giudice nel
disporre detti incombenti istruttori).
I1 dispositivo della sentenza di accoglimento resa nel giudizio in tema di
silenzio - e qui sta la peculiarità del meccanismo, comunque mutuato dal
processo di esecuzione del giudicato - contiene l'ordine impartito
all'amministrazione di provvedere entro termine non superiore a trenta
giorni (in che senso, pero, la legge non dice, e non sembra volesse98 dire, e
97 A somiglianza di quanto accade sia per il - ben più antico - rito dell'ottemperanza o di esecuzione del giudicato, sia per il più recente giudizio in materia di diritto di accesso.98 Si legga, infatti, il nuovo comma 5 dell'art. 2
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
75
ciò spiega l'atteggiamento di chiusura che aveva assunto il Consiglio di
Stato a livello di adunanza plenaria). Nel caso che la stessa resti
inadempiente rispetto a tale ordine - prosegue, poi il comma 2 dell'art. 21
bis citato - "il giudice amministrativo, su richiesta di parte, nomina un
commissario che provveda in luogo della stessa" (ancora una volta, senza
un minimo di indicazioni circa il contenuto del "provvedere"). Il comma 3
soggiunge, poi, che all'atto dell'insediamento il commissario ad acta
verificherà preliminarmente che l'amministrazione non abbia provveduto,
benché in data successiva al termine assegnato dal giudice con la sentenza.
Come si vede, si tratta di regole (quelle poste dall'art. 21-bis legge n.
1034/1971) che, per quanto possa insorgere un'iniziale impressione di
grande efficacia, si rivelano affatto deludenti sul piano sostanziale. In
realtà, a parte la previsione dell'ordine di pronunciarsi entro un determinato
termine, e a parte l'éscamotage dell'utilizzazione dello strumento costituito
dal commissario ad acta (figura in sé grandemente utile, creata dalla
giurisprudenza in relazione a1 giudizio di ottemperanza, e poi sancita nella
normazione più recente), la novella legislativa non riformava alcunché, se
non il rito processuale. Ci si sarebbe attesi che si dotasse (prima il giudice e
poi per consequentiam, il commissario ad acta), del potere di pronunciarsi
nel merito della vicenda o rapporto, insomma del potere di pronunciarsi
sulla fondatezza o meno della pretesa (nel caso di potere discrezionale,
indicando condizioni e limiti). Invece, nulla di tutto questo: al di là della
celerità del rito, con l'appendice, per il tramite del commissario a. a.,
dell'esecuzione (dell'ordine di pronunciarsi in un senso purchessia) nulla vi
era di nuovo, poiché, senza dotare il giudice del poteri di penetrare ab intus
nei meandri del comportamento silente, eventualmente previa indicazione
ed esplicitazione delle ragioni, la vicenda era destinata a prolungarsi nel
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
76
tempo, proprio come nei tempi andati99. Invero, anche quando la sentenza
fosse favorevole al ricorrente, la P.A. rimasta "soccombente" poteva
reiterare il suo atteggiamento sfavorevole emettendo un provvedimento
espresso a contenuto negativo, sia pure motivato. Sotto un profilo diverso
ma connesso, deve anche rilevarsi che la conclusione del giudizio (con la
sentenza in forma semplificata) impedisce all'interessato (ricorrente in
ipotesi riuscito "vincitore" nel giudizio contro il silenzio) di avvalersi della
possibilità di proporre motivi aggiunti prevista dalla legge n.205,essendo,
viceversa, costretto ad instaurare un nuovo giudizio100 (ancora una volta,
come nei tempi andati).
Poste queste osservazioni de plano deducibili dalla lettera della novella
introdotta dalla legge n. 205 del 2000, bisogna dire che, a confermare in
toto quanto testé sottolineato - e con grande sottolineatura - era intervenuta
l'adunanza plenaria del Consiglio di Stato 9 gennaio 2002, n.1101. Quivi si
ribadiva a chiare lettere che il giudice non può (non deve) fare altro che
ordinare alla P.A. di pronunziarsi senza determinare in alcun modo il
contenuto del provvedere, anche quando trattisi di atti vincolati, attenendo
il novum della norma all'obbligo della P.A. medesima di concludere con
sollecitudine il procedimento (e non alla pronuncia sulla fondatezza, o
meno, della pretesa), e che il compito del commissario ad acta (che si
sostituisce, in forza di una previsione eccezionale di legge,
all'amministrazione), rimane sempre (e solo) quello di provvedere.
99 Critiche decise venivano mosse, sotto vari profili, al nuovo assetto conferito alla materia dalla novella legislativa da parte della dottrina: cfr. Giacchetti, il "ricorso avverso d silenzio dell'amministrazione e 1e macchine di Munari”, in Cons. Stato, 3, 2001, 471 ss.100 In tal senso è la critica anche di Giaccheti, op. cit.,475101 In Cons. Stato, 2002, sez. I nr. 1
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
77
In tutto veniva motivato - peraltro non senza valide argomentazioni
quanto al parallelo con il caso del diniego esplicito, impugnabile con il
ricorso ordinario, in cui si diceva, l'interessato conseguirebbe un risultato
deteriore rispetto a chi impugni il silenzio, ove si condividesse l'avviso che
il giudice del silenzio debba pronunciarsi anche nel merito della pretesa
fatta valere – avvalendosi delle classiche argomentazioni in ordine alla
separazione tra amministrazione e G.A. (e dei rispettivi poteri), il quale si
sostituisce alla prima solo in presenza di esplicite previsioni derogatorie di
legge. E si giungeva anche a dire che tanto poteva giustificarsi prima, in
base alle elaborazioni della giurisprudenza che aveva sposato l'indirizzo
criticato102, ma non più al cospetto della nuova disciplina. Al riguardo,
anche chi, in dottrina, fosse stato di diverso avviso, non poteva che
prendere atto di un siffatto arretramento, non senza riconoscere che il tutto
era avallato dal dato testuale delle nuove disposizioni (evidentemente, non
a caso scritte e concepite in siffatto modo), prendendo atto, al tempo stesso,
del lieve avanzamento di tutela rappresentato dal meccanismo mirante a
spingere la P.A. comunque a pronunciarsi in modo esplicito, entro un
termine preciso, assegnatole dal giudice.
L'assetto risultante dal dato normativo e dalla giurisprudenza al massimo
livello del giudice amministrativo è, peraltro, significativamente mutato, in
forza delle modifiche normative introdotte nell'art. 2 della legge n. 241 del
1990. Invero, come già accennato poco più addietro, detto articolo (nel 102 Da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 22 giugno 2000, n. 3526, per gli atti vincolati, e sez. V, 12 ottobre 1999, n. 1446 (in Cons. Stato, 1999, I, 1618), per gli atti a basso contenuto di discrezionalità (citate nella stessa ad. plen.). Cfr. anche Cons. Stato, sez. V 13 aprile 2000, n. 2211, ivi, 2000, I, 962 (richiamata da Giacchetti op. cit., 474).
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
78
testo sostituito dall'art. 3, comma 6 bis, D.L. n. 35 del 2005, convertito in
legge 14 maggio 2005, n. 80, retro menzionato), al comma 5, secondo
periodo, testualmente recita: Il giudice amministrativo può conoscere della
fondatezza dell'istanza".
Come si vede, l'ultima novella legislativa costituisce una decisa
inversione di rotta. D'ora in poi dunque, il G.A. può addentrarsi al di la
della questione dell'obbligo della P.A. di pronunciarsi e dell'ordine
impartito all'amministrazione in caso di accoglimento del ricorso contro il
silenzio - nelle questioni inerenti alla fondatezza o meno della pretesa
vantata nei confronti dell'amministrazione rimasta inadempiente. Data
l'asciuttezza della disposizione, diremmo che viene riconosciuto al G.A. un
lato potere di apprezzamento, cosicché egli potrà accogliere il ricorso nel
merito - riteniamo - non solo in materia di provvedimenti a contenuto
vincolato, ma anche in quelli che definiremmo "a discrezionalità debole",
ove egli ravvisi gli elementi e i presupposti - ovvero fissi limiti al riguardo
- per il riconoscimento di fondatezza della pretesa.
Conviene segnalare, infine, un'ultima rilevante novità, introdotta dalla
legge n. 205 del 2000 in relazione al ricorso contro il silenzio (e non solo),
in fatto di appellabilità della sentenza di primo grado.
In sostanza la legge introduce, accanto al termine tradizionale previsto
per l'appello negli stessi termini di quello valevole per il ricorso, anche un
termine lungo. Nella fattispecie, l'ultimo periodo del comma 1 (dell'art. 21-
bis legge n. 1034/1971 introdotto dall'art. 2 legge n. 205 del 2000)
prescrive: "La decisione e appellabile entro trenta giorni dalla
notificazione" (termine, come si vede, dimezzato rispetto a quello
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
79
ordinario) "o, in mancanza della notificazione, entro novanta giorni dalla
comunicazione della pubblicazione". Soggiunge, infine, la disposizione
che, nel giudizio di appello, si seguono le stesse regole del giudizio di
primo grado .
