La tutela giurisdizionale e il silenzio della P.A.

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La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir 1 Indice Introduzione……………………………………………………..4 Capitolo 1 Silenzio della p.a.: presupposti ed evoluzione storica…………………………………………………………….6 1. Precisazioni terminologiche: i “tre silenzi” della pubblica amministrazione …………………………………………………....6 2. Evoluzione e ambito del silenzio ………………………………….7 3. Il silenzio-diniego………………………………………………....13 4. Il silenzio-assenso ………………………………………………...18 5. Il silenzio-rifiuto (o silenzio-inadempimento)…………………….22 6. La disciplina anteriore alla legge 7 agosto n.241 del 1990 conte- nente disposizioni sul procedimento amministrativo .......................30 7. La disciplina del silenzio-rifiuto oggi: i problemi connessi con la necessita della diffida, il termine per impugnare …………………35 a) Il ruolo della diffida: da passaggio necessario per ricorrere con- tro il silenzio della P.A. a strumento facoltativo nelle mani del cittadino ……………………………………………………………35 b) i termini per impugnare l’inerzia della P.A………………………..40 c) le connesse modifiche alla comunicazione di avvio del procedi- mento ………………………………………………………………41 d) i presupposti del silenzio-rifiuto ed in particolare il perdurare dell’inerzia; il provvedimento amministrativo tardivo…………….42

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La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

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Indice

Introduzione……………………………………………………..4

Capitolo 1 – Silenzio della p.a.: presupposti ed evoluzione

storica…………………………………………………………….6

1. Precisazioni terminologiche: i “tre silenzi” della pubblica

amministrazione …………………………………………………....6

2. Evoluzione e ambito del silenzio ………………………………….7

3. Il silenzio-diniego………………………………………………....13

4. Il silenzio-assenso ………………………………………………...18

5. Il silenzio-rifiuto (o silenzio-inadempimento)…………………….22

6. La disciplina anteriore alla legge 7 agosto n.241 del 1990 conte-

nente disposizioni sul procedimento amministrativo .......................30

7. La disciplina del silenzio-rifiuto oggi: i problemi connessi con la

necessita della diffida, il termine per impugnare …………………35

a) Il ruolo della diffida: da passaggio necessario per ricorrere con-

tro il silenzio della P.A. a strumento facoltativo nelle mani del

cittadino ……………………………………………………………35

b) i termini per impugnare l’inerzia della P.A………………………..40

c) le connesse modifiche alla comunicazione di avvio del procedi-

mento ………………………………………………………………41

d) i presupposti del silenzio-rifiuto ed in particolare il perdurare

dell’inerzia; il provvedimento amministrativo tardivo…………….42

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Capitolo 2 - La situazione alla luce della legge n.241 del 7

agosto 1990……………………………………………………..45

1. Le novità apportate dalla legge 241/1990…………………………..45

2. Il superamento del meccanismo procedurale previsto nell'art. 25

del T.U. n. 3 del 1957(sugli impiegati civili dello stato) e l'applic-

azione degli art. 2 e 3 della legge 241/1990………………………....47

3. L’ambito di applicazione della l. 7 agosto 241/1990……………….55

4. I termini del procedimento………………………………………….58

Capitolo 3 – Silenzio della p.a. e tutela giurisdizionale alla luce

della l. 205 del 2000 e dalla l. 69 del

2009………………………………...………………………………65

1. Riflessioni introduttive sul nuovo processo amministrativo…………65

2. Il rito processuale relativo al ricorso contro il silenzio nella legge n.

205/2000……………………………………………………………...73

3. La natura giuridica del giudizio sul silenzio ………………………..79

4. I poteri cognitori del G.A. in materia di silenzio inadempimento……84

5. Il commissario ad acta …………………………………………….....91

6. Cambiamenti alla legge 241 del 1990 da parte della legge 69

del 2009………………………………………………………………99

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7. Il mutamento di rito ed i motivi aggiunti nell'ambito del giudi-

zio avverso il silenzio……………………………………………….103

Conclusioni..........…………………………………………………….105

Bibliografia................................................................................112

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Introduzione

Il silenzio della pubblica amministrazione, e più in generale il tempo

dell’azione amministrativa, è un tema che da sempre ha catturato l’interesse

della giurisprudenza e della dottrina. In modo particolare, è un tema che

negli ultimi anni si è imposto al centro d’un acceso dibattito scaturito dalle

molteplici novità legislative recentemente susseguitesi, fino ad arrivare al

D.L. n. 35 del febbraio 2005, convertito nella legge n. 80, 14 maggio 2005.

Il termine silenzio sta a indicare da un lato il comportamento inerte della

pubblica amministrazione a fronte di un atto propulsivo di parte; dall’altro

può essere anche riferito a quella serie d’istituti specificamente preposti

alla rimozione degli effetti negativi prodotti dall’inerzia della P.A.

Si tratta di uno degli argomenti più complessi del diritto amministrativo,

perché l’inerzia della P.A. è tematica collegata ai tempi di conclusione del

procedimento amministrativo e certezza di conclusione dello stesso. In

questo quadro di crescente interesse per il “tempo” dell’azione

amministrativa, il legislatore, come già anticipato, è nuovamente

intervenuto sul comportamento omissivo della P.A. nel 2000 (legge n.205)

e poi nel 2005 (legge n.15 e legge n.80 di riforma alla legge 241\1990 sul

procedimento amministrativo), ponendo le basi per una nuova stagione di

rapporti tra cittadino e autorità amministrative.

Muovendo da tali premesse, con il presente lavoro verranno pertanto

descritte le varie tipologie di silenzio della P.A. e i relativi strumenti di

tutela per il privato, con particolare riferimento al silenzio-diniego e al

silenzio-rifiuto.

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Capitolo 1

Silenzio della p.a. : presupposti ed evoluzione storica

1. Precisazioni terminologiche: I “tre silenzi” della

pubblica amministrazione

Il silenzio della pubblica amministrazione e più in generale il tempo

dell’azione amministrativa sono stati argomenti che hanno sempre catturato

l’interesse dei giuristi e della dottrina. In modo particolare tali argomenti

sono entrati negli ultimi anni al centro di un acceso dibattito scaturito dalle

molteplici novità legislative susseguitesi negli ultimi tempi.

Uno sguardo attento infatti già dai primi anni novanta è stato volto dal

legislatore all’articolo 2 della legge 241 del 1990 in merito al tempo del

procedimento sino ad arrivare a quella che da alcuni autori viene definita

una “rivoluzione” avutasi con il D.L n. 35 del febbraio 2005 convertito

successivamente nella legge n. 80, 14 maggio 2005

Si usa il termine “rivoluzione” perché è con la legge n. 80 del maggio

2005 che si e stravolto il modo di concepire l’inerzia della Pubblica

Amministrazione essendo stati riscritti gli articoli 2, 19 e 20 della legge 241

del 1990.

Nell’ambito della pubblica amministrazione si configurano tre categorie

di silenzi. Prima di vedere questi silenzi si ritengono necessarie alcune

precisazioni di caratere terminologico, con l’intento di rendere più chiaro

ciò che qui si scriverà.

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In particolare, si utilizzerà in modo fungibile la locuzione “silenzio” con

quella di inerzia, per indicare il mancato esercizio della funzione

amministrativa doverosa, sia in fase endoprocedimentale che di

conclusione del procedimento, da cui discendono lesioni di posizioni

giuridiche soggettive.

Si utilizzerà, invece, la locuzione silenzio-rigetto species del genus

silenzio-diniego, limitatamente al caso di mancata risposta entro i termini

previsti dalla legge ai ricorsi in via amministrativa. In relazione all’inerzia

con valore provvedi mentale positivo, si adotteranno le locuzioni “silenzio-

assenso” e “silenzio-accoglimento” in modo del tutto fungibile, con una

preferenza per la prima rispetto alla seconda.

2. Evoluzione e ambito del silenzio

Il silenzio1 è un comportamento di inazione che non ha un significato

giuridico proprio, ma può essere qualificato dalla legge. Esso costituisce un

mero comportamento inerte in cui manca ogni espressione volontaristica

dell’amministrazione e assume una connotazione giuridica solo nei casi in

cui la legge gli attribuisce un valore tipico.

1 L'istituto del silenzio è stato previsto per soddisfare un'esigenza specifica cioè la tutela degli interessi legittimi del privato in attesa dell'emanazione dell 'atto. Tale esigenza non ricorre, e l'istituto del silenzio non si applica, quando in gioco ci siano diritti soggettivi e il comportamento della pubblica amministrazione sia qualificabile come inadempimento di un'obbligazione. In tale caso, il privato può ricorrere davanti al giudice civile senza bisogno di porre in essere, prima, quegli atti che altrimenti sarebbero necessari per la ''formazione'' del silenzio.

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Tale comportamento è definito come “una delle manifestazioni più

scandalose del (mal) funzionamento del costume amministrativo” o come,

“un fatto di disfunzione amministrativa”, determina, per il cittadino,

un’insoddisfazione dell’interesse personale cui aspira.

Ma a parte questa precisazione, ritengo opportuno riassumere

l’evoluzione normativa e giurisprudenziale che ha riguardato il silenzio

della pubblica amministrazione.

Storicamente l’esigenza di tutela del privato a fronte dell’inerzia della

pubblica amministrazione si è manifestata in principio in un ambito

particolare, costituito dall’ipotesi di ricorso gerarchico contro un atto

emesso dall’ente pubblico. La legge 21 marzo del 1889 n. 5993 istitutiva

della IV Sezione del Consiglio di Stato poneva come requisito basilare per

l’impugnazione dell’atto amministrativo la sua definitività, caratteristica

questa che veniva ad esistenza solo se vi era una decisione sul ricorso da

parte dell’organo gerarchicamente superiore a quello che aveva emesso

l’atto impugnato. Logica conseguenza era che l’eventuale mancata

decisione sul ricorso gerarchico precludeva la possibilità di impugnazione

dell’atto dinanzi al giudice amministrativo. Si rendeva, pertanto, necessario

un rimedio che consentisse al privato di superare una simile impasse. Tale

rimedio fu individuato con la sentenza n. 429, resa dalla IV Sezione del

Consiglio di Stato in data 22 agosto 1902: in pratica, decorso un “congruo

termine” di tempo della presentazione del ricorso gerarchico, l’interessato

doveva notificare una formale diffida all’amministrazione, intimando alla

stessa di decidere in merito entro un determinato ulteriore termine. Il

decorso di tale termine senza alcuna pronuncia doveva interpretarsi come

rigetto del ricorso (c.d. silenzio-rigetto), assumeva cioè valore di un

provvedimento negativo.

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Tale soluzione costituiva una finzione giuridica ed era resa necessaria

dal carattere impugnatorio, proprio del processo amministrativo, ovvero il

carattere di processo che ha ad oggetto un atto amministrativo. Evidenzio

che la soluzione – seppur mossa dal lodevole intento di tutelare il cittadino,

evitandogli una situazione di assoluta soggezione a fronte di atteggiamenti

di inerzia della pubblica amministrazione – era pur sempre una finzione

giuridica e, inoltre, si riferiva al caso specifico dell’inerzia conseguente alla

proposizione di un ricorso gerarchico. Tale rimedio, tuttavia, ebbe una

successiva trasposizione in ambito legislativo con il T.U. della legge

comunale e provinciale del 1934, il cui art. 5 riconobbe al ricorrente –

decorsi senza esito 120 giorni dalla presentazione del ricorso – il potere di

notificare istanza alla p.a. affinché decidesse. In assenza di decisione,

decorsi 60 giorni, il ricorso era considerato rigettato.

Si compiva così un piccolo passo avanti, eliminando il problema

preesistente di come interpretare l’espressione “congruo termine”, ma si

restava sempre nel caso specifico del ricorso amministrativo, nulla

dicendosi riguardo al silenzio dell’ente pubblico a seguito di un’istanza del

privato volta ad ottenere un concreto provvedimento. La giurisprudenza

amministrativa, seppure con alcuni tentennamenti, ritenne di poter colmare

tale lacuna interpretando la disciplina suddetta come il frutto di un

principio di carattere generale, riferibile a qualsiasi caso di inerzia della

p.a.2.

Permanevano, tuttavia, in dottrina forti perplessità, incentrate sulla

circostanza che il silenzio non costituiva altro che un comportamento della

p.a., cui per mera finzione si attribuiva il carattere di un atto. Tali

perplessità trovarono un espresso riconoscimento da parte dell’Adunanza

2 Cons. di Stato, sez. IV, 21 gennaio del 1936 n. 26 e Cons. di Stato, sez. IV, 29 ottobre del 1951 n. 534.

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Plenaria del C.d.S., che con la sentenza n. 8 del 3 magio 1960 superò la

concezione del processo amministrativo quale esclusivamente di tipo

impugnatorio, riconoscendo che i ricorsi giurisdizionali contro il silenzio-

rifiuto hanno ad oggetto non un atto amministrativo, ma il comportamento

della p.a. omissivo (rispetto all’obbligo di provvedere)3

Procedendo nel tempo, si giunse all’abrogazione dell’art. 5 del T.U.

della legge comunale e provinciale del 1934 ad opera dell’art. 6 del D.P.R.

1199 del 1971 (di disciplina dei ricorsi amministrativi), che previde che

“decorsi 90 giorni dalla data di presentazione del ricorso gerarchico, senza

che l’organo abbia comunicato la decisione, il ricorso si intende respinto a

tutti gli effetti e contro il provvedimento impugnato è esperibile il ricorso

all’autorità giurisdizionale competente, o quello straordinario al Presidente

della Repubblica”. A tale sviluppo normativo la giurisprudenza fece

seguire un’importante pronuncia, resa dall’Adunanza Plenaria del C.d.S.

con sentenza n. 10 del 10 marzo del 1978. In tale occasione, accogliendo la

posizione espressa in dottrina dal Sandulli, la magistratura amministrativa

ritenne di dover applicare al silenzio-rifiuto la procedura contemplata

dall’art. 25 del D.P.R. 3 del 1957 (Testo Unico degli impiegati civili dello

Stato), per cui decorsi inutilmente 60 giorni dalla presentazione di

un’istanza, il privato doveva diffidare e mettere in mora la p.a. affinché

provvedesse entro un termine (di almeno 30 giorni). Decorso

infruttuosamente tale termine, era possibile impugnare il silenzio-rifiuto

dinanzi al giudice amministrativo.

Con l’impiego di tale impostazione si giunse all’entrata in vigore della l.

241/90, il cui art. 2 introdusse il principio dell’obbligo 3 Nel tempo, l’evoluzione normativa e giurisprudenziale hanno portato a riconoscere il potere del giudice amministrativo di condannare la p.a. al risarcimento del danno cagionato al privato in materia Giuliano Lentini, La tutela risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo in www.diritto.it 2008

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dell’amministrazione di concludere il procedimento amministrativo con un

provvedimento espresso. Alla luce delle risultanze della giurisprudenza,

sembrerebbe possibile affermare che sussiste un obbligo di provvedere, e

quindi di concludere il procedimento, tutte le volte in cui, pur non avendo

l’amministrazione l’obbligo, abbia deciso di avviarlo (avendone la facoltà

non l’obbligo ). Deve trattarsi, inoltre, di un’attività dovuta – deve quindi

sussistere un obbligo di provvedere sancito, o che si posa desumere dalla

legge – con la conseguenza che per la giurisprudenza è da escludersi la

configurazione delle fattispecie in ipotesi di mancata pronuncia su

un’istanza palesemente infondata o nel caso di istanze volte ad ottenere il

riesame di provvedimenti autoritativi già adottati e divenuti inoppugnabili

(salvo che per ragioni di pubblico interesse ) ovvero, più specificamente,

nel caso di istanze volte ad ottenere la revoca di precedenti atti.

In via generale è dunque da affermarsi che, ove le situazioni siano

mature per una decisione, esiste per l’amministrazione titolare del potere un

vero e proprio obbligo di provvedere. Provvedere non significa tuttavia

necessariamente emanare un atto od effettuare una formale comunicazione

a terzi in merito ai propri intendimenti. Provvedere è, in senso proprio e

sostanziale, considerare il caso ai fini del decidere. Dalla valutazione delle

circostanze potrebbe derivare per l’Amministrazione il convincimento che

la situazione non sia ancora matura, che valga la pena di attendere sia

perche la situazione potrebbe mutare, altre circostanze potrebbero

emergere, o si potrebbe addirittura non decidere affinché alcuni aspetti

vengano accertati in modo più chiaro e sicuro od anche perche si vuole

disporre di più tempo per una mediata riflessione .

Per l’amministrazione tuttavia il discorso si complica perché, se vi è una

libertà in merito al se e al quando compiere la scelta, la libertà stessa non

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dovrebbe sfuggire, in tesi, all’applicazione dei principi propri della

discrezionalità amministrativa. Vi sono dei casi in cui la liberta nell’an è

limitata, nel senso che il legislatore o la stesa amministrazione con una

previa determinazione, abbiano stabilito un termine entro il quale

l’amministrazione è tenuta a dare una risposta formale.

Ma ritornando alla diposizione del art.2 della legge 241 del 1990 sul

procedimento amministrativo, bisogna precisare che tale disposizione

previde che gli enti pubblici – ove non vi fosse disciplina di legge e

regolamenti – dovessero stabilire per i procedimenti di propria competenza

termini di conclusione dei medesimi. Ove ciò non avesse luogo, la stessa

disposizione di legge fissava un termine generale di conclusione del

procedimento di 30 giorni, con decorrenza dall’inizio d’ufficio del

procedimento o della ricezione dell’istanza del privato.

Devo sottolineare che malgrado l’avvento dell’art. 2 della l. 241 del

1990 sopra citato rimasero in vita dubbi in merito alla necessità che il

privato procedesse alla diffida a provvedere nei confronti della p.a.. A

sostegno dell’utilizzo del meccanismo di cui al T.U. degli impiegati civili

dello Stato del 57 si osservò, in giurisprudenza, che l’automatica

formazione del silenzio-rifiuto costituiva un pericolo per il privato, in

quanto lo stesso avrebbe potuto non rendersi conto dello spirare del termine

di decadenza per l’esercizio dell’azione dinanzi al giudice amministrativo.

Inoltre il meccanismo della diffida avrebbe consentito un più ampio

margine temporale all’ente pubblico per ovviare ai propri inadempimenti.

La questione è stata risolta con la novella del 2005 4a seguito della quale

l’attuale art. 2 comma 5 della l. 241 del 1990 espressamente prevede che “il

4L. n.15 del 2005 e l. n.80 del 2005

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ricorso avverso il silenzio dell’amministrazione …può essere proposto

anche senza necessità di diffida all’amministrazione inadempiente fintanto

che perdura l’inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza

dei termini di cui ai precedenti commi 2 o 3…”. In tal modo l’utilizzo della

diffida è stato rimesso alla libera scelta della parte privata e non costituisce

più un obbligo per la stessa.

3. Il silenzio-diniego

Una forma di silenzio della pubblica amministrazione è quello del

silenzio-diniego. Il silenzio-diniego è quel silenzio che equivale ad un

provvedimento di rigetto della pubblica amministrazione.

Esistono numerose norme che stabiliscono che, trascorso un determinato

periodo di tempo, la domanda rivolta dal privato all’amministrazione si ha

per rigettata. Il problema è di verificare se, in presenza di simili formule

legislative si abbia realmente un silenzio significativo, ossia un silenzio con

valore di provvedimento di diniego (ovvero si determini un silenzio mero,

non significativo di decisione di rigetto della domanda).

Sul piano sostanziale , nell’uno e nell’altro caso non si verifica alcun

effetto innovativo (costitutivo di un nuovo asseto di interessi): la situazione

giuridica obbiettiva preesistente rimane inalterata, dato che nessun nuovo

precetto interviene a modificarla. Diverse sono le conseguenze sul piano

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procedimentale: il silenzio mero lascia integro il potere

dell’amministrazione di provvedere, sia pure tardivamente; il silenzio-

diniego, viceversa, sostituendo ex lege il provvedimento esplicito, chiude il

procedimento ed estingue il potere di provvedere, lasciando sussistere solo

poteri di autotutela. Con la conseguenza che l’eventuale provvedimento

tardivo, magari favorevole al privato, dovrebbe considerarsi inutiliter

datum.

Sul piano giurisdizionale, mentre il silenzio mero apre la tutela alla

cognizione delle situazioni soggettive spese nel procedimento e consente

una decisione sostanzialmente di condanna all’adozione del

provvedimento; il silenzio-diniego comporta: a) la inutilizzabilità del rito

accelerato di cui all’art. 21-bis; b) un’azione soltanto impugnatoria,

sottoposta ad un termine (ingiustificato) di decadenza; c) una sentenza

semplicemente demolitoria; d) una materia di contendere asfittica, dato che

il silenzio, pur avendo valore di diniego, non possiede retroterra

procedimentale, né veste formale, né sostanza motivazionale.

A fronte di queste considerazioni occorre chiedersi se possa realmente

ritenersi che sia stato introdotto nel nostro ordinamento la figura del

silenzio-diniego o se le formule normative che al silenzio-diniego

sembrano far riferimento non siano interpretabili come indicative di un

silenzio mero. Soprattutto tenendo conto del fatto che nessuna norma di

carattere generale ha sinora previsto e disciplinato un siffatto istituto; e che

l’ipotesi principale del silenzio-rigetto, l’unica compitamente disciplinata

( il silenzio sui ricorsi amministrativi), è stata intesa dal legislatore come

silenzio mero. La certezza del diritto impone che tale alternativa venga

rapidamente sciolta, ad evitare, che nell’incertezza, il privato, colpito dal

silenzio-diniego, si trovi a non sapere come difendersi in giudizio o,

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peggio, sia costretto a difendersi in due modi e con due strumenti

processuali diversi.

Ma a parte questa riflessione sul significato delle formule legislative, si

dovrebbe precisare che l’amministrazione abbia l’onere e non l’obbligo di

provvedere ( nel senso che non c’è un obbligo di provvedere), a differenza

di quanto avviene in presenza di un inadempimento non qualificato da

alcuna previsione normativa , poiché la legge collega l’accoglimento o il

rigetto dell’istanza direttamente al comportamento inerte

dell’amministrazione serbato per un determinato periodo di tempo.

L’autorità amministrativa può scegliere di rimanere inerte o di agire. A

prima vista si potrebbe ritenere che la tipizzazione legislativa del silenzio

deroga al principio generale che impone all’autorità amministrativa di

avere come fine ultimo del proprio agire il perseguimento del pubblico

interesse. Nel caso del silenzio tipizzato manca qualsiasi ponderazione

degli interessi coinvolti e il diniego o l’assenso si verificano in base alla

sola previsione normativa. In realtà le cose non stanno così, anche perché il

principio del perseguimento del pubblico interesse ha natura costituzionale

(trovando fondamento nell’art.97 Cost.) e perciò non e derogabile5: più

semplicemente, siamo di fronte ad ipotesi in qui la legge stesa determina i

presupposti dell’agire amministrativo, che costituisce mero esercizio della

legge.

Anche per questa tipologia di silenzio sussiste contrasto tra dottrina e

giurisprudenza riguardo alla qualificazione della natura giuridica

dell’istituto. Per la teoria prevalente il silenzio-diniego consisterebbe in

un’ipotesi di silenzio significativo, speculare a quella del silenzio-assenso,

5 Nell’art. 97 della Cost. è stabilito che gli uffici pubblici debbono essere organizzati “secondo disposizioni di legge” al fine di assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’azione amministrativa”

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in quanto l’inerzia dell’esercizio amministrativo per il termine stabilito

nelle ipotesi tassativamente delineate dalla legge equivarrebbe

all’emanazione di un provvedimento implicito di rigetto.

Per l’opinione opposta che si basa sull’assenza nell’ordinamento di una

disposizione normativa che preveda l’istituto in linea generale, il silenzio

serbato dall’amministrazione sull’istanza del privato configurerebbe una

fattispecie di mero silenzio rifiuto, differenziandosi dallo stesso solamente

perché non sarebbe necessaria la previa diffida per l’impugnazione.

Le ipotesi di silenzio-diniego non sono molte. L’articolo 25 della legge

241 del 1990 prevede che il diritto di acceso agli atti amministrativi si

esercita mediante esame ed estrazione di copia dei documenti

amministrativi, nei modi è con i limiti indicati dalla legge. La richiesta di

acceso ai documenti – che deve essere munita di idonea motivazione – è

rivolta all’amministrazione che ha formato il documento o che lo detiene in

modo stabile, deve essere messa a disposizione del richiedente entro 30

giorni. L’eventuale rifiuto o differimento dell’acceso va motivato. Qualora,

ai sensi della del quarto comma, siano decorsi infruttuosamente trenta

giorni dalla richiesta, questa si intende rifiutata. Contro il rigetto esplicito

ed implicito della richiesta, l’interessato può rivolgersi, mediante un

speciale procedimento, immediatamente, al TAR che in Camera di

Consiglio, entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del

ricorso, decide. La sua decisione è appellabile entro trenta giorni dalla

notifica della stesa al Consiglio di Stato, chiamato ad esprimersi con le

modalità ed i termini con i quali si pronuncia il Tribunale Amministrativo

Regionale.

Siccome il diritto di acceso va raffigurato in termini di interesse

legittimo, il giudizio introdotto con il ricorso previsto ha natura

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impugnatoria di un provvedimento autoritativo di diniego

dell’amministrazione, per cui tale giudizio è sottoposto alla generale

disciplina del processo amministrativo. Da quanto detto, consegue che il

ricorso deve essere notificato, a pena si inammissibilità, tanto al all’organo

che ha emanato l’atto impugnato quanto ai contro interessati, quali debbono

considerarsi i soggetti determinati ai quali si riferiscono i documenti

richiesti, nel termine perentorio di trenta giorni stabilito dalla legge; per

questo motivo, è irricevibile il ricorso diretto all’acceso agli atti della gara a

trattativa privata per l’affidamento del servizio di vigilanza non notificato

alla dita risultata aggiudicataria, posto che l’istanza è rivolta ad ottenere

una copia dell’offerta della dita eventualmente aggiudicataria.6

Un altro esempio di silenzio-rigetto è dato in materia edilizia. Il silenzio

tenuto sulla istanza di concessione edilizia in sanatoria non è qualificabile

come silenzio-inadempimento o silenzio-rifiuto, giacché l’ordinamento ha

previsto espressamente quale sia la conseguenza giuridica dall’inutile

decorso del termine per provvedere. L’art.13 della legge n. 47 del 1985, ora

travasato nell’art.36 del D.P.R. n. 380 del 2001, esplicitamente prevede

un’ipotesi di silenzio-diniego, ovvero di silenzio che la norma costruisce

come fattispecie legale tipica avente valore di provvedimento a contenuto

negativo reiettivo dell’istanza.7

L’art. 36 D.P.R. n. 380 del 2001 afferma che “sulla richiesta di

permesso in sanatoria, il dirigente o il responsabile del competente ufficio

comunale, si pronuncia con adeguata motivazione, entro e non oltre

sessanta giorni, decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata”. In questa

6 T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 14 giugno 2005, n.10957 T.A.R Campania, Napoli, sez. III. n. 4373 del 2006

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ipotesi si è, dunque, palesemente fuori l’ipotesi di silenzio-inadempimento,

cui la norma della novella del 2005 vuole offrire una tutela più semplificata

e rapida. Qui il silenzio è un provvedimento di rigetto immotivato, e

conseguentemente viziato, facendo in questo modo, che il giudice deve

limitarsi a pronunciarsi sull’annullamento dell’atto (in questa ipotesi,

tacito) illegittimo, demandando lo svolgimento dell’attività amministrativa

al ente competente.8

4. Il silenzio-assenso

L’istituto del silenzio assenso trova applicazione quando una norma di

legge stabilisce un termine per l’emanazione di un atto amministrativo

richiesto da un privato prevedendo che, allo scadere di quel termine senza

che l’amministrazione abbia provveduto, si producano comunque gli

effetti giuridici tipici dell’atto atteso e non emanato; quindi, se il privato

presenta una richiesta di autorizzazione e se, allo scadere del termine

prescritto nel caso di specie, il diniego non gli e’ stato comunicato, la

richiesta s’intende accolta; oppure, se viene richiesto un parere e l’organo

consultivo9 non si pronuncia nel termine previsto, il parere s’intende reso

8 T.A.R. Lazio, Roma, sez. II-bis, n. 504 del 20069 Gli esempi corrispondono a due diverse ipotesi di silenzio assenso: provvedimentale e procedimentale. Tale distinzione viene fatta avendo come riferimento il procedimento amministrativo e si fonda sulla posizione che, all’interno del procedimento, riveste l’atto da sostituire. Il silenzio assenso procedimentale riguarda un atto interno all’iter procedimentale come un parere, un nulla osta, un atto di controllo. E’ da considerarsi tale anche il silenzio assenso che inerisce alla fase costitutiva di un provvedimento, quando la legge prevede una decisione oggettivamente o soggettivamente complessa. Il

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

18

in senso favorevole. Coerentemente agli esempi fatti, il privato otterrà, in

forza del silenzio assenso, la medesima legittimazione all’attività che

avrebbe avuto in forza del rilascio dell’autorizzazione attesa, senza ritardo

nell’attribuzione della stessa; oppure, nel secondo esempio,

l’amministrazione potrà procedere come se il parere fosse stato rilasciato e

in senso favorevole evitando ritardi nel procedimento.

