Consensus. Problemi di origine, tutela processuale, prospettive sistematiche.

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CONSENSUS

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CONSENSUS

CONSENSUSPROBLEMI DI ORIGINE, TUTELA PROCESSUALE

PROSPETTIVE SISTEMATICHE

a cura diCOSIMO CASCIONE e CARLA MASI DORIA

COSIMO CASCIONE

EDITORIALE SCIENTIFICA

NAPOLI 2003

PUBBLICAZIONIDEL DIPARTIMENTO DI DIRITTO ROMANO E STORIA DELLA SCIENZA ROMANISTICA

DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI «FEDERICO II»

es

XVIII

EDIZIONE CURATA DA ELIO DOVERE

Pubblicato dalla Editoriale Scientifica S.r.l.Via Generale V. Giordano Orsini, 42 - 80132 Napoli

Copyright 2003 Editoriale Scientifica S.r.l.ISBN 88-88321-70-5

Opera raccolta nella collana su proposta dei professoriSettimio di Salvo e Aldo Mazzacane

e pubblicata nell’ambito di un PRIN/MURST 2000-2002

Ex dissonis fit unus idemque concentus.

Ai romanistida cui ho imparato.

Ogni studio può essere considerato come il prologo di un’o-pera non scritta: l’autore prova questo sentimento soprattuttonel momento in cui licenzia le ultime bozze per la stampa,quando percepisce l’«opera assente». Il tentativo di compren-sione di un fenomeno (in questo caso giuridico) nella storia nonpuò ridursi solamente ad un ‘libro’: è una parte di vita che s’in-treccia con il passato, il risultato d’una serie di messe a fuoco piùo meno nitide. Staccarsene è aspettativa di comprensione e in-sieme sofferenza per l’incompiutezza.

Questo lavoro ha una genealogia più nobile dei suoi risul-tati. Discende da un suggerimento di Antonio Guarino ad ungiovanissimo Luigi Labruna. Presto quest’ultimo maturò, traNapoli ed Amburgo, altre direttrici di ricerca, che molto hannodato alla romanistica contemporanea. Di quella idea rimase, inLabruna, la convinzione della rilevanza del tema, che vollequalche anno fa (era il giugno del 1997) prospettarmi e poi tra-smettermi, con un invito che impose, a me piuttosto ignaro mabastevolmente temerario, una sfida non facile da vincere. Diquella traditio solo oggi intendo pienamente l’importanza e lacomplessità.

Già agli inizi dello studio, peraltro, la lettura dell’unico con-tributo uscito in volume sul tema, una dissertazione gottingensedi fine Ottocento, mi preoccupò non poco, mostrandomi da unaparte il mare delle fonti, dall’altra il disperato tentativo di or-dinarle. Con le prime canoniche schedature mi si profilavano

davanti da una parte il «fantasma di una Wortmonographie»,dall’altra il valore simbolico del «consenso impossibile». Tra ledifficoltà di organizzazione del lavoro ed i suggerimenti, nu-merosi ed autorevoli, a scegliere una prospettiva (sostanzial-mente: a «tagliare»), mi convincevo della necessità non solodella lettura di tutti i testi in cui comparisse consensus (e con-sentire), di tutti quelli in cui l’accordo privato o pubblico (anchediversamente rappresentato) in qualche modo rilevasse, maanche dell’esigenza di una esegesi (per quanto possibile conte-stualizzante, dal punto di vista giuridico e storico) degli stessi.Insieme si delineava (in qualche punto prendeva realmente ilsopravvento) una visione non meramente ausiliaria della sto-riografia. Oggi presento i primi risultati della ricerca in questolibro, scritto nella Biblioteca del Dipartimento romanistico na-poletano (per me una casa) e nella quiete del Leopold-Wenger-Institut di Monaco. Altri saggi – spero – saranno presto pub-blicati.

Luigi Labruna ha seguito quest’opera per anni, con paternacura e sollecitudine, facendola sua tutte le volte che ne abbiamodiscusso. Tullio Spagnuolo Vigorita, come sempre, ha letto ilmanoscritto: spero di aver posto rimedio ai non pochi punti che,sorridendo (un po’ anche urlando), ha criticato. L’acume e lagrande disponibilità (vorrei dire l’amicizia) di Luigi CapogrossiColognesi mi hanno permesso di individuare alcune debolezzepresenti in prime versioni del lavoro. Ricordo l’importanza diun pomeriggio d’inverno in cui ebbi occasione di raccontare lelinee di un progetto che prendeva forma al professor Guarino,nel suo studio tappezzato di libri (di fronte a me, il mare diNapoli); d’una lunga luminosa passeggiata estiva, con OkkoBehrends, sulle montagne bavaresi. In ogni modo mi ha aiutatoCarla Masi, dandomi forza nelle difficoltà e continua sapientevicinanza.

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L’amicizia di Natale Rampazzo, Fabiana Tuccillo, CarloNitsch, Valeria Di Nisio, Luca Marocco, Alessandro Manni, inquesti anni mi ha reso possibile la discussione continua, in formaseminariale o spontanea, sui temi del consensualismo, ed ha fattosì che questa edizione fosse più corretta e corredata di indici.

27 settembre 2003 [C.C.]

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* L’epigrafe dedicatoria è tratta da Apul. mund. 19. La descrizione del rap-porto tra «opera scritta» e opera assente (o «mai scritta») segue le riflessioni di G.AGAMBEN, Infanzia e storia. Distruzione dell’esperienza e origine della storia (nuovaed. accresciuta, Torino 2001) vii ss. La dissertazione di Hans FRITSCHE, Unter-suchung über die Bedeutung von ‘consensus’ und ‘consentire’ in den Digesten (Berlin1888), è discussa a p. 174 s. L’immagine del «fantasma di una Wortmonographie» èdi A. BERGER, in Studi in onore di S. Riccobono I (Palermo 1936) 590. Il «consensoimpossibile» è quello politico, come letto, nel contrasto tra la visione estetica diHannah Arendt e la prospettiva etica di Jürgen Habermas, da É. DELRUELLE, Le con-sensus impossible (Bruxelles 1993). I miei soggiorni a Monaco, tra il maggio e l’ot-tobre del 2002, sono stati possibili grazie a contributi del CNR e dell’Università degliStudi di Napoli Federico II.

CAPITOLO PRIMO

CONSENSUS

1. Semantica breve e sintassi di consentire/consensus......................... p. 12. La dimensione del diritto privato romano: un quadro delle te-

stimonianze ........................................................................................ » 163. Un esempio di discontinuità nella lingua del diritto: designa-

zioni criminalistiche e penalistiche .................................................. » 28

APPENDICE. Ricorrenze delle voci consensio, consensus, con-sentio nelle fonti giuridiche romane ................................................ » 39

CAPITOLO SECONDO

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE»TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO

1. Introduzione. Le più antiche attestazioni....................................... » 472. L’esperienza della res publica ........................................................... » 613. Consensus universorum..................................................................... » 824. Il consenso gentilizio ........................................................................ » 1275. Il ruolo del consensus nella teoria delle fonti ................................. » 129

CAPITOLO TERZO

NODI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE

1. Sui rapporti tra il consensus politico-costituzionale e la sistema-zione privatistica dei contratti consensuali. Sensus e consensus.... » 161

2. Due teorie generali e l’offensiva interpolazionistica...................... » 1723. L’oggettivizzazione del contractus e la reazione volontaristica .... » 194

INDICE SOMMARIO

4. Tra diritto sostanziale e sistema edittale ......................................... p. 2015. Recenti ed ultime prospettive: il consenso nel contratto .............. » 209

CAPITOLO QUARTO

PROBLEMI DI ORIGINE

1. Mancipatio e consortium: il ruolo del consenso ............................. » 2152. «Una specie di genere letterario» ..................................................... » 2243. Plauto, Catone e le origini della compravendita consensuale ...... » 2474. Il ius vendendi dei praecones cumani .............................................. » 2545. Varrone e l’emptio delle oves............................................................ » 2636. Naturalezza dei rapporti e indeterminazione nominale: emptio

venditio e locatio conductio .............................................................. » 292

CAPITOLO QUINTO

UN TESTO CENTRALE: D. 19.1.38.1 (CELS. 8 DIG.)

1. Il rapporto di fatto e la qualificazione giuridica della fattispecie: un primo approccio........................................................................... » 305

2. La citazione dei giuristi repubblicani e la tradizione del testo..... » 3173. Per una interpretazione (aspetti sostanziali e processuali)............ » 327

CAPITOLO SESTO

IUS GENTIUM

1. L’enigma del ius gentium .................................................................. » 3512. Emptio venditio e permutatio........................................................... » 3723. Il victoriatus di Volusio Meciano..................................................... » 393

CAPITOLO SETTIMO

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO: POSIZIONE TRA LE FONTI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO

1. Premessa: due punti di vista ............................................................. » 3992. L’ordine espositivo da Quinto Mucio a Labeone: prospettive

sistematiche?....................................................................................... » 4003. Le Institutiones di Gaio .................................................................... » 427

VIII INDICE SOMMARIO

4. La tradizione gaiana .......................................................................... p. 4465. Le serie ‘interne’ (emptio venditio - locatio conductio - societas -

mandatum) ......................................................................................... » 4646. L’organizzazione edittale: forme tipizzate e tutela giurisdizio-

nale ...................................................................................................... » 477

INDICI

Autori ....................................................................................................... » 487

Fonti ......................................................................................................... » 503

INDICE SOMMARIO IX

SOMMARIO: 1. Semantica breve e sintassi di consentire/consensus. – 2. La dimensionedel diritto privato romano: un quadro delle testimonianze. – 3. Un esempio didiscontinuità nella lingua del diritto: designazioni criminalistiche e penali-stiche.

1. Semantica breve e sintassi di «consentire»/«consensus». –Il modo verbale consentio (da cui deriva il participio sostanti-vato consensus) è facilmente riconoscibile come prodotto risul-tante dai due elementi semplici che gli danno significato, strut-turato com’è dall’unione della preposizione cum 1 (nella anticae diffusa variante fonetica e grafica con 2, tra l’altro tipica pro-

CAPITOLO PRIMO

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1 Sulla semantica della preposizione è utile, chiara e riporta essenziali rinvii bi-bliografici l’analisi proposta da V. GIODICE-SABBATELLI, Gli ‘iura populi Romani’nelle Istituzioni di Gaio (Bari 1996) 24 s. (e si v. già EAD., ‘Constituere’: dato se-mantico e valore giuridico, in Labeo 27 [1981] 338 ss.; cfr. EAD., Il catalogo degli‘Iura’ e ‘Constituere’ nel proemio delle Istituzioni gaiane, in Il linguaggio dei giu-risti romani. Atti del Convegno internazionale di studi Lecce, 5-6 dic. 1994 a c. diO. BIANCO, S. TAFARO [Galatina 2000]=SFL. 5 [1999] 113 ss.); sostanzialmente se-guita, sul punto, da L. LABRUNA, ‘Civitas, quae est constitutio populi …’. Per unastoria delle costituzioni, in Labeo 45 (1999) 165 ss. [=in Convivenza nella libertà.Scritti in onore di G. Abbamonte II (Napoli 1999) 795 ss.= ‘Civitas quae est consti-tutio populi’ e altri studii di storia costituzionale romana (Napoli 1999) 1 ss.].

2 Equivalente, come si sa, a com- e co- (forme tutte originarie che si conser-vano nei composti: W. M. LINDSAY, Die lateinische Sprache [deutsche Übersetzung,Leipzig 1897, rist. Hildesheim 1984] 272, mentre cum «wurde die anerkannte Formder allein stehenden Präposition»), cfr. ThlL. IV.1339, s.v. «cum». Sul mantenimentodella n davanti alla s nei composti costruiti con prefisso con-, si v. A. TRAINA, G.BERNARDI PERINI, Propedeutica al latino universitario5 a c. di C. MARANGONI (Bo-logna 1995) 64 s. (spec. nt. 3 a p. 65).

prio delle forme composte) e del verbo sentio. A differenza dialtri (come pare quantitativamente prevalenti) composti ver-bali 3 in cui cum è utilizzato in qualità di preverbio meramenteperfettivizzante 4 (modificando dunque solo l’aspetto esterioredel verbo, che mantiene il significato primitivo del tema cui èaggiunto), in consentire la preposizione possiede un forte va-lore lessicale proprio, e lo trasmette così al composto. In talcaso, dunque, riprendendo le parole di Franz Wieacker, «diePräposition ist modal zu fassen» 5.

Come è noto, cum rende (sempre in funzione di preposi-zione isolata, ma in tal caso – lo si è appena accennato – anchecome prefisso), tra l’altro 6 ma soprattutto, il senso della riu-nione, della partecipazione, della compagnia. Sentio, che signi-fica (in primo luogo) «sentire», «percepire con uno dei sensi» 7,

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3 L’uso che qui (come nella letteratura riferita, che invero non si pone nem-meno il problema) si fa della terminologia «composto nominale» e «composto ver-bale» non vuole essere (nell’assenza di un uso rigoroso nella descrizione morfolo-gica latina) significante che esclude i verbi e sostantivi con un prefisso, che dia un‘sema’ al termine considerato nella sua forma semplice (cfr. ad esempio P. FLOBERT,s.v. «Composti verbali», in Enc. Virgiliana I [Roma 1984] 867 s.).

4 Si v., in particolare, l’impostazione di G. DEVOTO, Storia della lingua diRoma I (Bologna 1944, rist. 1983) 115; cfr. al contrario, e decisamente, A. TRAINA,G. BERNARDI PERINI, Propedeutica cit. 215 e nt. 6, che sottolineano l’importanza«dell’originaria accezione di riunione». L’osservazione, comunque, non varrebbeper l’uso come prefisso nominale, ma V. GIODICE-SABBATELLI, Gli ‘iura populi Ro-mani’ cit. 24, che opportunamente nota il problema, ibid. in nt. 28 cita almeno duepresunti «composti nominali» che in realtà sono di chiara derivazione verbale, ecioè comitium (da coire) e compositio (da componere). Per un utile schema morfolo-gico, che distingue la generazione verbale e quella nominale nel secondo membrodei composti, si v. R. ONIGA, I composti nominali latini. Una morfologia generativa(Bologna 1988) spec. 77 ss., 113 ss.

5 F. WIEACKER, ‘Societas’. Hausgemeinschaft und Erwerbsgesellschaft. Unter-suchungen zur Geschichte des römischen Gesellschaftsrecht I (Weimar 1936) 90; na-turalmente lo studioso tedesco teneva ben presente proprio la semantica giuridicadel lemma (studiata sulla base della lingua dei giuristi), sulla quale, più in partico-lare, si v. infra 16 ss.

6 Si v. la sezione de significatione e l’utile dispositio materiae in ThlL. IV.1343s., s.v. «cum».

7 AE. FORCELLINI ET AL., Lexicon totius Latinitatis cur. I. PERIN IV (Bononiae1965) 315 S., s.h.v.: «sentio est sensu percipio»; K.E. GEORGES, H. GEORGES, Aus-führliches Lateinisch-Deutsches Handwörterbuch II (Basel 1951) 2605 ss., s.h.v.:

ha un’interessante etimologia 8, che ne mostra la natura dina-mica (di movimento verso un oggetto), e che, come più da vi-cino si vedrà 9, assume rilevanti connotazioni nel composto che

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«fühlen», «empfinden», «wahrnehmen»; F. CALONGHI, Dizionario latino italiano3

(Torino 1950) 2507, s.h.v.: «sentire, percepire con i sensi, intellettualmente»; OxfordLatin Dictionary (Oxford 1982) 1736 s., s.h.v.: «to perceive by any one of the sen-ses», «to have a sensation of», «feel»; cfr. anche (tra i molti lessici) J. PH. KREBS, An-tibarbarus der lateinischen Sprache II (Basel 1905, rist. Darmstadt 1984) 560, s.h.v.Sulla semantica del termine è ampio e dettagliato il lavoro di P. MORILLON, ‘Sen-tire’, ‘sensus’, ‘sententia’. Recherche sur le vocabulaire de la vie intellectuelle, affec-tive et physiologique en latin (Thèse, Paris 1974), con le rec. di CL. MOUSSY, inREL. 53 (1975) 435 ss., G. SERBAT, in RPh. 52 (1978) 387 ss., P. HAMBLENNE, in La-tomus 38 (1979) 268 ss., CHR. TOURATIER, in REA. 78/79 (1976-1977) 254 ss. Cfr.anche D. K. GLIDEN, ‘Sensus’ and ‘sense’ perception in the ‘De rerum natura’, inCalif. St. Class. Ant. 12 (1979) 155 ss.; P. CIJAM, Lat. ‘sentire’, eine semantisch-lexi-cologische Studie (Dipl. Arb., Klagenfurt 1980). Dal punto di vista del lessico poli-tico (ma non solo) resta importante J. HELLEGOUARC’H, Le vocabulaire latin desrelations et des partis politiques sous la République (Paris 1963) 116 ss. (con analisisemantica, oltre che politico-costituzionale ed ulteriori rinvii alla letteratura prece-dente) 116 ss. (cfr. infra 47 ss.). Nella lingua del diritto è attestato l’uso di sentio perindicare l’opinione tecnica (cfr. VIR. V.358 lin. 47 ss.) rispetto ad un problema edunque, con peculiari costruzioni (cum e l’ablativo; con più soggetti e il verbo alplurale; attraverso l’uso dell’accusativo pronominale nell’espressione idem sentire),il consenso tra diversi giuristi su una determinata questione (allo stesso modo si usaconsentire, riferito all’idea consimile di più giureconsulti, cfr. infra 26 s.).

8 Cfr. A. WALDE, J.B. HOFMANN, Lateinisches etymologisches Wörterbuch3 II(Heidelberg 1954) 515 s., s.h.v.; A. ERNOUT, A. MEILLET, Dictionnaire étymologi-que de la langue latine. Histoire des mots4 éd. par J. ANDRÉ (Paris 1979) 651 s.,s.h.v.; T. G. TUCKER, A Concise Etymological Dictionary of Latin (Halle 1931, rist.Hildesheim 1973) 219, s.h.v. Da considerare la tradizione antica sull’etimologia deltermine, che delinea una catena di significati tra sensazioni/percezioni e opinioni:Isid. etym. 11.1.19. Sensus dicti, quia per eos omnia anima subtilissime totum corpusagitat vigore sentiendi; Aug. civ. Dei 11.3. Sensus unde et sententia vocabulum ac-cepit (cfr. anche 4.11); Greg. Magn. moral. 23.17. Sententia … a sensu vocata est;Isid. etym. 11.1.13. Dum aliquid sentit anima, sensus est. Nam inde animus sensusdicitur pro his quae sentit, unde et sententia nomen accepit; Serv. auct. in Aen. 1.426.Senatum appellatum quod una sensisset; cfr. R. MALTBY, A lexicon of ancient ety-mologies (Leeds 1991) 558 ss., s.vv. «senatus», «sensus», «sententia», «Sentia», «sen-tio». Su sententia ancora utile (con riferimento precipuo all’utilizzazione giuridica,nell’ambito del diritto pubblico) D. DELAUNAY, Le terme ‘sententia’ dans la languetechnique du droit public à Rome, in Mélanges Boissier (Paris 1903) 161 ss.; cfr. an-che J. HELLEGOUARC’H, Le vocabulaire cit. 116 ss.

9 Cfr. infra 16 ss., 47 ss.

in questa sede soprattutto interessa, anche per ciò che riguardain particolare l’ambito d’uso tecnico-giuridico.

Il verbo consentire, dunque, è utilizzato correntemente perindicare l’accordo, e ciò seguendo un’evoluzione di significatoalquanto chiara (che condivide con la forma semplice): dal co-mune sentire meramente fisico, al sentire morale, a quello, in-fine, intellettuale 10.

Il sostantivo consensus 11 (che in questa sede si consideranon disgiunto 12 dal modo verbale da cui deriva, ed anche dalcontiguo consensio che ha stessa origine) 13 esprime quindi co-

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10 Importante, per cogliere il significato di ‘sentire comune’ (con una tensionefisica e psicologica insieme) un luogo lucreziano: de rer. nat. 3.152-160. Verum ubivementi magis est commota metu mens, / consentire animam totam per membra vi-demus / sudoresque ita palloremque exsistere toto / corpore et infringi linguam vo-cemque aboliri, / caligare oculos, sonere auris, succidere artus, / denique concidere exanimi terrore videmus / saepe homines; facile ut quivis hinc noscere possit / esse ani-mam cum animo coniunctam, quae cum animi <vi> / percussast, exim corpus pro-pellit et icit; cfr. anche de rer. nat. 4.795, per il valore di sentire nella lingua del poetatardorepubblicano.

11 Sulla declinazione (quarta) si v. CGL. II 514.60 [Glossae Servi grammatici];cfr. anche (sull’uscita in -u all’ablativo del sostantivo, maschile singolare, AppendixProbi, in H. KEIL, Grammatici Latini IV [Leipzig 1864, rist. Hildesheim 1961]193.4, 15). Mancano, nelle fonti, attestazioni di genitivo, dativo e ablativo plurale:ThlL. IV.390 lin. 75 s. Ricorre, sia pure raramente e nella lingua del tardoantico,consensum al neutro (ThlL. IV.390 lin. 76 ss., 393 lin. 25 ss.), con il significato par-ticolare di atto pubblico relativo alla richiesta al re territoriale, da parte di unachiesa cristiana, privata del proprio pastore, del permesso di consacrare un nuovopresbitero; cfr. anche (per l’uso medievale, in quest’ultimo senso) C. DU FRESNE

DU CANGE, Glossarium mediae et infimae Latinitatis … editio nova aucta … a L.FAVRE II (Niort 1883) 514, s.v. «consensus (electionis)».

12 Anche sensus corrisponde perfettamente, come nome d’azione, al verbo sen-tire, possedendone l’ampia gamma di significati, dal senso fisico, a quello morale, aquello intellettuale (tra i lessici cfr. AE. FORCELLINI ET AL., Lexicon totius Latini-tatis IV cit. 312 s., s.h.v.), sul punto, per tutti, J. HELLEGOUARC’H, Le vocabulairecit. 121.

13 Naturalmente fondamentale (anche se incompleta rispetto alle fonti spo-gliate e catalogate presso la benemerita Istituzione monacense, sia per quanto ri-guarda consensus che consentire) la raccolta di fonti proposta da F. X. BURGER, peril ThlL. IV.390 ss.; sul termine, la sua semantica e l’ambito di utilizzazione (con ri-ferimenti anche al diritto, pubblico soprattutto) efficace la schematica sintesi diL. KOEP, s.v. «Consensus», in RAC. III (Stuttgart 1957) 294 ss.

munanza di volontà o di opinione, per effetto di una mozionepsicologica comune a più soggetti 14.

Da una prospettiva generale, si può affermare che la termi-nologia in questione occupa due ambiti di utilizzazione: puòsignificare accordo tra persone (anche su un oggetto) o con-cordanza tra cose ovvero approvazione (di uno o più soggetti)nei confronti di un’opinione o di un fatto 15. Nel caso di con-senso/assenso (ed in una prospettiva volontaristica) si può

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14 In tal senso G. MANCUSO, Potere e consenso nell’esperienza costituzionaleromana, in Esercizio del potere e prassi della consultazione. Atti dell’VIII Coll. in-ternazionale romanistico-canonistico (Roma 1991) 217 [=AUPA. 41 (1991) 211].

15 AE. FORCELLINI ET AL., Lexicon totius Latinitatis cur. I. PERIN I (Bononiae1965) 800, s.v. «consensus»: «Consensus est idem quod consensio, sive actus con-sentiendi, communis plurium adsensus …»; «consentio»: «Consentio proprie etstricto sensu est simul sentio … Verum, ubi vehementi magis est commota metumens, Consentire animam totam per membra videmus … Ceterum latiori significa-tione saepius occurrit pro sentire, convenire, concordare: sicut enim (inquit Ulp.Dig. 2.14.1) convenire dicuntur, qui ex diversis locis in unum colliguntur et veniunt;ita qui ex diversis animi motibus in unum consentiunt, idest in unam sententiamdecurrunt …»; K.E. GEORGES, H. GEORGES, Ausführliches Lateinisch-DeutschesHandwörterbuch I (Basel 1951) 1511 s., s.v. «consensus»: «Übereinstimmung»,«Einwilligung», ma anche, in senso negativo, «Verabredung», «geheime Einverständ-nis», «Komplott»; 1512 ss., s.v. «con-sentio»: «zusammenstimmen», «übereinstim-men», «sich einigen», ecc.; F. CALONGHI, Dizionario latino italiano3 cit. 613, s.v.«consensus»: «consenso», «consentimento», «accordo», anche: «giudizio concorde(unanime)», «testimonianza», «decisione», «desiderio concorde (unanime)», con ri-ferimento a cose inanimate: «simpatia», «armonia»; in senso cattivo: «segreta intel-ligenza», «complotto», «cospirazione»; 614, s.v. «con-sentio»: «consentire», «accor-darsi», «simpatizzare», «decidere ad unanimità», «far causa comune», «esser d’ac-cordo», «intendersela con», «accordarsi», «congiurare», «cospirare»; Oxford LatinDictionary cit. 412, s.v. «consensus»: «agreement in opinion or sentiment», «a sub-versive or factious agreement, conspiracy, collusion», «the general consensus ofopinion», «agreement to a proposal, consent», «agreement in action, combinedaction», «a general practice, custom»; di cose: «agreement in nature, concord, har-mony», «harmony in sensation, sympathy»; 412 s., s.v. «consentio»: «to join orshare in sensation», «to join in feeling», «to be in harmony or unison in opinion,feeling, conduct», «[to] be in agreement», «to be in the same mind as a particularpoints», «to concur in opinion», «[to] agree deliberately», «to reach agreement,agree», «to form an agreement», «[to] plan joint action», «[to] combine», «to forma conspiracy», «to be in sympathy with», «[to] favour», «to assent», «to acttogether or in unison»; di cose: «to be in harmony», «to coincide in any respect»,«[to] be similar», «to come into harmony».

dire: «la mia volontà è rivolta alla volontà di un altro» 16 (ed èchiaro che per poter essere significante proprio, il con-sensodeve essere in qualche modo reciproco, altrimenti si tratte-rebbe di mera adesione 17), in quello di consenso/accordo 18: lamia volontà è rivolta «all’oggetto su cui cade la volontà di unaltro». Gli sviluppi nell’ambito del diritto privato romano ditali asserzioni saranno approfonditamente esaminati più avanti.

Se il verbo consentire in età medio-repubblicana assume unvalore abbastanza precisamente connotato (un’importante at-testazione liviana, tuttavia, ne riconduce l’uso politico-giuri-dico da parte del senato già all’epoca monarchica 19, o comun-que altorepubblicana), il sostantivo consensus è attestato solodal I secolo a. C., a partire da Cicerone e Varrone 20. SecondoMeillet 21 consensus sarebbe stato introdotto proprio dall’Arpi-nate, che lo avrebbe utilizzato, per rendere il greco sym-patheia-symphonia 22, dapprima con una certa precauzione 23,

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16 Così (come anche la seguente frase tra virgolette) M. LAURIA, L’errore neinegozi giuridici, in Riv. dir. civ. 3 (1927) 334 [=Studii e ricordi (Napoli 1983) 19]. Laprospettiva dello studioso napoletano, come è evidente, s’incentrava sul problemadell’errore (e dunque, rispetto a quanto nel testo, da una parte dell’opinione erro-nea, dall’altra dell’inesatta conoscenza dell’oggetto). Accentua l’aspetto della mani-festazione della volontà F. WIEACKER, Societas cit. 90: «Die Wortbildung ‘consen-sus’, ‘consentire’, für sich zwingt nicht, im Konsens anderes als das äußerlicheZusammentreffen zweier Varlautbarungsakte zu finden ...», propone la resa (delverbo) con «zusammenerklären», ed aggiunge «‘sentire’ umschließt auch den Sinn‘Erklärung’, ‘Verlautbarung’».

17 Per il rapporto tra consensus e adsensus (consentire-adsentire) si v. infra 49 s.e nt. 8.

18 Sulla possibilità di riduzione dei due aspetti ad una teoria generale, e la rela-tiva storiografia, si v. infra 172 ss.

19 Liv. 1.32.11-14. Sul testo, più approfonditamente, si v. infra 56 ss., ma find’ora si può rimandare alle recenti penetranti osservazioni in B. ALBANESE, ‘Res re-petere’ e ‘bellum indicere’ nel rito feziale (Liv. 1,32,5-14), in AUPA. 46 (2000) 30 ss.

20 Cfr. ThlL. IV.390 lin. 83 s.21 ‘Consensus’ – ‘concentus’ – ‘consentaneus’, in Arctos 1 (1954) 78 s. [=Philo-

logica II (Paris 1957) 171 s.].22 Per le corrispondenze greche del termine cfr. infra, in questo paragrafo.23 In de div. 2.14.34. … qua ex coniunctione naturae et quasi concentu atque

consensu, quam sumpavqeian Graeci appellant, convenire potest …, e in de orat.3.6.21. … omnem doctrinam harum ingenuarum et humanarum artium uno quo-

poi più audacemente, ed in un senso fortemente caratterizzatodal punto di vista politico nel de re publica 24. A proposito diVarrone, non è improbabile una risalenza proprio all’eruditoreatino della giuridicità dell’uso; se infatti nel de lingua La-tina 25 l’erudito contrappone il consensus omnium alla voluntas

CONSENSUS 7

dam societatis vinculo contineri; ubi enim perspecta vis est rationis eius, qua causaererum atque exitus cognoscuntur, mirus quidam omnium quasi consensus doctrina-rum concentusque reperitur (ove, come si può notare, ricorrono insieme consensus econcentus); cfr. anche de div. 2.14.33 e de nat. deor. 3.11.28 (in tutti e due questi ul-timi passi si trova l’ausilio descrittivo naturalistico rappresentato dal termine co-gnatio).

24 2.42.69 … Ut enim in fidibus aut tibiis atque ut in cantu ipso ac vocibus con-centus est quidam tenendus ex distinctis sonis, quem inmutatum aut discrepantemaures eruditae ferre non possunt, isque concentus ex dissimillimarum vocum mode-ratione concors tamen efficitur et congruens, sic ex summis et infimis et mediis inte-riectis ordinibus ut sonis moderata ratione civitas con<sensu dissimillimorum conci-nit; et quae harmonia a musicis dicitur in cantu, ea est in civitate concordia, artissi-mum atque optimum omni in re publica vinculum incolumitatis, eaque sine iustitianullo pacto potest esse>. L’ultimo tratto del brano è integrato attraverso una cita-zione di S. Agostino, nel capitolo del de civitate Dei in cui viene descritto il giudi-zio ciceroniano sulla repubblica romana (2.21). Per quanto riguarda il parallelo conla musica, oltre alle corrispondenze con il greco sumfoniva (cfr. quanto riportatonella nt. precedente su concentus), si v. anche Apul. mund. 19. A. MICHEL, La no-tion de ‘consensus’ chez Ciceron, in Sodalitas. Scritti in onore di A. Guarino I (Na-poli 1984) 203, nota come all’Arpinate risalga anche «il primo impiego giuridico»del termine; basti rilevare come lo studioso si riferisca al lessico della costituzionepolitica e non a quello del diritto privato (per il quale si v. i dati e le osservazionisvolte infra 47 ss.), mettendo in evidenza anche la portata di ‘slogan’ della termi-nologia utilizzata da Cicerone (cfr. spec. 208). Sull’efficacia retorica di quelli chechiama «the very slogans chosen by Cicero» (le locuzioni concordia ordinum, con-sensus omnium bonorum, cum dignitate otium): N. WOOD, Cicero’s Social and Po-litical Thought (Berkeley-Los Angeles-Oxford 1988) 210; di ‘slogan’ parlano anche,ad esempio, A. LA PENNA, Orazio e l’ideologia del principato (Torino 1963) 118(dello stesso studioso si v. Parole, slogan, ideologie, partiti a Roma tra repubblica eimpero, in Maia 18 [1966] 283 ss., rec. a J. HELLEGOUARC’H, Le vocabulaire cit., eda P. JAL, La guerre civile à Rome. Étude litteraire et morale [Paris 1963]); A. WIT-TENBURG, ‘Consensus universorum’ e versione greca delle ‘res gestae’, in Sileno 16(1990) 44 s. (con riferimento all’ampia utilizzazione da parte di Augusto di stru-menti di propaganda di matrice ciceroniana).

25 8.22. Contra naturalem declinationem dico, quae non a singulorum oriturvoluntate, sed a com<m>uni consensu. Itaque omnes impositis nominibus eorumitem declinant casus atque eodem modo dicunt huius Artemidori et huius Ionis ethuius Ephesi[s], sic in casibus aliis. L’esempio si collega con quanto appena enun-ciato dall’erudito (8.21) sul genus voluntarium della declinatio: i nomi sono quelliderivati volontariamente da tre acquirenti di schiavi ed imposti ai rispettivi servi.

singulorum su un argomento tecnico, a proposito della natura-lis declinatio (dunque di un fenomeno prettamente linguistico,ma con accenti normativi), egli con grande verisimiglianza uti-lizzava la stessa terminologia con riguardo ai mores, che com’ènoto hanno forte caratterizzazione giuridica 26.

Questi dati consentono l’avvicinamento ad un tema vasto,che in questa sede può solo essere accennato per la sua conti-guità con l’oggetto della presente indagine: dovendo infatti svi-luppare di seguito l’analisi degli ambiti semantici politico-co-stituzionale e giuridico dei termini consentire/consensus, è ne-cessaria qualche osservazione preliminare sul loro significatofilosofico. Il motivo per cui ciò si accosti al consensus omniumdi Varrone (ed anche ai mores) è alquanto chiaro: infatti unaprima accezione nella quale il semantema rileva dal punto divista dell’osservazione filosofica della realtà è costituito daquelle espressioni che, al di là del senso materiale 27, voglionosignificare generale unanimità di sentimenti, giudizio comune(di una comunità, degli uomini), il più alto grado di unionecollettiva (al di là dell’accordo meramente politico 28). Il puntodi partenza è, ancora una volta, Cicerone, che descrive il con-sensus omnium gentium, totius mundi, nationum omniumcome strumento per accertare, rispettivamente, il dato dell’esi-stenza della divinazione 29, l’accordo di tutte le parti del mondo

8 CAPITOLO PRIMO

26 L’attestazione proviene dal commentario serviano all’Eneide: in Aen. 7.601.Varro vult morem esse communem consensum omnium simul habitantium. Sul testodi Varrone (ad frg. 232, p. 264 FUNAIOLI) come archetipo di una riflessione giuri-dica che giungerà ai Tituli ex corpore Ulpiani si v. infra 129 ss.

27 Da questo punto di vista talvolta mette insieme significanti diversi il purutile saggio di A. PITTET, Le mot ‘consensus’ chez Sénèque. Ses acceptions phi-losophique et politique, in Mus. Helv. 12 (1955) 35 ss.

28 Sul quale si v. infra 47 ss.29 In tal caso v’è insieme il riferimento esplicito al consensus populi Romani: de

div. 1.1.1 (e qui, direi, il testo ha un significato anche costituzionale, per il rapportotra il popolo romano e le divinità). Naturalmente bisogna considerare i passi cice-roniani non come testimonianze sulle credenze dell’Arpinate (che su questi temiesprime convinzioni legate al cd. illuminismo neoaccademico), ma piuttosto comemezzi per la conoscenza di dottrine e posizioni filosofico-politiche diffuse nell’ul-timo secolo della repubblica romana; per un utile ampio inquadramento della posi-

(secondo la teologia stoica), la sopravvivenza dell’anima alcorpo 30. Si esprime già in questi primi usi del termine quelladipendenza dal sentimento collettivo, tipica nel pensiero an-tico (non solo romano 31), che ha importanti manifestazioni dalpunto di vista politico (come si vedrà). Il consenso ‘umano’ di-viene infatti un metro di giudizio, dal quale è difficile allonta-narsi per una presunzione di corrispondenza a natura 32, che sisostanzia, talvolta, in un criterio esplicitamente obbligante enormativo, con il richiamo alla lex naturae 33, come, a propo-sito dell’esistenza degli dei (e con l’utilizzazione della sfuma-tura semantica consensio), in Tusc. 1.13.30. Ut porro firmissi-mum hoc adferri videtur cur deos esse credamus, quod nullagens tam fera, nemo omnium tam sit inmanis, cuius mentemnon imbuerit deorum opinio (multi de diis prava sentiunt – idenim vitioso more effici solet –, omnes tamen esse vim et natu-ram divinam arbitrantur, nec vero id conlocutio hominum autconsessus efficit, non institutis opinio est confirmata, non legi-bus; omni autem in re consensio omnium gentium lex naturaeputanda est) – quis est igitur, qui suorum mortem primum noneo lugeat, quod eos orbatos vitae commodis arbitretur? Ed è ri-

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zione ciceroniana si v. il profilo storico-critico tracciato da S. TIMPANARO, in Cice-rone, Della divinazione (Milano 1988) xxvii ss. (con vasti richiami bibliografici).

30 De div. 1.1.1 (cfr. anche 1.11.7), de nat. deor. 3.7.18, Tusc. disp. 1.16.36; sinoti come nel secondo testo sia allitterato a consensus il termine convenientia.

31 Importante la ricostruzione storica di R. SCHIAN, Untersuchungen über das‘argumentum e consensu omnium’ (Hildesheim-New York 1973), che parte dalla fi-losofia presofistica greca per giungere alla riflessione del I secolo a. C. (e dunque aCicerone).

32 Cfr. soprattutto Cic. de off. 2.5.16 (magnas utilitates adipiscimur conspira-tione hominum atque consensu), Tusc. 1.15.35 (omnium consensus naturae vox est),Sen. ep. mor. 117.6 (non leve momentum apud nos habet consensus hominum).

33 Il concetto ricorre in Cicerone: Phil. 11.12.28, de off. 1.29.102, 3.6.27, de rep.1.17.27, Tusc. 5.13.28; tra le altre fonti (e con diverse significazioni) si v. Plin. nat.hist. 2.121, 11.35; Sen. ep. mor. 4.10; ps. Quintil. decl. mai. 13.2; Gell. 9.10.1;Ap[h]thon. [ps. Mar. Vict.] de metr. omn. 1.35; ps. Apul. Asclep. 19. Per un raggua-glio bibliografico sui fondamenti naturalistici del diritto in Cicerone si v., di re-cente, P. P. ONIDA, Studi sulla condizione degli animali non umani nel sistema giu-ridico romano (Torino 2002) 111 nt. 20 (a p. 96 ss. in nt. 2 ampi riferimenti alla let-teratura romanistica sul ius naturale).

levante, mi pare, nel testo, il rapporto tra la qualificazione percosì dire ‘totalizzante’ della res (omni … in re) e quella, corri-spettiva, delle gentes che concorrono al consenso (omniumgentium). Per questo motivo il testo può essere considerato«nell’ambito della concezione ciceroniana sul passaggio dall’i-niziale stadio dei rapporti umani, in cui prevaleva la forzabruta ed incontrollata dei singoli, a quello dell’organizzazionedei consociati» 34. L’argomentazione ciceroniana, che può uti-lizzare lo strumento della prolepsis, arriva a stabilire il criterioche determina la veritas 35.

Il punto, in cui l’Arpinate riesce ad estendere l’idea degliinnati semina virtutis (anche mediante una volgarizzazionepsicologica della teoria platonica dell’anamnesi) fino alla tesiche le idee morali siano piccoli concetti innati, che si amplifi-cano nella vox naturae (che, dal punto di vista filosofico, èvoce della verità) 36, avrà grandissima importanza nella storia

10 CAPITOLO PRIMO

34 Così L. BOVE, La consuetudine in diritto romano I. Dalla repubblica all’etàdei Severi (Napoli 1971) spec. 37 s.; sul nesso giuridico, in relazione alla produzionedel diritto (che trova la sua giustificazione astratta nella natura che costituisce l’or-dinamento cui uniformarsi) si v. anche 50 s. Con riguardo al rapporto, nell’espe-rienza giuridica romana, tra stato di natura e ruolo della vis (con la progressiva co-stituzione della stessa come nozione antigiuridica) si v. i noti contributi di L. LA-BRUNA, a partire da ‘Vim fieri veto’. Alle radici di una ideologia (Napoli 1971), edin particolare La violenza tra repressione privata e persecuzione pubblica nei con-flitti politici nella tarda repubblica, in Illecito e pena privata in età repubblicana.Atti del Convegno internazionale di diritto romano Copanello 4-7 giugno 1990(Napoli 1992) 253 ss. [= ‘Civitas quae est constitutio populi’ cit. 117 ss.] (sulle per-suasioni dello studioso napoletano in relazione a questi temi si v. anche la biblio-grafia raccolta da C. CASCIONE, Venticinque anni di storiografia sul ‘console sovver-sivo’, in L. LABRUNA, Marco Emilio Lepido e la sua rivolta [Napoli 2000] spec. 158,169); ora si v. anche le riflessioni di O. BEHRENDS, Selbstbehauptung und Vergel-tung und das Gewaltverbot im geordneten bürgerlichen Zustand nach klassischemrömischen Recht, in ZSS. 119 (2002) 44 ss., in cui si disegna un’evoluzione dalla giu-risprudenza giusnaturalistica, convinta della capacità di autoregolamentazione dellasocietà (anche attraverso la forza), alla formalizzazione classica del divieto di fareviolenza.

35 Si v., ad esempio, de nat. deor. 1.17.44-45, ove rileva (per quanto in questasede soprattutto interessa) il richiamo alla consensio. Cfr. R. SCHIAN, Untersuchun-gen cit. 152 s.

36 Fonti principali: de fin. 5.21.59, Tusc. 1.13.30, 1.15.35, 1.24.57, cfr. anche deleg. 1.16.44.

del diritto naturale, dalla riflessione cristiana primitiva fino aGrozio; ma questa è un’altra storia 37. Si deve, però, sottoli-neare l’indovinata scelta lessicale ciceroniana del riferimento alconsensus come significante filosofico, che pure avrà grandefortuna 38. Qui è forse da prospettare solo un’ulteriore rifles-sione, prendendo spunto da un passo quintilianeo, che modulaun interessante rapporto tra senso, consenso e regola di diritto:

Quint. inst. or. 5.10.12-13. … Pro certis autem habemusprimum quae sensibus percipiuntur, ut quae videmus, au-dimus, qualia sunt signa, deinde ea, [ad] quae communiopinione consensum est ‘deos esse, praestandam pietatemparentibus’, 13. praeterea, quae legibus cauta sunt, quaepersuasione etiam si non omnium hominum, eius tamencivitatis aut gentis, in qua res agitur, in mores recepta sunt,ut pleraque in iure non legibus, sed moribus constant … 39

Intento a spiegare l’argumentum quod probationem prae-stat 40, Quintiliano descrive le certezze, che sono in primoluogo quelle direttamente sensibili (l’esemplificazione si rea-lizza nel riferirsi a quanto si può vedere o udire), poi, subito, simuove verso la sfera pragmatica, quella delle cd. «certezze mo-rali» 41, che appare in qualche modo sopraordinata rispetto alla

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37 Si v. la ricostruzione sintetica di H. WELZEL, Diritto naturale e giustizia ma-teriale (trad it. Milano 1965) 66 ss.; interessanti spunti in R. AJELLO, ‘Arcana juris’.Diritto e politica nel Settecento italiano (Napoli 1976) 75 ss., e soprattutto, ora, inID., Il collasso di Astrea. Ambiguità della storiografia giuridica italiana medievale emoderna (Napoli 2002) spec. 231 ss., 267 ss.

38 Per tutti: R. SCHIAN, Untersuchungen cit. spec. 191.39 Sul valore giuridico del passo si v., in particolare, F. GALLO, Interpretazione

e formazione consuetudinaria del diritto2 (Torino 1993) 73 ss., che lo mette in con-nessione con inst. or. 12.3.5-7, al fine di vagliare il rapporto tra il diritto e le suefonti (l’interesse quintilianeo è alla preparazione anche giuridica dell’oratore).

40 Cfr. inst. or. 5.10.10.41 F. GALLO, Interpretazione e formazione consuetudinaria2 cit. 75. Si v. anche

– con riflessione sul consenso «als argumentativer, Wahrheit indizierender Faktor»– H. WAGNER, Studien zur allgemeinen Rechtslehre des Gaius. ‘Ius gentium’ und‘ius naturale’ in ihrem Verhältnis zum ‘ius civile’ (Zutphen 1978) 102, che, ripor-tando Cic. de div. 2.2.4, in cui l’esistenza di Giove è attestata ex adsensu omnium(gentium), richiama la tradizione filosofica del «Götterbeweis» (da Platone, agli

prospettiva giuridica. La communis opinio che si esprime nelconsensus rappresenta infatti (l’argomentazione non è difficile)una persuasio omnium hominum, mentre la receptio in mores(che può avere un momento di positività nelle leges) corri-sponde ad una sola civitas o gens.

Naturalmente, in una visione moralizzante, il consensus ge-nerale può essere anche indirizzato negativamente, al vizio 42: èl’immagine, che ricorre in Seneca 43, della società corruttrice.

Sinonimi latini di consensus sono in primo luogo (come giàsi è avuto modo di osservare) consensio 44, poi anche concordia

12 CAPITOLO PRIMO

Stoici, ad Epicuro, con citazione delle fonti in ntt. 4 ss.), corrispondente ad un in-natum.

42 In tal senso è significativo Sen. nat. quaest. 4 praef. 19. ... detestatus consen-sum humani generis tendentis ad vitia … (a proposito sono citati Ovid. metam.1.241 s. e Menandr. frg. 931, II p. 267 [KOERTE, THIERFELDER]. Si può rilevare comeil consensus humani generis ricorra anche in Tac. hist. 1.30 (ma il contesto è dissi-mile, v. infra 121 nt. 246).

43 Oltre al brano trascritto nella nt. precedente, cfr. anche de otio 1.1, de benef.1.9.4; sui testi si v. A. PITTET, Le mot ‘consensus’ chez Sénèque cit. 38.

44 F. CANCELLI, ‘Iuris consensu’ nella definizione ciceroniana di ‘res publica’, inStudi in memoria di G. Donatuti I (Milano 1973) 223 [una prima versione del sag-gio comparve in Riv. di cult. class. e med. 14/3 (1972) 1 ss.], che adduce Cic. Tusc.1.13.30, 1.14.35, in cui i due termini si scambiano «con identico valore», e nota(sulla scorta di C. PASCAL, Dizionario dell’uso ciceroniano [Torino 1899] 65, s.v.«consensus») come in alcuni casi, al plurale, sia usato solo consensio; si v. anche M.VARVARO, ‘Iuris consensus’ e ‘societas’ in Cicerone. Un’analisi di Cic., ‘de rep.’I,25,39, in AUPA. 45/1 (1998) 447 ss. Cfr. anche L. KOEP, s.v. «Consensus» cit. 295.Invero nelle fonti si rinviene un’interessante distinzione semantica: diff. ed. BECK p.47.44. inter consensionem et consensum: consensio incipit, consensus consummatusest; cfr. J. HELLEGOUARC’H, Le vocabulaire cit. 125, secondo il quale, il fatto che, ri-spetto a consensus, «consensio marque plutôt l’accord qui résulte de l’entente qui aété realisée; sa valeur est surtout passive», sulla scorta – poi – di E. BENVENISTE,Noms d’agent et noms d’action en indo-européen (Paris 1948) 96 ss. (che individuanel suffisso *tei / *tio l’espressione di un atto effettivo, enunciato da un punto di vi-sta oggettivo), Hellegouarc’h sostiene che consensio s’impiega, più frequentementeche consensus, con un valore peggiorativo (l.u.c. e ibid. nt. 6). Importante notare, inquesta sede, come consensio praticamente non ricorra nelle fonti tecnico-giuridiche(se si esclude un’attestazione in una Novella di Maioriano, 7), il punto era stato giàindividuato da G. BESELER, Varia (la «besondere Sammlung» di scritti postumidello studioso, in cui il saggio doveva comparire, annunciata da KASER in G. VON

BESELER, ‘Fruges’ et ‘paleae’ II. Romanistische Untersuchungen, in Festschrift fürFr. Schulz I [Weimar 1951] 3 nt. *, non fu mai pubblicata, ma, sul punto specifico,

e unitas (per quanto riguarda il risultato del pensiero umano),concentus, harmonia, convenientia (in senso traslato, de inani-mis) 45, conciliatio 46.

Per quanto riguarda il verbo, in un tardo glossario 47 sitrova l’interessante equivalenza consentit=adnuit, che mostracome «fare un cenno» possa significare per antonomasia «con-sentire». Ma che il consenso possa essere anche tacito ed im-moto lo indicano fonti che scoprono dati intuitivi 48.

Anche quelli che in antico si reputarono corrispondentigreci 49, per consensio 50, per consensio e consensus considerati

CONSENSUS 13

cfr. M. KASER, Gaius und die Klassiker, in ZSS. 70 [1953] 133 nt. 17, ove citazionetestuale dal manoscritto); inutile dire che quanto infra 16 ss. corrisponde in tutto alrapido spoglio dello studioso tedesco.

45 Per un ambito semantico (invero piuttosto ampio e collegato con il gruppoche ha l’accezione negativa di coniuratio, conspiratio, cfr. ThlL. IV.393 lin. 29 ss.) incui è inserito anche il termine consensio (cfr. supra in nt. 44) si v. Charis. ars gramm.441.19 s. [BARWICK]: «Relatio. conspiratio. consensio. coniuratio. coitio. coortio. con-ventus. concursus. concilium. coetus. circuitus», si tratta di synonima Ciceronis or-dine litterarum posita (cfr. 412.17 s.).

46 Per la sua vicinanza a consensus si v. A. PITTET, Le mot ‘consensus’ chezSénèque cit. 35; cfr. anche (da una prospettiva filosofica) R. SCHIAN, Untersuchun-gen cit. 154.

47 CGL. IV 323.28 [Glossae Abavus=Glossaria Latina II ed. J. F. MOUNTFORD

(Paris 1926, rist. Hildesheim 1965) 50.221].48 Si trova il riferimento alla mens (dunque ad una mera prospettazione psico-

logica, senza manifestazione del pensiero con atti o parole), per esempi nelle fonticfr. infra 51 nt. 17.

49 Si cfr. in primo luogo il Thesaurus glossarum emendatarum di G. GOETZ, inCGL. VI (Lipsiae 1894, rist. Amsterdam 1965) 261 s., s.vv. «consensio», «consensus»,«consentio»; poi: AE. FORCELLINI ET AL., Lexicon totius Latinitatis I cit. 800,s.hh.vv., L. KOEP, s.v. «Consensus» cit. 295. Importante, dal punto di vista della sto-ria delle istituzioni, E. GARCÍA DOMINGO, Latinismos en la koiné (en los documen-tos epigráficos desde el 212 a. J. C. hasta el 14 d. J. C.). Gramática y léxico griego-latino, latino-griego (Burgos 1979) 555, 645 (cfr. p. 721): consentio-oJmologevw, con-sensus-suvmfwnoı, per l’uso del sostantivo si v., in particolare, il senatusconsultum decollegiis artificum Bacchiorum (112 a. C.), in R. K. SHERK, Roman Documents fromthe Greek East (senatusconsulta and epistulae to the age of Augustus) (Baltimore1969) nr. 15, lin. 58, 60 (in trad. lat.: quod autem consensum est artificibus Atticis etNemaeis consensum stetisse censuerunt, ma si confronti la retroversione in FIRA. I2

254 nr. 34, ove pactum).50 Si trovano sunkatavqesiı (CGL. III 443.40; cfr. II 112.37: consensionem

sunkatavqesin) e oJmofrosuvnh. È opinione generale che quest’ultimo termine costi-

insieme 51, per consensus 52, per il verbo consentio 53, mostranotutti la pregnanza del senso ‘comunitario’ (significato ancoracon l’utilizzazione di prefissi: sun-, soprattutto, ma anche oJmo-, che indica piuttosto l’accordo su un oggetto), fino a giungereal tecnicismo di sumpavqeia, che si trova – com’è chiaro – inprimo luogo nella lingua della scienza medica 54, ma anche nellessico filosofico (principalmente quello dello stoicismo) 55.

14 CAPITOLO PRIMO

tuisca la traduzione in lingua greca di consensus nella laudatio di Agrippa pronun-ciata da Augusto dopo la sua morte (cfr. Cass. Dio 54.28.3) e di cui ci è pervenutoun frammento papiraceo (appunto in versione greca), PKöln VI 249, su cui più spe-cificamente infra 108 ss.

51 Tradotti sunkatavqesiı (CGL. II 112.17, 440.9)52 È reso con sumfwniva (CGL. II 443.23), con sunaivnesiı (CGL. II 443.45,

487.47, III 443.42), con sunkatavqesiı (CGL. II 112.33, 510.31; cfr. II 112.30: con-sensu sunkataqevsei), con oJmovnoia (CGL. II 383.30), quest’ultimo termine, peraltro,traduce anche il latino concordia (per il rapporto di quest’ultima con il consensus«costituzionale» si v. infra 47 ss.), cfr., per tutti, in generale H. KRAMER, Quid va-leat oJmovnoia in litteris graecis (Diss., Göttingen 1915), sugli aspetti politici: A.MOULAKIS, Homonoia. Eintracht und Entwicklung eines politischen Bewußtseins(München 1973), per l’articolata relazione tra la concordia latina dalla oJmovnoia grecaè fondamentale A. MOMIGLIANO, Camillus and Concord, in Class. Quart. 36 (1942)111 ss. [=Secondo contributo alla storia degli studi classici (Roma 1960) 89 ss.= intrad. it. Storia e storiografia antica (Bologna 1987) 257 ss.] (sulla questione sempli-fica forse eccessivamente l’articolazione del discorso di Momigliano P. CERAMI, Po-tere ed ordinamento nell’esperienza costituzionale romana3 [Torino 1996] 169 e nt.145, che però ha ragione nel sottolineare la costituzionalità del concetto: 169 ss.),dal punto di vista più strettamente religioso (ma anche politico) G. THÉRIAULT, Leculte d’Homonoia dans les cités grecques (Lyon-Québec 1996) spec. 143 ss., sul rap-porto con la romana concordia imperiale; da ultimo, con ulteriori dati bibliografici,R. SCHILLING, Discordes autour de ‘Concordia’. À propos d’Ovide, ‘Les Fastes’I, 637-650 et VI, 637-648, in Mélanges à la memoire de A. Magdelain (Paris 1998)427 ss.

53 Si traduce sunainw` (CGL. II 443.47), oJmofronw (CGL. II 383.42), suntivqhmiepi; tou sunainw h/]toi sumfwnw (CGL. II 448.22), suvmfemi[to] (CGL. III 503.30).Rese particolari (e significative) hanno le singole diverse uscite: consentit sundokei(CGL. II 444.50); consensit et adsensit suneudokei, sunlevgei, oJmonoei, sunkarariv-qetai (CGL. II 112.16); consensit invicem videtur suneudokei (CGL. II 111.23);consentiunt oJmonoousin (CGL. II 112.28); consenserunt sunkatevneusan (CGL. III102.20), sunkatevqento (CGL. III 49.33).

54 ThlL. IV.393 lin. 66 ss.; cfr. 401 lin. 68 ss. Allo stesso modo appare tecnica(forse alquanto ricercata, considerando l’allitterazione finale) la corrispondenza chesi trova in Vitruv. de arch. 1.2.4. Symmetria est ex ipsius operis conveniens membrisconsensus.

55 Si v. supra 6 s., per la connessione della sumpavqeia (soprattutto stoica, cfr.,

Per quanto riguarda la sintassi 56, consentire (nelle sue di-verse significazioni) ha ampio ventaglio di costruzioni 57: rife-rito ad esseri animati, nel senso «essere concordi» («assen-tire»), si rende in senso assoluto 58, impersonalmente, con il da-tivo, con cum e l’ablativo, con ad (e in) e l’accusativo, con de el’ablativo; nel senso di una decisione presa attraverso il con-senso: con l’accusativo, con l’accusativo e l’infinito (anche im-personalmente), più raramente con il nominativo e l’infinito,con ut ed il congiuntivo 59, con un’interrogativa indiretta. Nelsenso di «cospirare», «congiurare», si costruisce in modo asso-luto, con il dativo, con cum e l’ablativo, con ad (e in) e l’accu-sativo, con l’infinito, con ut ed il congiuntivo. Riferito ad es-seri non animati, in senso generale («essere atto», «essere con-gruente»), si costruisce in senso assoluto, con il dativo, concum e l’ablativo, con ad (e in) e l’accusativo, con de e l’abla-tivo, con in e l’ablativo, con l’accusativo (nell’uso di consen-tiens 60); nel senso di sentire le stesse cose gli si accompagna

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per la simpatia delle parti, che dipende dall’unità del cosmo: Chrysipp. phys. 2.1 frg.532 VON ARNIM [SVF. II p. 170]=Phil. de migrat. Abrah. § 180 WENDLAND, phys.6.1 frg. 912 VON ARNIM [SVF. II p. 264]=ps. Plutarch. de fato 11 p. 574d BERNAR-DAKIS; per l’esistenza garantita dall’assenza del vuoto: Chrysipp. phys. 2.4 frg. 546VON ARNIM [SVF. II p. 172]=Cleomed. cycl. doctr. 1.1 p. 5 BAKE; per la giustifi-cazione della divinazione artificiale: Chrysipp. phys. 9.3 frg. 1211 VON ARNIM [SVF.II p. 347]=Cic. de div. 2.14.33-34; per fenomeni di simpatia a livello cosmico:Chrysipp. phys. 7.2 frg. 1013 VON ARNIM [SVF. II p. 302]=Sext. adv. math. 9.78) edil pensiero di Cicerone. Da tenere presente la sezione relativa all’analisi terminolo-gica del lavoro di R. SCHIAN, Untersuchungen cit. 175 ss., spec. 190 s., per il lessicogreco-latino.

56 Seguo l’ordine del Thesaurus linguae Latinae, cfr. IV.395 ss., ove, per cia-scuna costruzione, ampi riferimenti alle fonti; cfr. anche Oxford Latin Dictionarycit. 412 s., s.vv. «consensus», «consentio».

57 Le costruzioni del verbo dissentire (naturalmente con significazioni oppo-ste) appaiono del tutto comparabili a quelle di consentire, cfr., sul punto (con di-scussione delle fonti), F. CANCELLI, ‘Iuris consensu’ cit. 222 s.

58 Cfr. anche l’uso del participio presente consentiens nel senso di «amico»,«benevolo»: ThlL. IV.396 lin. 61 ss., E. DE RUGGIERO, s.v. «Consensus», in DE. II(Roma 1900, rist. an. 1961) 607.

59 Cfr. J. HELLEGOUARC’H, Le vocabulaire cit. 123 nt. 6.60 Che, peraltro, è diffusamente costruito anche con i complementi indiretti,

cfr. ThlL. IV.400 s.

l’accusativo 61. Si trovano, nelle fonti, la forma participiale pre-sente avverbiale consentienter, e quella passata sostantivataconsensum 62.

Consensus 63, con il significato di concordia, assenso (il ri-ferimento essendo a volontà od opinione di esseri animati), sicostruisce in modo assoluto, con il genitivo soggettivo, con ilgenitivo oggettivo, con le preposizioni ad (e in) e l’accusativo,de e l’ablativo, inter e l’accusativo, cum e l’ablativo. Nel sensonegativo di congiura, cospirazione si utilizza con adversus el’accusativo (anche con il genitivo del sinonimo). Per signifi-care i complementi che indicano opinione comune o unanimità(l’uso è, come si può ben comprendere, particolarmente signi-ficativo per questa indagine) serve, oltre che l’ablativo sem-plice, ex con lo stesso caso e – ma molto più raramente – percon l’accusativo 64 (ancora meno frequente è secundum consen-sum 65).

2. La dimensione del diritto privato romano: un quadrodelle testimonianze. – Naturalmente il consensus ha somma ri-

16 CAPITOLO PRIMO

61 Per il tecnicismo che rende il greco sumpavqeia, si v. ThlL. IV.401 lin. 68 ss.62 Cfr. ThlL. IV.401, rispettivamente, lin. 75 ss. e lin. 89 s.63 Cfr. ThlL. IV.390 ss.64 Quest’ultima costruzione ricorre quasi solo in attestazioni epigrafiche, CIL.

VI 33994 (dove per è integrazione certa), CIL. XI 1420 lin. 13, 1421 lin. 53 (su que-ste tre ultime fonti si v. infra 115 s., 123 s.), di cui una è molto importante (ed ar-chetipica rispetto a quelle appena ricordate): le Res gestae divi Augusti, che, com’ènoto, riportano (al § 34, nell’originale latino del Monumentum Ancyranum VI 14,in questo punto senza integrazioni) per consensum universorum; il contesto è quellofamoso del «sesto e settimo consolato» (su cui si v. infra 86 ss.): In consulatu sextoet septimo, postquam bella civilia exstinxeram, per consensum universorum potitusrerum omnium, rem publicam ex mea potestate in senatus populique Romani arbi-trium transtuli (la restituzione del testo è di H. MALCOVATI, in Imperatoris Caesa-ris Augusti Operum fragmenta5 [Torino 1969] 144). Tra le fonti di tradizione ma-noscritta si rilevano Liv. 8.39.12 e Schol. Iuv. 1.83. Sul costrutto si v. K.-E. PET-ZOLD, Die Bedeutung des Jahres 32 für die Entstehung des Principats, in Historia 18(1969) 344 nt. 43 [=Geschichtsdenken und Geschichtsschreibung. Kleine Schriftenzur griechischen und römischen Geschichte (Stuttgart 1999) 618 nt. 43].

65 Costruzione non rilevata nel Thesaurus linguae Latinae, ma v. Porph. inHorat. art. poet. 119.3 [p. 168.19 HOLDER].

levanza nell’ambito del diritto privato, in primo luogo (manon solo) in ordine alle cd. obligationes consensu contractae.Per quanto riguarda la lingua tecnica 66 (e dunque soprattuttoquella della giurisprudenza che riflette sulle vicende del iusprivatorum) offrono una buona base di partenza per la ricercale specifiche compilazioni lessicografiche, che corrispondono(più o meno perfettamente) anche al coevo stato della ricercaromanistica (esse, naturalmente, comprendono non soltanto iriferimenti privatistici). Si può procedere a partire dalle siste-mazioni della Scuola storica.

Nel Manuale di Dirksen, l’esposizione dei significati siapre con una prospettiva che ha come baricentro la volontà: lavoce consensus 67 ha come spiegazione immediata «conspirantisvoluntatis declaratio», e cioè, in primo luogo «conventio» (ma

CONSENSUS 17

66 In generale si v. A. BERGER, Enciclopedic Dictionary of Roman Law (Phila-delphia 1953) 408, s.v. «Consensus» (ibid. la voce «Consentire» è di mero rinvio),che richiama le vv. «Contractus», p. 413 s. (per il riferimento alle obbligazioni con-sensuali) e «Nutus», p. 603 (per la bastevolezza di un mero cenno come segno dimanifestazione della volontà). Specifiche indagini sul lemma dal punto di vista ro-manistico sono solo la dissertazione gottingense di H. FRITSCHE, Untersuchungüber die Bedeutung von ‘consensus’ und ‘consentire’ in den Digesten (Berlin 1888) ela voce enciclopedica redatta, sulla base di studi precedenti incentrati soprattuttoalla teoria dell’errore (v. infra 172 ss.), da R. LEONHARD, «Consensus», in PWRE.IV (Stuttgart 1900) 902 ss., significativamente (in sostanza, così ad esempio A. PER-NICE, Parerga X. Nachtrag cit. 70 nt. 4; ma v. infra 177 s.) dedicata al solo consensonel diritto privato romano, come le due successive voci (sempre dedicate al «Con-sensus») che si trovano nelle ideali continuazioni della fondamentale enciclopedia:TH. MAYER-MALY, in Kl.Pauly I cit. 1278 s.; G. SCHIEMANN, in DNP. III (Stuttgart-Weimar 1997) 129. Sulle scelte ricostruttive di Fritsche e Leonhard si v. più ampia-mente infra 172 ss. Da notare anche il fatto che un articolo filosofico come quellodi M. SUHR, s.v. «Consensus omnium, consensus gentium» cit. 1031, si apra con unriferimento (mi sembra influenzato proprio dalla voce di Leonhard) al diritto ro-mano con citazione di D. 2.14.1.2 (Ulp. 4 ad ed.) e definizione nel senso di «Zu-stimmung (zu einem Vertragsinhalt)». Peraltro anche A. BERGER, l.u.c., mi sembracondizionato da Leonhard, quando scrive, in riferimento al «consent» nel dirittoprivato (come ha cura di specificare, anche se invero solo di quel consenso si oc-cupa): «it is either unilateral when a person gives his assent (approval) to an actperformed by another (consensus curatoris, of a father or parents, of a magistrate),or bilateral when two persons agree upon a transaction».

67 H. E. DIRKSEN, Manuale Latinitatis fontium iuris civilis Romanorum (Bero-lini 1837) 195 s., s.vv. «Consensus», «Consentire», «Consensio».

anche voluntas e arbitrium) 68, cui si oppongono «error», «im-peritia» e «necessitas» 69. Segue la casistica dei «coniunctaverba». Anche il primo significato con il quale si rende con-sentire (voce leggermente più articolata rispetto alla pre-cedente) è «aequalem voluntatem, s. consensum, exhibere».Secondo la tipica struttura tripartita di questo dizionario, l’au-tore propone dapprima i sinonimi («in unam sententiam de-currere», «in unum consentire», «auctor factus, consentiens») 70,poi gli opposti («contradicere», «dissentire») 71, per elencare,infine, uno spettro di locuzioni significative, che ricorrononelle fonti. Meno ricche della prima le altre tre significazioniproposte: «adprobare, adstipulari» (per la quale sono registratisolo «coniuncta verba»), «congruere, conspirare» (sinonimo:«congruere») e «respondere, sufficere» (anche in tal caso senzaalcuna indicazione, se non quella, essenziale, dei luoghi dellefonti ove si trovano i coniuncta verba 72). La consensio, infine, èil placitum commune.

Il diffuso, più volte riedito, lessico di Heumann (e poi an-che di Seckel 73) registra, a partire dal sostantivo, un significatogenerale, «Einwilligung» 74, per specificarne diverse modalitàattuative: 1) il concordare delle volontà (delle manifestazioni divolontà nell’edizione di Seckel) di più soggetti rispetto ad un«rapporto giuridico» (può riferirsi, nella maggiormente artico-lata redazione seckeliana: ad uno dei contraenti, per porre in

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68 Fonti: Tit. Ulp. princ. 4; D. 1.3.32.1; D. 1.3.35; D. 2.14.1.3; D. 2.14.58.69 D. 2.1.15; D. 1.3.40.70 D. 2.14.1.3; D. 1.7.10, 11; D. 7.4.2.2.71 D. 1.7.5; D. 3.3.15 pr.; D. 24.3.2.2.72 L’unico sinonimo è, per congruere, in D. 46.4.14.73 Handelexikon zu den Quellen des römischen Rechts: si tengono presenti qui

la seconda edizione (di HEUMANN [Jena 1851] 105: la prima già dal titolo limitaval’analisi lessicale al solo Corpus giustinianeo) e la nona (appunto quella, definitiva,curata da Emil SECKEL [Jena 1907=alla 11a, che è una ristampa anastatica, Graz1971] 95), s.v. «consensus».

74 Invero, la portata del termine, a quanto pare comprensiva per gli autori dellessico, mi sembra ridurre ad una prospettiva volontaristica (nel senso che io «vo-glio» will, quello che tu «vuoi») il latino consensus, che, pure nella lingua giuridica,ha anche il significato di opinione comune.

essere ovvero estinguere un rapporto giuridico 75; all’accordodei consociati in riferimento all’organizzazione giuridica 76; al-l’arbitro nei confronti della pronuncia 77); 2) l’approvazione diun soggetto all’agire di un altro 78. La lettura del lemma con-sentire non aggiunge invero molto all’analisi, proponendosiuna lista di possibili, corrette traduzioni, senza un ordine si-stematico 79. Dunque, ancora, da una parte «accordo», dall’al-tra «assenso» 80. Nel «Nachtrag» dell’edizione di Seckel 81 com-pare anche il lemma consensio, con la traduzione di «Zustim-mung».

Più articolata (ed immensamente più ricca con riferimentoalle fonti spogliate), la raccolta contenuta nel VocabolariumIurisprudentiae Romanae 82. La voce consensus 83 è suddivisa indue interpretazioni 84. Dapprima si enumerano i testi in cui il

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75 Fonti di riferimento (Handlexicon11 cit. 95; il richiamo vale anche per lenote che immediatamente seguono), senza indicazione del giurista sono: D. 2.14.1.2,D. 2.14.2.3, D. 45.1.137.1, D. 44.7.2 (cfr. D. 17.1.1, D. 18.1.1.2, D. 19.2.1), D.50.17.35 (cfr. D. 46.3.80), D. 50.17.30, D. 50.17.116, D. 2.1.15.

76 D. 1.3.40, Tit. Ulp. princ. 4, Gai 3.82.77 D. 4.8.18.78 D. 3.5.25, I. 1.10 pr., D. 11.7.3.79 Handelexikon2 cit. 105, Handlexicon11 cit. 95, s.v. «consentire». Le tradu-

zioni tedesche (con i rispettivi, soliti, richiami alle fonti) sono: «übereinstimmen»,«einstimmig sein» (D. 2.14.1.3), «einwilligen», «seine Zustimmung geben»,«beistimmen», «einräumen», quest’ultimo solo nella redazione di Seckel (D. 5.2.4,D. 20.6.1.7, D. 50.17.160 pr., D. 50.17.165, D. 38.1.48, D. 49.15.12.3, D. 5.1.1, cfr.h.t. 2 pr., D. 27.107.3, D. 47.2.48.3).

80 Cfr. supra 4 ss.81 Handlexicon11 cit. 639, s.v. «consensio», con rinvio a Nov. Maior. 7.1.9.82 Da attribuire all’opera di Bernhard KÜBLER (sull’ampio generoso lavoro del

filologo e romanista dedicato alla redazione ed alla stesura del Vocabularium, si v.L. WENGER, Bernhard Kübler, in ZSS. 61 [1941] spec. xviii s., e cfr. i Praemonendaal I volume del VIR.). Quattro i rinvii ad altre voci: «communis» [cfr. VIR. I.831 lin.38], «novus» [VIR. IV.293 lin. 3], «nudus» [VIR. IV.304 lin. 31 ss.], «tacitus» [VIR.V.937 lin. 2].

83 VIR. I.923 s., i testi sono 121 (con 10 ripetizioni e tre confronti).84 Utile, dal punto di vista dogmatico come da quello della corrispondenza lin-

guistica in tedesco, la breve messa a punto dei diversi significati (sulla base delle ri-sultanze e della classificazione delle fonti del VIR.) proposta da M. KASER, Zurjuristischen Terminologie der Römer, in Studi in onore di B. Biondi I (Milano 1965)117 nt. 120 [=Ausgewählte Schriften I (Napoli 1976) 57 nt. 120]: in I A e B signifi-

termine significherebbe «communis voluntas vel opinio». Lasezione è tripartita attraverso un criterio di attribuzione sog-gettiva del consensus: a) «omnium», b) «plurium», c) «contra-hentium vel paciscentium». La parte che contiene i riferimential consensus «di tutti» è, nel vocabolario della giurisprudenzaclassica, la più breve, ed i testi si riferiscono più ad un con-senso di tipo ‘politico’ 85 (e cioè non oggettivamente verifica-bile rispetto alle singole volontà, ma costituito come opinionecomune: vi si trovano tutti i testi in cui consensus è consideratocome fattore produttivo nell’ambito delle fonti dell’ordina-mento) 86 che a fattispecie direttamente rilevanti per il dirittodei privati. Più articolata la parte b), che rinvia alle fonti in cuiil consenso proviene da più soggetti (ma questa volta determi-nati): le posizioni prese in considerazione sono quelle dei iudi-ces 87, dei domini 88, degli heredes vel legatarii 89, dei patroni 90,

20 CAPITOLO PRIMO

cherebbe «Meinungsübereinstimmung», in II «Zustimmung», in I C «Willensüber-einstimmung der Vertragsparteien», con riferimento a quest’ultima interpretazione,lo studioso scriveva: «doch geht diese juristische Terminologie offenbar von men-schlicher Betätigung, nämlich von den zusammeneinstimmenden Erklärungen derVertragsparteien aus … Auch dissensus bedeutet primär eine Betätigung: den(erklärten oder sonstwie betätigten) Widerspruch (contradicere …) oder die Lossa-gung von einem Vertragsverhältnis … Anders dissensio ‘Uneinigkeit’ …».

85 Cfr. infra 47 ss.86 D. 1.3.40 (Mod. 1 reg.), Tit. Ulp. princ. 4, Gai 3.82, D. 1.3.32.1 (Iul. 84 dig.).

Inesatto, a mio parere, l’inserimento in questa parte di D. 11.7.3 (Paul. 27 ad ed.),dove il pure esplicito riferimento ad un consenso omnium deve essere inteso nel piùristretto senso di omnium dominorum, ovvero, ancora più probabilmente, di tuttigli aventi diritto – si può confrontare D. 11.7.2 (Ulp. 25 ad ed.), che immediata-mente precede, per un’elenco: condomini, usufruttuario, titolare di servitù, credi-tore pignoratizio – per rendere «religioso» un luogo. Correttamente TH. MAYER-MALY, Die Bedeutung des Konsenses in privatrechtsgeschichtlicher Sicht, in G.JAKOBS (hrsg. v.), Rechtsgeltung und Konsens (Berlin 1976) 93 e nt. 9, considera in-sieme (mi sembra in tale direzione) solo il testo di Gaio, quello di Giuliano e quellodi Modestino (ai quali è certamente da aggiungere anche il passo proveniente dallacompilazione attribuita ad Ulpiano), notando l’interesse dei giuristi classici per una«Orientierung am Konsens» non limitata al diritto privato.

87 D. 4.8.18 (Pomp. 17 epist.), D. 4.8.17 (Ulp. 13 ad ed.). 88 D. 11.7.41 (Call. 2 inst.).89 D. 10.2.5 (Gai. 7 ad ed. prov.), D. 31.88.14 (Scaev. 3 resp.), D. 10.2.57 (Pap.

2 resp.), D. 10.3.13 (Ulp. 75 ad ed.).90 D. 40.9.30.4 (Ulp. 4 ad l. Ael. Sent.), con due riferimenti.

dei creditores 91, dei socii 92. Il consensus dei contraenti (lettera c),ovvero di coloro che stringono un patto, è considerato dap-prima in senso generale 93. Poi in senso speciale, con la menzio-ne per esteso del passo gaiano in cui si esplicano i modi in cuiconsensu «si fanno» le obligationes 94, dunque: emptio venditio,locatio conductio, societas, mandatum. Ancora ad un significatodi species è ricondotto il consenso de sponsalibus et nuptiis 95.Chiudono questa parte i richiami al consenso dei litiganti sulgiudice e sull’arbiter 96.

La seconda interpretazione proposta nella voce rappre-senta il consensus come «adsensus, ratihabitio». Anche qui si dà

CONSENSUS 21

91 D. 42.8.23 (Scaev. 32 dig.), D. 2.14.7.19, D. 42.7.2 (Ulp. 65 ad ed.), D. 46.8.9(Ulp. 9 ad ed.), D. 40.9.27.1 (Hermog. 1 epit.).

92 D. 17.2.67 (Paul. 32 ad ed.).93 La contrarietà al consenso: D. 2.1.15 (Ulp. 2 de omn. trib.) cfr. D. 5.1.2 pr.

(Ulp. 3 ad ed.), D. 50.17.116 (Ulp. 11 ad ed.); la costituzione dell’obligatio: D.20.1.4 (Gai. l. sing. de form. hyp.); D. 22.4.4 (Gai. l. sing. de form. hyp.); D. 44.7.1.1(Gai. 2 aur.); D. 44.7.2.1 (Gai. 3 inst.); D. 44.7.4 (Gai. 3 aur.); Gai 3.89; Gai 3.119a;Gai 3.135 (corr.); Gai 3.136; D. 44.7.31 (Maecian. 2 fideic.) [per errore di stampanella editio minor è attribuito a Elio Marciano]; D. 46.1.8.1 (Ulp. 47 ad Sab.);D. 46.2.1.1 (Ulp. 46 ad Sab.); D. 19.4.1.2 (Paul. 32 ad ed.); D. 44.7.48 (Paul. 16 adPlaut.); D. 44.7.52 pr. (Mod. 2 reg.); D. 44.7.52.4 (Mod. 2 reg.); D. 44.7.52.9 (Mod.2 reg.); D. 2.14.58 (Nerat. 3 membr.); D. 50.17.35 (Ulp. 48 ad Sab.); D. 18.5.3 (Paul.33 ad ed.); D. 38.17.1.12 (Ulp. 12 ad Sab.); D. 2.14.1.2 (Ulp. 4 ad ed.); D. 50.12.3 pr.(Ulp. 4 disp.); D. 46.4.8 pr. (Ulp. 48 ad Sab.); D. 2.14.2 pr. (Paul. 3 ad ed.); D. 13.5.1pr. (Ulp. 27 ad ed.); D. 45.1.137.1 (Venul. 1 stip.); D. 2.15.5 (Pap. 1 def.); D. 2.14.1.3(Ulp. 4 ad ed.); D. 45.1.83.1 (Paul. 72 ad ed.).

94 D. 44.7.2 pr.-1 (Gai. 3 inst.)=Gai 3.135-136; D. 19.4.1.2 (Paul. 32 ad ed.);D. 46.3.80 (Pomp. 4 ad Q. Muc.); D. 18.1.9 pr. (Ulp. 28 ad Sab.); D. 21.1.31.18(Ulp. 1 ad ed. aed. cur.); D. 18.1.1.1 (Paul. 33 ad ed.); D. 18.5.3 (Paul. 33 ad ed.);D. 45.1.35.2 (Paul. 12 ad Sab.); D. 20.6.9 pr. (Mod. 4 resp.); D. 17.2.37 (Pomp. 13 adSab.); D. 19.2.13.11 (Ulp. 32 ad ed.); D. 19.2.13.12 (Ulp. 71 ad ed.); D. 19.1.1 (Paul.34 ad ed.); D. 45.1.35 (Paul. 12 ad Sab.); D. 44.7.57 (Pomp. 36 ad Q. Muc.); Gai3.151; Gai 3.154; D. 17.2.19 (Ulp. 30 ad Sab.); D. 10.2.25.16 (Paul. 23 ad ed.); D.17.2.65.9 (Paul. 32 ad ed.); D. 17.1.1 pr. (Paul. 32 ad ed.).

95 D. 23.1.11 (Iul. 16 dig.); D. 49.15.14.1 (Pomp. 3 ad Sab.); D. 24.1.66 pr.(Scaev. 9 dig.); D. 23.1.4 pr. (Ulp. 35 ad Sab.); D. 35.1.15 (Ulp. 35 ad Sab.) = D.50.17.30 (Ulp. 36 ad Sab.); D. 23.1.7.1 (Paul. 35 ad ed.); D. 23.2.16.2 (Paul. 35 aded.).

96 D. 49.1.23 pr. (Pap. 19 resp.); D. 5.1.2 pr. (Ulp. 3 ad ed.); D. 5.1.2.1 (Ulp. 3ad ed.); D. 42.1.57 (Ulp. 2 disp.).

un ordine per così dire soggettivo, con riferimento alle partidalle quali il consenso promana (ovvero non promana): il re-dattore dapprima mette insieme le fonti in cui il riferimento èdi diritto pubblico (consensus populi, magistratus, Caesaris,reipublicae) 97, poi suddivide quelle in cui emerge un consensoprivatistico a seconda che si tratti di un rapporto dominicale odi potestà familiare (consensus domini, patris) 98, di un rapporto«parafamiliare» 99, ovvero di altre «varie» relazioni 100.

La voce «consentio» (ancora più ricca101) risulta quadri-partita. Il primo significato è quello di «communis pluriumopinio» 1 0 2 (si può trattare di omnes, di un gruppo mag-giormente determinato: gli auctores, ovvero giudici e arbitri).Segue l’interpretazione nel senso di «voluntas» 103 (sempre«comune a più soggetti»: fructuarii, heredes, legatarii, pa-

22 CAPITOLO PRIMO

97 D. 26.7.46.1 (Paul. 9 resp.); D. 1.2.2.16 (Pomp. l. s. ench.); D. 5.1.2.1 (Ulp. 3ad ed.); D. 3.5.25 (Mod. 1 resp.); D. 1.19.1.1 (Ulp. 16 ad ed.).

98 D. 41.1.25 (Call. 2 inst.); D. 26.7.21 (Marcell. l. s. resp.); D. 10.2.39.5 (Scaev.1 resp.); D. 23.1.7 (Paul. 35 ad ed.); D. 23.2.25 (Mod. 2 reg.); D. 40.1.16 (Mod. 1 reg.).

99 Utilizzo la terminologia di A. GUARINO, Diritto privato romano12 cit. 594ss. Questi i testi: D. 23.3.60 (Cels. 11 dig.); D. 26.9.5 pr. (Pap. 5 resp.); D. 26.7.1.3(Ulp. 35 ad ed.); D. 26.7.1.4 (Ulp. 35 ad ed.); D. 26.8 R.

100 Emergono il creditore (e i creditori), il primo debitore, un nome proprio, ilfedecommissario, la figlia, il figlio, il marito, la moglie, il procurator omnium bono-rum, il pupillo, il creditore del pupillo, lo schiavo, il servus actor, i socii, lo stipula-tor de dote iterum constituenda: D. 20.6.8.13 (Marcian. l. s. ad form. hyp.); D.42.8.23 (Scaev. 32 dig.); D. 40.9.27.1 (Hermog. 1 iur. epit.); D. 46.2.30 (Paul. 5 resp.);D. 45.1.122.1 (Scaev. 28 dig.); D. 5.1.51 (Marcian. 8 inst.); D. 24.3.4 (Pomp. 15 adSab.); D. 1.7.6 (Paul. 35 ad ed.); D. 20.1.26.1 (Mod. 4 resp.); D. 24.1.21 pr. (Ulp. 32ad Sab.); D. 39.6.42 pr. (Pap. 13 resp.); D. 24.1.34 (Ulp. 43 ad Sab.); D. 20.6.7.1 (Gai.l. s. ad form. hyp.); D. 20.6.7 pr. (Gai. l. s. ad form. hyp.); D. 36.1.67(65) pr. (Maec.5 fideic.); D. 17.2.67 pr. (Paul. 32 ad ed.); D. 23.3.63 (Mod. l. s. de heur.).

101 Si contano nel complesso 237 riferimenti.102 D. 22.5.3.2 (Call. 4 de cogn.); D. 38.1.14 (Ter. Clem. 8 ad leg. Iul. et Pap.);

D. 2.10.1.5 (Ulp. 7 ad ed.); D. 7.2.1.3 (Ulp. 17 ad Sab.)=Fr. Vat. 77; D. 40.12.30 (Iul.5 ex Min.); D. 4.8.17.6 (Ulp. 13 ad ed.) [2 volte]; D. 4.8.17.7 (Ulp. 13 ad ed.); D.4.8.27.3 (Ulp. 13 ad ed.) [2 volte]; D. 42.1.36 (Paul. 17 ad ed.) [2 volte].

103 D. 7.1.34 pr. (Iul. 35 dig.); D. 7.4.2.2 (Pap. 17 quaest.); D. 30.84.13 (Iul. 33dig.) [2 volte]; D. 33.5.12 (Iul. 1 ex Min.); D. 21.1.31.5 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.); D.21.1.31.7 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.); D. 8.3.28 (Iul. 34 dig.); D. 2.15.8 pr. (Ulp. 5 deomn. trib.); D. 30.120.1 (Ulp. 2 resp.); D. 11.7.41 (Call. 2 inst.); D. 38.1.23.1 (Iul. 22dig.) [2 volte]; D. 45.1.54.1 (Iul. 22 dig.); D. 17.1.58.1 (Paul. 4 quaest.).

troni, creditores); poi la «congruens voluntas» 104 dei contraenti(e dei pattuenti); poi ancora il «compromissum» dei litiganti(ovvero la scelta del giudice) 105. Breve il riferimento al signi-ficato di «congruere» 106; molto più ampi (e proporzional-mente maggiori con riferimento a tutte le significazioni elen-cate) quelli relativi a «adsentiri»: l’enumerazione comincia conl’approvazione di sententiae od opinioni 107, per passare all’as-senso nei confronti di un atto giuridico («negotio, pacto, con-tractui», secondo lo schema del vocabolario) 108; la significa-zione è completata dalla lunga lista in cui specificamentesi tratterebbe di «ratum habere, pati, permittere, iubere» 1 0 9 .

CONSENSUS 23

104 D. 12.1.32 (Cels. 5 dig.); D. 19.2.13.11 (Ulp. 32 ad ed.); D. 19.5.17.1 (Ulp.28 ad ed.); D. 19.4.1.2 (Paul. 32 ad ed.); D. 2.14.58 (Nerat. 3 membr.); D. 44.7.55(Iavol. 12 epist.); D. 41.1.36 (Iul. 13 dig.); D. 44.7.2.1 (Gai. 3 inst.)=Gai 3.136; Gai3.153; D. 46.8.3 pr. (Pap. 12 resp.); D. 2.14.1.3 (Ulp. 4 ad ed.); D. 2.15.8 pr. (Ulp. 5de omn. trib.); D. 13.7.1.1 (Ulp. 40 ad Sab.); D. 13.7.1.2 (Ulp. 40 ad Sab.); D.18.1.9.2 (Ulp. 28 ad Sab.); D. 18.1.11 pr. (Ulp. 28 ad Sab.); D. 41.2.34 pr. (Ulp. 7disp.); D. 18.1.15 pr. (Paul. 5 ad Sab.); D. 19.1.21.2 (Paul. 33 ad ed.); D. 22.4.3 (Paul.3 resp.); D. 41.2.1.21 (Paul. 54 ad ed.); D. 45.1.22 (Paul. 9 ad Sab.); D. 45.1.35.2(Paul. 12 ad Sab.); D. 44.7.52.3 (Mod. 2 reg.); Tit. Ulp. 5.2; D. 23.2.2 (Paul. 35 aded.); D. 45.1.134 pr. (Paul. 15 resp.).

105 D. 4.8.14 (Pomp. 11 ad Q. Muc.); D. 4.8.9 pr. (Ulp. 13 ad ed.); D. 4.8.17.4(Ulp. 13 ad ed.); D. 2.1.15 (Ulp. 2 de omn. trib.) [2 volte]; D. 5.1.1 (Ulp. 2 ad ed.);D. 5.1.2 pr. (Ulp. 3 ad ed.) [2 volte]; D. 5.1.2.1 (Ulp. 3 ad ed.) [2 volte]; D. 42.1.57(Ulp. 2 disp.); D. 5.1.33 (Mod. 3 reg.); D. 49.1.26 (Hermog. 2 iur. epit.); D. 5.1.2.2(Ulp. 3 ad ed.); D. 42.1.45 pr. (Paul. 1 sent.).

106 D. 45.3.34 (Iavol. 2 ad Plaut.); D. 46.4.14 (Paul. 12 ad Sab.).107 D. 23.3.59.1 (Marcell. 7 dig.); D. 10.2.24 pr. (Ulp. 19 ad ed.); D. 18.1.9.2

(Ulp. 28 ad Sab.); D. 17.1.40 (Paul. 9 ad ed.); D. 41.2.3.3 (Paul. 54 ad ed.); D.17.2.29.2 (Ulp. 30 ad Sab.); D. 2.14.10.2 (Ulp. 4 ad ed.); D. 6.1.1.2 (Ulp. 16 ad ed.);D. 7.8.10 pr. (Ulp. 17 ad ed.); D. 9.2.27.3 (Ulp. 18 ad ed.); D. 12.2.13.5 (Ulp. 22 aded.); D. 43.14.1.7 (Ulp. 68 ad ed.); D. 24.3.44 pr. (Paul. 5 quaest.).

108 D. 3.3.8.1 (Ulp. 7 ad ed.); D. 8.2.5 (Ulp. 17 ad ed.); D. 23.1.12 pr. (Ulp. lib.sing. de spons.); D. 24.3.2.2 (Ulp. 35 ad Sab.); D. 47.2.48.3 (Ulp. 42 ad Sab.);D. 50.1.2 pr. (Ulp. 2 ad ed.); D. 1.7.5 (Cels. 28 dig.); D. 33.5.8.2 (Pomp. 6 ad Sab.);D. 18.1.11 pr. (Ulp. 28 ad Sab.); D. 38.3.1.1 (Ulp. 49 ad ed.); D. 41.2.1.22 (Paul. 54ad ed.); D. 50.17.116.2 (Ulp. 11 ad ed.); D. 42.8.6.9 (Ulp. 66 ad ed.) = D. 50.17.145(Ulp. 66 ad ed.); D. 50.17.160 pr. (Ulp. 76 ad ed.); D. 50.17.165 (Ulp. 53 ad ed.) [2volte]; D. 44.7.48 (Paul. 16 ad Plaut.); D. 26.8.9.6 (Gai. 12 ad ed. prov.); Gai 3.168;D. 4.9.7 pr. (Ulp. 18 ad ed.); D. 18.2.14.3 (Paul. 5 ad Sab.); D. 45.1.83.1 (Paul. 72 aded.).

109 D. 50.17.160 pr. (Ulp. 76 ad ed.) [2 volte]; D. 27.9.7.2 (Ulp. 35 ad ed.); D.

La voce si chiude con i pochi riferimenti al senso di «conce-dere» 110.

24 CAPITOLO PRIMO

49.1.12 (Ulp. 2 opin.); D. 4.8.1.6.1 (Paul. 13 ad ed.); D. 26.7.21 (Marcell. l. s. resp.);D. 38.6.8 (Pap. 6 resp.); D. 49.15.12.3 (Tryph. 4 disp.) [2 volte]; D. 10.2.20.6 (Ulp. 19ad ed.); D. 26.1.7 (Ulp. 2 disp.); D. 50.1.2 pr. (Ulp. 1 disp.); D. 50.4.3.5 (Ulp. 2opin.); D. 23.2.16.1 (Paul. 35 ad ed.); D. 50.2.7.3 (Paul. 1 sent.); Fr. Vat. 102;D. 23.2.57 (Marcian. 2 inst.); D. 40.1.16 (Mod. 1 reg.); D. 50.4.17.1 (Hermog. 1 iur.epit.); D. 23.2.34 pr. (Pap. 4 resp.); D. 23.3.68 (Pap. 10 quaest.); D. 23.1.10 (Ulp. 3disp.); D. 23.1.7.1 (Paul. 35 ad ed.); D. 24.3.38 (Marcell. l. s. resp.); D. 4.4.3.7 (Ulp.11 ad ed.); D. 1.7.10 (Paul. 2 ad Sab.); D. 23.1.11 (Iul. 16 dig.); D. 24.3.34 (Afr. 8quaest.); D. 24.3.42 pr. (Pap. 4 resp.); D. 35.2.14 pr. (Pap. 9 resp.); D. 4.4.3.5 (Ulp. 11ad ed.); D. 23.1.12 pr. (Ulp. l. s. spons.); D. 24.3.2.2 (Ulp. 35 ad Sab.); D. 24.3.22.5(Ulp. 33 ad ed.) [2 volte]; D. 24.3.22.6 (Ulp. 33 ad ed.) [2 volte]; D. 24.3.29 pr. (Ulp.3 disp.) [2 volte]; Fr. Vat. 119; Fr. Vat. 116; D. 48.20.10.1 (Macer de publ. iudic.) [2volte]; D. 31.34.5 (Mod. 10 resp.) [2 volte]; D. 23.3.85 (Scaev. 8 dig.); D. 24.1.53.1(Pap. 4 resp.); D. 20.6.11 (Paul. 4 resp.); D. 32.41.7 (Scaev. 22 dig.); D. 40.8.8 (Pap.9 resp.); D. 24.1.58.2 (Scaev. 2 resp.); D. 23.2.45.5 (Ulp. 3 ad leg. Iul. et Pap.);D. 38.16.3.5 (Ulp. 14 ad Sab.); D. 38.1.48 pr. (Hermog. 2 iur. epit.) [2 volte];D. 38.1.48.1 (Hermog. 2 iur. epit.) [2 volte]; D. 38.5.11 (Paul. 3 ad l. Ael. Sent.);D. 40.11.2 (Marcian. 1 inst.); D. 40.11.5 pr. (Mod. 7 reg.); D. 17.1.12.8 (Ulp. 31 aded.); D. 47.2.46.7 (Ulp. 42 ad Sab.); D. 47.2.48.3 (Ulp. 42 ad Sab.); D. 20.1.29.3(Paul. 5 resp.); D. 35.1.44.3 (Paul. 9 ad Plaut.); D. 40.9.20 (Mod. l. s. de enucl. cas.);D. 23.4.29.1 (Scaev. 2 resp.); D. 31.88.14 (Scaev. 3 resp.); D. 35.2.27 (Scaev. 6 resp.);D. 31.76.6 (Pap. 7 resp.); D. 11.7.6 pr. (Ulp. 25 ad ed.); D. 23.3.9.1 (Ulp. 31 ad Sab.);D. 10.2.25.17 (Paul. 23 ad ed.) [2 volte]; D. 10.2.41 (Paul. 1 decr.); D. 30.27 (Paul. 9ad Plaut.); D. 48.10.18.1 (Paul. 3 sent.); D. 5.1.51 (Marcian. 8 inst.) [2 volte]; D.10.2.30 (Mod. 6 resp.); D. 20.6.7 pr. (Gai. l. s. ad form. hyp.); D. 20.6.7.1 (Gai. l. s.ad form. hyp.); D. 20.6.4.1 (Ulp. 73 ad ed.) [3 volte]; D. 20.6.4.2 (Ulp. 73 ad ed.);D. 20.6.11 (Paul. 4 resp.); D. 20.6.12 pr. (Paul. 5 resp.); D. 20.6.8.15 (Marcian. l. s. adform. hyp.) [3 volte]; D. 20.6.8.18 (Marcian. l. s. ad form. hyp.); D. 20.6.9.1 (Mod. 4resp.); D. 42.8.6.9 (Ulp. 66 ad ed.) [2 volte]; D. 17.1.58.1 (Paul. 4 quaest.) [2 volte];D. 46.3.31 (Ulp. 7 disp.); D. 23.3.63 (Mod. lib. sing de heur.); D. 10.3.28 (Pap. 7quaest.); D. 20.4.3.2 (Pap. 11 resp.); D. 12.1.16 (Paul. 32 ad ed.); D. 27.10.7.3 (Iul. 21dig.); D. 46.3.65 (Pomp. 1 ex Plaut.); D. 40.12.27 pr. (Ulp. 2 de off. cons.); D.26.7.3.8 (Ulp. 35 ad ed.); D. 46.8.3 pr. (Pap. 12 resp.); D. 27.10.16.3 (Tryph. 13 disp.);D. 3.3.43.3 (Paul. 9 ad ed.); D. 8.2.5 (Ulp. 17 ad ed.); D. 11.7.2.8 (Ulp. 25 ad ed.);D. 39.3.8 (Ulp. 53 ad ed.); D. 7.1.15.7 (Ulp. 18 ad Sab.); D. 7.1.17 pr. (Ulp. 18 adSab.); D. 11.7.2.7 (Ulp. 25 ad ed.); D. 40.2.2 (Ulp. 18 ad Sab.); D. 40.9.27.1 (Her-mog. 1 iur. epit.); D. 3.3.8.3 (Ulp. 8 ad ed.); D. 45.1.122.1 (Scaev. 28 dig.); D.48.16.18.1 (Papir. Iust. 1 de cost.); D. 50.2.2.8 (Ulp. 1 disp.); D. 4.3.25 (Paul. 11 aded.); D. 23.4.20.1 (Paul. 35 ad ed.); D. 47.10.26 (Paul. 19 ad ed.); D. 50.1.21 pr.(Paul. 1 resp.).

110 D. 5.2.4 (Gai l. s. ad l. Glit.); D. 50.4.14.6 (Call. 1 de cogn.), che cita un re-scritto di Adriano; D. 49.4.3 (Macer 2 de appell.).

Adolf Berger 111, nel suo Dizionario (la cui tipologia, in-vero, non lo rende perfettamente comparabile con le altreopere ricordate in questa parte del lavoro), dedica mezza co-lonna al consensus (per il lettore anglofono immediatamentereso come «consent», ma con la precisazione: «in private law»).Viene proposta una breve descrizione della fattispecie unilate-rale (di approvazione) e di quella bilaterale («agree upon atransaction»). Segue un sommario dogmatico. L’unica fonte ci-tata in apparato è il titolo de consensu obligatione delle Institu-tiones giustinianee (3.22), genericamente richiamato.

L’importanza del consenso nella storia del diritto di Romaantica è universalmente riconosciuta, come anche l’influenza(anche se, naturalmente, non diretta) sulla scienza giuridicamedievale e moderna (e dunque sul diritto contemporaneo 112).Tuttavia la scienza romanistica non ha fatto del consensus unrilevante oggetto immediato del suo interesse, con qualche ec-cezione. Ciò deriva, forse, da una parte dalla mancanza di unadefinizione tecnica precisa del concetto, che ha però significa-tive «negative Aussagen» ed un ruolo di definiens centrale ri-spetto al pactum 113; dall’altra da una certa intuitività che la ter-minologia consentire / consensus esprime (anche se proprio lapercezione intuitiva, se sussunta sotto categorie interpretativerigide può condurre ad una lettura inesatta dei problemi 114).

CONSENSUS 25

111 Encyclopedic Dictionary cit. 408, s.v. «consensus» (per i rinvii cfr. supra 17nt. 66).

112 TH. MAYER-MALY, Die Bedeutung des Konsenses cit. 92, ha però scritto:«Dem römischen Recht der Antike verdankt der Konsensbegriff des Privatrechtsweniger, als gemeiniglich angenommen wird», ma la prospettiva mi pare riferita allasola concettualizzazione (effettuata, poi, in profondità, ma invero con risultati nonsempre fermi né univoci dalla scienza giuridica europea, proprio sulla base dellefonti romane, come lo stesso Mayer-Maly prospetta nel seguito del saggio citato).

113 Sui punti messi qui in evidenza si v. in primo luogo la breve ma succosaprospettiva di TH. MAYER-MALY, Die Bedeutung des Konsenses cit. 92; cfr. ancheID., Der Konsens als Grundlage des Vertrages, in Festschrift für E. Seidl (Köln 1975).Sul rapporto definiens-definiendum tra consenso e patto l’opinione dello studiosoaustriaco, riportata nel testo, è seguita, praticamente alla lettera (ma non ne è citatala fonte), da R. ZIMMERMANN, The Law of Obligation. Roman Foundation of theCivilian Tradition (Cape Town-Wetton-Johannesburg 1990) 563 s.

114 Come mi pare sia accaduto a quelle che definisco «teorie generali» roma-

Oltre a quei testi che hanno senso politico-costituzionale eai passi in cui consentire e consensus servono a descrivere unamodalità di formazione del diritto, nell’analisi che vuole con-centrarsi sul ruolo del consenso nel diritto delle obbligazionibisogna tenere distinta una serie (invero non indifferente) ditesti della Compilazione 115 (ma anche al di fuori di essa: Fr.

26 CAPITOLO PRIMO

nistiche (v. infra 172 ss.). Il pericolo si rinviene anche nella riflessione civilistica. Si-gnificativa, ad esempio, l’autorevole posizione di Francesco Messineo, che ripetu-tamente insisté sul tecnicismo, in campo contrattuale, del termine consenso, perindicare esclusivamente il concetto del concorso di due dichiarazioni di volontà: lostudioso criticò apertamente la scelta lessicale del legislatore italiano del 1942,che aveva preferito, in punti veramente nevralgici della materia contrattuale (comel’art. 1321 Cod. civ.), «accordo» invece che consenso, e al contrario aveva utilizzatoproprio «consenso» per indicare una serie di fattispecie in cui rilevava piuttostol’assenso – e dunque un atto unilaterale (o comunque una sorta di autorizzazione)– perché un negozio o un atto sia perfetto, ovvero eseguibile; cfr. soprattuttoF. MESSINEO, Il contratto in genere I [Trattato di diritto civile e commerciale dir.A. CICU, F. MESSINEO XXX/1] (Milano 1968) 389 s. (ove la asserita giustificazionestorica del ragionamento: «cum sentire e l’altra espressione romanistica ‘in idemplacitum consensus’ alludono a pluralità – di regola, dualità – di partecipanti»), edanche ID., s.v. «Contratto (dir. priv.-teoria gen.)», in ED. IX (Milano 1961) 784 ss.,spec. 877 ss.; ID., s.v. «Dissenso (dir. civ.)», in ED. XIII (Milano 1964) 244 ss., sulrapporto tra la Dottrina generale, le voci enciclopediche e la più tarda opera dellostudioso milanese inserita nel «Trattato», si v. la «nota esplicativa» premessa alprimo tomo de Il contratto I cit., p. vii. A tale estremismo fa da più recente pendantun’esasperata valutazione di tipo psicologico del ruolo della volontà individualecome segno dell’accordo da parte di N. IRTI, Scambi senza accordo, in Riv. trim. dir.proc. civ. 52 (1998) I 347 ss. [=Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto (Roma-Bari2001) 101 ss.], alla pubblicazione di questo saggio ha fatto seguito un vivace dibat-tito, si v. soprattutto G. OPPO, Disumanizzazione del contratto?, in Riv. dir. civ. 44(1998) I 525 ss.; C. M. BIANCA, Diritto civile III. Il contratto2 (Milano 2000) 43; ele repliche di N. IRTI, «È vero, ma …» (Replica a Giorgio Oppo), in Riv. dir. civ. 45(1999) I 273 ss.; Lo scambio dei ‘foulards’ (replica semiseria al prof. Bianca), in Riv.trim. dir. proc. 54 (2000) 603 ss. Ma – forse – il giurista dovrebbe ricordare quantol’autonomia privata (sfera che contiene l’accordo contrattuale) sia una rappresenta-zione giuridica e non necessaria fattuale corrispondenza alla concretezza di poteri(economici), cfr., per tutti, P. RESCIGNO, L’autonomia dei privati, in Studi in onoredi G. Scaduto II (Padova 1970) 531 ss.

115 D. 2.10.1.5 (Ulp. 7 ad ed.); D. 6.1.1.2 (Ulp. 16 ad ed.); D. 7.2.1.3 (Ulp. 17ad Sab.); D. 9.2.27.3 (Ulp. 18 ad ed.); D. 10.2.24 pr. (Ulp. 19 ad ed.); D. 17.1.40(Paul. 9 ad ed.); D. 17.2.29.2 (Ulp. 30 ad Sab.); D. 23.3.59.1 (Marcell. 7 dig.); D.24.3.44 pr. (Paul. 5 quaest.); D. 38.1.14 (Ter. Clem. 8 ad l. Iul. et Pap.); D.41.2.3.3 (Paul. 54 ad ed.); D. 43.14.1.7 (Ulp. 68 ad ed.); D. 50.4.14.6 (Call. 1 decogn.) in quest’ultimo caso sono riportate le parole dell’imperatore Adriano, ma ilvalore della terminologia è conferente con la serie testuale che precede.

Dosith. 2; Fr. Vat. 77 [Ulp. 17 ad Sab.]; Val. Prob. 1) nei qualiil verbo consentire viene utilizzato per indicare l’univocità diopinione di diversi giuristi su uno stesso punto. Istruttivo suquesto punto il parallelismo 116 che si può costruire con un’al-tra disciplina particolarmente normativa (da una parte) e con-troversiale (dall’altra): la grammatica. Qui il consenso (tra igrammatici stessi ovvero tra gli scrittori che, producendo lette-ratura, costituiscono regole d’uso 117), con la necessaria diutur-nitas dell’osservanza, assume valore di legge: hanc deinceps ob-servatio consensione poetarum legem dedit, quae auctoritatemde vetustate temporis trahens disciplinam veluti sacrosanctae inmetris observationes ceteris sanxit 118. Se la regola è facilmenterinvenibile: ad illud potius debes consentire et illud in usu ha-bere, de quo nemo dubitat 119, non sempre si possono averecertezze, come mostra chiaramente il grammatico Pompeo 120,commentatore dell’opera di Donato, che non a caso opera lacomparazione tra lingua e diritto 121.

Piuttosto ampia, nei Digesta, la prospettiva autorizzatoria,come anche quella relativa al diritto matrimoniale. Entrambe

CONSENSUS 27

116 Facilitato da quell’utile strumento costituito dall’Index grammaticus. AnIndex to Latin Grammar Texts ed. V. LOMANTO, N. MARINONE I (Hildesheim-Zü-rich-New York 1990) 414.

117 H. KEIL, GL. I 338.7, 382.15, 439.23, 484.26, II 190.13, IV 40.19, 550.23, V235.34 (particolarmente interessante, perché riferito ad una subtilis quaestio:235.32), 270.31, VI 492.29; Charis. 1.10, 63.1, 241.1, 117.25, 236.30 [BARWICK].

118 Mar. Vict. ars gramm. l. 1 [H. KEIL, GL. VI 351 lin. 3-15]. Forse interes-sante, per l’interconnessione tra lingua e diritto, la lettura di Val. Prob. 1. … Nam-que apud veteres eum usus notarum nullus esset, propter scibendi difficultatem,maxime in senatu qui scribendo aderant, ut celeriter dicta comprehenderent, quae-dam verba atque nomina ex communi consensu primis litteris notabant, et singulaelitterae quid significarent, in promptu erat.

119 Pompei comm. artis Donati [H. KEIL, GL. V 205 lin. 15 s.].120 Sul letterato (V/VI sec.) si v. M. SCHANZ, C. HOSIUS, Geschichte der

römischen Literatur IV/2 (München 1920, rist. 1971) spec. 208 ss.121 Pompei comm. artis Donati [H. KEIL, GL. V 274 lin. 9 ss.] … ob hanc cau-

sam, quoniam nec illud nec illud verum est, utrumque accipitur. Habemus enim hocin iure: in plerisque regulis, ubi neque illa firmissima est, neque illa firmissima est,utique consentimus; quoniam nec illud firmissimum est, nec illud firmissimum est,ita fit ut defendatur utraque pars.

hanno rilevanti reiterazioni nelle fonti del tardoantico, periodoin cui tale sfera semantica (insieme con il consenso imperiale,che assume rilievo sempre maggiore), insieme con quella mera-mente pattizia (che ha caratterizzazioni particolari nell’ac-cordo tra coeredi e nella scelta del giudice, con testimonianzeanche nel Teodosiano), nettamente s’impone rispetto a quellacontrattuale obbligatoria, che si mantiene, sostanzialmente (ol-tre che nella Compilazione giustinianea, e qui con una nettaprevalenza in Digesta ed Institutiones rispetto a Codice e No-velle), solo nella testimonianza ripetitiva dell’Epitome Gai 122.

3. Un esempio di discontinuità nella lingua del diritto: de-signazioni criminalistiche e penalistiche. – Per mostrare imme-diatamente quanto anticipato nel paragrafo che precede, inparticolare l’articolazione del significato di consentire/consen-sus non solo in strutture volontaristiche bilaterali, si può guar-dare ad un gruppo di testi, che hanno le seguenti caratteristi-che: l’uso della terminologia in questione è piuttosto antico(fin dalla tarda età repubblicana) e la connotazione è tecnica(legislativa o giurisprudenziale). Si tratta di alcune fonti rela-tive alla repressione dei crimina in Roma antica ed all’aziona-bilità di delitti privati, in cui rilevi il consensus.

Un’unica, invero non del tutto chiara (per il contesto assaiframmentario dal quale possiamo leggerla 123), testimonianzatecnica dell’uso di consentire proviene direttamente dal dirittocriminale (legislativo) repubblicano. Cicerone, infatti, nell’ora-zione pro Cluentio, attesta l’uso del verbo consentire nella lexCornelia de sicariis et veneficis 124, a proposito di un’ipotesi –

28 CAPITOLO PRIMO

122 Cfr. 2.9 pr., 2.9.13, 2.9.15, 2.9.17.123 Mi sembra sia manifesto un certo interesse proprio di Cicerone a marcarne

l’oscurità (si v. subito infra nel testo). L’interpretazione di G. PUGLIESE, in MarcoTullio Cicerone, L’orazione per Aulo Cluenzio Abito (Milano 1972) 40 s., secondoil quale l’oratore, oltre a riferire in buona parte il tenore testuale della disposizione(che resta comunque frammentaria e scorporata rispetto ad un testo legislativo checi è in gran parte sconosciuto), «ampiamente» ne «spiega la portata sostanziale»,non a caso non fa cenno alcuno proprio alla portata del verbo consentire.

124 Cfr. C. G. BRUNS, Fontes iuris Romani antiqui I7 cit. 92 nr. 13. Sul conte-

per così dire di deviazione giudiziaria (nelle forme della «co-spirazione» 125) – stabilita a carico di chi, magistrato in caricaovvero membro dell’ordine senatorio, avesse illecitamente in-terferito (tramite intrighi, accordi, non specificamente e diret-tamente attraverso corruzione 126) nell’opera di un giudice (diuna quaestio) 127: tra le diverse (ma sostanzialmente conver-genti, nel tipico stile delle leggi tardorepubblicane 128) dizioni,

CONSENSUS 29

nuto della legge in generale si v. D. 48.8, I. 4.18.5, Coll. 1.2.3, 1.3.1, 8.4.1, PS. 5.23.1.B. SANTALUCIA, Diritto e processo penale2 cit. spec. 145 ss. (con ampia bibliografiain nt. 127 a p. 145). Il caput in cui era contenuta la menzione del consenso era pro-babilmente ripetuto da un plebiscito di Caio Gracco, v. Cic. pro Cluent. 55.151 ecfr. M. H. CRAWFORD (ed.), Roman Statutes II (London 1996) 753, J.-L. FERRARY,‘Lex Cornelia de sicariis et veneficis’, in Ath. 79 (1991) 417 ss. La citazione dellalegge sillana (ma abbreviata: l’oratore si ferma a coierit, dunque proprio prima dellamenzione del consentire, che invece ricorre in 55.153: quis enim de homine audeatpaulo maioribus opibus praedito vere et fortiter iudicare, cum videat sibi de eo quodcoierit aut consenserit causam esse dicendam?) si trova anche in 54.148, cfr. J.-L.FERRARY, ‘Lex Cornelia’ cit. 429. Cicerone, in seguito (al paragrafo 57.158), conti-nua affermando di essere immediatamente disponibile alla difesa di chiunque, purnon tenuto, per non essere compreso nell’ambito soggettivo di applicazione dellanorma (come si può leggere proprio nel testo trascritto, essa era rivolta ai soli mem-bri dell’ordo senatorio ed ai magistrati: 54.148; nella lista delle cariche, menzionataal paragrafo appena ricordato, credo manchino per brevità della recitazione e nonper esclusione i tresviri capitales, si v. J.-L. FERRARY, ‘Lex Cornelia’ cit. 427, C. CA-SCIONE, ‘Tresviri capitales’. Storia di una magistratura minore [Napoli 1999] 55 ss.;cfr. pure A. W. ZUMPT, Das Criminalrecht der römischen Republik II/2 [Berlin1869] 5 e nt. b), venisse molestato attraverso l’esercizio di questa legge. Per la resaitaliana dei concetti giuridici si v. in primo luogo la traduzione di G. PUGLIESE, inL’orazione per Aulo Cluenzio Abito cit. 118, 120 (cfr. anche 27, 35, 40 ss.); ed anchequella di V. GIUFFRÈ, Imputati, avvocati e giudici nella ‘pro Cluentio’ ciceroniana(Napoli 1993) 141 (cfr. anche 197, 209).

125 Così J.-L. FERRARY, ‘Lex Cornelia’ cit. 430.126 Sul rapporto tra la lex Cornelia de sicariis et veneficis e tale fattispecie cri-

minosa, perseguibile a quel tempo attraverso la lex Cornelia repetundarum (con unanorma collegabile con quella della lex Iulia sulla stessa materia ricordata in D.48.11.3 [Macer 1 publ.]?), si v. G. PUGLIESE, in L’orazione per Aulo Cluenzio Abitocit. 44 ss.

127 Sulla legge Sempronia (ovvero su un provvedimento comunque stretta-mente collegato con la lex de capite civis di Caio Gracco) cfr. B. SANTALUCIA, Di-ritto e processo penale2 cit. 123 s. nt. 64, sulla conseguente norma sillana 147 e nt.134 (nelle note indicate, ulteriore bibliografia).

128 Per tutti si v. M. TALAMANCA, Il codice decemvirale, in Lineamenti di sto-ria del diritto romano2 (Milano 1989) 102; altri riferimenti di letteratura (con qual-

ricorre infatti: … ‘consenserit’, con il commento: hoc vero cuminfinitum tum obscurum et occultum. È opportuno leggere ilpasso nel suo contesto 129:

Cic. pro Cluent. 57.157. Video quanta et quam periculosaet quam infinita quaestio temptetur ab accusatoribus, cumeam legem quae in nostrum ordinem scripta sit in popu-lum Romanum transferre conentur. Qua in lege est: ‘QUICOIERIT’, quod quam late pateat videtis. ‘CONVENERIT’;aeque incertum et infinitum est. ‘CONSENSERIT’; hoc verocum infinitum tum obscurum et occultum. ‘FALSUMVE TE-STIMONIUM DIXERIT’; quis de plebe Romana testimoniumdixit umquam cui non hoc periculum T. Attio auctore pa-ratum esse videatis? Nam dicturum quidem certe, si hociudicium plebi Romanae propositum sit, neminem um-quam esse confirmo.

Ciò che risalta in particolare è il contrappunto ciceronianorispetto alle frasi escerpite dal documento normativo: si va dallate pateat riferito all’ipotesi di ‘associazione’ (qui coierit), al-l’incertum et infinitum dell’ ‘accordo’ (convenerit), all’«oscuroe misterioso», oltre che (come la fattispecie che immediata-

30 CAPITOLO PRIMO

che elemento di critica storiografica e di teoria generale) si possono trovare inC. CASCIONE, ‘Tresviri capitales’ cit. 59 s. e nt. 234. È genericamente convinto – mav’è il riferimento specifico alla legislazione della tarda repubblica – del fatto che«le espressioni impiegate cumulativamente … non sono concettualmente o gram-maticalmente inutili o superflue, ma concorrono a determinare, nel loro com-plesso, l’ambito semantico della categoria risultante dalla giustapposizione dei ter-mini che lo compongono» M. VARVARO, Lo stile di Triboniano e la compilazionedelle ‘Institutiones’ di Giustiniano, in SDHI. 63 (2002) 325 nt. 20 (ivi ancora altri ri-ferimenti bibliografici, tra i quali, dello stesso studioso si v. Di nuovo sulla ‘lex deXX quaestoribus’, in AUPA. 45/2 [1998] 484 ss., a mio parere su posizioni alquantodiverse).

129 Cicerone cita la norma proprio perché il suo tenore testuale serve ad esclu-dere la punibilità del suo difeso Aulo Cluenzio (che non ricopre una carica magi-stratuale, né è senatore) quand’anche mai questi si fosse in qualche modo accordatocon (o avesse corrotto) i giudici nel cd. iudicium Iunianum contro il vecchio Op-pianico. Sul punto, ampiamente, G. PUGLIESE, in L’orazione per Aulo CluenzioAbito cit. 30 ss.

mente precede) «infinito» 130 del ‘consentire’ 131. Tutto ciò am-plificando retoricamente l’indeterminatezza della lettera dellalegge, tende a mostrare l’ampiezza del provvedimento, che valeperò solo come argine alla capacità di influenza negativa ri-spetto ai giudici dei magistrati in carica e dei senatori. Ed ilgrado più alto di tale indeterminatezza è costituito proprio dalconsenserit. Qualche eco di tale concezione, naturalmente voltaalla valutazione della complicità (come si è visto: in senso an-che molto lato) nel peccato, si può forse trovare, in età moltopiù tarda, negli scrittori cristiani 132, ma la riproduzione termi-nologica può considerarsi anche (probabilmente: piuttosto) deltutto indipendente.

Restiamo nell’ambito del processo criminale repubblicano,per apprendere, ancora dalla pro Cluentio di Cicerone, l’uso diconsentire ad indicare (ma qui non v’è traccia di tecnicismo al-cuno) la conformità nella decisione di un collegio giudicantead una precedente sentenza: si tratta insomma della descri-zione dell’uso (retorico) del cd. precedente giudiziario 133.

CONSENSUS 31

130 Risulta retoricamente staccato, rispetto a questa serie, il riferimento al fal-sum testimonium dicere, che si collega con la spavalda proposta di Cicerone di cuial § 158 (cfr. supra 29 nt. 124). Il richiamo all’opinione di Tito Attio è giustificatodal fatto che l’avvocato dell’accusatore Oppianico aveva sostenuto la generale sot-toposizione di tutti i cittadini alle norme della lex Cornelia (cfr. pro Cluent. 57.156).

131 In generale sulla cd. partecipazione psichica al reato nel diritto romano si v.U. BRASIELLO, s.v. «Concorso di persone nel reato (dir. rom.)», in ED. VIII (Milano1961) 561 ss. (con ampia bibliografia); C. GIOFFREDI, I principii del diritto penaleromano (Torino 1970) 111 ss.; V. GIUFFRÈ, La repressione criminale nell’esperienzaromana5 (Napoli 1998) 151; B. BONFIGLIO, Spunti di riflessione su istigazione ecomplicità, in Atti II Convegno sulla problematica contrattuale in diritto romano.In onore di A. Dell’Oro (Milano 1998) 185 ss.

132 Cfr., ad esempio, per l’uso di consensio, Augustin. in ps. 129.4. … consensioenim ad peccatum alterius tuum fit peccatum.

133 Pro Cluent. 22.60. Quid enim illi iudices facere potuerunt? Qui si innocen-tes Fabricios condemnassent, tamen in Oppianico sibi constare et superioribus con-sentire iudiciis debuerunt. Il testo mi pare molto interessante in tema di valore delprecedente giudiziario (argomento che in anni recenti ha suscitato a più riprese l’in-teresse dei romanisti, sotto diversi profili, ma soprattutto nella prospettiva privati-stica; cfr., per tutti, U. VINCENTI, Il valore di precedenti giudiziali nella compila-zione giustinianea2 [Padova 1995]; ID., ‘Res iudicatae’ e diritto giurisprudenziale ro-

Con riferimento sempre al diritto criminale, ma da conte-sti giurisprudenziali che si trovano nella Compilazione giusti-nianea, il consenso rileva anche come causa scriminante:

D. 22.4.3 (Paul. 3 resp.). Respondit repetita quidem diecautionem interponi non debuisse, sed falsi crimen quan-tum ad eos, qui in hoc consenserunt, contractum non vi-deri, cum inter praesentes et convenientes res actitata sitmagisque debitor quam creditor deliquerit.

Il titolo 22.4 dei Digesta giustinianei (de fide instrumento-rum et amissione eorum 134) ha un contenuto – è stato affer-mato – «sostanzialmente privo di vitalità», denunciando lamancanza di un retroterra in cui si fosse esercitata quella «am-pia e specifica elaborazione giurisprudenziale» 135 che solita-mente conferisce nervatura giuridica alle partizioni del Corpusiuris con il riempierle di esperienza teorica e pratica. Di quiuna sorta di «sproporzione qualitativa» 136 tra la rubrica (cheappare in generale riferita alla proposizione e valutazione pro-cessuale degli instrumenta) e l’effettivo complessivo contenutodei frammenti escerpiti. Il piccolo bagaglio testuale di riferi-mento comprende il testo in questione, tratto dai libri respon-sorum di Paolo, che affronta il problema di una retrodatazioned’un documento cautelativo 137 effettuata dopo il perfeziona-

32 CAPITOLO PRIMO

mano, in Nozione… Ricerche F. Gallo II cit. 567 ss.), ma non mi sembra sia statoadeguatamente notato dalla storiografia. Sul rapporto, nella pro Cluentio, tra cd.praeiudicia (sentenze invocate da Cicerone a titolo di precedenti) e retorica del con-vincimento si v. G. PUGLIESE, in L’orazione per Aulo Cluenzio cit. 32 ss. (fonti e let-teratura in nt. 35 a p. 58).

134 La rubrica corrisponde all’inizio di quella in C. 4.21 (che continua: … etantapochis faciendis et de his quae sine scriptura fieri possunt); cfr. J. PH. LEVY, Laformation de la théorie romaine des preuves, in Studi in onore di S. Solazzi (Napoli1948) 418 s. e nt. 3 [a p. 419], per il rapporto con il titolo 22.1 dei Basilici si v. 434e nt. 81 [=Autour de la preuve dans les droits de l’antiquité (Napoli 1992) rispetti-vamente 1 s., 17 con nt. 81].

135 U. ZILLETTI, Studi sulle prove nel diritto giustinianeo, in BIDR. 67 (1964)185.

136 In tal senso ancora U. ZILLETTI, Studi sulle prove nel diritto giustinianeocit. 185 s.

mento del contratto d’accordo tra il debitore ed il creditore 138.Il problema giuridico che discende dalla fattispecie è quello– terribile – del crimen falsi 139. Il parere del giurista, conformeal diritto classico 140, nel senso dell’insussistenza del crimen perassenza di dolo. La valenza del consenso (che scrimina), vera epropria ratio del frammento 141, sta nell’accordo al fine di ap-porre al documento la data falsa e torna proprio nella giustifi-cazione (forse anche un po’ ridondante 142) che Paolo dà della

CONSENSUS 33

137 Cfr. H. DERNBURG, Das Pfandrecht nach den Grundsätzen des heutigenrömischen Rechts II (Leipzig 1864) 417 nt. 2.

138 «Eine Urkunde über ein Cautionsversprechen mit rückwärts gelegtemDatum ausstellen», così H. W. MÜNDERLOH, Zur Geschichte der Besitzklagen, inZSS. 3 (1882) 226 nt. 41; cfr. anche A. WACKE, Prozessformel und Beweislast imPfandrechtsprätendentenstreit, in TR. 37 (1969) 400 (con la spiegazione: «wohl umältere Gläubiger damit zu täuschen»).

139 Sulla repressione del falsum, che prevedeva la deportazione e la confisca delpatrimonio (per gli schiavi la pena di morte), si v. per tutti B. SANTALUCIA, Dirittoe processo penale2 cit. 149 ss. (legislazione sillana), 206 ss. (senatusconsulta estensividel primo principato), 263 ss. (caratteristiche della repressione extra ordinem), 291ss. (evoluzioni tardoimperiali).

140 «Il quale richiedeva l’elemento del dolus malus per il reato di falso», così E.VOLTERRA, ‘Delinquere’ nelle fonti giuridiche romane 13 [=Scritti giuridici VII. Di-ritto criminale e diritti dell’antico oriente mediterraneo (Napoli 1999) 145].

141 In tal senso E. VOLTERRA, ‘Delinquere’ cit. 13 [=Scritti giuridici VII cit.145].

142 E. VOLTERRA, ‘Delinquere’ cit. 13 [=Scritti giuridici VII cit. 145], ritiene in-terpolato il testo da cum a deliquerit, per la presenza del verbo actitare (presente,nel Corpus iuris, solo nelle tarde costituzioni C. 7.62.31.1 [a. 423] e 2.7.11.2 [a.460]), per la «superflua» ripetizione inter praesentes et convenientes, per la «valuta-zione quantitativa, tipicamente bizantina, contenuta nell’affermazione magisque de-bitor quam creditor deliquerit, riferibile al principio non classico della compensa-zione delle colpe. Contra punto per punto G. LONGO, ‘Delictum’ e ‘crimen’ (Mi-lano 1976) 30 ss., che sostiene la valenza generica di delinquere «e cioè come venirmeno a un atto dovuto». Forse interessante mettere a confronto con la critica diVolterra la ricostruzione del passo proposta da Gerhard BESELER (rilevando la noncomunicazione tra i due, che, sul punto, non si citarono): dopo aver tagliato solo iltratto quantum-consenserunt (in Miscellanea, in ZSS. 45 [1925] 222), lo studioso te-desco tornò più agguerrito sul frammento, in Einzelne Stellen, in ZSS. 66 (1948)602, restituendo così il presunto testo originale: <-> Respondit<:> repetita quidemdie cautionem interponi non <debuit> [debuisse], sed falsi crimen [quantum ad eos,qui in hoc consenserunt] contractum non <videtur> [videri], cum inter praesenteset convenientes res actitata sit [magisque debitor quam creditor deliquerit]. A parte

non configurabilità del crimine attraverso l’espressione pienacum inter praesentes et convenientes res actitata sit 143.

Dalla prospettiva criminalistica ci si può ora volgere a fat-tispecie delittuali (connesse anche per l’uniformità dell’ambitosemantico di consentire).

D. 47.2.46.7 (Ulp. 42 ad Sab.). Recte dictum est, qui puta-vit se domini voluntate rem attingere, non esse furem: quidenim dolo facit, qui putat dominum consensurum fuisse,sive falso id sive vere putet? Is ergo solus fur est, qui ad-trectavit, quod invito domino se facere scivit.

Con questo testo entriamo nella problematica del furto 144.Ulpiano sostiene che «è giustamente affermato» (è più cheprobabile che il giurista severiano si riferisca qui a Masurio Sa-bino, i cui libri tres iuris civilis nel luogo in questione sta com-

34 CAPITOLO PRIMO

qualche finezza grafico-interpolazionistica (come il premettere qualcosa al respon-dit, eliminare i due punti, convertire le infinitive) l’unico vero «progresso» si ha nel-l’eliminazione dell’ultima proposizione. Con il commento: «Magis: wieso mehr? –Deliquerit: obgleich kein crimen vorliegt». In generale sulla portata delle intepola-zioni nel titolo D. 22.4 si v. U. ZILLETTI, Studi sulle prove nel diritto giustinianeocit. 185 e nt. 90.

143 Anche se il consensus non vi è addotto come scriminante, è forse utile leg-gere un altro caso di falso, che si trova in D. 48.10.18.1 (Paul. 3 sent.). Qui se filiotestatoris impuberi tutorem adscripsit, etsi suspectus esse praesumitur, quod ultro tu-telam videbitur affectasse, tamen, si idoneus esse adprobetur, non ex testamento, sedex decreto tutor dandus est. Nec excusatio eius admittetur, quia consensisse videturvoluntati testatoris. Anche qui si tratta dell’alterazione di un documento, questavolta un testamento. Attraverso la materiale adscriptio, un soggetto si autoattribui-sce la posizione di tutore testamentario del figlio impubere del de cuius. Secondol’opinione di Paolo, benché egli debba essere preventivamente considerato suspec-tus, tuttavia, se corrisponde ai criteri che fanno un tutore ‘idoneus’, è da assegnareall’impubere (anche se non direttamente ex testamento, ma piuttosto attraverso unaprocedura decretale). A questo punto non è ammessa la sua excusatio, con la spie-gazione quia consensisse videtur voluntati testatoris.

144 V’è un altro testo in materia di furtum: D. 47.2.48.3 (Ulp. 42 ad Sab.).Quod si dominus vetuit et ille suscepit, si quidem non celandi animo, non est fur, sicelavit, tunc fur esse incipit. Qui igitur suscepit nec celavit etsi invito domino, furnon est. Vetare autem dominum accipimus etiam eum qui ignorat, hoc est eum quinon consensit.

mentando 145) che chi reputò di prendere la cosa secondo la vo-lontà del dominus di questa, non si può considerare fur. L’ap-profondimento del caso si sviluppa con una domanda retoricache ha come oggetto il dolo del soggetto agente, dunque l’ele-mento soggettivo della fattispecie: il soggetto «attinge» effetti-vamente la res, ma nella posizione psicologica di reputare cheil proprietario sarebbe stato d’accordo 146. La chiusa riprende iltema, osservandolo però dalla prospettiva della scientia daparte dell’agente della contrarietà del dominus 147.

Un testo 148, proveniente ancora dalla giurisprudenza seve-riana, si riferisce ad alcune fattispecie di corruptio servi 149 (e– almeno nella prospettiva compilatoria – filii), consistenti nel-

CONSENSUS 35

145 Cfr. FR. SCHULZ, Sabinus-Fragmente in Ulpians Sabinus-Commentar(Halle 1906) 83 [=in Labeo 10 (1964) 263]; R. ASTOLFI, I ‘libri tres iuris civilis’ diSabino2 (Padova 2001) 254 nt. 262, 257 nt. 275. Il riferimento trova giustificazioneanche in un frammento masuriano (nr. 2 in E. SECKEL, B. KÜBLER, Iurisprudentiaeanteiustinianae reliquiae6 I [Lipsiae 1908] 73=nr. 113 in F. P. BREMER, Iurispruden-tiae antehadrianae quae supersunt II/1 [Lipsiae 1898] 513) tràdito da Aulo Gellio(11.18.20): Verba sunt Sabini ex libro iuris civilis secundo: ‘qui alienam rem adtrec-tavit, cum se invito domino facere iudicare deberet, furti tenetur’, in cui il giuristaincentra la sua attenzione sull’elemento soggettivo (e di conseguenza sulla posi-zione psicologica del dominus); sul testo si v., per tutti, B. ALBANESE, La nozionedel ‘furtum’ fino a Nerazio, in AUPA. 23 (1953) 120 ss.; V. SCARANO USSANI, Va-lori e storia nella cultura giuridica fra Nerva e Traiano. Studi su Nerazio e Celso(Napoli 1979) 19. Naturalmente il brano di Sabino si deve mettere in connessionecon quello, notissimo, di Gaio: 3.195. Furtum autem fit non solum, cum quis inter-cipiendi causa rem alienam amovet, sed generaliter, cum quis rem alienam invito do-mino contrectat.

146 Ancora su questa linea interpretativa (ma secondo un’ottica per così direrovesciata) prosegue il ragionamento ulpianeo nel § 8, ove il giurista cita un’opi-nione che risale (almeno) a Pomponio: Per contrarium quaeritur, si ego me invitodomino facere putarem, cum dominus vellet, an furti actio sit. Et ait Pomponiusfurtum me facere: verum tamen est, ut, cum ego velim eum uti, licet ignoret, ne furtisit obligatus.

147 Sul punto si tornerà infra 188 ss.148 Di recente si v. B. BONFIGLIO, ‘Corruptio servi’ (Milano 1998) 34 s., 157 ss.,

195 s., con ulteriori riferimenti bibliografici (cfr. ntt. 78 s. a p. 34 s.). Cfr. ancheB. ALBANESE, ‘Actio servi corrupti’, in AUPA. 27 (1959) spec. 27 ss.

149 Che questo fosse l’ambito originario del commento paolino (a dispettodella collocazione giustinianea) è dimostrato chiaramente da B. ALBANESE, ‘Actioservi corrupti’ cit. 26 e nt. 34.

l’indurre il sottoposto a recarsi in una taverna o a giocare aidadi.

D. 47.10.26 (Paul. 19 ad ed.). Si quis servum meum vel fi-lium ludibrio habeat licet consentientem, tamen ego iniu-riam videor accipere: veluti si in popinam duxerit illum, sialea 150 luserit. Sed hoc utcumque tunc locum habe<re> 151

potest, quotiens ille qui suadet animum iniuriae faciendaehabet ...

La prospettiva è quella del titolare della potestà (servummeum), con l’affermazione della sopportazione del danno: ta-men ego iniuriam videor accipere e ciò (questo il punto che quipiù interessa) anche se il sottoposto alla potestà fosse consen-ziente a farsi condurre nel luogo di perdizione. La presenzadell’animus iniuriae faciendae da parte del corruttore com-porta (insieme con l’aspetto materiale) l’azionabilità attraversol’actio iniuriarum 152.

Per concludere questo tratto della ricerca: in tutti i casi‘criminalistici’ o ‘penalistici’, che provengono dal diritto legi-slativo della tarda repubblica, come dalle interpretazioni giuri-sprudenziali fino all’età severiana, la terminologia relativa alconsensus appare significare con costanza (in contesti tra loroanche molto differenziati, dai punti di vista sia cronologico chesostanziale) piuttosto un’adesione che un concorso paritario divolontà.

Il che risulta di particolare interesse, mostrando – nel tec-

36 CAPITOLO PRIMO

150 La Florentina ha aleam: TH. MOMMSEN, in ed. maior II (Berolini 1870) 782,in apparato a lin. 18.

151 Il codice fiorentino porta habe (cfr. la citazione in nt. precedente).152 Il giurista prevede poi l’ipotesi (che per la sua riflessione doveva essere cen-

trale, mentre quella descritta nel testo costituiva, oltre l’inquadramento generale,motivo di rinvio) che il malum consilium provenisse da qui dominum ignoret, in talcaso, la soluzione di Paolo sta nella necessarietà del ricorso all’actio servi corrupti:… Atquin potest malum consilium dare et qui dominum ignoret: et ideo incipit servicorrupti actio necessaria esse.

nicismo della lingua dei giuristi – un’attitudine indipendente(fino alle grandi sistemazioni dell’ultima età classica) della ter-minologia rispetto all’influenza, pur forte, che doveva prove-nire dal modello schematico del consensus come fonte dell’ob-bligazione.

CONSENSUS 37

Reputo utile proporre qui di seguito, in mancanza di unaordinata raccolta esauriente, un indice complessivo delle ricor-renze delle voci consensio, consensus e consentio nelle fonti giu-ridiche romane 1.

a) Fonti pregiustinianee

CODEX EURICI 2

consensus 276 3, 306

CODEX GREGORIANUS 4

consensus 5 [239]

CODEX THEODOSIANUS 5

consensus Gesta 7 [a. 438]; 2.1.10 [a. 438]; 2.9.2. [a. 381]; 2.14.1 [a. 400];2.24.1 [a. 321?]; 3.1.3 [a. 362]; 3.5.2 [a. 319]; 3.5.11 [a. 380]; 3.6.1 [a. 380];3.7.3 [a. 428]; 3.10.1 [a. 409]; 3.11.1 [a. 380]; 5.14.30 [a. 386]; 6.24.11 [a.

APPENDICE

RICORRENZE DELLE VOCI CONSENSIO, CONSENSUS, CONSENTIO,

NELLE FONTI GIURIDICHE ROMANE

1 Nelle note si segnalano i lessici dai quali le fonti stesse sono state escerpite.Controlli sono stati operati sulle banche-dati elettroniche (in particolare, per lefonti ivi disponibili è stato eseguito lo spoglio di BIA.2 cur. N. PALAZZOLO [Cata-nia 2002]).

2 Per i cd. «ius» e «leges» dell’esperienza tardoantica si è utilizzato E. LEVY

(Hrsg.), Ergänzungsindex cit. 32, s.vv. «consensus», «consentio».3 Restituito congetturalmente ex LWis. 10.3.5 (cfr. K. ZEUMER, in MGH. Leges

nationum Germanicarum I. Leges Visigothorum [Hannoverae et Lipsiae 1902, rist.1972] p. 4 in apparato critico. a Cod. Eur. 276; ma non riportato nella più recenteedizione di A. D’ORS, Estudios Visigoticos II. El Codigo de Eurico [Roma-Madrid1960] 21, e cfr. 199 s., ivi [a p. 199] nt. 632).

4 O. GRADENWITZ (Leit.), Ergänzungsband cit. II 4*, s.vv. «consensus», «con-sentio».

5 O. GRADENWITZ (Leit.), Heidelberger Index zum Theodosianus (Berlin1925) 43, s.vv. «consensus», «consentio».

432]; 6.27.4 [a. 382]; 8.2.5 [a. 401]; 8.15.6 [a. 380]; 9.25.1 [a. 354]; 9.36.2[a. 409]; 9.37.2 [a. 369]; 9.37.4 [a. 409]; 10.10.12 [a. 380]; 10.10.27 [a. 415?];11.15.2 [a. 384]; 11.20.4.2 [a. 423]; 11.33 R; 11.33.1 [a. 396]; 12.1.17 [a. 329]12.1.49 pr. [a. 361]; 12.1.171.1 [a. 409?]; 12.1.192 [a. 436]; 12.6.20 [a. 386];13.1.20 [a. 410]; 13.3.5 [a. 362]; 13.10.8 pr. [a. 383]; 14.3.20 [a. 398]; 14.4.9[a. 417]; 15.2.2 [a. 369]; 16.2.6 [a. 326]; 16.6.4 [a. 405]

consentio 1.27.2 [a. 408]; 7.4.25 [a. 398]; 8.4.7 [a. 361]; 8.5.58 [a. 398];9.37.2 [a. 369]; 9.37.4 [a. 409]; 9.45.4.2 [a. 431]; 10.10.16 [a. 382]; 10.19.11 [a.384]; 13.3.1 [a. 321?]; 14.15.4 [a. 398]; 14.17.6 [a. 370]; 16.6.4 [a. 405]

INTERPRETATIO AD CODICEM THEODOSIANUM

consensus 1.29.6, 2.17.1, 3.1.3, 3.5.2, 3.7.1, 3.7.3, 3.10.1, 3.12.3, 8.2.5,11.36.26

consentio 2.1.10, 2.15.1, 8.2.5, 9.24.1, 9.37.4

COLLATIO LEGUM MOSAICARUM ET ROMANARUM

consentio 15.1.1

CONSULTATIO VETERIS CUIUSDAM IURISCONSULTI

consentio 9.13

EDICTUM THEODORICI 6

consensus 106, 127consentio 17, 39, 64, 82

FRAGMENTA AUGUSTODUNENSIA

consentio 93

FRAGMENTA VATICANA

consentio 77, 102, 116, 119

FRAGMENTUM DOSITHEANUM

consentio 2

GAIUS 7

Institutiones

40 APPENDICE

6 Cfr. anche G. MELILLO, A. PALMA, C. PENNACCHIO, Lessico dell’«EdictumTheoderici Regis» (Napoli 1990) 30 s.

7 P. P. ZANZUCCHI, Vocabolario delle Istituzioni di Gaio (Milano s.d.), s.vv.«consensus», «consentiens», «consentio»; E. LEVY (Hrsg.), Ergänzungsindex zu iusund leges (Weimar 1930) 32, s.v. «consensus»; E. DE SIMONE, Addenda al Vocabola-rio delle Istituzioni di Gaio, in Labeo 8 (1962) 331, 336, s.vv. «consensus», «consen-tiens», «consentio».

consensus 3.82, 89, 119a, 135, 136, 151, 154, 4.72aconsentio 3.136, 153, 3.156 (corr.), 168

GAI EPITOME

consensus 1.4 pr., 2.9 pr., 2.9.13, 2.9.15, 2.9.17consentio 2.9.15, 2.10

INTERPRETATIO AD PAULI SENTENTIARUM LIBROS

consensus 1.18.1consentio 4.7.2, 5.2.2

LEX CORNELIA DE SICARIIS ET VENEFICIS

consentio c. 6 8 [CRAWFORD, RS. II 752]

LEX IRNITANA

consentio c. 83 lin. 39 [LAMBERTI 346]

LEX ROMANA BURGUNDIONUM 9

consensus 21.1, 37.2, 37.5consentio 9.4

NOVELLAE THEODOSIANI 10

consensio Maior. 7.10 [a. 458]; consensus Theod. 12 [a. 439]; 23 [a. 443]; Valent. 21.1 [a. 446]; 28 [a.

449]

PAPINIANI FRAGMENTA PARISIENSIA EX LIBRO NONO RESPONSORUM

consentio 18 11

SENATUSCONSULTUM TABULAE SIARENSIS

consensus II b lin. 23 s. [SÁNCHEZ-OSTIZ GUTIÉRREZ 252]

TITULI EX CORPORE ULPIANI

consensus princ. 4consentio 5.2

RICORRENZE NELLE FONTI GIURIDICHE ROMANE 41

8 Cic. pro Cluent. 57.157; cfr. supra 30 ss.9 Cfr. anche G. MELILLO, A. PALMA, C. PENNACCHIO, Lessico della «Lex Ro-

mana Burgundionum» (Napoli 1992) 29.10 O. GRADENWITZ (Leit.), Ergänzungsband zum Heidelberger Index zum

Theodosianus (Berlin 1929) 15, s.vv. «consensio», «consensus», «consentio».11 Il verbo è contenuto in una nota di Ulpiano al testo papinianeo (il contesto

è invero scarsamente intellegibile).