3. La natura giuridica del giudizio sul silenzio
Diventa quindi necessario trattare, più in particolare, della natura che il
giudizio sul silenzio presenta, sia astrattamente che in relazione alla
disciplina dell’art. 21 bis, anche al fine di verificare se, contrariamente a
quanto ritenuto dalla sentenza del Cons. Stato ad. Pl. N.1 9 gennaio 2002 ,
la distinzione giurisprudenziale prima ricordata tra attività vincolata e
discrezionale al fine del sindacato sul silenzio non soltanto abbia ancora
motivo di esistere, ma sia poi resa meno rigida dalla possibilità, data adesso
al giudice amministrativo in via generale dal nuovo art. 44 T.U. Cons.
Stato, di utilizzare strumenti come la consulenza tecnica d’ufficio anche in
fattispecie che tradizionalmente si fanno rientrare nei casi di c.d.
discrezionalità tecnica, oppure, come previsto dal nuovo art. 21 legg. 1034
del 71, di disporre in sede cautelare le misure “che appaiono, secondo le
circostanze, più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della
decisione sul ricorso”, in caso di pregiudizio grave e irreparabile derivante
non soltanto dall’esecuzione dell'atto impugnato, ma anche “dal
comportamento inerte dell'amministrazione”.
Ora, come già rilevato, poiché nel ricorrere “avverso il silenzio” non
viene impugnato alcun atto amministrativo, perché il silenzio
inadempimento non è un atto amministrativo, né tiene luogo di un atto
amministrativo103, può cominciarsi col dire che le affermazioni della
103 Come si verifica invece nei casi di silenzio accoglimento o di silenzio rigetto
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
80
sentenza in esame, appena sopra riportate, secondo cui si tratterebbe di
giudizi di accertamento, relativi alla mera illegittimità dell’inerzia della
p.A., non è in astratto contestabile, purché sia però riferita all’ipotesi più
semplice, quella cioè in cui sia il ricorrente stesso a limitare a tale aspetto i
motivi di ricorso, senza investire in alcun modo la situazione sostanziale
che con la richiesta di provvedimento rimasta inevasa aveva inteso a suo
tempo soddisfare.
Ora, con queste premesse si può certo affermare che quello che si svolge
nei confronti del silenzio non è mai un giudizio d’impugnazione,
finalizzato all’effetto caducatorio dell’annullamento, “bensì un giudizio
volto a ottenere semplicemente la dichiarazione dell’illegittimità
dell’inadempimento inerente all’omessa osservanza del dovere di
provvedere”, nell’ambito di un rapporto che quella giurisdizione ha ad
oggetto104. Tuttavia, questa precisazione può valere, come si chiarirà
meglio tra breve, solo in prima approssimazione, dovendo essere raccordata
sia con l’ipotesi che il ricorso giurisdizionale non si limiti a ciò, ma investa
invece anche la pretesa sostanziale, già fatta valere dinanzi alla p.a. con la
richiesta di provvedimento rimasta inevasa, sia con l’ipotesi, legata anche
alle nuove previsioni dell’art. 21 bis, che il giudizio de quo assuma (anche)
connotati di condanna, oltre che di accertamento.
Emerge comunque l’incoerenza di quella giurisprudenza, e della
sentenza Cons. Stato ad. pl. n.1 del 9 gennaio 2002 laddove, da una parte,
si afferma in termini assolutamente generali la natura di mero accertamento
del giudizio sul silenzio, relativo all’illegittimità dell’inerzia della p.a., e
dall’altra si condiziona però la possibilità del relativo giudizio al rispetto
104 Cfr.A.m. Sandulli, Manuale di Diritto Amministrativo, Napoli, 1989, 1387
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
81
dei consueti termini decadenziali, decorrenti dall’avvenuta formazione del
silenzio. Infatti, le azioni di puro accertamento, in quanto tali, sono in
genere imprescrittibili105, e d’altra parte, non sembra sufficiente a
giustificare quell’impostazione teorica l’affermazione che nel caso di
silenzio l’interessato fa comunque valere la lesione di un interesse
legittimo, a fronte della quale ha l’onere di chiedere tutela nel termine di
decadenza, perché ciò può valere, tutt’al più, nei casi in cui
l’Amministrazione mantenga, sulla fattispecie concreta in relazione alla
quale il privato ha presentato istanza, un potere discrezionale di valutazione
degli interessi pubblici e privati coinvolti, ma non certo in tutti quei casi in
cui invece la p.a. sia vincolata all’emanazione con un certo contenuto del
provvedimento richiesto106.
Fermo restando, comunque, che la discrezionalità non riguarda in ogni
caso la possibilità di emanare oppure no il provvedimento, perché il citato
105 Cfr., in questi esatti termini, Chiovenda, L’azione nel sistema dei diritti, in Saggi di Diritto Processuale Civile, cit., 25, in fine.106 Sandulli, Manuale, cit., 1427, rileva che il principio secondo cui l’azione può essere esercitata fin quando il diritto fatto valere non sia caduto in prescrizione (o non si sia altrimenti estinto), per le controversie che non importino l’impugnativa di un atto autoritario o comunque un giudizio circa un atto autoritario, “dovrebbe essere applicato anche ai ricorsi contro il silenzio-inadempimento, poiché l’inadempimento è un comportamento continuato, il quale, finchè dura, si rinnova di momento in momento”. Conforme sul punto Cerulli Irelli, op. cit., 481. Giudica “piuttosto opinabile” la logica seguita – nel senso descritto nel testo – dalla giurisprudenza, travi, op. cit., 205. D’altra parte, da questo punto di vista anche la scelta della giurisprudenza di consentire al privato – una volta che il silenzio si sia formato e il termine di decadenza sia scaduto – di rinnovare la diffida, conferma l’incoerenza della posizione assunta. Per Tar Campania, sez. II Napoli, 16 dicembre 2001 n. 4786, in questa Rivista, 2001, 1351, “il silenzio rifiuto è un istituto che affonda le proprie radici nella discrezionalità dell’azione amministrativa ed è volto a costituire l’obbligo di procedere nelle ipotesi in cui tale obbligo non derivi da norme di relazione che disciplinino il rapporto tra privato e p.a.; pertanto, esso non è concepibile a fronte di posizioni di diritto soggettivo, ma solo di interesse legittimo del privato, correlate ad ipotesi di mancato esercizio dell’attività amministrativa discrezionale”. Cfr. anche Cons. St., sez. V, 2 aprile 2001 n. 1900, in questa Rivista, 2001, 855: “considerato che tutti i crediti di lavoro dei pubblici dipendenti sono soggetti al termine quinquennale di prescrizione, l’inerzia serbata dalla p.a. datrice di lavoro, nei confronti dell’istanza del lavoratore che richiede il pagamento dei crediti di lavoro, costituisce di per sé l’inadempimento del vantato diritto di credito e non già il silenzio rifiuto, onde il dipendente può agire in giudizio direttamente per l’accertamento del diritto e non ha interesse ad ottenere la declaratoria di illegittimità del silenzio stesso”
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
82
art. 2 della l. 241 del 1990 è molto chiaro nel precisare che il procedimento
va comunque concluso, in tutti i casi in cui sia ravvisabile il relativo
obbligo di provvedere della p.a., con l’adozione di un provvedimento
espresso, emesso anche soltanto per rigettare la richiesta del privato. In altri
termini, a prescindere dal tipo di potere ravvisabile in capo alla p.a., in
relazione all’obbligo di provvedere rimasto inosservato si configura
soltanto un puro e semplice inadempimento dell’Amministrazione, alla
quale sotto tale profilo non può essere riconosciuto alcun potere
discrezionale a fronte del quale individuare interessi legittimi, la cui lesione
debba poi essere fatta valere in sede di ricorso giurisdizionale avverso il
silenzio. L’esistenza di quella discrezionalità, come si sta per precisare, può
semmai rilevare solo in sede di giudizio, al fine di misurare i poteri del
giudice nel sindacato sull’illegittimità del silenzio e sulla consistenza delle
situazioni sostanziali alla originaria richiesta sottese107.