Il silenzio assenso è, come noto, stato generalizzato con riferimento ai

procedimenti ad istanza di parte con le recenti legge di riforma della l. n.

241/1990 (l. n. 15/2005; 80/2005) e si presenta in ogni caso come istituto

eccezionale rispetto al rimedio generale del silenzio rifiuto.

Quello che accomuna il silenzio assenso al silenzio-rifiuto è solo il fatto

dell’inerzia della p.a., ma se ne differenzia per gli effetti sostanziali che la

legge collega all’inerzia. In questo caso, infatti, a differenza di quel che

accade nel silenzio-rifiuto, l’ordinamento ricollega all’inerzia il venire in

essere di quell’assetto di interessi previsto in astratto dalla legge e

concretamente voluto dal privato con la presentazione dell’istanza.

E’ una figura complessa, dai risvolti interpretativi e qualificativi

compositi e che pone agli interpreti problemi applicativi continui.

Fondamentale si presenta dunque l’esigenza di esaminarne prima le

silenzio assenso provvedimentale investe la parte finale dell’iter procedimentale, capace di incidere direttamente sulle situazioni soggettive dei cittadini e di solito riguarda atti autorizzativi (art. 20 gennaio 241 del 1990), ma non si esclude a priori la possibilità di prevederlo anche per ipotesi diverse (ad es. articolo 19, legge 24 novembre 1981, n. 689 che introduce il silenzio assenso rispetto ai ricorsi amministrativi contro provvedimenti di sequestro per infrazioni amministrative). Le problematiche sollevate sono di tenore differente: nel tipo procedimentale c’e’ un problema di salvaguardia dell’ordine delle attribuzioni; nel tipo provvedimentale viene in rilievo il rapporto tra amministrazione e cittadino direttamente coinvolto e quindi un problema di equilibrio di contrapposte esigenze di tutela: della legalità, dell’interesse pubblico e dell’affidamento dei cittadini.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

19

caratteristiche strutturali, cioè quelle caratteristiche che precedono la

qualificazione e che, almeno in parte, la condizionano.

Quando parliamo di caratteristiche strutturali del silenzio assenso ci

riferiamo a quegli elementi minimi la cui presenza è indispensabile

affinché possa ricorrere la fattispecie configurata dal legislatore e possa

così esserne sfruttato lo scopo pratico.

La tecnica utilizzata per esaminare la fattispecie del silenzio assenso è

quella delle finzioni giuridiche. Questa tecnica consiste nell’attribuire ad

una determinata fattispecie (il silenzio), gli effetti giuridici tipici di una

fattispecie diversa ( l’atto formale). La previsione legislativa del silenzio

assenso assolve alla funzione di ricollegare effetti giuridici ad una

fattspecie omissiva che, di per sé, non sarebbe in grado di produrne. La

norma, per conseguire questo risultato, utilizza come termine di

individuazione la fattispecie che tipicamente è idonea a produrli e cioè

l’atto di assenso10 dell’amministrazione.

Strutturalmente, la fattispecie del silenzio assenso è caratterizzata dalla

produzione di un regime giuridico equivalente a quello dell’atto di assenso

dell’amministrazione. Una volta formatosi il silenzio assenso, la situazione

giuridica concreta viene disciplinata come se l’atto di assenso fosse stato

veramente emanato.

Il silenzio assenso elimina la possibilità di una non definizione del

procedimento, o del subprocedimento, in danno del soggetto interessato

all’emanazione dell’atto. Altra caratteristica dell’istituto in esame è la

necessaria correlazione con l’atto d’iniziativa procedimentale: mancando la

disciplina dettata dall’amministrazione, la disciplina del silenzio assenso

10 A. Travi, “Silenzio assenso” cit , 100 ss.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

20

deve necessariamente desumersi e correlarsi al contenuto11 dell’atto

d’iniziativa presentato dal privato.

Ancora, quando la norma utilizza espressioni come “si considera”,

“s’intende”, e altre locuzioni simili, stabilisce un’equivalenza tra effetti del

silenzio ed effetti tipici dell’atto amministrativo tale che non possa essere

derogata; tale equivalenza d’effetti è una caratteristica del silenzio assenso

e quest’ultimo è un meccanismo legale che si realizza a prescindere, e

quindi anche contro, la volontà dei soggetti coinvolti nella12 vicenda. Le

parti del rapporto amministrativo non possono sottrarsi al meccanismo

legale del silenzio assenso per cui, l’amministrazione, allo scadere del

termine, dovrà subire la sottrazione del potere di provvedere nel caso

concreto: infatti il suo potenziale operato verrà sostituito legalmente dal

silenzio-assenso; il privato, dal canto suo, non potrebbe scegliere di

aspettare l’autorizzazione espressa o il diniego da parte

dell’amministrazione, nonostante potrebbe avervi un concreto interesse e

quindi anch’egli subisce il regime del silenzio assenso.

Il rimedio in esame si presenta come rigido e drastico all’inerzia; infatti

in

primo luogo opera in modo da sostituire in tutto o in parte la funzione

amministrativa con una valutazione legale che, proprio per questo si

presenta inevitabilmente astratta, poco attenta al caso concreto e quindi non

in grado di assicurare il medesimo risultato pratico dell’azione

amministrativa. Per quante cautele possa utilizzare il legislatore, il rispetto

delle norme sostanziali che regolano la materia e la tutela dell’interesse

11 V. Cerulli Irelli, “Corso di diritto amministrativo”, Torino, Giappichelli, 1997, 484, dove si sottolinea in generale che “ il silenzio può senz’altro acquistare contenuto decisorio, perché questo viene identificato dalla legge con il contenuto dell’istanza così come prospettato dall’interessato stesso”. 12 Travi, “Silenzio assenso” cit., 182 ss.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

21

pubblico, vengono notevolmente diminuiti in presenza di un’ipotesi di

silenzio assenso.

In secondo luogo il funzionamento pratico dell’istituto è esposto al

rischio di una non coincidenza tra l’interesse astrattamente tutelato dalla

norma e interessi concreti, tra cui spicca l’interesse ad ottenere una

pronuncia espressa da parte dell’amministrazione.

E’ importante segnalare come uno dei problemi principali relativi

all’introduzione del silenzio assenso nel nostro ordinamento sia quello

relativo alla garanzia della certezza delle situazioni giuridiche coinvolte.

Sebbene gli effetti giuridici del silenzio assenso siano equivalenti a quelli

dell’atto esplicito, nel primo caso non vi è certezza sulla loro esistenza;

proprio perché si prescinde dall’atto per la produzione di effetti, l’esistenza

del silenzio assenso è sottoposta a continuo rischio di contestazione da

parte dell’amministrazione.

Da quanto esposto risulta come il silenzio assenso ponga un problema di

equilibrio tra interessi difficilmente armonizzabili: esigenze di tutela della

legalità e interesse pubblico, l’interesse del destinatario del silenzio assenso

alla certezza delle situazioni giuridiche che lo riguardano, l’interesse dei

terzi.

5. Il silenzio-rifiuto ( o silenzio-inadempimento)

Con il termine silenzio-rifiuto si indica quella situazione che si verifica

nel caso in cui venga presentata una istanza alla p.a. e quest’ultima, pur

avendo l’obbligo di provvedere, rimane inerte.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

22

Questo termine di silenzio-rifiuto è frutto dell’elaborazione del giudice

amministrativo che ha anche indicato come “costruire” il silenzio13. Mentre

il silenzio-significativo trova la propria fonte nella legge, il silenzio-rifiuto

trova la propria origine nella costruzione giurisprudenziale, mossa

sopratutto dall’esigenza di porre limiti all’inerzia della p.a. e ad assicurare

agli amministrati un minimum di garanzia. Tale esigenza si fa risalire ad

alcune sentenze del Consiglio di Stato dell’inizio del secolo scorso, che pur

di fronte a notevoli difficoltà dogmatiche e alla opposizione di autorevole

dottrina e soprattutto in mancanza di norme di riferimento, ritenne che si

poteva proporre ricorso contro il mero fatto dell’inerzia14. L'istituto del

silenzio-rigetto risale alla fine del 1800, periodo in cui non esisteva uno

strumento di tutela delle pretese del cittadino nei confronti della pubblica

amministrazione legislativamente disciplinato; la tutela era, infatti,

costruita solo sulla base della possibile impugnazione dei provvedimenti

emanati dall'amministrazione che incidevano su situazioni sostanziali dei

cittadini giuridicamente protette. Nel 1902 fu emanata la prima decisione

giurisprudenziale che prevedeva l'obbligo dell’amministrazione di

pronunciarsi su un'istanza del privato (Cons. Stato, sez. IV, 22 agosto

1902), il cosiddetto caso Longo, impiegato statale destituito che aveva

proposto ricorso amministrativo contro il provvedimento di destituzione;

pur nel silenzio del suo superiore gerarchico e in mancanza di un

provvedimento espresso di rigetto, essendo ancora nei termini per il ricorso

13 Sulla procedura per la sua formazione non è registrabile un orientamento univoco. Una questione discussa in passato riguardava la durata dei tempo necessario per potere affermare di essere in presenza di una fattispecie di silenzio significativo sui piano giuridico e, in questo senso, fu rilevante la decisione di Cons. di Stato, sez. IV, 22 agosto 1902, n. 429, cd. decisione Longo.

14Cons. di Stato, sez. IV, 22 agosto 1902, n. 409, in Giur. It., 1902, III, 344, in cui il prolungato silenzio dell’autorità superiore Ministro di grazia e giustizia nei confronti di un ricorso gerarchico, vene equiparato a conferma del provvedimento oggetto del ricorso amministrativo: tale sentenza venne definita “ardita” (per quanto meritoria) da S. Romano, Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1953, 6.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

23

al Consiglio di Stato, il cittadino propose ricorso giurisdizionale ed il

Supremo Consesso si pronuncio per l'ammissibilità dell’istanza,

affermando che il silenzio prolungato dell'amministrazione e la successiva

diffida proposta nei confronti della medesima con assegnazione di un

congruo termine per provvedere legittimavano il ricorrente a proporre

ricorso giurisdizionale. Questa decisone costituì, dunque, la base per la

nascita del sistema per la tutela del privato dal silenzio

dell'amministrazione. Si parlò allora per la prima volta di silenzio-rifiuto,

perché vi era un rifiuto dell’amministrazione di pronunciarsi sul istanza del

privato o sul ricorso gerarchico proposto dal cittadino innanzi al superiore

dell’autorità amministrativa interessata, ma non si era ancora formato il

concetto giuridico di silenzio-rigetto. II silenzio era, infatti, considerato

come una figura di mero diritto processuale, poiché permetteva al privato

di adire il giudice in seguito alla decorrenza di un congruo termine in

costanza dell'inerzia mantenuta dall’amministrazione15. Successivamente

si affermò la pretesa all'emanazione del provvedimento avanzata nei

confronti dell'amministrazione ed il ricorso al superiore gerarchico per la

rimozione del provvedimento16: nel primo caso il silenzio era concepito

come un provvedimento immotivato di rifiuto ed il vizio consisteva nel

difetto di motivazione; nel caso di ricorso invece, il silenzio del superiore

gerarchico veniva equiparato all'approvazione dell'atto del sottordinato: il

vizio consisteva, quindi, nello stesso vizio dell'atto impugnato con il ricorso

15 Cons. St.a.pl. n.8/196016 Da parte della dottrina non sono mai mancate contestazioni riguardo alla figura giurisprudenziale del silenzio rifiuto sostenendo che essa non equivalesse ad un atto tacito o presunto di diniego. E' I'obbligo esistente in capo all'amministrazione di emanare un determinato provvedimento che consentiva all'interprete di considerare l'eventuale inerzia come rifiuto , a solo al fini di aprire la tutela giurisdizionale amministrativa. Si veda Forti “Il silenzio della pubblica amministrazione e suoi effetti processuali”, 1933. ora in Studi di diritto pubblico , Roma. 1937, 231.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

24

gerarchico. In ogni caso era sempre compito del giudice sindacare se il

silenzio amministrativo fosse perdurato per un periodo troppo lungo.

Il T.U. n.383 del 1934 , con l’art. 5. costituì la prima disciplina del

silenzio dell’amministrazione locale su ricorso gerarchico. Tale norma fu

considerata di portata generale e si applico, dunque, anche alle

amministrazioni statali. La legge, intendendo stabilire un termine preciso

per il formarsi del silenzio amministrativo, consentì l'impugnazione

trascorsi 120 giorni dalla presentazione del ricorso gerarchico e 60 giorni

dalla notificazione di un'istanza del ricorrente di decisione del ricorso (la

cosiddetta diffida). Questa espressa previsione costituì la formalizzazione

della tesi del silenzio-rigetto come decisione implicita di reiezione,

procedimento implicito ad effetto sfavorevole. L'interessato era, dunque,

onerato ad impugnare il silenzio per difetto di motivazione entro i termini

di decadenza, poiché il silenzio era considerato come provvedimento tacito

di rigetto.

Con la decisione n. 8 del 1960 resa in Adunanza plenaria il Consiglio di

Stato aveva affermato che, formatosi il silenzio sul ricorso gerarchico, il

privato potesse agire avverso il provvedimento originario avanzando le

medesime censure proposte in sede gerarchica. In tal modo l'interessato

riceveva adeguata tutela anche per le ipotesi in cui fossero dedotti vizi di

merito, atteso che, in tali casi, il giudice avrebbe dovuto accogliere il

ricorso dichiarando l'illegittimità del silenzio e sancendo 1'obbligo

dell'autorità gerarchicamente sovraordinata di pronunciarsi espressamente

sulle censure di merito. In tali fattispecie il silenzio rigetto veniva, dunque,

equiparato al silenzio rifiuto. Con la decisione resa in Adunanza plenaria il

7 febbraio 1978, n. 4, però, il Consiglio di Stato affermò che, in virtù

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

25

dell'equiparazione del silenzio ad un provvedimento tacito di rigetto

motivato per relationem con riferimento all'atto impugnato in sede

gerarchica, I'amministrazione, allo scadere del termine per la decisione del

ricorso gerarchico, fosse privata del potere di emettere un provvedimento

sopravvenuto, divenendo, quindi, illegittima l'eventuale decisione tardiva di

accoglimento intervenuta sul ricorso, perche in violazione del principio del

ne bis in idem, mentre quella di reiezione sarebbe stata improduttiva di

effetti, perche meramente confermativa e non impugnabile autonomamente.

Solo in seguito alle opinioni dissenzienti della maggioranza della

dottrina, fondate soprattutto sull'assenza di tutela per il privato per le

ipotesi di censure basate su vizi di merito del provvedimento, non

deducibili, di norma in sede giurisdizionale, il Supremo consesso si

pronunciò con le decisioni n. 16 e 17 rese in Adunanza plenaria il 24

novembre cd il 4 dicembre 1989, affermando il principio per il quale il

decorso del termine per la formazione del silenzio-rigetto previsto dall'art.

617 ha effetti soltanto processuali, con la conseguenza che il ricorrente in

sede gerarchica, anziché l'onere, ha la mera facoltà di agire

immediatamente in sede giurisdizionale, restando integra la sua possibilità

di impugnare il provvedimento originario unitamente alla eventuale

decisione tardiva sul proposto ricorso gerarchico. Nel caso in cui il privato

decida, comunque, di ottenere una decisione in sede gerarchica per la

deduzione di vizi di merito nel perseverare dell'inerzia dell'autorità

amministrativa, potrà, invece, attivarsi con il rimedio previsto per il

silenzio-rifiuto, assolvendo, in tal caso, il giudizio proprio la funzione di

accertare l'illegittimità del comportamento omissivo dell'amministrazione e

di ottenere la dichiarazione dell'obbligo di provvedere.

17 D.P.R. 1199 del 1971

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

26

La tutela giurisdizionale avverso il silenzio della p.a. con riferimento ad

un’istanza proposta da un interessato presuppone, quindi, la violazione di

un obbligo giuridico in capo alla stessa amministrazione posto in

correlazione con una specifica posizione soggettiva lesse. In mancanza di

tale obbligo giuridico di provvedere nel senso prospettato dall’interesato a

tutela di una propria posizione soggettiva ogni richiesta, lettera, diffida o

altro costituisce una mera sollecitazione di intervento d’ufficio della

pubblica amministrazione affinché la cura dei pubblici interessi alla stessa

affidati avvenga nel modo migliore per un buona amministrazione ma non

consente, successivamente, alcuna azione giudiziaria. In seguito alla

modifica degli artt.2 e 20 della legge n. 241 del 199018 il silenzio-rifiuto

divenne figura residuale, che si configura proprio nelle ipotesi succitate.

Il tradizionale orientamento della dottrina e della giurisprudenza

amministrativa, elaborato sin dalla decisione del Cons. Stato 10 marzo

1978, n. 10, resa in Adunanza plenaria, non riteneva applicabile in via

analogica la normativa del 1971 sul silenzio-rigetto, bensì quella dell’art.

24 del Testo unico del pubblico impiego 10 gennaio 1957, n.3, norma di

riferimento per le ipotesi di responsabilità specificamente previste che si

reputava applicabile analogicamente anche alle conseguenze dell’inerzia da

parte dall’amministrazione nell’emissione di un provvedimento dovuto.

Per poter impugnare il silenzio-rifiuto dell’amministrazione, dunque, il

privato doveva far seguire all’originaria istanza una rigorosa procedura che

garantisse la constatazione dell’omissione mediante la notifica di un diffida

all’amministrazione ad adempiere entro un termine avente almeno la durata

18 Operata prima della legge n.15 del 2005 e poi dal d.l. n. 35 del 2005 convertito poi nella legge n.80 del 2005, che ha portato la generalizzazione del silenzio-assenso salvo che per le ipotesi espressamente previste dall’art. 20,

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

27

di trenta giorni, allo scadere del quale sarebbe stato proposto ricorso in sede

giurisdizionale.

Tale schema, pur se criticato dalla dottrina soprattutto in seguito

all’entrata in vigore della legge n. 241 del 1990, con la quale si è sancito

definitivamente il principio generale della certezza dei termini dell’azione

amministrativa e perché considerato di ostacolo al principio di effettività

della tutela giurisdizionale, è stato seguito da tutta la giurisprudenza

amministrativa, salvo qualche eccezione, anche in seguito all’entrata in

vigore della legge n. 205 del 2000, che ha espressamente previsto il

giudizio in materia di silenzio-rifiuto per la tutela di quei soggetti che,

nell’esercizio di potestà ed interessi legittimamente riconosciuti

dall’ordinamento, non trovano riscontro alle richieste avanzate nei riguardi

dell’amministrazione

Tale orientamento si è mantenuto quasi costante fino alla modifica

apportata dal legislatore nel 2005 all’art. 2 della legge n.241 del 1990, il

cui comma 5 ora così recita: “ Salvi i casi di silenzio-assenso, decorsi i

termini di cui ai commi 2 o 3, il ricorso avverso il silenzio

dell’amministrazione, ai sensi dell’art. 21bis della legge 6 dicembre 1971,

n. 1034, può essere proposto anche senza necessità di diffida,

all’amministrazione inadempiente, fintanto che perdura l’inadempimento e

comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini di cui ai predetti

commi 2 o 3. Il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza

dell’istanza. È fatta salva la riproponibilità dell’istanza di avvio del

procedimento ove ne ricorrano i presupposti.”

In seguito alla modifica degli artt. 2 e 20 della legge n. 241 del 1990

operata prima della legge n. 15 del 2000 e poi dal d.l n. 35 del 2005,

convertito nella legge n. 80 del 2005, che come osservato in precedenza, ha

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

28

operato la generalizzazione del silenzio-assenso salvo che per le ipotesi

espressamente previste dall’art. 20, il silenzio-rifiuto divenne figura

residuale. La problematica del silenzio serbato della pubblica

amministrazione obbligata a pronunciarsi su un’istanza presentata da un

privato era già oggetto di ripetuti approfondimenti ad opera delle più

avvedute opinioni dottrinarie e giurisprudenziali, acquisendo ulteriori

sviluppi a seguito dell’introduzione, operata dall’art. 21-bis della legge 6

dicembre 1971, n. 1034.

Già anteriormente all'emanazione della disposizione normativa

succitata, la più autorevole dottrina aveva sostenuto che, per ovviare

all'inesistenza nel nostro ordinamento di un'azione di condanna

dell'amministrazione all'adozione di un atto amministrativo omesso o

rifiutato espressamente, si sarebbe potuta adottare una norma che

consentisse al giudice, a seguito di istanza espressa proposta dal ricorrente

ed accertato l'inadempimento, di fissare direttamente all'amministrazione il

termine per provvedere, nominando un commissario ad acta per l'esercizio

dei poteri sostitutivi per il caso in cui ciò non avvenisse e dettando le

opportune direttive per la definizione dell'assetto del rapporto sostanziale

riguardo alla pretesa dedotta. Il legislatore, mediante l'introduzione dell'art.

21-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, pur mirando ad ottenere una

più effettiva e sollecita tutela del singolo cittadino a fronte del

comportamento inerte portato avanti dalla pubblica amministrazione, ha

involontariamente innescato molteplici dibattiti, per nulla sopiti

dall’intervento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1 del 2002

che19 ha cercato di risolvere alcune delle suddette questioni anche se in

maniera non totalmente esaustiva. Il legislatore e, allora, di nuovo

19 Sollecitata dalla sesta sezione dello stesso Supremo connesso ordinanza 10 luglio 2001, n. 3803

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

29

intervenuto, questa volta modificando la disciplina sostanziale sul

procedimento amministrativo ed in particolare l’art. 2 della legge 241 del

1990.

Un altro argomento dibattuto è quello che riguarda la questione se la

norma sul rito speciale del silenzio introduca una fase processuale unica o

plurima (prima di cognizione e poi di esecuzione), con la conseguenza che

per la prima soluzione il giudice potrebbe, unitariamente alla pronuncia

dell’obbligo di provvedere a carico dell’amministrazione, disporre, altresì

la nomina del commissario (che interverrà, naturalmente, solo in ipotesi di

ulteriore inadempimento della pubblica amministrazione), se richiesta nel

ricorso introduttivo e in sede di discussione, in osservanza delle finalità

acceleratorie e semplificatrici, facendo in modo che l’interessato non deve

proporre un ulteriore un'altra istanza a tal fine.

Mentre per i sostenitori dell’altra teoria, che si basa essenzialmente sul

dato letterale della seconda comma della norma, sarebbero previsti due

momenti: il primo, di cognizione, che si conclude con la pronuncia

favorevole del giudice; il secondo, di esecuzione, nel quale avvera la

nomina del commissario ad acta che provvederà alla concreta esecuzione

della pronuncia.

6. La disciplina del silenzio-rifiuto, e la tutela avverso tale silenzio, anteriore alla legge 7 agosto n.241 del 1990 contenente disposizioni sul procedimento amministrativo

È noto, in particolare, che il problema della inerzia dell’amministrazione

di fronte alle istanze dei cittadini era già percepita, in tutta la sua

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

30

importanza al momento della istituzione della IV sezione del Consiglio di

Stato, ma non essendosi tradotta in una disposizione normativa di carattere

generale né in quell’occasione né nelle successive leggi di riforma della

giustizia amministrativa 20, è stato affrontato per la prima volta nelle

decisioni del Consiglio di Stato sotto la pressione di reali esigenze di

giustizia, del resto presenti in tutti i Stati a diritto amministrativo (e altrove

percepiti dal legislatore con ben maggiore prontezza). I termini della

questione furono chiari fin dall’inizio e si avvertì subito, anche grazie

all’elaborazione del concetto di silenzio da parte della dottrina civilistica,

che l’omissione può acquistare rilevanza solo in presenza di un obbligo

esistente a carico dell’organo pubblico, cosicché è soprattutto

sull’individuazione di tali situazioni che si concentrò l’attenzione della

giurisprudenza.

Il primo importante contributo della giurisprudenza amministrativa alla

realizzazione di un’efficace tutela giurisdizionale nei riguardi del

comportamento inerte della pubblica amministrazione è rinvenibile in una

decisione del Consiglio di Stato risalente al 1902 (il caso Longo)21. In tale

pronuncia, concernete l’impugnativa proposta da un impiegato del

Ministero della Giustizia (alunno di Cancelleria) avverso un provvedimento

disciplinare irrogato dal capo dell’ufficio in cui prestava servizio (il Primo

Presidente della Corte d’Appello di Napoli), il Consiglio di Stato dichiarò

ricevibile il ricorso giurisdizionale, quantunque non fosse ancora definito il

ricorso gerarchico precedentemente proposto dal medesimo impiegato al

Ministro Guardasigilli. Disattendendo le eccezioni formulate

20 Non mancano tuttavia figure particolari di silenzio legislativamente qualificato ora come accoglimento ora come rigetto. 21 Cons. di Stato, Sezione IV, decisione 22 agosto 1902, n. 429 (con commento di Marina Chiappetta, Marco De Giorni e Aldo Sandulli), in Le grandi decisioni del Consiglio di Stato, a cura di Gabriele Pasquini a Aldo Sandulli, Giuffrè, 2001, pagg. 62-69.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

31

dall’avvocatura erariale, che dubitava dell’ammissibilità del ricorso in sede

giurisdizionale sul rilievo che il provvedimento impugnato non potesse

considerarsi definitivo, il giudice amministrativo degli inizi del novecento

dichiarò che, a seguito di esperimento del rimedio gerarchico e di ripetuti

inviti all’Autorità di seconda istanza a provvedere rimasti senza alcuna

risposta, «non potrebbesi non riconoscere nel prolungato silenzio

dell’Autorità superiore la determinazione di far proprio il provvedimento

contro il quale fu invano ad essa prodotto reclamo». Per tal via, il

Consiglio di Stato ha, per la prima volta, attribuito spessore giuridico

all’inerzia dell’amministrazione, riconoscendo l’equivalenza fra silenzio e

rigetto del ricorso gerarchico, anche se al solo fine processuale di ritenere

ammissibile il ricorso giurisdizionale proposto avverso un provvedimento

formalmente non definitivo (a causa della diuturna pendenza del ricorso

gerarchico)22.