VALERIUS PROBUS

De litteris singularibus fragmentumconsensus 1

b) Fonti giustinianee

CORPUS IURIS CIVILIS

Institutiones 12

consensus 1.2.9, 1.2.11, 1.10 pr., 2.1.28, 2.10.7, 3.1.3, 3.10 pr., 3.13.2,3.19.13, 3.20.1, 3.22 R, 3.22 pr., 3.22.1, 3.25.4, 3.25.5, 3.29.4 (2 volte)

consentio 1.11.7 (2 volte), 2.1.9, 2.8 pr., 3.11.1, 3.22.1, 3.25.8, 3.29 pr.,3.29.4

Digesta 13

consensus 14 1.3.32.1 (Iul. 84 dig); 1.3.40 (Mod. 1 reg.); 1.19.1.1 (Ulp. 16ad ed.); 2.14.1.2-3 (Ulp. 4 ad ed.)*; 2.14.1.2 (Paul. 3 ad ed.); 2.14.58 (Flor. 8inst.); 2.15.5 (Pap. 1 def.); 3.5.25 (Mod. 1 resp.); 4.8.17.7 (Ulp. 13 ad ed.);4.8.18 (Pomp. 17 epist.); 5.1.2 (Ulp. 3 ad ed.)*; 5.1.2.1 (Ulp. 3 ad ed.); 5.1.51(Marcian. 8 inst.)*; 10.2.5 (Gai. 7 ad ed. prov.); 10.2.25.16 (Paul. 23 ad ed.);10.2.39.5 (Scaev. 1 resp.); 10.2.57 (Pap. 2 resp.); 10.3.13 (Ulp. 71 ad ed.);11.7.3 (Paul. 27 ad ed.); 11.7.41 (Call. 2 inst.); 13.5.1 (Ulp. 27 ad ed.);13.7.1.2; 17.1.1 pr. (Paul. 32 ad ed.); 17.2.19 (Ulp. 13 ad Sab.); 17.2.37(Pomp. 13 ad Sab.); 17.2.65.9 (Paul. 32 ad ed.); 17.2.67 (Paul. 32 ad ed.);18.1.1.2 (Paul. 33 ad ed.); 18.1.9 pr. (Ulp. 28 ad Sab.); 18.1.9.2 (Ulp. 28 adSab.); 18.2.14.3 (Paul. 5 ad Sab.); 18.5.3 (Paul. 33 ad ed.); 19.2.1 (Paul. 34 aded.); 19.2.13.11 (Ulp. 32 ad ed.); 19.2.14 (Ulp. 71 ad ed.); 19.4.1.2 (Paul. 32[33] ad ed.)*; 20.1.4 (Gai. l. s. de form. hyp.); 20.1.26.1 (Mod. 4 resp.);20.6.8.13 (Marcian. l. s. ad f. hyp.); 20.6.9 (Mod. 4 resp.)*; 21.1.31.18 (Ulp.1 ad ed. aed. cur.); 23.1.4 (Ulp. 35 ad Sab.); 23.1.7.1 (Paul. 35 ad ed.);23.1.11 (Iul. 16 dig.); 23.2.25 (Mod. 2 reg.); 23.3.60 (Cels. 11 dig.); 23.3.63(Mod. l. s. de heur.); 24.1.21 pr. (Ulp. 32 ad Sab.); 24.1.34 (Ulp. 43 ad Sab.);24.1.66 pr. (Scaev. 9 dig.); 24.3.4 (Pomp. 15 ad Sab.); 26.7.1.3 (Ulp. 35 ad

42 APPENDICE

12 R. AMBROSINO, Vocabularium Institutionum Iustiniani Augusti (Mediolani1942) 44, s.vv. «consensus», «consentire».

13 Oltre al VIR. I.923 ss., ed alla raccolta proposta da H. FRITSCHE, Untersu-chung cit. 12 ss. (cui, invero, era sfuggito D. 11.7.2.8 [Ulp. 25 ad ed.]), per i fram-menti gaiani si v. anche L. LABRUNA, E. DE SIMONE, S. DI SALVO, Lessico di Gaio [I](Napoli 1985) 73 s., s. vv. «consensus», «consentire».

14 I testi contrassegnati da un asterisco contengono sia il sostantivo che ilverbo e sono – di conseguenza – riportati in tutte e due le serie che si susseguonosotto ‘Digesta’.

ed.); 26.7.1.4 (Ulp. 35 ad ed.); 26.7.46.1 (Paul. 9 resp.); 26.9.5 pr. (Pap. 5resp.); 35.1.15 (Ulp. 35 ad Sab.); 36.1.67(65) pr. (Maec. 5 fideic.); 38.17.1.12(Ulp. 12 ad Sab.); 39.6.42 pr. (Pap. 13 resp.); 40.9.27.1 (Hermog. 1 epit.);41.1.25 (Call. 2 inst.); 42.1.57 (Ulp. 2 disp.); 42.7.2 pr. (Ulp. 65 ad ed.);42.8.23 (Scaev. 32 dig.); 44.7.1.1 (Gai. 2 aur.); 44.7.4 (Gai. 3 aur.); 44.7.31(Maecian. 2 fideic.); 44.7.48 (Paul. 16 ad Plaut.); 44.7.52.4 (Mod. 2 reg.);44.7.52.9 (Mod. 2 reg.); 44.7.57 (Pomp. 36 ad Q. Muc.); 45.1.83.1 (Paul. 72ad ed.); 45.1.122.1 (Scaev. 28 dig.); 45.1.137.1 (Ven. 1 stip.); 46.1.8.1 (Ulp. 47ad Sab.); 46.2.1.1 (Ulp. 46 ad Sab.); 46.2.30 (Paul. 5 resp.); 46.4.8 (Ulp. 48ad Sab.); 46.8.9 (Ulp. 9 ad ed.); 49.1.23 pr. (Papin. 10 resp.); 50.17.35 (Ulp.48 ad Sab.); 50.17.116 (Ulp. 11 ad ed.);

consentio 1.2.2.24 (Pomp. l. s. ench.); 1.7.5 (Cels. 28 dig.); 2.1.15 (Ulp.2 de omn. trib.); 2.10.1.5 (Ulp. 7 ad ed.); 2.14.1.2-3 (Ulp. 4 ad ed.)*; 2.15.8(Ulp. 5 de omn. trib.); 3.3.8.1 (Ulp. 8 ad ed.); 3.3.8.3 (Ulp. 8 ad ed.);3.3.43.3 (Paul. 9 ad ed.); 4.3.25 (Paul. 11 ad ed.); 4.4.3.5 (Ulp. 11 ad ed.);4.4.3.7 (Ulp. 11 ad ed.); 4.8.9 (Ulp. 13 ad ed.); 4.8.14 (Pomp. 11 ad Q.Muc.); 4.8.16.1 (Paul. 13 ad ed.); 4.8.17.4 (Ulp. 13 ad ed.); 4.8.17.6 (Ulp. 13ad ed.); 4.8.27.3 (Ulp. 13 ad ed.); 4.9.7 pr. (Ulp. 18 ad ed.); 5.1.1 (Ulp. 2 aded.); 5.1.2 (Ulp. 3 ad ed.)*; 5.1.2.2 (Ulp. 3 ad ed.); 5.1.33 (Mod. 3 reg.);5.1.51 (Marcian. 8 inst.)*; 5.2.4 (Gai. l. s. ad l. Glitiam); 6.1.1.2 (Ulp. 16 aded.); 7.1.15.7 (Ulp. 18 ad Sab.); 7.1.17 (Ulp. 18 ad Sab.); 7.1.34 (Iul. 35 dig.);7.2.1.3 (Ulp. 17 ad Sab.); 7.4.2.2 (Pap. 17 quaest.); 8.2.5 (Ulp. 17 ad ed.);8.3.28 (Iul. 34 dig.); 9.2.27.3 (Ulp. 18 ad ed.); 10.2.20.6 (Ulp. 19 ad ed.);10.2.24 pr. (Ulp. 19 ad ed.); 10.2.25.17 (Paul. 23 ad ed.); 10.2.30 (Paul. 23 aded.); 10.2.41 (Paul. 1 decr.); 10.3.28 (Pap. 7 quaest.); 11.7.2.7 (Ulp. 10 aded.); 11.7.2.8 (Ulp. 10 ad ed.); 11.7.6 pr. (Ulp. 25 ad ed.); 12.1.16 (Paul. 32ad ed.); 12.1.32 (Cels. 5 [6 L.] dig.); 12.2.13.5 (Ulp. 22 ad ed.); 13.7.1.1 (Ulp.40 ad Sab.); 17.1.12.8 (Ulp. 31 ad ed.); 17.1.40 (Paul. 9 ad ed.); 17.1.58.1(Paul. 4 quaest.); 17.2.29.2 (Ulp. 30 ad Sab.); 18.1.11 (Ulp. 28 ad Sab.);18.1.15 pr. (Ulp. 28 ad Sab.); 19.1.21.2 (Paul. 33 ad ed.); 19.4.1.2 (Paul. 32[33] ad ed.)*;19.5.17.1 (Ulp. 28 ad ed.); 20.1.29.3 (Paul. 5 resp.); 20.4.3.2(Pap. 11 resp.); 20.6.4.1 (Ulp. 73 ad ed.); 20.6.4.2 (Ulp. 73 ad ed.); 20.6.7 pr.(Gai. l. s. ad f. hyp.); 20.6.7.1 (Gai. l. s. ad f. hyp.); 20.6.8.15 (Marcian. l. s.ad f. hyp.); 20.6.9 (Mod. 4 resp.)*; 20.6.9.1 (Mod. 4 resp.); 20.6.11 (Paul. 4resp.); 20.6.12 pr. (Paul. 4 resp.); 21.1.31.5 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.); 22.4.3(Paul. 3 resp.); 22.5.3.2 (Call. 4 de cogn.); 23.1.10 (Ulp. 3 disp.); 23.1.12(Ulp. l. s. de spons.); 23.2.2 (Paul. 35 ad ed.); 23.2.16.1 (Paul. 35 ad ed.);23.2.45.5 (Ulp. 3 ad l. Iul. et Pap.); 23.2.57 (Marcian. 2 inst.); 23.3.9.1 (Ulp.31 ad Sab.); 23.3.59.1 (Marcell. 7 dig.); 23.3.68 (Pap. 10 quaest.); 23.3.85(Scaev. 8 dig.); 23.4.20.1 (Paul. 35 ad ed.); 23.4.29.1 (Scaev. 2 resp.); 24.1.53.1

RICORRENZE NELLE FONTI GIURIDICHE ROMANE 43

(Pap. 4 resp.); 24.1.58.2 (Scaev. 2 resp.); 24.3.2.2 (Ulp. 35 ad Sab.); 24.3.22.5(Ulp. 33 ad ed.); 24.3.22.6 (Ulp. 33 ad ed.); 24.3.29 (Ulp. 3 disp.); 24.3.34(Afr. 8 quaest.); 24.3.38 (Marcell. l. s. resp.); 24.3.42 pr. (Pap. 4 resp.);24.3.44 pr. (Paul. 5 quaest.); 26.1.7 (Ulp. 2 disp.); 26.7.3.8 (Ulp. 35 ad ed.);26.7.21 (Marcell. l. s. resp.); 26.8 R; 27.9.7.2 (Ulp. 35 ad ed.); 27.10.7.3 (Iul.21 dig.); 27.10.16.3 (Tryph. 13 disp.); 30.27 (Paul. 9 ad Plaut.); 30.84.13 (Iul.33 dig.); 30.120.1 (Ulp. 2 resp.); 31.34.5 (Mod. 10 resp.); 31.76.6 (Pap. 7resp.); 31.88.14 (Scaev. 3 resp.); 32.41.7 (Scaev. 22 dig.); 33.5.8.2 (Pomp. 6 adSab.); 33.5.12 (Iul. 1 ex Minic.); 35.1.44.3 (Paul. 9 ad Plaut.); 35.2.14 pr.(Pap. 9 resp.); 35.2.27 (Scaev. 6 resp.); 38.1.14 (Ter. Clem. 8 ad l. Iul. etPap.); 38.1.23.1 (Iul. 22 dig.); 38.3.1.1 (Ulp. 49 ad ed.); 38.5.11 (Paul. 3 ad l.Ael. Sent.); 38.6.8 (Pap. 6 resp.); 38.16.3 (Ulp. 14 ad Sab.); 39.3.8 (Ulp. 53ad ed.); 40.1.16 (Mod. 1 reg.); 40.2.2 (Ulp. 18 ad Sab.); 40.8.8 (Pap. 9 resp.);40.9.20 (Mod. l. s. de enucl. cas.); 40.11.2 (Marcian. 1 inst.); 40.11.5 (Mod. 7reg.); 40.12.27 (Ulp. 2 de off. cons.); 40.12.30 (Iul. 5 ex Min.); 41.1.36 (Iul.13 dig.); 41.2.1.21 (Paul. 54 ad ed.); 41.2.3.3; 41.2.34 pr. (Ulp. 7 disp.);42.1.36 (Paul 17 ad ed.); 42.8.6.9 (Ulp. 66 ad ed.); 43.14.1.7; 44.7.52.3 (Mod.2 reg.); 44.7.55 (Iav. 12 epist.); 45.1.22 (Paul. 9 ad Sab.); 45.1.35.2 (Paul. 12ad Sab.); 45.1.54.1 (Iul. 16 dig.); 45.1.134 pr. (Paul. 15 dig.); 45.3.34 (Iav. 2ad Plaut.); 46.3.31 (Ulp. 7 disp.); 46.3.65 (Pomp. 1 ex Plaut.); 46.3.80(Pomp. 4 ad Q. Muc.); 46.4.14 (Paul. 12 ad Sab.); 46.8.3 (Pap. 12 resp.);47.2.46.7 (Ulp. 42 ad Sab.); 47.2.48.3 (Ulp. 42 ad Sab.); 47.10.26 (Paul. 19ad ed.); 48.10.18.1 (Paul. 3 sent.); 48.16.18.1 (Pap. Iust. 1 de const.);[48.20.10.1] greco=B. 60.52.10; 49.1.12 (Ulp. 2 opin.); 49.1.26 (Hermog. 2iur. epit.); 49.4.3 (Macer 2 de appell.); 49.15.12.3 (Tryph. 4 disp.), 49.15.14.1(Pomp. 3 ad Sab.); 50.1.2 pr. (Ulp. 1 disp.); 50.1.21 (Paul. 1 resp.); 50.2.2.8(Ulp. 1 disp.); 50.4.3.5 (Ulp. 2 opin.); 50.4.14.6; 50.4.17.1 (Hermog. 1 epit.);50.12.3 (Ulp. 4 disp.); 50.17.116.2 (Ulp. 11 ad ed.); 50.17.145 (Ulp. 66 aded.); 50.17.160 (Ulp. 76 ad ed.); 50.17.165 (Ulp. 53 ad ed.).

Codex 15

consensus 16 1.1.8.6 [a. 534]; 1.1.8.14 [a. 534 17]; 1.2.14.5* [a. 470]; 1.3.36

44 APPENDICE

15 Cfr. R. MAYR, Vocabularium Codicis Iustiniani I (Pars Latina) (Pragae 1923)691 s., s.vv. «consensus», «consentire»; per le costituzioni giustinianee, si v. anche C.LONGO, Vocabolario delle costituzioni latine di Giustiniano, in BIDR. 10 (1897-98)93, s.vv. «consensus», «consentiens», «consentio».

16 I testi contrassegnati da un asterisco contengono sia il sostantivo che ilverbo e sono – di conseguenza – riportati in tutte e due le serie che si susseguonosotto ‘Codex’.

17 Ma il termine è contenuto in un’epistula di Giustiniano, del 533, recepitanella successiva costituzione.

pr.* [a. 484]; 1.4.7 [a. 398]; 1.14.8 pr.* [a. 446]; 1.18.9 [a. 294]; 1.53.1.2 [a.528]; 2.3.16 [a. 286]; 2.4.13 pr. [a. 290]; 2.4.13.1 [a. 290]; 2.4.20 [a. 293];2.4.40 [a. 381]; 2.6.3 [a. 240]; 2.7.22 pr. [a. 505]; 2.7.24 pr. [a. 517]; 2.14.1.2[a. 400]; 2.19.4 [a. 239]; 2.25.1 [a. 294]; 2.55.4.1 [a. 529]; 2.55.5 pr. [a. 530];3.1.14.1 [a. 530]; 3.13.1* [a. 214]; 3.13.3 [a. 293]; 3.36.1 [a. 197]; 3.36.15 [a.293]; 3.38.2 [a. 229]; 3.38.8 [a. 294]; 3.39.2 [a. 294]; 4.1.1 [a. 213]; 4.2.8 [a.293]; 4.22.5 [a. 294]; 4.28.7 pr. [a. 530]; 4.28.7.1 [a. 530]; 4.29.21 (3 volte) [a.530]; 4.32.7 [a. 215]; 4.37.5 [a. 294]; 4.38.2 (2 volte) [a. 286]; 4.38.12 pr. [?Diocl. et Max.]; 4.38.12.1 [a. 294?]; 4.44.5.1 [a. 293]; 4.44.6 [a. 293]; 4.44.8*[a. 293]; 4.45.1 (2 volte) [? Gord.]; 4.45.2 [a. 293]; 4.50.9 [a. 294]; 4.51.2 [?Gord.]; 4.65.16 [a. 260]; 4.65.23 [a. 293]; 4.65.35.1 [a. 530]; 4.66.3 pr. (2volte) [a. 530]; 4.66.3.3 [a. 530]; 5.1.5.5 [a. 472]; 5.2.1.2 [a. 380]; 5.3.15 pr. [a.319]; 5.3.19 pr. [a. 527?]; 5.4.12 [a. 285]; 5.4.22 [a. 428]; 5.8.1 [a. 409];5.13.1.14a [a. 530]; 5.13.1.15b* [a. 530]; 5.16.20 [a. 294]; 5.17.8 pr. [a. 449];5.17.9 [a. 497]; 5.37.26.1 [a. 531]; 5.37.26.5 [a. 531]; 5.74.1 [a. 290]; 6.22.11[a. 531]; 6.23.1 [? 18 Hadrian.]; 6.61.6.2c [a. 529]; 6.61.8.3 [a. 531]; 6.61.8.6[a. 531]; 7.14.10 [? Diocl. et Max.]; 7.16.5.1 [? Alex.]; 7.16.7 [? Aurelian.];7.20.1 [a. 290]; 7.26.4 [? Alex.]; 7.62.7 [? Diocl. et Max.]; 8.10.3 [a. 224];8.15.7 [a. 293]; 8.16.2 [a. 207]; 8.25.1 [a. 205]; 8.25.2 [a. 208]; 8.25.4 [a. 239];8.25.10 [a. 293]; 8.25.11 pr. [a. 532]; 8.27.10.1 [a. 290]; 8.37.10 [a. 472];8.42.11 [a. 293]; 8.42.21 [a. 294]; 8.44.11 [a. 231]; 8.48.3 [a. 293]; 8.48.5 [a.502]; 8.53.2 [a. 241]; 9.42.3.1 [a. 369]; 9.42.3.3 [a. 369]; 9.44.2 pr. [a. 405];10.32.5 [a. 286]; 10.32.19 [a. 329]; 10.32.59 pr. [a. 436]; 10.34.2.1 [a. 428];10.53.7.1 [a. 362]; 10.71.3.1 [a. 401]; 10.72.8 [a. 386]; 11.59.7.2 [a. 386];12.1.18 [? Anastasius]

consentio 1.2.14.1 [a. 470]; 1.2.14.5* [a. 470]; 1.3.4.1 [a. 361]; 1.3.36 [a.484]; 1.3.36.1 [a. 484]; 1.5.8 [a. 445]; 1.11.8.1 [a. 472?]; 1.14.8* [a. 446];2.3.12 [a. 230]; 2.4.11 [a. 255]; 2.29.2 [a. 293]; 2.55.4.6 [a. 529]; 3.6.2 [a. 294];3.13.1* [a. 214]; 3.29.8.1 [a. 361]; 3.32.3.1 [a. 222]; 3.36.22 [a. 294]; 3.37.1.1[a. 213]; 3.41.3 [a. 293]; 4.10.5 (2 volte) [a. 293]; 4.19.14 [a. 293]; 4.29.5 [a.224]; 4.29.7 [a. 238]; 4.29.21 (2 volte) [a. 517]; 4.44.8* [a. 293]; 4.44.9 [a.293]; 4.44.11 [? Diocl. et Max.]; 4.44.11.1 [? Diocl. et Max.]; 4.51.5 [a. 294];4.65.7 [a. 227]; 4.65.9 [a. 234]; 4.66.3.5 [a. 530]; 5.3.14 [? Diocl. et Max.];5.3.19.1 [a. 527?]; 5.3.19.3 [a. 527?]; 5.4.2 [? Sev. et Ant.]; 5.4.6 [a. 239]; 5.4.7[a. 240]; 5.11.7.5 [a. 531]; 5.12.28 [a. 480]; 5.12.28.1 [a. 480]; 5.13.1.15 (2volte) [a. 530]; 5.13.1.15b* [a. 530]; 5.13.1.15c [a. 530]; 5.17.5 [a. 294]; 5.18.7

RICORRENZE NELLE FONTI GIURIDICHE ROMANE 45

18 Si può notare il fatto che si tratta della più antica costituzione raccolta nelCodex repetitae praelectionis, cfr. l’Index constitutionum ad temporis ordinem re-dactus aggiunto all’ed. maior da P. KRUEGER (Berolini 1877) *1.

[a. 294]; 5.18.9 [a. 294]; 5.18.10 [a. 294]; 5.37.26.1 [a. 531]; 5.59.5 pr. [a. 531];5.59.5.1 [a. 531]; 5.72.1 [a. 205]; 6.30.18.4 [a. 426]; 6.42.11 [a. 241]; 6.57.6 [a.530]; 6.61.8.1a [a. 531]; 6.61.8.1b [a. 531]; 7.4.13 [a. 294]; 7.8.4 [a. 222]; 7.9.1[? Gord.]; 7.10.6 [a. 294]; 7.14.8 [a. 293]; 7.15.1 pr. [a. 530]; 7.15.1.1 [a. 530];7.16.19 [a. 293]; 7.32.7 [a. 293]; 7.64.8 [? Diocl. et Max.]; 8.3.1.1 [a. 293];8.25.2 [a. 208]; 8.25.11.2 [a. 532]; 8.27.12 [a. 293]; 8.41.1 [a. 223]; 8.42.17 [a.293]; 8.53.7 [a. 290]; 8.53.10 [a. 293]; 8.53.14 [a. 293]; 9.13.1.2 [a. 533]; 9.34.2[a. 239]; 9.42.3.2 [a. 369]; 10.62.1 (3 volte) [? Sev. et Ant.]; 10.62.2 [? Aure-lian.]; 10.62.4.1 [? Diocl. et Max.]; 12.29.3.5 [? Zeno].

Novellae 19

consensus 22.10 [a. 535]; 22.19 [a. 535]; 42.1.1 [a. 536]; 61.1.1 (3 volte)[a. 537]; 61.1.2 [a. 537]; 61.1.3 [a. 537]; 90.8 [a. 539]; 98.2.1 [a. 539]; 112.2.1[a. 541]; 115.3.11 [a. 542]; 117.10 (2 volte) [a. 542]; 120.5 pr. [a. 544]; 120.6.1[a. 544]; 134.11 pr. [a. 556]; 140 rubr. [a. 566 20]; 140 praef. (2 volte) [a. 566];140.1 pr. (3 volte) [a. 566]; 140.1.1 [a. 566]

consentio 7 praef. [a. 535]; 22.4 [a. 535]; 22.7 [a. 535]; 22.11 [a. 535];22.17 pr. [a. 535]; 61 rubr. [a. 537]; 61.1.1 [a. 537]; 61.1.2 [a. 537]; 61.1.3 [a.537]; 73.7.3 [a. 538]; 90.8 [a. 539]; 97.6.1 (2 volte) [a. 539]; 115.3.11 [a. 542];115.6 [a. 542]; 117.13 (2 volte) [a. 542]; 120.6.2 [a. 544]; 120.7 pr. [a. 544];123.6 [a. 546]; 131.12.2 [a. 545]; 134.4 [a. 556]; 134.8 [a. 556]; 134.10.2 (2volte) [a. 556]; 134.11.1 [a. 556]; 134.11.2 [a. 556]; 134.11.3 [a. 556]; 143praef. (2 volte) [a. 563]; 143.1 (4 volte) [a. 563]; 150 praef. (2 volte) [a. 563];150.1 (4 volte) [a. 563]

EDICTA XIII IUSTINIANI

consentio 8 praef. 21 [a. 548]

46 APPENDICE

19 A. M. BARTOLETTI COLOMBO (cur.), Legum Iustiniani imperatoris vocabu-larium. Novellae pars Latina II (Milano 1977) 528 ss., s.vv. «consensus», «consentio»;cfr. EAD., Lessico delle Novellae di Giustiniano. I. A-D (Roma 1983) 263 s., s.vv.«consensus», «consentio» (con i corrispondenti greci, rispettivamente: sunaivnesiı,bouvlomai, sumpravttw, sunainevw, e[pevscomen). Il riferimento, naturalmente, è allaversione dell’Authenticum.

20 Si noti il fatto che si tratta dell’unica Novella non di Giustiniano (è, infatti,di Giustino II) in cui ricorra (e ripetutamente, fin dalla rubrica) il termine consen-sus.

21 Nella versione latina dell’Authenticum (121).

SOMMARIO: 1. Introduzione. Le più antiche attestazioni. – 2. L’esperienza della respublica. – 3. Consensus universorum. – 4. Il consenso gentilizio. – 5. Il ruolodel consensus nella teoria delle fonti.

1. Introduzione. Le più antiche attestazioni. – Non è rara,come si può facilmente intuire, l’utilizzazione del termine con-sensus e del verbo consentire per indicare e descrivere atti efatti rilevanti nella storia costituzionale romana 1. L’analisi èperò difficile: problemi non irrilevanti sorgono, infatti, se sivuole attribuire alla terminologia, oltre al più vago senso poli-tico – che pare ripetere (con le non irrilevanti sfumature che sinoteranno) i due significati basilari di accordo tra persone ed

CAPITOLO SECONDO

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE»TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO

1 In corrispondenza con l’analisi relativa al diritto privato di Roma antica, chesi svolgerà nei prossimi capitoli, le osservazioni che qui si propongono sono essen-zialmente rivolte all’esperienza politico-giuridica della repubblica e del principato.Su consensus in senso politico-costituzionale, da una prospettiva molto generale si v.C. DE MEO, Lingue tecniche del latino (Bologna 1986) 212 s. (bibliografia a p. 265);come già si è rilevato è ancora fondamentale l’analisi di J. HELLEGOUARC’H, Le vo-cabulaire cit. spec. 123 ss. Per quanto riguarda la costituzione repubblicana, da unaprospettiva in primo luogo politica (che analizza l’incidenza costituzionale dell’opi-nione pubblica), si v. anche J. ROUVIER, Du pouvoir dans la république romaine.Réalité et légitimité. Étude sur le consensus (Paris 1963) passim (da utilizzare peròcon precauzione, cfr. la rec. di P. FREZZA, in Iura 16 [1965] 198 s. =Scritti II a c. diF. AMARELLI, E. GERMINO [Romae 2000] 545 s.); L. LORETO, Un’epoca di buonsenso. Decisione, consenso e stato a Roma tra il 326 e il 264 a. C. (Amsterdam 1993)spec. 163 ss.; F. SALERNO, ‘Tacita libertas’. L’introduzione del voto segreto nellaRoma repubblicana (Napoli 1999) spec. 57 ss., sulle modalità e le regole della for-malizzazione del consenso politico attraverso il voto nelle assemblee popolari (inparticolare sulle cd. leges tabellariae relative al voto segreto).

approvazione nei confronti di un fatto 2, e che è, nella sua am-piezza, anche per intuito piuttosto chiaro 3 – un preciso signi-ficato nell’ambito del diritto pubblico. La pregnanza cioè chele manifestazioni di consensus assumono guardando alle regoleche ordinano la civitas romana (nella libera repubblica comenel principato 4).

Naturalmente bisogna tenere sempre presente che il «di-ritto pubblico romano» come inteso (e schematizzato) nellastoriografia contemporanea, se certamente ha dei referenti (an-che tecnici 5) nell’antichità – come rappresentazione giuridica

48 CAPITOLO SECONDO

2 Si v. supra 5. Cfr., in un contesto (invero non molto conosciuto) che tocca an-che la storia della religione romana, ad esempio, Fest.-Paul. s.v. «Consentia» [57 L.].Consentia sacra, quae ex consensu multorum sunt statuta, secondo cui il consensusdei multi «stabilisce» dei sacra (che hanno rilevanza di ius publicum: D. 1.1.1.2 [Ulp.1 inst.]). Non credo che tali sacra corrispondano agli dei Consentes (Varr. l. L. 8.70,r. r. 1.1.4, CIL. III 942; notizie essenziali e bibliografia in W. EISENHUT, s.v. «Con-sentes Dei», in Kl.Pauly I [Stuttgart 1964, rist. München 1979] 1279), come suggeri-sce ad esempio (ma dubitativamente) Oxford Latin Dictionary cit. 412, s.h.v.

3 Ma si deve considerare caso per caso l’importanza del medium che ci con-sente la visione della realtà antica, per valutarne l’incidenza modificatrice: da questaprospettiva, fortemente caratterizzata da politicità, l’interprete non può essere neu-trale (o lo è molto difficilmente). Soprattutto tenendo presente quella caratteristicacostante della storiografia romana che tende ad «un costante ideale, più o menoastratto, di equilibrio fra gli ordini», sulla quale si v. S. MAZZARINO, Il pensiero sto-rico classico5 II/1 (Roma-Bari 1974) spec. 314 ss.

4 Per quanto riguarda la costituzione del cd. ‘dominato’, lo spessore del con-sensus (in specie: degli eserciti) assume rilievo importante, ma più che altro dalpunto di vista ideologico; cfr. infra 120 ss.

5 Mi riferisco in primo luogo a quello che si definisce pensiero pubblicisticoromano, che ha una letteratura tecnica fin dal II secolo a. C. (anche se non si dannonella loro completezza alcune delle caratteristiche tipiche del pensiero propriamentegiuridico, che si realizzano pienamente solo nel diritto privato; in primo luogopenso all’«autonomia»); sul punto si v. almeno G. NOCERA, Il pensiero pubblicisticoromano, in Studi in onore di P. De Francisci II (Milano 1956) 555 ss. (che però si ri-ferisce a concetti e principi generali piuttosto che a temi ed elaborazioni «giuri-sprudenziali»); A. DELL’ORO, I ‘libri de officio’ nella giurisprudenza romana (Mi-lano 1960) 4 s.; M. LAURIA, ‘Ius’. Visioni romane e moderne3 (Napoli 1967) 37 ss.;P. CATALANO, La divisione del potere a Roma (a proposito di Polibio e di Catone),in Studi in onore di G. Grosso VI (Torino 1974) 665 ss.; M. BRETONE, Pensiero po-litico e diritto pubblico, in Tecniche e ideologie dei giuristi romani2 (Napoli 1982,rist. 1984) spec. 15 ss. (studio a mio parere fondamentale sul tema); P. CERAMI, Po-tere ed ordinamento3 cit. 60 ss. Per altre indicazioni bibliografiche sul punto rinvio

dei rapporti costituzionali e come costruzione di un (più omeno) coerente impianto di regole –, è soprattutto una costru-zione scientifica moderna, risalente in primo luogo, nelleforme che oggi sono familiari agli studiosi, alla monumentalesistemazione dello Staatsrecht mommseniano 6.

Per un’analisi dal punto di vista politico si può partire dairisultati del classico studio di Hellegouarc’h 7. Lo studioso aprela sezione dedicata al consenso con un’affermazione signifi-cativa: «consentire est le verbe qui exprime le plus largementl’entente dans le domaine politique», manifestando – attra-verso il confronto con adsentire 8, che indica adesione di un

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 49

a C. CASCIONE, ‘Tresviri capitales’ cit. 60 nt. 235. Sul rapporto tra ius publicum ro-mano ed impianto storico-dogmatico del costituzionalismo moderno si v. in parti-colare i contributi di P. CATALANO, ‘Populus Romanus Quirites’ (Torino 1974) spec.41 ss., e di G. LOBRANO, Diritto pubblico romano e costituzionalismi moderni (Sas-sari 1989, rist. [agg. 1993] 1994); ID., ‘Res publica res populi’. La legge e la limita-zione del potere (Torino 1996).

6 A partire dalla prima edizione del 1871-1875 (vol. I-II/1-2). Cfr. l’imposta-zione storiografica di C. MASI DORIA, ‘Spretum imperium’. Prassi costituzionale emomenti di crisi nei rapporti tra magistrati nella media e tarda repubblica romana(Napoli 2000) 1 ss. (che, su questo punto, condivido pienamente, cfr. o.u.c. 2 nt. 8),con ampi rinvii bibliografici, cui adde H. KLOFT, Verantwortung und Rechen-schaftspflicht. Überlegungen zu Mommsens Staatsrecht, in ‘Imperium Romanum’.Studien zu Geschichte und Rezeption. Festschrift für K. Christ zum 75. Geburtstaghrg. v. P. KNEISSL, V. LOSEMANN (Stuttgart 1998) 410 ss.; F. BEHNE, Heinrich Siberund das Römisches Staatsrecht von Theodor Mommsen. Ein Beitrag zur Rezeptions-geschichte Mommsens im 20. Jahrhundert (Hildesheim-Zürich-New York 1999),per qualche mia perplessità su quest’ultimo lavoro si v. la segn. che ho pubblicato inLabeo 48 (2002) 148 s. Sull’impatto dello Staatsrecht mommseniano (in particolare)sulla cultura giuridica italiana si v. G. LOBRANO, Note su ‘diritto romano’ e ‘scienzedi diritto pubblico’ nel XIX secolo, in Index 7 (1987) spec. 70 ss. (cfr. anche ID., Di-ritto pubblico romano e costituzionalismi moderni cit.); da una prospettiva più am-pia sempre utile la ricostruzione storica e storiografica di V. GIUFFRÈ, Il ‘dirittopubblico’ nell’esperienza romana2 (Napoli 1989) spec. 25 ss.

7 Le vocabulaire cit. 123 ss., e, tenendo presente anche il lemma consensio, cfr.anche 82, 98 s., 132 s., 335, 342, 358 ss., 410, 483, 498, 503, 539 s.; utili considera-zioni riferite a sentire-sententia (spec. 116 ss.), adsentire (spec. 122 s.), concordia(spec. 125 ss.) e dissentire-dissensio-discordia (spec. 131 ss.).

8 Sul termine si v. Le vocabulaire cit. spec. 122 s. Sul valore individuale e per-sonale di adsentire, in confronto con quello «collettivo» di consentire si v. diff. ed.BECK (p. 31.30): Inter adsensit et consensit et adsentatur: adsensit qui consilium rectedictum adprobat: consensit cum ceteris; adsentatur, qui adulationem prodit. Cfr. TH.

soggetto alle idee di un altro – l’ipotesi di un senso piuttostomarcato del prefisso: consentire rappresenta la «unione» di dueo più uomini (la prospettiva psicologica è quella della vo-lontà 9), che condividono le medesime opinioni. La terminolo-gia (per quanto riguarda il modo verbale) è risalente nel latino,e già dal III secolo a. C. ha assunto una marcata connotazionepolitica 10. Ed è proprio nell’ambito della politica che consen-tire prende valore speciale, come segno d’intesa 11, anche una-nime (talvolta, però, con una «nuance d’hostilité» 12). Dal pun-to di vista del «domaine intérieur», il verbo contrassegna l’ac-cordo tra uomini o anche tra gruppi (in particolare politici) 13.

50 CAPITOLO SECONDO

MOMMSEN, Römisches Staatsrecht III/2 (Leipzig 1888) 979 e nt. 3; B. ALBANESE,‘Res repetere’ e ‘bellum indicere’ cit. 38 s., ove si mette in evidenza la natura re-sponsoriale del verbo costruito con la preposizione ad, rispetto al senso ‘comunita-rio’ di consentire. Dalla prospettiva del diritto privato, M. LAURIA, L’errore cit. 334[=Studii e ricordi cit. 19], sosteneva la non netta distinzione (presso i «classici»)delle due terminologie.

9 Cfr. M. LAURIA, L’errore cit. 335 [=Studii e ricordi cit. 20].10 Si v. CIL. I2 9 [=ILLRP. I 310]. Honc oino ploirume cosentiont R[omane] /

duonoro optumo fuise viro, / Luciom Scipione …; sul testo cfr. infra 61 ss.11 Utilizzato, ad esempio, in Cesare per indicare l’accordo tra i Galli (cfr. an-

che Cic. pro Font. 7.16, su cui anche infra 83 nt. 125) o tra questi ed altri popoli:bell. Gall. 2.3.5, 5.29.6, bell. civ. 1.30.3, [Ps. Caes.] bell. Alex. 57.5, 58.4.

12 J. HELLEGOUARC’H, Le vocabulaire cit. 123, mette in relazione questo usodi consentire con conspirare e con coire (sul valore peggiorativo del termine, si v.pure supra 13 nt. 45); cfr. anche L. KOEP, s.v. «Consensus» cit. 295.

13 Per J. HELLEGOUARC’H, Le vocabulaire cit. 123, «partiti»; sul problema mo-dernizzante generato dall’utilizzazione del termine (contenuto, tra l’altro, nel titolodella nota opera di Hellegouarc’h), si v. almeno L. ROSS TAYLOR, Party politics inthe Age of Caesar (Berkeley 1949, rist. 1961); A. LA PENNA, Parole, slogan, ideolo-gie cit. 283 ss.; F. SERRAO, Classi, partiti e legge nella Roma repubblicana (Pisa1974) 165 ss.; cfr. l’impostazione storiografica di F. CÀSSOLA, I gruppi politici ro-mani nel III secolo a. C. (Trieste 1962, rist. Roma 1968). Per l’uso pregnante di con-sentire si v., ad esempio, Val. Max. 4.7.1. Hostis iudicatus, ultimo supplicio adfectus,sepulturae honore spoliatus benivolentia tamen eius non caruit: nam cum senatusRupilio et Laenati consulibus mandasset ut in eos, qui cum Graccho consenserant,more maiorum animadverterent, et ad Laelium, cuius consilio praecipue consulesutebantur, pro se Blossius deprecatum venisset familiaritatisque excusatione uteretur,atque is dixisset: ‘quid? si te Gracchus templo Iovis Optimi Maximi faces subdereiussisset, obsecuturus ne illius voluntati propter istam, quam iactas, familiaritatemfuisti?’ ‘numquam istud’ inquit ‘Gracchus imperasset’; il testo potrebbe conservarele parole del provvedimento senatorio.

In tale direzione (con una probabile relazione più intensa conil senso primitivo di sentire 14) si designa l’accordo realizzatosiall’interno del senato 15, del popolo 16, ovvero d’un gruppo diindividui non determinabile dal punto di vista del diritto pub-blico 17.

Mi pare utile – a questo punto – una suddivisione cronolo-gica 18 delle risultanze delle fonti (rileva soprattutto, come sivedrà, una partizione tra l’esperienza repubblicana e quella delprincipato 19), che può strutturarsi, per così dire, su due livelli:del riferimento ad una determinata esperienza storica e dellafonte stessa (con riguardo alla sua capacità di rendere – ancheattraverso il segno linguistico – la storicizzazione dell’evento).Nel seguito dell’analisi bisogna tenere presente il monito diHellegouarc’h 20: se il termine consensus (come anche consen-sio) compare solo in età ciceroniana 21, l’analisi di testi succes-sivi che contengano il vocabolo mostra in primo luogo l’usonel determinato contesto storico e linguistico, permette poi an-che un’interpretazione per così dire descrittiva, che non deveperò essere anacronistica. Da tale rischio, però, l’interprete è inqualche modo tutelato dalla risalenza dell’utilizzazione delverbo consentire in senso politico 22.

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 51

14 Cfr. supra 2 ss.15 Cic. in Pis. 15.34, Phil. 5.12.32, pro rege Dei. 4.11.16 Cic. Phil. 3.14.36, Liv. 10.37.1.17 Le locuzioni tipicamente utilizzate sono: una mente, per il consenso tacito,

Cic. pro Sest. 51.109, Phil. 4.3.7; una voce per quello espresso; le due tipologie sitrovano anche associate (per esprimere unità di intenti, pure esplicitamente mani-festata): Phil. 1.9.21; cfr. J. HELLEGOUARC’H, Le vocabulaire cit. 123 nt. 11.

18 Sia pure non assolutamente rigida, tenendo presente il rischio di anacroni-smi sul quale immediatamente infra nel testo.

19 Anche se il consenso fondativo del principato augusteo (che serve da spar-tiacque cronologico) ha profondi contatti con la rappresentazione ideologica (inprimo luogo quella ciceroniana) della prassi politica tardorepubblicana.

20 Le vocaboulaire cit. 124. Nota il problema ad esempio F. GUIZZI, Il princi-pato tra ‘res publica’ e potere assoluto (Napoli 1974, rist. 1988) 70 nt. 46.

21 Come si è visto, secondo A. MEILLET, ‘Consensus’ – ‘concentus’ – ‘consenta-neus’ cit. 78 s. [=Philologica II cit. 171 s.], consensus sarebbe parola coniata propriodall’Arpinate (cfr. supra 6 e nt. 21).

22 Cfr. infra 61 ss.: la possibilità di evitare l’errore di prospettiva è, cioè, in

Il senso del termine consentire appare essere in primoluogo quello di una manifestazione non ufficiale della volontàcollettiva (dunque il primo riferimento è quello ad un con-senso ‘popolare’), in approvazione di una deliberazione cheabbia il crisma della formalità, ovvero sostanzialmente sosti-tuendosi ad essa come «opinione pubblica» 23 particolarmentepervasiva (per le circostanze del caso in cui si rileva l’inter-vento di chi acconsente).

Per l’analisi delle fonti mi pare si debba procedere selezio-nando, tra le moltissime attestazioni, quelle che appaiono mag-giormente rilevanti e che vengono a costituire nuclei di riferi-mento storico e tematico, attorno ai quali si possono porre an-che le restanti, per una maggiore comprensione dei problemi.

In qualche modo il consenso tra i governanti nell’espe-rienza costituzionale repubblicana (e dunque, in una visionepersonalistica del potere, in primo luogo il consenso tra i con-soli; in senso più ampio: tra i magistrati titolari di imperium)appare un archetipo da età dell’oro, come si sa (e forse proprioperché), tendenzialmente non seguito nelle vicende storichedella libera res publica 24. Tra le fonti è rilevante soprattutto ilmitico ricordo dell’annalista Cassius Hemina: pastorum vulgussine contentione consentiendo praefecerunt aequaliter imperio

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parte facilitata dal fatto che il verbo consentire ricorre cronologicamente moltoprima del sostantivo corrispondente.

23 Si v. in particolare TH. MOMMSEN, Römisches Staatsrecht III/1 (Leipzig1887) 305; E. DE RUGGIERO, s.v. «Consensus» cit. 605. Non si può, sia pur curso-riamente, su questo punto non rinviare all’opinione filosofica (di matrice stoica)secondo la quale il consenso omnium corrisponde alla verità, cfr. K. OEHLER, Der‘Consensus omnium’ als Kriterium der Wahrheit in der antiken Philosophie undPatristik, in Antike und Abendland 10 (1961) 103 ss.; M. SUHR, s.v. «Consensusomnium, consensus gentium», in Historisches Wörterbuch der Philosophie I (Basel-Stuttgart 1971) 1031.

24 Sul tema della collegialità magistratuale, di recente, si v. C. MASI DORIA,‘Spretum imperium’ cit. 215 ss. (la ricerca è significativa anche perché mette in evi-denza la prassi costituzionale delle contentiones de iure publico nell’esperienzaromana repubblicana, sulle quali, e con riferimento anche all’interesse che le rivolseun sapere tecnico giuridico, si v. già P. CERAMI, Potere ed ordinamento3 cit. 60 ss.,165 ss.).

Remum et Romulum, ita ut de regno pararent inter se 25. Ilpasso, che riporta una delle tradizioni sulla nascita stessa dellacomunità politica romana 26, sembra riferirsi ad un consensonon manifestato in precise forme, ma stabile perché diffuso, inmancanza di contentiones, tra quei soggetti che vanno costi-tuendo la civitas primitiva. Bisogna considerare, d’altra parte,il momento in cui Cassio Emina scrive le sue Storie 27, e l’in-

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 53

25 Diomed. ars gramm. 1 p. 384 H. KEIL, GL. I [=frg. 11 PETER, ex libro IIhistoriarum], è il frg. 14 secondo il nuovo ordine proposto da C. SANTINI, I fram-menti di L. Cassio Emina. Introduzione, testo, traduzione e commento (Pisa 1995),cfr. p. 84 s. (testo e traduzione), 151 ss. (commento), seguito poi anche da M. CHAS-SIGNET, L’annalistique romaine II. L’annalistique moyenne (fragments) (Paris 1999)6; e da H. BECK, U. WALTER, Die Frühen Römischen Historiker I. Von Fabius Pictorbis Cn. Gellius (Darmstadt 2001) 257.

26 Diomede grammatico (nel luogo cit. in nt. prec., p. 384 KEIL) spiega unaconnessione dotta del verbo grundire («grugnire»): Hinc (scil. a verbo ‘grundire’)quoque Grundiles Lares dictos accepimus, quos Romulus constituisse dicitur in ho-norem scrofae quae triginta peperat … monstrum fit, sus parit porcos triginta, cuiusrei fanum fecerunt Grundilibus. Cfr., tra le fonti, Non. Marc. s.v. «Grunnire» [164L.]. Grundules lares dicuntur Romae constituti ob honorem porcae quae trigintapepererat. Sul prodigio, i suoi archetipi, la collocazione storica e la sua valenza mi-tologica ampia letteratura, con discussione in C. SANTINI, I frammenti cit. 151 ss.;M. CHASSIGNET, L’annalistique romaine II cit. 100 s.; H. BECK, U. WALTER, DieFrühen Römischen Historiker I cit. 257 s. Adde (in connessione con i problemi difondazione cittadina, ma anche sull’eziologia dei triginta populi Albenses) le osser-vazioni in A. CARANDINI, La nascita di Roma. Dèi, Lari, eroi e uomini all’alba diuna civiltà (Torino 1997) 55, 158 nt. 18, 200 nt. 57, 220 nt. 8, 227 nt. 29, 233 nt. 22,235 nt. 25 [da p. 233], spec. 302 e nt. 84, con rinvio ad ulteriore bibliografia (inte-ressante, per la netta contrapposizione metodologica, la recensione dell’opera diCarandini di T. P. WISEMAN, in JRS. 90 [2000] 210 ss., che allo stesso tempo consi-dera anche M. BETTELLI, Roma. La città prima della città: i tempi di una nascita[Roma 1997]; e dello stesso studioso anglofono si legga anche – nella medesimaprospettiva – il ‘review article’, intitolato Reading Carandini, in JRS. 91 [2001] 182ss., dedicato alla critica congiunta di A. CARANDINI, R. CAPPELLI, Roma: Romolo,Remo e la fondazione della città [Milano 2000], e del saggio autobiografico A. CA-RANDINI, Giornale di scavo: pensieri sparsi di un archeologo [Torino 2000]).

27 Lo storico era vivente nel 146 a. C., cfr. Censor. de die nat. 17.11. Su CassioEmina, oltre all’opera di C. SANTINI, I frammenti cit. passim, tra i lavori più recentisi v. E. RAWSON, The First Latin Annalists, in Latomus 35 (1976) 689 ss. [=RomanCulture and Society (Oxford 1991) 245 ss.]; U. W. SCHOLZ, Zu L. Cassius Hemina,in Hermes 117 (1989) 167 ss.; G. FORSYTHE, Some Notes on the History of CassiusHemina, in Phoenix 44 (1990) 26 ss. In particolare sui motivi filosofici (di matricegreca) dell’opera dell’annalista, si v. S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico5 II/1

fluenza, quindi, sulla sua opera dei rilevanti svolgimenti poli-tici del II secolo a. C. Certo il riferimento al consenso è al-quanto vistoso 28, ma la forma piuttosto vaga dell’accordo po-polare che conferisce il potere a Romolo e Remo al di fuori dicomizi elettorali, e dunque anche al di fuori delle norme cheavrebbero retto poi le singole magistrature repubblicane 29, ap-pare in qualche modo bilanciata (con riferimento all’età regia)dall’uso del tecnicismo parare 30, che rinvia proprio alla prassidella gestione della suprema magistratura collegiale. Non a

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cit. 106, da confrontare inoltre (si v. anche 302 s.), pure per gli interessi di ‘dirittopubblico’ dello storico (che forse scrisse, oltre agli annales, un de censoribus, sulpunto ancora S. MAZZARINO, Intorno ai rapporti fra annalistica e diritto: problemidi esegesi e di critica testuale, in La critica del testo Atti del secondo Congresso in-ternaz. della Società italiana di Storia del diritto I [Firenze 1971] spec. 455 s.; C.SANTINI, I frammenti cit. 197 s.), con M. BRETONE, Tecniche e ideologie2 cit. 10 s.,54 s. (dubbioso sulla possibilità di uno scritto autonomo relativo alla censura).

28 «Auffällig ist der pleonastisch unterstrichene Grundtenor des Konsensesund der Balance: Der Entschluss der Hirten ist unstrittig, die Zwillinge sollengleichbarberechtige Anführer sein und in Eintracht handeln», così H. BECK, U.WALTER, Die Frühen Römischen Historiker I cit. 257.

29 Tra leges e mores credo che la regolamentazione della magistratura romanafosse meno anormativa di quanto talvolta si creda (cfr. P. CERAMI, Potere ed ordi-namento3 cit. spec. 165 ss.); per qualche riferimento esemplificativo rinvio a quantoscritto in ‘Tresviri capitales’, cit. 49 ss., ed in Una norma dimenticata delle XII ta-vole? Dion. Hal. 10.60.6, in Index 28 (2000) 187; cfr. anche C. MASI DORIA, ‘Spre-tum imperium’ cit. 7 s. e passim.

30 Cfr., per tutti, TH. MOMMSEN, Römisches Staatsrecht I3 (Leipzig 1887) 41 (sinoti come pararent sia, però, emendazione di Gronovius per l’incongruo parentdella tradizione manoscritta, sul punto: C. SANTINI, I frammenti cit. 151). Sulla tra-dizione secondo la quale vi sarebbe stata (a Roma ovvero ad Alba) una primitivadiarchia si v. J.-CL. RICHARD, Variations sur le thème de la fondation de Rome, in‘Condere Urbem’. Actes des deux premières Rencontres Scientifiques de Luxen-bourg [Etudes classiques III] (Luxembourg 1992) 135 ss. Sul rinvio del raccontoeziologico alla struttura del consolato si v. M. CLASSEN, Zur Herkunft der Sage vonRomulus und Remus, in Historia 12 (1963) 447; tocca il punto in questione anche R.SCHILLING, Romulus l’élu et Rémus le réprouvé, in REL. 38 (1961) 183 [=Rites, cul-tes, dieux de Rome (Paris 1979) 104]. Sull’uso di un vocabolario che dipende dal les-sico giuridico di diritto pubblico, J. VON UNGERN-STERNBERG, Romulus-Bilder.Die Begründung der Republik im Mythos, in F. GRAF (Hrsg.), Mythos in mythenlo-ser Gesellschaft. Das Beispiel Rom (Stuttgart 1993) 88 ss., spec. 97; H. BECK, U.WALTER, Die Frühen Römischen Historiker I cit. 258. Si v. anche T. P. WISEMAN,Remus. A Roman Myth (Cambridge 1995) 5 s.

caso Mommsen considera la menzione del consensus nel fram-mento in questione dello storico romano come corrispondentealla (di molto) successiva posizione costituzionale di Augu-sto31: anche qui rileverebbe una indicazione politica concorde,ma informale, che come tale esclude il voto comiziale: «dieHinweisung auf die einträchtige und formlose Bestellung of-fenbar den Zweck hat die hier nicht passende formale Volks-wahl auszuschliessen». È manifesta la difficoltà di un collega-mento che sia significativo da una prospettiva costituzionale,oltre il dato terminologico, ma bisogna qui segnalare anche latestimonianza liviana relativa all’innalzamento al trono albanodi Numitore, che menziona (proprio per opera di Romolo eRemo, iuvenes) la vox consentiens di «tutta la moltitudine»presente in concione 32.

Seppure tramandata da Tito Livio (e dunque cronologica-mente piuttosto tarda), una attestazione giuridicamente pre-gnante dell’uso del verbo consentire può (attraverso una letturacritica) farsi risalire ad un’età molto più risalente rispetto alla

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 55

31 Si v. in particolare Die Romuluslegende, in Hermes 16 (1881) 10 s. [=Ge-sammelte Schriften IV. Historische Schriften I (Berlin 1906) 10 nt. 2], in cui lostudioso afferma: «dafür ist consentire technisch», con riferimento immediato al«berühmte» consensus universorum del Monumentum Ancyranum (VI 14=resgestae 34), ed inoltre al decreto pisano (CIL. XI 1421) in cui il consensus omniumordinum si esprime «in mancanza di una votazione formale della comunità», ed an-che alla laudatio di Murdia (CIL. VI 10230), dello stesso MOMMSEN si v. anche laprospettiva più generale espressa in Römisches Staatsrecht I3 cit. 696, II3 (Leipzig1887) 844; cfr. infra in questo paragrafo (su Augusto e sulle ultime due fonti epi-grafiche). Il punto non deve troppo sorprendere, guardando alla generale qualifi-cazione mommseniana, che riconduce (com’è noto) sia l’antica figura del rex, siaquella del principe al concetto generale di ‘magistratura’.

32 Liv. 1.6.2. … iuvenes per mediam contionem agmine ingressi, cum avumregem salutassent, secuta ex omni multitudine consentiens vox ratum nomen im-periumque regi effecit. Sulla possibilità di anacronismi (in particolare) in Tito Li-vio, con riguardo all’utilizzazione del concetto di consensus, si v. J. BÉRANGER,‘Principatus’. Etudes de notions et d’histoire politiques dans l’Antiquité gréco-ro-maine (Genève 1973) 178 (ma lo studioso, allo stesso tempo, riconosce una conti-nuità tra il consenso «repubblicano» e quello relativo all’esperienza politica delprincipato).

scrittura dello storico patavino 33. Consentio come segno delladecisione vera e propria, infatti, compare, secondo la testimo-nianza in questione 34, nell’arcaica formula con la quale il se-nato partecipa alla complessa procedura della dichiarazione diguerra, in un contesto, però, in cui si devono tenere in contomolti verbi tra loro coniugati:

Liv. 1.32.11-14. Tum is nuntius Romam ad consulendumredit. Confestim rex his ferme verbis patres consulebat:‘quarum rerum litium causarum condixit pater patratuspopuli Romani Quiritium patri patrato Priscorum Latino-rum hominibusque Priscis Latinis, quas res nec dederuntnec solverunt nec fecerunt, quas res dari fieri solvi opor-tuit, dic’ inquit ei quem primum sententiam rogabat, ‘quidcenses?’ 12. Tum ille: ‘puro pioque duello 35 quaerendascenseo, itaque consentio consciscoque’. Inde ordine alii ro-gabantur; quandoque pars maior eorum qui aderant ineandem sententiam ibat, bellum erat consensum. Fieri soli-tum ut fetialis hastam ferratam aut praeustam sanguineamad fines eorum ferret et non minus tribus puberibus prae-sentibus diceret 13. ‘quod populi Priscorum Latinorumhominesque Prisci Latini adversus populum RomanumQuiritium fecerunt deliquerunt, quod populus RomanusQuiritium bellum cum Priscis Latinis iussit esse senatus-que populi Romani Quiritium censuit consensit conscivitut bellum cum Priscis Latinis fieret, ob eam rem ego po-pulusque Romanus populis Priscorum Latinorum homini-

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33 Importanti, sul punto, le riflessioni di B. ALBANESE, ‘Res repetere’ e ‘bellumindicere’ cit. 39 s., che pure ammettendo un certo ammodernamento dell’ortografiae della grammatica (p. 40 s.), propende per l’antichità della formula (cfr. anche, adesempio, G. DUMÉZIL, La religion romaine archaïque2 [Paris 1987] 106 ss.; contra:R. M. OGILVIE, A commentary on Livy. Books 1-5 [Oxford 1965] 134, che la consi-dera escogitazione antiquaria di età repubblicana avanzata).

34 Liv. 1.32.13. Senatus … censuit, consensit, conscivit ut bellum cum Priscis La-tinis fieret.

35 Qui si sottintende res esse, cfr. B. ALBANESE, ‘Res repetere’ e ‘bellum indi-cere’ cit. 39.

busque Priscis Latinis bellum indico facioque’. 14. Id ubidixisset, hastam in fines eorum emittebat. Hoc tum modoab Latinis repetitae res ac bellum indictum, moremqueeum posteri acceperunt.

Secondo questo antico formulario, il compito del sacer-dote feziale, una volta recitata presso il popolo straniero la re-rum repetitio 36, è quello di recarsi presso i maiores natu dellasua comunità. Sono gli anziani della collettività cittadina, in-fatti, a detenere il potere di decisione politica: secondo il testotràdito l’iniziativa è del rex (poi sarà dei consoli), che dopo ilrapporto dell’ambasceria ai patres fa il punto della situazione.Chiede loro (uno per uno) di censere, di esprimere un pareresulla necessità che la ‘richiesta delle cose’ possa giungere aduna soluzione. La risposta del senato, se favorevole alla guerra,in perfetta corrispondenza con la richiesta, ammanta il con-flitto da intraprendere di valori religiosi (puro pioque duelloquaerendas censeo, itaque consentio consciscoque), che piutto-sto chiaramente smascherano la necessità di tutelare la comu-nità attraverso la autodichiarazione di uno stato di purezza ri-tuale che serva a mantenere intatto il rapporto tra la comunitàstessa e le divinità. Guerra contro uomini, ma pax deorum.

Il punto in questa sede più interessante è al paragrafo 12:Tum ille: ‘puro pioque duello quaerendas censeo, itaque con-sentio consciscoque’, e si riferisce alla risposta di ogni singolosenatore alla rogatio del rex relativa alla dichiarazione diguerra. Al termine dell’appello di tutti i patres cui la domandaviene reiterata, si ha l’indizione, nella quale – come premessa –viene ripresa la formula che indica il consenso ed attribuita perespansione al senato nel suo complesso (al paragrafo 13).

Allitterazione e omoteleuto racchiusi nel tratto censeo –consentio – conscisco (con la ripetizione … censuit consensit con-

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 57

36 Liv. 1.32.6-7, Serv. ad Aen. 9.52, 10.14; altre fonti in E. VOLTERRA, L’istitutodella ‘clarigatio’ e l’antica procedura delle ‘legis actiones’, in Scritti giuridici in onoredi F. Carnelutti IV (Padova 1950) 245 s.; sul punto cfr., per tutti, F. DE MARTINO,Storia della costituzione romana2 II (Napoli 1973) 50 s.

scivit) sembrano corrispondere ad un linguaggio precettivopiuttosto antico 37, pur non potendosi esprimere un’assoluta si-curezza sulla risalenza del testo a «remoti formulari di età re-gia» 38. Per quanto riguarda l’allitterazione, in particolare, essapuò essere posta in comparazione con testi giuridici assai anti-chi, in particolare con alcuni versetti delle Dodici tavole e conaltri (più recenti) atti normativi repubblicani 39. I tre termini,volti allo stesso fine e corrispondenti ad un’unica rogatio pos-sono attestare la complessità dell’atto 40: censuit, «atto del con-siderare, valutare e ritener opportuno» 41, consensuit, «attodella votazione e concorso di volontà», conscivit, «consapevo-lezza delle conseguenze e delle responsabilità della decisionepresa»; secondo Carcaterra, dunque: «non solo … semantemidiversi, ma atti giuridici diversi». La prospettiva di coordina-mento logico-giuridico dei tre termini è stata di recente ap-

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37 Cfr. A. CARCATERRA, Le definizioni dei giuristi romani. Metodo mezzi e fini(Napoli 1966) 57 s.

38 B. ALBANESE, ‘Res repetere’ e ‘bellum indicere’ cit. 41. Nel recente studiodell’illustre romanista palermitano (del quale cfr. anche ‘Verba concepta’ e consape-volezza interiore in due antichi riti romani, in AUPA. 42 [1992] 31 ss.) sono, tral’altro, ripresi i temi della comparazione tra i formulari del più antico diritto inter-nazionale romano e quelli del processo per legis actiones, sui quali si v. già le osser-vazioni di E. VOLTERRA, L’istituto della ‘clarigatio’ e l’antica procedura delle ‘legisactiones’ cit. 243 ss., e di G. DONATUTI, La ‘clarigatio’ o ‘rerum repetitio’ e l’istitutoparallelo dell’antica procedura civile romana, in Iura 6 (1955) 31 ss. [=Studi di di-ritto romano II (Milano 1977) 863 ss.].

39 Sui due punti, con indicazione delle fonti, B. ALBANESE, ‘Res repetere’ e‘bellum indicere’ cit. 40, rispettivamente ntt. 62 e 63.

40 Così A. CARCATERRA, Le definizioni dei giuristi romani cit. 57 s.; contra, adesempio, V. PISANI, Storia della lingua latina I. Le origini, e la lingua letteraria finoa Virgilio e Orazio (Torino 1962) 170 ss., ID., Testi latini arcaici e volgari con com-mento glottologico2 (Torino 1960) spec. 58 nt. 6, che ne sostiene una funzione pu-ramente esornativa (la trattazione commentata delle formule dei feziali si trova ap. 56 ss.).

41 In generale – e con attenzione precipua all’attività giudiziaria del senato nel-l’epoca del principato – si v. F. ARCARIA, ‘Senatus censuit’. Attività giudiziaria edattività normativa del senato in età imperiale (Milano 1992). Testo giuridico fonda-mentale sul significato di censeo è D. 50.16.111 (Iavol. 6 ex Cassio). ‘Censere’ estconstituere et praecipere. Unde etiam dicere solemus ‘censeo hoc facias’ et ‘semetaliquid censuisse’. Inde censoris nomen videtur esse tractum; cfr. F. ARCARIA, o.u.c.144 ss.

profondita (e, senza dubbio, è stata, in particolare, migliorata,rispetto alla storiografia precedente, la lettura del rapporto trai primi due verbi) da Bernardo Albanese: censere ha perfettapertinenza sintattica e preciso senso giuridico: «nel contesto,censeo si collega direttamente con il gerundivo quaerendas …non così, sembra, consentio consciscoque, verbi intransitivi cheesprimono, in aggiunta e come logica conseguenza (itaque) delprecedente parere (censeo), un consenso coordinato con quellodi altri patres» 42. Il significato del coordinamento mi sembracentrale nell’interpretazione proprio di consentire: ‘sentire in-sieme’ come espressione politica, dunque, più che come atto.Ciò mi pare attestato, inoltre, dalla descrizione delle modalitàdi voto della assemblea senatoria, che si esprime a maggioranzasemplice dei presenti, applicandosi il principio della pars maior:quandoque pars maior eorum qui aderant in eandem senten-tiam ibat, bellum erat consensum 43. È la decisione politica, ilrisultato del voto che si ottiene attraverso il consenso. La giu-ridicità richiesta pretendeva poi la manifestazione esterna delladecisione: sarà di nuovo compito del feziale, che si fa portatoredel momento ordinativo. Si dichiara dunque il bellum e lo si fa:ego populusque Romanus … bellum indico facioque. Pronun-ziate queste parole (il riferimento è soprattutto al facio), il fe-ziale scaglia la lancia in fines eorum, nel territorio nemico 44.Come si sa, è l’inizio, simbolico, del conflitto armato.

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 59

42 B. ALBANESE, ‘Res repetere’ e ‘bellum indicere’ cit. 39 s. Con tale interpre-tazione si può collegare, mi pare, un’etimologia antica (rammentata supra 3 nt. 8):Serv. auct. in Aen. 1.426. Senatum appellatum quod una sensisset, che rappresenta ilsenato (naturalmente in modo impreciso da una prospettiva storicamente verificata)come la sede dell’accordo politico unanime.

43 Sulla sententia come risposta del singolo senatore alla domanda del presi-dente dell’assemblea si v. TH. MOMMSEN, Römisches Staatsrecht III/2 cit. 977 s., cfr.anche 995 s., 1028 s., da leggere insieme con le note di A. ORMANNI, Il «regola-mento interno» del senato romano nel pensiero degli storici moderni sino a TheodorMommsen. Contributo ad una storia della storiografia sul diritto pubblico romano(Napoli 1990) 122 s.

44 Per la pratica del lancio della hasta da parte del feziale in un luogo delCampo Marzio, sacralmente dichiarato ager hosticus, ove poi fu eretta la cd. co-lonna bellica: P. DE FRANCISCI, Appunti sulla ‘columna bellica’, in Rend. Pont. Acc.

Albanese propone poi la costruzione di un parallelismo trail testo in questione ed un altro passo liviano, in cui, ancora, ri-corre la «rara struttura» 45 bellum consentire; si tratta di:

8.6.7-8. Adsensu populi excepta vox consulis tantum ardo-ris animis fecit ut legatos proficiscentes cura magistratuummagis, qui iussu consulis prosequebantur, quam ius gen-tium ab ira impetuque hominum tegeret. 8. Consensit etsenatus bellum; consulesque duobus scriptis exercitibusper Marsos Pelignosque profecti adiuncto Samnitium exer-citu ad Capuam, quo iam Latini sociique convenerant, ca-stra locant.

Gli eventi risalgono al 340 a. C. 46: i legati dei Latini, ca-peggiati dal loro praetor Lucio Annio Setino si erano recati aRoma per richiedere l’integrazione completa nelle strutturecostituzionali romane. Si tratta del prodromo della guerra la-tina. Il discorso del pretore alleato era stato provocatorio; neconsegue una ferma risposta del console romano Tito ManlioTorquato, articolata sui trattati stipulati dai re Tullo Ostilio eTarquinio il Superbo con gli Albani, patres dei Latini. Ne se-gue un tumulto, nel quale Annio Setino finisce a terra (feritoo morto); il popolo accoglie favorevolmente il discorso delconsole e Torquato «induce il senato a dichiarare guerra ai La-tini» 47. Il fatto che l’adsensus populi liviano non sembra rap-presentare una lex de bello indicendo spinge Albanese a consi-derare il consentire bellum da parte del senato testimonianzadell’antica competenza esclusiva dell’assemblea dei patres alladichiarazione di guerra 48.

60 CAPITOLO SECONDO

Arch. 27 (1952-54) 189 ss.; E. BIANCHI, ‘Fictio iuris’. Ricerche sulla finzione in di-ritto romano dal periodo arcaico all’epoca augustea (Padova 1997) 112 ss. (con fontie bibliografia).

45 Così B. ALBANESE, ‘Res repetere’ e ‘bellum indicere’ cit. 41.46 Per una sintetica rappresentazione dei fatti si v. anche B. ALBANESE, ‘Res re-

petere’ e ‘bellum indicere’ cit. 41 s.47 Ancora B. ALBANESE, ‘Res repetere’ e ‘bellum indicere’ cit. 41.48 Per l’opinione tradizionale della competenza esclusiva, non condizionata

cronologicamente ad un periodo determinato della storia repubblicana, dei comizi

Al sospetto di anacronismo è sottoposta un’altra testimo-nianza liviana, relativa a Servio Tullio: il successo del re, cheaveva iniziato a governare iniussu populi, è definito dallo sto-rico patavino con il richiamo al consensus, ma il contesto delracconto 49 mostra chiaramente il livello meramente descrittivodell’uso, che non ha trasponibilità costituzionale nell’età dellamonarchia etrusca 50.

2. L’esperienza della «res publica». – Dopo l’analisi di fontiche riconducono (sia pure in modo diverso) ad un’antichitàmolto remota, e per le quali, comunque (anche se in misuradifferente), non sussiste un nesso assolutamente sicuro di cor-rispondenza tra mezzi significanti e situazione descritta, si puòpassare all’esame di un testo epigrafico pure risalente (ma soloalla media repubblica) che ha il vantaggio di rappresentaredetto nesso in maniera ineccepibile:

CIL. I 2 9 [=ILLRP. I 310]. L. Cornelio(s) L. f. Scipio / ai-diles, cosol, cesor. / Honc oino ploirume cosentiontR[omane] / duonoro optumo fuise viro, / Luciom Sci-pione. Filios Barbati / consol censor aidilis hic fued a[pudvos]. / Hec cepit Corsica Aleriaque urbe, / dedet Tempe-statebus aide mereto[d].

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 61

centuriati in tale materia, si v., per tutti, F. DE MARTINO, Storia della costituzioneromana2 I (Napoli 1972) 459.

49 Si v. anche Dion. Hal. 4.40.3.50 Liv. 1.46.1. Servius tamquam iam usu haud dubie regnum possederat, tamen

quia interdum iactari voces a iuvene Tarquinio audiebat se iniussu populi regnare,conciliata prius voluntate plebis agro capto ex hostibus viritim diviso, ausus est ferread populum vellent iuberentne se regnare; tantoque consensu quanto haud qui-squam alius ante rex est declaratus. Per una critica, che mette in relazione il testocon la posizione politico-costituzionale di Servio, si v. anche P. GRENADE, Essaisur les origines du Principat. Investiture et renouvellement des pouvoirs impériaux(Paris 1961) spec. 241. Già per descrivere l’avvento di Tarquinio Prisco Livio avevautilizzato un riferimento al consensus (ingens), anche se meno costruito dal puntodi vista del diritto pubblico: 1.35.6. Haec eum haud falsa memorantem ingenti con-sensu populus Romanus regnare iussit.

Si tratta dell’epitaffio 51, di Lucio Cornelio Scipione, con-sole nel 259 a. C. e censore nell’anno successivo 52, che, nel rap-presentare il personaggio come l’«ottimo tra i buoni» 53 (perdescriverne poi il cursus magistratuale e le gesta principali), cirende noto che tale dignità gli era riconosciuta, a Roma, dai«plurimi» proprio utilizzando il verbo consentire. Il testo ri-porta una formula che doveva essere diffusa nella tipologia let-teraria dell’elogium, infatti essa si ripresenta nella tradizioneletteraria relativa a quello (praticamente coevo) di Aulo AtilioCalatino 54:

Cic. de fin. 2.35.116-117. Lege laudationes, Torquate, …lege nostrorum hominum, lege vestrae familiae; neminemvidebis ita laudatum, ut artifex callidus comparandarumvoluptatum diceretur. Non elogia monimentorum id signi-ficant, velut hoc ad portam: ‘Hunc unum 55 plurimae con-sentiunt gentes populi primarium fuisse virum’. 117. Idneconsensisse de Calatino plurimas gentis arbitramur, prima-rium populi fuisse, quod praestantissimus fuisset in confi-ciendis voluptatibus? …

62 CAPITOLO SECONDO

51 Cfr. M. SCHANZ, C. HOSIUS, Geschichte der römischen Literatur bis zumGesetzgebungswerk des Kaisers Justinian I4 (München 1927, rist. 1979) 40; A. DE-GRASSI, in ILLRP. I nr. 310, p. 182 in apparato; E. CETRANGOLO, La letteratura la-tina I. Dalle origini a Virgilio (Firenze 1981) 6 (nei luoghi citati si trovano ancheconsiderazioni sul verso).

52 T. R. S. BROUGHTON, The Magistrates of the Roman Republic I coll. M. L.PATTERSON (New York 1951) 206; II (New York 1952) 555. Secondo F. COARELLI,Il sepolcro degli Scipioni a Roma (Roma 1988) 18 s., l’iscrizione risalirebbe al 230 ca.a. C.

53 La descrizione fa venire alla mente le formule della maxima dignatio che ri-corrono nell’Enchiridion di Pomponio per qualificare i giuristi repubblicani; sulpunto, per tutti, F. D’IPPOLITO, I giuristi e la città. Ricerche sulla giurisprudenza ro-mana della repubblica (Napoli 1978) 7 ss., 23 ss.

54 Console per la prima volta nel 258 a. C., poi pretore nel 257, ancora consolenel 254, dittatore nel 249 e censore dal 247; cfr. T. R. S. BROUGHTON, TheMagistrates of the Roman Republic I cit. 206, 208, 210, 215, II cit. 534.

55 La correzione è di Ernout, rispetto ad una tradizione manoscritta variae non del tutto chiara (cfr. l’ed. teubneriana di TH. SCHICHE [1915, rist. 1982] 84lin. 27).

Cic. de sen. 17.61. Quanta [scil. auctoritas 56] fuit in L. Cae-cilio Metello, quanta in A. Atilio Calatino! in quem illudelogium: ‘Hunc unum 57 plurumae consentiunt gentes / po-puli primarium fuisse virum’. Notum est totum carmen in-cisum in sepulchro. Iure igitur gravis, cuius de laudibusomnium esset fama consentiens.

I due passi ciceroniani, come si può facilmente vedere,sono molto vicini, per struttura e contenuto. Ripetono un mo-tivo propagandistico che probabilmente trova il suo archetiponella figura di Publio Valerio Publicola, console nel primoanno della repubblica, secondo la relazione annalistica relativaalla sua morte 58. Il secondo brano è particolarmente interes-sante, tra l’altro, perché Cicerone, in contrappunto rispettoalla trascrizione che propone ai suoi lettori, di un testo parti-colarmente antico 59, aggiunge il ricordo fama omnium 60 con-

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 63

56 Cfr. Cic. de sen. 17.60. Apex est autem senectutis auctoritas, che immediata-mente precede il testo in questione.

57 I manoscritti hanno unicum plurimae; la correzione è di Madvig, la si prefe-risce, tra le altre (cfr., ad esempio l’ed. teubneriana di K. SIMBECK [1917, rist.Stutgardiae 1980] p. 32c lin. 8), perché sembra corrispondere al tenore dell’elogio diLucio Scipione Barbato in CIL. I2 9, su cui immediatamente supra nel testo.

58 Liv. 2.16.7. P. Valerius, omnium consensu princeps belli pacisque artibus,anno post Agrippa Menenio P. Postumio consulibus moritur, gloria ingenti, copiis fa-miliaribus adeo exiguis, ut funeri sumptus deesset; de publico est datus.

59 Per quanto riguarda la risalenza dell’uso (ma il senso non è politico) si v. an-che Plaut. Cas. 58 s. Senis uxor sensit virum amori operam dare / propterea una con-sensit cum filio (ove è notevole il rapporto tra sentire e consentire), e Pseud. 539 (incui si nota l’accezione negativa, cfr. supra 12 s. ntt. 44, 45).

60 Non so se si tratti di una sorta di attualizzazione politica operata dall’Arpi-nate; sarebbe così se le plurumae gentes dell’elogio fossero da considerare come or-dinamenti gentilizi (comunque non credo all’interpretazione – pure in teoria possi-bile – di gentes nel senso di ‘popoli’). Forse è opportuno ricordare, pur nelladiversità di prospettiva, che un testo giuridico in materia processuale contiene illemma coniugato allo stesso modo (consentiens) e collegato ancora con fama: sitratta di un rescritto dell’imperatore Adriano in tema di testimoni utilizzato da Cal-listrato nei suoi libri de cognitionibus (cfr., in generale, R. BONINI, I ‘libri de cogni-tionibus’ di Callistrato. Ricerche sull’elaborazione imperiale della ‘cognitio extraordinem’ I [Milano 1964]) e tràdito nei Digesta: D. 22.5.3.2 (Call. 4 de cogn.).Eiusdem quoque principis exstat rescriptum ad Valerium Verum de excutienda fidetestium in haec verba: ‘Quae argumenta ad quem modum probandae cuique rei

corde sui meriti del personaggio proprio usando di nuovo ilverbo consentire 61 (si può notare anche il richiamo alla giuri-dicità, attraverso l’uso di iure). L’auctoritas del personaggio,come funzione del consentire diffuso, svela poi una percezionedel rapporto politico (da parte di Cicerone), che forse non èazzardato ricollegare con l’ideologia augustea, che, come si sa,racchiuderà nello stesso capitolo delle Res gestae (il 34) la di-

64 CAPITOLO SECONDO

sufficiant, nullo certo modo satis definiri potest. Sicut non semper, ita saepe sinepublicis monumentis cuiusque rei veritas deprehenditur. Alias numerus testium, aliasdignitas et auctoritas, alias veluti consentiens fama confirmat rei de qua quaeritur fi-dem. Hoc ergo solum tibi rescribere possum summatim non utique ad unam proba-tionis speciem cognitionem statim alligari debere, sed ex sententia animi tui te aesti-mare oportere, quid aut credas aut parum probatum tibi opinaris’. Il passo segue unaltro rescritto adrianeo (di qui il riferimento eiusdem quoque principis: le citazionidi questo principe hanno inizio nel § 1, Ideoque divus Hadrianus Vibio Vario le-gato provinciae Ciliciae rescripsit …, continuano nei §§ 2, 3, Idem divus HadrianusIunio Rufino proconsuli Macedoniae rescripsit …, 4, Gabinio quoque Maximo idemprinceps in haec verba rescripsit …, 6,… idque divus Hadrianus rescripsit; sulla «or-ganicità» degli interventi di Adriano si v. U. ZILLETTI, Sul valore probatorio dellatestimonianza nella ‘cognitio extra ordinem’, in SDHI. 29 [1963] 139 ss.; per la ge-nuinità di summatim, tenendo presenti i frequenti grecismi del giurista, si v. FR.PRINGSHEIM, Beryt und Bologna, in Festschrift O. Lenel [Leipzig 1921] 275 [=Ge-sammelte Abhandlungen I cit. 434 s.]; R. BONINI, I ‘libri de cognitionibus’ di Calli-strato I cit. 31 nt. 7), sempre relativo alla fides dei testes. Nell’indirizzare una rispo-sta a Valerio Vero (verisimilmente un governatore provinciale, cfr. M. LAMBERTZ,s.v. «Valerius, 377», in PWRE. VIII A1 [Stuttgart 1955] 239), Adriano prende le mi-sure di un campo difficile da delimitare con precisone (mettendo in evidenza pro-prio la malagevolezza di definire la portata dell’escussione probatoria delle testimo-nianze). Dopo il riferimento ai ‘monumenti pubblici’, il principe respondente passadunque alla considerazione della quantità (numerus) e della qualità (dignitas, aucto-ritas) dei testimoni per giungere, appunto, al valore di una fama, di un accordo dipiù testi sulla res controversa: alias veluti consentiens fama confirmat rei de quaquaeritur fidem. Sul problema e sulla chiusa, che suggerisce l’equilibrio nell’esperi-mento di tutti i mezzi di prova, si cfr. M. KASER, K. HACKL, Das römische Zivil-prozessrecht2 (München 1996) 365 nt. 31; G. PUGLIESE, La prova nel processo ro-mano classico, in Jus n.s. 11 (1960) 419 s.; cfr. ID., La preuve dans le procès romainà l’époque classique, in Rec. Soc. Bodin XVI. La preuve (Bruxelles 1964) 319 e nt. 1,340 [=Scritti giuridici scelti I. Diritto romano (Napoli 1985) 383 e nt. 1, 404].

61 In de fin. 2.35.117 pure torna l’uso di consentire, ma senza il significativo ri-chiamo della fama. L’uso del verbo nell’elogio di Atilio Calatino, nell’amplifica-zione letteraria di Cicerone avrebbe, secondo R. SCHIAN, Untersuchungen cit. 191(cfr. anche 5 nt. 6), grande importanza per la costruzione filosofica ciceroniana re-lativa al consensus omnium (v. supra 8 ss.).

chiarazione relativa alla sostanziale acquisizione del potere as-soluto proprio attraverso il consensus universorum 62 e la pre-valenza nella città (e nell’impero) per maggiore auctoritas ri-spetto ai magistrati (e quindi, non solo dal punto di vista co-stituzionale, a chiunque) 63. Si può notare, però, rispetto alletestimonianze più sopra considerate (ed in specie a Liv.1.32.11-14), lo spostamento (con l’analisi del testo epigrafico edei connessi contesti ciceroniani) su di un piano propriamentepolitico.

Per tornare all’analisi di strutture rilevanti dal punto di vi-sta del diritto pubblico, bisogna soffermarsi in primo luogo sulconsenso del popolo. È, infatti, attestata la consistenza qualeentità politica, secondo Cicerone, del populus Romanus inquanto fondato, oltre che su di un principio utilitaristico che siesprime in una communio, sul iuris consensus 64. La dichiara-zione – che utilizza questa locuzione unica nella latinità 65 – è

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 65

62 Forse è questo il luogo per riconoscere una genealogia ciceroniana della notadizione augustea (sulla quale si v. più ampiamente infra 82 ss.), se l’Arpinate già inuna lettera del 59 a. C. si riferiva ad una consensio universorum (ad Att. 2.23.2), an-che se il contesto non è politico.

63 Inutile (almeno in questa sede) una lista bibliografica esauriente relativa al-l’auctoritas di Augusto (e dei principi): accanto alle opere ormai tradizionali (chesono frutto di un amplissimo dibattito storiografico) elencate e discusse ad esempioin F. JACQUES, J. SCHEID, Roma e il suo Impero. Istituzioni, economia, religione(Roma-Bari 1992) spec. 10, si v., più di recente, C. LANZA, ‘Auctoritas principis’ I(Milano 1996), e – da diverse prospettive – S. GÉLY, Le pouvoir et l’autorité. Avataritalien de la notion d’auctoritas d’Auguste à Domitien (27 a. C.-96 p. C.) (Louvain-Paris 1995); R. DOMINGO, ‘Auctoritas’ (Barcelona 1999); F. J. CASINOS MORAS, Lanoción romana de ‘auctoritas’ y la responsabilidad por ‘auctoritas’ (Granada 2000),ID., ‘Auctoritas’ en la epigrafía y papirología latinas, in Minima ep. et pap. 3 IV(2000) 123 ss.

64 Sul testo che segue si v., con amplissimi riferimenti bibliografici, F. CAN-CELLI, ‘Iuris consensu’ cit. 211 ss.; M. VARVARO, ‘Iuris consensus’ e ‘societas’ in Ci-cerone cit. 447 ss. (a quest’ultimo lavoro si rinvia per l’analisi più recente, sempre at-tenta e giustificata, di tutte le problematiche collegate con il testo ciceroniano). Peruna critica agli approfondimenti relativi al passo ciceroniano per quanto riguarda lanozione di res publica si v., autorevolmente, A. GUARINO, L’ordinamento giuridicoromano5 (Napoli 1990) 243 s.

65 Cfr. G. ARICÒ ANSELMO, ‘Ius publicum’-‘ius privatum’ in Ulpiano, Gaio eCicerone, in AUPA. 37 (1983) 615 e nt. 6.

fatta risalire, da Cicerone, all’Africano minore, nel famoso dia-logo sulla cosa pubblica ambientato nel 129 a. C. 66:

Cic. de rep. 1.25.39. ‘Est igitur’, inquit AFRICANUS, ‘respublica res populi, populus autem non omnis hominumcoetus quoquo modo congregatus, sed coetus multitudinisiuris consensu et utilitatis communione sociatus. Eius au-tem prima causa coeundi est non tam inbecillitas quam na-turalis quaedam hominum quasi congregatio; non est enimsingulare nec solivagum genus hoc, sed ita generatum ut nein omnium quidem rerum affluen<tia> 67 …

Il testo è notissimo ed è stato ampiamente discusso in sto-riografia, da una parte per la definizione stessa di res publica,che vi si trova, dall’altra per la descrizione del significato costi-tuzionale di populus 68, che secondo Cicerone (il quale parlaper bocca di Scipione Emiliano) non è una qualsiasi folla diuomini in qualche modo raccoltasi, ma la massa della moltitu-dine 69 associata iuris consensu et utilitatis communione 70. Cice-

66 CAPITOLO SECONDO

66 Cfr., per tutti, F. D’IPPOLITO, Nei giardini di Scipione, in Cicerone, La re-pubblica luminosa (Palermo 1986) 75 ss. [=anche in Cicerone, Sullo Stato. Librosecondo (Palermo 1992) 29 ss.].

67 Il manoscritto vaticano del de re publica in questo punto s’interrompe, inquanto manca il secondo foglio del IX quaternione (cfr. K. ZIEGLER, in M. TulliusCicero, De re publica7 [Stutgardiae et Lipsiae 1969, ed. ster. 1992] 25, in apparato alin. 5).

68 Su questo aspetto del testo, tra la vasta bibliografia, si v. almeno L. PEPPE,s.v. «Popolo (dir. rom.)», in ED. XXXIV (Milano 1985) 319 ss.; ID., La nozione di‘populus’ e le sue valenze, in Staat und Staatlichkeit in der frühen römischen Re-publik (Stuttgart 1990) 315 ss.; G. LOBRANO, ‘Res publica res populi’. La legge e lalimitazione del potere (Torino 1996) spec. 114 (tutti con altre indicazioni biblio-grafiche).

69 Rilevo, solo incidentalmente, come multitudo mi pare avere significato co-stituzionale anche in de rep. 3.35.48 (ma il testo è monco in fine); sulla significa-zione tendenzialmente negativa del termine (e dunque sulla struttura ossimorica deltesto, con riferimento a quanto immediatamente segue) si v., comunque, J. HELLE-GOUARC’H, Le vocabulaire cit. spec. 513 s.

70 Considera consensus iuris del testo ciceroniano come «das ewige Gesetz» K.BÜCHNER, Studien zur römischen Literatur IV. Resultate römischen Lebens in rö-mischen Schriftwerken (Wiesbaden 1967) 80 s., ma il risultato dell’eminente latinistaappare una rappresentazione enfatica piuttosto che il risultato di un’esegesi. Per una

rone individua i fattori che tengono insieme i singoli soggetti,componenti del populus 71. Uno di essi, e proprio il primo adessere posto in rilievo (in una struttura sintattica che si pre-senta con il segno della simmetria 72), mostra l’intento cicero-niano a costruire l’unità della civitas su una comunanza condi-visa di quello che – nell’ampiezza semantica del termine ius 73 –pare qui rappresentare l’ordinamento giuridico nella sua com-pletezza (e complessità). Se dunque sembra utile alla compren-sione del passo quella interpretazione storiografica 74 che avvi-cina consensus al successivo termine communio (qui la specifi-cazione fa riferimento alla utilitas), il significato della dizione

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 67

derivazione da Platone (definitiones 413e) del concetto ciceroniano espresso nel dere publica, si v. A. DEMANDT, Der Idealstaat. Die politischen Theorien der Antike(Köln-Weimar-Wien 1993) 227, che (p. 228) traduce populus con «Staatsvolk», perconnotare il termine dal punto di vista costituzionale (la teminologia è da com-parare con quella utilizzata da E. SCHÖNBAUER, Die ‘res gestae Divi Augusti’ inrechtsgeschichtlicher Beleuchtung [Wien 1946] 40, a proposito del consensus univer-sorum in favore di Ottaviano, sul punto si v. infra § 3); ampia rassegna della storio-grafia che ha voluto rintracciare matrici greche della definizione ciceroniana inG. ARICÒ ANSELMO, ‘Ius publicum’-‘ius privatum’ cit. 614 s. nt. 4, che, seguendoF. CANCELLI, ‘Iuris consensu’ cit. 234 s., ne sottolinea, invece, l’originalità.

71 Cfr. M. VARVARO, ‘Iuris consensus’ e ‘societas’ in Cicerone cit. 474. Giusta lacritica (p. 453 ss.) all’ipotesi prospettata da G. MANCUSO, Sulla definizione cicero-niana dello Stato, in Sodalitas. Scritti in onore di A. Guarino II (Napoli 1984) 609ss. (per altri riferimenti si v. p. 453 nt. 10), di una dipendenza di Cicerone in questaarticolazione del suo pensiero dallo schema della società consensuale: si può ag-giungere che al tempo dell’Arpinate il consensus in quanto tale non era stato ancoraindividuato dalla scienza giuridica romana come elemento caratterizzante quelle chepoi saranno definite obbligazioni consensuali (il punto di coordinamento dei feno-meni era allora meramente processuale, facendo riferimento alla fides bona). Per ilcollegamento di Cic. de rep. 1.25.39 con la societas consensuale si v., oltre a Man-cuso (e, mi pare, indipendentemente dal suo saggio), anche G. LOBRANO, ‘Res pu-blica res populi’ cit. 114 (cfr. 120 s. nt. 23); ID., Popolo e legge: il sistema romano ela deformazione moderna, in Nozione formazione e interpretazione del diritto dal-l’età romana alle esperienze moderne. Ricerche dedicate al prof. F. Gallo I (Napoli1997) spec. 457 s.

72 Si v. ancora M. VARVARO, ‘Iuris consensus’ e ‘societas’ in Cicerone cit. 474.73 Sul problema, da ultimo, A. CORBINO, Nota minima in margine al valore di

‘ius’, in Au-delà des frontières. Mélanges W. Wołodkiewicz I (Varsovie 2000) 179 ss.74 G. ARICÒ ANSELMO, ‘Ius publicum’-‘ius privatum’ cit. 611 ss.; M. VARVARO,

‘Iuris consensus’ e ‘societas’ in Cicerone cit. spec. 474 s.

mi pare doversi comprendere nel senso seguente: l’Arpinatevuole sostenere che il popolo sente il diritto della civitas in unospirito di comunità, ma anche che ciascuno è capace (proprioin quanto membro di quella comunità finalizzata) di sentirlo intal modo. Il brano, infatti, deve essere letto insieme con un al-tro passo dell’opera ciceroniana, pure attribuito a Scipione, incui torna il riferimento al consensus, in un contesto nel qualericorrono, in stretta connessione, riferimenti al vinculum iurised alla societas, come rappresentazione, ancora, del populus:

de rep. 3.31.43 (Scip.) … ergo illam rem populi, id est rempublicam, quis diceret tum cum crudelitate unius oppressiessent universi, neque esset unum vinculum iuris nec con-sensus ac societas coetus, quod est populus?

L’Africano procede qui ad una identificazione negativa delnesso res publica-res populi, facendo riferimento ad uno statodi oppressione in cui il soggetto passivo è rappresentato dagliuniversi (e l’uso di questo termine mi pare ulteriormente signi-ficativo 75). Subito il discorso è posto in contrappunto rispettoa de rep. 1.25.39: se nel primo libro la prospettiva era costi-tuente, nell’individuazione della differenza tra una congregatioumana meramente casuale, ed invece il coetus sociatus attra-verso i segni del consensus iuris e della communio utilitatis, nelterzo libro si mostra come la presenza di un tiranno faccia sìche plane nullam esse rem publicam 76, proprio per l’irricono-scibilità di un populus in una comunità di sottoposti che nonha come fondamenti i tre elementi enumerati come segue: vin-culum iuris, consensus, societas coetus. L’analogia, oltre che ter-minologica concettuale, tra i due luoghi del de re publica, èevidente, ma questa volta iuris è qualificativo del vinculum che

68 CAPITOLO SECONDO

75 Cfr. infra 86 ss., a proposito di Res gestae 34.76 … nihil enim populi et unius erat populus ipse. Ergo ubi tyrannus est, ibi non

vitiosam, ut heri dicebam, sed, ut nunc ratio cogit, dicendum est plane nullam esserem publicam. Il ragionamento è condotto immediatamente ad esemplificazioni: ilcaso di Dionisio siracusano (cui direttamente si riferisce il testo trascritto), poi (nelcap. 32) i Trenta tiranni ateniesi, infine i decemviri legibus scribundis.

lega il popolo, mentre consensus non è immediatamente agget-tivato, e coetus specifica l’essenza della societas. Neque … necmi sembra costruzione sintattica che bipartisce il ragiona-mento, ponendo due condizioni complementari a seguito dellafondamentale rappresentazione degli universi oppressi cumcrudelitate unius. Mentre l’ac che unisce il consensus alla socie-tas pone sullo stesso piano questi due membri del secondo ter-mine della bipartizione, riferendoli essenzialmente entrambi alcoetus. Dunque, anche questo passo conferma una certa pro-spettiva in cui vale la partecipazione dell’intenzione popolare(naturalmente ad un livello di rappresentazione); se infatti ilrapporto con l’ordinamento appare staticamente inteso comeiuris vinculum, il consensus si inserisce nel momento consocia-tivo e quindi deve intendersi come sentire collettivo (del coetusmultitudinis), rispetto a quello stare insieme, che è in primoluogo il riconoscimento non passivo di un diritto comune inquanto condiviso dai consociati 77. Ecco perché nella letturafornita da Caio Lelio (ovviamente per come attribuitagli daCicerone), nel prosieguo del dialogo ciceroniano, il consensusdiviene fondamento del populus, con una raffigurazione che faimmaginare il secondo come in qualche modo «contenuto» nelprimo, rispetto ad una critica che – partendo dalla disapprova-zione della tirannia – si sofferma sul dominatus della scompo-sta multitudo, indegno del nomen rei publicae:

Cic. de rep. 3.33.45. (Lael.) Nam si nobis non placebat Sy-racusis fuisse rem publicam, neque Agrigenti neque Athe-nis cum essent tyranni, neque hic cum decemviri, non vi-deo qui magis in multitudinis dominatu rei publicae no-men appareat, quia primum mihi populus non est, ut tuoptime definisti Scipio, nisi qui consensu iuris continetur,sed est tam tyrannus iste conventus, quam si esset unus,hoc etiam taetrior quia nihil ista, quae populi speciem etnomen imitatur, immanius belva est.

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 69

77 Cfr. M. VARVARO, ‘Iuris consensus’ e ‘societas’ in Cicerone cit. 466.

Il fatto che il tertium genus 78 sia fonte di angustiae per Sci-pione significa in primo lugo l’impossibilità di includerlo nellanozione di res publica, e ciò perché il fatto che tutte le cose,che in quella tipologia politica, si trovano in populi potestate(con le drammatiche conseguenze: agunt, rapiunt, tenent, dis-sipant quae volunt) non è rapportabile all’ideologia secondo laquale il «comune senso del diritto» è «abito inerente» 79 ad unaspecifica natura umana, che sola può prospettare il consensus.

La descrizione ciceroniana, per come qui interpretata, mipare conduca ad una valutazione più ampia del nesso tra con-sensus e populus, che – come si è visto – può essere consideratoin una sua parte. Ed è perciò, che pur non coinvolgendo (al-meno direttamente) organi della costituzione, è assolutamenterilevante il ruolo che nell’opera dell’Arpinate assume la locu-zione consensus (omnium) bonorum, un ruolo specifico nell’e-laborazione della teoria politica ciceroniana, la quale, bisognaricordarlo, discende da una «acutezza di percezione» che soloil pensiero intimamente collegato con la prassi può dare 80. A

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78 De rep. 3.33.45 (Scip.). Venio nunc ad tertium genus illud, in quo esse vide-buntur fortasse angustiae. Cum per populum … Il testo è da confrontare con Cic. derep. 1.28.44.

79 Le parole tra virgolette sono di G. ARICÒ ANSELMO, ‘Ius publicum’-‘ius pri-vatum’ cit. 620, che spec. in nt. 24 propone una lettura di consensus come contra-zione di communis sensus.

80 In tal senso si v. le lucide osservazioni di E. LEPORE, Il pensiero politico ro-mano del I secolo, in Storia di Roma II. L’impero mediterraneo 1. La repubblica im-periale dir. A. SCHIAVONE (Torino 1990) 858 ss., basate anche sulla sedimentazionedel giustamente famoso lavoro su Il princeps ciceroniano e gli ideali politici dellatarda repubblica (Napoli 1954). Sulla storiografia di Lepore relativamente alla crisitardorepubblicana si v. A. SCHIAVONE, Aspetti della politica tardo-repubblicananella riflessione di Ettore Lepore, in L’incidenza dell’antico. Studi in memoria di E.Lepore I (Napoli 1995) 217 ss., che, ripercorrendo l’itinerario storiografico dellostudioso napoletano a proposito della teoria politica ciceroniana (cfr. soprattutto ilavori cit. immediatamente supra, in questa nota) scoprendone i non sempre evi-denti collegamenti con il pensiero di Federico Chabod (che sarebbe matrice dellesollecitazioni etiche che vi sottendono), mette in luce come la svolta dalla concordiaal consensus sia spia di quello che caratterizza come il «riformismo» di Cicerone.Sull’interpretazione di Lepore si v. anche L. PERELLI, Il pensiero politico di Cice-

fronte delle letture che hanno riconosciuto nel pensiero del-l’Arpinate instabilità ed incoerenza («prammatizzandolo» ol-tremodo), si deve ad Ettore Lepore una ricostruzione che con-sente di mettere in utile rapporto il programma e la topicadella concordia ordinum (che più aveva interessato la modernastoriografia) con il non meno importante consensus bonorum,che pare caratterizzare fortemente due fasi rilevanti della co-struzione politica ciceroniana 81. Se la concordia ha caratteristi-che aristocratiche che si erano evidenziate in primo luogo nelconflitto patrizio-plebeo 82 ed un diretto rapporto con la oJmov-noia greca (anche dal punto di vista della divinizzazione delconcetto) 83, ed in Cicerone si sviluppa come tema politicoprima del consolato, proprio in quell’anno (e grazie anche allacongiura di Catilina), egli troverà l’utile significato del con-senso, che diviene nella sua riflessione momento di coalescenzapolitica capace di superare la prospettiva della concordia 84 (e inqualche modo lo stesso concetto di ordines).

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 71

rone. Tra filosofia greca e ideologia aristocratica romana (Firenze 1990) 35 ss., e, piùdi recente, C. NOVIELLI, La retorica del consenso. Commento alla tredicesima Filip-pica di M. Tullio Cicerone (Bari 2001) spec. 19 nt. 91.

81 È da rammentare l’ammonimento di R. SYME, La rivoluzione romana (tr. it.Torino 1962, rist. 1974) 155 s., che – riflettendo sul senso di quelli che qualificacome «‘ideali’, cui si rendeva necessariamente omaggio a parole» – scriveva: «se sifosse conservata più ampiamente la letteratura politica dell’epoca, si potrebbe forsescoprire che il rispetto della legge, la tradizione, la costituzione avevano un singo-lare unanime coro di difensori: frasi come concordia ordinum e consensus Italiaenon erano affatto monopolio particolare di Cicerone, e neppure isolata manifesta-zione di patriottismo e di sagacia politica».

82 Cfr. J. HELLEGOUARC’H, Le vocabulaire cit. 127: «… concordia est, malgrésa forme, une notion surtout négative: moins que l’accord, il désigne l’absence ou lafin d’un désaccord entre partis et individus qui se sont affrontés ou pourraient sequereller». Da questo punto di vista può costruirsi un rapporto sia con otium checon pax, cfr. P. JAL, ‘Pax civilis’ – ‘concordia’, in REL. 39 (1961) 210 ss. Sul concettodi concordia nelle lotte politiche della fine della repubblica si v., di recente, F.MARCO SIMÓN, F. PINA POLO, ‘Concordia’ y ‘Libertas’ como polos de referencia re-ligiosa en la lucha política de la República tardía, in Gerión 18 (2000) 261 ss.

83 Per essenziali rinvii bibliografici si v. supra 14 nt. 52.84 Sulla scia di H. STRASBURGER, ‘Concordia ordinum’. Eine Untersuchung zur

Politik Ciceros (Leipzig 1931, rist. an. Amsterdam 1956) 63, CHR. MEIER, ‘Res pu-blica amissa’. Eine Studie zu Verfassung und Geschichte der späten römischen

È necessario a questo punto tornare sulle fonti che mo-strano quella che si può definire come ‘volontà generale’ ed èqualificata con le espressioni in questione (consentire/consen-sus). Essa ha il senso più di ‘opinione pubblica’ che di precisorisultato di una votazione, tanto che, ad esempio, in Livio èfrequente «il contrapposto» 85 tra comitia populi e consensuspopuli 86.

Una serie di testi rileva, dunque, da un profilo prettamentepolitico. In essi, con una certa frequenza, consensus riceve una

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Republik3 (Frankfurt a. M. 1997) 314 s., distingue la concordia ordinum, collega-mento politico tra senato e pubblicani, dal consensus omnium bonorum con il qualeCicerone descriveva l’apporto alla causa senatoria dei restanti membri dell’ordineequestre. Non mi pare potersi accogliere, sulla base delle testimonianze delle fonti,l’opinione di P. GRENADE, Essai sur les origines du Principat cit. spec. 236 ss., percui il consensus come conseguenza teorica della concordia farebbe riferimento a fe-nomeni di «ritorno» a Roma di alcuni personaggi (come Cicerone, dopo la fine delsuo esilio).

85 Così E. DE RUGGIERO, s.v. «Consensus» cit. 695.86 Tra le fonti si considerino, in primo luogo, Liv. 4.51.3, 6.22.7. Cfr. TH.

MOMMSEN, Römisches Staatsrecht III/1 cit. 305 nt. 2: la differenza si esprime nelrapporto tra «Volksabstimmung» formale e «öffentliche Meinung» frutto del «fac-tische Gesammtwille der Gemeinde»; G. NOCERA, Il potere dei comizi e i suoi limiti(Milano 1940) 162. Secondo P. CATALANO, Contributi allo studio del diritto augu-rale I (Torino 1960) 400, il significato di iussum non è soltanto ‘comando’, ma an-che ‘consenso’ (cfr. anche ibid. 26 nt. 20 [da p. 25]). Ibid. 26 nt. 22a, Catalano nota(con riferimento diretto a Mommsen, ma si v. anche G. NOCERA, Il potere dei co-mizi cit. 162 nt. 2) che consensus populi nelle fonti ha il valore di ‘opinione pub-blica’, ed in critica ad U. COLI, ‘Regnum’, in SDHI. 17 (1951) 66 [=Scritti di dirittoromano I (Milano 1973) 384], per il quale da una prospettiva storica verrebbe primail consenso, poi il iussum (lo studioso sta procedendo alla dimostrazione che l’as-semblea curiata, in età regia, «non votava né prendeva deliberazioni … tutt’al piùdall’acclamazione o dal silenzio della massa adunata il re poteva desumere l’opi-nione collettiva»; da ultimo sui comitia curiata, con sintesi delle diverse posizionistoriografiche, si v. F. LA ROSA, Le attribuzioni dei ‘comitia curiata’, in Index 28[2000] 181 ss.), afferma: «io preferirei dire che non si può irrigidire il valore dellavolontà comiziale nella formula del comando». Forse bisogna tenere distinta, nel-l’analisi, la concettualizzazione moderna del ‘consenso’ dal consensus dei Romani(come peraltro mi sembra facesse, sul punto, già TH. MOMMSEN, l.u.c.). Per quantoriguarda la dimensione politica della pubblica opinione (che sarebbe uno stato psi-cologico diffuso tra la popolazione e «combaciante» con il concetto di «consenso»),in un contesto direttamente dedicato alle società democratiche del Novecento, si v.,per tutti, G. SARTORI, s.v. «Opinione pubblica», in Enc. del Novecento IV (Roma1979) spec. 938 s. (bibliografia sul tema a p. 948 s.).

qualificazione (generalmente positiva), che serve a determi-narne la portata 87: in Liv. 4.24.6, ad esempio, il populus è signi-ficativamente ingens (si tratta della rogatio per la cd. lex Aemi-lia de censura minuenda del 434 a. C., riporto il testo peresteso anche perché nell’immediato prosieguo, al § 7, il popolotorna ad essere ingens in una manifestazione che non è costitu-zionale, ma ha una rilevante coloritura politica: ingenti con-sensu populi legem postero die pertulit et ‘ut re ipsa’ inquit‘sciatis, Quirites, quam mihi diuturna non placeant imperia,dictatura me abdico’. 7. Deposito suo magistratu, inposito finealteri cum gratulatione ac favore ingenti populi domum est re-ductus 88). E proprio con consensus in tal modo aggettivato sisuole indicare l’unanimità (ma anche la larga maggioranza 89)

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 73

87 Il riferimento a delle conseguenze giuridiche (nel caso solo prospettate, manon realizzatesi) può far considerare (sia pure in maniera molto sfumata) come rile-vante da un punto di vista consimile, ma evidentemente in altro contesto fortementecaratterizzato dal punto di vista politico, anche Val. Max. 9.10.2. Illam vero ultio-nem et senatus et consensus omnium adprobavit: cum enim Adrianus civis Romanos,qui Uticae consistebant, sordido imperio vexasset idcircoque ab his vivus esset exu-stus, nec quaestio ulla in urbe hac de re habita nec querella versata est. Il passo èriferito a Fabio Adriano, pretore che sostituì Q. Cecilio Metello in Africa nell’84a. C., e vi rimase come promagistrato fino alla morte nell’82, cfr. T. R. S. BROUGH-TON, The Magistrates of the Roman Republic II cit. 60, 64, 69.

88 Sulla questione e la sua ambientazione storica si v., per tutti, F. CÀSSOLA,L. LABRUNA, Linee di una storia delle istituzioni repubblicane3 (Napoli 1991) spec.122 s. Per l’uso della locuzione consensus ingens si v. anche Liv. 9.40.21 (quos [scil.P. Decio e M. Valerio] populus proximis comitiis ingenti consensu consulem alterum,alterum praetorem declaravit). L’aggettivazione summus ricorre sia in contesti co-miziali, sia a proposito di avvenimenti più propriamente politici, per le testimo-nianze di Valerio Massimo si v. 4.1.5. Fabius vero Maximus, cum a se quinquies et apatre, avo, proavo maioribusque suis saepe numero consulatum gestum animadver-teret, comitiis, quibus filius eius summo consensu consul creabatur, quam potuit con-stanter cum populo egit ut aliquando vacationem huius honoris Fabiae genti daret,non quod virtutibus filii diffideret, erat enim inluster, sed ne maximum imperium inuna familia continuaretur; 8.15.9. Q. etiam Catulum populus Romanus voce suatantum non ad sidera usque evexit: nam cum ab eo pro rostris interrogaretur, si inuno Pompeio Magno omnia reponere perseverasset, absumpto illo subiti casus in-cursu in quo spem esset habiturus, summo consensu adclamavit ‘in te’.

89 Per un dato indicativo, in un contesto giudiziario, si v. la definizione nume-rica di magnus consensus che si può dedurre da Ascon. in Mil. p. 49.13 teubn. Sex.autem Clodius, quo auctore corpus Clodi in curiam illatum fuit, accusantibus C.

che poteva far spiccare in maniera impressionante un’elezioneconsolare 90, ovvero una qualche altra deliberazione popolare 91.Come si può notare, emerge, in particolare, il consenso popo-lare riferito ad un soggetto che richiede o ricopre una caricamagistratuale 92, come in Liv. 6.22.7 (Furio Camillo era prontoa rappresentare la sua malattia come scusa per non rivestire ilconsolato: exactae iam aetatis Camillus erat comitiisque iurareparato in verba excusandae valetudini solita consensus populiresisterat …, 383/382 a. C.), e ancora in Liv. 26.22.3 (in cui necdubius consensus è riferibile alla rinuncia che T. Manlio Tor-quato 93 fece all’elezione consolare per il 210, dopo essere stato«detto» dalla centuria prerogativa; lo storico probabilmente loqualifica in questo modo per evidenziare il fatto che Manlionon rifiutava perché vi fossero dubbi sulla volontà popolare inriferimento alla sua carica 94). Su tale piano, può esservi con-

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Caesennio Philone, M. Alfidio, defendente T. Flacconio, magno consensu damnatusest, sententiis sex et XL; absolutorias quinque omnino habuit, duas senatorum, tresequitum. Per quanto riguarda le deliberazioni senatorie cfr. Liv. 36.3.5 (e infra).

90 Cic. pro Mil. 9.25. Occurrebat ei mancam ac debilem praeturam futuramsuam consule Milone; eum porro summo consensu populi Romani consulem fieri vi-debat; cfr. anche Liv. 27.21.4. Hanc tribuni orationem ita obruit Marcellus comme-moratione rerum suarum ut non rogatio solum de imperio eius abrogando antiqua-retur, sed postero die consulem eum ingenti consensu centuriae omnes crearent. Sinoti la qualificazione del consenso attraverso aggettivi particolarmente significativi(summus nel primo caso, ingens nel secondo). Sulla condizione inversa (e cioè mag-gioranze di stretta misura) in particolare nelle elezioni consolari si v., di recente,F. RYAN, Knappe Mehrheiten bei der Wahl zum Konsul, in Klio 83 (2001) 402 ss.

91 Si v. Liv. 23.31.13 … creatur ingenti consensu Marcellus, qui extemplo magi-stratum occiperet.

92 Cfr. anche Liv. 10.21.15 (296 a. C.: se, nisi confideret eum consensu populiRomani consulem declaraturum iri, qui haud dubie tum primus omnium ductor ha-beatur, dictatorem fuisse extemplo dicturum, cfr. anche i §§ 22.1, 2).

93 Si v., in parallelo, Val. Max. 6.4.1, che pure mette in evidenza il consenso po-polare (in tal caso: «omnium»): Par illius quoque [et] Manli gravitas, cui cum con-sulatus [cum] omnium consensu deferretur eum que sub excusatione adversae vali-tudinis oculorum recusaret, instantibus cunctis ‘alium’ inquit, ‘Quirites, quaerite, adquem hunc honorem transferatis: nam si me gerere eum coegeritis, nec ego mores ve-stros ferre nec vos meum imperium perpeti poteritis’. Naturalmente è possibile il ri-ferimento ad una fonte comune.

94 Sulla scusa addotta dal consolare, una malattia agli occhi, si v. TH. MOMM-SEN, Römisches Staatsrecht I3 cit. 493 ss.

correnza di consensi tra popolo e senato, come ad esempio inLiv. 10.24.18 (nec minore populi consensu quam senatus pro-vincia Etruria extra sortem Fabio decreta est: qui lo storicocongiunge consensus come misura politica di un atto formale,la votazione sull’assegnazione del comando dell’esercito inEtruria, nel 295 a. C., al favore del senato nei confronti delladeliberazione popolare). Anche il sacerdote può essere condi-zionato, nell’esercizio della sua funzione dalla pressione popo-lare, che può esprimersi attraverso il consensus: in quest’am-bito si può ricordare, come caso rilevante, Liv. 9.46.6, che de-scrive lo stato di costrizione politica del pontefice massimo(Cornelio Barbato, secondo la tradizione liviana 95) con ri-guardo al favore popolare di cui godeva Gneo Flavio 96. Nonpoche le attestazioni relative al trionfo: basti il rinvio alle vi-cende del 294 a. C. (e pure qui il riferimento si allarga alla pro-spettiva senatoria) 97, ed al caso del console del 197 a. C., CaioCornelio Cetego, che ottiene il trionfo omnium consensu, dove«di tutti» ha un senso parziale (dal punto di vista costituzio-nale), essendo direttamente riferibile, in questo caso, ai sena-

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 75

95 Cfr. T. R. S. BROUGHTON, The Magistrates of the Roman Republic I cit. 168.96 Il caso è quello, notissimo, della dedicazione del tempio di Concordia, nel

304 a. C., … coactusque consensu populi Cornelius Barbatus pontifex maximusverba praeire, cum more maiorum negaret nisi consulem aut imperatorem possetemplum dedicare.

97 Liv. 10.37.10: il senato, in questo caso, è contrario (consensus dunque si deveconsiderare al negativo rispetto al trionfo), insieme (del resto) a ben sette tribunidella plebe, ma il console Postumio Megello, trionfa ugualmente, nel 294, iure im-perii (cfr. Liv. 10.37.6-8), con l’appoggio del popolo (Liv. 10.37.10-11; secondoA. PETRUCCI, Il trionfo nella storia costituzionale romana dagli inizi della repubblicaad Augusto (Milano 1996) 53, in linea con tutta la sua prospettiva di ricerca, chevede in questo caso un ‘riassunto’ della precedente esperienza costituzionale ed in-sieme una proiezione verso la nuova disciplina del trionfo, cfr. pure ad esempio p.23 e nt. 31, 256 s., si tratterebbe non del populus, ma della plebe, anche se lo stu-dioso non risolve il problema della capacità per un console a convocare formal-mente e a ottenere una legittima deliberazione dai concilia plebis). Il testo è da daconsiderare insieme con Liv. 7.17.9 (trionfo di Marcio Rutilo, a. 356), cfr. G. CU-PAIUOLO, Tra poesia e politica. Le pasquinate nell’antica Roma (Napoli 1993) 43 nt.28; v. anche A. PETRUCCI, o.u.c. 45, 52 ss. Liv. 10.37.12: … consensum senatus cele-brante populo.

tori, in quanto il provvedimento è decretus, decretato dal se-nato 98 sulla base di una proposta consolare diretta in primoluogo – appunto – ai senatores.

Rilevano anche testimonianze che riguardano contesti giu-diziari in cui sia protagonista il popolo 99. Assai noto il casoche coinvolse in una particolare provocatio il dittatore PapirioCursore ed il suo magister equitum Fabio Rulliano: Liv. 8.35.1…liberavit onere consensus populi Romani ad preces et obsten-tationem versus, ut sibi poenam magistri equitum dictator re-mitteret, nel 325 a. C. secondo la cronologia tradizionale 100.

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98 Liv. 33.23.1, 4. C. Cornelio omnium consensu decretus triumphus … 4. C.Cornelius de Insubribus Cenomanisque in magistratu triumphavit. Secondo A. DE-GRASSI, Frammenti di elogi e di una dedica a Romolo del Foro d’Augusto, in Bull.Com. 67 (1937) 7 s. [=Scritti vari di antichità I (Roma 1962) 214], l’elogium fram-mentario, proveniente dal Foro di Augusto, ora in CIL. VI 40946 (cfr. L. CHIOFFI,ad loc., con ulteriori indicazioni bibliografiche), andrebbe integrato con la men-zione di un magnus consensus patrum relativo al trionfo di Cornelio de Gallis Insu-bris et Cnomanis. Il caso tramandato da Tito Livio è interessante, perché in quel-l’anno entrambi i consoli chiesero al senato il trionfo, ma, mentre la relatio conso-lare relativa a Cornelio incontrò il favore dell’alto consesso, quella sulle gesta diQuinto Minucio Termo (che aveva sconfitto tribù liguri e Galli Boi) ebbe dall’as-semblea senatoria un riscontro negativo, che condusse il magistrato al trionfo percosì dire minore in monte Albano; sul punto si v. A. PETRUCCI, Il trionfo nella sto-ria costituzionale romana cit. spec. 100 ss., 148.

99 Si v. (anche con indici qualificativi del consentire/consensus) due testi di Va-lerio Massimo: 6.5.3. Quo in iudicio primae classis permultae centuriae Claudiumaperte damnabant, de Gracchi absolutione universae consentire videbantur (si trattadel noto processo tribunizio contro Tiberio Gracco e Caio Claudio a motivo dellaseverità della loro censura, 169 a. C.); 8.1 abs. 2. Cum a Libone tribuno pl. Ser.Galba pro rostris vehementer increparetur, quod Lusitanorum magnam manum in-terposita fide praetor in Hispania interemisset, actionique tribuniciae M. Cato ulti-mae senectutis oratione sua, quam in Origines retulit, suscriberet, reus pro se iamnihil recusans parvulos liberos suos et Galli sanguine sibi coniunctum filium flensconmendare coepit eoque facto mitigata contione qui omnium consensu perituruserat paene nullum triste suffragium habuit (è la sintesi del risultato del processo te-nuto nel 149 a. C. contro Galba, sui relativi problemi, con particolari riferimenti alruolo di Catone si v. ora P. CUGUSI, M. T. SBLENDORIO CUGUSI [cur.], Catone,Opere I [Torino 2001] 358 ss., spec., sull’espediente psicagogico, 362 s. ad frg. 154).

100 Sul caso, la ‘ribellione’ del magister equitum Fabio Rulliano ad un ordinedel suo dittatore Papirio Cursore si v. l’ampia trattazione di C. MASI DORIA, ‘Spre-tum imperium’ cit. spec. 15 ss.; in particolare sul rapporto (che mi pare di tipo psi-cologico) tra i tribuni ed il consensus populi Romani (che serve a liberare i magistrati

Un riferimento particolare, che significativamente ritornerànell’età del principato 101, ricorre in Liv. 38.52.11, ove con deo-rum hominumque consensus si descrive la valutazione politicadelle res gestae di Scipione, in occasione del processo che lovide reus nel 187 a. C. 102.

Si è visto più sopra l’archetipico consenso dei senatori re-lativo al bellum iustum 103. In tale ambito, pure ricorre il ri-chiamo al consensus del popolo costituzionalmente organiz-zato (con le tipiche aggettivazioni), a proposito delle dichiara-zioni di guerra attraverso leges de bello indicendo: Liv. 31.15.5(itaque ingenti consensu bellum adversus Philippum decretum),35.25.10 (itaque ingenti consensu bellum decretum est, tempuset ratio administrandi eius libera praetori permissa). Ma in tuttiquesti casi la giuridicità rileva piuttosto dall’atto in sé che dalconsenso, il quale appare misura politica del favore popolarerispetto alla proposta ricevuta (dal magistrato), come apparechiaro (anche se si tratta di una versione scorciata 104) da Liv.

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 77

plebei, i quali temono una reazione del dittatore, dall’imbarazzo cui li aveva con-dotti la difesa di Fabio): 65 s. Oggetto della (informale) richiesta popolare (cheappare ai tribuni come un consenso nei confronti del loro operato) è la remissiodella pena nei confronti del magister equitum, che, attuata, viene inquadrata daW. WALDSTEIN, Untersuchungen zum römischen Begnadigungsrecht. ‘Abolitio’-‘in-dulgentia’-‘venia’ (Innsbruck 1964) 73 ss., da leggere insieme con le osservazioniche si trovano nella rec. di M. AMELOTTI, in Maia n.s. 20 (1968) 64 ss. [=Scritti giu-ridici (Torino 1996) 1043 ss.], come concessione di una grazia (lo studioso austriacobasa la sua interpretazione suprattutto sull’uso in Livio del verbo donare, che inquesto senso avrebbe un riscontro anche nelle fonti papirologiche, cfr. almenoPFlor. 61).

101 Cfr. infra 120 s.102 Per quanto riguarda il favore divino per Scipione si v. anche Liv. 38.48.14.103 Supra 56 ss.104 Cfr. Liv. 26.18.4-11. Cum alii alium nominarent, postremum eo decursum

est, ut proconsuli creando in Hispaniam comitia haberentur; diemque comitiis con-sules edixerunt. 5. Primo expectaverant, ut, qui se tanto imperio dignos crederent,nomina profiterentur. Quae ut destituta expectatio est, redintegratus luctus acceptaecladis desideriumque imperatorum amissorum. 6. Maesta itaque civitas, prope inopsconsilii, comitiorum die tamen in campum descendit; atque in magistratus versi cir-cumspectant ora principium aliorum alios intuentium fremuntque adeo perditas resdesperatumque de re publica esse, ut nemo audeat in Hispaniam imperium accipere,7. cum subito P. Cornelius, <P. Cornelii>, qui in Hispania ceciderat, filius quattuor

Per. 26, in cui i due momenti sono separati, il primo attribuitoal populus (in quanto organo costituzionale), il secondo inde-terminatamente a omnes: cum comitiis apud populum quaere-retur, cui mandaretur Hispaniarum imperium, nullo id volentesuscipere P. Scipio, P. filius eius, qui in Hispania ceciderat, pro-fessus est se iturum et suffragio populi consensuque omniummissus Novam Carthaginem expugnavit …

Un testo particolarmente interessante sul consensus populi(anche perché proviene da uno scritto giuridico) è rappresen-tato da:

D. 1.2.2.24 (Pomp. l. sing. ench.). … qui universi de Al-gido, ubi tunc belli gerendi causa legiones erant, relictisducibus pristinis signa in Aventinum transtulerunt, omnis-que plebs urbana mox eodem se contulit, populique con-sensu partim in carcere necati.

Il riferimento, nell’ambito di una parte della narrazione diPomponio 105 che si connota per essere prettamente storica eche quasi certamente è frutto di sostanziosi scorciamenti, è alla

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et viginti ferme annos natus, professus se petere in superiore, unde conspici posset,loco constitit. 8. In quem postquam omnium ora conversa sunt, clamore ac favoreominati extemplo sunt felix faustumque imperium. 9. Iussi deinde inire suffragiumad unum omnes non centuriae modo, sed etiam homines P. Scipioni imperium esse inHispania iusserunt. 10. Ceterum post rem actam, ut iam resederat impetus animo-rum ardorque, silentium subito ortum et tacita cogitatio, quidnam egissent? nonnefavor plus valuisset quam ratio? 11. Aetatis maxime paenitebat … Si è voluto ripor-tare il testo liviano in una certa estensione, da una parte per sottolineare la capacitàdi sintesi costituzionale dell’epitomatore, dall’altra per mostrare qualche caratteriz-zazione, anche psicologica, del consensus collettivo.

105 Una breve ma articolata bibliografia sull’enchiridion di Pomponio si trovain F. D’IPPOLITO, I giuristi e la città cit. 25 s. (per lo studioso napoletano, il passo inquestione rappresenta uno di quei contesti pomponiani in cui il populus è «pro-tagonista» del discorso del giurista: 23); per altri richiami di letteratura si v. ancheC. CASCIONE, ‘Tresviri capitales’ cit. 1 s. nt. 3; vaste le annotazioni ed i rinvii bi-bliografici nel recentissimo contributo di E. STOLFI, Studi sui ‘libri ad edictum’ diPomponio I. Trasmissione e fonti (Napoli 2002) 261 ss. 305 ss. Per un dubbio te-stuale: R. KNÜTEL, I problemi della traduzione giuridica, in Index 25 (1997) 7.

sorte dei decemviri legibus scribundis 106 successiva alla loro ab-dicazione: essi, appunto con il consenso del popolo, vengonouccisi nel carcere 107. Tale consenso, che ha una caratterizza-zione fortemente politica, mi pare debba intendersi con riferi-mento all’approvazione diffusa degli atti (giuridici e formali)che consentono la carcerazione e dunque la messa a morte 108.

Accanto alle testimonianze relative al consensus populi sipuò considerare il consensus civitatis tributato dapprima aQuinto Fabio Massimo Rulliano, in occasione dell’elezione alsuo quarto consolato 109 (Liv. 10.13.12: il personaggio, rilut-tante a ricoprire la carica, appare infine consensu civitatis vic-tus), poi a Caio Mario: Liv. Per. 68: Marius totius civitatis con-sensu exceptus pro duobus triumphis, qui offerebantur, unocontentus fuit 110. Il fatto storico è quello della vittoria di Mario(e di Lutazio Catulo) nel 101 a. C. contro le genti germaniche(Teutoni, Ambroni e Cimbri) che avevano invaso i confini set-tentrionali del potere romano. Se il trionfo fa pensare ad un

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 79

106 Sull’attività dei quali secondo la tradizione pomponiana dell’Enchiridion, siv., oltre al lungo esordio di storia istituzionale nello stesso § 24, anche D. 1.2.2.4.

107 Per l’esistenza del carcere in quest’epoca così antica si può vedere dallaprospettiva di storia delle istituzioni: F. DE MARTINO, Storia della costituzione2 Icit. 92, C. CASCIONE, ‘Tresviri capitales’ cit. 161 s. (e nt. 312 da p. 161, con altra bi-bliografia), da quella archeologica (tra la vasta letteratura): L. RICHARDSON, s.v.«Carcer», in A new topographical dictionary of ancient Rome (London 1992) 71;F. COARELLI, s.v. «Carcer», in Lexicon Topographicum Urbis Romae cur. E. M.STEINBY I (Roma 1993) 236 s. Per quanto attiene alle incarcerazioni di soggetti tito-lari di poteri pubblici nell’esperienza costituzionale della Roma repubblicana, si v.C. CASCIONE, Appunti su ‘prensio’ e ‘vocatio’ nei rapporti tra ‘potestates’ romane, inAu-déla des frontières. Mélanges W. Wołodkiewicz I cit. 161 ss.

108 Interessante come il consensus populi possa costituire, all’inverso, il motivopolitico della liberazione dal carcer; per un’attestazione, relativa alle vicende diManlio Capitolino, si v. De vir. ill. 24.5. … in carcerem coniectus populi consensu li-beratus est.

109 Per il 297 a. C.; richiami bibliografici sulla carriera del personaggio inC. MASI DORIA, ‘Spretum imperium’ cit. 15 s. nt. 4. Il consensus è un segno costantedella sua carriera politica, dal caso di provocatio che lo oppose al dittatore PapirioCursore nel 325, fino all’elezione al quinto consolato nel 295 a. C. (Liv. 10.22.2).

110 A. PETRUCCI, Il trionfo nella storia costituzionale romana cit. 136 e nt. 157,sostiene (con cautela) che il riferimento all’«intera civitas» potrebbe indicare il«doppio voto del senato e della plebe», cfr. anche 135 e nt. 152.

voto, il ruolo svolto dal consenso nella descrizione per comeepitomata ha valore a livello politico, non formale.

Per quanto riguarda il senato bisogna prendere in consi-derazione le due locuzioni consensus patrum e consensus sena-tus 111. Mi sembra che non si possa inferire una determinantedifferenza costituzionale tra le due varianti 112. La prima, co-munque, ha – a quanto pare – una particolarità d’uso: viene in-

80 CAPITOLO SECONDO

111 Insieme, naturalmente, con quelle in cui il senato è soggetto e consentirepredicato che ne mostra un’attività.

112 Come si fa di solito per auctoritas senatus, che – soprattutto sulla base diCic. ad fam. 8.8.5 ss.=FIRA. I2 nr. 37 (p. 266 ss.): si tratta d’una lettera a Ciceronedi Celio Rufo, cfr. A. CAVARZERE, in Marco Celio Rufo, Lettere (Cic. ‘fam.’ l. VIII)(Brescia 1983): testo (con trad. it.) a p. 132 ss., commento a p. 326 ss. – si distinguedall’auctoritas patrum (deliberazione della parte patrizia del senato), per essere con-siderata un senatoconsulto inefficace (nell’Urbe, ma non al di fuori di essa se unmagistrato avesse provveduto) a causa di intercessione tribunizia: P. WILLEMS, LeSénat de la République Romaine: sa composition et ses attributions II. Les attribu-tions du Sénat. Registres II (Louvain 1883, rist. Aalen 1968) 222 s., F. DE MARTINO,Storia della costituzione2 II cit. 152, J. HELLEGOUARC’H, Le vocabulaire cit. 311 s.,L. AMIRANTE, s.v. «Auctoritas», in NNDI. I/2 (Torino 1958) 1536 s., G. MANCUSO,‘Senatus auctoritas’. Sulla denominazione del senatoconsulto inefficace, in Labeo 27(1981) 12 ss., A. MAGDELAIN, De l’‘auctoritas patrum’ à l’‘auctoritas senatus’, inIura 33 (1982) 25 ss. (su cui A. GUARINO, ‘Novissima de patrum auctoritate’, inBIDR. 91 [1988] 143 nt. 117=PDR. III [Napoli 1994] 234 nt. 117), V. MANNINO,L’‘auctoritas patrum’ (Milano 1979) 122 ss.; ID., Ancora sugli effetti della ‘lex Publi-lia Philonis de patrum auctoritate’ e della ‘lex Maenia’, in Iura 45 (1994) 94 ss. (conaltra letteratura), spec. 123; sul punto cfr. anche C. CASCIONE, ‘Tresviri capitales’cit. 101 e nt. 61; H. SIBER, ‘Auctoritas patrum’ und ‘auctoritas senatus’, in FestschriftG. Boehmer (München 1952) 22 ss. (con prudenza sulle fonti, non sempre precise,orientandosi verso una differenziazione post-ovinia), ID., Römisches Verfassungsre-cht in geschichtlicher Entwicklung (Lahr 1952) 107 s. Per l’opinione di A. BISCARDI,che si sostanzia a questo proposito nell’assunto secondo il quale l’auctoritas patrumdiviene con il tempo («impropriamente») sinonimo di auctoritas senatus, con riferi-mento al ruolo costituzionale che il senato nel suo complesso viene ad assumere,cfr. ‘Auctoritas patrum’. Problemi di storia del diritto pubblico romano (rist. conpremessa e nota di aggiornamento dell’a., Napoli 1987) 70 s., 106 ss., 235 [i primidue luoghi si trovano pubblicati originariamente, sotto il titolo ‘Auctoritas patrum’,in BIDR. 48 (1941) 463 ss., 498 ss.]. Sul rapporto tra le regole procedurali relativealla patrum auctoritas e quelle proprie del senatoconsulto si v. TH. MOMMSEN, Rö-misches Staatsrecht III/2 cit. 905 s., 1040 s., con le osservazioni critiche di A. OR-MANNI, Il «regolamento interno» cit. 117 s. e nt. 303.

fatti utilizzata di frequente a proposito dell’attribuzione deltrionfo ad un comandante militare 113 (come si era già notato inconnessione con la terminologia significante la comunità citta-dina), ma ricorre anche in altri contesti 114. Consensus nel (odel) senatus può evidenziare l’assenso ad una opinione iviespressa, o ad un senatusconsultum 115, ma anche la tendenzapolitica prevalente nell’assemblea senatoria 116. Vi sono dei casiin cui sembra emergere una certa formalizzazione, ma po-trebbe trattarsi di una variazione stilistica per indicare un attodel senato 117.

Non mancano testimonianze nelle quali il consenso del se-

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 81

113 Liv. 6.42.8 (367 a. C., attribuzione a M. Furio Camillo, dittatore per laquinta volta, sui Galli; specificazione: patrum plebisque, menzione del decreto; cfr.Appian. Celt. 1), A. PETRUCCI, Il trionfo nella storia costituzionale romana cit. 44,5 nt. 11; Liv. 31.20.6 (206 a. C., il consensus patrum sulla ovatio per L. CornelioLentulo, reduce dalla Spagna, vince le resistenze di un tribuno della plebe), A. PE-TRUCCI, o.u.c. 93 s.; Liv. 37.46.2 (190 a. C., magno consensu viene decretato iltrionfo ad Acilio Glabrione ex Aetolis, mentre viene negato a Minucio Termo ex Li-guribus), A. PETRUCCI, o.u.c. 4 nt. 8, 106 ss.; Liv. 37.58.3 (189 a. C., trionfo navaletributato a L. Emilio Regillo, qualificazione del consenso come magnus, menzionedella datio da parte del senato e del decreto; cfr. anche Liv. 40.52.4-7), A. PETRUCCI,o.u.c. 107 e nt. 74; Liv. 39.42.2 (184 a. C., in favore dei pretori della Spagna C. Cal-purnio Pisone e L. Quinzio Crispino, qualificazione del consenso come magnus,menzione del decreto), A. PETRUCCI, o.u.c. 118. Un caso particolare è rappresentatoda Liv. 3.63.8 (riferibile al 449 a. C., secondo la datazione convenzionale), in cui ilconsenso «patrum» è in senso contrario al conferimento del trionfo ai consoli Vale-rio e Orazio, che verrà ottenuto, per la prima volta secondo la tradizione, sine auc-toritate senatus populi iussu (Liv. 3.63.11), cfr. A. PETRUCCI, o.u.c. 34 ss., spec. 35, 5nt. 11, 42 nt. 87 (che tiene contemporaneamente presente anche la prospettiva diDion. Hal. 11.49.3-5).

114 Liv. 3.64.2, 4.14.3, 5.29.6, 7.13.8, 42.21.4.115 Cfr. J. HELLEGOUARC’H, Le vocabulaire cit. 124 e nt. 7 (con indicazione

delle fonti, adde, significativo, Liv. 23.13.7.).116 Come in Val. Max. 4.7.1. Satis, immo etiam nimium: totius namque senatus

consensu damnatos eius mores defendere ausus est. Si tratta della relazione dell’in-terrogatorio svolto da Lelio nei confronti di Caio Blossio Cumano, amico di Tibe-rio Gracco: l’espressione indica la posizione politica della maggioranza senatoriacon riguardo alla repressione antigraccana.

117 Cfr. Liv. Per. 84. Idem Carbo cum ab omnibus Italiae oppidis coloniisqueobsides exigere vellet, ut fidem eorum contra Syllam obligaret, consensu senatusprohibitus est.

nato e quello del popolo concorrono 118. Ed è attestato il con-sensus comune (l’accezione è qui naturalmente tipicamente po-litica, per la incapacità di rivestirlo di determinate forme giuri-diche) di senato ed ordine equestre 119, ovvero anche di senato,cavalieri e «plebe» 120. Sia la formalizzazione del consensus chela concorrenza nel consentire degli ordines (e del popolo, edella plebe) avranno un ruolo più definito nell’esperienza co-stituzionale del principato, come si vedrà 121.

È tra la fine della repubblica e la costituzione del princi-pato augusteo, dunque, che il concetto significato dal verboconsentire (ed ora anche dai derivati consensus e consensio),nella sua accezione politico-costituzionale, sperimenta un rile-vante ampliamento di significato ed acquista significazioni par-ticolari 122. Dopo aver considerato le scarne (sia pur non irrile-vanti) attestazioni precedenti ed aver descritto i relativi conte-sti storico-giuridici, bisogna concentrarsi su tale periodo, conparticolare attenzione (al di là dell’importante uso che servealla descrizione storica o comunque retrospettiva) a quelle te-stimonianze che riferiscono un nesso di contemporaneità trascrittore e fatto rappresentato.

3. «Consensus universorum». – Durante la crisi della re-pubblica è proprio con il metro del consensus (non potendo-sene evidentemente avere uno più incisivo dal punto di vista

82 CAPITOLO SECONDO

118 Ad esempio: Liv. 10.24.10; Val. Max. 4.1.13 (in questo caso le litterae sena-torie che trasmettono a Metello Numidico la deliberazione relativa alla fine del suoesilio, nel 49 a. C., in cui era espresso il maximus senatus et populi consensus, se lanarrazione di Valerio Massimo fosse attendibile, potrebbero rappresentare un’anti-cipazione di quella tendenza senatoria ad interpretare la volontà del popolo, su cuiinfra 102 ss.). Senato e plebe: Liv. 6.42.8 (cfr. supra in questo paragrafo).

119 Liv. Per. 63 (il valore del testo, relativo alla legislazione di Caio Gracco, èstrettamente politico).

120 Liv. 26.36.12.121 Cfr. infra 86 ss.122 Per questo periodo anche per il sostantivo il termine viene analizzato senza

più il rischio di anacronismo, cui si è accennato supra 61.

del diritto pubblico 123) che si misura la fedeltà delle province aquesto o a quel capoparte 124. Ne è testimone, anche al di là deisuoi tentativi di sistemazione teorica, soprattutto Cicerone: ilconsenso della Gallia, in particolar modo (e il dato non è cer-tamente casuale) torna ripetutamente nelle orazioni Filippichecontro Marco Antonio 125. Ed ancora all’Arpinate si deve l’uti-lizzazione di consensus (e consensio) Italiae per indicare l’ap-provazione dei cittadini residenti in Italia rispetto, per cosìdire, ad un oggetto politico 126.

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 83

123 Sulla partecipazione politica del cittadino nella Roma repubblicana, si ve-dano le belle pagine di G. BRANCA, Democrazia politica e repubblica romana, inConferenze romanistiche Univ. Trieste [1958] (Milano 1960) 199 ss., con il com-mento adesivo di L. LABRUNA, Algunas reflexiones sobre la reciente historiografíajurídica referente a la llamada ‘democracia’ de los Romanos, in Ars boni et aequi.Festschrift für W. Waldstein zum 65. Geburtstag hrsg. von M. J. SCHERMAIER, Z.VÉGH (Stuttgart 1993) 203 ss., spec. 208 ss. [=in versione italiana: Qualche rifles-sione sulla recente storiografia giuridica relativa alla cd. democrazia dei Romani, in‘Civitas quae est constitutio populi’ cit. 93 ss., spec. 104 ss.]. Da una prospettiva inparte diversa cfr. CL. NICOLET, Il mestiere di cittadino nell’antica Roma (trad. it.Roma 1982) spec. 264 ss.

124 Si v. infra 85 s., per l’incidenza politica del consenso provinciale nell’ascesadi Ottaviano.

125 Rilevanti: per la menzione delle comunità cittadine, Phil. 3.5.13. Tantus au-tem est consensus municipiorum coloniarumque provinciae Galliae ut omnes ad auc-toritatem huius ordinis maiestatemque populi Romani defendendam conspirassevideantur; per il testo della proposta ciceroniana di senatoconsulto, 5.13.35-36.Quam ob rem his verbis, patres conscripti, senatus consultum faciendum censeo[r]:‘cum D. Brutus imperator, 36. consul designatus, provinciam Galliam in senatuspopulique Romani potestate teneat, cumque exercitum tantum tam brevi temporesummo studio municipiorum coloniarumque provinciae Galliae, optime de re pu-blica meritae merentisque, conscripserit, compararit, id eum recte et ordine exque republica fecisse, idque D. Bruti praestantissimum meritum in rem publicam senatuipopuloque Romano gratum esse et fore: itaque senatum populumque Romanum exi-stimare, D. Bruti imperatoris, consulis designati, opera, consilio, virtute incredibili-que studio et consensu provinciae Galliae rei publicae difficillimo tempore esse sub-ventum’. In Cic. pro Font. 7.16, la menzione della Gallorum consensio si riferisce al-l’accordo dei provinciali (i Galli Allobrogi, in particolare) per l’accusa de repetundiscontro Marco Fonteio, che era stato governatore della Transalpina probabilmentetra il 74 ed il 72 a. C. (cfr. T. R. S. BROUGHTON, The Magistrates of the Roman Re-public II cit. 117); si tratta dunque di uno di quei casi in cui la sfumatura di signifi-cato appare negativa (cfr. supra 13 nt. 35).