Inoltre, bisogna anche notare come quello in discussione, per delle
caratteristiche connaturate al processo amministrativo stesso, non possa
comunque essere un giudizio di accertamento puro, sia con riferimento alla
normativa precedente l’entrata in vigore della l. 205 del 2000 sia, a
maggior ragione, con l’introduzione dell’art. 21 bis. Infatti, anche
107 Chiovenda, L’azione nel sistema dei diritti, cit., 81, in nota 68, IV, il quale ricorda che, “riguardo alle condizioni della tutela giuridica mediante sentenza d’accertamento, oltre l’esistenza o non del rapporto giuridico di cui si chiede l’accertamento positivo o negativo, deve concorrere l’interesse di accertamento”, pur con la precisazione che “l’interesse d’accertamento è altra cosa dall’interesse come condizione d’una sentenza di condanna”. Id., ult. op. cit., 16: “quando taluno chiede che si accerti l’esistenza di un rapporto giuridico, senza aspirare ad altri effetti giuridici, se non quelli immediatamente derivanti dall’accertamento, non vanta alcun diritto subbiettivo verso l’avversario se non lo stesso diritto d’azione, coordinato a un interesse d’accertamento: ogni tentativo di dare un altro contenuto a questo diritto è vano, poiché precisamente l’accertamento giudiziale a cui si tende non è prestazione che si possa pretendere dal convenuto”. Cons. St., sez. V, 14 luglio 1997 n. 820, in questa Rivista, 1997, 1970, escludel’onere dell’impugnazione del silenzio-rifiuto entro il termine decadenziali, decorrente dallo spirare del trentesimo giorno successivo alla diffida, esclusivamente nelle ipotesi in cui la pretesa dell’interessato assuma la consistenza di diritto soggettivo perfetto e non sia subordinata all’adozione di un provvedimento costitutivo dell’Amministrazione.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
83
nell’ottica di quella giurisprudenza che, già prima della l. 205 del 2000,
limitava il proprio intervento ad una sentenza dichiarativa, relativa
all’accertamento dell’illegittimità del silenzio, è chiaro che il ricorrente non
si limita a chiedere che sia dichiarata l’esistenza del suo diritto, ma chiede
anche che venga accertato un correlativo obbligo. Ma “se…il convenuto è
l’obbligato stesso”, come nel caso del silenzio, “la sentenza è di puro
accertamento, quando non ha di mira che i vantaggi derivanti
immediatamente dalla certezza giuridica; è di condanna, quando ha anche
di mira la ulteriore attuazione della volontà della legge, ossia se prepara la
esecuzione”108.
D’altra parte, anche quando il giudice, pur dichiarando l’illegittimità
dell’inerzia dell’Amministrazione, non ordini nel dispositivo esplicitamente
di emanare il provvedimento omesso, tale obbligo costituisce un contenuto
implicito della sentenza, il contenuto concreto del dovere
dell’Amministrazione che dà un senso al disposto dell’art. 65, n. 5, del
R.D. n. 642 del 1907 (reg. proc. Cons. St.), secondo cui la sentenza deve
contenere “l’ordine che la decisione sia eseguita dall’autorità
amministrativa”. Siffatte considerazioni valgono ancora di più,
naturalmente, nel contesto normativo attuale, in cui ormai è lo stesso art. 21
bis a precisare che “in caso di totale o parziale accoglimento del ricorso di
primo grado, il giudice amministrativo ordina all'amministrazione di
provvedere di norma entro un termine non superiore a trenta giorni”109.
108 Chiovenda, Istituzioni di Diritto Processuale Civile, cit., 193109 Anche per Cons. St., Comm. speciale, parere 17 gennaio 2001 n. 1242/2000, cit., “nella nuova disciplina dell’art. 21 bis (…) la sequenza tra giudizio di cognizione per la dichiarazione di illegittimità del silenzio inadempimento e giudizio di ottemperanza per la pronuncia positiva è assorbita in un giudizio unitario, che ha duplice oggetto, misto di accertamento e di condanna, e che supera in via definitiva l’interpretazione che affidava alla decisione del giudice una mera efficacia demolitoria del silenzio dichiarato illegittimo. Il nuovo modello, invero, consente non solo di pronunciare sull’inadempimento
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
84
4. I poteri cognitori del G.A. in materia di silenzio inadempimento
La legge 14 maggio 2005, n. 80 nasce come legge di conversione del
D.L. 14 marzo 2005, n. 35, il cosiddetto “decreto sulla competitività”, e
sostanzialmente ne conferma il dettato in materia di semplificazione
amministrativa. Una delle fondamentali novità introdotte da questo
provvedimento legislativo è la “possibilità” riconosciuta al giudice
amministrativo di valutare la fondatezza o meno della domanda
dell’interessato nell’ambito di un procedimento avverso il silenzio della
Pubblica Amministrazione.
Di certo un’affermazione di forte impatto giacché di contrario avviso
rispetto all’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale che negava
tale potere in capo al GA, emerso dalla decisione dell’Adunanza Plenaria n.
9 gennaio del 2002, all’esito di una lunga disputa sulla questione, tutta
interna alla magistratura amministrativa. Una parte dei giudici
amministrativi, infatti, riteneva che il GA avesse il solo potere di accertare
l’inerzia inadempiente della PA rimettendo a quest’ultima la
determinazione del contenuto del provvedimento da adottare 110. Perciò il
giudicato si doveva formare solo sull’obbligo di provvedere, cui avrebbe
dovuto attendere la p.a., o, se ancora inerte, il commissario ad acta
nominato dal g.a.. Altra parte della giurisprudenza amministrativa,
dell’Amministrazione, ma anche di ordinarle di provvedere sull’istanza e di nominare un commissario ad acta alla scadenza del termine all’uopo assegnatole”.110 Cons. Stato, IV Sez. n. 658 del 1999
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
85
sosteneva che fosse in facoltà del g.a. accertare la fondatezza o meno della
pretesa sostanziale addotta dal privato innanzi alla p.a.. Un sindacato,
perciò, sul contenuto dell’istanza che indicasse, in caso positivo, le
modalità in base alle quali la p.a. dovesse successivamente agire, in modo
da emanare un provvedimento favorevole al privato111.
L’ Adunanza Plenaria, però, investita della questione, ha sostenuto, con
la decisione n.1 del 9 gennaio del 2002, la prima soluzione fornendo un’
interpretazione per lo più letterale della disciplina ossia basandosi su ciò
che espressamente diceva la norma. Nella pronuncia si sostiene, infatti, che
l’art. 21 bis L. 1034 del 1971 indica quale oggetto del ricorso il solo
silenzio e quindi il solo comportamento inerte della p.a. e non la pretesa
sostanziale addotta dal privato a fondamento della sua istanza. Un tale tipo
di giudicato, secondo l’Adunanza Plenaria è finalizzato solamente a sancire
l’obbligo della p.a. di concludere il procedimento con un provvedimento
espresso e non a sindacare il merito, indi per cui la p.a. conserverà pur dopo
la sentenza il potere di provvedere in senso pieno. E tale sistema va esteso
anche all’attività vincolata della p.a., giacché l’ad. plen. dice che la
disciplina è unica e indifferenziata e inerente a qualsiasi ipotesi in cui la
pubblica amministrazione si sottragga al dovere di adottare un
provvedimento esplicito i cui presupposti di fatto sono, perciò, irrilevanti.
Invece oggi, alla luce dell’art. 2 comma 6 L. 241 del 90 come novellato
dalla L. 80 del 2005, il giudice potrà valutare se la pretesa del privato
all’adozione di un dato provvedimento da parte della p.a., fatta valere in
giudizio a seguito di silenzio inadempimento di quest’ultima, è fondata o
meno e dichiarare, di conseguenza, il contenuto del provvedimento che la
p.a. dovrà emanare. A fronte di una disposizione così favorevole al privato
111 Cons. Stato, VI Sez., n. 101 del 1999
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
86
e così orientata a garantirne una tutela più pregnante, sta però una
imperfezione di non poco conto. Infatti il nuovo art. 2 comma 6 L. 241/90
afferma che il g.a. “può conoscere” della fondatezza dell’istanza. Tale
affermazione possibilista ha acceso le critiche della più attenta dottrina
perché suscettivo di limitare fortemente la portata innovativa della
previsione in questione.
Che significato dare a quel “può”? Anzitutto quello più semplice e più
importante, ossia che il giudice amministrativo non è obbligato a conoscere
della fondatezza dell’istanza e quindi potrà anche non farlo, limitandosi ad
ordinare alla Pubblica Amministrazione, stante l’illegittimità del silenzio,
di emettere il provvedimento112. Il punto fondamentale è, perciò, come il
g.a. deve interpretare il “può conoscere”, ossia in presenza di quali
parametri positivi o quali condizioni deciderà di estendere o meno il suo
giudizio sulla bontà dell’istanza.
Taluni in maniera provocatoria, sostengono che tale scelta sarà
fortemente condizionata dalla procedura ex art. 21 bis L. 1034 del 1971.
Infatti il termine estremamente breve (30 giorni) e la forma “succintamente
motivata” della sentenza, dovrebbero portare a valutare il contenuto
dell’istanza solo se manifestamente fondata o infondata. Una pretesa, cioè,
che sia di immediata valutabilità permettendo, in tal modo, di rientrare nei
parametri della brevità processuale e della concisione della sentenza
richiesti dalla procedura anzidetta. E, di certo, questa è una visione che per
quanto condivisibile, non apre scenari rosei per il privato perché se la
questione risulterà essere controversa e complicata per l’assenza degli
elementi necessari per decidere, allora il giudice amministrativo, senza far
112 In ossequio alla visione prospettata dall’Adunanza Plenaria (decisione n.1 del 2002) sulla procedura ex art. 21bis L 1034 del 1971
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
87
uso del potere riconosciutogli, potrà rimettere tutto nelle mani della
Pubblica Amministrazione ingiungendole semplicemente di provvedere
vanificando, così, la portata della riforma.
A parere di chi scrive, perciò, è necessario fare qualche precisazione. Il
“può conoscere” e la valutazione che il g.a. è chiamato a compiere, infatti,
è legato a due fattori.