Storicamente molto significativa, per approfondimento dogmatico e

sforzo ricostruttivo, è anche la decisione dell’Adunanza Plenaria del 10

marzo 1978 (c. d. caso O. R. M. A.)23. In una cornice normativa

radicalmente cambiata rispetto al passato24, l’Adunanza Plenaria ha

affrontato il problema del silenzio nella giustizia amministrativa precisando

alcune fondamentali caratteristiche dell’istituto e risolvendo i principali

dubbi applicativi dell’epoca. Prendendo le mosse da un’approfondita ed

articolata analisi dei contributi dottrinali e giurisprudenziali intervenuti nel

22 Giova rammentare che la citata decisione del 1907 ha consentito il superamento di un grave inconveniente della giustizia amministrativa dell’epoca, la quale operava esclusivamente nei confronti dei provvedimenti definitivi e presupponeva, quindi, l’esaurimento del ricorso amministrativo. Il problema è stato poi superato con la riforma introdotta dalla legge 6 ottobre 1971 n. 1034, la quale ha esteso la tutela giurisdizionale anche nei confronti dei provvedimenti non definitivi. 23 Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, decisione 10 marzo 1978, n. 10 (con commento di Aldo Sandulli), in Le grandi decisioni del Consiglio di Stato, cit., pagg. 446-460. 24 Si fa riferimento, in particolare, alle riforme intervenute agli inizi degli anni settanta: la legge 24 novembre 1971, n. 1199 e la legge 6 dicembre 1971, n. 1034.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

32

corso del tempo sulle maggiori problematiche connesse al silenzio della

pubblica amministrazione, il Consiglio di Stato ha definitivamente preso

atto del superamento dell’originaria unità dell’istituto, rilevando che «se si

va alla sostanza delle vicende non si può dubitare della profonda diversità

esistente fra un caso in cui, essendosi in fase di riesame, sia già intervenuta

una determinazione amministrativa, ed un altro in cui invece manchi

qualsiasi presa di posizione dell’amministrazione sull’assetto degli

interessi che sono messi in gioco». Sul piano concettuale, è stata così

confermata la differente qualificazione giuridica dei due fondamentali

fenomeni di silenzio amministrativo (silenzio come condizione per

l’impugnazione dell’atto di primo grado, in contrapposizione al silenzio

come inadempimento dell’obbligo di provvedere). Sul piano funzionale, si

è resa quindi necessaria l’individuazione di modalità procedimentali nuove

e differenziate.

Per quel che concerne il silenzio sui ricorsi amministrativi (c. d.

silenzio-rigetto), il legislatore del 1971 ha escluso la necessità di

configurare il silenzio come un atto tacito riconducibile alla volontà

inespressa dell’amministrazione di confermare il provvedimento gravato in

sede amministrativa, e ha risolto il problema facendo perno sull’atto di

primo grado e riducendo l’inerzia del soggetto pubblico alle sue reali

dimensioni giuridiche di mero fatto condizionante l’esercizio dell’azione

nei confronti dell’unica determinazione amministrativa esistente. Con

riferimento al fenomeno del silenzio come inadempimento dell’obbligo di

provvedere (c. d. silenzio-inadempimento o silenzio-rifiuto) l’Adunanza

plenaria del 1978, in assenza di una esplicita disciplina dell’azione.

La norma, quantunque emanata per dare applicazione al principio

costituzionale (art. 28) della responsabilità personale dei pubblici

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

33

impiegati, è stata ritenuta idonea, specie per il suo contenuto implicito, a

colmare la lacuna normativa evidenziata dalla giurisprudenza nel più ampio

ambito dell’inerzia amministrativa ed a costituire una valida fonte per la

disciplina del silenzio rifiuto. L’Adunanza plenaria ha dedotto la validità

della amministrativa, ha ritenuto applicabile la disposizione contenuta

nell’art. 25 del Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli

impiegati civili dello Stato, approvato con il Decreto del Presidente della

Repubblica 10 gennaio 1957, n. 325 soluzione accolta anche (e soprattutto)

dai profili procedimentali, che rispondevano a tutti i requisiti indicati,

dall’interpretazione giurisprudenziale, per il silenzio rifiuto.

Particolarmente opportuni sono stati ritenuti la strutturazione bifasica del

procedimento (istanza e diffida), il passaggio obbligato della diffida (essa

introdurrebbe, a parere della giurisprudenza in esame, un ulteriore e

provvidenziale spazio di tempo per l’amministrazione per concludere il

procedimento e rappresenterebbe un presidio per il privato, che sarebbe

altrimenti esposto al continuo pericolo della scadenza automatica spesso

ignota dei termini di impugnazione che caratterizzano il rito

25 Si riporta qui di seguito la norma in esame: “(Diffida) 1. L'omissione di atti o di operazioni, al cui compimento l'impiegato sia tenuto per legge o per regolamento, deve essere fatta constare da chi vi ha interesse mediante diffida notificata all'impiegato e all'Amministrazione a mezzo di ufficiale giudiziario. 2. Quando si tratti di atti o di operazioni da compiersi ad istanza dell'interessato, la diffida è inefficace se non siano trascorsi sessanta giorni dalla data di presentazione dell'istanza stessa. 3. Qualora l'atto o l'operazione faccia parte di un procedimento amministrativo, la diffida è inefficace se non siano trascorsi sessanta giorni dalla data di compimento dell'atto od operazione precedente ovvero, qualora si tratti di atti od operazioni di competenza di più uffici, dalla data in cui l'atto precedente, oppure la relazione o il verbale della precedente operazione, trasmesso dall'ufficio che ha provveduto, sia pervenuto all'ufficio che deve attendere agli ulteriori incombenti. 4. Se le leggi ed i regolamenti amministrativi, ovvero i capitolati generali o speciali e i disciplinari di concessione, stabiliscono per il compimento di determinati atti od operazioni termini più brevi o più ampi di quelli previsti nei commi precedenti la diffida è efficace se notificata dopo la scadenza del termine entro il quale gli atti o le operazioni debbono essere compiuti, secondo la specifica norma che li concerne. 5. Decorsi inutilmente trenta giorni dalla notificazione della diffida, l'interessato può proporre l'azione di risarcimento, senza pregiudizio del diritto alla riparazione dei danni che si siano già verificati in conseguenza dell'omissione o del ritardo”.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

34

amministrativo) e la riduzione dei termini minimi a novanta giorni

complessivi.

Individuato nell’art. 25 del D. P. R. n. 3 del 1957 lo strumento

procedimentale per far emergere il silenzio della pubblica amministrazione,

l’Adunanza plenaria del 1978 si è anche soffermata sul problema della

rinnovabilità della diffida, osservando che «se non sono intervenuti fatti

nuovi a modificare l’assetto degli interessi (acquiescenza, rinuncia o

comunque estinzione dell’obbligo di procedere della pubblica

amministrazione), si deve riconoscere al privato il potere di far

nuovamente valere, in via stragiudiziale, prima, e giudiziale, poi, il proprio

interesse», ed ha anticipato, con straordinaria lungimiranza, la questione

delle nuove prospettive di intervento del giudice in materia di silenzio,

specialmente nei casi in cui la «diffida attenga ad atti non provvedimentale

o addirittura materiali».

Giustizia amministrativa avvisava, infatti, che, «nei limiti in cui l’inerzia

riguardi scelte o attività vincolate, la decisione possa e debba andare oltre

il mero riconoscimento dell’obbligo di procedere, precisando anche come

e quando tale obbligo debba essere adempiuto, e che la relativa pronuncia

sia suscettibile di ottemperanza, secondo i criteri di esecuzione del

giudicato amministrativo». Come si vedrà in seguito, nella sentenza citata,

sono già presenti, con quasi trenta anni di anticipo, tutti i principi acquisiti

nei più recenti approdi giurisprudenziali sulla materia del silenzio, così

come modificata dalla recenti riforme legislative.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

35

7. La disciplina del silenzio-rifiuto oggi: i problemi connessi

con la necessita della diffida, il termine per impugnare

a) Il ruolo della diffida: da passaggio necessario per ricorrere contro il

silenzio della P.A. a strumento facoltativo nelle mani del cittadino

Tra le innovazioni introdotte dalla legge 15/ 2005 nel tessuto normativo

previgente, di particolare pregio si rivela l’aggiunta di un nuovo comma, il

4bis, alla disposizione dell’art. 2.

Come osserva Cerulli Irelli26, l’innesto in questione è strumentale al

rafforzamento del principio della conclusione del procedimento entro un

termine ragionevole, in conformità con la previsione dell’art II-101 della

Cost. Europea. L’innovazione di cui si tratta, afferente l’istituto del silenzio

inadempimento, ha il sapore di un’interpretazione autentica volta a

dirimere il nodo problematico relativo alla necessità della previa

attivazione della procedura ex art. 25 t.u. 3/1957 come passaggio

endoprocedimentale necessario per poter successivamente esperire il

ricorso giurisdizionale avverso il silenzio inadempimento. Tale procedura,

che rendeva obbligatoria la diffida all’amministrazione inadempiente prima

di ricorrere alla giurisdizione amministrativa per ottenere sentenza

declaratoria dell’obbligo di provvedere, era costantemente ritenuta

applicabile dalla giurisprudenza dominante dopo la celeberrima sentenza n.

10 del 1978 del Consiglio di Stato riunito in Adunanza Plenaria, che ha

recepito la nota teoria di Sandulli27, avallata, peraltro, dall’interpretazione

26 Cerulli Irelli “Osservazioni generali sulla legge di modifica della l. n.241 del 90” parte II, p. 2, in www.giustamm.it. 27 Come è noto la norma cui originariamente dottrina e giurisprudenza facevano riferimento come fondamento dell’istituto era l’art. 5 del T.U. 383 del 1934, dettata in materia di ricorso gerarchico nell’ambito della normativa su comuni e province, ma ritenuta suscettibile di estensione analogica a tutte

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

36

governativa, anche dopo l’emanazione della legge 241. Il dipartimento

della Funzione pubblica della Presidenza del Consiglio, infatti, riteneva

che, non contenendo la legge 241 nel testo originario alcuna previsione che

disponesse in ordine alla qualificazione dell’inerzia imputabile

all’amministrazione, fosse perciò necessario seguire la normale procedura

del silenzio rifiuto28. Si trattava di un iter alquanto macchinoso e

defatigante, poiché, prima di ricorrere per veder riconosciuto dalla

magistratura amministrativa il silenzio inadempimento, bisognava diffidare

la p.a. inerte con atto giudizialmente notificato29, non essendo sufficiente

una semplice lettera, e solo dopo l’inutile decorso del termine di 30 giorni

dalla notifica dell’atto di diffida era possibile attivare il rimedio

giurisdizionale. Pertanto, l’impatto del principio sancito dall’art. 2 della

legge 241 del 90 si era rivelato ben modesto in materia di silenzio

inadempimento, dal momento che esso era servito soltanto a far sì che per

la presentazione della diffida fosse sufficiente il decorso, dalla

presentazione dell’istanza o dall’inizio d’ufficio del procedimento, non più

di 60, bensì di 30 giorni, salvo il diverso termine fissato per la conclusione

del procedimento dalla legge o dall’amministrazione procedente. Si trattava

di un mero coordinamento piuttosto che di una vera e propria innovazione,

con conseguente svilimento della ratio su cui si reggeva tale disposizione.

Orbene, se la posizione di Sandulli era per varie ragioni condivisibile prima le ipotesi in cui fosse infruttuosamente scaduto il termine per l’adozione di un provvedimento amministrativo. Dopo l’abrogazione di tale articolo a seguito dell’entrata in vigore della legge 1034 del 71 dottrina e giurisprudenza si impegnarono nella ricerca di altra disposizione cui dare valenza di rimedio generale applicabile analogicamente a tutte le fattispecie di silenzio inadempimento e prevalse la posizione di Sandulli (cfr., in proposito, A. Sandulli “Diritto amministrativo” I, Napoli, 1973, pp. 395-399, in particolare pag. 398, nonché dello stesso, “Il silenzio della pubblica amministrazione oggi: aspetti sostanziali e processuali”, in Dir. e Società, 1982, in particolare pag. 725) il quale riteneva l’art. 25 del D.P.R. n. 3 del 1957 suscettibile dell’impiego in questione. Tale posizione trovò poi definitivo suggello nell’Ad. Plen. n. 10 del 10 marzo 1978, in Riv. amm. Rep. It. , 1978, pp. 435 e ss. 28 Circolare del Ministro della Funzione pubblica, 8 gennaio 1991, n. 60397-7/463, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 19 del 23 gennaio 1991. 29 Sulle formalità dell’atto di diffida si veda Cons. di Stato, sezione IV, 14 giugno 2002, n. 3520

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

37

della legge sul procedimento amministrativo, lo stesso non può dirsi una

volta che, con il predetto art. 2 della normativa in questione, viene

finalmente posto a carico della p.a. l’obbligo di concludere mediante

l’adozione di un provvedimento espresso il procedimento amministrativo,

ove esso consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere

iniziato d’ufficio.

Difatti, ferme le superiori considerazioni, non è più sostenibile l’assunto

posto a base dell’Ad. Plen. del 1978 per cui, mancando una norma che

statuisse in ordine ai tempi del processo decisionale pubblico, la procedura

prevista dal T.U. del 1957 si rivelava necessaria per poter acclarare il

mancato rispetto del profilo di doverosità dell’azione amministrativa30. Né,

d’altra parte, si può continuare a ritenere che la formazione automatica del

silenzio alla scadenza del termine fissato per la conclusione del

procedimento faccia decorrere il termine decadenziale d’impugnazione in

assenza di un’adeguata percezione da parte dell’interessato, dal momento

che le determinazioni concernenti la fissazione del termine entro il quale il

procedimento deve esaurirsi sono rese pubbliche ai sensi dell’art. 2 comma

4 della 241, e comunque dell’avvio del procedimento viene data

comunicazione ex art. 8. Pertanto, una volta affermatosi il principio della

certezza dei tempi entro i quali il procedimento deve concludersi, ed

accanto a questo il principio di doverosità dell’esercizio del potere, non ha

senso far precedere l’impugnazione del silenzio inadempimento da un atto

che avrebbe la funzione di far acquisire al contegno dell’amministrazione il

valore di manifestazione di volontà negativa, giacché, alla luce dei prefati

principi, l’inadempimento dell’obbligo di provvedere da parte

dell’amministrazione silente è già conclamato alla scadenza del termine 30 F.G. Scoca, “Il silenzio della pubblica amministrazione alla luce del suo nuovo trattamento processuale” in Dir. proc. amm., 2002, p. 245.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

38

procedimentale31. Pertanto, il governo, re melius perpensa, ha ritenuto

opportuno, assumendo l’iniziativa che ha condotto all’approvazione della

legge 15/2005, superare il precedente orientamento, con la conseguenza

che, venuta meno la ratio che ispirava la posizione sandulliana

successivamente recepita dai giudici di Palazzo Spada, il contegno

puramente omissivo della pubblica amministrazione assume con assoluto

nitore la facies dell’inadempimento, sin dalla scadenza dei termini previsti

dai commi 2 e 3 dell’art. 2. Giova comunque rilevare che la diffida, pur non

costituendo più passaggio procedimentale obbligatorio, vera e propria

condicio sine qua non per l’attivazione del rimedio ex art. 21 bis l. 1034/71,

rimane comunque atto facoltativo, rimesso alla discrezionalità del privato,

al quale spetterà valutare in piena libertà se nella fattispecie concreta essa

possa rivestire o meno alcuna utilità pratica. L’atto di messa in mora,

quindi, come osservato in uno dei primi commenti, da passaggio

potenzialmente vessatorio e defatigante per il privato, si trasforma in uno

strumento ulteriore di cui questo dispone nel dialogo con la p.a.32.Una

simile innovazione si palesa tanto opportuna quanto tardiva. E’ da

osservare, infatti, come, la diffida, anziché fungere da espediente tattico

facoltativo il cui ricorso era rimesso nelle mani del cittadino vulnerato dal

contegno omissivo della p.a, abbia invece pesato come un macigno per

quasi 15 anni sulla effettività di quella certezza dei tempi del procedimento,

logico riflesso della doverosità dell’esercizio del potere amministrativo, che

l’art. 2 mirava ad affermare e realizzare, mortificando quella carica

precettiva riconosciuta a tale disposizione (meritevole quindi di

31 M. Occhiena, “Riforma della l. 241 del 90 e “nuovo” silenzio-rifiuto: del diritto v’è certezza” su www.giustamm.it , nonché G. Morbidelli, “Il procedimento amministrativo”, in AA.VV., a cura di L. Mazzarolli, G. Pericu, A. Romano, F. A. Roversi Monaco, F.G. Scoca, Bologna, II, 1998, 1144.ss. 32 A. Ricciardi “Le modifiche al capo I sui principi” in La riforma del procedimento amministrativoBiondi-Moscara-Ricciardi, Rimini, 2005 p. 28.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

39

applicazione immediata ed incondizionata) finanche da talune significative

pronunzie della Consulta33.

b) i termini per impugnare l’inerzia della P.A.

Ulteriore merito della novella in commento è quello di aver sciolto il

nodo problematico relativo al termine per l’impugnazione del silenzio e

alla sua decorrenza34. In proposito, infatti, l’art. 2 comma 4 bis della legge

241 stabilisce che il dies a quo per la proposizione è rappresentato dallo

spirare dell’ordinario termine procedimentale; il dies ad quem, invece, è il

decorso di un anno dalla prefata scadenza del termine entro il quale il

procedimento doveva concludersi. Si tratta, pertanto, di un termine

perentorio, che, comunque, per la sua ampiezza, mette al riparo il cittadino

dal rischio di eventuali decadenze suscettibili invece di verificarsi ove il

legislatore avesse optato per il termine ordinario di 60 giorni. Ad ogni

modo anche nel caso in cui il termine annuale previsto dal comma 4 bis

fosse già scaduto il cittadino non è comunque sprovvisto della possibilità di

far valere l’inerzia dell’amministrazione procedente, poiché ha facoltà di

riproporre l’istanza di avvio del procedimento laddove ne sussistano i

presupposti, dovendosi tale locuzione interpretarsi nel senso della

permanenza in capo all’istante di un interesse all’ottenimento del

33 Si veda Corte Costituzionale, sentenza n. 262 del 1997, con la quale la Corte ha inteso riconoscere efficacia precettiva all’obbligo di provvedere in quanto già esistente nell’ordinamento giuridico sotto forma di regola che attua, sia pure in maniera non esaustiva, il principio costituzionale di buon andamento dell’amministrazione “negli obiettivi di trasparenza, pubblicità, partecipazione, e tempestività dell’azione amministrativa, quali valori essenziali in un ordinamento democratico”; ed ancora Corte Costituzionale, sentenza n. 176 del 2004, nella quale testualmente si afferma: “la eventuale inosservanza del termine per la definizione dei procedimenti …pur non comportando la decadenza del potere, connoterebbe in termini di illegittimità il comportamento della pubblica amministrazione, con conseguente possibilità per i soggetti interessati di ricorrere in giudizio avverso il silenzio rifiuto ritualmente formatosi”. 34 In proposito, prima dell’entrata in vigore della legge 15 del 2005, la giurisprudenza prevalente riteneva applicabile il termine decadenziale di sessanta giorni decorrente dalla formazione del silenzio, stante la natura provvedimentale del silenzio costruito attraverso la diffida del privato. Per tutte si veda Cons. di Stato, sez. V, 1 marzo 2003, n. 1128.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

40

provvedimento connotato dal predicato dell’attualità. La previsione della

possibilità di ripresentare l’istanza si rivela altresì in grado, per la sua

valenza garantistica, di fugare definitivamente talune perplessità sorte nel

corso dei dibattiti parlamentari in merito alla scelta di non confermare

l’obbligatorietà della previa diffida per l’attivazione del rimedio ex art. 21

bis legge n. 1034 del 197135. Unico inconveniente sarebbe, in questo caso,

la postergazione della possibilità di impugnare nuovamente il silenzio

mediante ricorso, dal momento che, per effetto della riproposizione

dell’istanza, i termini di cui all’art. 2 comma bis comincerebbero a

decorrere ex novo et integro.

c) le connesse modifiche alla comunicazione di avvio del procedimento

Di particolare importanza nell’ottica del potenziamento della valenza

garantistica del rimedio avverso il silenzio inadempimento è la modifica

dell’art. 8, al quale sono state aggiunte 2 lettere, rispettivamente la c-bis e

la c-ter: la prima aggiunge al contenuto obbligatorio della comunicazione

di avvio del procedimento l’indicazione dei termini entro i quali il

procedimento deve concludersi, nonché dei rimedi eventualmente esperibili

in caso di inerzia dell’amministrazione; la seconda, invece, stabilisce che

nei procedimenti ad istanza di parte vada indicata nella comunicazione di

avvio del procedimento la data di presentazione dell’istanza.

Si tratta di una innovazione di particolare importanza non soltanto

perché compie un importante passo avanti verso la garanzia dell’effettività

35 Scrive in proposito A. Ricciardi, op. cit. p. 31, sub nota 24 “La giurisprudenza, infatti, aveva fin qui ritenuto che anche dopo lo spirare del termine per proporre ricorso il privato potesse reiterare la diffida, e questo lo reimmetteva nei termini. Di fatto in questo modo il privato non perdeva mai la possibilità di adire il giudice contro il silenzio della p.a. A questo proposito l’on. Marone, nella seduta del 10 novembre 2003, ebbe a dire che la diffida “risolverebbe il problema perché la pubblica amministrazione, di fronte ad una diffida, è certamente molto più sensibile ed attenta a rispondere di quanto non faccia con riferimento ad una delle semplici domande che arrivano a centinaia presso le pubbliche amministrazioni”.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

41

della tutela giurisdizionale nei confronti del silenzio inadempimento, ma

anche perché pone fine ai dubbi interpretativi sorti nel vigore della

precedente disciplina circa la necessità della comunicazione di avvio del

procedimento attivato su istanza di parte, dubbi che la giurisprudenza aveva

risolto ritenendo che, essendo l’istanza stessa a dare impulso all’attività e

far decorrere i termini del procedimento, gli effetti utili della

comunicazione, ossia il mettere al corrente dell’inizio dell’attività

procedimentale il destinatario di questa, potevano dirsi già raggiunti

attraverso l’istanza medesima36.

Si apprezza, quindi, la coerenza sistematica della legge 15/2005 in

materia di silenzio inadempimento dal momento che la disposizione

dell’art. 2 trova un significativo riscontro nella modifica del contenuto

obbligatorio della comunicazione di avvio del procedimento, orientata

proprio a rafforzare la tutela giudiziaria del principio di doverosità

dell’attività amministrativa.

d) i presupposti del silenzio-rifiuto ed in particolare il perdurare

dell’inerzia; il provvedimento amministrativo tardivo

Tornando alla descrizione del nuovo volto del silenzio inadempimento si

rileva come, ai tradizionali presupposti per l’attivazione del rimedio contro

l’inerzia della p.a., canonizzati dalla prevalente giurisprudenza37 (titolarità

in capo all’amministrazione di un potere del quale viene richiesto

l’esercizio, e quindi posizione di interesse legittimo38 pretensivo vantata

36 Cons. di Stato, sez. V, sent. 24 novembre 1997 n. 136637 Cons. di Stato, sez. V, sent. 10 aprile 2002, n. 1970. 38 Tar Calabria-Catanzaro, sez. II, sent. 6 ottobre 2005 n. 1631, ha stabilito che “allorquando il privato eserciti diritti di credito dal contenuto patrimoniale non può venire in rilievo la procedura per la formazione del silenzio-rifiuto, né la sua appendice processuale di cui all’art. 21bis, l. 6 dicembre 1971 n. 1034”. Nello stesso senso Tar Piemonte-Torino, sez. I, sent. 3 ottobre 2005 n. 2839, con la quale è stata sancita l’inammissibilità del ricorso ex art. 21bis quando rispetto all’attività vincolata della p.a. il privato

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

42

dall’interessato, in corrispondenza del quale sussista un vero e proprio

obbligo di provvedere da parte della pubblica amministrazione, sussistenza

in capo al g.a. della giurisdizione in ordine al rapporto cui si riferisce

l’istanza rimasta inevasa39), ne sia stato formalmente aggiunto uno

ulteriore, il perdurare del silenzio, che era comunque possibile leggere in

filigrana nel contesto della disciplina originaria, in considerazione di taluni

significativi arresti giurisprudenziali, i quali hanno chiarito come, anche nel

corso del giudizio instaurato avverso il silenzio, l’amministrazione conservi

il potere di provvedere espressamente, con la conseguenza che l’adozione

di un provvedimento esplicito di diniego comporta l’improcedibilità del

ricorso avverso il silenzio40. Ed ancora, secondo tale orientamento, ribadito

dai giudici di Palazzo Spada anche nella celeberrima Ad. Plen. n. 1 del 9

gennaio 2002, “l’organo competente in via ordinaria conserva, pur dopo la

vanti un diritto soggettivo, quale, ad esempio, un diritto di credito. Ancora più chiaramente Tar Sicilia-Catania, sez. III, sent. 3 novembre 2005 n. 1938, che afferma: “il giudizio sul silenzio della pubblica amministrazione, anche dopo le modifiche apportate dalla legge 14 maggio 2005 n. 80, secondo cui, tra l’altro, il Giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell’istanza del privato, non può essere attivato relativamente ad istanze aventi ad oggetto diritti patrimoniali del pubblico dipendente poiché esso si riferisce, in ragione della storia dell’istituto e della sua collocazione sistematica, al silenzio-rifiuto (o silenzio-inadempimento) di carattere pubblicistico e non anche all’ipotesi di comportamento omissivo dell’Amministrazione qualificabile come inadempimento di una obbligazione con conseguente responsabilità di tipo contrattuale”. Tutte queste sentenze si collocano peraltro nell’ambito di un consolidato indirizzo del Consiglio di Stato, per cui “il rito per la formazione del silenzio-rifiuto non è esperibile allorché l’istante agisca, non per la tutela di una posizione soggettiva di interesse legittimo e per l’adozione di un provvedimento amministrativo da parte di una pubblica amministrazione, bensì per la salvaguardie di posizioni di diritto soggettivo. Ciò in quanto l’ordinamento non ha disciplinato il rito del silenzio alla stregua di un meccanismo di chiusura del sistema, che permetta al cittadino di superare qualsiasi inerzia delle pubbliche amministrazioni, bensì quale strumento di impulso per sollecitare l’adozione di provvedimenti amministrativi a fronte dei quali l’istante azioni posizioni di mero interesse legittimo”. Si veda per tutte, Cons. Stato, sez. IV, sent. 2 novembre 2004 n. 7088. Ne consegue, pertanto, che, allorquando il privato eserciti diritti di credito dal contenuto patrimoniale, il titolare della pretesa può agire direttamente, nel termine di prescrizione, davanti al giudice munito di giurisdizione per l’accertamento del diritto e l’eventuale condanna del debitore. 39 Tar Lazio-Roma, sez. Iter, sent. 1 settembre 2005 n. 6524, la quale afferma che “il rimedio introdotto dall’art. 2 della l. 205/2000 contro il silenzio serbato dalla p.a. sull’istanza di un privato non è esperibile qualora il g.a. sia privo di giurisdizione in ordine al rapporto cui inerisce la richiesta rimasta inevasa”. Tale precedente si colloca, peraltro, nel solco di un orientamento consolidato del Consiglio di Stato, sancito, di recente, in due sentenze della sez. VI, rispettivamente, la n. 86 e la n. 6747 del 2005. 40 Cons. di Stato, sez. V, sent. 4 febbraio 2004 n. 360.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

43

sentenza e fino all’insediamento del commissario, il potere di provvedere in

senso pieno”. In quest’ottica, pertanto, l’inciso “fin tanto che perdura

l’inadempimento” deve essere letto come norma ricognitiva, piuttosto che

innovativa. Del resto, una siffatta impostazione ha ricevuto significativa

conferma da recentissima giurisprudenza41, successiva all’entrata in vigore

della legge 15 del 2005, la quale, dopo aver osservato che “che l’istituto

dell’esercizio dei poteri sostitutivi configura un fenomeno di esercizio

concorrente di potere, il quale viene meno con l’adozione della

determinazione di uno dei due organi (sostituto o sostituito), atteso che la

determinazione soddisfa in ogni caso l’obbligo di conclusione del

procedimento42”, ha concluso affermando che “la nomina del commissario

ad acta non produce in capo agli organi dell’amministrazione la perdita

della legittimazione ad adottare l’atto il cui compimento è stato affidato al

commissario”43.