126 Post red. ad Quir. 1.1. … hoc si animo in vos liberosque vestros fuissem, utaliquando vos patresque conscriptos Italiamque universam memoria mei misericor-

Le provinciae 127 (Gallia, Spagne, Sicilia, Sardegna, Africasono peraltro quelle espresamente richiamate nelle Res gestaedivi Augusti, al capitolo 25, in ordine alla coniuratio del 32a. C. a favore di Ottaviano) e l’Italia, si sa, saranno la base (oc-cidentale, contrapposta al mondo orientale, che nella fase fi-nale della lotta civile appoggia Antonio) del potere di Augusto.Il futuro principe ottiene legittimazione (ovvero la proclama)

84 CAPITOLO SECONDO

diaque <ac> desiderium teneret, eius devotionis me esse convictum iudicio deorumimmortalium, testimonio senatus, consensu Italiae, confessione inimicorum, beneficiodivino immortalique vestro maxime laetor; 8.18. En ego <tot> testimoniis, Quirites,hac auctoritate senatus, tanta consensione Italiae, tanto studio bonorum omnium,[cum] agente P. Lentulo, consentientibus ceteris magistratibus, deprecante Cn. Pom-peio, omnibus hominibus faventibus, dis denique immortalibus frugum ubertate, co-pia, vilitate reditum meum comprobantibus [se] mihi, meis, rei publicae restitutustantum vobis quantum facere possum, Quirites, pollicebor …(il testo è particolar-mente interessante per la serie auctoritas, consensio, studium, ed anche per l’indica-zione del consenso degli «altri magistrati»); ad fam. 12.5.3; Phil. 7.7.20. Eos consu-les habemus, eam populi Romani alacritatem, eum consensum Italiae, eos duces, eosexercitus, ut nullam calamitatem res publica accipere possit sine culpa senatus; Ep. adAtt. 1.14.4. Cfr. già, in riferimento all’attività politica di Livio Druso (cfr. infra 86nt. 131), Flor. 1.2. Postremo Livius Drusus non tribunatus modo viribus, sed ipsiusetiam senatus auctoritate totiusque Italiae consensu easdem leges adserere conatusdum aliud captat ex alio, tantum conflavit incendium ut nec primam illius flammamposset sustinere et subita morte correptus hereditarium in posteros suos bellum pro-pagaret; e poi Tac. hist. 3.34.2. Antonius pudore flagitii, crebrescente invidia, edixitne quis Cremonensem captivum detineret; inritamque praedam militibus effeceratconsensus Italiae, emptionem talium mancipiorum aspernantis: occidi coepere; quodubi enotuit, a propinquis adfinibusque occulte redemptabantur; ann. 1.34.4. Italiaeinde consensum, Galliarum fidem extollit; nil usquam turbidum aut discors. Sulsenso ideologico-politico di Italia a partire da Varrone cfr. S. GÉLY, Le pouvoir etl’autorité cit. spec. 99 ss.; per gli aspetti giuridici importanti (a quel tempo innova-tive) riflessioni si trovano in P. CATALANO, Appunti sopra il più antico concetto giu-ridico d’Italia, in AAsc. Torino 96 (1961-1962) 1 ss., in cui si pone in rilievo la risa-lenza (fino al III secolo a. C.) dei nomi Italia e Italici come concetti rilevanti per ilius (in particolare divinum); cfr. anche ID., Aspetti spaziali del sistema giuridico-re-ligioso romano. ‘Mundus’, ‘templum’, ‘urbs’, ‘ager’, Latium’, ‘Italia’, in ANRW. II/16(Berlin-New York 1978) 440 ss., spec. 525 ss. (con la nt. 1 a p. 525 s., ove è spiegatoil rapporto di questa parte del contributo con l’appena citato saggio del 1961, oltrea fornire un sostanzioso ragguaglio bibliografico sulla recezione del «concetto giu-ridico» nella storiografia). Sull’importanza dell’Italia nelle lotte civili che condu-cono alla fine della res publica si v. P. A. BRUNT, La caduta della Repubblica romana(Roma-Bari 1990) 157 s. (nt. I); C. NOVIELLI, La retorica del consenso cit. 194.

127 Se ne ha un’eco ancora in una lettera di Traiano a Plinio 10.101.

dapprima attraverso quella sorta di plebiscito «organizzato informe diverse da quelle sancite per la manifestazione del con-senso popolare 128 ad una proposta magistratuale» 129, la coniu-ratio Italiae et provinciarum, un giuramento, rilevante sulpiano costituzionale più dal punto di vista politico (bisognaancora sottolinearlo) che da quello strettamente istituzionale,di fedeltà 130. In esso sono impegnate proprio queste entità geo-grafiche (che hanno però anche una precisa connotazione giu-

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 85

128 Inteso in senso comiziale, con rogatio del magistrato e voto dell’assemblea(si v. anche subito infra nel testo trascritto) [C. C.].

129 Così F. DE MARTINO, Storia della costituzione romana2 IV/1 (Napoli 1974)108.

130 Res gestae 25.2. Iuravit in mea verba tota Italia sponte sua et me belli, quovici ad Actium, ducem depoposcit. Iuraverunt in eadem verba provinciae Galliae,Hispaniae, Africa, Sicilia, Sardinia. Qui sub signis meis tum militaverint, fuerunt se-natores plures quam DCC (sul giuramento si v. D. KIENAST, Augustus3 cit. spec. 68s., che però lo identifica con il consensus universorum; F. DE MARTINO, Storia dellacostituzione2 IV/1 cit. 108 s., su cui infra in questa nota; P. HERRMANN, Der römi-sche Kaisereid. Untersuchungen zu seiner Herkunft und Entwicklung [Göttingen1968] 78 ss.). In generale sull’attendibilità dell’autobiografia di Augusto come fonte(sia pure «atecnica») per la storia istituzionale dell’ascesa di Ottaviano, si v. A.GUARINO, Gli aspetti giuridici del principato, in ANRW. II/13 (Berlin-New York1980) 27 ss. [=PDR. III (Napoli 1994) 492 ss., con il titolo Gli aspetti costituzionalidel principato]; per lo studioso napoletano la iuratio fu base del «prepotere» di Ot-taviano «del tutto extracostituzionale»: 30 [=PDR. III cit. 496]. Sul giuramento difedeltà al principe si v. anche A. PASSERINI, s.v. «Iusiurandum», in DE. IV (Roma1941) 280 ss. Interpreta la coniuratio nell’ambito della sua teoria del ductus-comi-tatus P. DE FRANCISCI, Arcana imperii III/1 (Roma 1947) spec. 221 ss., il quale,riferendosi a K. LATTE, Zwei Excurse zum römischen Staatsrecht I. Lex curiataund coniuratio, in NGWG. Phil.-hist. Kl. Fachgr. I N.F. 1/3 (1934) 59 ss. [=KleineSchriften zu Religion, Recht, Literatur und Sprache der Griechen und Römer(München 1968) 341 ss.], rappresenta il fatto come un ricorso di Ottaviano a formeprimitive di organizzazione militare. Per un recente dotto, ampio inquadramentostoriografico sulle ‘Gefolgschaften’ (non solo d’ambiente romano) si v. R. FIORI,‘Sodales’, «Gefolgschaften» e diritto di associazione in Roma arcaica (VIII-V sec. a.C.), in ‘Societas’ – ‘ius’. ‘Munuscula’ di allievi a F. Serrao (Napoli 1999) spec. 104 ss.(con vasti rinvii bibliografici alle ntt. 17 ss.). Per una giusta differenziazione dellaconiuratio dal giuramento dei soldati in verba ducis, si v. F. DE MARTINO, Storiadella costituzione2 IV/1 cit. 108 s. Afferma il carattere militare del giuramento, malo considera come strumento per la ratifica degli atti posti in essere da Ottaviano inassenza dei poteri triumvirali (ed anche come conferimento di «un incarico nuovo»)G. NOCERA, Aspetti teorici della costituzione repubblicana romana, in RISG. 15(1940) 196, 202.

ridica) dell’impero romano. Mi sembra che proprio su questaconiuratio 131 si costruisca il consensus universorum 132, che rap-

86 CAPITOLO SECONDO

131 M. A. LEVI, Augusto e il suo tempo (Milano 1986) 243 nt. 117, costruisce uninteressante rapporto tra la posizione politica di M. Livio Druso (de vir. ill. 66, Vell.2.15, Flor. 2.6), che fu prodromo del bellum sociale, la teoresi ciceroniana e poi l’a-zione di Ottaviano, che richiede ed ottiene i vota (Res gestae 5.25, Suet. div. Aug.17.2, Cass. Dio 50.6, Plut. Ant. 56, 61, Prop. 4.6.23-24): «quando Cicerone parla diconsensus Italiae e di concordia ordinum si rifà alle ideologie dell’azione politica deltribuno Druso, e molte delle idee e della propaganda del regime augusteo trovanoqui la loro radice, non solo concettuale, ma anche sociale, perché si rivolgono aglistessi ambienti di notabili e di medio ceto municipale dell’Italia centro-meridionalenel quale avevano avuto origine la guerra sociale e la guerra perugina, per non par-lare di altri movimenti armati come quelli di Spartaco, di Cinna e di Catilina». Cfr.già K. ZAKRZEWSKI, Quelques remarques sur les révolutions romaines, in Eos 32(1929) 79 s., e poi anche F. GUIZZI, Il principato cit. 71 nt. 47; M. VOLPONI, Losfondo italico della lotta triumvirale (Genova 1975) 155 e nt. 4 (con altra bibliogra-fia). Per il giuramento a favore di Druso: P. HERRMANN, Der römische Kaisereid cit.55 ss. Sul punto si deve ricordare una nota pagina di R. SYME, La rivoluzione ro-mana cit. 286: «Durante la crisi costituzionale del 32 d. C. [sic!], i consoli e la par-venza della legalità stavano dalla parte di Antonio. Assurdità questa che rivelava l’i-nadeguatezza della costituzione romana, se essa era strumento del nemico di Roma.Perciò Ottaviano, come aveva fatto dieci anni prima Cicerone giustificando elo-quentemente un’impresa di tipo catilinario e il tradimento armato contro un con-sole, poté invocare la scusa di una ‘legalità superiore’. Contro gli organi degeneri diuna costituzione ormai troppo ristretta e inadeguata, fece appello alla voce e al sen-timento del vero Popolo Romano, che non era rappresentato dalla plebe corrotta odall’affollato, e screditato, Senato dell’Urbe, bensì dall’Italia tutta. L’espressione eragià familiare alla storia recente, anche se il concetto e il sistema risalivano ancora piùindietro … Si poteva chiedere aiuto all’Italia per la rivoluzione, per la reazione, perla dominazione, o anche per tutte e tre le cose ad un tempo». E qui lo storico ri-corda il giuramento in favore di Druso (cfr. Diod. 37.11, la cui formulazione, però,non appare genuina: H. J. ROSE, Harv. Th. Rev. 30 [1937] 165 ss.), ed i pubblici votidelle città d’Italia per la sua incolumità. Sulla politica del personaggio della genteLivia (in particolare sulla sua contrastata legislazione tribunizia) si v., di recente, l’a-nalisi di F. REDUZZI MEROLA, ‘Iudicium de iure legum’. Senato e legge nella tardarepubblica (Napoli 2001) 43 ss.; ancora suggestive le riflessioni di G. GROSSO, Ri-flessioni su Tacito, ‘Ann.’ 3.27, su Livio Druso padre e figlio e sul tribunato dellaplebe, in Index 3 (1972) 263 ss. [=Scritti storico-giuridici I. Storia diritto società (To-rino 2000) 930 ss.], da leggere insieme con il saggio Sul tribunato della plebe, in La-beo 20 (1974) 7 ss. [=Index 7 (1977) 157 ss., con il titolo Appunti sulla valutazionedel tribunato della plebe nella tradizione storiografica conservatrice= Scritti storico-giuridici I cit. 968 ss.].

132 Non però nel senso della sovrapposizione dei due momenti (il secondo deiquali, il consensus, diventerebbe descrittivo del risultato politico del giuramento),come volevano ad esempio TH. MOMMSEN, Römisches Staatsrecht I3 cit. 696, II3 cit.

presenta un ulteriore passo fondamentale per l’ascesa al poteredi Ottaviano e per la costituzione del principato 133:

Res gestae 34. In consulátú sexto et septimo, p[o]stquamb[ella] [civ]ilia exstinxeram, / per consénsum úniversórum[potitus rerum omn]ium, rem publicam || ex meá potestáte[§] in senátus populique Romani arbitrium transtulí 134.

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 87

844; E. KORNEMANN, Zum Streit um die Entstehung des Monumentum Ancyra-num, in Klio (1905) 327; W. KOLBE, Der zweite Triumvirat, in Hermes 49 (1914)286; G. NOCERA, Aspetti teorici della costituzione repubblicana cit. 196; A. VON

PREMERSTEIN, Vom Werden und Wesen des Prinzipats (München 1937) 43, 63 s.(di cui è nota la prospettiva sociologizzante); E. STAEDLER, Das römisch-rechtlicheElement in den augustischen Regesten, in ZSS. 62 (1942) 107; poi anche U. VON

LÜBTOW, Das römische Volk. Sein Staat und sein Recht (Frankfurt a. M. 1955) 361s., 363 e nt. 1441, 365 e nt. 1441b (bisogna a questo punto ricordare come tutta laricerca costituzionale di Ulrich von Lübtow – e le pagine sul principato augusteo necostituiscono, tra le altre, palese attestazione – sia stata profondamente influenzatadalla lettura schmittiana delle «categorie» della ‘legalità’ e della ‘legittimità’, sullequali si v., in primo luogo, C. SCHMITT, Legalität und Legitimität [Berlin-Leipzig1932]=Verfassungsrechtliche Aufsätze [Berlin 1958] 263 ss.=trad. it. [ma solo del-l’Introduzione e del Primo Capitolo] in Le categorie del ‘politico’. Saggi di Teoriapolitica a c. di G. MIGLIO, P. SCHIERA [Bologna 1986] 211 ss.), che mette in evidenzacome il problema non sia disgiunto da quello della interpunzione di Res gestae 34,e dunque della datazione del consensus (sul punto si v. infra nel testo).

133 Per A. GUARINO, Gli aspetti giuridici cit. 30 [=PDR. III cit. 496], Augusto,rammentando la coniuratio, «trasfigura il valore di questo episodio … in un consen-sus universorum che avrebbe sostenuto, in termini di ‘Realpolitik’, il suo potirirerum omnium»; cfr. anche ID., Res gestae2 cit. 44 (ove una assoluta parificazione diconiuratio e consensus). Sullo stesso piano, mi sembra, anche il ragionamento diE. BETTI, La crisi della repubblica cit. spec. 521.

134 Il testo è quello dell’edizione paraviana di E. MALCOVATI, in ImperatorisCaesaris Augusti Operum fragmenta5 cit. 144. In carattere normale le lettere che sileggono nel Monumentum Ancyranum; in grassetto quelle dell’Antiochenum; inparentesi quadre le integrazioni dell’Ancyranum (in grassetto le lettere leggibilinell’Antiochenum; il simbolo [§] indica uno spazio vuoto che serve da interpun-zione; l’apice indica la vocale lunga. Di seguito il testo greco (dell’Ancyranum): ΔEnuJpateivai e[kthi kai; eJbdovmhi meta; to; tou;ı ejnfu⁄livouı zbevsai me polevmouı ªkºata; ta;ıeujca;ı twn ej⁄mwn poleªiºtwn ejnkrath;ı genovmenoı pavntwn twn ⁄ ⁄ pragmavtwn, ejk thıejmhı ejxousivaı eijı th;n sun⁄klhvtou kai; tou dhvmou twn ÔRwmaivwn methvnegka ⁄ kurih-van. Subito si può notare lo scarto con il testo latino, se s’intendono le eujcai; comevota, il che è trasposizione nel diverso contesto spirituale greco-orientale più chesemplice versione (mentre il riferimento ai «miei concittadini» si mantiene su un li-vello costituzionale). Sulla versione greca delle Res gestae (di cui un punto specifico,

Secondo Serrao 135, Augusto adopera nella costruzione delsuo potere sia concetti e lemmi che «derivano dal laboratoriopolitico-costituzionale repubblicano», sia concezioni nuove«anche nei termini con cui sono espresse, pur se trovanospunti e precedenti nella storia e nella pubblicistica della tardarepubblica». Tra questi ultimi il riferimento, politico, all’Italia,il giuramento dell’Italia stessa e delle provincie prima dellabattaglia di Azio, «nonché il consensus universorum in virtùdel quale Augusto si impossessò di tutti i poteri dopo Azio ela fine delle guerre civili». Ma si tratterebbe di concetti e ter-minologia con cui egli indica solo «fasi straordinarie e transi-torie della sua ascesa», perché ben presto si sforzerà «di nonturbare l’immagine di fedeltà alla tradizione repubblicana e ilnuovo viene prospettato rientrando, in quanto a terminologiae apparenza, nell’alveo del diritto pubblico repubblicano». Perdelibare tale questione, che appare centrale per la costituzionedel principato augusteo, bisogna volgersi all’analisi del passoappena trascritto.

Un primo problema ai nostri fini rilevante, che emerge daquesto testo notissimo, è costituito dall’interpunzione da ap-porvi. Non si tratta di un dettaglio: ne può derivare la cro-nologia dell’ascesa di Ottaviano 136. Mommsen 137 (che consi-

88 CAPITOLO SECONDO

quello relativo al consensus, si discuterà infra in questo paragrafo, con bibliografia)si v. A. P. M. MEUWESE, De rerum gestarum divi Augusti versione graeca (Busco-duci 1920); ID., De versione graeca Monumenti Ancyrani quaestiones, in Mnemo-syne 54 (1926) 224 ss.; P. REGARD, La version grecque du Monument d’Ancyre, inREA. 26 (1924) 147 ss.; N. FESTA, Animadversiones ad versionem graecam, in ActaDivi Augusti ed. S. RICCOBONO (Roma 1945) 66 ss.; G. VANNOTTI, Il testo grecodelle ‘res gestae divi Augusti’, in Giorn. it. filol. 27 (1975) 306 ss.; D. N. WIGTIL,The Translator of the Greek ‘res gestae’ of Augustus, in AJPh. 103 (1982) 189 ss.;ID., The Ideology of the Greek ‘res gestae’, in ANRW. II/30.1 (Berlin-New York1982) 624 ss. (altra bibliografia in nt. 2 a p. 625 e nell’addendum a p. 638).

135 Il modello di costituzione cit. 45.136 L’interpretazione e la datazione del consensus hanno provocato, secondo

l’espressione di P. WALLMANN, ‘Triumviri Rei Publicae Constituendae’. Untersu-chungen zur Politischen Propaganda im Zweiten Triumvirat (43-30 v. Chr.) (Frank-furt a. M.-Bern-New York-Paris 1989) 313, una «heftige Kontroverse» (ibid. in nt.97 una selezione bibliografica sul problema).

137 Res gestae divi Augusti2 (Berlin 1883) 144; cfr. ID., Römisches Staatsrecht I3

derava corrispondenti il iurare in mea verba del capitolo 25ed il consensus del 34) aveva collegato per consensum universo-rum con exstinxeram, interpretando dunque nel senso cheprima di Azio Ottaviano aveva ottenuto il consenso, permezzo del quale aveva vinto la guerra civile; dunque aveva re-stituito la res publica 138. A partire da un importante lavoro diBerve 139 (considerando il consenso in maniera meramente fat-tuale 140), invece, tra exstinxeram e la menzione del consensusdagli editori si è posta una virgola, che slega il favore univer-sale nei confronti del personaggio che scrive l’autobiografiadall’estinzione dei bella civilia, mettendolo piuttosto in comu-nicazione politica con la (tormentata 141) frase successiva, che

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 89

cit. 696 e nt. 3: l’angolo visuale è quello del «Nothstandscommando», l’interpreta-zione del testo augusteo suona: «durch den einmüthigen Willen aller Bürger zurLeitung des Staates berufen».

138 Sulla «deliberata rinuncia» al potere ottenuto («sia pure formalmente») at-traverso il consensus universorum si v. G. PUGLIESE CARRATELLI, ‘Auctoritas Augu-sti’, in PdP. 4 (1949) 38 [=Scritti sul mondo antico. Europa e Asia - Espansione colo-niale - Ideologie e istituzioni politiche e religiose (Napoli 1976) 441].

139 H. BERVE, Zum ‘Monumentum Ancyranum’, in Hermes 71 (1936) 241 ss.[=W. SCHMITTHENNER (hg.), Augustus (Darmstadt 1969) 100 ss.]; cfr. anche H. U.INSTINSKY, ‘Consensus universorum’ cit. 265; A. WITTENBURG, ‘Consensus univer-sorum’ cit. 42 s.

140 Sul punto si v. le diffuse critiche di E. STAEDLER, Das römisch-rechtlicheElement cit. 94 ss. (con ulteriori riferimenti bibliografici in nt. 32 a p. 95), che defi-nisce l’interpretazione di Berve come «farblos» (a p. 96).

141 Se è certa la menzione della presa del potere, non lo è altrettanto, in pre-senza di una lacuna (come si può vedere dalla trascrizione), l’espressione linguisticautilizzata da Augusto per descrivere questo snodo centrale della storia politica dellasua ascesa. L’interpretazione compos al posto di potitus, proposta da E. SCHÖN-BAUER, Die ‘res gestae Divi Augusti’ cit. 45, induce una formulazione più misurata;all’opposto, mi pare, il potens di D. KRÖMER, Textkritisches zu Augustus und Tibe-rius, in ZPE. 28 (1978) 127 ss. (cfr. E. S. RAMAGE, The nature and purpose cit. 155).Di potitus dà un’interpretazione avversativa (poco seguita in storiografia, ma v. A.WITTENBURG, ‘Consensus universorum’ cit. 43 nt. 7) M. HAMMOND, The AugustanPrincipate (Cambridge Mass. 1933) 20 (dunque Ottaviano avrebbe ‘restituito’ la re-pubblica «nonostante» il suo potere). Per quest’ultimo termine, che è quello gene-ralmente accolto da filologi e storici, sulla scorta dell’argomentazione convincentedi E. ADCOCK, The Interpretation of res gestae Divi Augusti 34,1, in CQ. 45 (1951)130 ss., e dell’interpretazione strettamente politica fornita da W. SEYFARTH, ‘Potitusrerum omnium’, in Philologus 101 (1957) 305 ss., si v. ora W. TURPIN, ‘Res gestae’

narra della sostanziale acquisizione del potere assoluto. Comesi può ben capire, quello dell’interpunzione diventa anche ilproblema della datazione 142 . «Curioso e notevole» secondo

90 CAPITOLO SECONDO

34.1 and the Settlement of 27 B.C., in Class. Quart. 44 (1994) 434 s.; cfr. E. S. RA-MAGE, The nature and purpose cit. 155.

142 Sul controverso problema della datazione del consensus universorum tribu-tato ad Ottaviano si v. TH. MOMMSEN, Römisches Staatsrecht I3 cit. 696 s. (e cfr. II3

cit. 745 nt. 1); H. BERVE, Zum ‘Monumentum Ancyranum’, in Hermes 71 (1936)250; A. VON PREMERSTEIN, Vom Werden und Wesen des Prinzipats cit. 64 IV; F.DE VISSCHER, Les pouvoirs d’Octavien en l’an 32 av. J.C., in Bull. Inst. Hist. Belgede Rome 19 (1938) [=Nouvelles études de droit romain public et privé (Milano1949) 17 s., da cui d’ora in poi cito], reputa il consenso successivo alla battaglia diAzio; U. INSTINSKY, ‘Consensus universorum’, in Hermes 75 (1940) 276; J. LIEGLE,Die Münzprägung Octavians und die augusteische Kunst, in JdI. 56 (1941) 115;W. KOLBE, Vom Werden des Prinzipates, in Klio 36 (1944) 41; E. ADCOCK, The In-terpretation cit. 134. Cass. Dio 50.4.2 riporta un’espressione (ta; aujta; toiı a[lloiıe[legon) attribuita agli «amici più stretti» di Antonio, che K.-E. PETZOLD, Die Be-deutung des Jahres 32 cit. 344 ss. [=Geschichtsdenken und Geschichtsschreibung cit.618 ss.], riconosce come equivalente a homologhein, riproducendo, in tal caso, ilsenso del latino consentire, consensus omnium, consentiebant. Ciò gli fa individuarenell’apertura e pubblica lettura del testamento di Antonio il momento determinanteper il consensus universorum; in questa interpretazione (che mi pare invero un po’debole, da una parte perché l’irregolarità giuridica e la reprensibilità morale diquanto operato da Ottaviano in quell’occasione costituiscono dati di estrema fragi-lità per costruirvi sopra un momento tanto fondamentale da essere trasposto uffi-cialmente nelle res gestae; dall’altra se così fosse il valore del consensus sarebbe me-ramente occasionale ed esclusivamente politico) lo segue P. WALLMANN, TriumviriRei Publicae Constituendae 313 ss. Cfr. anche M. REINHOLD, Augustus’ Conceptionof Himself, in Thought Quarterly 55 (1980) 41 s.; ID. From Republic to Principate.An Historical Commentary on Cassius Dio’s ‘Roman History’, Books 49-52 (36-29B. C.) (Atlanta 1988) 92. Comprende tra gli universi gli «ex nemici» G. G. BEL-LONI, Le ‘res gestae divi Augusti’. Augusto: il nuovo regime e la nuova urbe (Milano1987) 140 (lo studioso sostiene l’assoluta informalità del consensus). Su significatoed ampiezza dell’opposizione alla coniuratio del 32 intesa come «vero preambolo alconsensus universorum» si v. G. SUSINI, ‘Gratia coniurandi’ (Svet., ‘Aug.’, 17,2): aproposito del papiro di Gallo da Qasr Ibrim, in Studi in onore di O. Montevecchi ac. di E. BRESCIANI, G. GERACI, S. PERNIGOTTI, G. SUSINI (Bologna 1981) 393 ss.;per un quadro generale dell’opposizione ad Augusto cfr. K. A. RAAFLAUB, L. J. SA-MONS II, Opposition to Augustus, in Between Republic and Principate cit. 417 ss. (v.anche la più ampia bibliografia citata in F. JACQUES, J. SCHEID, Roma e il suo Im-pero cit. 529 s.); si v. anche M. VOLPONI, Lo sfondo italico cit. 154 s. (pure in riferi-mento a 101 s.), ove a proposito della teorica possibilità di dissentire si ricorda l’e-senzione degli abitanti di Bononia dal giuramento del 32 (Suet. div. Aug. 17.1), mafu una mossa politica e la conseguenza probabilmente furono le espropriazioni di

Gabba 143 il riconoscimento, al capitolo 34, che il consensus uni-versorum, «derivante» dalla coniuratio Italiae et provinciarum,attraverso il quale Ottaviano aveva acquisito il potere asso-luto 144, coinvolgeva anche gli anni del dopo Azio (31-inizi del27 a. C.), quando si programmava ed operava la ‘restituzione’della res publica nell’arbitrium del senato e del popolo ro-mano 145. Il punto è centrale. Si vedrà come il consensus tornaripetutamente a mostrare la sua efficacia in quanto struttura dilegittimazione del principato: per una comprensione non su-perficiale del problema, bisogna provare a distinguere con net-tezza il giuramento del 32 dal consensus universorum. Infatti idue momenti non si possono far coincidere, soprattutto invirtù di una non sovrapponibilità del giuramento (che è attoformale con un determinato spessore giuridico nell’esperienzarepubblicana) con il consensus (che invece non si identifica,fino ad Ottaviano, come si è visto nella trattazione fin quisvolta, in una determinazione popolare o senatoria precisanelle sue forme costituzionali) 146. Ed il consentire nel senso di

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 91

cui scrive Cass. Dio 51.4.6; G. CRESCI MARRONE, Ecumene augustea. Una politicaper il consenso (Roma 1993) 255 ss. (con particolare attenzione alle voci della lette-ratura). Sulle manifestazioni onorifiche nei confronti di Ottaviano nel 30/29 comeconseguenza del consensus universorum si v. D. KIENAST, Augustus3 cit. 78.

143 Rileggendo le ‘res gestae divi Augusti’, in L’incidenza dell’antico. Studi inmemoria di E. Lepore I (Napoli 1995) 226.

144 Meno felice, forse, un’altra sfumatura che lo stesso E. GABBA, L’impero diAugusto cit. 11 s., conferisce al consenso: serviva a «legalizzare il potere detenutodal 32 al 27»; sul punto si v. infra 94 ss.

145 E cioè la rinuncia ai poteri ottenuti proprio attraverso la coniuratio ed ilconsensus universorum, cfr. F. SERRAO, Il modello di costituzione cit. 34, definitiva-mente e completamente (secondo la tradizione autoagiografica delle Res gestae, 34)nelle note sedute del 13 e 16 gennaio del 27.

146 Si v. le convincenti motivazioni di F. DE MARTINO, Storia della costitu-zione2 IV/1 cit. 113 s.: «… il consensus universorum, di cui Augusto parla per il pe-riodo successivo alla fine delle guerre civili, non può identificarsi con la iuratio Ita-liae. Il giuramento è un tipico atto formale e solenne e non è possibile che un uomo,il quale non solo rispettava lo stile tradizionale, ma anzi inclinava ad una certaarcaicità dell’espressione, avrebbe adoperato il termine consensus per sinonimo diiuratio»; lo segue, ad esempio, F. GUIZZI, Il principato cit. 71. Sul punto giusta l’in-tuizione di F. SERRAO, Il modello di costituzione, in A. SCHIAVONE (dir.), Storia di

adesione alla posizione politica di Ottaviano appare assoluta-mente significativo, anche se la proprietà ed il valore di con-sensus nelle Res gestae non sono incontroversi 147. La sfumaturache la terminologia assume nello stesso documento è però unindicatore importante, infatti, non è completamente sovrappo-nibile a quello in questione 148 l’altro luogo delle res gestae incui si usa, declinato al participio presente, il lemma consentire:

Res gestae 6 149. [Consulibus M. Vinicio et Q. Lucretio] etpostea P. Lentulo et Cn. L[entulo et tertium / Paullo FabioMaximo et Q. Tuberone senatu populoq]u[e Romano con-sen/tientibus ut curator legum et morum summa potestatesolus crearer, § || nullum magistratum contra morem maio-rum delatum recepi. § Quae tum per me / geri senatus vo-

92 CAPITOLO SECONDO

Roma II/2 cit. 32: «il giuramento non si identifica col, ma si pone nello stesso or-dine di idee del consensus universorum».

147 Cfr. F. DE MARTINO, Storia della costituzione2 IV/1 cit. 114 ss., con i ne-cessari rinvii alle principali posizioni storiografiche.

148 Anche su questo tema è utile il confronto con l’opinione espressa da F. DE

MARTINO, Storia della costituzione2 IV/1 cit. 114, secondo cui il termine ha il signi-ficato «di esser d’accordo, cioè proprio nel senso comune del termine, come esso ciappare nella terminologia giuridica, in particolar modo a proposito dei contratticonsensuali»; su quest’ultimo punto si v. però le osservazioni svolte infra 161 ss. Aproposito della cura legum et morum, limpidamente, sul rapporto tra la testimo-nianza delle Res gestae relativa al rifiuto dei poteri straordinari ed i dati (in sensocontrario: di «démenti formel» aveva parlato J. GAGÉ, in Res gestae divi Augusti[Paris 1977] 81 in apparato a cap. 6) forniti da Svetonio (Aug. 27.10-11) e CassioDione (54.10.5-7, 54.30.1), si v. T. SPAGNUOLO VIGORITA, ‘Casta domus’. Un semi-nario sulla legislazione matrimoniale augustea2 (Napoli 2002) 5 s. (cfr. già ID., Lenuove leggi. Un seminario sugli inizi dell’attività normativa imperiale [Napoli1992] 28 ss.); naturalmente quanto affermato da Augusto al capitolo 6 delle resgestae sulla rinunzia alle cariche contra morem maiorum è «buchstäblich …wahr» se-condo l’efficace dizione di F. WIEACKER, Zur Verfassungsstruktur des augusteischenPrinzipats, in Im Dienste Deutschlands und des Rechtes. Festschrift W. G. Grewe(Baden-Baden 1981) 649, e dunque falso nella sostanza.

149 Il testo latino dell’Anc. lat. I 37 ss. è restituito soprattutto attraverso il con-fronto con Anc. gr. III 11 ss. (solo per il tratto quae tum … accepi i frammenti deltestimonio antiocheno consentono una ricostruzione autonoma). Nel greco ilpunto che qui maggiormente interessa è thı ªte sunºklhvtou kai; tou ªdhvmouº tw`nÔRwmaiwn oJmologªoºuvntwn. Rilevo in questo caso l’appropriato uso di oJmologevw (cfr.supra 14 nt. 53, infra 125 nt. 258).

luit, per tribuniciam potestatem perfeci, cuius potestatis /conlegam et ipse ultro quinquiens a senatú depoposci etaccepi] /.

Qui non si tratta meramente dell’adesione di senato e po-polo (secondo una formulazione articolata in maniera non sco-nosciuta nell’età repubblicana) ad una direzione politica, madell’offerta, ripetuta (nel 19, 18, 11 a. C.), ad Augusto (inmodo più o meno formale) della cura legum et morum, for-malmente rifiutata (come carica), ma nella sostanza funzioneesercitata, secondo quanto narra lo stesso principe, attraversola potestà tribunizia (e si sottolinea la richiesta del collega,nella tradizione repubblicana) 150. La distonia dei significatideve condurre ad un approfondimento.

Nella prospettiva mommseniana il consenso del capitolo34 (che il grande studioso tedesco faceva proprio coincideresostanzialmente con la congiura del 32 151) si sostituisce ad unaformale deliberazione costituzionale, anche se non si può di-sconoscere il senso propagandistico della manifestazione oc-casionale 152. In tal senso – così mi pare – Hellegouarc’h hacollegato il consensus ottenuto da Augusto (esteso dapprimaall’occidente, e dilatato poi a tutto il mondo romano) conquello che nella città di Roma avevano ottenuto alcuni rile-

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 93

150 Sulla differenza tra carica e funzione in relazione al passo augusteo, è fon-damentale A. GUARINO, ‘Res gestae divi Augusti’. Testo critico, introduzione, tra-duzione e commento2 a c. di L. LABRUNA (Milano 1968) 31 (con rassegna del pre-cedente status quaestionis).

151 Cfr. supra 84 ss.152 Cfr. L. WICKERT, s.v. «Princeps», in PWRE. XXII/2 (Stuttgart 1954) 2264

ss.; L. WENGER, Die Quellen des römischen Rechts (Wien 1953) 903 nt. 29; J. BÉ-RANGER, ‘Principatus’ cit. 153 s.; sul consensus universorum come struttura sta-bile del principato (in primo luogo di quello augusteo, in riferimento al noto passodelle Res gestae divi Augusti citato supra 87): H. U. INSTINSKI, ‘Consensus univer-sorum’ cit. 264 ss.; V. FADINGER, Die Begründung des Prinzipats. Quellenkritischeund staatsrechtliche Untersuchungen zu Cassius Dio und der Parallelüberlieferung(Berlin 1969) spec. 272 ss.; F. GUIZZI, Potere e ‘consenso’ nella costituzione augustea,in J. PARICIO (dir.), Poder político y derecho en la Roma clásica (Madrid 1996) 31 ss.

vanti personaggi politici 153. Ha invece battuto soprattutto sullanatura giuridica della terminologia utilizzata nelle res gestaeErich Staedler 154, che la credeva corrispondente ad uno schemaabbastanza rigido, nella sostanza corrispondente ai risultatimommseniani.

Senza la considerazione della sua precisa natura politico-giuridica, il significato basilare del consensus universorum èstato reputato dagli studiosi alquanto ovvio 155: a seguito della

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153 J. HELLEGOUARC’H, Le vocabulaire cit. spec. 358; i personaggi sono P. Va-lerio Publicola (Liv. 2.16.7), L. Scipione Barbato (CIL. I2 9), Q. Fabio MassimoRulliano (Liv. 10.9.10, in questo caso non v’è esplicita menzione del consensus madella posizione di princeps, Liv. 10.13.12, 10.22.2), Pompeo Magno (Cic. de dom.25.66: … quem omnium iudicio longe principem esse civitatis, pro Planc. 39.93. ...quem omnes in re publica principem esse concedunt, Sen. consol. ad Marc. 20.4. ... in-dubitatus populi Romani princeps). Si potrebbero aggiungere (a partire proprio dal-l’utilizzazione nelle fonti di consensus/consentire) anche Atilio Calatino e Caio Ma-rio (sul consensus relativo ai diversi personaggi citati si v. supra 61 ss.).

154 Das römisch-rechtliche Element cit. spec. 104 ss. (sul ruolo del consensusuniversorum); sottolinea l’importanza del lavoro dello studioso tedesco, malgradola prospettiva critica, E. SCHÖNBAUER, Die ‘res gestae Divi Augusti’ cit. 34 ss. Da ri-levare come Staedler, utilizzi per qualificare il senso di consensus nel diritto pub-blico romano come «Zustimmung des Berechtigen zur Rechtshandlung eines ande-ren» (p. 107 nt. 79), un testo della Compilazione che a me sembra da questo puntodi vista piuttosto neutro (per la provenienza e la stessa struttura linguistica, in cuiauctoritas ha un valore consimile): D. 3.5.25 (Mod. 1 resp.). Cum alicui civitati perfideicommissum restitui iussa esset hereditas, magistratus actores horum bonorumTitium et Seium et Gaium idoneos creaverunt: postmodum hi actores inter se divise-runt administrationem bonorum idque egerunt sine auctoritate et sine consensu ma-gistratuum. Post aliquod tempus testamentum, per quod restitui civitati hereditas fi-deicommissa esset, irritum probatum est pro tribunali atque ita ab intestato Sempro-nius legitimus heres defuncti extitit: sed ex his actoribus unus non solvendo decessitet nemo heres eius extitit. Quaero, si Sempronius conveniet actores horum bonorum,periculum inopis defuncti ad quos pertinet? Herennius Modestinus respondit, quodab uno ex actoribus ob ea quae solus gessit negotiorum gestorum actione servari nonpotest, ad damnum eius cui legitima hereditas quaesita est pertinere. Giudichi il let-tore sulla proprietà della citazione, a me pare esservi un riferimento all’assenza diautorizzazione (espressa o tacita che fosse).

155 In tal senso, esplicitamente, W. TURPIN, ‘Res gestae’ 34.1 cit. 432. In con-nessione con le difficoltà di inquadramento costituzionale dei problemi emergentidal testo delle res gestae si v. P. A. BRUNT, J. M. MOORE, Res gestae Divi Augusti.The achievement of the Divine Augustus with an introduction and commentary(Oxford 1978) 76: «the constitutional puzzle is less important than Augustus’ claim

vittoria nella guerra civile 156, Ottaviano esprime la costata-zione del favore della maggior parte degli abitanti dell’impero;tale favore lo sostiene nel controllo del potere politico, che siavvia a definire (sia pure ambiguamente) tra rinunce formali esostanziale predominanza 157, con la svolta del 28/27 a. C. 158.Ma le parole consensus universorum, come si è accennato, «aremore difficult than they at first appear» 159. L’analisi può par-tire dal secondo membro della locuzione, al fine di individuarel’ampiezza del ‘consenso’ e dunque la base per così dire mate-riale della posizione di potere di quello che si avvia a diventareil princeps. Non credo sia possibile ampliare troppo il signifi-cato di universi: il richiamo a passi ciceroniani riferibili al ge-nere umano 160, nei quali si rinvengono espressioni qualificativecome omnium gentium, totius mundi e nationum omnium, sepuò servire a mostrare l’ampiezza potenziale di un consenso

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 95

to ‘universal consent’. Though ex parte and exaggerated, it may not be far from thetruth». Secondo J. BÉRANGER, ‘Principatus’ cit. 175 ss., il consensus universorum co-stituirebbe un «movimento d’opinione irresistibile», legittimante una «situazioneeccezionale provvisoria» (cfr. anche p. 266), in qualche modo corrispondente allatesi filosofica che fa del consenso uno strumento per garantire la verità (v. supra8 ss.); cfr. la rec. di W. KUNKEL, Beiträge über neuere Arbeiten zur römischen Ver-fassungsgeschichte III in ZSS. 75 (1958) 305 [=Kleine Schriften cit. 501].

156 Seguendo quella corrente storiografica, che collega l’affermarsi del consen-sus al periodo successivo alla battaglia presso Azio (cfr. supra 88 ss.).

157 Sull’ambiguità come motivo dominante della politica augustea, si v., pertutti, T. SPAGNUOLO VIGORITA, Le nuove leggi (Napoli 1992) passim.

158 Amplissima la letteratura sul punto, si rinvia solo a D. KIENAST, Augustus3

cit. 82 ss. (per un’ottica più propriamente giuridica, ma non aliena da altre prospet-tive, si v. F. DE MARTINO, Storia della costituzione2 IV/1 cit. 146 ss.).

159 W. TURPIN, ‘Res gestae’ 34.1 cit. 432. Non si può seguire lo studioso nelprosieguo del suo discorso, quando attribuisce alla locuzione valori attestati nellefonti per il termine consensus accompagnato da vari complementi di specificazione(cfr. a p. 432 le ntt. 22-24), la critica segue nel testo. Per significare la difficoltà de-finitoria relativa al consensus universorum augusteo si cfr. l’acrobazia socio-politicaproposta da uno storico autorevole: «a unanimous decision of the majority of theclasses and groups out of which Roman society was composed», così W. EDER, TheAugustan Principate as Binding Link, in K. A. RAAFLAUB, M. TOHER (ed.),Between Republic and Empire. Interpretations of Augustus and his Principate(Berkeley-Los Angeles-Oxford 1990) 99.

160 De div. 1.1; de nat. deor. 3.7.18; Tusc. 1.16.36. La dimensione è quella che siè definita come ‘filosofica’: cfr. supra 8 ss.

che si identifica in posizioni di ‘naturalezza’, politicamente èinefficace al fondamento di un potere nell’ambito di quellache ideologicamente vuole essere definita la res publica dei Ro-mani 161 (ed ideologicamente non sarebbe stato fruttuoso perl’impostazione del discorso della restitutio, che nel testo delleres gestae immediatamente segue). Il senso di universi sembrapoter essere chiarito in una prospettiva più ristretta, che confe-risce però potenziale giuridicità al ruolo dei ‘tutti’, consideratiinsieme 162: si tratterebbe cioè di tutti i cittadini che hanno rile-vanza costituzionale 163. Qui è utile la prospettiva di lettura deldocumento adottata da Staedler 164, che assume il tecnicismo diuniversi per indicare i soli cives. Il naturalismo estremo vienecosì ridotto alla ragionevolezza politico-giuridica. Certo èpossibile, in tale contesto, procedere ad un’enucleazione percosì dire di diritto pubblico ed intendere universi come nomecollettivo che comprende (per così dire formalmente) il popoloed il senato 165. Ma questa operazione ermeneutica, da una

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161 Giusta, sul punto, la prospettiva di G. NOCERA, Aspetti teorici della costi-tuzione repubblicana cit. 197, che contrappone la posizione politico-geografica (egli intenti proclamati) di Ottaviano alla scelta orientale di Antonio: «quando … Au-gusto dirà ‘per consensum universorum potitus rerum omnium’, con il termine con-sensum avrà voluto mettere in rilievo l’adesione che si dava a lui come a chi, per vin-cere la lotta civile, restava nei limiti dello stato romano senza utilizzare forze estra-nee». Non varrebbe come prova l’uso di consensus omnium, ad esempio, perindicare la posizione di favore di cui godeva Valerio Publicola (Liv. 2.16.7): la pro-spettiva geopolitica e costituzionale romana era per quei tempi assai ristretta.

162 Per non sovradimensionare la dizione, è utile il raffronto con una testimo-nianza epigrafica, relativa ad un rapporto privatistico: CIL. VI 10238c 1 ss. Quod siq(u)is eorum partem iuris sui vendiderit aut ex conse(n)su universorum, ea(m) pecu-nia(m) in aerarium populi Romani inferri iubemus, ove il consensus universorum èquello degli aventi diritto sulla res. Per non sottodimensionarla si v. le critiche di A.WITTENBURG, ‘Consensus universorum’ cit. 44, ad alcune interpretazioni restrittive.

163 Proprio in tale prospettiva non si può dimenticare che la sostanza del po-pulus come universi cives è affermata da Gaio (1.3) a proposito della differenza traplebs e popolo, in un testo che, discutendo della natura della lex publica, pare avereun archetipo nella teoria costituzionale repubblicana (universus populus segue diqualche riga, come oggetto della vigenza dei plebisciti, estesa a tutti i cittadini dallalex Hortensia).

164 Das römisch-rechtliche Element cit. 104 ss.165 Così W. TURPIN, ‘Res gestae’ 34.1 cit. 432 s.

parte non può essere direttamente basata sulle fonti 166, dall’al-tra non può estendersi fino a condizionare l’interpretazionedel termine consensus 167. Bisogna riflettere sulla possibilità chela locuzione stia ad indicare la somma di deliberazioni giuridi-che. Se è vero che nel periodo in questione non mancaronovoti formali del popolo e del senato (ed è vero anche che vi fuuna tendenza ideologica ad omettere da parte degli storiografiantichi il riferimento ad alcune di tali votazioni, specie quellecomiziali 168), il riferimento augusteo è così ampio, che pareimprobabile immaginare una tradizionale (doppia) operazionedi voto (articolata in senatusconsultum e lex comiziale 169), che

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166 Mi pare in questo senso significativo il fatto che E. STAEDLER, Das römisch-rechtliche Element cit. 105 nt. 64, riferendosi alla locuzione universi cives riporti I.1.2.4 (ove il riferimento è alla continenza di popolo e senatori) e non la sua fonteclassica, Gai 1.3, in cui – com’è noto e corretto dal punto di vista del diritto pub-blico repubblicano – il riferimento è ai patricii. La definizione di populus come uni-versi cives (tipica delle fonti giuridiche) è analitica e «guarda all’effetto» secondoG. LOBRANO, ‘Res publica res populi’ cit. 114 (e nt. 9); sul significato di universi siv. anche ID., Popolo e legge: il sistema romano e la deformazione moderna cit. 457 ent. 13; identifica un’ascendenza ciceroniana (cfr. de rep. 1.21.34) del richiamo pre-sente nelle Res gestae A. WITTENBURG, ‘Consensus universorum’ cit. 44. Forse un ul-teriore referente (tecnico?) si potrebbe rinvenire in Fest. p. 302.35 L. (s.v. «Quiri-tes»?), se è esatta l’integrazione (proposta da Müller) riferita al populus universus.

167 Accentua (seppure con misura) il ruolo che tra gli universi della formula-zione augustea avrebbero avuto i militari P. FREZZA, Note esegetiche di diritto pub-blico romano, in Studi in onore di P. De Francisci I (Milano 1956) 208 [=Scritti II ac. di F. AMARELLI, E. GERMINO (Romae 2000) 214], cfr. anche ID., Per una qualifi-cazione istituzionale del potere di Augusto, in Atti Acc. Toscana ‘La Colombaria’(1956) 117 [=Scritti II cit. 159], ove è messo in evidenza, soprattutto, il rapporto delconsensus con l’auctoritas di stampo repubblicano-ciceroniano. Bisogna ricordarecome lo studioso seguisse, nell’interpretazione del principato augusteo, la via ‘so-ciologica’ tracciata da A. VON PREMERSTEIN, Vom Wesen und Werden cit. Sul-l’aspetto carismatico della legittimazione di Ottaviano si v., per tutti, la autorevolesintesi di F. WIEACKER, Zur Verfassungsstuktur des augusteischen Prinzipats cit.spec. 644 s.

168 Cfr. F. MILLAR, Imperial Ideology in the ‘Tabula Siarensis’ cit. spec. 12 s.169 Come propone W. TURPIN, ‘Res gestae’ 34.1 cit. 433, che sostiene: «… it is

reasonably certain that a vote of this kind could be called a consensus universorum… And it may even be that consensus was virtually a technical term for this kind offormal vote». Il richiamo a Vell. Pat. 2.91.1 (quod cognomen illi viro Planci senten-tia consensus universi senatus populique Romani indidit), non sembra decisivo in talsenso: il riferimento potrebbe essere, in consonanza con l’uso ampiamente attestato

– ottenuta prima della restituzione formale dei poteri costi-tuzionali al senato ed al popolo – avrebbe peraltro in qual-che modo ridimensionato l’assenso plebiscitario 170 ottenuto

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(cfr. supra 73 ss.), alla forma ‘plebiscitaria’ della votazione; sul piano della descri-zione politica, dunque, non della qualificazione giuridica. Non decisivo il richiamoai cd. decreta Pisana, cfr., per tutti, H. U. INSTINSKY, ‘Consensus universorum’ cit.269. Lo studioso, poi, mi pare cadere in contraddizione quando sviluppa l’idea deltermine tecnico per individuare la votazione congiunta (nei risultati) di senato epopolo: l’attestazione numismatica secondo la quale «at Rome the consensus of‘everybody’ meant no more than a vote of the senate and the people» (un denariodel 16 a. C., con al verso un cippus ove l’iscrizione imperatori Caesari Augusto com-muni consensu: C. H. V. SUTHERLAND, RIC.2 I [London 1984] 68, Augustus, nr.357, 358): come rileva lo stesso Turpin «this might, on its own, be taken as a refe-rence to general political support», e l’induzione non appare scalfita nella sua pro-babilità dall’altra moneta addotta (un dupondio di Caligola, battuto per commemo-rare Augusto: RIC.2 I cit. 112, Gaius, nr. 56, tav. 14): qui la legenda è diversa: con-sensu senat(us) et equ(estris) ordin(is) p(opuli)q(ue) R(omani), e la menzionedell’ordine equestre mi pare mostrare proprio il senso politico del consenso più chequello di un doppio voto formale, non potendosi esprimere come tale il consensusdei cavalieri (a prescindere dalla verisimiglianza di un voto popolare di questo tiposotto Caligola). Del resto lo stesso TURPIN (o.u.c. 437), nelle sue conclusioni, purmantenendo fermo il risultato appena descritto, deve scrivere: «it would be gra-tifying to provide some independent support for the argument advanced here. Inparticular, a formal vote of supreme power by the senate and people, even if almostimmediately declined or modified, ought to have left more obvious traces than thepassing references in Dio, and it is unnerving that we have so little informationabout such a constitutionally significant moment»). Mi pare che un testo impor-tante (Suet. div. Aug. 58, discusso più approfonditamente infra 102 ss., ma non daTurpin) sconfessi definitivamente questa interpretazione, mostrando esplicitamenteun consensus del senato e del popolo, definito universus e non discendente da alcunavotazione formale.

170 Definisce «inutile» ogni «disquisizione sul fondamento giuridico» della po-sizione di Ottaviano tra la fine del secondo triumvirato e la battaglia di Azio L. LA-BRUNA, ‘Civitas misera’ (Napoli 1996) 77, che sottolinea in particolare l’importanzadelle sfere politica e militare, definendo Ottaviano (privatus e ‘coperto’ dalla solainviolabilità tribunizia ottenuta nel 36, cfr. F. DE MARTINO, Storia della costitu-zione2 IV/1 cit. 84 s.) «padrone assoluto di Roma». Quella che viene efficacementerappresentata come una «partita» si poteva vincere attraverso la costruzione del«più ampio e forte consenso sociale: a ciò erano tese le manifestazioni «plebiscita-rie» svoltesi verso la fine dell’autunno. La legittimazione fu «tutta politica … giac-ché la coniuratio Italiae et provinciarum, di per sé, non aveva alcun valore giuri-dico-costituzionale», non potendo supplire «al consenso del popolo prestato nelledebite forme al magistrato» (p. 78 s.); cfr. anche ID., Le forme della politica tra in-novazione e ripristino del passato dalle idi di marzo ad Augusto principe, in ‘Res pu-blica’ e ‘princeps’. Atti del convegno internazionale di diritto romano, Copanello 25-

(«spontaneamente» 171) con il giuramento di fedeltà. Del restoavrebbe altrimenti potuto riferirsi, nel solco di un uso ben at-testato 172, direttamente ed esplicitamente al consensus con-giunto di senato e popolo. Va da sé che è indimostrabile l’opi-nione, secondo la quale la dizione delle res gestae corrispon-derebbe esclusivamente ad una votazione popolare, ad unplebiscitum per esempio 173. Tanto meno mi sembra affidabile la«Kombinationsgabe» 174 proposta da Staedler, che conduce alparallelo tra consensus e iurare in verba: in una contio partico-larmente significativa sotto il profilo politico, ma anche emo-zionale, a Roma nel 32 175, Ottaviano avrebbe tenuto un di-

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27 maggio 1994 cur. F. MILAZZO (Napoli 1996) 186 s. = ‘Civitas quae est constitutiopopuli’ cit. 242 ss.). Lo studioso napoletano fa richiamo al concetto di «plebiscito»(naturalmente in chiave socio-politologica, non romanistica) per descrivere il giura-mento, «mobilitazione anche morale di cui … aveva bisogno», che Ottaviano seppetrasformare «nel fondamento legale del suo agire», per intraprendere quella che neifatti fu una guerra civile. Si riferisce ad una «specie di investitura plebiscitaria» an-che (ad esempio) G. NICOSIA, Lineamenti di storia della costituzione romana II(rist. Catania 1991) 11, il quale, denotando il consensus universorum come «espres-sione alquanto sfuggente», collega quello che comunque a suo parere costituisce ilfondamento di una «posizione di potere extracostituzionale» con la precedente co-niuratio Italiae et provinciarum.

171 Si trattò di «spontaneità costruita» per W. ECK, Augusto e il suo tempo(trad. it. Bologna 2000) 37, che – sempre a proposito del consensus universorum –parla di un concetto difficilmente afferrabile dal punto di vista formale, «formatosiin un periodo caotico» (p. 48); cfr. anche I. STAHLMANN, ‘Imperator Caesar Augu-stus’. Studien zur Geschichte des Principatsverständnisses in der deutschen Alter-tumswissenschaft bis 1945 (Darmstadt 1988) 120.

172 Cfr. supra 67 ss., 77 ss.173 Come voleva E. KORNEMANN, Römische Geschichte II. Die Kaiserzeit7

bearb. von H. BENGTSON (Stuttgart 1977) 110 s., che peraltro lo descriveva «inGestalt eines formlosen consensus aller Bürger».

174 In tal senso, appropriatamente, E. SCHÖNBAUER, Die ‘res gestae Divi Au-gusti’ cit. spec. 35 s.

175 Si tratta di quella nella quale fu letto il testamento di Antonio: Suet div.Aug. 17. M. Antonii societatem semper dubiam et incertam reconciliationibusquevariis male focillatam abrupit tandem, et quo magis degenerasse eum a civili moreapprobaret, testamentum, quod is Romae etiam de Cleopatra liberis inter heredesnuncupatis reliquerat, aperiundum recitandumque pro contione curavit. Dunque sipuò ricostruire un’unica linea storiografica con l’opinione di PETZOLD citata (e cri-ticata) supra 90 nt. 142. Per un’analisi della posizione costituzionale di Ottaviano siv. anche H. W. BENARIO, Octavian’s status in 32 B. C., in Chiron 5 (1975) 300 ss.; e

scorso chiuso dalla richiesta formale di giuramento attraversola formula velitis iuretis 176 (che lo studioso chiaramente mo-della sulla base del velitis iubeatis tipico della rogatio magistra-tuale), richiedendo così quel giuramento di fedeltà, che gliavrebbe consentito di potiri rerum omnium. Non possono nonmettersi in evidenza i problemi che tale ricostruzione suscita, apartire dal più che tenue legame con le fonti. E la critica vaoltre la differenza posta da Schönbauer 177 tra una «Zustim-mung», che dovrebbe essere correttamente resa in latino conadsensus, e la («formlos erklärte») «Willens-Übereinstimmung»,in cui propriamente si sostanzierebbe il consensus. E, a quantomi pare, anche al di là della troppo stretta relazione tra il con-sensus universorum e la formazione consuetudinaria del di-ritto 178. La riconduzione del consensus alla coniuratio (che ri-manda in sostanza alle conclusioni di Theodor Mommsen 179)propone in primo luogo un interrogativo dirimente: comepoté Ottaviano, ricevuto il giuramento a Roma, far replicare informe consimili la procedura (senza essere presente) nelle co-munità della parte occidentale dell’Impero? Intendo dire: se siassume un livello di formalità, proprio in virtù della rigidezza

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poi K. M. GIRARDET, Der Rechtsstatus Oktavians im Jahre 32 v. Chr., in Rh. Mus.133 (1990) 323 ss.

176 Addirittura E. STAEDLER, Das römisch-rechtliche Element cit. 113, proponeuna ricostruzione (in parte in latino, in parte in tedesco) di tutta la formula.

177 E. SCHÖNBAUER, Die ‘res gestae Divi Augusti’ cit. 34 ss. (v. anche 41); lacritica non è decisiva: basta uno sguardo alle fonti (v. supra 16 ss.). La definizione diE. STAEDLER, Das römisch-rechtliche Element cit. 107, è la seguente: «Consensusselbst ist im Rechtssinne, seiner Wortbedeutung nach, am zutreffendsten mit ‘Zu-stimmung’, d. i. nachfolgende Genehmigung widerzugeben»; essa mi sembra moltoinfluenzata dalla voce enciclopedica di R. LEONHARD, in PWRE. IV/1 (Stuttgart1900) 902 ss. (sulla quale, in particolare, si v. infra 172 ss.), e ciò mi pare tanto piùsignificativo, in quanto nella produzione scientifica dello studioso mancano deltutto contributi di diritto romano privato, rispetto al quale ambito è chiara la par-zialità di tale impostazione, almeno di non voler seguire in tutte le sue conseguenzela tesi di Leonhard. Non appare errata, invece, l’affermazione che immediatamentesegue detta definizione, che pretende per la manifestazione del consensus universo-rum un determinato «Rechtsakt» (sul punto si v. infra 102 ss.).

178 Per una critica più circostanziata si v. infra 129 ss.179 Cfr., in particolare, E. STAEDLER, Das römisch-rechtliche Element cit. 108.

della proceduralizzazione questo deve poter essere in qualchemodo replicabile nell’ambito territoriale ricordato da Res ge-stae 25. Credo, piuttosto, che la formulazione riprenda l’ideo-logia della concordia 180, raffinata attraverso l’individuazionedel senato come luogo istituzionalmente deputato all’interpre-tazione dei motivi politici diffusi nel populus Romanus. Consi-derando che la preposizione per coniugata con consensus ap-pare mostrare la modalità di un conferimento (più che la causadeterminante lo stesso) 181, in tal senso, se il consensus non puòidentificarsi con un atto formale 182, non è detto che non costi-tuisca sintesi verbale per indicare un atto, ovvero che il conte-nuto politico del consensus non possa riversarsi in una delibe-razione costituzionalmente rilevante 183. Si tratta della capacitàdi leggere 184 quello che, secondo la definizione di De Francisci,è l’«unanime desiderio della massa», e di farlo dichiarare «il

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180 J. MIQUEL, El problema de la sucesión de Augusto (Madrid 1969) 47, mettein relazione l’ideologia del consenso (considerata non disgiunta da quella della con-cordia ordinum) con l’eliminazione programmatica delle fazioni: «Octavio libera ala patria que estaba oprimida por la dominación de la facción. En adelante, ya nohabrá más facciones; él, que, según proclama, se encuentra en el poder gracias alconsentimiento de todos (cfr. cap. 34), no se apoyará en un bando determinado,sino en el consensus universorum, o más concretamente, en el consensus bonorumomnium, es decir, en los boni viri, en los boni cives». Cfr. anche A. GUARINO, Gliaspetti giuridici cit. 31 [=PDR. III cit. 497].

181 Cfr. E. ADCOCK, The Interpretation cit. 130 ss., e v. anche P. GRENADE,Essai sur les origines du Principat cit. 226.

182 La storiografia rinvia di frequente (cfr. ad esempio L. WICKERT, s.v. «Prin-ceps» cit. 2265; F. DE MARTINO, Storia della costituzione2 IV/1 cit. 114 s.; A. WIT-TENBURG, ‘Consensus universorum’ cit. 43) alla definizione di Mommsen: «qui con-sentiunt, non decernunt, sed probant laudantque, et semper opponuntur decretumeorum apud quos rerum potestas est, et consensus eorum, quorum ius continetur inplaudendo aut querendo»: Res gestae2 cit. 146 s.

183 Cfr. L. WICKERT, s.v. «Princeps» cit. 2265: «Der consensus universorumkann in formlosen Kundgebungen oder in formalen, aktenmäßig zu fixierendenRechtshandlungen zum Ausdruck kommen, er bedarf jedoch, um gultig zu sein,solcher konkreten Beglaubigung nicht ...».

184 Secondo F. GRELLE, I poteri pubblici e la giurisprudenza fra Augusto e gliAntonini, in Continuità e trasformazioni fra repubblica e principato. Istituzioni, po-litica, società a c. di M. PANI (Bari 1991) 256, Ottaviano già da console, ha un con-trollo dell’organizzazione della comunità che esorbita dai suoi poteri strettamenteistituzionali, ma «è confortato dal consenso generale».

fondamento primo della sua posizione e della sua potenza en-tro lo stato» 185. Forse è, sul punto, da approfondire il rapportodel noto passo autobiografico con un testo di eccezionale im-portanza e direi di evidente comparabilità con Res gestae 34.Mi riferisco a

Suet. div. Aug. 58.1-2. Patris patriae cognomen universi re-pentino maximoque consensu detulerunt ei: prima plebslegatione Antium missa; dein, quia non recipiebat, ineuntiRomae spectacula frequens et laureata; mox in curia sena-tus, neque decreto neque adclamatione, sed per ValeriumMessalam. Is mandantibus cunctis: 2. ‘quod bonum’, in-quit, ‘faustumque sit tibi domuique tuae, Caesar Auguste!sic enim nos perpetuam felicitatem rei p. et laeta huic pre-cari existimamus: senatus te consentiens cum populo R.consalutat patriae patrem’. Cui lacrimans respondit Augu-stus his verbis – ipsa enim, sicut Messalae, posui –: composfactus votorum meorum, p. c., quid habeo aliud deos im-mortales precari, quam ut hunc consensum vestrum ad ul-timum finem vitae mihi perferre liceat?

Il testo svetoniano mi pare coordinarsi in modo appro-priato con le riflessioni fin qui svolte. La sua rilevanza emerge

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185 Arcana imperii III/1 cit. 426, in cui si sottolinea la natura di «finzione» ditale atteggiamento del primo principe, «a cui amarono richiamarsi spesso anche isuoi successori» (cfr. il consenso «vantato» da Ottaviano secondo E. GABBA, L’im-pero di Augusto, in Storia di Roma II. L’impero mediterraneo 2. I principi e ilmondo dir. A. SCHIAVONE [Torino 1991] 11). Per DE FRANCISCI «il consensus uni-versorum o il communis consensus non hanno quindi nulla a che fare con la volontàdel popolo e del senato espressa nelle regolari deliberazioni con cui vengono deli-berati i poteri del princeps e con cui viene stabilita la sua posizione costituzionale»(ibid. nt. 2). Le ultime riflessioni dello studioso su questo tema (Intorno a due passidelle ‘res gestae Divi Augusti’, in Arch. Giur. 175 [1968] 156 ss.), ribadiscono la con-cezione tutta politica della «volontà popolare», decisiva e prevalente rispetto aquella degli organi (senato e comizi) della costituzione repubblicana. Per una criticaal risultato dell’interpretazione di De Francisci (nella parte relativa all’interpreta-zione secondo la quale la coniuratio sostanzierebbe la base perenne del potere diAugusto «nello stato», potere che si configura come monarchico), si v. A. GUA-RINO, Gli aspetti giuridici cit. 39 s. [=PDR. III cit. 507 s.].

sotto diversi profili 186. Il primo (direi quello in qualche modopreliminare) è la dichiarazione dello storico secondo la qualesia le parole di Messalla, sia quelle di Augusto sono citate allalettera (bisogna forse intendere: dagli atti ufficiali del senato, aseguito di un processo verbale della seduta in questione 187).Questo scrupolo di Svetonio serve a determinare con attendi-bilità tutto quanto, nel passo, può dirsi a proposito del consen-sus: proprio consentire è, infatti, il verbo utilizzato sia dall’au-torevole rappresentante dell’alto consesso 188 nel conferire ad

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186 La migliore trattazione sul testo, anche se a mio parere non coglie il suoprincipale nodo problematico, è ancora quella di H. U. INSTINSKY, ‘Consensus uni-versorum’ cit. 270 s. Sull’accettazione del titolo si cfr. A. ALFÖLDI, Die Geburt derkaiserlichen Bildsymbolik. 3. ‘Parens patriae’, in Mus. Helv. 9 (1952) 204 ss., 10(1953) 103 ss. Si trattò del culmine dell’evoluzione politico-costituzionale del prin-cipato augusteo secondo E. T. SALMON, The Evolution of Augustus’ Principate, inHistoria 5 (1956) 478, C. GALLINI, Protesta e integrazione nella Roma antica (Bari1970) 173; cfr. anche E. MANNI, ‘Romulus’ e ‘parens patriae’ nella ideologia politicae religiosa romana, in Mondo classico 4 (1934) 106 ss.; M. A. LEVI, in C. SuetoniTranquilli Divus Augustus (de vita Caesarum liber II) testo, introduzione, note eappendice (Firenze 1951) 75 s. (in nt., con ulteriore bibliografia); D. KIENAST, Au-gustus3 cit. 132 ss., 174 nt. 80 (dove anche un collegamento con il consensus univer-sorum); F. GUIZZI, Augusto cit. 67 s. Per quanto riguarda la formula si v. le osserva-zioni di P. FREZZA, Per una qualificazione cit. 121 [=Scritti II cit. 163], che collegail brano riportato da Svetonio con altre testimonianze relative a vota per principigiulio-claudi.

187 Nota la citazione letterale, ad esempio, R. SYME, L’aristocrazia augustea(trad. it. Milano 1993) 142 nt. 46. Sull’attitudine di Svetonio, che percorse – com’ènoto – la carriera burocratica, all’utilizzazione di documenti si v., ad esempio,F. DELLA CORTE, Svetonio ‘eques Romanus’2 (rist. corr. Firenze 1977) 147 s., 153; inparticolare – di recente – sulla carica di ab epistulis si v. D. WARDLE, Suetonius as‘ab epistulis’: an African connection, in Historia 51 (2002) 462 ss.

188 Si tratta (almeno secondo l’opinione dominante) del consolare patrizio (cos.31 a. C.) che era stato nominato proprio da Augusto, nel 26 a. C., primo praefectusUrbi e che aveva rinunciato alla carica, per essere questa, secondo il ricordo geroni-miano (Can. chron. II [MIGNE PL. XXVII 435] a. ab Abr. 1991, 551 s.), una incivi-lis potestas; cfr., per tutti, R. SYME, L’aristocrazia augustea cit. 315 s. (cfr. anche 135;sul personaggio sono da confrontare i numerosi richiami nell’indice a p. 804 s.);S.-A. FUSCO, ‘Insolentia parendi’. Messalla Corvino, la ‘praefectura urbi’ e gliestremi aneliti della ‘libertas’ repubblicana, in Index 26 (1998) spec. 319 nt. 71. Peruna diversa identificazione si v., ad esempio, M. A. LEVI, in C. Suetoni TranquilliDivus Augustus cit. 76 (in nt.), che (proprio a motivo della rinuncia alla praefecturaUrbi) propone il figlio di Messalla, M. Valerio Messalla Messalino, che era appenastato console ordinario nel 3 a. C.

Augusto l’onore del cognomen, sia dal princeps stesso nella ri-sposta ufficiale. Altro punto fondamentale è la strettissima as-sonanza terminologica con il testo delle res gestae: oltre alverbo consentire, infatti, nel passo del biografo ricorre uni-versi, proprio ad indicare i referenti soggettivi del consensoche da Valerio è comunicato al principe. Si tratta dello stessoconsenso (universale, nel senso questa volta esplicito di senatopiù popolo) che ricorre nell’autobiografia del principe, ma quise ne può misurare la genesi. È un consensus ad hoc: non si puòconfondere con la reverenza verso la posizione generale di Au-gusto (che ne è un presupposto). È importante, in tal senso, ladoppia qualificazione, hunc, vestrum, ed anche il fatto che larisposta di Augusto sia connotata dall’emozione, fino alle la-crime. Il punto centrale è che (malgrado la repentinità procla-mata da Svetonio) la appellatio è frutto di una decisione, inultimo, del senato (ma questa si basava anche sul fatto dellapalese condivisione spirituale della plebe, già, come si è visto,duplicemente manifestatasi, sia pure senza successo, e del con-corso nel risultato dell’ordo equester 189). Dunque un atto giu-ridico senatorio, sia pure non formalizzato. Il suo peso poli-tico (anche per il coinvolgimento del popolo) è di assoluto ri-lievo, ma – secondo il piano augusteo di normalizzazione allacostituzione repubblicana – non ha effetti immediati (che sa-rebbero stati sconvolgenti) sul piano del diritto pubblico 190. Laposizione di Ottaviano dopo il 32, insomma, è ‘conforme’ allavolontà del popolo e del senato, per come sinteticamente in-terpretata da quest’ultimo consesso 191.

104 CAPITOLO SECONDO

189 Per l’atteggiamento degli equites si v. subito infra nel testo; sul rapporto traAugusto ed i cavalieri si v., con riferimento alla descrizione che emerge dalle paginesvetoniane in particolare, F. DELLA CORTE, Svetonio cit. 169 ss.

190 Per tutti, con chiarezza cristallina, W. KUNKEL, Über das Wesen des au-gusteischen Prinzipats, in Gymnasium 68 (1961) 359 s. [=Kleine Schriften. Zumrömischen Strafverfahren und zur römischen Verfassungsgeschichte (Weimar 1974)391 s.].

191 Cfr. E. BETTI, La crisi della repubblica cit. 522. Sottolinea l’essenza senato-ria del consensus anche P. GRENADE, Essai sur les origines du Principat cit. 295 ss.,ma con risultati diversi: si sarebbe trattato del conferimento dell’imperium sovrano(v. spec. p. 295), giustificandosi l’uso di tale terminologia per un segno esteriore di

È significativo che le res gestae si chiudano proprio con ilricordo dell’appellatio di pater patriae. Se in questa testimo-nianza manca il riferimento (esplicito) al consensus, ricorre iltema dell’«universalità» (con riguardo esplicito al popolo ro-mano):

Res gestae 35. Tertium dec[i]mum consulátu[m cum gere-bam, senatus et equ]ester ordo || populus/que Románusúniversus [appellavit me patrem p]atriae, idque / in vesti-bulo [a]edium meárum inscriben[dum et in curiá Iulia e]tin foro Aug. / sub quadrig[ei]s, quae mihi [ex] s.c. pos[itaesunt censuit ...

Il verbo (censuit) mostra, a ben vedere, che l’atto relativoall’appellatio, se pur ammantato di unanimismo politico, fu(secondo, tra l’altro, una determinata competenza costituzio-nale 192) del solo senato (lo sappiamo attraverso le parole diMessalla riportate da Svetonio): esplicitamente l’assemblea se-natoria aveva dichiarato il consenso del popolo romano; man-cano (ufficialmente) i cavalieri 193. Ma – evidentemente – l’as-semblea dei patres si attribuiva la capacità di interpretare il sen-tire dell’ordo equestre e del populus Romanus 194. Ed è proprio

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 105

particolare evidenza. Cfr. anche M. GRANT, From ‘imperium’ to ‘auctoritas’ (Cam-bridge 1946) 421, e ID., The Augustan constitution, in Greece & Rome 18 (1949) 100s. (che vede la fusione di auctoritas e potestas). Per i motivi indicati nel testo non sipuò accedere all’opinione di un senatoconsulto con tutti i crismi della formalità,avanzata da E. ADCOCK, The Interpretation cit. 134 s., spec. 13.

192 Per tutti si v. F. DE MARTINO, Storia della costituzione2 II cit. 205.193 Forse (ma il dubbio non può in questo caso facilmente dissiparsi) può soc-

correre ancora Svetonio: in div. Aug. 57.1 (dunque poche righe prima della rela-zione sulla denominazione di pater patriae), lo storico accenna ad un consenso«spontaneo» dei cavalieri nei confronti di Augusto (in un contesto che mostra la di-lectio per lui del senato, degli equites appunto, e di omnes ordines): Equites R. nata-lem eius sponte atque consensu biduo semper celebrarunt; sul punto cfr. F. DELLA

CORTE, Svetonio cit. 171 e nt. 25.194 La connessione istituzionale, formale, del senato con il popolo è comunque

rappresentata dai magistrati (che sono sempre populi Romani), in primo luogo daiconsoli, che oltretutto normalmente presiedono l’alto consesso. Per i rapporti trapopulus, senatus e civitas si v. F. D’IPPOLITO, I giuristi e la città cit. 23 s.

Augusto ad avallare questa interpretazione, nel momento incui, dopo aver probabilmente ripreso al capitolo 6 delle Resgestae la formulazione della concessione (rifiutata) della curalegum et morum in cui espressamente rileva il consenso con-corrente di senato e popolo, attribuisce esclusivamente alprimo la sostanza della proposta, smascherando un arcanumche pretende la concordia degli elementi strutturali della costi-tuzione cittadina: Quae tum per me geri senatus voluit, per tri-buniciam potestatem perfeci … («ciò che allora il senato volevache fosse regolato per opera mia, io lo compii per mezzo dellapotestà tribunicia …» 195).

Se dunque si ipotizza che tale consenso, nella descrizionesvetoniana (proveniente da fonte attendibile, e comparata an-che con la testimonianza autobiografica relativa all’attribu-zione del cognomen) si possa coordinare con il consensus uni-versorum di Res gestae 34 (ed anche con quello di senato e po-polo Romano di Res gestae 6), se ne può indurre che dopo laconiuratio del 32 il senato di Roma (a seguito dell’epurazionedegli antoniani 196) abbia potuto produrre, a favore di Otta-viano, una consimile interpretazione del suo ruolo «univer-sale». L’aspetto non formalizzato non significa assenza del-l’atto e della sua memorizzazione; a tal proposito mi sembra il-luminante un passo di Tacito, relativo al 56 d. C.:

ann. 13.26.1. Per idem tempus actum in senatu de fraudi-bus libertorum, efflagitatumque ut adversus male meritosrevocandae libertatis ius patronis daretur. Nec deerant quicenserent, sed consules, relationem incipere non ausi ignaroprincipe, perscripsere tamen consensum senatus 197.

106 CAPITOLO SECONDO

195 La traduzione è di T. SPAGNUOLO VIGORITA, ‘Casta domus’2 cit. 93 (cfr. an-che p. 5, 27). La connessione chiara tra i due momenti mi pare neutralizzi la co-struzione di E. STAEDLER, Das römisch-rechtliche Element cit. 108 nt. 80, che dalplurale consentientibus vuole derivare la necessaria dualità delle proposte di popoloe senato.

196 Cfr. Cass. Dio 50.2.5 ss., 50.3.2.197 Sul testo cfr. TH. MOMMSEN, Römisches Staatsrecht III/2 cit. 950 nt. 1; il

problema era quello del diritto alla revocatio in servitutem (che com’è noto, dopo

Il brano (non isolato 198) riveste importanza particolare, inquanto mostra come, nel primo principato i consoli ordinas-sero la trascrizione 199 (deve intendersi: negli atti del senato, edanche nelle trasmissioni che si inviavano al principe) di un do-cumento che non consisteva ufficialmente in un senatocon-sulto o in un decretum (non possedendone evidentemente icrismi), in quanto non avevano osato proporre la relatio senzache il principe ne fosse a conoscenza. Poteva trattarsi anche diuna questione particolarmente delicata, sulla quale il senatoraggiungeva unanimità di vedute, ma preferiva l’intervento delpotere più forte, come sembra risultare da Plin. ep. 6.19.3. Ho-mullus deinde noster, vigilanter usus hoc consensu senatus, sen-tentiae loco postulavit, ut consules desiderium universorum no-tum principi facerent peterentque, sicut aliis vitiis huic quoque

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 107

una prassi casistica applicata verisimilmente attraverso la cognitio, sarà poi concessoin via generale ai patroni contro i liberti ingrati da Costantino: CTh. 4.10.1=C.6.7.2), la prudenza dei consoli non fu malposta: Nerone dispose che non si dovessederogare ai principi stabiliti: Tac. ann. 13.27.3. Caesar senatui, privatim expenderentcausam libertorum, quotiens a patronis arguerentur; in commune nihil de-rog<ar>ent; cfr. R. J. A. TALBERT, The Senate of Imperial Rome (Princeton 1984)spec. 225 s. Sul tema (con qualche osservazione anche sul passo tacitiano) si v. M.SARGENTI, Liberti ingrati e potere normativo imperiale (una vicenda emblematica),in Nozione formazione e interpretazione del diritto. Ricerche dedicate al prof. F.Gallo II (Napoli 1997) 241 ss. (spec. 242 s.).

198 Si v. anche Tac. ann. 14.49.1. ... et postquam discessionem consul permiserat,pedibus in sententiam eius iere, paucis exemptis ... At consules, perficere decretum se-natus non ausi, de consensu scripsere Caesari (si tratta dell’accusa di maiestas controil pretore Antistio nel 62 d. C.: i senatori votarono per la proposta moderata di PetoTrasea, ma i consoli non formalizzarono il consensus in una deliberazione per ti-more della reazione del princeps, il quale invece, pur irritato, si rimise alla decisionesenatoria «scrittagli»: dal prosieguo della narrazione tacitiana, in specie al § 3, pareche infine la proposta di Trasea fu ritualmente votata dai senatori plures numerotuti). Sul discorso tacitiano come attestazione del metodo di approvazione delle de-liberazioni senatorie tramite discessio, si v., per tutti, B. SANTALUCIA, Diritto e pro-cesso penale nell’antica Roma2 (Milano 1998) 239.

199 Su perscribo nel senso indicato si v. le testimonianze raccolte in AE. FOR-CELLINI ET AL., Lexicon totius Latinitatis cur. I. PERIN III (Bononiae 1965) 673,s.h.v.; cfr. H. HEUMANN, E. SECKEL, Handlexikon 11 cit. 424, s.v. «Perscribere».Dalla prospettiva giuridica (si v. VIR. IV.689 lin. 31 ss.) rilevano soprattutto il no-tissimo testo pomponiano sulle Dodici tavole, in D. 1.2.2.4 (l. s. ench.). … quas intabulas eboreas perscriptas pro rostris composuerunt, e poi Fr. Vat. 249.8.

providentia sua occurreret (testo in cui si nota il ricorrere diuniversi) 200.

Il consensus (credo in tali forme) assume rilievo anche inmomenti successivi, topici dell’ascesa di Ottaviano: si legga lanota testimonianza di Velleio 201, ancora relativa alla rappresen-tazione politica del principe attraverso una denominazione(questa volta il cognomen di Augusto): quod cognomen illi viro<divino> Planci sententia consensus universi senatus populiqueRomani indidit. Non è un caso dunque se, per esempio, adAugusto si fa erigere una statua non, secondo la formula con-sueta, per deliberazione formale del senato con indicazionecongiunta dell’approvazione popolare, ma consensu senat(us)et eq(uestris) ordinis p(opulique) R(omani) 202.

Particolarmente interessante un’estensione, che pare pro-posta dallo stesso Augusto, della rilevanza politica del consen-sus (omnium hominum?) rispetto alla carriera di Agrippa. Nel-l’elogio che scrisse per il fedele compagno 203, di cui si possiedeun frammento papiraceo (ricostruito sulla base di due lacerti) 204

108 CAPITOLO SECONDO

200 Naturalmente il lessico non è stabile, si v. ad esempio, ancora in Plinio (ep.3.4.4-5) le sostanziali equiparazioni di adsensio e consensus come giudizio concordedei senatori, che solet decreto praecurrere.

201 Hist. 2.91.1. Per la tradizione successiva si v. ad esempio Eutrop. brev. 9.12.Consensu senatus appellatus Augustus, septimo decimo die imperii occisus est; il testoè relativo a Quintilio, fratello di Claudio II Gotico, che nel settembre del 270 regnò– appunto – per diciassette giorni (cfr., per tutti, D. KIENAST, Römische Kaiserta-belle cit. 233, con fonti e bibliografia).

202 Cfr. E. DE RUGGIERO, s.v. «Consensus» cit. 695. La presenza dei tre ordiniè il segno distintivo del consensus universorum nel principato secondo P. GRENADE,Essai sur les origines du Principat cit. 235.

203 Cfr. Cass. Dio 54.28.3.204 L’edizione complessiva, a cura di M. GRONEWALD, si trova in PKöln VI 249

(p. 113 ss.: ‘Laudatio funebris’ des Augustus auf Agrippa); i singoli frammenti eranostati pubblicati rispettivamente da L. KOENEN, Die ‘laudatio funebris’ des Augustusfür Agrippa auf einem neuen Papyrus (P. Colon. inv. Nr. 4701), in ZPE. 5 (1970) 217ss. [=PKöln I 10] (cfr. anche ZPE. 6 [1970] 239 ss.), e da M. GRONEWALD, Ein neuesFragment der ‘Laudatio Funebris’ des Augustus auf Agrippa, in ZPE. 52 (1983) 61s.; sul testo si cfr. E. W. GRAY, The ‘imperium’ of M. Agrippa, a note on P. Colon.inv. No. 4701, in ZPE. 6 (1970) 227 ss.; E. MALCOVATI, Il nuovo frammento augu-steo della ‘Laudatio Agrippae’, in Ath. 50 (1972) 142 ss. (cfr. anche 389); M. W. HA-

di una traduzione greca, il princeps fa infatti riferimento allaoJmofrosuvnh «di tutti gli uomini» (sunpavntwn ajnqrwvpwn), che(insieme con il suo appoggio, in primo luogo, ed anche con imeriti dello stesso Agrippa) avrebbe consentito al personaggiodi raggiungere una posizione apicale nella repubblica 205. Glieditori ed i commentatori del papiro (che è apparso agli storicidi grande importanza soprattutto per la individuazione e laqualificazione dei poteri di Agrippa 206) unanimemente ren-dono ka[qΔ] oJmofrosuvnhn come versione di un originale latinoper consensum (civium o universorum) ed espungono il riferi-mento agli «uomini» come maldestro inserimento (o frainten-dimento) operato dal traduttore. Il contesto, naturalmente, aquesto punto è da confrontare con la traduzione greca delle resgestae, nel luogo in cui Augusto fa riferimento al consensusuniversorum. A questo punto, però, sorgono delle difficotà: lastoriografia più risalente aveva lodato la scelta propria e con-cretizzante 207 della resa kata; ta;ı eujca;ı (ma forse in un conte-sto dottrinario generale in cui si era diluita la proprietà di sensodel nesso, latino e romano, consensus universorum), oggi si ri-

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SLAM, Augustus’ funeral oration for Agrippa, in Class. Journ. 75 (1980) 191 ss.; E.BADIAN, Notes on the ‘Laudatio’ of Agrippa, in Class. Journ. 76 (1980) 95 ss.; R. K.SHERK, The last two lines of the ‘Laudatio Funebris’ for Agrippa, in ZPE. 41 (1981)67 ss. (contributo invero superato dall’edizione del nuovo frammento); W. AME-LING, Augustus und Agrippa. Bemerkungen zu PKöln VI 249, in Chiron 24 (1994)1 ss., con dovizia di ulteriori riferimenti bibliografici.

205 Cfr. W. AMELING, Augustus und Agrippa cit. 23: «die drei grundlegendenVoraussetzungen für Agrippas Aufstieg».

206 In particolare per l’estensione dell’imperium nell’ambito della dicotomiaaequum-maius. Sui poteri di Agrippa si v. da ultimo, con i necessari riferimenti afonti e letteratura, W. AMELING, Augustus und Agrippa cit. 3 ss.; sul personaggio,più in generale, si v. l’ampia monografia di J.-M. RODDAZ, Marcus Agrippa (Rome1984).

207 Sulla traduzione delle quali, in questo punto, F. DE VISSCHER, Les pouvoirsd’Octavien [=Nouvelles études cit. 18], ritiene «esatta» e «de façon plus concrète» laversione; e già W. WEBER, ‘Princeps’. Studien zur Geschichte des Augustus I (Stutt-gart 1936, rist. Aalen 1969) p. 133*, nr. 544, secondo il quale per consensum univer-sorum risultava con kata; ta;ı eujca;ı twn ejmwn politeiwn «konkretisiert, damit nichtnur richtig, sondern fein und nuancenreich gedeuted wird». Cfr. anche W. KUNKEL,Zum Freiheitsbegriff der späten Republik und des Prinzipats, in R. KLEIN (Hrsg.),Prinzipat und Freiheit (Darmstadt 1969) 87 nt. 16.

conosce, invece, la perfezione (rilevata, ad esempio, da Amelinge Wittenburg 208) della traduzione greca con kaqΔ oJmofrosuvnhn.Ma ciò mi sembra faccia comparare un fenomeno eccezionale(quale la coniuratio a favore di Augusto, con le sue straordina-rie conseguenze, tra cui soprattutto il consensus ottenuto dalsenato, sul piano della costituzione materiale) con quello cheinvece sembra essere un favore politico che vuole essere inse-rito dall’autore della laudatio (con la morte di Agrippa siamoormai nel 12 a. C.) in un contesto di normalità (il summumfastigium 209 mi pare corrispondere infatti – almeno formal-mente – alla descrizione di una carriera ‘repubblicana’ e l’unicadeviazione appare, rispetto a questa, l’appoggio – lo studium?– particolarmente autorevole che il principe dichiara di averaccompagnato alle qualità proprie dell’uomo ed all’approva-zione popolare di cui Agrippa godeva). Ma su questo punto(d’altra parte incerto nel suo fondamento testuale latino) nonsi può qui insistere 210.

La denominazione dell’imperatore con il titolo di «padredella patria», di cui si è vista l’importanza, continua ad essererappresentata, nel primo principato, come effetto del consensus

110 CAPITOLO SECONDO

208 Rispettivamente: Augustus und Agrippa cit. 24 s.; e ‘Consensus universo-rum’ cit. 47 s. (dove non tutte le asserzioni sono condivisibili).

209 Secondo le ritraduzioni in latino di eijı pleiston u{youı ... diaravmenoı(PKöln VI 249 lin. 11 ss.); per la potestas tribunicia come vocabulum summi fastigisi v. Tac. ann. 3.56.2; sulla terminologia cfr. W. K. LACEY, ‘Summi fastigi vocabu-lum’. The story of a title, in JRS. 69 (1979) 28 ss.; FR. HURLET, Les collègues duprince sous Auguste et Tibère (Rome 1997) 321 ss. (con ulteriore ampia bibliografianelle note); W. AMELING, Augustus und Agrippa cit. 26 e nt. 86 (ove si può aggiun-gere oltre alle fonti velleiane – 2.30.3, 56.3, 90.1, quest’ultima la più rilevante, per ilriferimento proprio ad Agrippa: … presentia, nunc Agrippae, quem usque in ter-tium consulatum et mox collegium tribuniciae potestatis amicitia principis evexerat… – che costruiscono il summum fastigium come frutto d’azione rappresentata conil verbo eveho, anche Curt. Ruf. 4.14.20 … ad summum fastigium evexerant …;sulle connessioni tra le res gestae divi Augusti e le Storie di Velleio, status quaestio-nis in E. S. RAMAGE, The nature and purpose cit. spec. 148).

210 Ma non si potrebbe pensare, ad esempio, a qualcosa del tipo favore om-nium hominum (come in Vell. Pat. 2.89.1), che eviterebbe la comparazione costitu-zionale (ed il riferimento consensus del senato e del popolo)?

del senato (evidentemente ormai anche nelle forme prevalentesulla posizione del populus). Ciò si trova esplicitamente in undocumento del 38 d. C.:

CIL. VI 2028 211 lin. 84 ss. Taurus Statilius promagister col-legii fratrum aru<ali>um / nomine, quod eo die C. CaesarAugustus Germanicus cons<ensu> / senatus delatum sibipatris patriae nomen recepisset in Ca<pitolio> / Ioui, Iu-noni, Mineruae hostias maiores <tres> inmolauit et adtemplum / nouom diuo Augusto unam (vacat).

Il voto senatorio a favore di Caligola risale al 21 settembredel 37: a seguito del provvedimento che conserva evidente-mente un ruolo importante nel complesso delle tappe che fannoconseguire la pienezza della posizione di vertice nell’impero 212,i sacerdoti si impegnano nei rituali sacrificali (forse non a casoconnessi con la figura di Augusto). E questo consensus per Ca-ligola forse non è un caso, se si pensa alla testimonianza sveto-niana relativa alla disapprovazione senatoria del testamento diTiberio 213.

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 111

211 Cfr. CIL. VI 32344; J. SCHEID [avec la collaboration de P. TASSINI, J.RÜPKE], Commentarii Fratrum Arvalium qui supersunt. Les copies épigraphiquesdes protocols annuels de la confrérie arvale (21 av.-304 ap. J.-C.) (Roma 1998) 28 ss.,nr. 12 (ivi, a p. 35, la giustificazione per l’integrazione cons[ensu]; cfr. pure ID., Ro-mulus et ses frères. Le collège des frères Arvales, modèle du culte public dans laRome des empereurs [Rome 1990] 389 s. e nt. 11 a p. 390, ove altra letteratura, e giàJ. SCHEID, H. BROISE, Deux Nouveaux fragments des actes des frères Arvales del’année 38 ap. J.-C., in MEFRA. 92/1 [1980] 241 s.); sull’importanza dei documentiarvali relativi alle procedure d’investitura imperiale si v., da ultimo, J.-L. FERRARY,À propos des pouvoirs d’Auguste, in Cahiers Glotz 12 (2001) 150 ss.

212 Mentre Tiberio aveva rifiutato il riconoscimento del nome di pater patriae(per tutti si v. D. KIENAST, Römische Kaisertabelle. Grundzüge einer römischenKaiserchronologie2 [Darmstadt 1996] 77), per il suo successore si tratterà del coro-namento degli onori: acclamato il 16 marzo del 37 a Miseno, viene riconosciuto duegiorni dopo in senato (dies imperii), poi, il 21 aprile, anche dal popolo (Suet. Cal.16.4), infine, appunto il 21 settembre l’accettazione del titolo onorifico. Per indica-zioni delle fonti si v. D. KIENAST, o.u.c. 85 (bibliografia a p. 86 s.).

213 Suet. Cal. 14.1. Ingressoque urbem, statim consensu senatus et irrumpentisin curiam turbae, inrita Tiberi voluntate, qui testamento alterum nepotem suumpraetextatum adhuc coheredem ei dederat, ius arbitriumque omnium rerum illi

Nel principato, dunque, la manifestazione del consensuspare assumere una peculiare valenza nell’ordinamento del se-nato 214: si tratta di casi in cui si verifica la decisione, ma il ri-sultato della stessa non assume la forma di un senatusconsul-tum per diversi motivi, che possono consistere nell’oggetto(come si è visto nei casi costituzionalmente più rilevanti), per-ché il senato non delibera per non mostrarsi come soggetto dacui direttamente promana una posizione istituzionale del prin-ceps (che invece viene riconosciuta da un consensus che è ap-provazione), ovvero per la prudenza dei consoli, che preferi-scono trasmettere al principe il voto informale ed attendereistruzioni. In occasioni diverse, il consensus senatus si può arti-colare (almeno nel primo principato) anche in relazione con iliussum di un magistrato maggiore (in particolare del console),com’è attestato, ad esempio, in una convocazione dei fratresArvales da parte del magister del collegio iussu consulis et exconsensu senatus per l’effettuazione di una cerimonia sacrifi-cale ob securitatem et salutem del principe 215. La dizione trova

112 CAPITOLO SECONDO

permissum est tanta publica laetitia, ut tribus proximis mensibus ac ne totis quidemsupra centum sexaginta milia victimarum caesa tradantur. Cfr. le importanti ri-flessioni di P. GRENADE, Essai sur les origines du Principat cit. 271 ss. Cfr. H. MAT-TINGLY, BMC. I (London 1976) 155 nr. 55, 160 nr. 88-92.

214 Cfr. Tac. ann. 13.26.1, trascritto supra 106.215 CIL. VI 2027 lin. 9 s. (cfr. 32343) del 37 d. C.; sul testo epigrafico si v. ora

J. SCHEID, Commentarii Fratrum Arvalium qui supersunt cit. 21 nr. 8. Non mi sem-bra di poter concordare sulla proposta di integrazione (non assolutamente necessa-ria dal punto di vista diplomatico) ex iussu (che rappresenta di certo un elegante bi-lanciamento stilistico di ex consensu): se è vero che tale costruzione ricorre nella lin-gua giuridica, cfr. D. 15.4.1 pr. (Ulp. 29 ad ed.), 29.2.25.11 (Ulp. 8 ad Sab.),40.12.20.2 (Ulp. 55 ad ed.), PS. 5.8, in essa mi pare che il senso si stabilizzi tenden-zialmente secondo la sfumatura significante «sulla base dell’ordine» e si utilizza nel-l’ambito del diritto privato, mentre nel caso dell’iscrizione qui in questione la tra-duzione è «per ordine», come in molti altri contesti che coinvolgono un’attività ma-gistratuale (reputo, peraltro, che nella cd. lex de imperio Vespasiani [sulla quale v. leindicazioni bibliografiche fornite infra 119 nt. 240] alla lin. 7 vi sia una scomposi-zione tra voluntas e auctoritas, rette da ex, e iussum e mandatum costruiti con l’a-blativo semplice): in particolare la dizione iussu consulis è ampiamente testimoniata– senza preposizione – nelle fonti, cfr. ad esempio Liv. 3.11.2, 3.20.3, 8.6.7, 10.14.17,41.3.3, Cic. in Cat. 1.1.2, 1.9.23 (inutile menzionare le molte, giuridiche, che por-tano – e sempre senza ex – iussu praetoris).

un parallelo piuttosto evidente (ma con riguardo al principe) inVelleio Patercolo: consentiente cum iudicio principum volun-tate senatus 216. Il documento in tal senso più rilevante è, pro-babilmente, il senatusconsultum tramandato da Frontino (deaq. 100.1), in cui la nominatio dei curatores aquarum da partedel principe è attestata avvenire ex consensu senatus: quod Q.Aelius Tubero Paulus Fabius Maximus consules verba feceruntde eis qui curatores aquarum publicarum ex consensu senatus aCaesare Augusto nominati essent ordinandis … Dal testo ilconsenso pare il punto di partenza (la base costituzionale, dicopertura), rispetto al quale Augusto provvede alla nomina deifunzionari ‘straordinari’ (tenendo presente la costituzione re-pubblicana) 217. Anche l’ordine equestre ed il popolo romanopossono richiedere l’assenso senatorio: consentiente senatu (adesempio) dedicano (probabilmente) una statua a Quinto Vera-nio 218 (console del 49 d. C.) 219.

Con un’aspirazione di formale legittimità (che nel sensodel rispetto della tradizione repubblicana ideologicamente in-tesa può rappresentarsi anche come volontà di legalità 220), sicollega l’importanza che i principi successori di Augusto 221 at-

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 113

216 Vell. Pat. 2.115.3. Il caso è relativo al riconoscimento degli ornamentatriumphalia a M. Emilio Lepido (cos. 6 d. C.) per la conduzione del bellum Illyri-cum dell’8 d. C. (cfr. R. SYME, L’aristocrazia augustea cit. 196).

217 Il provvedimento senatorio risale, com’è noto, all’11 a. C.; sull’«accordo»tra Augusto ed il senato cfr. F. DE MARTINO, Storia della costituzione2 IV/1 cit. 660.Per Frontino il consensus sembra corrispondere all’auctoritas, si v. de aq. 104.2.

218 Cfr. A. E. GORDON, Quintus Veranius, consul A. D. 49, in Univ. Calif. Publ.in Class. Arch. 2/5 (1952) 258 ss. [=AE. 1953.251]. Sull’epigrafe ora ampiamenteG. ALFÖLDY, ad CIL. VI 41075, l’espressione che qui interessa si trova a lin. 10:[statuam posuit equester] ordo et populus Romanus consentiente senatu. Quinto Ve-ranio è ora studiato da A. TORTORIELLO, I fasti consolari di Claudio (in corso dipubblicazione) nr. 72, con completezza della documentazione relativa al consolatoed ampia trattazione storica e prosopografica.

219 Sul consenso politico del senato si v., ancora, SHA. Sev. 5.6, M. Antonin.8.9.

220 Cfr. P. DE FRANCISCI, Arcana imperii III/1 cit. 337.221 Sull’intricato problema della successione, con riguardo ad Augusto in par-

ticolare, si v. J. MIQUEL, El problema de la sucesión de Augusto cit.; M. PANI, Ten-

tribuiscono al consensus populi, che si garantiscono attraversoil giuramento annuale. Il vincolo di fedeltà dei sottoposti, in-tessuto attraverso la coniuratio, era stato prestato, a quantopare, complessivamente una sola volta ad Ottaviano, nel 32 a.C. 222, ma al principio del potere di Tiberio, Valerio MessallaMessalino propose la sua rinnovazione annuale 223, e da Cali-gola in poi fu prestato al principio di ogni anno dal senato, daimagistrati, dal popolo e dall’esercito 224. De Francisci ha bensottolineato: «certo è che questa obbligatorietà pratica del giu-ramento era in contrasto con la supposta spontaneità di talemanifestazione, spontaneità che costituiva una delle caratteri-stiche fondamentali della clientela, del comitatus: comunque

114 CAPITOLO SECONDO

denze politiche della successione al principato di Augusto (Bari 1979); più in ge-nerale, F. AMARELLI, Trasmissione rifiuto usurpazione. Vicende del potere degliimperatori romani. Lezioni3 (Napoli 1998) 27 ss., 97 ss. Tra le fonti rilevano, inmodo precipuo, Tac. hist. 1.15 e 30. Importante è l’acclamazione popolare delsenatoconsulto che proclama il nuovo imperatore, cfr. P. WILLEMS, Le droit publicromain7 éd. publ. par J. WILLEMS (Louvain 1910) 414 ss.; P. DE FRANCISCI, Arcanaimperii III/1 cit. 336 e nt. 5.

222 Secondo F. DE VISSCHER, Les pouvoirs d’Octavien [=Nouvelles études cit.21 s. nt. 52] costituirebbe il modello per il successivo giuramento prestato (senzaespressione di voto) dai Paflagoni allo stesso Augusto nel 3 a. C., dopo la sottomis-sione a Roma: V. EHRENBERG, A. H. M. JONES, Documents illustrating the Reignsof Augustus and Tiberius (Oxford 1976) 315 [una versione italiana si trova in A. H.M. JONES, Augusto. Vita di un imperatore (Roma-Bari 1983) 49 s.].

223 Tac. ann. 1.8.4. Può apparire forse singolare il fatto che la proposta pro-venga dal figlio di quel Valerio Messalla (se si accoglie l’identificazione proposta su-pra in questo paragrafo), che aveva comunicato ad Augusto il consenso universalerelativo al cognomen di pater patriae. Naturalmente, a seguire la corrente storiogra-fica che riconosce proprio in Messalino il mandatario del senato nel porgere ad Au-gusto l’appellativo, si potrebbe trattare dello stesso soggetto. Per i giuramenti al-l’imperatore postaugustei si v. P. HERRMANN, Der römische Kaisereid cit. 99 ss.

224 Sul rinnovamento annuale si v. P. HERRMANN, Der römische Kaisereid cit.107 ss. Evidentemente è significativo il fatto che risalgano all’inizio del regno diCaligola dei giuramenti imposti a comunità provinciali, che potrebbero avere comearchetipo la coniuratio del 32 a. C. (così F. DE VISSCHER, Les pouvoirs d’Octavien[=Nouvelles études cit. 21 s. nt. 52]); per i documenti si v. la apposita sezione in C.G. BRUNS, Fontes iuris Romani antiqui I7. Leges et negotia post curas TH. MOMM-SENI … edidit O. GRADENWITZ (Tubingae 1909) 277 ss., nrr. 101-102, poi P. HERR-MANN, o.u.c. 122 ss., cui adde quello betico edito da J. GONZÁLEZ, The first oath‘pro salute Augusti’ found in ‘Baetica’, in ZPE. 72 (1988) 113 ss.

era sempre un procedimento che permetteva agli imperatori diconsiderare la loro posizione come sostenuta dal consensus po-puli» 225.

Quella che con grande efficacia è stata definita la «dema-gogica amplitudine» 226 della formula consensus universorum ci-vium torna, dopo il riferimento (in un contesto non dissimile)agli ordines riuniti, già nella relatio di un decreto municipalepisano in occasione (nel 2 d. C.) della morte di Lucio Cesare 227

(che alquanto chiaramente in questa parte dipende da un attodel potere centrale, con tutta verisimiglianza senatorio), anchenel senatusconsultum della Tabula Siarensis 228 a proposito de-gli onori tributati a Germanico dopo la morte misteriosa, dalsenato (in relazione con la pietas di «tutti gli ordini») e, attra-verso una rilevante forma di amplificazione, nell’impero, daparte dei consoli (per mezzo di un editto), appunto con il«consenso di tutti i cittadini»:

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 115

225 P. DE FRANCISCI, Arcana imperii III/1 cit. 326. Per lo scadimento del rap-porto tra populus e princeps si v. infra 118 ss.

226 Così E. GABBA, Rileggendo le ‘res gestae divi Augusti’ cit. 226 nt. 8. Lo stu-dioso, com’è noto, indica nel dicembre del 32 la scadenza del secondo triennio deltriumvirato: E. GABBA, La data finale del secondo triumvirato, in RFIC. 98 (1970)5 ss.

227 CIL. XI 1420 lin. 9 ss. (purtroppo nel testo epigrafico, proprio dopo il ri-chiamo al consensus, a lin. 12, vi è una lacuna di ca. 6-7 linee): Cum Senatus PopuliRomani inter ceteros plurimos ac maxsimos / honores L(ucio) Caesari[[s]], AugustiCaesaris Patris Patriae Pontificis Maximi tribu / niciae potestatis XXV filio, Auguri,Consuli Designato, per / conse(n)sum omnium ordinum studio … Sul decretum (einsieme su quello in CIL. VI 1421, di cui infra 123 ss.) sono fondamentali la ri-costruzione critica ed il commento di E. GABBA, in P. E. ARIAS, E. CRISTIANI, E.GABBA, Camposanto monumentale di Pisa I. Le antichità (Pisa 1977) 83 ss., cfr. an-che A. R. MAROTTA D’AGATA, Decreta Pisana (CIL, XI, 1420-21). Edizione critica,traduzione e commento (Pisa 1980), con ampia bibliografia a p. 61 ss.

228 Com’è noto si tratta di due frammenti bronzei, che contengono una listadegli onori concessi dal senato romano a Germanico, a seguito della sua morte nel19 d. C. Per ordine dello stesso senato ne fu data ampia diffusione (v. subito infranel testo le lin. 24-27): è stata rinvenuta la copia esposta a Siarum (presso Gades),municipio di cittadini romani della provincia Betica; cfr. J. GONZÁLEZ, ‘Tabula Sia-rensis’, ‘Fortunales Siarenses’ et ‘Municipia Civium Romanorum’, in ZPE. 55 (1984)55 ss.

Tab. Siar. II col. b 21-27. Item senatum velle atqueaequ<u>m censere, quo facilius pietas omnium ordinumerga domum Augustam et consensu universorum civiummemoria honoranda Germanici Caesaris appareret, uticon<n>s(ules) hoc s(enatus) c(onsultum) cum edicto suoproponerent iuberentque mag(istratus) et legatos munici-piorum et coloniarum descriptum mittere in municipia etcolonias et in eas colonias quae essent in <p>rovinciis, eosquoque qui in provinciis praeessent recte atque ordine fac-turos si hoc s(enatus) c(onsultum) dedissent operam utquam celeberrumo loco figeretur 229.

L’attestazione della Tabula Siarensis, che chiaramente re-plica quello che proprio a partire dalle Res gestae (o comunquedall’appropriazione politica, anche precedente, che ne dovéfare Augusto) era diventato un supporto ideologico del prin-cipato 230, mi sembra ancora una volta attestare l’importanzapolitica del consensus universorum (in questo caso la speci-ficazione della cittadinanza è esplicitata: civium 231), piutto-

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229 Per le particolarità sintattiche di una lettura insicura (consensus al nomina-tivo, all’ablativo o all’accusativo? Per la scelta dell’ablativo, pur non certissima, si v.infra 117) e della conseguente interpretazione, cfr. J. GONZÁLEZ, F. FERNÁNDEZ,‘Tabula Siarensis’, in Iura 32 (1982) 26; e spec. W. D. LEBEK, ‘Consensus universo-rum civium’. ‘Tab. Siar.’ frg. II col. b 21-27, in ZPE. 72 (1988) 235 ss.; Á. SÁNCHEZ-OSTIZ GUTIÉRREZ, ‘Tabula Siarensis’: Edición, traducción y comentario (Barañáin1999) 252 s. (con analisi critica delle diverse proposte ed altra letteratura alle ntt.537, 538). Sul possibile riferimento (in lacuna) anche al consensus senatus nel docu-mento epigrafico si v. anche il cenno di CL. NICOLET, La ‘tabula Siarensis’, la plèbeurbaine et les statues de Germanicus, in Leaders and Masses in the Roman World.Studies in Honor of Z. Yavetz ed. by I. MALKIN, Z. W. RUBINSOHN (Leiden-NewYork-Köln 1995) 121.

230 Così mi pare possano intendersi anche le monete già ricordate supra (cfr. labibliografia citata in W. TURPIN, ‘Res gestae’ 34.1 cit. 433 s. nt. 32); cfr. anche F.MILLAR, Imperial Ideology in the ‘Tabula Siarensis’, in J. GONZÁLEZ, J. ARCE (ed.),Estudios sobre la Tabula Siarensis (Madrid 1988) 11 ss., H. GALSTERER, The ‘TabulaSiarensis’ and Augustan Municipalization in Baetica, ibid. spec. 61.

231 Sarebbe interessante poter attribuire direttamente allo storico d’età augu-stea Pompeo Trogo (cfr. M. SCHANZ, C. HOSIUS, Geschichte der römischen Litera-tur bis zum Gesetzgebungswerk des Kaisers Justinian II4 [München 1935, rist. 1980]319 ss.) due luoghi nei quali, nell’epitome della sua opera confezionata da M. Giu-

sto che la sua connotazione formale e di stretto diritto pub-blico 232.

Il contesto in questione e la cronologia ci conducono adaccennare ad un importante documento epigrafico del primoprincipato di recente acquisizione agli studi. Nella sezione de-dicata al ‘ringraziamento’ alla plebe del Senatusconsultum deCnaeo Pisone patre (lin. 155) 233, infatti, compare – a significarel’accordo tra i cavalieri e la plebe stessa – la menzione del con-sensus: plebem quoq(ue) laudare senatum, quod cum equestriordine consenserit pietatemq(ue) / suam erga principem no-strum memoriamq(ue) fili eius significaverit … Da notare ilruolo guida che il senato (in quanto soggetto da cui formal-mente l’atto promana) si riserva in tale rappresentazione 234. Idue documenti epigrafici hanno un andamento comune, chepuò servire all’interpretazione del consensus: pur se in diversaposizione sintattica e logica, pietas e memoria vi ricorrono insenso coordinato, e ciò – forse – rende meno incredibile, nellaTabula Siarensis, la lettura consensu (secondo quanto pare trà-dito), all’ablativo, intendendo memoria come nominativo; ilvoto senatorio non ha dunque come oggetto il consensus, ma lapietas e l’opportunità di onorare il ricordo di Germanico, inbase al consensus di tutti i cives.

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 117

niano Giustino (M. SCHANZ, C. HOSIUS, o.u.c. 325 ss.), ricorre la locuzione con-sensu universorum (13.2.13, 15.3.16), e ciò per comprendere come la forza dell’e-spressione fosse tale da essere ben presto utilizzata anche nella descrizione di situa-zioni non romane (il primo passo si riferisce ad un’opinione di Perdicca, il secondoa Lisimaco, in quanto successore di Alessandro Magno).

232 Con riferimento alle critiche svolte supra in questo paragrafo, non si puòaccogliere l’interpreazione di W. TURPIN, ‘Res gestae’ 34.1 cit. 434: «… what theconsuls were supposed to communicate, though called a consensus of ‘all’ citizens,was in fact simply a formal vote, by the senate and by the people».

233 Cfr. W. ECK, A. CABALLOS, F. FERNÁNDEZ, Das ‘senatus consultum de Cn.Pisone patre’ (München 1996) 249 ss.; A. CABALLOS, W. ECK, F. FERNÁNDEZ, Elsenadoconsulto de Gneo Pisón padre (Sevilla 1996) 205 s.

234 Sul punto si v. W. ECK, ‘Plebs’ und ‘Princeps’ nach dem Tod des Germani-cus, in Leaders and Masses cit. 10 (cfr. anche p. 9, ove la valutazione del rapporto tragli ordini e la plebe, ivi in nt. 36 ulteriore bibliografia sul tema, secondo lo studiosotedesco sostanzialmente superata).

Eppure questo consensus populi, che ben svolge, lo si è vi-sto, il suo ruolo non secondario (almeno al livello della rap-presentazione) sotto i principi della casa giulio-claudia, abba-stanza presto scema di importanza, di fronte ad un altro con-sensus, quello dell’esercito 235. Esso si manifesta fin dalla metàdel I secolo d. C. 236, ed è particolarmente significativo il fattoche l’assunzione al principato di Nerone avvenga (almeno for-malmente) per mezzo del combinarsi dell’auctoritas patrum edel consensus militum 237. Dopo l’anno dei quattro imperatori,in cui tornano, in particolare, formule relative al consensodelle province (che mi pare possano collegarsi con quelle rile-vate per l’ultima fase della crisi repubblicana, ma anche con ilfatto che la lotta per il potere si svolge anche nei territori piùlontani dall’Urbe, dai quali partono armate per sostenere i di-versi potentati 238), non si ricorderà più, ufficialmente, la «vo-lontà unanime» del popolo, ma piuttosto il consenso deglieserciti 239. Il progressivo distacco del potere dei principi dal-

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235 Cfr., già per il principato di Nerone, Tac. ann. 12.69. Per il consensus gene-ris humani (accanto al iudicium senatus) come momento politico della legittima-zione imperiale ancora in pieno III secolo d. C. si v. SHA. Max. et Balb. 17.2.

236 Si v. P. DE FRANCISCI, Arcana imperii III/1 cit. 426. Sul ruolo politico as-sunto dall’esercito nel tardoantico si v. A. PABST, ‘Comitia imperii’. Ideelle Grund-lagen des römischen Kaisertums (Darmstadt 1997) 5.

237 Tac. ann. 13.4.1; sul punto, oltre a H. U. INSTINSKI, ‘Consensus universo-rum’ cit. 272, si v. la più ampia analisi di F. MILAZZO, Profili costituzionali del ruolodei militari nella scelta del ‘princeps’. Dalla morte di Augusto all’avvento di Vespa-siano (Napoli 1989) spec. 113 ss.

238 Sono attestate la concordia provinciarum e la concordia Hispaniarum etGalliarum (cfr. A. ALFÖLDI, Insignien und Tracht der römischen Kaiser, in Mitt.Deutsch. Arch. Inst. R. A. 50 [1935] 45), che mi pare possano trovare modelli ar-chetipici nel consensus delle province su cui supra in questo paragrafo. Tali formuleesprimono «uno degli arcana imperii di Tacito» secondo P. DE FRANCISCI, Arcanaimperii III/1 cit. 427, che commenta a proposito dei «quattro imperatori»: «la veritàè che nessuno di questi principi può vantare un carisma personale come quello sulquale poteva contare il fondatore del principato e che essi devono quindi cercare labase di fatto del loro potere nella forza degli eserciti». Otone rinverdisce il richiamoal consensus populi ac senatus (Tac. hist. 1.90.2).

239 Così P. DE FRANCISCI, Arcana imperii III/1 cit. 426. Decisive le testimo-nianze numismatiche (in generale sull’importanza delle monete per un’interpreta-zione anche politico-ideologica della storia antica si v. C. HOWGEGO, Ancient hi-

l’approvazione popolare 240 è palese: la svolta è efficacementeespressa nella sintesi (forse estrema, ma significativa) di Emilio

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 119

story from coins [London 1995] spec. 67 ss., R. WOLTERS, ‘Nummi signati’. Unter-suchungen zur römischen Münzprägung und Geldwirtschaft [München 1999] 255ss.; su qualche aspetto non secondario del suo tema se ne sarebbe potuto utilmentegiovare F. MILAZZO, Profili costituzionali del ruolo dei militari cit.): alla comparsa,nel 69 d. C. delle legende concordia praetorianorum e fides exercituum (H. MAT-TINGLY, BMC. I cit. 305 ss. nr. 61 ss., 384 ss. nr. 80 ss.), fanno seguito, infatti, conVespasiano il consensus exercituum (H. MATTINGLY, BMC. II [London 1930] 67 nr.309, 69 nr. 351a, 74 nr. 369, 85 nr. 414-416), e da Nerva in poi la concordia exerci-tuum, per Nerva: H. MATTINGLY, E. A. SYDENHAM, The Roman imperial coinage II(London 1926) 223 nr. 2 s., 224 nr. 14 s., 225 nr. 6, 227 nr. 53 ss., 69 s.; per Adrianoed Antonino Pio, in momenti significativi per la successione – rispettivamente la de-signazione dello stesso Antonino come successore e la nomina a Caesar di MarcoAurelio –, cfr. P. L. STRACK, Untersuchungen zur römischen Reichsprägung desZweiten Jahrhunderts II (Stuttgart 1933) nr. 897 tav. 17; H. MATTINGLY, E. A. SY-DENHAM, The Roman imperial coinage III (London 1930) 107 nr. 600, 113 nr. 657,115 nr. 678; sulla concordia exercituum al momento dell’usurpazione di Avidio Cas-sio: H. MATTINGLY, E. A. SYDENHAM, o.u.c. 302 nr. 1123 ss. (cfr. p. 207). Una siapur veloce disamina delle monete si trova in C. FOSS, Roman historical coins (Lon-don 1990), ove più precisi riferimenti alle fonti: rivolta di Vindice: concordia Hispa-niarum et Galliarum (p. 70 nr. 12); concordia provinciarum (p. 71 nr. 25); fides exer-cituum e concordia praetorianorum (p. 71 nr. 24); fides praetorianorum (p. 71 nr.26). Galba: concordia provinciarum (p. 73 nr. 4). Vitellio: consensus exercituum (p.76 nr. 1); fides exercituum (p. 76 nrr. 2a, 2b); concordia praetorianorum (p. 76 nr. 3);fides praetorianorum (p. 76 nr. 4); consensus Hispaniarum (p. 76 nr. 5). Vespasianoa. 69 consensus exercitus (p. 79 nr. 3); consensus exercituum (p. 79 nr. 4); a. 70 con-cordia senatui (p. 81 nr. 24). Nerva a. 96 concordia exercituum (p. 95 nr. 4, 4b).Traiano a. 98 fides exercit. (p. 99 nr. 3). Commodo a. 185-186 fid. exerc. (p. 154 nr.45); a. 186 fidei coh. (p. 155 nr. 52); a. 190 fides cohortium (p. 156 nr. 66). Didio Giu-liano a. 193 concord. milit. (p. 160 nr. 2). Gallieno a. 262 fidei praet. (p. 225 nr. 43a,43b); fidei leg. (p. 225 nr. 44); fidei equitum (p. 225 nr. 45); fides exerc. VIII (p. 225nr. 47). Aureolo a. 267-268 concordia equitum (p. 229 nr. 1, cfr. nrr. 2, 3, 4). Mariusa. 269 concordia militum (p. 234 nr. 1). Massimiano a. 285 fides militum (p. 255 nr.1). Come si può facilmente notare, i riferimenti più espliciti al consensus si trovanoraggruppati nel 69, e tre su quattro sono riferibili ad entità militari (sempre l’eser-cito, ma due volte al plurale, una al singolare); l’altro cenno è «provinciale», inse-rendosi perfettamente in una tendenza pure tipica di quegli anni, con la menzionedelle Hispaniae. Sull’importanza del motivo della concordia nella numismatica dellaprima età imperiale si v. J. BÉRANGER, ‘Principatus’ cit. 367 ss.

240 Dovrebbero entrare nella discussione da una parte il ruolo, ormai comple-tamente fossilizzato, della lex de imperio, dall’altra le forme della politica attraversole quali i principi ottengono il consenso della plebe romana, ma questa non è la sedeper trattare tali vaste questioni; sulla cd. lex de imperio Vespasiani, per un’oppor-

Betti, che discuteva della genesi storica e teorica del principato:«l’esercito è il nuovo popolo» 241. Anche rispetto al consensodegli eserciti 242 si possono rintracciare radici nella crisi dellarepubblica 243, quando le truppe professionalizzate dei vari ca-piparte acquisirono rilevante influenza politica 244. Ed insiemeprende piede l’idea di un consensus deorum, che legittimerebbeper così dire dall’alto il titolare della suprema carica 245. Se ne

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tuna introduzione ai problemi, si v., comunque, M. H. CRAWFORD (ed.), RomanStatutes I (London 1996) 549 ss. (bibliografia a p. 549, testo a p. 552); da ultimo (siapure da una prospettiva particolare, e con il dubbio non infondato relativo alla le-gittimità della denominazione comunemente accettata del documento epigrafico,come già, del resto, M. A. LEVI, La legge dell’iscrizione CIL VI, 930 [Lex de pote-state Vespasiani], in Ath. 16 [1958] 85 ss.=Il tribunato della plebe ed altri scritti suistituzioni pubbliche romane [Milano 1978] 209 ss.), si v. G. PURPURA, Sulla tavolaperduta della ‘lex de auctoritate Vespasiani’, in Min. Ep. et Pap. 2/2 (1999) 261 ss.(ove, nelle note, altra letteratura).

241 Il carattere giuridico del principato di Augusto (Città di Castello 1915) 44[=La crisi della repubblica e la genesi del principato a Roma a c. di G. CRIFÒ (Ro-mae 1982) 576].

242 Riferimenti alle fonti in J. BÉRANGER, Recherches cit. 155 ntt. 106-111.243 Indicativi ad esempio Eutrop. 10.17.1. Post hunc Iovianus, qui tunc do-

mesticus militabat, ad obtinendum imperium consensu exercitus lectus est, commen-datione patris militibus quam sua notior; SHA. Aurelian. 17.5. … consensu omniumlegionum factus est imperator. L. WICKERT, s.v. «Princeps» cit. 63 ss. (cfr. anche ID.,Neue Forschungen zum römischen Principat, in ANRW. II/1 [Berlin-New York1974] 71).

244 Sempre istruttiva la lettura delle Philippicae ciceroniane, v., in particolare,3.3.7, 9.21, 15.38.

245 Tra la vasta letteratura sul tema si v. E. GABBA, Il declino della milizia cit-tadina e l’arruolamento dei proletari, in Storia di Roma dir. A. SCHIAVONE II/1 cit.691 ss. (con bibliografia in ntt. 2-3), poi: H. BOTERMANN, Die Soldaten und dierömischen Politik in der Zeit vom Caesars Tod bis zur Begründung des zweitenTriumvirats (München 1968); H. AIGNER, Die Soldaten als Machtfaktor in der aus-gehenden römischen Republik (Innsbruck 1974), N. ROULAND, Armées personelleset rélations clièntelaires au dernier siècle de la République, in Labeo 25 (1979) 16 ss.,L. DE BLOIS, The Roman Army and Politics in the First Century B.C. (Amsterdam1987), e soprattutto gli studi (consapevoli della prospettiva giuridica) di V. GIUFFRÈ,Aspetti costituzionali del potere dei militari nella tarda ‘res publica’ (Napoli 1973)[con il titolo Militari e potere nella tarda ‘respublica’, in Letture e ricerche sulla ‘resmilitaris’ I (Napoli 1996) 109 ss.], Un elemento nella crisi del sistema, in AA.VV., Larivoluzione romana. Inchiesta tra gli antichisti (Napoli 1982) 142 ss. [con il titolo Imilitari come elemento della ‘crisi del sistema repubblicano’, in Letture e ricerche Icit. 197 ss.].

hanno attestazioni in una serie cronologica che parte da Tibe-rio e giunge fino a Diocleziano 246.

Nel principato risulta l’uso di consensus, naturalmente, an-che per indicare il (più o meno mero) favore politico. Tipica ladizione tacitiana omnium consensu capax imperii, che però – aproposito di Galba – si rinviene in un contesto in fondo nonfavorevole al personaggio 247. Significativi due elementi chepossono trarsi da fonti relative al potere di Claudio: se da unaparte il principe si rappresenta come sottoposto al generaleconsenso come semplice cittadino (ma vi è, nel testo tacitiano,un riferimento essenziale ai poteri costituzionali di popolo esenato 248), dall’altra il consensus diffuso può procurare altis-

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 121

246 In tal senso è significativo lo slancio di Val. Max. 1 praef. Te igitur huiccoepto, penes quem hominum deorumque consensus maris ac terrae regimen esse vo-luit, certissima salus patriae, Caesar, invoco, cuius caelesti providentia virtutes, dequibus dicturus sum, benignissime fouentur, vitia severissime vindicantur: nam siprisci oratores ab Iove optimo maximo bene orsi sunt, si excellentissimi vates a nu-mine aliquo principia traxerunt, mea parvitas eo iustius ad favorem tuum decucur-rerit, quo cetera divinitas opinione colligitur, tua praesenti fide paterno avitoque si-deri par videtur, quorum eximio fulgore multum caerimoniis nostris inclitae clarita-tis accessit: reliquos enim deos accepimus, Caesares dedimus. Rilevante anche laautolegittimazione di Galba al principato (enunciata nel corso del discorso d’inve-stitura a favore di Pisone, Tac. hist. 1.15.1: nunc me deorum hominumque consensuad imperium vocatum, da leggere insieme a hist. 1.30.5, in cui torna il consensocome motivo di legittimazione, per Galba e – di conseguenza – anche per Pisone);cfr. P. DE FRANCISCI, Arcana imperii III/1 cit. 426 nt. 2; A. DEMANDT, Der Ideal-staat cit. 290; J. BÉRANGER, ‘Principatus’ cit. 178. Sul «consenso degli dei e degli uo-mini» si v. anche P. DUFRAIGNE, Adventus Augusti, adventus Christi. Recherche surl’exploitation idéologique et littéraire d’un cérémoniel dans l’antiquité tardive (Paris1994) spec. 170 nt. 103. Ricostruisce il consenso degli dei come corollario di quellouniversorum J. BÉRANGER, Recherches sur l’aspect idéologique du Principat (Basel1953) 154 ss., ID., ‘Principatus’ cit. 178 s., cfr. F. AMARELLI, Trasmissione rifiutousurpazione3 cit. 115.

247 Hist. 1.49.4. Dum vigebat aetas, militari laude apud Germanias floruit; proconsule Africam moderate, iam senior citeriorem Hispaniam pari iustitia continuit,maior privato visus, dum privatus fuit, et omnium consensu capax imperii, nisi im-perasset. Il tema del ‘capax imperii’ è stato «reso immortale» da Tacito proprio conriguardo a Galba, secondo la felice espressione di R. SYME, Marcus Lepidus, ‘capaximperii’, in JRS. 45 (1955) 22 [=Ten Studies in Tacitus (Oxford 1970) 30]; cfr. ID.,L’aristocrazia augustea cit. 196 ss.

248 Si tratta della preparazione al senatusconsultum che consentì le nozze di

simo rango ad un liberto imperiale, nella specie il greco Polibio(ma il contesto consolatorio di Seneca – come si sa – è di ec-cessiva adulazione) 249. La posizione dei grandi sembra poterdipendere dal favore dei piccoli: excellens potentia per mino-rum consensum ministeriumque constat 250.

Con Diocleziano, in forza del fondamento del potere im-periale sull’esercito e su di un rinnovato (dal punto di vistaideologico) consensus universorum (e del contestuale tentativodi dare un «fondamento legale alla sua situazione») si verificauna sorta di «ritorno alle origini del principato» (e dunque an-che la «fine» dello stesso come «costituzione» stabilizzatasiproprio a partire dal lungo ‘regno’ di Augusto 251). Ed infattinel tardoantico si torna a incentrare l’ideologia del potere suforme acclamatorie 252.

122 CAPITOLO SECONDO

Claudio con Agrippina: Tac. ann. 12.5.2. Percunctatusque Caesarem, an iussis po-puli, an auctoritati senatus cederet, ubi ille unum se civium et consensui imparemrespondit, opperiri intra Palatium iubet. Il protagonista dell’operazione fu, com’ènoto, Vitellio; cfr. E. VOLTERRA, s.v. «Senatus consulta», in NNDI. XVI (Torino1969) 1068 [=Scritti giuridici V. Le fonti (Napoli 1993) 261 s.].

249 Sen. dial. 11.6.1. Magnam tibi personam hominum consensus imposuit: haectibi tuenda est. Notizie essenziali su Caio Giulio Polibio, sul tono adulatorio dellaconsolatio a lui dedicata in occasione della morte di un suo fratello (in particolare ilconsensus hominum è smentito da Cass. Dio 60.29.3), da Seneca (che poi ‘ripudiò’lo scritto), si trovano nella Premessa all’opera, di G. VIANSINO, in Seneca, DialoghiII (Milano 1993) 345 ss., cfr. anche il commento ad 6.1 (a p. 775).

250 Sen. de ben. 5.4.3; cfr. P. GRENADE, Essai sur les origines du Principatcit. 254.

251 In tal senso, con profondità di analisi, si v. P. DE FRANCISCI, Arcana impe-rii III/1 cit. spec. 375 (da cui sono tratte le citazioni tra virgolette).

252 Cfr. almeno TH. KLAUSER, s.v. «Akklamation», in RAC. I (Stuttgart 1950)spec. 221 ss.; J. BURIAN, Die kaiserliche Akklamation in der Spätantike. Ein Beitragzur Untersuchung der Historia Augusta, in Eirene 17 (1980) 17 ss.; C. ROUECHÉ,Acclamations in the later Roman Empire: new evidence from Aphrodisias, in JRS. 74(1984) 181 ss., ora importanti valutazioni si trovano in V. MAROTTA, Liturgia delpotere. Documenti di nomina e cerimonie di investitura fra principato e tardo im-pero romano, in Ostraka 8/1 (1999) spec. 192 ss., 196 ss. (con ampi richiami allefonti e ad ulteriore bibliografia); più in generale si v. anche A. PABST, ‘Comitia im-perii’ cit. passim. Sul rapporto, nel tardoantico, tra adventus dell’imperatore in unadeterminata comunità cittadina e ideologia del consensus universorum si v. S. G.MACCORMACK, Art and Ceremony in Late Antiquity (Berkeley-Los Angeles 1981)

Ancora del principato alcune notizie relative alle realtàmunicipali. È frequente che i decreti decurionali siano accom-pagnati (o preceduti) dal consensus populi 253: si tratta di casi incui l’ordo delibera in presenza di un assenso popolare (manife-stato in via informale). Particolarmente interessante un caso– cui si è già fatto cenno 254 – che si potrebbe definire di sup-plenza istituzionale delle competenze dei magistrati cittadiniattraverso il consensus omnium ordinum 255: la locuzione ri-corre in un decreto pisano d’età augustea, in qualche modo ac-comunabile (anche oltre la provenienza geografica) con quello,già brevemente considerato, relativo agli onori funebri per Lu-cio Cesare 256. Si tratta infatti di un’iscrizione dettata, nella co-lonia di Pisa, in onore del figlio adottivo di Augusto Gaio Ce-sare, in occasione della sua morte repentina nel 4 d. C. Se pro-babilmente non manca un riferimento al consensus che si trovanell’epigrafe più antica per Lucio, che contiene il richiamo alconsenso omnium ordinum, con riguardo ad un contesto ro-mano centrale ed appare in qualche modo rituale (nell’ambitodell’ideologia augustea), in quella più recente, invece, lo stessotermine consensus assume valore diverso (ovvero di proiezioneideologica in una realtà municipale), in quanto nel momento in

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 123

18; E. W. MERTEN, Zwei Herrscherfeste in der Historia Augusta. Untersuchungenzu den ‘Pompae’ der Kaiser Gallienus und Aurelianus (Bonn 1968) 53, ed ora, piùdiffusamente, J. LEHNEN, ‘Adventus principis’. Untersuchungen zu Sinngehalt undZeremoniell der Kaiserankunft in den Städten des ‘Imperium Romanum’ (Frankfurtam Main-Berlin-Bern-New York-Paris-Wien 1997) 280 ss., che rifiuta l’imposta-zione ‘informalistica’ proposta da L. WICKERT, s.v. «Princeps» cit. 2265, mettendoin relazione diverse forme simboliche e rituali di (approvazione e) sottomissione al-l’imperatore che si costituivano attraverso un «feste Zeremoniell».

253 Il riferimento è in tal caso ai municipes di ciascuna comunità; sul punto, ingenerale, si v. E. DE RUGGIERO, s.v. «Consensus» cit. 605.

254 Cfr. supra 115 nt. 227.255 CIL. XI 1421 lin. 17 ss. … ob eas res universi decu/rio[ne]s colonique … in-

ter sese consenserunt, 52 s. … facta acta con/sti[tuta] sunt per consensum omniumordinum … Sull’ordinamento municipale di Pisae (Colonia Opsequens Iulia Pisana)in età augustea si v. L. BANTI, s.v. «Pisae», in PWRE. XX/2 (Stuttgart 1950) 1770.Sulle epigrafi pisane, da ultimo, G. ROWE, Princeps and Political Cultures. The NewTiberian Senatorial Decrees (Ann Arbor 2002) 102 ss.

256 Cfr. supra 115.

cui giunge nella comunità locale la notizia della scomparsa delfiglio (adottivo) del princeps, la situazione politica della coloniaè di vacanza istituzionale a causa della mancata elezione deiduoviri 257. Dopo un consentire inter sese di decurioni e coloni,gli ordini, comunque, deliberano quello che non riescono aqualificare che come consensus: le risoluzioni onorifiche, purmanifestando esplicitamente la volontà della comunità pisana,non hanno immediato valore giuridico. Naturalmente, però,vengono registrate. Ed infatti, nel terzo paragrafo del docu-mento (lin. 38-47) si invitano i nuovi duoviri, non appenaeletti, a sottoporre ai decurioni le deliberazioni già prese «se-condo il consenso di tutti», perché acquisiscano regolare for-malità e dunque piena giuridicità (a lin. 48 ss., poi, si trova lanotizia della successiva completa ricezione ufficiale, da partedei decurioni, di tutto quanto contenuto nel consensus).

Più comune (sempre in ambiente municipale) il riferi-mento al consenso (nelle diverse forme sostantivate – consen-sus e consensio – e verbale, consentio) in casi di onori tributatidai decurioni a patroni ovvero a concittadini eminenti 258: tal-

124 CAPITOLO SECONDO

257 Evidentemente non sussisteva un interesse immediato del governo centralead intervenire, interferendo nell’autonomia amministrativa della colonia pisana; intal senso cfr. G. TIBILETTI, Italia Augustea, in Mélanges d’archéologie, d’épigraphieet d’histoire offerts à J. Carcopino (Paris 1966) 917 ss., seguito da E. GABBA, inCamposanto cit. 95.

258 Cfr. la raccolta di R. K. SHERK, The Municipal Decrees of The Roman West(Buffalo 1970) p. 20 nr. 1 Tergeste, Antonino Pio, CIL. V 532 [=ILS. 6680=IIt.X/4 31] decreto per l’erezione di una statua in onore di L. Fabius Severus: … in ce-leberrima fori nostri part[e] poni et [in] / 62. basi eius hanc nostram consensionema[t]que h[oc] / decretum inscribi, uti ad posteros nostros tam vol[tus] / amplissimiviri quam facta permaneant …; p. 27 nr. 20 Peltuinum?, 242 d. C., CIL. IX 3429[=ILS. 6110] decreto che stabilisce che una anonima sacerdotessa di Venus Felixfosse fatta patrona di Peltuinum: … ut / 10. merito debeat ex consensu universorumpatrona paefecturae / nostrae fieri …; in una prospettiva ormai tardoantica: p. 28 s.nr. 21 Amiternum, 325 d. C. AE. 1937.119 [v. ora S. SEGENNI, in Suppl. It. n.s. IX(Roma 1992) nr. 84, p. 85 ss., con bibliografia], viene nominato patrono C. SalliusPompeianus Sofronius, sulla carica i senatori relatores richiedono il consenso dellacomunità: … quod aetiam vestrum / 8. consensum accere fidi sumus … 26. Ergo me-rito consen/<se>tiri nos et C. Sallium Pompeianum patronum perficiamus …; p. 47nr. 51 Caere, 113 d. C., CIL. XI 3614 [=ILS. 5918a=FIRA. III nr. 113, p. 363 ss.]

volta si ha anche in queste realtà l’eco (più o meno precisa) delconsensus universorum 259. Un esempio che può servire alladescrizione di tali manifestazioni di assenso rispetto ad un sog-getto benemerito è costituito da un’iscrizione onoraria di Li-berum Singili (municipio della provincia Betica) 260, in cuirisultano gli omaggi che municipes e incolae 261 offrirono, nel109 d. C. 262, a Marco Valerio Proculino, già duumvir di quellacomunità: dopo l’elencazione delle benemerenze dell’onoratosi ricorda che (lin. 15 ss.): … huic cives et incolae pr(idie)k(alendas) Ianuarias / abeunti e IIviratu ob rem publicam /bene administratam consensu omnium / in foro publice gra-

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 125

... ubi ex / 13. consensu decurionum locus ei quem desideraverat datus est … Gra-tiae huic actae sunt ab universis, placuit tamen tibi / 18. scribi, an in hoc quoque ettu consensurus esses … 19. Ego non tantum consentire voluntati vestrae set et gratu-lari debeo …, si tratta di una concessione di luogo pubblico da parte dell’ordo de-curionum ad un privato (liberto imperiale) al fine di farlo ornare per gli Augustali,cfr. L. WENGER, Die Quellen cit. 390 ss., G. CAMODECA, Ricerche sui ‘curatores reipublicae’, in ANRW. II/13 (Berlin-New York 1980) 488 s., ID., Un nuovo decretodecurionale puteolano con concessione di ‘superficies’ agli Augustali e le entrate cit-tadine da ‘solarium’, in Il capitolo delle entrate nelle finanze municipali in occidenteed in oriente. Actes de la Xe Rencontre franco-italienne sur l’épigraphie du monderomain Rome 27-29 mai 1996 (Rome 1999) 21 (con altra bibliografia ibid. in nt. 64);p. 49 nr. 53 Tuficum, 141 d. C., CIL. XI 5694 [=ILS. 2666a] decreto di erezione diuna statua per un centurione: 18. … placere universis consensu plebis; p. 57 nr. 65Lepcis Magna, III sec. d. C., IRomTrip. nr. 601, viene eretta una biga in onore delduoviro Plautius Lupus, a spese pubbliche: 5. … cum flammonium consensu … Perquanto riguarda la corrispondenza in lingua greca si v., ad esempio, E. MIRANDA,Iscrizioni greche d’Italia. Napoli I (Roma 1990) nr. 85 lin. 7 (p. 126) [=IG. XIV760], ove il verbo utilizzato è oJmologevw (cfr. supra 14 nt. 53, 92 nt. 149).

259 Si v., nella nota precedente, i riferimenti a CIL. IX 3429 [=ILS. 6110]; CIL.XI 3614 [=ILS. 5918a=FIRA. III nr. 113]; CIL. XI 5694 [=ILS. 2666a].

260 AE. 1989.420 (p. 128).261 L’accostamento di quelle che sono categorie di soggetti diverse dal punto di

vista del diritto pubblico (cfr. ad esempio Lex mun. Malac. 53, FIRA. I2 nr. 24p. 210, su cui, per tutti, TH. SPITZL, ‘Lex Municipi malacitani’ [München 1984] 40ss.), mi sembra confermare il dato del valore politico più che giuridico di questotipo di consensus.

262 Alla fine dell’anno, uscendo Valerio dalla carica. La data risulta dalla men-zione dei consoli a lin. 23 s.: A(ulo) Cornelio Palma Frontiano (sic!) II / P(ublio)Calvisio Tullo co(n)s(ulibus); Frontianus sta per Frontonianus cfr. A. DEGRASSI, I fa-sti consolari dell’impero romano dal 30 avanti Cristo al 613 dopo Cristo (Roma1952) 32.

tiam egerunt et / hostias quas inmolaret item / statuam ex aereconlato dederunt / ordo decreto locum eligere permisit.

Anche nella realtà urbana del principato risulta un ruolodel consenso politico. Rileva in particolare un’iscrizione 263

nella quale Cn. Ussaeus Cn. f. Proculus è curione della tribùPollia [per] consensum tribulim continuis annis duobus.

Un uso particolare della terminologia consentire, poi, èemerso con il ritrovamento epigrafico dello statuto di Irni,municipio latino della provincia Baetica 264. Consentire vi è in-fatti utilizzato con riferimento alla presenza ed al voto dei de-curioni, nel caso in cui si dovesse raggiungere la maggioranzaqualificata dei 2/3 265: exque iis qui adessent non / minus quamduae tertiae partes consentirent. Il contesto è quello della vota-zione ed emanazione dei decreti decurionali (la relativa termi-nologia è, dunque, generalmente, censere 266): con riferimentoal quorum necessario per la validità delle delibere la regolasembra essere quella della maggioranza semplice dei decurionipresenti, ma non mancano fattispecie per le quali si richiedeuna maggioranza qualificata 267. Anche in questo caso la termi-nologia preferita è censere 268, tranne nel testo citato, che ap-

126 CAPITOLO SECONDO

263 CIL. VI 33994 lin. 3 ss.; cfr. CL. NICOLET, La ‘tabula Siarensis’ cit. 123.264 Sulla cd. lex Irnitana (la sua natura, i suoi contenuti) la bibliografia è ormai

vastissima; basti, in questa sede, il rinvio a F. LAMBERTI, ‘Tabulae Irnitanae’. Muni-cipalità e ‘ius Romanorum’ (Napoli 1993) con letteratura generale in nt. 1 a p. 1 e innt. 6 a p. 2; EAD., La «maggiore età» della ‘Lex Irnitana’. Un bilancio di diciottoanni di studi, in Min. Ep. et Pap. 3.4 (2000) 237 ss. (a p. 248 ss. riferimenti biblio-grafici; a p. 256 si corregga il luogo di ed. del contributo di R. DOMINGO: SDHI. 55[1989]).

265 Lex Irn. 83 lin. 38 s. [F. LAMBERTI ‘Tabulae Irnitanae’ cit. 346].266 Con aperto richiamo al linguaggio tecnico in uso in primo luogo nel senato

di Roma.267 Il caso in questione è significativo, perché è necessaria una doppia qualifi-

cazione speciale rispetto alle regole normalmente vigenti nel municipio: presenza dialmeno 3/4 (lin. 36 s.) di decurioni e coscritti, voto favorevole di almeno 2/3 deipresenti. Il che si giustifica guardando all’oggetto del decreto, che è quello dell’ob-bligo di munitio da parte di municipes e incolae (cfr. anche le limitazioni all’esten-sione dei poteri decretali a lin. 39 ss.). Sul punto si v. R. MENTXAKA, El senado mu-nicipal en la Bética hispana a la luz de la ‘lex Irnitana’ (Vitoria 1993) 140 s.

268 Che ricorre in Lex Irn. 42 lin. 40, 45 lin. 30, 72 lin. 11; nel primo caso la

pare dunque un’eccezione (fosse anche solo una mera variatioterminologica).

4. Il consenso gentilizio. – Un dato che proviene dall’anticodiritto gentilizio mi sembra porsi a mezzo tra il significato«costituzionale» di consensus ed il ruolo che questa terminolo-gia assume nell’ambito della teoria delle fonti, a quanto parefin dalla fine dell’età repubblicana 269. Si tratta di una attesta-zione relativa all’ordinamento intragentilizio della gens Clau-dia, che si inserisce nel problema della vigenza di iura partico-lari, propri delle singole organizzazioni familiari, che convivo-no con il diritto condiviso da tutti i cives 270. La testimonianzasvetoniana riporta la notizia del ripudio del prenome Lucius,per essere stato ignominiosamente portato da due membridella gens 271:

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 127

maggioranza richiesta è dei 3/4, negli altri due (come pure in quello a 83 lin. 39) èdei 2/3; cfr. F. LAMBERTI, ‘Tabulae Irnitanae’ cit. 41 ss., spec. 43 con ntt. 90-91.

269 Si v. infra 129 ss.270 Per un inquadramento generale del problema, si v. G. FRANCIOSI, Clan

gentilizio e strutture monogamiche. Contributo alla storia della famiglia romana 5

(Napoli 1995) 336 ss., che distingue tra norme a formazione consuetudinaria (mo-res) e pratica di provvedimenti autoritativi (decreta). Cfr. anche L. CAPOGROSSI CO-LOGNESI, Proprietà e signoria in Roma antica (Roma 1992) 141 ss.; ID., Les ‘moresgentium’ et la formation consuetudinaire du droit romain archaïque (7e-4e s. avantJ.-C.), in La coutume - Custom I (Bruxelles 1990) 79 ss.