Il primo, ovvio ma fondamentale, è la richiesta del privato. O meglio, il
giudice conoscerà sulla fondatezza della pretesa fatta valere se il ricorrente
gliene faccia espressa richiesta. Ipotesi, questa, necessaria e direi pure
scontata visto che comunque l’intervento del g.a. nel senso sopra descritto
è, di certo, di maggior garanzia per chi ricorre. Anche se è comunque
possibile che non sia richiesto. Più importante è, invece, la natura
dell’attività della Pubblica Amministrazione convenuta in giudizio. Se
questa è di natura discrezionale il giudizio riguarderà solamente
l’illegittimità del comportamento inerte tenuto; se, invece, l’attività è di
natura vincolata il giudice potrà intervenire anche sulla sostanza della
richiesta (ma non sull’opportunità stante la natura suddetta) per vedere se è
ancorata su parametri legislativi che la sostengono e che legittimano il
ricorrente ad ottenere o meno un dato tipo di provvedimento che la P.A.
non potrebbe diversamente emanare pena l’illegittimità dello stesso.
A sostegno di ciò è di recente intervenuta la sentenza del TAR
Campania I sez. n. 7817/05 (Rel. Buonauro) in cui si sostiene che “il
procedimento avverso il silenzio dell’Amministrazione di competenza del
giudice amministrativo, secondo la disciplina risultante dal novellato art. 2,
comma 6°, della legge 241 del 1990, nel testo da ultimo introdotto dall’art.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
88
6 bis della recente L. n. 80 del 2005113, deve tendere non solo
all’accertamento dell’obbligo dell’Amministrazione di esercitare un
pubblico potere di cui sia titolare, e quindi di emettere un provvedimento di
cura dell’interesse pubblico; ma, laddove non implichi valutazioni
discrezionali rimesse in prima battuta alla necessaria valutazione
dell’autorità amministrativa114, può estendersi alla verifica in ordine alla
fondatezza della pretesa azionata, assumendo carattere pienamente
satisfattivo in presenza di una valutazione giudiziale piena, la quale,
disancorata dal limitato orizzonte dell’accertamento del mero dovere di
provvedere, investe i contenuti sostanziali del rapporto tra cittadino e
Pubblica amministrazione”. Si conferma, perciò, che il giudizio sulla
fondatezza dell’istanza previsto dal nuovo art. 2 comma 6 L. 241 del 1990
è ammissibile laddove non comporti valutazioni di natura discrezionale
proprie della p.a. e, di conseguenza, quando l’attività cui è chiamata dal
privato sia di natura vincolata. In sostanza il TAR Campania, spesso
contrario alla visione dell’Adunanza Plenaria in materia, è stato il primo
organo giurisdizionale a prendere posizione sulla natura facultizzante del
nuovo disposto ancorando i poteri cognitori del giudice al tipo di operato
che gli organi amministrativi sono chiamati a compiere, concetto
facilmente condensabile in tal senso:
attività vincolata P.A./sindacabilità della fondatezza dell’istanza –
attività discrezionale P.A./sindacabilità del solo comportamento inerte.
Certamente, però, non si possono tacere gli assunti sopra detti di chi
ritiene questo tipo di potere legato anche ai vincoli temporali e di forma del
procedimento ex art. 21bis L. 1034 del 1971. Per questo può dirsi che oltre 113 “il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell’istanza”114 In ciò evidentemente risolvendosi l’opzione valutativa prevista dalla nuova disposizione e la conseguente valutazione facultizzante rimessa all’apprezzamento del giudice amministrativo.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
89
all’apposita richiesta del ricorrente e la natura vincolata dell’attività della
Pubblica Amministrazione convenuta, condizione necessaria perché il
giudice possa decidere di conoscere della bontà dell’istanza è la pronta
risolvibilità della questione nel senso della immediata e manifesta
fondatezza o meno della pretesa che chi ricorre vanta verso la p.a..
Al ricorrere di tali tre elementi, perciò, il giudice estenderà la sua
cognizione al merito e ordinerà alla p.a. di emanare un provvedimento
secondo le modalità stabilite in sentenza. Una volta chiarita la portata
dell’assunto “può conoscere” e stabilito che va riferito ai soli casi di attività
vincolata della p.a., appare opportuno verificarne le conseguenze sul piano
pratico. Chi scrive ritiene che il fulcro della questione sia capire la natura
costitutiva o meno dell’ accertamento in questione. O meglio capire se alla
luce del nuovo art. 2 comma 6 L. 241 del 1990 la conoscibilità della
fondatezza dell’istanza permetta al g.a. di provvedere in luogo della
Pubblica Amministrazione precludendo così lo svolgimento pieno della
procedura ex art.21bis L. 1034 del 1971.
Che valore avrà nell’economia del processo il nuovo potere riconosciuto
al giudice dall’art. 2 comma 6?
Se si opta per la natura costitutiva della valutazione in questione, allora
su di essa graverà l’intero esito della procedura. Si è detto, infatti, che
qualora il g.a. accertasse l’infondatezza della pretesa di chi ricorre potrà
dichiarare il ricorso inammissibile perché alla base del provvedimento che
si chiede alla p.a. non c’è un interesse concreto, fondato. In tal caso il
giudizio come prospettato dall’art. 21bis L. 103 del 1971 non seguirà più il
suo corso. Infatti il provvedimento del g.a. dichiarante l’infondatezza
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
90
dell’istanza andrà direttamente a sostituire il comportamento 115 della P.A.
e costituirà di per sé titolo esecutivo nei confronti del privato che si vedrà
negato, così, il diritto alla conclusione espressa del procedimento anche se
beneficerà di un notevole risparmio in termini processuali. In tal modo,
infatti, basterà ricorrere in appello al Consiglio di Stato contro la pronuncia
del TAR, laddove se si intimasse alla P.A. di emettere un provvedimento
negativo si dovrebbe ricorrere contro quest’ultimo al TAR e poi
eventualmente al Consiglio di Stato.
Lo stesso è a dirsi qualora emerga la fondatezza dell’istanza del privato
visto che, come sostenuto dal TAR Campania, le risultanze della
valutazione ex art. 2 comma 6 L. 241 del 1990 sono “pienamente
satisfattive” della posizione di chi ricorre. Tale connotazione varrebbe così
ad escludere un successivo intervento della P.A. azionato in seguito
all’intimazione a provvedere che sarebbe, perciò, superfluo in quanto
interverrebbe su di una situazione già pienamente soddisfatta dal giudice.
Se, invece, si da a questa valutazione valore puramente
accertativo/conoscitivo le conseguenze sono diverse. In tale ipotesi, infatti,
oggetto principale del giudizio instauratosi innanzi al g.a. è l’accertamento
dell’illegittimo comportamento inerte della Pubblica Amministrazione. La
verifica sul bontà della pretesa, allora, una volta appurato l’inadempimento
a provvedere, servirà semplicemente a stabilire cosa intimare alla P.A., un
provvedimento positivo o negativo. Perciò nessun riflesso si avrà
sull’intera procedura prevista per il silenzio perché il fulcro del giudizio è il
comportamento tenuto dalla p.a.. Si arriverà, così, alla sentenza
succintamente motivata che imporrà alla p.a. di emanare un provvedimento
che abbia un contenuto nel senso accertato in corso di causa.
115 stante la carenza di interesse all’azione
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
91
Tra le due opzioni è preferibile quest’ultima giacché vede comunque
garantito, anche in caso di infondatezza dell’istanza, il diritto alla
conclusione espressa del procedimento amministrativo. La giurisprudenza,
specialmente quella che è stata sempre contraria alla possibilità di un tale
tipo di giudizio non tarderà ad esprimersi, forte della decisione 1del 2002
dell’Adunanza Plenaria. Rispetto al passato si registra ora il recente dato
normativo che, se di certo non brilla come abbiamo visto per chiarezza,
purtuttavia è lì ad ammettere la possibilità di un tale sindacato, possibilità
che andrà ulteriormente verificata, chiarita e vagliata.
5. Il commissario ad acta
Tale figura, prima della legge n. 205 del 2000, non era mai stata
prevista esplicitamente da nessuna legge sul processo amministrativo;
tuttavia si riteneva di potersi ricorrere in virtù della giurisdizione estesa al
merito del giudice116 dell’ottemperanza ex art. 27, n. 4 T.U. Cons. di Stato.
Opportunamente, la giurisprudenza ha ritenuto che la nomina del
commissario non esaurisce i poteri del giudice amministrativo il quale
continuerà ad esercitare poteri di vigilanza sull’operato del commissario,
anche d’ufficio; a volte viene addirittura previsto che, al termine
dell’attività del commissario venga comunque fissata un’udienza per
verificare la corretta esecuzione della sentenza117.