41 Si allude alla recentissima sent. n. 1213 del 2005, pronunciata in data 22 marzo 2005, dal Tar Veneto, II sezione. 42 In questo stesso senso si era espresso il Tar Lazio, sez. II, sent. 26 giugno 2002, n. 5887. 43 Di diverso avviso una più recente pronuncia della sez. II del Tar Veneto, la n. 3847 del 4 novembre 2005, la quale abbandona la tesi della concorrenza dei poteri fra amministrazione surrogata e commissario ad acta, per aderire, invece, alla tesi dell’esclusività del potere, in virtù della quale, una volta che sia stato nominato il commissario ad acta, la p.a. non può più esercitare il potere che costituisce oggetto dell’intervento sostitutivo del commissario.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

44

Capitolo 2

La situazione alla luce della legge 7 agosto n.241 del 7 agosto 1990

1. Le principali riforme apportate dalla legge 7 agosto del

1990 n. 241

Prima della legge generale sul procedimento amministrativo la dottrina e

la giurisprudenza avevano elaborato una teoria del procedimento e del

provvedimento amministrativo che, in mancanza di una legge organica,

conteneva una serie di garanzie a tutela del cittadino; e poiché tali garanzie

potessero trovare adeguata tutela giudiziaria, venne elaborata la teoria del

cosiddetto “eccesso di potere”. Nel 1984 viene istituita una commissione

presieduta dal prof. Massimo Severo Giannini per dare attuazione

all’indirizzo programmatico di governo circa la “messa a fuoco di definiti

diritti del cittadino nei rapporti con l’amministrazione per porre fine alle

imperscrutabilità, alle immotivate lentezze, ai superati autoritarismi dei

comportamenti amministrativi” La Commissione ha il compito di

formulare proposte per la revisione della disciplina dei procedimenti

amministrativi allo scopo di promuovere la democratizzazione e la

semplificazione.

La legge n.241 del 7 agosto è la legge fondamentale sul procedimento

amministrativo in generale. Prima di questa legge non esisteva nel nostro

ordinamento giuridico una legge generale sul procedimento

amministrativo, mentre esistevano leggi che disciplinavano singoli

procedimenti (espropriazioni, fallimento, iscrizione anagrafica, ecc.)

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

45

La legge n.241 del 1990 è più nota come la legge sulla trasparenza

amministrativa, dato che ha profondamente rinnovato il rapporto tra i

cittadini e la pubblica amministrazione, informandolo secondo tale

principio. Nei suoi principi e nei suoi tratti fondamentali, si ispira ad

un'altrettanto importante legge di riforma del procedimento amministrativo,

attuata in Germania nel 1976, che prevedeva che il rapporto tra cittadini ed

amministrazione si svolgesse su un piano sostanzialmente paritario. Da

questo si comprende l'importanza della legge, che ha trasformato, almeno

nel principio amministrativo, il rapporto tra amministrazione e cittadini da

un rapporto di tipo autoritativo ad uno di tipo paritario e collaborativo.

La legge ha rinnovato profondamente l'attività amministrativa. a) Sono

stati introdotti diversi momenti e meccanismi tramite i quali il privato può

intervenire nell'attività della pubblica amministrazione; b) i provvedimenti

amministrativi devono riportare obbligatoriamente la motivazione;

c) l'autorità amministrativa ha l'obbligo di dare comunicazione o notizia

dell'avvio del procedimento amministrativo; d) la previsione dell'esistenza

degli interessi collettivi legittimi; e) l'individuazione della figura

responsabile del procedimento amministrativo e la previsione dell'obbligo

di comunicazione del responsabile agli interessati dal provvedimento

amministrativo; f) l'istituzione degli accordi integrativi o sostitutivi tra

privati e pubblica amministrazione, come possibilità per sostituire

provvedimenti di carattere amministrativo; g) l'istituto del silenzio-assenso,

per cui nei casi previsti dalla legge, il silenzio dell'amministrazione assume

carattere di manifestazione di volontà; h) l'istituto del denuncia di inizio

attività nei casi in cui sia richiesta un'autorizzazione; i) il meccanismo

dell'autocertificazione; j) il diritto per i cittadini di avere accesso agli atti

della pubblica amministrazione e di poterne ottenere una copia.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

46

Per quanto qui interessa specificamente, la legge 241/1990 ha altresì

previsto l’obbligo dell’amministrazione di concludere il procedimento

mediante l’adozione di un provvedimento espresso entro un dato termine

prestabilito, recando in tal modo una previsione destinata ad incidere

sull’istituto del silenzio.

2. Il superamento del meccanismo procedurale previsto

nell'art. 25 del T.U. n. 3 del 1957(sugli impiegati civili dello

stato) e l'applicazione degli art. 2 e 3 della legge 241/1990.

Il problema giuridico del silenzio della pubblica amministrazione è tra

quelli che ha più impegnato la dottrina 44e la giurisprudenza, tanto per i

profili sostanziali quanto per le implicazioni processuali. Il silenzio

costituisce un mero comportamento inerte in cui manca ogni espressione

volontaristica dell’amministrazione ed assume una connotazione giuridica

solo nei casi un cui la legge gli attribuisce un valore tipico. In tali casi di

44 Borsi, “Il silenzio della pubblica amministrazione nei riguardi della giustiziaAmministrativa”, in Giurisprudenza italiana 1903,IV,255; Resta, “Il silenzio come esercizio dellafunzione amministrativa” in Foro amministrativo 1929,IV,106; Forti “Il silenzio dellapubblica amministrazione e i suoi effetti processuali” in Rivista di diritto processuale civile1932,121; A.M. Sandulli “Questioni recenti in tema di silenzio della pubblicaAmministrazione” in Foro italiano 1949,III,128; Cannada Bartoli “Inerzia a provvedere daparte della pubblica amministrazione e tutela del cittadino” in Foro padano 1956,I,175; Laalle “Profili giuridici dell’inerzia amministrativa,” in Rivista trimestrale di diritto pubblico1962,360; Cassese “Inerzia e silenzio della P.A.”, in Foro amministrativo 1963,I,30; Ledda “Ilrifiuto di provvedimento amministrativo” Torino 1964; Scoca “Il silenzio della pubblicaamministrazione”, Milano 1971.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

47

silenzio significativo la norma qualifica il comportamento inerte

dell’amministrazione protrattosi oltre un certo termine come equivalente ad

un provvedimento a contenuto positivo (silenzio accoglimento) o negativo

(silenzio diniego). Quando la legge non qualifica il silenzio in senso

provvedimentale, si è di fronte ad un comportamento omissivo

dell’amministrazione, variamente definito come silenzio inadempimento o

silenzio rifiuto o silenzio non significativo 45.Tale figura, in assenza di una

specifica regolamentazione di carattere generale, è stata oggetto di una

lunga e faticosa elaborazione giurisprudenziale finalizzata a trovare rimedi

sistematicamente coerenti avverso il comportamento inerte

dell’amministrazione di fronte all’istanza presentata da un privato per

ottenere un provvedimento favorevole. L’esigenza di tutela del privato

titolare di un interesse legittimo pretensivo doveva fare i conti con le

caratteristiche del processo amministrativo, fondato sul giudizio

impugnatorio volto all’annullamento dell’atto.

La soluzione adottata dalla giurisprudenza sin dagli inizi del secolo

scorso46 richiedeva che l’interessato notificasse all’amministrazione inerte

una diffida a emanare il provvedimento richiesto entro un termine congruo,

decorso il quale era ammesso il ricorso al Consiglio di Stato.

Come è stato efficacemente evidenziato47,sin dalle origini il supremo

organo di giustizia amministrativa si era preoccupato di dare tutela alle

ipotesi di inadempimento della pubblica amministrazione, pur in assenza

45 Parisio “I silenzi della pubblica amministrazione” Milano 1996,67 e segg..46 Cons. di Stato., Sez. IV, 22 agosto 1902 n. 429, in Giurisprudenza italiana 1902,III,343 connota anonima.

47 La Valle”Azione di impugnazione ed azione di adempimento nel giudizio amministrativo diLegittimità” in Jus 1965,165.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

48

dell’atto, che la legge istitutiva dell’organo stesso48 aveva posto a

presupposto di ammissibilità del ricorso.

L’elaborazione del Consiglio di Stato venne recepita dal legislatore

coll’art.5 del regio decreto 3 marzo 1934 n. 383 (T.U. della legge comunale

e provinciale), che regolava il ricorso gerarchico: trascorsi centoventi

giorni dalla presentazione del ricorso gerarchico, l’interessato doveva

notificare atto di diffida, decorsi sessanta giorni dalla quale il ricorso

s’intendeva come rigettato. La giurisprudenza riteneva che tale disciplina,

dettata per il silenzio sul ricorso gerarchico, esprimesse un principio

generale applicabile a tutte le ipotesi di inerzia della pubblica

amministrazione 49.Con l’abrogazione del suddetto art.5 ad opera dell’art.6

del decreto presidenziale 24 novembre 1971 n. 1199 in materia di ricorsi

amministrativi 50,la giurisprudenza 51,su suggerimento di autorevole

dottrina 52,ha ritenuto utilizzabile il meccanismo della diffida e messa in

48 Legge 31 marzo 1889 n. 5992, cd. legge Crispi49 Cons. St., Sez. VI, 29 ottobre 1951 n. 534, in Consiglio di Stato 1951,I,1300; Cons.St., Sez. IV, 4 luglio 1956 n. 729, in Foro amministrativo 1957,I,22.50 QUARANTA, “Il silenzio della pubblica amministrazione” (Nuovi profili derivanti dalla disciplina del D.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199 e della L. 6 dicembre 19741 n. 1034), in Foro amministrativo1972,III,340; MOSCATELLI, “Il silenzio della pubblica amministrazione dopo l’istituzione dei tribunali regionali: silenzio rifiuto e silenzio rigetto”, in Nuova rassegna 1973,1893; ROEHRSSEN, “Notazioni sulla impugnabilità del silenzio della pubblica amministrazione”, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile 1974,127; SALONE, “Silenzio-rifiuto”, abrogazione dell’art.5 t.u. n. 383 del 1934 e termine perprovvedere da parte della pubblica amministrazione, in Consiglio di Stato 1974,II,1290; GIALLOMBARDO, “Silenzio-rigetto” e “silenzio-rifiuto” nell’attuale momento legislativo e giurisprudenziale, in TAR 1975,II,221. Cons. St., Ad. Plen., 10 marzo 1978 n. 10, in Foro italiano 1978,III,352 con nota di GALLO; Consiglio di Stato 1978,II,391 con nota di CIACCIA; Foro amministrativo 1978,I,415; Giurisprudenza italiana 1978,III,305.51 A.M. SANDULLI, “Sul regime attuale del silenzio inadempimento della pubblicaAmministrazione”, in Rivista di diritto processuale 1977,169.52 GHERGHI, “La disciplina dei comportamenti omissivi della PA” in Nuova rassegna 1991,266; PALEOLOGO, “La legge 1990 n. 241: procedimenti amministrativi ed accesso ai documenti dell’amministrazione”, in Diritto processuale amministrativo 1991,28; SCHINAIA, Notazioni sulla nuova legge sul procedimento amministrativo con riferimento alla deregulation delle attività soggette a provvedimenti autorizzzatori ed all’inerzia dell’amministrazione, ivi,196; TODARO, “Spunti innovativi in materia di tutela contro il silenzio” ivi,1992,552; PATRONI GRIFFI, La L. 7 agosto 1990 n. 241 a due anni dall’entrata in vigore. “Termini e responsabile del procedimento: partecipazione procedimentale, in Foro italiano 1993,III,65;

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

49

mora dell’amministrazione ex art.25 del decreto presidenziale 10 gennaio

1957 n. 3 (T.U. delle leggi sugli impiegati civili dello Stato). In

conseguenza di ciò, l’interessato deve far constatare l’inerzia

dell’amministrazione a mezzo di apposita diffida a provvedere, notificata

non prima di sessanta giorni dalla presentazione dell’istanza, e decorsi

inutilmente almeno trenta giorni dalla notificazione, può impugnare il

silenzio innanzi al giudice amministrativo nel termine di sessanta giorni.

Su tale assetto è intervenuta la legge 7 agosto 1990 n. 241 sul

procedimento

amministrativo, il cui art. 2 prevede in capo alle amministrazioni il

dovere di concludere il procedimento amministrativo, iniziato ad istanza di

parte o d’ufficio, mediante l’adozione di un provvedimento espresso

(comma 1), in un termine preciso indicato dalla legge o da regolamento

(comma 2), oppure nel termine suppletivo di trenta giorni (comma 3). Tale

disposizione, che sancisce il fondamentale principio di generale

temporizzazione dei procedimenti amministrativi con termini certi di

conclusione degli stessi, ha immediatamente posto la questione della

permanenza o meno della diffida quale condizione imprescindibile per

adire il giudice contro l’inerzia delle amministrazioni pubbliche.

Secondo la dottrina maggioritaria ,il principio di certezza dei termini

dell’azione amministrativa enunciato dall’art. 2 della L. n. 241/90 comporta

che la formazione del silenzio frutto dell’inadempimento all’obbligo di

provvedere sarebbe conseguenza automatica dellospirare del termine del

procedimento, senza la necessità della diffida ex art.25 D.PR. n. 3/57.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

50

Tale tesi è risultata minoritaria in giurisprudenza, trovando

accoglimento solo in talune sentenze di primo grado 53.

La giurisprudenza maggioritaria 54,avvalorata anche dall’interpretazione

governativa55 ,ha sostenuto, invece, che la notificazione della diffida

rimane una condizione essenziale per la formazione del silenzio ai fini

dell'azione giurisdizionale, facendo leva in particolare sull’assunto della

insidiosità dei silenzi automatici, che fanno decorrere il termine per

l’impugnazione in assenza di un’adeguata percezione da parte

dell’interessato. L’indirizzo giurisprudenziale di primo grado minoritario

ha individuato un ulteriore argomento nell’art. 21 bis della legge 6

dicembre 1971 n. 1034 istitutiva dei TAR, inserito dalla legge 21 luglio

2000 n. 205 di riforma del processo amministrativo, che introduce uno

speciale procedimento a carattere acceleratorio per i ricorsi avverso il

silenzio 56.La disciplina di tale procedimento, caratterizzata dalla brevità

dei termini e dalla snellezza delle formalità, non prevede tra le condizioni

di ammissibilità alcun onere di messa in mora dell’amministrazione, che 53 cfr. TAR Lazio-Latina, 11 febbraio 1993 n. 138, in TAR 1993,I,867; TAR Puglia-Lecce, Sez. I, 25 giugno 1996 n. 514, in Foro amministrativo 1997,586; TAR Calabria-Catanzaro, 17 dicembre 1996 n. 899, in Giornale di diritto amministrativo 1997,568. 54 cfr. Cons. St., Sez. VI, 12 maggio 1994 n. 752, in Consiglio di Stato 1994,I,835; Cons. St., Sez. V, 15 settembre 1997 n. 980, in Foro amministrativo 1997,2307; Cons. St., Sez. V, 18 novembre 1997 n. 1331, ivi,3044 con nota di IANNOTTA; Cons. St., Sez. II, 2 giugno 1998 n. 113/98, in Consiglio di Stato 1999,I,1048; Cons. St., Sez. IV, 7 dicembre 2000 n. 6494, ivi,2000,I,2609. 55 cfr. circolare del Ministero della Funzione pubblica 8 gennaio 1991 n. 6039-7/463, in G.U. 23 gennaio 1991 n. 19.56 cfr., tra i numerosi contributi, SASSANI, Prime considerazioni sulla nuova procedura del silenzio, in Giustizia civile 2000,II,455; FANTINI, Il rito speciale in materia di silenzio della pubblica amministrazione, in TAR 2000,II,609; IARIA, Il ricorso e la tutela contro il silenzio, in Giornale di diritto amministrativo 2000,1074; SAITTA, Ricorsi contro il silenzio della p.a.: quale silenzio?, in questa Rivista; TOGNOLETTI, Commento all’art.2 della legge 21 luglio 2000 n. 205, in Le nuove leggi civili commentate 2001,575; MIRATE, Silenzio della pubblica amministrazione e azione di condanna: riflessioni sul sindacato del giudice amministrativo nel giudizio ex art.21 bis della L. 1034/71, in Giurisprudenza italiana 2001,I,1993; GIACCHETTI, Il ricorso avverso il silenzio dell’amministrazione e “le macchine di Munari”, in Consiglio di Stato 2001,II,471; MARRAMA, Nuovo rito nel giudizio sul silenzio non significativo della pubblica amministrazione, ivi,1987; GRECO, L’art.2 della legge 21 luglio 2000 n. 205, in Diritto processuale amministrativo 2002,1; SCOCA, Il silenzio della pubblica amministrazione alla luce del suo nuovo trattamento processuale, ivi,239.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

51

costituisce, quindi, solo un ulteriore incombente per il soggetto leso

dall’inadempimento dell’amministrazione medesima 57.

Non ha invece mutato opinione il Consiglio di Stato58 ,per il quale la L.

n. 205/2000 ha introdotto elementi innovativi nella disciplina processuale

del silenzio, ma non in quella sostanziale, cui attiene il regime di

formazione dello stesso 59.La legge 11 febbraio 2005 n. 15 recante

modifiche ed integrazioni alla L. n. 241/9060 apporta una significativa

integrazione all’art. 2 della L. n. 241/90, aggiungendovi il comma 4 bis61

,secondo il quale alla scadenza dei termini per la conclusione del

procedimento, come stabiliti dai commi 2 e 3 del medesimo art. 2, il ricorso

avverso il silenzio può essere immediatamente proposto senza necessità di

diffida all’amministrazione inadempiente. Il legislatore pone, quindi, fine

57 cfr. TAR Calabria-Reggio Calabria, 23 novembre 2000 n. 1956, in TAR 2001,I,395; TAR Sicilia-Catania, Sez. II, 10 febbraio 2001 n. 293, ivi,1502; TAR Sicilia-Catania, Sez. II, 13 novembre 2001 n. 1927, ivi,2002,I,376; TAR Campania-Napoli, Sez. I, 22 novembre 2001 n. 4977, in Giornale di diritto amministrativo 2002,201; TAR Campania-Napoli, Sez. I, 17 gennaio 2002 n. 330, in TAR 2002,I,1167; TAR Sicilia-Catania, Sez. II, 31 marzo 2004 n. 869, in giustizia-amministrativa.it; TAR Lazio, Sez. I bis, 18 gennaio 2005 n. 384, in questa Rivista n. 1/2005.58 cfr. Cons. St., Sez. IV, 11 giugno 2002 n. 3256, in Giurisprudenza italiana 2002,I,2402 con nota di MIRATE, Foro amministrativo CDS 2002,1413 e 2037 con nota di LAMBERTI, Foro italiano 2003,III,217; Cons. St., Sez. VI, 24 marzo 2003 n. 1521, in Consiglio di Stato 2003,I,690; Cons. St., Sez. V, 11 giugno 2003 n. 3288, in Foro amministrativo CDS 2003,3101 con nota di CREPALDI; Cons. St., Sez. VI, 27 ottobre 2003 n. 6621, ivi,3058; Cons. St., Sez. V, 4 febbraio 2004 n. 376, in Consiglio di Stato 2004,I,242; Cons. St., Sez. IV, 6 luglio 2004 n. 5020, in Urbanistica e appalti 2004,1421 con nota di TARANTINO; Cons. St., Sez. V, 11 novembre 2004 n. 7331, in Consiglio di Stato 2004,I,2370.59 sulla questione cfr. STICCHI DAMIANI, La diffida a provvedere nel giudizio avverso il silenzio dell’amministrazione, in Foro amministrativo TAR 2002,4205.60 sulla legge n. 15/05 cfr. VIRGA, Le modifiche ed integrazioni alla legge n. 241 del 1990 recentemente approvate. Osservazioni derivanti da una prima lettura, in questa Rivista n. 2/2005; M.A. SANDULLI, La riforma della legge sul procedimento amministrativo tra novità vere ed apparenti, in federalismi.it; TOSCHEI, Le nuove tecniche di diluizione procedimentale del potere delle P.A. dopo la L. 11 febbraio 2005 n. 15: prime riflessioni sulle nuove regole, in Consiglio di Stato 2005,II,229; F. e M. MINNITI, Gli atti, i procedimenti, la trasparenza: ecco che cosa cambia con la riforma, in D&G Diritto e giustizia n. 11/2005,58; FORLENZA, Un’enfatizzazione del principio di efficacia a scapito delle garanzie di tutela dei cittadini, in Guida al diritto n. 10/2005,42; BACOSI-LEMETRE, La legge n. 15 del 2005: ecco il nuovo volto della “241”, in giustizia-amministrativa.it; SPUNTARELLI, Le nuove norme generali sull’azione amministrativa introdotte dala legge 11 febbraio 2005 n. 15 di modifica ed integrazione alla L. n. 241/1990, in diritto.it.61 cfr. FORLENZA, Se c’è silenzio della PA ricorso al TAR senza diffida, in Guida al diritto n. 10/2005,52.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

52

alle dispute descritte in precedenza in ordine alla necessità della diffida,

individuando nel termine di conclusione del procedimento il momento di

formazione del silenzio rifiuto dell’amministrazione. A tal fine l’art.5

della L. n. 15/05 ha inserito nell’art. 8 della L. n. 241/90 la lettera c-bis),

secondo la quale la comunicazione di avvio del procedimento deve

contenere l’indicazione della data entro la quale deve concludersi il

procedimento e i rimedi esperibili in caso di inerzia dell’amministrazione.

Il comma 4 bis consente, inoltre, la proponibilità del ricorso entro un

anno dalla formazione del silenzio e non nell’ordinario termine di

decadenza di sessanta giorni, come sostenuto dalla giurisprudenza

maggioritaria 62.

La previsione di tale termine (unita a quella citata sulla comunicazione

di avvio del procedimento) risolve il problema della pericolosità dei silenzi

automatici, che costituiva nella giurisprudenza del Consiglio di Stato la

fondamentale ragione del mantenimento della diffida ex art.25 D.PR. n.

3/57 quale presupposto indefettibile per la formazione del silenzio rifiuto.

A seguito della nuova disciplina del procedimento amministrativo di cui

alla legge n. 15/2005 (poi integrata dalla legge n. 80/2005), la dottrina63 ha

ritenuto venuta meno la possibilità di assegnare alla diffida valore sia ai fini

della formazione dell’inadempimento imputabile sia ai fini processuali,

quale causa d’inammissibilità dell’azione avverso il silenzio: “(…) la

speciale procedura dell’articolo 25 del D.P.R. n. 3/1957 deve essere dunque

restituita alla sua funzione originaria di meccanismo volto alla

62 cfr. Cons. St., Sez. V, 18 novembre 1997 n. 1331, cit. alla nota n. 10; Cons. St., Sez. VI, 19 marzo 1998 n. 315, in Foro amministrativo 1998,761; Cons. St., Sez. V, 17 ottobre 2000 n. 5565, in Consiglio di Stato 2000,I,2266; Cons. St., Sez. V, 4 febbraio 2004 n. 376 cit. alla nota n. 14.63 CORRADINO M., Termini, efficacia dei provvedimenti e silenzio dell’Amministrazione nelle “riforme” della legge n. 241/1990, in www.giustamm.it

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

53

ricostruzione di un titolo di responsabilità in capo al funzionario

inadempiente, con esclusione di ogni suo strumentale significato sul

diverso piano della ricostruibilità di un atto tacito possibile oggetto di

impugnazione e con esclusione di una sua impropria utilizzabilità pretoria

come causa di inammissibilità extra legem dell’azione avverso il silenzio

della P.A..

A seguito della riforma recata dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15

(ribadita dalla Legge 14 maggio 2005, n. 80) la diffida non rappresenta più

presupposto condizionante l’ammissibilità del ricorso contra silentium;

viene, infatti, accolta la tesi secondo cui (a garanzia del cittadino, l’art. 2, l.

241/1990, ha formalizzato il principio del dovere degli enti pubblici di

procedere qualora sussistano i presupposti di legge e di adottare il

provvedimento finale rispettando il termine del processo decisionale […]

Né è possibile affermare che la diffida sia necessaria per consentire al

privato di acquisire la piena conoscenza del dies a quo per il computo dei

termini decadenziali, così evitando l’inconsapevole formarsi

dell’inopppugnabilità. A questo scopo risponde pienamente la

predeterminazione dei tempi procedimentali, la cui conoscenza da parte del

privato nella disciplina ante riforma era assicurata dalla pubblicità delle

relative disposizioni regolamentari art.2com.4)64

Anche la giurisprudenza65 ha recepito la profonda novità della novella, ed

ha subito dato atto che “la chiara presa di posizione del legislatore statale

nel senso della permanenza, entro il limite di un anno, dell’inadempimento

amministrativo all’obbligo di provvedere sancito dall’art. 2 legge n.

64 Occhiena, Riforma della l. 241/1990 e “nuovo” silenzio-rifiuto: del diritto v’è certezza, in www.giustamm.it65 Cosiglio di stato sez. V Sent. 22 novembre 2005 n. 6500, sul sito istituzionale della giustizia amministrativa

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

54

241/1990, è destinata ad infirmare le giustificazioni teoriche sottese al

riferito indirizzo pretorio, giacché il soggetto interessato a provocare una

risposta provvedimentale dell’amministrazione risulta ora legittimato a

ricorrere direttamente all’autorità giudiziaria, con il rimedio accelerato

previsto dall’art. 21-bis della legge n. 1034/1971, anche in assenza di una

preventiva diffida dell’amministrazione rimasta inerte e, dunque, a fortiori,

pure a seguito di un’intimazione non avvenuta nelle forme indicate dall’art.

25 del D.P.R. n. 3/1957”.

3. L’ambito di applicazione della legge 7 agosto 1990

In particolare l’art.29 , come novellato, individua l’ambito soggettivo di

applicazione della legge n.241/90; peraltro anche il nuovo art.1 comma 1-

ter contiene disposizione utile ai fini che qui interessano.