271 L’uso di vietare nomi ignominiosi nelle gentes patrizie è attestato in via ge-nerale da Gell. 9.2.11. ‘ … Simili autem’ inquit ‘exemplo ex contraria specie antiquosRomanorum audio praenomina patriciorum quorundam male de republica merito-rum et ob eam causam capite damnatorum censuisse, ne cui eiusdem gentis patricioinderentur, ut vocabula quoque eorum defamata atque demortua cum ipsis videren-tur’. La testimonianza è di Erode Attico, che la comparava (cfr. § 10), con esempiosimile, ma per contrasto, con il decretum publicum ateniese che vietava di imporreagli schiavi i nomi degli eroi della libertà Armodio e Aristogitone. L’uso di censerepuò far pensare che nella fonte di Gellio la decisione fosse del senato. L’altro casonoto (oltre a quello della gens Claudia) è relativo a Marco Manlio Capitolino (il di-fensore del Campidoglio contro i Galli): diverse fonti attestano il divieto da partedella gens Manlia del prenome a seguito della adfectatio regni (cfr. Gell. 17.21.24)del personaggio (si v. Cic. Phil. 1.13.32, Liv. 6.20.14, Quintil. inst. or. 3.7.20, Fest.-Paul. s.vv. «M. Manlium» [112 L.], «Manliae gentis» [135 L.]).

Suet. Tib. 1.2. Cum praenominibus cognominibusque va-riis distingueretur, Luci praenomen consensu repudiavit,postquam e duobus gentilibus praeditis eo alter latrocinii,caedis alter convictus est …

Il fondamento normativo della regola da applicare ai gen-tili appare fondato sul consensus. Il passo ha interessato i ro-manisti per l’inquadramento delle fonti di produzione degliordinamenti gentilizi: se Mommsen era scettico sul valore pro-priamente giuridico delle decisioni collettive delle gentes, econsiderava l’uso di consensus come «technische Form für dierechtliche unverbindliche Meinung» (richiamandosi esplicita-mente al consensus universorum di Res gestae 34) 272, Volterra 273,reputando pienamente obbliganti tali «decisioni e risoluzioni»(pur se fissate esclusivamente nell’ambito intragentilizio) 274,svalutava la terminologia propria della testimonianza di Sve-tonio, preferendo come termine tecnico decretum (gentis). Mipare interessante che il soggetto di repudiavit sia la gens, al sin-golare: se dobbiamo pensare ad un atto, il consensus (si deveintendere dei gentiles) appare come presupposto politico delprovvedimento che manifesta la decisione e che (solo) esprimela regola, ma si può ipotizzare anche che il biografo (o la suafonte) descrivesse il caso per così dire ‘personalizzandolo’, edallora proprio consensus sarebbe terminologia che svela la na-tura fattuale, consuetudinaria della ‘norma’: i gentili, disgustatidal comportamento indegno dei due Lucii, determinano con il

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272 Cfr. Römisches Staatsrecht III/1 cit. 18 e nt. 3. MOMMSEN è seguito, sulpunto, da B. KÜBLER, s.v. «Gens», in PWRE. VII (Stuttgart 1912) 1183 (ove il ri-chiamo a D. 38.3.1.1 [Ulp. 49 ad ed.] e a D. 41.2.1.22 [Paul 54 ad ed.], su cui infra163 nt. 9).

273 Sui ‘mores’ della ‘familia’ romana, in Rend. mor. Lincei ser. VIII 4/11-12(1949) 527 s. [=Scritti giuridici II. Famiglia e successioni (Napoli 1991) 190 s.]

274 Per un elenco delle fonti che si riferiscono a tale esperienza, con un tenta-tivo di critica storiografica si v. L. MINIERI, ‘Mores’ e ‘decreta gentilicia’, in Ricer-che sulla organizzazione gentilizia romana a c. di G. FRANCIOSI III (Napoli 1995)123 ss. Con riferimento al consensus lo studioso dapprima dichiara la testimonianza«molto interessante», in quanto allusiva alle «modalità con cui veniva presa la deci-sione di ripudio del praenomen» (p. 158), poi, discutendo delle diverse interpreta-

loro non dare il prenome ai discendenti un comportamentoche ripetuto da tutti nel tempo (e considerato obbligante peruna sorta di allontanamento del ricordo dei soggetti indegni),con la consapevolezza di una ragione profonda e condivisa datutti i gentili, non consiste in un decretum, ma piuttosto vieneconsiderato come un mos di quel gruppo familiare. L’idea,dunque, della gens che ripudia quel segno di individuazionepersonale potrebbe porsi al livello della mera rappresentazionedel costume e non come fonte di un singolo fatto storicamenteavvenuto 275.

5. Il ruolo del «consensus» nella teoria delle fonti. – Si è ac-cennato più sopra 276 ad una connotazione giuridica già varro-niana del termine consensus 277. Essa ci conduce (per quante dif-ficoltà possano esservi ad una visione propriamente storica,con riferimento all’esperienza romana, di tale problema giuri-

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 129

zioni di Mommsen e Volterra, definisce la questione «una mera disputa terminolo-gica, dal momento che non si può stabilire con certezza se tali termini siano stati fe-delmente riportati dalle fonti o siano, per così dire, frutto di un aggiornamento».

275 Il decretum, testualmente ricordato per il caso di Marco Manlio da Cic.phil. 1.13.32. Propter unius M. Manlii scelus decreto gentis Manliae neminem patri-cium Manlium Marcum vocari licet, Liv. 6.20.14. … quod gentis Manliae decretocautum est ne quis deinde M. Manlius vocaretur, Fest.-Paul. s.v. «Manliae gentis»[135 L.]. Manliae gentis patriciae decreto nemo ex ea Marcus appellatur …, ed ac-cettato come provvedimento dalla gens da parte della storiografia (cfr. supra in que-sto paragrafo) presuppone uno stadio di organizzazione «costituzionale» delgruppo familiare, che sfugge alle nostre conoscenze.

276 Si v. supra 7 s.277 E ciò senza voler entrare nel dibattuto problema sul ruolo di Varrone come

conoscitore dell’ordinamento giuridico di Roma, che non può comunque essere in-teso nel senso di esercizio dell’attività (‘professionale’) di giurista: contro A. CEN-DERELLI, Varroniana. Istituti e terminologia giuridica nelle opere di M. TerenzioVarrone (Milano 1973), si v. la dettagliata critica rec. di L. LABRUNA, in Iura 24(1973) 345 ss. [=Adminicula3 (Napoli 1995) 265 ss., con il titolo Varrone giurecon-sulto?]; Cenderelli, comunque, attribuisce attendibilità giuridica proprio a questatestimonianza varroniana (p. 119 s.), mentre è dubbioso sul frammento che rimontaa Macrob. 3.8.8; sul punto, in senso critico perché reputa i due dati coordinabili insenso giuridico, P. CERAMI, ‘Breviter’ su Iul. 1,3,32 (Riflessioni sul trinomio ‘lex’,‘mos’, consuetudo’), in Nozione ... Ricerche dedicate al prof. F. Gallo I cit. spec. 125e nt. 20.

dico 278) nell’ambito della teoria delle fonti del diritto. Attra-verso il commentario serviano all’Eneide si trova, infatti, un ri-ferimento – esplicitamente attribuito al Reatino – al mos 279 in-teso come consensus communis «di tutti coloro che abitano(nello stesso luogo) allo stesso tempo»:

Serv. in Aen. 7.601. ‘Mos erat’. Varro vult morem essecommunem consensum omnium simul habitantium 280.

130 CAPITOLO SECONDO

278 Cfr., per tutti, J. GAUDEMET, La formation du droit séculier et du droit del’Église aux IVe et Ve siècles2 (Paris 1979) 118 ss.

279 Per un primo approccio al problema storico-giuridico dei mores si v. C.GIOFFREDI, s.v. «Mores», in NNDI. X (Torino 1964) 919 ss. (ulteriore bibliografianelle note che seguono in questo paragrafo); in una prospettiva prevalentementeetico-politica si v. ora W. BLÖSEL, Die Geschichte des Begriffes ‘mos maiorum’ vonden Anfängen bis zu Cicero, in B. LINKE, M. STEMMLER, ‘Mos maiorum’. Untersu-chungen zu den Formen der Identitätsstiftung und Stabilisierung in der römischenRepublik (Stuttgart 2000) 25 ss.; non particolarmente utile la recente lunga rassegnadi L. A. MAGGIO, Los ‘mores maiorum’ como fuente de derecho, in Verba iustitiae12 (2001) 111 ss.

280 È riportato nella serie relativa a Servius [grammaticus] da C. G. BRUNS,Fontes iuris Romani antiqui II7. Scriptores post curas TH. MOMMSENI … edidit O.GRADENWITZ (Tubingae 1909) 77. In G. FUNAIOLI, GRF. I (Lipsiae 1907, rist.Roma 1964) 264, il testo si trova in apparato rispetto al frg. 232, tratto da Macrob.3.8.8. Varro de moribus morem dicit esse in iudicio animi, quem sequi debeat con-suetudo; ivi essenziali riferimenti sul de moribus dell’erudito reatino (uno dei librilogistorici?, è il frg. 74 secondo l’ed. BOLISANI, 369 per CENDERELLI, che al nr. 504,quindi senza provenienza certa, trascrive il frammento serviano, sul punto si v. lacritica di P. CERAMI, ‘Breviter’ su Iul. 1,3,32 cit. 125 nt. 20). Il riferimento virgiliano(Aen. 7.601 ss.) è al mos dell’esperienza (comune) laziale (del Lazio «esperio») del-l’apertura, in caso di guerra, della porta del tempio di Giano: Mos erat Hesperio inLatio, quem protinus urbes / Albanae coluere sacrum, nunc maxima rerum / Romacolit, cum prima movent in proelia Martem, / sive Getis inferre manu lacrimabilebellum / Hyrcanisve Arabisve parant seu tendere ad Indos / Auroramque sequiParthosque reposcere signa; sul testo virgiliano si v. F. SINI, ‘Bellum nefandum’(1991) 211 ss. (con altra letteratura), ed ora anche R. SANTORO, Sul ‘ius Papiria-num’, in Mélanges Magdelain cit. spec. 404, che mette in rilievo (in nt. 20) la diver-sità di prospettiva tra il Varrone di Macrobio, che porrebbe in evidenza l’aspetto ri-tuale del mos (corrispondente alla definizione di Fest. s.v. «Mos» [146 L.]: per il rap-porto tra la citazione nei Saturnalia di un Iulius Festus ed il testo pervenutoci delgrammatico, si v. ancora R. SANTORO, o.u.c. 404 s., spec. nt. 21 a p. 405; per la cor-rispondenza di mos a ritus: spec. 409 s. nt. 39), e quello serviano, che invece non ap-profondisce il senso corrispondente al ritus, ma si riferisce piuttosto ad una visionecomunitaristica con il riferimento al consensus omnium; nel raffronto tra i due testi,

E, probabilmente, Varrone utilizzava consensio per indi-care, in un campo scientifico che si può avvicinare per alcuniversi dell’analisi a quello dell’ordinamento giuridico, la tipolo-gia «consuetudinaria» della loquendi observatio propria dellaLatinitas: …consuetudo … ideo solum recepta, quod multorumconsensione convaluit 281.

Nelle descrizioni delle fonti (di provenienza letteraria – ecioè soprattutto retorico-filosofica –, e tecnico-giuridica), ilfondamento della forza obbligatoria del diritto che da noi mo-derni 282 si direbbe a matrice consuetudinaria è rappresentatoda una triade, il cui perno propriamente giuridico (e romano)pare essere costituito dalla vetustas, mentre il richiamo alla«volontà comune» dei consociati ed alla razionalità del com-portamento appaiono addizioni tratte da una parte da modelligreci, dall’altra, poi, da influenze della patristica cristiana 283. Lapersistenza, però, del richiamo al consensus, ed un deciso va-lore costituzionale dello stesso che mi pare possa leggersi in te-sti di provenienza giurisprudenziale, potrebbero far riartico-lare questo rapporto, con una considerazione più precisa ditale elemento.

Almeno per quel che riguarda la menzione del consensus(che qui, com’è chiaro, in primo luogo interessa), della spiega-zione varroniana da cui si è partiti si può rinvenire traccia, mipare, ancora in quella che potrebbe definirsi la «parte gene-

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in questa sede, mi sembra rilevare soprattutto il riferimento egualmente presentealla consuetudo come effetto (rispettivamente di un iudicium animi e della con-tinuità del consenso); cfr. B. ALBANESE, Quattro brevi studi, in Labeo 46 (2000)345 ss.

281 Diom. gramm. art. gramm. 2 [in H. KEIL, GL. I 439.15 ss.].282 Cfr. M. TALAMANCA, I ‘mores’ e il diritto, in Lineamenti di storia del di-

ritto romano2 cit. 29 s.283 In questo senso si v., schematicamente (ma con ampi richiami a fonti e let-

teratura), J. GAUDEMET, La formation2 cit. spec. 120 s., e cfr. già ID., Coutume etraison en droit romain. À propos de C.J. 8.52.2, in RHD. 17 (1938) 143 ss. [=Étudesde droit romain I. Sources et théorie générale du droit (Napoli 1979) 35 ss.]. Riva-luta ora «l’insistenza varroniana sull’essenzialità d’un momento soggettivo, intellet-tuale e volitivo, nella nozione di mos» B. ALBANESE, Quattro brevi studi cit. 351.

rale» dei cd. Tituli ex corpore Ulpiani 284, a seguito (quasi ascarno completamento) del più articolato (giuntoci purtroppomonco 285) discorso, svolto nella prima parte dell’operetta, sullediverse tipologie della lex con riguardo all’efficacia 286:

Tit. Ulp. princ. 4. Mores 287 sunt tacitus consensus populilonga consuetudine inveteratus 288.

132 CAPITOLO SECONDO

284 Sulla storiografia relativa a paternità e datazione dell’opera si v. il recentecontributo di F. MERCOGLIANO, ‘Tituli ex corpore Ulpiani’. Storia di un testo (Na-poli 1997) 3 ss., con le recc. di H. L. W. NELSON, in Boll. Stud. Lat. 29 (1999) 283ss.; ID., in TR. 67 (1999) 283 ss.; G. KLINGENBERG, in Anz. f. die Altertumswiss.52/1-2 (1999) 125 ss.; G. SANTUCCI, in Arch. Giur. 219 (1999) 139 ss.; T. HONORÉ,in ZSS. 117 (2000) 525 ss.; R. SOTTY, in Latomus 59 (2000) 476 s.

285 Le principali proposte di integrazione si trovano in E. VOLTERRA, Indicedelle glosse, delle interpolazioni e delle principali ricostruzioni segnalate dalla criticanelle fonti pregiustinianee occidentali II, in RSDI. 8 (1935) 391 [=Scritti giuridici IV.Le fonti (Napoli 1993) 351]; cfr. F. C. VON SAVIGNY, Vermischte Schriften I (Berlin1850) 338 nt. 2. Sull’articolazione lex perfecta – imperfecta – minus quam perfecta èfondamentale M. KASER, Über Verbotsgesetze und verbotswidrige Geschäfte imrömischen Recht (Wien 1977) 9 ss.

286 Cfr. Tit. Ulp. princ. 1-3.287 Il manoscritto vaticano (Reginae 1128), unico testimonio, ha invero moris,

la correzione ‘mores’ è, però, in tutte le edizioni. Ampia disamina del problema pa-leografico e delle sue conseguenze giuridiche in B. SCHMIEDEL, ‘Consuetudo’ imklassischen und nachklassischen römischen Recht (Graz-Köln 1966) 54 s. (con bi-bliografia), che, prospettando la possibilità della caduta di qualche parola che reg-gesse il genitivo singolare, conclude nel senso della menzione del mos – soprattuttoin rapporto con la relativamente lunga disamina della lex ai §§ 1-3 – «als nebenbeigenanntes Entstehungsmoment des Gewohnheitsrechts, nicht aber als Bezeichnungfür das Gewohnheitsrecht selbst»; cfr., sostanzialmente concorde nei risultati, D.NÖRR, rec. [contemporaneamente anche di G. STÜHFF, Vulgarrecht im Kaiserrechtunter besonderer Berücksichtigung der Gesetzgebung Konstantins des Grossen(Weimar 1966)], in ZSS. 84 (1967) 460 nt. 16. Dalla prospettiva qui adottata rileva– comunque – il nesso tra un significante indicato con il termine mos (al nominativoplurale, ovvero al genitivo singolare) ed il tacitus consensus populi.

288 Sulla non classicità del passo si v., in particolare, FR. SCHULZ, Die ‘EpitomeUlpiani’ des Codex Vaticanus Reginae 1128 (Bonn 1926) 22 (in apparato ad loc.):«ungemein ungeschickt ausgedrückt; Gewohnheitsrecht ist nicht der consensuspopuli, sondern das, dem er zuteil wird», A. STEINWENTER, Zur Lehre vomGewohnheitsrecht, in Studi in onore di P. Bonfante II (Milano 1930) 435 (cfr. ancheID., s.v. «Mores», in PWRE. XVI/1 [Stuttgart 1933] spec. 294); G. LOMBARDI, Sul ti-tolo ‘quae sit longa consuetudo’ (8.52[53]) nel Codice giustinianeo, in SDHI. 18(1952) 78; B. SCHMIEDEL, ‘Consuetudo’ cit. 53 ss.; J. GAUDEMET, La formation2 cit.

Accanto, infatti, alla qualificazione che richiama l’inespres-sione, il ‘silenzio’ tipico dell’accordo «del popolo» (nonespresso dunque attraverso un atto normativo tipizzato, ciòche avrebbe ricondotto il discorso alla legge in senso formale)su una determinata regola giuridica 289, ed al riferimento (con-

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118 s. In E. VOLTERRA, Indice delle glosse cit. 391 [=Scritti giuridici IV cit. 351], ildubbio sulla paternità del brano (basato sulla citazione delle opinioni di Schulz eSteinwenter) è affievolito da un punto interrogativo. Oggi bisogna tenere conto dauna parte, del fatto che la storiografia più recente valuta (sia pure in generale)l’operetta ulpianea come lavoro più vicino al giurista di cui porta il nome (v. supra132 nt. 284 il riferimento agli studi di Mercogliano); dall’altra che l’uso di consue-tudo come indice di non classicità può essere rivisto riflettendo sulla definizionevarroniana (cfr. supra 8 nt. 26), che porta a confermarne il valore descrittivo del mosgià in età tardorepubblicana. Se è vero, insomma, che la fonte-fatto che assunse ilnome specifico e tecnico di consuetudo ebbe vigenza solo a partire dal principatoinoltrato e valore subordinato rispetto alle altre fonti dell’ordinamento romano (se-guo, per questa delineazione, A. GUARINO, L’ordinamento giuridico5 cit. spec. 412s.), è pure vero che il termine ha avuto anche – e fin dall’esperienza repubblicana,specie ad un livello che si direbbe atecnico, mi riferisco a scritti retorici e filosofici– un significato meramente espositivo (non analitico), che può essere stato utiliz-zato (questa volta pure dai giuristi) anche in sede di rappresentazione, ad esempio,dei mores; sulla questione si v. l’ampia analisi di L. BOVE, La consuetudine I cit. 21ss. Nei Tituli rinviene (proprio a proposito della menzione del consenso) una lineadi pensiero classica M. KASER, Zur Problematik der römischen Rechtsquellenlehre,in Festschrift für W. Flume zum 70. Geburtstag I (Köln 1978) 113 e nt. 77 [=Römi-sche Rechtsquellen und angewandte Juristenmethode. Ausgewählte ... Abhandlun-gen (Wien-Köln-Graz 1986) 27 e nt. 77], che sottolinea il «gesicherter Gemeinbe-sitz» di giuristi ed altri scrittori sui dati fondamentali del diritto consuetudinario(spec. p. 25 [=112]). Sulla mancanza di allusione tecnica nell’utilizzazione del ter-mine nei Tituli (come anche in D. 1.3.35 [Hermog. 1 epit.], su cui infra 159 s.), cfr.G. STÜHFF, Vulgarrecht im Kaiserrecht cit. 54 ss.; perplesso, sul punto, nella sua re-censione all’opera della studiosa tedesca, L. LABRUNA, Il «diritto volgare» e Co-stantino, in Labeo 15 (1969) 353 [=Adminicula2 (Napoli 1991) 294].

289 Ma anche del vivere quotidiano, da questo punto di vista molto rilevanteuna testimonianza pliniana sull’ordine storico dei consensi tra gli uomini: Plin. sen.nat. hist. 7.210-214. Gentium consensus tacitus primus omnium conspiravit, ut Io-num litteris uteretur. Veteres Graecas fuisse easdem paene quae nunc sint Latinae,indicio erit Delphica antiqui aeris, quae est hodie in Palatio dono principum, Mi-nervae dicata [in bibliotheca] cum inscriptione tali: NAUSIKRATHS ANEQETOTAI DIOS KORAI TAN DEKATAN. 211. Sequens gentium consensus in tonsoribusfuit, sed Romanis tardior. In Italiam ex Sicilia venere post Romam conditam annoCCCCLIIII adducente P. Ti<t>inio Mena, ut auctor est Varro; antea intonsi fuere.Primus omnium radi cotidie instituit Africanus sequens; Divus Augustus culturis

siderabile anche di per sé, indipendentemente dal primo trattodella frase) alla consuetudo 290, il nucleo descrittivo che defini-sce i mores è rappresentato proprio dal consensus 291. Rispetto

134 CAPITOLO SECONDO

semper usus est. 212. Tertius consensus fuit <in> horarum observatione, iam hic ra-tione accedens, quando et a quo in Graecia reperta, diximus secundo volumine. Se-rius etiam hic Romae contigit. XII tabulis ortus tantum et occasus nominantur, postaliquot annos adiectus est et meridies, accenso consulum id pronuntiante, cum a<c>uria inter Rostra et Graecostasin prospexisset solem; a columna Maenia ad carce-rem inclinato sidere supremam pronuntiavit, sed hoc serenis tantum diebus, usquead primum Punicum bellum. 213. Princeps solarium horologium statuisse ante XIIannos quam cum Pyrro bellatum est ad aedem Quirini L. Papirius Cursor, cum eamdedicaret a patre suo votam, a Fabio Vestale proditur. Sed neque facti horologii ra-tionem vel artificem significat nec unde translatum sit aut apud quem scriptum idinvenerit. 214. M. Varro primum statu<tu>m in publico secundum Rostra in co-lumna tradit bello Punico primo a M’. Valerio Messala cos. Catina capta in Sicilia,deportatum inde post XXX annos quam de Papiriano horologio traditur, anno urbis<C>CCCLXX<XX>. Nec congrueba<n>t ad horas eius lineae, paruerunt tamene<i> annis undecentum, donec Q. Marcius Philippus, qui cum L. Paulo fuit censor,diligentius ordinatum iuxta posuit, idque munus inter censoria opera gratissima ac-ceptum est. Etia<m t>um tamen nubilo incertae fuere horae usque ad proximum lu-strum. Tunc Scipio Nasica collega L<a>enati primus aqua divisit horas aequ<e> noc-tium ac dierum idque horologium sub tecto dicavit anno urbis DXCV. Tam diu po-pulo Romano indiscreta lux fuit …

290 In relazione alla fattura postclassica si può mettere l’interpretazione se-condo la quale il testo farebbe riferimento ad un consenso che si «appoggia» sullaconsuetudine (derivandone confusione tra definiens e definiendum): v., per tutti, J.GAUDEMET, La formation2 cit. spec. 118; ma credo che il senso del brano possa es-sere che i mores sono «serbati attraverso una lunga consuetudine». È chiaro che nonsi tratta di una definizione particolarmente felice, ma essa può essere giustificatadalla natura dell’opera e dalla collocazione del testo in questione nell’ambito dellastessa.

291 Sul punto si v., più dettagliatamente, infra in questo paragrafo. Un’eco delladefinizione che si trova nei Tituli risuona ancora in Isid. etym. 5.3.2-3. … Mos estvetustate probata consuetudo, sive lex non scripta… 3. Mos autem longa consuetudoest de moribus tracta tantundem. Consuetudo autem est ius quoddam moribus insti-tutum, quod pro lege suscipitur, cum deficit lex; nec differt, scriptura an ratione con-sistat, quando et legem ratio commendat (sul rapporto del testo con la fonte var-roniana su cui supra 8 nt. 26, si v. G. FUNAIOLI, GRF. I 264 ad frg. 232). Sulla lineadi continuità che si può individuare tra le teoriche tardorepubblicane ed il testo deiTituli ulpianei si v. W. WALDSTEIN, Gewohnheitsrecht und Juristenrecht in Rom, in‘De iustitia et iure’. Festgabe für U. von Lübtow zum 80. Geburtstag hrsg. vonM. HARDER und G. THIELMANN (Berlin 1980) 121 [=trad. it. con il titolo Dirittoconsuetudinario e diritto giurisprudenziale a Roma, in Saggi sul diritto non scrittoIntroduzione e cura di U. VINCENTI (Padova 2002) 196]. Sulla frequenza presso re-

al testo varroniano, si nota un’accentuazione del tono giuri-dico, in quanto all’indeterminatezza degli omnes (che trova-vano un elemento di connessione meramente nel fatto di abi-tare insieme, più che nel diritto), si sostituisce una nozione co-stituzionale, quale è quella relativa al populus (che mi sembraconservare una traccia dell’uso di nozioni del diritto pubblicodi origine repubblicana, la qual cosa ha certamente come me-dium un giurista d’età classica).

E non mi pare solo un caso se lo stesso consenso comunevarroniano, proprio nella dizione ex communi consensu, sitrovi in un glossario dell’uso giuridico 292 (il termine ricorre pe-raltro, nello stesso testo, due volte, di cui una in abbreviatura),di trascrizione altomedievale, ma attestante una tradizione pre-cedente, che doveva servire all’interpretazione di testi a circo-lazione diffusa nel tardoantico occidentale.

Proprio tenendo presente la nozione proposta da Varrone,bisogna considerare che fin dall’opera ciceroniana si era svi-luppata, infatti, una valorizzazione del «consenso inespresso ed

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tori, filosofi e grammatici del ricorso al consenso unanime come fondamento del di-ritto consuetudinario si v. J. GAUDEMET, L’autorité de la loi et de la coutume dansl’Antiquité, in Rapports généraux au VIe Congrès international de droit comparé(Hambourg, 30 julliet-4 août 1962) (Bruxelles 1962) spec. 29 [=Études de droit ro-main I cit. 103], ma, secondo lo studioso francese, il modello sarebbe stato, invece,ignorato dai giuristi classici; sul fatto che i giuristi non si riferissero alla voluntasomnium come criterio determinante del diritto consuetudinario si v. anche ID., Laformation2 cit. 120 s., essendo solo la vetustas il «fondamento propriamente ro-mano» dello stesso.

292 In H. KEIL, GL. IV 292: si tratta delle cd. notae iuris di Magno (archiepi-scopus Senonensis, a. 801-818, cfr. la praefatio dell’editore, TH. MOMMSEN, a p. 285;è interessante come Mommsen riconoscesse uno dei due archetipi di Magno nellenotae Vaticanae da lui stesso edite ibid. 301 ss., cfr. anche 282 ss., provenienti dalCodex Vaticanus Reginae 1128, nei folia che seguono immediatamente i Tituli excorpore Ulpiani, cfr. FR. SCHULZ, Die ‘Epitome Ulpiani’ cit. 4 s.). Consensus al no-minativo si trova (sempre anche abbreviato) nello stesso lessico: Grammatici LatiniIV cit. 290. Sulla importanza della tradizione giuridica nei glossari si v. il pionieri-stico (ormai invecchiato, ma tuttavia sempre utile) lavoro di A. F. RUDORFF, Dielexicalen Excerpte aus den Institutionen von Gaius, in APAW. (1865) 323 ss., dedi-cato soprattutto alla recezione in tale tipologia letteraria minore dell’opera istitu-zionale di Gaio.

informale dei consociati» 293, realizzata nell’ambito della teoriz-zazione (in primo luogo a fini retorici) delle fonti del diritto 294:

Cic. part. or. 37.130. … Quae autem scripta non sunt, eaaut consuetudine aut conventis hominum et quasi con-sensu obtinentur. Atque etiam hoc in primis, ut nostrosmores legesque tueamur, quodam modo naturali iure prae-scriptum est.

Cicerone si muove sulla linea della dialettica diritto scritto/diritto non scritto, che ha una genealogia greca riconoscibile 295,dal punto di vista sistematico almeno fino ad Aristotele 296. Lavalidità delle regole quae … scripta non sunt è rintracciata inun’alternativa 297 (che peraltro può essere ricondotta ad uni-

136 CAPITOLO SECONDO

293 Così L. BOVE, La consuetudine in diritto romano I cit. 48. Ampia raccoltadi fonti in V. SCARANO USSANI, L’utilità e la certezza. Compiti e modelli del saperegiuridico in Salvio Giuliano (Milano 1987) 92 nt. 129.

294 Punto di partenza rispetto al testo che si va ad analizzare è Cic. part. ot.37.129. … sed quoniam iure se fecisse dicunt, iuris est omnis ratio nobis explicanda.Quod dividitur in duas partes primas, naturam atque legem.

295 Importanti soprattutto i lavori di A. PERNICE, Parerga X. Zum römischenGewohnheitsrecht, in ZSS. 20 (1899) 127 ss.; ID., Parerga X. Nachtrag überGewohnheitsrecht und ungeschriebenes Recht, in ZSS. 22 (1901) 59 ss. (in quellostesso volume della Rivista della Fondazione Savigny usciva, a firma di Ernst Im-manuel BEKKER, il necrologio dello studioso appena scomparso, che compare an-cora, in frontespizio, come [Mit-] Herausgeber del volume [p. xvii ss.]).

296 Cfr. pol. 1287b, rhet. 1354a-b; ma v. già, in un contesto diverso, la citazionepericlea in Lys. contra Andoc. 10 (l’orazione è forse spuria e risalente al principiodel IV secolo a. C., per tutti si v. A. LESKY, Storia della letteratura greca II [trad. it.Milano 1991] 470, 738); sul riferimento ad Ippia in Xenoph. memor. 4.4.14 ss. e suiluoghi platonici in cui ricorre il nomos agraphos si v. A. PERNICE, Parerga X. Na-chtrag cit. 85 e nt. 4. Per un primo approccio al problema nell’ambito dei dirittigreci, si v. A. BISCARDI, s.v. «Physis dikaiou», in NNDI. XIII (Torino 1966) 13 ss.[=Diritto greco antico (Milano 1982) 343 ss.]; H. J. WOLFF, Gewohnheitsrecht undGesetzesrecht in der griechischen Rechtsauffassung, in Deutsche Landesreferate zumVI. Internationalen Kongreß für Rechtsvergleichung in Hamburg (Tübingen-Berlin1962) 3 ss. [=in E. BERNEKER (Hg.), Zur griechischen Rechtsgeschichte (Darmstadt1968) 99 ss.]. Fonti (in relazione all’esperienza di Roma repubblicana) anche in V.SCARANO USSANI, L’utilità e la certezza cit. 92 nt. 129. Sui problemi della (noncompleta) sovrapponibilità concettuale del modello greco alla riflessione romana (inparticolare ciceroniana) si v. L. BOVE, La consuetudine in diritto romano I cit. 32 ss.

297 Si v. soprattutto l’analisi di G. LOMBARDI, Sul concetto di ‘ius gentium’

tà 298), i cui termini sono da una parte la consuetudo (che qui misembra assumere la caratterizzazione di comportamento ripe-tuto per lungo tempo 299), dall’altra i conventa hominum. L’im-magine del convenire è particolarmente significativa ed in que-sto luogo, per la prima volta, le si accompagna, ad un livellodescrittivo, oltre alla prospettiva metaforica del riunirsi in unluogo, anche quella del sentire insieme 300 (introdotta dal quasi,che, nel suo significato per così dire analogico, serve da stru-mento di comparazione) 301. I conventa è come se ricevessero il

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 137

(Roma 1947) 65 ss., che riconduce, nell’ambito del ius non scriptum, la consuetudoal mos maiorum (e dunque ad una categoria civilistica), mentre i conventa hominumet quasi consensus sono riferiti al più ampio concetto di ius gentium.

298 Cfr. L. BOVE, La consuetudine in diritto romano I cit. 48 s., che, opponen-dosi (spec. in nt. 64) alla prospettiva di Lombardi (cit. in nt. precedente), richiamaCic. de inv. 2.22.67 e 54.162, per mostrare come l’Arpinate utilizzasse il concetto diconsuetudo per indicare anche la «manifestazione informale di volontà da parte deiconsociati», cfr. anche L. BOVE, o.u.c. 26 ss. Sulla locuzione voluntas omnium dide inv. 2.22.67 come corrispondente a consensus omnium, si v. W. WALDSTEIN,Gewohnheitsrecht cit. 121 [=Diritto consuetudinario cit. 196].

299 La fa corrispondere ai mores H. WAGNER, Studien zur allgemeinen Rechts-lehre des Gaius cit. 100 e nt. 3, dando un senso molto forte alla disgiuntiva aut, chemetterebbe in netta contrapposizione il ‘diritto consuetudinario’ con le manifesta-zioni del ius gentium rappresentate dai conventa e dal quasi consensus che si diffe-renzierebbero per la natura espressa dei primi rispetto a quella tacita (e addiritturainconsapevole) del secondo. Se è vero che la struttura del discorso ciceroniano si ar-ticola su due termini (e non su tre, come per esempio asseriva U. VON LÜBTOW, Dasrömische Volk cit. 496), mi pare che il quasi consensus stia ad indicare una specifica-zione dell’essenza dei conventa contrapposti da Cicerone, in questa sede, alla con-suetudine, ed il quasi non può non ricordare la consimile utilizzazione dell’avver-bio unito a consensus in de div. 2.14.34 e de orat. 3.6.21 (cfr. supra 6 nt. 23), che po-trebbe essere retaggio di quella sorta di timidezza nell’uso del nuovo termine, chegià più sopra si è riscontrata.

300 Ne enfatizza il senso giuridico e la caratteristica di «manifestazione una-nime di volontà» E. SCHÖNBAUER, Die ‘Res gestae Divi Augusti’ cit. 39: «Diesesungeschriebene Recht wird also nach Auffassung Ciceros beobachtet auf Grundder gewohnheitsmäßigen Übung oder einer ‘Konventionsregel’, gleichsam aufGrund einhelliger Willenserklärung». V. ARANGIO-RUIZ, Sul ‘liber singularis regu-larum’. Appunti gaiani, in BIDR. 30 (1921) 218 s. [=Scritti di diritto romano II (Na-poli 1974) 131 s.], con prudenza, propone un rapporto tra Tit. Ulp. princ. 4 ed ilpasso giulianeo su cui subito infra nel testo, a chiusura della sua nota disamina sul-l’ascendenza gaiana dei cd. Tituli ex corpore Ulpiani.

301 Con riferimento alla figura ideale del giurista, esperto del diritto scritto e di

sentire comune. Si comprende la successiva apertura al ius na-turale.

Sempre in questa prospettiva 302, un testo – notissimo – re-cepito nella Compilazione giustinianea si riferisce ad un im-portante ruolo del consensus omnium (riferito esplicitamente alpopulus come entità costituzionale), ancora nel principato, inuna prospettiva che coinvolge (nel punto specifico, se si puòdire: al negativo, stante il riferimento all’abrogazione per de-suetudine) le fonti di produzione del diritto:

D. 1.3.32.1 (Iul. 84 dig.). Quare rectissime etiam illud re-ceptum est, ut leges non solum suffragio legis latoris, sedetiam tacito consensu omnium per desuetudinem abro-ge<n>tur 303.

Non è semplice stabilire il contesto originario dal quale ilframmento fu escerpito in sede compilatoria: se si accede all’i-potesi, autorevole, di Lenel, il campo di osservazione del giu-rista potrebbe essere stato, in primo luogo, quello di una realtàcittadina provinciale 304, ponendosi il passo nel XV libro di

138 CAPITOLO SECONDO

quello non scritto, si v. l’articolazione del discorso in Cic. de orat. 1.48.212, mettein relazione i due testi L. BOVE, La consuetudine in diritto romano I cit. 49 s.

302 Per un collegamento esplicito si v., ad esempio, E. SCHÖNBAUER, Die ‘Resgestae Divi Augusti’ cit. 39. Contra E. BETTI, Forma e sostanza cit. 115 nt. 30 [da p.114], che nega l’idea dello studioso austriaco, relativa ad un nesso con la più recenteconcezione del diritto consuetudinario.

303 La Littera Florentina riporta abrogetur: TH. MOMMSEN, ed. maior I (Bero-lini 1870) 13, in apparato a lin. 40.

304 O. LENEL, Palingenesia I (Leipzig 1889) 480 (Iul. 819), ma lo studioso uti-lizza il punto interrogativo: non ne era completamente certo, si v. V. SCARANO US-SANI, L’utilità e la certezza cit. 90 s. e nt. 126; R. ASTOLFI, La ‘lex Iulia et Papia’3

(Padova 1995) 311 e nt. 27; cfr. però D. 50.2.11 (Call. 1 cogn.), D. 50.5.2 pr. (Ulp. 3opin.); sul punto si v. anche G. BESELER, ‘Et ideo’ – ‘Declarare’ – ‘Hic’, in ZSS. 61(1931) 57; G. LOMBARDI, Sul titolo ‘quae sit longa consuetudo’ cit. 41 nt. 89, 45 ntt.99, 100 (con altra bibliografia); B. SCHMIEDEL, ‘Consuetudo’ cit. 44 (ove l’ipotesiche leges nel principium del testo giulianeo costituisca riferimento congiunto alla lexPapia Poppaea ed alla lex Iulia de maritandis ordinibus); A. GUARINO, L’ordina-mento giuridico5 cit. 415 s.; il richiamo di P. VAN WARMELO, D. 1.3 (‘de legibus se-natusque consultis et longa consuetudine’), in Studi in onore di E. Volterra I (Milano1971) 418, alla lex Papiria Poppaea è chiaramente frutto di un errore di stampa nel

commento alla lex Papia, e più in particolare, alla materia devacatione et excusatione munerum con riguardo all’età minimaper poter essere chiamato ai munera (in riferimento alla qualepoteva esistere una consuetudine locale). Bisogna peraltro pro-spettare la possibilità che in epoca postclassica, soprattutto ne-gli ambienti delle scuole di diritto, si fosse provveduto ad unlavoro particolare sulla teoria della consuetudine, anche attra-verso ricollocazioni, pure se i compilatori mantengono il segnodella provenienza originaria dei frammenti 305. Il contenuto delpasso giulianeo, molto discusso in storiografia e da diverseprospettive 306, fa riferimento all’abrogazione delle leggi. Che

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 139

primo termine del nome della legge, da modificare in Papia. Il testo di Giuliano (colriferimento alla consuetudine) è citato da Giustiniano nella costituzione Deo auc-tore al § 10 [=C. 1.17.1.10, a. 530], sul mutamento di prospettiva, che pone la cen-tralità del diritto della città capitale (dunque anche di Costantinopoli), si v. F. P. CA-SAVOLA, Giuliano secondo Triboniano, in Giuristi adrianei (Napoli 1980) 193 s.[= ‘Sententia legum’ tra mondo antico e moderno I. Diritto romano (Napoli 2000)155 s.]. Non mi sembrano decisivi gli argomenti di P. CERAMI, ‘Breviter’ su Iul.1,3,32 (Riflessioni sul trinomio ‘lex’, ‘mos’, consuetudo’), in Nozione ... Ricerche de-dicate al prof. F. Gallo I cit. spec. 133 s., che riconducono il testo ad «una sorta diriflessione conclusiva» sulla cd. lex Iulia et Papia: potrebbe trattarsi anche di unadigressione generalizzante nata all’interno di un discorso specifico.

305 Per le critiche che discendono dalla considerazione della natura alterata (giàin età pregiustinianea) dei digesta di Giuliano si v. la letteratura citata in F.WIEACKER, Textstufen Klassischer Juristen (Göttingen 1959, rist. 1975) 175 s. nt.248. Sul problema della canonizzazione scolastica postclassica della teoria della con-suetudine (in relazione con il passo giulianeo) si v. anche G. BASSANELLI SOMMA-RIVA, L’imperatore unico creatore delle leggi e l’autonomia del giudice nel dirittogiustinianeo (Milano 1983) spec. 162 s.

306 Per un primo orientamento su D. 1.3.32 si v. S. RICCOBONO, Corso di di-ritto romano II. Formazione e sviluppo del diritto romano dalle XII tavole a Giu-stiniano (Milano 1933-34) 310 ss.; G. LOMBARDI, Sul titolo ‘quae sit longa consue-tudo’ cit. 40 ss. (sul problema, si v. anche, dello stesso studioso, C. 8,52[53],1, inSDHI. 17 [1951] 281 ss.); B. SCHMIEDEL, ‘Consuetudo’ cit. 42 ss.; L. BOVE, La con-suetudine nel diritto romano I. Dalla repubblica all’età dei Severi (Napoli 1971) 106ss.; V. SCARANO USSANI, L’utilità e la certezza cit. 90 ss.; A. GUARINO, Giuliano ela consuetudine, in Labeo 39 (1989) 172 ss. [=PDR. IV (Napoli 1994) 369 ss.]; S.TONDO, Profilo di storia costituzionale romana II (Milano 1993) 391 e nt. 96; F.GALLO, Produzione del diritto e sovranità popolare nel pensiero di Giuliano (a pro-posito di D. 1.3.32), in Iura (1985) 71 ss., ID., La sovranità popolare quale fonda-mento della produzione del diritto in D. 1.3.32: teoria giulianea o manipolazione po-stclassica?, in BIDR. (1991-92) 14, 35=ID., L’‘officium’ del pretore 139 ss. (con altra

può avvenire, secondo il testo recepito nei Digesta, non solo

140 CAPITOLO SECONDO

bibliografia), ID., Interpretazione e formazione consuetudinaria2 cit. 55 ss. Il fram-mento giulianeo è centrale in relazione al dibattuto problema sul ruolo del diritto aformazione consuetudinaria nell’esperienza giuridica romana, che si articola almenoin due diversi aspetti, e cioè il rapporto tra mos e consuetudo, e l’interpretazione chea quest’ultima forma (da precisarsi sempre anche in relazione al suo ambito di ap-plicazione spaziale) diedero i giuristi romani e gli imperatori. Non si può qui en-trare nel merito della discussione se non su singoli punti (per i quali si v. infra, pas-sim in questo paragrafo). Dopo le sintetiche riflessioni di A. A. SCHILLER, Customin Classical Roman Law, in An American Experience in Roman Law (Göttingen1971) 41 ss. [cfr. già ID., ‘De consuetudine in iure Romano’, in BIDR. 45 (1938) 349ss.], il quadro della storiografia romanistica sul tema si trova (anche se non più ag-giornatissimo) in W. WALDSTEIN, Gewohnheitsrecht cit. 105 ss. [=Diritto consuetu-dinario cit. 165 ss.], che – seguendo una moderna linea di pensiero (rappresentatasoprattutto da Bove, Nörr, Mayer-Maly ed il Kaser più recente: indicazioni biblio-grafiche precise a p. 105 s. ntt. 4-7 [=166 s. ntt. 4-7]), più favorevole a scorgere nellaconsuetudine una fonte, contro il dogma negativo interpolazionistico (cfr., con l’in-dicazione delle principali posizioni dottrinarie: J. GAUDEMET, La formation2 cit.119 nt. 6) –, articola il suo discorso in una serrata critica a W. FLUME, Gewohnheits-recht und römisches Recht (Opladen 1975), il quale era sceso in campo a difesa delladottrina (si potrebbe dire) «negazionista», rappresentata da ultimo nella monogra-fia di B. SCHMIEDEL, ‘Consuetudo’ cit. (si v. già la rec. di WALDSTEIN a FLUME, inZSS. 93 [1976] 358 ss., e – prima ancora – quelle dello stesso WALDSTEIN e di TH.MAYER-MALY a SCHMIEDEL, rispettivamente in Anz. f. die Altertumswiss. 23 [1970]198 ss., e in Gnomon 41 [1969] 383 ss.). Particolarmente rilevanti le considerazionidi M. KASER, Zur Problematik cit. 110 ss. [=Römische Rechtsquellen cit. 21 ss.]. Giàin pieno vigore dell’interpolazionismo la critica era stata negata da S. RICCOBONO,Corso II cit. spec. 311 s. (privo di precise citazioni), soprattutto contro A.STEINWENTER, Zur Lehre cit., sulla base di una secondo lui impropria circolazionedelle tesi bizantine presenti in uno scolio alla Parafrasi di Teofilo, a torto recepitoda E. C. FERRINI, in Institutionum Graeca Paraphrasis Theophilo antecessori vulgotributa … I (Berolini 1884) 4, in apertura del titolo De iustitia et iure. Lo studiosopalermitano, che aveva criticato il valore del testo bizantino in Nichilismo critico-storico nel campo del diritto romano e medievale, in Annuario R. Univ. Palermo.(1929/30) 24 s. nt. 4, affrontò il problema ex professo in Il proemio della Parafrasigreca di Teofilo nella edizione di Ferrini, in BIDR. 45 (1938) 1 ss., in cui concludeper la natura tarda dello scolio, cui sottrae ogni importanza per la ricostruzione deldiritto romano; posizione avvalorata, in appendice a questo suo ultimo saggio, da V.CAPOCCI, Nota al cod. Laurent. LXXXI, 1, ibid. 11 ss., che riconobbe una manodegli inizi del XIV secolo (provenienza geografica: Italia meridionale). Una rea-zione di STEINWENTER si può leggere in Solazzi’s Lehre von der ‘desuetudo’, in La-beo 4 (1958) 131 ss. [=Mnemeion S. Solazzi (Napoli 1964) 1 ss.], in cui viene mini-mizzata l’importanza dello scoliaste ed attribuita al maestro napoletano la posizionedi apripista della retta concezione del rapporto tra legge e consuetudine. Per le pro-spettive teoriche tra mondo antico e dottrine moderne, si v. la sintesi di G. DIL-

attraverso il suffragium del «legislatore» 307 (individuato, quin-di, comunque come tipologia principale), ma anche (in una via

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 141

CHER, Zur Theorie des Gewohnheitsrechts zwischen Alteuropa und Moderne, in In-dex 23 (1995) 67 ss. Il problema dell’assenza della consuetudine nei cd. cataloghidelle fonti del diritto romano è risolto da D. NÖRR, ‘Divisio’ und ‘partitio’. Be-merkungen zur römischen Rechtsquellenlehre und zur antiken Wissenschaftstheorie(Berlin 1972) spec. 20 ss., sul quale si v. A. GUARINO, La consuetudine e Polonio, inLabeo 21 (1975) 68 ss. [=PDR. IV (Napoli 1994) 364 ss., con il titolo La consue-tudine e il catalogo delle fonti], che si orienta (con ragguaglio di suoi precedentilavori) a considerare detti cataloghi come elencazioni delle (per così dire) ‘fonti dicognizione’ dell’ordinamento giuridico romano (un passo ulteriore potrebbe con-sistere nel comprendere la consuetudine nel ius ex non scripto di Pomponio D.1.2.2.12 [l. sing. ench.], in quanto recepita dai giuristi); in particolare sul consensuscome tacito potere di autoregolamentazione della comunità si v. la rec. di P. FREZZA,in SDHI. 38 (1972) 357 [=Scritti III (Romae 2000) 60].

307 Sulla figura del legis lator si v. G. VALDITARA, Gai. 3,218 – I. 4,3,15 e l’evo-luzione del concetto di ‘legislator’, in Nozione … Ricerche F. Gallo II cit. 491 ss.(che, con riguardo specifico a questo testo, però, conclude: «nessun elemento si può… trarre dal passo in questione per una ricostruzione del significato di legis latornell’ambito della giurisprudenza romana», p. 493). L’espunzione corrisponde al(praticamente sicuro, cfr. ancora G. VALDITARA, o.u.c. 516 s.) sospetto di interpola-zione: al posto del «legislatore» giustinianeo, nel passo di Giuliano doveva esserci ilriferimento al popolo, come soggetto che può attivare regolarmente il suffragium.In tal senso, tra gli altri (cfr. Index Interpolationum I [Weimar 1929] 7, ma non neè convinto C. A. MASCHI, Punti di vista per la ricostruzione del diritto classico [daAdriano ai Severi] attraverso una fonte bizantina [Trieste 1947] 76 nt. 68), già G. F.PUCHTA, Das Gewohnheitsrecht I (Erlangen 1828) 90; S. RICCOBONO, Corso II cit.313 (cfr. G. LOMBARDI, Sul titolo ‘quae sit longa consuetudo’ cit. 47 nt. 108); B. SCH-MIEDEL, ‘Consuetudo’ cit. 50 e nt. 39; A. GUARINO, Giuliano e la consuetudine cit.183 s. [=PDR. IV cit. 382]; ID., Giusromanistica elementare (Napoli 1989) 185 s.; F.GALLO, Produzione del diritto e sovranità popolare nel pensiero di Salvio Giuliano(a proposito di D. 1.3.32), in Iura 36 (1985) 76 s., 87 [=Opuscula selecta (Padova1999) 405, 417]; ID., La sovranità popolare quale fondamento della produzione deldiritto in D. 1,3,32: teoria giulianea o manipolazione postclassica?, in BIDR. 104-105 (1991-92) 14, 35 [=Opuscula selecta cit. 793, 813]; ID., Interpretazione e forma-zione consuetudinaria2 cit. 57, che si spinge a correggere (cfr. anche nt. 1 e 184 nt. 3[da p. 183]) in tacito consensu eius (ciò che eviterebbe le critiche di A. GUARINO, Larimozione cit. 21, sull’indeterminatezza di omnium, ma sul punto v. anche infra 149ss.; già V. ARANGIO-RUIZ, Sul ‘liber singularis regularum’ cit. 46 nt. 2 [=Scritti di di-ritto romano II cit. 132 nt. 2], peraltro, aveva proposto tacito consensu populi); in-vero tale ultima emendazione mi pare inutile: è chiaro che gli omnes del contestogiulianeo non possono che essere i consociati (formalmente) legittimati al suffra-gium, e consensus omnium è struttura descrittiva forse enfatica, ma diffusa ed effi-cace, lo si è visto, fin dall’età (almeno) di Cicerone e Varrone (cfr. supra 129 ss.), sulpunto si v. J. GAUDEMET, La coutume au Bas-Empire, Labeo 2 (1956) 156 [=Études

subordinata introdotta dal sed etiam che consegue al nonsolum) per tacito consenso omnium. Il discorso si inseriscenella valutazione del diritto «non scritto» a matrice consuetu-dinaria 308, con attenzione particolare al ruolo del popolo, in ri-

142 CAPITOLO SECONDO

de droit romain I cit. 76]. Propone un’influenza dei diritti stranieri («le droit grec enparticulier») su Giuliano, ma senza giustificare adeguatamente tale asserzione, P.CORNIOLEY, ‘Ius’ et ‘lex’: leurs rapports, in Studi in onore di Arnaldo Biscardi IV(Milano 1983) 39: forse si riferisce (ma allora con qualche improprietà) alle radiciretoriche e filosofiche del passo, già rintracciate da A. PERNICE, Parerga X. Zum rö-mischen Gewohnheitsrecht cit. 127 ss., più grave sarebbe l’accettazione dell’opi-nione (infondata) di B. W. LEIST, Graeco-italische Rechtsgeschichte (Jena 1884) 625,secondo il quale i Romani avrebbero recepito, in questo ambito, gli elementi fon-damentali della «Gewohnheitsrechtstheorie» spartana: per una critica v. A. PER-NICE, o.u.c. 157 s. nt. 2 (per un caso possiedo la copia del libro di Leist che fu diPernice: a margine del punto in questione è segnato, a matita, un deciso punto escla-mativo).

308 È opportuno trascrivere anche l’inizio del passo (peraltro notissimo ai ro-manisti), ove ricorre il riferimento al populus: D. 1.3.32 pr.-1 (Iul. 84 dig.). De qui-bus causis scriptis legibus non utimur, id custodiri oportet, quod moribus et consue-tudine inductum est: et si qua in re hoc deficeret, tunc quod proximum et consequensei est: si nec id quidem appareat, tunc ius, quo urbs Roma utitur, servari oportet.1. Inveterata consuetudo pro lege non immerito custoditur, et hoc est ius quod dici-tur moribus constitutum. Nam cum ipsae leges nulla alia ex causa nos teneant, quamquod iudicio populi receptae sunt, merito et ea, quae sine ullo scripto populus proba-vit, tenebunt omnes: nam quid interest suffragio populus voluntatem suam declaretan rebus ipsis et factis? Non sono mancati (significativa, in tal senso la secca dichia-razione di FR. SCHULZ, I principii del diritto romano [trad. it. Firenze 1946] 15 nt.55, relativa all’interpolazione dovuta ad elaborazione postclassica tesa all’equipara-zione del diritto consuetudinario a quello legislativo) sospetti di interpolazione(mette in evidenza la diversa attitudine della storiografia, che «per lo più» giudicagenuino il principium del testo e interpolato il § 1, F. GALLO, Interpretazione e for-mazione consuetudinaria2 cit. 55, che – di contro – reputa di rinvenire proprio nel§ 1 il pensiero del giurista classico; sul principium si v. le critiche in fondo parche diG. VON BESELER, Romanistische Studien, in TR. 10 [1930] 181), cfr. S. PEROZZI, Isti-tuzioni di diritto romano2 I (Roma 1928) 42 nt. 2; S. SOLAZZI, La desuetudine dellalegge, in Arch. Giur. 102 (1929) 18 ss. [=Scritti di diritto romano III (Napoli 1960)275 ss.]; A. STEINWENTER, Zur Lehre cit. 421 ss. (ove ampia trattazione del pro-blema); G. BESELER, ‘Et ideo’ – ‘Declarare’ – ‘Hic’, cit. 57 s. (che opta per una«Randbeischrift» aggiunta da un retore); C. W. WESTRUP, Sur la notion de droit etsur le mode primitif de formation du droit positif, c’est-à-dire du droit coutumier, inTR. 11 (1931) 16 ss.; M. KASER, ‘Mores maiorum’ und Gewohnheitsrecht, in ZSS. 59(1939) 54 ss.; H. COING, Zum Einfluß der Philosophie des Aristoteles auf dieEntwicklung des römischen Rechts, in ZSS. 69 (1952) 35 (con riferimento anche aduna matrice aristotelica rinvenibile in rhet. I 15 1376b); C. GIOFFREDI, ‘Ius’, ‘lex’,

ferimento al cui iudicium, il giurista scrive che a ragione tuttisono tenuti a quanto il popolo ha approvato senza scrivere al-

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 143

‘praetor’, in SDHI. 13-14 (1947/1948) 83 s.; A. D’ORS, Un punto de vista para lahistoria del Derecho consuetudinario en Roma, in RGLJ. 5 (1949) 509, 511; G.LOMBARDI, Sul titolo ‘quae sit longa consuetudo’ cit. 40 ss.; U. VON LÜBTOW, Dasrömische Volk cit. 512 ss. (ivi ulteriore bibliografia sulla prospettiva degli interventiinterpolatori); E. LEVY, Römisches Vulgarrecht und Kaiserrecht, in ‘Ius et lex’. Fest-gabe für M. Gutzwiller (1959) 69 s. [=in BIDR. 62 (1959) 5 s.=Gesammelte Schrif-ten I (Köln-Graz 1963) 292 s.] (nell’ambito di una considerazione generale del rap-porto tra «Gesetz» e «Vulgarrecht» nel tardoantico); F. WIEACKER, AllgemeineZustände und Rechtszustände gegen Ende des weströmischen Reichs, in IRMAE.I/2a (Mediolani 1963) 27 (interpolazione «molto probabilmente» pregiustinianea);J. GAUDEMET, La formation2 cit. spec. 119 nt. 1, 124 (cfr. ID., Coutume et raison cit.146 [=Études de droit romain I cit. 38]; ID., La loi et la coutume, manifestationsd’autorité et sources d’enseignement à Rome, in Travaux et Recherches de l’Institutde Droit comparé de l’Université de Paris 23 [1962] 56 e ntt. 2, 6 [=Études de droitromain I cit. 26 ntt. 2, 6]; rec. a G. STÜHFF, Vulgarrecht im Kaiserrecht cit., in Gno-mon 39 [1967] 843, v. anche C. A. CANNATA, rec. in SDHI. 32 [1966] 337). Perquanto riguarda la letteratura interpolazionistica su singole parole non si può che(come aveva già fatto B. SCHMIEDEL, ‘Consuetudo’ cit. 42 nt. 2) rinviare all’IndexInterpolationum I cit. 7, con il Supplementum I (Weimar 1929) 3. Una posizione in-termedia assume H. SIBER, Römisches Recht in Grundzügen für die Vorlesungen I.Römische Rechtsgeschichte (Berlin 1925, rist. Darmstadt 1968) 30 (che ammettendola sostanziale classicità del contenuto, opera alcuni tagli tra i quali tacito consensuomnium; cfr., in parte coincidente la critica – pure non totalmente distruttiva – di P.VAN WARMELO, D. 1.3 cit. 420, che sottolinea l’intervento postclassico e non com-pilatorio, e di E. BETTI, ‘Declarare voluntatem’ nella dogmatica bizantina, in Studiin memoria di E. Albertario II [Milano 1952] 456 ss., sulla posizione del quale, però,v. infra 157 nt. 352; tutti questi studiosi, però, non salvano il riferimento al con-senso). Per la attribuibilità del pensiero contenuto nel testo al giurista classico, si v.,in special modo, le osservazioni di S. RICCOBONO, Corso II cit. 310 ss. (seguito, sulpunto, da R. ORESTANO, ‘Ius singulare’ e ‘privilegium’, in AUMA. 11 [1937] 69 ent. 2=Scritti I cit. 375 e nt. 2); in sintesi: ID., Lineamenti della storia delle fonti e deldiritto romano2 (Milano 1949) 146 s.; V. PERRET, Les origines romaines de la doc-trine de la coutume en droit canonique, in Bull. litt. ecclés. (1935) 9 s., 15 nt. 33; P.DE FRANCISCI, Storia del diritto romano II/12 (Milano 1941) 519 ss.; E. SCHÖN-BAUER, Die ‘Res gestae Divi Augusti’ cit. 39 nt. 84; il passo è classico (credo anchedal punto di vista formale, vista la lode tributata alla sua eleganza) pure per V.ARANGIO-RUIZ, Sul ‘liber singularis regularum’ cit. 46 [=Scritti di diritto romano IIcit. 132]; secondo L. LABRUNA, Il «diritto volgare» e Costantino cit. 353 [=Admini-cula2 cit. 293, con il titolo Sul cd. «diritto volgare»] il testo è «forse troppo sospet-tato». Il richiamo al consenso non è interpolato, ma costituisce un mero ricordostorico (già per Giuliano) secondo B. BIONDI, Diritto romano cristiano I. Orienta-mento religioso della legislazione (Milano 1952) 175 s. (in comparazione con Par.

cunché (in mancanza di una legge scritta), poiché non vi sa-rebbe differenza tra ‘suffragio’ formale (voto) e dichiarazionerebus ipsis et factis: merito et ea, quae sine ullo scripto populusprobavit, tenebunt omnes: nam quid interest suffragio populusvoluntatem suam declaret an rebus ipsis et factis? 309 Superato,

144 CAPITOLO SECONDO

Theoph. 1.2.4), cfr. anche ID., ‘Lex et ius’, in BIDR. 67 (1964) 50, 67. La posizionepiù recente è anticritica, cfr. l’opinione di KASER, che come si è appena visto erastato fautore dell’interpolazione, Das römische Privatrecht2 I (München 1971) 196nt. 23, 228 nt. 11, nell’ultimo punto a difesa, ovviamente sfumata, addirittura dellalocuzione declarare voluntatem, sia pure reputandola «untechnisch» e dunque nonrapportabile al concetto moderno di «Willenserklärung», che era stata attaccata so-prattutto da A. STEINWENTER, Zur Lehre cit. 425 nt. 20, e poi da E. BETTI, o.u.c.456; sulla svolta conservatrice di KASER si v. soprattutto Zur Problematik cit. edanche Zur Methodologie der römischen Rechtsquellenforschung (Wien 1972) 79 nt.180 (importante, perché l’anticritica è inserita in una più vasta impostazionemetodologica).

309 È debole perché formalistica (e poco attenta ai contesti delle fonti, si v.come esempio la attribuzione ad una glossa di un testo che è frutto di intervento ad-ditivo degli editori in Gai 3.82, v. infra 155 ss.) la critica di E. BETTI, ‘Declarare vo-luntatem’ cit. spec. 457 s., che qualifica i testi come di «indubbia provenienza giu-stinianea o trasposti in chiave interpretativa giustinianea» nel parallelo con la «di-chiarazione» operata attraverso il suffragium, che disconoscerebbe «la formaleesigenza della cooperazione fra assemblea e magistrato nei comizi legislativi» (quiBetti seguiva esplicitamente M. KASER, ‘Mores maiorum’ cit. 56): la tacita manife-stazione di volontà espressa attraverso il consensus non appare affatto peregrina alladescrizione che i Romani ne facevano sin dalla età repubblicana; cade dunque la cri-tica che – sulla base (cfr. p. 458 nt. 1) anche delle riflessioni di P. KOSCHAKER, Be-dingte Novation und ‘pactum’ im römischen Recht, in Festschrift G. Hanausek(Graz 1925) 152 ss., e A. STEINWENTER, Zur Lehre cit. 436 nt. 102 – credeva di ri-conoscere una «dogmatica postclassica e bizantina, nella sua tendenza ad ammettereuna ‘tacita manifestazione di volontà’ esonerata dall’esigenza di una tipicità rigorosae inderogabile». Di BETTI cfr. già il saggio Forma e sostanza della ‘interpretatio pru-dentium’, in Atti del Congresso internazionale di diritto romano e storia del diritto(Verona, 27-29.9.1948) II (Milano 1951) 114 s.: non si può essere d’accordo quando(con più ampiezza, rispetto allo studio successivo) afferma che il rapporto tra magi-strato e popolo riferito al suffragium poteva essere surrogato esclusivamente da «unconsensus universorum … in quanto rivestisse la forma di dichiarazione direttaemessa per acclamazione». Lo stesso studioso, infatti, è dubbioso sulla idea di A.STEINWENTER, Zur Lehre cit. 424, secondo la quale il cap. 34 delle Res gestae con ladizione per consensum universorum alluda «a tale dichiarazione collettiva diretta»(p. 114 s. nt. 30), aggiungendo: «più verosimile è che alluda alla corrente di opinionepubblica dominante e determinante l’indirizzo politico». Bisogna guardare, anzi, al«pensiero pubblicistico giulianeo» su questo tema come momento rilevante anchein vista di una trasposizione privatistica dello stesso, si v., sul punto (anche se in

come pare, il problema della dissensio del testo in questionecon C. 8.52.2 310 (in quanto, tra l’altro, ben potrebbe essersi mo-dificata l’attitudine interpretativa dai tempi di Giuliano a quellidi Costantino, che impose con decisione la regola dell’immo-dificabilità del diritto scritto attraverso la consuetudo 311), ilbrano è stato utilizzato per attestare la teorica della recezionemoribus «che sta sullo stesso piano della lex» 312. Nel discorsogiulianeo, i due elementi che formano il diritto all’interno della

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breve) M. BRUTTI, La problematica del dolo processuale nell’esperienza romana II(Milano 1973) 653 (cfr. anche 463 nt. 162 [da p. 461], e v. V. SCARANO USSANI, L’u-tilità e la certezza cit. 94 nt. 142). Non a caso, partendo proprio dal testo in que-stione, P. A. BRUNT, ‘Lex de imperio Vespasiani’, in JRS. 67 (1977) 116, attribuisceai giuristi (e a Giuliano in particolare) la ‘riconciliazione’ tra la teoria della desuetu-dine tacito consensu e il potere imperiale, con riferimento alla lex de imperio. Seb-bene costruito su diversa via argomentativa rispetto al problema qui in questione,può aggiungersi qui il collegamento che di recente M. NAVARRA, Ricerche sulla ‘uti-litas’ nel pensiero dei giuristi romani (Torino 2002) 28 e nt. 66, fa dell’argomenta-zione ‘utilitaristica’ di Salvio Giuliano con Cic. de rep. 1.25.39, su cui, per il ruolodel consensus cfr. 65 ss.

310 Enfatizzata soprattutto da G. LOMBARDI, Sul titolo ‘quae sit longa consue-tudo’ cit. 43 s. e nt. 97, il quale a proposito della possibilità di abrogazione dellalegge per desuetudine scrive: «questo è l’unico passo … in cui si afferma in via diprincipio una tale possibilità, e la si afferma in netto contrasto con quanto esplicita-mente disposto da Costantino in C. 8, 52, 2», definendola una «conseguenza aber-rante». Sui tentativi di armonizzazione «pandettistica» del passo giulianeo con lacostituzione di Costantino si v., per tutti, con ampi riferimenti alla letteratura giu-ridica sul tema dal Medioevo all’Ottocento, V. SCIALOJA, Sulla const. 2 Cod. ‘quaesit longa consuetudo’ e la sua conciliazione col fr. 32, § 1, Dig. ‘de legibus’: difesa diun’antica opinione, in Arch. Giur. 24 (1880) 420 ss. [=Studi giuridici I. Diritto ro-mano 1 (Roma 1933) 39 ss.], che sostenne consistere il limite imposto da Costantinosolo nei principi generali e nelle leggi posteriori, cfr. anche ID., Della C. 2 ‘quaesit longa consuetudo’ 8,52(53), in Atti e memorie R. Acc. Padova 286 (1885-1886)291 ss. [=Studi giuridici I/1 cit. 302 ss.].

311 Cfr. F. GALLO, Interpretazione e formazione consuetudinaria2 cit. 56. Sullacapacità abrogativa della consuetudo come riferibile esclusivamente ad interventipostclassici si v. G. STÜHFF, Vulgarrecht im Kaiserrecht cit. 54 ss., contra: L. LA-BRUNA, Il «diritto volgare» e Costantino cit. 353 [=Adminicula2 cit. 293 s.], D.NÖRR, rec. cit. 459 s. (piuttosto cauto, invece, P. DE FRANCISCI, rec. in BIDR. 69[1966] 359).

312 F. GALLO, Interpretazione e formazione consuetudinaria2 cit. 58: per lo stu-dioso torinese Giuliano conduce a livello teorico quanto si trova in Gaio sulla de-suetudine; per la sostanziale equiparazione delle locuzioni rebus ipsis et factis e ta-cito consensu: 59, 61; per l’uso di probare ad indicare il consenso: 68.

comunità romana, pur manifestandosi in modo diverso (fat-tuale/formale), «appaiono posti sullo stesso piano, in quantopromanano entrambi dalla volontà popolare» 313. In tal senso ilriferimento di Salvio Giuliano (rappresentando un’identità difondamento che porta con sé, logicamente, un’identità di auto-rità 314) appare indirizzato ad una razionalizzazione di matricefilosofica di quello che è l’aspetto (il versante) consuetudinariodell’ordinamento 315. E, correlando il passo di Giuliano, con imolti testi attraverso i quali il consensus «di tutti» serve a co-struire una giustificazione rispetto a credenze o a stati di fatto,tale significazione sembra poter trovare un referente saldonella teorizzazione tardorepubblicana 316. Non si può comple-tamente condividere la descrizione che Guarino 317 dà della de-suetudine, secondo la quale «in una società piena di ladri, laviolazione diffusa e inveterata della legge repressiva del furto

146 CAPITOLO SECONDO

313 F. GALLO, Interpretazione e formazione consuetudinaria2 cit. 63.314 Cfr. J. GAUDEMET, Coutume et raison cit. 146 [=Études de droit romain I

cit. 38]; F. GALLO, Interpretazione e formazione consuetudinaria2 cit. 63.315 In tal senso D. NÖRR, Zur Entstehung der gewohnheitsrechtlichen Theorie,

in Festschrift für W. Felgenträger zum 70. Geburtstag (Göttingen 1969) 356 ss. [unaversione inglese si trova in Law and State 7 (1973) 126 ss.]; ID., Zum Traditionalis-mus der römischen Juristen, in Festschrift für W. Flume zum 70. Geburtstag (Köln1978) spec. 174 nt. 102. Sul ruolo del consenso come opinione comune che conducea verità, cfr. supra 6 ss. Per la cultura filosofica di Giuliano: R. REGGI, L’interpreta-zione analogica in Salvio Giuliano [I], in Studi Parmensi 2 (1952) 114 ss.

316 Con riferimento a Cicerone e Varrone. Non credo si possa sostenere, conA. GUARINO, La rimozione cit. spec. 21, la natura «iperbolica» del riferimento al«consenso di tutti»: il richiamo non può essere assunto come «pratico» stabilire «setutti, proprio tutti i soggetti giuridici» si trovino d’accordo su qualcosa. Giulianomi sembra ragionare – anche in questo caso nel senso della tradizione – da una pro-spettiva astratta.

317 L’ordinamento giuridico5 cit. 422 s. nt. 85. Invero l’indagine sulla forma-zione consuetudinaria del diritto non conduce ad una analisi storica concreta, mapiuttosto ad impostazioni astratte, sulle quali lavorano e si esprimono in primoluogo i giuristi, che interpretano quella che viene descritta come una sorta di co-scienza storica popolare; sul punto, per tutti, C. W. WESTRUP, Sur le mode primitifde formation du droit cit. spec. 17 s. Per la proiezione del consensus omnium (conriguardo alla sua specifica idoneità a produrre effetti giuridici) in un’astrazione al li-vello delle «forze sociali prevalenti», si v. R. ORESTANO, Dietro la consuetudine, inRiv. trim. dir. pubbl. 13 (1963) spec. 530 [=Diritto. Incontri e scontri (Bologna 1981)=Scritti III Sez. prima. Saggistica (Napoli 1998) 1594].

implichi a lungo andare, la morte e tumulazione di quelleleggi». Non muta, infatti, con riferimento alla situazione corri-spondente ad una formulazione così rappresentata, l’opinio iu-ris (per utilizzare una terminologia diffusa in teoria generale):nel testo giulianeo il riferimento non a caso è al consensus taci-tus riferito agli omnes (nell’esempio appena riportato, e corri-spondentemente alla prospettiva dello studioso napoletano 318,comprendono anche i derubati), che si realizza con pienezza (edunque con effettività giuridica) nel momento della repres-sione: la desuetudine influisce sulla legge nel momento in cuiquest’ultima non viene più applicata, non quando (sia pure fre-quentemente, o addirittura costantemente) non viene rispet-tata.

Di recente 319, la dottrina giulianea è stata messa in rela-zione con l’interpretazione di Ulpiano della lex de imperio: laconcentrazione (anche «formale») del potere supremo nelle ma-ni del principe coesisterebbe con «la concezione repubblicanadell’onnipotenza della volontà popolare espressa con la lex» 320.‘Abrogare’ per desuetudinem è scorretto per Guarino 321, chepropone (ad esempio) removere. Il maestro napoletano sugge-

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 147

318 Cfr. A. GUARINO, La rimozione cit. 21.319 V. MAROTTA, Ulpiano e l’impero I (Napoli 1999) 73 nt. 23 (lo studioso pare

seguire quella parte della storiografia che almeno nella sostanza ritiene come ge-nuino il passo); il riferimento testuale ulpianeo immediato è – naturalmente – D.1.4.1 (1 inst.), cfr. o.u.c. 67 ss.

320 Già A. PERNICE, Parerga X. Zum römischen Gewohnheitsrecht cit. 160 s. (ilriferimento sta in una, a mio parere, improponibile ricostruzione nel senso della«Uebertragung» di una carica, l’imperio proconsolare, in questo caso operata dal«Volk als Heer» ovvero dal «Senat als Vertreter des Volkes»), ed E. SCHÖNBAUER,Die ‘Res gestae Divi Augusti’ cit. 39, avevano messo immediatamente in connes-sione il testo giulianeo con il consensus universorum che aveva legittimato Augusto(e dunque il principato); sul punto si v. le annotazioni critiche di U. VON LÜBTOW,Das römische Volk cit. spec. 526 s., e di W. WALDSTEIN, Gewohnheitsrecht cit. 121nt. 76 [=Diritto consuetudinario cit. 195 nt. 76].

321 Giuliano e la consuetudine cit. 184 nt. 65 [=PDR. IV cit. 383 nt. 65]. Orasull’abrogazione delle leggi in età repubblicana (e con esame del lessico) si v. F. RE-DUZZI MEROLA, ‘Iudicium de iure legum’. Senato e legge nella tarda repubblica(Napoli 2001) 1 ss. (cfr. 131 ss. per la terminologia nelle fonti greche).

risce poi 322 un parallelo con un altro testo in cui ricorrerebbela medesima esaltazione della volontà popolare (intesa peròcome ‘travestimento’ del potere imperiale) frutto di un ignotoideologo postclassico: D. 1.14.3 (Ulp. 38 ad Sab.) 323. Fatto stache non solo (come sostiene Guarino 324) la consuetudine abro-gatrice viene ‘lasciata’ nei Digesta, ma (ciò che sarebbe piùgrave, se il testo avesse uno spessore solo ideologico e reto-rico), è assunta anche nelle Institutiones, addirittura stavolta alprimo posto nella serie degli atti e fatti che possono mutarel’ordinamento:

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322 Cfr. Giuliano e la consuetudine cit. 184 nt. 67 [=PDR. IV cit. 383 nt. 67].323 Si tratta della nota lex Barbarius: su cui, per una sua lettura, GUARINO rin-

via a Frustula iuris Romani V. La pretura di Barbario Filippo, in ANA. 99 (1988) 273ss. [=PDR. III (Napoli 1994) 411 ss.]; sul frammento si v. anche M. E. LUCIFREDI

PETERLONGO, [R. LUCIFREDI,] Contributi allo studio dell’esercizio di fatto di pub-bliche funzioni (Milano 1965) 1 ss., con la rec. di P. CERAMI, in Iura 17 (1966) 370ss.; P. CERAMI, Problemi storico-dogmatici in tema di funzionario di fatto, in StudiG. Scaduto III (Padova 1970) 377 ss.; L. ARU, Una congettura su D. 1.14.3: ‘Barba-rius Philippus’, in Studi in onore di E. Volterra III (Milano 1972) 653 ss.; P. VOCI, D.1,14,3. Note in tema di esercizio di fatto di pubbliche funzioni, in Studi in onore diE. Guicciardi (Padova 1975) 59 ss. [=Studi di diritto romano I (Padova 1985) 623ss.]; G. POMA, ‘Servi fugitivi’ e schiavi magistrati in età triumvirale, in Index 15(1987) 149 ss.; R. KNÜTEL, Barbarius Philippus und seine Spuren, in Staat, Kirche,Wirtschaft. Festschrift P. Mikat (Berlin 1989) 345 ss. Alla stessa lettura ‘ideologica’di Guarino era giunto (ma, mi sembra, per vie diverse) anche L. LANTELLA, Il la-voro sistematico nel discorso giuridico romano, in Prospettive sistematiche nel dirittoromano (Torino 1976) 267 nt. 327, studiando gli esempi di «falsa apologia del poterepopolare»: «se … il § 1 è di fattura postclassica … il passo può apparire ideologiconel senso di esaltazione fittizia e strumentale del potere popolare», ponendo peròl’alternativa (che invero non mi sembra convincente): «se invece … è giulianeo … intal caso il passo potrebbe addirittura vedersi come espressione di resistenza (di ma-trice sabiniana?) al potere imperiale». Non credo centrata la (pur articolata) replicacritica portata a Guarino da S. TONDO, Profilo di storia costituzionale romana II(Milano 1993) 391 nt. 96 (la quale serve a mantenere intatto il testo): il riferimentoal suffragium legis latoris non appare invero «innocuo», la scelta «stilistica» in talsenso del «grande» giurista classico sarebbe almeno impropria (e dunque, proprioper il tecnicismo dello scrittore non si può invocare l’ovvietà del trapasso semanticocitando l’indistinto VIR. III/2.1491, s.v. «legislator»), sul punto, anche se da unaprospettiva in qualche modo diversa, si v. – e mi pare decisivo – G. VALDITARA, Gai.3,218 – I. 4,3,15 cit. 491 ss., 516 s.

324 Si v. anche La rimozione del diritto e l’esperienza romana, in Labeo 42(1996) spec. 20 ss. (è il paragrafo gustosamente intitolato «La resistibile autorità diGiuliano»).

I. 1.2.11. … ea vero, quae ipsa sibi quaeque civitas consti-tuit, saepe mutari solent vel tacito consensu populi vel aliapostea lege lata.

Che l’oggetto del constituere di ciascuna civitas sia (insenso, naturalmente, romano) una lex è chiaramente dimo-strato dalla chiusa del passo (in cui si fa un riferimento che puòessere considerato tecnico al ferre). Che poi il testo istituzio-nale abbia un collegamento con la dottrina giulianea 325 apparedalla menzione del tacitus consensus (anche se questa volta laspecificazione è populi e non il più generico omnium 326). Ed èla stessa connotazione che anche nelle Institutiones gaianeserve a descrivere l’introduzione di istituti a matrice consuetu-dinaria 327. Peraltro il richiamo al consensus può avere una ma-trice riconoscibile, che si deve contestualizzare con l’inizio dellatrattazione, nelle Istituzioni imperiali del ius ex non scripto 328:

1.2.9. Ex non scripto ius venit, quod usus comprobavit.Nam diuturni mores consensu utentium comprobati legemimitantur.

Il testo mostra quasi in ogni parola i segni della sua prove-nienza dalla fucina legislativa giustinianea 329. Il materiale (nella

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325 È riconoscibile, nella prima parte del testo (Sed naturalia quidem iura,quae apud omnes gentes peraeque servantur, divina quadam providentia constitutasemper firma atque immutabilia permanent …), anche un’impronta gaiana (cfr. Inst.1.1), la quale si rafforza con il riferire il ius naturale (che per Gaio, com’è noto, è iusgentium ‘costituito’ dalla naturalis ratio; per tutti si v. H. WAGNER, Studien zurallgemeinen Rechtslehre cit. passim) alla provvidenza divina. Cfr. anche le moderatecritiche di G. SEGRÈ, Alcune osservazioni sulla costituzione dell’impero da Diocle-ziano a Giustiniano, in Atti Congresso internazionale di diritto romano (Bologna-Roma 17-27.4.1933) I (Roma 1934) 226 ss.

326 Ma si è visto come il populus sia referente anche del testo in D. 1.3.32 (Iul.84 dig.), cfr. supra 138 ss.

327 Cfr. Gai 3.82, su cui si v. infra 155 ss.328 Il punto di partenza è, naturalmente, I. 1.2.3. Constat autem ius nostrum

aut ex scripto aut ex non scripto …329 Ma il riferimento al consensus utentium invece che al consensus populi non

mi pare possa essere giustificato da motivi di consonanza ideologica con l’assettocostituzionale dell’impero d’Oriente sotto Giustiniano (come propone F. GALLO,

scansione descrittiva che comprende usus, mores, consensus),però, corrisponde a quanto disponibile nelle trattazioni istitu-zionali e scolastiche del periodo classico 330. Non è improbabileche nel modello il consenso fosse quello «del popolo», secon-do la tradizione (di cui si è sperimentata la formazione ideolo-gica) accettata e forse rinnovata nell’uso da Salvio Giuliano 331.

Ma, tornando a I. 1.2.11, è proprio l’aggettivazione, ripe-tuta con il richiamo a tacitus che da una parte deve essere con-siderata come tipica per individuare la caratteristica precipuadella formazione del consenso, dall’altra può servire a fugare idubbi relativi alla genuinità dei testi più sopra analizzati, inprimo luogo quello giulianeo. In tal senso mi pare estrema-mente significativo (bisogna fare ancora un passo indietro dalpunto di vista cronologico) un richiamo di Aulo Gellio al rap-porto, si direbbe, tra legislazione decemvirale e diritto vivente:

noct. Att. 20.10.9. … institutum est contra duodecim tabu-las tacito consensu, ut litigantes non in iure apud praeto-rem manum consererent, sed ‘ex iure manum consertum’vocarent, id est alter alterum ex iure ad conserendam ma-num in rem, de qua ageretur, vocaret …

In questa sede, naturalmente, non si può svolgere l’inter-pretazione completa ed esauriente del noto passo 332, che mo-

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Interpretazione e formazione consuetudinaria2 cit. 201 nt. 1): proprio I. 1.2.11smentisce tale prospettiva, essendo la motivazione della variatio probabilmenteun’altra (il richiamo all’usus, più che una sensibilità meramente stilistica?).

330 Alle institutiones di Ulpiano (ma soprattutto per la corrispondenza con Tit.Ulp. princ. 4) lo attribuisce C. FERRINI, Sulle fonti delle Istituzioni di Giustiniano,in BIDR. 13 (1901) spec. 126 [=Opere II. Studi sulle fonti del diritto romano (Mi-lano 1929) spec. 334]; cfr., sostanzialmente concorde, V. ARANGIO-RUIZ, Sul ‘libersingularis regularum’ cit. 46 [=Scritti di diritto romano II cit. 132]; v. anche C. A.MASCHI, Punti di vista cit. 65.

331 Si v. soprattutto V. ARANGIO-RUIZ, Sul ‘liber singularis regularum’ cit. 46nt. 2 [=Scritti di diritto romano II cit. 132 nt. 2]: «in luogo di consensu utentium do-veva stare, in origine, c. populi, espressione ripugnante al nuovo diritto pubblico…»; sul punto anche C. A. MASCHI, Punti di vista cit. 65.

332 Sul problema del conserere manu(m?) si v., di recente, M. KASER, K.HACKL, Das römische Zivilprozessrecht2 cit. spec. 101 con ntt. 77-79 (ove gli essen-

stra il superamento dell’obbligo di presenza effettiva del magi-strato giusdicente nel luogo dove si trovava la res oggetto dellacontroversia (svuotando di contenuto sostanziale il rito, cheviene mantenuto ad un livello meramente formale); ciò che in-teressa è la descrizione della sovrapposizione degli ordina-menti: il diritto che viene «istituito» contro il dettato decemvi-rale trova esplicitamente la sua scaturigine nel tacitus consen-sus. E la testimonianza è tanto più rilevante (nel senso diconferire al consensus «il valore di vero e proprio motivo giu-stificativo della desuetudine delle norme» 333) in quanto si tengapresente la sostanziale corrispondenza cronologica dell’operadi Gellio 334 – che nel punto in questione sta citando il filosofoFavorino – e di quella di Giuliano. Pure se relativa al contrastotra una consuetudine locale ed una legge di Roma (data ai pro-

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ziali rinvii a fonti e letteratura), M. BRETONE, I fondamenti del diritto romano. Lecose e la natura (Roma-Bari 1998) 46 ss., 249 s.

333 L. BOVE, La consuetudine in diritto romano I cit. 96.334 Cfr. soprattutto W. WALDSTEIN, rec. a W. FLUME, Gewohnheitsrecht cit., in

ZSS. 93 (1976) 368. Peraltro l’erudito utilizza l’espressione tacitus consensus anchein una prospettiva ateniese, sempre con riguardo al problema dell’obliteratio dileggi: 11.18.4, 12.13.5 (in cui il problema è ricondotto all’insegnamento del suomaestro Sulpicio Apollinare), ed ancora in 16.13.9, nel passo notissimo sui iura mu-nicipiorum dell’oratio de Italicensibus di Adriano, in 2.24.11 e 20.1.3 (rilevanti dalpunto di vista giuridico, v. infra in questa nota). Ancora contestuale, dal punto divista cronologico, è Gai 1.111 (… hoc totum ius partim legibus sublatum est, partimipsa desuetudine oblitteratum est): in critica a G. STÜHFF, Vulgarrecht im Kaiserre-cht 41, secondo la quale il senso di obliterare in Gaio avrebbe agito solo a livellodella memoria (per così dire collettiva?), L. LABRUNA, Il «diritto volgare» e Co-stantino cit. 351 [=Adminicula2 cit. 289], nota che, oltre al testo delle Institutionesdel giurista antoniniano, tra le fonti giuridiche spogliate per il VIR. (cfr. IV 381)obliterare risulta solo in D. 38.2.42 pr. (Pap. 13 quaest.) – sul quale testo, di nonsemplice interpretazione, ora, ampiamente, C. MASI DORIA, ‘Bona libertorum’. Re-gimi giuridici e realtà sociali (Napoli 1996) spec. 353 ss., 366 –, e dunque la pro-spettiva sarebbe antistorica («meramente formalistica»). D’accordo sul punto con ilcritico, bisogna però ricordare che oblitero ricorre anche in Cecilio Africano, cui èda attribuire Gell. 20.1.23; ed ancora (probabilmente) in Ateio Capitone, se è validal’assegnazione al giurista augusteo di Gell. 2.24.11 proposta, sulla base di un’ipotesidi P. JÖRS, s.v. «Ateius, 8», in PWRE. II (Stuttgart 1896) 1905, da F. P. BREMER, Iu-risprudentiae antehadrianae quae supersunt II/1 cit. 285 s., come frg. 6 dei co-niectanea (ex libro incerto)=frg. 3 STRZELECKI (libro IV de officio senatorio), cfr.A. PERNICE, Parerga X. Nachtrag cit. 76 nt. 2.

vinciali) è importante, per l’uso terminologico anche una testi-monianza pliniana:

Plin. ep. 10.114 (115). C. PLINIUS TRAIANO IMPERATORI.1. Lege, domine, Pompeia permissum Bithynicis civitati-bus adscribere sibi, quos vellent, cives, dum ne quem earumcivitatium, quae sunt in Bithynia. Eadem lege sancitur,quibus de causis e senatu a censoribus eiciantur. 2. Inde mequidam ex censoribus consulendum putaverunt, an eiceredeberent eum, qui esset alterius civitatis. 3. Ego, quia lexsicut adscribi civem alienum vetabat, ita eici e senatu obhanc causam non iubebat, praeterea, quod adfirmabaturmihi in omni civitate plurimos esse buleutas ex aliis civita-tibus futurumque, ut multi homines multaeque civitatesconcuterentur ea parte legis, quae iam pridem consensuquodam exolevisset, necessarium existimavi consulere te,quid servandum putares. Capita legis his litteris subieci.

Come si vede, il governatore della provincia descrive uncontrasto tra una consuetudine che si è radicata sul territoriobitinico e una pars della legge Pompea, che avrebbe dovutoreggere l’ordinamento provinciale, ma era disapplicata. Il «di-sabituarsi» all’applicazione della lex è dovuto, secondo le pa-role di Plinio ad un consensus quidam. L’imperatore, interro-gato sul problema delle adscriptiones improprie a stretto rigordi legge, ma avvenute per consuetudine ampiamente ammessa,proporrà un temperamentum: di mantenere le posizioni già ac-quisite, ma di riprendere, per il futuro, l’osservanza della leggePompeia 335. L’immodificabilità del diritto scritto attraverso la

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335 La risposta di Traiano si legge in Plin. ep. 10.115 (116). TRAIANUS PLINIO.Merito haesisti, Secunde carissime, quid a te rescribi oporteret censoribus consulenti-bus, an <manere deberent> in senatu aliarum civitatium, eiusdem tamen provinciae,cives. nam et legis auctoritas et longa consuetudo usurpata contra legem in diversummovere te potuit. mihi hoc temperamentum eius placuit, ut ex praeterito nihil nova-remus, sed manerent quamvis contra legem adsciti quarumcumque civitatium cives,in futurum autem lex Pompeia observaretur; cuius vim si retro quoque velimus cu-stodire, multa necesse est perturbari.

consuetudo è mostrata chiaramente dalla risposta imperiale, mabisogna rilevare come tale tipologia consuetudinaria provin-ciale, che si muove in un ambito che comprende anche non cit-tadini, non può in alcun caso essere ricondotta al livello deimores, che costituiscono il modello romano del diritto ‘a for-mazione consuetudinaria’ nell’età classica 336.

Si può tornare ad una prospettiva generale, proposta daModestino sul finire dell’età severiana:

D. 1.3.40 (Mod. 1 reg.). Ergo omne ius aut consensus fecitaut necessitas constituit aut firmavit consuetudo 337.

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 153

336 Sui testi pliniani si v., da ultimo, e con essenziali riferimenti bibliografici, F.GALLO, Interpretazione e formazione consuetudinaria2 cit. spec. 181 ss. Erano statila base di partenza per la critica di S. SOLAZZI, La desuetudine della legge cit. 18 ss.[=Scritti III cit. 275 ss.]. G. BESELER, ‘Et ideo’ – ‘Declarare’ – ‘Hic’ cit. 57 s., riescea chiarire (a mio parere) il vizio di fondo dell’analisi di Solazzi: «Er handelt im prvon provinzialen Übungen … Provinziale Übung kann aber deshalb eine römischeNorm nicht aufheben, weil der Untertan keine Gewalt über den Herrn hat. Das isttrotz S[olazzi] 3 sqq auch davon der Grund, daß die in den Briefen 114 und 115 derKorrespondenz zwischen Plinius und Trajan erwähnte longa consuetudo rechtlichbedeutungslos ist». Il suo discorso si allargava alla possibilità di abrogazione per de-suetudinem (sulla base di Coll. 7.3.2-3 [Ulp. 18 ad ed.], nella parte, naturalmente,non riportata in D. 9.2.5 pr., e relativa alle Dodici tavole), ma poi reputava (al so-lito, cfr. supra 138 ss.) «unecht» il § 1 del passo in D. 1.3.32 attribuito a Giuliano (84dig.), perché il principium non necessitava una digressione sul diritto consuetudina-rio ‘derogatorio’ (ma questa conseguenzialità non tiene conto della possibilità discorciamenti all’interno del frammento, ovvero della possibilità di passare dall’ana-lisi di consuetudini locali a quella di usi generali o romani: lo sostiene, ad esempio,P. VAN WARMELO, D. 1.3 cit. 420). Per una ulteriore critica del contributo di Solazzisi v. anche S. RICCOBONO, Corso II cit. 314 ss. Non mi sembrano decisive le con-tromosse dello stesso S. SOLAZZI, Dispute romanistiche, in Studi in memoria diA. Albertoni I (Padova 1932) 35 ss. [=Scritti III cit. 399 ss.], e di A. STEINWENTER,Solazzi’s Lehre von der ‘desuetudo’ cit. 131 ss. [=Mnemeion S. Solazzi cit. 1 ss.].

337 Sul testo è ancora attuale lo studio di TH. MAYER-MALY, ‘Necessitas consti-tuit ius’, in Studi in onore di G. Grosso I (Torino 1968) 177 ss.; cfr. anche ID., Ge-meinwohl und ‘Necessitas’, in Festschrift für A. Erler zum 70. Geburtstag (München1970) 135 ss. Il rapporto con D. 1.3.36 (Paul. 7 ad Sab.), in cui si fa riferimento alla‘necessità’ del diritto scritto in alcuni campi, mi fa pensare (ma si tratta di una meraipotesi) che la costituzione per necessitas corrisponda nel testo di Modestino al di-ritto imperiale (uno spunto in tal senso, invero, si trova già nell’apparato ordinariodi Accursio: Gl. ‘necessitas’ ad h. l., cfr. TH. MAYER-MALY, ‘Necessitas’ cit. 184 s.).

La tripartizione 338, che (con un esordio che riprende – mipare – il concetto comprensivo gaiano di ‘tutto il diritto’ 339)sintetizza la regula della nomopoiesi, articola il ius come og-getto di tre matrici: la prima è quella consensualistica (ove im-mediatamente il diritto è prodotto di un facere), che fa riferi-mento al diritto come effetto di un patto sociale, ovvero, ad ungradino più basso, alla legge come accordo 340. Seguono (al li-vello della produzione) la necessitas 341 come soluzione, che haforza costituente in rapporto con lo stato di fatto che indirizzala scelta, e la consuetudo, la cui caratteristica è individuata nellacapacità (in questa prospettiva non immediatamente creatrice,ma) confermativa rispetto al ius 342.

154 CAPITOLO SECONDO

338 Per una critica al frammento, che tuttavia conserva il riferimento al consen-sus che «fa» il diritto, si v. G. LOMBARDI, Sul titolo ‘quae sit longa consuetudo’ cit.52 ss. (con letteratura nelle ntt. 136-139 di p. 53), secondo il quale Modestino, rife-rendosi al consenso alluderebbe al «diritto consapevolmente statuito» (p. 53).

339 Gai 1.8 [=D. 1.5.1=I. 1.2.12]; con riferimento alla causa della costituzionedel diritto si v. anche il noto testo di Ermogeniano in D. 1.5.2 (1 iur. ep.), su questoframmento (anche in rapporto con l’omne ius di Gaio) si v. ora, diffusamente, E. DO-VERE, ‘De iure’. Studi sul titolo I delle Epitomi di Ermogeniano (Torino 2001) 53 ss.

340 Sul punto si v., di recente, F. GUIZZI, ‘Politeia’ e ‘res publica constituta’. Alleradici dell’idea moderna di costituzione, in Raccolta di scritti in memoria di A. Vil-lani III (Napoli 2002) 1399 ss. Sul rapporto tra il traffico giuridico che favorisce ilbene comune e il «Konstituante» del ius, per come inteso da Modestino, si v. le ri-flessioni di TH. MAYER-MALY, ‘Necessitas’ cit. 198: «Daher ist consensus nicht ein-fach auf eine die Einigung des Volkes artikulierende Gesetzgebung und consuetudonicht einfach auf das umstrittene Gewohnheitsrecht zu beziehen. Auch hier werdeninnere Faktoren der Rechtsbildung gemeint: Was deshalb gilt, weil man sich aufeine von mehreren Möglichkeiten geeinigt hat, beruht auf dem consensus als Kon-stituante des Rechts»; cfr., sullo stesso piano, anche ID., rec. a B. SCHMIEDEL, ‘Con-suetudo’ cit. spec. 385.

341 Esiste una tradizione dossografica sulla giuridicità della necessitas, cfr. Sen.rhet. contr. exc. 4.4, Publ. Syr. p. 45 MEYER. È tarda l’assunzione del criterio nellalegislazione imperiale, si v. CTh. 1.7.1 [a. 359], C. 10.32.25 [a. 364], 11.4.1.1 [a. 406].Per l’importanza giuridica della necessitas si v., di recente, A. GUARINO, ‘Consortium’e ‘necessitas’, in Trucioli di bottega 8 (Napoli 2002) spec. 34 s., a proposito, in par-ticolare, dell’antico consortium, che avrebbe carattere «istituzionistico» (sul puntocfr. anche, del maestro napoletano, L’ordinamento giuridico5 cit. 102, 124).

342 Sulla consuetudine nell’ambito delle fonti del diritto romano basti qui ilrinvio a G. SCHERILLO, s.v. «Consuetudine», in NNDI. IV (Torino 1959) 301 ss.;B. SCHMIEDEL, ‘Consuetudo’ im klassischen und nachklassischen römischen Recht(Köln-Graz 1966); L. BOVE, La consuetudine in diritto romano I cit. passim; A.

Un testo gaiano, pur non provenendo da una parte gene-rale-teorica del manuale istituzionale 343, potrebbe far pensarealla formazione «direttamente ed esclusivamente» 344 consuetu-dinaria di istituti del diritto privato attraverso il consensus:

Gai 3.82. Sunt autem etiam alterius generis successiones,quae neque lege XII tabularum neque praetoris edicto, sedeo iure, <quod> 345 consensu receptum est, introductae sunt.

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 155

GUARINO, L’ordinamento giuridico5 cit. 289 ss. Ampia ed articolata (dal punto divista storico e dogmatico) la riflessione sul tema di F. GALLO, La consuetudine neldiritto romano, in Apollinaris 51 (1978) 440 ss. [=Atti del Colloquio romanistico-ca-nonistico Roma 1978 (Roma 1979) 98 ss.=Opuscula selecta (Padova 1999) 187 ss.],Interpretazione e formazione consuetudinaria2 cit. passim, Tra la recezione ‘mori-bus’ e la ‘consuetudo’: la fase della assenza della formazione consuetudinaria daglielenchi delle fonti del diritto, in La codificazione del diritto dall’antico al moderno.Incontri di studio, Napoli, gennaio-novembre 1996. Atti (Napoli 1998) 245 ss., Pre-cisazioni su ‘ius moribus receptum’, ‘responsa prudentium’, ‘consuetudo’, in Labeo46 (2000) 95 ss. Altri dati e bibliografia sul problema si trovano ora in E. DOVERE,‘De iure’ cit. 29 ss.

343 Lo nota H. WAGNER, Studien zur allgemeinen Rechtslehre cit. 101.344 Cfr. G. FALCONE, Appunti sul IV commentario delle Istituzioni di Gaio

(Torino 2003) 112 nt. 247, il quale pone anche la possibilità che il giurista volesse ri-chiamare la «attività di elaborazione-approvazione dei giuristi, che attribuisce giu-ridicità alla prassi», cfr. H. L. W. NELSON, U. MANTHE, Gai Institutionum III 1-87cit. 200, con la citazione di D. 1.2.2.12, I. 3.10 pr., Theoph. Par. 3.10 pr., testo (in-vero piuttosto indipendente, soprattutto nella sua struttura esemplificatoria) nelquale – solo – viene esplicitato il ruolo dei «sapienti»: … ejk thı ajgravfou (scil.novmou) twn sofw`n sunainevsewı… hJ a[grafoı twn sofwn sunaivnesiı … (deciso, insenso contrario, ad esempio, M. KASER, Das römische Privatrecht2 I cit. 196 nt. 23:«bezogen wohl nicht nur auf den Konsens der Juristen»; per una possibile conte-stualizzazione del brano teofilino nell’ambito del diritto bizantino, si leggano lefonti citate da F. GORIA, La teoria della consuetudine nell’‘Ecloga Basilicorum’ (sec.XII), in Nozione … Ricerche F. Gallo III [Napoli 1997] 178 s. nt. 54). D’altra parte,ad esempio per W. WALDSTEIN, Gewohnheitsrecht cit. 114 [=Diritto consuetudina-rio cit. 183], si tratterebbe dei mores di cui in D. 1.1.9 (Gai. 1 inst.) [=I. 1.2.1=Gai1.1 integr.]: Omnes populi, qui legibus et moribus reguntur, partim suo proprio, particommuni omnium hominum iure utuntur.

345 Il quod è integrato sulla base del testo parallelo in I. 3.10 pr. (che serve an-che a riscrivere in consensu quello che a G. STUDEMUND, Gaii institutionum com-mentarii quattuor codicis Veronensis … apographum [Lipsiae 1873] 149 [fol. 20r lin.3], parve concessu nel Veronese; anche se nell’apografo di E. BÖCKING, in Gai Insti-tutiones, Codicis Veronensis apographum … [Lipsiae 1866] 149 ad loc., si legge con-censu): Est et alterius generis per universitatem successio, quae neque lege duodecim

Il giurista antoniniano sta introducendo l’ultimo trattodella sua discussione sulle successioni, accingendosi a trattaredi quelle tipologie che non siano corrispondenti né alla leggedecemvirale 346, né all’editto pretorio: il richiamo è da una partealle ipotesi di capitis deminutio, dall’altra alla in iure cessio 347.Dunque Gaio, utilizzando il tipico schema del genus (… alte-rius …) 348, descrive l’«introduzione» di quegli istituti attra-verso «quel diritto», che è recepito consensu 349. Il testo del Ve-

156 CAPITOLO SECONDO

tabularum neque praetoris edicto, sed eo iure, quod consensu receptum est, intro-ducta est; si v. l’apparato critico ad loc. in H. L. W. NELSON, U. MANTHE, GaiInstitutionum III 1-87. Intestaterbfolge und sonstige Arten von Gesamtnachfolge.Text und Kommentar (Berlin 1992) 46. Si pone il dubbio sulla correttezza della re-stituzione H. WAGNER, Studien zur allgemeinen Rechtslehre cit. 101. Sulle ulterioriproposte di integrazione si v. infra 157 nt. 352.

346 Nel manoscritto veronese si trova il riferimento esplicito alle Dodici tavole,che vengono rappresentate come l’unica alternativa normativa, nel campo del dirittoereditario, all’editto del pretore, ma basta sfogliare le pagine gaiane che precedonol’affermazione, per notare la riduttività della limitazione alla matrice decemvirale,che veramente appare senza senso rispetto a quanto da Gaio stesso riportato fino aquel punto della sua trattazione. Non si può dimenticare – a questo punto – la le-zione critica (sia pure nutrita da qualche eccesso polemico) fornita da S. SOLAZZI,L’ossessione delle Tavole, in SDHI. 3 (1937) 151 s. [=Scritti di diritto romano VI(Napoli 1972) 495 s.], il quale, partendo dalla comune sacrosanta correzione dellatradizione veronese di Gai 2.112. … ex auctoritate divi Hadriani senatus consultumfactum est, quo permissum est - - - feminis etiam sine coemptione testamentum fa-cere, si modo non minores essent ann[i]<orum> XII [tab.]; scilicet ut quae tutela li-beratae non essent, tutore auctore testari deberent, sostenne che il codice fosse «pas-sato per le mani di un tale che vedeva dappertutto le XII Tavole». Che quello«scemo» (cfr. ancora S. SOLAZZI, Glosse a Gaio. Seconda puntata cit. 412 [=ScrittiVI cit. 369]) abbia sbagliato anche nel passo in questione? Non varrebbe, comun-que, a mio parere, ad evitare l’ipotesi glossematica, la possibilità che il giurista stesserappresentando la legge decemvirale come matrice di tutto il diritto civile (in con-trapposizione con il diritto onorario), e ciò proprio per il riferimento – sul quale siv. subito infra nel testo – ai mores normativamente considerati.

347 Cfr., rispettivamente, Gai 3.83-84 (per le fattispecie di adoptio e di conven-tio in manum), 3.85-87 (per la in iure cessio hereditatis). Com’è noto, al § 88 delterzo libro Gaio, che si sta occupando della prospettiva delle res, lascia la materiasuccessoria e passa alla trattazione delle obligationes.

348 In modo «vago» secondo M. TALAMANCA, Lo schema ‘genus’-‘species’ nellesistematiche dei giuristi romani, in La filosofia greca e il diritto romano [Acc. Naz.Lincei, Quaderno 221] II (Roma 1977) 267 nt. 734 [da p. 262], poiché le successionidi cui si tratta pure «assumono rilevanza sul piano del diritto civile».

349 Interessante una notazione bonfantiana: «… per i casi che si ricollegano al-

ronese è, nel punto in questione, scorretto 350: ciò ha spinto glistudiosi alla correzione ed all’integrazione. Se consensu al po-sto di concessu è (quasi) universalmente accettato, ulterioriproposte, che rappresentano vere e proprie interpretazioni,non mancano. Appare alquanto isolata la congettura, dal tonoche suona ciceroniano 351, quasi consensu 352; più diffusa (ed an-

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 157

l’adrogatio, all’in manum conventio nelle sue varie forme, alla riduzione in schia-vitù, la posizione delle cose è sotto ogni aspetto diversa. Queste figure non sonopunto sorte nella piena luce dei tempi storici, bensì rimontano ad un’epoca di cuinon vi è più memoria, e i Romani, come in simili casi è loro costume, dicono cheesse debbono la loro origine alla consuetudine, eo iure quod consensu receptum estintroducta sunt. Esse, pur mantenendo il concetto generale e i caratteri della succes-sio, non serbano la menoma traccia di una assimilazione all’eredità, ma si presen-tano veramente con un’assoluta indipendenza di fronte a questa, hanno una disci-plina propria, la qual disciplina alla sua volta non è determinata da ragioni di op-portunità pratica, – ché anzi le necessità pratiche … vi hanno indotto dellederogazioni – ma delle ragioni organiche che l’hanno generata», così P. BONFANTE,Corso di diritto romano VI. Le successioni. Parte generale a c. di G. BONFANTE eG. CRIFÒ (rist. corr. della I ed., Milano 1974) 21. Per l’uso di successio in 3.82 (che hauna motivazione qui anche sistematica) si v. M. KASER, Das römische Privatrecht2 Icit. 675 nt. 26.

350 Cfr. supra 155 nt. 345.351 In particolare a Cic. part. or. 37.130?352 Non la esclude, con una certa prudenza, L. BOVE, La consuetudine in di-

ritto romano I cit. 124 nt. 148 (ma v. 123, dove <quod tacito> è rafforzato secondolo studioso dall’uso gelliano), ove anche il richiamo a C. GIOFFREDI, ‘Ius’, ‘lex’,‘praetor’ cit. 80 nt. 135, che, però propende per l’uso dell’aggettivo tacitus: «con ta-cito si spiega benissimo, per assonanza, il concessu in cui è scivolato il copista» (sulpunto si v. subito infra nel testo). Singolare la trascrizione di G. LOBRANO, Popoloe legge: il sistema romano e la deformazione moderna cit. 473 nt. 75: «… quod ‘ta-cito consensu’ receptum est». Strana la posizione di E. BETTI, ‘Declarare voluntatem’cit. 458, che attribuendo a Gaio (oltre che ai Tituli ex corpore Ulpiani) la dizione ta-citus consensus populi, reputa (anche se con un punto interrogativo) glossematico illuogo in questione del Veronese (lo studioso già in Forma e sostanza cit. 115 nt. 30[da p. 114] aveva scritto: «inattendibile è ‘tacito consensu’ in Gai III, 82»). Era statopiù che dubbioso anche M. KASER, ‘Mores maiorum’ cit. 65 nt. 3: se da una parte (aseguito di A. STEINWENTER, Zur Lehre cit. 434 ss., che però, se, come si è visto,aveva ampiamente sospettato il testo giulianeo in D. 1.3.32, aveva risparmiato pro-prio Gaio: p. 431; sul punto v. H. WAGNER, Studien zur allgemeinen Rechtslehrecit. 102 nt. 1, e supra in questo paragrafo) notava proprio la menzione del consensotacito, dall’altra, ponendo la non classicità di introducere (cfr. 88 nt. 1, 90 nt. 1), an-dava oltre la traccia di FR. SCHULZ, I principii cit. 13 nt. 45 (che reputava aggiuntosolo il tratto sed eo-receptum est), concludendo per la verisimiglianza di un «Füll-sel» postclassico corrispondente a tutto il paragrafo del Veronese; poi lo studioso

che senza giustificazioni, data come scontata 353) l’integrazione<quod tacito>, che serve certamente ad enfatizzare la contrap-posizione sulla quale il giurista sta richiamando l’attenzione,utilizzando (peraltro) un linguaggio che poteva essere quelloproprio del maestro Salvio Giuliano 354 (ed era ampiamente dif-

158 CAPITOLO SECONDO

tedesco, anche su tale questione, si è ampiamente ricreduto: cfr. Das römische Pri-vatrecht2 II (München 1975) 57 e nt. 45, Zur Problematik cit., sulle opinioni soste-nute da Kaser in quest’ultimo saggio si v. O. BEHRENDS, rec. a Festschrift W. Flumecit., in ZSS. 97 (1980) 467 ss., che accetta la difesa dell’autenticità, ma affermandoche nella dottrina ‘classica’ l’inserimento della consuetudine nella teoria delle fontinon avrebbe avuto particolare significato (mentre la posizione di Giuliano, raccor-dantesi con il concetto di ‘volontà popolare’, costituirebbe una «sabinianische Son-dermeinung»), cfr. anche ID., Die Gewohnheit des Rechts und das Gewohnheitsre-cht, in D. WILLOWEIT (Hg.), Die Begründung des Rechts als historisches Problem(München 2000) 21 ss.

353 Tra le varie edizioni si v. le autorevoli scelte di E. SECKEL, B. KÜBLER, GaiInstitutiones8 (Lipsiae 1939) 146 [=sul punto a IDD., Iurisprudentiae anteiustinianaereliquiae6 I cit. 286; è da rilevare come la correzione non fosse contemplata nelleedizioni della raccolta curate da PH. E. HUSCHKE (18611, 18865) rispettivamente:215, 306, ove l’intervento è limitato all’inserzione del quod ed alla correzione con-sensu]; V. ARANGIO-RUIZ, A. GUARINO, in Breviarium iuris Romani8 (Milano1998) 121. Aggiungono, invece, il solo quod (sulla base delle Istituzioni imperiali),ad esempio, M. DAVID, Gai Institutiones2 ed. minor (Leiden 1964) 92; H. L. W.NELSON, U. MANTHE, Gai Institutionum III 1-87 cit. 46, 200 (come si è già visto,cfr. supra in questo paragrafo), J. REINACH, Gaius, Institutes (Paris 1950) 106, ilquale mantiene anche concessu del Veronese (studemundiano) e traduce: «Il y a dessuccessions d’un autre genre qui n’ont été introduites ni par la loi des douze tablesni par l’édit du préteur mais qui ont été admisses par extension».

354 Cfr. L. BOVE, La consuetudine in diritto romano I cit. spec. 123 s. Sul col-legamento tra Gai 3.82 e D. 1.3.32 (Iul. 84 dig.) si v. in particolare J. A. C. THOMAS,Custom and Roman Law, in TR. 31 (1963) 46 s., in cui, proponendo la classicità delriferimento al «tacit consent» in Giuliano proprio sulla base del testo provenientedalle Institutiones (che è «independent and classical»), lo studioso sottolinea la fa-miliarità che il caposcuola sabiniano doveva avere con l’idea filosofica e retorica del«diritto non scritto razionale»; a questo punto non capisco perché si tenti comun-que la correzione estesa del testo tràdito: «That is to say, one would certainly denycredence to the present [Inveterata … abrogentur], but would suggest that Juliansaid something to the following effect: Hoc ius dicitur moribus constitutum quodconsensu (iudicio? voluntate?) populi receptum est or Hoc ius dicitur moribus consti-tutum quod usus populi probavit», perdendo così la consonanza del brano giulianeoproprio con quella tradizione filosofico-retorica, che lo giustifica dal punto di vistadell’utilizzazione della locuzione consensus populi. Si v. anche H. WAGNER, Studienzur allgemeinen Rechtslehre cit. 101, che però mi sembra cadere in contraddizione

fuso nel II secolo d. C.: lo testimonia Gellio). Ancora unavolta, in tal caso, il consenso come fonte mostrerebbe la suanatura silenziosa 355.

Ed è proprio con il silenzio, che si può terminare questarassegna: in un’affermazione ampia e piuttosto generica, iltardo Ermogeniano riprenderà il tema della formazione con-suetudinaria del diritto. Nel suo discorso valgono la compro-batio per mezzo di una longa consuetudo (con la specificazionedi un’osservanza per annos plurimos) ed insieme, riprendendouna terminologia antica, la tacita conventio dei cives:

D. 1.3.35 (Hermog. 1 iur. ep.). Sed et ea, quae longa con-suetudine comprobata sunt ac per annos plurimos obser-

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 159

a p. 173 nt. 1, ove cerca di costruire una diversificazione tra il consensus omnium,che corrisponderebbe alla ragione naturale ed opererebbe nell’influenzare il «legi-slatore» (cfr. p. 173 nel testo), ed un consensus civium capace il «diritto civile a for-mazione consuetudinaria» (cfr. p. 101): Giuliano, che sembra per lo studioso tede-sco (e non a torto) il modello del Gaio istituzionale, opera al di là della dizione deicives (anche se vi si riferisce intrinsecamente) proprio quando per lui tacitus con-sensus omnium sta a significare «eine Form des zivilrechtlichen Konsenses». Sulrapporto tra il diritto consuetudinario nel passo gaiano ed il frammento giulianeo siv. infine G. LOBRANO, Popolo e legge cit. 473 nt. 75 (su D. 1.3.32, ma soprattuttoin una prospettiva giustinianea, v. 469 ss.); C. A. MASCHI, Punti di vista cit. 76nt. 68.

355 Per meglio comprendere l’utilizzazione del termine da parte della giuri-sprudenza romana si può forse qui citare D. 38.17.1.12. (Ulp. 12 ad Sab.). Quod aitsenatus: ‘quae iudicata transacta finitave sunt, rata maneant’, ita intellegendum est,ut ‘iudicata’ accipere debeamus ab eo cui iudicandi ius fuit, ‘transacta’ scilicet bonafide, ut valeat transactio, ‘finita’ vel consensu vel longo silentio sopita. Il giurista stacommentando ad verba il senatusconsultum Tertullianum, dopo la interpretazione(invero non particolarmente spinosa) del senso di iudicata e transacta, che hannoprecisi referenti tecnici da una parte nell’attività del giudice, dall’altra nella tipolo-gia negoziale basata sulla buona fede, per la spiegazione di finita (che a mo’ dichiusa mi pare voler ricomprendere qualsiasi altra fattispecie che avesse definito lacontroversia) si riferisce ad un mero consensus (non riversato nella transactio), cuiimmediatamente fa accedere quello che nella sostanza è pure un consenso, e cioè ilfatto che la lite fosse longo silentio sopita. Sul problema della irretrattabilità (con ri-ferimento al testo in questione) si v. G. PUGLIESE, s.v. «Giudicato civile (storia)», inED. XVIII (Milano 1969) 757 s. nt. 126 [=Scritti giuridici scelti II. Diritto romano(Napoli 1985) 169 s. nt. 126]; G. MELILLO, s.v. «Transazione (dir. rom.)», in ED.XLIV (Milano 1992) 784 nt. 78 (cfr. ID., ‘Contrahere’, ‘pacisci’, ‘transigere’. Contri-buti allo studio del negozio bilaterale romano [Napoli 1994] 291 nt. 684).

vata, velut tacita civium conventio 356, non minus quam eaquae scripta sunt iura servantur 357.

I testi esaminati mostrano la traccia sensibile di un’elabo-razione giurisprudenziale, che proprio sulla base della rappre-sentazione (se si vuole: dell’immaginazione) di un populus(nelle diverse articolazioni linguistiche che possono descriverela struttura costituzionale) che ‘sente’ congiuntamente il di-ritto, assumendo più di una volta tacitus come qualificativoche riesce efficacemente a descrivere uno stato di opinioneproduttivo di ius 358.

160 CAPITOLO SECONDO

356 Rispetto all’edizione maggiore mommseniana (I cit. 14) ho aggiunto unavirgola dopo conventio, per restituire al tratto esemplificativo introdotto da velut lasua natura parentetica (evitando così la critica sforzata di G. LOMBARDI, Sul titolo‘quae sit longa consuetudo’ cit. 55 nt. 147, ove altra letteratura interpolazionistica).

357 Sul passo, ampiamente, E. DOVERE, ‘De iure’ cit. 29 ss.358 Ed ecco perché V. ARANGIO-RUIZ, Sul ‘liber singularis regularum’ cit. 46

nt. 2 [=Scritti di diritto romano II cit. 132 nt. 2] assume proprio il tacitus consensuscome misura della genuinità insieme di D. 1.3.32.1 e di Tit. Ulp. princ. 4. È rile-vante, in questa direzione, il richiamo alla lex tacita corrispondente a «ragione na-turale» in D. 48.20.7 pr. (Paul. l. sing. de port., quae liberis damnat. conc.). Cum ra-tio naturalis quasi lex quaedam tacita liberis parentium hereditatem addiceret …(sui non pochi sospetti di interpolazione si rinvia a Index Interpolationum III[Weimar 1935] 538, da cui si rileva, però, come già negli anni 30 del Novecento ladottrina romanistica non fosse, sul punto, univoca).

IL CONSENSO «COSTITUZIONALE» TRA POLITICA E DIRITTO PUBBLICO 161

SOMMARIO: 1. Sui rapporti tra il consensus politico-costituzionale e la sistemazioneprivatistica dei contratti consensuali. Sensus e consensus. – 2. Due teorie gene-rali e l’offensiva interpolazionistica. – 3. L’oggettivizzazione del contractus e lareazione volontaristica. – 4. Tra diritto sostanziale e sistema edittale. – 5. Re-centi ed ultime prospettive: il consenso nel contratto.

1. Sui rapporti tra il «consensus» politico-costituzionale e lasistemazione privatistica dei contratti consensuali. «Sensus» e«consensus». – La presunta assoluta mancanza di formalità rile-vata dalla storiografia di prevalente orientamento sociologico-politico con riguardo al consensus universorum tributato adOttaviano secondo le Res gestae (34), che – come si è visto – amio parere va riconsiderata a partire dalle testimonianze chemostrano l’atteggiarsi dell’approvazione del senato nei con-fronti della posizione costituzionale del principe (in diversimomenti costituzionalmente rilevanti) 1, ha condotto partedella dottrina (questa volta anche giuridica) 2 a proporre un pa-rallelo tra detta manifestazione di consensus con quello tipicodelle obligationes consensu contractae. Ciò che non può, co-munque, ammettersi, alla luce delle riflessioni fin qui svolte, èl’opinione, anche autorevolmente sostenuta 3, secondo la qualeil consensus universorum ottenuto da Ottaviano, proprio invirtù di un tacito obbligarsi degli universi, avrebbe conferito

CAPITOLO TERZO

NODI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE

1 Si v. supra 47 ss.2 In particolare, E. SCHÖNBAUER, Die ‘Res gestae Divi Augusti’ cit. 37, e (pur

se da una prospettiva differente) F. DE MARTINO, Storia della costituzione2 IV/1cit. 115.

3 M. A. LEVI, Augusto e il suo tempo cit. 299 nt. 9.

un vero e proprio «valore giuridico» alla sua «condizione ille-gale, ma esistente e operante» (pur con la precisazione «pura-mente per analogia e per i precedenti»), si direbbe dal punto divista della costituzione materiale, fino a configurare «unaforma di contratto a pieno titolo». Premessa di tale considera-zione sarebbe, secondo Levi, il valore apsicologico del con-senso nel diritto privato romano 4: ma la costruzione teorica ditale consensus è, con tutta verisimiglianza 5, successiva all’uti-lizzazione da parte di Augusto nelle Res gestae, la quale servead una strutturazione ideologica, in seguito molto sfruttata,che potrebbe esser stata usata (dunque: al contrario) per defi-nire i rapporti obbligatori che si basano sul mero consensodelle parti (semmai qui attraverso una – forse involontaria –sorta di depurazione psicologica). Insomma, se non si prospettal’ipotesi della formalizzazione del consensus, in una o più vota-zioni (da parte del senato e del popolo riunito in comitia 6),

162 CAPITOLO TERZO

4 Esplicito il riferimento a F. WIEACKER, ‘Societas’ cit. 80 ss. (ma ivi, 90, a pro-posito del consenso politico – e riferendosi, mi pare, allo schema gaiano –, lo stu-dioso tedesco aveva sostenuto: «Der allerdings psycologisch gefärbte Konsens-begriff Ciceros und anderer rhetorischer Klassiker hat keine Beziehung auf das spä-tere Schema»), ed a G. GROSSO, Il sistema romano dei contratti3 (Torino 1963) 53ss.: M. A. LEVI, Augusto e il suo tempo cit. 299 nt. 9; per la comparazione con ilcontratto Levi fa riferimento a due testi della Compilazione, che di seguito si tra-scrivono, per utilità del lettore: D. 2.14.13 pr.-1 (Paul. 3 ad ed.). Sed ‘si tantum adactionem procurator factus sit’, conventio facta domino non nocet, quia nec solvi eipossit. 1. Sed si in rem suam datus sit procurator, loco domini habetur: et ideo ser-vandum erit pactum conventum; D. 35.1.5 pr.-1 (Paul. 2 ad Sab.). Condicionibuspupillus et sine tutoris auctoritate parere potest. Nec quem moveri, quod expletacondicione necessarius heres aliquando esse potest: nam hoc iure potestatis fieri, noncondicionis expletae. 1. Item servus vel filius familias sine iussu patris vel dominicondicionem implere possunt, quia eo facto nemo fraudatur. Forse si tratta di un er-rore di riferimento (oppure di non adeguata valutazione delle fonti).

5 Il primo giurista che la usa, per quanto ne sappiamo, è Giavoleno (ma il te-sto, D. 44.7.55 [12 epist.], è sospettato, v. infra 171 s.), poi la utilizzano Pomponio eGaio, nelle sue Institutiones (cfr. supra 42 ss.); la natura dell’opera e la personalità diGaio consentono certamente l’ipotesi di un impiego precedente diffuso, ma è co-munque significativo che siano così scarne le attestazioni nella giurisprudenza di I eII secolo dopo Cristo.

6 Ancora meno probabile mi sembra l’opzione di un voto parziale della solaplebe (cfr. supra 99 nt. 173).

non si può ammettere, dal punto di vista giuridico, l’opinionedi una legalizzazione del principato immediatamente attra-verso il consenso «obbligatorio». Naturalmente si può pro-spettare il consensus come un momento importante per la le-gittimazione politica (tacita ovvero palese) di Ottaviano/Au-gusto 7. Questa osservazione può, forse, al di là di quantoappena ricordato sull’aspetto apsicologico del consenso priva-tistico, consentire un unico accostamento tra i due campi, ecioè la mancanza di una forma data dall’ordinamento per ma-nifestare l’adesione di uno o più soggetti nei confronti di unoggetto(/progetto 8) che incide sul generale o particolare as-setto di interessi nel quale essi sono coinvolti.

Le difficoltà di questa prospettiva ricostruttiva del rap-porto pubblico/privato mi sembrano poi dimostrate in ma-niera dirimente da una fonte giuridica 9 di età severiana (ma

NODI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE 163

7 Sulla cautela rispetto alla ricostruzioni troppo schematiche (in un senso onell’altro) sul ‘principato augusteo’ si v. le equilibrate pagine di A. GUARINO, Gliaspetti giuridici cit. 35 ss., spec. 43 s. [=PDR. III cit. 502 ss., spec. 512 s.]; lo stu-dioso napoletano è tornato di recente sul problema, riaffermando il carattere costi-tuzionale «vago e approssimativo» del potere di Augusto in Impuntature 1. L’aglionon mancherà, in Trucioli di bottega 5 (Napoli 2001) 30 s., a proposito dell’edittocontenuto nella tabula Paemeiobrigensis di recente scoperta.

8 Di «fine comune» parla F. DE MARTINO, Storia della costituzione2 IV/1 cit.115.

9 D. 41.2.1.22 (Paul. 54 ad ed.); sul testo, che si riferisce all’impossibilità di pos-sessio comune die municipes per difetto di un atteggiamento soggetivo unanime, siv. M. KASER, Das römische Privatrecht2 I cit. 307: «ob die municipes durch ihr ge-meinsames Handeln der Gemeinde den Besitz erwerben ... scheint kasuistisch beur-teilt worden zu sein»; cfr. D. 10.4.7.3 (Ulp. 24 ad es.), D. 41.2.2 (Ulp. 70 ad es.). Mala spiegazione torna, alla lettera, a proposito di richiesta di bonorum possessio: an-che in tal caso, pur essendo formalmente legittimati, i municipes in quanto tali man-cano della facoltà rispetto all’atto (solo di conseguenza si propongono le opzioni –peraltro non insospettate, cfr. Index Interpolationum III [Weimar 1935] 61 – di pe-titio per alium, e del combinato disposto del Trebelliano e di un senatoconsulto in-nominato, la cui interpretazione conduce a sciogliere positivamente il dubbio sullalegittimazione): D. 38.3.1.1 (Ulp. 49 ad ed.). Sed an omnino petere bonorum posses-sionem possint, dubitatur: movet enim, quod consentire non possunt, sed per aliumpossunt petita bonorum possessione ipsi adquirere. Sed qua ratione senatus censuit,ut restitui eis ex Trebelliano hereditas possit: qua ratione alio senatus consulto here-dibus eis institutis a liberto adquirere hereditatem permissum est: ita bonorum quo-

probabilmente con una matrice più antica 10), che attesta ilprincipio secondo il quale municipes universi consentire nonpossunt. La testimonianza, ai nostri fini, rileva per la congiun-zione tra universi (questa volta l’aggettivo non è riferibile alpopulus Romanus, ma ad una sua proiezione minore del sensodella cittadinanza: il gruppo dei municipes di una comunità lo-cale), ed il verbo consentire. Nell’ottica strettamente priva-tistica, non si può quindi accedere all’idea di un gruppo inquanto tale (dunque: slegatamente rispetto alle posizioni deimembri uti singuli) che esprime un consentire.

Ma il rapporto terminologico tra senso costituzionale e di-mensione privatistica ha probabilmente un significato. Ci sipuò avvicinare alla sua comprensione, ove si consideri l’ambitodi utilizzazione dei lemmi che esprimono un’intenzione sog-gettiva. Non è indifferente, rispetto a quest’uso, una dilata-zione concettuale che ha a che vedere con lo slogan (ovverocon la metafora, che ad esso è imparentata), un risultato della«differenza tra lingua e realtà preconcettuale» 11. Se, insomma,il consensus ciceroniano e quello delle Res gestae costituisconouna trovata linguistica «arguta e seducente» 12, nella trasposi-zione tecnico-giuridica del concetto (che, come si è visto, è

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que possessionem petere dicendum est. Si tratta dell’unico frammento escerpito neiDigesta sotto la rubrica de libertis universitatium; la considerazione fa seguito allaenunciazione (nel principium del passo) della regola generale secondo la quale mu-nicipibus plenum ius in bonis libertorum libertarum defertur, hoc est id ius quodetiam patrono: sul punto, per un primo orientamento, cfr. M. KASER, o.u.c. I 306nt. 31, 685 nt. 48, 701 nt. 46.

10 Cfr. F. GRELLE, L’autonomia cittadina fra Traiano e Adriano. Teoria e prassidell’organizzazione municipale (Napoli 1972) 123.

11 In tal senso W. HASSEMER, Tatbestand und Typus. Untersuchungen zur straf-rechtlichen Hermeneutik (Köln 1968) 78, cfr. anche 82; sul punto si v. le osserva-zioni di A. KAUFMANN, Die Geschichtlichkeit des Rechts im Licht der Hermeneu-tik, in Festschrift K. Engisch zum 70. Geburtstag (Frankfurt a. M. 1969) 243 ss.[=Beiträge zur Juristischen Hermeneutik (Köln-Berlin-Bonn-München 1984) 25ss.=trad. it., con il titolo La storicità del diritto alla luce dell’ermeneutica, in Filoso-fia del diritto ed ermeneutica a c. di G. MARINO (Milano 2003) 35 ss.].

12 A. KAUFMANN, Die Geschichtlichkeit cit. 245 s. [=Beiträge cit. 26 s.=Filoso-fia del diritto cit. 37].

operativa nella lingua del diritto del II secolo d. C. al livellodell’esame delle fonti dell’ordinamento) si può osservare un la-vorio interpretativo che consente di meglio comprendere ilsenso della costruzione del composto 13.

Forse, a questo punto, è utile isolare, nell’ambito dell’uti-lizzazione giurisprudenziale di sentire/sensus, dei casi signifi-cativi in cui la prospettiva d’uso è corrispondente all’espres-sione di un momento volontaristico. L’indagine mi pare giusti-ficata dal fatto che i giuristi romani percepivano la dipendenzadi consensus dal tema semplice. Ciò è attestato, ad esempio, in45.1.137.1 (Venul. 1 stipul.). Si hominem stipulatus sim et egode alio sensero, tu de alio, nihil acti erit: nam stipulatio exutriusque consensu perficitur, in cui il sentire è momento di in-dividuazione delle singole volontà degli stipulanti, che perqualche motivo non si compiono (con la conseguenza del nihilacti, per esplicita carenza di consensus), essendo indirizzatel’una ad uno schiavo individuato, l’altra de alio e dunque di-vergenti 14.

NODI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE 165

13 Sull’uso di sentire/sensus nella lingua di Roma antica si v. supra 2 ss. ntt.7 ss.; per i significati giuridici si v. H. HEUMANN, E. SECKEL, Handlexicon11 cit. 354,s.v. «Sentire»; VIR. V.357 s., s.v. «sentio».

14 Sempre in tema di stipulatio, ma con una deviazione del discorso in materiaprocessuale, è costruito sostanzialmente allo stesso modo D. 45.1.83.1 (Paul. 72 aded.). Si Stichum stipulatus de alio sentiam, tu de alio, nihil actum erit. Quod et in iu-diciis Aristo existimavit: sed hic magis est, ut is petitus videatur, de quo actor sensit.Nam stipulatio ex utriusque consensu valet, iudicium autem etiam in invitum reddi-tur et ideo actori potius credendum est: alioquin semper negabit reus se consensisse.Anche qui il sentire de alio di una delle due parti rispetto all’intenzione dell’altra hacome risultato il nihil actum. La citazione aristoniana consente una comparazionetra la validità (ancora) ex utriusque consensu del negozio stipulatorio (ed è chiarocome in tal caso sia tenuta presente non la struttura formale, ma la posizione sog-gettiva delle parti) e la relazione processuale, che si costruisce anche in mancanza diuna volontà del convenuto (ma sulla natura compilatoria del tratto sed hic – con-sensisse si v. P. VOCI, L’errore nel diritto romano [Milano 1937] 112, con altra bi-bliografia). L’esito giustinianeo di questa interpretazione della struttura della stipu-latio si legge in I. 3.19.23. Si de alia re stipulator senserit, de alia promissor, perindenulla contrahitur obligatio, ac si ad interrogatum responsum non esset, veluti si ho-minem Stichum a te stipulatus quis fuerit, tu de Pamphilo senseris, quem Stichumvocari credideris.

Già Trebazio Testa 15 in una considerazione sul rapportotra verba e voluntas aveva utilizzato sensus per indicare la vo-luntas testatoris, prevalente – secondo il giureconsulto tardore-pubblicano – sul «significato» dei segni linguistici utilizzati inun testamento, che anche sintatticamente è posto in dipen-denza di quel «senso» 16.

Naturalmente costituiscono dati particolarmente indicativiper questa indagine quei contesti in cui sentire viene utilizzatonell’ambito della descrizione di fattispecie consensualistiche,come in

D. 18.1.34 pr. (Paul. 33 ad ed.). Si in emptione fundi dic-tum sit accedere Stichum servum neque intellegatur, quisex pluribus accesserit, cum de alio emptor, de alio venditorsenserit, nihilo minus fundi venditionem valere constat:sed Labeo ait eum Stichum deberi quem venditor intel-lexerit. nec refert, quanti sit accessio, sive plus in ea sitquam in ipsa re cui accedat an minus: plerasque enim resaliquando propter accessiones emimus, sicuti cum domuspropter marmora et statuas et tabulas pictas ematur.

Anche in tal caso, come nel frammento venuleiano appenatrascritto, sentire si costruisce con un iterato de alio, per mo-strare la non uniformità di posizioni psicologiche, qui di ven-ditore e compratore. Il fatto che il dissenso incidesse su unacosa accessoria (lo schiavo Stico, non identificato allo stesso

166 CAPITOLO TERZO

15 D. 33.6.15 (Proc. 2 epist.). Vinum cum vasis legavit. Negat Trebatius quod indoliis sit deberi et sensum testatoris alium putat esse, verborum alium: ceterum doliain vasis vinariis non essent. Ego et si dolia in vasis vinariis non sunt, non tamen con-cederem Trebatio vinum quod in doliis esset, id est quod in vasis non esset, non esselegatum. Illud verum esse puto, cui vinum cum vasis legatum erit, ei amphoras ca-dos, in quibus vina diffusa servamus, legatos esse: vinum enim in amphoras et cadoshac mente diffundimus, ut in his sit, donec usus causa probetur, et scilicet id vendi-mus cum his amphoris et cadis: in dolia autem alia mente coicimus, scilicet ut ex hispostea in amphoras vel in cados diffundamus vel sine ipsis doliis veneat.

16 Cfr., per tutti, M. TALAMANCA, Trebazio Testa fra retorica e diritto, in Que-stioni di giurisprudenza tardo-repubblicana cit. 89 ss., ove bibliografia (spec. innt. 159 a p. 90).

modo dalle parti) rispetto all’oggetto principale della vendita(il fondo) induce Paolo a considerare valida la venditio (e gliconsente di enunciare una regola risalente a Labeone, con con-seguente esemplificazione, secondo la quale l’individuazionedella res che accede alla cosa principale deve operarsi secondol’intenzione del venditore) 17.

Rilevante pure, in tema di locazione,

D. 19.2.52 (Pomp. 30 ad Q. Muc.). Si decem tibi locemfundum, tu autem existimes quinque te conducere, nihilagitur: sed et si ego minoris me locare sensero, tu pluris teconducere, utique non pluris erit conductio, quam quantiego putavi.

Il testo propone due fattispecie: nella prima io loco unfondo per dieci, tu credi di condurlo per cinque. La conse-guenza giuridica di tale divergenza di opinioni è nihil agitur 18,perché, evidentemente, non c’è accordo sulla mercede. Nellaseconda ipotesi presentata dal giurista viene utilizzato il mo-

NODI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE 167

17 Sul testo, per un primo inquadramento, si v. U. ZILLETTI, La dottrina del-l’errore nella storia del diritto romano (Milano 1961) 63 s.; S. E. WUNNER, ‘Con-tractus’ cit. 162, 212 ss.; H. H. SEILER, ‘Utile per inutile non vitiatur’. ZurTeilunwirksamkeit von Rechtsgeschäften im römischen Recht, in Festschrift M. Ka-ser (München 1976) 128 s.; CHR. KRAMPE, Die ‘ambiguitas’-Regel: ‘Interpretatiocontra stipulatorem, venditorem, locatorem’, in ZSS. 100 (1983) 217 ss.; M. J.SCHERMAIER, Auslegung und Konsensbestimmung. Sachmängelhaftung, Irrtum undanfägliche Unmöglichkeit nach römischem Kaufrecht, in ZSS. 115 (1998) 274 ss.(con una critica alla valutazione come accessorio del problema della identificazione;per l’analisi dell’errore come «Konsensproblem» v. 244 ss., tenendo presente che– ovviamente – i verbi che esprimono conoscenza o credenza, come sentire, indi-cano anche l’accordo, cfr. p. 247 s.; si v., inoltre, ID., Errore o responsabilità pervizi?, in [Centro di Studi romanistici V. Arangio-Ruiz,] Opuscula 7 a c. di A.ADAMO [Napoli 1996] 7 ss.).

18 Sulla operatività della categoria della utilizzabilità(/non utilizzabilità) delnegozio propria dell’esperienza giuridica romana si v. le opportune osservazioni diG. MELILLO, ‘Contrahere’, ‘pacisci’, ‘transigere’ cit. 88 s. (ivi bibliografia in nt. 203a p. 88), 99 s. (con panorama delle locuzioni utilizzate dalla giurisprudenza). Per lemoderne costruzioni dogmatiche (soprattutto su inefficacia, invalidità, nullità) si v.L. VALLE, La categoria dell’inefficacia del contratto, in Contratto e impresa 14(1998) 1203 ss.

dello argomentativo in maiore et minus 19: la prospettiva del lo-catore è più ristretta di quella del conduttore, che dunque lacontiene; il sentire del primo (che è elemento necessario allaformazione della volontà di chi voglia contrarre) essendo mi-nore rispetto alle intenzioni del secondo serve a stabilizzare laquantità della prestazione dovuta 20. Se nella prima ipotesi ildissenso danneggia il conduttore, nella seconda nessuna delleparti subisce un pregiudizio (anzi il conduttore viene avvan-taggiato rispetto alla sua posizione soggettiva), dunque il con-tratto è utilizzabile.

Per il contenuto e la provenienza è da comparare

D. 44.7.57 (Pomp. 36 ad Q. Muc.). In omnibus negotiiscontrahendis, sive bona fide sint sive non sint, si error ali-quis intervenit, ut aliud sentiat puta qui emit aut qui con-ducit, aliud qui cum his contrahit, nihil valet quod acti sit.et idem in societate quoque coeunda respondendum est,ut, si dissentiant aliud alio existimante, nihil valet ea socie-tas, quae in consensu consistit.

Anche questo frammento (come il precedente) provienedal commentario di Pomponio all’opera civilistica di QuintoMucio 21. Pur non potendosi attestare la risalenza del nucleo

168 CAPITOLO TERZO

19 R. BACKHAUS, ‘In maiore minus inest’. Eine justinianische ‘regula iuris’ inden klassischen Rechtsquellen. Herkunft, Anwendungsbereich und Funktion, inZSS. 100 (1983) 136 ss., sul testo di Pomponio: spec. 162 ss.

20 Per un’analisi dei diversi problemi emergenti dal frammento pomponiano siv. almeno J. G. WOLF, ‘Error’ cit. spec. 75 ss., 83 ss. (ma un consenso c’è, seppuresulla somma minore; cfr. le osservazioni e gli spunti bibliografici offerti nella rec. diL. LABRUNA, ‘Errantis voluntas’, in Labeo 8 [1962] 134 s.); U. ZILLETTI, La dottrinadell’errore cit. 69 s.; F. WIEACKER, Irrtum. Dissens oder gegenstandlose Leistungs-bestimmung?, in Mélanges Ph. Meylan I. Droit romain (Lausanne 1963) 398 s.; S. E.WUNNER, ‘Contractus’ cit. 162, 199, 202, 206; H. H. SEILER, ‘Utile per inutile nonvitiatur’ cit. 129 s.; O. BEHRENDS, Institutionelles und prinzipielles Denken cit. 209ss.; G. MELILLO, ‘Contrahere’, ‘pacisci’, ‘transigere’ cit. 101 s. (con una giusta criticaa Zilletti in nt. 239 a p. 102); A. WACKE, ‘Errantis voluntas nulla est’ cit. 286 s.; M. J.SCHERMAIER, Auslegung und Konsensbestimmung cit. 253 ss.

21 Dubbi generali sulla genuinità del testo risultano da Index InterpolationumIII cit. 370 (ma cfr. C. A. MASCHI, Il diritto romano I cit. 300 s.); S. RICCOBONO,‘Stipulatio’ ed ‘instrumentum’ cit. 281 (in particolare sull’esordio cfr. ID., La forma-

centrale del frammento al giurista repubblicano (grandi ap-paiono le difficoltà in tal senso 22), è suggestiva la compara-zione con il noto testo del III libro del de officiis ciceroniano(17.70) in cui l’Arpinate fa parlare il pontefice di bona fides (inuna prospettiva, però, processuale). L’error è qualificato comerisultato di una distorsione tra il sentire (aliud ... aliud) delleparti che contraggono un negozio. Il risultato giuridico dellanon corrispondenza tra i voleri è costruito nel senso del nihilactum (questa volta enunciato in modo più articolato: nihilvalet quod acti sit) 23. Non è improbabile che il contesto origi-nario fosse limitato ai negotia di buona fede, come fa intendereanche il riferimento alle posizioni del compratore e del condut-tore e dunque che Pomponio abbia aggiunto alla esemplifica-zione originaria (che è costruita sulla bilateralità: chi compra,chi conduce – chi contrae con questi) il riferimento alla societas(con riferimento alla quale è utilizzato il verbo dissentire), sen-tendo il bisogno della qualificazione quae in consensu consistit24.

Un interessante collegamento tra sentire e consentire sitrova, ancora, in

NODI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE 169

zione della teoria generale cit. 159 s.); sulla natura insiticia del riferimento alla bonafides si v. E. BETTI, Sul valore dogmatico cit. 47 nt. 2 (con più antica bibliografia);P. DE FRANCISCI, Synallagma II (Pavia 1916) 343, 490.

22 Per tutti si v. F. BONA, Studi sulla società consensuale in diritto romano (Mi-lano 1973) 23 nt. 15, molto cauto. Più deciso nel senso della risalenza a Quinto Mu-cio (per l’utilizzazione della divisione in genera) A. SCHIAVONE, Giuristi e nobili cit.64 s.

23 Il contrasto letto da U. ZILLETTI, La dottrina dell’errore cit. 71 (letteraturacritica ibid. nt. 149), con D. 19.2.52 (Pomp. 30 ad Q. Muc.), da cui lo studioso de-riva motivi di interpolazione del frammento, sta nell’uso, nel primo testo, di regoledi interpretazione obiettiva e dell’id quod actum peculiare della locazione, mentrenel frammento tratto dal titolo de obligationibus et actionibus dei Digesta vi sarebbeun «generale canone di nullità» ed una assimilazione di compravendita e locazione.Quel che qui più interessa è l’uso terminologico, ma si può ugualmente dire che inD. 19.2.52 non vi è trattamento particolare della locatio conductio, ma il modulo ar-gomentativo descritto più sopra nel testo (teoricamente adattabile anche alla com-pravendita). Sulla classicità del materiale che si rinviene nel testo («forse» rimaneg-giato a fini didattici) si v. M. KASER, Das römische Privatrecht2 I cit. 238 nt. 19.