116 Pelillo, Il giudizio di ottemperanza alle sentenze del giudice amministrativo, Milano, 1990, 294 ss.117 Cons. di Stato, sez. V, 5 magio 1993, n. 543, Giust. civ., 1993, I, 2283; sez. VI.,7 ottobre 1987, n.811, Cons. di Stato, 1987, I, 1483; sez. VI, 9 giugno 1986, n. 412, 6 Cons. di Stato, 1986, I, 894
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
92
La nomina del Commissario ad acta non si è mai imposta, prima della
nuova legge, in termini di necessità per il giudice ma dipendeva da una
valutazione di118 opportunità compiuta da quest’ultimo; il giudice poteva
anche decidere di sostituirsi direttamente all’amministrazione inadempiente
al giudicato, procedendo anche a valutazioni di tipo discrezionale, sul
presupposto che il significato originario della giurisdizione di merito si
rifacesse ad una logica di piena fungibilità tra attività119 giudiziaria e potere
amministrativo . Inoltre, la figura del Commissario ad acta è stata oggetto
di varie120 interpretazioni.
Secondo alcuni dovrebbe essere considerato come organo
amministrativo straordinario, sostitutivo, solo per l’esecuzione della
sentenza, agli organi amministrativi competenti in via ordinaria con la
conseguenza che sarebbe in grado di procedere anche alle valutazioni più
discrezionali, senza coinvolgere la responsabilità del giudice ma con la
considerazione che i suoi atti, in quanto normali atti amministrativi,
dovrebbero essere impugnati davanti al giudice secondo le regole121
generali con il rischio di far diventare il giudizio di ottemperanza
nient’altro122 che “la frazione di un contenzioso teoricamente infinito”.
118 C. Cass., S.U., 28 giugno 1991, n. 7226, Giust. Civ., 1992, I, 759, con nota di Chirulli119 Cons. di Stato., sez. VI, 19 gennaio 1995, n. 1, Giornale dir. ammin., 1995, 976, con nota di Travi120 Giacchetti, Il commissario ad acta nel giudizio di ottemperanza: si apre un dibattito, in Foro amm., 1986, 1967; Maffezzoni, Ancora sulla natura e funzione esclusivamente giurisdizionale del giudizio di ottemperanza, Foro amm., 1987, 2851; Maurizzo, Il commissario nel giudizio di ottemperanza, Il giudizio di ottemperanza, cit., 243 ss. 121 Cons. di Stato., sez. V, 6 novembre 1990, n. 70, Giur. it., 1991, III, 1, 24.122 Travi, Lezioni cit., 242; Id., L’esecuzione cit., 2548
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
93
La seconda tesi lo ha inquadrato come un ausiliario del giudice, in un
ruolo123 simile a quello del consulente o del perito nel processo civile; i
suoi atti non sarebbero giurisdizionali, ma andrebbero comunque
inquadrati nelle vicende del giudizio di esecuzione, con la conseguenza
che la tutela nei loro confronti dovrebbe124 essere svolta nello stesso
giudizio e rivolta al giudice dell’ottemperanza.
Mediando fra queste due interpretazioni estreme, si segnalano indirizzi
interpretativi che hanno proposto di scindere l’attività del Commissario ad
acta tra attività meramente adempitiva dei precetti contenuti in sentenza e
adempimenti ulteriori: la prima fase sarebbe sottoposta alla verifica del
giudice dell’ottemperanza, la seconda, caratterizzata come attività
amministrativa ordinaria, rimarrebbe soggetta ad125 impugnazione,
conformemente alle regole generali. Tale soluzione è stato accantonata per
la difficoltà concreta di distinzione tra i due ordini di attività e per il fatto
123 Cons. di Stato, sez. V, 7 ottobre 1996, n. 1202, Cons. di Stato, 1996, I, 1498 ove si sottolinea che la qualificazione come organo ausiliario del giudice comporta che il Commissario nell’esercizio della sua funzione sia assolutamente svincolato dai criteri precedentemente seguiti dall’amministrazione nell’esercizio della funzione amministrativa; sez. VI, 7 luglio 1990, n. 696, Foro amm., 1990, 1767. 124 Cons. di Stato, sez. V, 14 luglio 1997, n. 826, Giur. it., 1998, 1056, con nota di Cannada Bartoli; sez. V, 28 febbraio 1995, n. 298, Cons. di Stato, 1995, I, 232; sez. VI, 7 febbraio 1995, n. 153, Cons. di Stato, 1995, I, 247; sez.V, 27 marzo 1992, n. 259, Foro amm., 1992, 523; sez. VI, 12 novembre 1990, n. 963, Cons. di Stato, 1990, I, 1459; Cons. giust. amm., 29 giugno 1989, n. 238, Cons. di Stato, 1989, I, 852; C. St., sez. IV, 20 magio 1987, n. 297, Foro amm., 1987, 976, con nota di Cannada Bartoli. Cfr., Malinconico, L’impugnazione degli atti commissariali nel giudizio di ottemperanza alle sentenze del giudice amministrativo, Dir.proc.amm., 1993, 465 ss. 125 Cons. di Stato, sez. V, 27 novembre 1989, n. 771, Foro it., 1991, III, c. 15; sez. V, 11 luglio1985, n. 259, Cons. di Stato., 1985, I, 720; Cons. giust. amm., 31 magio 1984, n. 61, Foro it., 1985, III, c. 100, in base alla quale le contestazioni contro l’attività del Commissario, fondate su ragioni diverse da quelle della violazione di giudicato, avrebbero dovuto essere proposte con impugnazione secondo il rito ordinario. Si è parlato, a questo proposito, di organo dimidiato: cfr., T.A.R. Lazio, sez. II, 12 magio 1988, n. 681, Foro amm., 1989, 1176; T.A.R. Campania, sez. I, Napoli, 5 febbraio 1985, n. 60 la quale prevede che le eventuali contestazioni contro l’operato del Commissario effettuato in quanto organo straordinario dell’amministrazione, vadano proposte tramite l’ordinario ricorso giurisdizionale
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
94
che, in certi casi, il problema avrebbe finito con il rendere
necessariamente126 esperibili entrambi i rimedi giurisdizionali.
Ancora, l’art. 2 prevede che, in caso di accoglimento, totale o parziale il
giudice “ordini” all’amministrazione di adempiere. Qualora quest’ultima
non provveda il giudice, su richiesta di parte , nominerà il commissario che
provvederà “in luogo” della stessa. Il problema che si pone, specialmente
nei confronti del silenzio rifiuto, riguarda il significato da attribuire alla
previsione normativa avendo presenti le incertezze che caratterizzano il
contenuto concreto della pronuncia giudiziale correlate a quelle relative alla
natura del Commissario ad acta e, conseguentemente, ai suoi atti.
Se il contenuto della sentenza del giudice si limitasse ad imporre il mero
obbligo di provvedere in capo all’amministrazione e se considerassimo il
commissario come un organo ausiliario del giudice, e quindi come
rappresentante il potere giudiziario, titolare di poteri facenti comunque
parte del giudizio di esecuzione, si concretizzerebbero i medesimi dubbi
che investono il problema della sostituzione del giudice
all’amministrazione. In particolare i dubbi riguarda no i profili
discrezionali dell’attività amministrativa, e quindi la possibilità che il
provvedimento del commissario possa spingersi oltre un mero
adempimento del disposto contenuto nella sentenza del giudice.
Nel caso in esame il giudice amministrativo non è chiamato a stabilire
se la pretesa del ricorrente, rispetto a cui l’amministrazione è rimasta 126 Sull’esclusione della possibilità di proporre, con un unico atto, sia il ricorso per l’ottemperanza che il ricorso ordinario cfr., Cons. di Stato, sez. V, 6 aprile 1998, n. 430, Foro amm., 1998, 1053, (ivi anche con riferimento alla possibilità di conversione del ricorso per l’ottemperanza in ricorso ordinario).
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
95
silente, sia o meno fondata, onde poi “etichettare” il suo silenzio come
legittimo o illegittimo (nel postulato di fondo che, nei confronti di una
richiesta illegittima, non sussiste la illegittimità del silenzio); il giudice
deve solo prendere atto che il privato ha domandato all’amministrazione e
questa non ha risposto. La norma, se così interpretata, si porrebbe in stretta
relazione con il disegno della legge n. 241 del 1990 laddove impone
all’amministrazione di provvedere con atto espresso: già in questa legge di
dieci anni fa può infatti cogliersi lo sforzo legislativo di espungere il
silenzio dalle modalità operative della pubblica amministrazione. Di
conseguenza, l’art. 2 avrebbe solo la finalità di incalzare la pubblica
amministrazione silente, predisponendo uno stimolo processuale che
imponga all’amministrazione di rispondere espressamente, pena la sua
sostituzione con il Commissario ad acta: si escluderebbe l’esame nel merito
da parte del giudice, e quindi anche da parte del commissario, chiamati solo
ad affermare che sussiste l’obbligo formale della pubblica amministrazione
di rispondere. Se così fosse, sarebbe legittimo sostenere che, dal punto di
vista della tutela degli interessi del ricorrente, la nuova legge
non abbia innalzato il livello di efficacia delle tutela stessa.
Al contrario, se si volesse considerare il commissario come un organo
amministrativo straordinario, allora occorrerebbe configurare il suo
provvedimento come amministrativo a tutti gli effetti; in quanto tale dovrà
necessariamente adempiere al giudicato, limitato ad imporre
all’amministrazione di provvedere, ma potrebbe spingersi oltre, in
un’ottica di effettiva soddisfazione del la richiesta del privato127.