Il vecchio testo dell’art. 29 prevedeva che le disposizioni della legge 241

contenessero “principi generali dell’ordinamento giuridico” ai quali si

dovevano informare le regioni a statuto ordinario nel disciplinare con

propria legge la materia del procedimento amministrativo; in mancanza

della quale trovava “temporaneamente” diretta applicazione la legge

statale; al secondo comma si rivolgeva alle regioni a statuto speciale ed alle

province di Trento e Bolzano, disponendo che entro un anno dall’entrata in

vigore della legge statale dette regioni e province dovessero adeguare i

rispettivi ordinamenti alle norme fondamentali contenute nella legge 241.

Il nuovo testo dell’art. 29 tiene evidentemente conto delle modifiche

costituzionali al titolo V della Carta e dispone, al primo comma, che la

legge si applica alle amministrazioni statali ed agli enti pubblici nazionali e

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

55

, per quanto stabilito in materia di giustizia amministrativa, sostanzialmente

cioè per la procedura dell’accesso agli atti dell’amministrazione e

verosimilmente per il silenzio, a tutte le amministrazioni pubbliche; al

secondo comma si rivolge a regioni ed enti locali prevedendo una

autonoma regolamentazione della materia, secondo le rispettive

competenze, nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del

cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa, così come definite dai

principi stabiliti dalla stessa legge 241.

Invero secondo una prima lettura di alcuni autori66 la disposizione

riguardante le autonomie locali si presenterebbe sostanzialmente

confermativa dell’originaria disciplina, in quanto non vi sarebbe differenza

sostanziale tra principi generali dell’ordinamento e principi posti a garanzia

del cittadino nei confronti dell’amministrazione. Del resto le materie

disciplinate dalla legge 241 sarebbero in gran parte di competenza

esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117 comma 2 lett. l) od m).

Invero una prima significativa differenza tuttavia sussiste, e consiste nel

fatto che la precedente normativa prevedeva una diretta applicazione della

legge 241 per tutto il tempo in cui la regione non avesse disciplinato

autonomamente la materia; disposizione che non si rintraccia più nel nuovo

testo e che ha portato la giurisprudenza ad affermare che, medio tempore,

non si applica la legge 241 bensì la normativa regionale vigente in

materia67, quindi non si applicano direttamente tutte le nuove norme

introdotte con le leggi 15 ed 80 del 2005, fermo restando che,

verosimilmente, ogni regione già possiede una disciplina del procedimento

modellata sul vecchio testo della legge 241.

66 Francesco Castello “La nuova attività amministrativa” Maggioli 2006 pag.9867 TAR Puglia Bari sez. II 6 dicembre 2005 n.5196

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

56

Di segno diverso è l’opinione del TAR Sicilia Palermo68 il quale

afferma che anche dopo la novella, nemmeno le regioni a statuto speciale

possono derogare ai principi generali posti dalla legge 241, potendo

introdurre solo garanzie ulteriori per il cittadino, con la conseguenza che

detti principi s’impongono subito direttamente, a prescindere da una norma

regionale che ne replichi il contenuto: così si è stabilita l’immediata

applicabilità nell’ambito regionale dell’art. 2 comma 4 bis in base al quale,

decorsi i termini di cui ai precedenti commi 2 e 3, il ricorso avverso il

silenzio può essere proposto anche senza preventiva diffida ad adempiere,

perdurando l’inadempienza.

Peraltro, in base al comma 1 novellato, non dovrebbero sussistere dubbi

che tutte le disposizioni attinenti alla giustizia amministrativa si applicano

da subito anche agli enti locali; tra queste non solo quelle sull’accesso ma

anche quella sull’impugnazione del silenzio, nei termini stabiliti , senza

necessità cioè di previa diffida ove permanga l’inadempienza69. Nei limiti

quindi di tale precisazione appare pienamente condivisibile anche la

posizione del tribunale siciliano che, se riferita ad altre disposizioni sul

procedimento, avrebbe potuto creare qualche perplessità, considerato che è

stata volutamente espunta dall’ordinamento la norma che rendeva, medio

tempore, direttamente applicabile, e solo alle regioni a statuto ordinario, la

disciplina intera della legge 241.

Anche le nuove disposizioni sull’efficacia ed invalidità del

provvedimento amministrativo, contenute negli artt. da 21-bis a 21-nonies,

rientrerebbero per alcuni nell’ambito delle norme sulla giustizia

68 TAR Sicilia Palermo sez. II 3 novembre 2005 n. 441469 TAR Puglia Bari, sez. III 6 settembre 2005 n.3801

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

57

amministrativa70, opinione che invero desta qualche perplessità avendo le

disposizioni sulla validità, efficacia, revoca e recesso dell’atto una

rilevanza solo indiretta sulla giustizia, non potendosi considerare certo

norme processuali, se non limitatamente ad alcuni aspetti.

Per quanto qui interessa è preliminare chiarire che la normativa della

legge 241 può applicarsi solo a soggetti che agiscono tramite atti e

provvedimenti amministrativi, esclusi quindi anche enti pubblici che

agiscano seguendo la disciplina del diritto privato.

Quindi è escluso ad es. che gli enti pubblici economici possano ritenersi,

in generale, soggetti alla disciplina della legge n. 24171. Per quanto

concerne invece soggetti privati concessionari di pubblico servizio, essi

svolgono attività di natura amministrativa che, come tale, è soggetta alle

regole del procedimento ed alla giurisdizione del giudice amministrativo72.

70 Francesco Castello “La nuova attività amministrativa” Maggioli 2006 pag.10071 TAR Puglia Lecce sez. II 7 maggio 1996 n.339, dove l’aggiudicazione di lavori adottata da consorzio di bonifica è stata esclusa dalla giurisdizione del giudice amministrativo, trattando si ente pubblico economico; TAR Marche 11 aprile 1996 n.191 che ha escluso dall’attività amministrativa la selezione di personale ad opera di ente pubblico economico72 Cassazione SS.UU. 28 agosto 1998 n.8541 che ha considerato attività amministrativa –aggiudicazione di appalto di opera pubblica- quella di un ente pubblico economico che agisce non nell’interesse proprio ma quale concessionario di ente pubblico. Ipotesi opposta quella esaminata da TAR Campania Napoli sez. V 22 settembre 2005 n.15418 riguardante un concessionario della sola realizzazione di lavori e non anche di servizio pubblico di gestione della costruenda linea metropolitana

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

58

4. I termini del procedimento

“I1 procedimento amministrativo è una vicenda che si svolge in un arco

di tempo": quest'ultimo rappresenta dunque un ineludibile fattore di

interesse per qualsiasi legislatore che si proponga di incidere sugli stilemi

dell'agire pubblico. Sono noti in proposito "i tempi senza tempo"

dell’azione amministrativa, tradizionalmente affetta da un'eccessiva

lunghezza del procedimento e da un'incontrollabile incertezza dei tempi di

conclusione dello stesso. Al fine di porre rimedio a tali patologie, il

moderno legislatore ha operato su un duplice piano: sotto il profilo della

certezza, ha sancito l'obbligo di concludere il procedimento con un

provvedimento espresso ed entro un termine prestabilito; sotto il profilo

della lunghezza, ha introdotto un termine residuale e generale di trenta

giorni, “provocatorio" per la sua brevità, accanto a numerosi strumenti di

semplificazione dell'azione amministrativa, quali il silenzio assenso, la

denuncia di inizio di attività e la conferenza di servizi.

All'azione dei pubblici poteri risulta insomma sottesa una nuova

consapevolezza dell'importanza del tempo nella regolazione dei rapporti

giuridici, per cui non appare più sufficiente che l'amministrazione si attivi,

ma è necessario che lo faccia

celermente, in termini brevi predeterminati il cui rispetto viene a essere

assicurato dal responsabile del procedimento.

Gli interventi normativi più recenti (c.d. Leggi Bassanini)73 hanno

proseguito il disegno riformatore già avviato nel '90, riprendendo le linee

73 L. 15 marzo 1997, n59 c.d. legge Bassanini I; l.15 magio 1997, n.127 c.d. legge Bassanini II; l. n.191 del 1998 c.d. legge Bassanini III

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

59

guida contenute nella legge sul procedimento e correggendo le discrasie

manifestatesi dopo i primi anni di attuazione. Più precisamente la legge

Bassanini I ha previsto precise misure sanzionatorie in caso di violazione

dei tempi procedimentali74 (indennizzo e poteri sostitutivi), mentre le leggi

Bassanini II e III hanno valorizzato il principio di semplificazione

dell'azione amministrativa attraverso la riduzione dei termini e la

previsione di nuovi strumenti di snellimento 75.

L'obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso

e la previsione di un termine finale certo entro cui addivenire alla

decisione76 costituiscono le fondamenta su cui si erge il nuovo sistema dei

tempi dell'azione amministrativa. I1 suddetto obbligo di provvedere

risulterebbe peraltro svuotato del suo significato pregnante se non fossero

fissati dei limiti temporali entro cui l'amministrazione e tenuta ad

esprimersi. La sostanziale impunità dell'amministrazione procedente, nel

lasciare aperto ad infinitum un procedimento ritualmente iniziato, ha infatti

costituito un costume riprovevole del nostro sistema su cui il legislatore e

opportunamente intervenuto stabilendo che "le pubbliche amministrazioni

determinano per ciascun tipo di procedimento, in quanto non sia già

disposto per legge o per regolamento, il termine in cui esso deve

concludersi" e, nell'ipotesi in cui le stesse non provvedano, il termine e di

trenta giorni. In base a tale disposizione, dunque, ogni procedimento deve

avere un termine certo e l'amministrazione deve provvedere a determinare i

tempi di svolgimento della propria azione qualora questi non siano stabiliti

in via generale per legge o regolamento (principio della certezza del

termine).

74 Indennizzo e poteri sostitutivi75 c.d. riforma dei pareri, conferenze di servizio obbligatorie, sportello unico delle attività produttive.76 Cfr. art.2 della l. n.241 del 1990

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

60

Nonostante la norma richiamata preveda un sistema di fonti a cascata

per la fissazione del termine del procedimento (legge, regolamento, atti

della pubblica amministrazione), e stato correttamente osservato che il

fondamento della disciplina dei tempi e sempre legale, poiché e una norma

di rango primario77 che pone il principio di certezza del tempo dell'azione

amministrativa, rimettendo a fonti di carattere secondario soltanto la

concreta definizione del quantum. Ciò significa che il termine del

procedimento non si limita a scandire, sotto il profilo temporale, l'attività

della pubblica amministrazione nell'interesse esclusivo di quest'ultima, ma

concorre a definire l'assetto dei rapporti tra potere pubblico e destinatario

del provvedimento, anche in funzione di tutela della sfera giuridica di

quest'ultimo. Nell'ottica delineata dal legislatore del '90 il termine del

procedimento assume, pertanto, una chiara dimensione intersoggettiva e

l'obbligo di provvedere non concerne solo l'an dell'attività amministrativa,

ma anche il quando emanare il provvedimento espresso.

La legge sul procedimento pone soltanto il principio generale della

certezza del tempo dell'agire della p.a., rimettendo tuttavia all'interprete il

compito di individuare la natura del termine e il relativo regime giuridico.

In via generale, come nel processo, anche nel procedimento i termini si

distinguono in perentori, ordinatori e comminatori. Per i termini perentori il

decorso del tempo è fatto impeditivo dell'esercizio della situazione

soggettiva e, se questa e esercita, o è inutiliter data, o rende viziato l'atto.

Nel caso dei termini ordinatori, invece, il tempo fissato dalla norma ha

valore indicativo, costituendo regola di buona amministrazione per

l'autorità cui spetta la potesta di prorogarlo. Infine, il termine e

comminatorio quando il suo superamento non impedisce l'esercizio della 77 La legge 241 del 1990

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

61

situazione soggettiva o del potere, ma comporta o può comportare una

sanzione a carico di chi lo ha trasgredito. Muovendo da tali definizioni il

dibattito sulla natura del termine e stato caratterizzato da diversi e

contrastanti approcci ermeneutici, non sempre coerenti e rispettosi della

ratio legis.

Un primo orientamento, invocando il principio tradizionale secondo cui

i termini sono di regola ordinatori è soltanto in via eccezionale, nei casi

espressamente previsti dalla legge, sono perentori, ha concluso per la

natura meramente sollecitatoria del termine finale del procedimento . Tale

impostazione , recepita anche in sede ministeriale , non appare tuttavia

conforme alla lettera e allo spirito della normativa che configura piuttosto il

termine come obbligatorio. La formula legislativa utilizzata al riguardo è

infatti chiarissima quando fa riferimento al "termine entro cui deve

concludersi il procedimento”, d'altro canto, le finalità di certezza e celerità

che ispirano la normativa di riforma suggeriscono di attribuire al termine

un valore vincolante e non meramente indicativo. In definitiva, il tempo

assegnato alla p.a. per l'emanazione del provvedimento non ha funzione

semplicemente orientativa sicché il termine finale non può essere

classificato come meramente ordinatorio, ma come cogente.

Secondo una diversa e valida ricostruzione interpretativa, per

individuare la natura del termine del procedimento occorre distinguere tra

procedimenti ad istanza di parte e procedimenti d'ufficio: i primi, iniziati

dal privata, sono diretti ad ottenere provvedimenti che producono effetti

ampliativi della sfera giuridica del destinatario, mentre i secondi, avviati

dalla p.a., sono volti all'emanazione di provvedimenti restrittivi. In

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

62

entrambi i casi il termine assume una dimensione intersoggettiva, in quanto

si inserisce nel rapporto tra p.a. e cittadino sul quale ricadono gli effetti del

provvedimento, ma la sua natura varia in relazione al tipo di interesse (

rispettivamente pretensivo ed oppositivo) di cui e titolare il privato. Nei

procedimenti ad istanza di parte il termine si colloca all'interno della

relazione "diritto soggettivo-obbligo" che si instaura tra il privato che

presenta la domanda e la p.a. che è obbligata a provvedere. Poiché si

riproduce un assetto di rapporti corrispondente a quello esistente tra

debitore e creditore, il modello concettuale di riferimento deve rinvenirsi,

secondo l'Autore, nel termine per l'adempimento delle obbligazioni, con la

conseguente applicabilità del regime civilistico. Nei procedimenti d'ufficio,

invece, il termine svolge essenzialmente una funzione di garanzia,

collocandosi all'interno della relazione tra il potere dell'amministrazione

che incide negativamente nella sfera giuridica del destinatario e l'interesse

legittimo oppositivo di quest'ultimo. In tal caso il rapporto e di potestà-

soggezione, per cui il modello concettuale di riferimento e il termine per

l'esercizio dei diritti potestativi o, mutatis mutandis, il termine perentorio.

Tale tesi coglie sicuramente nel segno quando sottolinea il nuovo ruolo

che il termine svolge nel procedimento. Il fattore temporale non

rappresenta infatti un mero elemento integrativo della fattispecie costitutiva

del potere esercitato dall'amministrazione, ma svolge una funzione di

garanzia dei destinatari del provvedimento, collocandosi all'interno di una

relazione di tipo obb1igatorio (diritto dell'istante ad una risposta e obbligo

della p.a. di provvedere). Meno convincente è invece il tentativo di

ricostruire la natura del termine muovendo dalla distinzione tra

procedimenti su istanza e d'ufficio, atteso che non esiste una

corrispondenza biunivoca tra tipo di iniziativa e natura del provvedimento

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

63

finale. Infatti, sebbene per communis opinio, le autorizzazioni, concessioni,

ammissioni conseguono a procedimenti iniziati su domanda del privato, in

quanto provvedimenti ampliativi della sua sfera giuridica, ciò non esclude

che anche atti, in apparenza restrittivi per il destinatario, possano essere

avviati su istanza di parte: si pensi, ad es., alla notifica di vincolo per un

bene culturale che è spesso direttamente sollecitata dallo stesso proprietario

privato.

Sotto il profilo dogmatico, poi, lascia perplessi l'individuazione di un

termine perentorio (o di decadenza) in caso di procedimenti d'ufficio, atteso

che la deroga al principio della inesauribilità del potere dovrebbe trovare un

preciso fondamento nelle disposizioni normative. La legge sul

procedimento non contiene, tuttavia, alcuna qualificazione in tal senso, ne,

d'altro canto, l'effetto preclusivo può essere dedotto in via interpretativa,

per esigenze di garanzia del privato, ponendosi in contrasto con il principio

di legalità dell'azione amministrativa e con le esigenze insopprimibili di

continuità della stessa78.

Da tali rilievi derivano due importanti conseguenze sotto il profilo

teorico e pratico. Anzitutto, il termine finale del procedimento non può

considerarsi perentorio, ma più tecnicamente comminatorio, sia nei

procedimenti ad istanza di parte che in quelli ad iniziativa d'ufficio. Il non

provvedere entro il termine rituale non estingue il potere

dell'amministrazione, ma può comportare una reazione sanzionatoria

nell'interesse dei soggetti nei cui confronti e stato iniziato il procedimento

incompiuto. Più precisamente, come vedremo nel prosieguo dell'indagine,

78 Cons. St., sez. V, 8 giugno 1994, n. 614, in Foro it., 195,III, 265

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

64

il superamento dei tempi procedimentali legittima il privato a reagire

contro l'inerzia della p.a., avvalendosi dei mezzi di tutela amministrativa,

risarcitoria e persino penale. In secondo luogo, la distinzione tra

procedimenti d'ufficio e ad istanza di parte non incide sulla natura del

termine e sulla sua funzione, ma soltanto sulle modalità di individuazione

del dies a quo che sarà diverso a seconda del tipo di iniziativa.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

65

Capitolo 3

Silenzio della p.a. e tutela giurisdizionale alla luce della l. 205

del 2000 e dalla l. 69 del 2009

1.Riflessioni introduttive sul nuovo processo

amministrativo

Il sistema della giustizia amministrativa si evidenzia parzialmente

attraverso un percorso cadenzato da una serie di momenti che

essenzialmente possono così individuarsi : la genesi è del marzo 1865 n.

2248 che ha tracciato i limiti della giurisdizione del giudice ordinario; poi

la legge n. 5992 del 1889 istitutiva della IV sezione del Consiglio di Stato

che ha segnato la nascita del giudice amministrativo; e ancora la legge n.

1034 del 1971 istitutiva dei T A R che ha generalizzato il doppio grado di

giudizio; di certo strumento catalizzatore di cambiamento che ha agito

nell’iter processuale è stata la legge 205 del 2000. La legge del 21 luglio

2000 “Disposizioni in materia di giustizia amministrativa” è stata

approvata nella fase conclusiva di una legislatura nata all’insegna di un

progetto ambizioso di riforma costituzionale, elaborato con la legge

costituzionale n. 1 del 1997, che avrebbe modificato in modo radicale

l’assetto della giustizia amministrativa79.

79 Il disegno di legge è stato presentato al Senato il 10 dicembre 1997, Atto Senato n. 2934; cfr. S. CASSESE, Il Consiglio di Stato e la riforma costituzionale, Milano, 1997. Ancora in materia v. C. CALABRO’, Pronti a giocare la sfida della qualità, in Guida al diritto, 12 agosto 2000, n. 30, 30; cfr. G. GIOVANNINI, Note di commento alla legge n. 205 del 2000, in Giorn. dir. amm., 2000; v. tra gli altri, Cons. St., I, 988 e ss. Sulla nozione di parti nel processo cfr. V. DOMINICHELLI, Le parti del processo, in Trattato di diritto amministrativo – Tomo IV il processo amministrativo, (a cura di CASSESE ), Milano, 2000, 2365 e ss.; ancora, C. E. GALLO, La modifica del processo amministrativo, Torino, 1985; C. MIGNONE, I motivi aggiunti nel processo amministrativo, Padova, 1984.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

66

Più precisamente la legge conferma, razionalizza e stabilizza una serie

di innovazioni introdotte negli ultimi anni in parte sia in via legislativa, sia

in via giurisprudenziale e apre prospettive di sviluppo del processo

amministrativo nella direzione di un’effettività più piena e di una

paritarietà delle tecniche di tutela impiegate dal giudice amministrativo e

dal giudice ordinario rispetto a situazioni giuridiche soggettive di

consistenza identica e in particolare dei diritti soggettivi. La forzata

sottolineatura di tale fattore rischia di far dimenticare che, però, l’ossatura

del provvedimento è costituita da un progetto 80di adeguamento del

processo amministrativo ai principi posti dalla Convenzione Europea per i

diritti dell’uomo, su cui era stata favorevole anche l’Adunanza Generale del

Consiglio di Stato81. Qualche imperfezione tecnica non rende meno

ammirevole il tentativo di dare risposta alle istanze di tutela, man mano che

emergevano nella prassi (si pensi alla consacrazione legislativa del

principio della risarcibilità delle lesioni di interessi legittimi); ancora

qualche difetto di coordinamento tra le norme non deve distogliere

l’attenzione dalla nuova disciplina processuale che si formava e che segna

una svolta nella (scelta del sistema). Molte sono, quindi, le importanti

modifiche e innovazioni apportate dalla riforma 205 del 2000, tipo, ricorso

avverso l’inerzia della Pubblica amministrazione (art.2), tutela cautelare

(art. 3), tutela sommaria non cautelare (art.8), ma in particolare affrontiamo

l’art. 9 che introduce l’istituto della sentenza breve, prevedendo che i

ricorsi, palesemente inammissibili, possono essere definiti con sentenze

adottate con motivazione sintetica. La sentenza con motivazione succinta,

precisamente così definita, ha ricevuto dignità di istituto ordinario del

processo amministrativo ad opera dell’art.9 della legge 205/2000.

80 Atto Senato 1124 81 Parere n. 236/94 del 1994

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

67

Precisamente con l’art. 9 della legge n. 205/2000 hanno trovato ingresso

nel processo amministrativo alcuni istituti dichiaratamente finalizzati allo

snellimento del procedimento giurisdizionale, che, secondo l’indicazione

contenuta nella rubrica della disposizione, possono sinteticamente

qualificarsi come “ decisioni in forma semplificata ”82.

Questa disposizione disciplina la semplificazione di alcuni tipi di

pronuncia conclusiva del processo : oltre la sentenza di merito, che può

essere redatta con motivazione succinta, si prevede, per i casi di rinuncia,

cessazione della materia del contendere, estinzione del giudizio e

perenzione, il decreto monocratico in luogo della decisione collegiale.

Inoltre con lo stesso articolo si semplifica la definizione del regolamento di

competenza attribuendo al T A R la delibazione della manifesta

infondatezza del relativo ricorso, e quindi, impedendo che il giudizio debba

essere necessariamente sospeso in attesa della decisione del Consiglio di

Stato83 e prevede, al non celato fine di alleggerire il giudice amministrativo

dell’arretrato costituito dai ricorsi pendenti da più di dieci anni, la

82 Per i primi commenti sull’art. 9 della legge 205 del 2000, v. tra gli altri, E. PALMARA, Azzerato il contenzioso pluridecennale se le parti non si affrettano all’istanza. L’analisi della riforma processuale amministrativa, in Dir. e giust., 2000, 28 e ss.; Per ulteriori indicazioni, M. A. SANDULLI, Le nuove misure di snellimento del processo amministrativo nella legge 205 del 2000, in Giust. Civ., 2000, II, 12, 1360; nonché G. TERRACCIANO, Per le questioni chiare debutta << la sentenza breve>> in Guida al diritto, 2000 , 30 e ss..In giurisprudenza, una delle prime applicazioni dell’istituto può rinvenirsi in TAR Calabria, Reggio Calabria, 25 settembre 2000, n. 1406, in Guida al diritto , 2000, 37, 67, con commento di R. BRANCIFORTE, Bocciato l’annullamento della prova d’esame.Il ricorrente è ammesso con riserva all’orale, in cui è stata ritenuta la manifesta fondatezza del ricorso; A. LAMBERTI, Le decisioni in forma semplificata, in AA.VV. ( a cura di V. CERULLI IRELLI ), Verso il nuovo processo amministrativo. Commento alla legge n. 205 del 2000, Torino, 2000, 337 e ss.; R. MONTEFUSCO, Le decisioni in forma semplificata, in AA. VV. ( a cura di R. VILLATA e B. SASSANI ). Aggiungasi naturalmente tutta la manualistica ed opere successive alla riforma: A. TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2000, 271 e ss.; C. E. GALLO, Manuale di giustizia amministrativa, Torino, 2001, 225 e ss.; R. JUSO, Lineamenti di giustizia amministrativa, 2001, 410 e ss..83 M. BRANCA, Brevi note sulla sentenza succintamente motivata, in Cons. St., 1999, II, 1679. Cfr. F. CARINGELLA, R. GAROFALI, M. T. SEMPREVIVA, L’accesso ai documenti amministrativi, Milano, 1999, 423 e ss..

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

68

dichiarazione della perenzione automatica d’ufficio84. Questo tipo di

sentenza sembra la semplificazione processuale di maggior rilievo per

l’ampiezza dell’area su cui è destinata ad incidere.

La norma sembra non costituire novità assoluta del sistema, essendo

stata in qualche misura anticipata da precedenti iniziative di riforme; come

si sa, una analoga innovazione, già ventilata in numerosi progetti di legge

di riforma del processo amministrativo, era stata adottata con carattere di

eccezionalità per la soluzione delle vertenze in materie particolari con il

nome di sentenza con motivazione abbreviata ( art. 19 D. L. n. 67 del 1997;

art. 1 comma 27° legge n. 249 del 1997 )85; ricordiamo infatti gli ultimi tre

disegni di legge in materia ( A. C. 1912 e AA. SS 1124 e 2934 ) di questi il

terzo infine sfociato nella legge 205 del 2000. Tali istituti, pur ricompresi

in un unico contesto normativo, appaiono accomunati non tanto

dall’omogeneità della disciplina, quanto dall’intento del legislatore di

favorire, in via generale e senza comprimere indebitamente le prerogative

di difesa delle parti, la celere definizione dei giudizi e l’alleggerimento di

ruoli notoriamente aggravati86. La sentenza con motivazione succinta

introdotta con la 205/2000 è istituto non proprio identico, a causa di talune

limitazioni in precedenza assenti, ma sostanzialmente equivalenti a quello

ricordato. Tant’è che le due disposizioni citate ( il D. L. 67 del 1997, e la

legge n. 249 del 1997 ) sono state abrogate, oltre che sostituite dalla

84 D. DE PRETIS, Valutazione amministrativa e discrezionalità tecnica, Padova, 1995. Inoltre evidenzia G. VIRGA, I procedimenti abbreviati previsti dalla legge 205/2000, Relazione al Convegno degli avvocati amministrativisti, Il processo amministrativo dopo la riforma, Palermo 2000.85 Cfr. Cons. St., Sez. IV, 1 settembre 1998, n. 1139, in Cons. St., 1998, I, 1255.86 F. DELLA VALLE, Il rito, cit. 90-92, dubita dell’utilità di appellare una sentenza che non si conosce, valendo al massimo a bloccare, se all’impugnazione si affianca la richiesta di inibitoria della sentenza una repentina esecuzione della stessa, salva la riproposizione di detta richiesta quando verrà depositata anche la motivazione.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

69

disciplina generale attuale (art. 23 bis comma 1° della legge n. 1034 del

1971, introdotto dall’ art. 4 della legge n. 205 del 2000, art. 4 comma 2°)87.

Più in particolare, il primo comma dell’art. 9 modifica l’art. 26 della

legge n. 1034/71, sopprimendo il quarto comma88 ed aggiungendone altri

quattro i quali prevedono :

a) decisioni in forma semplificata assunte con sentenza succintamente

motivata (commi 4°, 5° e 6° del testo novellato);

b) decisioni semplificate assunte con decreto sulle cc.dd. “cause di

estinzione del giudizio” (comma 7°);

c) sentenze adottate, con motivazione sintetica o semplificata, in camera

di consiglio in sede cautelare (o a seguito dell’esame istruttorio ex art. 44

del r.d. n. 1054/1024).