24 Ma M. BRETONE, Tecniche e ideologie2 cit. 108 nt. 22, con sicurezza fa risa-lire il tratto relativo alla società a Quinto Mucio; allo stesso modo anche C. A. MA-SCHI, Il diritto romano I cit. 299.

D. 33.5.8.2. (Pomp. 6 ad Sab.). Unius hominis mihi et tibioptio data est: cum ego optassem, si non mutassem volun-tatem, deinde tu eundem optaveris, utriusque nostrum ser-vum futurum: quod si ante decessissem vel furiosus factusessem, non futurum communem, quia non videor consen-tire, qui sentire non possim: humanius autem erit, ut et inhoc casu quasi semel electione facta fiat communis 25.

Pomponio rappresenta un caso di optio servi, in cui tutti edue i beneficiari scelgono lo stesso schiavo, con la conseguenzadi averlo in comune. Il giurista pone poi il caso che uno deisoggetti a cui è attribuita la facoltà di scelta muoia o divengafuriosus prima di poter optare: rispetto a tale fattispecie il ser-vus non diverrà communis, perché – questa la spiegazione –non videor consentire, qui sentire non possim. Come si vedenon si tratta di un ambito contrattuale, ma rileva allo stessomodo l’uso di sentire come premessa logica rispetto al consen-tire, mostrando (mi pare) tutta la consapevolezza del giuristarispetto al nesso tra i due significanti, alla rilevanza di una pro-spettiva soggettiva che va ad incontrarsi con un’altra.

Affectus e animus furono lemmi sistematicamente sospet-tati nella stagione interpolazionistica degli studi romanistici 26.

170 CAPITOLO TERZO

25 A fronte di una critica generica portata al testo da F. HAYMANN, Textkriti-sche Studien zum römischen Obligationenrecht II. ‘Periculum emptoris’, in ZSS. 41(1920) 95 nt. 2, gli appunti della dottrina interpolazionistica si sono incentrati altratto finale, che attraverso il richiamo alla humanitas stravolge la soluzione delcaso in una tendenza a conferire retroattività (ma qui il punto non interessa), ri-sparmiando la menzione del consensus, cfr. Index Interpolationum II cit. 282 s. adh. loc. Sul passo si v. anche E. BETTI, Lezioni di diritto romano. Rischio contrattuale– Atto illecito – Negozio giuridico (Roma 1959), e cfr. ID., Teoria generale del nego-zio giuridico2 (rist. corr. Napoli 1994) 40 nt. 8 [da p. 39].

26 Per tutti si v. A. GUARNERI CITATI, Indice delle parole, frasi e costrutti rite-nuti indizio di interpolazione nei testi giuridici romani (Milano 1927) 5 s., 10 s. (cfr.già Indice delle parole e frasi ritenute interpolate nel ‘Corpus iuris’ in BIDR. 33[1923] 83, 86); Supplemento all’Indice delle parole, frasi e costrutti ritenuti indizio diinterpolazione nei testi giuridici romani, in Studi in onore di S. Riccobono I (Pa-lermo 1936) 704, 707; Supplemento II all’Indice delle parole, frasi e costrutti ritenutiindizio di interpolazione nei testi giuridici romani, in Festschrift P. Koschaker I

In un frammento inserito nel titolo de obligationibus et actio-nibus dei Digesta queste parole hanno una rilevanza partico-lare per intendere il significato del consensus:

D. 44.7.55 (Iavol. 12 epist.). In omnibus rebus, quae domi-nium transferunt, concurrat oportet affectus ex utraqueparte contrahentium: nam sive ea venditio sive donatio siveconductio sive quaelibet alia causa contrahendi fuit, nisianimus utriusque consentit, perduci ad effectum id quodinchoatur non potest 27.

Il testo, che proviene dalle epistulae di Giavoleno Prisco 28,ha rilevanza in primo luogo con riguardo al trasferimento deldominium 29. Per giustificare il passaggio della proprietà di unacosa v’è bisogno della concorrenza di affectus da parte di tuttie due i contraenti (alienante ed acquirente). La generalizza-zione, che viene a costituire una regola, si avvale di esempi, ar-ticolati sulla base del concetto di causa contrahendi: come talesono prese in considerazione venditio, donatio 30 e conductio.In tutti tali casi, se «non consente» l’animus di tutti e due nonpuò essere condotto ad effetto ciò che è intrapreso. Se il riferi-

NODI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE 171

(Weimar 1939) 119, 122 (con i segni dell’anticritica), sempre s.vv. «adfectio», «ad-fectus», «animus».

27 Per una considerazione delle critiche portate al passo si v. l’Index Interpo-lationum III cit. 370 ad h. loc. Sulla classicità del concetto di volontà di trasferirela proprietà con riferimento al testo di Giavoleno si v. M. KASER, Das römischePrivatrecht2 II (München 1975) 89 nt. 35 (cfr. 283 nt. 71, sulla manipolazione del te-sto, ma non in considerazione di una riforma della traditio).

28 Cfr. B. ECKARDT, Iavoleni Epistulae (Berlin 1978) 223 (in nt. 112 a p. 223 sitrova un resoconto della letteratura critica).

29 F. WIEACKER, Irrtum cit. 405 (che sottolinea la manifestatezza delle interpo-lazioni del testo); D. SCHANBACHER, Zur Bedeutung der Leistungszweckbestim-mung bei der Übereignung durch ‘traditio’ und beim Leitstungsversprechen durch‘stipulatio’, in TR. 60 (1992) 5, 23. Dal punto di vista del riferimento alla causa si v.V. GEORGESCU, ‘Causa’, ‘contractus’, ‘conventio’. Contribution à la théorie généraledu contrat en droit romain, in Etudes de philologie juridique et de droit romain I(Bucarest-Paris 1940); Le mot ‘causa’ dans le latin juridique. Introduction à la théo-rie générale de la cause en droit romain, ibid.

30 Sull’aggiunta giustinianea della donazione si v., per tutti, M. KASER, Das rö-mische Privatrecht2 II cit. 363 e nt. 11 (con ulteriore bibliografia).

mento può essere fatto risalire a Giavoleno 31, ci troveremmodi fronte al primo caso di utilizzazione da parte di un giuristadella terminologia relativa al consenso, e ciò in un contesto(privatistico) decisamente orientato alla valutazione della posi-zione soggettiva dei contraenti.

2. Due teorie generali e l’offensiva interpolazionistica. –Senza poter riferire, in questa sede, di tutte le opere generaliin cui il problema del consenso viene rapidamente esami-nato, bisogna ora affrontare sia pure in breve l’analisi di quelletrattazioni dottrinarie, che, nella stagione della pandettisticamatura, hanno affrontato ex professo del consensus nel di-ritto romano (in esse in qualche modo la dottrina precedenteviene compresa, in via di adesione o per criticarla 32), indivi-duando prospettive di lettura che consistono, sostanzialmente,in teorie generali. Due sono gli studiosi cui bisogna preci-puamente fare riferimento: di Leonhard 33 rileva in primoluogo l’importante lavoro sull’errore 34, poi una voce enciclo-pedica 35; di Fritsche 36 la dissertazione di dottorato in giuri-sprudenza.

172 CAPITOLO TERZO

31 Ma non è improbabile che si tratti di una glossa (ripetitiva) postclassica, cfr.B. ECKARDT, Iavoleni Epistulae cit. spec. 224. Conservativo, invece, D. SCHANBA-CHER, Zur Bedeutung der Leistungszweckbestimmung cit. 5 s. (esplicitamente con-tro l’opinione di Eckardt in nt. 29 a p. 6, ma senza convincenti motivazioni).

32 Nelle note che seguono si daranno maggiori ragguagli sui referenti dottri-nari dei saggi che si stanno per esaminare, per servire ad un loro primo inquadra-mento storiografico e dogmatico.

33 Giurista per formazione ed attività didattica, fu allievo del romanista-civi-lista berlinese Ernst Wilhelm Eduard Eck, cfr. [R. J. STINTZING,] E. LANDSBERG,Geschichte der Deutschen Rechtswissenschaft III/2 [Noten] (München-Berlin 1910)361.

34 Der Irrthum bei nichtigen Verträgen nach römischem Rechte I-II (Berlin1882-1883); ne comparirà poi una seconda edizione, sempre in due volumi (Breslau1907). Sull’opera si v. ora, con ampiezza di analisi, M. SCHERMAIER, Die Bestim-mung des wesentlichen Irrtums von den Glossatoren bis zum BGB (Wien-Köln-Weimar 2000) spec. 570 ss.

35 Cfr. infra 175 ss.36 Non so molto di questo studioso: da un cenno (Untersuchung cit. 6 nt. 1 [da

p. 5]) si può capire che fu allievo di Carl Gustav Bruns: «Statt des Wortlauts dieser

La dottrina di Rudolf Leonhard sull’errore si pone nel-l’ambito della vasta approfondita discussione che si svolge suun tema centrale della negozialità nella Germania che si pre-para alla codificazione civilistica. Punti di riferimento dogma-tico sono le tre diverse «Lehren» che si determinano nell’inter-pretazione del negozio, basate rispettivamente (com’è noto)sulla prevalenza della volontà, della dichiarazione, dell’affida-mento 37. Nel suo ampio saggio (che porta il sottotitolo «Con-tributo per una semplificazione della dottrina contrattuale»,nel senso di una proposta nuova – ed in fondo di mediazione –sul rapporto tra dichiarazione di volontà e contenuto del con-tratto), Leonhard descrive la sua idea centrale sul consensusgià nell’impostazione generale del lavoro 38: ponendosi sullascia di una considerazione in fondo già avanzata da Röver 39,sostiene che nelle fonti il termine stia ad indicare non il volereinterno comune delle parti («das Wort consensus bedeutetnicht eine innere Uebereinstimmung der Contrahenten» è l’e-splicito titolo del secondo paragrafo del saggio), ma la coinci-denza delle dichiarazioni (non del loro tenore letterale, il chelo avrebbe fatto appiattire sulla «Erklärungslehre», piuttosto,invece, del loro senso, del «Sinn»). Come si può facilmente in-tuire, tale ottica dell’affidamento lo pone in immediato con-trasto con le dottrine psicologizzanti, che (partendo dalla de-finizione savigniana del contratto 40) avevano avuto in Zitel-

NODI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE 173

Stellen [una serie di passi di Bruns, appunto, tratti dall’Enciclopedia di Holtzen-dorff] führe ich die Worte an, die ich als Schüler des verstorbenen Meisters getreu-lich nachgeschrieben habe», seguono stralci da «Institutionen-Vorlesungen» e da«Pandekten-Vorlesungen».

37 Per tutti, da ultimo, M. J. SCHERMAIER, Die Bestimmung des wesentlichenIrrtums cit. 537 ss.

38 Der Irrthum bei nichtigen Verträgen I cit. 11 ss.39 Cfr. W. RÖVER, Über die Bedeutung des Willens bei Willenserklärungen

(Rostock 1874) 25, 30, 62. Lo studioso fu il capofila della «Erklärungstheorie», cfr.M. J. SCHERMAIER, Die Bestimmung des wesentlichen Irrtums cit. spec. 548 ss.

40 Si tratta di due pagine notissime sulla «Übereinstimmung» delle «Willens-erklärungen» delle parti contrattuali: System des heutigen römischen Rechts III(Berlin 1840) 308 s. (§ 140); cfr. tra la vasta letteratura H. HAMMEN, Die BedeutungFriedrich Karl v. Savignys für die allgemeinen dogmatischen Grundlagen des Deut-

mann 41 il principale rappresentante. Il punto di partenza as-sunto, conduce dunque lo studioso ad una vasta critica delleinterpretazioni proposte nella tradizione romanistica del con-cetto di consensus: la prospettiva è (in consonanza con l’obiet-tivo enunciato nel detto sottotitolo) quella della «Dogmenge-schichte», più che quella strettamente esegetica.

Nel 1888 viene pubblicata come dissertazione dottorale laUntersuchung di Hans Fritsche, che si pone sulla scia tracciatada Savigny, e – in netta esplicita contrapposizione proprio conLeonhard – accede in sostanza alla dottrina psicologizzanteproposta soprattutto (come si è visto) da Ernst Zitelmann.Il lavoro 42, che affronta la terminologia consentire/consensusesclusivamente nei Digesta giustinianei, è quadripartito: ad un

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schen Bürgerlichen Gesetzbuches (Berlin 1983) 95 ss.; K.-P. NANZ, Die Entstehungdes allgemeinen Vertragsbegriffs im 16. bis 18. Jahrhundert (München 1985) 197 ss.;M. J. SCHERMAIER, Die Bestimmung des wesentlichen Irrtums cit. 485 ss. (nei saggidi Hammen e Schermaier si trovano anche differenti interpretazioni dell’evoluzionedel rapporto volontà-errore nell’opera del grande giurista tedesco).

41 Si v., in primo luogo, E. ZITELMANN, Die juristische Willenserklärung, inJher. Jahrb. 16 (1878) 425 ss.; ID., Irrtum und Rechtsgeschäft. Eine psycologisch-ju-ristische Untersuchung (Leipzig 1879). Sul ruolo del giurista come psicologizzatoredel consensualismo contrattuale romano v. soprattutto le puntuali riflessioni di F.WIEACKER, ‘Societas’ cit. 86 ss., e poi, con qualche approfondimento della critica,Irrtum cit. spec. 385 s. Dalla prospettiva della «Dogmengeschichte» si v. M. SCHER-MAIER, Die Bestimmung des wesentlichen Irrtums cit. 519 ss. (in generale sulla dot-trina dell’errore), 559 ss. (su Zitelmann come critico della «teoria della dichiara-zione»). Importanti, poi, i saggi, più generali, di E. BETTI: Necrologio. Ernst Zitel-mann, in BIDR. 35 (1925) 349 ss., e soprattutto (a questi fini): Ernst Zitelmann e ilproblema del diritto internazionale privato, in Riv. dir. internaz. 17/1-2 (1925) 1 ss.dell’estr. (spec. 7 s., sul concetto di errore e volontà, con valutazione dell’ampia ri-caduta delle teorie psicologistiche dello studioso sulla dottrina e la giurisprudenzasuccessive), Metodica e didattica del diritto secondo Ernst Zitelmann, in Riv. int. fi-los. dir. 5/1 (1925) 1 ss. dell’estr. Si v. anche G. KLEINHEYER, J. SCHRÖDER [Hrsg.],Deutsche und Europäische Juristen aus neun Jahrhunderten4 (Heidelberg 1996) 521;ulteriore bibliografia sul grande studioso tedesco si trova in F. KRAEMER-DIETHARDT, s.v. «Zitelmann Ernst», in NNDI. XX (Torino 1975) 1112 s.

42 Per una valutazione positiva sui risultati relativi al significato di consen-tire/consensus si v. E. BETTI, Sul valore dogmatico della categoria ‘contrahere’ ingiuristi proculiani e sabiniani, in BIDR. 28 (1915) 44 nt. 1; cfr. anche M. LAURIA,L’errore cit. 334 nt. 1 [=Studii e ricordi cit. 19 nt. 90].

inquadramento generale del problema (in cui si trovano anchei referenti dottrinari del saggio), fa seguito una parte analitica,che si sostanzia nell’esame etimologico-semantico del «con-cetto» (nella quale è compreso anche lo studio terminologicodi sensus, dissensus e scientia), poi la «sintesi», che è incentratasul rapporto tra nescientia (e nolentia) e voluntas, ed ancoral’ampia sezione dedicata allo «Erklärungsmoment». Le conclu-sioni (che vogliono rappresentare un momento «costruttivo»del lavoro) tendono a caratterizzare una percezione unitariadel consensus romano «il consensus – scrive Fritsche – è una ca-tegoria psicologica della giurisprudenza e designa, per comerappresentato nei Digesta, un concetto giuridico astratto conquesto contenuto, che le volontà di due o più persone, intesecome soggetti giuridici che negoziano, sono rappresentate nellaloro unione» 43. Il senso di tale affermazione sta nella svaluta-zione della congruenza delle dichiarazioni, rispetto alla «Verei-nigung» di due «direzioni del volere» esternamente riconosci-bili e corrispondenti ad un contenuto negoziale 44.

Leonhard riprende in sintesi le sue opinioni, ma confron-tandole ampiamente con le critiche ricevute, nella voce «Con-sensus» approntata per l’enciclopedia di Pauly e Wissowa 45.

NODI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE 175

43 Untersuchung cit. 99.44 Untersuchung cit. 101.45 In PWRE. IV/1 (Stuttgart 1900) 902 ss. Leonhard fu cooptato da Georg

Wissowa tra i primi collaboratori della seconda edizione della grande impresa cul-turale ed editoriale (cfr. il Vorwort al vol. I/1 [Stuttgart 1894] viii, in cui lo studioso,al nr. 60 della lista alfabetica, risulta incaricato per la sezione «Römisches Recht»,con la specificazione: «Privatrecht, Strafprocess» (si v. anche p. xii, da cui risulta laserie originaria dei romanisti coinvolti, cui è da aggiungere – però – Paul Jörs, chesi trova sotto il raggruppamento «Literaturgeschichte» a p. xi), fu particolarmenteattivo nella redazione di voci a contenuto giuridico della Real-Encyclopedie (traquelle che si connettono con le tematiche qui in analisi rilevano ad esempio «Bonafides», III/1 [Stuttgart 1897] 694 ss., «Emptio venditio», V [Stuttgart 1905] 2536 ss.),si cfr. i rinvii in G. WINKLER, Verzeichnis der Autoren, in H. GÄRTNER, A. WÜN-SCH, PWRE. Register der Nachträge und Supplemente (München 1980) 244. Lavoce di Leonhard, che ha a mio parere grande importanza per comprendere il per-corso dello studioso su questo tema, non ha avuto fortuna storiografica: da unaparte, infatti, non è stata esaminata né da quanti hanno proposto la storicizzazioneromanistica del tema (che invece vi avrebbero trovato più riferimenti a quel diritto

L’ambito semantico del termine consensus, dalla prospettivagiuridica (ma non solo), sarebbe, secondo lo studioso, perfet-tamente corrispondente a quello di «Zustimmung» e dunquesignificherebbe, senza eccezioni, «approvazione» 46. Partendodalla valutazione di tale resa con riguardo al consensus paren-tum alle nozze del sottoposto a potestà (I. 1.10 pr.) ed al con-sensus curatoris ai negozi posti in essere dal pupillo (D. 26.8R), Leonhard sostiene che «anche» 47 lì dove il termine vieneutilizzato per caratterizzare la fattispecie della conclusione dei«contratti» (ed in particolare in quella che reputa la «fontefondamentale», D. 2.14.1.2, Ulp. 4 ad ed.), consiste sempre in

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romano ‘puro’ invano cercato nella trattazione monografica in due volumi, adesempio da M. LAURIA, L’errore cit. 2 e ntt. 1-2=Studii e ricordi cit. 1 ntt. 2-3), nédagli studiosi che hanno affrontato la tradizione romanistica sull’errore, i qualiavrebbero rinvenuto un rilevante momento di confronto dell’autore con le dottrine(in primo luogo civilistiche) a lui contemporanee (cfr. M. J. SCHERMAIER, Die Be-stimmung des wesentlichen Irrtums cit. 570 ss.).

46 Dunque di accordo rispetto ad una volontà già manifestatasi in un certosenso. Cfr. H. TROIKE STRAMBACI, E. HELFFRICH MARIANI, Wörterbuch für Rechtund Wirtschaft deutsch-italienisch / Vocabolario del diritto e dell’economia tedesco-italiano2 I (München-Milano 1997) 723, s.v. «Konsens»; G. CONTE, H. BOSS, Di-zionario giuridico ed economico II. Tedesco-italiano4 (München 1989) 276, s.h.v. Pergli strumenti di lavoro (sul piano della comparazione lessicale) disponibili al giuri-sta italiano negli anni della «recezione del Pandektenrecht in Italia» (cfr. G. BROG-GINI, Presentazione, in H. TROIKE STRAMBACI, E. HELFFRICH MARIANI, o.u.c. I v),si v. O. BULLE, G. RIGUTINI, Dizionario italiano-tedesco e tedesco-italiano II. Tede-sco-italiano8 (Lipsia-Milano, s.d., ma rist. an. della ed. 19206) 584, s.h.v.; cfr. ancheA. LANZARA, Dizionario Giuridico Tedesco-Italiano in cui si contengono le piùusuali voci ed espressioni attinenti al diritto pubblico e privato / Deutsches-Italieni-sches Wörterbuch des Allgemeinen Rechts (Roma s.d.) 656, s.v. «zustimmen»:«(=Konsens)», le cui prime, immediate traduzioni sono «consenso», «adesione»,«approvazione». Si può rilevare come il lemma «Konsens» non ricorra nel monu-mentale dizionario dei fratelli Grimm, si v. J. u. W. GRIMM, Deutsches WörterbuchV [11] Bearb. v. R. HILDEBRAND (Leipzig 1873, rist. München 1991); per l’uso neltedesco giuridico (affermato, a quanto pare, già a partire dal XVI secolo): G. KÖ-BLER, Etymologisches Rechtswörterbuch (Tübingen 1995) 230, s.h.v. (ibid., s.v.«Konsensualvertrag», si rileva come la connotazione semantica nel senso di «Ver-trag der auf der bloßen Willensübereinstimmung der Vertragsparteien beruht» ri-salga probabilmente al XIX secolo).

47 L’uso dell’avverbio («auch») mi sembra svelare il passaggio da una dottrinageneralmente accettata alla prospettiva più personale: s.v. «Consensus» cit. 902.

una «Zustimmung», nei negozi bilaterali nella «rispettiva ap-provazione di un contenuto contrattuale proposto», che puòavvenire anche tacitamente. Il «contenuto» è la «regola con-trattuale» o lex contractus: il consenso come tale si rinviene intutte le fattispecie obbligatorie e non solo in quelle che si de-finiscono consensu 48. La visione moderna di questa limpidastruttura del consensus («approvazione» ed in particolare «ap-provazione reciproca») si sarebbe oscurata perché gli stu-diosi sarebbero stati sviati dall’etimologia del termine, attri-buendogli quindi il significato, «falso», di «accordo» («Ein-verständnis») ovvero di «accordo reciproco» («gegenseitigeEinverständnis»), usualmente denominato «accordo di volon-tà» («Willensübereinstimmung»), mentre l’accordo si distin-guerebbe dall’approvazione per essere una fattispecie sempli-cemente ed unicamente «interna», normalmente collegata conuna approvazione (invece) «esterna» («äussere Zustimmung»).Il motivo di tale concezione falsata andrebbe ricercato (comegià sappiamo) nella storia dogmatica 49. Le critiche ricevutepermettono allo studioso qualche aggiustamento della sua vi-suale, ma il fondamento è mantenuto saldo 50, anzi «senza dub-

NODI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE 177

48 Dunque lo studioso propone la dizione nudo consensu per l’enumerazionedei quattro contratti del ius gentium, senza dimenticare «als fünfte Consensualcon-tract» l’enfiteusi, secondo la lex Zenoniana di I. 3.24.3 (con l’avvertenza che in talcaso non si producono esclusivamente semplici obligationes, ma un diritto reale):s.v. «Consensus» cit. 902 s.

49 Ampia, anche se in qualche punto ripetitiva dimostrazione di questo as-sunto, viene proposta dallo studioso in Der Irrthum bei nichtigen Verträgen nachrömischem Rechte II cit. 571 ss. Cfr. anche, sempre di LEONHARD, Der Irrtum alsNichtigkeitsgrund im Entwurfe eines bürgerlichen Gesetzbuches für das DeutscheReich (1889) 19 ss.; Gutachten über die Frage: Empfiehlt sich die Beibehaltung derVorschriften, welche der Entwurf des bürgerlichen Gesetzbuchs im AllgemeinenTheil (§§ 98-102) über den Irrthum bei Willenserklärungen aufstellt?, in Verhand-lungen des 20. Deutschen Juristentages III (Berlin 1889) 23 ss.

50 R. LEONHARD, s.v. «Consensus» cit. spec. 903 s.; un chiarimento importanteè così rappresentato: «C[onsensus] bedeutet nicht bei Vertragschlüssen die Über-einstimmung der Erklärungen, sondern die Erklärungsacte selber, die gegenseitigenZustimmungen zu demselben Vertragsinhalte. Es bedeutet das Wort im technischenSinne also überhaupt keine Übereinstimmung im Sinne einer Harmonie, sonderneinfach einen Zustimmungsact» (c. 903).

bio» 51 anche nel «linguaggio del diritto pubblico» consensussta a significare «approvazione» («Zustimmung»): in partico-lare la risoluzione, la decisione di approvazione presa da uncorpo con rilevanza pubblicistica. L’esempio tipico sarebbequello del consensus decurionum che ricorre abbastanza di fre-quente nelle fonti epigrafiche 52, ma anche («certamente» per lostudioso tedesco) la locuzione consensus populi si riferirebbead una votazione popolare ovvero ad un’approvazione tacita 53.Insomma, se il «Willensdogma» non era proprio così «unrich-tig» come l’autore aveva reputato 54, la posizione di Leonhardrimase sostanzialmente immutata.

Le opere esaminate in questo paragrafo appartengono aduna romanistica non propriamente storicizzata, che assume,nel suo strettissimo rapporto con il diritto civile, le funzioni diteoria generale (di «parte generale» nel sistema del diritto pri-vato). Ma ormai – è cosa nota – i tempi erano maturi, in Ger-mania, per una svolta significativa degli studi sul diritto ro-mano. E la strada del distacco dalla prospettiva attualizzantepassava attraverso la filologia e – dunque «storicamente» – at-traverso la «caccia alle interpolazioni».

Invero l’uso nelle fonti di consentire/consensus (e dunqueanche la sua valenza dogmatica) non riceve, neppure negli annidell’interpolazionismo trionfante, un attacco decisivo, e ciò(molto probabilmente) per la significativa presenza nel Gaioveronese (che a lungo rappresenta il limite non oltrepassabiledai cacciatori, perché questi cercavano in primo luogo, secon-do la tradizione dei Culti, «tribonianismi» 55) dei lessemi che

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51 Nella voce «Consensus» cit. 906.52 CIL. IV 768, 4970, V 5239, VIII 698, 1548, X 3708, 3782.53 CIL. II 1294, VIII 7115, 7119, IX 330, 340, X 53, 1026, 1030, 7917; cfr. an-

che IX 1511, XIV 1658.54 La confessione si trova nella v. «Consensus» cit. 907, altri ripensamenti a

c. 909.55 La svolta critica nei confronti del Veronese (oltre a sparsi tagli beseleriani) si

avrà con l’attacco di E. ALBERTARIO, Elementi postgaiani nelle Istituzioni di Gaio,in RIL. 59 (1926) 195 ss.; ID., Ancora sugli elementi postgaiani nelle Istituzioni di

servono (come si sa) anche alla descrizione di una categoria in-tera di obbligazioni 56. La terminologia in questione è certo l’a-nello forte (rispetto in primo luogo a voluntas e ad animus,lessemi quantomai bersagliati dalla critica) delle teorie volonta-ristiche che possono farsi derivare dal discorso della giurispru-denza romana. Dunque relativamente poche le critiche 57 e ten-

NODI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE 179

Gaio, in RIL. 61 (1928) 285 ss. [i due saggi sono fusi insieme in Studi di diritto ro-mano V. Storia metodologia esegesi (Milano 1937) 441 ss.]; poi verranno le chirurgi-che operazioni di Siro SOLAZZI, soprattutto, a partire dal 1931, nelle Glosse a Gaio,in quattro puntate [sono ristampate in Scritti di diritto romano VI (Napoli 1972)153 ss.].

56 Consensus ricorre in 3.82, 89, 119a, 135, 136, 151, 154, 4.72a, consentiens in3.156 (corr.), 168, consentio in 3.136, 153; cfr. supra § 5. Si noti da una parte la con-centrazione nel terzo commentario, dall’altra come, ad esclusione di poche ricor-renze (in 3.82 si tratta del consenso come fonte del diritto, cfr. supra cap. I § 3; in3.168 e 4.72a di fattispecie ‘autorizzative’) il giurista utilizzi i lemmi proprio per in-dicare il fenomeno dell’accordo obbligatorio nelle fattispecie che – con terminolo-gia che risale proprio alle sue Institutiones – definiamo di contrattualità consensu.

57 Questi i passi, tra i frammenti dei Digesta che contengono i lemmi consen-tire e/o consensus, sospettati nell’Index (I-II-III, Supplementum [Weimar 1929-1931-1935-1929], con indicazione di volume e colonna) di un’interpolazione signi-ficativa per questo studio (ovviamente i singoli punti rilevanti per la ricostruzionedi temi particolari studiati nel corso del lavoro saranno volta per volta opportuna-mente discussi): D. 1.3.32.1 (Iul. 84 dig.) I 7, Suppl. 3; D. 1.7.5 (Cels. 28 dig.) I 9,Suppl. 5; D. 2.1.15 (Ulp. 2 de omn. trib.) Suppl. 12; D. 2.14.1.2-3 (Ulp. 4 ad ed.) I24, Suppl. 24; D. 2.14.58 (Nerat. 3 membr.) I 28, Suppl. 32; D. 2.15.5 (Pap. 1 defin.)Suppl. 33; D. 13.5.1 pr. (Ulp. 27 ad ed.) I 201; D. 17.2.65.9 (Paul. 32 ad ed.) I 304;D. 18.1.1.2 (Paul. 33 ad ed.) I 307; D. 18.1.9 pr. (Ulp. 28 ad Sab.) I 309; D. 18.1.9.2(Ulp. 28 ad Sab.) I 309 s.; D. 18.1.15 pr. (Paul. 5 ad Sab.) I 310; D. 18.2.14.3 (Paul.5 ad Sab.) I 322; D. 18.5.3 (Paul. 33 ad ed.) I 326 s.; D. 19.1.21.2 (Paul. 33 ad ed.) I348; D. 19.2.1 (Paul. 34 ad ed.) I 355; D. 19.2.14 (Ulp. 71 ad ed.) I 358; D. 19.4.1.2(Paul. 32 ad ed.) I 369; D. 20.6.7 pr. (Gai. l. s. ad form. hyp.) I 398; D. 20.6.8.15(Marcian. l. s. ad form. hyp.) I 400; D. 21.1.31.18 (Ulp. 1 ad ed. aed. cur.) II 8; D.23.1.4 pr. (Ulp. 35 ad Sab.) II 41; D. 23.1.7.1 (Paul. 35 ad ed.) II 42; D. 33.5.8.2(Pomp. 6 ad Sab.) II 282 s.; D. 35.1.15 (Ulp. 35 ad Sab.) II 307; D. 38.3.1.1 (Ulp. 49ad ed.) III 61; D. 41.1.36 (Iul. 13 dig.) III 169 s.; D. 44.7.1.1 (Gai. 2 aur.) III 347;44.7.4 (Gai. 3 aur.) III 352; 44.7.31 (Marcian 2 fideic.) III 362 s.; 44.7.48 (Paul. 16 adPlaut.) III 368; 44.7.52.3 (Mod. 2 reg.) III 369; D. 44.7.52.9 (Mod. 2 reg.) III 369; D.44.7.55 (Iavol. 12 epist.) III 370; D. 44.7.57 (Pomp. 36 ad Q. Muc.) III 370; D.45.1.22 (Paul. 9 ad Sab.) III 376; D. 45.1.35.2 (Paul. 12 ad Sab.) III 377; D. 45.1.83.1(Paul. 72 ad ed.) III 386; D. 45.1.137.1 (Venul. 1 stip.) III 397; D. 46.1.8.1 (Ulp. 47ad Sab.) III 408; D. 46.2.1.1 (Ulp. 46 ad Sab.) III 423; D. 46.3.80 (Pomp. 4 ad Q.Muc.) III 453; D. 46.4.8 pr. (Ulp. 48 ad Sab.) III 463; D. 47.2.48.3 (Ulp. 42 ad Sab.)

denzialmente, invero, piuttosto marginali 58. Di seguito una pa-noramica sulle principali posizioni in cui la critica assume unaportata generale, che vada oltre la segnalazione di una più omeno singolare menda testuale 59. Nell’ambito della sua vastaricostruzione storica e dogmatica della stipulatio, SalvatoreRiccobono 60, partendo dalla perdita della forma del negozio inorigine tipicamente verbis 61, e discutendo dell’introduzione edell’atteggiarsi del nuovo principio consensualistico, ebbe acriticare 62 la costruzione ex consensu redditur, relativa all’«as-sumere efficacia» della cd. stipulatio Aquiliana, che ricorre inD. 2.15.5 (Pap. 1 def.) 63. Nella stessa prospettiva, in D. 46.4.14

180 CAPITOLO TERZO

III 491; D. 50.12.3 (Ulp. 4 disp.) III 578; D. 50.17.35 (Ulp. 48 ad Sab.) III 593; D.50.17.116 pr. (Ulp. 11 ad ed.) III 596; D. 50.17.145 (Ulp. 66 ad ed.) III 597.

58 Servono da guida, per un primo orientamento, soprattutto i lavori lemmaticidi A. GUARNERI CITATI, Indice delle parole, frasi e costrutti cit. 20 s., s.vv. «Con-sensus», «Consentire» (si può notare come nella prima edizione di tale contributo,pubblicata in forma di articolo con il titolo Indice delle parole e frasi ritenute inter-polate cit., le voci in questione non fossero presenti, neanche negli Addenda, cfr.p. 92, 140; sul rapporto tra detto articolo e la successiva, migliorata, edizione mila-nese del 1927, in volume autonomo, si v. le introduttive p. iv s. di quest’ultima),Supplemento cit. 712, s.hh.vv. (ove iniziano già a comparire i «ma v.», che segnanole risposte dell’«anticritica» alle atetesi interpolazionistiche), Supplemento II cit.126, s.hh.vv. (che, senza alcuna nuova proposta critica, consiste solo di rinvii con-servativi).

59 Ovviamente particolari problemi esegetici saranno discussi in relazione asingoli testi.

60 È sintomatico della natura «chiasmatica» (cfr. M. TALAMANCA, La romani-stica italiana fra Otto e Novecento, in Index 23 [1995] 175) dell’esperienza scienti-fica del grande romanista palermitano (dallo studio delle fonti non alieno dall’inter-polazionismo, all’anticritica come credo metodologico) il fatto che questa sequenzainterpolazionistica si inizi con una sua opinione critica.

61 ‘Stipulatio’ ed ‘instrumentum’ nel Diritto giustinianeo, in ZSS. 43 (1922)262 ss. (in particolare sulla costituzione di Leone del 472, in C. 8.37[38].10, che,abolendo i sollemnia verba, riconosceva l’efficacia di tutte le stipulazioni sulla merabase del consensus contrahentium, altro riferimento esplicito al consensus in I.3.19.13: 274 s., ma del titolo 19 delle Institutiones imperiali si v. anche il significa-tivo § 1).

62 ‘Stipulatio’ ed ‘instrumentum’ cit. spec. 284 s. Dello studioso palermitano siv. anche ‘Interpretatio duplex’, in BIDR. 49 (1948) 10 ss.

63 Cfr. già O. LENEL, Textkritische Miszellen, in ZSS. 39 (1918)128 [=Gesam-melte Schriften IV (1915-1932) (Napoli 1992) 140], che la considerava inserzioneglossematica: «die Worte quae ex consensu redditur sind sprachlich anstößig und

(12 ad Sab.) sarebbe frutto di un «barbaro rifacimento» il con-sentire nel senso di congruere 64, ma com’è chiaro tale esegesiserve solo come indizio della manipolazione del testo classico,essendo il lessema utilizzato senza alcun senso propriamentegiuridico. In D. 20.6.8.18 (Marcian. l. s. ad form. hyp.) la locu-zione consenserit vendere è reputata grecismo ovvero «Ver-wechslung» (non impossibile dal punto di vista paleografico)per concesserit vendere 65. D. 19.2.13.11 (Ulp. 32 ad ed.), neltratto hoc enim ipso, quo tacuerunt, consensisse videntur 66, su-

NODI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE 181

sachlich eine Trivialität, die Papinian nicht zuzutrauen ist ... Es handelt sich wohlum eine verirrte, schlecht stilisierte Randglosse, vielleicht ursprünglich lautend:quia usw.»; cfr. anche FR. SCHULZ, Die Lehre vom erzwungenen Rechtsgeschäft imantiken römischen Recht, in ZSS. 43 (1922) 213. Sia Riccobono che Lenel (nei luo-ghi appena citati) rifiutano la correzione proposta da TH. MOMMSEN (in ed. maior I75 ad loc.) che restituiva regitur al posto di redditur. Sulla stipulazione aquiliana siv., per tutti, dopo la monografia di FR. STURM, ‘Stipulatio Aquiliana’. Textgestaltund Tragweite der Aquilianischen Ausgleichsquittung im klassischen römischenRecht (München 1972), che dedica le p. 364 ss. al frammento in questione, anche M.KASER, ‘Stipulatio Aquiliana’, in ZSS. 90 (1973) 346 ss. (cfr. anche ID., Das römischePrivatrecht2 I cit. 649 nt. 24). Ulteriore esame della questione e letteratura (con ri-ferimenti alle diverse problematiche relative alla fonte, tra le quali anche quella del-l’interpolazione) si trova ora in M. A. MESSANA, Sui ‘libri definitionum’ di EmilioPapiniano. ‘Definitio’ e ‘definire’ nell’esperienza giuridica romana, estr. da AUPA.45.2 (1998) spec. 135 ss. (con ntt. 148, 149 a p. 136), la quale, aderendo all’opinionefavorevole alla «genuinità complessiva del brano», mantiene (secondo me a ragione)«qualche riserva» sull’inciso che contiene la menzione del consensus. Su quest’ul-timo punto, comunque, non si può tralasciare la posizione di M. WLASSAK, DieAquilianische Stipulation, in ZSS. 42 (1921) 405 nt. 1, che salva la costruzione, ri-ferendo il reddere all’attività magistratuale nelle stipulationes praetoriae (cfr. giàID., Anklage und Streitbefestigung. Abwehr gegen Philipp Lotmar [Wien 1920] 23nt. 15).

64 Nisi consentiat acceptilatio cum obligatione et nisi verum est, quod inacceptilatione demonstratur, imperfecta est liberatio, quia verbis verba ea demumresolvi possunt, quae inter se congruunt; cfr. S. RICCOBONO, ‘Stipulatio’ ed ‘instru-mentum’ cit. 287.

65 Sull’alternativa si v. FR. EBRARD, Die Digestenfragmente ‘ad formulamhypothecariam’ und die Hypothekarezeption (Leipzig 1917) 111 nt. 60.

66 Interpolato secondo E. COSTA, La locazione di cose in diritto romano (To-rino 1915) 105; P. KOSCHAKER, Bedingte Novation und ‘pactum’ cit. 152 nt. 4 (inuna più ampia critica alla locuzione tacitus consensus, che non mi pare abbia modod’essere: cfr. supra 160). È opportuno trascrivere il testo per intero: Qui impletotempore conductionis remansit in conductione, non solum reconduxisse videbitur, sed

bisce un taglio della critica che qui appare più interessante, dauna parte per la materia trattata (che è la locazione, una delleobbligazioni che si costituiscono attraverso il mero consenso),dall’altra perché il testo viene aggredito su di un punto dog-maticamente rilevante, che è quello del rapporto tra silenziodelle parti e consenso. La critica sembra basarsi sul fatto che ilconsensus appare mantenersi tra le parti per il solo fatto delloro tacere. Anche se il testo appare confortato da quei modidi dire piuttosto tipici che mettono insieme il silenzio ed ilconsenso, il problema resta aperto, ma come si può facilmenteosservare pure in tal caso la sforbiciatura è assolutamente mar-ginale, rispetto alla rilevanza del consensus tra le fonti delle ob-bligazioni. Sull’errore, un testo centrale 67 riscuote, relativa-

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etiam pignora videntur durare obligata. Sed hoc ita verum est, si non alius pro eo inpriore conductione res obligaverat: huius enim novus consensus erit necessarius. Ea-dem causa erit et si rei publicae praedia locata fuerint. Quod autem diximus tacitur-nitate utriusque partis colonum reconduxisse videri, ita accipiendum est, ut in ipsoanno, quo tacuerunt, videantur eandem locationem renovasse, non etiam in sequen-tibus annis, etsi lustrum forte ab initio fuerat conductioni praestitutum. Sed et sisecundo quoque anno post finitum lustrum nihil fuerit contrarium actum, eandemvideri locationem in illo anno permansisse: hoc enim ipso, quo tacuerunt, consensissevidentur. Et hoc deinceps in unoquoque anno observandum est. In urbanis autempraediis alio iure utimur, ut, prout quisque habitaverit, ita et obligetur, nisi in scriptiscertum tempus conductioni comprehensum est. Il brano che s’incentra sul quotacuerunt sarebbe, per i critici, insiticio in quanto esprime (con le tipiche forme uti-lizzate dai compilatori laddove intendevano circoscrivere il dettato del diritto clas-sico) una limitazione al principio espresso nel tratto qui impleto-videbitur. Più direcente TH. MAYER-MALY, ‘Locatio conductio’. Eine Untersuchung zum klassischenrömischen Recht (Wien-München 1956) 219 ss., attribuisce il tratto sed hoc-necessa-rius ad un «Erste Bearbeiter», autore anche delle inserzioni quod autem-permansissee et hocdeinceps-observandum est; mentre uno «Zweiter Bearbeiter» avrebbe ag-giunto eadem causa-locata fuerint e – appunto – hoc enim ipso-consensisse videntur,mentre sarebbe compilatoria la chiusa nisi-est: si può facilmente vedere come tuttigli interventi che coinvolgono il consenso siano mere semplificazioni additive, chehanno una base dogmatica nel diritto classico.

67 D. 18.1.9.2 (Ulp. 28 ad Sab.). Inde quaeritur, si in ipso corpore non erratur,sed in substantia error sit, ut puta si acetum pro vino veneat, aes pro auro vel plum-bum pro argento uel quid aliud argento simile, an emptio et venditio sit. Marcellusscripsit libro sexto digestorum emptionem esse et venditionem, quia in corpus con-sensum est, etsi in materia sit erratum. Ego in vino quidem consentio, quia eademprope oujsiva est, si modo vinum acuit: ceterum si vinum non acuit, sed ab initio ace-

mente al consensus, una sostanzialmente equilibrata esegesi diBeseler 68: per lo studioso tedesco l’uso di consentire è da pre-ferire al tràdito non errare (con riferimento al corpus: si in ipsocorpore <consentiatur>[non erratur]), mentre la lunga articola-zione del discorso (che mette tra l’altro in campo il problemadell’oujsiva) – in vino quidem consentio, quia eadem propeoujsiva est, si modo vinum acuit: ceterum si vinum non acuit,sed ab initio acetum fuit, ut embamma, aliud pro alio venissevidetur. In ceteris … – sarebbe inficiata da un sospetto uso diconsentire in due diversi significati, e dunque tutta da reputareinterpolata. Più radicale l’attacco a D. 18.1.11 pr. (Ulp. 28 adSab.) 69: non chiaro ed appesantito da una serie di ben tre do-mande retoriche; cade tutto, sicuramente «unecht», compresala doppia menzione del consenso (si può aggiungere che l’ul-tima domanda posta nel testo: et quemadmodum consensit, quinon vidit?, veramente non ha senso se solo si pensi alla pos-sibilità di compera a distanza, che geneticamente e funzional-mente contraddistingue la emptio venditio romana). Beselerdiffida anche della locuzione consentire in corpus, ma inveroessa corrisponde ad un uso diffuso, in età classica, anche trascrittori non giuristi 70.

Con lo studiare l’accordo informale relativo allo sciogli-mento dei rapporti contrattuali, Heinrich Stoll 71 affrontò con

NODI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE 183

tum fuit, ut embamma, aliud pro alio venisse videtur. In ceteris autem nullam essevenditionem puto, quotiens in materia erratur.

68 G. BESELER, ‘Error in materia’. Beitrag zur Digestenforschung, in Byz.-Neugr. Jahrb. 1 (1920) 344 s.

69 Alioquin quid dicemus, si caecus emptor fuit vel si in materia erratur vel inminus perito discernendarum materiarum? in corpus eos consensisse dicemus? etquemadmodum consensit, qui non vidit? Cfr. G. BESELER, ‘Error in materia’ cit.344, 346.

70 Si v. G. BESELER, Miscellanea, in ZSS. 45 (1925) 222 s., e, dall’altra parte, H.LANGE, Das kausale Element im Tatbestand der klassischen Eigentumstradition(Leipzig 1930) 71 s. (con richiami alle fonti in nt. 6 a p. 71), che riduce la possibilitàdi interpolazione (anche in riferimento alla contrapposizione tra consentire e dis-sentire) a solo «bestimmte Anwendungsfälle».

71 Die formlose Vereinbarung der Aufhebung eines Vertragsverhältnisses imrömischen Recht, in ZSS. 44 (1924) 1 ss.

decisione il problema del contrarius consensus, negando la clas-sicità di una sua concezione unitaria (ed ammettendolo, perl’età classica, in tema di emptio venditio, come pactum ut abea-tur) 72. L’analisi non poteva risparmiare (invero attraverso criti-che di tipo strettamente stilistico) l’espressione nudi consensusobligatio e la stessa generalizzazione contrarius consensus 73. Secon riferimento alla prima il Gaio egiziano dovrà aggiungersi aquanto era apparso, nelle Institutiones del giurista antoninianouno «späterer Zusatz» 74, sul punto centrale (e cioè la possibi-lità di scioglimento consensuale dell’obligatio consensu con-tracta) la critica più accorta e recente non rileva sostanziali di-scontinuità tra diritto classico e diritto postclassico 75.

Più ampia, e programmaticamente indirizzata proprio con-tro il cd. dogma della volontà, la critica di Pringsheim 76, chenon a caso si sviluppa in un ampio saggio (pubblicato in duepuntate nel Law Quarterly Review del 1933, ma subito distri-buito in un estratto unico) dedicato all’animus nel diritto pri-vato romano. L’analisi parte da un testo di Giavoleno 77, del

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72 Sul punto si v. le osservazioni di A. GUARINO, Per la storia del ‘contrariusconsensus’, in Labeo 14 (1968) 271 ss. [=PDR. VI (Napoli 1995) 232 ss.], che – purecon riferimento alla monografia di R. KNÜTEL, ‘Contrarius consensus’. Studien zurVertragsaufhebung im römischen Recht (1968) – valuta l’applicabilità classica delcontrarius consensus a tutti i contratti consensuali.

73 Die formlose Vereinbarung cit. rispettivamente 7 s., 15 ss.74 La critica a Gai 3.154 si trova in Die formlose Vereinbarung cit. 8 nt. 2, per

l’interpretazione del passo parallelo dalla pergamena egiziana si v. infra 187 s.,220 ss.

75 Cfr. A. GUARINO, Per la storia del ‘contrarius consensus’, in Labeo 14 (1968)271 ss. [=PDR. VI (Napoli 1995) 232 ss.].

76 ‘Animus’ in Roman Law, in LQR. 49 (1933) 43 ss., 379 ss. [=GesammelteAbhandlungen I (Heidelberg 1961) 300 ss.], si tratta della trascrizione di lezioni te-nute presso l’Università di Oxford nel 1930. Lo scritto provocò, com’è noto, l’iratareazione di Salvatore Riccobono, gustosamente rievocata da R. ORESTANO nella se-duta inaugurale della XXXIII Sessione della SIDA., a Palermo, il 12 settembre1979: la relazione è pubblicata in Iura 29 (1978) 1 ss. [= ‘Diritto’. Incontri e scontri(Bologna 1981) 713 ss.=Scritti III Sez. prima. Saggistica (Napoli 1998) 1721 ss.]: lostudioso palermitano ne fece oggetto del corso di Esegesi che teneva nella Sapienzaromana (dallo scritto di Orestano apprendo anche della modalità di pubblicazionedell’estratto che menziono nel testo).

77 D. 44.7.55 (Iavol. 12 epist.). In omnibus rebus, quae dominium transferunt,

quale Pringsheim non svolge una critica dettagliata: per quantoqui in questione, l’animus che consentit è certo sommamentefastidioso per lo studioso che tendeva a dimostrare la naturabizantina di tutte quelle fonti in cui l’intenzione, nella «pro-vince of ‘Willenserklärung’», fosse agganciata ad una di quelle«pericolose distinzioni» come «Soul and Body, Heaven andEarth, Subject and Object, Content and Form» 78, di chiaramatrice non classica. Ma, sul punto specifico, in una serie checomprende venditio e conductio, «Javolenus must have beenconsidering consensus» 79. Neppure decisiva la critica mossa– sulla base del tenore di una serie di passi bizantini in tema diobbligazioni 80 – a quei testi che qualificano il consensus comenudus, o la voluntas contrahentium con lo stesso aggettivo 81.Piuttosto che la dimostrazione della completa vittoria dellateoria dell’animus, potrebbe trattarsi di argomentazioni che re-cano tale specificazione in rapporto a quella importante svoltanell’interpretazione del contratto, che vi vede sempre una con-ventio. Comunque la critica in tal caso non pare decisiva, per-ché interessa l’aggettivazione, non il consensus in sé. Più inci-siva la discussione in tema di stipulatio 82 (che, a proposito di

NODI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE 185

concurrat oportet affectus ex utraque parte contrahentium: nam sive ea venditio sivedonatio sive conductio sive quaelibet alia causa contrahendi fuit, nisi animus utrius-que consentit, perduci ad effectum id quod inchoatur non potest.

78 Citazioni tra virgolette tratte da ‘Animus’ cit. 45 s. [=Gesammelte Abhand-lungen I cit. 301 s.].

79 ‘Animus’ cit. 57 [=Gesammelte Abhandlungen I cit. 310].80 Si tratta di un passo della Parafrasi di Teofilo e di una serie di scolii ai Ba-

silici: si trovano citati in ‘Animus’ cit. 379 s. [=Gesammelte Abhandlungen I cit.313 s.].

81 D. 50.17.35 (Ulp. 48 ad Sab.), D. 19.4.1.2 (Paul. 32 [33] ad ed.), D. 44.7.52.9(Mod. 2 reg.). Bisogna notare come Pringsheim (invero a differenza di altri interpo-lazionisti che hanno affrontato lo stesso problema, in particolare H. Stoll e S. So-lazzi) non faccia parola, su questo punto, di Gai 3.154, che pure ha la stessa qualifi-cazione del consenso.

82 I testi presi in considerazione sono D. 2.14.1.3 (Ulp. 4 ad ed.), D. 45.1.83.1(Paul. 72 ad ed.), D. 45.1.137.1 (Venul. 1 stip.), D. 2.14.7.12 (Ulp. 4 ad ed.): ‘Animus’cit. 389 ss. [=Gesammelte Abhandlungen I cit. 321 ss.], cfr. anche p. 407 [=334],dove D. 45.1.83.1 è esaminato anche nel suo valore processuale (… alioquin sempernegabit reus se consensisse).

stipulatio Aquiliana, va ad intrecciarsi proprio con l’esegesi piùantica di Riccobono 83), a proposito della necessaria presenzadel consenso nella struttura dell’obligatio propriamente verbis,ma anche in tal caso il termine consensus può servire a chiarireil significato della conventio, che non può mancare nel profilogenetico anche delle obbligazioni re e verbis. In tema di con-senso matrimoniale, infine, Pringsheim accetta l’esistenza delconcetto classico (e della sua resa semantica corrispondenteallo stato delle fonti), e ciò mi pare svaluti il giudizio come in-terpolazioni o glosse di una serie di passi 84 in cui consensusavrebbe una sfumatura contrattuale (ma perché, quando siparla di matrimonium facere?), la quale contrasterebbe conl’essenza classica rinvenuta (direi singolarmente) dallo stu-dioso tedesco nel «public consent» 85.

Siro Solazzi, uno dei principi della stagione interpolazio-nistica (ma le sue critiche furono quasi sempre sorrette dasostanziose argomentazioni giuridiche 86), propose – a più ri-prese – l’espunzione del nudus consensus che si rinviene (an-che) in Gaio 87, in quanto sovrabbondante glossema postclas-sico. Siccome la sua interpretazione conduce alla valutazionedel ruolo del consensus nell’antico consortium ercto non cito,di essa si tratterà con maggiore diffusione nel prossimo capi-tolo 88.

186 CAPITOLO TERZO

83 Per PRINGSHEIM, in particolare, il latino di D. 2.15.5 (Pap. 1 def.) sarebbe«intolerable»: ‘Animus’ cit. 393 [=Gesammelte Abhandlungen I cit. 323]; per la po-sizione interpolazionistica di Riccobono si v. supra in questo paragrafo.

84 In particolare D. 24.1.66 pr. [erroneamente riportato come § 1] (Scaev. 9dig.); D. 24.1.32.13 (Ulp. 33 ad Sab.); D. 35.1.15 (Ulp. 35 ad Sab.); D. 50.17.30 (Ulp.36 ad Sab.).

85 ‘Animus’ cit. 400 [=Gesammelte Abhandlungen I cit. 329].86 Lo nota spesso (credo anche sulla base di un’opinione del suo maestro, e

collega napoletano di Solazzi, Vincenzo Arangio-Ruiz) M. TALAMANCA, si v. adesempio Un secolo di «Bullettino», in BIDR. 91 (1988) cxxix s.; La ricostruzione deltesto dalla critica intepolazionistica alle attuali metodologie, in Centro Studi roma-nistici V. Arangio-Ruiz, Opuscula 18 a c. di A. ADAMO (1998) 3 ss.

87 Inst. 3.154, 154a.88 Cfr. infra 220 ss.

La tendenza anticritica muove i primi suoi passi sicurinel saggio di Hupka 89 programmaticamente orientato control’eccessiva «Textkritik», e incentrato su un’ampia esegesi dellanotissima antinomia tra Giuliano ed Ulpiano in tema di causanella traditio 90.

Oltre le facili notazioni relative alla classicità del senso diconsentire come trovarsi d’accordo in una determinata opi-nione 91, l’anticritica trova un alleato prezioso nel Gaio egi-

NODI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE 187

89 Der ‘dissensus in causa’ und die moderne Textkritik, in ZSS. 52 (1932) 1 ss.Da rileggere l’importante monito finale dello studioso viennese (p. 30): «Im vollenBewußtsein der Gefahr, in die ich mich begebe, wage ich zu sagen: Die in neuesterZeit betriebene Massenabschlachtung von Digestenstellen hat mit wirklicher Philo-logie ebensowenig zu tun wie mit wirklicher Jurisprudenz. Wenn die romanistischeWissenschaft die eindringliche Warnung Lenels weiter mißachtet, wenn sie fortfährt,derlei nicht nur zu dulden, sondern sogar ernst zu nehmen, wenn sie weiterhinleichtestfertige Um- und Neubauten an Stelle der überlieferten Texte ihren Un-tersuchungen zugrunde legt, dann ist es wirklich ‘am besten, das Corpus iuris samtdem Gaius und allem andern über Bord zu werfen’ (Lenel), dann ist aber auch dasEnde dieser schönen Wissenschaft nicht mehr fern»; il riferimento a O. LENEL è alnoto saggio Intepolationenjagd, in ZSS. 45 (1925) 17 ss., spec. 34, 38 (da quest’ul-timo luogo è tratta la citazione letterale) [=Gesammelte Schriften IV cit. 415 ss.,spec. 432, 436]; sullo stesso piano metodologico si era sostanzialmente posto giàL. MITTEIS, Zur Interpolationenforschung, in ZSS. 33 (1912) 180 ss.

90 Si rintraccia attraverso un frammento tratto dalle disputationes del giuristaseveriano (D. 12.1.18 pr. [Ulp. 7 disp.]. Si ego pecuniam tibi quasi donaturus dedero,tu quasi mutuam accipias, Iulianus scribit donationem non esse: sed an mutua sit, vi-dendum. Et puto nec mutuam esse magisque nummos accipientis non fieri, cum aliaopinione acceperi …), in comparazione con uno sviluppo del pensiero giulianeo intema di mancipatio/traditio (D. 41.1.36 [Iul. 13 dig.]. Cum in corpus quidem quodtraditur consentiamus, in causis vero dissentiamus, non animadverto, cur inefficax sittraditio, veluti si ego credam me ex testamento tibi obligatum esse, ut fundum tra-dam, tu existimes ex stipulatu tibi eum deberi. Nam et si pecuniam numeratam tibitradam donandi gratia, tu eam quasi creditam accipias, constat proprietatem ad tetransire nec impedimento esse, quod circa causam dandi atque accipiendi dissenseri-mus). Di recente se ne sono occupati, da diversi punti di vista (e con risultati moltodifferenti) O. BEHRENDS, ‘Iusta causa traditionis’ cit. spec. 57 ss.; C. A. CANNATA,Iul. D. 41.1.36: una «interpolazione occasionale», in Incontro con Giovanni Pugliese(18.4.1991) (Milano 1992) 68 ss.; A. LOVATO, ‘Traditio’ e ‘conventio’ nel settimo li-bro delle ‘disputationes’ ulpianee, in SDHI. 67 (2001) 123 ss.; A. SACCOCCIO, ‘Sicertum petetur’. Dalla ‘condictio’ dei ‘veteres’ alle ‘condictiones’ giustinianee (Mi-lano 2002) spec. 333 ss.

91 Cfr. F. LANFRANCHI, Il diritto nei retori romani (Milano 1938) 590.

ziano (alla lin. 10, corrispondente a 3.154a), che ribadisce, pervia diversa da quella del manoscritto veronese, l’attendibilitàdel nesso consensus nudus, che – come si è visto – era stato og-getto degli acuminati strali (in primo luogo) di Siro Solazzi. Fabrevemente ammenda sul punto (sostanzialmente con il merorichiamo al nuovo testo), proprio uno degli studiosi che s’e-rano pronunciati per l’interpolazione, Ernst Levy, in un ampioapprofondito articolo, che nella Savigny Zeitschrift si proposela presentazione dei nuovi frammenti egiziani 92. Più articolatala riflessione di Paolo Frezza 93, che in quegli anni andava oc-cupandosi (tra l’altro) di problemi societari 94 e dunque del mi-sterioso consortium ercto non cito, che proprio dalla perga-mena antinoita aveva ricevuto, com’è noto, nuova luce.

Più significativa (anche perché ad ampio raggio) l’opzionecritica di Mario Lauria, che, in un lavoro giovanile sull’errore(rilevato lo scarso interesse della storiografia per il tema speci-fico), sottopose le fonti ad un «penetrante esame critico» 95, so-stenendo l’estraneità alla mentalità classica di quelle categorie

188 CAPITOLO TERZO

92 E. LEVY, Neue Bruchstücke aus den Institutionen des Gaius, in ZSS. 54(1934) 272 [=Gesammelte Shriften I (Köln-Graz 1963) 70]; l’ammonimento relativoalla classicità della locuzione è rivolto (oltre che a sé stesso, cfr. Der Hergang derrömischen Ehescheidung [Weimar 1925] 70 nt. 2) ai contributi di H. STOLL, Dieformlose Vereinbarung cit. 8 ss., di S. SOLAZZI, Diritto ereditario romano II (Napoli1933) 25 s., Glosse a Gaio. Seconda puntata, in Per il XIV centenario delle Pandettee del Codice di Giustiniano (Pavia 1933) 446 (la Postilla che contiene quest’ultimacritica fu aggiunta dopo la lettura da parte dello studioso del Gaio egiziano: p. 444[=Scritti VI cit. 398, 397], cfr. infra 220 s.).

93 Il ‘consortium ercto non cito’ e i nuovi frammenti di Gaio, in RFIC. 62(1934) 33 nt. 1 [=Scritti I cit. 261 nt. 1]; per gli interessi societari di Frezza, in queltorno di anni, si v. prima lo scritto ‘Actio communi dividundo’, in RISG. n.s. 7/1(1932) 3 ss. [=Scritti I cit. 29 ss.], e poi la rec. a V. ARANGIO-RUIZ, ‘Societas re con-tracta’ e ‘communio incidens’, in Studi in onore di S. Riccobono IV (Palermo 1934)357 ss. [=Scritti di diritto romano III cit. 25 ss.], comparsa in SDHI. 1 (1935) 188 ss.[=Scritti I cit. 355 ss.].

94 Cfr. infra 221 nt. 22.95 Così F. DE MARTINO, Lauria: ‘de brevitate vitae’, in Labeo 38 (1992) 7

[=Diritto economia e società nel mondo romano IV. Scritti recenti - recensioni - di-scussioni - ricordi (Napoli 2003) 323]; è interessante notare come a questo esordiocritico (che si basava sul lavoro di tesi di laurea), in Lauria seguirà un più maturo,originale impianto metodologico invero piuttosto lontano dall’interpolazionismo.

di error che si rinvengono nella Compilazione giustinianea eche erano state codificate, da ultimo, nella teorizzazione pan-dettistica del negozio giuridico. I Romani (alieni da una talementalità 96) avrebbero, piuttosto, condotto operazioni casisti-che, con valutazione del se nella singola fattispecie concreta unerrore avesse invalidato la volontà, compiendo – tra l’altro –una vasta comparazione con le altre cause invalidanti, dolus evis. Per lo studioso napoletano nelle fonti l’errore viene rap-presentato come elemento psicologico che annulla la volontà(dunque vizia il consenso e «rende nullo il negozio») solo in«frasi grammaticalmente spropositate ... o illogiche in rapportoal testo ... o in contraddizione tra loro» 97. Dopo aver enfatiz-zato la posizione di Marcello in D. 18.1.9.2 (Ulp. 28 ad Sab.) 98,per cui vi sarebbe «consenso anche quando vi sia errore sullasostanza della cosa» (ma senza riflettere sul fatto che il giuristaragionava sul dato di un consensus in corpus 99), Lauria articolale sue dimostrazioni dall’assunto «che la scientia non è neces-saria al consensus» 100, ed attacca quelle fonti in cui l’errore an-nullerebbe il consenso 101. Il risultato è che il consenso «per i

NODI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE 189

96 Eppure lo stesso LAURIA, rec. di P. VOCI, L’errore cit., in SDHI. 7 (1941)208 ss. [=Studii e ricordi cit. 653 ss.], criticherà l’impostazione dello studioso, insostanza, anche per non avere individuato una idea fondamentale utile a ricostruirela teoria romana dell’errore.

97 Citazioni da L’errore cit. 332 [=Studii e ricordi cit. 17 s.]. Gli esempi per i tregiudizi trascritti sono, rispettivamente, D. 5.1.2 pr.; C. 4.65.23; C. 1.18.9; D. 2.1.15;tutti testi collegati con la massima errantis nulla voluntas est (v. infra 191 s.).

98 Il passo è trascritto supra 182 nt. 67. Su quanto segue si v. M. LAURIA, L’er-rore cit. 336 ss. [=Studii e ricordi cit. 21 ss.].

99 Cfr. anche le esegesi di D. 45.3.34 (Iavol. 2 ad Plaut.) e di D. 18.1.15 (Paul.5 ad Sab.): M. LAURIA, L’errore cit. 339 [=Studii e ricordi cit. 24].

100 L’illazione si basa sostanzialmente sulla lettura di D. 13.7.1.1-2 (Ulp. 40 adSab.). Si igitur contractum sit pignus nuda conventione, videamus, an, si quis aurumostenderit quasi pignori daturus et aes dederit, obligaverit aurum pignori: et conse-quens est ut aurum obligetur, non autem aes, quia in hoc non consenserint. 2. Si quistamen, cum aes pignori daret, adfirmavit hoc aurum esse et ita pignori dederit, vi-dendum erit, an aes pignori obligaverit et numquid, quia in corpus consensum est,pignori esse videatur: quod magis est. tenebitur tamen pigneraticia contraria actionequi dedit, praeter stellionatum quem fecit.

101 Vengono sottoposti a critica D. 41.2.34 pr. (Ulp. 7 disp.), D. 18.1.9.2 (Ulp.

classici» consiste nell’«accordo di due volontà su di un oggetto(o su di una persona) all’infuori di qualunque valutazione diesso» 102. Dunque l’errore sarebbe concetto completamenteestraneo al consenso.

Nel 1937, inaugurando (auspice Emilio Albertario) la pre-stigiosa collana delle «Pubblicazioni dell’Istituto di Diritto ro-mano, dei Diritti dell’Oriente mediterraneo e di Storia del di-ritto» della Regia Università di Roma, compare, per i tipi dellaGiuffrè, la monografia di Pasquale Voci su L’errore nel dirittoromano. Anche in tal caso, com’è ovvio, la prospettiva dallaquale si esamina il consenso è quella di un suo specchio nega-tivo; il metodo critico è utilizzato senza risparmi 103. Un riferi-mento al consenso è espunto in D. 41.2.34 pr. (Ulp. 7 disp.), te-sto molto discusso 104, ma solo perché costituisce un’aggiuntache distingue il consentire in corpore rispetto all’error in no-mine; non pare invece intaccata la possibilità di argomentareattraverso il richiamo al consenso, com’è attestato dal prosie-guo del frammento (corretto già da Mommsen per il sospettodi un errore dell’amanuense 105), in cui il consentire in corpore

190 CAPITOLO TERZO

27 ad Sab.), D. 18.1.11 pr. (Ulp. 28 ad Sab.), D. 2.1.15 (Ulp. 2 de omn. trib.), D.5.1.2 pr. (Ulp. 3 ad ed.).

102 M. LAURIA, L’errore cit. 349 [=Studii e ricordi cit. 33].103 Per l’analisi dei testi si v. P. VOCI, L’errore cit. 100 ss. Sull’interpolazione di

D. 45.1.83.1 (Paul. 72 ad ed.) si v. già supra 165 nt. 14.104 Si me in vacuam possessionem fundi Corneliani miseris, ego putarem me in

fundum Sempronianum missum et in Cornelianum iero, non adquiram possessio-nem, nisi forte in nomine tantum erraverimus, in corpore consenserimus. quoniamautem in corpore consenserimus, an a te tamen recedet possessio, quia animo depo-nere et mutare nos possessionem posse et Celsus et Marcellus scribunt, dubitari po-test: et si animo adquiri possessio potest, numquid etiam adquisita est? sed non putoerrantem adquirere: ergo nec amittet possessionem, qui quodammodo sub condicionerecessit de possessione. Da ultimo sul passo: CHR. RAAP, Der Irrtum beim Erwerbund beim Verlust des Besitzes. Ein Deutungsversuch zu D. 41.2.34 pr., in ZSS. 109(1992) 501 ss. Magistrale la sintesi sulle diverse posizioni dottrinarie proposta da M.BRETONE, Tecniche e ideologie2 cit. 207 s., critico anche sul tratto nisi forte – con-sensiremus (cfr. o.u.c. 201 s., con ampio inquadramento problematico), forse perchéla caduta dell’alternativa errare in nomine/consentire in corpore provoca quella del-l’argomentazione che s’inizia con il consenso sul corpus).

105 Cfr. ed. maior II cit. 513 nt. 1.

serve a qualificare la posizione soggettiva di tradente ed ac-cipiente la possessio di un fondo. Lo studioso intende, poi, didiritto giustinianeo l’oujsiva, come substantia in senso naturali-stico: la validità del negozio è funzione del fatto che tale «so-stanza» non venga scambiata (anche se compone solo parzial-mente la cosa). Ne discende che, nell’esame di D. 18.1.9.2(Ulp. 28 ad Sab.), viene espunta 106 la spiegazione della deci-sione di Marcello sulla persistenza del consenso in corpus, an-che alla condizione che in materia sit erratum. Con la stessapremessa vengono soppresse le tre iniziali interrogazioni dellalex 11 h.t., pure ulpianea (con una motivazione che, in so-stanza, replica quella di Beseler) 107. Anche nell’esame del re-gime dell’errore unilaterale 108 sono segnalate inserzioni relativeal consenso in corpus (o in corpore) 109. La generale trattazionedi Voci sull’errore esita nella valutazione della massima erran-tis nulla voluntas est, che – secondo lo studioso – non corri-sponderebbe, nella sua eccessiva estensione, né al diritto clas-sico, né a quello giustinianeo perché «l’errore può escludere lavolontà, ma non è suo necessario effetto che l’escluda». Solo

NODI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE 191

106 La motivazione, debole (P. VOCI, L’errore cit. 119), è che al posto di est sirichiederebbe un sit in quanto la proposizione relativa si riferisce a Marcello (ma lalimitazione dell’opinione al solo Marcello deriva dal successivo taglio dell’opzioneinterpretativa di Ulpiano, che invece poteva ben convenire sul punto con il più an-tico giurista e dunque spiegare dalla sua prospettiva la decisione).

107 Si noti come anche con riguardo all’error in substantia e consentire in cor-pore non è criticato quando la locuzione serve all’individuazione della fattispecie,come in D. 19.1.21.2 (Paul. 33 ad ed.) 118 s. e in D. 18.1.15 pr. (Paul. 5 ad Sab.),quest’ultimo espressamente definito testo «di genuinità insospettabile». Sul ri-chiamo a BESELER, si v. supra 183 nt. 68.

108 P. VOCI, L’errore cit. 120 ss.109 Cfr. D. 13.7.1.2 (Ulp. 40 ad ed.). Si quis tamen, cum aes pignori daret, ad-

firmavit hoc aurum esse et ita pignori dederit, videndum erit, an aes pignori obliga-verit et numquid, quia in corpus consensum est, pignori esse videatur: quod magisest. tenebitur tamen pigneraticia contraria actione qui dedit, praeter stellionatumquem fecit, e D. 45.1.22 (Paul. 9 ad Sab.). Si id quod aurum putabam, cum aes esset,stipulatus de te fuero, teneberis mihi huius aeris nomine, quoniam in corpore con-senserimus: sed ex doli mali clausula tecum agam, si sciens me fefelleris, in cui, puressendo differente al regolamentazione, viene comunque considerata ridondante lasottolineatura della uniformità di prospettiva psicologica, da parte dei due soggetti,sul corpus.

D. 5.1.2 pr. (Ulp. 3 ad ed.) 110, tra i testi che la enunciano 111,viene considerato genuino nella sezione in cui è descritto ilconsentire delle parti processuali che sanno di non essere sog-gette ad una iurisdictio e tuttavia si accordano per la sottoposi-zione al suo titolare.

192 CAPITOLO TERZO

110 D. 5.1.2 pr. (Ulp. 3 ad ed.). Consensisse autem videntur, qui sciant se nonesse subiectos iurisdictioni eius et in eum consentiant. Ceterum si putent eius iuri-sdictionem esse, non erit eius iurisdictio: error enim litigatorum, ut Iulianus quoquelibro primo digestorum scribit, non habet consensum. Aut si putaverunt alium essepraetorem pro alio, aeque error non dedit iurisdictionem. aut si, cum restitisset qui-vis ex litigatoribus, viribus praeturae compulsus est, nulla iurisdictio est. Del resto ilriferimento al consensus (rafforzato da un richiamo legislativo al convenire tra leparti) è confermato nel § 1 del frammento: Convenire autem utrum inter privatossufficit an vero etiam ipsius praetoris consensus necessarius est? Lex Iulia iudiciorumait ‘quo minus inter privatos conveniat’: sufficit ergo privatorum consensus. Proindesi privati consentiant, praetor autem ignoret consentire et putet suam iurisdictionem,an legi satisfactum sit, videndum est: et puto posse defendi eius esse iurisdictionem.

111 Sono ordinatamente riportati in P. VOCI, L’errore cit. 266 s.: oltre a D. 5.1.2pr., D. 2.1.15 pr. (Ulp. 2 de omn. trib.), D. 39.3.19 (Pomp. 14 ad Q. Muc.), D.39.3.20 (Pomp. 34 ad Sab.), C. 1.18.8 [a. 294], C. 1.18.9 [a. 294], C. 4.65.23 [a. 292].Tra essi il riferimento al consenso è espunto in D. 2.1.15 pr. (ove la formula sarebbegeneralizzante), e nelle due costituzioni dioclezianee in C. 1.18.9, e C. 4.65.23 (nellaprima per la sostanziale inutilità, e l’oscurità, dell’inciso nullus sit errantis consensus,nella seconda basandosi in primo luogo sulla scorrettezza grammaticale di errantisnullum habeat consensum, inadatta al latino di Diocleziano). Per ciò che riguardaD. 50.17.116.2 (Ulp. 11 ad ed.). Non videntur qui errant consentire, VOCI (o.u.c. 268e nt. 3) rinvia semplicemente alla più antica letteratura, che invero aveva criticatopiuttosto il principium del frammento (cfr. Index Interpolationum III cit. 596 ad h.loc.; una presa di posizione esplicita contro il testo in questione si trova in U. VON

LÜBTOW, Der Ediktstitel ‘Quod metus causa gestum erit’ [Greifswald 1932] 76 ss.),pure contenente un richiamo al consensus (Nihil consensui tam contrarium est, quiac bonae fidei iudicia sustinet, quam vis atque metus: quem comprobare contrabonos mores est), a motivo dell’astrazione reputata bizantina (per tutti si v. FR.PRINGSHEIM, ‘Animus’ cit. 50 s. [=Gesammelte Abhandlungen I cit. 305 s.]; per lacorrispondenza a dottrine – principalmente teologiche – di IV e V secolo, si v.FR. SCHULZ, Die Lehre vom erzwungenen Rechtsgeschäft cit. 209 e nt. 3). A mepare, invece, che il principium sia ben comprensibile nell’ambito della laudatio del-l’editto sul quod metus causa gestum (cfr. O. LENEL, Palingenesia II [Leipzig 1889]460 s., Ulpianus 370), e che il § 2 possa costituire un’aggregazione compiuta semprenella trattazione generale tenendo conto della comparabilità delle conseguenze del-l’errore a quelle di vis e metus (ma O. LENEL, o.u.c. 477 nt. 3, ad Ulpianum 412, re-puta che il brano possa provenire dal commento all’editto sul dolo o da quello deminoribus; cfr. M. LAURIA, L’errore cit. 348 s. [=Studii e ricordi cit. 33]).

Il riferimento alla regola rende necessario un cenno aquella linea interpretativa (che deve ricondursi a Fritz Pring-sheim 112), la quale si sostanzia nella cd. «Identifikationslehre».Per ciò che riguarda i contratti consensuali, Wieacker riconob-be la (presunta) «byzantinische Prägung» che li avrebbe con-notati di astrattezza nelle fonti giustinianee 113. In tale linea sipossono ascrivere le critiche di Wolf (da comparare con quelledi Zilletti), ancora agli inizi degli anni 60 del Novecento 114.Oggi si può, forse, guardare al problema più che nel senso di«nullità» della volontà, in quello della mancanza del consenso,che deriva dalla difformità del sentire delle parti (riferendomialle fattispecie negoziali) 115, concedendo dunque rinnovatacredibilità alla dichiarazione (invero ampia) di Ulpiano 116, D.

NODI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE 193

112 Testo fondamentale è il suo qui già più volte citato articolo ‘Animus’ 48 ss.,379 ss. [=Gesammelte Abhandlungen I cit. 300 ss.]. Tra gli esiti (sistematico ed incollegamento con il diritto civile tedesco vigente) U. VON LÜBTOW, Das römischeVolk cit. 593 ss. Per una ricostruzione storiografica di tale linea dottrinaria si v. O.BEHRENDS, Das Werk Otto Lenels und die Kontinuität der romanistischen Frage-stellungen. Zugleich ein Beitrag zur grundsätzlichen Überwindung der interpolatio-nischen Methode, in Index 19 (1991) spec. 185 ss. Decisiva per l’orientamento diPringsheim l’opzione interpretativa (critica) di J. PARTSCH, Die Lehre vom Schein-geschäft im römischen Recht, in ZSS. 42 (1921) 227 ss. (sull’importanza del lavoro,incompleto, si v. V. ARANGIO-RUIZ, Giuseppe Partsch, in BIDR. 35 [1927] 235 s.),cfr. anche ID., Aus nachgelassenen und kleineren verstreuten Schriften (Berlin 1931)122 ss.

113 Cfr. F. WIEACKER, ‘Societas’ cit. 8, 90.114 J. G. WOLF, ‘Error’ cit. 23 ss.; importante la notazione dello studioso tede-

sco sul fatto che la regola errantis nulla voluntas est ci sia tradita solo a proposito di«konkludente Willensakte» (dunque fattispecie non contrattuali, cfr. L. LABRUNA,‘Errantis voluntas’ cit. 131). U. ZILLETTI, La dottrina dell’errore cit. 79 ss. (suD. 18.1.9 [Ulp. 28 ad Sab.]), 82 s. (su D. 18.1.11 [Ulp. eod.]), 88 s. (su C. 4.22.5[a. 294]). Sui due saggi di Wolf e Zilletti, usciti praticamente in contemporanea (conindicazione delle recensioni), si v. M. KASER, Das römische Privatrecht2 I cit. 237 ent. 15.

115 Basti il rinvio al saggio, equilibrato, di A. WACKE, ‘Errantis voluntas nullaest’. Grenzen der Konkludenz stillschweigender Willenserklärungen, in Index 22(1994) 267 ss. (con ampia bibliografia in nt. 23 ss. a p. 267). Per un primo inqua-dramento dei problemi relativi a volontà e manifestazione è ottima la sintesi (cor-redata di opportuni rinvii bibliografici) fornita da J. IGLESIAS, Derecho romano.Historia e instituciones coll. J. IGLESIAS-REDONDO (Barcelona 1993) 162 ss.

116 Cfr., per tutti, M. KASER, Das römische Privatrecht2 I cit. 237 nt. 16.

18.1.9 pr. (28 ad Sab.). In venditionibus et emptionibus consen-sum debere intercedere palam est: ceterum sive in ipsa emp-tione dissentient sive in pretio sive in quo alio, emptio imper-fecta est ...

3. L’oggettivizzazione del «contractus» e la reazione volon-taristica. – In collegamento non occasionale proprio con ledottrine interpolazionistiche (consistendo in un tentativo distoricizzazione di quella che dopo Savigny era diventata laprevalente tesi pandettistica 117), ed utilizzando (anche) il me-todo critico, si sviluppò nella storiografia romanistica dallafine dell’Ottocento alla prima metà del secolo XX 118 (a partireda un noto, fondamentale, scritto di Alfred Pernice 119) una

194 CAPITOLO TERZO

117 Cfr. supra 173 nt. 40.118 Queste note vogliono costituire solo un inquadramento generale e di ne-

cessità piuttosto schematico di quello che è un problema vasto e storiograficamenteassai intricato, il quale tocca (com’è facile intuire) anche la prospettiva del consen-sus. Saranno fornite qui poche nozioni e rinvii bibliografici solo incompleti: per unadisamina delle varie posizioni dottrinarie incentrata ex professo sul contratto si v.,come contributi più significativi pubblicati dopo la II guerra mondiale, tra i tanti (eriferendomi spesso ai risultati sintetici ed in ultima o più recente elaborazione daparte dei vari studiosi), P. VOCI, La dottrina romana del contratto (Milano 1946) 1ss.; G. GROSSO, Il sistema romano3 cit.; S. E. WUNNER, ‘Contractus’. Sein Wortge-brauch und Willensgehalt im klassischen römischen Recht (Köln-Graz 1964) 5 ss.;A. SCHIAVONE, Studi sulle logiche dei giuristi romani. ‘Nova negotia’ e ‘transactio’da Labeone a Ulpiano (Napoli 1971); B. ALBANESE, ‘Agere’ ‘gerere’ ‘contrahere’ inD. 50.16.19. Congetture su una definizione di Labeone, in SDHI. 38 (1972) 189 ss.[=Scritti giuridici II (Palermo 1991)]; R. SANTORO, Il contratto nel pensiero di La-beone, in AUPA. 37 (1983) 5 ss.; M. TALAMANCA, s.v. «Contratto e patto nel dirittoromano», in Dig. Disc. Priv. Sez. civ. IV (Torino 1989, rist. 1993) 58 ss.; F. GALLO,‘Synallagma’ e ‘conventio’ nel contratto. Ricerca degli archetipi della categoria con-trattuale e spunti per la revisione di impostazioni moderne I-II (Torino 1993-1995);G. MELILLO, ‘Contrahere’, ‘pacisci’, ‘transigere’ cit.; A. BURDESE, Recenti prospet-tive in tema di contratti, in Labeo 38 (1992) 200 ss.; ID., Sulle nozioni di patto, con-venzione e contratto in diritto romano, in Seminarios Complutenses 5 (1993) 41 ss.;ID., Ultime prospettive romanistiche in tema di contratto, in Atti II Convegno sullaproblematica contrattuale in diritto romano (Milano 1998) 17 ss. Qualche osserva-zione su contratto e consenso infra 209 ss.

119 Parerga III. Zur Vertragslehre der römischen Juristen, in ZSS. 9 (1888)195 ss. Sorprende di vedere citato questo saggio (attribuito a Savigny, per evidente– spero – errore tipografico) in B. BISCOTTI, Dal ‘pacere’ ai ‘pacta conventa’. Aspetti

concezione del contractus che ne metteva in evidenza, come es-senza obbligante, più il profilo del vincolo che quello dell’ac-cordo, passando sostanzialmente il centro del problema con-trattuale da una prospettiva volontaristica (sviluppatasi, perchiaro influsso della visione politico-sociale e della ideologialiberale della società nell’Ottocento, in quello che si definisce ilcd. «dogma della volontà»), riferita principalmente alle posi-zioni delle parti, ad una visione oggettivistica del rapporto.Pernice descrisse il contractus come negozio inteso alla costitu-zione del rapporto obbligatorio; pur essendone requisito unaconventio, la relazione tra i due concetti non sarebbe biuni-voca: non ogni convenzione infatti – per lo studioso tedesco –può considerarsi contratto. Il punto di partenza stava nell’in-tuizione (non errata dal punto di vista strettamente filologico)secondo la quale il verbo contrahere fosse tecnicamente utiliz-zato dai giuristi romani anche oltre l’indicazione del fonda-mento delle obbligazioni non delittuali. La tesi si «radicò» 120

soprattutto nella dottrina italiana, e fu significativamente svi-luppata, in una ampia serie di scritti, in primo luogo da PietroBonfante e da Silvio Perozzi, due veri principes della scienzaromanistica di quell’età. L’esordio di Bonfante sul tema, inparticolare, in una pagina della sua sintetica trattazione sul Di-ritto romano 121, riprodotta ed ampiamente contestualizzata neiRendiconti del Regio Istituto Lombardo del 1907, in un saggiopoi replicato (e dunque amplificato nella sua risonanza) «con

NODI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE 195

sostanziali e tutela del fenomeno pattizio dall’epoca arcaica all’editto giulianeo (Mi-lano 2002) 1 nt. 1, per dire che in esso rileverebbero «toni quasi programmatici»a proposito della «individuazione di un concetto unitario di negozio giuridico(Rechtsgeschäft), quale cardine dell’intero ordinamento privatistico».

120 Utilizzo l’immagine proposta da G. MELILLO, ‘Contrahere’, ‘pacisci’, ‘tran-sigere’ cit. 12.

121 Diritto romano (Firenze 1900) 370 s. [da vedere ora nella rist. corr. (Milano1976) 279 s.]; cfr. anche Riv. dir. comm. 3 (1905) II 358. Sull’importanza del Dirittoromano nell’ambito dell’opera bonfantiana si v. soprattutto P. DE FRANCISCI, Com-memorazione di Pietro Bonfante. Celebrazione del XIV centenario della Codifica-zione giustinianea, in Per il XIV centenario della Codificazione giustinianea. Studidi diritto pubblicati dalla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pavia a c. diP. CIAPESSONI (Pavia 1934) xlvi.

chiarimenti e abbreviazioni» nel III volume degli Scritti giuri-dici 122, mise in chiaro e consegnò alla riflessione dei romanistiuno spunto interpretativo centrale della tesi, e cioè che il ter-mine contractus alludesse al vincolo e non al consenso. Pe-rozzi 123 andò ben oltre: con una critica piuttosto spietata allefonti nella loro redazione compilatoria (metodologia cui eramaggiormente aduso che non Bonfante 124) giunse alla conclu-

196 CAPITOLO TERZO

122 Cfr. Sulla genesi e l’evoluzione del ‘contractus’, in RIL. 40 (1907) 888 ss.[=Scritti giuridici III. Obbligazioni, comunione e possesso (Torino 1921) 107 ss., lacitazione tra virgolette è da nt. * a p. 107]. Dello studioso sono poi da vedere: Ilcontratto e la causa del contratto, in Riv. dir. comm. 6 (1908) 115 ss. [=Scritti III cit.125 ss., abbreviato]; Sul ‘contractus’ e sui ‘pacta’, in Riv. dir. comm. 18 (1920) I 1 ss.[=Scritti III cit. 135 ss.].

123 Si v. Le obbligazioni romane (Bologna 1903) [=Scritti giuridici II. Servitù eobbligazioni (Milano 1948) 311 ss.]; cfr. già Il contratto consensuale classico, in Studigiuridici dedicati e offerti a F. Schupfer I. Studi di diritto romano (Torino 1898, rist.Roma 1975) 163 ss. [=Scritti giuridici II cit. 565 ss.]. Il fatto che lo spunto, al difuori dei confini d’Italia, fosse stato anche di S. SCHLOSSMANN, Der Vertrag (Leip-zig 1876) 23, avrebbe dovuto mettere in guardia i nostri studiosi, secondo l’avver-tenza codificata da V. ARANGIO-RUIZ, Sulla scrittura della formula nel processo ro-mano, in PP. [fasc. speciale fuori comm. per le nozze Pugliese-Liguori] (1948) 18,poi in Iura 1 (1950) 16 [=Scritti di diritto romano IV (Napoli 1977) 136], che si ri-feriva al romanista-civilista tedesco dicendolo «noto per l’altezza dell’ingegno e perla potenza della dialettica, ma anche per la tendenza alle soluzioni paradossali ed aquella che Renan chiamava ‘sollicitation des textes’», anche se, nel caso di specie, ilrisultato del lavoro di Arangio fu quello di modificare la sua opinione giovanile,seguendo proprio l’ipotesi Schlossmann, secondo la quale la scrittura non era unelemento necessario per la validità della formula (sul problema si v. ora M. KASER,K. HACKL, Das römische Zivilprozessrecht2 cit. 309, che così vogliono sintetizzarele diverse posizioni della storiografia, riportate in nt. 10: «als Bestandteil des ma-gistratischen Dekrets, das mündlich verkündet wird, ist sie nicht von vornhereinan Schriftlichkeit gebunden»).

124 Sulla metodologia scientifica di Silvio Perozzi, ben presto orientata ad undeciso criticismo testuale, si v. M. TALAMANCA, La romanistica italiana fra Otto eNovecento cit. spec. 169; ne spiega il motivo con «la insistita ricerca della coerenzalogica dei vari istituti» L. CAPOGROSSI COLOGNESI, Introduzione alla Ristampa, inS. PEROZZI, Istituzioni di diritto romano I (rist. Roma 2002) iii [n.n.]. Sarebbe inte-ressante una verifica sistematica sull’utilizzazione delle tecniche interpolazionisti-che da parte di Bonfante, con riferimento alla sua prospettiva metodologica cen-trale; cfr. L. CAPOGROSSI COLOGNESI, A cent’anni dalle ‘Res mancipi’ di PietroBonfante, in Quad. fior. 17 (1988) 146 [=Modelli di stato e di famiglia nella storio-grafia dell’8003 (Roma 1997) 291 s.]. Mentre per diversi motivi risulta parziale, a talproposito, il giudizio di E. ALBERTARIO, Pietro Bonfante, in RISG. 9 (1934) 13 ss.,

sione che l’accordo fosse stato un elemento essenziale del con-tratto solo nella prospettiva giustinianea, mentre contractuscorrispondeva, in epoca classica, a negotium (con indetermina-zione di tutela, tra ius civile e ius honorarium). Bonfante si av-vicina (ma non si allinea 125) a questa interpretazione, svolgen-

NODI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE 197

ed in Riv. int. fil. dir. 14 (1934) 410 ss. [=Studi di diritto romano VI. Saggi critici escritti vari (Milano 1953) 636 s.], che evidentemente voleva propagandare una ver-sione dell’attività scientifica del maestro quanto più possibile legata alla tendenzacritica, non errata appare la notazione di F. MAROI, Pietro Bonfante, in Riv. int. fi-los. dir. 13 (1933) 83 [=Scritti giuridici II (Milano 1956) 498], secondo la quale lostudioso ricostruiva «senza … le insofferenze della ipercritica». Apodittica (anchese cursoria) e capace di ingenerare errori nel lettore non specialista la recentissimanotazione di A. SOMMA, «Roma madre delle leggi». L’uso politico del diritto ro-mano, in Materiali 32/1 (2002) 163 e nt. 64, il quale fa passare Bonfante per un ro-manista-filologo, che avrebbe avuto per metodo suo proprio l’interpolazionismo;ed invece cfr., di BONFANTE, l’importante articolo Il metodo filologico negli studi didiritto romano, in Scritti in onore di A. Salandra (Milano 1928) 123 ss., su cui è davedere ancora (e sempre in relazione all’interpolazionismo) L. CAPOGROSSI COLO-GNESI, o.u.c. 145 s. e nt. 42 [=Modelli di stato e di famiglia3 cit. 291 s. e nt. 42], ol-tre a B. PARADISI, Apologia della storia giuridica (Bologna 1973) spec. 83 nt. 147(che mette in evidenza la «esaltazione» che Bonfante ivi proponeva della dogmaticapandettistica). Questa ricostruzione si può avvicinare a quella, simile per caratteri-stiche e pure proveniente da un giurista non storico (che però scrive di storia, e diSomma è maestro, o, almeno, «regista», cfr. A. SOMMA, Autonomia privata e strut-tura del consenso contrattuale. Aspetti storico-comparativi di una vicenda intellet-tuale [Milano 2000] ix), di G. ALPA, La cultura delle regole. Storia del diritto civileitaliano (Roma-Bari 2000) 195: «Mentre Ferrini e Perozzi tendono a collocare sto-ricamente i principi del diritto romano nella loro dimensione filologica e temporale,di cui il metodo di Windscheid aveva dato il più alto saggio, la maggior parte dei ro-manisti preferisce ‘attualizzare’ il diritto romano. Pietro Bonfante è il maggiore epiù maturo esponente di questo indirizzo, da cui si dipartiranno le ricerche di Emi-lio Betti e Vincenzo Arangio Ruiz» (sia detto solo di sfuggita: non credo che que-sto singolare giudizio su Windscheid sia in qualche modo influenzato dal saggio diU. FALK, Ein Gelehrter wie Windscheid. Erkundungen auf den Feldern der soge-nannten Begriffsjurisprudenz [Frankfurt a.M. 1989], peraltro non citato da Alpa;ancora più singolare, se possibile, l’avvicinamento di Arangio-Ruiz a Betti, e la di-scendenza metodologica dello studioso napoletano dalle posizioni di Bonfante; e apoco servono, soprattutto per il lettore meno avvertito, le scarne e non decisive pre-cisazioni in nt. 124 a p. 441). Naturalmente tutto si può affermare, se sorretto daqualche valida prova o giustificazione.

125 Importante, per la mirabile sintesi dell’opinione di BONFANTE, una paginadelle Istituzioni di diritto romano10 (Torino 1946, rist. corr. Milano 1987) 327 e nt.2, in cui lo studioso, in opposizione a S. PEROZZI, Le obbligazioni romane cit. 31,

dola in una vasta indagine di tipo filologico, che ebbe come ri-sultato l’ampia attestazione nelle fonti dell’utilizzazione dellaterminologia contractus (come ellissi di contractus negotii o dinegotium contractum) con riferimento a fenomeni in cui nonrileva (ovvero, almeno, non rileva da ogni parte) la volontà adobbligarsi.

È chiaro che il punto relativo alla svalutazione dell’ac-cordo interessa qui principalmente per la determinazione delruolo del consensus nelle obbligazioni contrattuali, e cioè de-costruzione (da parte di questa corrente storiografica) delnesso che dichiarava l’equivalenza (già classica) di contrahere econsentire: rispetto alla causa, che viene rappresentata come ilfatto oggettivo del vincolo, elemento ‘originario’ nella strut-tura del contractus, l’accordo (frutto del consentire o del con-venire, considerati prevalentemente assieme 126: consensus oconventio) costituirebbe un’elaborazione successiva, comin-ciata dalla giurisprudenza classica, ma sviluppata principal-mente dai maestri bizantini.

La reazione a tali risultati s’impersona, per un lungo trattodel suo sviluppo, nella forte figura di Salvatore Riccobono 127.

198 CAPITOLO TERZO

chiarisce che per quel che riguarda contrahere il significato di «affare» non è da ac-cogliersi, perché il verbo allude ad un vincolo, cioè ad una relazione duratura: con-tractus costituirebbe dunque una sfera più ristretta rispetto a contrahere, non usan-dosi il sostantivo al di fuori delle obbligazioni. Nello stesso senso si cfr. E. BETTI,Sul valore dogmatico della categoria ‘contrahere’ cit. 3 ss.

126 Cfr., ad esempio, P. BONFANTE, Istituzioni10 cit. 327.127 Della sua vasta produzione si v., in particolare, Dal diritto romano classico

al diritto moderno. A proposito del fr. 14 D. 10.3 Paulus III ‘ad Plautium’, inAUPA. 3/4 (1917) 274, 303, 689 ss. [=Scritti di diritto romano II (Palermo 1964)];La nozione del ‘contractus’, in Bull. R. Acc. Palermo (1918); La formazione dellateoria generale del ‘contractus’ nel periodo della giurisprudenza classica, in Studi inonore di P. Bonfante I (Milano 1930) 125 ss.; Origine e sviluppo del domma dellavolontà nel diritto, in Atti Congresso Roma I (Roma 1934) 179 ss.; Corso di dirittoromano. ‘Stipulationes’ ‘contractus’ ‘pacta’ (Milano 1935) 262 ss., 298 ss.; Der Willeals Entwicklungsfaktor im römischen Rechte, in Scritti in onore di C. Ferrini (Beati-ficazione) IV (Milano 1949) 55 ss. Ovviamente bisogna tener conto della ben notasvolta metodologica del romanista siciliano, insoddisfatto delle tendenze interpola-zionistiche (viranti verso l’ipercritica testuale e dunque snaturanti il ruolo del ro-manista come giurista), che – pur se in premessa nelle sue pubblicazioni precedenti,secondo M. MARRONE, Salvatore Riccobono, in Siciliani illustri I/4 (Palermo 1990)

Per il grande studioso siciliano la conventio è requisito propriodel contractus già dall’età classica, nella quale si realizza unosviluppo storico per cui l’accordo tra le parti viene ad essere ri-conosciuto come essenziale non solo nell’ambito di esplica-zione del nuovo diritto a matrice pretoria, ma anche nei negoziformalistici dell’antico ius civile. La sua dottrina è «tradiziona-listica»: in essa si riconosce l’allievo di Windscheid e di Scia-loja 128. Proprio il richiamo al maestro romano 129, in un mo-

NODI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE 199

11 [=Scritti giuridici II (Palermo 2003) 863], ma v. M. TALAMANCA, Diritto romano,in Cinquanta anni di esperienza giuridica in Italia (Milano 1982) 713 ss. – si rea-lizzò proprio nel monumentale saggio su D. 10.3.14 (cit. supra in questa nota). Im-portante (perché è un lavoro ‘in presa diretta’, che nasce all’interno della sua scuola,e ad opera dell’allievo per molti versi più vicino e più simile al maestro), per com-prendere le scelte e le impostazioni di metodo di Riccobono, L. CHIAZZESE, Nuoviorientamenti nella storia del diritto romano. Rassegna di letteratura romanistica, inArch. Giur. 103 (1930) 87 ss. Sulla rilevanza della conventio (in ordine alla configu-razione da parte dei giuristi romani del contractus essenzialmente come un negoziobilaterale) nota (con esplicito riferimento all’opera di Riccobono) il fondamentoideologico dell’opzione scientifica che accentua il valore della volontà M. TALA-MANCA, s.v. «Contratto e patto nel diritto romano» cit. 68 nt. 62.

128 Riccobono, dopo la laurea a Palermo, seguì a lungo – per due semestri ecinquecento ore, presso l’Università di Lipsia – le lezioni del grande pandettista: neconserverà sempre il ricordo e ne porterà profondi i segni; di Scialoja, pur non es-sendo scolaro diretto, può definirsi (e si definiva) allievo, avendolo frequentatocome auditore al ritorno dagli studi in Germania; sul punto si v. M. MARRONE, Sal-vatore Riccobono cit. 10 ss. [=Scritti giuridici II cit. 862 ss.], ed anche O. BEHRENDS,La nuova traduzione tedesca dei ‘Digesta’ e la critica interpolazionistica, in Index 25(1997) 17, che sottolinea come la formazione «profondamente pandettistica» di Ric-cobono «non ha sottratto niente al suo giudizio storico».

129 In occasione della terza ristampa del corso scialojano sui Negozi giuridici(Roma 1933; ne è stata ripubblicata una quinta, invariata, nel 1950), cui fu aggiuntauna sua Prefazione. L’opera (che risaliva nella stesura all’anno accademico 1892-1893) viene celebrata proprio in risposta alle critiche svolte tra la fine del XIX se-colo ed i primi decenni del XX al «dogma della volontà»: «è grande fortuna chepossiamo rileggere questo Corso dopo 40 anni per riprendere alfine una tradizionescientifica che in questo intervallo di tempo la critica s’era illusa di aver soppiantatofin dalle radici e composto nel sepolcro» (S. RICCOBONO, Prefazione cit. iv). In-tanto l’opzione riccoboniana s’era rafforzata in virtù della pubblicazione del fa-moso saggio di J. STROUX, ‘Summum ius summa iniuria’. Ein Kapitel aus der Ge-schichte der ‘interpretatio iuris’ (Leipzig-Berlin 1926) 5 ss. [=Römische Rechtswis-senschaft und Rhetorik (Potsdam 1949) 9 ss.], che proprio da Riccobono fupubblicato in traduzione italiana (di G. FUNAIOLI) negli Annali del Seminario pa-lermitano: ‘Summum ius summa iniuria’. Un capitolo concernente la storia della ‘in-

mento topico delle vicende storiche (ed accademiche) della ro-manistica italiana, costituirà un’arma potente nella lotta che lovedrà opposto agli avversari (e questo è uno dei luoghi signifi-cativi in cui si fa riferimento diretto al consensus 130).

Subito dopo la II guerra mondiale la dottrina tradizionalevenne ripresa in un lavoro monografico importante, La dot-trina romana dei contratti di Pasquale Voci 131. In esso quellache è stata definita la «monoliticità» del diritto classico s’e-sprime fin dal titolo (al singolare: «dottrina»), come è statogiustamente notato da Aldo Schiavone 132: il quadro concet-tuale classico è unitario, il «contratto è … lo accordo direttoalla costituzione di un rapporto obbligatorio». La prospettivadell’accordo (e dunque il consensus) assume prevalenza comerequisito, le deviazioni mostrano interventi «non classici» 133.Ma poco prima del libro di Voci era uscito un corso di Grosso,che se nel titolo pure recava «un singolare molto compromet-tente» 134, riferendosi ad un «sistema», recava i frutti delle rilet-ture bettiana dello sviluppo storico del contrahere, facendoriaffiorare – sia pure solo al livello di un «abbozzo» 135 – i sin-

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terpretatio iuris’, in AUPA. 12 (1929) 647 ss. (la Prefazione di RICCOBONO si trovaa p. 639 ss.; a sua volta tradotta in tedesco in J. STROUX, Römische Rechtswissen-schaft cit. 67 ss.). Sul punto si v. la significativa ampia citazione dello studio del fi-lologo nella Prefazione ai Negozi giuridici di Scialoja, cit. vi s.

130 S. RICCOBONO, Prefazione [a V. SCIALOJA, Negozi giuridici cit.] cit. x.131 Lo studioso ne propose anche una sintesi: La dottrina del contratto nei giu-

risti romani dell’età classica, in Scritti di diritto romano in onore di C. Ferrini (Mi-lano 1946) 383 ss. [=Studi di diritto romano I cit. 3 ss.].

132 Sulle dottrine contrattualistiche cit. 533.133 Per le citazioni: P. VOCI, La dottrina cit. 7 (cfr. anche p. 287). G. MELILLO,

‘Contrahere’, ‘pacisci’, ‘transigere’ cit. 15, nota la discordanza con la prospettiva pu-ramente romana (per influenza di ricostruzioni dogmatiche moderne) nella defini-zione vociana, nel momento in cui si parla di obligatio come «rapporto» in con-trapposizione alla obligatio come «atto».

134 Traggo la comparazione dei due singolari (la «dottrina» di Voci ed il «si-stema» di Grosso) dalla bella lettura di A. SCHIAVONE, Sulle dottrine contrattuali-stiche cit. 533, che costituisce una sintetica ma efficace (in parte profonda, a dispettodella brevità) ricostruzione della principale storiografia sul contratto romano daldopoguerra agli anni Novanta del XX secolo (si v. la selezionata bibliografia che ri-sulta dalle note a p. 537 s.).

135 Secondo A. SCHIAVONE, Sulle dottrine contrattualistiche cit. 534.

goli differenti profili dei giuristi (da Labeone a Ulpiano), checon il loro «lavorio» avevano contribuito alla concretezza sto-rica della lettura giuridica dei contratti romani.

4. Tra diritto sostanziale e sistema edittale. – È giunto ilmomento di dar conto di due importanti prospettive storio-grafiche (di Álvaro D’Ors e André Magdelain, grandi nomidella romanistica del Novecento), che – da una parte confron-tandosi in modo critico con l’ordine sistematico delle fontid’obbligazione, e dall’altra conferendo rilevanza particolare al-l’impostazione della tutela dei contratti consensuali che si rin-viene nell’editto pretorio 136 – hanno proposto visioni originalidel fenomeno negoziale romano.

Nel Congresso internazionale svoltosi a Verona nel 1948(il primo incontro di romanisti e storici del diritto di grande ri-levanza dopo la tragedia della guerra mondiale 137), D’Ors 138

ebbe a proporre (ordinando a suo modo una serie di varie pre-cedenti affermazioni storiografiche 139) l’originarietà e la pro-

NODI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE 201

136 Le due prospettive saranno esaminate più in dettaglio infra 477 ss.137 Una cronaca (anonima) si trova negli Atti del Congresso Internazionale di

Diritto romano e Storia del diritto (Verona 27-29 settembre 1948) (Milano 1953) liiiss., ma non relaziona sugli aspetti scientifici; dunque si v. – piuttosto – L. WENGER,Der Congresso Internazionale di Diritto romano e Storia del diritto (Verona 27.-29.September 1948), in ZSS. 66 (1948) 627 ss. (ma solo brevemente sulla relazione diD’Ors a p. 636); G. MOSCHETTI, Congresso internazionale di Diritto romano e Sto-ria del diritto (Verona 27-29 settembre 1948), in SDHI. 15 (1949) 388 ss. (spec. 397,con un’interpretazione, però, non del tutto centrata dell’ipotesi ricostruttiva del ro-manista spagnolo).

138 ‘Re et verbis’, in Atti del Congresso Internazionale di Diritto romano e Sto-ria del diritto (Verona 27-29 settembre 1948) III (Milano 1951) 267 ss.; un breveriassunto della comunicazione si trova in Varia Romana (‘Re et verbis’), in AHDE.19 (1948-49) 602 ss. Su Gaio «prepostclassico» (cfr. subito infra nel testo) in parti-colare si v. in AHDE. 27-28 (1957-58) 1157. Per altri temi che s’intrecciano conquello in questione, trattati da D’Ors nella medesima prospettiva, si v. la dettagliatabibliografia fornita dallo stesso studioso nella sua rec. a G. GROSSO, Il sistema ro-mano3 cit., in Iura 15 (1964) 390 s.

139 Fa effetto nell’argomentazione di D’ORS (‘Re et verbis’ cit. 268; Varia Ro-mana cit. 602) la citazione di P. BONFANTE, Sul ‘contractus’ e sui ‘pacta’, in ScrittiIII cit. 143, secondo cui quella che si rinviene a partire da Gaio sarebbe una «di-

prietà romana classica, nel campo dei modus obligandi, dell’an-titesi semplice re – verbis. La figura corrente del commercio diRoma antica sarebbe stata compresa sotto il profilo giuridicoattraverso la considerazione congiunta di una materiale nume-ratio accompagnata da una stipulatio, e dalla contestuale docu-mentazione dell’operato in una cautio. La quadripartizionegaiana, rispetto a tale originaria costruzione, costituirebbe il ri-sultato di una infelice sistematica operata dal maestro «pre-postclassico», essa – proiettata con successo verso i gusti tar-doantichi – avrebbe avuto una significativa recezione in etàpostclassica e dunque giustinianea. La tesi, sviluppata dallostudioso spagnolo in un’ampia serie di scritti, va ad intrecciarsicon la considerazione della storia del contractus (e dei suoirapporti con il creditum 140): la dogmatica propriamente clas-sica sarebbe stata quella espressa da Labeone, dunque un’im-postazione del contractus strettamente costruita sulla bilatera-lità funzionale, mentre il più vasto concetto delle Institutiones,inventato da Gaio, avrebbe avuto natura impropria compren-dendo nella prospettiva contrattuale anche fattispecie propria-mente appartenenti all’ambito del creditum. Se – come si è vi-sto – la ricerca romanistica si è giovata del riconoscimento didue linee, alquanto indipendenti in relazione allo svolgimentodell’idea del contratto, tra I secolo a. C. e III secolo d. C., d’al-tra parte l’originalità gaiana è indimostrabile rispetto a serieorganizzative delle fonti d’obbligazione, che paiono risalire al-meno alla sistemazione operata da Quinto Mucio. Partendodalla considerazione della natura corrotta di D. 2.14.1.3 (Ulp.4 ad. ed.) e di D. 46.3.80 (Pomp. 4 ad Q. Muc.), e non ammet-

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sgraziatissima classificazione». Ma lo studioso italiano stava impostando il suo di-scorso sull’oggettivizzazione del contratto (cfr. supra 195 ss.), ed il consenso in par-ticolare, come momento centrale dell’aspetto volontaristico gli dava fastidio.

140 Questa parte della riflessione storiografica di D’Ors diviene a tal puntocentrale nella sua opera, da costituire una «serie de escritos» nell’ambito della vastabibliografia del romanista spagnolo, cfr. R. DOMINGO, Relación de publicaciones deAlvaro D’Ors, in Estudios de derecho romano en honor de A. D’Ors I (Pamplona1987) 37; di «plesso tematico» parlerebbe M. TALAMANCA, Elogio di Álvaro D’Ors,in Università degli Studi di Roma ‘La Sapienza’, Laurea Honoris Causa 1997. InGiurisprudenza: Prof. Álvaro D’Ors (Roma s.d., ma 1997) 30.

tendo l’ipotesi di soppressione sistematica, nella Compilazionegiustinianea, del riferimento alla obligatio litteris, ed allo stessotempo rilevando (su questo punto non si può che essere d’ac-cordo 141) che in tutte le serie pregaiane delle fonti d’obbliga-zione non si rinviene la menzione del consensus, il romanistaspagnolo passa alla critica di quattro testi: oltre al già ricordatoD. 46.3.80, D. 44.7.1.1 (Gai 2 aur., inattendibile, perchégaiano), D. 46.2.1.1 (Ulp. 40 ad Sab., di cui, a parte le critichepiù risalenti, D’Ors rinviene – con Brasiello 142 – la natura spu-ria nell’impossibilità della novazione simultanea, dato il carat-tere bilaterale delle obbligazioni consensuali), e D. 46.1.8.1(Ulp. 47 ad Sab., che sarebbe mera eco di un altro testo istitu-zionale in Gai 3.119a). Richiamandosi poi ancora a Brasiello,lo studioso mette in evidenza la frequenza dell’antitesi re-ver-bis, che in età classica si rapporterebbe ad un negozio partico-larmente frequente nella prassi, il mutuum cum stipulatione 143,e cioè la formalizzazione necessaria in una cautio stipulatoriadi quello che non può essere considerato un contratto reale, eche si sostanziava in un negozio composto ma unitario. L’alte-razione gaiana starebbe nella combinazione del binomio re etverbis con l’antica classificazione delle cause dell’actio certaecreditae pecuniae, e cioè datio, expensi latio, stipulatio, aggiun-gendovi inoltre un quarto membro, eterogeneamente compo-sito sotto il profilo dogmatico, quello del consensus. Il meritodello studioso spagnolo è stato quello di notare la cesuragaiana: evidentemente a partire dal II secolo d. C. si è verificatauna stabilizzazione, imperfetta ma sostanzialmente definitiva,del catalogo delle fonti dell’obligatio non delittuale, che però

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141 Collimando, tra l’altro con la ricerca lessicale proposta supra 16 ss.142 ‘Obligatio re contracta’, in Studi in onore di P. Bonfante II (Milano 1930)

562 s.; In tema di categorie contrattuali, in SDHI. 10 (1944) 108.143 Per le attestazioni della prassi campana si v., da ultimo, G. CAMODECA, ‘Ta-

bulae Pompeianae Sulpiciorum’. Edizione critica dell’archivio puteolano dei SulpiciiI (Roma 1999) 133, che mette in relazione – per la consimile struttura di «kombi-nierter Vertrag» – TPSulp. 50-59 (la documentazione mostra «la grande diffusionenella prassi quotidiana») con D. 12.1.40 e D. 45.1.126.2, frammenti tratti dal III li-bro delle quaestiones di Paolo.

possiede (a differenza di quanto pensava D’Ors) grande effica-cia sia didattica (per la sua articolazione schematica, che favo-risce anche la memorizzazione), sia dogmatica (perché com-prendente; il punto mi sembra palese in quei testi che servonoa determinare l’ambito di applicazione della garanzia fideius-soria). Al limite la dizione gaiana è perfino ridondante nel rife-rimento al consensus, che però pare costituire una sorta dichiusura del cerchio 144. Ciò che non sembra funzionare è l’ideadella «invenzione» gaiana (a prescindere dai problemi di «per-sonalità» del giurista), perché tale originalità non si addice adun semplice manuale didattico, ed anche perché – a questo li-vello – essa appare piuttosto strutturata, non limitandosi allamera definizione, ma anche alla trattazione dei singoli tipi ob-bligatori. E, in corrispondenza, bisogna rilevare come la qua-dripartizione apparisse una tendenza di quel periodo, se si ac-cetta la ricostruzione proposta innanzi di D. 46.3.80 145. Nel si-stema istituzionale, questi tipi, proprio attraverso lo schemadel consenso, sono unificati nella prospettiva della bilateralità,cui corrisponde strettamente la qualificazione della presta-zione ex bona et aequo 146, che diviene – mi pare – il metro fat-tuale rispetto al canone astratto della bona fides che il magi-strato giusdicente assegna al giudice nelle rispettive formule.Un difetto rilevante dell’impostazione di D’Ors, di cui è statagiustamente sottolineata la grande coerenza interna 147, sta nel-

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144 Anche se invero non del tutto riuscita se si considera il problema della so-lutio con finalità di distrahere in Gai 3.91.

145 Si v. già C. A. CANNATA, La distinctio ‘re’ - ‘verbis’ - ‘litteris’ - ‘consensus’,in Sein und Werden im Recht. Festgabe U. von Lübtow (Berlin 1970) 412 ss.

146 Gai 3.137.147 Oltre alle precisazioni «di alto valore» sulla condictio, cfr. M. TALAMANCA,

Elogio di Álvaro D’Ors cit. 30. Sul tema fervono, di recente, le ricerche. Per lo sta-tus quaestionis si può rinviare al vasto lavoro monografico di A. SACCOCCIO, ‘Sicertum petetur’ cit., riassunto nella rec. di L. PIRO, Ancora sulla ‘condictio’, in La-beo 48 (2002) 287 ss.; in tema di indebitum solutum, da una prospettiva particolare– quella delle fattispecie in cui è un soggetto terzo (rispetto a indebitum solvens eda indebitum accipiens) ad operare la solutio – si v. anche I. FARGNOLI, ‘Alius solvitalius repetit’. Studi in tema di ‘indebitum condicere’ (Milano 2001) 23 ss., in gene-rale sulle linee dell’evoluzione storica della condictio: 259 ss., da confrontare con larec. di L. PARENTI, ‘Alius solvit alius repetit’, in Labeo 48 (2002) 287 ss.

l’uso abbastanza spregiudicato (d’altra parte, per così dire,‘fuori stagione’) della tecnica interpolazionistica 148.

André Magdelain è stato una delle intelligenze più brillantimai prestate alla scienza romanistica. Il suo smilzo volume suLe consensualisme dans l’édit du preteur 149, in cui viene propo-sta una innovativa interpretazione della prescrizione generaleche si rinviene nell’edictum de pactis, va a completare la sua vi-sione processuale tracciata nel 1954 con l’importante, discusso,saggio sulle azioni civili 150. Anche lo studioso francese si pone

NODI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE 205

148 Per una prospettiva di maggiore concretezza si v. soprattutto G. GROSSO, Ilsistema romano3 cit. 73 ss. (passim critiche a D’Ors).

149 Edito a Parigi, nel 1958. Sull’opera, per un primo inquadramento e per va-lutare le reazioni ‘a caldo’ della romanistica contemporanea, si v. le rec. di U. BRA-SIELLO, in SDHI. 25 (1959) 465 ss.; A. BURDESE, in Iura 10 (1959) 207 ss.; A.D’ORS, in AHDE. 29 (1959) 722 ss.; R. VILLERS, in REL. 37 (1959) 417 ss.; L. AMI-RANTE, in BIDR. 63 (1960) 297 ss.; J. PH. LEVY, in RHD. 38 (1960) 133 ss. (unicalettura sostanzialmente adesiva alle tesi di Magdelain, v. spec. 137 s.); M. TALA-MANCA, La storia dell’‘edictum de pactis’, in Labeo 6 (1960) 278 ss. Mi sembra sin-golare che nell’ambito della «Relecture» dell’opera del maestro parigino, di recenteproposta dagli allievi M. HUMBERT e Y. THOMAS, il saggio sul consensualismo (di-scutibile, discusso, ma certamente fecondo e rilevante nel suo tracciato di studi, cfr.infra 209 ss.) non sia neppure citato (se non nella bibliografia, completa, a p. xix),cfr. Mélanges à la mémoire de André Magdelain (Paris 1998) ix ss. (l’opera è invecealmeno ricordata, anche al di fuori della lista bibliografica, nello scarno ricordo diL. GUTIÉRREZ-MASSON, in Seminarios Complutenses 5 [1993] 14). Altri importanticontributi alla discussione sul consensualismo, collegati con lo studio di Magdelain,si trovano, ad esempio, in G. DIÓSDI, ‘Pacta nuda servabo’? Nuovi dubbi intornoad un vecchio problema, in BIDR. 74 (1971) 89 ss. (lo studioso ungherese si con-centra sulla tesi secondo la quale i nuda pacta siano quelli aggiunti ex intervallo alrapporto obbligatorio principale), ed in due saggi di G. G. ARCHI, Dal formalismonegoziale repubblicano al principio giustinianeo ‘cum sit iustum voluntates con-trahentium magis quam verborum conceptionem inspicere’ (C. I. 8,16 [17],9), inSDHI. 45 (1980) 1 ss. [=Scritti di diritto romano I cit. 443 ss.]; ID., ‘Ait praetor:«pacta conventa servabo»’, in Festschrift U. von Lübtow cit. 373 ss. [=Scritti di di-ritto romano I cit. 481 ss.].

150 Les actions civiles (Paris 1954). Il lavoro prendeva spunto dal noto saggio diW. KUNKEL, ‘Fides’ als schöpferisches Element, in Festschrift P. Koschaker I (Weimar1939) 4 nt. 4 (e v. anche la parzialmente consonante posizione di M. LAURIA, ‘Iusgentium’, ibid. 258 ss.). Efficaci le critiche di G. PUGLIESE, rec., in SDHI. 20 (1954)373 ss. [=Scritti giuridici scelti I. Diritto romano (Napoli 1985) 165 ss.], e Il processocivile romano I (Roma 1962) 11 ss., cfr. M. KASER, K. HACKL, Das römische Zivil-prozessrecht2 cit. 326 ss. Per i più recenti convincimenti dello studioso francese in

in contrasto con il valore della sistemazione quadripartita chesi rinviene in Gaio, volgendo lo sguardo piuttosto alla storiadell’editto pretorio. La tesi di fondo è ardita: l’originaria pro-tezione pretoria, compendiata nella dizione edittale pacta con-venta servabo, sarebbe stata estesa a tutte le fattispecie (gene-ricamente) pattizie, e solo in un periodo successivo si sarebberistretta: individuando una linea interpretativa unitaria del fe-nomeno del consensualismo 151 nel diritto romano. Si tratta,come è facile vedere, di una interpretazione estrema, che sicontrappone all’altra, pure assai netta, di Fritz Schulz, che,stigmatizzando l’enfasi della promessa pretoria, ne metteva inevidenza la pochezza dello scopo, risolventesi nella predisposi-zione solo di una exceptio (caso unico nell’editto) 152. Partendoda un’ampia analisi semantica della terminologia relativa alpactum, lo studioso francese ne mette in rilievo la connessionestretta con la conventio: il pactum conventum costituirebbe unasindeto, ed Ulpiano, nella nota introduzione al commentodell’edictum de pactis 153, ne considera la qualificazione preva-lente nel senso di accordo di volontà. Dopo un esame delle va-rie fattispecie a natura convenzionale, da quelle che transeunt

206 CAPITOLO TERZO

tema di processo, orientati soprattutto su temi di origine, si v. Esquisse de la justicecivil au cours du premier âge républicain, in RIDA. 37 (1990) 197 ss.; Gaius IV 10et 33: Naissance de la procédure formulaire, in TR. 59 (1991) 239 ss.; Esbozo de lajusticia civil durante los primeros tiempos republicanos, in Seminarios Complutenses2 (1992) 33 ss.; De la royauté et du droit de Romulus à Sabinus (Roma 1995) 113 ss.,151 ss.

151 A distanza di decenni dalla pubblicazione del saggio di Magdelain si puòforse intravedere una certa influenza (molto probabilmente inconsapevolmente su-bita dallo studioso francese, più che voluta) sulla scelta della prospettiva da parte diquella che certamente è una ‘mitologia giuridica’ tipica della modernità, cfr. R.MARTINI, Il mito del consenso nella dottrina del contratto, in Iura 42 (1991) 97 ss.

152 Cfr. FR. SCHULZ, Classical Roman Law (Oxford 1951) 470. Per la contrap-posizione delle interpretazioni di Schulz da una parte e Magdelain dall’altra si v. giàG. G. ARCHI, Dal formalismo negoziale repubblicano [=Scritti di diritto romano Icit. 447 s.].

153 Non ci si può soffermare, in questa sede, sui dubbi che la storiografia si èposta a proposito del tenore letterale della rubrica edittale; sul punto, per una rico-gnizione bibliografica, di recente, si v. G. SANTUCCI, ‘Operis novi nuntiatio iuris pu-blici tuendi gratia’ (Padova 2001) 17 s. nt. 6; B. BISCOTTI, Dal ‘pacere’ cit. 3 ss.

in proprium nomen contractus (i contratti consensuali tipici), aicontratti innominati, ai patti aggiunti, Magdelain prova la sto-ricizzazione dell’editto relativo, sostenendo – sulla base di te-stimonianze risalenti a Cicerone ed a Seneca retore 154 – un am-bito di applicazione più vasto in antico, rispetto a quello ri-levato nella giurisprudenza classica e nell’editto giulianeo: lagenerale validità (ed azionabilità) giuridica di qualsiasi ac-cordo, purché non contrario alle leggi e basato sul consenso li-bero delle parti. La regola ex pacto actio non oritur sarebbe diformulazione piuttosto tarda ed in contrasto con una serie ditesti (ma retorico-letterari), che classificano il pactum tra lefonti dell’ordinamento. Dunque tra repubblica e primo princi-pato il patto era inteso come concetto comprensivo dei con-tratti consensuali, e più in generale, di tutto il fenomeno con-sensualistico. Il restringimento della portata terminologica,operato dalla giurisprudenza classica e riverberatosi nell’edittoavrebbe comportato la peculiarità della mancanza di una tuteladiretta, alla quale corrisponde la mera exceptio pacti. La criticaalle fonti è, contro l’ipotesi di Magdelain, decisiva 155 (anchea prescindere dalla natura ‘atecnica’ delle testimonianze chevanno a costituire la magna charta del consensualismo 156). SeCic. de off. 1.10.31 157 è sostanzialmente estraneo alla prospet-tiva giuridica (riferendosi, in generale, al problema morale del-l’osservanza di quanto promesso), nelle testimonianze prov-enienti dal terzo libro dell’opera filosofica ciceroniana sui do-veri 158 l’edictum de pactis è utilizzato come strumento dicomparazione giuridica dello stesso dovere morale, per stabi-

NODI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE 207

154 Cic. de off. 1.10.31, 3.24.92, 3.25.93; Sen. rhet. contr. 9.3 rubr. I testi sonotrascritti infra in ntt. 157 ss.

155 Cfr. soprattutto M. TALAMANCA, La storia dell’‘edictum de pactis’ cit. 280.156 A. MAGDELAIN, Le consensualisme cit. 58.157 Sed incidunt saepe tempora, cum ea, quae maxime videntur digna esse iusto

homine eoque, quem virum bonum dicimus, commutantur fiuntque contraria, utreddere depositum, facere promissum quaeque pertinent ad veritatem et ad fidem,ea migrare interdum et non servare fit iustum …

158 De off. 3.24.92. Pacta et promissa semperne servanda sint, quae nec vi necdolo malo, ut praetores solent, facta sint …; 3.25.94. Ac ne illa quidem promissa ser-vanda sunt, quae non sunt iis ipsis utilia, quibus illa promiseris …

lire, come limite, che le promesse da rispettare non debbanoessere state estorte. Il passo di Seneca il Vecchio 159, poi, se-condo lo stesso Magdelain si riferisce ad una convenzione«inhabituel» o addirittura «vraiment aberrant» 160: il contesto è,peraltro, nettamente orientato «sotto il profilo della vis» 161, eciò – credo – fa perdere sostanza alla scarna citazione dell’e-dictum de pactis (che inoltre mi pare, nella parte che – in con-trapposizione con il ne sint rata riferito ai gesta per vim me-tumque – afferma essere rata i pacta, riferibile ai soli patti chetrovano consistenza nelle leges e non a qualsiasi accordo traprivati). Del resto, lo stesso studioso francese, in un impor-tante saggio della sua maturità, sul concetto unitario dellalex 162, tornò in senso critico 163 (anche se non del tutto esplici-tamente) su un punto centrale del problema, e cioè l’originariadifferenziazione 164 tra il pactum conventum (nel quale si so-stanzierebbe il contratto consensuale), le leges dictae (del tipodi quelle catoniane, in forma di «supporto» al contratto), la sti-

208 CAPITOLO TERZO

159 Contr. 9.3 rubr. Per vim metumve gesta ne sint rata. Pacta conventa legibusfacta rata sint. Expositum qui agnoverit solutis alimentis recipiat. Il patto in que-stione si raccorda a questo particolarissimo racconto: un tale ha raccolto ed allevatodue infanti esposti; il padre naturale, dopo un certo tempo, li ricerca; colui che liaveva raccolti promette al padre di indicargli il luogo in cui si trovano, alla condi-zione che solo uno gli fosse restituito, mentre l’altro restasse presso di lui (cfr. ilsommario senechiano: Quidam duos filios expositos sustulit, educavit. Quaerentipatri naturali pollicitus est se indicaturum, ubi essent, si sibi alterum ex illis dedisset.Pactum interpositum est. Reddit illi duos filios, repetit unum. La convenzione èchiaramente atipica (per la comparazione con l’indicium al dominus del servo fuggi-tivo convenzionalmente stabilito e tutelato con actio in factum secondo D. 19.5.15[Ulp. 42 ad Sab.], su cui P. VOCI, La dottrina romana cit. 269 s., cfr. A. MAGDE-LAIN, Le consensualisme cit. 55 nt. 125), ed il riferimento all’editto de pactis è – perMagdelain stesso (o.u.c. 55) – «gratuito», ma ne rileverebbe l’interpretazione «im-plicita» proposta dal retore.

160 Per le due citazioni: A. MAGDELAIN, Le consensualisme cit. 54, 55 nt. 125.161 Così M. TALAMANCA, La storia dell’‘edictum de pactis’ cit. 281.162 La loi à Rome. Histoire d’un concept (Paris 1978). Per la rilevanza della mo-

nografia sulla legge nell’ambito del percorso storiografico di André Magdelain siv. M. HUMBERT, Y. THOMAS, Relecture cit. Sull’intreccio dei temi legge-consenso siv. infra 263 ss.

163 Sottolinea questa svolta di Magdelain G. G. ARCHI, Dal formalismo nego-ziale repubblicano cit. [=Scritti di diritto romano I cit. 447 nt. 4].

164 Elaborata sulla base della regola muciana in D. 50.17.73.4. (l. s. horon).

pulatio (come tipico modulo obbligatorio verbis), non ripren-dendo la sua più antica lettura dell’espansività originaria, al li-vello della produzione di actiones, dell’edictum sui patti.

5. Recenti ed ultime prospettive: il consenso nel contratto. –Gli ultimi anni sono stati particolarmente fruttuosi per lo stu-dio della contrattualità romana: si deve ad Alberto Burdese 165

una costante attenzione al punto della situazione degli studiromanistici sul tema, la cui altissima qualità è dovuta anche allecontinue chiose in cui lo studioso dell’Università di Padova haoccasione di riversare la propria esperienza scientifica in mate-ria. Pare opportuno, in questa sede, mettere in evidenza soloalcuni temi e problemi che più direttamente coinvolgono lastruttura dell’obbligazione consensuale. Punto di partenza sto-riografico delle più recenti dottrine è chiaramente la posizione(per così dire intermedia, rispetto agli estremismi del vincolooggettivo e dello psicologismo accentuato) di Grosso 166: con-tractus e consensus convivono, ma è netta l’autonomia concet-tuale del primo dal secondo. Rispetto a tale concezione da unlato si è avuta l’originale reazione di Wunner 167, che – rifiu-tando le soluzioni ipercritiche – incentrò l’analisi sull’origina-lità della concezione labeoniana, che provoca una giuridicizza-zione del termine contractus, poi sfuggita alla logica coniata dalgiurista augusteo, assumendo come centrale il «Willensgehalt»168;

NODI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE 209

165 Si v. soprattutto Recenti prospettive cit. 200 ss.; Ultime prospettive cit. 17 ss.Per la relazione di BURDESE, al Convegno internazionale di Copanello 2000, su Ilcontratto romano tra forma, consenso e causa, si v. la cronaca di C. NITSCH, F. TUC-CILLO, Diritto romano e terzo millennio: Copanello X, in Index 29 (2001) 513 s.

166 Il sistema romano3 cit. 27 ss. Per un primo inquadramento delle diversetendenze dottrinarie si v. R. FIORI, La definizione della ‘locatio conductio’. Giuri-sprudenza romana e tradizione romanistica (Napoli 1999) 357 ss. (con le ntt. 216ss.); cfr. anche E. RODRÍGUEZ DÍAZ, De la noción del Contrato al ‘Pactum Displi-centiae’ en derecho Romano (Oviedo s.d. [ma 1998]) 54 ss.

167 ‘Contractus’ cit. 4 ss.168 Anche se il riferimento al consensus si rinviene direttamente solo nell’esame

della problematica dell’errore, si v. ‘Contractus’ cit. 144 ss. Piuttosto dure le recen-sioni critiche di G. GROSSO, in BIDR. 68 (1965) 347 ss. [=Scritti storico-giuridici IV(Torino 2001) 577 ss.] e di F. WIEACKER, in ZSS. 83 (1966) 472 ss.

dall’altro la riconsiderazione dell’idea di Magdelain da parte diSchiavone 169 (in un più recente sviluppo del suo pensiero siavrebbe in Ulpiano la combinazione dell’idea di Pedio con lanecessità di conferire una causa che producesse obbligatorietàper i contratti atipici 170) ed in una certa misura anche di Me-lillo 171, per il quale il dato socio-economico fa sì che si possacomparare l’evoluzione della disciplina giuridica delle varieforme negoziali bilaterali. Da una prospettiva in primo luogoprocessualistica, Sargenti 172 ha a più riprese ribadito la dottrinatradizionale, che costruisce un rapporto di necessaria dipen-denza tra qualificazione edittale-tipicità ed azionabilità. Biso-gna ora guardare ad un contributo che per primo nella lettera-tura romanistica ha messo in luce gli aspetti mitici del con-senso nella dottrina contrattuale 173. Le premesse di un saggioimportante di Remo Martini sono «polemiche» e «provocato-rie» e – dopo un breve cenno alla prospettiva moderna 174 – si

210 CAPITOLO TERZO

169 A partire dalla monografia Studi sulle logiche cit.170 A. SCHIAVONE, La scrittura di Ulpiano. Storia e sistema nelle teorie con-

trattualistiche del quarto libro ‘ad edictum’, in Le teorie contrattualistiche cit. 125ss. [=con adattamenti in Linee di storia del pensiero giuridico romano (Torino 1994)221 ss.].

171 Ora si v. ‘Contrahere’, ‘pacisci’, ‘transigere’ cit. passim. Più di recente ancheB. BISCOTTI, Dal «pacere» ai «pacta conventa» cit. mi sembra iscriversi nella lineatracciata dallo studioso francese, individuando una vasta riconducibilità di figurenegoziali (poi tipiche) nell’ambito dei pacta conventa del I secolo a. C., e quali-ficando D. 50.16.19 come uno spartiacque che determina la fine dei patti azionabilie la categorizzazione dei contratti come moduli tipici.

172 Labeone: la nascita dell’idea di contratto nel pensiero giuridico romano, inIura 38 (1987, ma 1990) 25 ss.; ID., Svolgimento dell’idea di contratto nel pensierogiuridico romano, in Iura 39 (1988, ma 1991) 24 ss.

173 Mi riferisco, com’è facile intuire, a R. MARTINI, Il mito del consenso nelladottrina del contratto, in Iura 42 (1991) 97 ss.

174 Per MARTINI di «mito del consenso» si può parlare «in ordine al dirittomoderno, come anzitutto per la stessa definizione contenuta nell’art. 1321 del Co-dice civile, sui cui limiti dogmatici, proprio circa la identificazione del contratto conl’accordo, ha posto recentemente l’attenzione il nostro Gallo, oppure per quantoconcerne la sempre più limitata sfera di applicazione della autonomia contrattuale,sul piano socio-economico, dato il diffondersi dei c.d. contratti di adesione, che hafatto diagnosticare addirittura la ‘morte del contratto’» (Il mito del consenso cit. 97).La citazione di Gallo si riferisce a Eredità dei giuristi romani in materia contrat-tuale, in SDHI. 55 (1989) 184 ss.; per quanto riguarda la ‘morte del contratto’ il ri-

volgono (almeno in parte 175) al diritto antico (romano, ma an-che greco). Dopo aver sostanzialmente seguito Sargenti nellasua posizione, che vede nel contratto una invenzione del tuttomoderna, lo studioso si propone di suffragare tale tesi con l’e-same di due esperienze giuridiche diverse, ma a suo parere evi-dentemente in qualche modo comparabili con quella romana:il diritto greco ed il common law inglese 176. L’esistenza nelcontratto (in ogni epoca) di un accordo, un’intesa è ammessada Martini come ovvio. E qui lo studioso senese richiama ilnotissimo testo di Sesto Pedio con la «famosa affermazione»nullum esse contractum, nullam obligationem quae non habetin se conventionem 177. Però «ciò che conta è – secondo Martini– che l’effetto obbligatorio non discende in genere, per un si-stema di diritto che non abbia fondamento normativo, da unaccordo puro e semplice, al quale il soggetto non ha motivo diritenersi vincolato se non c’è qualcosa di ulteriore che lo giu-stifichi» 178. Dunque l’azionabilità delle obbligazioni consen-suali è strettamente connessa con la tipicità; insomma (se bencomprendo) non sarebbe un caso se nel frammento del de pac-tis appena citato il consensus rilevi esplicitamente solo quandoUlpiano commenta: nam et stipulatio quae verbis fit, nisi ha-beat consensum, nulla est. Rilevante la tesi di Gallo, «au-dace» 179 ma con appigli significativi nelle fonti, basata in primoluogo su una rilettura «rivoluzionaria» 180 di D. 50.16.19 181,

NODI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE 211

chiamo è al noto saggio di G. GILMORE, The Death of Contract (New Haven 1974;trad. it.: La morte del contratto [Milano 1988]).

175 Martini utilizza infatti anche la prospettiva del common law vigente, si v.subito infra nel testo.

176 Ciò in connessione anche con un’esperienza didattica di cui MARTINI dàconto all’inizio del contributo: Il mito del consenso cit. 97 nt. 1. Piace pensare ad uncollegamento anche con le considerazioni di metodo presenti in esordio del saggiodi A. BISCARDI, Sulla cosiddetta consensualità del contratto dotale in diritto attico,in BIDR. 91 (1988) 225 s. [=Symposion 1988 (Köln-Wien 1990) 3 s.].

177 In D. 2.14.1.3 (Ulp. 4 ad ed.).178 Il mito del consenso cit. 102 s.179 A. SCHIAVONE, Sulle dottrine contrattualistiche cit. 535.180 Così A. BURDESE, Ultime prospettive cit. 18.181 Ulp. 11 ad ed. Labeo libro primo praetoris urbani definit, quod quaedam

pure debitrice della ipotesi di Magdelain, per cui Labeone con-sidererebbe nell’ambito del contrarre anche convenzioni patti-zie atipiche sinallagmatiche. Le leggi Giulie avrebbero contri-buito alla riduzione della discrezionalità pretoria, tipizzandonegozi la cui tutela sarebbe stata fino ad allora ottenuta tramitela sussunzione alla clausola edittale de pactis conventis. Lan-tella 182 procede ad una differenziazione tra visione causali-stico-funzionale (Labeone-Aristone) 183 e visione consensuali-stico-strutturale (Pedio-Ulpiano). Rileva qui, in particolare,l’interpretazione di questa seconda prospettiva come «visione(micro-)politica» 184. Si deve, poi, a Roberto Fiori 185 l’aver po-sto in evidenza con lucidità l’alternativa dell’interpretazionedel contratto come vincolo e come accordo: la tradizione ro-manistica a partire da Accursio ha isolato gli elementi del con-tratto e sempre più ha considerato il consenso come espres-

212 CAPITOLO TERZO

‘agantur’, quaedam ‘gerantur’, quaedam ‘contrahantur’: et actum quidem generaleverbum esse, sive verbis sive re quid agatur, ut in stipulatione vel numeratione:contractum autem ultro citroque obligationem, quod Graeci sunavllagma vocant,veluti emptionem venditionem, locationem conductionem, societatem: gestum remsignificare sine verbis factam: «Labeone, nel libro primo sul pretore urbano, defini-sce il fatto che in alcuni casi ‘si agisce’ (si compiono atti), in altri ‘si fa’ (si pongonoin essere azioni materiali), in altri ancora ‘si contrae’ (si stringono contratti): e ‘atto’è un segno di portata generale, alludente a ciò che si fa, sia mediante le parole, siacon il comportamento, come avviene rispettivamente nella stipulatio e nella conse-gna di denaro [a scopo, ad esempio, di pagamento]; contratto invece è l’atto pro-duttivo di obbligazioni reciproche, quello che i Greci chiamano synallagma, comela compravendita, la locazione-conduzione, la società; ‘azione materiale’ significauna cosa fatta senza l’uso di parole». La versione è, appunto, quella di F. GALLO,‘Synallagma’ e ‘conventio’ nel contratto I cit. 83 s. nt. 24. Sul primo volume del-l’opera del romanista torinese si v. le rec. di M. SARGENTI, in Iura 43 (1992) 174 ss.;A. BURDESE, in SDHI. 59 (1993) 350 ss.; A. SCHIAVONE, Sulle dottrine contrattua-listiche dei giuristi romani, in Index 23 (1995) 532 ss.; C. A. CANNATA, in TR. 64(1996) 215 s.

182 ‘Ultro citroque’: appunti teorici e storici sulla ‘lateralità degli atti’, in Dirittoe processo nella esperienza romana. Atti del seminario torinese in memoria di Giu-seppe Provera (Napoli 1994) 87 ss.

183 Naturalmente il discorso si articola anche su D. 2.14.7.2 (Ulp. 4 ad ed.).184 In particolare si v. ‘Ultro citroque’ cit. 117 ss.185 La definizione cit. spec. 355 ss. (come precipitato dello studio della defini-

zione «sostanziale» della locazione: 305 ss.).

sione di volontà. A Roma (generalizzando rispetto alla «sto-ria» delle nozioni di contrahere/contractus) il vincolo (l’obliga-tio) aveva rilevanza più marcata nella riflessione dei giuristi (esotto il profilo pratico processuale), anche se (pure per lo stu-dioso romano) non si può negare il valore dell’elemento con-sensuale già nel diritto classico.

NODI PROBLEMATICI E PROSPETTIVE STORIOGRAFICHE 213

SOMMARIO: 1. Mancipatio e consortium: il ruolo del consenso. – 2. «Una specie digenere letterario». – 3. Plauto, Catone e le origini della compravendita consen-suale. – 4. Il ius vendendi dei praecones cumani. – 5. Varrone e l’emptio delleoves. – 6. Naturalezza dei rapporti e indeterminazione nominale: emptio ven-ditio e locatio conductio.

1. «Mancipatio» e «consortium»: il ruolo del consenso. –Esaminata la semantica del latino consentire/consensus, la de-scrizione generale del quadro delle fonti, con la valutazionedell’incidenza costituzionale del concetto 1, bisogna ora rian-dare a quello che in questa sede rappresenta il cuore del pro-blema, e cioè il ruolo del consenso nel ius privatum di Romaantica, in particolare nelle obligationes che proprio attraverso ilconsensus vengono qualificate.

La strada scelta impone l’avvicinamento al problema attra-verso una riflessione di tipo storiografico, che non deve man-care 2 di affrontare il dibattuto tema della genesi dell’emptiovenditio consensuale, che certo ha un significato particolare, emolto probabilmente anche una precedenza storica 3 nel no-vero delle obligationes consensu contractae.

CAPITOLO QUARTO

PROBLEMI DI ORIGINE

1 Cfr. supra 1 ss., 16 ss., 47 ss., 161 ss.2 Seguendo una consolidata autorevole impostazione dottrinaria. Si possono

anticipare le voci, in ordine cronologico: Arangio-Ruiz, Luzzatto, Talamanca (v. in-fra 230 nt. 48). Più nel dettaglio si v. infra 224 ss.

3 Cfr., ad esempio, A. WATSON, The origins of consensual sale: a Hypotesis, inTR. 33 (1964) 245 (cfr. ID., Roman Law and Comparative Law [Athens andLondon 1991] spec. 128 s.; ID., The Law of Obligations in the Later Roman Re-public [Oxford 1965] 41, in relazione anche all’antichità della societas).

Prima ancora, però, di una ragionata (come spero) descri-zione degli sforzi della letteratura romanistica con riferimentoal problema della nascita della compravendita consensuale ob-bligatoria 4 (nella quale tenterò di collegare, per il possibile,nella loro genesi, le differenti voci dottrinarie), devono essereaffrontate due tesi storiografiche non particolarmente fortu-nate, seppure assai qualificate, sul ruolo del consenso in dueistituti sviluppatisi nell’età più risalente del diritto di Roma an-tica: la mancipatio ed il consortium ercto non cito 5. Istituti inqualche modo collegabili (in parte già collegati dalla giurispru-denza romana 6, comunque messi in relazione dalla storiografiamoderna) rispettivamente con l’emptio venditio e con la socie-tas consensuale. Ciò perché – come è facile intuire anche aprima vista – tali strumenti, nel diritto arcaico, erano costruitiin modo da corrispondere (anche) alla funzione economica, dauna parte, della compravendita consensuale, dall’altra (al di làdel consorzio strettamente familiare, il parallelo si può co-struire partendo da quello ad exemplum fratrum suorum),della societas che Gaio nelle sue Institutiones 7 definirà, signifi-cativamente, iuris gentium.