127 Cfr., T.A.R. Campania, sez. Salerno, 6 luglio 1993, n. 406, TAR , 1993, I, 3367, ove si afferma che l’attività del Commissario andrebbe idealmente divisa in due parti di cui, l’una connessa al comando del giudice per l’ottemperanza, l’altra di spettanza esclusiva del Commissario in quanto organo straordinario dell’amministrazione. Quindi, nel caso di silenzio dell’amministrazione, qualora il giudice abbia disposto
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
96
Proseguendo nel ragionamento, se il privato non fosse soddisfatto del
provvedimento del commissario potrebbe far valere le sue doglianze solo in
sede di nuovo giudizio di legittimità. Se prendessimo come riferimento la
sentenza del giudice amministrativo idonea a coinvolgere anche la
fondatezza della richiesta, anche qui il discorso si dipartirebbe a seconda
della natura riconosciuta al commissario. Qualora in quest’ultimo voglia
vedersi l’ausiliario del giudice, allora il contenuto del provvedimento
adottato riguarderebbe solo ed esclusivamente la possibilità di sostituirsi
all’amministrazione inadempiente al giudicato amministrativo, in stretta
aderenza alle disposizioni di quest’ultimo. Al contrario, se si volesse
considerare il commissario come un organo amministrativo straordinario,
allora occorrerebbe ammettere che il suo provvedimento dovrà, prima di
tutto, necessariamente adempiere al giudicato, ma potrebbe spingersi oltre
caratterizzando l’emanando provvedimento ancora in senso più o meno
favorevole alla richiesta del privato, in quanto le sue valutazioni sono da
considerare amministrative a tutti gli effetti e quindi censurabili con
l’esperimento di un nuovo giudizio di legittimità.
L’ultimo comma dell’art. 2 prevede che il commissario, all’atto
dell’insediamento, e preliminarmente al provvedimento da adottare in via
sostitutiva, debba accertare se l’amministrazione abbia provveduto tra il
tempo antecedente all’insediamento medesimo, anche se successivamente
al termine assegnato dal giudice amministrativo con la decisione prevista al
secondo comma (adempimento medio128 tempore).
la nomina del Commissario affinché adotti un provvedimento motivato ed esaustivo, senza in alcun modo predeterminarne il contenuto sostanziale, si ritiene che il Commissario non sia un organo ausiliario del giudice, abilitato solo a ripeterne le direttive puntuali nel mero senso di accoglimento o reiezione, bensì, in quanto organo straordinario dell’amministrazione, si sostituisce a quest’ultima per compiere le relative valutazioni ed attività.
128 Nel caso in cui, dopo la sentenza, risulti controverso se l’amministrazione abbia provveduto ovvero abbia emesso un provvedimento meramente dilatorio con conseguente intervento del commissario ad
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
97
Tale previsione può fungere da indice rivelatore dell’intenzione del
legislatore di favorire il più possibile l’intervento diretto
dell’amministrazione, prevedendo comunque il meccanismo dell’intervento
sostitutivo, ma considerandolo come ultima possibilità. Un ulteriore indizio
in questa direzione è rinvenibile nel secondo com. dell’art.2 della l. n. 205
del 2000, laddove si prevede che, anche in caso di accoglimento totale del
ricorso, il giudice “ordini” all’amministrazione di provvedere entro un
certo termine stabilito.
Secondo certa dottrina questa previsione, nel ricorso contro il silenzio,
elimina la praticabilità della sentenza costitutiva, direttamente attributiva
del bene della vita, almeno nella fase della cognizione; la sentenza di
accoglimento del ricorso, che riconosce l’illegittimità dell’inerzia
mantenuta dall’amministrazione, sarà sempre una pronuncia di
accertamento accompagnata da un capo di condanna ad un facere (ordine di
provvedere) soggetto a varie gradazioni d’intensità a seconda che si tratti di
una accoglimento parziale, nei due significati che abbiamo visto, o di un
accoglimento129 totale .
Dopo aver analizzato il con tenuto della norma, ci si accorge di come i
problemi principali legati al giudizio contro il silenzio rifiuto restino
sostanzialmente aperti e irrisolti.
La procedura introdotta ha il pregio della celerità perché consente,
teoricamente, di arrivare ad una definizione della controversia in termini
molto brevi. In realtà tale accelerazione serve a poco se poi la sentenza
acta, certa dottrina ritiene che q uest’ultimo in quanto ausiliario del giudice debba investire della questione la sezione che lo ha nominato onde ricevere le indicazioni del caso. Cfr., Iaria Il ricorso cit., 1078.
129 La procedura illustrata segnerebbe il “trionfo” della sentenza di accert amento/ condanna. Cfr., Sassani, Prime considerazioni cit., 458.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
98
ottenibile si limita alla dichiarazione della sussistenza di un obbligo di
provvedere in capo all’amministrazione; la conclusione non muterebbe
anche nel caso in cui la decisione giudiziale potesse spingersi fino alla
precisa definizione delle modalità e dei tempi dell’adempimento, se poi si
stabilisce che il giudice debba sempre “ordinare” all’amministrazione di
provvedere, escludendo, par e totalmente, la possibilità di intervenire
direttamente alla soddisfazione dell’interesse fatto valere dal ricorrente.
Il problema si sposta “in avanti”: se è vero che il giudice può solo
ordinare all’amministrazione di provvedere e se è vero che, in caso
d’inadempimento al Giudicato della sentenza da parte
dell’amministrazione, il giudice deve necessariamente procedere alla
nomina di un Commissario ad acta, potrebbe succedere anche qui che il
ricorrente non sia soddisfatto dal provvedimento emesso dal Commissario
o, per quella giurisprudenza che ritiene che l’amministrazione possa
sempre provvedere anche130 successivamente alla nomina del Commissario,
dall’amministrazione.
A questo punto pare difficile negare al giudice dell’ottemperanza, in
sede di conte stazione dell’operato del Commissario, il potere di procedere
direttamente all’assunzione del provvedimento atteso dal ricorrente che
nonostante abbia avuto ragione in sede di giudizio di cognizione non è
ancora riuscito ad ottenere ciò che gli131 spetta. Questa conseguenza
130 195Cfr., Cons. di Stato, sez. V, 3 febbraio 1999, n. 109, Foro amm., 1999, 339, ove si ricollega la possibilità per l’amministrazione di adempiere anche dopo la nomina del Commissario ai principi d’economicità e del buon andamento, essendo indifferente per il privato che il giudicato sia ottemperato dalla p.a. piuttosto che dal Commissario in quanto entrambi resterebbero soggetti, con le stesse modalità, al controllo del giudice per l’ottemperanza; T.A.R. Puglia, sez. I, Bari, 26 giugno 1995, n. 664, TAR, 1996, I, 313, che afferma che la nomina del Commissario non fa venire meno il potere né il dovere dell’amministrazione di determinarsi, per cui l’inerzia si ritiene superata anche con un provvedimento negativo esplicito; Cons. di Stato, sez. IV, 4 giugno 1990, n. 448, Foro amm., 1990, 1430. 131 Cfr., Cons. di Stato, sez. IV, 19 luglio 1993, n. 723, Cons. di Stato, 1993, I, 880, ove si afferma che come in sede di cognizione il giudice può solo limitarsi a dichiarare l’obbligo di provvedere su una certa istanza rispetto alla quale l’amministrazione sia rimasta inerte, in sede di ottemperanza, nel caso in cui
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
99
dovrebbe valere a maggior ragione in forza della previsione dell’articolo 7
della legge n. 205/2000 che, al quarto comma, consente al giudice
amministrativo di disporre il risarcimento del danno anche tramite le
reintegrazione in forma specifica quindi di attribuire proprio il
provvedimento che doveva essere emesso dall’amministrazione
inadempiente.
6. Cambiamenti alla legge 241 del 1990 da parte della legge
69 del 2009
A distanza di pochi anni dalle riforme del 2005 la L. 241/1990 sul
procedimento amministrativo subisce dunque ancora nuovi ritocchi, con
l’introduzione ex legge n.69 del 2009 di incisive misure per ridurre e dare
certezza ai tempi dell’azione amministrativa e diminuire il peso della
burocrazia su cittadini ed imprese. Sono stati ripensati alcuni principi e
istituti dei processi decisionali pubblici (e non solo quelli condotti dalle
amministrazioni statali), e dell’attività amministrativa più in generale, così
come disciplinati dalla legge 241 del 1990 concernente disposizioni in
materia di procedimento amministrativo.
Per dare certezza ai diritti degli utenti si prevede ,in maniera inedita, una
tutela risarcitoria a carico dell’amministrazione inadempiente. Il tempo dei l’amministrazione perseveri nel suo inadempimento, potrà adottare provvedimenti direttamente sostitutivi dando piena tutela alla pretesa dell’interessato.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
100
cittadini e delle imprese non rappresenta più quindi una risorsa illimitata da
sprecare, ma un bene da tutelare .