Il secondo comma dell’art. 9, senza prevedere modifiche espresse della

legge n. 1034/71, individua poi, quale ulteriore nuova causa di estinzione

del giudizio, la perenzione decennale, al fine di eliminare l’arretrato

costituito dai ricorsi pendenti da più di dieci anni.

A norma del successivo comma 3° dello stesso art. 9 della legge n. 205

del 2000 poi, le disposizioni dettate dall’art. 26 della legge 1034/1971, si

applicano anche ai giudizi pensionistici innanzi alla Corte dei Conti, per

tutti i ricorsi rientranti nella sua giurisdizione. Il quarto comma dell’art. 9

sostituisce, da ultimo, il quinto comma dell’art. 31 della legge n. 1034/71

attribuendo al giudice amministrativo di prime cure il potere di definire

immediatamente in Camera di Consiglio, sempre con decisione

87 “Disposizioni in materia di giustizia amministrativa”, in G.U. 26 luglio 2000, n. 173.88 L’abrogato previgente quarto comma dell’art. 26 regolava il regime delle spese di lite, rinviando alle norme del codice di procedura civile. La disciplina delle spese non ha subito però modificazioni atteso che la disposizione è stata riformulata e riproposta con analogo contenuto nell’ultimo periodo del testo novellato.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

70

semplificata di cui al comma 1°, l’istanza di regolamento di competenza

laddove questa risulti manifestamente infondata89.

Ci si rende così conto che la modifica 205/2000 ha voluto introdurre uno

strumento per la definizione dei giudizi amministrativi di portata

generalizzata; l’evidente favor per l’adozione della sentenza semplificata

emerge da altre disposizioni della legge 205, quali l’ art. 2 per il giudizio

sul silenzio e lo stesso art. 9 comma 4° sul regolamento di competenza90.

Il tema viene affrontato nel quadro dello specifico e del generale:

specifico, perché attiene alla fase, strettamente procedurale, della

conclusione del processo, generale, perché con la suddetta legge, anche in

tema di definizione dei giudizi, sono state introdotte norme di portata

innovativa generale che hanno contribuito a modificare fortemente la

fisionomia del processo amministrativo. Dunque giova premettere che con

la legge 205 del 2000, che nasce per il processo amministrativo, per la

prima volta, dopo la lontana legge 1034 del 1971, si è cercato di rimediare

ai principali inconvenienti che erano emersi nel concreto funzionamento

del processo amministrativo e che la sua promulgazione è stata affrettata

dal fatto che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 292 del 20

giugno/17 luglio 2000, ha dichiarato incostituzionale, per eccesso di

delega, l’art. 33 del decreto

legislativo n. 80 del 1998 sulla giurisdizione esclusiva in materia di

servizi, per cui è stato necessario rimediare immediatamente alla grave

89 Per completezza deve segnalarsi che il 3° comma dell’art. 9 prevede l’applicabilità anche ai giudizi pensionistici innanzi alla Corte dei Conti delle decisioni semplificate assunte con sentenza. Le relative tematiche sono oggetto di separato esame in altra sezione del presente lavoro, cui si fa rinvio.90 Per i primi commenti sull’art. 9 legge 205 del 2000, E. PALMARA, Azzerato il contenzioso pluridecennale se le parti non si affrettano all’istanza. L’analisi della riforma processuale amministrativa, in Dir. e Giust., 2000, 28 e ss.; nonché commento di R. BRANCIFORTE, Bocciato l’annullamento della prova d’esame, in cui è stata ritenuta la manifesta fondatezza del ricorso.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

71

lacuna che si era aperta. Ma il problema non è così semplice e non può

risolversi con la mera riduzione dei tempi di redazione delle decisioni, se

ad essa non si accompagna la previsione degli istituti ed i mezzi per

utilizzare i tempi e le energie recuperate a favore della definizione di un

maggior numero di controversie91.

Non manca chi abbia criticato il provvedimento forse per le

imperfezioni tecniche e le implicazioni sostanziali che la legge presenta nel

suo insieme dovute alla fretta nel formularlo; è però innegabile che la “

sentenza succintamente motivata” sia stata costruita come l’istituto

autonomo rispetto alla definizione del merito nella sede cautelare, e quindi

suscettibile di essere utilizzato in ogni occasione processuale nella quale se

ne verifichino i presupposti92; in effetti gli “ errori della fretta ” sono nel

senso che le norme non appaiono sempre puntualmente rispondenti ai

canoni di tecnica legislativa, con il conseguente aggravio interpretativo per

il giudice, che di tali norme deve dare attuazione. Dunque in conclusione si

può dire che con l’art. 9 della legge 205 del 2000 trovano ingresso nel

processo amministrativo alcuni istituti finalizzati allo snellimento e

all’accelerazione del procedimento giurisdizionale che possono

sinteticamente qualificarsi come (decisioni in forma semplificata)93. In

effetti la legge 205 è stata emanata a dieci anni esatti dalla legge n. 241 del

1990 sul procedimento amministrativo e a conclusione di un decennio di

riforme amministrative tutte caratterizzate dal tentativo di riequilibrare i 91 In Cons. St., 2000, I, 1, Disposizioni sulla legge 205 del 2000.92 In relazione all’argomento si vedano anche, F. O. ZUCCARO, Il tempo ed il processo amministrativo, Milano, 1999; nonché S. GIACCHETTI, La riforma infinita del processo amministrativo, in Cons. St., 1999, II, 1231 e ss.. La tematica del << giusto processo >> rinverdita dalla modifica costituzionale con riferimento al processo amministrativo, cfr. E. PICOZZA, Il giusto processo amministrativo, in Cons. St., 2000, I, 1061 e ss..93 Per maggiore completezza, si rinvia alla relazione di A. LA CAVA, ”La definizione dei giudizi: le sentenze ed i provvedimenti di definizione semplificata” in Seminario di studi, Roma 21, 22, 23 Ottobre 2002.

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72

rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione sulla base di principi di

garanzia, trasparenza, partecipazione, efficienza e semplificazione che

tendono a realizzare in modo più compiuto l’ ideale dello Stato di diritto94.

La legge n. 205 prende atto del cambiamento del modo di essere

dell’amministrazione sotto anche un altro profilo : segna cioè l’emersione

sul piano processuale dei cc.dd. “interessi legittimi pretesivi”,

corrispondenti a una pubblica amministrazione che emana provvedimenti

ampliativi della sfera giuridica del destinatario. Altra linea direttrice della

legge è l’accentuazione del ruolo del giudice amministrativo come giudice

chiamato a ricostruire in modo automatico il fatto che sta alla base

dell’esercizio del potere esercitato e non solo a sindacare la legittimità

dell’atto amministrativo; ma di certo la linea direttrice più importante della

legge 205 attiene alla conferma e all’ulteriore svolgimento della tendenza,

già manifestatasi nel d. lgs. n. 80 del 1998, verso un ampliamento della

giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e una sua trasformazione

in una giurisdizione non già per mera sommatoria, ma per materia che

consente cioè al ricorrente di proporre innanzi a un unico giudice tutte le

azioni accertamento, condanna e costitutive necessarie per garantire una

tutela completa delle situazioni giuridiche.

La legge 205 contiene anche disposizioni di tipo organizzativo (aumento

dell’organico, carichi di lavoro, composizione del Consiglio di Stato, ecc..);

in conclusione, dunque, la riforma del processo amministrativo pone nelle

94 La proposta di legge n. 6844 d’iniziativa dell’onorevole CERULLI IRELLI all’esame della Camera dei Deputati introduce una serie di principi in tema di cambiamento del procedimento amministrativo ai destinatari, di esecuzione d’ufficio, di sospensione e revoca.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

73

mani dei giudici nuovi strumenti per accelerare e sfoltire il carico di

contenzioso, ma richiede anche un impegno organizzativo accresciuto95.

2.Il rito processuale relativo al ricorso contro il silenzio nella legge n. 205/2000

L'art. 2 di detta legge di riforma ha - dopo una lunga gestazione

(essendo stata la disciplina ora emanata oggetto di proposte, di più o meno

analogo segno, avanzate da lungo tempo da parte di giudici amministrativi

e studiosi) - posto una disciplina processuale ad hoc in relazione al ricorso

avverso il silenzio della P.A., introducendo nella legge n. 1034/1971

l'art.21 bis , la cui rubrica così suona: Ricorso contro il silenzio

dell’amministrazione

Ora, va rilevato che la disciplina posta dalla legge n. 205 del 2000 di

carattere esclusivamente processuale, e come tale non incide sull'attività

amministrativa che precede (cui appartiene, deve ritenersi anche la fase

della constatazione del silenzio della P.A.). Di conseguenza, si doveva

ritenere che la questione rimanesse impregiudicata. Invece, alquanto più

tardi prima la legge 11 febbraio 2005, n.15 - che ha introdotto incisive

modifiche in non pochi punti della legge generale sul procedimento

amministrativo n.241 del 1990, modificando, tra l'altro, l'art. 2 di tale

fondamentale testo normativo -, e poi il D.L. 14 marzo 2005, n. 35,

convertito in legge 14 maggio 2005, n.8096 mutavano la situazione.

Prevede, infatti, la nuova versione dell'art. 2, al comma 5, che il ricorso

contro il silenzio "può essere proposto anche senza necessita di diffida

95 La proposta di legge n. 6844 d’iniziativa dell’onorevole CERULLI IRELLI all’esame della Camera dei Deputati introduce una serie di principi in tema di cambiamento del procedimento amministrativo ai destinatari, di esecuzione d’ufficio, di sospensione e revoca.

96 Che, con l'art. 3, comma 6-bis, riscriveva integralmente detto art. 2 legge n. 241

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

74

all'amministrazione inadempiente,fintanto che perdura l'inadempimento e

comunque non oltre il termine di un anno dalla scadenza dei termini..."

previsti per la conclusione del procedimento. Di qui a poco si dirà del

periodo che segue subito dopo nel medesimo comma 5, e del suo effettivo

contenuto innovativo circa i poteri cognitivi del giudice adito con il ricorso

contro il silenzio.

Quanto al nuovo rito del ricorso contro il silenzio, si osserva in primo

luogo che si tratta di un iter processuale molto semplice e accelerato, la cui

trattazione avviene in camera di consiglio, e che sfocia, tuttavia, in una

sentenza97 .La differenza rispetto alle discipline normative di questi ultimi

riti processuali e che qui la norma espressamente dice che deve trattarsi di

una sentenza succintamente motivata. Fermo restando che non vengono

abbreviati i termini di notificazione e di deposito del ricorso rispetto a

quelli ordinari, la decisione in camera di consiglio deve avvenire "entro

trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso",

assicurato il contraddittorio con (e fra) le parti. In caso di disposizione di

incombenti istruttori il termine di trenta giorni decorre "dalla data fissata

per gli adempimenti istruttori” (evidentemente da parte del giudice nel

disporre detti incombenti istruttori).

I1 dispositivo della sentenza di accoglimento resa nel giudizio in tema di

silenzio - e qui sta la peculiarità del meccanismo, comunque mutuato dal

processo di esecuzione del giudicato - contiene l'ordine impartito

all'amministrazione di provvedere entro termine non superiore a trenta

giorni (in che senso, pero, la legge non dice, e non sembra volesse98 dire, e

97 A somiglianza di quanto accade sia per il - ben più antico - rito dell'ottemperanza o di esecuzione del giudicato, sia per il più recente giudizio in materia di diritto di accesso.98 Si legga, infatti, il nuovo comma 5 dell'art. 2

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

75

ciò spiega l'atteggiamento di chiusura che aveva assunto il Consiglio di

Stato a livello di adunanza plenaria). Nel caso che la stessa resti

inadempiente rispetto a tale ordine - prosegue, poi il comma 2 dell'art. 21

bis citato - "il giudice amministrativo, su richiesta di parte, nomina un

commissario che provveda in luogo della stessa" (ancora una volta, senza

un minimo di indicazioni circa il contenuto del "provvedere"). Il comma 3

soggiunge, poi, che all'atto dell'insediamento il commissario ad acta

verificherà preliminarmente che l'amministrazione non abbia provveduto,

benché in data successiva al termine assegnato dal giudice con la sentenza.

Come si vede, si tratta di regole (quelle poste dall'art. 21-bis legge n.

1034/1971) che, per quanto possa insorgere un'iniziale impressione di

grande efficacia, si rivelano affatto deludenti sul piano sostanziale. In

realtà, a parte la previsione dell'ordine di pronunciarsi entro un determinato

termine, e a parte l'éscamotage dell'utilizzazione dello strumento costituito

dal commissario ad acta (figura in sé grandemente utile, creata dalla

giurisprudenza in relazione a1 giudizio di ottemperanza, e poi sancita nella

normazione più recente), la novella legislativa non riformava alcunché, se

non il rito processuale. Ci si sarebbe attesi che si dotasse (prima il giudice e

poi per consequentiam, il commissario ad acta), del potere di pronunciarsi

nel merito della vicenda o rapporto, insomma del potere di pronunciarsi

sulla fondatezza o meno della pretesa (nel caso di potere discrezionale,

indicando condizioni e limiti). Invece, nulla di tutto questo: al di là della

celerità del rito, con l'appendice, per il tramite del commissario a. a.,

dell'esecuzione (dell'ordine di pronunciarsi in un senso purchessia) nulla vi

era di nuovo, poiché, senza dotare il giudice del poteri di penetrare ab intus

nei meandri del comportamento silente, eventualmente previa indicazione

ed esplicitazione delle ragioni, la vicenda era destinata a prolungarsi nel

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

76

tempo, proprio come nei tempi andati99. Invero, anche quando la sentenza

fosse favorevole al ricorrente, la P.A. rimasta "soccombente" poteva

reiterare il suo atteggiamento sfavorevole emettendo un provvedimento

espresso a contenuto negativo, sia pure motivato. Sotto un profilo diverso

ma connesso, deve anche rilevarsi che la conclusione del giudizio (con la

sentenza in forma semplificata) impedisce all'interessato (ricorrente in

ipotesi riuscito "vincitore" nel giudizio contro il silenzio) di avvalersi della

possibilità di proporre motivi aggiunti prevista dalla legge n.205,essendo,

viceversa, costretto ad instaurare un nuovo giudizio100 (ancora una volta,

come nei tempi andati).

Poste queste osservazioni de plano deducibili dalla lettera della novella

introdotta dalla legge n. 205 del 2000, bisogna dire che, a confermare in

toto quanto testé sottolineato - e con grande sottolineatura - era intervenuta

l'adunanza plenaria del Consiglio di Stato 9 gennaio 2002, n.1101. Quivi si

ribadiva a chiare lettere che il giudice non può (non deve) fare altro che

ordinare alla P.A. di pronunziarsi senza determinare in alcun modo il

contenuto del provvedere, anche quando trattisi di atti vincolati, attenendo

il novum della norma all'obbligo della P.A. medesima di concludere con

sollecitudine il procedimento (e non alla pronuncia sulla fondatezza, o

meno, della pretesa), e che il compito del commissario ad acta (che si

sostituisce, in forza di una previsione eccezionale di legge,

all'amministrazione), rimane sempre (e solo) quello di provvedere.

99 Critiche decise venivano mosse, sotto vari profili, al nuovo assetto conferito alla materia dalla novella legislativa da parte della dottrina: cfr. Giacchetti, il "ricorso avverso d silenzio dell'amministrazione e 1e macchine di Munari”, in Cons. Stato, 3, 2001, 471 ss.100 In tal senso è la critica anche di Giaccheti, op. cit.,475101 In Cons. Stato, 2002, sez. I nr. 1

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

77

In tutto veniva motivato - peraltro non senza valide argomentazioni

quanto al parallelo con il caso del diniego esplicito, impugnabile con il

ricorso ordinario, in cui si diceva, l'interessato conseguirebbe un risultato

deteriore rispetto a chi impugni il silenzio, ove si condividesse l'avviso che

il giudice del silenzio debba pronunciarsi anche nel merito della pretesa

fatta valere – avvalendosi delle classiche argomentazioni in ordine alla

separazione tra amministrazione e G.A. (e dei rispettivi poteri), il quale si

sostituisce alla prima solo in presenza di esplicite previsioni derogatorie di

legge. E si giungeva anche a dire che tanto poteva giustificarsi prima, in

base alle elaborazioni della giurisprudenza che aveva sposato l'indirizzo

criticato102, ma non più al cospetto della nuova disciplina. Al riguardo,

anche chi, in dottrina, fosse stato di diverso avviso, non poteva che

prendere atto di un siffatto arretramento, non senza riconoscere che il tutto

era avallato dal dato testuale delle nuove disposizioni (evidentemente, non

a caso scritte e concepite in siffatto modo), prendendo atto, al tempo stesso,

del lieve avanzamento di tutela rappresentato dal meccanismo mirante a

spingere la P.A. comunque a pronunciarsi in modo esplicito, entro un

termine preciso, assegnatole dal giudice.

L'assetto risultante dal dato normativo e dalla giurisprudenza al massimo

livello del giudice amministrativo è, peraltro, significativamente mutato, in

forza delle modifiche normative introdotte nell'art. 2 della legge n. 241 del

1990. Invero, come già accennato poco più addietro, detto articolo (nel 102 Da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 22 giugno 2000, n. 3526, per gli atti vincolati, e sez. V, 12 ottobre 1999, n. 1446 (in Cons. Stato, 1999, I, 1618), per gli atti a basso contenuto di discrezionalità (citate nella stessa ad. plen.). Cfr. anche Cons. Stato, sez. V 13 aprile 2000, n. 2211, ivi, 2000, I, 962 (richiamata da Giacchetti op. cit., 474).

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

78

testo sostituito dall'art. 3, comma 6 bis, D.L. n. 35 del 2005, convertito in

legge 14 maggio 2005, n. 80, retro menzionato), al comma 5, secondo

periodo, testualmente recita: Il giudice amministrativo può conoscere della

fondatezza dell'istanza".

Come si vede, l'ultima novella legislativa costituisce una decisa

inversione di rotta. D'ora in poi dunque, il G.A. può addentrarsi al di la

della questione dell'obbligo della P.A. di pronunciarsi e dell'ordine

impartito all'amministrazione in caso di accoglimento del ricorso contro il

silenzio - nelle questioni inerenti alla fondatezza o meno della pretesa

vantata nei confronti dell'amministrazione rimasta inadempiente. Data

l'asciuttezza della disposizione, diremmo che viene riconosciuto al G.A. un

lato potere di apprezzamento, cosicché egli potrà accogliere il ricorso nel

merito - riteniamo - non solo in materia di provvedimenti a contenuto

vincolato, ma anche in quelli che definiremmo "a discrezionalità debole",

ove egli ravvisi gli elementi e i presupposti - ovvero fissi limiti al riguardo

- per il riconoscimento di fondatezza della pretesa.

Conviene segnalare, infine, un'ultima rilevante novità, introdotta dalla

legge n. 205 del 2000 in relazione al ricorso contro il silenzio (e non solo),

in fatto di appellabilità della sentenza di primo grado.

In sostanza la legge introduce, accanto al termine tradizionale previsto

per l'appello negli stessi termini di quello valevole per il ricorso, anche un

termine lungo. Nella fattispecie, l'ultimo periodo del comma 1 (dell'art. 21-

bis legge n. 1034/1971 introdotto dall'art. 2 legge n. 205 del 2000)

prescrive: "La decisione e appellabile entro trenta giorni dalla

notificazione" (termine, come si vede, dimezzato rispetto a quello

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

79

ordinario) "o, in mancanza della notificazione, entro novanta giorni dalla

comunicazione della pubblicazione". Soggiunge, infine, la disposizione

che, nel giudizio di appello, si seguono le stesse regole del giudizio di

primo grado .

3. La natura giuridica del giudizio sul silenzio

Diventa quindi necessario trattare, più in particolare, della natura che il

giudizio sul silenzio presenta, sia astrattamente che in relazione alla

disciplina dell’art. 21 bis, anche al fine di verificare se, contrariamente a

quanto ritenuto dalla sentenza del Cons. Stato ad. Pl. N.1 9 gennaio 2002 ,

la distinzione giurisprudenziale prima ricordata tra attività vincolata e

discrezionale al fine del sindacato sul silenzio non soltanto abbia ancora

motivo di esistere, ma sia poi resa meno rigida dalla possibilità, data adesso

al giudice amministrativo in via generale dal nuovo art. 44 T.U. Cons.

Stato, di utilizzare strumenti come la consulenza tecnica d’ufficio anche in

fattispecie che tradizionalmente si fanno rientrare nei casi di c.d.

discrezionalità tecnica, oppure, come previsto dal nuovo art. 21 legg. 1034

del 71, di disporre in sede cautelare le misure “che appaiono, secondo le

circostanze, più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della

decisione sul ricorso”, in caso di pregiudizio grave e irreparabile derivante

non soltanto dall’esecuzione dell'atto impugnato, ma anche “dal

comportamento inerte dell'amministrazione”.

Ora, come già rilevato, poiché nel ricorrere “avverso il silenzio” non

viene impugnato alcun atto amministrativo, perché il silenzio

inadempimento non è un atto amministrativo, né tiene luogo di un atto

amministrativo103, può cominciarsi col dire che le affermazioni della

103 Come si verifica invece nei casi di silenzio accoglimento o di silenzio rigetto

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

80

sentenza in esame, appena sopra riportate, secondo cui si tratterebbe di

giudizi di accertamento, relativi alla mera illegittimità dell’inerzia della

p.A., non è in astratto contestabile, purché sia però riferita all’ipotesi più

semplice, quella cioè in cui sia il ricorrente stesso a limitare a tale aspetto i

motivi di ricorso, senza investire in alcun modo la situazione sostanziale

che con la richiesta di provvedimento rimasta inevasa aveva inteso a suo

tempo soddisfare.

Ora, con queste premesse si può certo affermare che quello che si svolge

nei confronti del silenzio non è mai un giudizio d’impugnazione,

finalizzato all’effetto caducatorio dell’annullamento, “bensì un giudizio

volto a ottenere semplicemente la dichiarazione dell’illegittimità

dell’inadempimento inerente all’omessa osservanza del dovere di

provvedere”, nell’ambito di un rapporto che quella giurisdizione ha ad

oggetto104. Tuttavia, questa precisazione può valere, come si chiarirà

meglio tra breve, solo in prima approssimazione, dovendo essere raccordata

sia con l’ipotesi che il ricorso giurisdizionale non si limiti a ciò, ma investa

invece anche la pretesa sostanziale, già fatta valere dinanzi alla p.a. con la

richiesta di provvedimento rimasta inevasa, sia con l’ipotesi, legata anche

alle nuove previsioni dell’art. 21 bis, che il giudizio de quo assuma (anche)

connotati di condanna, oltre che di accertamento.

Emerge comunque l’incoerenza di quella giurisprudenza, e della

sentenza Cons. Stato ad. pl. n.1 del 9 gennaio 2002 laddove, da una parte,

si afferma in termini assolutamente generali la natura di mero accertamento

del giudizio sul silenzio, relativo all’illegittimità dell’inerzia della p.a., e

dall’altra si condiziona però la possibilità del relativo giudizio al rispetto

104 Cfr.A.m. Sandulli, Manuale di Diritto Amministrativo, Napoli, 1989, 1387

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

81

dei consueti termini decadenziali, decorrenti dall’avvenuta formazione del

silenzio. Infatti, le azioni di puro accertamento, in quanto tali, sono in

genere imprescrittibili105, e d’altra parte, non sembra sufficiente a

giustificare quell’impostazione teorica l’affermazione che nel caso di

silenzio l’interessato fa comunque valere la lesione di un interesse

legittimo, a fronte della quale ha l’onere di chiedere tutela nel termine di

decadenza, perché ciò può valere, tutt’al più, nei casi in cui

l’Amministrazione mantenga, sulla fattispecie concreta in relazione alla

quale il privato ha presentato istanza, un potere discrezionale di valutazione

degli interessi pubblici e privati coinvolti, ma non certo in tutti quei casi in

cui invece la p.a. sia vincolata all’emanazione con un certo contenuto del

provvedimento richiesto106.

Fermo restando, comunque, che la discrezionalità non riguarda in ogni

caso la possibilità di emanare oppure no il provvedimento, perché il citato

105 Cfr., in questi esatti termini, Chiovenda, L’azione nel sistema dei diritti, in Saggi di Diritto Processuale Civile, cit., 25, in fine.106 Sandulli, Manuale, cit., 1427, rileva che il principio secondo cui l’azione può essere esercitata fin quando il diritto fatto valere non sia caduto in prescrizione (o non si sia altrimenti estinto), per le controversie che non importino l’impugnativa di un atto autoritario o comunque un giudizio circa un atto autoritario, “dovrebbe essere applicato anche ai ricorsi contro il silenzio-inadempimento, poiché l’inadempimento è un comportamento continuato, il quale, finchè dura, si rinnova di momento in momento”. Conforme sul punto Cerulli Irelli, op. cit., 481. Giudica “piuttosto opinabile” la logica seguita – nel senso descritto nel testo – dalla giurisprudenza, travi, op. cit., 205. D’altra parte, da questo punto di vista anche la scelta della giurisprudenza di consentire al privato – una volta che il silenzio si sia formato e il termine di decadenza sia scaduto – di rinnovare la diffida, conferma l’incoerenza della posizione assunta. Per Tar Campania, sez. II Napoli, 16 dicembre 2001 n. 4786, in questa Rivista, 2001, 1351, “il silenzio rifiuto è un istituto che affonda le proprie radici nella discrezionalità dell’azione amministrativa ed è volto a costituire l’obbligo di procedere nelle ipotesi in cui tale obbligo non derivi da norme di relazione che disciplinino il rapporto tra privato e p.a.; pertanto, esso non è concepibile a fronte di posizioni di diritto soggettivo, ma solo di interesse legittimo del privato, correlate ad ipotesi di mancato esercizio dell’attività amministrativa discrezionale”. Cfr. anche Cons. St., sez. V, 2 aprile 2001 n. 1900, in questa Rivista, 2001, 855: “considerato che tutti i crediti di lavoro dei pubblici dipendenti sono soggetti al termine quinquennale di prescrizione, l’inerzia serbata dalla p.a. datrice di lavoro, nei confronti dell’istanza del lavoratore che richiede il pagamento dei crediti di lavoro, costituisce di per sé l’inadempimento del vantato diritto di credito e non già il silenzio rifiuto, onde il dipendente può agire in giudizio direttamente per l’accertamento del diritto e non ha interesse ad ottenere la declaratoria di illegittimità del silenzio stesso”

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

82

art. 2 della l. 241 del 1990 è molto chiaro nel precisare che il procedimento

va comunque concluso, in tutti i casi in cui sia ravvisabile il relativo

obbligo di provvedere della p.a., con l’adozione di un provvedimento

espresso, emesso anche soltanto per rigettare la richiesta del privato. In altri

termini, a prescindere dal tipo di potere ravvisabile in capo alla p.a., in

relazione all’obbligo di provvedere rimasto inosservato si configura

soltanto un puro e semplice inadempimento dell’Amministrazione, alla

quale sotto tale profilo non può essere riconosciuto alcun potere

discrezionale a fronte del quale individuare interessi legittimi, la cui lesione

debba poi essere fatta valere in sede di ricorso giurisdizionale avverso il

silenzio. L’esistenza di quella discrezionalità, come si sta per precisare, può

semmai rilevare solo in sede di giudizio, al fine di misurare i poteri del

giudice nel sindacato sull’illegittimità del silenzio e sulla consistenza delle

situazioni sostanziali alla originaria richiesta sottese107.