Un giovane, ma già affermato 8 Wolfgang Kunkel, in una

216 CAPITOLO QUARTO

4 Cfr. infra 224 ss.5 Per un ragguaglio bibliografico aggiornato sui due istituti si v., rispettiva-

mente, A. GUARINO Diritto privato romano12 (Napoli 2001) 520 s. ntt. 37.4 ss.;M. TALAMANCA, s.v. «Società in generale (dir. rom.)», in ED. XLII (Milano 1990)814 ss. (letteratura spec. in nt. 10 a p. 815), cui adde G. ARICÒ ANSELMO, ‘Societasinseparabilis’ o dell’indissolubilità dell’antico consorzio fraterno, in AUPA. 46 (2000)77 ss. (con ulteriori ampi riferimenti bibliografici in nt. 2 a p. 79) [=Iuris vincula.Studi in onore di M. Talamanca I (Napoli 2001) 149 ss., cfr. 151 s. nt. 2]; A. GUA-RINO, ‘Consortium’ e ‘necessitas’, in Trucioli di bottega 8 (Napoli 2002) 30 ss.

6 Il rapporto è palese, in Gaio 3.154a, tra società consensuale e consortium (so-cietà familiare, cfr. infra 220 ss., per la posizione di Solazzi), ma è desumibile anchetra mancipazione ed emptio venditio, soprattutto se si guarda alle sistematiche dellagiurisprudenza d’età tardorepubblicana e protoimperiale (cfr. più ampiamente infra400 ss.).

7 Inst. 3.154a. Sul testo e la menzione del ius gentium si v. infra 363 s.8 Abilitatosi giovanissimo con Ernst Levy, nel 1926, a Friburgo (era nato nel

novembre del 1902), fu nominato a soli venticinque anni professore ordinario nella

sede significativa (e prestigiosa), ma in qualche modo un po’defilata rispetto ai circuiti più tipici e consueti per il romanista,la Real-Encyclopedie der klassischen Altertumswissenschaftfondata da August Friedrich von Pauly e riedita nelle splen-dide forme conosciute da tutti gli antichisti da Georg Wis-sowa, nell’ambito della voce dedicata alla mancipatio, ebbe aproporre un sostrato consensuale dell’antico negozio librale 9.Rispetto alla sostanza di «Barkauf», di vendita a contanti ba-sata sull’accordo delle parti, l’atto gestuale svolgentesi tramancipio accipiens e mancipio dans (in presenza dei testimoni edel libripens) costituirebbe, secondo Kunkel, solo una fase fi-nale, «completiva e pubblicitaria» 10, e non quella essenziale,che dovrebbe rinvenirsi nella «Einigung», dunque nel con-senso 11, delle parti, che, come «Grundelement» del negozio siporrebbe logicamente e cronologicamente prima dell’atto for-male. Da ciò lo studioso derivava (almeno: «mindestens») l’im-precisione della dottrina. La tesi (che peraltro non mi sem-bra abbia avuto grande risonanza e seguito) fu immediata-

PROBLEMI DI ORIGINE 217

stessa Università dopo un breve straordinariato a Lipsia; traggo queste notizie so-prattutto dalla bella biografia scritta dall’allievo (già addottoratosi sotto la guida diMariano San Nicolò) D. NÖRR, Wolfgang Kunkel 20.11.1902-8.5.1981, in Gedächt-nisschrift für Wolfgang Kunkel Hrsg. von D. NÖRR, D. SIMON (Frankfurt a. M.1984) 9 ss. (per altre informazioni sullo studioso si v. la letteratura citata infra in nt.12). Il dato biografico potrebbe rilevare in questo caso, vista la verde età di Kunkelnel momento in cui preparava il lavoro in questione (cit. in nt. successiva).

9 W. KUNKEL, s.v. «Mancipatio», in PWRE. XIV/1 (Stuttgart 1928) 1008;per comodità del lettore si riporta per esteso il testo nel punto centrale: «DieVereinigung von Eigentumsbehauptung und Kaufpreiszahlung unter schweigenderAssistenz des Verkäufers macht nun keineswegs einen vollständigen Kauf aus. DieEinigung der Parteien, das Grundelement des Kaufgeschäfts, liegt vielmehr vordiesem Akt; sie fand statt, ehe man die Zeugen und den Wägemeister aufbot. Daherist es mindestens ungenau, wenn man allgemein die Urgestalt der m. als einenBarkauf bezeichnet. Sie kann nie mehr als ein Teil des Kaufgeschäfts gewesen sein,nämlich seine ‚Fertigung’ vor einer wenn auch beschränkten Öffentlichkeit». Nonsi trovano tracce di questa tesi nelle minori «continuazioni» della grande enciclope-dia, cfr. D. MEDICUS, s.v. «Mancipatio», in Kl.Pauly III (Stuttgart 1969) 943 s.; D.SCHANBACHER, s.v. «Mancipatio», in DNP. VII (Stuttgart-Weimar 1999) 795 s.

10 Così nella definizione di V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita in diritto ro-mano2 I (Napoli 1956, rist. 1994) 37.

11 Sulla terminologia tedesca si v. supra 172 ss.

mente attaccata 12 e vi sono stati anche dubbi sulla sua perfettacomprensione da parte degli studiosi che se ne sono occu-

218 CAPITOLO QUARTO

12 In particolar modo da G. HUSSERL, ‘Mancipatio’, in ZSS. 50 (1930) 478 ss.,dunque (singolarmente) da un filosofo del diritto (anche se con interessi civilistici estorici). Si noti, ma vi si può fare solo un rapido cenno, perché è un’altra storia, chei due studiosi furono compartecipi di una triste vicenda: quando l’aria della Facoltàgiuridica di Kiel (che, com’è noto, era divenuta uno dei principali centri del rin-novamento giuridico secondo l’ideologia nazista) si fece troppo pesante per Husserl(il quale, tra l’altro, era figlio del grande filosofo Edmund) s’era prospettato il suoinsegnamento a Gottinga, allora sede di Kunkel, che vi era passato nel 1929, suc-cedendo a Fritz Pringsheim (sul rapporto tra Husserl e la Facoltà giuridica diGottinga si v. F. HALFMANN, Eine ‚Pflanzstätte bester nationalsozialistischerRechtsgelehrter’: Die Juristische Abteilung der Rechts- und StaatswissenschaftlichenFakultät, in H. BECKER, H.-J. DAHMS, C. WEGELER [Hrsg.], Die UniversitätGöttingen unter dem Nationalsozialismus2 [München 1998] 109 s.: su «Das kurze‘Gastspiel’ Gerhart Husserls»). Il 29.4.1933, non corrispondendo naturalmente allarichiesta di propagandare la «Teoria della razza», Husserl era stato posto in aspetta-tiva, non potendolo però collocare a riposo, perché era stato «Frontkämpfer»(ostando dunque il § 3 Abs. 2 del «Berufsbeamtengesetz»), il Wissenschaftsministe-rium prussiano, motu proprio, dispose, con provvedimento del 25.11.1933 (ma a fardata retroattivamente dal 1 agosto dello stesso anno) il trasferimento del filosofodalla sua Università (che era considerata «Grenzlanduniversität» e dunque dovevaessere totalmente schierata con l’ideologia imperante) «per svolgere attività di ri-cerca» su una cattedra gottingense allora vacante. La Facoltà di Gottinga reagì, pur-troppo, con una professione di lealtà nei confronti del nuovo regime, pronuncian-dosi contro la chiamata di Husserl (che, il 1.3.1934, sarà trasferito a Francoforte sulMeno). Kunkel, appunto, di quella Facoltà faceva parte (insieme con almeno un al-tro giurista al di sopra di ogni sospetto: Gerhard Leibholz, che dopo la guerra fuanche Giudice del «Bundesverfassungsgericht»): era considerato dai suoi colleghinazificati come una «liberalistische Belastung» (cfr. F. HALFMANN, o.u.c. 113).Coing scrive nel suo necrologio per Kunkel cit. xv s.: «Es war kein Zufall, daß er eswar, der in der Göttinger Fakultät die schäbige Behandlung der 1933 ausgestoßenenKollegen gerügt hat», HALFMANN (o.u.c. 114) conferma pienamente: «Mit HerbertMeyer legte er (scil. Kunkel) sich an, weil der Dekan kein Wort des Mitgefühls fürdie ausgeboteten Kollegen Honig und Leibholz aufbrachte. Zudem dachte er nichtdaran, die herzliche Verbindungen zu den jüdischen Altphilologen in Göttingenund auch zu seinem Lehrer Ernst Levy in Freiburg abzubrechen». Dunque ancheper il romanista svevo le cose si misero non bene dal punto di vista politico, ciò fa-vorì l’allontanamento di Kunkel da Gottinga e l’accettazione della chiamata a Bonn(«bei der relativen intakten Bonner Fakultät», secondo l’espressiva dizione di D.NÖRR, Wolfgang Kunkel 20.11.1902-8.5.1981, in Jhb. d. Bayer. Ak. d. Wiss. (1981)10), Università presso la quale insegnò poi fino al 1946, quando passò ad Heidel-berg (molti dei punti che precedono, mi sono stati chiariti da Okko Behrends); a

pati 13, non dunque sulla vera intenzione di Kunkel. Ma piutto-sto di recente (almeno rispetto alla prospettiva dello studiosotedesco) si può annoverare un’altra voce autorevole che inqualche modo ripercorre la stessa strada: partendo dai suoi in-

PROBLEMI DI ORIGINE 219

questo punto si deve ricordare l’ultima peregrinatio accademica dello studioso, chefu chiamato a Monaco sulla cattedra che era stata prima di Leopold Wenger e poidi Mariano San Nicolò. Sulla vicenda si v. soprattutto D. NÖRR, Wolfgang Kunkelcit. 9 ss., altri necrologi in ricordo di Kunkel, tutti puntualmente ricordati, quelliusciti fino al 1984, nell’ottima bibliografia che si deve alla pietas di T. Q. MRSICH,Verzeichnis der Schriften von Wolfgang Kunkel, in Gedächtnisschrift cit. 627, sonoi seguenti: H. COING, In memoriam W. Kunkel, in ZSS. 98 (1981) i ss.; D. NÖRR,Wolfgang Kunkel 1 ss. dell’estr.; FR. STURM, Wolfgang Kunkel†, in Juristen Zeitung(1981) 598 s.; ID., In memoriam Wolfgang Kunkel, in Iura 32 (1981) 297 ss.; ID.,Wolfgang Kunkel zum Gedächtnis, in BIDR. 86/87 (1984) 17 ss.; G. CRIFÒ, Wolf-gang Kunkel (1902-1981), in SDHI. 47 [1981] 627 ss.; CHR. MEIER, WolfgangKunkel, in Gnomon 55 (1983) 185 ss.; M. LAURIA, in Index 9 (1980) 297 [=Studii ericordi cit. 754], si v. anche D. NÖRR, Wolfgang Kunkel, in NDB. XIII (Berlin 1982)289 s. [cfr. ADB. VI (München 1997) 169].

13 Si leggano le parole di V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita2 I cit. 38: «am-mettere una qualsiasi coazione alla mancipatio in forza dell’accordo di volontà ècosì fortemente anacronistico, che io mi domando se non sono tratto in inganno daespressioni imprecise, e se nell’accennare a quel precedente accordo il Kunkel nonabbia inteso anche lui portarsi su un terreno pregiuridico». Il riferimento ibid. in nt.1 all’«ortodossia» della definizione di mancipatio contenuta nel Römisches Recht diP. JÖRS e W. KUNKEL (la citazione è alla III edizione [Berlin 1949] 91), se da unaparte certo appoggia la versione dell’intenzione pregiuridica (con incomprensionedella storiografia; ma, invero, è anche possibile ipotizzare una conversione succes-siva alla communis opinio), dall’altra non dice molto perché l’opera è (originaria-mente) di Paul Jörs, seppure sul punto vi siano sostanziali modifiche rispetto alla Iedizione (Berlin 1927) spec. 63 ss., già a partire dalla II, che è la prima della nuova«Bearbeitung» affidata a Kunkel (Berlin 1935) spec. 90 ss., sia di impostazione si-stematica della materia, sia per il peso dato alla mancipatio come «Publizitätsge-schäft» (più in generale si può notare una, si scusi il termine, kunkelizzazione delmanuale anche dal fatto che scompare il nome di Leopold Wenger come autoredell’«Abriß des Römischen Zivilprozeßrechts» a p. 365 ss., cfr. invece nella I ed. ap. 259 ss.; e cfr. il «Vorwort» alla IV ed. curata da H. HONSELL, TH. MAYER MALY,W. SELB [Berlin-Heidelberg 1987] v; ivi si può confrontare la descrizione della man-cipatio spec. p. 101 s., dovuta a Honsell), ed è, comunque, un manuale: per conven-zione generalmente rispettata in opere destinate (almeno prevalentemente) alla di-dattica (in questo caso alla didattica elementare) la cautela (e dunque l’accettazionee la presentazione soprattutto di dottrine vagliate) spesso si impone sull’originalità(anche se, invero, lo stesso discorso pare applicabile, con le dovute eccezioni, al ge-nere letterario ‘voce enciclopedica’).

novativi scritti in tema di formalismo negoziale 14, Corbino 15, ilquale reputa che già dall’epoca delle Dodici tavole il negoziofosse in sé qualcosa di diverso dalla forma (mancipatio, tradi-tio) con cui le parti realizzavano gli effetti voluti, scrive signi-ficativamente: «dobbiamo concludere che il negotium, l’affareche i soggetti concludono, non si identifica con la forma che lorealizza, è qualcosa che sta a monte, spesso temporalmente macomunque sempre logicamente». Tale inquadramento del pro-blema ha effetti immediati sulla funzionalità del consenso al difuori delle obligationes consensu contractae, che Corbino rias-sume in una domanda, cui consegue un’ipotesi di lavoro: «pos-siamo ancora dire che le Dodici Tavole non riconoscono effettiobbligatori derivanti dal consenso? A me sembra che questodubbio debba essere posto, che questa difficoltà che la dottrinaha fin qui eluso vada affrontata e vada immaginato che nelleDodici Tavole il negozio fosse qualcosa di diverso dalla formacon cui le parti realizzavano poi gli effetti appropriati» 16.

Siro Solazzi, d’altra parte, a più riprese, affermò, con la so-lita sua decisione, la consensualità dell’antico consortium. Quici troviamo proiettati verso un istituto dell’età più antica, chenon ebbe però – come la pure risalente mancipazione – unavita ulteriore, sia pure ridefinita nella sua centralità economicanell’epoca più recente 17. La prima presa di posizione di So-lazzi 18, nel suo stile, è un attacco interpolazionistico, sferrato

220 CAPITOLO QUARTO

14 Si v. soprattutto A. CORBINO, Il formalismo negoziale nell’esperienza ro-mana cit. passim. Per un inquadramento storiografico si v. S. RANDAZZO, ‘Legesmancipii’ (Milano 1998) 5 ss.

15 L’idea si trova portata a conseguenza in Negozio e forma in età decemvirale.Una lezione, in Opuscula 3 [Centro di Studi romanistici V. Arangio-Ruiz] a c. diA. ADAMO (Napoli 1995) spec. 8 s.

16 Le citazioni sono tratte da Negozio e forma in età decemvirale cit. 9. 17 O almeno così generalmente pare; contra si v. l’articolata tesi di M. BIAN-

CHINI, Studi sulla ‘societas’ (Milano 1967) 29 ss., che però non costituisce opinioneaccolta dalla dottrina maggioritaria, sul punto (con citazione di altra letteratura) siv. M. TALAMANCA, s.v. «Società (dir. rom.)», in ED. XLII (Milano 1990) 817 e nt. 33.

18 Glosse a Gaio. Seconda puntata cit. 444 ss. [=Scritti VI cit. 397 ss.]

nel 1934, in una lunga «postilla» aggiunta alla «seconda pun-tata» delle Glosse a Gaio, dedicata al manoscritto egiziano, ap-pena (e bellamente, per giudizio dello stesso Solazzi) edito daVincenzo Arangio-Ruiz 19. Il punto di partenza sta nella criticaportata proprio contro l’editore sulla presunta mancanza di«parentela» tra la pergamena (probabilmente) antinoita ed ilcodice veronese 20. Nella comparazione tra i paragrafi 154 (ve-ronese) e 154a (egiziano) del terzo libro delle Institutiones, So-lazzi propone (in un primo momento, invero, con una lievetraccia di insicurezza, svelata dall’uso dell’avverbio «probabil-mente») la natura glossematica del tratto, lievemente diversonei due manoscritti 21, id est quae nudo consensu contrahitur(secondo la versione egiziana), riferito alla società iuris gen-tium. L’oggetto, non esplicitamente appalesato della criticaerano le tesi 22 sulla societas re contracta, ma l’argomentazione

PROBLEMI DI ORIGINE 221

19 L’editio princeps compare, com’è noto, con il titolo Frammenti di Gaio, inPSI. XI (Firenze 1935) 1 ss., nr. 1182 [=Studi epigrafici e papirologici a c. di L. BOVE

(Napoli 1974) 55 ss.]; v. ora l’edizione critica di H. L. W. NELSON, U. MANTHE, GaiInstitutiones III 88-181. Die Kontraktsobligationen. Text und Kommentar (Berlin1999) 47 s. (introduzione a p. 7 ss.; commento a p. 329 ss.).

20 Cfr., in particolare, V. ARANGIO-RUIZ, Frammenti di Gaio cit. 31 [=Studiepigrafici e papirologici cit. 87], che non solo asseriva l’indipendenza del Veronesedal Gaio egiziano (più antico), ma dichiarava pure (per le notevoli divergenze) ladifficoltà di risalire ad un archetipo comune.

21 Il veronese, dopo id est, reca quae consensu contrahitur nudo (l’egiziano ènel testo). Se è esatta la generale impostazione critica, secondo la quale «la coinci-denza può cadere tanto su frasi genuine quanto su frasi spurie» (così S. SOLAZZI,Glosse a Gaio. Seconda puntata cit. 446 [=Scritti VI cit. 399]), non mi pare saldis-sima l’ipotesi di interpolazione basata sulla diversa dislocazione dell’aggettivo nu-dus nei due brani, che deriverebbe da un glossema interlineare inserito dai due li-brari in punti differenti dello stesso rigo: ciò pretende uno stemma in cui i due co-dici (abbastanza distanti per provenienza geografica e non molto tardi rispetto allagrande diffusione di Gaio) abbiano in comune proprio il manoscritto glossato inquel punto. Si può vedere F. DE ZULUETA, The New Fragments of Gaius (PSI 1182),in JRS. 24 (1934) 180, nonostante S. SOLAZZI, Note di Diritto Romano IV. Ancoradi Gai. 3.154a, in ANA. 58 (1937) 107 s. [=Scritti III cit. 670].

22 La dottrina si sviluppa nell’alveo della scuola bonfantiana, si v. E. EIN, Leazioni dei condomini, in BIDR. 39 (1931) 73 ss.; P. FREZZA, ‘Actio communi divi-dundo’ cit. 3 ss.; E. ALBERTARIO, I nuovi frammenti di Gaio (PSI XI Nr. 1182), inPer il XIV centenario delle Pandette cit. 505 ss., spec. 516 ss., saggio comparso an-

si articola sostanzialmente su un solo dato, cioè «che nessunopensa che il consortium fosse una società coattiva … dunqueera una società volontaria tanto quanto la società di cui Gaioragiona nei paragrafi precedenti. Dell’una come dell’altra si sa-rebbe potuto dire che nudo consensu contrahitur. Anzi, nellasocietà classica i contraenti, oltre ad esprimere la loro volontàdi associarsi, mettono in comune beni od affari. Nel consor-tium la comunione ereditaria già esiste ed i sui heredes nonhanno che da volerne la prosecuzione. Qui il consenso è an-cora più nudo che nel primo caso» 23. Due le ulteriori prove asostegno della manipolazione: la non necessarietà dell’inciso,perché il giurista classico fino a quel punto (3.148-153) propriodella sola società consensuale aveva parlato, e l’esordio dellaparentetica con un sospettabilissimo id est 24. Una replica diEmilio Albertario (pure in una «postilla», che si pubblica a ri-dosso d’un saggio 25 dedicato al nuovo Gaio nello stesso vo-lume pavese celebrante le Pandette ed il Codice giustinianei, incui era comparso l’articolo di Solazzi in questione), basatasulla convinzione che communio e societas avessero salde con-nessioni storiche e dogmatiche, ed incentrata sulla «necessa-rietà» del consorzio familiare (che non concede alcun ruolo alconsensus) provoca la reazione del professore napoletano, ilquale – in un’ampia critica 26 al nesso communio-societas, che

222 CAPITOLO QUARTO

che in Riv. dir. comm. 32 (1934) 232 ss. [=Studi V cit. 463 ss., spec. 472 ss.], con l’a-desione – per così dire esterna – di C. ARNÒ, Il contratto di società. Corso di dirittoromano (Torino 1938) 120 ss. Decisive nel senso dell’improponibilità della catego-ria le osservazioni di V. ARANGIO-RUIZ, ‘Societas re contracta’ cit. 355 ss. [=Scrittidi diritto romano III cit. 25 ss.] (malgrado la rec. di P. FREZZA cit. 188 ss. [=Scritti Icit. 355 ss.]), ID., La società in diritto romano. Corso di lezioni svolto nell’Univer-sità di Roma. 1949-1950 (Napoli 1950, rist. 1982) 32 ss. (per altra bibliografia si v.M. TALAMANCA, s.v. «Società (dir. rom.)» cit. 820 nt. 59).

23 Glosse a Gaio. Seconda puntata cit. 445 [=Scritti VI cit. 398].24 Cfr., per tutti, nella letteratura interpolazionistica, E. ALBERTARIO, Introdu-

zione storica allo studio del diritto romano giustinianeo I (Milano 1935) 49, 57 s. (al-tra bibliografia in C. CASCIONE, ‘Tresviri capitales’ cit. 150 nt. 260).

25 I nuovi frammenti di Gaio cit. 523 ss. [=Studi V cit. 479 ss.].26 ‘Societas’ e ‘communio’ (A proposito di Gai. 3.154a), in ANA. 57 (1935)

127 ss. [=Scritti di diritto romano III (Napoli 1960) 427 ss.].

aveva avuto non poco significato nella ricostruzione di PietroBonfante, e che era stato di recente riproposto dagli ultimi al-lievi della sua scuola 27 – dedica ancora qualche riflessione indifesa dell’interpretazione secondo la quale «la societas propriacivium Romanorum è società consensuale non meno della so-cietas iuris gentium» 28. Poi, ancora, nel 1937 29, Solazzi ri-prende il tema, nella quarta serie delle sue Note di diritto ro-mano. Invero in questo saggio il romanista di Jesi, probabil-mente per controbattere alle critiche di Albertario, rappresentapiù distesamente 30 la sua posizione, postulando che attraversoil consensus dei filii familias si verificasse la trasformazione delcondominio «formatosi di necessità … alla morte del pater» inuna vera e propria societas. Il discorso di Solazzi mi sembra vi-

PROBLEMI DI ORIGINE 223

27 Per Bonfante l’idea si innesta sui parallelismi tra diritto privato e dirittopubblico in tema di collegialità magistratuale e condominio sulla res communis.L’argomento era stato diffusamente trattato in un’aspra disputa (dalla parte di Bon-fante si ritrovarono anche Carlo Fadda e Giovanni Pacchioni) contro Silvio Pe-rozzi, i cui termini si rintracciano soprattutto nella seguente bibliografia: C. FADDA,‘Consortium’, ‘collegia magistratuum’, ‘communio’, in Studi in onore di BiagioBrugi nel XXX anno del suo insegnamento (Palermo 1910) 141 ss.; S. PEROZZI, Unparagone in materia di comproprietà, in Mélanges P. F. Girard II (Paris 1912) 355 ss.[=Scritti giuridici I. Proprietà e possesso a c. di U. BRASIELLO (Milano 1948) 557 ss.];ID., Condominio e collegialità negli scritti di due miei censori, in Riv. dir. comm. 11(1913) 564 ss. [=Scritti giuridici I cit. 587 ss.]; G. PACCHIONI, Il ‘jus prohibendi’ delcondomino in due recenti pubblicazioni, in Riv. dir. comm. 10 (1912) 1030 ss.; que-sti due ultimi saggi furono annotati da P. BONFANTE con due ‘postille’: Riv. dir.comm. 10 (1912) 1040 ss.; ibid. 11 (1913) 602 ss., poi raccolte in articolo, «serbatointatto nella parte scientifica, ma spogliato rigorosamente di tutte le parti e le frasipolemiche», pubblicato, con il titolo Il ‘ius prohibendi’ nel diritto pubblico e nel di-ritto privato, in Scritti giuridici IV (Roma 1925) 136 ss.; la citazione tra virgolette ètratta dalla nt. 1 a p. 136. Per gli altri interventi di Bonfante e l’approfondimento deltema rinvio al mio Consenso, «mezzo consenso», dissenso. Una disputa romanisticadi primo Novecento su collegialità e condominio, in Modelli teorici e metodologicinella storia del diritto privato (Napoli 2003) 57 ss. Sulla posizione degli allievi diBonfante si v. supra 221 nt. 22.

28 ‘Societas’ e ‘communio’ cit. 145 s. [=Scritti III cit. 441].29 Note di Diritto Romano IV cit. 76 ss. [=Scritti III cit. 645 ss.], in risposta alle

critiche di E. ALBERTARIO, I nuovi frammenti di Gaio cit. 523 ss. [=Studi V cit. 479ss.], e di V. ARANGIO-RUIZ, Il nuovo Gaio. Discussioni e revisioni, in BIDR. 42(1934) 594 s. [=Studi epigrafici e papirologici cit. 116 s.].

30 Sul punto v. già ‘Societas’ e ‘communio’ cit. 145 s. [=Scritti III cit. 441].

ziato, in questo punto, da una premessa non saldissima, e cioèche l’uso di Gaio del termine societas potesse rappresentareesclusivamente una «società» e non pure una sorta di condo-minio, quale doveva essere l’antico consorzio 31. Ma il giuristaantoniniano sapeva bene che, appunto, la terminologia tecnicaper indicare quella «società legittima e naturale» era consor-tium: utilizzava societas con finalità non analitiche, ma esclusi-vamente descrittive di una comparazione tra ius civile e iusgentium 32 (e ciò mi pare dirimente, anche a prescindere dallascambiabilità o meno dei lemmi communio e societas nel latinotecnico-giuridico). Il punto, comunque, più criticabile della ri-costruzione di Solazzi è relativo proprio al consensus: lo stu-dioso sembra non considerare che il «consenso» in quanto talerileva nel diritto privato romano solo con riferimento alla sferaordinamentale del ius gentium: è cosa diversa dall’accordo trasoggetti che in misura maggiore o minore determina tutta lanegozialità. Se anche si voglia leggere un accordo tra i fratelliin consorzio, non mi pare possa valere la regola tipica del con-sensus contrarius 33.

2. «Una specie di genere letterario». – A partire soprattuttodal Geist di Rudolf von Jhering 34, e per oltre un secolo, la ro-

224 CAPITOLO QUARTO

31 ‘Societas’ e ‘communio’ cit. 145 s. [=Scritti III cit. 441], poi Note di DirittoRomano IV cit. 77 [=Scritti III cit. 646].

32 Sull’uso di genus in questo caso si v. M. TALAMANCA, Lo schema ‘genus’-‘species’ cit. 267 nt. 734 [da p. 262], che giustamente rifiuta l’interpretazione diP. FREZZA, La cultura di Ulpiano, in SDHI. 34 (1968) 372 [=Scritti II cit. 654], se-condo la quale Gaio avrebbe distinto tre genera di società.

33 E non varrebbe una critica la quale sostenesse che finito il consensus siavrebbe una regressione dallo stato di società a quello di comunione: mi sembrachiaro il non senso. Un dato per tutti dovrebbe far riflettere, e cioè il mezzo di scio-glimento della comunione (anche della comunione «divenuta» società) che a partepiù o meno informali accordi soleva avvenire per mezzo dell’actio familiae erci-scundae. Sul punto, comunque, mi sembrano decisive le critiche portate a Solazzi daV. ARANGIO-RUIZ, Il nuovo Gaio cit. 601 ss., anche sul connesso problema dellalettura vel unus [=Studi epigrafici e papirologici cit. 122 s.].

34 La prima edizione del volume III, parte prima, dello Spirito del diritto ro-

manistica ha prodotto una vasta serie di contributi per rintrac-ciare le origini di quello che è stato individuato come uno deipiù tipici ed importanti prodotti del diritto privato romano, ecioè la compravendita consensuale obbligatoria 35, che – nelleforme che conosciamo – ci appare come il frutto di un’artico-lata elaborazione tecnica svolta in connessione con il governodella prassi negoziale, tra repubblica e principato, da parte deigiuristi 36.

Proviamo ad inquadrare, con pochi tratti essenziali, questo

PROBLEMI DI ORIGINE 225

mano viene pubblicata nel 1865, a Lipsia, presso Breitkopf und Härtel (v. il § 54); lostudioso, allora ordinario a Giessen, ne cura un’autosegnalazione: Jhering’s Geistdes römischen Rechts, in Allgem. öst. Gerichts-Zeitung 16/49 (20.6.1865) 195 s.,16/50 (23.6.1865) 199 ss. Il primo volume era comparso nel 1852, il secondo (in dueparti) tra il 1854 ed il 1858.

35 Utili sintesi critiche della letteratura in V. ARANGIO-RUIZ, La compraven-dita2 I cit. 46 ss.; M. TALAMANCA, s.v. «Vendita (dir. rom.)», in ED. XLVI (Milano1993) 305 ss. La menzione di JHERING si riferisce a Geist des römischen Rechts aufden verschiedenen Stufen seiner Entwicklung III/16-7 (Leipzig 1924) 201 ss. Il di-scorso del grande giurista si deve contestualizzare nell’ambito di quella parte delGeist dedicata all’«arte giuridica» (Geist III cit. 1 ss.), ed in particolare all’«analiticadel diritto», nel tentativo, attraverso l’analisi astratta, della semplificazione elemen-tare del materiale giuridico (Geist III cit. 178 ss.). In tal senso un primo importanteriferimento alla compravendita (spesso tralasciato dagli studiosi) si ha nel momentoin cui Jhering vuole dimostrare (Geist III cit. spec. 184 s.) che la giurisprudenza piùantica conosce solo «corpi» semplici e non «messi insieme, costruiti» («zusammen-gesetzt»), e questi ultimi, frutto di un’evoluzione successiva (sull’importanza delpensiero evoluzionista in Jhering si v. i contributi di O. BEHRENDS, U. DIEDERICH-SEN, R. DREIER, K. LUIG, K. SCHMIDT, in O. BEHRENDS [Hrg.], Privatrecht heuteund Jherings evolutionäres Rechtsdenken [Köln 1993], che si leggono, con altri de-dicati al grande giurista frisone in O. BEHRENDS [Hrsg.], Jherings Rechtsdenken.Theorie und Pragmatik im Dienste evolutionärer Rechtsethik [Göttingen 1996]),possono essere scomposti attraverso l’utilizzazione di concetti giuridici, l’esempioportato è proprio quello della compravendita: «Darum war z.B. der Kaufkontraktein zusammengesetzter Körper, denn die einfache Form, in der die Obligation imLeben vorkommt, ist die einseitige Obligation, der Kaufkontrakt aber erzeugt zweiObligationen, er läßt sich also auflösen in zwei einseitige» (Geist III cit. 185). Talediscorso mi pare la premessa necessaria per comprendere la tesi della doppia stipu-lazione combinata al fine di compravendita come origine del contratto consensualesu cui subito infra nel testo.

36 Cfr. W. KUNKEL, Epigraphik und Geschichte des römischen Privatrechts, inAkten des VI. Internationalen Kongresses für Griechischen und Lateinischen Epi-graphik (München 1972) 219 s.

fenomeno giuridico «sostanzialmente isolato» nell’antichità 37,nella sua essenza ormai stabilizzata, come è quella certamentedel primo principato. La sua funzione economico-sociale con-siste nello scambio tra la disponibilità in via definitiva di unacosa ed un corrispondente valore espresso in un prezzo (dun-que in danaro) 38. Naturalmente tale funzione possono svolgere(e, storicamente, hanno svolto) diverse forme giuridiche 39.Quella in esame funziona come segue: sulla base del mero con-senso (senza necessità dunque d’alcuna specifica forma, né dialcuna dazione) una parte (venditor, venditore) si obbliga atrasferire all’altra (emptor, compratore) la pacifica e definitivadisponibilità di una cosa; il compratore, da parte sua, si obbligaa far entrare nella disponibilità del venditore la proprietà diuna somma di danaro. Oltre al consenso, l’altro tratto vera-mente caratteristico del negozio appena descritto sta evidente-mente nella obbligatorietà, che significa mero impegnarsi delleparti ai rispettivi trasferimenti, senza che sia necessaria, per ilvenire in essere del rapporto (e dunque dei suoi effetti dalpunto di vista anche processuale), la reale dazione della cosa o

226 CAPITOLO QUARTO

37 Così, efficacemente, M. TALAMANCA, Istituzioni cit. 581 s.; cfr. ID., s.v.«Vendita (dir. rom.)» cit. 303, 319 ss., 370; cfr. anche A. BISCARDI, Sulla genesidella norma giustinianea in materia di trasferimento della cosa venduta, inAHDO./RIDA. 2 (1953) 276 s.; F. GALLO, In tema di origine cit. 300 s. nt. 9. Datener presente la notazione di W. KUNKEL, Epigraphik und Geschichte cit. 220, se-condo il quale se non conoscessimo gli scritti dei giuristi romani, dai documentidella prassi la emptio venditio ci apparirebbe non dissimile, quanto a struttura, dalnegozio di scambio reale tipico della realtà giuridica greco-ellenistica.

38 Si v. ancora M. TALAMANCA, Istituzioni cit. 581; e poi ID., s.v. «Vendita (dir.rom.)» cit. 311 ss. Il fatto che la disposizione della cosa sia prevista in via definitivadifferenzia la funzione economico-sociale della compravendita in primo luogo dallalocazione (da ultimo sul tema R. FIORI, La definizione cit., 65 ss., 190 ss.); la neces-sità che il valore di scambio sia espresso in denaro (pecunia numerata) la distinguedalla permuta (in cui anche il corrispettivo è una cosa; sul punto, più in dettaglio, siv. infra, con riferimento anche alla disputa scolastica tra Sabiniani e Proculiani).Ampia articolata trattazione sulla ‘delimitazione’ della compravendita consensualerispetto ad altri istituti (ed a fattispecie, anche intricate, tramandate dalle fonti) inM. TALAMANCA, s.v. «Vendita (dir. rom.)» cit. 311 ss.

39 Con riferimento alla struttura (si pensi alla compravendita reale), come aglieffetti (la compravendita ad effetti reali).

(dall’altra parte) del prezzo 40. La particolarità di tale strutturagiuridica – nell’ambito dei rapporti di scambio nel bacino delMediterraneo – si contrappone in primo luogo all’esperienzagreco-ellenistica, che come pare ha conosciuto ed applicatopiuttosto la compravendita reale, sostanziantesi cioè nelloscambio materiale di cosa e prezzo, non obbligatoria, ma im-mediatamente traslativa della proprietà (al momento del paga-mento del prezzo per il suo intero valore) 41.

PROBLEMI DI ORIGINE 227

40 Altro problema, naturalmente ben conosciuto dalla dottrina romanistica edistintamente individuato (almeno dal punto di vista teorico, poi contaminazioninon mancano, se si considera il profilo socio-economico, si v. ad esempio già A.BECHMANN, Der Kauf nach gemeinem Recht I [Leipzig 1865] 546 ss., cfr. M. TA-LAMANCA, s.v. «Vendita [dir. rom.]» cit. 371 nt. 692) da quello appena messo in evi-denza è relativo al passaggio della proprietà della cosa per effetto della compraven-dita, sul quale si è stratificata un’immensa, non concorde, letteratura. Naturalmentebisogna che la consegna della cosa da parte del venditore avvenga in modo astratta-mente idoneo perché si attui il trasferimento (ad esempio: traditio di una res necmancipi), secondo I. 2.1.41 fin dalle Dodici tavole esisteva una norma per cui ap-punto (almeno) nella traditio emptionis causa sarebbe stata necessaria la dazione delprezzo ovvero di una garanzia; parte autorevole della storiografia si è pronunciataper un intervento in tal senso dei Compilatori (potendosi riferire la norma decem-virale al porre in essere, da parte dell’acquirente, delle premesse dell’actio auctorita-tis appunto attraverso il pagamento del prezzo o la prestazione della garanzia). Insenso diverso, sul punto, si v. CH. APPLETON, A l’époque classique le transfert depropriété de la chose vendue et livrée était-il subordonné, en règle, au paiement duprix?, in RHDFE. 4e s. 7 (1928) 11 ss.; FR. PRINGSHEIM, Eigentumsübergang beimKauf, in ZSS. 50 (1930) 333 ss.; E. SCHÖNBAUER, Zur Frage des Eigentumsüber-ganges beim Kauf, in ZSS. 52 (1932) 195, 207; G. G. ARCHI, Il trasferimento dellaproprietà nella compravendita romana (Padova 1934); ID., In tema di trasferimentodella proprietà per compravendita, in SDHI. 1 (1935) 115 ss. [=Scritti di dirittoromano I. Metodologia e giurisprudenza. Studi di diritto privato 1 (Milano 1983)643 ss.]; S. ROMANO, Pagamento del prezzo e trasferimento della proprietà nellacompravendita romana (Note esegetiche), estr. da AUPE. 44 (1934); ID., Nuovi studisul trasferimento della proprietà e il pagamento del prezzo nella compravendita ro-mana (Padova 1937); G. VON BESELER, Eigentumsübergang und Kaufpreiszahlung,in Acta congressus iuridici internationalis I (Roma 1935) 333 ss.; C. LONGO, Passag-gio della proprietà e pagamento del prezzo nella vendita romana. Appunti critici, inBIDR. 45 (1938) 15; G. DUMITRIU, Le paiement du prix et le transfert de la pro-priété ex causa venditionis, in Omagiu C. Stoicescu (Bucuresti 1940) 542 ss.

41 Sul punto sostanzialmente concordano le tesi dei giusgrecisti ed i risultatidella documentazione papirologica (si v. in primo luogo H. J. WOLFF, ConsensualContracts in the Papyri?, in JJP. 1 [1946] 55 ss.; ID., Die Grundlagen des griechi-schen Vertragsrecht, in ZSS. 74 [1957] 26 ss.=in E. BERNEKER [Hg.], Zur griechi-

Da qualche decennio l’interesse per il tema delle origini,che si diceva così vivo per un lungo periodo della storiografiaromanistica contemporanea, è invero alquanto scemato 42, forseperché – come ha sostenuto Max Kaser – della verisimilmentecomplessa protostoria dell’emptio venditio (malgrado tutti glisforzi degli studiosi) è difficile individuare tracce sicure e si-gnificative nelle fonti 43.

228 CAPITOLO QUARTO

schen Rechtsgeschichte [Darmstadt 1968] 483 ss., più di recente, J. MÉLÈZE MODR-ZEJEWSKI, Le forme del diritto ellenistico, in I Greci. Storia Cultura Arte Società II.Una storia Greca 3. Trasformazioni a c. di S. SETTIS [Torino 1998] 661 ss.). Sullavendita in particolare ancora fondamentale F. PRINGSHEIM, The Greek Law of Sale(Weimar 1950); cfr. pure J. DÉMEYÈRE, La formation de la vente et le transfert de laproprieté en droit grec classique, in AHDO./RIDA. 1 (1952) 215 ss.; ID. Le contratde vente en droit grec classique: les obligations des parties, in AHDO./RIDA. 2(1953) 197 ss.; per una buona sintesi si v. A. BISCARDI, Diritto greco antico (Milano1982) 151 ss. Quella che secondo l’impostazione romanistica si chiama ‘obbliga-zione contrattuale’ richiede sempre, in una prospettiva greco-ellenistica, un fonda-mento reale, che si sostanzia nella consegna al ‘debitore’ di una cosa da parte delproprietario, che ne trasmette anche (almeno secondo la non indiscussa tesi dellacd. «Zweckverfügung», sulla quale si v. soprattutto J. HERRMANN, Verfügungser-mächtigungen als Gestaltungselemente verschiedener griechischer Geschäftstypen, inSymposion 1971 [Köln-Wien 1975] 321 ss.=Kleine Schriften zur Rechtsgeschichte[München 1990] 59 ss.) il potere di disporne nei limiti definiti dalla natura propriadell’atto giuridico che si realizza e conformemente alla sua finalità. Di conseguenzala responsabilità della parte contrattuale che riceve la cosa trova il suo fondamento(in una visione romanistica essenzialmente ‘delittuale’) non nel consenso o nellapromessa, ma piuttosto sull’eventuale danno materiale che discende da un qualsiasicomportamento contrario alle finalità dell’operazione.

42 Ma si v. ora il recentissimo saggio di A. CASTRO, ‘Emptio venditio’ y ‘con-sensus’. Contribución al estudio del origen y fundamentos de la compraventaromana: contrato-fin y contrato-medio, in Iuris vincula. Studi in onore di M. Ta-lamanca II (Napoli 2001) 11 ss. (che sarà discusso, nelle sue linee generali, infra234 ss.).

43 M. KASER, Das römische Privatrecht2 I cit. 546; cfr. C. A. CANNATA, Lacompravendita consensuale romana: significato di una struttura, in Vendita e trasfe-rimento della proprietà nella prospettiva storico-comparatistica. Atti Pisa-Viareggio-Lucca 1990 a c. di L. VACCA II (Milano 1991) 413 ss. (da p. 413 è tratto il titolo diquesto paragrafo; si v. anche F. WIEACKER, Römische Rechtsgeschichte I [München1988] 441 nt. 13). In generale M. TALAMANCA, Costruzione giuridica e strutture so-ciali fino a Quinto Mucio, in Società romana e produzione schiavistica III. Modellietici, diritto e trasformazioni sociali a c. di A. GIARDINA e A. SCHIAVONE (Roma-Bari 1981) 16, ha sottolineato «l’estrema scarsità e, in più, la casualità della nostradocumentazione».

L’affermazione, autorevole e di certo almeno in parte giu-stificata, non consente però (mi sembra) l’appiattimento del-l’esperienza romana su sole due strutture della compraven-dita. Tra la semplice «vendita a contanti» dell’età più antica(«Barkauf» secondo la diffusa terminologia germanica 44), cheassumeva la forma della mancipatio nel caso di scambi partico-larmente rilevanti nella civitas più antica, consistendo per il re-sto in una sostanziale permuta, e la più tarda «compravenditaconsensuale obbligatoria» fondata sulla bona fides (che ne ga-rantiva una adeguata tutela processuale) dovette esistere unponte di passaggio, adombrato in una documentazione scarnae casuale, ma non per questo, a mio parere, meno importante.Proprio perciò quella letteratura romanistica si è sviluppata:dal punto di vista della storia delle strutture giuridiche il con-tratto consensuale di compravendita è stato considerato comeun punto di arrivo di una realtà fattuale verisimilmente moltoantica, risalente almeno a quando la diffusione della monetaconsentì di considerarla normale mezzo di scambio 45. Ecco

PROBLEMI DI ORIGINE 229

44 La «semplicità» insita nel senso del prefisso «bar» che s’aggiunge al temaforte, significante la compera («Kauf»), sta ad indicare la implicita contestualitàdella doppia «Übereignung», della cosa e del prezzo; sul composto ed il suo signi-ficato si v., per tutti, G. KÖBLER, Etymologisches Rechtswörterbuch cit. 38, s.vv.«bar», «Bargeld», «Barkauf».

45 Almeno in tal senso sempre valide, in fondo, le osservazioni di C. FERRINI,Sull’origine del contratto di vendita in Roma, in Mem. R. Acc. Modena s. II 9 (1893)179 ss. [=Opere III. Studi vari di diritto romano e moderno (Milano 1929) 49 ss., dacui d’ora in poi cito]; anche se si può discutere, alla luce delle più recenti ricerche,sull’introduzione a Roma della «moneta» (intesa come strumento di scambio pub-blicamente riconosciuto e tutelato attraverso opportuna signatio, relativa alla stabi-lizzazione del metallo e del suo peso); per una datazione alta si v. ad esempio T.SPAGNUOLO VIGORITA, [F. MERCOGLIANO,] s.v. «Tributi (dir. rom.)», in ED. XLV(Milano 1992) spec. 87; la narrazione storiografica, che ci è nota attraverso Plinio ilvecchio (il quale riferisce la notizia a Timeo), riconduceva le origini della monetapubblica (probabilmente nelle rozze forme dell’aes signatum) al regno di ServioTullio: Plin. n.h. 18.3.12. Servius rex ovium bovumque effigie primum aes signavit,ma v. C. AMPOLO, La città riformata e l’organizzazione centuriata. Lo spazio, iltempo, il sacro nella nuova realtà urbana, in Storia di Roma I. Roma in Italia dir.A. MOMIGLIANO, A. SCHIAVONE (Torino 1988) 228, secondo cui la notizia, in alcunisuoi particolari sarebbe anacronistica (per l’uso più antico del disegno a spina di pe-sce, piuttosto che la raffigurazione di quadrupedi), alla ricca bibliografia citata in

probabilmente perché Kaser accenna alla complessità dellaprima storia dell’istituto. Il punto centrale del problema èstato, a mio parere, magistralmente individuato da Arangio-Ruiz 46, il quale ha messo in evidenza come compito dellascienza romanistica la necessità di rinvenire «un quid d’inter-medio» tra il formalismo originario, che reggeva ed informavail più antico ordinamento, e dunque anche il «sistema» dei rap-porti contrattuali, ed il (necessariamente più tardo, in questaprospettiva) riconoscimento della emptio venditio come nego-zio a forma libera, basato sul mero consenso e ad effetti obbli-gatori.

Per procedere bisogna individuare due ordini di problemi(benché collegati tra loro): «il primo riguarda i mezzi con cui,prima della diffusione dell’obligatio consensu contracta, si sop-periva alle esigenze di accreditamento dell’una o dell’altra pre-stazione; il secondo concerne il modo in cui l’emptio venditioconsensuale ed obbligatoria venne ad affermarsi nell’espe-rienza giuridica romana, problema quest’ultimo strettamenteconnesso con quello dell’origine e dello sviluppo dei iudiciabonae fidei» 47.

Occorre, sia pur in breve e beneficiando delle ottime sin-tesi critiche già disponibili 48, fare il punto sulle diverse rico-

230 CAPITOLO QUARTO

ntt. 75, 76, adde almeno L. PEDRONI, Ricerche sulla prima monetazione di Roma(Napoli 1993) spec. 57 ss. sulla monetazione regia di bronzo, e soprattutto R. WOL-TERS, ‘Nummi signati’ cit. 10 ss. (con ampia bibliografia critica in nt. 4 a p. 10 s.);cfr. anche S. BALBI DE CARO, Cause sociali ed economiche alla base della politicamonetaria di Roma (tra il IV e il II secolo a. C.), in I. DONDERO, P. PENSABENE,Roma repubblicana fra il 509 e il 270 a. C. (Roma 1982) 107 ss.

46 La compravendita2 I cit. 55 ss.; sull’intuizione del maestro napoletano si v.F. GALLO, In tema di origini cit. 305 s.

47 Questa l’impostazione generale, da condividere, di M. TALAMANCA, s.v.«Vendita (dir. rom.)» cit. 304.

48 Soprattutto: V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita2 I cit. spec. 39 ss.; G. I.LUZZATTO, L’articolo 1470 c. c. e la compravendita consensuale romana, in Riv.trim. dir. proc. civ. 19 (1965) 907 ss.; M. TALAMANCA, s.v. «Vendita (dir. rom.)» cit.spec. 304 ss. Si v. anche C. A. MASCHI, Il diritto romano I. La prospettiva storicadella giurisprudenza classica (diritto privato e processuale)2 (Milano 1966) 388 ss.[questa parte dell’ampio studio di Maschi, relativa a «Compravendita e permuta», è

struzioni 49. Forse occorre partire proprio da Rudolf von Jhe-ring. La sua prospettiva è generalmente collegata con quella diBekker; se ciò è vero dal punto di vista dei risultati (e cioè ilprocedere della consensualità dalla stipulazione), bisogna te-nere presente la prospettiva teorica del giurista frisone 50.

Bekker 51, infatti, si era proposto, in un primo tempo, allaricerca di «più precise conoscenze dello sviluppo storico deldiritto romano dei contratti» 52, di esaminare i formulari ca-toniani relativi alle leges locationis. Tirando le somme del suosaggio 53 doveva porsi la domanda relativa alla tutela proces-suale dei rapporti costruiti sulle leges e dunque se quella cheindividuava come una «bloße Verabredung» fosse azionabile«als zweiseitiger Consensualcontract»; e dunque se si potesseutilizzare un bonae fidei iudicium. La risposta è negativa, eprescinde dalla notazione, generale ed invero non completa-

PROBLEMI DI ORIGINE 231

una versione modificata ed aggiornata del saggio pubblicato con il titolo Imposta-zione storica della compravendita e della permuta nel libro 33 ‘ad edictum’ di Paolo,in Studi in onore di P. De Francisci II (Milano 1956) 357 ss.; solo ad essa si farà ri-ferimento di seguito; i risultati di Maschi, riguardo a questa parte del lavoro, sonoapprezzati nella rec. di R. ORESTANO, in Iura 9 (1958) 243 =Scritti III Sez. I Saggi-stica (Napoli 1998) 1334]; H. F. JOLOWICZ, Historical introduction to the study ofRoman law2 (Cambridge 1952) 302 ss.; qualche riferimento (ma senza particolariapprofondimenti) in A. WATSON, The law of ancient Rome (Dallas 1970) 66 s.; ID.,Roman Law and Comparative Law cit. 60 ss., 128 s.; A. FERNÁNDEZ DE BUJÁN, Lacompraventa, in Derecho romano de obligaciones. Homenaje al profesor J. L. MurgaGener (Madrid 1994) spec. 553 ss.

49 In questa parte dell’indagine si procede in via sintetica e si rinvia la criticadelle fonti principali (anche se bisogna osservare che non sempre tutte le posizionistoriografiche che si stanno per affrontare sono il risultato controllabile di analisiesegetica dei testi, costruendo alcune piuttosto discorsi generali, che danno per pre-supposta una certa interpretazione delle fonti).

50 Cfr. supra 225 nt. 35. Ed anche l’apparente mancanza di comunicazione trai due studiosi, che, sul punto, direi con qualche stranezza, vicendevolmente non sicitano.

51 Über die ‘leges locationis’ bei Cato ‘de re rustica’, in ZRG. 3 (1864) 442 s.;cfr. ID., Die Aktionen des römischen Privatrechts I (Berlin 1871) 155 ss. (v. M. TA-LAMANCA, s.v. «Vendita [dir. rom.]» cit. 306 nt. 23).

52 Über die ‘leges locationis’ bei Cato cit. 416; con espresso riferimento garba-tamente critico alle Plautinische Studien III, in ZRG. 2 (1863) 177 s., di Demelius.

53 Über die ‘leges locationis’ bei Cato cit. 442 s. (da cui traggo le citazioni travirgolette nel testo).

mente probante, secondo la quale le singole «Verabredungen»che si incontrano nel testo catoniano non sarebbero riconduci-bili alla natura dei giudizi di buona fede «per come essi ci sononoti». Infatti il punto dell’incompatibilità andrebbe ricercatosoprattutto nella «consueta conseguenza» della «vendita con-chiusa», che si strutturerebbe in forma di stipulazione (pressoCatone, di cui è citato de agr. cult. 146.4, ma anche Varrone 54),da cui lo studioso deriva che sarebbe invero difficile che la lo-cazione potesse essere, prima della vendita, considerata uncontratto consensuale e meramente come tale tutelato in giudi-zio 55. A ben vedere, Bekker individua una vendita già con-clusa, cui aderiscono reciproche stipulazioni delle parti. Dun-que la sua posizione è in qualche modo diversa da quella diJhering (anche se la principale conseguenza, e cioè l’inutilitàdel solo consenso ai fini della tutela processuale, è ad essa av-vicinabile): il grande giurista frisone individuò nella prassi dipromettere la prestazione (o meglio, bilateralmente: ambeduele prestazioni), tipica della compravendita con annessa stipula-tio, l’essenza stessa (nel suo stadio semplice, cioè non com-posto) della vendita più antica 56. Per secoli sarebbe durata la

232 CAPITOLO QUARTO

54 Nel punto (Über die ‘leges locationis’ bei Cato cit. 442) solo genericamente,ma è chiaro il riferimento ai formulari di vendita di animali nel de re rustica (cfr. in-fra 263 ss.).

55 Forse val la pena di riportare il passo più interessante per la questione chequi si tocca: «… daß Cato bei dem gleich folgenden Kauf … den Verkäufer stipu-liren heißt, und auch Varro noch die Stipulationen beider Theile als die gewöhn-lichen Folgen des geschlossenen Kaufs erschienen, während doch schwerlich dieDienstmiethe vor dem Kauf ex consensu klagbar geworden; sodann die in denLocationsleges dreimal (144, 5 u. 6; 145, 9) vorkommenden Bezugnahme auf denarbitratus boni viri, sollte die ganze Sache eventuell als praetorisches arbitriumbehandelt werden, so verstand sich auch dieser arbitratus von selber»: Über die ‘le-ges locationis’ bei Cato cit. 442. Segue la qualificazione dell’accordo tra i contraenti(in particolare nello schema della locatio) come semplice pacisci, ed infine (anche pervalutazioni di stratificazione testuale) l’asserzione che in origine al dominus sarebbestato possibile solo un deduci. Sulle adesioni alla tesi della stipulatio, con approfon-dimento esegetico, si v. V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita2 I cit. 61 ss.

56 Tale è il risultato di una visione che considera il diritto più antico in generaleorientato sulla unilateralità più che sulla bilateralità cfr., in particolare, Geist III cit.201.

prassi di riversare «die substantiell zweiseitigen Geschäfte desLebens» (Jhering enumera: «Kauf, Miete, Sozietät») nellaforma di due (io direi: o più, nel caso di società con almeno trecontraenti) contratti unilaterali, utilizzando la stipulatio emptivenditi e quella locati conducti. L’originaria unilateralità rimar-rebbe conservata anche nel «Doppelname» dei contratti, una«reminiscenza» che mostrerebbe l’antica struttura descrivendoi due lati della doppia stipulazione originaria 57.

Pernice 58 si figurava un lento sviluppo (che ha un esito sta-bile alla fine della repubblica) da un’originaria vendita a con-tanti (con esecuzione contestuale delle due prestazioni) allaemptio venditio consensuale obbligatoria. Medium essenzialeuna fase nella quale il negozio era configurato come contrattoreale: la prestazione (dunque la materiale dazione) della merxda parte del venditore, legittimava quest’ultimo nei confrontidell’acquirente alla richiesta del prezzo: solo con il pagamentosi sarebbe prodotto l’effettivo passaggio della proprietà 59. Inrealtà tale ricostruzione è frutto di mera speculazione: nellefonti non si rinvengono indizi che possano giustificarla 60. L’i-potesi di Pernice fu estesa, intendendo i contratti consensualicome dei «contratti reali perfezionati», da Huvelin 61 a tutte le

PROBLEMI DI ORIGINE 233

57 A questo punto JHERING si dimentica della società e fa riferimento solo allaemptio venditio ed alla locatio conductio: Geist III cit. 201 s. Lo studioso, poi, con-centrando la sua attenzione sul problema della struttura, dà poca importanza alladomanda sulla profonda modificazione della forma che si sarebbe ad un certopunto verificata: il passaggio dalla modalità verbis a quella retta dal mero consenso.Mi pare che il problema sia aggirato, ma non risolto.

58 Labeo. Römisches Privatrecht im ersten Jahrhundert der Kaiserzeit I (Halle1873) 455 ss. Non si può qui sottacere la più ampia prospettiva dello studioso, chevalutava cronologicamente precedente rispetto alla comprevendita la struttura me-ramente consensuale di società e mandato (cfr. o.u.c. 466).

59 A tal proposito M. TALAMANCA, s.v. «Vendita (dir. rom.)» cit. 305 nt. 18,nota la possibilità che si potesse verificare qualche «tensione» con il mutuum: deveintendersi, credo, la difficoltà sociale a comprendere quale negozio fosse stato po-sto in essere tra le parti.

60 Cfr. ancora M. TALAMANCA, s.v. «Vendita (dir. rom.)» cit. 305 s.61 Nella voce «Obligatio», in Dictionnaire des antiquités IV (Paris 1907) 138;

cfr. anche ID., Cours élémentaire de droit romain II cur. R. MONIER (Paris 1929)89 ss.

obbligazioni consensu contractae, ma la proposta dello stu-dioso francese, secondo cui l’arricchimento sarebbe stato evi-tato attraverso una condictio strutturata come sanzione appareinvero «senza alcun fondamento» 62. Di recente poi, in un sag-gio 63 forse appesantito da riflessioni piuttosto generiche e dal-l’affastellarsi di temi diversi 64, e non senza considerare insiemeanche la possibilità di un’origine attraverso la prassi della dop-pia stipulazione 65, lo spagnolo Castro ha proposto la genesidel contratto consensuale nelle compravendite reali, che mo-strerebbero il maggior numero di caratteri poi traslati nel-l’emptio venditio, dando grande importanza, nell’ordine, allamercantilizzazione dell’economia romana (che non poteva es-sere retta dal rigido ius civile cittadino), all’influsso del ius gen-tium (che avrebbe consentito la flessibilità degli scambi, so-

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62 Così M. TALAMANCA, s.v. «Vendita (dir. rom.)» cit. 305 nt. 16.63 A. CASTRO, ‘Emptio venditio’ y ‘consensus’ cit. spec. 23 ss., 30 ss.: viene de-

lineato un ampio percorso di ricerca, dal preistorico «magma jurídico», che si puòinquadrare nell’ambito del fenomeno possessorio (cfr. anche A. CASTRO, Posesión yproceso, acto y rito en la génesis de los derechos, in Anuario Fac. de Derecho. Univ.da Coruña 3 [1999] 163 ss.) sulla base di una struttura relazionale particolarmenteritualizzata, fino alla stabilizzazione edittale ed alla considerazione in senso con-trattuale degli atti di scambio da parte della giurisprudenza.

64 Come mi sembra caratteristica costante nella produzione dell’autore, mapotrei essere io incapace a percepire le più o meno profonde interconnessioni pro-poste nei vasti saggi di Castro e soprattutto la loro validità storica o dogmatica.

65 La comunicazione tra i due fenomeni (ma forse si dovrebbe dire: tra le dueipotesi) sarebbe perfettamente difendibile, senza trattarsi di «comodo ecletticismo»,cfr. A. CASTRO, ‘Emptio venditio’ y ‘consensus’ cit. spec. 41. La discussione del con-tributo di Castro potrebbe essere più vasta valutandone tutte le pieghe e le sfuma-ture. Pare – comunque – ancora da ricordare da una parte la sua figurazione dellastipulatio come uno «stampo» adatto a contenere qualsiasi contenuto nell’ordina-mento più antico (e dunque costituente l’unico modo strettamente giuridico per isoggetti di porsi in relazione tra loro; v. spec. p. 25; ma allo stesso tempo la pro-messa si connoterebbe per la sua «atroce inefficacia» nel mondo mercantile, affer-mazione che non tiene conto – mi pare – della grande duttilità processuale dellastipulazione attraverso l’actio ex stipulatu, che consentiva ampia trasportabilità ingiudizio di quanto dedotto nello schema verbale); dall’altra la convergente depoliti-cizzazione e patrimonializzazione del diritto in età postdecemvirale, che impon-gono il contratto come nuovo paradigma, con il fine dello scambio che si fa mezzoa sé medesimo (v. spec. p. 32).

prattutto attraverso la bona fides 66), alla necessità (di logicagiuridica) che il cittadino usufruisca di un diritto comparabilecon quello dello straniero, alla giurisdizione pretoria (primaperegrina e poi urbana), che si uniforma al ius gentium, al pro-gressivo depauperamento degli atti di trasmissione della pro-prietà civilistici (fino all’introduzione dell’actio Publiciana),alla prassi stipulatoria che permette l’accreditamento del prez-zo. Naturalmente tutti questi elementi mostrano un’evolu-zione del diritto privato di Roma (che sta soprattutto nel su-peramento del negozio-mezzo e quindi del rito come mediumdell’attività economica, per giungere alla mera consensualità,che indica la supremazia della causa sulle forme), ma l’am-piezza della prospettiva, il coordinamento non stringente chepropone lo studioso, l’assoluta mancanza di esegesi testualecon riferimento alle testimonianze relative alla compravendita,fanno del lavoro di Castro un tentativo, forse un modello teo-rico (ed ho qualche dubbio in proposito), ma certo non unaconvincente analisi storico-giuridica 67, oltretutto rivelandosi laricostruzione assai debole su un punto centrale, e cioè il mo-mento processuale (con la genesi dell’actio empti).

Forse per il luogo di pubblicazione (un manuale 68 che non

PROBLEMI DI ORIGINE 235

66 O meglio la «aérea consistencia» di questo «principio en sí mismo universalpero peligroso para la mentalidad decemviral, condenado al ámbito de los arbitrajesprivados pero excluido de las legis actiones», così ‘Emptio venditio’ y ‘consensus’ cit.56, ma è solo un povero esempio dell’esuberanza ricostruttiva e linguistica dellostudioso.

67 Per una complessiva valutazione dell’impostazione e dei risultati di Castrosul tema (o su temi correlati), in particolare, Consensualidad, naturaleza y régimenen el depósito romano y su evolución posterior en derecho español (Sevilla 2001);‘Contractum autem ultro citroque obligationem’: un replanteamento de la ‘definitio’labeoniana de contrato y su evolución posterior en derecho romano, in Derecho deobligaciones en la romanistica española: 1940-2000. Actas de la III Jornadas Anda-luzas de Derecho Romano – Granada (in corso di stampa: n.v.). Sulla tesi di Castroci si è diffusi forse più del necessario, soprattutto per la sua novità e dunque per lamancanza di uno stratificato controllo critico sulla stessa (come è, invece, per lamaggior parte delle altre ipotesi di origine, alcune già molto risalenti nella storio-grafia romanistica, che sono esaminate in questo paragrafo).

68 R. VON MAYR, Römische Rechtsgeschichte II. Die Zeit des Amts- und

mi sembra sia stato troppo diffuso a livello scientifico 69) nonha avuto fortuna, nemmeno nel ricevere critiche 70, la tesi divon Mayr, che sostenne l’originaria formazione del contrattoconsensuale di compravendita dal pagamento di un’arra, cioèdalla costituzione di una sorta di pegno che, considerata in unsecondo tempo come non necessaria, avrebbe condotto all’ob-bligatorietà del mero consenso. Eppure questa ipotesi non èperegrina nel disegnare l’utilizzazione nel più antico diritto ro-mano di forme di garanzie reali nella compravendita 71.

Da una visuale del problema davvero particolare (e – comeè stato notato – «non senza qualche mutamento di prospet-tiva» 72), per decenni Philippe Meylan ha portato avanti le sue

236 CAPITOLO QUARTO

Verkehrsrechtes 2. Das Privatrecht II. Schuldverhältnisse und Erbschaft (Berlin-Leipzig 1913) 59 ss.

69 Anche se edito nella popolare «Sammlung Göschen».70 Non se ne trovano, infatti, nelle tre rassegne più autorevoli e dettagliate (mi

riferisco, naturalmente, a quelle proposte da Arangio-Ruiz, Luzzatto e Talamanca,cit. supra nt. 35); per un cenno cfr. H. F. JOLOWICZ, Historical introduction cit. 304s. In qualche modo sorprende che non se ne sia occupato E. VOLTERRA, Diritto ro-mano e diritti orientali (Bologna 1937, rist. an. Napoli 1999) 150 ss., ove un’impor-tante messa a punto sulla storia dell’«indipendenza» dell’esperienza giuridica ro-mana dai diritti orientali in tema di compravendita consensuale (invero lo studiosoincentra la sua attenzione sul problema della «pubblicità» diffusa in questi ultimi;l’autore tornerà sul punto, con particolare riferimento al diritto ebraico: Sulla reda-zione dei contratti nell’antico diritto ebraico, in Synteleia V. Arangio-Ruiz II [Na-poli 1964] 1190 ss.=Scritti giuridici VII. Diritto criminale romano e diritti dell’an-tico oriente mediterraneo [Napoli 1999] 669 ss.), che peraltro proprio con lo studiodell’arra (anche se precipuamente dal versante del diritto matrimoniale) aveva co-minciato i suoi studi: Studio sull’arrha sponsalicia, in RISG. n.s. 2 (1927) 581 ss.[=Scritti giuridici I. Famiglia e successioni (Napoli 1991) 3 ss.]; Studio sull’arrhasponsalicia II. L’arrha sponsalicia nella legislazione di Giustiniano, in RISG. n.s. 4(1929) 3 ss. [=Scritti giuridici I cit. 93 ss.], per gli altri lavori di Volterra su tale temasi v. [M. TALAMANCA,] Scritti di Edoardo Volterra, in E. V., Scritti giuridici I cit.xxxi ss.

71 L’unico argomento testuale di R. VON MAYR, Römische RechtsgeschichteII.2.II cit. 60, è un testo varroniano (de l. L. 5.36.175, citato senza indicazione degliestremi del luogo filologico e trascritto nel tratto sic data ut reliquum reddatur, re-lativo all’arra), ma si può credere che lo studioso volesse riferirsi anche (ad esempio)ai numerosi passi plautini in cui si menziona l’arra (sui quali si v. soprattutto FR.PRINGSHEIM, The Greek Law of Sale cit. 415 ss.)

72 M. TALAMANCA, s.v. «Vendita (dir. rom.)» cit. 307.

ricerche incentrate sull’idea della derivazione della compraven-dita consensuale dalle primitive strutture giuridiche delloscambio di res mancipi, fortemente formalizzate. L’idea dellostudioso svizzero si collega strettamente con la sua ricostru-zione di struttura e funzione della mancipatio, che – com’ènoto – pretende una modifica del testo tradito dal Gaio vero-nese, e cioè la sostituzione di aes tenens a rem tenens con rife-rimento alla pronuncia rituale del mancipio accipiens 73. Taleatto formale – consistente nella «prise» materiale della cosa,basato sull’accordo delle parti, ed originariamente limitato, se-condo lo studioso, alle res mancipi mobili – faceva ottenere ladisponibilità materiale (e la garanzia, auctoritas, per l’evizione)all’acquirente contro il contestuale pagamento del prezzo: laproprietà sarebbe poi discesa dall’usucapione. Per quanto ri-guarda le res nec mancipi, mancando la necessità della formalemancipazione, bastava da una parte la presa di possesso controil pretium, dall’altra la messa a disposizione e l’assunzione digaranzia tramite un vas ovvero per mezzo di stipulatio. Unavolta che si rese possibile la mancipazione degli immobili,l’emptio non avrebbe più avuto ad effetto la materiale disponi-bilità della cosa indirizzata all’usus (e dunque all’acquisto giu-ridicamente rilevante), perché l’immissione si sarebbe sganciata

PROBLEMI DI ORIGINE 237

73 Sulle tesi di Meylan si v. soprattutto FR. STURM, Origine et évolution de lamancipation. Synthès rétrospective de l’enseignement de Ph. Meylan, in Mélanges P.Piotet (Bern 1990) 567 ss. (ma con le attente osservazioni di M. TALAMANCA, s.v.«Vendita [dir. rom.]» cit. 308 nt. 36). Sulla correzione che lo studioso svizzero pre-tendeva del testo gaiano (sulla base della tradizione di Boeth. ad Cic. top. 5.28) remal posto di aes si v. M. DAVID, H. L. W. NELSON, Gai institutionum commentarii IVKommentar 1. Lief. (Leiden 1954) 149 ss. (con indicazione della bibliografia più ri-salente), e poi: A. CORBINO, Il rituale della ‘mancipatio’ nella descrizione di Gaio(‘Rem’ tenens in Inst. 1,119 e 2,24), in SDHI. 42 (1976) 149 ss., con ampi riferimentibibliografici in nt. 7 a p. 152 ss.; cfr. anche H. J. WOLFF, Ein Vorschlag zum Ver-ständnis des Manzipationsritual, in Beiträge zur europäische Rechtsgeschichte undzum geltenden Zivilrecht. Festgabe J. Sontis (München 1977) 1 ss.; A. GUARINO,‘Ineptiae iuris Romani’ III. ‘Rem tenens’, in AAP. 28 (1979) 27 ss. [=PDR. VI cit.83 ss.]; da ultimo sull’atto librale, inquadrandolo come rituale di formalizzazioneprodotto di una riflessione giuridica già raffinata (ma senza riferimenti specifici alproblema testuale in questione) si v. J. G. WOLF, Funktion und Struktur der ‘man-cipatio’, in Mélanges à la mémoire de A. Magdelain (Paris 1998) 501 ss.

dall’atto mancipatorio, che avrebbe così assunto carattere«tutt’affatto obbligatorio» 74. Nei due ultimi secoli della repub-blica si produsse uno scadimento del livello di deformazionedel complesso regime della procedura rappresentata da manci-patio e satisdatio secundum mancipium, che insieme con la«smaterializzazione» 75 dell’emptio delle cose nec mancipi, feceemergere come essenziale (e sufficiente) il consenso (che perògià dalle origini sostanziava – secondo lo studioso – la manci-patio) 76.

«Accanto» a quella di Meylan sono da considerare 77 quellericostruzioni (di Pringsheim e poi di Cannata) che in qualchemodo connettono l’origine della compravendita obbligatoriaall’«isolamento del momento consensuale nella mancipatio» 78.Si tratterebbe, insomma, di conferire al dato pre-giuridico(quale è il consenso nel negozio formale per eccellenza) tutto ilpeso giuridico del rapporto. In particolare il punto di partenzadi Pringsheim è che la mancipatio fosse «niente altro» che unavendita a contanti 79. L’accordo sul differimento del pagamento

238 CAPITOLO QUARTO

74 M. TALAMANCA, s.v. «Vendita (dir. rom.)» cit. 308 s.75 Utilizzo l’efficace terminologia di M. TALAMANCA, s.v. «Vendita (dir. rom.)»

cit. 308.76 Vale riportare per esteso la critica di M. TALAMANCA, s.v. «Vendita (dir.

rom.)» cit. 308, il quale sottolinea l’essenza combinatoria della ipotesi di Meylan:«lo svolgimento della compravendita consensuale ed obbligatoria si svolge, così,tutto all’interno del sistema romano del trasferimento della cosa contro il prezzo:questo risultato è raggiunto, però, a prezzo di una serie di ipotesi arbitrarie, sgan-ciate da qualsiasi verifica nelle fonti (sempre forzate a dire quello che tornava divantaggio all’ipotesi perseguita) onde non sorprende che l’opinione, perseguitadallo studioso su tutto l’arco della sua esistenza, non abbia praticamente trovato se-guito in dottrina»; cfr. anche ibid. nt. 43, sulla «Kombinationsgabe» dello studiososvizzero, e nt. 46, sulla posizione di FR. STURM, Origine et évolution de la manci-pation cit. 567 ss., non chiara nell’intento di seguire l’«insegnamento» del suo mae-stro.

77 Secondo M. TALAMANCA, s.v. «Vendita (dir. rom.)» cit. 308 s., il quale notacome proprio nei principali scritti di riferimento: FR. PRINGSHEIM, L’origine descontrats consensuels, in RHD. 4e s. 32 (1954) 475 ss. [=Gesammelte AbhandlungenII (Heidelberg 1961) 179 ss.]; C. A. CANNATA, La compravendita consensuale cit.spec. 422 ss., l’ipotesi di Meylan non venga «neppure ricordata» (308 nt. 47).

78 Così, in sintesi, ancora M. TALAMANCA, s.v. «Vendita (dir. rom.)» cit. 308.79 L’origine cit. 490 [=Gesammelte Abhandlungen II cit. 189].

effettivo del prezzo (con contestuale assunzione di garanzia at-traverso stipulatio) avrebbe distinto nettamente l’assetto for-male da quello convenzionale (senza forme prestabilite e lo-gicamente precedente rispetto alla mancipatio), ed insiemeconferito individualità giuridica a quest’ultimo attraverso laconsiderazione della fides. Cannata 80, dal canto suo, premetteuna descrizione della mancipatio come vendita a contanti, perpoi – sulla base della corrispondenza terminologica: l’emere edil vendere della primitiva vendita formalistica si replichereb-bero perfettamente nell’emptio venditio 81 – intendere la nuovacompravendita consensuale «come un accordo sull’esecuzionefutura della mancipatio». Tale principio, con i suoi naturaliadattamenti, varrebbe poi anche per le transazioni relative a resnec mancipi. Il problema più rilevante in relazione a queste dueultime tipologie ricostruttive consiste nell’impostazione al-quanto astratta, e soprattutto slegata rispetto alla valutazionedi tipo processuale 82.

Occorre a questo punto affrontare l’ipotesi di TheodorMommsen. Il grande studioso, in un breve articolo della suaavanzata maturità 83, aveva proposto, com’è noto, la deriva-

PROBLEMI DI ORIGINE 239

80 La compravendita consensuale cit. 417 ss.81 C. A. CANNATA, La compravendita consensuale cit. spec. 423 s.; lo studioso

si affida anche a Gai 1.119, in cui – com’è noto – la mancipatio è definita imagina-ria venditio.

82 Cfr. M. TALAMANCA, s.v. «Vendita (dir. rom.)» cit. 308 ss., con ntt. 47 ss.83 Die römische Anfänge von Kauf und Miethe, in ZSS. 6 (1885) 260 ss. [=Ge-

sammelte Schriften III. Juristische Schriften 3 (Berlin 1907) 132 ss.]. Non bisognadimenticare l’esplicito collegamento (cfr. nt. 1 a p. 260 [=Gesammelte Schriften IIIcit. 132 nt. 1] con quanto dallo studioso già affermato (in uno stato del tutto em-brionale) in Römisches Staatsrecht I (Leipzig 1871) 165 e II/1 (Leipzig 1874) 441;cfr. nella 3a e definitiva edizione, rispettivamente I cit. 163 e II cit. 447: si tratta diun «tentativo di fissare i punti di contatto del diritto pubblico patrimoniale con ildiritto privato». Nella stessa direzione si era mosso già H. DEGENKOLB, Platzrechtund Miethe: Beiträge zu ihrer Geschichte und Theorie (Berlin 1867), lavoro civili-stico, ma con forte impostazione storica (cfr. B. WINDSCHEID, Diritto delle Pan-dette II [Torino 1930] 538 nt. *, § 399), si noti come quest’opera sia definita «fon-damentale» in [R. STINTZING,] E. LANDSBERG, Geschichte der Deutschen Rechts-wissenschaft III/2. Text (München-Berlin 1910) 852; sullo studioso, da ultimoordinario a Lipsia, che dopo il saggio su superficie e locazione si dedicò soprattutto

zione delle strutture obbligatorie consensuali dalle contratta-zioni magistratuali, postulando (è stato scritto: «con argomen-tazioni non molto fondate» 84) l’imitazione nell’ambito del di-ritto dei privati di schemi contrattuali conclusi tra la comunitàpolitica (la «Gemeinde», e cioè in sostanza tra un magistratoche rappresenta la civitas) e i cittadini. In particolare, per lacompravendita rilevano le venditiones questorie 85 (e le venditeper aggiudicazione 86), per la locazione i contratti di appalto ex

240 CAPITOLO QUARTO

al processo civile (ma non mancano suoi contributi romanistici e storico-giuridici),si v. anche ibid. 954, o.u.c. III/2. Noten (München-Berlin 1910) 398 nt. 5, ed il ne-crologio in ZSS. 30 (1909) xxiii s. (firmato «Die Redaktion» ed attribuibile, dunque,a E. I. Bekker e L. Mitteis).

84 G. I. LUZZATTO, L’art. 1470 c. c. cit. 907.85 Sul contratto di venditio pubblica si v. di recente A. MATEO, Manceps, re-

demptor, publicanus. Contribución al estudio de los contratistas públicos en Roma(Santander 1999) spec. 33 s., su cui si v. la rec. di É. JAKAB, in ZSS. 119 (2002) 625 ss.(Hygin. de cond. agr.=78.18-20 Th. Quaestorii autem dicuntur agri quos populusRomanus devictis pulsisque hostis possedit, mandavitque quaestoribus ut eos vende-ret; per qualche attestazione: Liv. 4.29.4, 4.53.10, 5.16.7, 35.1.11-12; sull’acquistocome emere: Plaut. Capt. 43; Caes. bell. Gall. 2.33.7). Sul ruolo e la competenza deimagistrati si v. W. KUNKEL, R. WITTMANN, Staatsordnung und Staatspraxis II. DieMagistratur (München 1995) 515 ss.; E. HERMON, M’. Curius Dentatus et les ventesquestoriennes au IIIe siècle av. J.-C., in Scr. Class. Isr. 16 (1997) 32 ss. (non sempreconvincente). Sul regime della praeda che, sottratta agli hostes, diveniva res publicapopuli Romani (e di conseguenza poteva essere assoggettata al diritto di un privato)si v., per tutti, gli studi di F. BONA, Osservazioni sull’acquisto delle ‘res hostium’ aseguito di ‘direptio’, in SDHI. 24 (1958) 237 ss.; ID., Preda di guerra ed occupazioneprivata di ‘res hostium’, in SDHI. 25 (1959) 309 ss.; ID., Sul concetto di ‘manubiae’e sulla responsabilità del magistrato in ordine alla preda, in SDHI. 26 (1960) 105 ss.;ID., s.v. «Preda bellica (storia)», in ED. XXXIV (Milano 1985) 911 ss., cui adde A.WATSON, The Law of Property in the Later Roman Republic (Oxford 1968) 63 ss.;G. FRANCIOSI, s.v. «Occupazione (storia)», in ED. XXIX (Milano 1979) 610 ss. oveulteriore bibliografia. Per significativi spunti si v., ancora, P. DE FRANCISCI, Intornoall'acquisto per occupazione delle ‘res hostium’, in AIV. 82 (1923) 967 ss.; e G. VO-GEL, s.v. «Praeda», in PWRE. XLIII (Stuttgart 1953) 1200 ss. Si cfr., inoltre, I.SHATZMAN, The Roman General’s Authority over Booty, in Historia 21 (1972) 177ss.; nonché F. GNOLI, Ricerche sul ‘crimen peculatus’ (Milano 1979) 75 ss. Ed ora,ampiamente, con attenzione alla letteratura precedente, J. B. CHURCHILL, ‘Ex quaquod vellent facerent’: Roman Magistrates’ Authority over ‘Praeda’ and ‘Manu-biae’, in TAPhA. 129 (1999) 85 ss.

86 Sulla prassi delle vendite per aggiudicazione (con attenzione particolare allabonorum sectio), si v. F. SALERNO, Dalla ‘consecratio’ alla ‘publicatio bonorum’ (Na-poli 1990) spec. 161 ss., su cui si cfr. le rec. di M. TALAMANCA, in BIDR. 94-95

lege censoria. La differenza di condizione delle parti contraentiscioglieva il contratto dai vincoli (soprattutto quelli formali-stici) del ius civile e – molto verosimilmente – riconduceva leeventuali controversie al di fuori degli schemi del processo pri-vato (mediante l’assunzione di procedimenti di iudicatio neiquali il magistrato era contemporaneamente, si direbbe, «giu-dice e parte» 87, ma con un’attitudine decisoria orientata daconsiderazioni equitative). La «liberazione» dal ius civile, il fa-vore dell’aequitas avrebbero indotto i cives all’imitazione, chesarebbe poi sfociata nel riconoscimento dei contratti consen-suali e dei corrispettivi giudizi di buona fede. Le reazioni aquesta tesi furono differenti: se trovò eco significativa in Fran-cia, specie nella manualistica 88, in Italia invece pesò molto ilduro giudizio che ne diede Vittorio Scialoja 89, che ne mise inluce la scarsa aderenza alle testimonianze in nostro possesso: laprova terminologica addotta da Mommsen (ricorrenza nellecontrattazioni pubbliche di emere, vendere e locare) indicasolo un uso, senza che da questo si possa inferire priorità d’im-piego rispetto ai rapporti privatistici (e dunque una loro deri-vazione da quelli pubblicistici). Luzzatto aggiunge una consi-

PROBLEMI DI ORIGINE 241

(1991-92) 706 ss.; G. KLINGENBERG, in ZSS. 110 (1993) 748 ss., G. CRIFÒ, L’abla-zione dei ‘bona’, in Labeo 39 (1993) 429 ss. (per il collegamento con il diritto diguerra, si v. infra 371).

87 In tal senso G. I. LUZZATTO, L’art. 1470 c. c. cit. 908, ma l’affermazione an-drebbe, forse, sfumata.

88 Si v., ad esempio, E. CUQ, Manuel des institutions juridiques des Romains2

(Paris 1928) 453 s.; R. MONIER, Manuel élémentaire de droit romain4 II (Paris 1948)130 ss., spec. 133; cfr. A.-E. GIFFARD, Précis de droit romain3 (Paris 1938) 53 ss. Dalpunto di vista analitico il contributo più notevole è certamente quello di U. VON

LÜBTOW, Catos ‘leges venditioni et locationi dictae’, in Eos 43.3 [Symbolae RaphaeliTaubenschlag dedicatae] (Varsaviae-Vratislaviae 1957) 227 ss.

89 Compra-Vendita. Lezioni (Roma 1907) p. 184: «questa opinione non ha persé veramente che la grandezza del nome del suo autore, non essendo avvalorata danessuna prova»; cfr., per la risonanza di questa frase (che ha un certo effetto), V.ARANGIO-RUIZ, La compravendita2 I cit. 50 e nt. 2; F. GALLO, In tema di originecit. 299; G. I. LUZZATTO, L’art. 1470 c. c. cit. 908. Per il giudizio complessivo diSCIALOJA nei confronti di Mommsen si v. invece Teodoro Mommsen, in Rend. Acc.Lincei cl. sc. mos. st. fil. 12 f. 11 (1903) 447 ss. [=BIDR. 16 (1904) 131 ss.=Studigiuridici II. Diritto romano 2 (Roma 1934) 218 ss.]

derazione di carattere generale, che va proprio in senso inversorispetto alla ipotesi mommseniana, e cioè la tendenza (ma: «daparte della giurisprudenza», in contesti più recenti rispetto aquelli in questione) ad adattare terminologia e schemi privati-stici anche ai rapporti pubblicistici tra Stato e privati e ciò nel-l’ambito della attitudine dello Stato romano a limitare al mas-simo i propri interventi 90, aggiungendo l’«inverosimiglianzastorica» dell’interpretazione, che – svolgendosi i rapporti am-ministrativi in questione in epoca abbastanza avanzata – collo-cherebbe in un’età ancora più bassa la recezione delle modalitàcontrattuali sul piano privatistico 91.

In tempi più recenti essa è stata ripresa da diverse voci sto-riografiche 92 e tenuta maggiormente in conto anche dai critici,soprattutto nella prospettiva della datazione del fenomenoconsensualistico 93. La riproposizione da parte di Filippo Can-celli (or sono quaranta anni) cercò di fornire all’ipotesi una piùampia base testuale, rispetto alla stringatissima argomentazione

242 CAPITOLO QUARTO

90 G. I. LUZZATTO, L’art. 1470 c. c. cit. 908 s. Di recente sta sviluppando inte-ressanti riflessioni sulla natura essenzialmente privatistica del processo civile ro-mano formulare D. MANTOVANI (ad esempio nelle relazioni tenute il 4 settembre2001 a Soverato, ad introduzione del Seminario su ‘Diritto e società di Roma antica.L’eredità di un’esperienza’, ed il 18 ottobre dello stesso anno a Napoli, in occasionedel Convegno internazionale della Società italiana di Storia del diritto ‘Il diritto frascoperta e creazione. Giudici e giuristi nella storia della giustizia civile’, dal titolo‘Praetoris partes’. Sulla ‘iurisdictio’ e i suoi vincoli nel processo formulare), che siriferisce soprattutto alle note posizioni teoriche di M. DAMASKA, I volti della giu-stizia e del potere. Analisi comparatistica del processo (trad. it. Bologna 1991) spec.136 ss.

91 Sul punto relativo al ius gentium si v. G. I. LUZZATTO, L’art. 1470 c. c. cit.907 (e cfr. infra cap. VI).

92 Si v. soprattutto F. CANCELLI, L’origine del contratto consensuale di compra-vendita nel diritto romano. Appuni esegetico-critici (Milano 1963), con le rec. (ten-denzialmente piuttosto critiche) di B. ALBANESE, in BIDR. 67 (1964) 270 ss.;F. WIEACKER, in ZSS. 81 (1964) 345 ss.; TH. MAYER-MALY, in Iura 15 (1964) 354 ss.;PH. MEYLAN, in TR. 33 (1965) 202 ss.; A. ORMANNI, in Latomus 24 (1965) 972 ss.;F. GALLO, In tema di origine della compravendita consensuale, in SDHI. 30 (1964)299 ss., in cui l’ipotesi mommseniana acquista, almeno da alcuni punti di vista, mag-giore solidità (sulla questione si v. più ampiamente infra 263 ss.).

93 Cfr. ad es. C. A. CANNATA, La compravendita consensuale cit. 415.

mommseniana. Invero il lavoro dello studioso romano ha prov-veduto ad un «semplice accostamento» 94 dei testi concernentile vendite pubblicistiche a quelli sul contratto consensuale,senza però dimostrare la precedenza storica delle prime, addu-cendo solo come prova ulteriore della tesi di Mommsen (in-vero piuttosto debole) la frequenza delle vendite all’asta nel di-ritto privato 95.

Il punto centrale dell’ipotesi sta nella (almeno postulata)aformalità delle auctiones pubbliche, che mancando appunto diforme precisamente prescritte, avrebbero offerto un utile mo-dello per le vendite all’asta privatistiche dalle quali poi si sa-rebbe prodotta la emptio venditio consensuale con effetti ob-bligatori 96. La prassi pubblica avrebbe potuto, d’altra parte,ben fondare un’opinio diffusa circa il carattere vincolante, inalcuni ambiti 97, del mero accordo, convinzione che sarebbe poistata avallata dalla tutela processuale fornita dal pretore. Lacritica più recente, articolata, a tale ricostruzione è stata mossada Mario Talamanca, il quale (oltre alla notazione della man-canza nelle fonti di dati espliciti che potrebbero servire da con-creta testimonianza in proposito 98) ne ha sostenuto l’inconsi-

PROBLEMI DI ORIGINE 243

94 Così G. I. LUZZATTO, L’art. 1470 c. c. cit. 907.95 G. I. LUZZATTO, L’art. 1470 c. c. cit. 907 nt. 9, ha gioco facile nella critica:

Cancelli «non si pone, peraltro, i problemi relativi a queste ultime: e cioè come mai,se si ammette che la vendita consensuale si sia manifestata originariamente sotto untale profilo, la clausola di in diem addictio sia sempre stata considerata un acciden-tale negotii, e, inoltre, la giurisprudenza classica abbia trovato tante difficoltà a in-quadrarla nel regime della condizione (e della compravendita) sia prima che dopoSalvio Giuliano».

96 Il modello evolutivo appare teoricamente possibile a M. TALAMANCA, s.v.«Vendita (dir. rom.)» cit. 309 e nt. 51, che però ricorda le fondate critiche di G. I.LUZZATTO, L’art. 1470 c. c. cit. 908, sulle difficoltà che potrebbero sorgere dalla nonimpossibile relativa recenziorità della diffusione delle aste pubbliche (ma sul puntosi v. infra 254 ss.).

97 La precisazione appare necessaria per un inquadramento della storia della ti-picità dei contratti consensuali.

98 Si potrebbero enumerare altre critiche per così dire «minori», che però s’in-trecciano tra loro con effetto invero devastante. Da aggiungere il fatto che nelle astepubbliche si trasferisce il dominium (e non dunque la possessio che è oggetto del-l’obbligazione che si costituisce in testa al venditore nella compravendita consen-

stenza nel punto portante, affermando la struttura non con-sensuale e l’efficacia non obbligatoria dell’addictio nelle ven-dite pubbliche 99, atto che sostanzierebbe il negozio preso inconsiderazione astrattamente da Mommsen e dalla storiografiache lo ha seguito. Ma, sul punto, resta importante l’ipotesi for-mulata da Filippo Gallo 100, secondo il quale l’esame delle legesvenditionis catoniane, ed in particolare della clausola recte-do-mini, porterebbe a credere che, avendo i privati cominciato aricorrere all’auctio per ragioni economiche (e cioè per ottenerela migliore offerta in cambio della cosa), essi abbiano «a talescopo» iniziato ad imitare il procedimento contrattuale ammi-nistrativo. Il punto successivo cui perviene lo studioso torineseappare particolarmente rilevante: «quando cominciò ad essereusata, l’auctio privata» era «sfornita di efficacia giuridica» 101. Ilpassaggio mi sembra cruciale: ad un certo punto (ma – credo –abbastanza presto) queste trattative si reputarono coperte dallabuona fede e passarono da uno stadio precontrattuale ad unocontrattuale (ragionando in termini attualizzanti) per la tuteladell’affidamento del compratore a che si concludesse quanto siera svolto senza solennità, ma con riferimento preciso ad una

244 CAPITOLO QUARTO

suale al compimento della sua evoluzione strutturale), fondamentale per questa in-terpretazione Varr. de r. r. 2.10.4. In emptionibus dominum legitimum sex fere resperficiunt: si hereditatem iustam adiit; si, ut debuit, mancipio ab eo accepit, a quoiure civili potuit; aut si in iure cessit, qui potuit cedere, et id ubi oportuit [ubi]; aut siusu cepit aut si e praeda sub corona emit; tumve cum in bonis sectioneve cuiuspublice veniit (il riferimento precipuo è alle emptiones di schiavi, cfr. l’articolazionedel discorso varroniano da 2.10.1, che si riferisce alle caratteristiche ed all’acquistodi pastori di pecudes; il testo di Varrone conferma – mi pare – l’antico ampio si-gnificato di acquistare, anche in collegamento con le XII tavole, per l’espressionedominus legitimus).

99 In sintesi: M. TALAMANCA, s.v. «Vendita (dir. rom.)» cit. 309.100 In tema di origine cit. spec. 309 s.101 Con la specificazione: «tutto il procedimento, mirante ad ottenere l’offerta

migliore e concludentesi con la sua accettazione sarebbe cioè rientrato nelle tratta-tive precontrattuali»; cfr. anche V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita2 I cit. 75 ss.,e M. TALAMANCA, Contributi allo studio delle vendite all’asta cit. 112 con nt. 6 (cheperaltro non convincono Gallo nella parte in cui descrivono tempo e modo in cui sisarebbe riconosciuta efficacia giuridica all’auctio privata, cfr. F. GALLO, In tema diorigine cit. 309 ss.).

lex venditionis ed altrettanto precisa (e perciò stilizzata, co-stantemente affidabile) dichiarazione dell’intento di acquistareda parte del compratore. E ciò sposta il problema – mi pare –al tema processuale, in particolare alla bona fides.

Intanto, però, si può passare alla considerazione della tesiche – per l’autorevolezza del suo principale sostenitore – èoggi divenuta dominante. Se nel passato meno recente MarioTalamanca aveva seguito l’ipotesi della doppia stipulazione (inparticolare nella sua articolazione arangiana) 102, a partire dal1981 la prospettiva dello studioso romano è decisamente cam-biata. E ciò – così mi pare – a causa di un importante riverberoin campo sostanziale di una lettura processuale, in cui avevaparte importante D. 19.1.38.1 (Cels. 8 dig.) 103, che riconosceval’azionabilità ex vendito in un caso piuttosto articolato di moraaccipiendi, postulando l’esistenza della compravendita obbliga-toria consensuale per gli inizi del II secolo a. C. (e dunque fa-cendone rimontare le origini al III). Senza nemmeno esplicita-mente riportare i suoi referenti (che sono però palesi ed in uncerto senso consustanziali ad una almeno delle sue prospettivedi ricerca), Talamanca 104 opera una netta inversione di ten-denza, riproponendo D. 19.1.38.1 come testo riferibile allacompravendita consensuale ed allo stesso tempo rivalutando(per così dire) anche la portata giuridica del de agri cultura diCatone 105. Le più recenti critiche sulla risalenza del consensus

PROBLEMI DI ORIGINE 245

102 Si v. M. TALAMANCA, Contributi allo studio delle vendite all’asta nel mondoclassico (Roma 1954) 110 ss.

103 D. 19.1.38.1 (Cels. 8 dig.). Si per emptorem steterit, quo minus ei manci-pium traderetur, pro cibariis per arbitrium indemnitatem posse servari Sextus Aelius,Drusus dixerunt, quorum et mihi iustissima videtur esse sententia. Sul testo e le pro-blematiche sostanziali come processuali ad esso legate (e con rinvio alla principaleletteratura) si v. ampiamente infra 305 ss.

104 Costruzione giuridica cit. 20 e 317 nt. 51.105 Prudentemente, TALAMANCA esclude, invece, dalla sua prospettiva le testi-

monianze della commedia; cfr. soprattutto s.v. «Vendita (dir. rom.)» cit. 310 nt. 65,cfr. già La tipicità dei contratti cit. 50 nt. 54 (più critico nel lavoro giovanile L’arradella compravendita cit. 47 ss.).

come base obbligatoria dei contratti cd. del ius gentium risul-tano superate e recuperata l’opinione circa la natura ab origineconsensuale della compravendita, che viene riportata al III se-colo a. C. e, per la particolarità del rapporto di fatto risolto daSesto Elio, anche ad un periodo precedente. Il punto centraledi tale interpretazione sta nella valutazione ampia del ruologiurisdizionale del pretore (in primo luogo del cd. pretore pe-regrino), procedendosi 106 ad un avvicinamento tra le originidel contratto consensuale e l’introduzione del pretore pere-grino, per causa dei sempre più intensi rapporti mercantili discambio svoltisi prevalentemente tra cittadini romani e stra-nieri (ovvero tra peregrini a Roma) nel periodo del primo va-sto espansionismo mediterraneo. Questa idea si collega con laprospettiva di ius gentium, che sarà ricorrente nella giurispru-denza del principato proprio nella definizione dei cd. contratticonsensuali (ed in particolare della compravendita).

Tale affascinante ricostruzione pone un problema piutto-sto rilevante: quello dei rapporti dei Romani tra di loro primadella ricezione nella iurisdictio del pretore urbano della rego-lamentazione sviluppatasi nell’ambito di quella del pretore pe-regrino. Non è però postulabile che prima dell’istituzione delsecondo pretore, e perfino in età più antica, non si ricorresseallo scambio economico di cosa contro denaro (dunque, in ter-mini giuridici stabilizzati: res o merx contro pretium) tra Ro-mani, né mi pare convincente una riduzione di tali rapportialla mancipatio (peggio che mai alla in iure cessio) – a prescin-dere dal problema della mancipabilità delle res nec mancipi –ed alla permutatio (quest’ultima, peraltro, difficilmente azio-nabile).

246 CAPITOLO QUARTO

106 Naturalmente in tale prospettiva è certamente da accettare il ruolo dellaiurisdictio; a quanto mi sembra, invece, è alquanto improbabile l’assunto che vedecome centrale l’opera del cd. pretore peregrino, il quale è introdotto dopo il 242a. C. (per i problemi di datazione si v. C. CASCIONE, ‘Tresviri capitales’ cit. 4 nt. 7)e stenta a stabilizzarsi come magistrato giusdicente fino agli inizi del II secolo a. C.(dunque all’età piena di Sesto Elio, che mostrerebbe invece la prassi già tra civesdella compravendita consensuale e dunque la relativa stratificazione di regole).

3. Plauto, Catone e le origini della compravendita consen-suale. – Per una valutazione attenta della storiografia novecen-tesca in tema di origini della compravendita consensuale bi-sogna considerare uno studio di Luigi Labruna apparso nel1968 107. La prospettiva è particolarmente utile, perché nel sag-gio è proposta allo stesso tempo una scrupolosa valutazione(sia pure sintetica) delle fonti che tradizionalmente si addu-cono come testimonianze più risalenti dell’emptio venditio (lecommedie di Plauto, l’opera giuridica di Manio Manilio, il deagri cultura di Catone) ed una attenta rassegna della dottrinaromanistica sul tema delle origini dei contratti consensuali(con particolare riguardo alla compravendita). Bisogna direche la prospettiva di Labruna si innesta in una tradizione distudi improntata piuttosto allo scetticismo; significativo, in talsenso – proprio in apertura del saggio –, l’efficace richiamo agli«sforzi» e insieme alla «fantasia» degli «autori moderni», colti«nel tentativo di sorprendere in fonti antichissime, spesso atec-niche, il momento di quella genesi». Il problema storiograficoviene proposto attraverso la verifica dell’esistenza di «possibi-lità concrete» di utilizzare prima correttamente e poi (eventual-mente) con frutto le testimonianze più di frequente citate nellastoriografia romanistica.

L’analisi deve cominciare dalle commedie plautine. La let-teratura stratificatasi sulla domanda se Plauto abbia utilizzatoil diritto romano nelle sue fabulae è ormai sterminata 108 e co-

PROBLEMI DI ORIGINE 247

107 Ma era stato approntato nel 1966 come traccia della parte speciale del corsodi «Storia delle fonti» tenuto dallo studioso presso il Centro di Studi romanisticiVincenzo Arangio-Ruiz di Napoli, allora diretto da Antonio Guarino (cfr. V. GIUF-FRÈ, Who’s who. Il Centro Arangio-Ruiz, in Opuscula 6 a c. di A. ADAMO [1995] 7),nel semestre estivo del 1966 (cfr. A. SCHIAVONE, I corsi del «Centro Arangio-Ruiz»,in Labeo 12 [1966] 418). Si trova pubblicato in Labeo 14 (1968) 24 ss., e poi in Studiin onore di E. Volterra V (Milano 1971) 23 ss. [=Adminicula3 (Napoli 1995) 179 ss.].

108 Si possono ricordare E. I. BEKKER, De emptione et venditione quae Plautifabulis fuisse probetur (Berolini 1853) 3 ss.; ID., Die römische Komiker als Rechts-zeugen, in ZSS. 13 (1892) 53 ss.; G. DEMELIUS, Plautinische Studien III. Consen-sual- und Realcontract, in ZRG. 2 (1863) 177 ss.; E. COSTA, Il diritto privato ro-mano nelle commedie di Plauto (Torino 1890, rist. Roma 1968); L. PERNARD, Le

stituisce per così dire il coté giuridico di uno dei temi elettividella ricerca plautina, e cioè quello dell’originalità. Non vi sipuò indugiare troppo, però: il lungo elenco predisposto più diun secolo fa da Emilio Costa 109 è un utile repertorio, nonmolto di più. Il monito implicito di Mario Talamanca 110, chedeliberatamente ha escluso dalla sua trattazione enciclopedicasulla vendita le testimonianze plautine (ed anche quelle – in-vero comunque meno rilevanti – di Terenzio) non può restaresenza effetto. Eppure emerge, da una messe di contesti preva-lentemente generici, difficilmente affrontabili sub specie iuris,ovvero che certamente il Sarsinate mutuò dai suoi referentidella commedia attica «media», qualche spunto che mi pare si

248 CAPITOLO QUARTO

droit romain et le droit grec dans le théâtre de Plaute et de Terence (Lyon 1900);M. BERCEANU, La vente consensuelle dans les comédies de Plaute (Paris 1907);W. M. GREEN, Greek and Roman Law in the Trinummus of Plautus, in Cl.Ph. 24(1929) 192 ss.; FR. SCHULZ, Storia della giurisprudenza romana (trad. it. Firenze1968) 24 ss.; R. DARESTE, Le droit romain et le droit grec dans Plaute [1892, 1900],in Études d’histoire du droit2 (Paris 1926) 149 ss.; FR. LEO, PlautinischeForschungen zur Kritik und Geschichte der Komödie (Berlin 1895) 123 ss.; O. FRE-DERHAUSEN, De iure Plautino et Terentiano I (Diss., Gottingae 1906); ID., WeitereStudien über das Recht bei Plautus und Terenz, in Hermes 47 (1912) 199 ss.; J.PARTSCH, Römisches und griechisches Recht in Plautus Persa, in Hermes 25 (1910)595 ss.; FR. PRINGSHEIM, Der Kauf mit fremden Geld (Leipzig 1916) 34 ss.; ID., TheGreek Law of Sale cit. 419; M. TALAMANCA, L’arra della compravendita in dirittogreco e in diritto romano (Milano 1953) 47 ss.; ID., Contributi allo studio delle ven-dite all’asta cit. 108 ss. (v. anche ID., La tipicità dei contratti romani cit. 50 nt. 54;ID., s.v. «Vendita (dir. rom.)» 310 nt. 65); F. DE MARTINO, I ‘quadruplatores’ nelPersa di Plauto, in Labeo 1 (1955) 32 ss. [=Diritto economia e società nel mondo ro-mano II. Diritto pubblico (Napoli 1996) 99 ss.]; U. E. PAOLI, Comici latini e dirittoattico (Milano 1962) =Altri studi di diritto greco e romano (Milano 1976) 31 ss.;C. ST. TOMULESCU, La ‘mancipatio’ nelle commedie di Plauto, in Labeo 17 (1971)284 ss.; ID., Observations sur la terminologie juridique de Plaute, in Sodalitas. ScrittiA. Guarino VI (Napoli 1984) 2771 ss.; G. ROTELLI, Ricerca di un criterio metodolo-gico per l’utilizzazione di Plauto, in BIDR. 75 (1972) 97 ss.; C. CASCIONE, ‘Tresviricapitales’ cit. spec. 29 s. nt. 95 (in particolare sulla menzione in Plauto di magistra-ture, o comunque di istituti – oggi si direbbe – del diritto pubblico); R. FIORI, Ladefinizione cit. 17 ss.

109 Il diritto privato romano nelle commedie di Plauto cit. 324 ss. Cfr. anche,ad esempio, A. F. MURISON, The Law in the Latin poets, in Atti del Congresso in-ternazionale di Diritto romano. Roma II (Pavia 1935) 632 ss.

110 Cfr. M. TALAMANCA, s.v. «Vendita (dir. rom)» cit. 310 nt. 65.

possa mettere in evidenza, soprattutto se coordinato (come sicercherà di fare soprattutto nel prosieguo di questo lavoro)con le altre fonti che descrivono la struttura dei negozi discambio nella media età repubblicana. Un ruolo più rilevanterivestono i testi che fanno riferimento alla fides bona, datoacquisito alla scienza romanistica almeno dalle indagini diWolfgang Kunkel.

Più saldi appigli mostra l’opera de agri cultura di Catone ilCensore, che contiene, com’è noto, formulari contrattuali adi-biti all’attività economica del (medio) proprietario terriero, peril buon andamento della sua azienda. Rispetto alle leges cato-niane bisogna per prima cosa sgombrare il campo dell’indagineda varie incertezze che possono inficiare la ricerca. Su piùpunti è di aiuto la storiografia, in generale antichistica, roma-nistica in particolare, i cui risultati possono ritenersi ormai certi.Tra quelli che in questa sede principalmente rilevano, si pos-sono dunque schematicamente riassumere: la datazione del deagri cultura e la sua sostanziale attribuzione al Censorio 111; ilvalore giuridico del trattato, per il collegamento con l’opera diManio Manilio, ma anche e soprattutto per la perizia giuridicadi Catone stesso 112; la riferibilità degli schemi di leges vendi-tionis delle olive pendenti (in primo luogo: si tratta della rego-lamentazione più completa ed in un certo senso paradigma-tica), dell’uva non ancora colta e del vino in doliis 113 ad ipotesi

PROBLEMI DI ORIGINE 249

111 Per tutti si v. P. CUGUSI, M. T. SBLENDORIO CUGUSI, Introduzione, inOpere di Marco Porcio Catone I (Torino 2001) 65 s.

112 Su questo punto di recente D. MANTOVANI, ‘Iuris scientia’ e ‘honores’.Contributo allo studio dei fattori sociali nella formazione giurisprudenziale del di-ritto romano (III-I sec. a. C.), in Nozione … Ricerche F. Gallo I cit. 617 ss.

113 147. Lex vini pendentis. Hac lege vinum pendens venire oportet: vinaceosinlutos et faecem relinquito. locus vinis ad K. Octob. primas dabitur; si non ante eaexportaveris, dominus vino quid volet faciet. cetera lex, quae oleae pendenti. 148.Lex vino in doliis. Vinum in doliis hoc modo venire oportet: vini in culleos sing. qua-dragenae et singulae urnae dabuntur. quod neque aceat neque muceat, id dabitur. intriduo proxumo viri boni arbitratu degustato; si non ita fecerit, vinum pro degustatoerit. quot dies per dominum mora fuerit, quo minus vinum degustet, totidem diesemptori procedent.

di vendita all’incanto 114, oltre alla configurazione giuridica del-l’affitto del pascolo 115.

La perplessità riguarda l’applicabilità a tali schemi della fi-gura della compravendita obbligatoria consensuale 116.

146.1. Oleam pendentem hac lege venire oportet. Oleapendens in fundo Venafro venibit. Qui oleam emerit, am-plius quam quanti emerit omnis pecuniae centesima acce-det, praeconium praesens SS L et oleum, Romanici p(ondo)MD, viridis p(ondo) CC, oleae caducae (modii) L, stricti-vae (modii) X – modio oleario mensum dato –, unguinisp(ondo) X. Ponderibus modiisque domini dato †iri pri pri-mae† cotulas duas. Dies argento: ex K(al.) Nov() mensumX 117.

La fonte più risalente in relazione al problema che qui in-teressa è uno scarno richiamo catoniano al luogo in cui tenere

250 CAPITOLO QUARTO

114 Basti guardare all’invito preliminare rivolto al proprietario del fondo «af-finché faccia l’auctio», e poi al tenore della frase con cui si apre la lex relativa alleolive pendenti (c. 146), il suo stile, la menzione del pagamento del praeconium dicinquanta sesterzi (problematico il riferimento all’accessio centesimae sul prezzo).

115 Lex pabulo. 149.1-2. Qua lege pabulum hibernum venire oporteat. Quavendas finis dicito. pabulum frui occipito ex Kal. Septembribus: prato sicco decedat,ubi pirus florere coeperit; prato inriguo, ubi super inferque vicinus promittet, tumdecedito, vel diem certam utique facito; cetero pabulo Kal. Martiis cedito. 2. Bubusdomitis binis, cantherio v[i]ni, cum emptor pascet, domino pascere recipitur; holeris,asparagis, lignis, aqua, itinere, actu domini usioni recipitur. Si quid emptor aut pa-stores aut pecus emptoris domino damni dederit, boni v. a. resolvat; si quid dominusaut familia aut pecus emptori damni dederit, viri boni arbitratu resolvetur. Donicumpecuniam satisfecerit aut delegarit, pecus et familia, quae illic erit, pigneri sunto. Siquid de iis rebus controversiae erit, Romae iudicium fiat.

116 Scettico (ma eccessivamente secondo M. TALAMANCA, s.v. «Vendita (dir.rom.)» cit. 307 nt. 27 [da p. 306]) L. LABRUNA, Plauto, Manilio, Catone cit. 39 ss.[=Adminicula3 cit. 192 ss.]; per la configurabilità del contratto consensuale, invece,A. WATSON, The Law of Obligations cit. 42 s., secondo il quale in particolare il c.146 fornirebbe «the best evidence for the existence of consensual sale in the time ofCato». Poi soprattutto M. TALAMANCA, La tipicità cit. 40, 48 ss. Equilibrata la re-cente presa di posizione di A. BURDESE, Catone e la vendita di vino, in SDHI. 66(2000) 272.

117 Seguito del § 2. … oleae legendae faciendae, quae locata est, et si emptor lo-carit, Idibus solvito. Recte haec dari fierique satisque dari domino aut cui iusseritpromittito, satisque dato arbitratu domini; donicum solutum erit aut ita satis datum

un iudicium, che si trova nel capitolo 149 del trattato sull’agri-cultura 118:

Cato. de agri cult. 149.8. Si quid de iis rebus controversiaeerit, Romae iudicium fiat.

Il testo appare collegato, in fine del capitolo ad essa rela-tivo, con la lex pabulo e cioè il formulario relativo alla loca-zione 119 del pascolo invernale. Sono argomenti dibattuti in sto-riografia da una parte la giurisdizione derogabile, dall’altral’oggetto del riferimento 120. Dal primo punto di vista la lette-ratura più risalente 121 sosteneva che il passo si riferisse all’e-sclusione della iurisdictio dei praefecti iure dicundo. Dopo lericerche di Simshäuser, però, si reputa che Catone esponga unarealtà nella quale si devono considerare anche le giurisdizionimunicipali 122. Da questa interpretazione discende la possibi-lità, con riguardo al II secolo a. C., di una generale possibilità

PROBLEMI DI ORIGINE 251

erit, quae in fundo inlata erunt, pigneri sunto; ne quid earum de fundo deportato, siquis deportaverit, domini esto

118 Per la datazione del de agri cultura di Catone, da ultimi P. CUGUSI, M. T.SBLENDORIO CUGUSI, Introduzione cit. 65 s., propongono il 180-175 per la reda-zione iniziale, e poi il 170-150 per una serie di revisioni (non irrilevanti).

119 Com’è noto Catone parla di venire, ma è opinione comune trattarsi (comeoltretutto è ovvio dal senso del discorso) di locazione, sul punto si cfr. per tutti,sulla base di Fest. s.v. «Vend<itiones>» [516 L.], U. VON LÜBTOW, Catos leges cit.230 ss. Ampiamente ora sul problema della terminologia nella vendita e nella loca-zione consensuali si v. R. FIORI, La definizione cit. 11 ss., con dettagliata discus-sione di fonti e letteratura; lo studioso sviluppa poi lo studio della definizione cd.‘perimetrale’ della locazione-conduzione nei confronti dell’emptio venditio spec. ap. 183 ss. (con esegesi, soprattutto, di D. 18.1.20 [Pomp. 9 ad Sab.]; Gai 3.147 e D.19.2.22.2 [Paul. 34 ad ed.]); sul recente lavoro di Fiori cfr. le letture critiche diL. PIRO, Definizioni ‘perimetrali’ e ‘locatio conductio’, in Index 29 (2001) 414 ss.;A. GUARINO, La proteiforme ‘locatio-conductio’, in Trucioli di bottega 7 (Napoli2002 [ma 2001]) 9 ss.; F. LUCREZI, in SDHI. 67 (2001) 570 ss.; I. MOLNÁR, in ZSS.119 (2002) 611 ss.; TH. MAYER-MALY, in TR. 70 (2002) 353 s.

120 Cfr. K.-H. ZIEGLER, Kompetenzvereinbarungen cit. 558 s.121 Si v. soprattutto M. WLASSAK, Der Judikationsbefehl der römischen Pro-

zesse (Wien 1921) 91 ss.; U. VON LÜBTOW, Catos leges cit. 345; G. PUGLIESE, Il pro-cesso civile II/1 (Milano 1963) 167.

122 Così W. SIMSHÄUSER, Iuridici und Munizipalgerichtsbarkeit in Italien(München 1973) 109, con l’adesione di K.-H. ZIEGLER, Kompetenzvereinbarungencit. 558 s.; cfr. M. KASER, K. HACKL, Das römische Zivilprozessrecht2 cit. 247 nt. 44.

per le parti di concordare la scelta della giurisdizione alla qualesottoporsi 123.

Ma bisogna dare maggiore rilevanza ad un dato, noto certoalla dottrina, forse però non adeguatamente considerato: ilpasso in questione costituisce l’unica clausola delle leges cato-niane in cui viene fatta menzione del luogo di svolgimento diuna controversia 124. Se guardiamo anche al luogo in cui, nel-l’ambito dell’opera Sull’agricoltura, è posta la problematica delforo competente, si può forse proporre una lettura diversa daquella tradizionale. Ci troviamo, in sostanza, alla fine del cata-logo delle leges contenute nel de agri cultura. Dopo la lex pa-bulo, infatti, troviamo solo, al capitolo 150, le ‘condizioni divendita’ del fructus ovium, poi, nei capitoli successivi, Catonepassa alla trattazione di materie diverse (propriamente agri-cole, mediche, magiche e così via). Due dati mi sembranoemergere da una valutazione del contesto. Nella generale diffi-coltà relativa alla tradizione del trattato catoniano ed alla suaordinata costituzione, sono noti i dubbi di lettura, in partico-lare del capitolo 150 125. Non è impossibile ipotizzare uno spo-stamento dopo il capitolo 150 dell’ultima parte di quello cheoggi è il 149. Tale modificazione testuale conduce, a mio pa-rere, a due risultati. Il primo è che si evita così la peculiarità(invero per me incomprensibile) che ha fino ad ora configuratola trattazione processuale della sola lex pabuli: nessun chiaromotivo giustifica, infatti, la particolarità secondo la quale, ri-spetto alla realtà rustica e municipale del de agri cultura, solole controversie relative a tale rapporto giuridico si sarebberodovute svolgere a Roma e non presso gli organi giurisdizionalidella comunità territorialmente competenti. Il secondo – colle-

252 CAPITOLO QUARTO

123 Cfr. ancora M. KASER, K. HACKL, Das römische Zivilprozessrecht2 cit. 246 s.124 Cfr., per tutti, U. VON LÜBTOW, Catos leges cit. 345: «Es ist die einzige

Klausel der Leges, die den Ort des Rechtsstreits erwähnt».125 Di recente si v. A. D’ORS, El contrato catoniano sobre el rebaño de ovejas

(Cat., ‘agr.’ 150), in BIDR. 91 (1988) 447 ss.; B. PARSI MAGDELAIN, Caton et le‘fructus ovium’, in Labeo 35 (1989) 346 ss.; R. CARDILLI, L’obbligazione di ‘prae-stare’ cit. 88 ss. (con altra bibliografia in ntt. 79 ss.).

gato con questo – è una visione organica dei rimedi processualicompresi in questa parte dell’opera catoniana.

Dunque io credo che gli arbitria del bonus vir fossero ilmezzo imposto dal venditore al compratore per giuridicizzarerapporti di fatto che stavano, in quanto tali, fuori dal diritto(mi riferisco all’accordo sullo scambio delle res nec mancipi inprimo luogo 126, ma anche all’eventuale consenso 127 sul trasferi-mento delle res mancipi). Ciò significa, a mio parere, in primoluogo un arbitrato privato, cosa che si può facilmente com-prendere a voler seguire la proposta di spostamento, nell’or-dine dei capitoli catoniani, della ‘clausola’ finale del 149: pertutte le controversie di cui il Censorio ha discusso per le quali(non potendosi per qualche motivo ricorrere all’arbitraggioprivato) ci sia bisogno del momento di controllo autoritativodel pretore romano (che dà garanzia di applicazione costantedi un diritto che si va formando proprio nella prassi giurisdi-zionale), la lite si instaura a Roma, con discussione in iure edelega della decisione ad un vir bonus, questa volta autoritati-vamente scelto dal magistrato giusdicente. Gli stessi rapporti,al tempo di Catone, avrebbero probabilmente creato grossedifficoltà di inquadramento giuridico presso gli organi dellagiurisdizione municipale: il consiglio dato all’agricoltore 128 (inuna realtà geografica che consente il giudizio a Roma) è rap-

PROBLEMI DI ORIGINE 253

126 Importante V. GIUFFRÈ, L’arcaica possessione cit. 303 ss.127 Sull’opinione di W. KUNKEL, s.v. «Mancipatio» cit. v. supra 215 ss.128 Si potrebbe pensare anche ad una sorta di prorogatio fori (si cfr. M. WLAS-

SAK, Römische Processgesetze I [Leipzig 1888] 202 s.; ID., Der Judikationsbefehl derrömischen Prozesse [Wien 1921] 91 ss.; G. PUGLIESE, Il processo civile II/1 160 ss.;K.-H. ZIEGLER, Kompetenzvereinbarungen im römischen Zivilprozessrecht, in Fest-schrift für M. Kaser zum 70. Geburtstag [München 1976] 557 ss.; R. DOMINGO,Estudios sobre el primer título del edicto pretorio II. El edicto de competencia juri-sdiccional [Santiago de Compostela 1993] 69 ss.; M. KASER, K. HACKL, Das rö-mische Zivilprozessrecht2 cit. 246 s. [ivi, in ntt. 42 ss., ulteriore bibliografia], se-condo la terminologia non romana sorta nell’ambito del ius commune: C. DEYBECK,Der Gerichtsstand der Vereinbarung in historischer und dogmatischer Darstellung[1888]), molto simile alle clausole contrattuali oggi tipiche, tesa a scoraggiare l’altraparte contraente. Ma anche in questo caso possono valere le considerazioni svoltenel testo.

portabile all’importante evoluzione della iurisdictio pretoriatra III (si rammenti sempre la stratificazione di cui le leges ca-toniane sono il frutto) e II secolo a. C. Del resto si può partiredal dato terminologico: arbitrium è differente da iudicium (an-che se ciò è vero solo in parte). Consideriamo che già con l’in-troduzione, nelle XII tavole, della legis actio per iudicis arbi-trive postulationem i due moduli decisionali, pur diversi nel-l’atteggiarsi dell’esplicazione dei poteri attribuiti al soggettoche deve sentenziare, ricevono uguale determinazione funzio-nale. Tratto che pare mantenersi a lungo nel sistema formulare,nel quale i poteri dell’arbitro presentano maggiore discrezio-nalità rispetto a quelli del iudex. Peraltro se così non fosse nonci sarebbe stato bisogno della qualificazione terminologica iu-dicia stricti iuris in contrapposizione a quelli di buona fede(che sono storicamente degli arbitria). Insomma, credo che gliarbitria possano essere ricondotti ad un genus più ampio(quello dei iudicia), che era precedente dal punto di vista sto-rico, e che – dopo l’introduzione di questi ultimi – in parte sideve specificare con il riferimento al «diritto stretto», per cui siveda la plastica efficace (notissima) contrapposizione propostada Cicerone: pro Q. Roscio 4.11 (qualificazione del iudicium:derectum, asperum, simplex; dell’arbitrium: mite, moderatum,con il riferimento, nel primo caso, al dovere del giudice di con-dannare alla somma prevista nella formula, ovvero di assol-vere; nel secondo alla possibilità della considerazione dell’ae-quius melius).

4. Il «ius vendendi» dei «praecones» cumani. – Linguaggioe diritto hanno – com’è chiaro – più punti di stretto contat-to 129. Tra l’altro la lingua è strumento del diritto e ne consentel’applicazione 130; la vita dello stesso vi è ineluttabilmente legata.

254 CAPITOLO QUARTO

129 Per alcune prospettive si v. la silloge Il linguaggio del diritto a c. diU. SCARPELLI, P. DI LUCIA, pref. di M. JORI (Milano 1994).

130 Per una classificazione dei testi giuridici «applicativi», si v. B. MORTARA

GARAVELLI, Le parole e la giustizia. Divagazioni grammaticali e retoriche su testigiuridici italiani (Torino 2001) 29 ss.

Lo scambio primitivo delle res mancipi, a Roma, si svol-geva attraverso un rituale formale strutturato attraverso ilcompimento di gesti tipici e la pronunzia di parole precise. Laforma ha una prevalenza decisa, anche se non assoluta. Lestrutture linguistiche utilizzate in tale rituale (come in tuttiquelli giuridicamente o sacralmente rilevanti) sono, natural-mente, quelle del latino, un latino in cui si riconoscono nellatradizione, talvolta, tratti arcaici. Diversa la situazione relativaalla circolazione giuridicamente lecita delle cose nec mancipi 131,in cui prevale in antico (dopo la fase ‘primitiva’ del baratto) loscambio merce prezzo (quella che con terminologia modernasi può definire vendita a contanti).

La trasmissione della proprietà (se si può utilizzare questasintesi moderna) dei beni all'interno della comunità dei cives,naturalmente, non esauriva l’ambito del traffico delle res, so-prattutto nel periodo dell’espansionismo, che non a caso mo-stra anche il modificarsi di antiche strutture giuridiche. Tuttaparticolare è la tecnica romana dell'estensione alle comunitàsottomesse del proprio diritto, un allargamento che, almenotendenzialmente, è dapprima solo parziale. Infatti «le nuovecittà romane di diritto inferiore» non divengono, con l’annes-sione (o comunque l'assoggettamento), automaticamente dei«semplici recipienti del sistema giuridico romano» 132: anche lalingua latina si diffonde solo lentamente «in modo tutt’altroche immediato e uniforme, di contro alla persistenza delle lin-gue locali» 133. Questa persistenza non si spiega solo come mera

PROBLEMI DI ORIGINE 255

131 Si v., da ultimo, la profonda e originale panoramica di V. GIUFFRÈ, L’ar-caica possessione delle ‘res nec mancipi’, in Au-delà des frontières. Mélanges W.Wołodkiewicz I cit. 303 ss. Sulla distinzione tra res mancipi e res nec mancipi nellatradizione romanistica dal medioevo alla storiografia contemporanea, ancora fonda-mentali le pagine di L. CAPOGROSSI COLOGNESI, La struttura della proprietà e laformulazione dei «iura praediorum» nell’età repubblicana I (Milano 1969) 18 ss.

132 L. CAPOGROSSI COLOGNESI, Cittadini e territorio. Cittadinanza e trasfor-mazione nella ‘civitas Romana’ (Roma 2000) 166.

133 L. CAPOGROSSI COLOGNESI, Cittadini e territorio cit. 166. Sul processo didiffusione del latino in Italia si v. anche P. A. BRUNT, Italian Aims at the Time of theSocial War (una prima versione del saggio era comparsa in JRS. 155 [1965] 90 ss.),in The Fall of the Roman Republic and Related Essays (Oxford 1988) 111 ss.; E. T.

opposizione, ‘resistenza’ di natura criptopolitica ovvero ance-strale, ma ha un livello istituzionale. «Non solo ammessa, maaddirittura voluta dai Romani, com’è, sia pure indirettamente,confermato, dal ricordo di esplicite concessioni da parte deiRomani a singole comunità di poter usare il latino (evidente-mente come lingua ufficiale). Ciò che fa pensare ad una man-cata generalizzazione di tale lingua, se non addirittura ad unaesclusione formale sancita da Roma» 134. Quest’ultima afferma-zione di Capogrossi Colognesi, che potrebbe far pensare a piùtesti che tramandano «esplicite concessioni», è invero un po’generica. Certo non si era ancora giunti alla situazione poistigmatizzata da Sant’Agostino: at enim opera data est, ut im-periosa civitas non solum iugum, verum etiam linguam suamdomitis gentibus per pacem societatis imponeret 135. L’unico ri-ferimento fornito, a proposito, dallo studioso romano, è unbrano liviano. Altri, mi pare, non ricorrono nelle fonti. Nonper questo il passo è di minore interesse, anzi.

Liv. 40.43.1 136. Cumanis eo anno petentibus permissum ut

256 CAPITOLO QUARTO

SALMON, The Making of Roman Italy (London 1982) 143 s.; A. GIARDINA, L’iden-tità incompiuta dell’Italia romana, in L’Italie d’Auguste à Diocletian (Rome 1994)[=L’Italia romana. Storie di un’identità incompiuta (Roma-Bari 1997) 42 ss.].

134 L. CAPOGROSSI COLOGNESI, Cittadini e territorio cit. 167. Cfr. anche le im-portanti considerazioni di E. PULGRAM, The Tongues of Italy (Cambridge Mass.1958) 28, 45, 265.

135 De civ. Dei 19.7. Cfr. M. VOIGT, Das jus naturale, aequum et bonum undjus gentium der Römer II. Das ius civile und ius gentium der Römer (Leipzig 1858)382 nt. 445 (con altri riferimenti alle fonti).

136 Utilizzo la numerazione proposta, tra gli altri, da J. BRISCOE nell’ultimaedizione teubneriana: Livius, ab urbe condita libri XXXI-XL tomus II (Stutgardiae1991) 759, e, ancora più di recente, da P. G. WALSH nella collana oxoniense: Titi Liviab urbe condita VI. Libri XXXVI-XL (Oxonii 1999) 328; il passo è altrimenti si-tuato nell’ultimo paragrafo (13) del capitolo 42 (naturalmente sempre del libro 40)delle Storie liviane (cfr., ad esempio, l’ed. Loeb: Livy with an English TranslationXII Books XL-XLII [London-Cambridge Mass. 1964] 134). L’allocazione propostaappare più opportuna, perché ben collega la vicenda dei Cumani con quella dei Pi-sani che immediatamente segue (su questa ultima, cfr. E. T. SALMON, The Last La-tin Colony, in CQ. 27 [1933] 30 ss.; A. N. SHERWIN-WHITE, The Roman Citizen-ship2 [Oxford 1973, rist. 1996] 78 s.; per la correzione Luna al posto di Latina sipuò aggiungere alla letteratura che la ha proposta, cfr. TH. MOMMSEN ad CIL. I nr.

publice Latine loquerentur et praeconibus Latine vendendiius 137 esset 138.

La notizia, che la storiografia ha naturalmente rilevato 139,senza però porne in evidenza tutte le implicazioni giuridi-che 140, mi sembra di importanza centrale per cogliere le di-mensioni (in particolare privatistiche) dello statuto giuridicoproprio delle comunità a vario titolo sottomesse a Roma nellaPenisola prima della guerra sociale e dell’estensione ampiadella cittadinanza 141. Non solo: credo descriva un momento

PROBLEMI DI ORIGINE 257

539 p. 147, poi E. BORMANN, in CIL. XI p. 295, che l’amanuense poteva esserestato distratto dal doppio Latine già presente nel paragrafo ed in un certo sensocondotto alla ripetizione, che peraltro ha un senso; ma la vicenda non è completa-mente chiara, per tutti si v. F. DE MARTINO, Storia della costituzione2 II cit. 97 nt.61 [da p. 96]), staccandosi piuttosto nettamente rispetto alle luttuose (ma interes-santi dal punto di vista del diritto pubblico) vicende sacerdotali ricordate nel tratto40.42.6-13.

137 La locuzione ius vendendi, che pare significare, in generale, il diritto di di-sporre della cosa, ricorre in D. 38.5.1.12 (Ulp. 44 ad ed.); D. 50.16.109 pr. (Mod. 4pand.); D. 50.17.163 (Ulp. 55 ad ed.); Liv. 38.34.2; su Tit. Ulp. 19.5, v. infra 262 nt.157. Il sinonimico ius alienandi si trova in D. 30.114.12. Più raro (il motivo giuri-dico è, però, chiaro) lo speculare ius emendi (cfr. Ps. Quint. decl. 250 [RITTER 25.28]).

138 Sul testo si v. in primo luogo l’accurato (ancora utile) commento di W.WEISSENBORN e H. J. MÜLLER, Titi Livi ab urbe condita libri …IX. Buch XXXIXund XL3 (Berlin 1909, rist. 1962) 205.

139 Si v., ad esempio, A. J. TOYNBEE, L’eredità di Annibale I. Roma e l’Italiaprima di Annibale (trad. it. Torino 1983) 123 s., 327 nt. 73; E. T. SALMON, Samniumand the Samnites (Cambridge 1967) 95 nt. 3, cfr. 305 nt. 1; J. H. D’ARMS, Romanson the Bay of Naples. A Social and Cultural Study of the Villas and Their Ownersfrom 150 B. C. to A. D. 400 (Cambridge Mass. 1970) 3 ss.; A. N. SHERWIN-WHITE,The Roman Citizenship2 cit. 43; F. SARTORI, I ‘praefecti Capuam Cumam’, in ICampi Flegrei nell’archeologia e nella storia. Atti Convegni Lincei 33 (Roma 1977)156 ss.; W. KUNKEL, R. WITTMANN, Staatsordnung und Staatspraxis II cit. 546 nt.55; L. CAPOGROSSI COLOGNESI, Cittadini e territorio cit. 167. Sui rapporti traRoma e Cuma nel periodo in questione si v. anche le riflessioni di S. MAZZARINO,La legge cumana [- - -] et iis qui in terri[torio - - -] (AÉ 1971, 89) e altri problemidi storia di Cumae, in Act. Ant. Ac. Sc. Hungar. 25 (1977) spec. 459 s.

140 Nota la «stranezza» della testimonianza liviana J. WEISS, s.v. «Kyme 3», inPWRE. XI/2 (Stuttgart 1922) 2477.

141 Non mi sembra che nelle fonti esistano attestazioni comparabili con quellain esame; comunque non le rileva la storiografia in tema di romanizzazione del-l’Italia, quella sull’espansione del latino, né tantomento quella relativa alle originidella compravendita.

decisivo della storia dello scambio (e quindi della forma di essopiù rilevante, quella che in una visuale per un momento nondel tutto storicizzata possiamo chiamare compravendita) nel-l’Italia romana.

La richiesta dei Cumani si ebbe nel 180 a. C., da parte diuna comunità che aveva mantenuto la fedeltà a Roma anchedurante le devastazioni, le sconfitte, le defezioni della secondaguerra punica 142. Cuma si trovava allora nella condizione di ci-vitas sine suffragio, costituendo un caso tipico di municipiumnon latino (dunque anche di lingua non latina) appartenentealla sfera di immediata influenza politico-giuridica di Roma 143.Interessante in modo peculiare è l’oggetto della petizione pre-sentata con tutta verisimiglianza dagli organi di governo dellacomunità municipale, attraverso un’ambasceria a Roma: di-smettere la propria lingua ‘ufficiale’ (l’osco, che evidentementeera stato introdotto nell’antica colonia greca 144 per influenzaitalica 145) ed utilizzare publice il latino. Roma 146 è la destinata-

258 CAPITOLO QUARTO

142 Vell. 1.4.2; Liv. 23.15; 23.31.10: 24.13.6. Cfr. M. HUMBERT, ‘Municipium’ et‘civitas sine suffragio’. L’organisation de la conquête jusqu’à la guerre sociale (Rome1978) 371. Per quanto riguarda la datazione della richiesta, essa avvenne sotto ilconsolato di Aulo Postumio Albino e Caio Calpurnio Pisone (Liv. 40.35.1, cfr. T. R.S. BROUGHTON, The Magistrates of the Roman Republic I cit. 387).

143 Sulla condizione giuridico-politica di Cuma, si v. M. HUMBERT, Munici-pium cit. 6 s., 9, 14 s., 195, 205, 269, 313, 352, 357 ss., 368 s., 372, 375. Per l’esem-plarità dell’antica colonia greca come municipio cfr. la menzione in Fest. s.v. «Mu-niceps» [126 L.], su cui di recente G. MANCINI, Cives Romani Municipes Latini I(Milano 1996) passim, con le rec. di V. GIUFFRÈ, La ‘res publica’ dei ‘municipia’, inLabeo 43 (1997) 480 ss.; U. LAFFI, in SDHI. 66 (2000) 461 ss.

144 Sulle origini di Cuma si v., per tutti, G. PUGLIESE CARRATELLI, Problemidella storia di Cuma arcaica, in I Campi Flegrei cit. 173 ss.

145 Cfr. Vell. 1.4.2. Cumanos Osca mutavit vicinia.146 L. LANGE, Römische Alterthümer II2 (Berlin 1867) 405, rapporta il caso (e

dunque la petizione dei Cumani) alla preponderanza costituzionale del Senato, alquale si sarebbero riferite le comunità giuridicamente o di fatto sottoposte allo«Stato romano» («so erlieh er z.B. den Cumanern das Recht sich officiell der latei-nischen Sprache zu bedienen»), cfr., sostanzialmente nello stesso senso, W.KUNKEL, R. WITTMANN, Staatsordnung und Staatspraxis II cit. 546 nt. 55 (non mipare riferiscano piuttosto la richiesta al popolo TH. MOMMSEN, Geschichte desrömischen Münzwesens [Berlin 1860, rist. Graz 1956] 336, ID., Die UnteritalischeDialekte [Leipzig 1850] 107, M. VOIGT, Das jus naturale, aequum et bonum und jus

ria della duplice richiesta da una parte in quanto titolare d’unrapporto di supremazia nei confronti del municipium, ma an-che perché appare come la depositaria della possibilità di uti-lizzazione della lingua latina 147. E la richiesta dei Cumani vieneriportata da Livio con una pregnante specificazione. Due sonoi punti a mio parere centrali che emergono dal testo e che pos-sono per un momento essere considerati separatamente 148: laprima espressione che compare nel passo liviano (publice La-tine loqui) appare indicare che i Cumani volevano trattare nellalingua di Roma qualsiasi questione politico-amministrativa cheli mettesse in relazione con la civitas dominante, e con altre co-munità e soggetti (e ciò con ogni probabilità coinvolgeva l’at-tività giuridica di competenza dei prefetti giurisdizionali in-viati nelle comunità della Campania 149). Il secondo pregnantesegmento del testo (praeconibus Latine vendendi ius esset)contiene una richiesta più precisa (e probabilmente più impor-tante, nell’immediato, per i Cumani), che riguarda in parti-colare le attività di vendita, nel territorio cumano, tramite ban-ditore: aste e vendite pubbliche. Oltre la sfera per dire così po-litica (che contiene l’esercizio dell’attività giurisdizionale), la

PROBLEMI DI ORIGINE 259

gentium der Römer II cit. 32 s. e nt. 18, come sembrerebbe dalla lettura di L.LANGE, l.u.c.).

147 Appare dunque come egemone tra quelle comunità che naturalmente uti-lizzavano quella lingua, e cioè i Latini, il che non desta meraviglia a seguito delle ul-time vicende della Lega latina e la sostanziale sottomissione a Roma del nomendopo il 338 a. C.

148 Cfr. F. SARTORI, I ‘praefecti Capuam Cumas’ cit. 157.149 Si v., in primo luogo, Fest. s.v. «Praefecturae» [262 L.]; sui praefecti Ca-

puam Cumas si v. W. KUNKEL, R. WITTMANN, Staatsordnung und Staatspraxis IIcit. 540 ss. (ove ulteriori riferimenti). Proprio il passo liviano in questione ha fattopensare a P. A. BRUNT, Italian Manpower 225 B.C.-A.D. 14 (Oxford 1971) 532, cheil 180 sia da considerare terminus post quem per l’estensione a Cuma della giurisdi-zione dei prefetti inviati da Roma; sul punto si v. F. SARTORI, I ‘praefecti CapuamCumas’ cit. 156, con un riferimento all’opinione di P. FRACCARO, L’organizzazionepolitica dell’Italia romana, in Atti del Congresso internazionale di Diritto romano(Roma, 22-29 aprile 1933) I (Pavia 1934) 200 s. [=Opuscula I (Pavia 1956) 107 s.],relativa alla natura «alloglotta» dei cives sine suffragio (per quanto riguarda il pro-blema della civitas sine suffragio, in questa sede non si può far altro che rinviare allostatus quaestionis che si trova in A. N. SHERWIN-WHITE, The Roman Citizenship2

cit. 28, cui adde L. CAPOGROSSI COLOGNESI, Cittadini e territorio cit. 87 ss.

disponibilità del latino come lingua ufficiale (come «Amtsspra-che», secondo un’autorevole interpretazione 150; dunque nonsolo «Geschäftssprache») sembra praticamente finalizzata alfatto che i praecones, i pubblici banditori della città 151, potes-sero svolgere la loro attività, qualificata con vocabolario cheappare tecnico, come ius vendendi, proprio nella lingua diRoma (e dei Romani, che certamente costituiscono il ceto im-prenditoriale dominante nell’Italia postannibalica 152). Ciò puòsignificare che l’uso (publice) del latino rappresentava in quel-l’epoca uno strumento giuridicamente rilevante. Evidente-mente, prima della concessione della possibilità di parlare la-tino nella dizione degli atti ufficiali, la vendita pubblica da

260 CAPITOLO QUARTO

150 W. KUNKEL, R. WITTMANN, Staatsordnung und Staatspraxis II cit. 546nt. 55; cfr. gia J. WEISS, s.v. «Kyme 3» cit. 2477.

151 Sui praecones: TH. MOMMSEN, Römisches Staatsrecht I3 cit. 366 ss.; A. H.M. JONES, The Roman Civil Service (Clerical and Subclerical Grades), in JRS. 39(1949) 38 ss.; K. SCHNEIDER, s.v. «Praeco», in PWRE. XXII/1 (Stuttgart 1953) 1193ss.; C. SAUMAGNE, Le droit latin et les cités romaines sous l’empire (Paris 1965) 33ss.; H. G. GUNDEL, s.h.v., in Kl.Pauly IV (München 1972, rist. 1979) 1095; F. HI-NARD, La ‘pro Quinctio’, un discours politique?, in REA. 77 (1975) 88 ss., ID., Re-marques sur les praecones et le praeconium dans la Rome de la fin de la République,in Latomus 35 (1976) 730 ss.; N. PURCELL, The ‘apparitores’: a study in social mo-bility, in PBSR. 38 (1983) spec. 147 s.; J. MUÑIZ COEHLO, Empleados y subalternosde la administración romana II. Los ‘praecones’, in Habis 14 (1983) 117 ss.; B.COHEN, Some neglected ‘Ordines’: The Apparitorial Status-Groups, in Des ordres àRome éd. CL. NICOLET (Paris 1984) 23 ss.; N. K. RAUH, Auctoneers and the Romaneconomy, in Historia 38 (1989) 451 ss.; M. VARVARO, Per un’interpretazione della‘lex de XX quaestoribus’, in AUPA. 43 (1995) 577 ss.; ID., Di nuovo sulla ‘lex de XXquaestoribus’, in AUPA. 45.2 (1998) 457 ss.; L. DE LIBERO, s.v. «Praeco», in DNP. X(Stuttgart-Weimar 2001) 237; sulle vendite all’asta sub praecone cfr. M. TALA-MANCA, Contributi allo studio delle vendite all’asta cit. passim; G. THIELMANN, Dierömische Privatauktion (Berlin 1961); ed ora (con particolare attenzione al datodocumentario attestato nelle tavolette cerate puteolane dell’archivio dei Sulpicii)G. CAMODECA, Tabulae Pompeianae Sulpiciorum I (Roma 1999) 185 ss.