In particolare, è da segnalare che il termine ordinario per la conclusione
dei procedimenti amministrativi passa da novanta a trenta giorni, salvo
diversa previsione di appositi regolamenti; viene formalizzata la previsione
di un risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza
dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del
procedimento; le disposizioni della L. 241/1990 concernenti gli obblighi
per la pubblica amministrazione di garantire la partecipazione
dell’interessato al procedimento, di individuarne un responsabile, di
concluderlo entro il termine prefissato con un provvedimento espresso e
motivato, di assicurare l’accesso alla documentazione amministrativa, sono
considerate formalmente attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni di
cui all’art. 117, com. 2, lett. m), della Costituzione.
Quello che colpisce, innanzitutto, è la frequenza degli interventi di
revisione della citata L. 241/1990: già nel 2005, a distanza di pochi mesi,
fra febbraio e maggio, si sono succedute due novelle, parzialmente
contrapposte, la L. 15/2005 e la L. 80/2005, ed ora nuovi, sostanziali
interventi modificativi, volti alla definizione di una pubblica
amministrazione ancor più responsabile efficiente ed orientata al risultato.
Reiterati adattamenti, dunque, a riprova di quanto, con efficacia pari ad
autorevolezza, è stato detto, che il procedimento amministrativo in quanto
luogo di definizione di interessi pubblici rappresenta un fenomeno sociale
che richiede flessibilità e capacità di evoluzione e in quanto tale male si
presta ad essere cristallizzato nelle maglie strette di una specifica disciplina
normativa (Giannini).
Si fornisce ora un prospetto sintetico delle principali novità:
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
101
a) principi del procedimento. Nella L. 241/199, all’art. 1, il legislatore
ha inserito il crietrio di imparzialità, che va ad aggiungersi a quelli di
economicità, efficacia, pubblicità e trasparenza e sollecita i privati, preposti
all’esercizio di attività amministrative, alla garanzia del rispetto non solo
dei principi ma anche dei suddetti criteri in tema di procedimento
amministrativo;
b) tempi del procedimento. Si stabilisce che il procedimento deve
concludersi con un provvedimento espresso entro trenta giorni e che, solo
in particolari ipotesi, disciplinate mediante regolamenti (da adottarsi con
D.P.C.M. in base all’art. 17, co. 3, L. 400/1988), è possibile stabilire un
termine diverso, ma non superiore a centottanta giorni, con la sola
esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di
quelli riguardanti l’immigrazione. La sospensione dei termini di
conclusione del procedimento, per l’acquisizione di certificazioni relative a
stati, fatti o qualità, può essere disposta per una sola volta e per un periodo
non superiore a trenta giorni. Il decorso dei termini senza che si sia
concluso il procedimento, legittima il ricorso (purché avanzato entro un
anno dalla loro scadenza) avverso il silenzio dell'amministrazione
inadempiente anche in assenza di diffida ad adempiere;
c) responsabilità dirigenziale. E previsto che la mancata emanazione del
provvedimento nei termini costituisca un elemento di valutazione dei
dirigenti, come pure il mancato rispetto dei termini per la conclusione dei
procedimenti e peraltro rilevante ai fini della corresponsione della
retribuzione di risultato;
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
102
d) tutela risarcitoria. Il neo introdotto art. 2 bis L. 241/1990 è volto a
tutelare il privato, sancendo il principio del risarcimento da parte delle
pubbliche amministrazioni del danno ingiusto, cagionato dall'inosservanza
dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. In questo
modo il mancato rispetto dei termini apre la via alla tutela risarcitoria ed
espone l’amministrazione a responsabilità per omissione;
e) tutela processuale. L’intervento di riforma, nel sancire la
responsabilità della pubblica amministrazione, tratta insieme della tutela
processuale. Vi si attribuiscono le controversie in materia di risarcimento
del danno ingiusto da ritardo alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo. Il termine di prescrizione previsto è di cinque anni per
l’azione di risarcimento del danno prevista dal comma 1 del nuovo articolo
2-bis succitato;
f) attività consultiva. Viene modificato l'art. 16 L. 241/1990,
prevedendo la riduzione del termine di quarantacinque giorni dalla richiesta
che le P.A. hanno a disposizione per rendere i pareri obbligatori a venti
giorni dalla richiesta. Il comma 2 dell’art. 16 della legge n. 241 dà facoltà
all’amministrazione di procedere nel caso in cui, decorso il termine
prescritto, il parere non sia stato reso. A tal proposito è stabilito che se si
tratta di pareri obbligatori la pubblica amministrazione conserva la facoltà
di proseguire nel procedimento, mentre se si tratta di parere facoltativo
l'amministrazione ha, invece, l’obbligo di procedere;
g) dichiarazione di inizio attività. Viene ristretto l’ambito di
applicazione dell’istituto, escludendone l’operatività nei procedimenti
amministrativi in materia di asili e cittadinanza e, ancora , quale elemento
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
103
di novità, è previsto che dalla data di presentazione della dichiarazione di
inizio attività possa essere incominciata l’attività, in via immediata ( senza
attendere i trenta giorni attualmente previsti), ove la dichiarazione abbia ad
oggetto l'esercizio di attività di impianti produttivi o di prestazione di
servizi, ivi compresi gli atti che dispongono l’iscrizione in albi o ruoli o
registri ad efficacia abilitante.
Circa l’ambito di applicazione della L. 241 del 1990 le disposizioni
recate dalla L. 69 del 2009 si applicano a tutte le amministrazioni
pubbliche, sia alle amministrazioni statali che agli enti pubblici nazionali,
oltre che alle società a totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente
all’esercizio di funzioni amministrative, in quanto attinenti ai livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale. L’articolo 10 della legge di
riforma, novellando il comma 1 dell’art. 29 L. 241/1990 stabilisce poi che
alcune disposizioni della legge n. 241 si applichino direttamente a tutte le
amministrazioni pubbliche, comprese regioni ed enti locali.
7. Il mutamento di rito ed i motivi aggiunti nell'ambito del
giudizio avverso il silenzio
La tesi giurisprudenziale rigorosa, muovendo dalla premessa secondo la
quale il rito del silenzio e utilizzabile non per l'accertamento della
fondatezza della pretesa ma per l'indagine sulla mera violazione del termine
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
104
legale, esclude la possibilità di conversione del rito speciale sul silenzio
della p.a., previsto dall'art. 21 bis legge 6 dicembre 1971 n. 1034, in quello
ordinario.
Si è al riguardo osservato che “ la diversità degli oggetti giuridici due
giudizi” (quello ordinario, incentrato sul provvedimento e quello ex art. 21
bis legge n. 1034 del 1971 sul silenzio), nonché la specialità di quest'ultimo
giudizio, porta ad escludere, anche per evitare facili elusioni dei tempi
ordinari di trattazione delle controversie: a) che possano proporsi motivi
aggiunti avverso il provvedimento amministrativo sopravvenuto nel corso
dei giudizio instaurato ex art. 21 bis legge n. 1034/1971; b) che sia
ammissibile la conversione del ricorso speciale in ricorso volto ad
introdurre un giudizio ordinario di legittimità132.
Più possibilista è apparsa altre fetta della giurisprudenza a tenore della
quale il rito speciale previsto dall'art. 21 bis legge 6 dicembre 1971 n. 1034,
introdotto dall'art. 2 legge 21 luglio 2000 n. 205, può essere convertito in
quello ordinario tutte le volte che, attraverso la proposizione di motivi
aggiunti, si riporta nel thema decidendum un provvedimento che si pone in
rapporto di connessione diretta, oggettiva e soggettiva, con il
comportamento asseritamente omissivo della p.a. . Il limite a tale
conversione e costituito solo dalia rigorosa tutela dei diritti processuali
posti a garanzia della difesa di tutti i soggetti controinteressati, rispetto alla
pretesa fatta valere dal ricorrente133 .
132 Cons. di Stato, sez. IV, 11 giugno 2002, n. 3256. E esclusa poi la possibilità di promuovere due azioni sottoposte a riti diversi da Cons. di Stato, sez. IV 23 aprile 2004, n. 23S5, in Cons. di Stato, 2004, I, 896.133 Cons. di Stato, sez. V, 10 aprile 2002, n. 1974; Tar Veneto, sez. I, sent. 2 aprile 2003 n. 2186: “ Va disposta la trasformazione dello speciale rito in materia di silenzio della p.a.- ex art. 21 bis legge 6 dicembre 1971 n. 1034, introdotto dall'art. 2 legge 21 luglio 2000 n. 205-in quello ordinario, con successiva fissazione dell'udienza di merito, nel caso in cui il ricorso giurisdizionale sia stato proposto innanzi al G.A. utilizzando lo schema del ricorso contro il silenzio dell'amministrazione ex art. 21 bis legge 6 dicembre 1971 n. 1034, mentre, in relazione alla situazione sostanziale dedotta in giudizio non si
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
105
Conclusioni
Fin dalla sua creazione con l’istituzione della IV sezione del Consiglio
di Stato nel 1889, l’assetto della giustizia amministrativa è stato impostato
come possibilità di reazione, da parte del privato, contro gli effetti
costitutivi illegittimi di un atto o provvedimento dell’amministrazione. Di
conseguenza sembrava opportuno che anche la tutela giudiziale presentasse
il medesimo carattere costitutivo; quindi, con l’impugnazione, si poteva
ottenere l’annullamento dell’atto viziato, e conseguentemente, dei suoi
effetti, riportando la situazione di fatto a quella antecedente il
provvedimento.