Inoltre, bisogna anche notare come quello in discussione, per delle

caratteristiche connaturate al processo amministrativo stesso, non possa

comunque essere un giudizio di accertamento puro, sia con riferimento alla

normativa precedente l’entrata in vigore della l. 205 del 2000 sia, a

maggior ragione, con l’introduzione dell’art. 21 bis. Infatti, anche

107 Chiovenda, L’azione nel sistema dei diritti, cit., 81, in nota 68, IV, il quale ricorda che, “riguardo alle condizioni della tutela giuridica mediante sentenza d’accertamento, oltre l’esistenza o non del rapporto giuridico di cui si chiede l’accertamento positivo o negativo, deve concorrere l’interesse di accertamento”, pur con la precisazione che “l’interesse d’accertamento è altra cosa dall’interesse come condizione d’una sentenza di condanna”. Id., ult. op. cit., 16: “quando taluno chiede che si accerti l’esistenza di un rapporto giuridico, senza aspirare ad altri effetti giuridici, se non quelli immediatamente derivanti dall’accertamento, non vanta alcun diritto subbiettivo verso l’avversario se non lo stesso diritto d’azione, coordinato a un interesse d’accertamento: ogni tentativo di dare un altro contenuto a questo diritto è vano, poiché precisamente l’accertamento giudiziale a cui si tende non è prestazione che si possa pretendere dal convenuto”. Cons. St., sez. V, 14 luglio 1997 n. 820, in questa Rivista, 1997, 1970, escludel’onere dell’impugnazione del silenzio-rifiuto entro il termine decadenziali, decorrente dallo spirare del trentesimo giorno successivo alla diffida, esclusivamente nelle ipotesi in cui la pretesa dell’interessato assuma la consistenza di diritto soggettivo perfetto e non sia subordinata all’adozione di un provvedimento costitutivo dell’Amministrazione.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

83

nell’ottica di quella giurisprudenza che, già prima della l. 205 del 2000,

limitava il proprio intervento ad una sentenza dichiarativa, relativa

all’accertamento dell’illegittimità del silenzio, è chiaro che il ricorrente non

si limita a chiedere che sia dichiarata l’esistenza del suo diritto, ma chiede

anche che venga accertato un correlativo obbligo. Ma “se…il convenuto è

l’obbligato stesso”, come nel caso del silenzio, “la sentenza è di puro

accertamento, quando non ha di mira che i vantaggi derivanti

immediatamente dalla certezza giuridica; è di condanna, quando ha anche

di mira la ulteriore attuazione della volontà della legge, ossia se prepara la

esecuzione”108.

D’altra parte, anche quando il giudice, pur dichiarando l’illegittimità

dell’inerzia dell’Amministrazione, non ordini nel dispositivo esplicitamente

di emanare il provvedimento omesso, tale obbligo costituisce un contenuto

implicito della sentenza, il contenuto concreto del dovere

dell’Amministrazione che dà un senso al disposto dell’art. 65, n. 5, del

R.D. n. 642 del 1907 (reg. proc. Cons. St.), secondo cui la sentenza deve

contenere “l’ordine che la decisione sia eseguita dall’autorità

amministrativa”. Siffatte considerazioni valgono ancora di più,

naturalmente, nel contesto normativo attuale, in cui ormai è lo stesso art. 21

bis a precisare che “in caso di totale o parziale accoglimento del ricorso di

primo grado, il giudice amministrativo ordina all'amministrazione di

provvedere di norma entro un termine non superiore a trenta giorni”109.

108 Chiovenda, Istituzioni di Diritto Processuale Civile, cit., 193109 Anche per Cons. St., Comm. speciale, parere 17 gennaio 2001 n. 1242/2000, cit., “nella nuova disciplina dell’art. 21 bis (…) la sequenza tra giudizio di cognizione per la dichiarazione di illegittimità del silenzio inadempimento e giudizio di ottemperanza per la pronuncia positiva è assorbita in un giudizio unitario, che ha duplice oggetto, misto di accertamento e di condanna, e che supera in via definitiva l’interpretazione che affidava alla decisione del giudice una mera efficacia demolitoria del silenzio dichiarato illegittimo. Il nuovo modello, invero, consente non solo di pronunciare sull’inadempimento

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

84

4. I poteri cognitori del G.A. in materia di silenzio inadempimento

La legge 14 maggio 2005, n. 80 nasce come legge di conversione del

D.L. 14 marzo 2005, n. 35, il cosiddetto “decreto sulla competitività”, e

sostanzialmente ne conferma il dettato in materia di semplificazione

amministrativa. Una delle fondamentali novità introdotte da questo

provvedimento legislativo è la “possibilità” riconosciuta al giudice

amministrativo di valutare la fondatezza o meno della domanda

dell’interessato nell’ambito di un procedimento avverso il silenzio della

Pubblica Amministrazione.

Di certo un’affermazione di forte impatto giacché di contrario avviso

rispetto all’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale che negava

tale potere in capo al GA, emerso dalla decisione dell’Adunanza Plenaria n.

9 gennaio del 2002, all’esito di una lunga disputa sulla questione, tutta

interna alla magistratura amministrativa. Una parte dei giudici

amministrativi, infatti, riteneva che il GA avesse il solo potere di accertare

l’inerzia inadempiente della PA rimettendo a quest’ultima la

determinazione del contenuto del provvedimento da adottare 110. Perciò il

giudicato si doveva formare solo sull’obbligo di provvedere, cui avrebbe

dovuto attendere la p.a., o, se ancora inerte, il commissario ad acta

nominato dal g.a.. Altra parte della giurisprudenza amministrativa,

dell’Amministrazione, ma anche di ordinarle di provvedere sull’istanza e di nominare un commissario ad acta alla scadenza del termine all’uopo assegnatole”.110 Cons. Stato, IV Sez. n. 658 del 1999

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

85

sosteneva che fosse in facoltà del g.a. accertare la fondatezza o meno della

pretesa sostanziale addotta dal privato innanzi alla p.a.. Un sindacato,

perciò, sul contenuto dell’istanza che indicasse, in caso positivo, le

modalità in base alle quali la p.a. dovesse successivamente agire, in modo

da emanare un provvedimento favorevole al privato111.

L’ Adunanza Plenaria, però, investita della questione, ha sostenuto, con

la decisione n.1 del 9 gennaio del 2002, la prima soluzione fornendo un’

interpretazione per lo più letterale della disciplina ossia basandosi su ciò

che espressamente diceva la norma. Nella pronuncia si sostiene, infatti, che

l’art. 21 bis L. 1034 del 1971 indica quale oggetto del ricorso il solo

silenzio e quindi il solo comportamento inerte della p.a. e non la pretesa

sostanziale addotta dal privato a fondamento della sua istanza. Un tale tipo

di giudicato, secondo l’Adunanza Plenaria è finalizzato solamente a sancire

l’obbligo della p.a. di concludere il procedimento con un provvedimento

espresso e non a sindacare il merito, indi per cui la p.a. conserverà pur dopo

la sentenza il potere di provvedere in senso pieno. E tale sistema va esteso

anche all’attività vincolata della p.a., giacché l’ad. plen. dice che la

disciplina è unica e indifferenziata e inerente a qualsiasi ipotesi in cui la

pubblica amministrazione si sottragga al dovere di adottare un

provvedimento esplicito i cui presupposti di fatto sono, perciò, irrilevanti.

Invece oggi, alla luce dell’art. 2 comma 6 L. 241 del 90 come novellato

dalla L. 80 del 2005, il giudice potrà valutare se la pretesa del privato

all’adozione di un dato provvedimento da parte della p.a., fatta valere in

giudizio a seguito di silenzio inadempimento di quest’ultima, è fondata o

meno e dichiarare, di conseguenza, il contenuto del provvedimento che la

p.a. dovrà emanare. A fronte di una disposizione così favorevole al privato

111 Cons. Stato, VI Sez., n. 101 del 1999

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

86

e così orientata a garantirne una tutela più pregnante, sta però una

imperfezione di non poco conto. Infatti il nuovo art. 2 comma 6 L. 241/90

afferma che il g.a. “può conoscere” della fondatezza dell’istanza. Tale

affermazione possibilista ha acceso le critiche della più attenta dottrina

perché suscettivo di limitare fortemente la portata innovativa della

previsione in questione.

Che significato dare a quel “può”? Anzitutto quello più semplice e più

importante, ossia che il giudice amministrativo non è obbligato a conoscere

della fondatezza dell’istanza e quindi potrà anche non farlo, limitandosi ad

ordinare alla Pubblica Amministrazione, stante l’illegittimità del silenzio,

di emettere il provvedimento112. Il punto fondamentale è, perciò, come il

g.a. deve interpretare il “può conoscere”, ossia in presenza di quali

parametri positivi o quali condizioni deciderà di estendere o meno il suo

giudizio sulla bontà dell’istanza.

Taluni in maniera provocatoria, sostengono che tale scelta sarà

fortemente condizionata dalla procedura ex art. 21 bis L. 1034 del 1971.

Infatti il termine estremamente breve (30 giorni) e la forma “succintamente

motivata” della sentenza, dovrebbero portare a valutare il contenuto

dell’istanza solo se manifestamente fondata o infondata. Una pretesa, cioè,

che sia di immediata valutabilità permettendo, in tal modo, di rientrare nei

parametri della brevità processuale e della concisione della sentenza

richiesti dalla procedura anzidetta. E, di certo, questa è una visione che per

quanto condivisibile, non apre scenari rosei per il privato perché se la

questione risulterà essere controversa e complicata per l’assenza degli

elementi necessari per decidere, allora il giudice amministrativo, senza far

112 In ossequio alla visione prospettata dall’Adunanza Plenaria (decisione n.1 del 2002) sulla procedura ex art. 21bis L 1034 del 1971

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

87

uso del potere riconosciutogli, potrà rimettere tutto nelle mani della

Pubblica Amministrazione ingiungendole semplicemente di provvedere

vanificando, così, la portata della riforma.

A parere di chi scrive, perciò, è necessario fare qualche precisazione. Il

“può conoscere” e la valutazione che il g.a. è chiamato a compiere, infatti,

è legato a due fattori.

Il primo, ovvio ma fondamentale, è la richiesta del privato. O meglio, il

giudice conoscerà sulla fondatezza della pretesa fatta valere se il ricorrente

gliene faccia espressa richiesta. Ipotesi, questa, necessaria e direi pure

scontata visto che comunque l’intervento del g.a. nel senso sopra descritto

è, di certo, di maggior garanzia per chi ricorre. Anche se è comunque

possibile che non sia richiesto. Più importante è, invece, la natura

dell’attività della Pubblica Amministrazione convenuta in giudizio. Se

questa è di natura discrezionale il giudizio riguarderà solamente

l’illegittimità del comportamento inerte tenuto; se, invece, l’attività è di

natura vincolata il giudice potrà intervenire anche sulla sostanza della

richiesta (ma non sull’opportunità stante la natura suddetta) per vedere se è

ancorata su parametri legislativi che la sostengono e che legittimano il

ricorrente ad ottenere o meno un dato tipo di provvedimento che la P.A.

non potrebbe diversamente emanare pena l’illegittimità dello stesso.

A sostegno di ciò è di recente intervenuta la sentenza del TAR

Campania I sez. n. 7817/05 (Rel. Buonauro) in cui si sostiene che “il

procedimento avverso il silenzio dell’Amministrazione di competenza del

giudice amministrativo, secondo la disciplina risultante dal novellato art. 2,

comma 6°, della legge 241 del 1990, nel testo da ultimo introdotto dall’art.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

88

6 bis della recente L. n. 80 del 2005113, deve tendere non solo

all’accertamento dell’obbligo dell’Amministrazione di esercitare un

pubblico potere di cui sia titolare, e quindi di emettere un provvedimento di

cura dell’interesse pubblico; ma, laddove non implichi valutazioni

discrezionali rimesse in prima battuta alla necessaria valutazione

dell’autorità amministrativa114, può estendersi alla verifica in ordine alla

fondatezza della pretesa azionata, assumendo carattere pienamente

satisfattivo in presenza di una valutazione giudiziale piena, la quale,

disancorata dal limitato orizzonte dell’accertamento del mero dovere di

provvedere, investe i contenuti sostanziali del rapporto tra cittadino e

Pubblica amministrazione”. Si conferma, perciò, che il giudizio sulla

fondatezza dell’istanza previsto dal nuovo art. 2 comma 6 L. 241 del 1990

è ammissibile laddove non comporti valutazioni di natura discrezionale

proprie della p.a. e, di conseguenza, quando l’attività cui è chiamata dal

privato sia di natura vincolata. In sostanza il TAR Campania, spesso

contrario alla visione dell’Adunanza Plenaria in materia, è stato il primo

organo giurisdizionale a prendere posizione sulla natura facultizzante del

nuovo disposto ancorando i poteri cognitori del giudice al tipo di operato

che gli organi amministrativi sono chiamati a compiere, concetto

facilmente condensabile in tal senso:

attività vincolata P.A./sindacabilità della fondatezza dell’istanza –

attività discrezionale P.A./sindacabilità del solo comportamento inerte.

Certamente, però, non si possono tacere gli assunti sopra detti di chi

ritiene questo tipo di potere legato anche ai vincoli temporali e di forma del

procedimento ex art. 21bis L. 1034 del 1971. Per questo può dirsi che oltre 113 “il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell’istanza”114 In ciò evidentemente risolvendosi l’opzione valutativa prevista dalla nuova disposizione e la conseguente valutazione facultizzante rimessa all’apprezzamento del giudice amministrativo.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

89

all’apposita richiesta del ricorrente e la natura vincolata dell’attività della

Pubblica Amministrazione convenuta, condizione necessaria perché il

giudice possa decidere di conoscere della bontà dell’istanza è la pronta

risolvibilità della questione nel senso della immediata e manifesta

fondatezza o meno della pretesa che chi ricorre vanta verso la p.a..

Al ricorrere di tali tre elementi, perciò, il giudice estenderà la sua

cognizione al merito e ordinerà alla p.a. di emanare un provvedimento

secondo le modalità stabilite in sentenza. Una volta chiarita la portata

dell’assunto “può conoscere” e stabilito che va riferito ai soli casi di attività

vincolata della p.a., appare opportuno verificarne le conseguenze sul piano

pratico. Chi scrive ritiene che il fulcro della questione sia capire la natura

costitutiva o meno dell’ accertamento in questione. O meglio capire se alla

luce del nuovo art. 2 comma 6 L. 241 del 1990 la conoscibilità della

fondatezza dell’istanza permetta al g.a. di provvedere in luogo della

Pubblica Amministrazione precludendo così lo svolgimento pieno della

procedura ex art.21bis L. 1034 del 1971.

Che valore avrà nell’economia del processo il nuovo potere riconosciuto

al giudice dall’art. 2 comma 6?

Se si opta per la natura costitutiva della valutazione in questione, allora

su di essa graverà l’intero esito della procedura. Si è detto, infatti, che

qualora il g.a. accertasse l’infondatezza della pretesa di chi ricorre potrà

dichiarare il ricorso inammissibile perché alla base del provvedimento che

si chiede alla p.a. non c’è un interesse concreto, fondato. In tal caso il

giudizio come prospettato dall’art. 21bis L. 103 del 1971 non seguirà più il

suo corso. Infatti il provvedimento del g.a. dichiarante l’infondatezza

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

90

dell’istanza andrà direttamente a sostituire il comportamento 115 della P.A.

e costituirà di per sé titolo esecutivo nei confronti del privato che si vedrà

negato, così, il diritto alla conclusione espressa del procedimento anche se

beneficerà di un notevole risparmio in termini processuali. In tal modo,

infatti, basterà ricorrere in appello al Consiglio di Stato contro la pronuncia

del TAR, laddove se si intimasse alla P.A. di emettere un provvedimento

negativo si dovrebbe ricorrere contro quest’ultimo al TAR e poi

eventualmente al Consiglio di Stato.

Lo stesso è a dirsi qualora emerga la fondatezza dell’istanza del privato

visto che, come sostenuto dal TAR Campania, le risultanze della

valutazione ex art. 2 comma 6 L. 241 del 1990 sono “pienamente

satisfattive” della posizione di chi ricorre. Tale connotazione varrebbe così

ad escludere un successivo intervento della P.A. azionato in seguito

all’intimazione a provvedere che sarebbe, perciò, superfluo in quanto

interverrebbe su di una situazione già pienamente soddisfatta dal giudice.

Se, invece, si da a questa valutazione valore puramente

accertativo/conoscitivo le conseguenze sono diverse. In tale ipotesi, infatti,

oggetto principale del giudizio instauratosi innanzi al g.a. è l’accertamento

dell’illegittimo comportamento inerte della Pubblica Amministrazione. La

verifica sul bontà della pretesa, allora, una volta appurato l’inadempimento

a provvedere, servirà semplicemente a stabilire cosa intimare alla P.A., un

provvedimento positivo o negativo. Perciò nessun riflesso si avrà

sull’intera procedura prevista per il silenzio perché il fulcro del giudizio è il

comportamento tenuto dalla p.a.. Si arriverà, così, alla sentenza

succintamente motivata che imporrà alla p.a. di emanare un provvedimento

che abbia un contenuto nel senso accertato in corso di causa.

115 stante la carenza di interesse all’azione

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

91

Tra le due opzioni è preferibile quest’ultima giacché vede comunque

garantito, anche in caso di infondatezza dell’istanza, il diritto alla

conclusione espressa del procedimento amministrativo. La giurisprudenza,

specialmente quella che è stata sempre contraria alla possibilità di un tale

tipo di giudizio non tarderà ad esprimersi, forte della decisione 1del 2002

dell’Adunanza Plenaria. Rispetto al passato si registra ora il recente dato

normativo che, se di certo non brilla come abbiamo visto per chiarezza,

purtuttavia è lì ad ammettere la possibilità di un tale sindacato, possibilità

che andrà ulteriormente verificata, chiarita e vagliata.

5. Il commissario ad acta

Tale figura, prima della legge n. 205 del 2000, non era mai stata

prevista esplicitamente da nessuna legge sul processo amministrativo;

tuttavia si riteneva di potersi ricorrere in virtù della giurisdizione estesa al

merito del giudice116 dell’ottemperanza ex art. 27, n. 4 T.U. Cons. di Stato.

Opportunamente, la giurisprudenza ha ritenuto che la nomina del

commissario non esaurisce i poteri del giudice amministrativo il quale

continuerà ad esercitare poteri di vigilanza sull’operato del commissario,

anche d’ufficio; a volte viene addirittura previsto che, al termine

dell’attività del commissario venga comunque fissata un’udienza per

verificare la corretta esecuzione della sentenza117.

116 Pelillo, Il giudizio di ottemperanza alle sentenze del giudice amministrativo, Milano, 1990, 294 ss.117 Cons. di Stato, sez. V, 5 magio 1993, n. 543, Giust. civ., 1993, I, 2283; sez. VI.,7 ottobre 1987, n.811, Cons. di Stato, 1987, I, 1483; sez. VI, 9 giugno 1986, n. 412, 6 Cons. di Stato, 1986, I, 894

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

92

La nomina del Commissario ad acta non si è mai imposta, prima della

nuova legge, in termini di necessità per il giudice ma dipendeva da una

valutazione di118 opportunità compiuta da quest’ultimo; il giudice poteva

anche decidere di sostituirsi direttamente all’amministrazione inadempiente

al giudicato, procedendo anche a valutazioni di tipo discrezionale, sul

presupposto che il significato originario della giurisdizione di merito si

rifacesse ad una logica di piena fungibilità tra attività119 giudiziaria e potere

amministrativo . Inoltre, la figura del Commissario ad acta è stata oggetto

di varie120 interpretazioni.

Secondo alcuni dovrebbe essere considerato come organo

amministrativo straordinario, sostitutivo, solo per l’esecuzione della

sentenza, agli organi amministrativi competenti in via ordinaria con la

conseguenza che sarebbe in grado di procedere anche alle valutazioni più

discrezionali, senza coinvolgere la responsabilità del giudice ma con la

considerazione che i suoi atti, in quanto normali atti amministrativi,

dovrebbero essere impugnati davanti al giudice secondo le regole121

generali con il rischio di far diventare il giudizio di ottemperanza

nient’altro122 che “la frazione di un contenzioso teoricamente infinito”.

118 C. Cass., S.U., 28 giugno 1991, n. 7226, Giust. Civ., 1992, I, 759, con nota di Chirulli119 Cons. di Stato., sez. VI, 19 gennaio 1995, n. 1, Giornale dir. ammin., 1995, 976, con nota di Travi120 Giacchetti, Il commissario ad acta nel giudizio di ottemperanza: si apre un dibattito, in Foro amm., 1986, 1967; Maffezzoni, Ancora sulla natura e funzione esclusivamente giurisdizionale del giudizio di ottemperanza, Foro amm., 1987, 2851; Maurizzo, Il commissario nel giudizio di ottemperanza, Il giudizio di ottemperanza, cit., 243 ss. 121 Cons. di Stato., sez. V, 6 novembre 1990, n. 70, Giur. it., 1991, III, 1, 24.122 Travi, Lezioni cit., 242; Id., L’esecuzione cit., 2548

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

93

La seconda tesi lo ha inquadrato come un ausiliario del giudice, in un

ruolo123 simile a quello del consulente o del perito nel processo civile; i

suoi atti non sarebbero giurisdizionali, ma andrebbero comunque

inquadrati nelle vicende del giudizio di esecuzione, con la conseguenza

che la tutela nei loro confronti dovrebbe124 essere svolta nello stesso

giudizio e rivolta al giudice dell’ottemperanza.

Mediando fra queste due interpretazioni estreme, si segnalano indirizzi

interpretativi che hanno proposto di scindere l’attività del Commissario ad

acta tra attività meramente adempitiva dei precetti contenuti in sentenza e

adempimenti ulteriori: la prima fase sarebbe sottoposta alla verifica del

giudice dell’ottemperanza, la seconda, caratterizzata come attività

amministrativa ordinaria, rimarrebbe soggetta ad125 impugnazione,

conformemente alle regole generali. Tale soluzione è stato accantonata per

la difficoltà concreta di distinzione tra i due ordini di attività e per il fatto

123 Cons. di Stato, sez. V, 7 ottobre 1996, n. 1202, Cons. di Stato, 1996, I, 1498 ove si sottolinea che la qualificazione come organo ausiliario del giudice comporta che il Commissario nell’esercizio della sua funzione sia assolutamente svincolato dai criteri precedentemente seguiti dall’amministrazione nell’esercizio della funzione amministrativa; sez. VI, 7 luglio 1990, n. 696, Foro amm., 1990, 1767. 124 Cons. di Stato, sez. V, 14 luglio 1997, n. 826, Giur. it., 1998, 1056, con nota di Cannada Bartoli; sez. V, 28 febbraio 1995, n. 298, Cons. di Stato, 1995, I, 232; sez. VI, 7 febbraio 1995, n. 153, Cons. di Stato, 1995, I, 247; sez.V, 27 marzo 1992, n. 259, Foro amm., 1992, 523; sez. VI, 12 novembre 1990, n. 963, Cons. di Stato, 1990, I, 1459; Cons. giust. amm., 29 giugno 1989, n. 238, Cons. di Stato, 1989, I, 852; C. St., sez. IV, 20 magio 1987, n. 297, Foro amm., 1987, 976, con nota di Cannada Bartoli. Cfr., Malinconico, L’impugnazione degli atti commissariali nel giudizio di ottemperanza alle sentenze del giudice amministrativo, Dir.proc.amm., 1993, 465 ss. 125 Cons. di Stato, sez. V, 27 novembre 1989, n. 771, Foro it., 1991, III, c. 15; sez. V, 11 luglio1985, n. 259, Cons. di Stato., 1985, I, 720; Cons. giust. amm., 31 magio 1984, n. 61, Foro it., 1985, III, c. 100, in base alla quale le contestazioni contro l’attività del Commissario, fondate su ragioni diverse da quelle della violazione di giudicato, avrebbero dovuto essere proposte con impugnazione secondo il rito ordinario. Si è parlato, a questo proposito, di organo dimidiato: cfr., T.A.R. Lazio, sez. II, 12 magio 1988, n. 681, Foro amm., 1989, 1176; T.A.R. Campania, sez. I, Napoli, 5 febbraio 1985, n. 60 la quale prevede che le eventuali contestazioni contro l’operato del Commissario effettuato in quanto organo straordinario dell’amministrazione, vadano proposte tramite l’ordinario ricorso giurisdizionale

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

94

che, in certi casi, il problema avrebbe finito con il rendere

necessariamente126 esperibili entrambi i rimedi giurisdizionali.

Ancora, l’art. 2 prevede che, in caso di accoglimento, totale o parziale il

giudice “ordini” all’amministrazione di adempiere. Qualora quest’ultima

non provveda il giudice, su richiesta di parte , nominerà il commissario che

provvederà “in luogo” della stessa. Il problema che si pone, specialmente

nei confronti del silenzio rifiuto, riguarda il significato da attribuire alla

previsione normativa avendo presenti le incertezze che caratterizzano il

contenuto concreto della pronuncia giudiziale correlate a quelle relative alla

natura del Commissario ad acta e, conseguentemente, ai suoi atti.

Se il contenuto della sentenza del giudice si limitasse ad imporre il mero

obbligo di provvedere in capo all’amministrazione e se considerassimo il

commissario come un organo ausiliario del giudice, e quindi come

rappresentante il potere giudiziario, titolare di poteri facenti comunque

parte del giudizio di esecuzione, si concretizzerebbero i medesimi dubbi

che investono il problema della sostituzione del giudice

all’amministrazione. In particolare i dubbi riguarda no i profili

discrezionali dell’attività amministrativa, e quindi la possibilità che il

provvedimento del commissario possa spingersi oltre un mero

adempimento del disposto contenuto nella sentenza del giudice.

Nel caso in esame il giudice amministrativo non è chiamato a stabilire

se la pretesa del ricorrente, rispetto a cui l’amministrazione è rimasta 126 Sull’esclusione della possibilità di proporre, con un unico atto, sia il ricorso per l’ottemperanza che il ricorso ordinario cfr., Cons. di Stato, sez. V, 6 aprile 1998, n. 430, Foro amm., 1998, 1053, (ivi anche con riferimento alla possibilità di conversione del ricorso per l’ottemperanza in ricorso ordinario).

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

95

silente, sia o meno fondata, onde poi “etichettare” il suo silenzio come

legittimo o illegittimo (nel postulato di fondo che, nei confronti di una

richiesta illegittima, non sussiste la illegittimità del silenzio); il giudice

deve solo prendere atto che il privato ha domandato all’amministrazione e

questa non ha risposto. La norma, se così interpretata, si porrebbe in stretta

relazione con il disegno della legge n. 241 del 1990 laddove impone

all’amministrazione di provvedere con atto espresso: già in questa legge di

dieci anni fa può infatti cogliersi lo sforzo legislativo di espungere il

silenzio dalle modalità operative della pubblica amministrazione. Di

conseguenza, l’art. 2 avrebbe solo la finalità di incalzare la pubblica

amministrazione silente, predisponendo uno stimolo processuale che

imponga all’amministrazione di rispondere espressamente, pena la sua

sostituzione con il Commissario ad acta: si escluderebbe l’esame nel merito

da parte del giudice, e quindi anche da parte del commissario, chiamati solo

ad affermare che sussiste l’obbligo formale della pubblica amministrazione

di rispondere. Se così fosse, sarebbe legittimo sostenere che, dal punto di

vista della tutela degli interessi del ricorrente, la nuova legge

non abbia innalzato il livello di efficacia delle tutela stessa.