152 Basti il rinvio all’XI capitolo (dal titolo significativo: «I nuovi uomini d’af-fari romani») dell’ormai classico A. J. TOYNBEE, L’eredità di Annibale II. Roma e ilMediterraneo dopo Annibale (trad. it. Torino 1983) 418 ss.; cfr. anche le più recentimesse a punto generali di G. CLEMENTE, L’economia imperiale di Roma, in A.SCHIAVONE (dir.), Storia di Roma II. L’impero mediterraneo 1. La repubblica impe-riale (Torino 1990) 365 ss.; D. FORABOSCHI, L’economia tra la fine della repubblicae l’impero, in AA.VV., Introduzione alla storia di Roma (Milano 1999) 152 ss.; A.ZIOLKOWSKI, Storia di Roma (Milano 2000) 182 ss.

parte dei banditori municipali non poteva effettuarsi in quellalingua. Se così non fosse, se fosse invece esistita una prassiinformale relativa alla possibilità di utilizzare publice il latino,la richiesta non avrebbe avuto senso (e, dunque, Livio non l’a-vrebbe tramandata 153). Non si tratta quindi d’una mera que-stione di fatto: l’uso della lingua latina ha valore in riferimentoal diritto applicabile. E non si tratta neppure di una questionemeramente economica (anche se è chiaro che la base econo-mica del problema è di primaria rilevanza 154). Attraverso il la-tino, la struttura della compravendita poteva avvicinarsi aquella propria di Roma e (forse) ricevere la stessa tutela 155, o

PROBLEMI DI ORIGINE 261

153 Sulla rilevanza della tradizione, di probabile derivazione annalistica, si v. legiuste osservazioni di F. SARTORI, I ‘praefecti Capuam Cumas’ cit. 157, che la mettein relazione con le richieste presentate nel 189 e nel 188 a Roma dai Campani (Liv.38.28.4, 38.36.5-6; Liv. Ep. Ox. 38 lin. 17 ROSSBACH, su cui H. GALSTERER, Herr-schaft und Verwaltung. Die Beziehungen Roms zu den italischen Gemeinden vomLateinerfrieden 338 v. Chr. bis zum Bundesgenossenkrieg 91 v. Chr. [München1976] 77 s.): per lo studioso patavino le petizioni dei traditori capuani avrebbero fo-mentato quelle dei fedeli Cumani, tesi alla «sensibilizzazione del governo o del se-nato romano» nei confronti di una comunità «che si dichiarava ormai matura perconseguire la pienezza dei diritti». Secondo GALSTERER, Herrschaft und Verwal-tung cit. 142 nt. 83, l’uso ufficiale del latino avrebbe potuto contribuire a far recu-perare a Cuma una posizione privilegiata come centro commerciale dell’area cam-pana, rispetto alla sempre crescente importanza di Puteoli ove (come del resto aVolturnum e Liternum) si erano da un quindicennio dedotte colonie romane, cfr.W. KUNKEL, R. WITTMANN, Staatsordnung und Staatspraxis II cit. 546 nt. 55; mettein relazione la richiesta dei Cumani con la fondazione di Puteoli, di recente, ancheE. LO CASCIO, L’integrazione dell’altro: omologazione e persistenza della diversitànella dinamica della romanizzazione, in Euroal. L’alterità nella dinamica delle cul-ture antiche e medievali: interferenze linguistiche e storiche nel processo della for-mazione dell’Europa. Atti del Convegno [Milano, 5-6 marzo 2001] (Milano 2002) 96.

154 Non credo, dunque, si possa accedere all’opinione di J. H. D’ARMS, Ro-mans on the Bay of Naples cit. 3, che appiattisce la sua interpretazione sull’aspettoeconomico (soprattutto non credo all’illazione, ibid. nt. 14, secondo la quale «Livymay even have found a reference in his source to the economic fact that the praeco-nes were officially permitted to employ Latin, and expanded that fact, to the grea-ter glory of Rome, into a statement that the entire town was eager for the privi-lege». La prospettiva dello storico patavino – e dunque della sua fonte – mi parepiuttosto di natura costituzionale).

155 Sull’uso del latino come strumento di espansione giuridica si v. L. CAPO-GROSSI COLOGNESI, La complessità come sistema dell’unificazione dell’Italia ro-mana, in Studi alessandrini in onore di B. Conforti settuagenario (Napoli 2000) 10 s.

almeno una qualche forma di tutela. Anche in riferimento allarigidità dell’uso della lingua propria da parte dei magistrati diRoma, attestata in particolare pure per l’esercizio della fun-zione giurisdizionale 156. I Cumani volevano la possibilità di at-tingere (con la garanzia della tutela del traffico generatosi nellevenditiones che si tenevano nel loro territorio), attraverso l’usodel latino, ad un istituto proprio del diritto romano, ma che(verisimilmente) poteva essere applicato anche al di fuori deglistretti rapporti tra cives. Questo istituto chiaramente non erala mancipatio 157 e neppure la compravendita consensuale nellesemplici forme del consenso comunque prestato, che cono-sciamo per il diritto classico.

Appare abbastanza chiaro come questa notizia e la relativaconseguenza costruttiva (che non mi sembrano fino ad ora la

262 CAPITOLO QUARTO

e nt. 16; G. TIBILETTI, Diritti locali nei municipi d’Italia e altri problemi, ora in Sto-rie locali dell’Italia romana (Pavia 1978) 171. Per il mantenimento a Cuma, nell’usocomune, dell’osco si v. M. HUMBERT, Municipium cit. 403 (con bibliografia in nt. 5).

156 Cfr. l’importante (anche se isolata) testimonianza in D. 42.1.48 (Triph. 2disp.). Decreta a praetoribus Latine interponi debent (secondo me non limitabile alprocesso cognitorio ed ai soli «Spazialprätoren», come – credo per stretta aderenzaal contesto giurisprudenziale di provenienza – sostengono M. KASER, K. HACKL,Das römische Zivilprosessrecht2 cit. 494 nt. 4). Più in generale (e con connotazioniper così dire imperialistiche) Val. Max. 2.2.2, Liv. 45.29.

157 Non varrebbe l’assunzione delle fattispecie contemplate nella richiesta cu-mana nell’alveo della mancipatio attraverso il richiamo a Tit. Ulp. 19.4-5, in cui ilius emendi vendundique in quanto commercium (pur se espresso con la terminolo-gia tipica del negozio consensuale) può sembrare ridotto, appunto, all’atto librale(Mancipatio locum habet inter cives Romanos et Latinos coloniarios LatinosqueIunianos eosque peregrinos, quibus commercium datum est. 5. Commercium estemendi vendundique invicem ius), e ciò perché – come si è visto – i Cumani, nel 180a. C. erano cittadini romani (sia pure sine suffragio) e come tali già abilitati a porrein essere mancipazioni. Sul testo, comunque molto importante per la storia delnesso diritto-economia fin dall’età repubblicana si v. almeno, da diversi punti di vi-sta, P. CATALANO, Linee del sistema sovrannazionale romano I (Torino 1965) 108ss.; G. LURASCHI, ‘Foedus, ius Latii, civitas’. Aspetti costituzionali della romanizza-zione in Transpadania (Padova 1979) 267 ss.; L. CAPOGROSSI COLOGNESI, ‘Ius com-mercii’, ‘connubium’, ‘civitas sine suffragio’. Le origini del diritto internazionale pri-vato e la romanizzazione delle comunità latino-campane, in A. CORBINO (cur.), Lestrade del potere. ‘Maiestas populi Romani’, ‘Imperium’, ‘Coercitio’, ‘Commercium’(Catania 1994) 19 ss. (alla bibliografia sul commercium, in nt. 35 a p. 58, adde oraTH. MAYER-MALY, ‘Commercium’, in TR. 71 [2003] 1 ss.).

prima mai riportata, la seconda mai proposta da quanti si sonooccupati dell’origine della compravendita) si connettano inqualche modo con l’ipotesi mommseniana. Non nel senso diuna immediata derivazione dal pubblico al privato, ma almenoper ciò che riguarda l’adozione diffusa e consolidatasi in etàpiuttosto risalente, nei rapporti di scambio tra privati (credo inprimo luogo tra cives) dello schema della lex (precetto stabiliz-zato in un determinato enunciato linguistico) come momentoparadigmatico proposto da una delle parti, al quale l’altra deve,in via di principio (e – ovviamente – volendo addivenire al ri-sultato economico) conformarsi (salva la possibilità di una fasedi ‘contrattazione’, che in sostanza serve a modificare i terminidella proposta) 158. È chiaro come – in tale contesto – il datodella comprensione (gestuale, linguistica) sia di primaria im-portanza.

Il punto più rilevante, con riferimento all’uso della lingualatina, mi pare da rinvenirsi in una comparabilità della venditaall’asta da parte dei praecones con le leges venditionis che sonoattestate per un’epoca di poco successiva (ma sostanzialmentequasi contemporanea) a quella dell’ottenimento da parte deiCumani della possibilità di utilizzazione ufficiale della lingualatina. Lo snodo centrale mi sembra il seguente: poter riferirela volontà dell’acquirente ad un elemento in qualche modoformalizzato da parte del venditore. È chiaro come rispetto atale incontro di volontà (quella del venditor maggiormente sta-bilizzata nella lex venditionis) potevano accedere stipulazionirelative all’attuazione, nel particolare, del programma contrat-tuale, con riguardo, ad esempio, al differimento del pagamentodel prezzo (e rispettivamente della consegna della cosa), ov-vero a garanzie relative all’esecuzione della prestazione.

5. Varrone e l’«emptio» delle «oves». – Dunque nel II se-colo a. C. esistevano mezzi giuridici differenti dalla mancipatio

PROBLEMI DI ORIGINE 263

158 Per l’ipotesi di Mommsen cfr. supra 239 ss. Sui diversi punti relativi al rap-porto tra offerta e domanda, più in dettaglio, si v. infra 263 ss.

e dalla compravendita a contanti delle res nec mancipi, utiliz-zati per il trasferimento di cose contro prezzo. La loro strut-tura, che non ha acquisito ancora tutta la elasticità ed ampiezzadi applicazione derivante dall’attivazione per mezzo del meroconsenso, si costruisce su espressioni linguistiche, che per es-sere conformi devono risultare comprensibili a tutte le parti edagli eventuali testimoni. Il latino conferisce, in più, agevole co-noscibilità da parte del magistrato che controlla la transazione(in particolare il giusdicente romano, ovvero il suo delegatonelle realtà italiche municipali). Un rapporto, non di certo di-retta discendenza, ma di rassomiglianza (cosa che può esseresintomo di influenza, ma senza che se ne possa con certezzadefinire la direzione) può operarsi con i contratti a caratterepubblicistico.

Una fonte particolarmente rilevante per comprenderequello che appare un importante punto di passaggio alla com-pravendita consensuale è costituita da «una piccola scena dimercato, che si svolge sotto i nostri occhi in maniera moltoprecisa e molto realistica» 159, tramandata da Varrone Reatino:

de r. r. 2.2.5-6. In emptionibus iure utimur eo, quo lexpraescripsit. In ea enim alii plura, alii pauciora excipiunt.Quidam enim, pretio facto in singulas oves, ut agni cordiduo pro una ove adnumerentur, et si quoi vetustate dentesabsunt, item binae pro singulis ut procedant. De reliquoantiqua fere formula utuntur. Cum emptor dixit ‘Tantisunt mihi emptae?’ et ille respondit ‘Sunt’ et expromisitnummos emptor, stipulatur prisca formula sic: 6. ‘Illasceoves, qua de re agitur, sanas recte esset, uti pecus ovillum,quod recte sanum est extra luscam surdam minam, id estventre glabro, neque de pecore morboso esse haberequerecte licere, haec si recte fieri spondesne?’. Cum id factumest, tamen grex dominum non mutavit, nisi si est adnume-ratum; nec non emptor pote ex empto vendito illum dam-

264 CAPITOLO QUARTO

159 Cfr. CH. GUIRAUD, in Varron, Économie rurale. Livre II (Paris 1985) 101nt. 18.

nare, si non tradet, quamvis non solverit nummos, ut illeemptorem simili iudicio, si non reddit pretium.

Nel secondo libro del suo trattato de re rustica, Varrone siaccinge ad occuparsi della compravendita di oves 160. Il testoimplica una serie di problemi. Dapprima bisogna valutarnel’antichità e la possibile attribuzione. È chiaro, dalla funzionedel testo come anche dal riferimento espresso ad una tradi-zione, che Varrone non concepisce nulla di nuovo: l’erudito è,anche in tale caso, un tramite. A questo proposito appare sicu-ramente da seguire l’opinione di Talamanca, che sostiene l’«in-sistere di Varrone – in questa parte della sua opera – sul carat-tere risalente dei modelli ... adoperati» 161, non assumendo nelcaso un rinvio cronologico all’opera di Manio Manilio, allaquale «difficilmente si addicevano, al tempo di Varrone, le ag-gettivazioni di antiqua e prisca» 162 (il riferimento è alla for-

PROBLEMI DI ORIGINE 265

160 Il Reatino, descrivendo l’utilità di diverse specie animali per l’agricoltura(intesa in senso lato: vi si comprende anche l’allevamento del bestiame e la com-mercializzazione dei beni che provengono dalle attività primarie), s’occupa - in ma-niera più o meno diffusa – dell’acquisto (e quindi della compravendita) delle stesse:capre (2.3.5), maiali (2.4.5), boves (2.5.10-11), asini (2.6.3), cavalli (2.7.6), cani(2.9.7). Per gli schiavi (sull’ideologia varroniana, che quasi li accomuna agli animali,de r. r. 1.17.1, si v. W. HÜBNER, Varros instrumentum vocale im Kontext der antikenFachwissenschaften [Mainz 1984] 5 ss.; ID., Platons Seelengespann und Varros aku-stische Dreiteilung, in Rh. Mus. N.F. 133 [1990] 412 s.; altra letteratura in D. FLACH,in Varro, Gespräche über die Landwirtschaft I [Darmstadt 1996] 270) si v. in parti-colare de r. r. 2.10.4-5 (interessante il fatto che questo sia l’unico caso - anche tra al-tre res mancipi - in cui l’erudito fa riferimento a mezzi di trasferimento civilistici, inparticolare alla mancipatio). In generale si v. M. TALAMANCA, Costruzione giuridicacit. 19. Sia pure sinteticamente, sulle particolarità dei formulari: M. TALAMANCA, Latipicità dei contratti romani fra ‘conventio’ e ‘stipulatio’ fino a Labeone, in Contrac-tus e pactum. Tipicità e libertà negoziale nell'esperienza tardo-repubblicana AttiCopanello 1988 a c. di F. MILAZZO (Napoli 1990) 63 nt. 102. Cfr. anche A. CENDE-RELLI, Varroniana. Istituti e terminologia giuridica nelle opere di M. Terenzio Var-rone (Milano 1973) 144 ss., che invero non va molto oltre un’elencazione dei passie di qualche problema; sul lavoro di Cenderelli si v. la rec. di L. LABRUNA, in Iura24 (1973) 345 ss. [=Adminicula3 cit. 265 ss., con il titolo Varrone giureconsulto?].

161 M. TALAMANCA, La tipicità dei contratti romani cit. 64 nt. 107.162 M. TALAMANCA, l.u.c. Si può notare come la locuzione formula antiqua ri-

corra specie con riferimento a contesti di diritto internazionale: Liv. 26.24.7,

mula della vendita, sulla quale ci si soffermerà tra breve). Nonè impossibile, peraltro, che la fonte di Varrone fosse proprioManilio, che avrebbe già potuto recepire prassi più antiche edegli stesso qualificare la formula (dunque quella stabilizzatasinella sua opera scritta) per la sua antiquitas 163.

La formula, così antica, era tuttavia ancora in uso ai tempidi Varrone 164, seppur inserita in una nuova realtà che maggior-mente appare corrispondere ad una tensione verso la sistema-zione della consensualità della compravendita obbligatoria. Ilpunto è rilevante in connessione con la doppia valutazione chesi deve operare tra le prassi negoziali diffuse tra i «laici» e la di-stillazione giuridica, che diviene particolarmente efficace pro-prio con il I secolo a. C.

Ma bisogna seguire il testo. Il riferimento al ius che viene

266 CAPITOLO QUARTO

32.33.7, 33.38.1, 34.57.8. Nella nota narrazione ciceroniana della causa Curiana(Brut. 52.195), l’espressione sta ad indicare le formalità successorie del ius civilemenzionate da Mucio Scevola per avvalorare la posizione degli agnati di Coponio;da ultimo sul problema: G. FINAZZI, La sostituzione pupillare (Napoli 1997) spec.87 ss.

163 In Costruzione giuridica e strutture sociali cit. 308 nt. 16, M. TALAMANCA

sembra addurre la complessità della formula in questione, pur non esplicitamente«riportata» a Manilio, come elemento che potrebbe avvicinarla all’opera maniliana,dal «carattere particolareggiato, per non dire atomistico», funzionale all’adattamen-to «alle diverse caratteristiche dell’oggetto del negozio» (cfr. anche nt. 36 a p. 316s.). Il testo varroniano non è preso in considerazione da L. LABRUNA, Plauto, Ma-nilio, Catone cit. 24 ss. [=Adminicula3 cit. 179 ss.] (eppure è trascritto da C. G.BRUNS, Fontes iuris Romani antiqui II. Scriptores post curas TH. MOMMSENI ... edi-dit O. GRADENWITZ [Tubingae 1909] 63). Nota solo l’estraneità di questo uso deltermine formula rispetto all’editto pretorio (ma non rilevando il problema dell’an-tichità, rispetto ad altre testimonianze tardorepubblicane) D. CONSO, ‘Formula’dans le cadre de la procédure formulaire, in E. HERMON (éd.), Pouvoir et ‘im-perium’. Actes du Colloque F.I.É.C. 24-26 août 1994, Université Laval (Napoli1996) 48.

164 Cfr. U. VON LÜBTOW, Catos ‘leges venditioni et locationi dictae’ cit. 369;M. TALAMANCA, La tipicità cit. 64. Sulla datazione del de re rustica varroniano, chepuò essere precisa nel termine ante quem non (grazie all'esplicita dizione della pre-fazione: de r. r. 1.1.1. … Annus enim octogesimus admonet me ...), cfr. da ultimo D.FLACH, in Varro, Gespräche2 I cit. 7 ss., anche contro critiche retrodatanti, ad esem-pio: R. MARTIN, Recherches sur les agronomes latins et leur conceptions économiqueset sociales (Paris 1971) 219 ss.

utilizzato nelle emptiones (consideriamo sempre il valore in li-nea di principio neutro di questo termine, specie in scritti risa-lenti e non tecnico-giuridici) delle pecore, non è ad una normagenerale o a prescrizioni ordinamentali, ma ad una lex contrac-tus 165, che naturalmente corrispondeva ad una prassi ampia-mente diffusa, evidentemente in primo luogo nel territorio la-ziale. In tale lex 166, che si rappresenta come un formulario percosì dire ‘elastico’, il quale ha come semplice nucleo centrale ladeterminazione di un prezzo, alcuni moltiplicano le clausole,altri ne inseriscono invero poche 167. Segue un esempio: qual-cuno, stabilito precedentemente il prezzo per ciascuna pecora(questa mi sembra dunque, nel caso di specie, la parte ve-ramente essenziale della lex: che vi sia un prezzo certo percapo 168), aggiunge una clausola (così mi sembra da rendere il

PROBLEMI DI ORIGINE 267

165 Sul rapporto tra la lex, che crea il ius, ed il successivo contratto si v. le sug-gestive riflessioni di A. MAGDELAIN, La loi à Rome cit. 40 s., la legge (che è ten-denzialmente atto autoritativo imposto dal venditore ad imitazione della lex censo-ria, ma è possibile per il compratore collaborare alla formulazione della stessa: nt.84 a p. 41) determina un ‘diritto’ rispetto al quale le parti sono obbligate e sul qualesi informa il rapporto contrattuale. Naturalmente è da tenere presente l’imposta-zione generale di Magdelain sulla lex (cfr. anche ID., Le XII tables et le concept deius, in Zum römischen und neuzeitlichen Gesetzesbegriff [Göttingen 1987] 14 ss.),rispetto alla quale peraltro non sono mancate le critiche, si v. le rec. di R. SANTORO,in Iura 29 (1978) 279 ss.; P. FREZZA, in SDHI. 45 (1979) 649 ss.; J. GAUDEMET, inRHDFE. 58 (1980) 81 ss.; L. R. F. GERMAIN, in AC. 49 (1980) 495 ss.; J.-CL. RI-CHARD, in REL. 58 (1980) 636 ss.; F. BETANCOURT, in AHDE. 51 (1981) 719 ss.;J. HELLEGOUARC’H, in Latomus 40 (1981) 171.

166 Sul rapporto con le leges contrattuali catoniane si v., di recente, É. JAKAB,‘Praedicere’ und ‘cavere’ beim Marktkauf. Sachmängel im griechischen und römi-schen Recht (München 1997) 157: «Mit lex bezeichnet er die konkreten leges ven-dundi, die Geschäftsbedingungen bzw. das Versteigerungsformular». La studiosacontinua: «Die Fortführung des Textes bei Varro zeigt, daß seine lex etwas generel-ler ein ganzes Arsenal von Vertragsklauseln enthält, die beim Verkauf einer be-stimmten Tiergattung Anwendung finden können».

167 Si v. la parafrasi di R. CARDILLI, L’obbligazione di ‘praestare’ e la responsa-bilità contrattuale in diritto romano (II sec. a. C. – II sec. d. C.) (Milano 1995): «at-traverso di essa, infatti, vi è chi regola molte cose e chi invece poche», che dà ilsenso, ma non si sofferma sul valore di «inserimento» che mi sembra qui propriodella clausola (ed altrove in Varrone, nella res rustica v. ad es. 2.3.7, con riferimentoad una lex locationis, 2.9.7 e 2.10.5, in relazione a leges venditionis).

168 Cfr. D. 18.1.35.5 ss., spec. 6: in singula corpore pretio; cfr. FR. PRINGSHEIM,

passo in una lettura contestualizzante con quanto appena piùsopra affermato da Varrone), secondo la quale due agnelli natiin ritardo siano contati come una pecora 169, e due pecore cosìanziane che abbiano perso i denti a causa dell’età, siano consi-derate come una sola 170. A questo punto Varrone, terminata latrattazione della lex e dei suoi eventuali aggiustamenti (le mag-giori o minori «addizioni» di cui si è detto) 171, passa alla for-

268 CAPITOLO QUARTO

Der Kauf mit fremdem Geld (Leipzig 1916) 73; É. JAKAB, ‘Praedicere’ und ‘cavere’cit. 158 e nt. 18.

169 D. FLACH, in Varro, Gespräche I cit. 212 spiega: «Verspätet geborene Läm-mer schlugen nur mit dem halben Preis zu Buche, weil sie in der Regel nicht zurZucht taugten, sondern so bald wie möglich geschlachtet oder abgestoßen werdensollten». Non è del tutto comprensibile, però, il rapporto costituito da Varrone, inde r. r. 2.9.7, tra la vendita di due cuccioli di cane ed il caso qui considerato: … pre-tium faciunt … alii ut bini catuli unius canis numerum obtineant, ut solent bini agniovis …; la autocitazione è chiara, ma in 2.6.5 si era fatta una specificazione sulla na-tura degli agnelli che «corrispondono» ad una bestia adulta (appunto la menzionedella nascita ritardata), invece nel luogo relativo alla vendita dei cani l’erudito siesprime come se fosse solita la numerazione di due agnelli (senza specificazione)per una pecora, cosa che peraltro chiarirebbe la valutazione generale degli agnelli,che non risulta dall’esemplificazione in 2.6.5 (ma in tal caso qui la determinazione«cordi» non avrebbe senso, invece D. FLACH, o.u.c. 319 s., la reputa più precisa; cfr.anche CH. GUIRAUD, in Varron, Économie rurale. Livre II cit. 157 nt. 21).

170 Naturalmente, come rileva R. CARDILLI, L’obbligazione di ‘praestare’ cit.115 nt. 28, in critica ad A. CENDERELLI, Varroniana cit. 148 s., in tal caso non sitratta di un diverso oggetto del contratto, «ma di un diverso modo di determinarela controprestazione in danaro, in un caso nella sua globalità, nell’altro in singulasoves». Forse però bisogna rileggere attentamente Varrone: a me pare che la deter-minazione del prezzo sia fatta sempre in singulas oves (e non genericamente, con ri-ferimento ad un gregge), rispetto ad essa, però, possono fissarsi (in virtù di even-tuali modificazioni della lex generale, che stabilisce di facere pretium in singulasoves) delle specificazioni (caso degli agnelli nati in ritardo) ovvero delle sostanziali«deroghe» (due pecore vecchie considerate come una), che valgono nel momentodella adnumeratio (sulla cui importanza si v. infra 270 ss.). Ciò non toglie che in ge-nerale fosse possibile l’adnumeratio della singola pecora, seppure nel capitolo inquestione, mi sembra che Varrone sia più interessato alla vendita di più pecore in-sieme (anche se non necessariamente di un «gregge») che a quella della singola pe-cora (si v. anche la formula di domanda del compratore, al plurale); forse Cenderelliè forzato all’interpretazione di due diversi oggetti del contratto dalla segmentazioneda lui proposta del testo varroniano (cfr. a p. 63 i nrr. 296-298), che non gli fa co-gliere l’unità del discorso.

171 Mi sembra rilevante lo stacco operato attraverso l’utilizzazione della locu-zione de reliquo.

mula antiqua. Di struttura semplice, ma formalizzata 172 (ap-punto: formula), essa si compone di una domanda (da parte delcompratore) e di una risposta (da parte del venditore): ‘Tantisunt mihi emptae’ – ‘Sunt’. «Per tanto, mi sono acquistate?» 173

– «Lo sono». Più articolata la prima, che comprende la men-zione del prezzo (naturalmente Varrone utilizza una termino-logia neutra ed indefinita perché esemplificativa: tantum, usatoal genitivo per indicare la stima ed allo stesso tempo il prezzo)e la descrizione negoziale con determinazione della propriapersona nella qualità di emptor 174. Non credo si possa accedereall’opinione secondo la quale «nell’ipotesi in cui il prezzo siafissato per pecora, l’accordo poteva essere di per sé inidoneo asapere esattamente quale fosse la somma di denaro dovuta dalcompratore», postulando che «in sostanza con l’accordo sifissa il corrispettivo per capo, rimandando poi alla adnumera-tio la precisa determinazione dell’intero prezzo» 175. Credopiuttosto che il prezzo fosse fissato (salvo eventuali aggiusta-menti) nella lex che stabiliva – secondo le parole di Varrone –il ius della contrattazione 176. Dunque tanti secondo me non sta

PROBLEMI DI ORIGINE 269

172 Cfr. É. JAKAB, ‘Praedicere’ und ‘cavere’ cit. 158: «… die Parteien …verwenden sie formelle Worte zum Abschluß des Geschäfts»; si v. anche F. DE ZU-LUETA, The Roman Law of Sale cit. 4: «the bargain is struck in traditional form».

173 R. CARDILLI, L’obbligazione di ‘praestare’ cit. 119, traduce: «a tanto sono ame acquistate?»; la diversa sfumatura proposta da Cardilli mi sembra rendere me-glio una generica valutazione (vendo le pecore a 10 assi; compro le pecore a 10 assi),ma il non fatto concreto (compro le due pecore per 20 assi).

174 A. CENDERELLI, Varroniana cit. 149, reputa che Varrone attribuisse all’an-tiqua formula un «valore costitutivo essenziale», rappresentandola, oltre lo speci-fico riferimento alla vendita delle pecore, come «spirito di una regola generale», enon come «una sovrastruttura formale di un contratto già concluso». Si può essered’accordo su tutti e tre i punti, ma non quando lo studioso, argomentando sullastruttura a domanda e risposta, pare considerare (se ben capisco) quella che mi sem-bra la formalizzazione del consenso una obligatio verbis (come lo stesso Cenderellirileva, del resto, Varrone ben conosce la struttura formale della sponsio, cui certo innessun modo corrisponde la «formula» ‘tanti sunt mihi emptae – sunt’).

175 R. CARDILLI, L’obbligazione di ‘praestare’ cit. 119.176 Per un parallelo documentario del rapporto prezzo-capo si può vedere la

mancipatio (fiduciae causa) attestata in una tavoletta pompeiana (FIRA. III 91, sucui si v. G. CAMODECA, L’archivio puteolano dei Sulpicii I [Napoli 1992] 15 nt. 33).

a sostituire nell’esemplificazione la stima della singola pecora,ma piuttosto il prezzo della complessiva vendita, naturalmentepreventivamente valutato rispetto al numero inteso, volutodalle parti anche se non ancora precisamente accertato (e dun-que fissato) dalla adnumeratio 177 (assolutamente vicino, però, aquello, che poi doveva essere l’effettivo pagamento di partecompratrice 178). Non può restare nel vago il fatto di un sog-

270 CAPITOLO QUARTO

177 Naturalmente il discorso vale a voler accettare la tradizione manoscritta deltesto di Varrone. Non mancano, a proposito dell’adnumeratio, posizioni contrarie,che postulano un errore della tradizione, nel senso che Varrone avrebbe piuttostoscritto: cum id factum est, tamen grex dominum non mutavit, nisi si[t a]es<t> ad-numeratum. La correzione, che trasforma il senso del passo, richiedendo la nume-razione non delle pecore da parte del venditore in favore del compratore, ma quelladel prezzo (espresso in assi) in senso inverso, serve, tra l’altro, a sorreggere la tesidella necessità del pagamento del prezzo per il trasferimento della proprietà; si v., intal senso, G. BOYER, Recherches historiques sur la résolution des contrats, origine del’art. 1184 C. civ. (Thése, Toulouse 1924) 86 s. (con nt. 60 a p. 85); A. EXNER, DieLehre vom Rechtserwerb durch Tradition nach österreichischem und gemeinemRecht (Wien 1867) 348 s.; B. W. LEIST, Mancipation und Eigenthumstradition (Jena1865) 103 nt. 4 (ma gli ultimi due studiosi citati mi sembrano meramente recepireun testo da altri stabilito, senza porsi il problema della sua tradizione); CH. APPLE-TON, A l’époque classique 31 ss. (con nt. 1 a p. 32 s.). Tra i filologi, rilevante l’ade-sione di H. KEIL, nella sua ed. del de re rustica di Varrone: M. Porci Catonis de agricultura liber M. Terenti Varronis rerum rusticarum libri tres II (Lipsiae 1884). Con-tra si v., convincentemente, FR. PRINGSHEIM, Eigentumsübergang cit. 337 s.: «Daßin Wahrheit adnumerare regelmäßig ‘gezählt übergeben’ heißt, daß jedenfalls darinkeineswegs eine Preiszahlung, sondern eine Perfektionshandlung (zweiseitige Zu-zahlung im Traditionsakt; zuweilen allerdings auch einseitige Zuzählung, ist durchdie Darstellung von Seckel-Levy noch deutlicher geworden»; la citazione (cfr. lant. 1 a p. 338) si riferisce a E. SECKEL, E. LEVY, Die Gefahrtragung beim Kauf imklassischen römischen Recht, in ZSS. 47 (1927) 189 nt. 2, 256 nt. 5; in nt. 2 a p. 338.Pringsheim registra anche l’assenso di L. MITTEIS, nella rec. al suo libro Der Kaufmit fremdem Geld cit., in ZSS. 37 (1916) 371, e di FR. HAYMANN, Textkritische Stu-dien zum römischen Obligationenrecht II. Periculum est emptoris, in ZSS. 41 (1920)52, 103.

178 Altrimenti, nella visione appena menzionata di Cardilli, quale poteva maiessere l’oggetto dell’expromittere? Nel testo, si vede bene la materialità dei nummi(dunque una somma determinata di monete): come si poteva avere senza conoscerenella sua precisione (con qualche possibile aggiustamento minimo, come si proponenel testo)? Ovvero bisogna pensare che questa parte del formulario dovesse inter-venire solo nel caso di una precisazione preventiva del prezzo (che però farebbe so-stanzialmente cadere la necessità della successiva adnumeratio)?

getto che si reca al mercato ed esprime la volontà di voler com-prare genericamente pecore (senza evidentemente dichiararneil numero), per poi rimandare ad un momento successivo ladeterminazione precisa della quantità: se il venditore ha diecipecore a disposizione, deve sapere se dopo la dichiarazione diintenti del compratore A ne ha ancora cinque da vendere alcompratore B. Quella descritta mi sembra, insomma, unarealtà al di fuori del mondo del commercio: una irrealtà com-merciale 179. La adnumeratio è una forma di traditio e funge damisura precisa 180 dell’obbligo del compratore.

Dato fondamentale, con riferimento al problema del con-senso, è quello dell’utilizzazione di una «forma stilizzata diespressione» 181 per esprimere validamente l’oggetto dello stessoe cioè l’accordo sulla cosa (le oves, determinate nel numero) e– contemporaneamente – anche sul prezzo, che evidentementecorrisponde al rapporto aritmetico tra il pretium factum perciascuna pecora e quantità delle stesse. Naturalmente non èimpossibile ipotizzare un momento di contrattazione rispettoalla lex, prima della determinazione della stessa 182 ovvero an-che, sul mercato, al momento in cui il compratore si rivolge alvenditore 183 (in tal caso la lex stessa subisce una modifica-

PROBLEMI DI ORIGINE 271

179 E anche non corrispondente a quel residuo di formalismo che comunquesembra improntare la vendita di pecore varroniana. Naturalmente altro è la com-pera di res futura, negozio naturalmente aleatorio, in cui il rischio si calcola nellostabilire preventivamente il prezzo.

180 Invero anche R. CARDILLI, L’obbligazione di ‘praestare’ cit. 119, nel testotrascritto usa l’aggettivo, ma la premessa della inidoneità dell’accordo è troppo forteperché lo studioso si riferisca a variazioni di minore entità (quelle susseguenti, adesempio, alla notazione della mancanza dei denti in due pecore, qualora fosse stataprevista la clausola di riduzione del prezzo per l’avanzata età delle bestie).

181 M. TALAMANCA, La tipicità dei contratti cit. 65.182 In tal senso si v. le osservazioni di A. MAGDELAIN, La loi à Rome cit. 41

nt. 84.183 Si può ricordare una pagina di Apuleio: Met. 1.24-25. … rebus meis in illo

cubiculo conditis, pergens ipse ad balneas, ut prius aliquid nobis cibatui prospicerem,forum cupidinis peto; inque eo piscatum opiparem expositum video et percontatopretio, quod centum nummis indicaret, aspernatus viginti denariis praestinavi … Sedenim Pythias visa sportula succussisque in aspectum planiorem piscibus: ‘At has qui-squilias quanti parasti?’ ‘Vix – inquam – piscatori extorsimus accipere viginti dena-

zione). La strutturazione del momento che sostanzia l’attogiuridico della compravendita in domanda e risposta da parte,

272 CAPITOLO QUARTO

rium’. 25. Quo audito statim arrepta dextra postliminio me in forum cuppedinisreducens: ‘Et a quo – inquit – istorum nugamenta haec comparasti?’. Demonstro se-niculum, in angulo sedebat. Quem confestim pro aedilitatis imperio voce asperrimaincrepans: ‘iam iam – inquit – nec amicis quidem nostris vel omnino hospitibus par-citis, qui tam magni pretiis pisces frivolos indicatis et florem Thessalicae regionis adinstar solitudinis et scopuli edulium caritate deducitis! Sed non impune. Iam enimfaxo scias, quemadmodum sub meo imperio mali debeant coerceri’. Et profusa inmedium sportula iubet officialem suum insuper pisces inscendere ac pedibus suis to-tos obterere … Il racconto è molto noto: ai giuristi, in particolare, per la menzionedi un sospetto imperium di un magistrato locale di una città tessalica, che porta iltitolo di edile (ciò era stato messo in relazione con il fondamento costituzionale del-l’attività edicente di tali magistrati, congiungendo il dato che emerge dal passo apu-leiano con la prima errata lettura di TH. 60 ma si v. ora G. CAMODECA, TabulaeHerculanenses: riedizione delle emptiones di schiavi (TH 59-62), in QuaestionesIuris. Festschrift für J. G. Wolf [Berlin 2000] 55 ss., che opportunamente corregge leprecedenti letture, a tab. 1 p. 1 lin. 9, in ex formula edicti); ma l’interesse può essereanche meramente letterario, per la capacità descrittiva grottescamente realistica chelo scrittore ampiamente dimostra (soprattutto per come finisce la storia, con Luciocosternatus ac prorsus obstupidus che si reca ai balnea deprivato, dall’amico ritro-vato, ad un tempo, e del denaro e della cena), cfr. E. AUERBACH, ‘Mimesis’. Il reali-smo nella letteratura occidentale I (trad. it. Torino 1956, rist. 1986) 70 ss. Di recenteL. SCHUMACHER, Sklaverei in der Antike. Alltag und Schicksal der Unfreien (Mün-chen 2001) 175 (con l’illustrazione nr. 76 a p. 176), ha interpretato CIL. VI 9183 (inmargine inferiore): «cay da piscen cay», come una testimonianza di accordo oralein una compravendita di generi alimentari, in cui il licitator – secondo quella che ap-pare allo studioso la possibilità più verisimile; meno probabile che l’argentarius raf-figurato nel monumento funebre fosse in quel caso nelle vesti di «Auktionator»banchiere che finanzia l’operazione dell’acquisto di una partita di pesce, ma non ca-pisco la correzione al singolare, pisce(m) e non pisce(s), se non come un nome col-lettivo – dice «da piscem» (nell’epigrafe si legge da piscen). Forse, per comprenderemeglio, è opportuno riportare la descrizione del mausoleo come risulta dalla schedadel Corpus: «vir tunicatus in podio stans, s. cistulam apertam, dextra piscem gerens;hinc illinc viri singuli tunica et cucullo amicti, corbes humeri gestantes, alter dextrapisces suspensos portat». Lo studioso (anche) su questa interpretazione è criticatonella rec. che alla sua opera ha dedicato É. JAKAB, in ZSS. 119 (2002) spec. 434, laquale afferma l’impossibilità dell’imperativo, sulla base dei formulari varroniani. NéSchumacher né la recensente hanno tenuto presente però l’opinione (ipotetica) diTH. MOMMSEN, brevemente riportata a commento dell’iscrizione nel CIL. ad loc.cit., p. 1214, secondo la quale le lettere cay non sarebbero da interpretare comecav(e), così L. SCHUMACHER, l.u.c., ma piuttosto, e dunque sempre nel senso di unacompravendita, per cedo, in tal caso, però, la descrizione sarebbe più articolata,come: cedo, asses quinque; dunque l’intera iscrizione sarebbe da sciogliere come se-gue: cedo, asses quinque; da piscem; cedo, asses quinque.

rispettivamente, dell’emptor e del venditor (‘Tanti sunt mihiemptae’ – ‘Sunt’) mostra l’antichità notevole della tradizione:la compravendita abbisogna ancora di un momento di forma-lità per ottenere vincolatività sul piano giuridico, e dunqueperché dall’accordo possano scaturire reciproche azioni in casod’inadempimento 184. Non sembra ancora (come sarà per lacompravendita consensuale obbligatoria «matura») completa-mente sganciata da aspetti formali, che all’epoca di Varrone(ma dobbiamo riflettere sull’incidenza della tradizione) evi-dentemente ancora mantengono forza rassicuratrice.

Il negozio di scambio in questione ha la chiara caratteri-stica della contestualità: venditore e compratore evidentementes’incontrano (in un mercato). L’individuazione delle res cheapertamente sono poste in vendita avviene attraverso una ge-stualità informale 185 che non è consentito dalla fonte precisare,ma che ben può essere ipotizzata (la tipologia è quella dell’in-

PROBLEMI DI ORIGINE 273

184 Si v. M. TALAMANCA, La tipicità cit. 64 nt. 108. Sul complesso procedi-mento che porta al trasferimento della proprietà cfr. PH. MEYLAN, Varron et lesconditions du transfert de la proprieté dans la vente romaine, in Scritti in onore di C.Ferrini in occasione della sua beatificazione IV (Milano 1949) 176 ss.

185 Benché il riferimento sia molto più tardo e l’oggetto non completamenteassimilabile (anche se sempre di mercati antichi e di pecore si tratta) uno spunto sipuò trarre dalla nota iscrizione in CIL. VI 1770, pervenutaci solo attraverso tra-scrizioni (ma conformi), che richiama (forse non in maniera integrale) un editto diL. Turcius Apronianus, praefectus urbi tra il 362 ed il 363 d. C. (cfr. A. CHASTA-GNOL, Les fastes de la Préfecture de Rome au Bas-Empire [Paris 1962] 156 nt. 65;A. H. M. JONES, J. R. MARTINDALE, I. MORRIS, The Prosopography of the LaterRoman Empire I [Cambridge 1971] 88 s., nr. 10), in cui si fa riferimento ad una con-suetudo micandi ed al trasferimento della cosa (nella fattispecie – come pare – pe-core macellate) digitis concludentibus. In risposta a raffinate ma forse eccessiva-mente fantasiose riflessioni di S. CALDERONE, ‘Digitis concludentibus’, in Scritti inonore di S. Pugliatti V (Milano 1978) 139 ss., si vedano le equilibrate considerazionidi A. GUARINO, ‘Consuetudo micandi’, in Historia 29 (1980) 124 ss. [=PDR. VI(Napoli 1995) 213 ss.], il quale con spiccato senso pratico e magistrale attitudine allalettura dei testi sub specie iuris, propone che il cenno digitis concludentibus si possainterpretare nel senso di una trattativa «alle grida»: «ma le grida non bastano. Oc-corrono da parte di tutti i segni di accettazione e di controproposte circa la quan-tità. Segni che, come nei recinti di borsa, si sostanziano in alzate di mano e in messain mostra di un certo numero di dita». Sul problema del nutus (che mi sembra possautilmente collegarsi con queste tipologie di segni), si v. supra 17 nt. 66.

dicare, il compratore non farà a meno di esaminare gli animali,sia pur in modo non approfondito). Di fronte all’offerta dellacosa, l’emptor pronuncia un prezzo, affermando che «pertanto» quelle determinate oves gli sono acquistate (emptae).L’accordo non si verifica se non con l’accettazione del prezzo(non materialmente della somma) da parte del venditore, la cuiposizione si può ridurre ad una scelta: sunt (accettazione delpretium), non sunt (non accettazione, con l’ulteriore possibilitàper l’acquirente di fare una nuova proposta, forse in maggiorecorrispondenza con la lex che determina, in via generale, ilprezzo).

L’adnumeratio delle pecore rappresenta la tipica traditiodelle stesse 186, con una terminologia comune ai casi in cui latrasmissione avesse ad oggetto più res considerate insieme 187.

Giustamente Talamanca rileva una «sovrapposizione». Se-condo l’illustre studioso, infatti, il testo si riferirebbe a due di-versi moduli e la tradizione appare tanto più interessante, inquanto almeno parzialmente inconsapevole 188: «lo scrittore si

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186 Rigida l’impostazione di G. BAVIERA, Nota alla dottrina delle ‘res mancipi’e ‘nec mancipi’, in RISG. 27 (1899) 185; FR. PRINGSHEIM, Eigentumsübergang cit.337 ss., che considerano l’adnumeratio come «equivalente ai fini dell’effetto trasla-tivo alla traditio» così, espressamente, R. CARDILLI, L’obbligazione di ‘praestare’cit. 118 nt. 30 (che mostra una opinione concorde con quella degli studiosi appenaricordati e continua: «coerentemente alla natura di res nec mancipi delle oves»). Tra-dere capo per capo secondo FR. PRINGSHEIM, Der Kauf mit fremdem Geld cit. 73,cfr. G. G. ARCHI, Il trasferimento della proprietà cit. 110; H. J. JOLOWICZ, Histo-rical introduction cit. 304 nt. 6 c [da p. 303], che nota: «Pringsheim … takes adnu-meratum to refer, not to payment of the price, but to the counting of the sheepon delivery»; F. CASAVOLA, ‘Emptio pondere numero meusura’, in Scritti giuridiciJovene (Napoli 1954) 566 ss. [= ‘Sententia legum’ I cit. 396 ss.].

187 Specularmente nelle fonti si parla di numeratio con riferimento ad unprezzo espresso in più monete, ovvero di numerata pecunia.

188 Questo mi fa pensare a due cose, diverse, ma collegate tra loro: da una parteal rapporto tra prassi (e considerazione laica delle transazioni economiche), dall’al-tra al fatto che tale stratificazione accerta che Varrone non aveva una perfetta per-cezione giuridica del fenomeno che descriveva (e ciò sulla domanda se l’erudito rea-tino fosse o meno un «giurista»; sul punto si v. A. CENDERELLI, Varroniana cit.spec. 165 ss.; con la rec. cit. di L. LABRUNA, 345 ss. [=Adminicula3 cit. 265 ss.], chemi pare, sul punto, da seguire).

riferisce alla realtà della sua epoca, quando dal contratto con-sensuale di compravendita sorgevano per le parti i due iudiciabonae fidei, non accorgendosi che, nella struttura del modelloadottato, per il prezzo il venditor doveva agire, invece, sullabase dell’expromissio» 189. Mi sembra che la seconda parte diquesta ricostruzione non funzioni perfettamente, perché cosìrisulta tutelato il solo venditore e non anche il compratore, chepure si era fidato della parola ricevuta (coordinata con la suadomanda in forma di responsio) dal primo, cosa che lo rendevaemptor della res. La mancanza di una forma stipulatoria per latraditio delle pecore mi fa pensare alla forza del consenso inquesta fattispecie. L’irresponsabilità per il venditore, che pareemergere dalla visione qui criticata, sembra ancora più singo-lare quando si consideri che il primo interesse di Varrone è latutela del compratore: egli mette infatti in evidenza (nel si-stema processuale discendente da una fattispecie sostanzialeormai completamente ‘consensualizzata’) prima l’actio empti esolo dopo (con un richiamo che mi appare significativo) la tu-tela del venditore («simili iudicio») attraverso un’azione che èda riconoscere nell’actio venditi per la condanna si non redditpretium.

Tanti … sunt: l’insieme di domanda e risposta mostra unrapporto in cui il venditore si è già impegnato alla tradizioneed il compratore, corrispettivamente, alla dazione di una som-ma determinata. L’expromissio è solo un modo di dilazionare ilpagamento, che significativamente non viene espresso nel lin-guaggio tipicamente stipulatorio, ben conosciuto da Varrone,che lo utilizza – con proprietà – immediatamente dopo 190. Sitratta di expromissio (o meglio di expromittere: il verbo rende

PROBLEMI DI ORIGINE 275

189 M. TALAMANCA, La tipicità dei contratti romani cit. 64.190 Cfr. de r. r. 2.2.6. Illasce oves … esse habereque recte licere, haec sit recte

fieri spondesne? (il testo è completo supra 264 s.). E bisogna tener conto della trat-tazione generale di Varrone sulla sponsio (de l. L. 6.69 ss.), che parte dall’analisi eti-mologica di spondeo; sul punto, di recente, B. ALBANESE, Brevi studi di diritto ro-mano VIII, in AUPA. 43 (1992) 134 ss.; R. ASTOLFI, Per la storia del fidanzamentoarcaico, in SDHI. 58 (1992) 262 ss.

forse meglio la concretezza propria nel senso del passo) soloperché – come potrebbe in teoria fare – non paga subito incontanti (e tale doveva essere la prassi, vista la tradizione var-roniana). Non a torto Cardilli segmenta il passo, ponendo dauna parte l’accordo 191, da un’altra l’expromissio nummorum eda un’altra ancora la stipulazione di garanzia. Ma, forse, in-fluenzato da una parte dai formulari catoniani (che però hannostruttura e funzione differenti 192), dall’altro – direi: per attra-zione – dalla stipulatio di garanzia che segue immediatamentenel testo, configura questa come stipulazione e ne fa discen-dere193 una tutela processuale in sé ipotizzabile (a mio parerenell’ambito della tutela della buona fede), ma non emergente invia diretta dal testo in esame. Inoltre, se non è errata la pro-spettazione di una promissio anche non perfettamente corri-spondente ad un prezzo solo successivamente stabilito, comepoteva questa corrispondere al prezzo in caso di mutamentisuccessivi all’adnumeratio? È chiaro che l’effetto non potevaaversi attraverso un’azione da stipulazione, dunque con con-demnatio al certum rispetto a quanto promesso, ma solo (primadell’instaurazione dei giudizi di buona fede, con condanna alquidquid dare facere oportet ex fide bona) attraverso una valu-tazione equitativa (secondo me sempre basata sulla buona fede‘personalistica’) del rapporto (che tenesse in conto certo la pro-messa, in quanto impegno, ma anche e soprattutto il prezzo ef-fettivamente dovuto dopo la adnumeratio 194).

Alla formula antiqua fin qui descritta segue nel testo diVarrone un’altra formula, pure antica (ma questa volta, forseproprio per necessità di differenziazione dalla prima, definitacon l’aggettivo prisca, anche se potrebbe trattarsi di mera va-

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191 L’obbligazione di ‘praestare’ cit. 119, cfr. supra 267 s.192 Cfr. supra 249 ss.193 Come anche M. TALAMANCA, La tipicità dei contratti romani cit. 64.194 Altrimenti si potrebbe ipotizzare in via teorica un ingiustificato arricchi-

mento del venditore che, ottenuta la expromissio per 100 e verificato il prezzo dellamerx per 80, a seguito di adnumeratio, avesse agito contro il compratore sulla basedella promessa e dunque per una somma superiore a quanto effettivamente dovuto.

riazione stilistica), che mi pare rappresenti una sezione sepa-rata dello schema posto dall’erudito a modello delle compra-vendite di pecore 195. Il periodare invero non è perfetto 196 e lamenzione dell’expromissio – che pure rappresenta una rarità peril latino d’età repubblicana ed un hapax nell’opera di Varrone 197

– zoppica 198. La stipulazione ha come oggetto la garanzia per i

PROBLEMI DI ORIGINE 277

195 Per la scansione del formulario in parti distinte si v. FR. PRINGSHEIM,Eigentumsübergang cit. 340, seguito da G. G. ARCHI, Il trasferimento della pro-prietà cit. 110 s. Più di recente tiene separate la formula antiqua e la formula priscaR. CARDILLI, L’obbligazione di ‘praestare’ cit. 116; le considera insieme, invece (aquanto pare), É. JAKAB, ‘Praedicere’ und ‘cavere’ cit. 161.

196 Cfr. D. FLACH, in Varro, Gespräche II (Darmstadt 1997) 212: «DerSubjektswechsel von dem Verkäufer, der die Höhe des Kaufpreises bestätigte, zudem Käufer, der daraufhin zusicherte, den fälligen Betrag an ihn zu zahlen, trittdeutlicher vor Augen, wenn der Beistich, der den Haupt- von dem Nebensatztrennt, hinter statt vor emptor gesetzt wird. Doch verstand es sich ohnehin vonselbst, daß es dem Käufer oblag, diese Zusage zu geben. Daß er sie dem Verkäufergab, brauchte nicht eigens klargestellt zu werden ...». Sostanzialmente sulla stessa li-nea interpretativa, anche se risolve il problema mediante un’emendazione del testotràdito (che sul punto specifico non ha particolari rilievi, cfr. ancora D. FLACH,o.u.c. 84, in apparato critico), C. ST. TOMULESCU, ‘Et expromisit nummos’, in Labeo25 (1979) 290 ss., che sostituisce ei expromisit (intendendo: il compratore al vendi-tore) a et expromisit.

197 Cfr. CH. GUIRAUD, in Varron, Économie rurale. Livre II cit. 101 nt. 19. Ilverbo expromitto o il sostantivo expromissor ricorrono nella letteratura giuridica asignificare una garanzia ad esempio in D. 18.1.53 (Gai. 28 ad ed. prov.) ed in D.23.3.36 (Ulp. 48 ad Sab.); cfr. H. HEUMANN, E. SECKEL, Handlexikon11 cit. 197 s.,s.h.v. Nota la promiscuità nell’uso di promittere ed expromittere (anche in man-canza di una novazione) B. FRESE, ‘Defensio’, ‘solutio’, ‘expromissio’ des unberufe-nen Dritten, in Studi in onore di P. Bonfante IV (Milano 1930) 435 (e nt. 161 con ri-ferimento specifico al testo del de re rustica di Varrone Reatino); sul senso tecnicodel verbo expromittere (inteso da parte della storiografia come segno di novazioneper mutamento del debitore, solo se non sia intervenuta una delegazione del prece-dente debitore al nuovo; da altra parte come indicazione della semplice novazionesoggettiva con mutamento del debitore) si v., per tutti, A. MASI, s.v. «Expromissio»,in NNDI. VI (Torino 1960, rist. 1975) 1092 s., con ulteriore bibliografia, il quale, aproposito del testo in questione nota come sia il debitore a promettere ciò che eglistesso deve, mettendo in relazione il passo varroniano con D. 44.1.14 (Alf. 2 dig.),forse non è un caso se proveniente dalla giurisprudenza repubblicana.

198 Supra 264 s., nella trascrizione del testo di Varrone, si è seguita la recenteedizione di D. FLACH, in Varro, Gespräche II cit. 84; ma si deve tenere presente chenelle precedenti, usualmente, il tratto del passo in questione era costituito così: …et ille respondit: sunt et expromisit nummos, emptor stipulatur prisca formula sic …(si v., ad esempio, CH. GUIRAUD, in Varron, Économie rurale. Livre II cit. 25, F. SEMI,

vizi della cosa venduta, in quanto il compratore pretende laformale promessa del venditore su determinate caratteristichedelle pecore 199, in particolare – e secondo un formulario tipico– si richiede la perfetta sanità (corrispondente ad un criteriogenerale per il bestiame ovino), con la specificazione che glianimali non siano né orbi di un occhio, né sordi, né (forse 200)

278 CAPITOLO QUARTO

in M. Terentius Varro IV. De re rustica. Index nominum quae apud Varronem repe-riuntur [Venetiis 1965] 93); certo, cambia solo la posizione di una virgola, ma lospostamento consente una lettura più piana anche della frase impersonale che seguee si apre con stipulatur. Senza interpunzioni il tratto per B. TILLY, Varro the Farmer.A Selection from the Res Rusticae (Foxton 1973): … et ille respondit ‘sunt’ et expro-misit nummos emptor stipulatur prisca formula sic, …, la cui posizione però sispiega, mi sembra nella nota a p. 241 s., riferita al lemma adnumeratum: «two ex-planations can be given: either the fock has been counted on delivery by the sellerto the buyer, but it is clearly not necessary for the flock to be present in the market,or the money has been counted: if this is the correct interpretation then expromisitabove means that the actual money has been put down, thoogh it may not necessa-rily yet be paid over. In that case ‘on delivery’ is implicit in the statement».

199 Anche qui si usa il plurale, cosa che testimonia, mi sembra, quanto più so-pra affermato a proposito della natura di queste vendite che non dovevano essere(almeno di regola) riferite ad un solo capo di bestiame.

200 Il termine mina è di difficile interpretazione, in primo luogo per la scar-sezza di ulteriori testimonianze: Plaut. Truc. 654, propone un gioco di parole (in-vero non del tutto intellegibile) tra mina in senso di moneta e minae oves; Fest.-Paul. s.v. «Minam» [109 L.] propone: Minam Aelius vocitatam ait mammam alte-ram lacte deficientem, quasi minorem factam, testo particolarmente interessante perdue motivi, il primo è la menzione di Aelius (che potrebbe essere il grammatico Sti-lone, ma anche un giurista, se non Sesto Peto, Gallo; v., nell’ed. di W. M. LINDSAY,l’index scriptorum a p. 565), che può fare sospettare una citazione giuridica, l’altro– invero collegabile con il primo – è il difetto che potrebbe essere riferito ad unavendita, ma più di schiave che di animali, se ben si riflette sulla precisione: alteramsi può riferire solo a due mammelle; ma non abbiamo notizie di questo tipo di vi-zio almeno con riferimento alle nostre conoscenze dell’editto edilizio e della prassisulla vendita degli schiavi nel mondo romano, cfr. O. LENEL, EP.3 (Leipzig 1927)554 ss., § 295; G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli (Padova 1955) 44 ss.;L. MANNA, ‘Actio redhibitoria’ e responsabilità per i vizi della cosa nell’editto ‘demancipiis vendundis’ (Milano 1955) 33 ss.; É. JAKAB, ‘Praedicere’ und ‘cavere’ cit.125 ss., 153 ss.; G. CAMODECA, Tabulae Herculanenses: riedizione delle ‘emptiones’di schiavi (TH 59-62) cit. 53 ss.; anche se, qualora una prescrizione fosse esistita pergli umani, non si potrebbe escludere un’interpretazione analogica per quanto ri-guarda le vendite di animali, cfr., da una prospettiva generale, G. IMPALLOMENI, L’e-ditto cit. 85 (ma tutto ciò non chiarisce però il testo di Varrone). La specificazioneche segue immediatamente, id est ventre glabro, che è – naturalmente – una possi-bilità di lettura, cfr. ad esempio la parafrasi di R. CARDILLI, L’obbligazione di ‘prae-

deficienti di mammelle. La richiesta si chiude con lo habererecte licere, che ha funzione di garanzia dall’eventuale evizione(naturalmente delle pecore, res nec mancipi, si trasmette ilmero possesso, come chiaramente emerge dai verbi utilizzatinella formula della stipulazione) 201. Sotto questo profilo misembra potersi coordinare con la vendita delle oves nel passoin questione un altro testo varroniano dal de re rustica 202: Inhorum emptione solet accedere peculium aut excipi et stipulatiointercedere sanum esse, furtis noxisque solutum, aut, si manci-pio non datur, dupla promitti, aut, si ita pacti, simpla 203. Si vedeabbastanza chiaramente come le stipulazioni di garanzia confi-gurino elementi meramente accessori (anche se economica-mente determinanti) rispetto al negozio di trasferimento 204.

PROBLEMI DI ORIGINE 279

stare’ cit. 121 (che però non si pone il problema interpretativo), da alcuni studiosi èstata reputata insiticia (cfr., sul punto, CH. GUIRAUD, in Varron, Économie rurale.Livre II cit. 102 nt. 22, con richiami alla precedente letteratura) per via della scon-cordanza con Varr. de r. r. 2.2.3, ove per indicare lo stesso fenomeno si usa il ter-mine apica, ma invero niente s’oppone al fatto che le due parole possano avere lostesso senso, così CH. GUIRAUD, in Varron, Économie rurale. Livre II cit. 102nt. 22.

201 Ampi riferimenti sulla prisca formula della stipulazione di garanzia in R.CARDILLI, L’obbligazione di ‘praestare’ cit. 116 ss., ed in É. JAKAB, ‘Praedicere’ und‘cavere’ cit. 157 ss. (ove precedente bibliografia); si può notare la ripetizione di haecsic recte (dari) fieri (clausola rafforzativa, senza un significato autonomo, che rias-sume, in fine, le diverse prescrizioni dedotte nella stipulazione?): FR. PRINGSHEIM,Stipulations-Klausel, in Gesammelte Abhandlungen II cit. 201; R. MONIER, La ga-rantie contre les vices cachés dans la vente romaine [Paris 1930] 12), ancora in TH.60.13 s., cfr. ora G. CAMODECA, Tabulae Herculanenses: riedizione delle ‘emptiones’di schiavi (TH 59-62) cit. spec. 63.

202 2.10.5, che tratta della vendita di schiavi. Per il valore giuridico del passo, siv. A. CENDERELLI, Varroniana cit. 65 (cfr. 149), che in generale, a p. 161 s., operagiuste considerazioni sull’importanza della terminologia giuridica di Varrone.

203 Sulle vendite di schiavi e le relative stipulazioni attestate nella prassi cam-pana si v. ora G. CAMODECA, Tabulae Herculanenses: riedizione delle emptiones dischiavi (TH 59-62) cit. 53 ss.; cfr. anche F. REDUZZI MEROLA, Per lo studio delleclausole di garanzia nella compravendita di schiavi: la prassi campana, in Index 30(2002) 215 ss.

204 Si noti come emptio, in questo caso (peraltro vicinissimo in quanto imme-diatamente successivo a quello appena considerato) appare con un significato più ri-stretto, non riferibile (per quanto mi sembra) né all’acquisto per via ereditaria, néalla vendita pubblicistica sub corona.

Un avvicinamento all’essenza di questo complesso di attigiuridici che consentono lo scambio con l’utilizzazione di unaserie di cautele e garanzie è stato giustamente individuato at-traverso la teorica dell’atto complesso da Philippe Meylan 205,che ha ipotizzato la coesistenza ordinata e teleologicamenteorientata di un contratto consensuale di compravendita, di unaexpromissio nummorum (che secondo lo studioso svizzero so-stanzia l’effetto traslativo del dominium 206) e di una stipula-zione di garanzia per i vizi occulti della cosa e per l’evizione. Siè proposta anche (e forse con più proprietà, rispetto alla man-canza di schematizzazione dogmatica da parte della giurispru-denza coeva sul punto) una interpretazione nel senso di «pro-cedimento alienatorio» 207. Tutto ciò, però, vale sempre inten-dendo la connessione degli atti nel senso di accessorietà e nondi necessità 208.

280 CAPITOLO QUARTO

205 Nel saggio Varron et les conditions cit. 179 s., seguito sul punto da M. SAR-GENTI, Problemi della responsabilità contrattuale, in SDHI. 20 (1954) 229; cfr. R.CARDILLI, L’obbligazione di ‘praestare’ cit. 119 s.

206 Sull’ipotesi ricostruttiva di Philippe Meylan, riguardo alle origini dellacompravendita consensuale, si v. supra 236 s. Sul ruolo dell’expromittere si v. ancheM. KASER, Stellvertretung und ‘notwendige Entgeltlichkeit’, in ZSS. 91 (1974) 162,nel senso dell’assicurazione per il compratore «den Rückgriff aus der Aukto-ritätshaftung auf das duplum des zugesicherten Kaufpreises» (sulla responsabilitàoggettiva v. R. KNÜTEL, Stipulatio poenae cit. 238 ss.).

207 Così F. CANCELLI, L’origine cit. 127.208 Si v., ad esempio, già O. KARLOWA, Römische Rechtsgeschichte II (Leipzig

1901) 620, che interpreta le stipulazioni come ‘esecutive’; cfr. P.-F. GIRARD, Étudeshistoriques cit. 542 s. [=Mélanges II cit. 51 s.]; PH. MEYLAN, Varron et les conditionscit. 180, considera il passo testimonianza di una efficacia novatoria (cfr. anche ID.,La genèse de la vente cit. 161 ss.); F. CANCELLI, L’origine cit. 128, che identifica ilcarattere delle clausole come accessorio (con l’accordo, sul punto, di F. WIEACKER,rec. cit. 441). Sottolinea la connessione tra emptiones venditiones e stipulationes digaranzia A. CENDERELLI, Varroniana cit. 149, che considera le ultime addiritturacome «essenziali al perfezionamento stesso delle compravendite» (ciò risulterebbe«particolarmente evidente» in de r. r. 2.1.15, 2.2.5-6, 2.3.5): pur «non potendo certoessere qualificato come una precisa presa di posizione sul piano dogmatico» tale«atteggiamento» non deve essere svalutato «da chi voglia ricostruire il regime dellacompravendita repubblicana, specie in connessione con la sua realtà economica esociale, e con la sua concreta funzione negoziale». Premesso che è certamente giu-sta l’osservazione sul regime per così dire generale della compravendita, ed in par-

Ciò che – invece – appare snodo veramente centrale (dellacostituzione) del rapporto è l’intreccio, finalizzato allo scam-bio, di domanda e risposta, e questa centralità appare testimo-niata dalla sua persistenza, che è sembrata in storiografia lapermanenza dell’antica struttura del «Barkauf», pur nella pienavigenza della compravendita consensuale 209. Del resto anche laprassi di esporre cartelli con l’indicazione del prezzo, se di re-cente è stata considerata forma di «pubblicità» 210 (nel senso diinvito ad acquistare ovvero a prendere in conduzione un de-

PROBLEMI DI ORIGINE 281

ticolare sul suo pratico atteggiarsi (ma naturalmente a questo punto il discorso valeanche per l’emptio venditio del principato), bisogna sia pure velocemente dare unosguardo alle fonti citate, da questo punto di vista. In de r. r. 2.1.15, con un pregnanteriferimento al ius civile, Varrone sembra dire esattamente il contrario di quanto af-fermato da Cenderelli: «è necessario che accada qualcosa perché ciò che è stato diun altro diventi mio, né è sempre bastevole al trasferimento della proprietà la stipu-lazione o il pagamento del prezzo (mediante la dazione delle monete)», dunqueVarrone mette in evidenza che oltre alla stipulatio ed alla solutio c’è bisogno di unulteriore momento necessario (che secondo me è quello della stilizzazione formale);del resto subito dopo aggiunge: in emptione alias stipulandum statim esse, alias esano pecore, alias neutrum, riferendosi, nel terzo segmento della frase, a mio parere,alla possibilità che all’emptio non facesse seguito alcuna stipulazione (v. del restol’esegesi di de r. r. 2.2.5 al punto in cui Varrone afferma che alcuni aggiungonomolto, altri poco, rispetto alla lex); per quanto riguarda de r. r. 2.3.5, è il punto incui Varrone riporta il formulario stipulatorio risalente a Manio Manilio, relativo allecapre e particolare perché rispetto ad esse non si usava stipulare la sanitas (o meglio,con un ironico gioco di parole, l’erudito scrive che un uomo «sano» non prometteche le capre sono «sane»), in quanto tali animali numquam sine febri sunt (sull’altatemperatura corporea delle capre, intorno ai 39-40o C, si v., con bastevoli rinvii bi-bliografici, D. FLACH, in Varro, Gespräche II cit. 229 s.); naturalmente è chiaro cherispetto al negozio di trasmissione manca qualcosa (che Varrone dà per presuppo-sta): la stipulazione illasce capras hodie recte esse et bibere posse habereque <recte>licere, haec spondesne ha efficacia troppo limitata a tal fine.

209 Cfr. M. KASER, Das römische Privatrecht2 I cit. 542; C. A. CANNATA, Lacompravendita consensuale cit. 416.

210 Mi riferisco soprattutto allo studio, recente, di P. KRUSCHWITZ, RömischeWerbeinschriften, in Gymnasium 106/3 (1999) 231 ss., spec. 235 ss. («Wandinschrif-ten zur Anpreisung von Waren und Immobilien», con la precisazione «Die folgendeTexten sind in der Regel ‘reine’ Produktinformation und nicht primär daraufausgerichtet, durch argumentative Strukturen o. ä. Kaufinteresse zu fördern. Daallerdings Werbung prinzipiell jede Form von Produktinformation von Seiten desVerkäufers für die Zielgruppe ist, sollen die Texte an dieser Stelle nicht fehlen»,p. 235). Per la locatio si v. TH. MAYER-MALY, ‘Locatio conductio’ cit. 89 s.

terminato bene), serve piuttosto in primo luogo a stabilire giu-ridicamente l’oggetto dell’eventuale contratto, con o senza in-dicazione del prezzo 211. Le iscrizioni devono rappresentarsi,insomma, come proscriptiones compiute dal venditore al fine difar conoscere al compratore il prezzo, così da potersi conclu-dere il contratto.

I testi della giurisprudenza classica confermano, del resto,lo schema domanda/risposta 212:

D. 18.1.7.1-2 (Ulp. 28 ad Sab.). Huiusmodi emptio ‘quantitu eum emisti’, ‘quantum pretii in arca habeo’, valet: nec

282 CAPITOLO QUARTO

211 Ricorrono ad esempio, per la vendita di beni al dettaglio: CIL. IV 7678Vasa faecaria ven(dit) / [- - - - -] (nella parte mancante potrebbe essere indicato ilprezzo); CIL. IV 6877 Operari(i)s pane(m) denariu(m); per la locazione di immo-bili: CIL. IV 138 (cfr. p. 193) Insula Arriana / Polliana [C]n(aei) Al[le]i Nigidi Mai/ locantur ex [K(alendis)] Iulis primis tabernae / cum pergulis suis et c[e]nacula /equestria et domus conductor / convenito Primum [C]n(aei) Al[le]i Nigidi Maiser(vum); CIL. IV 807 hospitium hic locatur, / triclinium cum tribus lectis / etcomm(odis) [omnibus (?)].

212 Si v. F. CANCELLI, L’origine cit. spec. 112 ss., 151 ss. (sul condicere comeprecedente storico del contrarre consensu); R. SANTORO, Potere ed azione nell’an-tico diritto romano, in AUPA. 30 (1967) 217 ss.; A. MAGDELAIN, La loi cit. 11 ss.,39 ss.; G. MELILLO, ‘Contrahere’, ‘pacisci’, ‘transigere’ cit. 116 ss. (che sottolinea larecenziorità dell’unitas actus nella negozialità romana). Nel rapporto «von Frageund Antwort» mi sembra che K.-J. HÖLKESKAMP, ‘Fides’: Recht, Religion und Ri-tual in Rom, in CHR. BRUUN (ed.), The Roman Middle Republic. Politics, Religion,and Historiography c. 400-133 B. C. (Rome 2000) 238, veda un «Kaufformular» ba-sato sulla fides (mi pare si possa riferire – anche in mancanza di una indicazioneprecisa – ai formulari varroniani). F. LEIFER, Altrömische Studien IV. Mancipiumund auctoritas. Mit Beiträgen zum römischen Schuld- und Haftungsprobleme 2,in ZSS. 57 (1937) 218, rinviene nello «schema» varroniano una «bäuerliche Ver-kehrsgewohnheit, wonach regelmässig schon bei Kaufabschluß, ohne Rücksichtdarauf, ob die Ware sofort übergeben wurde, Preisversprechen des Käufers, expro-missio und repromissio des Verkäufers betreffs Mängel und Wahrschaft gegeneinan-der ausgetauscht zu werden pflegten. Erst wenn dies geschehen war, galt die Kauf-transaktion als perfekt». Ma come si fa a qualificare repromissio la sponsio richiestadal compratore? Ammesso che la expromissio abbia natura stipulatoria, essa non misembra in alcun modo (direttamente) connessa con l’altra promessa. Naturalmentein una visione complessiva del negozio come «procedimento alienatorio» (cfr. F.CANCELLI, l.u.c.) la connessione si può leggere, ma non fino al punto di considerarela sponsio del venditore come corrispondente all’atto speculare reciproco rispetto aquello del compratore.

enim incertum est pretium tam evidenti venditione: magisenim ignoratur, quanti emptus sit, quam in rei veritate in-certum est. 2. Si quis ita emerit: ‘est mihi fundus emptuscentum et quanto pluris eum vendidero’, valet venditio etstatim impletur: habet enim certum pretium centum, auge-bitur autem pretium, si pluris emptor fundum vendiderit.

Il discorso del giurista 213 si articola sul problema della cer-tezza del pretium. Ulpiano fa riferimento, nel paragrafo 1, adelle dichiarazioni del compratore, che pur non enunciandoun prezzo in moneta, pure, per relazione (con il valore pre-stato dal venditore in qualità di compratore dello stesso og-getto in un precedente negozio e con la quantità di danaropresente in quel momento nell’arca del compratore) ne indivi-duano precisamente l’entità, consentendo di considerare «va-lido» l’acquisto (anche in casi consimili: huiusmodi emptio …valet). La decisione è giustificata 214 sostenendo che, nei rap-porti di fatto considerati, non si tratterebbe di incertezza, mapiuttosto di mera ignoranza di un pretium in sé determinato ecerto. Già da questa parte del passo si avverte l’uso di utiliz-zare formule nella conclusione del contratto; la sensazione èrafforzata dalla lettura del secondo paragrafo. Anche qui in-fatti si trova una dichiarazione, che, inoltre, appare in qualchemodo più completa di quelle appena viste. Ricorre, appunto, lalocuzione-tipo che corrisponde perfettamente alla domandache serve a porre in essere il negozio rispetto alla proposta delvenditore: ‘est mihi fundus emptus centum’ rappresenta l’impe-gno del compratore (che nel caso di specie costituisce solo unabase di partenza, si aggiunge infatti et quanto pluris eum ven-didero, ma il dato iniziale certo – centum – consente al giurista

PROBLEMI DI ORIGINE 283

213 Il principium del testo tratta di una vendita condizionale con una clausolaarbitraria, e mostra in questo luogo un collegamento dell’argomentare di Ulpianocon la tradizione dei veteres. Di recente sul passo, messo in contrapposizione a D.18.1.35.1 (Gai. 10 ad ed. prov.), L. FASCIONE, La determinazione dell’oggetto delcontratto (vendita e locazione), in ‘Societas’ – ‘ius’ cit. 76 s.

214 Per l’espunzione del tratto tam evidenti venditione si v. la proposta in In-dex Interpolationum I cit. 309.

di qualificare perfettamente valida l’emptio, l’eventuale modifi-cazione sarà solo in aggiunta: augebitur autem pretium, si plu-ris emptor fundum vendiderit).

Il facere la compravendita in tal modo è attestato, semprenella Compilazione giustinianea degli iura, da altre fonti:

D. 18.1.34.6 (Paul. 33 ad ed.). Si emptio ita 215 facta fuerit:‘est mihi emptus Stichus aut Pamphilus’, in potestate estvenditoris, quem velit dare, sicut in stipulationibus, seduno mortuo qui superest dandum est: et ideo prioris peri-culum ad venditorem, posterioris ad emptorem respicit.Sed et si pariter decesserunt, pretium debebitur: unus enimutique periculo emptoris vixit. Idem dicendum est etiam, siemptoris fuit arbitrium quem vellet habere, si modo hocsolum arbitrio eius commissum sit, ut quem voluissetemptum haberet, non et illud, an emptum haberet.

Il problema centrale per l’interesse del giurista è quello delpericulum nella compravendita. Il punto di partenza (che quiin particolare interessa) è costituito da un tipo di emptio, factasecondo il solito formulario dichiarativo: est mihi emptus. L’al-ternativa del compratore, che nel momento della dichiarazionenon decide tra Stico e Panfilo, definisce la potestas del vendi-tore, che può consegnare, a sua scelta, l’uno dei due schiavi.Per Paolo è immediato il richiamo alla stipulatio. Da questopunto in poi si sviluppa soprattutto il discorso sul pericolo,con le chiarificazioni dovute nel caso di perimento di uno deidue oggetti (alternativi), ovvero di entrambi: in questo ultimocaso, dalla nostra prospettiva è interessante osservare come ilprezzo sia comunque dovuto, essendosi la vendita già perfe-zionata (concetto che torna nell’ultima parte del brano, in cuisi afferma che se la scelta sia affidata al compratore, a lui stasolo decidere sull’oggetto, non sul contratto: non et illud, anemptum haberet).

284 CAPITOLO QUARTO

215 La littera Florentina reca emptiota, cfr. TH. MOMMSEN, in ed. maior I cit.518, in apparato ad loc.

La costruzione con emere al participio ed il dativo per in-dicare la persona dell’acquirente ricorre anche in

D. 18.1.64 (Iavol. 2 epist.). Fundus ille est mihi et Titioemptus: quaero, utrum in partem an in totum venditioconsistat an nihil actum sit. Respondi personam Titii su-pervacuo accipiendam puto ideoque totius fundi emptio-nem ad me pertinere.

La dizione mihi et Titio emptus parrebbe replicare nella ri-chiesta di parere al giurista 216 quanto ricorre nella domanda delcompratore al momento della conclusione del contratto. Allostesso modo in un passo ancora tratto dal titolo de con-trahenda emptione, in cui è questione di clausole aggiunte allacompravendita:

D. 18.1.41 pr. (Iul. 3 ad Urs. Fer.). Cum ab eo, qui fundumalii obligatum habebat, quidam sic emptum rogasset, ut es-set is sibi emptus, si eum liberasset, dummodo ante kalen-das Iulias liberaret, quaesitum est, an utiliter agere possitex empto in hoc, ut venditor eum liberaret. Respondit: vi-deamus, quid inter ementem et vendentem actum sit. Namsi id actum est, ut omni modo intra kalendas Iulias vendi-tor fundum liberaret, ex empto erit actio, ut liberet, necsub condicione emptio facta intellegetur, veluti si hocmodo emptor interrogaverit: ‘erit mihi fundus emptus ita,ut eum intra kalendas Iulias liberes’, vel ‘ita, ut eum intrakalendas a Titio redimas’. Si vero sub condicione facta estemptio est, non poterit agi, ut condicio impleatur.

Il testo, che risale al commentario ad Urseium Ferocem diSalvio Giuliano, riporta una fattispecie piuttosto articolata. Inquesta sede si può limitare l’attenzione alla risposta del giuri-sta, che tende all’individuazione del quid actum. Nell’esempli-ficare i casi in cui ad ogni modo a data certa il venditore do-

PROBLEMI DI ORIGINE 285

216 Il testo tratto dalle epistulae di Giavoleno Prisco si dettaglia, infatti, facil-mente in due distinte sezioni: la domanda del cliente, e la risposta del giurista tipi-camente introdotta da respondi.

vrebbe liberare il fondo (altrimenti incorrerebbe nell’actioempti), dunque quelli in cui l’emptio non è fatta sub condi-cione, Giuliano pone due modi in cui si svolge l’«interrogare»del compratore. Già il verbo utilizzato nella fonte risulta pre-gnante per la linea interpretativa qui seguita, corrispondendoperfettamente all’attività del compratore delle oves varroniane.La particolarità sta nell’uso del verbo al futuro, cosa che mipare si giustifichi per la sostanziale apposizione del termine (laliberazione può essere operata dal solo proprietario, che hatempo per farla fino alle calende di luglio; il fondo deve essereredento dal venditore per poter essere rivenduto al compra-tore). Ma la struttura della domanda è la solita, basti il riferi-mento al costante uso del participio emptus. Naturalmente, nelcaso in cui l’actum sia stato sottoposto a condizione, la solu-zione di Giuliano si modula diversamente, ed il compratorenon avrà azione per far verificare la condizione stessa.

Insomma le formule ricorrenti mostrano il contenuto es-senziale del contratto di compravendita nel senso dell’accordoespresso (seguendo la più antica tradizione di una formalizza-zione verbale del rapporto) attraverso una domanda formulatadal compratore secondo locuzioni tendenzialmente prestabilite(cui si possono far accedere molte varianti), che contengonol’affermazione dell’acquisto di una determinata cosa (anche de-terminabile tra più) per un prezzo certo (stabilito almeno nelsuo minimo ammontare). La ‘risposta’ del venditore non devesostanziarsi in forme precise: prevale decisamente la connota-zione esteriore del consensus come modalità svincolata dalleforme 217: il rapporto tra le parti è regolato sulla base del quodactum est, come mostra D. 45.1.35.2 (Paul. 12 ad Sab.) 218. Del

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217 Cfr. A. BECHMANN, Der Kauf I cit. 462; J. G. WOLF, ‘Error’ cit. 35 ss.; B.SCHMIDLIN, Les deux modèles de la formation du contrat en droit naturel et en droitpandectiste, in Incontro con Giovanni Pugliese. 18 aprile 1991 (Milano 1992) 34 s.

218 Si in locando conducendo, vendendo emendo ad interrogationem quis nonresponderit, si tamen consentitur in id, quod responsum est, valet quod actum est, quiahi contractus non tam verbis quam consensu confirmatur. Sul passo – di non sem-plice tradizione – si v. G. GANDOLFI, Sull’interpretazione degli atti negoziali in di-ritto romano (Milano 1966) 143 s.; M. TALAMANCA, ‘Conventio’ e ‘stipulatio’ cit. 206.

resto non è una considerazione nuova il fatto che per i Romanifosse quasi naturale obbligarsi (nel caso di specie concludereuna compravendita) attraverso la struttura linguistica di do-manda e risposta 219.

Pur se nella sua breviloquenza, un passo plautino apparemolto vicino al contesto varroniano più sopra esaminato 220. Miriferisco a:

Plaut. Epid. 471-472. MIL. Estne empta mi istis legibus?PER. Habeas licet. / MIL. Conciliavisti pulchre 221.

È la struttura dei due negozi ad apparire estremamente si-mile. Anche qui c’è un espresso riferimento alla lex (questavolta al plurale) e cioè alla regolamentazione privata del rap-porto recitata dalla parte compratrice al venditore e che deveessere accettata perché lo scambio si verifichi. Quella che puòsembrare una complicazione della struttura più sopra conside-rata, in realtà non lo è, perché anche il compratore delle pecoredi Varrone enuncia una lex contrattuale, ma quella più sem-plice possibile, che si limita all’indicazione del prezzo per loscambio della cosa. Proprio per questo, poi, l’erudito si di-lunga sulle clausole che possono aggiungersi al ‘testo base’: ildiscorso di Varrone (secondo la natura del suo scritto, che inquesta parte pare comunque debitore di un sapere tecnico 222) è

PROBLEMI DI ORIGINE 287

219 Cfr., per tutti, F. DE ZULUETA, The Roman Law of Sale cit. 4, che, riferen-dosi in particolare proprio al passo varroniano da cui abbiamo iniziato questo per-corso (nel tratto che comprende la domanda dell’acquirente e la risposta del vendi-tore), scrive: «this is not a stipulatio, though its closeness to one shows how naturalit was to the Romans to strike a bargain by clear-out question and answer».

220 Per la comparazione si v. già M. VOIGT, Das jus naturale, aequum etbonum und jus gentium der Römer III. Das strictum jus und aequum et bonum derRömer (Leipzig 1875) 191; poi, in particolare, A. L. OLDE KALTER, ‘Dicta etpromissa’. De aansprakelijkheid van de verkoper wegens gedane toezzeggingenbetreffende de hoedanigheid van de verkochte zaak in het klassieke romeine recht(Utrecht 1963) 96 ss.

221 È da leggere il seguito, 472-475. PER. Heus, foras educite / quam intro-duxistis fidicinam. Atque etiam fides, / ei quae accessere, tibi addam dono gratis. /Age accipe hanc sis, in cui rileva un ulteriore riferimento alla fides.

222 Cfr. supra 265 nt. 160.

schematico, come s’addice ad una introduzione. La domandadell’emptor qui invece pare articolata su una serie di più clau-sole, che vengono descritte col plurale istae leges, ove l’agget-tivo fa riferimento a quanto appena stabilito dal venditore 223.Ma bisogna naturalmente considerare il diverso contesto:scarno ed orientato praticamente quello varroniano, invece ti-picamente intricato perché in primo luogo 224 teso all’argomen-tazione di un discorso comico quello plautino.

Risalta a prima vista, nel paragone tra i due testi 225, il rife-rimento all’emptio (in forma participiale: emptae, empta) nelladomanda rituale, che a ben vedere è centrale nel rapporto, piùche la risposta, che può consistere in parole, ma anche in uncenno ovvero in un atto concludente, come ad esempio la con-segna della res; del resto la risposta è in qualche modo obbli-gata nel caso in cui il compratore rispetti la/le lex/leges: essadiviene una sorta di formalità. Quando invece l’acquirentepronuncia la quantità di denaro che intende mettere a disposi-zione per lo scambio, potrebbe fare riferimento ad una ciframinore rispetto a quanto rappresentato nel regolamento con-trattuale predisposto dal venditore, addivenendosi, in tal caso,nella sostanza, ad una proposta, di fronte alla quale sarà l’altraparte a dover manifestare l’accettazione, ovvero il diniego. Nelcaso dell’Epidicus il venditore fa riferimento alla possibilità che

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223 La pluralità deriva dal fatto che il venditore spiega un po’ la storia: 463 ss.:MIL. Mi illam tu tramittas, argentum accipias; adest / nam quid ergo apud te veraparcam proloqui? / ego illam volo hodie facere libertam meam, / mihi concubinaquae sit. PER. Te absolvam brevi. / Argenti quinquaginta mi illa empta est minis; /si sexaginta mihi denumerantur minae, / tua possidebit mulier faxo ferias; / atqueita profecto, ut eam ex hoc exoneres agro.

224 Oltre ed a prescindere dalla ‘precisione’ giuridica, che comunque – secondome – risalta nei suoi momenti fondamentali.

225 M. VOIGT, Das jus naturale III cit. 191: «in Form einer initiativen Fragedes emtor: das emtum rogare, welches dahin sich concipirte: Stichus centum (oderdergl.) est mihi emtus? und einer correspondirenden Antwort des venditor: deraddictio, dahin lautend: Stichus tibi emtus esto (oder erit) centum! worauf dannSeitens des emtor im Falle der Creditgewährung das Versprechen der künftigenBezahlung des Kaufpreises an dem vereinbarten Zahltage: das expromittere num-mos ebenfalls in typischer Rede erfolgte».

il compratore entri nel possesso della cosa con linguaggio tec-nico (habeas licet); lo habere licere che nella prospettiva diVarrone è oggetto di distinta stipulazione, per il fatto chequella compravendita viene dilazionata nel tempo, in Plautoacquista unità, finalizzata all’immediato trasferimento della res(la bella schiava 226) come è nell’interesse del compratore, chepur di averla accetta la condizione apertamente parziale delvenditore.

Come si è visto, lo schema della compravendita strutturatosu di una lex e sulla corrispondente richiesta dell’emptor, vieneutilizzato fin da età risalente per l’acquisto di res mancipi(schiavi, in primo luogo, aedes e fondi 227). Ma le sue originisono da invenirsi nella compravendita a contanti di res necmancipi: nel momento in cui questo tipo di negoziazioni av-viene al di fuori dei contesti strettamente interni ad una piccolacomunità, un momento di formalizzazione risulta necessarioper la sicurezza degli scambi (assumendo, tra l’altro, una fun-zione di pubblicità rispetto all’atto). Esso è rinvenuto nella lex(che ha iniziato ad avere una corrispondenza funzionale anchenelle cessioni che oggi si direbbero di diritto pubblico), che di-viene una base certa per la contrattazione. Mi pare significa-tivo, proprio sotto il profilo della sicurezza, che ancora inepoca severiana, con un pregnante rinvio all’autorità dei vete-res, Papiniano possa così giustificare l’attribuzione di respon-sabilità a chi assuma l’iniziativa negoziale, attraverso la propo-sizione della lex:

D. 2.14.39 (5 quaest.). Veteribus placet pactionem obscu-ram vel ambiguam venditori et qui locavit nocere, in quo-rum fuit potestate legem apertius conscribere 228.

PROBLEMI DI ORIGINE 289

226 Che il compratore vuole poi subito manomettere, per renderla sua liberta(e – da altro punto di vista – sua amante).

227 Cfr. i testi che immediatamente precedono. Importante la compravendita diuno schiavo (D. 19.1.38.1 [Cels. 8 dig.]), alla base del discorso che si svolgerà infra305 ss.

228 Il frammento papinianeo è esponenziale di una serie di testi che esprimono

La pactio oscura o ambigua nuoce al venditore e – rispetti-vamente – al locatore 229. La ratio del criterio ermeneutico èspiegata con il richiamo alla potestas 230 che è propria di queisoggetti di scrivere la lex, la base del regolamento contrattuale:non avere disposto apertius (dunque evitando oscurità e con-fusioni) si riverbera contro i soggetti che proprio sulla basedella lex ricevevano il consenso delle altre parti 231.

Il riferimento a questa tipologia originaria (che attraversoun processo di deformalizzazione farà emergere, nell’opera deigiuristi, la costruzione della contrattualità meramente consen-suale) mi pare possa spiegare uno dei grandi misteri della strut-tura dell’emptio venditio, e cioè l’obbligazione a trasferire ilmero possesso della res (e non la proprietà), costituita in capoal venditore. Se la funzione primaria del negozio è di fare otte-nere alla controparte una res nec mancipi, è chiaro che il fulcrogiuridico del rapporto sta in una traditio che fa acquistare sullacosa un potere di fatto probabilmente in origine non qualifica-bile sotto lo stretto profilo giuridico; un potere, in rapportocon la natura della cosa, sostanzialmente indifferenziato ri-spetto alle (successive) categorie proprietarie (cosa che, dopo la

290 CAPITOLO QUARTO

la stessa regola: D. 18.1.21 (Paul. 5 ad Sab.). Labeo scripsit obscuritatem pacti nocerepotius debere venditori qui id dixerit quam emptori, quia potuit re integra apertiusdicere; D. 18.1.33 (Pomp. 33 ad Sab.). Cum in lege venditionis ita sit scriptum: ‘flu-mina stillicidia uti nunc sunt, ut ita sint’, nec additur, quae flumina vel stillicidia,primum spectari oportet, quid acti sit: si non id appareat, tunc id accipitur quod ven-ditori nocet: ambigua enim oratio est; D. 50.17.172 pr. (Paul. 5 ad Plaut.). In con-trahenda venditione ambiguum pactum contra venditorem interpretandum est.

229 La comparabilità delle due figure, oltre la familiaritas tra i contratti, trovapreciso motivo d’essere nella modalità di vendita e locazione attraverso una propo-sta formalizzata in una lex.

230 Cfr. H. E. TROJE, ‘Ambiguitas contra stipulatorem’, in SDHI. 27 (1961) 115ss., che in sostanza si avvicina alla tesi mommseniana sulla genesi di locatio conduc-tio ed emptio venditio consensuali (si v. supra 239 ss.).

231 Per un inquadramento della prospettiva papinianea all’interno della cor-rente di pensiero che produce la regola interpretatio contra stipulatorem, si v. G.GANDOLFI, Sull’interpretazione cit. spec. 390 ss. (con indicazione delle fonti e dellacontroversa letteratura): così lo studioso si avvicina (pur non sposandola piena-mente) alla dottrina che rintraccia nella stipulatio la genesi della compravendita con-sensuale (cfr. supra 230 ss.).

costruzione teorica dell’emptio venditio in strutture precise,corrispondenti a prescrizioni edittali, si mantiene con riguardoal pretium, per il quale la traditio, in quel contesto, corrispon-dente ad una iusta causa, fa ottenere la proprietà all’accipiente;ed anche con riguardo alla res nec mancipi trasferita – ap-punto – secondo la iusta causa venditionis). Di fronte a quel«colossale processo di trasformazione della società romana»che si ebbe negli ultimi due secoli della repubblica, e che coin-volse in pieno le istituzioni giuridiche, si verificò il «deperi-mento» di antiche forme strettamente collegate con la più an-tica struttura (politica, costituzionale, economica, sociale) dellacivitas 232. Tra queste la mancipatio, come aveva magistralmentedimostrato, più di un secolo fa, Charles Appleton 233. Di con-seguenza il trasferimento delle res mancipi si organizzò (anche)sulla base del mero accordo tra le parti (che, però, non era piùsolo finalizzato alla vendita a contanti, ma si stava raffinandonelle agili modalità tipiche di quella che conosciamo comeemptio venditio consensuale): il passaggio del possesso (e la ri-nuncia a trasferire la piena proprietà) significa, dunque, negliorientamenti pratici dei soggetti che svolgevano tali scambi, laprevalenza dell’interesse possessorio sui «benefici derivantidalla pienezza della proprietà quiritaria» 234. È chiaro che l’am-pia diffusione numerica (l’impatto socio-giuridico) di questotipo di trasferimenti poteva condurre a disagi, che furono con-trollati attraverso l’azione publiciana 235. E non è un caso, se la

PROBLEMI DI ORIGINE 291

232 Così L. CAPOGROSSI COLOGNESI, in modo incisivo ad esempio in Il depe-rimento di alcuni ‘actus legitimi’ e la nuova realtà dei diritti reali, tra Repubblica ePrincipato, in Proprietà e Diritti Reali. Usi e tutela della proprietà fondiaria nel Di-ritto romano (Roma 1999) 153 ss.; cfr. anche, di recente, V. MANNINO, ‘Conventio’e ‘voluntas’ nell’operatività delle servitù e come fondamento della ‘servitus perso-nae’, in Iuris vincula. Studi in onore di M. Talamanca V (Napoli 2001) 147 ss.

233 Histoire de la propriété prétorienne I (Paris 1899) spec. 33; lo studioso fran-cese, sul punto, è seguito da L. CAPOGROSSI COLOGNESI, Il deperimento di alcuni‘actus legitimi’ cit. 155 e nt. 5.

234 Così ancora L. CAPOGROSSI COLOGNESI, Il deperimento di alcuni ‘actus le-gitimi’ cit. 155 e nt. 5.

235 Per la restituzione del testo si v. O. LENEL, EP.3 cit. 169 ss. (§ 60). Sul rap-porto tra compravendita consensuale e actio Publiciana si v. soprattutto L. VACCA,

storiografia tende ad individuare la data di proposizione edit-tale nel 67 a. C. 236, in corrispondenza da una parte con la pienamaturazione della crisi della mancipatio e dell’esplosione dellacompravendita consensuale, dall’altra con la precisazione deicontorni edittali delle azioni relative a quest’ultima 237.

6. Naturalezza dei rapporti e indeterminazione nominale:«emptio venditio» e «locatio conductio». – L’originaria sempli-cità dello scambio, che corrispondeva ad esigenze naturali, giu-stificava una sorta di indeterminazione nominale, che si potevarinvenire, ad esempio, nella impossibilità di riconoscere la pre-cisa posizione delle parti, che ambedue davano qualcosa inproprio vantaggio, ed – appunto – in cambio acquistavanoqualche altra cosa. In tal senso è molto significativo

D. 19.1.19 (Gai. ad ed. praet. tit. de publ.). Veteres in emp-tione venditioneque appellationibus promiscue utebantur.

Il frammento, che richiama l’opinione, indistinta, dei vete-res, ci rende noto che in un’età risalente (ma l’opzione ha an-cora significato per Gaio, che la riproduce all’interno del suocommentario edittale 238, con tutta probabilità a proposito delleattività dei pubblicani, come indica la specificazione nella in-scriptio). Com’è chiaro questa prospettiva si riannoda facil-

292 CAPITOLO QUARTO

Il c.d. ‘duplex dominium’ e l’‘actio Publiciana’, in Studi L. De Sarlo (Milano 1989)618 ss. (su cui A. BURDESE, Editto publiciano e funzioni della compravendita ro-mana, in Estudios F. Hernandez Tejero II [Madrid 1994] 81 ss.); L. DI LELLA, ‘For-mulae ficticiae’ (Napoli 1984) 68 ss.

236 Si v. M. KASER, Das römische Privatrecht2 I cit. 438 nt. 2; O. BEHRENDS,‘Iusta causa traditionis’ cit. 53 e nt. 34 (con importanti osservazioni); L. CAPO-GROSSI COLOGNESI, Il deperimento di alcuni ‘actus legitimi’ cit. 157 (più ampia sto-ricizzazione del problema in ID., s.v. «Proprietà [dir. rom.]», in ED. XXXVII [Mi-lano 1988] 197 ss.). In quell’anno un Publicio fu (con buona probabilità) pretore pe-regrino, cfr. T. R. S. BROUGHTON, The Magistrates of the Roman Republic II cit.143, 150 ntt. 3, 5. Per una datazione più alta si v. L. DI LELLA, ‘Formulae’ cit. 110 ss.

237 Cfr. infra 477 ss.238 O. LENEL, Palingenesia I cit. 188, Gaius 46 attribuisce il frammento al l. IX

del commento ad edictum. Sulla collocazione palingenetica del testo, si v. anche B.SANTALUCIA, L’opera di Gaio ‘ad edictum praetoris urbani’ (Milano 1975) 191 ss.

mente con la ricostruzione sabiniana del rapporto tra permuta-tio ed emptio venditio. La sua naturalezza nel senso di un iusgentium universalmente valido mi pare attestata da un ulte-riore (notissimo) passo gaiano, in cui si disegna una stretta re-lazione tra acquisto per diritto delle genti e traditio 239:

D. 41.1.9.3 (Gai 2 rer. cott.). Hae quoque res, quae tradi-tione nostrae fiunt, iure gentium nobis adquiruntur: nihilenim tam conveniens est naturali aequitati quam volunta-tem domini volentis rem suam in alium transferre ratamhaberi.

Le res che divengono nostre attraverso una traditio (unatto materiale), ci sono acquistate secondo il ius gentium. Pergiustificare l’asserzione, il giurista richiama la convenienza allanaturalis aequitas, che giustifica dal punto di vista giuridico(ratam haberi) la volontà di un dominus, il quale voglia trasfe-rire una res sua ad un altro soggetto. Nel sistema del dirittoclassico la giustificazione del trapasso si ottiene (con riferi-mento ad una res nec mancipi) con il richiamo alla iusta causagiustificatrice: si tratta di una sovrapposizione giuridicamenteformalizzante (se si vuole: razionalizzante), rispetto all’ele-mento fattuale del trasferimento della cosa 240. Come, per le resmancipi, a fronte dell’accordo tra le parti ed anche al materialetransito della res nelle mani dell’acquirente, è necessaria lamancipatio (ovvero, con il passare del tempo sempre più di fre-quente) la usucapio 241.

PROBLEMI DI ORIGINE 293

239 Sulla relazione storica e dogmatica tra rapporto tra emptio venditio e per-mutatio si v. infra 372 ss., nell’ambito di una discussione più generale sul ruolo delius gentium per l’inquadramento dei contratti consensuali.

240 Si legga, da una parte, la limitazione del principio ad «alcune» cose, in unframmento di matrice ancora gaiana: D. 41.1.1 pr. (Gai. 2 rer. cott.). Quarundam re-rum dominium nanciscimur iure gentium, quod ratione naturali inter omnes homi-nes peraeque servatur, quarundam iure civili, id est iure proprio civitatis nostrae. etquia antiquius ius gentium cum ipso genere humano proditum est, opus est, ut de hocprius referendum sit. (per il collegamento palingenetico tra i due testi si v. O. LE-NEL, Palingenesia I cit. 252 ss., Gaius 491); dall’altra il riferimento alla necessitàdella iusta causa in Gai. 2.20 ed in D. 41.1.31 pr. (Paul. 31 ad ed.). Sul punto si v.O. BEHRENDS, ‘Iusta causa traditionis’ cit. 36 ss.

241 Sul rapporto di questo sistema con l’actio Publiciana, si v. supra 291 s.

È da notare come, nel contesto giustinianeo, al passogaiano in cui si denota la promiscuità d’uso nominale in temadi compravendita, segua una consimile dichiarazione (prove-niente dallo stesso giurista) sulla locatio conductio:

D. 19.1.20 (Gai. 21 ad ed. prov.). Idem est et in locatione etconductione.

Il testo è quanto mai breve. Deriva, questa volta, dal com-mentario all’editto provinciale (ove non è improbabile chefosse contenuta anche la notizia sulla emptio venditio 242). Dalpunto di vista storico-dogmatico la notizia è di grande inte-resse, perché pone in ulteriore collegamento i due istituti, an-che dal punto di osservazione della giurisprudenza dei veteres.Dunque, ancora nella prospettiva dei Digesta, si ha un ricordoche i veteres utilizzavano le appellationes promiscuamente nel-l’emptio venditio ed allo stesso modo anche nella locatio con-ductio. Il primo frammento edittale gaiano è interessante perpiù motivi. Si tratta di uno dei soli due passi superstiti dalcommentario al titolo de publicanis dell’editto pretorio 243. Iltesto è assai scarno ed è stato messo in collegamento, dalla sto-riografia, con il frammento successivo nell’ordine compilato-rio, per ricostruirne l’ambito originario 244. Per prima cosa essodà una connotazione cronologica 245 (ma anche metodologica)alla confusione dell’uso del nesso emptio venditio: solo dopo i

294 CAPITOLO QUARTO

242 Cfr. O. LENEL, Palingenesia I cit. 230, Gaius 331. In tal caso bisogna pen-sare ad una variatio voluta dai compilatori giustinianei, rispetto al frg. 19, per citareluoghi gaiani provenienti da due diverse opere del giurista antoniniano.

243 Cfr. B. SANTALUCIA, L’opera di Gaio cit. 191 ss. (l’altro è D. 39.4.5); sullaparticolarità della inscriptio si v. p. 2, 5 nt. 16.

244 La soluzione era già stata di Cuiacio (cfr. Opera VII [Prati 1839] 1251 s.,che intendeva potersi ricostruire come segue il testo originale gaiano: «veteres inemptione venditioneque appellationibus promiscue utebantur id est et in locatione etconductione»).

245 Purtroppo la tradizione dei Basilici è carente: dal corrispondente sommariodel Tipucito (dove i due frammenti sono fusi in un unico testo: 19.8.19-20) la pro-spettiva storica risulta completamente annebbiata e l’espressione si trova al presente(il passo restituisce il testo dei Basilici secondo l’edizione HEIMBACH: 19.8.19-20, II292, non invece per SCHELTEMA, VAN DER WAL: A III [Groningen- ’s Gravenhage1960] 945, cfr. la praefatio a p. vi s.).

veteres 246 si sarebbe stabilizzata una precisone tecnica che rife-risce la terminologia all’accordo sullo scambio tipico di cosacontro prezzo 247. Dal confronto con le altre fonti (ed anche dalluogo originario dell’affermazione gaiana) facilmente possiamodedurre il rapporto con la locatio conductio, che è anche ricor-dato nell’altro passo trascritto, che sembra mostrare una «flui-dità» concettuale sulla quale il lavorio della giurisprudenza delI secolo a. C. ha certamente determinato un cambiamento dirotta a tutto vantaggio della precisa definizione dei rapporti edelle loro conseguenze giuridiche.

È chiaro che, in un esame delle origini, accanto all’empiovenditio bisogna considerare in primo luogo la locatio conduc-tio 248: è proprio della giurisprudenza del principato il ricono-scimento dell’affinità (della «prossimità» dogmatica) tra i duenegozi, con riferimento al loro ‘consistere’ sulle stesse regulaeiuris. Il punto è esplicitamente attestato in due noti passigaiani 249:

Gai 3.142. Locatio autem et conductio similibus regulisconstituitur, nisi enim merces certa statuta sit, non videturlocatio et conductio contrahi.

PROBLEMI DI ORIGINE 295

246 Sull’espressione in Gaio si v. B. SANTALUCIA, L’opera di Gaio cit. 56 s. (ivirichiami alla letteratura più risalente); per quanto riguarda l’identificazione si v. B.ALBANESE, La nozione del ‘furtum’ fino a Nerazio cit. 60 e nt. 31; A. BISCARDI, Po-stille gaiane, in Gaio nel suo tempo (Napoli 1966) 18 ss.; O. BEHRENDS, Les ‘vete-res’ cit. 7 ss., che pone il termine in connessione con la giurisprudenza stoica fino aQuinto Mucio; sul quale in particolare, in senso critico (ma – mi pare – senza unacomprensione profonda della lettura dello studioso di Göttingen), si v. F. HORAK,Wer waren die ‘veteres’? Zur Terminologie der Klassischen römischen Juristen, inVestigia Iuris Romani. Festschrift für G. Wesener (Graz 1992) 201 ss., che assume uncriterio relativo.

247 Sembra indimostrata la proposta di lettura di H. KAUFMANN, Die altrömi-sche Miete. Ihre Zusammenhänge mit Gesellschaft, Wirtschaft und staatlicherVermögensverwaltung (Köln-Graz 1964) 292 ss., il quale sostiene che la promi-scuità non sarebbe interna a emptio venditio e locatio conductio, ma si riferirebbe alrapporto tra i due tipi obbligatori; da ultimo si v. la critica di R. FIORI, La defini-zione cit. 304 nt. 70 [da 303], e già la rec. di A. WATSON, in TR. 34 (1966) 111 s.

248 Cfr. già supra spec. 239 ss.249 Sul rapporto delle Res cottidianae sive aurea con le Institutiones di Gaio si

v. infra 446 nt. 176.

D. 19.2.2 pr. (Gai. 2 rer. cott.). Locatio et conductioproxima est emptioni et venditioni isdemque iuris regulisconstitit: nam ut emptio et venditio ita contrahitur, si depretio convenerit, sic et locatio et conductio contrahi intel-legitur, si de mercede convenerit.

Nel testo delle Institutiones, il giurista fa riferimento aquanto affermato pochi paragrafi più sopra 250, sul «contrarsi»dell’emptio venditio attraverso il convenire de pretio. Il puntodi contatto tra le due operazioni giuridiche si rinviene, incen-trando la prospettiva sulla locatio, nel fatto che lo stabilire con-cordemente una merces certa dà vita al legame tra le parti 251.Nel passo – più concentrato, ma allo stesso tempo strutturatoper proporre tutti e due gli elementi della comparazione – deiDigesta le regole «simili» sono divenute «le stesse» e vengonoqualificate attraverso il riferimento ordinamentale, ma la so-stanza dell’analogia, con il riferimento combinato a prezzo emerces, permane.

Se il rapporto dogmaticamente stabilizzato tra vendita elocazione si costruisce attraverso la, per così dire, intuitiva pre-valenza della prima (cui la seconda si rapporta) in un ordineche diviene ricorrente 252, ciò mi pare coinvolgere il problemagenetico e quello della differenziazione dei vari tipi nell’am-bito dell’analisi tecnica svoltasi alla fine della repubblica. Sipossono, in questa prospettiva, osservare le attestazioni più ri-salenti, che sono quelle della legislazione repubblicana. In essa

296 CAPITOLO QUARTO

250 Gai 3.139. Emptio et venditio contrahitur, cum de pretio convenerit, quam-vis nondum pretium numeratum sit … (per qualche problema di tradizione di que-sto passo, peraltro di facile, ampiamente accettata, integrazione, soprattutto attra-verso I. 3.23 pr., si v., per tutti, M. DAVID, Gai institutiones2 cit. 102, ad loc.).

251 Su Gai 3.142 e le regulae attraverso le quali la locazione si costituisce si-milmente all’emptio venditio si v. O. BEHRENDS, Die Wissenschaftslehre im Zivilre-cht des Q. Mucius Scaevola pontifex, in NAWG. (1976) 18 nt. 65, per il riferimentoal ius cfr. B. SCHMIDLIN, ‘Regula iuris’: Standard, Norm oder Spruchregel? Zumhermeneutischen Problem des Regelverständnisses, in Festschrift für M. Kaser zum70. Geburtstag (München 1976) spec. 96 ss. (sulla menzione della regula gaiana edil collegamento tra i due testi v. anche ID., Die römische Rechtsregeln. Versuch einerTypologie [Köln-Wien 1970] 23 ntt. 1-2, 43 e nt. 67).

252 Cfr. infra 464 ss.

prevale il ruolo della comunità (politica, la res publica; ovveromunicipale) come venditrice-locatrice (piuttosto che nell’atti-vità di comprare o condurre) 253. Il punto di partenza, costi-tuito dalla lex agraria epigrafica (compilata nel 111 a. C.), pro-pone un’alternanza d’ordine: se a lin. 85, 87, 88 (in integra-zione anche a lin. 89) si trova locare-vendere 254, a lin. 89 c’èuna serie invertita 255. Forse (secondo un modulo tipico dellalegislazione tra repubblica e primo principato 256) si può pro-porre una stratigrafia del testo: tenuto presente il fatto che co-

PROBLEMI DI ORIGINE 297

253 Sulla necessità di non tenere separate l’esperienza della «locazione ammini-strativa» da quella del contratto privatistico si v., a ragione, A. BISCARDI, Il concettoromano di ‘locatio’ nelle testimonianze epigrafiche, in Studi Senesi 72 (1960) 409 ss.[=s.v. «Locatio», in DE. IV (Roma 1964) 1429 ss.]; cfr. ID., Sul regime delle loca-zioni amministrative in diritto romano, in Studi in onore di A. Amorth I. Scritti didiritto amministrativo (Milano 1982) 83 ss.

254 Lex agr. 85 [FIRA. I nr. 8, p. 119] … ex lege dicta, q[uam L. Caecilius Cn.Domitius cen]s(ores) agri aedificii loci vectigalibusve publiceis fruendis locandis ven-dundeis legem deixerunt, publicano dare oportuit …; 86-87. … quae L. CaeciliusCn. Domiti(us) cens(ores) fruenda / [locaverunt vendideruntve, queiquomquemag(istratus) post h. l. rog. ea vectigalia locabit vendetve, quominus publicano eamlegem dicat …] … [… queiquomque, quae] publica populi Romani in Africa sunteruntve, vectigalia fruenda locabit vendetve, quom ea vectigalia fruenda locabitvendetve …; 88. … [… quod ei non licuit facer]e ex lege dicta, quam L. Caec(ilius)Cn. Dom(itius) cens(ores), quom eorum agrorum vectigalia fruenda locaverunt[vendideruntve …; 89. [p. 120] [aliter pascatur quam pastum est ex lege dicta, quamL. Caecilius Cn. Domitius censores, quom eorum agrorum vectigalia fruenda loca-verunt vendideruntve, legem deixerunt]. Cfr. M. H. CRAWFORD (ed.), Roman Sta-tutes I cit. 122.

255 Lex agr. 89 [FIRA. I nr. 8, p. 120] [Quae vectigalia fruenda in Africa Cn.Paperius cos. vendit locavitve, quo]minus ea lege sient pareantque, quam legem Cn.Paperius cos. eis vendundeis [locandis deixit], eius h. l. n(ihilum) r(ogato). L’integra-zione [locandis deixit] è certa, ne discende la ricostruzione che la precede dove purela serie sembra avere avuto lo stesso ordine. Cfr. M. H. CRAWFORD (ed.), l.u.c.

256 Il pensiero corre immediatamente alle «aggiunte» rinvenibili nella lex por-tus Asiae del cd. Monumentum Ephesenum: in questo testo normativo, sull’appaltodel dazio asiatico, si rinvengono, infatti, oltre ad un nucleo originario, una serie diclausole, annesse a quello che, appunto, si definisce il «testo base», per un periodoche va dal 72 a. C. al 62 d. C.; sul punto si v., per tutti, T. SPAGNUOLO VIGORITA,‘Lex portus Asiae’. Un nuovo documento sull’appalto delle imposte, in I rapporticontrattuali con la pubblica amministrazione nell’esperienza storico-giuridica (So-cietà italiana di Storia del diritto. Congresso internazionale. Torino, 17-19.10.1994)(Napoli 1997) 133 ss.; G. D. MEROLA, Autonomia locale, governo imperiale. Fisca-lità e amministrazione nelle province asiane (Bari 2001) 205 ss.

stantemente il binomio locare-vendere ricorre insieme con lacitazione della coppia censoria del 115 a. C. (Lucio CecilioMetello e Gneo Domizio Enobarbo) 257, e che quello opposto(vendere-locare) si rinviene, invece, a proposito dell’attività delconsole del 113 (Gneo Papirio Carbone) 258, si potrebbe ipotiz-zare una svolta nella considerazione del rapporto tra locazionee vendita proprio in quegli anni (anche se la vicinanza crono-logica e la scarsezza delle prove in tal senso non possono con-ferire certezza). I testi risalenti al 115 potrebbero, peraltro, re-plicare sul punto formulari (anche molto) più antichi, in cui –è, ovviamente, solo un’ipotesi – il termine base potrebbe esserestato costituito da locare/locatio, cui si aggiunse venditio almomento della scissione concettuale tra una «collocazione»temporanea ed un trasferimento definitivo della cosa, cui cor-rispose una raffinazione dogmatica, appunto, della terminolo-gia significante. L’ordine sembra essere stato rispettato nellalex Iulia repetundarum del 59 a. C.: dopo aver fatto cenno aldivieto di usucapione delle cose donate al governatore provin-ciale contra legem 259 (qui l’esplicito richiamo alla lex repetun-darum per antonomasia quella di Cesare, nel diritto del princi-pato 260), infatti, Paolo, in un luogo del suo commentario edit-tale (come pare) dedicato a de possessione et usucapione 261, fa dinuovo un riferimento alla eadem lex, con una citazione (più omeno rimaneggiata) del testo legislativo in cui si rinvengonovenditiones e locationes: D. 48.11.8.1 (54 ad ed.). Eadem lexvenditiones locationes eius rei causa pluris minorisve factas irri-tas facit impeditque usucapionem, priusquam in potestatemeius, a quo profecta res sit, heredisve eius veniat 262. Proprio

298 CAPITOLO QUARTO

257 T. R. S. BROUGHTON, The Magistrates of the Roman Republic I cit. 531 s.258 Suo collega fu C. Cecilio Metello Caprario, cfr. T. R. S. BROUGHTON, The

Magistrates of the Roman Republic I cit. 536.259 D. 48.11.8 pr. (Paul. 54 ad es.). Quod contra legem repetundarum procon-

suli vel praetori donatum est, non poterit usu capi.260 Per tutti: B. SANTALUCIA, Diritto e processo penale2 cit. spec. 158 ss.261 Cfr. O. LENEL, Palingenesia I cit. 1071, Paulus 676.262 La disposizione, cioè, stabilisce la nullità di quegli atti (vendite e locazioni)

che fossero stati posti in essere senza rispetto (pluris minorisve) del giusto prezzo,

nello stesso torno di anni, lo schema mi pare attestato, in untesto che ha tono e significato giuridici 263, da un’iscrizione acontenuto sacrale: nella cd. lex a vicanis Furfensibus templo Io-vis dicta ricorre, infatti, come attribuzione dell’edile della co-munità locale, la possibilità di operare secondo la seguente se-rie (lin. 8 s.): venditio / locatio aedilis esto (dunque il magi-strato locale poteva mettere in commercio le cose dedicate alculto della divinità), ripetuta – sia pure a termini invertiti – an-che a lin. 10 s.: ea pequnia emere / conducere 264. Fatto sta, perrestare nell’ambito delle leges, che nella successiva lex coloniaeGenetivae Iuliae (risalente al 44 a. C.) la conseguenzialità ve-nire-locare appare ormai stabilizzata 265.

A questo punto, bisogna prendere posizione negativa 266

sulla presunta indifferenziazione 267 nelle leggi pubbliche dei

PROBLEMI DI ORIGINE 299

dunque come «travestimenti formali di attività estorsive o di donazioni» (così C.VENTURINI, Studi sul ‘crimen repetundarum’ nell’età repubblicana [Milano 1979]471 e nt. 29, cfr. anche 490 e nt. 77), evitando l’usucapione.

263 Risale, secondo la datazione consolare, al 58 a. C.; cfr. T. R. S. BROUGH-TON, The Magistrates of the Roman Republic II cit. 193 s.; può leggersi in CIL. I2

756=IX 3512=FIRA. III 225 ss., nr. 72.264 Interessante, nello stesso documento epigrafico, la ricorrenza dell’antico

sintagma venum dare (lin. 8: venum dare, venum datum, utilizzato per indicarequanto immesso nella circolazione economica e perciò automaticamente reso profa-num), che a mio parere è in tal caso indifferentemente comprensivo di venditio e lo-catio, e la specificazione della modalità dell’acquisto (emere) attraverso bronzo e ar-gento, lin. 12 s.: quod emptum erit aere aut argento / ea pequnia …

265 Lex Urs. 82 [FIRA. I nr. 21, p. 185] … Qui agri quaeque silvae quaeq(ue)aedificia c(olonis) c(oloniae) G(enetivae) I(uliae) quibus publice utantur, data adtri-buta erunt, ne quis eos agros neve eas silvas vendito neve locato longius quam inquinquennium, neve ad decuriones referto neve decurionum consultum facito, quoei agri eaeve silvae veneant aliterve locentur. Neve is venierint, itcirco minus c(olo-niae) G(enetivae) I(uliae) sunto … Cfr. F. GALLO, Disciplina giuridica e costruzionedogmatica nella ‘locatio’ degli ‘agri vectigales’, in SDHI. 30 (1964) 10 ss. Alla solaprospettiva dell’acquisto si volge la lex municipi Tarentini I 30, con la congiunzionedi emere a mancipio accipere; cfr. M. H. CRAWFORD (ed.), Roman Statutes I cit. 304.

266 Così L. BOVE, Ricerche sugli ‘agri vectigales’ (Napoli 1960) 89; cfr. R.FIORI, La definizione cit. 22 nt. 30. Naturalmente riguardo alla gestione dei luoghipubblici, bisogna considerare la portata di Fest. s.v. «Vend<itiones>» [516 L.].Vend<itiones> … dicebantur censorum locationes; quod vel <ut fr>uctus locorumpublicorum venibant.

267 Sulla quale si v., ad esempio, F. LANFRANCHI, Studi sull’‘ager vectigalis’ I.

termini o gruppi emere-vendere e conducere-locare: la costanteopposizione (espressa dall’enclitica -ve o da un neve) mi sem-bra esprimere piuttosto una differenza del significato econo-mico (prima ancora che giuridico) dei rapporti indicati 268. Laquestione è però diversa se si considera l’età precedente aquella in cui iniziano ad essere rogate le leges (i plebiscita) contali contenuti. In un contesto ‘originario’ l’indeterminatezza èfacilmente rintracciabile, attraverso uno sguardo alle fonti. Diemere è nota la definizione di Paolo Diacono, che ha comematrice diretta il lessico di Festo, con precipuo significato sto-rico. Nel lemma emere si trova un rapporto tra l’opinione de-gli «antichi» ed un non meglio identificabile nunc 269:

Fest.-Paul. s.v. «Emere» [66 L.]. Emere, quod nunc estmercari, antiqui accipiebant pro sumere.

Il lemma si deve collegare con le altre due spiegazioni deltermine che si rinvengono in luoghi diversi del glossario fe-stino e che rendono emere (sempre in una prospettiva storica:con riferimento agli antiqui o comunque all’«epoca antica»,con il termine, ripetuto, accipere):

Fest.-Paul. s.v. «Abemito» [4 L.]. Abemito significat de-mito vel auferto: emere enim antiqui dicebant pro accipere.

300 CAPITOLO QUARTO

La classicità dell’‘actio in rem vectigalis’ (Faenza 1938) 22 ss.; F. MILAZZO, La rea-lizzazione delle opere pubbliche in Roma arcaica e repubblicana. ‘Munera’ e ‘ultrotributa’ (Napoli 1993) 130 ss.; L. MAGANZANI, Pubblicani e debitori d’imposta. Ri-cerche sul titolo edittale ‘de publicanis’ (Torino 2002) 222 nt. 12 (con ulteriori rinviibibliografici). Meno deciso V. ARANGIO-RUIZ, La struttura dei diritti su cosa altruiin diritto romano, in Arch. Giur. 81 (1908) 436 ss. [=Scritti di diritto romano I (Na-poli 1974) 80 ss.], che peraltro distingue tra scrittori giuristi e non giuristi.

268 Importanti le riflessioni di P. FREZZA, ‘Ius gentium’, in RIDA. I/2 (1949)[=Mélanges F. De Visscher I] 273 [=Scritti I (Romae 2000) 629], sulle «denomina-zioni funzionali» dei quattro contratti consensuali, rispetto alle qualificazioni deinegozi arcaici, in cui prevale la descrizione del rito.

269 Il problema è relativo da una parte alle fonti di Festo (il nunc potrebbe ri-ferirsi al uno scrittore utilizzato dal lessicografo); dall’altra al fatto che questolemma ci è pervenuto tramite il filtro di Paolo Diacono (ed il nunc potrebbe riferirsialla sua tarda epoca, ma riterrei meno probabile questa opzione).

Fest.-Paul. s.v. «Redemptores» [L. 332]. Redemptores pro-prie atque antiqua consuetudine dicebantur, qui, cum quidpublice faciendum <a>ut praebendum condixerant effece-rantque, tum demum pecunias accipiebant. Nam antiqui-tus emere pro accipere ponebatur: at hi nunc dicuntur re-demptores, qui quid conduxerunt praebendum utendum-que 270.

Filologi e storici generalmente accettano come attendibilee riferibile al più antico manifestarsi della lingua latina 271 que-sto uso ampio (anche se nel Thesaurus linguae Latinae 272 è po-sta in evidenza la pochezza di exempla certa in tal senso).Forse è utile una riflessione sulla terminologia decemvirale:

D. 40.7.29.1 (Pomp. 18 ad Q. Muc.) … 273 quoniam lex

PROBLEMI DI ORIGINE 301

270 Sul testo, di recente, si v. A. TRISCIUOGLIO, ‘Sarta tecta’, ‘ultrotributa’,‘opus publicum faciendum locare’ (Napoli 1998) 234 ss.; A. MATEO, ‘Manceps’, ‘re-demptor’, ‘publicanus’ cit. 40, 53 nt. 153, 55 s., 59.

271 Per E. BENVENISTE, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee I (trad. it.Torino 1976) spec. 62 s., sostiene, in tale linea, che il verbo ha il significato di «pren-dere» nel senso di «tirare a sé». Cfr. A. WATSON, Emptio, ‘taking’, in Glotta 53(1975) 294 ss. [=Legal Origins and Legal Change (London-Rio Grande 1991) 147ss.]; cfr. J. A. DELGADO SANTOS, El campo verbal de la aprehensión en el latínarcaico y clásico (Cordoba 1996) su emo: a p. 89, significato originario: «coger», a p.131, uso tecnico nel senso di comprare. Sui verbi latini indicanti l’acquisto si v. an-che W. H. KIRK, A note on Latin verbs of acquisition, in Class. Philol. 21/1 (1926)77 ss.

272 V 511 lin. 35 ss.; ivi sono reputate scarsamente convincenti le considera-zioni di F. SKUTSCH, Zur lateinische Wortgeschichte und plautinischen Versmessung,in Philologus N.F. 13 (1900) 497 ss.; ID., Grammatisch-Lexikalische Notizen, inArch. f. lat. Lexik. 12 (1901) 297 s. [ora in Kleine Schriften (Leipzig 1914) rispetti-vamente: 145 ss., 206].

273 Bisogna leggere il contesto: Quintus Mucius scribit: pater familias in testa-mento scripserat ‘si Andronicus servus meus heredi meo dederit decem, liber esto’.Deinde de his bonis coeperat controversia esse: qui se lege heredem aiebat esse, iseam hereditatem ad se pertinere dicebat, alter, qui hereditatem possidebat, aiebat te-stamento se heredem esse. Secundum eum sententia dicta erat, qui testamento aiebatse heredem esse. Deinde Andronicus quaerebat, si ipsi viginti dedisset, quoniam se-cundum eum sententia dicta est, futurusne esset liber an nihil videatur sententia,qua vicit, ad eam rem valere? Quapropter si viginti heredi scripto dedisset et res con-tra possessorem iudicata esset, illum in servitute fore. Labeo hoc, quod Quintus Mu-cius scribit, ita putat verum esse, si re vera lege ab intestato heres fuit is qui vicit:

duodecim tabularum emtionis verbo omnem alienationemcomplexa videretur 274 …

Nel richiamo muciano il riferimento al testo delle Dodicitavole è abbastanza chiaro nell’espandibilità dell’emere (se nondel sostantivo emptio) ad indicare la omnis alienatio (e cioèqualsiasi trasferimento di un oggetto nella sfera giuridica di unsoggetto diverso dall’originario legittimato). Il collegamentocon il testo decemvirale pare, inoltre, accertato 275 (ancora conrichiamo al concetto della ab-alienatio) attraverso

Tit. Ulp. 2.4. Sub hac condicione liber esse iussus, si decemmilia heredi dederit, etsi ab herede abalienatus sit, emptori

302 CAPITOLO QUARTO

nam si iniuria iudicis victus esset scriptus verus heres ex testamento, nihilo minuseum paruisse condicioni ei dando et liberum fore. Sed verissimum est quod et AristoCelso rescripsit, posse dari pecuniam heredi ab intestato, secundum quem sententiadicta est, …(qui il tratto che si può leggere nel testo) …: non interesse, quo generequisque dominus eius fieret et ideo hunc quoque ea lege contineri, secundum quemsententia dicta est, et liberum futurum eum, qui ei dedisset pecuniam. Hunc autem,id est possessorem hereditatis, cui data esset summa, si victus esset hereditatis peti-tione, cum ceteris hanc quoque pecuniam victori restituere debere. L’ampia biblio-grafia sul testo è raccolta ora da E. STOLFI, Il modello delle scuole in Pomponio eGaio, in SDHI. 63 (1997) 43 nt. 206, che ne propone un’equilibrata esegesi com-plessiva.

274 Per il dubbio sulla presenza di emere nelle XII tavole si v. S. RICCOBONO,in FIRA. I2 81 nt. 12B; contra V. BASANOFF, Un texte archaique anterieur à la loides XII Tables, in BIDR. 43 (1935) 209 ss. (cfr. la nt. 2 a p. 215 sulla posizione diRiccobono, la quale forse è da differenziare con riguardo al sostantivo, che non po-teva secondo lo studioso essere contenuto nel testo decemvirale, secondo quantoanche la più attenta storiografia più recente suggerisce, cfr., in tal senso, A. MAN-TELLO, I dubbi di Aristone (Ancona 1990) 115, E. STOLFI, Il modello delle scuole cit.46 nt. 216; poco corretta mi pare la scelta di D. FLACH, Die Gesetze der römischenRepublik. Text und Kommentar in Zusammenarbeit mit ST. VON DER LAHR (Darm-stadt 1994), di omettere una testimonianza esplicita di un antico autore (per di piùgiurista) alle leggi decemvirali senza dare in merito alcuna motivazione; sull’opera siv., comunque, le rec. di D. MANTOVANI, in Ath. 84 (1996) 646 ss.; C. MASI DORIA,in ZSS. 113 (1996) 482 ss.; J.-CL. RICHARD, Un nouvel inventaire des lois d’époqueprotorépublicaine, in RÉL. 73 (1995 [1996]) 22 ss. Per la mia opinione sulla palinge-nesi del testo decemvirale, che si sostanzia nella necessità di raccogliere tutti i testi-moni antichi relativi all’attività decemvirale, pur se criticabili sotto qualche aspettostorico, filologico e giuridico, si v. anche C. CASCIONE, Una norma dimenticatadelle XII tavole? Dion. Hal. 10.60.6, in Index 28 [2000] 187 ss., spec. 194).

275 Cfr. E. STOLFI, Il modello delle scuole cit. 46 e nt. 215.

dando pecuniam ad libertatem perveniet; idque lex XII ta-bularum iubet.

La genericità di venum dare/vendere e del corrispettivoemere per indicare il «gesto dell’uomo che prende l’oggetto elo tira a sé» 276, che esprime una significazione originariamentetanto ampia da ricomprendere diverse tipologie dello scambio,si specifica nel tempo (con la parallela terminologia relativa allalocatio conductio), per intendere tecnicamente la compraven-dita (e la locazione) informale.

Sarà attraverso la parallela opera della giurisprudenza tar-dorepubblicana e della giurisdizione del pretore che i rapportisi determineranno su schemi fissi, con precise corrispondenzeedittali in tema di strumenti processuali utilizzabili per cia-scuna fattispecie 277.

PROBLEMI DI ORIGINE 303

276 Così E. BENVENISTE, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee I cit. 63.277 Di qui lo scontro sull’estensione dell’emptio venditio (e della relativa tutela

processuale) tra i Sabiniani, che si rifacevano alla giurisprudenza dei veteres, ed iProculiani, che invece rappresentavano la posizione di stretta aderenza alla forma-lizzazione dei rapporti secondo schemi razionali (sul punto si v. infra 372 ss.).

SOMMARIO: 1. Il rapporto di fatto e la qualificazione giuridica della fattispecie: unprimo approccio. – 2. La citazione dei giuristi repubblicani e la tradizione deltesto. – 3. Per una interpretazione (aspetti sostanziali e processuali).

1. Il rapporto di fatto e la qualificazione giuridica della fat-tispecie: un primo approccio – Come si è visto, l’analisi dellaletteratura atecnica, che però reca in sé anche testimonianzeprovenienti dalla riflessione giuridica (che rilegge ed indirizzala prassi), può lasciare non poche incertezze all’interprete ri-spetto alle ricostruzioni che si possono proporre del fenomenoin oggetto 1. Chi voglia approfondire la riflessione da una pro-spettiva strettamente giuridica è spinto a cercare soluzioni neitesti della giurisprudenza romana. Con la consapevolezza dellarilevanza dello iato, non solo cronologico, tra quelli raccoltinella Compilazione giustinianea pare soccorrere in primoluogo D. 19.1.38.1 (Cels. 8 dig.), e, infatti, nelle più recenti eautorevoli trattazioni relative alle origini ed allo sviluppo dellacompravendita consensuale si è prima avanzata ed ha poi presopiede come dottrina dominante 2 la risalenza della stessa adun’età piuttosto antica, proprio sulla base, in primo luogo, del

CAPITOLO QUINTO

UN TESTO CENTRALE: D. 19.1.38.1 (CELS. 8 DIG.)

1 Supra 247 ss.2 Cfr. supra 245 ss., e si v. M. TALAMANCA, Costruzione giuridica cit. 20; ID.,

La tipicità dei contratti romani fra ‘conventio’ e ‘stipulatio’ fino a Labeone, in Con-tractus e pactum. Tipicità e libertà negoziale nell’esperienza tardo-repubblicana. AttiCopanello 1988 a c. di F. MILAZZO (Napoli 1990) 40, 170 nt. 33; ID., s.v. «Vendita(dir. rom.)» cit. 310 s.; ID., Il riordinamento augusteo del processo privato, in Gli or-dinamenti giudiziari di Roma imperiale. ‘Princeps’ e procedure dalle leggi giulie adAdriano. Atti Copanello 1996 a c. di F. MILAZZO (Napoli 1999) 68 e nt. 22; seguito,

noto breve testo di Publio Giuvenzio Celso figlio, tratto daisuoi libri digestorum 3, e che rimonta, nel contenuto, ad unadecisione di Sesto Elio 4:

D. 19.1.38.1 (Cels. 8 dig.). Si per emptorem steterit, quominus ei mancipium traderetur, pro cibariis per arbitriumindemnitatem posse servari Sextus Aelius 5, Drusus dixe-runt, quorum et mihi iustissima videtur esse sententia 6.

L’antichità della struttura della emptio venditio, consen-suale ed obbligatoria per come la conosciamo dalla giurispru-denza più recente, sarebbe attestata da una serie di indizi pre-senti in questa parte del frammento di Celso; in modo partico-lare, dalla peculiarità di quanto tramandato, che mostra non ladecisione di un caso semplice (come potrebbe essere un casoper così dire ‘originario’ 7), ma piuttosto la riflessione su un

306 CAPITOLO QUINTO

ad esempio, da F. SINI, ‘A quibus iura civibus praescribebantur’. Ricerche sui giuristidel III secolo a. C. (Torino 1995) 28; D. MANTOVANI, Gli esordi cit. 100 e nt. 136.

3 Sulla struttura dell’opera, che comprendeva collezioni di problemata prece-dentemente scritte dal giurista e poi raccolte secondo il consueto ordine edittale, siv. F. SCHULZ, Storia della giurisprudenza romana cit. 411 s. Sulla tradizione del te-sto si cfr. F. WIEACKER, Textstufen cit. 60 nt. 13, 175, 176 nt. 248 [da p. 175].

4 Sulla attribuibilità della decisione originaria a Sesto Elio (primo nell’ordinedella citazione e giurista più antico di Druso), si v. infra 317 ss.

5 E. FRAENKEL, Zum Texte römischer Juristen, in Hermes 60 (1925) 428, sug-gerisce l’integrazione, a quanto pare non giustificabile da motivi paleografici, <Li-vius>: «dürfte vor Drusus ein Gentilicium ausgefallen sein». La notazione, nel si-lenzio dell’autore, credo si possa far discendere da un’esigenza di armonia rispettoalla denominazione di Elio, proposta attraverso l’uso di due termini, ma qui pre-nome e gentilizio.

6 Il passo è compreso, all’interno del frammento, tra la discussione di una fat-tispecie di vendita di uno schiavo fornito di peculio (nel principium), ed un caso incui Celso cita un parere di Proculo a proposito di ruta et caesa. Nella Palingenesiadi LENEL I cit. 140 s., il testo (Celsus 79) si trova tra D. 19.1.13.16-17 (Ulp. 32 aded.) e D. 21.2.29 pr. (Pomp. 11 ad Sab.).

7 Ma che verisimilmente, in quanto tale, non si sarebbe potuto conservare nellatendenza alla specializzazione della letteratura giuridica romana fino al II secolod. C. (e poi anche fino a Giustiniano, il nostro tramite). Naturalmente bisogna co-munque riflettere sulla lezione antropologica di Marcell Mauss, ripresa da LouisGernet, che respinge il postulato della necessaria corrispondenza arcaico-semplice;per un’applicazione romanistica di tale esercizio si v. M. BRETONE, Intervento, inPoteri, ‘negotia’, ‘actiones’. Atti Copanello 1982 (Napoli 1984) 184 ss.

rapporto di fatto che rappresenta una certa articolazione pro-blematica, e nel contempo dalla (pur non esplicitata) azionabi-lità tra cives 8. Hanno fatto pensare al contratto consensuale laterminologia relativa al negozio (anche se, invero, né emptorné traditio hanno consistenza assolutamente decisiva 9 in talsenso), e soprattutto la menzione dell’arbitrium, che è facilerapportare a noti contesti riferibili a giudizi di età precicero-

UN TESTO CENTRALE: D. 19.1.38.1 (CELS. 8 DIG.) 307

8 Non c’è infatti alcun motivo per pensare ad un negozio con almeno una partestraniera. Assolutamente condivisibili, sul punto, le conclusioni (non del tutto,però, il percorso argomentativo) di M. TALAMANCA, Il riordinamento augusteo delprocesso privato cit. 68 nt. 22: «in astratto, il console del 196 a. C. si sarebbe potutoriferire ad un processo rilevante dalla iurisdictio peregrina, ma tale ipotesi non ap-pare plausibile … bisogna tener presente che nelle opere dei giuristi romani non ri-sultano mai presi in considerazione i rapporti fra romani e stranieri, e tanto menoquelli degli stranieri tra loro, e che questo è ancor più da escludere all’inizio del IIsecolo a. C. …» (naturalmente solo per un errore di stampa il consolato di SestoElio è datato al 196 a. C. e non al 198). Se in questo caso è più che probabile la ro-manità delle parti, non può recisamente postularsi il disinteresse assoluto della giu-risprudenza romana per gli stranieri, basti, in senso inverso, uno sguardo al VIR.IV.653 ss., s.v. «peregrinus» (anche se, naturalmente, la prospettiva dei giuristi è conassoluta prevalenza romanocentrica). Sull’interesse dei giuristi romani (di Gaio inparticolare) per i rapporti degli stranieri tra loro, intesi in una prospettiva che oggisi direbbe di «diritto comparato», si v. l’ampio saggio di F. GORIA, Osservazionisulle prospettive comparatistiche nelle Istituzioni di Gaio, in AA.VV., Il modello diGaio nella formazione di giurista. Atti del convegno torinese 4-5 Maggio 1978 inonore del Prof. S. Romano (Milano 1981) 211 ss.

9 Emptio nel linguaggio delle XII tavole significava alienatio, come sappiamoda una citazione di Aristone tramandata nel commento ad Quintum Mucium diPomponio: D. 40.7.29.1 (18 ad Q. Muc.). … lex duodecim tabularum emptionisverbo omnem alienationem complexa videtur …, del resto, nella tradizione dellalegge decemvirale si v. tab. 7.11 (I. 2.1.41) e 7.12 (Tit. Ulp. 2.4). Di recente R. FIORI,La definizione cit. 16 nt. 15, nota come il composto coemptio sia testimoniato anchein età predecemvirale (ma non adduce fonti; ampiamente, sul punto, si v. L. PEPPE,Storie di parole, storie di istituti. Sul diritto romano arcaico, in SDHI. 63 [1997] 123ss., spec. 127 ss., con ampiezza di testimonianze). Nel testo della legge delle Dodicitavole, peraltro, doveva comparire anche vendere, almeno nelle forme arcaichevenum dare, cfr. tab. 4.2b (Gai 1.132; cfr. Gai 4.79, Tit. Ulp. 10.1) e venum ire, cfr.tab. 3.5 (Gell. 20.1.47), cfr. D. FLACH, Die Gesetze der frühen römischen Republikcit. 130 ss., 125 s.; M. H. CRAWFORD (ed.), Roman Statutes II (London 1996) 631 s.,625 ss. Per quanto riguarda la traditio, è indubbio un suo significato naturalistico,preesistente alla valutazione tecnica in termini giuridici, collegata con la iusta causa(verisimilmente piuttosto recente) della compravendita consensuale e riferibile allapermutatio.

niana basati sulla bona fides 10 (ovvero comunque collegati conessa 11). Dunque, oltre gli indizi terminologici, la soluzioneprocessuale risulta decisiva per l’inquadramento del rapportosostanziale: se ne dovrà tenere conto. La particolarità di quelloche si può descrivere (per quanto stringato) come il ‘racconto’(rispetto alla procedura giudiziaria nella quale inquadrare ilcaso) sta nel fatto che la menzione di Sesto Elio, in primoluogo (ma probabilmente anche quella di Druso 12), ci riportaad un’epoca addirittura anteriore rispetto alla lex Aebutia 13,età nella quale dominava ancora (a quanto pare 14) il sistemadelle legis actiones.

La riconduzione del testo alla disciplina del più antico ma-

308 CAPITOLO QUINTO

10 Si v. Cic. de off. 3.16.66. Ut, cum in arce augurium augures acturi essentiussissentque T. Claudium Centumalum, qui aedes in Caelio monte habebat, de-moliri ea, quorum altitudo officeret auspiciis, Claudius proscripsit insulam, vendidit,emit P. Calpurnius Lanarius. Huic ab auguribus illud idem denuntiatum est. ItaqueCalpurnius cum demolitus esset cognossetque Claudium aedes postea proscripsisse,quam esset ab auguribus demoliri iussus, arbitrum illum adegit QUIDQUID SIBI DARE

FACERE OPORTERET EX FIDE BONA. M. Cato sententiam dixit, huius nostri Cato-nis pater …, e Rhet. ad Her. 2.13.19. M. Drusus, praetor urbanus, quod cum he-rede mandati agaretur, iudicium reddidit; Sex. Iulius non reddidit.

11 Sul punto si v. infra 480 ss.12 Cfr. infra 317 ss.13 Con questa lex, che certamente attribuisce (sia pure «in limiti non facil-

mente precisabili», così M. TALAMANCA, Istituzioni cit. 302) efficacia sul piano delius civile al processo formulare si sarebbe verificata una svolta centrale per l’effettodella prevalenza del processo formulare, completata poi da Augusto con la lex Iuliaiudiciorum privatorum del 17 a. C. Sulla datazione della lex Aebutia, che resta in-certa in una sua determinazione più precisa, la storiografia è ormai quasi unanime-mente orientata nel senso di considerarla della seconda metà del II secolo a. C.: am-pio dettaglio delle diverse proposte, con discussione critica e indicazioni di fonti eletteratura in P. FREZZA, Storia del processo civile in Roma fino all’età di Augusto, inANRW. I/2 (Berlin-New York 1972) 179 s. [=Scritti III (Romae 2000) 19 s.]; M. TA-LAMANCA, s.v. «Processo civile (dir. rom.)» cit. 24 ss.; M. KASER, K. HACKL, Das rö-mische Zivilprozessrecht2 cit. 151 ss. Per un inquadramento dell’operatività dellalegge cfr. anche L. DI LELLA, ‘Formulae’ cit. 130 ss.

14 Dunque rilevano da questa prospettiva due ordini di problemi: l’inquadra-bilità del caso da un punto di vista processuale in una legis actio (e quindi in qualeschema); e l’effettiva ‘predominanza’ delle legis actiones in questo periodo comestrutture processuali per la risoluzione delle controversie tra cives (dunque la possi-bilità di un giudizio formulare, ovvero di una qualche forma decisoria a livello ar-bitrale).

nifestarsi della compravendita consensuale non è, però, una-nime tra gli storici 15. Per risolvere il dilemma, è forse oppor-tuno rinnovare l’analisi complessiva del testo, che presenta di-versi profili problematici.

Per procedere all’esegesi è dapprima necessario un approc-cio al rapporto di fatto. L’ipotesi che viene sottoposta all’at-tenzione del giurista per la soluzione (poniamo come alta laprobabilità che la questione fosse rivolta per primo a SestoElio, il più antico in una catena di opinioni – tutte a quanto pareconvergenti – che, attraverso Livio Druso, giunge a Celso 16) èquella della mancata consegna di un mancipium, imputabile al-l’acquirente, nell’ambito di una struttura negoziale che ha (so-spendendo per un momento il giudizio sulla sua natura e sullasua forma) come fine appunto il trasferimento dello schiavo. Ilpunto di vista proprio di Celso, per come palingeneticamenteattestato 17, è quello dell’emptio venditio; lo stesso, del resto,quello della ricezione giustinianea, che peraltro in qualchemodo privilegia (escerpendo il frammento nel titolo D. 19.1 deactionibus empti venditi 18) l’aspetto processuale 19.

UN TESTO CENTRALE: D. 19.1.38.1 (CELS. 8 DIG.) 309

15 Per una prima ricognizione delle posizioni dottrinarie si v. G. BROGGINI,‘Iudex arbiterve’. Prolegomena zum ‘Officium’ des römischen Privatrichters (Köln-Graz 1957) 221 ss., da confrontare con la letteratura citata in M. KASER, K. HACKL,Das römische Zivilprozessrecht2 cit. 159 nt. 57 (v. anche 192 nt. 5).

16 Sui problemi relativi alla catena giurisprudenziale (Sesto Elio-Druso-Celso)che si può leggere nel testo si v. infra 317 ss.

17 Si v. O. LENEL, Palingenesia I cit. 139 ss., Celsus 73-81; cfr. anche F. STELLA

MARANCA, Intorno ai frammenti di Celso (Roma 1915) xxviii s., 59; G. SCHERILLO,Legis actio per iudicis arbitrive postulationem e processo formulare. Due testimo-nianze nel Digesto (D. 45,1,83,1; D. 19,1,38,2), in Sein und Werden im Recht. Fest-gabe für U. von Lübtow cit. 313 e nt. 29, 318.