Il privato poteva ritenere efficiente tale tipo di tutela nel caso in cui la
sua pretesa si presentasse come meramente rivolta alla conservazione dello
stato di fatto e di diritto esistente prima dell’intervento amministrativo,
quindi qualora il suo interesse fosse di semplice natura oppositiva
identificabile, ad esempio, nei confronti di un provvedimento
espropriativo. Nel momento in cui le esigenze concrete del cittadino
denunciano il bisogno di ottenere qualcosa in più dall’amministrazione,
non quindi in una logica di mera difesa dall’ingerenza pubblica, bensì di
pretesa, diventa evidente come la tutela tipica apprestata dalla giustizia
amministrativa appaia scarsamente incisiva: in presenza di un interesse
pretensivo, l’annullamento del provvedimento non attribuisce direttamente
al privato l’utilità attesa ma, al contrario, riportando la situazione alla status sia presenza di un effettivo silenzio della p.a., bensì di atti espliciti con cui viene manifestata la volontà dell'amministrazione; in tale ipotesi il ricorso va dichiarato inammissibile nella parte relativa alla domanda di accertamento dell'illegittimità del silenzio, mentre, per la restante parte (domanda di annullamento), va disposta la separazione della causa e la trasformazione del rito in quello ordinario, con successiva fissazione dell'udienza di merito ”.
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
106
quo ante, lo obbliga ad iniziare da capo la procedura se vuole raggiungere il
risultato sperato.
Il modello impugnatorio lascia così scoperte situazioni importanti che
per essere adeguatamente tutelate necessitano anzitutto di strumenti idonei
a vincolare l’amministrazione anche in sede di riesercizio del potere e che
consentano all’interessato di presentare la domanda più consona al tipo di
esigenza fatta valere.
Si è cercato di sottolineare come, ancora più grave, sia la situazione in
cui, alla richiesta presentata dal privato non sussegua alcun provvedimento
da parte dell’amministrazione.
Salvo i casi in cui è la legge ad attribuire al comportamento silente
dell’amministrazione significati specifici, come nel caso del silenzio
accoglimento o diniego, nel caso di inerzia il cui significato non venga
tipizzato dal legislatore, il richiedente si trova in una situazione sprovvista
di mezzi improntati ad una tutela sostanziale della propria posizione
giuridica.
L’inadeguatezza sorge dalla constatazione che non è possibile annullare
un qualcosa che, di fatto, non è mai intervenuto a disciplinare il caso
concreto e che un’eventuale equiparazione tra comportamento concludente
dell’amministrazione e provvedimento formale della stessa non è
ammissibile nemmeno a livello di finzione giuridica, nonostante la ratio di
questa finzione risiedesse proprio nell’intenzione di potenziare il livello di
effettività della tutela dell’interesse legittimo fatto valere con il ricorso e
fondante la pretesa del soggetto.
Proprio la concezione del l’interesse legittimo come dotato di spessore
anche sostanziale ha contribuito a trasformare, o meglio a cercare di
mitigare, la rigida configurazione del processo amministrativo di
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
107
legittimità, ammettendo anche la possibilità che l’esame del giudice possa
investire la globalità del rapporto amministrativo e quindi porsi come
effettivamente utile alla realizzazione dell’interesse legittimo del ricorrente.
Di tali qualità sembra essere dotata l’azione di accertamento,
quest’ultima intesa, con riferimento all’inerzia amministrativa, come la
concreta possibilità di fare accertare, da parte del giudice, un
inadempimento con conseguente fissazione di parametri o vincoli che
l’amministrazione, nel suo futuro attivarsi dovrà rispettare: l’eventuale
mancata osservanza di tali indici non costituirà semplice reiterazione
nell’inadempimento, ma configurerà l’ipotesi assai più grave di violazione
del giudicato amministrativo.
L’accertamento dell’illegittimità dell’inadempimento da parte
dell’amministrazione non è fine a se stesso. Se ci si limitasse a questo si
potrebbe addirittura dubitare della sussistenza dell’interesse ad agire in
capo al privato. In realtà quest’ultimo intende provocare una pronuncia
ulteriore da parte del giudice, che tenda più propriamente ad una condanna,
con la quale imporre all’amministrazione di tenere un certo
comportamento.
Tuttavia, tale ulteriore prerogativa riconosciuta al giudice non viene
accolta pacificamente, anzi si segnalano indirizzi contrastanti in
giurisprudenza, il cui orientamento maggioritario limita il potere del
giudice ad una dichiarazione giudiziale dell’obbligo di provvedere, salvo
qualche apertura verso l’esame nel merito in presenza di attività
amministrativa vincolata, rispetto alla quale l’attività giudiziale non si
presenterebbe come innovativa, ma semplicemente come applicativa della
normativa vigente: in questi casi, l’intervento del giudice potrebbe molto
più utilmente porsi, non solo come dichiarazione giudiziale dell’obbligo di
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
108
provvedere, ma come una pronuncia avente l’attitudine di giudicare della
fondatezza della pretesa avanzata e quindi la capacità di sostituirsi al
provvedimento amministrativo, senza per questo sacrificare il risultato
atteso dal ricorrente. Con questo s’intende dire, ovviamente, che anche il
provvedimento del giudice potrà dichiarare l’infondatezza della pretesa
fatta valere con il ricorso, ma almeno sarà una pronuncia intervenuta dopo
un esame effettivo della situazione concreta.
Le motivazioni accennate portano all’affermazione di un necessario
“allargamento” del tipo di giudizio amministrativo, che richiede un
distaccamento dal modulo impugnatorio.
L’intervento che sarebbe davvero idoneo ad incidere sull’attuale
configurazione del giudizio amministrativo è quello normativo e quindi un
intervento esplicito e univoco del legislatore in materia. Una riforma
concreta del sistema di giustizia amministrativa avrebbe potuto trovare
compiuta realizzazione nella legge n. 205 del 2000. Invece la sensazione è
che si sia mancata l’occasione di definire, per quanto riguarda il nostro
argomento, in termini chiari ed univoci la disciplina per i ricorsi contro il
silenzio. La nuova legge sulla giustizia amministrativa ha sicuramente il
merito di prendere atto che la produzione silenziosa dell’amministrazione è
un fatto di dimensioni affatto trascurabile e come tale bisognoso di
un’apposita disciplina, non ricavata interpretativamente da disposizioni
riguardanti in prima battuta il provvedimento amministrativo in senso
formale, e poi adattate alle peculiarità del comportamento inerte
dell’amministrazione.
Quello su cui si potrebbe avanzare una critica è l’attitudine delle nuove
prescrizioni ad un’interpretazione non univoca: si stabilisce che i ricorsi
contro il silenzio vengano decisi con sentenza succintamente motivata
senza specificare compiutamente cosa significhi tale previsione; si prevede
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
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che, qualora il giudice accolga in tutto o in parte il ricorso, ordini
all’amministrazione di provvedere senza specificare in cosa consista
l’ordine giudiziale; si prevede un potere di accertamento in sede di
esecuzione della sentenza, ma non si chiariscono i limiti, o in positivo, le
estensioni di tale potere.
Inoltre, non si può ritenere, nemmeno in via interpretativa, che la nuova
legge si occupi dell’istituto del silenzio assenso, e quindi dell’azione di
mero accertamento, lasciando irrisolte le problematiche relative alla
possibilità di adire il giudice al fine esclusivo di accertare l’assetto della
situazione giuridica così come creatosi in conseguenza dell’operatività
dell’istituto.
La conseguenza è quella di ritenere validi gli orientamenti
giurisprudenziali segnalati in base ai quali l’azione di mero accertamento
sarebbe esperibile solo all’interno della giurisdizione esclusiva e solo con
riferimento ai diritti soggettivi. Il verificarsi di un’ipotesi di silenzio
assenso configura solo un interesse legittimo in capo al privato, con la
conseguenza che l’accertamento della propria situazione giuridica potrà
essere richiesto al giudice amministrativo solo in sede d’impugnazione del
provvedimento che contesti la formazione del silenzio assenso, nel rispetto
del termine di decadenza.
L’impressione che si ha è quella di una presa d’atto della metamorfosi
necessaria e non più procrastinabile del modello di giudizio
amministrativo, anche proprio alla luce del diverso atteggiarsi delle
esigenze odierne dei privati rispetto a cent’anni fa. Nonostante questo, è
come se si volesse contenere il più possibile tale variazione evitando di
prendere posizione in modo chiaro e univoco, ma piuttosto contemperando
le nuove esigenze del privato, che richiedono una tutela qualitativamente
differente, con i principi ispiratori dell’originario sistema impugnatorio,
La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir
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con il risultato di un modello ibrido che, come tutte le scelte condizionate,
non può forse soddisfare a pieno nessuna delle parti.
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111
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