Al contrario, se si volesse considerare il commissario come un organo

amministrativo straordinario, allora occorrerebbe configurare il suo

provvedimento come amministrativo a tutti gli effetti; in quanto tale dovrà

necessariamente adempiere al giudicato, limitato ad imporre

all’amministrazione di provvedere, ma potrebbe spingersi oltre, in

un’ottica di effettiva soddisfazione del la richiesta del privato127.

127 Cfr., T.A.R. Campania, sez. Salerno, 6 luglio 1993, n. 406, TAR , 1993, I, 3367, ove si afferma che l’attività del Commissario andrebbe idealmente divisa in due parti di cui, l’una connessa al comando del giudice per l’ottemperanza, l’altra di spettanza esclusiva del Commissario in quanto organo straordinario dell’amministrazione. Quindi, nel caso di silenzio dell’amministrazione, qualora il giudice abbia disposto

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

96

Proseguendo nel ragionamento, se il privato non fosse soddisfatto del

provvedimento del commissario potrebbe far valere le sue doglianze solo in

sede di nuovo giudizio di legittimità. Se prendessimo come riferimento la

sentenza del giudice amministrativo idonea a coinvolgere anche la

fondatezza della richiesta, anche qui il discorso si dipartirebbe a seconda

della natura riconosciuta al commissario. Qualora in quest’ultimo voglia

vedersi l’ausiliario del giudice, allora il contenuto del provvedimento

adottato riguarderebbe solo ed esclusivamente la possibilità di sostituirsi

all’amministrazione inadempiente al giudicato amministrativo, in stretta

aderenza alle disposizioni di quest’ultimo. Al contrario, se si volesse

considerare il commissario come un organo amministrativo straordinario,

allora occorrerebbe ammettere che il suo provvedimento dovrà, prima di

tutto, necessariamente adempiere al giudicato, ma potrebbe spingersi oltre

caratterizzando l’emanando provvedimento ancora in senso più o meno

favorevole alla richiesta del privato, in quanto le sue valutazioni sono da

considerare amministrative a tutti gli effetti e quindi censurabili con

l’esperimento di un nuovo giudizio di legittimità.

L’ultimo comma dell’art. 2 prevede che il commissario, all’atto

dell’insediamento, e preliminarmente al provvedimento da adottare in via

sostitutiva, debba accertare se l’amministrazione abbia provveduto tra il

tempo antecedente all’insediamento medesimo, anche se successivamente

al termine assegnato dal giudice amministrativo con la decisione prevista al

secondo comma (adempimento medio128 tempore).

la nomina del Commissario affinché adotti un provvedimento motivato ed esaustivo, senza in alcun modo predeterminarne il contenuto sostanziale, si ritiene che il Commissario non sia un organo ausiliario del giudice, abilitato solo a ripeterne le direttive puntuali nel mero senso di accoglimento o reiezione, bensì, in quanto organo straordinario dell’amministrazione, si sostituisce a quest’ultima per compiere le relative valutazioni ed attività.

128 Nel caso in cui, dopo la sentenza, risulti controverso se l’amministrazione abbia provveduto ovvero abbia emesso un provvedimento meramente dilatorio con conseguente intervento del commissario ad

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

97

Tale previsione può fungere da indice rivelatore dell’intenzione del

legislatore di favorire il più possibile l’intervento diretto

dell’amministrazione, prevedendo comunque il meccanismo dell’intervento

sostitutivo, ma considerandolo come ultima possibilità. Un ulteriore indizio

in questa direzione è rinvenibile nel secondo com. dell’art.2 della l. n. 205

del 2000, laddove si prevede che, anche in caso di accoglimento totale del

ricorso, il giudice “ordini” all’amministrazione di provvedere entro un

certo termine stabilito.

Secondo certa dottrina questa previsione, nel ricorso contro il silenzio,

elimina la praticabilità della sentenza costitutiva, direttamente attributiva

del bene della vita, almeno nella fase della cognizione; la sentenza di

accoglimento del ricorso, che riconosce l’illegittimità dell’inerzia

mantenuta dall’amministrazione, sarà sempre una pronuncia di

accertamento accompagnata da un capo di condanna ad un facere (ordine di

provvedere) soggetto a varie gradazioni d’intensità a seconda che si tratti di

una accoglimento parziale, nei due significati che abbiamo visto, o di un

accoglimento129 totale .

Dopo aver analizzato il con tenuto della norma, ci si accorge di come i

problemi principali legati al giudizio contro il silenzio rifiuto restino

sostanzialmente aperti e irrisolti.

La procedura introdotta ha il pregio della celerità perché consente,

teoricamente, di arrivare ad una definizione della controversia in termini

molto brevi. In realtà tale accelerazione serve a poco se poi la sentenza

acta, certa dottrina ritiene che q uest’ultimo in quanto ausiliario del giudice debba investire della questione la sezione che lo ha nominato onde ricevere le indicazioni del caso. Cfr., Iaria Il ricorso cit., 1078.

129 La procedura illustrata segnerebbe il “trionfo” della sentenza di accert amento/ condanna. Cfr., Sassani, Prime considerazioni cit., 458.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

98

ottenibile si limita alla dichiarazione della sussistenza di un obbligo di

provvedere in capo all’amministrazione; la conclusione non muterebbe

anche nel caso in cui la decisione giudiziale potesse spingersi fino alla

precisa definizione delle modalità e dei tempi dell’adempimento, se poi si

stabilisce che il giudice debba sempre “ordinare” all’amministrazione di

provvedere, escludendo, par e totalmente, la possibilità di intervenire

direttamente alla soddisfazione dell’interesse fatto valere dal ricorrente.

Il problema si sposta “in avanti”: se è vero che il giudice può solo

ordinare all’amministrazione di provvedere e se è vero che, in caso

d’inadempimento al Giudicato della sentenza da parte

dell’amministrazione, il giudice deve necessariamente procedere alla

nomina di un Commissario ad acta, potrebbe succedere anche qui che il

ricorrente non sia soddisfatto dal provvedimento emesso dal Commissario

o, per quella giurisprudenza che ritiene che l’amministrazione possa

sempre provvedere anche130 successivamente alla nomina del Commissario,

dall’amministrazione.

A questo punto pare difficile negare al giudice dell’ottemperanza, in

sede di conte stazione dell’operato del Commissario, il potere di procedere

direttamente all’assunzione del provvedimento atteso dal ricorrente che

nonostante abbia avuto ragione in sede di giudizio di cognizione non è

ancora riuscito ad ottenere ciò che gli131 spetta. Questa conseguenza

130 195Cfr., Cons. di Stato, sez. V, 3 febbraio 1999, n. 109, Foro amm., 1999, 339, ove si ricollega la possibilità per l’amministrazione di adempiere anche dopo la nomina del Commissario ai principi d’economicità e del buon andamento, essendo indifferente per il privato che il giudicato sia ottemperato dalla p.a. piuttosto che dal Commissario in quanto entrambi resterebbero soggetti, con le stesse modalità, al controllo del giudice per l’ottemperanza; T.A.R. Puglia, sez. I, Bari, 26 giugno 1995, n. 664, TAR, 1996, I, 313, che afferma che la nomina del Commissario non fa venire meno il potere né il dovere dell’amministrazione di determinarsi, per cui l’inerzia si ritiene superata anche con un provvedimento negativo esplicito; Cons. di Stato, sez. IV, 4 giugno 1990, n. 448, Foro amm., 1990, 1430. 131 Cfr., Cons. di Stato, sez. IV, 19 luglio 1993, n. 723, Cons. di Stato, 1993, I, 880, ove si afferma che come in sede di cognizione il giudice può solo limitarsi a dichiarare l’obbligo di provvedere su una certa istanza rispetto alla quale l’amministrazione sia rimasta inerte, in sede di ottemperanza, nel caso in cui

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

99

dovrebbe valere a maggior ragione in forza della previsione dell’articolo 7

della legge n. 205/2000 che, al quarto comma, consente al giudice

amministrativo di disporre il risarcimento del danno anche tramite le

reintegrazione in forma specifica quindi di attribuire proprio il

provvedimento che doveva essere emesso dall’amministrazione

inadempiente.

6. Cambiamenti alla legge 241 del 1990 da parte della legge

69 del 2009

A distanza di pochi anni dalle riforme del 2005 la L. 241/1990 sul

procedimento amministrativo subisce dunque ancora nuovi ritocchi, con

l’introduzione ex legge n.69 del 2009 di incisive misure per ridurre e dare

certezza ai tempi dell’azione amministrativa e diminuire il peso della

burocrazia su cittadini ed imprese. Sono stati ripensati alcuni principi e

istituti dei processi decisionali pubblici (e non solo quelli condotti dalle

amministrazioni statali), e dell’attività amministrativa più in generale, così

come disciplinati dalla legge 241 del 1990 concernente disposizioni in

materia di procedimento amministrativo.

Per dare certezza ai diritti degli utenti si prevede ,in maniera inedita, una

tutela risarcitoria a carico dell’amministrazione inadempiente. Il tempo dei l’amministrazione perseveri nel suo inadempimento, potrà adottare provvedimenti direttamente sostitutivi dando piena tutela alla pretesa dell’interessato.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

100

cittadini e delle imprese non rappresenta più quindi una risorsa illimitata da

sprecare, ma un bene da tutelare .

In particolare, è da segnalare che il termine ordinario per la conclusione

dei procedimenti amministrativi passa da novanta a trenta giorni, salvo

diversa previsione di appositi regolamenti; viene formalizzata la previsione

di un risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza

dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del

procedimento; le disposizioni della L. 241/1990 concernenti gli obblighi

per la pubblica amministrazione di garantire la partecipazione

dell’interessato al procedimento, di individuarne un responsabile, di

concluderlo entro il termine prefissato con un provvedimento espresso e

motivato, di assicurare l’accesso alla documentazione amministrativa, sono

considerate formalmente attinenti ai livelli essenziali delle prestazioni di

cui all’art. 117, com. 2, lett. m), della Costituzione.

Quello che colpisce, innanzitutto, è la frequenza degli interventi di

revisione della citata L. 241/1990: già nel 2005, a distanza di pochi mesi,

fra febbraio e maggio, si sono succedute due novelle, parzialmente

contrapposte, la L. 15/2005 e la L. 80/2005, ed ora nuovi, sostanziali

interventi modificativi, volti alla definizione di una pubblica

amministrazione ancor più responsabile efficiente ed orientata al risultato.

Reiterati adattamenti, dunque, a riprova di quanto, con efficacia pari ad

autorevolezza, è stato detto, che il procedimento amministrativo in quanto

luogo di definizione di interessi pubblici rappresenta un fenomeno sociale

che richiede flessibilità e capacità di evoluzione e in quanto tale male si

presta ad essere cristallizzato nelle maglie strette di una specifica disciplina

normativa (Giannini).

Si fornisce ora un prospetto sintetico delle principali novità:

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

101

a) principi del procedimento. Nella L. 241/199, all’art. 1, il legislatore

ha inserito il crietrio di imparzialità, che va ad aggiungersi a quelli di

economicità, efficacia, pubblicità e trasparenza e sollecita i privati, preposti

all’esercizio di attività amministrative, alla garanzia del rispetto non solo

dei principi ma anche dei suddetti criteri in tema di procedimento

amministrativo;

b) tempi del procedimento. Si stabilisce che il procedimento deve

concludersi con un provvedimento espresso entro trenta giorni e che, solo

in particolari ipotesi, disciplinate mediante regolamenti (da adottarsi con

D.P.C.M. in base all’art. 17, co. 3, L. 400/1988), è possibile stabilire un

termine diverso, ma non superiore a centottanta giorni, con la sola

esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di

quelli riguardanti l’immigrazione. La sospensione dei termini di

conclusione del procedimento, per l’acquisizione di certificazioni relative a

stati, fatti o qualità, può essere disposta per una sola volta e per un periodo

non superiore a trenta giorni. Il decorso dei termini senza che si sia

concluso il procedimento, legittima il ricorso (purché avanzato entro un

anno dalla loro scadenza) avverso il silenzio dell'amministrazione

inadempiente anche in assenza di diffida ad adempiere;

c) responsabilità dirigenziale. E previsto che la mancata emanazione del

provvedimento nei termini costituisca un elemento di valutazione dei

dirigenti, come pure il mancato rispetto dei termini per la conclusione dei

procedimenti e peraltro rilevante ai fini della corresponsione della

retribuzione di risultato;

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

102

d) tutela risarcitoria. Il neo introdotto art. 2 bis L. 241/1990 è volto a

tutelare il privato, sancendo il principio del risarcimento da parte delle

pubbliche amministrazioni del danno ingiusto, cagionato dall'inosservanza

dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. In questo

modo il mancato rispetto dei termini apre la via alla tutela risarcitoria ed

espone l’amministrazione a responsabilità per omissione;

e) tutela processuale. L’intervento di riforma, nel sancire la

responsabilità della pubblica amministrazione, tratta insieme della tutela

processuale. Vi si attribuiscono le controversie in materia di risarcimento

del danno ingiusto da ritardo alla giurisdizione esclusiva del giudice

amministrativo. Il termine di prescrizione previsto è di cinque anni per

l’azione di risarcimento del danno prevista dal comma 1 del nuovo articolo

2-bis succitato;

f) attività consultiva. Viene modificato l'art. 16 L. 241/1990,

prevedendo la riduzione del termine di quarantacinque giorni dalla richiesta

che le P.A. hanno a disposizione per rendere i pareri obbligatori a venti

giorni dalla richiesta. Il comma 2 dell’art. 16 della legge n. 241 dà facoltà

all’amministrazione di procedere nel caso in cui, decorso il termine

prescritto, il parere non sia stato reso. A tal proposito è stabilito che se si

tratta di pareri obbligatori la pubblica amministrazione conserva la facoltà

di proseguire nel procedimento, mentre se si tratta di parere facoltativo

l'amministrazione ha, invece, l’obbligo di procedere;

g) dichiarazione di inizio attività. Viene ristretto l’ambito di

applicazione dell’istituto, escludendone l’operatività nei procedimenti

amministrativi in materia di asili e cittadinanza e, ancora , quale elemento

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

103

di novità, è previsto che dalla data di presentazione della dichiarazione di

inizio attività possa essere incominciata l’attività, in via immediata ( senza

attendere i trenta giorni attualmente previsti), ove la dichiarazione abbia ad

oggetto l'esercizio di attività di impianti produttivi o di prestazione di

servizi, ivi compresi gli atti che dispongono l’iscrizione in albi o ruoli o

registri ad efficacia abilitante.

Circa l’ambito di applicazione della L. 241 del 1990 le disposizioni

recate dalla L. 69 del 2009 si applicano a tutte le amministrazioni

pubbliche, sia alle amministrazioni statali che agli enti pubblici nazionali,

oltre che alle società a totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente

all’esercizio di funzioni amministrative, in quanto attinenti ai livelli

essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono

essere garantiti su tutto il territorio nazionale. L’articolo 10 della legge di

riforma, novellando il comma 1 dell’art. 29 L. 241/1990 stabilisce poi che

alcune disposizioni della legge n. 241 si applichino direttamente a tutte le

amministrazioni pubbliche, comprese regioni ed enti locali.

7. Il mutamento di rito ed i motivi aggiunti nell'ambito del

giudizio avverso il silenzio

La tesi giurisprudenziale rigorosa, muovendo dalla premessa secondo la

quale il rito del silenzio e utilizzabile non per l'accertamento della

fondatezza della pretesa ma per l'indagine sulla mera violazione del termine

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

104

legale, esclude la possibilità di conversione del rito speciale sul silenzio

della p.a., previsto dall'art. 21 bis legge 6 dicembre 1971 n. 1034, in quello

ordinario.

Si è al riguardo osservato che “ la diversità degli oggetti giuridici due

giudizi” (quello ordinario, incentrato sul provvedimento e quello ex art. 21

bis legge n. 1034 del 1971 sul silenzio), nonché la specialità di quest'ultimo

giudizio, porta ad escludere, anche per evitare facili elusioni dei tempi

ordinari di trattazione delle controversie: a) che possano proporsi motivi

aggiunti avverso il provvedimento amministrativo sopravvenuto nel corso

dei giudizio instaurato ex art. 21 bis legge n. 1034/1971; b) che sia

ammissibile la conversione del ricorso speciale in ricorso volto ad

introdurre un giudizio ordinario di legittimità132.

Più possibilista è apparsa altre fetta della giurisprudenza a tenore della

quale il rito speciale previsto dall'art. 21 bis legge 6 dicembre 1971 n. 1034,

introdotto dall'art. 2 legge 21 luglio 2000 n. 205, può essere convertito in

quello ordinario tutte le volte che, attraverso la proposizione di motivi

aggiunti, si riporta nel thema decidendum un provvedimento che si pone in

rapporto di connessione diretta, oggettiva e soggettiva, con il

comportamento asseritamente omissivo della p.a. . Il limite a tale

conversione e costituito solo dalia rigorosa tutela dei diritti processuali

posti a garanzia della difesa di tutti i soggetti controinteressati, rispetto alla

pretesa fatta valere dal ricorrente133 .

132 Cons. di Stato, sez. IV, 11 giugno 2002, n. 3256. E esclusa poi la possibilità di promuovere due azioni sottoposte a riti diversi da Cons. di Stato, sez. IV 23 aprile 2004, n. 23S5, in Cons. di Stato, 2004, I, 896.133 Cons. di Stato, sez. V, 10 aprile 2002, n. 1974; Tar Veneto, sez. I, sent. 2 aprile 2003 n. 2186: “ Va disposta la trasformazione dello speciale rito in materia di silenzio della p.a.- ex art. 21 bis legge 6 dicembre 1971 n. 1034, introdotto dall'art. 2 legge 21 luglio 2000 n. 205-in quello ordinario, con successiva fissazione dell'udienza di merito, nel caso in cui il ricorso giurisdizionale sia stato proposto innanzi al G.A. utilizzando lo schema del ricorso contro il silenzio dell'amministrazione ex art. 21 bis legge 6 dicembre 1971 n. 1034, mentre, in relazione alla situazione sostanziale dedotta in giudizio non si

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

105

Conclusioni

Fin dalla sua creazione con l’istituzione della IV sezione del Consiglio

di Stato nel 1889, l’assetto della giustizia amministrativa è stato impostato

come possibilità di reazione, da parte del privato, contro gli effetti

costitutivi illegittimi di un atto o provvedimento dell’amministrazione. Di

conseguenza sembrava opportuno che anche la tutela giudiziale presentasse

il medesimo carattere costitutivo; quindi, con l’impugnazione, si poteva

ottenere l’annullamento dell’atto viziato, e conseguentemente, dei suoi

effetti, riportando la situazione di fatto a quella antecedente il

provvedimento.

Il privato poteva ritenere efficiente tale tipo di tutela nel caso in cui la

sua pretesa si presentasse come meramente rivolta alla conservazione dello

stato di fatto e di diritto esistente prima dell’intervento amministrativo,

quindi qualora il suo interesse fosse di semplice natura oppositiva

identificabile, ad esempio, nei confronti di un provvedimento

espropriativo. Nel momento in cui le esigenze concrete del cittadino

denunciano il bisogno di ottenere qualcosa in più dall’amministrazione,

non quindi in una logica di mera difesa dall’ingerenza pubblica, bensì di

pretesa, diventa evidente come la tutela tipica apprestata dalla giustizia

amministrativa appaia scarsamente incisiva: in presenza di un interesse

pretensivo, l’annullamento del provvedimento non attribuisce direttamente

al privato l’utilità attesa ma, al contrario, riportando la situazione alla status sia presenza di un effettivo silenzio della p.a., bensì di atti espliciti con cui viene manifestata la volontà dell'amministrazione; in tale ipotesi il ricorso va dichiarato inammissibile nella parte relativa alla domanda di accertamento dell'illegittimità del silenzio, mentre, per la restante parte (domanda di annullamento), va disposta la separazione della causa e la trasformazione del rito in quello ordinario, con successiva fissazione dell'udienza di merito ”.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

106

quo ante, lo obbliga ad iniziare da capo la procedura se vuole raggiungere il

risultato sperato.

Il modello impugnatorio lascia così scoperte situazioni importanti che

per essere adeguatamente tutelate necessitano anzitutto di strumenti idonei

a vincolare l’amministrazione anche in sede di riesercizio del potere e che

consentano all’interessato di presentare la domanda più consona al tipo di

esigenza fatta valere.

Si è cercato di sottolineare come, ancora più grave, sia la situazione in

cui, alla richiesta presentata dal privato non sussegua alcun provvedimento

da parte dell’amministrazione.

Salvo i casi in cui è la legge ad attribuire al comportamento silente

dell’amministrazione significati specifici, come nel caso del silenzio

accoglimento o diniego, nel caso di inerzia il cui significato non venga

tipizzato dal legislatore, il richiedente si trova in una situazione sprovvista

di mezzi improntati ad una tutela sostanziale della propria posizione

giuridica.

L’inadeguatezza sorge dalla constatazione che non è possibile annullare

un qualcosa che, di fatto, non è mai intervenuto a disciplinare il caso

concreto e che un’eventuale equiparazione tra comportamento concludente

dell’amministrazione e provvedimento formale della stessa non è

ammissibile nemmeno a livello di finzione giuridica, nonostante la ratio di

questa finzione risiedesse proprio nell’intenzione di potenziare il livello di

effettività della tutela dell’interesse legittimo fatto valere con il ricorso e

fondante la pretesa del soggetto.

Proprio la concezione del l’interesse legittimo come dotato di spessore

anche sostanziale ha contribuito a trasformare, o meglio a cercare di

mitigare, la rigida configurazione del processo amministrativo di

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

107

legittimità, ammettendo anche la possibilità che l’esame del giudice possa

investire la globalità del rapporto amministrativo e quindi porsi come

effettivamente utile alla realizzazione dell’interesse legittimo del ricorrente.

Di tali qualità sembra essere dotata l’azione di accertamento,

quest’ultima intesa, con riferimento all’inerzia amministrativa, come la

concreta possibilità di fare accertare, da parte del giudice, un

inadempimento con conseguente fissazione di parametri o vincoli che

l’amministrazione, nel suo futuro attivarsi dovrà rispettare: l’eventuale

mancata osservanza di tali indici non costituirà semplice reiterazione

nell’inadempimento, ma configurerà l’ipotesi assai più grave di violazione

del giudicato amministrativo.

L’accertamento dell’illegittimità dell’inadempimento da parte

dell’amministrazione non è fine a se stesso. Se ci si limitasse a questo si

potrebbe addirittura dubitare della sussistenza dell’interesse ad agire in

capo al privato. In realtà quest’ultimo intende provocare una pronuncia

ulteriore da parte del giudice, che tenda più propriamente ad una condanna,

con la quale imporre all’amministrazione di tenere un certo

comportamento.

Tuttavia, tale ulteriore prerogativa riconosciuta al giudice non viene

accolta pacificamente, anzi si segnalano indirizzi contrastanti in

giurisprudenza, il cui orientamento maggioritario limita il potere del

giudice ad una dichiarazione giudiziale dell’obbligo di provvedere, salvo

qualche apertura verso l’esame nel merito in presenza di attività

amministrativa vincolata, rispetto alla quale l’attività giudiziale non si

presenterebbe come innovativa, ma semplicemente come applicativa della

normativa vigente: in questi casi, l’intervento del giudice potrebbe molto

più utilmente porsi, non solo come dichiarazione giudiziale dell’obbligo di

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

108

provvedere, ma come una pronuncia avente l’attitudine di giudicare della

fondatezza della pretesa avanzata e quindi la capacità di sostituirsi al

provvedimento amministrativo, senza per questo sacrificare il risultato

atteso dal ricorrente. Con questo s’intende dire, ovviamente, che anche il

provvedimento del giudice potrà dichiarare l’infondatezza della pretesa

fatta valere con il ricorso, ma almeno sarà una pronuncia intervenuta dopo

un esame effettivo della situazione concreta.

Le motivazioni accennate portano all’affermazione di un necessario

“allargamento” del tipo di giudizio amministrativo, che richiede un

distaccamento dal modulo impugnatorio.

L’intervento che sarebbe davvero idoneo ad incidere sull’attuale

configurazione del giudizio amministrativo è quello normativo e quindi un

intervento esplicito e univoco del legislatore in materia. Una riforma

concreta del sistema di giustizia amministrativa avrebbe potuto trovare

compiuta realizzazione nella legge n. 205 del 2000. Invece la sensazione è

che si sia mancata l’occasione di definire, per quanto riguarda il nostro

argomento, in termini chiari ed univoci la disciplina per i ricorsi contro il

silenzio. La nuova legge sulla giustizia amministrativa ha sicuramente il

merito di prendere atto che la produzione silenziosa dell’amministrazione è

un fatto di dimensioni affatto trascurabile e come tale bisognoso di

un’apposita disciplina, non ricavata interpretativamente da disposizioni

riguardanti in prima battuta il provvedimento amministrativo in senso

formale, e poi adattate alle peculiarità del comportamento inerte

dell’amministrazione.

Quello su cui si potrebbe avanzare una critica è l’attitudine delle nuove

prescrizioni ad un’interpretazione non univoca: si stabilisce che i ricorsi

contro il silenzio vengano decisi con sentenza succintamente motivata

senza specificare compiutamente cosa significhi tale previsione; si prevede

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

109

che, qualora il giudice accolga in tutto o in parte il ricorso, ordini

all’amministrazione di provvedere senza specificare in cosa consista

l’ordine giudiziale; si prevede un potere di accertamento in sede di

esecuzione della sentenza, ma non si chiariscono i limiti, o in positivo, le

estensioni di tale potere.

Inoltre, non si può ritenere, nemmeno in via interpretativa, che la nuova

legge si occupi dell’istituto del silenzio assenso, e quindi dell’azione di

mero accertamento, lasciando irrisolte le problematiche relative alla

possibilità di adire il giudice al fine esclusivo di accertare l’assetto della

situazione giuridica così come creatosi in conseguenza dell’operatività

dell’istituto.

La conseguenza è quella di ritenere validi gli orientamenti

giurisprudenziali segnalati in base ai quali l’azione di mero accertamento

sarebbe esperibile solo all’interno della giurisdizione esclusiva e solo con

riferimento ai diritti soggettivi. Il verificarsi di un’ipotesi di silenzio

assenso configura solo un interesse legittimo in capo al privato, con la

conseguenza che l’accertamento della propria situazione giuridica potrà

essere richiesto al giudice amministrativo solo in sede d’impugnazione del

provvedimento che contesti la formazione del silenzio assenso, nel rispetto

del termine di decadenza.

L’impressione che si ha è quella di una presa d’atto della metamorfosi

necessaria e non più procrastinabile del modello di giudizio

amministrativo, anche proprio alla luce del diverso atteggiarsi delle

esigenze odierne dei privati rispetto a cent’anni fa. Nonostante questo, è

come se si volesse contenere il più possibile tale variazione evitando di

prendere posizione in modo chiaro e univoco, ma piuttosto contemperando

le nuove esigenze del privato, che richiedono una tutela qualitativamente

differente, con i principi ispiratori dell’originario sistema impugnatorio,

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

110

con il risultato di un modello ibrido che, come tutte le scelte condizionate,

non può forse soddisfare a pieno nessuna delle parti.

La tutela giurisdizionale e il silenzio della p.a. Kamberaj Besmir

111

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