18 Il frammento apparteneva alla massa edittale – cfr. FR. BLUHME, Die Ord-nung der Fragmente in den Pandektentiteln, in ZGR. 4 (1820) 449 [=in Labeo 6(1960) 373], con la «Erste Tabelle» [«zu Seite 266»]; P. KRUEGER, Additamenta I.Ordo librorum iuris veteris in compilandis Digestis observatus, in ed. minor12 (Bero-lini 1911 [ster.]) 929; si v. anche D. MANTOVANI, Digesto e masse bluhmiane (Milano1987) 95 –, che, nel titolo D. 19.1, non è precisamente distinta da quella sabiniana,che la precede, verificandosi una serie piuttosto notevole di spostamenti (pure all’in-terno delle singole masse); cfr. TH. MOMMSEN, P. KRUEGER, ed. minor cit. 277 nt. 1.

19 Cfr. S. RICCOBONO JR., Profilo storico della dottrina della mora nel dirittoromano (sino all’età degli Antonini) [estr. da AUPA. 29] (Palermo 1964) 40 nt. 18.

La prospettiva del fatto, per come immediatamente si rap-presenta agli occhi del lettore, consiste in un caso di mora ac-cipiendi.

Non essendo stata ancora regolata la procedura del depo-sito 20 (e non essendo in generale previsto un obbligo ulterioredi garantire la prestazione del creditore), nel II secolo a. C. incasi consimili, il debitore poteva abbandonare la cosa, essendoconsiderato tale atto un «normale mezzo di liberazione» 21.Nella protasi che apre il periodo sembra configurato, con lin-guaggio tecnico 22, attraverso la determinazione oggettiva della

310 CAPITOLO QUINTO

20 Cfr., per tutti, L. BOVE, s.v. «Offerta reale», in ED. XXIX (Milano 1979)772 ss.; R. VIGNERON, ‘Offerre aut deponere’. De l’origine de la procédure des of-fres réelles suivies de consignation (Liège 1979) 57 ss.

21 La citazione è tratta da S. RICCOBONO JR., Profilo storico della dottrina dellamora cit. 41, con riferimento soprattutto a Cat. de agr. 146, 148 ed alla relativa si-stemazione dei veteres rintracciabile poi in D. 18.6.1.3-4 (Ulp. 28 ad Sab.), sullaquale, di recente, si v. M. M. BENITEZ LOPEZ, La venta de vino y otra mercancias enla jurisprudencia romana (Madrid 1994) spec. 149 ss.; É. JAKAB, Vinum effundere inUlp. D. 18.6.1.3, in ZSS. 116 (1999) 71 ss.; H. HAUSMANINGER, The Case of Deli-berate Wine Spill, in Critical Studies in Ancient Law, Comparative Law and LegalHistory [Dedicated to A. Watson] (Oxford-Portland Og. 2001) 73 ss. (che mette inconnessione D. 18.6.1.3 – ma non pure le testimonianze catoniane – con la venditadi mosto e con una prassi documentale importante a livello di prova processuale); e,per qualche ulteriore cenno, A. BURDESE, Catone e la vendita di vino cit. 269 ss.; ef-ficace la descrizione nel senso di un «altrömisches, bäuerliches Recht» proposta daM. PENNITZ, Das periculum rei venditae cit. 435 (cfr. ivi nt. 288). M. TALAMANCA,s.v. «Vendita (dir. rom.)» cit. 412, con riferimento alla natura di buona fede dell’ac-tio venditi (v. p. 411), considera la possibilità per il venditore, nel caso di mora inaccipiendo, di provocare (senza responsabilità) il perimento della cosa dovuta (sem-pre se vi avesse interesse: effusio del vino doliare dopo la denuntiatio al compratore:D. 18.6.1.3), per poi esaminare il diritto al «risarcimento del danno subito per il ri-tardo frapposto dal venditore, anche in relazione alle spese fatte per la conserva-zione della cosa oggetto del contratto». Lo studioso romano (o.u.c. 412 nt. 1121) faesplicitamente risalire la decisione ai veteres, avvicinandole la soluzione del caso ri-portato in D. 19.1.9 (Pomp. 20 ad Sab.): il compratore non porta via dal fondo lelapides acquistate. M. PENNITZ, Das periculum rei venditae cit. 435 e nt. 288, parladi actio venditi «im sekundären Sinn», probabilmente riferendosi all’azione inten-tata dal venditore non per conseguire il prezzo della compravendita, ma per riva-lersi di differenti costi da lui sostenuti: l’esempio (oltre al caso dell’alimentazionedello schiavo) è quello della effusio del vino ricordata in D. 18.6.1.3-4 (Ulp. 28 adSab.), su cui si v. la letteratura citata supra, in questa nota.

22 Cfr. M. KASER, Das römische Privatrecht2 I cit. 517 e nt. 35 (con contestuale

fattispecie, un caso, appunto, di mora creditoris 23: il venditoreè disposto all’adempimento dell’obbligazione assunta attra-verso il negozio di scambio (l’emptio venditio nella visuale di

UN TESTO CENTRALE: D. 19.1.38.1 (CELS. 8 DIG.) 311

riferimento a D. 17.1.37 [Afr. 8 quaest.] e a D. 46.3.9.1 [Ulp. 24 ad Sab.]); C. A.CANNATA, s.v. «Mora (storia)», in ED. XXVI (Milano 1976) 927; CHR. WOLL-SCHLÄGER, Das eigene Verschulden des Verletzten im römischen Recht, in ZSS. 93(1976) 134 e nt. 107; F. M. DE ROBERTIS, La responsabilità contrattuale nel sistemadella grande compilazione. Alle scaturigini della moderna teoria della responsabilitàcontrattuale I (Bari 1983) 26 con nt. 75, 30 con nt. 90; P. APATHY, ‘Mora accipiendi’cit. 194. Sull’uso di quominus (che sarebbe unico nei frammenti di Celso) si v. [S.]SCHLOßMANN, Über die angebliche technische Bedeutung von ‘dare’ in der römi-schen Rechtssprache, in ZSS. 29 (1908) 325 e nt. 1. Sulla portata della costruzione(per le attestazioni: VIR. V.695 6 ss.) si v. M. KASER, ‘Perpetuari obligationem’, inSDHI. 46 (1980) 92: «Das per aliquem stare, quo minus sagt nur, welcher der bei-den Schuldparteien ein nachteilbringendes Verhalten zuzurechnen ist, aber ohnesich zu den Voraussetzungen und Folgen zu äussern … Wenn per creditorem stat,quo minus accipiat, trifft dagegen das detrimentum oder periculum aus der Nich-tannahme den Gläubiger ...».

23 Per la letteratura più antica che interpreta il testo in tal senso si v. C. SCUTO,La mora del creditore (Catania 1905) 147 ss., 151; B. BIONDI, ‘Iudicia bonae fidei’ I(Palermo 1920) 145 s.; A. GUARNERI CITATI, Contributi alla dottrina della mora,in AUPA. 11 (1923) 167; F. HAYMANN, Zur Klassizität des ‘periculum emptoris’,in ZSS. 48 (1928) 404; P. KRÜCKMANN, ‘Periculum emptoris’, in ZSS. 60 (1940) 10.Si v. poi (tra molti) C. LONGO, Corso di diritto romano cit. 163; C. A. MASCHI, Ildiritto romano I cit. 587; S. RICCOBONO JR., Profilo storico della dottrina della moracit. 38 ss., 194, 202; G. PUGLIESE, Il processo civile II/1 cit. 50; A. WATSON, The Lawof Obligations cit. 70. Mi sembra ragionevole, al proposito, la posizione di P. JÖRS,Römische Rechtswissenschaft zur Zeit der Republik I. Bis auf die Catonen (Berlin1888) 107 s. nt. 1, quando prospetta la decisione di Sesto Elio come scaturita da uncaso della prassi (e dunque solo in un secondo tempo stabilizzata dalla giuri-sprudenza in relazione al punto di vista generale della mora creditoris): «Es wäresicherlich verkehrt, wenn man annehmen wollte, Sex. Aelius hätte diesen Fall alsBeispiel unter dem allgemeinen Gesichtspunkt der mora creditoris angeführt. Fragenwie die vorliegende stammen aus der Praxis und sind zunächst casuistisch den For-mularen angereiht oder in der Responsensammlungen eingestellt. Erst später ist dieJurisprudenz dazu übergegangen, das Gleiche aus derartigen Fällen theoretischfestzustellen und so zu den allgemeinen Begriffen vorzudringen». Accede sostan-zialmente a tale visione (anche se in un primo momento sembra prenderne le di-stanze: p. 40 nt. 19) anche S. RICCOBONO JR., Profilo storico della dottrina dellamora cit. 42 nt. 21, quando scrive: «sembra quindi che si tratti qui di una interpre-tazione innovativa dei due giuristi e non dell’applicazione di un principio giuridicoormai solidificato». Sarebbe interessante, a questo punto, riuscire a comprendere sela terminologia (per emptorem stare) è stata adeguata all’evoluzione dell’istitutodella mora (del creditore), ovvero se anche da questo punto di vista (oltre che da

Celso, nella quale la mancipatio costituisce esclusivamente unobbligo a formalizzare la transazione) e cioè ad operare, a fa-vore del compratore la traditio del servo. Ma per emptoreml’atto non può verificarsi (per un rifiuto di ricevere la cosa, di-versamente configurabile, fino all’ostacolo). Il caso che si pre-senta ai giuristi 24 viene risolto nel senso che – attraverso un ar-bitrium – venga fissata a carico del compratore una indennitàper il vitto che (evidentemente dal momento previsto per latraditio) dal venditore viene prestato allo schiavo. L’appro-vazione di Celso rispetto a questa decisione è significata conl’espressiva dizione «iustissima … sententia».

Nel caso di specie il venditore/debitore non procede al-l’abbandono, ma somministra il vitto allo schiavo venduto perla sua sussistenza: evidenti ragioni di equità sostengono la de-cisione di Sesto Elio, che mette in opera un giudizio per la va-lutazione delle spese a tal uopo sostenute e dunque per il con-

312 CAPITOLO QUINTO

quello della decisione sul fatto) la giurisprudenza più recente è debitrice dei veteres:sull’antichità della locuzione (con esame delle fonti) si v. O. GRADENWITZ, ‘Quo-tiens culpa intervenit debitoris, perpetuari obligationem’, in ZSS. 34 (1913) 267 s. (ap. 268 D. 19.1.38.1 è indicato per errore come D. 39.1.38). Per quanto riguarda lamora del compratore, si v. anche F. DE ZULUETA, The Roman Law of Sale. Intro-duction and select Texts (Oxford 1945, rist. 1949) 31, 52, dove spiega: «perhaps suchexpenses were negligible except when there was delay in taking delivery».

24 Sul rapporto tra la struttura della fattispecie e lo schema base della mora cre-ditoris cfr. S. RICCOBONO JR., Profilo storico della dottrina della mora cit. 40 s.:«sono enucleabili gli elementi necessari e sufficienti per il sorgere della mora credi-toris: la esistenza di un obbligo giuridico a carico di un soggetto; la offerta della pre-stazione; l’impossibilità di eseguire la prestazione a tempo debito (che non si trattidi una impossibilità definitiva lo dimostra il fatto che il servo, essendo ancora in re-rum natura, potrebbe essere consegnato anche dopo l’impedimento temporaneo)per una circostanza ricadente nella sfera del creditore (nel nostro caso)». Forsetroppo schematica la visione che emerge a p. 202, ove lo studioso (in riferimento altesto in questione) si riferisce alla «progressiva estinzione del principio dell’abban-dono dell’oggetto dovuto e al correlativo affermarsi del principio della responsabi-lità del debitore per colpa … dopo la mora creditoris». Non è improbabile che il de-bitore trattenesse lo schiavo utilizzandone la capacità lavorativa (sostanzialmente aspese del creditore), in tal senso F. DE ROBERTIS, La responsabilità contrattuale neldiritto romano dalle origini a tutta l’età postclassica (Bari 1994) 32, che cita D.19.1.54 pr. (Lab. 2 pith.) a testimonianza del «diritto» del venditore di continuare adimpiegare lo schiavo.

seguente indennizzo da parte del compratore 25. La responsabi-lità del compratore all’id quod interest appare, già in un’età ri-salente, non limitata al mero solvere pretium 26 (possiamo solosupporre che nel caso tràdito attraverso Celso il compratorenon avesse adempiuto alla sua obbligazione principale), ma an-che – in casi particolari di responsabilità – a spese accessoriesubite dal venditore incolpevole.

A fronte di una descrizione, come si è visto, piuttosto ano-dina 27, ma compendiata nella locuzione tecnica per emptoremsteterit, quo minus …, bisogna considerare la qualificazione delcomportamento del creditore, per poterne misurare la respon-sabilità. Si tratta di valutare quei casi in cui se pure il fatto ri-tardante il compimento della prestazione da parte del debitoreè addebitabile al creditore, questi (per una qualche giustificabi-lità del suo comportamento) non ne sopporta le conseguenzegiuridiche. Sovvengono, nelle fonti, soprattutto il caso del cre-ditore valetudine impeditus 28 e quello dell’attore, nell’actio de

UN TESTO CENTRALE: D. 19.1.38.1 (CELS. 8 DIG.) 313

25 In una prospettiva evoluta si tratta di risarcimento limitato al damnumemergens: FR. MOMMSEN, Beiträge zum Obligationenrecht III. Die Lehre von der‘Mora’ nebst Beiträgen zur Lehre von der ‘Culpa’ (Braunschweig 1855) 137; cfr.S. RICCOBONO JR., Profilo storico della dottrina della mora cit. 41 nt. 20. Ma si con-fronti l’opinione di Mario Talamanca (citata in nota successiva).

26 Cfr. M. TALAMANCA, Considerazioni sul ‘periculum rei venditae’, in Semi-narios Complutenses 7 (1995) 229 nt. 34.

27 Cfr. supra 306 ss.; in letteratura si v. soprattutto P. APATHY, ‘Mora acci-piendi’ cit. 194 ss.

28 D. 4.8.23.1 (Ulp. 13 ad ed.). Idem ait, si iusserit me tibi dare et valetudine sisimpeditus, quominus accipias, aut alia ex iusta causa, Proculum existimare poenamnon committi, nec si post kalendas te parato accipere non dem … (si noti come il te-sto risalga a Celso, probabilmente al II libro digestorum, cfr. O. LENEL, Palingene-sia I cit. 130, Celsus 18). Qui appare sviluppata la teoria serviana del si per stipula-torem stet, quo minus accipiat, non committi poenam (D. 4.8.40 [Pomp. 11 ex var.lect.]), cfr. R. KNÜTEL, ‘Stipulatio poenae’. Studien zur römischen Vertragsstrafe(Köln-Wien 1976) 198 ss.; P. APATHY, ‘Mora accipiendi’ cit. 195. Interessante (ai finidella considerazione della limitazione della responsabilità) l’inciso aut alia ex iustacausa, che, pur sospettato dalla letteratura più critica – v. soprattutto G. DONATUTI,‘Iustus’, ‘iuste’, ‘iustitia’ nel linguaggio dei giuristi classici, in AUPE. 33 (1921) 422[=Studi di diritto romano I (Milano 1976) 72], e K. VISKY, La pena convenzionalein diritto romano all’inizio del principato, in Studi in onore di E. Volterra I (Milano1971) 627 –, appare confortato da D. 2.11.2.3 (Ulp. 74 ad ed.), ove una casistica del-

pecunia constituta 29, ricordato nell’editto pretorio, ed interpre-tato (già almeno da Pomponio 30) nel senso della scusabilità permalattia vis o tempestas. Se nel caso in questione, come pare, ladecisione dei giuristi repubblicani ha un fondamento equita-tivo 31, bisogna considerare il comportamento del compratoreiniquo, e probabilmente contrario alla buona fede (che reggeil rapporto obbligatorio 32), dunque in una situazione di II se-colo a. C., bisogna ritenere che detto atteggiamento dovesseessere considerato un dolo tipizzato 33.

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l’impossibilità a recarsi in giudizio (ovvero a presentarsi al vadimonio), che si apreappunto con la valetudo, cfr. soprattutto R. KNÜTEL, o.u.c. 109 nt. 4. Sul testo ul-pianeo si v. le recenti osservazioni di A. SICARI, Pena convenzionale e responsabilità(Bari 2001) spec. 341 ss.

29 D. 13.5.18 pr. (Ulp. 27 ad ed.). Item illa verba praetoris ‘neque per actoremstetisse’ eandem recipiunt dubitationem. Et Pomponius dubitat, si forte ad diem con-stituti per actorem non steterit, ante stetit vel postea. Et puto et haec ad diem consti-tuti referenda. Proinde si valetudine impeditus aut vi aut tempestate petitor non ve-nit, ipsi nocere Pomponius scribit. Sul testo si v. E. STOLFI, Studi sui ‘libri ad edic-tum’ di Pomponio II. Contesti e pensiero (Milano 2001) spec. 51 s. (con bibliografiain nt. 30), cfr. anche 170 nt. 147.

30 Così, sia pure dubitativamente, P. APATHY, ‘Mora accipiendi’ cit. 195: «Viel-leicht ist in diesem Bereich Pomponius erstmals zu der Ansicht vorgedrungen, daßes auf ein Verschulden des Gläubigers nicht ankommen solle, ihm also auch dieHinderung durch Krankheit, Gewalt oder Witterung schade».

31 In letteratura si v. S. RICCOBONO JR., Profilo storico della dottrina dellamora cit. 145 s.; per il collegamento con la bona fides: C. FERRINI, Sull’origine delcontratto di vendita [=Opere III cit. 63 s.]; M. KASER, Das altrömische ‘ius’ (Göt-tingen 1949) 299 e nt. 55; O. BEHRENDS, Die ‘fraus legis’ (Göttingen 1982) 92; cfr.P. APATHY, ‘Mora accipiendi’ cit. 195.

32 Per l’interpretazione del frammento come attestazione di una emptio ven-ditio consensuale (oltre alla letteratura citata supra 305 nt. 2) si v. infra in questo pa-ragrafo.

33 Così O. BEHRENDS, Tiberius Gracchus und die Juristen seiner Zeit – dierömische Jurisprudenz gegenüber der Staatskrise des Jahres 133 v. Chr., in DasProfil des Juristen in der europäischen Tradition. Symposion F. Wieacker (Ebelsbach1980) 45 nt. 47, che inquadra il problema nell’ambito del principio stoico del nemi-nem laedere (cfr. p. 41 ss.). Sulla tipizzazione del dolus (in generale) si v. M. KASER,Typisierte ‘dolus’ im altrömischen Recht, in BIDR. 65 (1962) 79 ss. (e poi ID., Dasrömische Privatrecht2 I cit. spec. 155 con nt. 1, ove ulteriore bibliografia). Se non sitiene presente il dolo, possono risultare difficoltà costruttive. Ad esempio, J. [-H.]MICHEL, Gratuité en droit romain (Bruxelles 1962) 370 e nt. 25, ragionando concriteri non informati ad una valutazione strettamente giuridica del problema (e de-

Parte della storiografia ha prospettato che nel rapporto illu-strato dal testo sia ravvisabile un caso di retentio. Max Kaser 34,in un articolo dedicato alla mora, ha così riassunto il problema:tra gli effetti della mora del creditore enumera immediatamen-te un «Zurückbehaltungsrecht» (o anche: «Retentionsrecht»)del debitore, finché il creditore non gli avesse risarcito i danni,tra i quali sono ricordati «soprattutto» i costi della custodiasuccessiva (alla mora stessa). La considerazione di questo di-ritto di ritenzione si sarebbe basata per quanto riguarda le«azioni libere» (e cioè quelle di buona fede) sull’officium iudi-cis (a questo proposito lo studioso cita il testo in questione, esolo quello), mentre nelle actiones di stretto diritto si sarebbedovuta, naturalmente, proporre l’eccezione di dolo 35. Tale pro-spettiva è stata approfondita soprattutto da Bürge, il quale hasostenuto la possibilità alternativa di una richiesta giudizialedel venditore al compratore tramite actio venditi per il paga-mento del prezzo e degli ulteriori costi (le spese per il mante-nimento dello schiavo) 36, e della ritenzione della res da parte

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viando piuttosto su considerazioni di tipo sociologico), afferma che, siccome neicontratti a titolo oneroso è in via di principio escluso l’indennizzo d’un contraenteda parte dell’altro, questo si verifica solo «dans des circonstances qui peuvent êtreconsidérées comme des accidents», citando la redibizione in materia di vendita (conriferimento contestuale a D. 21.1.1.1 [Ulp. 1 ad ed. aed. cur.], 21.1.29.3 [Ulp. 1 aded. aed. cur.], 21.1.30.1 [Paul. 1 ad ed. aed. cur.]) e la mora del compratore (con in-dicazione del solo testo in questione).

34 M. KASER, s.v. «Mora», in PWRE. XVI/1 (Stuttgart 1933) 274; cfr. ID., Dasrömische Privatrecht2 I cit. 518 nt. 44; la posizione di Kaser pare seguita da G.BROGGINI, ‘Iudex arbiterve’ cit. 223; e approfondita soprattutto da A. BÜRGE, ‘Re-tentio’ im römischen Sachen- und Obligationenrecht (Zürich 1979) 191 s.; cfr. ancheC. A. CANNATA, s.v. «Mora (storia)» cit. 928.

35 Testo di riferimento per questa categoria di azioni è D. 33.6.8. (Pomp. 6epist.). Si heres damnatus sit dare vinum, quod in doliis esset, et per legatarium ste-tit, quo minus accipiat, periculose heredem facturum, si id vinum effundet: sed lega-tarium petentem vinum ab herede doli mali exceptione placuit summoveri, si nonpraestet id, quod propter moram eius damnum passus sit heres. Se il rapporto difatto è sostanzialmente consimile al caso discusso nel testo, qui il rifiuto della pre-stazione del legato per damnationem, a seguito della ritardata richiesta del legatariopuò essere fatto valere solo attraverso l’exceptio doli per la natura dell’actio ex te-stamento; cfr. A. BÜRGE, ‘Retentio’ cit. 192 nt. 21.

36 Caso in cui «hatte er seinerseits die Kaufsache anzubieten»: A. BÜRGE, ‘Re-

del venditore in attesa dell’arbitrium empti (ma solo eventuale)del compratore contro di lui ed in questo giudizio ottenere poiil risarcimento delle spese (senza la necessità dell’inserimentoespresso dell’exceptio doli, data la natura di giudizio di buonafede dell’arbitrium empti et venditi). Ma, invero, l’offerta daparte del venditore è una premessa della mora; e poi, come siconfigura il «ritenere» della seconda parte dell’opzione? Se èuna risposta ad una richiesta del compratore, mi sembra chetale comportamento costituisca la responsabilità del debitore,che non adempie alla sua obbligazione di consegnare la cosa.

316 CAPITOLO QUINTO

tentio’ cit. 191. Sull’opinione di Bürge si v. le rec. di R. BACKHAUS, in ZSS. 98 (1981)spec. 512: «Soweit die retentio im Kaufrecht auf die Erlangung von Verwendungs-ersatz gerichtet ist, konkurriert sie mit der actio venditi, so zu Recht Vf. S. 191/193.Daß die actio venditi nur zur Geltendmachung von Kaufpreis, nicht aber zur iso-lierten Geltendmachung des Verwendungsersatzes tauglich war (so Vf. S. 191), istwohl auf das alte Recht (D. 19.1.38.1) zu beziehen ...», il recensore continua soste-nendo la difficoltà dell’estensione dello stesso principio anche al «diritto classico»;e di A. BURDESE, in SDHI. 46 (1980) spec. 559: «A fattispecie tipiche di ritenzioneapparterrebbero invece i casi di risarcimento di spese, che si trovano anche nel con-tratto di vendita … in D. 19,1,38,1 di Celso, per l’ipotesi di spese analoghe [a quelleche ricorrono in D. 18.6.1.3, caso in cui si prospetta la retentio del vino da parte delvenditore, per ottenere dal compratore in mora con riguardo al ritiro della res – edunque al passaggio del possesso – il rimborso di quanto intanto speso per la suaconservazione], l’opinione dei veteres ivi richiamata non è per lo meno escluso chesi riferisse a retentio dello schiavo venduto sintantoché il compratore in mora nel ri-ceverlo non ne avesse rimborsato il mantenimento interinale»; cfr. anche la rec. diTH. MAYER-MALY, in Iura 30 (1979) 122 ss., spec. 125 (che però non si sofferma sulpunto). Si v., inoltre, É. JAKAB, ‘Vinum effundere’ cit. 72 s. e nt. 5 (a p. 73). Non re-puta il frammento come testimonianza di ritenzione, invece, E. NARDI, Studi sullaritenzione in diritto romano I. Fonti e casi (Milano 1947) 39 (ivi più antica lettera-tura italiana, che invece lo sosteneva), perché l’istituto non sarebbe compatibile conl’actio ex vendito significata dalla parola arbitrium (Nardi nota che la comprensionedi questo rapporto era già stata operata da Cuiacio, Opera VII cit. 1284); cfr. ancheID., Studi sulla ritenzione in diritto romano II. Profilo storico (Milano 1957) 8 nt. 19[da p. 7]; ID., s.v. «Ritenzione (dir. rom.)», in ED. XL (Milano 1989) 1363 e nt. 7[=Scritti minori I (Bologna 1991) 743 e nt. 7] (con esplicita condanna della ricostru-zione di Bürge, che – [anche] sul punto – lo aveva criticato: ‘Retentio’ cit. 192:«kommen auch hier Zweifel an der Richtigkeit der Theorie Nardis»; per un elencodei casi «esplicitati nelle fonti» in cui secondo Nardi spetterebbe la ritenzione nelleobbligazioni si v. 1368 [=Scritti I cit. 748]).

2. La citazione dei giuristi repubblicani e la tradizione deltesto. – Particolarmente interessante e certamente significativala citazione, nel frammento celsino, dei due giuristi repubbli-cani. Celso, che non è alieno dal ricordo dei giuristi premu-ciani, anzi pare avere un certo gusto per la citazione arcaiciz-zante 37, riporta il caso insieme con la soluzione di due emi-nenti antichi giureconsulti, citati in una serie che apparecronologica, e accede, con una «calorosa approvazione» 38, alla

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37 Di quelli la cui attività si svolse cioè prima di Quinto Mucio. A Celso, in-fatti risalgono ben tre citazioni sulle quindici complessive dalla letteratura giuridicasuccessiva; oltre a quella in questione (che in effetti è doppia: Sesto Elio e Druso) siv. D. 34.7.1 (35 dig.) e D. 50.16.98.1 (39 dig.), ove si ricorda un Catone (non si puòdecidere se il Censorio ovvero il figlio: O. LENEL, Palingenesia I cit. 126; cfr.A. GUARINO, Catone giureconsulto, in Iusculum iuris [Napoli 1985] 69 ss.=PDR. V[Napoli 1994] 54 ss., che non esclude un’attività dei due in comune). Sul punto si v.E. WEISS, Schwund und Konservierung im römischen juristischen Schrifttum, inZSS. 67 (1950) 507 (ivi in ntt. 20-21 riferimenti alla letteratura più antica); A. SCHIA-VONE, Giuristi e nobili nella Roma repubblicana (Roma-Bari 1987) 29 (con nt. 13 ap. 199); V. SCARANO USSANI, Valori e storia nella cultura giuridica cit. 135 nt. 84;S. TONDO, Note esegetiche sulla giurisprudenza romana, in Iura 30 (1979) 37. Il ri-cordo di Brutus in D. 18.2.13 pr. (Ulp. 28 ad Sab.) è particolarmente rilevante, inquanto pure è compreso in una catena giurisprudenziale nella quale ricorrono giu-risti repubblicani (l’altro è Mucio, poi sono menzionati Labeone e Sabino), rispettoalla quale Celso, ancora nell’VIII libro dei suoi digesta, idem probat. D. 19.1.38.1sarebbe, per C. A. MASCHI, Il diritto romano I cit. 587 nt. 34, una «rievocazionestorica» di Celso, da mettersi in connessione con il noto testo di Paolo in D. 18.1.1pr. (33 ad ed.) sull’origo emendi vendendique (cfr. infra 372 ss.). Sul legame di Celsocon la tradizione altoproculiana si v. soprattutto F. WIEACKER, Amoenitates Iuven-tianae. Zur Charakteristik des Juristen Celsus, in Iura 13 (1962) 1 ss.; M. BRETONE,Tecniche e ideologie2 cit. spec. 197 ss., accentua di meno tale rapporto, pur conside-rando il ruolo della «suggestione postuma» che i «giuristi dell’ultima repubblica» e«quelli augustei» (ma in nt. 10 a p. 197 ricorda anche Giunio Bruto e Publio Mucio,cfr. D. 18.2.13 pr., cfr. anche p. 266 con nt. 34) esercitarono su di lui, e pone piutto-sto in risalto l’originalità del giureconsulto adrianeo. Sulla valenza, in Celso, dellapiù antica tradizione giuridica si v. anche le suggestive pagine di F. CASAVOLA, Cul-tura e scienza giuridica nel II sec. d. C.: il senso del passato, in ANRW. II/15 (Ber-lin-New York 1976) 150 ss. [= ‘Sententia legum’ tra mondo antico e moderno I. Di-ritto romano (Napoli 2000) 102 ss.], e cfr. anche ID., Il modello del parlante per Fa-vorino e Celso, in ANA. 82 (1971) 485 ss. [= ‘Sententia legum’ I cit. 67 ss.].

38 Così S. RICCOBONO JR., Profilo storico della dottrina della mora cit. 202, inconnessione con il «motivo dominante» del pensiero di Celso e cioè, naturalmente,la concezione del diritto come ars boni et aequi (D. 1.1.1 pr. [Ulp. 1 inst.]), sulla

loro decisione 39 (non è distinguibile, nel testo pervenutocil’apporto dell’uno o dell’altro 40). I giuristi citati, cui è da attri-buire almeno la sostanza della decisione (favorevole al vendi-tore, come si è accennato e si avrà modo di approfondire),

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quale, di recente, J. D. HARKE, Argumenta Iuventiana. Entscheidungsbegründun-gen eines hochklassischen Juristen (Berlin 1999) 14 ss., 144 ss. Importante la valuta-zione complessiva di M. BRETONE, Tecniche e ideologie2 cit. 202 ss., secondo ilquale si tratta di un «principio che regge tutta la ricerca di quel giureconsulto» (iltesto in questione mi sembra possa essere ben considerato, in tal senso, accanto aquelli citati da Bretone in nt. 20, anche se in questo caso il giurista fa opera di rice-zione di un’opinione altrui), poi si v. P. CERAMI, La concezione celsina del ‘ius’. Pre-supposti culturali e implicazioni metodologiche I. L’interpretazione degli atti autori-tativi [estr. da AUPA. 38] (Palermo 1985) 10 ss.; da considerare anche le istanzeequitative in Nerazio Prisco, collega di Celso a capo della scuola proculiana, cfr.J. MAIFELD, Die ‘aequitas’ bei L. Neratius Priscus (Trier 1991) spec. 25 ss. SecondoG. DONATUTI, ‘Iustus’, ‘iuste’, ‘iustitia’ cit. 375 nt. 1 [=Studi di diritto romano I cit.35 nt. 1], l’aggettivo (invero la dizione, dal superlativo che compare nel frammento,è ridotta nella versione dello studioso a «iusta interpretatio») corrisponderebbe a«giuridica»; ma l’approvazione celsina mi sembra possedere piuttosto un riferi-mento alla qualità della decisione dei giuristi repubblicani, si v. ad esempio (traquelle recenti) le traduzioni di B. FRIER, in A. WATSON, The Digest of Justinian(Philadelphia s.d.) ad 554: «their opinion seems to me entirely just», e di O. BEH-RENDS, R. KNÜTEL, B. KUPISCH, H. H. SEILER, in Corpus Iuris Civilis. Text undÜbersetzung III. Digesten 11-20 (Heidelberg 1999) 544: «… deren Ansicht er-scheint auch mir höchst gerecht». È il caso di notare come il testo in questione siapassato sostanzialmente indenne al vaglio della critica interpolazionistica: vale la ci-tazione del giudizio di G. BESELER, Beiträge zur Kritik der römischen Rechtsquel-len II (Tübingen 1911) 114: «an sich nicht verdächtig» (il riferimento precipuo del-l’indagine era costituito dai lemmi indemnis, indemnitas), che ha suscitato stuporenella storiografia: S. RICCOBONO JR., Profilo storico della dottrina della mora cit. 42nt. 22; C. A. MASCHI, Il diritto romano I cit. 587 nt. 34; P. APATHY, ‘Mora acci-piendi’ cit. 193 e nt. 17 (seguito da M. PENNITZ, Das ‘periculum rei venditae’. EinBeitrag zum ‘aktionenrechtlichen Denken’ im römischen Privatrecht [Wien-Köln-Weimar 2000] 158 e nt. 55, che inquadra l’obbligazione del compratore nell’ambitodella bona fides); K. VISKY, La prova per esperti nel processo civile romano, in StudiSenesi 80 (1968) 45 nt. 66; cfr. Index Interpolationum I cit. 351; per una correzionetestuale ivi non citata, proposta da A. HÄGERSTRÖM, Die römische Obligationsbe-griff im Lichte der allgemeinen römischen Rechtsanschauung I (Uppsala-Leipzig1927) 452 nt. 1 [da p. 446], si v. infra 349.

39 Sul problema del rapporto di lettura tra Celso e (in primo luogo) Sesto Eliosi v. A. SCHIAVONE, Giuristi e nobili cit. 29 (con nt. 13 a p. 199), che interpreta la re-lazione come «di seconda mano», dunque in qualche modo mediata.

40 Cfr. infra 319 ss.

sono da una parte il grande Sesto Elio 41 (che verisimilmenteescogitò la soluzione), e dall’altra Caio Livio Druso 42 (il quale,

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41 Sul personaggio, in generale, si v. E. KLEBS, s.v. «Aelius, 105», in PWRE. I/1(Stuttgart 1893) 527; W. KUNKEL, Herkunft und soziale Stellung2 cit. 8; H. G. GUN-DEL, s.v. «Aelius, 12», in Kl.Pauly I (Stuttgart 1964) 88; F. WIEACKER, RömischeRechtsgeschichte I cit. 535; J.-M. DAVID, Le patronat judiciaire au dernier siècle dela République romaine (Rome 1992) 667; TH. GIARO, s.v. «Aelius I 11», in DNP. I(Stuttgart-Weimar 1996); 170; D. MANTOVANI, ‘Iuris scientia’ e ‘honores’ cit. 646 s.Per il cursus honorum (che lo porterà al consolato, senza aver ricoperto la pretura,nel 198 e alla censura nel 194 a. C.: T. R. S. BROUGHTON, The Magistrates of theRoman Republic I cit. 323, 329 s., 343. Sul carattere di «Wendepunkt» della suaopera rispetto all’evoluzione della giurisprudenza romana repubblicana, si v. F. D.SANIO, ‘Varroniana’ in den Schriften der römischen Juristen (Leipzig 1867) 166 ss.;P. JÖRS, Römische Rechtswissenschaft I cit. 99 ss.; P. KRÜGER, Geschichte der Quel-len und Litteratur des römischen Rechts (Leipzig 1912) 58; M. SCHANZ, C. HOSIUS,Geschichte der römischen Literatur I4 cit. spec. 236 ss. [proprio a Martin Schanz ri-sale la dizione «Wendepunkt», citata all’inizio di questa nota, v. la 2a edizione dellasua Storia (München 1898) 146]; L. WENGER, Die Quellen cit. 480; FR. SCHULZ,Storia della giurisprudenza romana cit. 69; A. WATSON, Law Making in the LaterRoman Republic (Oxford 1974) 112 s., 134 ss.; F. D’IPPOLITO, I giuristi e la città cit.67 ss.; S. TONDO, Note esegetiche cit. 37; M. TALAMANCA, Costruzione giuridica cit.15; R. A. BAUMAN, Lawyers in Roman republican politics: a study of the Roman ju-rists in their political setting, 316-82 B.C. (München 1988) 121 ss.; A. SCHIAVONE,Pensiero giuridico e razionalità aristocratica, in Storia di Roma II. L’impero me-diterraneo 1. La repubblica imperiale (Torino 1990) 421 ss.; F. SINI, ‘A quibus iuracivibus praescribebantur’ cit. 131 ss.

42 Per il personaggio (figlio di Caio, console del 147 a. C., T. R. S. BROUGH-TON, The Magistrates of the Roman Republic I cit. 456, 463, e fratello – probabil-mente maggiore – di Marco, pure console nel 112 e censore nel 109 a. C., T. R. S.BROUGHTON, o.u.c. I 517, 532, 538, 539 nt. 1, 541, 544 s., 583 s., o.u.c. II 584) nonsono attestate magistrature (forse non raggiunse le maggiori a causa della cecità:Cic. Tusc. 5.38.112). Su di lui si vedano notizie essenziali (con rinvii alla principaleletteratura) in FR. MÜNZER, s.v. «Livius, 15», in PWRE. XIII/1 (Stuttgart 1926) 855s.; H. G. GUNDEL, s.v. «Livius, 7», in Kl.Pauly II (Stuttgart 1969) 690; W. KUNKEL,Herkunft und soziale Stellung2 cit. 14; F. WIEACKER, Römische Rechtsgeschichte Icit. 543 (con ntt. 82 ss.); J.-M. DAVID, Le patronat judiciaire cit. 690; T. HONORÉ,s.v. «Aelius Petus, Sextus», in OD.3 (Oxford 1996) 19; D. MANTOVANI, ‘Iuris scien-tia’ cit. 654. Dal punto di vista della storia sociale è forse interessante notare comel’avo di Druso fosse un Emilio patrizio, passato (ed è uno dei primi casi a noi noto)per adozione, intorno al 200 a. C., nella gens Livia, plebea, cfr. TH. MOMMSEN,Römische Forschungen I (Berlin 1864, rist. Hildesheim 1962) 75 nt. 9; FR. MÜNZER,Römische Adelsparteien und Adelsfamilien (Stuttgart 1920) 235 ss.; ID. s.v. «Livius,14», in PWRE. XIII/1 cit. 855.

molto probabilmente, seguì l’opinione del più antico giurecon-sulto 43).

Un ulteriore aspetto da discutere, per completare la consi-derazione critica del testo in questione, mi sembra quello rela-tivo al rapporto tra i giuristi citati da Celso e la recezione dellasententia repubblicana nell’opera dell’autore del II secolo d. C.

Se da una parte la dottrina ha ritenuto il riferimento a Se-sto Elio (e a Druso) come una testimonianza proveniente dallagiurisprudenza respondente 44, intendendo dunque in sensopregnante il verbo dicere 45 che Celso riferisce ai due giuristirepubblicani (e, forse, dando una sfumatura 46 per così dire‘orale’ al termine sententia), dall’altra si è pensato (fin dall’au-torità di Otto Lenel 47) di far risalire il contenuto del fram-

320 CAPITOLO QUINTO

43 Cfr. infra 325 ss.44 Si v., per tutti, M. TALAMANCA, Costruzione giuridica cit. 20, che lo com-

menta proprio nella parte del suo lavoro dedicata a questa tipologia di attività dellagiurisprudenza repubblicana e richiama il testo come «uno dei pochissimi responsasuperstiti di Sesto Elio Peto Cato». Come responsum è registrato da F. P. BREMER,Iurisprudentiae antehadrianae quae supersunt I (Lipsiae 1896) 15 (Responsa 2), cheperò, sotto il riferimento tavolare 7.11 de rebus emptis venditis (p. 16) fa un ri-chiamo, appunto, al secondo frammento dei responsa (su questo solo, meno rile-vante, mi pare, dato, sofferma la sua attenzione F. SINI, ‘A quibus iura civibus prae-scribebantur’ cit. 135 nt. 15 [ma v. poi 137]). Sull’attività respondente di Sesto Eliosi v. Cic. de orat. 3.33.133; de rep. 1.18.30; e D. 1.2.2.38 (Pomp. l. s. ench.). DeindeSextus Aelius et frater eius Publius Aelius et Publius Atilius maximam scientiam inprofitendo habuerunt, dove il profiteri si può collegare con il § 35 e l’inizio dellostesso § 38, dedicati alla figura di Tiberio Coruncanio.

45 Che però ha, chiaramente, un significato più ampio, basti uno sguardo aH. HEUMANN, E. SECKEL, Handlexikon11 cit. 144, s.h.v.; «dixerunt» riferito a piùgiuristi compare anche, nei Digesta, in 16.3.14.1 (Gai. 9 ad ed. prov.) e in 35.1.72.7(Pap. 18 quaest.). La vicinanza, nel testo in questione, del verbo a sententia (sia purnon in un nesso sintattico) può far pensare al riferimento all’oralità (ma senza al-cuna certezza).

46 Ma solo una sfumatura: è chiaro che in questo luogo sententia significa opi-nione, decisione, che può ben essere riversata in uno scritto.

47 Palingenesia I cit. 1, Sex. Aelius 1; seguono Lenel nell’individuazione della«source ultime de ce responsum» O. BEHRENDS, Les ‘veteres’ et la nouvelle ju-risprudence, in RHDFE. 55 (1977) 19 (e cfr. nt. 43); F. D’IPPOLITO, Del fare dirittonel mondo romano (Torino 2000) 16 e nt. 36 (cfr. ID., Sulla giurisprudenza mediorepubblicana [Napoli 1988] 92 nt. 25 [da p. 91]). Cfr. anche (per l’ambito del

mento (se non proprio la citazione letterale: anche senza ne-cessariamente accedervi bisogna riconoscere la plausibilità del-l’ipotesi storiografica secondo cui quasi nessuno dei richiami aigiuristi repubblicani che si rinvengono nella giurisprudenzadel principato «lascia presupporre una lettura diretta degli au-tori citati» 48) ai Tripertita, e dunque ad un’opera scritta, dicommento al diritto decemvirale 49. Da ultimo questa prospet-

UN TESTO CENTRALE: D. 19.1.38.1 (CELS. 8 DIG.) 321

commento alle XII tavole) E. BALOGH, Studien aus dem Gebiete der Rechtsver-gleichung und des internationalen Privatrechts I. Zur Frage der Verzugzinsen 1(Berlin-Paris-London 1928) 481 e nt. 1. Con qualche dubbio: A. WATSON, Lawmaking cit. 136 e nt. 2.

48 Cfr. A. SCHIAVONE, Giuristi e nobili cit. 25.49 D. MANTOVANI, Gli esordi cit. 100: «il testo dimostra l’apertura di Sesto

Elio, pur nell’ambito di un’opera ancora incentrata sulle XII Tavole, verso uno deirapporti che andavano allora affermandosi nella prassi e verso la altrettanto nuovaforma processuale pretoria …» (per i Tripertita v. anche ibid. nt. 134). Non neces-sariamente in tale stesso senso (come invece pare leggere D. MANTOVANI, Gli esordicit. 100 nt. 137) M. BRETONE, Storia del diritto romano13 (Roma-Bari 2001) 56 s.:«Se si deve giudicare da un suo parere in materia di compravendita, quel solennegiureconsulto non trascurava certo i più delicati problemi giuridici del suo tempo.Tuttavia, egli poneva al centro della sua ricerca le XII tavole». Vero è che Bretonesta affrontando (come, però, praticamente tutti gli storici che si occupino di SestoElio giurista) il problema dei Tripertita, e vero pure che in nt. 57 a p. 57 lo studiosocita la Palingenesia («L. Sext. Ael. 1»), ma da una parte il riferimento al «parere»,che intermezza – mi sembra – il discorso sull’opera letteraria, dall’altra il costanteuso leneliano dello studioso (che non avrebbe ammesso, nel caso, deroga), mi spin-gono a non considerare Bretone come un sostenitore convinto della «tripertiticità»del testo tramandato da Celso. Anche la scarna annotazione in Tecniche e ideologie2

cit. 254, in cui lo studioso mette in evidenza l’omissione operata da Bremer mi sem-bra piuttosto neutra (cfr. invece F. D’IPPOLITO, Del fare diritto cit. 1 e nt. 1); pur-troppo non conosco le considerazioni dello studioso relative al rapporto (con rife-rimento a tab. 7.11) tra I. 2.1.41 e D. 19.1.38.1, svolte in un seminario di cui dàbreve notizia F. D’IPPOLITO, Questioni decemvirali (Napoli 1993) 158 nt. 35, ilquale, da parte sua propone l’accostamento anche di D. 4.8.40 (Pomp. 11 var. lect.)e D. 22.2.8 (Ulp. 77 ad ed.), ma non procede a sviluppare la sua ipotesi. La posi-zione di P. JÖRS, Römische Rechtswissenschaft I cit. 105, 107 nt. 2, pare articolata suun’alternativa: dapprima enumera il testo tra i pochi frammenti pervenutici dei Tri-pertita (p. 105 e v. nt. 2), poi si riferisce ad una tradizione opzionale tra formulari eraccolte di responsa. In esplicita polemica con l’impostazione generale di F. DE

MARTINO, La giurisdizione nel diritto romano (Padova 1937) 70 ss., spec. 120 ss.,secondo il quale il sistema eliano dei Tripertita conosceva, dal punto di vista delleazioni la sola procedura per legis actiones, O. CARRELLI, La genesi del procedimento

tiva è stata sviluppata da Dario Mantovani, nell’ambito di unampio saggio teso a ricercare temi e motivi degli esordi del ge-nere letterario che si espresse nel commento all’editto pretorio.Proprio in riferimento all’edictum, lo studioso affronta il pro-blema della attitudine anche della più antica giurisprudenza(non solo dei giuristi della repubblica declinante, quando siformò il genere letterario del commento alle disposizioni pre-torie) ad esaminare casi della prassi, in primo luogo con ri-guardo all’opera di Sesto Elio, che – come si è visto, soprat-tutto per i suoi Tripertita – rappresenta un momento impor-tante di svolta nella storia della giurisprudenza romana.Naturalmente Mantovani sta nel giusto quando afferma l’im-portanza che nella attività pratica (e dunque anche nella rifles-sione teorica 50) di Sesto Elio hanno i «nuovi rapporti», nonpotrebbe non essere così in una giurisprudenza politica comequella tra la fine del III e gli inizi del II secolo a. C. 51 L’«in-tento filologico-antiquario» e lo «scopo pratico» 52 in lui con-vivono (e probabilmente convivono in sommo grado). Se nonfosse stato così, Peto non avrebbe mai meritato il paragone conGneo Flavio e forme importanti della dignatio popolare 53,

322 CAPITOLO QUINTO

formulare (Milano 1946) 83 nt. 110, attribuendo D. 19.1.38.1 all’actio venditi, sem-bra ascrivere il testo all’opera in tre parti del giurista repubblicano (sulla posizionedi DE MARTINO in riferimento al valore del frammento celsino si v. infra 339nt. 115).

50 Già A. P[ERNICE], rec. di C. FERRINI, Storia delle fonti del diritto romano edella giurisprudenza romana (Milano 1885), in ZSS. 7.2 (1886) 160, in una critica in-vero abbastanza dura, anche nel tono, al libro recensito, riferiva D. 19.1.38.1 ad unaricezione nell’opera letteraria di Sesto Elio (nella parte in cui il giurista sviluppavala sua interpretatio) di un argomento proveniente dalla prassi; cfr. anche C. G.BRUNS[, A. PERNICE, O. LENEL], Geschichte und Quellen des römischen Rechts(München 1904) 115 [=O. LENEL, Gesammelte Schriften III (Napoli 1991) 41], se-condo l’opinione del quale (in qualche modo recepita anche dai curatori delle suc-cessive edizioni, Pernice, appunto, e Lenel) dell’interpretatio facevano parte chiari-menti grammaticali, ma «anche sicuramente spiegazioni provenienti dalla prassi».

51 Su Sesto Elio, in tale prospettiva, si v. F. D’IPPOLITO, I giuristi e la città cit.spec. 51 ss.

52 Cfr. M. BRETONE, Storia cit. 57.53 Mi riferisco in primo luogo a F. D’IPPOLITO, I giuristi e la città spec. 7 ss.

(che però incentra la sua attenzione sul solo enchiridion di Pomponio).

quali mi sembrano l’appellativo enniano egregie cordatus e ladenominazione di Catus 54.

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54 Sulle due qualificazioni si v., in particolare, F. D’IPPOLITO, I giuristi e la cittàcit. 61 ss., sul rapporto tra Sesto Elio e Gneo Flavio (in una tradizione ‘popolare’):64 ss.; ed ora (ma senza alcuna sostanziale novità) M. TH. FÖGEN, Römische Rechts-geschichten. Über Ursprung und Evolution eines sozialen Systems (Göttingen 2002)171 s. Ulteriori interessanti considerazioni sull’onomastica (politica) degli Aelii re-pubblicani in E. BADIAN, The Clever and the Wise: Two Roman ‘Cognomina’ inContext, in Vir bonus discendi peritus. Studies in Celebration of Otto Skutsch’sEightieth Birthday ed. N. HORSFALL (London 1988) 6 ss. Non credo si possa se-guire M. TALAMANCA, s.v. «Vendita (dir. rom.)» cit. 310 nt. 66, quando afferma: «ri-spetto a questa data [scil. il 198 a. C., che segna il consolato di Sesto Elio], bisognaosservare che in questo periodo la legittimazione a respondere de iure dipendeva,con ogni verosimiglianza, proprio dall’aver raggiunto sul piano politico e socialel’auctoritas connessa con l’esercizio delle magistrature superiori: è posteriore – an-che se non di molto – l’epoca in cui l’esercizio della iuris prudentia era un mezzoche facilitava, all’incontrario, la carriera politica; e questo fenomeno recenziore sispiega in un contesto in cui, ormai, i giureconsulti si fondavano su un’auctoritas aformare la quale contribuivano, principalmente, profili di carattere tecnico». Lostudioso riprende il discorso in Pubblicazioni pervenute alla Direzione, in BIDR.94-95 (1991-1992) 547 s., in critica ai tre lavori di Bauman sulla storia della giuri-sprudenza romana. Almeno la prospettiva di Pomponio è diversa (anche se, natu-ralmente, non è la prospettiva di un contemporaneo), quando collega il consolatoraggiunto dai due Elii – comprendendo anche Publio, fratello di Sestio, che ricoprìla carica nel 201 a. C., cfr. T. R. S. BROUGHTON, The Magistrates of the Roman Re-public I cit. 319 – proprio con la loro rilevante attività giuridica: ut duo Aelii etiamconsules fuerunt … (D. 1.2.2.38 [l. s. ench.]), e si tratta della prima conseguenzialitàgiuridico-politica dell’enchiridion. Per la letteratura non giuridica significativo Liv.39.40.5, che fornisce lo spunto a D. MANTOVANI, ‘Iuris scientia’ cit. 617 ss., persvolgere un’interessante analisi della considerazione della giurisprudenza comefonte di dignitas (e di honores) nella storia di Roma repubblicana. Oltretutto lagente Elia, consolare (per tale motivo, W. KUNKEL, Herkunft und soziale Stellung2

cit. 9, la dice appartenente alla «plebejische Nobilität»: ricorrono consoli nel 337 enel 286 a. C.: T. R. S. BROUGHTON, o.u.c. I 138, 186; cfr. anche D. MANTOVANI, ‘Iu-ris scientia’ cit. 646; il padre di Sesto e Publio aveva peraltro concorso sfortunata-mente alle elezioni per il consolato del 216: Liv. 22.35.1-2, Val. Max. 5.6.4, sulpunto, particolarmente interessante, si v. G. V. SUMNER, Elections at Rome in 217B.C., in Phoenix 29 [1975] 250, con bibliografia in nt. 1, T. R. S. BROUGHTON, Can-didates Defeated in Roman Elections: Some Ancient Roman ‘Also-Rans’ [Phila-delphia 1991] 20, ma era poi morto a Canne nel 216: Liv. 23.21.7; comunque erastato pontefice, su di lui da ultimo raccolta di fonti e bibliografia in F. SINI, ‘A qui-bus iura civibus praescribebantur’ cit. 132 nt. 3), era certo rilevante e, a quanto sem-bra, in un periodo di riaffermazione politica (avvantaggiata dal legame di Sestio conScipione l’Africano, cfr. F. CÀSSOLA, I gruppi politici romani nel III secolo a. C. cit.402, 410; F. D’IPPOLITO, I giuristi e la città cit. 54 ss.; R. A. BAUMAN, Lawyers in

Nell’interpretazione della parte «giurisprudenziale» delpasso, gli sforzi della storiografia si sono concentrati sulla fi-gura e l’opera di Sesto Elio (e ragionevolmente: per la mag-giore importanza intrinseca di questo giurista rispetto a Druso,ed anche perché con tutta verisimiglianza è proprio a lui che indefinitiva risale la decisione). Ma non bisogna dimenticare, amio parere, la menzione, nella citazione di Celso, dell’altrogiurista repubblicano. E proprio nella posizione di Druso mipare possa essere rinvenuto un indizio (sia pure non la cer-tezza) per la originaria natura di responsum della decisionecontenuta nel frammento 38.1 del titolo 19.2 dei Digesta 55. Bi-sogna soffermarsi, per un momento, sul problema. L’apportodecisionale di Livio Druso, almeno nella tradizione celsina, èinfatti completamente equiparato a quello di Sesto Elio. Ilmodo verbale dixerunt appiattisce su di un piano di autoritàgiuridica la prospettiva storica che pure non è difficile da rico-noscere (in primo luogo perché i due giuristi non sono con-temporanei 56, a prescindere dal diverso livello di prestigio), lasententia è infatti attribuita a tutti e due. Oltretutto, se fosse

324 CAPITOLO QUINTO

Roman republican politics cit. 126 ss.). Si v., infine, Cic. de orat. 3.33.133, dove siparla di quanti excellere sapientiae gloria vellent (con l’immediato ricordo di SestoElio e di Manio Manilio), e le altre fonti (risalenti all’ampio periodo storico dal IIsecolo a. C. al IV d. C.) raccolte e commentate da Mantovani nel contributo più so-pra citato.

55 Ciò non toglie che il responsum possa essere stato rifuso in un’opera scritta(ma dove? eventualmente, nei Tripertita?) di Sesto Elio, o di Druso (ovvero anchedi un successivo giurista precedente a Celso; sulla possibilità che si possa trattare diQuinto Mucio, che fu un po’ il riassuntore e l’ordinatore delle più antiche prospet-tive interpretative giurisprudenziali, si v. O. BEHRENDS, Les «veteres» et la nouvellejurisprudence cit. 19; sul fatto che questo giurista non si fosse limitato all’analisi tra-dizionalista degli antichi istituti civilistici, ma avesse tenuto presente anche le piùrecenti evoluzioni connesse con la iurisdictio pretoria, contro la impostazione ge-nerale di V. GIUFFRÈ, La traccia di Quinto Mucio. Saggio su ‘ius civile’ / ‘ius ho-norarium’ [Napoli 1993], si v., convincentemente, D. MANTOVANI, Gli esordi cit.104 ss.); sul punto si v. anche infra 403 nt. 17.

56 Li separano, come si è visto, praticamente due generazioni, e non si tratta diun periodo statico nello sviluppo del diritto privato romano attraverso l’opera dellagiurisprudenza: si ha infatti la «fondazione» del ius civile da parte della triade pom-poniana (D. 1.2.2.39 [l. s. ench.]).

vera la risalenza ai Tripertita, che c’entra Druso? (immaginarlocome tramite dell’opera di Sesto Elio mi pare poco probabile:vi sarebbe qualche altra attestazione di questo medium; che laavesse citata e che Celso fosse capace di mettere insieme le duecitazioni traendole da contesti diversi mi sembra francamenteimpossibile). Secondo me Celso leggeva il caso in maniera nonmolto differente da come ce lo tramanda, la sua fonte potrebbetrovarsi nel tesoro dell’antica giurisprudenza repubblicana:l’opera di Quinto Mucio. Se pure a Druso, infatti, si può far ri-salire uno scritto letterario 57 (ma significativamente non ver-rebbe segnalato da Pomponio, e neppure – inutile dirlo – da al-tre fonti se si eccettua la notizia di Valerio Massimo), la storio-grafia è unanime nel considerare quello in questione come unsuo responsum 58, anzi si è autorevolmente sostenuto che i mo-numenta a lui espressamente attribuiti dal memorialista d’etàtiberiana 59 fossero un’opera isagogica, che comprendeva re-

UN TESTO CENTRALE: D. 19.1.38.1 (CELS. 8 DIG.) 325

57 Val. Max. 8.7.4. Consimilis perseverantiae Livius Drusus, qui aetatis viribuset acie oculorum defectus ius civile populo benignissime interpretatus est, utilissima-que discere id cupientibus monumenta composuit: nam ut senem illum natura cae-cum fortuna facere potuit, ita neutra interpellare valuit ne non animo et videret etvigeret. Nel passo parallelo dell’epitome di Giulio Paride non si rinviene il riferi-mento letterario, né quello alla attività didattica: Livius Drusus, et aetatis viribus etacie oculorum defectus, ius civile populo benignissime interpretatus est. Nella po-chezza dell’informazione fornita sul personaggio appare amplificata l’importanza diuna «zivilrechtliche Schrift» in TH. GIARO, P. C. NADIG, s.v. «Livius I 5», in DNP.VII (Stuttgart-Weimar 1999) 370. Credo che sia frutto di una svista l’attribuzionedella «sentenza» al console del 144 (anno in cui ricoprirono la magistratura ServioSulpicio Galba e Lucio Aurelio Cotta: T. R. S. BROUGHTON, The Magistrates of theRoman Republic I cit. 470) in U. VON LÜBTOW, Catos leges cit. 419, ed in C. A.MASCHI, Il diritto romano I cit. 587, al console del 147 (dunque al padre del giuri-sta) da parte di R. MONIER, Manuel élémentaire4 II cit. 172 (§ 108).

58 Cfr. FR. MÜNZER, s.v. «Livius, 15» cit. 856; W. KUNKEL, Herkunft und so-ziale Stellung2 cit. 14. F. P. BREMER, Iurisprudentiae antehadrianae quae supersunt Icit. 27 distingue i responsa (cui attribuisce il frammento celsino in questione), dai iu-ris civilis libri (che, con un punto interrogativo sarebbero l’oggetto dei monumentadi cui è notizia in Valerio Massimo); cfr., d’altra parte, l’anodina registrazione inO. LENEL, Palingenesia I cit. 171.

59 Cfr. il testo riportato in nt. 56. Sui monumenta come tipologia letteraria, inparticolare giuridica (dunque in primo luogo quelli che nomina Pomponio, D.1.2.2.39 [l. s. ench.], forse sono le leges cui si riferisce Cicerone, de or. 1.58.245, o le

sponsa, tra i quali anche quello in questione 60. Se così fosseDruso è stato il tramite (verosimilmente ancora mediato primadi Celso: come si è accennato non è impossibile ipotizzare unatradizione muciana 61) della nostra conoscenza dell’escogita-zione di Sesto Elio. Si potrebbe ipotizzare che il responso let-terariamente tràdito fosse di Druso, e che questo però sempli-cemente replicasse quello di Sesto Elio 62 (di cui Druso poteva

326 CAPITOLO QUINTO

actiones ricordate da Varr. de r. r. 2.5.11, 2.7.6), si v., oltre la disputa tra G. BAVIERA,I ‘Monumenta’ di Manilio e il ‘Ius Papirianum’, ora in Scritti giuridici I (Palermo1937) 37 ss., e O. HIRSCHFELD, Die Monumenta des Manilius und das Jus Papiria-num, in SB. Ak. Berl. (1903) [=parzialmente in Kleine Schriften (Leipzig 1913) 239ss.]; P. KRÜGER, Geschichte2 cit. 69 nt. 30; F. BÖMER, Der Commentarius. Zur Vor-geschichte und literarischen Form der Schriften Caesars, in Hermes 81 (1953) 210ss.; M. LAURIA, s.v. «Commentarii», in NNDI. III (Torino 1959) 513 s.; L. LA-BRUNA, Plauto, Manilio, Catone cit. 39 nt. 94 [=Adminicula3 cit. 209 nt. 94] (con al-tra bibliografia); M. BRETONE, Tecniche e ideologie2 cit. 264 s.; A. WATSON, Lawmaking cit. 140; F. WIEACKER, Römische Rechtsgeschichte I 542 nt. 72.

60 In tal senso F. WIEACKER, Römische Rechtsgeschichte I cit 543, che sia puripoteticamente (con un «vielleicht») propone che Celso abbia citato, in D. 19.1.38.1,proprio un responso raccolto nei monumenta.

61 Cfr. O. BEHRENDS, Les ‘veteres’ et la nouvelle jurisprudence cit. 19 (e cfr. nt.43). Per quanto riguarda la possibilità che Pomponio (praticamente contemporaneodi Celso) leggesse l’opera di Sesto Elio attraverso una mediazione tardorepubbli-cana (forse ad opera di Varrone) si v. M. FUHRMANN, ‘Interpretatio’. Notizen zurWortgeschichte, in Sympotica F. Wieacker cit. 80 ss.; contra G. G. ARCHI, Interpre-tatio iuris-interpretatio legis-interpretatio legum, in ZSS. 87 (1970) 1 ss. [=Scritti didiritto romano I. Metodologia e giurisprudenza. Studi di diritto privato 1 (Milano1981) 83 ss.]; cfr. anche F. D’IPPOLITO, I giuristi e la città cit. 70 nt. 24.

62 Questa mi pare l’opinione di P.-F. GIRARD, Manuel cit. 538 nt. 4: «c’est untexte ou Celse invoque Drusus, qui invoque lui-même Sex. Aelius …» (sostanzial-mente allo stesso modo in Mélanges de droit romain I. Histoire des sources 1 [Paris1912] 173: «le texte connu de Celse citant Drusus citant Sex. Aelius»), che peraltronon può essere testualmente accettata, perché il frammento non mostra diretta-mente i passaggi posti in luce dallo studioso francese, nella forma della doppia cita-zione. In generale sulle modalità della tradizione dei testi giuridici (peraltro con ri-ferimento precipuo alle opere letterarie ed ai testi normativi) nell’epoca repubbli-cana, si v. F. DE MARINI AVONZO, La trasmissione dei testi giuridici romani nell’etàrepubblicana, in Scritti M. Casanova (Milano 1971) 203 ss. Importante per la tradi-zione mnemonica della giurisprudenza repubblicana M. BRETONE, Il giureconsultoe la memoria, in QS. 20 (1984) 223 ss., poi in Questioni di giurisprudenza tardo-re-pubblicana. Atti di un seminario (Firenze 27-28 maggio 1983) (Milano 1985) 1 ss.[=Diritto e tempo nella tradizione europea nuova ed ampl.2 (Roma-Bari 2001) 5 ss.,con il titolo La memoria del giureconsulto].

avere anche una memoria orale, facilmente tramandabile per ledue generazioni che separano i personaggi 63), ovvero cheDruso attraverso un responso decise un caso, rammentando(ed utilizzando così un consistente argomento ab auctoritate)una più antica consimile sententia di Sesto Elio Peto.

3. Per una interpretazione (aspetti sostanziali e processuali).– La lettura giuridica del caso deve procedere alla verifica dellanatura del negozio di scambio: se si fosse trattato, cioè, dimancipatio ovvero di emptio venditio. La più completa disa-mina del passo nel senso che testimoni un caso di mancipatio èstata offerta di recente da Federico d’Ippolito 64. È, invero, unalettura in qualche modo «rivoluzionaria» rispetto alla più re-cente dottrina dominante 65, che decisamente riassume la testi-monianza nell’alveo dell’emptio venditio consensuale (anzicome più risalente attestazione tecnica dell’istituto). Punto dipartenza dell’analisi dello studioso napoletano (sia pur nonespressamente dichiarato) è costituito, mi pare, dalla conside-razione dell’oggetto del trasferimento (un mancipium: come sisa gli schiavi erano, in quanto res mancipi, oggetto di mancipa-tio 66) e, ovviamente, dell’epoca risalente (seppure non antichis-sima) in cui si sviluppa la decisione giurisprudenziale di Sesto

UN TESTO CENTRALE: D. 19.1.38.1 (CELS. 8 DIG.) 327

63 Piuttosto trascurato J. L. MURGA, Derecho romano clasico II. El proceso3

(Zaragoza 1989) 173 nt. 203 [da p. 202], quando afferma che i due giuristi sarebbero«più o meno della stessa epoca» (trattandosi oltretutto di un periodo di mutamenti).

64 Del fare diritto cit. 16 ss. Forse d’Ippolito trova un precedente (illustre)in P. JÖRS, Römische Rechtswissenschaft I cit. 107: «im Anschluss an ein denSklavenkauf betreffendes Mancipationsformular wird die Frage aufgeworfen, wasrechtens sei, wenn die Uebergabe des Sklaven durch Schuld des Käufers vorzögertsei, und dahin beantwortet, dass der Verkäufer Schadloshaltung für die Ernährungs-kosten verlangen könne».

65 Cfr. supra 245 s. Pensa all’emptio consensuale anche quella parte della sto-riografia, che riferisce il contenuto del frammento (o almeno un suo nucleo eliano)ai Tripertita (si v. supra 317 ss., con discussione del problema).

66 Si v. Gai 1.119 ss. Per il significato metonimico di mancipium come schiavosi v. (oltre a qualsiasi buon vocabolario, ad esempio F. CALONGHI, Dizionario la-tino-italiano cit. 1647, s.v. «mancipium») H. HEUMANN, E. SECKEL, Handlexikon11

cit. 330, s.h.v., e l’ampia raccolta di fonti in VIR. III/2.1738 ss.

Elio che sta all’origine della catena attestata nei Digesta giusti-nianei 67. Lo studioso non disconosce la possibilità che il passosia stato in qualche modo «ammodernato» 68 (forse con rife-rimento ad alcune espressioni, come emptor 69), ma esso vasecondo lui «evidentemente posto in relazione con la normadecemvirale relativa al mancipium, attraverso cui Gaio ci tra-smette la forma dell’atto negoziale mediante il quale il manci-pium accipiens apprende la res mancipi con la dichiarazioneben nota, e consegna al mancipium dans l’aes simboleggiante ilprezzo della cosa, che potrebbe essere quella pecunia nun-cupata di cui parla Festo» 70. Il problema sorge in riferimentoad un «elemento temporale»: il ritardo del trasferimento delloschiavo dal venditore al compratore. Se non viene messa indiscussione l’istantaneità del trasferimento discendente dallanorma decemvirale (istantaneità collegata strettamente con ladichiarazione del mancipium accipiens), la disponibilità effet-tiva della cosa da parte del venditore mostra il «dilatarsi» neltempo della norma, che a sua volta «provoca, per il giurista,un’ipotesi processuale che non è diretta a risolvere il negozio,bensì a quantificare la quota economica rispetto al prezzo sta-bilito per il perdurare degli oneri di mantenimento della resmancipi» 71. Ma la caratteristica della mancipatio sta proprionella istantaneità dello scambio formale. A che pro recarsi da-

328 CAPITOLO QUINTO

67 Naturalmente anche l’opinione di Druso potrebbe riferirsi (dal punto di vi-sta cronologico) ad una mancipatio; più difficile che Celso pensasse al negozio tra-slativo formale (non lo crede D’IPPOLITO, Del fare diritto cit. 18 nt. 41 [p. 43], ilquale anzi individua nel giurista del principato l’autore di una revisione: v. subitoinfra nel testo).

68 Si v. soprattutto Del fare diritto cit. 17 nt. 41 [da p. 40], in contrapposizionecon l’idea (in particolare) di M. TALAMANCA, La tipicità dei contratti romani cit. 70nt. 133.

69 Ma cfr. supra 307 e nt. 9.70 F. D’IPPOLITO, Del fare diritto cit. 16.71 F. D’IPPOLITO, Del fare diritto cit. 17. Con riferimento in primo luogo al-

l’opinione di M. BRETONE, Storia cit. 88 ss. (cfr. p. 17 nt. 40) lo studioso continua:«ciò da un lato conferma quello che è stato definito il valore ‘performativo’ della di-chiarazione pronunziata dal mancipium accipiens, dall’altro implica il riconosci-mento del valore economico del negozio ed il suo imporsi nell’ambito della fatti-specie rilevata».

vanti al libripens, con lo schiavo e i testimoni, inscenare tutta ladovuta procedura simbolica e poi non mettere in atto il trasfe-rimento effettivo? Quali poteri avrebbe avuto il venditore suun mancipium non più in sua proprietà quiritaria, ma presso dilui in attesa di essere tratto con sé dall’acquirente? Quale il re-gime della responsabilità per i danni al mancipium, per il suoeventuale perimento? Dobbiamo ipotizzare un qualche nego-zio che consentisse lo sfruttamento dello stesso? (che l’alie-nante lo tenesse presso di sé così, semplicemente, non avrebbealcun senso e non giustificherebbe poi la richiesta di risar-cimento). Mi pare che sarebbe stato più naturale adottare trale parti che volessero procedere ad un differimento dello scam-bio un regolamento obbligatorio, per esempio attraverso unaforma stipulatoria, con la quale si sarebbe potuto agevolmentestabilire l’obbligo a trasferire (tramite mancipazione) e con-temporaneamente tutelare l’esecuzione di quanto convenutoattraverso l’azione direttamente scaturente dallo scambio pro-missorio verbale 72. Anche l’emptio venditio consensuale è «del

UN TESTO CENTRALE: D. 19.1.38.1 (CELS. 8 DIG.) 329

72 Non capisco come lo studioso napoletano voglia evitare la configurazionedel caso come mora accipiendi, cui consegue un rimedio concesso al venditore, oforse d’Ippolito si riferisce solo all’esclusione, nella sua prospettiva dell’actio empti,ma allora la dizione da lui utilizzata è quantomeno oscura: «Io non credo, comegran parte della dottrina pandettistica non ha a suo tempo creduto, che qui ci sipossa trovare di fronte a una forma di mora accipiendi, rispetto alla quale il vendi-tore può agire mediante l’actio empti»: Del fare diritto cit. 17; aggiunge in nt. 41«non soccorre D. 19.1.9 Pomp. 20 ad Sab.», adducendo come unico pandettista B.WINDSCHEID, Diritto delle Pandette II (tr. it. rist. 1930) 341 nt. 1. Scriveva Wind-scheid (a p. 340 s.): «Se il diritto di credito tende alla prestazione di una cosa mo-bile, il debitore, di fronte al rifiuto di ricevere, non è tenuto a contentarsi delle con-seguenze, che la mora ha per il creditore; egli ha anche un mezzo di liberarsi inte-ramente dalla sua obbligazione. Questo mezzo consiste nel deposito (Hinterlegung)giudiziale dell’oggetto da prestarsi». Alla parola «consiste» è annesso il richiamo dint. 1: «Che il debitore non ha alcun diritto (e perciò nessuna azione) all’accetta-zione, è stato già osservato (§ 345 nota 10). Ma una obbligazione del creditore, diprendere dal debitore entro un dato termine l’oggetto da prestarsi, può essere costi-tuita espressamente o tacitamente dal fatto generatore del diritto di credito. A ciò èda riferire la l. 9 D. de A. E. V. 19.1». Immediatamente cita quella che è – mi pare –la sua fonte dottrinaria più rilevante, che trascrivo: FR. MOMMSEN, Beiträge zumObligationenrecht III cit. 134 nt. 3: «... In Einer Stelle wird allerdings von einerKlage auf Annahme der Leistung gesprochen, nämlich in der L. 9 D. de act. empti

tutto perfezionata» con la rispettiva prestazione del consensosu cosa e prezzo ed anche per questo caso vale la opinione «èdunque il successivo comportamento dell’acquirente che pro-voca un danno all’alienante» 73. Sia detto solo a conclusione diquesta critica: il discorso di d’Ippolito non regge neanche inun’ottica strettamente interpolazionistica, dalla prospettivameccanica di restituzione del testo classico si potrebbe sospet-tare traderetur e sostituirvi mancipetur 74, ma si resterebbe an-che in tal caso nell’ambito del negozio consensuale, che pre-cede (ed obbliga al)la trasmissione del mancipium secondo leforme previste dall’ordinamento.

È chiaro che rispetto ad un testo di tale rilevanza storica,gli studiosi che hanno presentato ipotesi di origine dei con-tratti consensuali 75, abbiano proposto interpretazioni in lineacon le tesi sostenute. In particolare rileva la doppia stipula-zione: in un’appendice al suo trattato sulle azioni nel dirittoprivato romano, dedicata alla difesa contro Demelius delle sueopinioni sull’antichità dell’«actio empti ex consensu», ErnstImmanuel Bekker 76, affrontando il problema dell’accostamen-

330 CAPITOLO QUINTO

(19.1): ‘Si is, qui lapides ex fundo emerit, tollere eos nolit, ex vendito agi cum eopotest, ut eos tollat’. Hier liegt aber ohne Zweifel ein gemischtes Geschäft vor. DerEigenthümer will durch den Verkauf nicht allein den Vortheil des Kaufpreises,sondern zugleich den Vortheil erlangen, daß sein Grundstück von den Steinengereignigt werde; und auch in der letzteren Beziehung hat der Käufer durch denContract eine Verpflichtung (ausdrücklich oder stillschweigend) übernommen. Dieletztere Verpflichtung ist es aber, welche durch die actio venditi in unserem Fallgeltend gemacht wird. Gegen diese Erklärung kann man auch nicht einwenden,dass die gedachte Verpflichtung, strenge genommen, außerhalb der Grenzen deseigentlichen Kaufcontracts liegt, weil der Name des Contracts und der Klage nachdem Hauptinhalt des Geschäfts sich richtet».

73 Naturalmente F. D’IPPOLITO, Del fare diritto cit. 18, scrive rispettivamente«del mancipium accipiens» e «del mancipium dans».

74 Si cfr., esemplificativamente, P. JÖRS, s.v. «Digesta», in PWRE. V/1 (Stuttgart1903) 533; P. BONFANTE, Corso di diritto romano II. La proprietà 2 (rist. corr. Mi-lano 1968) 156; A. GUARNERI CITATI, Indice delle parole frasi e costrutti cit. 87, s.vv.«Tradere», «Traditio».

75 Cfr. supra 224 ss.76 Die Aktionen des römischen Privatrechts I. ‘Ius civile’ (Berlin 1871) 311 ss.,

«Beilage F» (il riferimento è al capitolo VII, p. 149, cfr. ivi nt. 47): «Wider Demelius

to di D. 19.1.38.1 con (in particolare) tre passi del de agri cul-tura di Catone 77 (testi accomunati dalla menzione di un arbi-trium/arbitratum come momento di risoluzione della contro-versia) sostenne che la forza obbligatoria era conseguita dalleparti non ex consensu, ma piuttosto ex verbis 78. L’argomenta-zione di Girard 79, che sviluppa la stessa linea interpretativa,non pare accettabile: parte dal presupposto che l’opera di SestoElio è la prova dell’inesistenza della lex Aebutia. Ora: da unaparte ciò non è assolutamente incontestabile, come pure di re-cente è stato messo in luce 80, dall’altra l’esistenza di quellalegge – è cosa ormai pacifica 81 – non costituisce affatto neces-sariamente un prius rispetto alla possibilità di scambi di mercecontro prezzo tutelati in via giurisdizionale 82. Fatta questa

UN TESTO CENTRALE: D. 19.1.38.1 (CELS. 8 DIG.) 331

ueber das Alter der actio empti ex consensu nach Plautus»; cfr. supra 231 ss. Il sag-gio di Demelius attaccato da Bekker è costituito dai Plautinische Studien III. Con-sensual- und Real-Contracte, in ZRG. 2 (1863) 177 ss.; cfr. anche la pronta risposta(sempre di Bekker), in ZRG. 3 (1864) 442 ss.

77 144.2, 3; 145.3.78 Per la recezione delle leges venditionis che servissero a regolare la responsa-

bilità nel sistema successivo (a base consensualistica) si v. il prosieguo del discorsodi BEKKER, Die Aktionen I cit. 315: «… dass dieselben ständig geworden, in denkonsensuellen Kaufkontrakt übergegangen, und endlich nach der Regel ‘in b. f. iu-diciis quae sunt moris et consuetudinis venire’ ihrem Inhalte nach selbstverständli-ches Element des Geschäfts geworden. Das historische Citat des Celsus wird durchdiese Annahme nicht ungenauer als andere Römischer Juristen».

79 La date cit. 260 [=Mélanges I cit. 79]; Nouvelles observations sur la date dela loi Aebutia, in ZSS. 29 (1908) 148 nt. 1 [=Mélanges I cit. 148 nt. 2 (da p. 147)].Girard, comunque, indica D. 19.1.38.1 (Cels. 8 dig.) come «le document le plus sé-rieux» per rappresentare un modello risalente di contratto consensuale obbligato-rio: La date cit. 260 [=Mélanges I cit. 79], che naturalmente non approva, le fontiche formano punto di riferimento al negativo rispetto a questa affermazione sono lecommedie di Plauto e l’opera sull’agricoltura di Catone; il testo era stato definito«curioso» dallo stesso studioso in Histoire de la garantie d’éviction II. Les stipula-tions de garantie, in NRH. 7 (1883) 540 nt. 2 [=Mélanges de droit romain II. Droitprivé et procedure (Paris 1923) 49 nt. 2], ivi si trova un brevissimo rapporto sullostato della storiografia tedesca in tema di compravendita nelle fabulae plautine (conindicazione delle opinioni di Bekker, Demelius e Bechmann).

80 Cfr. D. MANTOVANI, Gli esordi cit. 104.81 Bibliografia supra 308 nt. 13.82 Sui due punti si v. l’efficace contrapposizione a Girard di L. MITTEIS,

Römisches Privatrecht bis auf die Zeit Diokletians I. Grundbegriffe und Lehre

premessa, non trova di meglio che seguire nelle sue conclu-sioni Bekker, riferendosi, dunque, ad una stipulazione pro ci-bariis arbitrio boni viri indemnitatem servari, e conclude: «letexte se trouve tout au moins être ainsi lui-même étranger ànotre question» 83. Anche Luzzatto, più di recente, segue que-sta posizione 84; su di lui incideva ancora il pregiudizio cheprima della lex Aebutia non si potessero avere tali azioni ono-rarie 85. Nella prospettiva dello studioso la qualificazione delfatto come compravendita obbligatoria viene smussata dallaconsiderazione per cui l’azione «relativa non è stata ancora in-serita nell’elenco dei iudicia bonae fidei», cui consegue la sup-posizione «che la prestazione dell’indennità determinata in baseall’arbitrium boni viri trovasse il proprio fondamento in unaspeciale stipulazione intercorsa tra le parti» 86. Invero Luzzattoprospetta anche un’altra soluzione 87 (e forse la preferisce 88, non

332 CAPITOLO QUINTO

von den juristichen Personen (Leipzig 1908) 48 nt. 20: «Die Bestreitung diesesZeugnisses durch Girard ... und die daselbst zit. Schriftsteller ist unbegründet; siegeht immer darauf hinaus, dasselbe für irgendwie entstellt zu erklären, um die vor-gefasste Meinung halten zu können, dass es zu Aebutius’ Zeit noch kein arbitriumgab». Il quale (sempre a p. 48, nel testo) afferma con decisione: «… hiermit kannunmöglich ein bloss privater Schiedsspruch gemeint sein».

83 Nello stesso punto (La date cit. 260 [=Mélanges I cit. 79]), lo studioso fran-cese propone l’attualizzazione della fattispecie da parte di Celso, o forse già daparte di Druso; nell’articolo del 1883, Histoire de la garantie d’éviction II cit.[=Mélanges II cit. 49 nt. 2], la citazione di Sesto Elio da parte di Celso era reputata«più o meno esatta».

84 Procedura civile romana III cit. 21. Cfr. G. BROGGINI, ‘Iudex arbiterve’ cit.221 e nt. 10. Il pensiero di Luzzatto non mi sembra perfettamente compreso nellacritica che gli porta J. L. MURGA, Derecho romano clasico II cit. 173 nt. 203 [dap. 202].

85 Sul punto, al contrario e convincentemente G. PUGLIESE, Il processo civileII/1 cit. 49 ss.; M. KASER, Das altrömische ‘ius’ cit. 299; poi A. WATSON, The Lawof Obligations cit. 40 s., 70 (con particolare riferimento a D. 19.1.38.1); M. TALA-MANCA, s.v. «Processo civile (diritto romano)» cit. 30 s. e nt. 208; M. KASER, K.HACKL, Das römische Zivilprozessrecht2 cit. 159 nt. 57.

86 G. I. LUZZATTO, Procedura civile romana III cit. 21, con rinvio a Bekker eBechmann e menzione della diversa opinione di Karlowa.

87 Cfr. G. BROGGINI, ‘Iudex arbiterve’ cit. 221 nt. 10.88 Lo si può inferire dalla posizione di questa seconda opinione, che chiude

il paragrafo dedicato ai giudizi di buona fede (cfr. Procedura civile romana III cit.

essendo, essa, peraltro, incompatibile con quella appena de-scritta 89), e cioè un adattamento di Celso («e forse già diDruso») al diritto del proprio tempo (dunque alla compraven-dita consensuale ed alla conseguente actio venditi) di una solu-zione data in una diversa situazione giuridica 90. La tesi delladoppia (reciproca) stipulazione è stata poi sviluppata soprat-tutto da Arangio-Ruiz 91, secondo la linea-guida della sua vi-sione complessiva dell’evolversi originario della compraven-dita consensuale. Come si sa, secondo lo studioso napoletano,il contenuto economico dell’emptio venditio (nell’epoca in cuinon si era ancora riconosciuta azionabilità diretta degli impe-gni basati sul mero consenso, l’età – appunto – ancora di SestoElio e pure di Druso) si sarebbe riversato dalle parti in reci-proche stipulazioni. Se Celso, naturalmente, sta affrontando ilproblema dal punto di vista dell’actio venditi come giudizio dibuona fede, pure si ricollega alla soluzione di due giuristi cheguardavano al fatto dalla prospettiva stipulatoria. Vi ha che– secondo Arangio-Ruiz – la clausola stipulatoria «coprivatutto quello che poteva essere contenuto in un contratto dicompravendita, dando luogo a stipulationes incerti esigibili conl’actio incerti ex stipulatu, attraverso formole fondate sulQUIDQUID ALTERUM ALTERI DARE FACERE OPORTET». Dunqueera «naturale» che Sestio Elio «senza minimamente prevederela creazione di un apposito contratto consensuale, chiamasse le

UN TESTO CENTRALE: D. 19.1.38.1 (CELS. 8 DIG.) 333

17 ss.), dalla attitudine, in questo punto ricordata, dei giuristi romani a modificarele opinioni ricevute dalla giurisprudenza precedente, con significativo richiamo a P.DE FRANCISCI, Premesse storiche alla critica del Digesto, in Conferenze per il XIVCentenario delle Pandette [Università Cattolica] (Milano 1931) 13 ss.

89 LUZZATTO è esplicito in tal senso (Procedura civile romana III cit. 21: «ciòche del resto non è affatto incompatibile con l’ipotesi precedente»); il congiungi-mento delle due opzioni è rafforzato dal fatto che lo studioso, nel momento in cuisi riferisce alla «clausola che Sesto Elio configurava in modo diverso» (sempre ap. 21), non propone nessuna ulteriore spiegazione di tale «diversità».

90 Si giustifica così, inoltre, nella prospettiva di LUZZATTO, l’utilizzazione dellaterminologia riferibile all’azionabilità della emptio venditio obbligatoria (si v., inparticolare, Procedura civile romana III cit. 20).

91 La compravendita2 I cit. 74; cfr. supra 230 ss.

parti coi nomi di emptor e di venditor, e scrivesse magari lestesse parole che leggiamo nella relazione di Celso» 92.

Rispetto a tale ricostruzione contrasterebbero «unüber-windliche Einwande» 93. In primo luogo, le stipulazioni non ri-sultano in alcun modo; poi l’acquirente è definito emptor (masi è visto come questo dato terminologico non sia decisivo 94);infine (e, mi pare, soprattutto 95), se la stipulatio incerti fossestata azionabile già nel rigido sistema delle legis actiones, non sisarebbe in alcun modo potuto parlare di arbitrium 96.

Secondo la sua impostazione generale del problema delleorigini della compravendita consensuale, Cancelli 97 inquadra iltesto nell’ambito di quelle attestazioni 98 più antiche, in cui ilgiudizio ex empto vendito si riferisce all’arbitrium, termine che(e qui soprattutto emerge il rapporto con la sua tesi) «può ri-specchiare l’arbitramento che nei contratti pubblici, di loca-zione (e di vendita), i censori e gli altri magistrati, erano chia-mati a svolgere nelle controversie insorgentine, basando le lorodecisioni sulla fides», richiamando a tal proposito la formula ute re publica fideque sua videbitur 99. Pare chiaro però come, ac-

334 CAPITOLO QUINTO

92 V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita2 I cit. 74. Sul problema della «scrit-tura» di Sesto Elio (e di Druso, cfr. ibid. il riferimento a «due vecchi scrittori», mala terminologia potrebbe risentire, per così dire inconsapevolmente, di un uso tipicodella romanistica di quegli anni, per cui un’autorità della dottrina giuridica è co-munque uno «scrittore»), si v. supra 317 ss.

93 Così G. BROGGINI, ‘Iudex arbiterve’ cit. 221.94 Cfr. supra 306 s.95 Le due precedenti obiezioni, invero, non sono insormontabili: il caso non è

riportato nella completezza della sua struttura e non è descritto con tutta precisione(non sappiamo, ad esempio, come si atteggiasse il ‘rifiuto’ dell’acquirente, lo notaP. APATHY, ‘Mora accipiendi’ cit. 194, in relazione con l’utilizzazione nel testo delcostrutto per emptorem steterit, quo minus …), per ciò che riguarda emptor valecome mancipium accipiens (o non è impossibile pensare ad un ammodernamentolessicale, in uno dei ‘passaggi’ del testo).

96 G. BROGGINI, ‘Iudex arbiterve’ cit. 222.97 L’origine del contratto consensuale cit. 156 s., sulla tesi si v. supra 242 ss.98 In particolare Cic. de off. 3.16.66, Val. Max. 8.2.1.99 Per la quale cfr. Cic. Verr. 2.1.51.135. La più recente posizione dello stu-

dioso romano sugli arbitria honoraria si trova in Iudicia legitima, arbitria honora-ria e advocatio di Pro Quinto Roscio Comoedo, 5,15 nel sistema lessicale-giuridico di

canto alla debolezza dell’ipotesi ricostruttiva, l’appiglio termi-nologico in questione non sia un fondamento particolarmentesaldo.

Debole, invero, anche l’opinione 100 che ha visto nel casoconsiderato un arbitrato privato, costituito al di fuori di qual-siasi controllo giurisdizionale (oggi si direbbe «statale»). Mo-nier, il più autorevole rappresentante di questa tesi, partiva dalpresupposto che al tempo di Sesto Elio (e a quello di Druso)l’unico mezzo processuale a disposizione dei cittadini romani(per intentarsi lite tra di loro) fosse quello delle legis actiones 101.L’ipotesi è basata su una visione di tipo sociologico, che rap-presenta il mondo romano, ancora nel pieno del II secolo a. C.come una società piuttosto arcadica 102, e si appoggia, da una

UN TESTO CENTRALE: D. 19.1.38.1 (CELS. 8 DIG.) 335

Cicerone, in La giustizia tra i popoli nell’opera e nel pensiero di Cicerone. Atti delConvegno (Roma 1993) 143 ss., in cui Cancelli cerca di dimostrare (asserendo l’ine-sistenza di azioni pretorie diverse dalle azioni legittime) che la locuzione sarebbeutilizzata nelle fonti per indicare giudizi sull’onore di un soggetto nelle forme, in-somma, che altra (tenuta in nessun conto da Cancelli) storiografia ha individuatonella cd. sponsio in probrum (cfr. C. CASCIONE, ‘Tresviri capitales’ cit. 103 nt. 71).

100 Sostenuta da ultimo da R. MONIER, Manuel élémentaire4 II cit. 135.101 Ci troviamo, insomma, ancora di fronte a quello che si può chiamare il pre-

giudizio pre-ebuzio.102 Si legga R. MONIER, Manuel élémentaire4 II cit. 134 s.: «Dès le début du IIe

siècle av. J. C. des contrats de vent aux clauses minutieusement réglées étaient unusage courant dans les rapports entre agriculteurs romains, mais pendant une lon-gue période de temps, ils ne furent pas sanctionnés par une action en justice: ceci neprésentait pas de grands inconvénients, car les conventions de ce genre étaient con-clues entre personnes qui se conneisaient et qui devaient en tirer un avantage réci-proque: on prenait certaines garanties, quand le contrat ne devaiet pas être exécutésimultanément par les deux parties». Naturalmente giuste sia la notazione relativaalla minuziosità della regolamentazione contrattuale già per gli esordi del II secoloa. C., sia la diagnosi sulle garanzie in caso di esecuzione differita. Ciò che si devecontestare è che tra persone «che si conoscono» i motivi di litigare siano minori(fino a mancare, o – almeno – fino a far sussistere pacificamente una società senzaun mezzo coercitivo per dare ragione all’uno o all’altro). Singolare, ma forse inqualche modo agganciabile a quella di Raymond MONIER, sia pure rispetto ad essainvertita dal punto di vista cronologico (e dunque priva degli stessi referenti socio-logici) la prospettiva di K. VISKY, La prova per esperti cit. 45: «si può supporre cheSesto Elio pensasse ancora alla sentenza d’un arbiter pronunziata in un vero e pro-prio processo, ma più tardi per Druso l’arbitrium avrebbe potuto essere già tutt’al-tra cosa (e così, tre secoli dopo, anche per Celso), cioè la stima o il parere d’un bo-

parte sulla tradizione dei veteres 103, secondo la quale si sotto-poneva all’arbitrium boni viri la fissazione di alcuni punti rela-tivi alla conclusione definitiva della vendita, dall’altra al ripe-tuto riferirsi di Cicerone 104, a proposito dei doveri delle partinella compravendita, al comportamento del bonus vir. Ma sel’arbitrato privato prendeva forma solo in presenza di «pieno eassoluto accordo delle parti» 105, il venditore non aveva nessunapossibilità di costringere il compratore ad addivenire al giudi-zio se questi non avesse voluto (a nulla valendo il sia pur auto-revole parere giurisprudenziale). In un tale contesto, il giuristanon avrebbe potuto affermare che attraverso di esso il vendi-tore era in grado di recuperare quanto speso in cibaria (ovvero,dicendolo, avrebbe affermato una banalità). Le esigenze deltraffico commerciale, a Roma, avevano già condotto all’istitu-zionalizzazione (per casi particolare, come quello di specie) diun giudice nominato dall’autorità giusdicente 106.

336 CAPITOLO QUINTO

nus vir scelto e sollecitato al giudizio ‘alla buona’ dalle parti interessate. Ci inducea tale conclusione il fatto che – in circostanze simili, relativamente al vino vendutoin barile – anche Catone richiedeva il parere di un bonus vir» (lo studioso, di se-guito, cita infatti Cat. de agr. 148.1, 149.2).

103 Attestata in D. 18.1.7 pr. (Ulp. 28 ad Sab.). Haec venditio servi ‘si rationesdomini computasset arbitrio’ condicionalis est: condicionales autem venditiones tuncperficiuntur, cum impleta fuerit condicio. Sed utrum haec est venditionis condicio, siipse dominus putasset suo arbitrio, an vero si arbitrio viri boni? Nam si arbitriumdomini accipiamus, venditio nulla est, quemadmodum si quis ita vendiderit, sivoluerit, vel stipulanti sic spondeat ‘si voluero decem dabo’: neque enim debet inarbitrium rei conferri, an sit obstrictus. Placuit itaque veteribus magis in viri boniarbitrium id collatum videri quam in domini. Si igitur rationes potuit accipere necaccepit, vel accepit, fingit autem se non accepisse, impleta condicio emptionis est et exempto venditor conveniri potest.

104 Ovviamente nel III libro del de officiis. Sulle fonti, da ultimo, J. PLATSCHEK,Die ‘tabula tamquam plaga’ in Cic. ‘de off.’ 3.17.68, in Index 30 (2002) 205 ss.

105 Efficacemente in tal senso G. PUGLIESE, Il processo civile II/1 cit. 50, cheprosegue: «senza nessuna possibilità per il richiedente di (fare) esercitare pressionisull’avversario recalcitrante». Nella fattispecie prospettata da MONIER (Manuelélémentaire4 II cit. 134 s.) si richiede, in sostanza, una concorde volontà (almenonelle forme di una collaborazione) dell’avversario a risolvere la controversia insorta,ma visto che questa poteva essere terminata con il ritiro del mancipium sembra chetale ipotesi non possa reggere.

106 Così, in critica esplicita alla ricostruzione di Monier, si v. soprattuttoG. BROGGINI, ‘Iudex arbiterve’ cit. 222.

Una breve osservazione è dovuta, a questo punto, alla di-zione servare indemnitatem 107. Indemnitas è la «Schadloshal-tung» 108, il restare non turbato dagli effetti di un danno. Cor-risponde dunque al punto di partenza negoziale che non deveessere turbato, altrimenti significa che in qualche modo unaparte ha rotto il rapporto di fides sul quale lo scambio si inne-sta. Significativo l’uso del verbo servare 109: dà il senso, mi pare,

UN TESTO CENTRALE: D. 19.1.38.1 (CELS. 8 DIG.) 337

107 Ricordo come fosse a proposito del lemma indemnitas che BESELER siespresse per la classicità del testo in questione: Beiträge II cit. 114; cfr. F. DE MAR-TINO, La giurisdizione cit. 107 nt. 3 (che nota come il termine fosse «appuntato»dallo studioso tedesco).

108 Cfr., in questo senso, H. HEUMANN, E. SECKEL, Handlexikon11 cit. 259,s.v. «Indemnis», all’interno di tale voce si v. la sezione espressamente dedicata a «In-demnitas». Seguendo M. TALAMANCA, s.v. «Vendita (dir. rom.)» cit. 437 s., si puòschematizzare come segue la sistemazione generale operata dalla giurisprudenza ro-mana (si conta anche qualche intervento imperiale) relativamente al danno subitodal venditore per l’inadempimento del compratore (invero non approfondito nellefonti come l’inverso caso del danno prodotto al compratore per inadempimento delvenditore). Sul pretium, il venditore, dopo la mora, può chiedere solo quelle usurae,che comunque gli spettavano dopo la traditio (D. 18.6.20 [Hermog. 2 iur. ep.]: solole usurae post traditionem sono, infatti, ricordate in D. 19.1.13.20 [Ulp. 32 ad ed.];d’altra parte gli interessi non si possono aggravare, nemmeno convenzionalmente,oltre il limite delle usurae centesimae: Vat. Frag. 11 [Pap. 3 resp.], D. 19.1.13.26[Ulp. 32 ad ed.]). Con riguardo agli obblighi accessori ed alle pattuizioni aggiunte,l’interesse del venditore che egredisce la penale può essere fatto valere con l’actiovenditi, nel concorso tra questa e l’actio ex stipulatu basata su stipulatio poenae (cosìin D. 19.1.29 [Iul. 3 ad Urs. Fer.]); un semplice quanti interest è valutato da C.4.44.14 (Diocl. et Max., a. 294) nel caso in inadempimento di un pactum adiectumda parte del compratore. La problematica si fa più consistente (anche al livello delladocumentazione in nostro possesso) nel caso in cui il debitore abbia conseguito undanno in seguito alla mora del compratore, e qui – naturalmente – si inquadra la so-luzione dei veteres, che «riconoscevano un’indemnitas»; una interessante «precisa-zione di principio su quanto il venditore possa conseguire» si ha in D. 18.6.1.3: sequesti, nonostante il (colpevole) ritardo del compratore che non ritira la merce, de-cide di non avvalersi della possibilità di effundere vinum (sul punto si v. anche su-pra in nt. 21), deve essere risarcito nei limiti in cui lo abbia danneggiato tenere oc-cupati i vasi, non potendoli utilizzare ad altri fini (dunque la valutazione del dannodeve tener conto della mercede che si sarebbe potuta ottenere locandoli, ovvero diquella che si è dovuta pagare per la conduzione degli stessi; in tal caso sono tenutepresenti le condizioni soggettive dell’attore, a limitazione della richiesta del risarci-mento).

109 Si v. ancora H. HEUMANN, E. SECKEL, Handlexikon11 cit. 537, s.v. «Ser-vare», i cui significati sono resi, nelle varie sfumature con: «bewahren»; «unverletzt,

del «mantenere», del «conservare» ad una delle due posizioni,che evidentemente corre il rischio di vedersi ingiustamente di-minuita, il livello di parità accettato nel momento in cui alie-nante ed acquirente hanno congiuntamente deliberato sulloscambio. Mi sembra coerente con questa visione il fatto che,come pare 110, la decisione presa da Sesto Elio, replicata daDruso, infine recepita da Celso (e, non dimentichiamolo, an-che da Giustiniano nei suoi Digesta, naturalmente in condi-zioni completamente mutate), sia fondata su motivi nei qualinon può mancare (anche se non esplicitato) il richiamo allabona fides (e poi anche ad una iustitia che non può essere solo«corrispondenza a diritto» 111). Per Ferrini 112 il servare indem-nitatem è funzione dell’arbitrium 113. Secondo il romanista ita-liano, la notizia non si può revocare in dubbio: essa dimostre-rebbe un «arbitrium empti venditi già riconosciuto e svolto einformato a incipienti considerazioni di buona fede»; ne de-duce, inoltre, che «quindi» si può ben «ritenere che il ricono-scimento datasse almeno già da qualche tempo». Lo studiosofa poi un’affermazione che – mi pare – ha condotto a frainten-dimenti: «che tali incipienti considerazioni della buona fedepotessero informare il giudizio fin dal tempo delle legis actio-nes (specialmente nell’ultimo periodo, quando accanto alla so-lenne contestatio litis già erasi introdotta l’istruzione scritta delmagistrato al giudice) non mi pare facilmente da negare». Fer-rini è cauto e spinge ad una sorta di inversione dell’onere dellaprova storiografica: rispetto alla sua illazione, chi voglia ne-garla deve superare le difficoltà che sono, per lui, palesi. Non

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unverehrt, aufrecht erhalten»; «beachten», «beobachten»; «vorbehalten»; «ersetzt»,«erstatten bekommen», «zurückerhalten», «das Seine bekommen», «erlangen».

110 Cfr. supra 317 ss.111 Si v. supra 314 nt. 28, la critica a G. DONATUTI, ‘Iustus’, ‘iuste’, ‘iustitia’ cit.

375 nt. 1 [=Studi di diritto romano I cit. 35 nt. 1].112 Sull’origine del contratto di vendita [=Opere III cit. 63 s.].113 Si v. già O. KARLOWA, Der römische Civilprozess zur Zeit del Legisactionen

(Berlin 1872) 132 s., e C. FERRINI Sull’origine del contratto di vendita [=Opere IIIcit. 63 s.], contro E. I. BEKKER, Die Aktionen I cit. 314, che intende sottintesa unaesplicita stipulazione pro cibariis.

credo – come sostiene Broggini 114 – che De Martino 115 non ab-bia compreso la prospettiva di Ferrini: credo piuttosto chel’abbia consapevolmente forzata, riconducendo alle legis actio-nes quanto lo studioso pavese aveva dato per certo nel sistemaformulare, ma solo ipotizzandolo per quello precedente. Co-munque non mi pare possa esservi il dubbio sul fatto che

UN TESTO CENTRALE: D. 19.1.38.1 (CELS. 8 DIG.) 339

114 ‘Iudex arbiterve’ cit. 222 s. nt. 14. Peraltro Broggini mi sembra errare nelnon attribuire a Ferrini l’idea della vigenza delle considerazioni di buona fede nellelegis actiones (o meglio in una fase avanzata di tale esperienza processuale), soste-nendo la diversità della dizione ferriniana «fin dal tempo delle legis actiones» daquella «nel sistema delle legis actiones», e attribuendo allo studioso l’idea (giusta,ma ripetizione piuttosto banale, invero, dopo quanto Ferrini stesso aveva scritto aproposito di D. 19.1.38.1) che in quel tempo si valutasse la buona fede, ma nei giu-dizi formulari; ciò fa tagliando (ad arte, ma forse il tutto non è voluto consapevol-mente) dal discorso di Ferrini il periodo relativo all’istruzione scritta data al giudicedal magistrato, che mostra proprio il fatto che stesse parlando del «sistema» delle«azioni di legge», sia pure in un periodo tardo, sia pure in un periodo in cui iniziavaa darsi tutela al di fuori del sistema stesso.

115 La giurisdizione cit. 106 s. Invero la posizione di De Martino è più artico-lata di quanto non sembri seguendo Broggini (anche se, forse, espressa in modo nontroppo chiaro), il quale – mi pare – sintetizza troppo. Per comprenderla a fondo,non bisogna limitarsi alla discussione di D. 19.1.38.1 (che pure appare allo studiosonapoletano un testo «fondamentale», naturalmente nella prospettiva della dottrinaavversata, cfr. l’incipit del § 7 a p. 106), ma si deve osservare da vicino il ragiona-mento relativo alle fonti del de agri cultura di Catone (cfr. La giurisdizione cit. 104ss., in merito ai noti cap. 144, 145, 149), dalla cui critica De Martino parte (anchequi, in relazione a tali passi, c’è la menzione dell’essere «fondamentali», insieme conil frammento celsino, cfr. p. 104, ma la ripetizione dell’aggettivo solo a proposito diquest’ultimo testo fa chiara, mi sembra, la considerazione dell’autore). È in questasede che De Martino sviluppa il problema della «inerenza» della valutazione deldanno nei giudizi di buona fede, in cui non si prevede l’inserimento di una clausolaespressa dalla terminologia comparabile con quella catoniana. Il discorso è espor-tabile (ed implicitamente esportato) nel conseguente rilievo a proposito di D.19.1.38.1, dove, grazie all’intervento giurisprudenziale, si sviluppa una soluzioneprocessuale che appare diversa dall’actio venditi. Tutto ciò collegato, come appareesplicitamente, con una ricezione dell’ipotesi di Bekker (e dunque di clausole inse-rite nelle leges venditionum che conducono all’arbitrium boni viri), che gli fanno«dubitare» del carattere di buona fede che il testo «sembra» presupporre. Adducepoi (p. 106 s.) anche l’opinione di A. BECHMANN, Der Kauf I cit. 637 s., secondo cuiin tali e consimili rapporti si sarebbe potuta determinare una prassi tralatizia rela-tiva al riconoscimento di clausole sulla mora accipiendi, senza che la bona fides in-cidesse sulla valutazione processuale del comportamento delle parti.

– come scriveva già Pietro De Francisci 116 – non sussisteva nes-suna ragione che potesse giustificare il diniego ai cittadini daparte del magistrato giusdicente di procedimenti «più larghi emeno formalistici» che erano ammessi per gli stranieri 117. Ciò inlinea con il fatto che, a proposito di D. 19.1.38.1 (attribuitonella sostanza a Sesto Elio 118), De Francisci parla di «procedi-mento equitativo» 119. L’idea è oltretutto ampiamente giustifi-cabile, se si valuta che in una società come quella romana dalpunto di vista giuridico il cittadino appare costantemente e ge-neralmente privilegiato rispetto allo straniero. Senza inverotroppo approfondire il contesto, ma con una certa sicurezza,

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116 Storia II/12 cit. 275 s.117 P. DE FRANCISCI, Storia II/12 cit. 285, fa l’esempio del pretore che ammette

nel processo interdittale la sostituzione del procedimento per formulam arbitrariama quello della sponsio.

118 Messo in stretto collegamento con Cat. agr. 149.5, 149.6, 144.6-7, 145.9, v.P. DE FRANCISCI, Storia II/12 cit. 206 e nt. 32 a p. 218.

119 E scrive: «non è possibile ammettere che il diritto romano sia giunto sino alsecondo secolo a. C. senza che una tutela processuale pratica e semplice fosse ac-cordata ai contratti consensuali, quali, oltre la compravendita, la locazione, il man-dato, la società, istituti che i Romani fanno risalire al ius gentium e che quindihanno probabilmente ottenuto il loro primo riconoscimento nei processi peregrini,ma che ben presto devono essere stati trasportati anche nel commercio quotidianodei cittadini. Anzi, poiché già in epoca abbastanza antica questi contratti ci ap-paiono recetti nel sistema del ius civile come contratti di buona fede e poiché non èrimasta alcuna traccia di editti corrispondenti, dobbiamo supporre che quei negozii,anche conclusi fra cives, abbiano ottenuto dal pretore la tutela giudiziaria in epocatanto risalente, da spiegare il loro trapasso antico nel ius civile grazie alla loro tra-sformazione in istituti consuetudinari riconosciuti ed elaborati dalla giurispru-denza»: Storia II/1 cit. 206; nella nota richiamata ad locum (33 a p. 218), lo studiosorichiama come illuminante la posizione di L. MITTEIS, Römisches Privatrecht I cit.50 (il quale rileva che le stesse riflessioni sono imposte anche dalla storia dell’azionedi dote), e abiura completamente alle conclusioni del suo lavoro giovanile su ‘Iudi-cia bonae fidei’, editti e ‘formulae in factum’, in St. Sen. 24 (1907) 3 ss., in cui avevatratto conclusioni invero opposte dal fatto che per i più antichi iudicia di buonafede non si incontra traccia di editti né di formule concepite in factum. Non ha nes-sun dubbio sul valore del passo come testimonianza della compravendita consen-suale e della sua conseguente protezione civilistica (a quel che pare già per l’età diSesto Elio) C. A. MASCHI, Il diritto romano I cit. 587. Per la considerazione delcaso come attestazione di actio venditi si v. anche A. WATSON, The Law of Obliga-tions cit. 70, 93 (ove riferimento al quidquid ob eam rem dare facere oportet ex fidebona, e citazione contestuale di D. 19.1.13.22 [Ulp. 32 ad ed.]), per l’antichità del-

von Lübtow 120 riconobbe nel passo la testimonianza di un ar-bitrium da svolgersi secondo la legis actio per arbitri postula-tionem, con l’avvertenza che – naturalmente – essa all’epoca diCelso già da tempo era stata sostituita dall’actio venditi (e dun-que era prospettabile un iudex più che un arbiter). La posi-zione appare originale in relazione a quanto sappiamo di que-sto modus agendi, che (in quanto speciale) sarebbe stato previ-sto esclusivamente nei casi legislativamente contemplati. Perquanto sappiamo dalle fonti: il credito da stipulazione, l’actiofamiliae erciscundae e l’actio communi dividundo. Con mag-

UN TESTO CENTRALE: D. 19.1.38.1 (CELS. 8 DIG.) 341

l’esistenza «of consensual and bonae fidei emptio venditio» sulla base di Cato deagr. 146, 147, 148 e di D. 19.1.38.1, si v. anche ID., Consensual Societas betweenRomans and the Introduction of the Formulae, in RIDA. 3a s. 9 (1962) 435 nt. 13[=Legal Origins and Legal Change cit. 179 nt. 13]. Contrario alla configurabilitàdell’actio venditi (anche se smussa la sua posizione con un «forse») è invece B.BIONDI, ‘Iudicia bonae fidei’ I cit. 145 s., che utilizza in tal modo la fonte (soprat-tutto in contrasto con D. 19.1.13.22 [Ulp. 32 ad ed.], cfr. supra) per avvalorare la suaipotesi secondo la quale le spese (anche necessarie) fatte dal venditore sulla cosa nonancora tràdita al compratore in età classica esorbitavano «del tutto» dalla responsa-bilità contrattuale «per quanto basata sulla bona fides», potendovi essere attratte«solo in connessione e come effetto di una responsabilità derivante da contratto»,come nel caso, appunto, della mora accipiendi, ipotizzando un’interpretazione giu-risprudenziale dell’attività del venditore nell’ambito dell’actio negotiorum gesto-rum. P. FREZZA, Le garanzie delle obbligazioni. Corso di diritto romano II. Garan-zie reali (Padova 1963) 353, sostiene: «è stato giustamente osservato [il riferimentoè a U. VON LÜBTOW, Catos leges cit. 417 s.] che l’età di Catone che è anche quelladi Sesto Elio Peto Cato (cos. 198 a. C.) conosce la protezione processuale degli ar-bitria per le pretese nascenti dai contratti consensuali», il quale (nt. 3) seguendoun’osservazione di E. RABEL, Die Verfügungsbeschränkungen des Verpfänders be-sonders in den Papyri 92 s. nt. 1 [da p. 92] secondo la quale i pegni dei contrattiagrari catoniani sarebbero stati delle garanzie per il creditore, la precisa «nel sensoche la soddisfazione deve seguire all’accertamento giudiziale della responsabilità delvenditore». Sembra invertire il retto rapporto cronologico tra l’opera di Sesto Elioed il de agri cultura catoniano A. CARCATERRA, Intorno ai bonae fidei iudicia (Na-poli 1964) 102, quando afferma: «Catone, infatti, scriveva … e ancora ai tempi diSesto Elio, in materia di vendita, usava ricorrersi all’arbitro (D. 19.1.38.1)» (a menodi non voler interpretare come segue: «e, ancora, ai tempi …»).

120 Catos leges cit. 419: «das arbitrium, auf das hier verwiesen wird, ist nichtdas eines privaten Schiedsrichters, sondern das des Arbiters der legis actio per arbi-tri postulationem ...»; il riferimento allo «Schiedsrichter» è fatto (credo) in criticaall’opinione di Monier (v. il rinvio a L. MITTEIS, Römisches Privatrecht I cit. 48, innt. 236).

giore approfondimento (ed anche con un tentativo di superarel’ostacolo della specialità del modus agendi), la tesi è stata svi-luppata da Scherillo 121, in quelli che purtroppo sono stati i suoiultimi lavori. Lo studioso utilizzò il testo come prova della de-rivazione del processo formulare dalla legis actio per iudicis ar-bitrive postulationem, che secondo lui era attestata nel passocelsino, ponendolo in comparazione con un frammento delcommentario edittale di Ulpiano 122, nel quale la citazione diLabeone e Trebazio assicura per certo la vigenza dell’actiovenditi con la intentio incentrata sul dare facere oportere ex fidebona 123. La comparazione tra i passi è opportuna perché essi sioccupano dello stesso «problema di fondo», e cioè «se il ven-

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121 ‘Legis actio per iudicis arbitrive postulationem’ cit. spec. 313 ss.; cfr. ancheID., La ‘legis actio per iudicis arbitrive postulationem’ e le origini del processo for-mulare, in Iura 20 (1969) 30 ss.

122 D. 19.1.13.22 (32 ad ed.). Praeterea ex vendito agendo consequetur etiamsumptus, qui facti sunt in re distracta, ut puta si quid in aedificia distracta erogatumest: scribit enim Labeo et Trebatius esse ex vendito hoc nomine actionem. Idem et siin aegri servi curationem impensum est ante traditionem aut si quid in disciplinasquas verisimile erat etiam emptorem velle impendi. Hoc amplius Labeo ait et si quidin funus mortui servi impensum sit, ex vendito consequi oportere, si modo sine culpavenditoris mortem obierit. Il testo non è esente da mende, v. ad esempio TH.MOMMSEN, ed. maior I cit. 550 nt. 1 ad h. l.: in disciplinas, quae (?); G. SCHERILLO,‘Legis actio per iudicis arbitrive postulationem’ cit. 313 nt. 28, non esclude che tuttol’inciso aut in disciplinas-velle impendi sia insiticio, considerandolo «forse più unglossema che una interpolazione»; cfr. anche Index Interpolationum I cit. 346 s. adh. l. La comparazione tra i due frammenti non è nuova: ne rilevava la singolarità, adesempio, già B. BIONDI, ‘Iudicia bonae fidei’ I cit. 145.

123 Lo stesso SCHERILLO, ‘Legis actio per iudicis arbitrive postulationem’ cit.314 s., afferma, con tono autoironico «il che invero non è una grande scoperta, scri-vendo egli [scil. Labeone] dopo la lex Iulia iudiciorum privatorum», e precisando innt. 38 a p. 315: «o almeno – non essendoci nota la cronologia degli scritti di La-beone, e quindi dei suoi commentari edittali, dove egli con ogni probabilità si oc-cupava della questione – era suo contemporaneo. La lex Iulia iudiciorum privato-rum segna il termine ante quem per l’introduzione dell’actio venditi di buona fede,che è certamente anteriore (forse non di poco) alla lex Iulia». Un tentativo di data-zione (ma forse bisognerebbe pensare, pur tenendo presenti tutti le difficoltà com-positive di un testo scritto nel periodo in questione, ad un work in progress, stabi-lizzatosi solo con la fine dell’attività scientifica dell’autore) non si rinviene nella piùrecente letteratura sul tema, si cfr. M. BRETONE, Labeone e l’editto, in SeminariosComplutenses 5 (1993) 19 ss.

ditore possa farsi rimborsare, e con qual mezzo, dal compra-tore le spese sostenute per la conservazione della cosa vendutaprima del suo trasferimento» 124. I due testi risolvono afferma-tivamente la questione, ma – secondo lo studioso – servendosidi mezzi «tutt’affatto diversi». Se, infatti, nel frammento di Ul-piano-Labeone è testualmente ricordata l’azione ex vendito(civile, con formula in ius concepta e di buona fede ed intentioincerta), per mezzo della quale il venditore può ottenere, in-sieme con il prezzo, anche tutto ciò che era conforme allabuona fede 125 (e dunque le spese da lui sostenute sulla cosa), il«non meglio specificato» arbitrium che rimonta a Sesto Elionon corrisponderebbe a tale actio. La spiegazione, però, nonregge: essa si sostanzia nell’illazione che l’antico giurista si sa-rebbe occupato del solo ius civile 126 e non dunque di un mezzoprocessuale sviluppatosi nell’ambito della giurisdizione pre-toria. Da ciò Scherillo fa discendere che l’arbitrium dovesseessere un mezzo di tutela civile e, sostanzialmente per esclu-sione 127, la legis actio per iudicis arbitrive postulationem, atti-vata attraverso l’«espediente» della sponsio praeiudicialis. Aquesto punto, lo studioso propone il testo della sponsio: si ho-minem Stichum tibi venditi (sic) atque per te steterit quo minusis homo tibi mancipio detur, quidquid pro cibariis impendi,mihi dari spondes? spondeo. A mio parere, si pongono due or-

UN TESTO CENTRALE: D. 19.1.38.1 (CELS. 8 DIG.) 343

124 G. SCHERILLO, ‘Legis actio per iudicis arbitrive postulationem’ cit. 314, conla notazione della maggiore ricchezza casistica del passo ulpianeo.

125 Si può rinviare, per comodità, solo a D. 19.1.13.19-20 (Ulp. 32 ad ed.). Exvendito actio venditori competit ad ea consequenda, quae ei ab emptore praestarioportet. 20. Veniunt autem in hoc iudicium infra scripta. In primis pretium, quantires venit. Item usurae pretii post diem traditionis: nam cum re emptor fruatur,aequissimum est eum usuras pretii pendere.

126 Contra, ampiamente e convincentemente, D. MANTOVANI, Gli esordi cit.100 s.

127 G. SCHERILLO, ‘Legis actio per iudicis arbitrive postulationem’ cit. 317: siesclude la legis actio per condictionem «perché all’epoca di Sesto Elio, ancora nonesisteva», le due legis actiones esecutive per chiari motivi, la legis actio sacramento inrem «perché qui non si versa in tema di actio in rem», quella in personam «per la suatroppa macchinosità».

dini di problemi 128: il primo relativo alla menzione d’una avve-nuta venditio, il secondo collegato con la natura stessa dellasponsio. Cominciamo con il primo: viene menzionata una ven-ditio; naturalmente si può pensare ad un linguaggio generico,per indicare il trasferimento, ma allo stesso tempo si presup-pone – stando al tenore della sponsio, nel luogo in cui si fa ri-ferimento che per responsabilità dell’acquirente: … tibi manci-pio detur … – che la mancipazione dello schiavo non sia ancoraavvenuta. Allora da cosa è costituito il rapporto? Da un’emptiovenditio consensuale senza alcuna tutela 129? A che servirebbeun tale meccanismo, che mi pare spostare il fatto ad uno stadiopregiuridico? Poi – punto secondo – è accettabile la posizionedi un compratore onesto, che volesse contestare l’avvenuta‘venditio’ (il si iniziale della sponsio), ma come fare con un ac-quirente disonesto che avesse negato il presupposto o si fosseaddirittura sottratto alla sponsio (lo si faceva costringere dalpretore?). Inutile invocare la mancipazione ed i suoi testimoni,se, come si è appena visto, questa non si era ancora svolta 130.

Raffinata nell’ambito di una considerazione di uno svi-luppo autonomo della procedura per formulas la ipotesi di Ma-rio Talamanca. Iudicia honoraria basati sull’imperium del pre-tore urbano si sarebbero sviluppati, prima dell’istituzione dellacarica del pretore peregrino, nella cd. iurisdictio peregrina del-

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128 A parte quello, semplice, del termine venditi: si tratta con tutta evidenza diun errore di stampa per vendidi.

129 Naturalmente in questo caso potrebbe tornare utile la nota tesi di A. MAG-DELAIN, Le consensualisme cit.; sul punto (assolutamente non ricordato da Sche-rillo, né tanto meno, per quel che mi pare, da lui condiviso), si v. supra 205 ss.

130 Contro la possibilità che dal tenore del testo in D. 19.1.38.1 si potesse con-figurare come rimedio processuale la legis actio per iudicis arbitrive postulationem siv. già L. MITTEIS, Römisches Privatrecht I cit. 48 nt. 21 e cfr. soprattutto 48 s. nt. 11,ove lo studioso ragiona come di seguito: se vi fosse stata una valutazione dellabuona fede (che pare richiesta dal passo in questione) nell’azione di legge per iudi-cis arbitrive postulationem, Quinto Mucio non avrebbe mai affermato, nel notopasso del de officiis (3.17.70) summam vim esse … in omnibus iis arbitriis in quibusadderetur ex fide bona (cfr. anche top. 17.66), riferendosi (come pare) ai soli arbitriaformulari (ma il punto non è certo).

l’unico magistrato giusdicente dopo le cd. leggi Licinie Sestie 131.Con facilità questi giudizi si sarebbero trasportati nella giuri-sdizione del nuovo pretore e poi per così dire ritrasportati inquella del pretore urbano. Alla iurisdictio di quest’ultimo risa-lirebbe l’arbitrium tramandato nel suggerimento di Sesto Elio.Il dubbio sulla formula costituirebbe un’alternativa: formula infactum o arbitrium bonae fidei. La prima soluzione è priva diqualsiasi aggancio nelle fonti con riferimento ai cd. contratticonsensuali, mentre la seconda appare – forse – maggiormenteprobabile.

Secondo Emilio Betti 132 è chiaro che l’espressione presentenel frammento celsino rimanda ad un iudicium «di strutturaformolare», e «se non al iudicium bonae fidei in ius conceptumdell’actio venditi, certo almeno al iudicium in factum concep-tum che ne fu il predecessore storico» 133. La trascrizione pre-cisa del pensiero del romanista italiano ha un senso: dalle sueparole traspare chiaramente la certezza dello stretto collega-mento con l’actio venditi in quanto rimedio collegato con ilcontratto consensuale, e solo con difficoltà, ma tenendo fermala natura di iudicium (dal punto di vista della struttura stessadell’arbitrium, come si è visto) e l’incardinamento nel processoformulare, ammette una certa differenza solo essendo quasicostretto («almeno») ad ipotizzare un iudicium in factum con-ceptum come precedente storico del iudicium in ius conceptum.Qui però sorge un problema ben noto alla scienza romanistica,e cioè l’assoluta mancanza nelle fonti in nostro possesso circa

UN TESTO CENTRALE: D. 19.1.38.1 (CELS. 8 DIG.) 345

131 M. TALAMANCA, Costruzione giuridica cit. 20. Per il riferimento ad unavera e propria «legislazione» di fronte alla notizia nelle fonti della mera promulga-tio delle proposte plebee, si v. F. CÀSSOLA, L. LABRUNA, Linee di una storia delleistituzioni repubblicane3 cit. spec. 100.

132 Istituzioni I2 cit. 276 nt. 2 [da p. 275]; ID., Su la formola del processo civileromano, in Filangieri 38/5 (1914) 712; nello stesso senso L. MITTEIS, Römisches Pri-vatrecht I cit. 48; H. F. JOLOWICZ, Historical introduction 225 n. 33.

133 Così testualmente E. BETTI, Istituzioni I2 cit. 276 nt. 2 [da p. 275] (per ul-teriori citazioni dello studioso, si v. la nota che precede); cfr. anche Istituzioni II 195s. nt. 25, ove Betti delinea la sua interpretazione dell’evoluzione storica della com-pravendita e della sua tutela processuale.

un giudizio basato sulla compravendita che non avesse una in-tentio «in ius concepta».

Giovanni Pugliese 134 mette in evidenza il collegamento deidue giuristi repubblicani (e dunque una visione del processomolto risalente) in particolare con la parola arbitrium (e certa-mente questo termine è stato centrale nelle valutazioni che lastoriografia ha prospettato in merito a D. 19.1.38.1, perchéconsente un’ipotesi sulla natura della tutela processuale delrapporto di fatto che emerge dal testo celsino 135). Guardandoalle origini del processo formulare in funzione di una sua «pre-sumibile» fase preebuzia 136, si può considerare il testo in rela-zione all’attività giurisdizionale del magistrato giusdicente 137.Ed infatti la tesi accolta dalla maggioranza degli studiosi 138 de-

346 CAPITOLO QUINTO

134 Il processo civile II/1 cit. 50.135 Sul significato di arbitrium nei giudizi senza clausola restitutoria cfr. E.

LEVY, Zur Lehre von den sog. ‘actiones arbitrariae’, in ZSS. 36 (1915) 11 s. [=Ge-sammelte Schriften I (Köln-Graz 1963) 330]. Sul rapporto tra la terminologia inquestione e i iudicia bonae fidei si v. anche, per un cenno, S. G. HUWERDAS, Bei-träge zur Lehre von den ‘actiones arbitrariae’ insbesondere von der ‘actio de eoquod certo loco dari oportet’ im klassischen römischen Recht (Leipzig 1932) 53 s.,con nt. 83 a p. 54 (sulla monografia, peraltro, si v. il giudizio di M. KASER, in ZSS.53 [1933] 543 ss.).

136 Il processo civile II/1 cit. 36 ss.; in sintesi: 47 ss.137 Si legga la valutazione – dall’angolo visuale del processo – che G. PUGLIESE,

Il processo civile II/1 cit. 51, dà dell’ipotesi di Arangio-Ruiz (cfr. supra 232 nt. 55),che prospetta il caso come attestazione di due stipulazioni reciproche: «basta direche, fondata o no, essa non intacca il valore del passo come indizio dello svolgi-mento di processi di tipo formulare già all’inizio del II sec. a. C., poiché l’actio in-certi ex stipulatu … si doveva anch’essa esperire mediante una formula».

138 Cfr. O. KARLOWA, Der römische Civilprozess cit. 132 ss. A. BECHMANN,Der Kauf I cit. 467 s., 539, 637 s.; M. VOIGT, Römische Rechtsgeschichte I (Leipzig-Stuttgart 1892) 653 nt. 36; C. FERRINI, Sull’origine del contratto di vendita [=OpereIII cit. 63 ss.]; H. KRÜGER, Zur Geschichte der Entstehung der ‘bonae fidei iudicia’,in ZSS. 11 (1890) 195; M. WLASSAK, s.v. «Arbitrium», in PWRE. II/1 (Stuttgart1895) 413; L. MITTEIS, Römisches Privatrecht I cit. 48, 52 nt. 30; O. LENEL, DerPrätor in der ‘legis actio’, in ZSS. 30 (1909) 353 [=Gesammelte Schriften III cit. 369];E. BETTI, La creazione del diritto nella ‘iurisdictio’ del pretore romano, in Studi inonore di G. Chiovenda (Padova 1927) 83 nt. 4 (cfr., in generale, ID., ‘Iurisdictiopraetoris’ e potere normativo, in Labeo 14 [1968] 7 ss.); E. LEVY, Zur Lehre von densog. ‘actiones arbitrariae’ cit. 12 [=Gesammelte Schriften I cit. 330]; M. KASER, s.v.«Mora» cit. 274; G. BROGGINI, ‘Iudex arbiterve’ cit. 221 ss.

scrive l’arbitrium tramandato da Celso come un iudicium ho-norarium, un vero e proprio giudizio discendente dall’applica-zione della iurisdictio, da svolgersi attraverso la richiesta di ungiudice privato al pretore urbano: attesterebbe dunque un’am-pliamento importante (sia pure svoltosi non linearmente) dellatutela dei rapporti tra cittadini che fa propria una serie di biso-gni rilevanti sul piano economico-sociale. Fondamento di talegiudizio sarebbe il rapporto sostanziale di scambio già ricono-scibile come compravendita consensuale obbligatoria.

Il problema sta nella riconoscibilità della bona fides nelletransazioni economiche, nel momento in cui sorge una contro-versia tra le parti. Un testo sicuramente rilevante (ancorché dinon semplice interpretazione) per la comprensione del rap-porto tra buona fede e accordo (obbligatorio) sul trasferi-mento della cosa è costituito da

Plaut. Most. 669 ss. TR. … De vicino hoc proxumo / tuosemit aedis filius. TH. Bonan fide? / TR. Siquidem tu argen-tum reddituru’s, tum bona: / si redditurus non es, non emitbona. / TH. Non in loco emit perbono? TR. Immo in op-tumo. / TH. Cupio hercle inspicere hasce aedis … 139

Lo squarcio plautino è certamente assai noto ai romanisti:servì, infatti, a Wolfgang Kunkel 140 per fondare la sua brillantetesi sulla funzione «creatrice» della fides nel diritto romano re-pubblicano 141. Bisogna considerare i versi nel contesto del rac-

UN TESTO CENTRALE: D. 19.1.38.1 (CELS. 8 DIG.) 347

139 Bisogna considerare i vv. 637 ss., cfr. FR. PRINGSHEIM, The Greek Law ofSale cit. 425 ss., il quale non può negare la possibilità che il contesto rappresentatodal comico sia, in questo caso, romano.

140 ‘Fides’ als schöpferisches Element cit. 1 ss.141 Lo studioso si basò – com’è noto – su un interessante pagina di O. LENEL,

Der Prätor in der ‘legis actio’ cit. 353 [=Gesammelte Schriften III cit. 369], cheval la pena di rileggere nel suo nucleo centrale: «Dagegen [punto di riferimentocontrario sono le pretese non legittime tutelate nel sistema delle legis actiones]können die Aktionen aus Kauf, Miete, Sozietät unmöglich hierher gehören: diesewichtigsten Verkehrsgeschäfte würde Gaius, wenn es für sie Legisaktionen gegebenhätte, bei der Aufzählung seiner Beispiele in IV 33 nimmermehr übergangen haben.Mann könnte sich für die Hypothese ihrer Klagbarkeit in Legisaktionenform

conto comico di Plauto 142. Per nascondergli le dissipazionicompiute dal figlio Filolache, lo schiavo Tranione vuol far cre-dere al padrone Teuropide che questi ha acquistato una casa 143.Il vecchio si rallegra e vuole vedere l’aedis 144. Lo schiavo va dalpadrone di questa e lo prega di lasciarla visitare al suo domi-nus, dicendogli che quest’ultimo ne vuole edificare una uguale.«Per meglio giustificare la faccenda al vecchio Teuropide» 145,lo schiavo gli parla del rimorso che, dopo la vendita, avrebbepreso il venditore, che vorrebbe tornare su i suoi passi. MaTeuropide, contento dell’affare, si oppone.

Isolata nell’interpretazione di D. 19.1.38.1, ma sicuramenteda prendere in considerazione (più per il senso complessivo,

348 CAPITOLO QUINTO

darauf berufen, daß ausweislich des Berichts des Celsus in D. (19,1) 38 § 1 schonSex. Aelius sich mit dem arbitrium venditi beschäftigt habe. Allein jene Aktionenhaben nur eine Bonae-fidei-Formel, und wir haben nicht die geringste Andeutungdafür, daß die Klausel ex fide bona schon in einer legis actio vorkam; die abwei-chende Fassung des alten Formulars der actio fiduciae, wo doch die Bezugnahmeauf die fides bona besonders nahegelegen hätte, spricht dagegen; und auch Cicerohat, wo immer er von den bonae fidei iudicia spricht, zweifellos überall formulae,nicht Legisaktionen im Auge: die dreimal [de off. 3.15.61, 3.17.70; top. 17.66] wie-derkehrende Wendung ‘iudicia (arbitria) in quibus additur (additum est) ex fidebona’ paßt nur auf formulae, nicht auf legis actiones. So ist es also gewiß keinZufall, daß die Aktionen aus Kauf, Miete, Sozietät bei Gai 4,33 nicht genannt sind.Das Aufkommen dieser bonae fidei iudicia braucht darum doch keineswegs zeitlichallzutief herabgerückt zu werden».

142 Sulla coppia adulescens-schiavo che sottrae il danaro del padre-dominusnella Mostellaria (in cui l’inganno è «triplicato») si v. M. BETTINI, Verso un’antro-pologia dell’intreccio e altri studi su Plauto (Urbino 1991) 60 s.

143 635-651 TH. Responde mihi: / Quid eost argento factum? TR. Salvomst. TH.Solvite / Vosmet igitur, si salvomst TR. Aedis filius / tuos emit. TH. Aedis? TR. Ae-dis. TH. Euge, Philolaches / patrissat: iam homo in mercatura vortitur. … TH. Benehercle factum. Quid, eas quanti destinat? / TR. Talentis magnis totidem, quot ego ettu sumus. / Sed arraboni has dedit quadraginta minas: / Hinc sumpsit quas ei dedi-mus. Satin intellegis? / Nam postquam haec aedes ita erant ut dixi tibi / continuostalias aedis mercatus sibi / TH. Bene hercle factum.

144 Inizia col chiedere l’allocazione della stessa (e il nome del venditore), e loschiavo già si sente perso: Most. 659-664. TH. Qua in regione istas aedis emit filius?/ TR. Ecce autem perii. Dicisne hoc quod te rogo? / Dicam: sed nomen dominiquaero quid siet. / TH. Age comminiscere ergo. TR. Quid ergo nunc agam, / nisi utin vicinum proxumum / eas emisse aedis huius dicam filium?

145 Così E. COSTA, Il diritto privato romano nelle commedie di Plauto cit. 370.

invero, che per il tentativo di restituzione di un ipotetico testoche possa risalire a Sesto Elio, e qui per il collegamento con iversi plautini), la posizione del giurista svedese Axel Häger-ström 146, che – con riferimento al periodo pre-ebuzio della te-stimonianza di Sesto Elio, riferita ad ambito processuale – ra-gionando in tema di mora del compratore da cui discende l’ob-bligo di risarcimento del danno, e concedendo che si potesseavere un arbitrium «quidquid dare facere oportet ex fide bona»,propone la seguente correzione del testo (con riferimento al-l’originale decisione del giurista repubblicano): «pro cibariis<damnatum> praestari oportet <ex fide bona>», mettendo inevidenza dunque da una parte il risultato processuale della re-sponsabilità per gli alimenti, dall’altra (cosa forse più impor-tante) la menzione della bona fides, che doveva essere ricordatanella formula che il pretore consegnava al giudice privato. Lostudioso, poi, mette in relazione il frammento celsino propriocon Plaut. Most. 669 s., in cui la «risposta» «die sich auf dieRedlichkeit im Kaufe bezieht, eine mögliche auf dem Prinzipebona fides ruhende Kaufübereinkunft vorausgesetzt» 147.

UN TESTO CENTRALE: D. 19.1.38.1 (CELS. 8 DIG.) 349

146 Die römische Obligationsbegriff I cit. 452 nt. 1 [da p. 446].147 Si cfr. anche quanto nello stesso contesto, immediatamente dopo la frase ri-

portata nel testo lo studioso svedese riferisce a Varr. de r. r. 2.2.6 (cit. sempre in nt.1, ma a p. 451): «also ist wahrscheinlich ex empto vendito damnare bei Varro … alsein Verurteilen wegen Treulosigkeit hinsichtlich einer Kaufübereinkunft, die ganzauf ‘fides bona’ ruht, zu fassen».

SOMMARIO: 1. L’enigma del ius gentium. – 2. Emptio venditio e permutatio. – 3. Ilvictoriatus di Volusio Meciano.

1. L’enigma del «ius gentium». – «Di prammatica», se-condo la felice dizione di Vincenzo Arangio-Ruiz 1, il rilievo,in ordine ai contratti consensuali tipici, della loro apparte-nenza al ius gentium 2. Ricorre, infatti, in contesti almeno inparte assimilabili 3, per l’emptio venditio, la locatio conductio ela societas; manca – dunque –, tra le quattro tipologie delleobligationes consensu contractae, un espresso collegamento delmandato 4 con il diritto delle genti. Considerate tutte insieme,e con altri contratti ad esse «simili», vanno a costituire quelle

CAPITOLO SESTO

IUS GENTIUM

1 La compravendita2 I cit. 90.2 Cfr., per tutti, M. KASER, Das römische Privatrecht2 I cit. 203; ID., ‘Ius gen-

tium’ (Köln-Weimar-Wien 1993) 142 ss.3 Mi riferisco ai passi relativi alla compravendita ed alla locazione, tratti dagli

esordi delle rispettive trattazioni nei commentari edittali di Paolo (v. più dettaglia-tamente infra in questo paragrafo); diverso il contesto gaiano, in cui probabilmenteil riferimento al ius gentium è dovuto all’intenzione di aprire una parentesi (di sto-ria giuridica) sull’antico consorzio, identificato come società di ius civile.

4 Lo nota, ad esempio, M. TALAMANCA, ‘Ius gentium’ da Adriano ai Severi, inLa codificazione del diritto dall’antico al moderno (Napoli 1998) 199 e nt. 25; mipare significativo che il mandatum (a differenza, ancora, di compravendita, loca-zione conduzione e società) non ricorra neppure nella serie ulpianea delle conven-tiones iuris gentium che transeunt in proprium nomen contractus (la fonte è tra-scritta nella nota seguente). Sul punto si v. anche M. KASER, ‘Ius gentium’ cit. 143ss., e D. NÖRR, ‘Mandatum’, ‘fides’, ‘amicitia’, in D. NÖRR, SH. NISHIMURA (Hrg.),‘Mandatum’ und Verwandtes (Berlin-Heidelberg 1993) 13 ss., con riconduzionedelle origini dell’istituto ai rapporti di amicitia tipicamente romani.

conventiones iuris gentium che danno vita, secondo la descri-zione ulpianea, a diritti azionabili 5 (a differenza dei semplicipatti che producono sotto il profilo processuale solo ecce-zioni). Per un’analisi del significato bisogna partire da

D. 18.1.1.2 (Paul. 33 ad ed.). Est autem emptio iuris gen-tium, et ideo consensu peragitur et inter absentes contrahipotest et per nuntium et per litteras.

La dichiarazione paolina ha una strutturazione interna chepuò apparire frutto di elaborazione dogmatica 6: vi è un inizialerichiamo alla natura della compera come appartenente al iusgentium, da cui il giurista fa discendere (attraverso l’uso diideo) delle conseguenze; prima fra tutte è che la emptio «sicompie» 7 consensu, poi viene la possibilità di contrarre tra as-senti (con la specificazione esemplificativa et per nuntium etper litteras). Il rapporto tra (mero) consenso e non necessitàdella presenza ai fini della formazione del contratto, in effetti,è uno dei punti centrali della dogmatica delle obligationes con-sensu contractae, basti il richiamo alle Institutiones gaiane(3.136), dove pure tra il consentire e l’assenza si costruisce unvincolo di possibilità 8, ma in tal caso innanzitutto organiz-

352 CAPITOLO SESTO

5 Il riferimento è – ovviamente – al notissimo testo in D. 2.14.7 pr.-1 (Ulp. 4 aded.). Iuris gentium conventiones quaedam actiones pariunt, quaedam exceptiones. 1.Quae pariunt actiones, in suo nomine non stant, sed transeunt in proprium nomencontractus: ut emptio venditio, locatio conductio, societas, commodatum, depositumet ceteri similes contractus.

6 Ma si v. infra 357 ss. Sul contesto nel quale il passo è inserito (che giustifical’autem di apertura), cfr. infra 374 ss.

7 Mi pare che nel verbo peragere utilizzato da Paolo si possa notare una certacircolarità, che rimedia alla sintesi significante tronca del negozio, in cui non simette in luce il lato della venditio.

8 Gai 3.136. Ideo autem istis modis consensu dicimus obligationes contrahi, quianeque verborum neque scripturae ulla proprietas desideratur, sed sufficit eos, qui ne-gotium gerunt, consensisse. Unde inter absentes quoque talia negotia contrahuntur,veluti per epistulam aut per internuntium, cum alioquin verborum obligatio interabsentes fieri non possit. Derivano dal testo gaiano, nel riferimento agli absentes, Ep.Gai 2.9.13, D. 44.7.2.1 (Gai. 3 inst.), I. 3.22.2; su questi passi ed i loro rapporti reci-proci si v. infra 446 ss.

zando il discorso sull’antitesi tra consenso e formalità obbli-gante (verbale o scrittoria). La connessione ius gentium - con-sensus sembra voler significare che i negozi nati nell’ambito diquel ius (e dunque, per contrasto, fuori del ius civile) hannocome caratteristica immediata e più propria la semplicità dellastruttura obbligatoria, che si forma attraverso il mero accordo.Il punto di vista di Paolo sarebbe storico, guardando alla com-pravendita consensuale come fenomeno derivante dal processodi formazione del ius gentium 9.

Pure attiene alla prospettiva dogmatica il noto riferimentoche nelle Istituzioni imperiali si trova alle tre sfere ordinamen-tali (diritto civile, espresso attraverso l’invero misterioso ri-chiamo alla legislazione decemvirale, diritto delle genti e natu-rale sostanzialmente equiparati), in cui viene trattato il pro-blema del passaggio della proprietà nell’emptio venditio infunzione del pagamento del prezzo:

I. 2.1.41. Sed si quidem ex causa donationis aut dotis autqualibet alia ex causa tradantur, sine dubio transferuntur:venditae vero et traditae non aliter emptori adquiruntur,quam si is venditori pretium solverit vel alio modo ei sati-sfecerit, veluti expromissore aut pignore dato. Quod cave-tur quidem etiam lege duodecim tabularum: tamen rectedicitur et iure gentium, id est iure naturali id effici …

Sono note le grandi difficoltà interpretative che il passogiustinianeo implica 10. Ciò che qui interessa in modo partico-

‘IUS GENTIUM’ 353

9 Così C. LONGO, Corso di diritto romano. Fatti giuridici … La compraven-dita (Milano 1937) 160, seguito, sul punto, da C. A. MASCHI, Il diritto romano I cit.583. Sempre di Paolo (ed ancora dall’esordio della trattazione sulla compravenditaconsensuale) un frammento in cui il ius gentium (insieme con la natura ed i morescivitatis) costituisce il limite alla circolazione dei beni attraverso la venditio: D.18.1.34.1 (33 ad ed.). Omnium rerum, quas quis habere vel possidere vel persequipotest, venditio recte fit: quas vero natura vel gentium ius vel mores civitatis com-mercio exuerunt, earum nulla venditio est. Sul passo, per tutti, M. KASER, ‘Ius gen-tium’ cit. 120 s. (con letteratura in nt. 492 a p. 120).

10 Per un primo inquadramento si v. M. KASER, Das römische Privatrecht2 Icit. 418 e ntt. 44-46; II cit. 279 nt. 43, 283 ntt. 81, 82; tra la letteratura specifica più

lare è il rapporto che nel testo viene costruito tra la prospettivacivilistica (che, com’è noto, viene fatta risalire alle Dodici ta-vole) ed il fatto che per l’acquisto all’emptor della res normal-mente si richieda il pagamento del prezzo (ovvero la dazionedi un’idonea garanzia, ovvero il sussistere acclarato del rap-porto di fides 11): «tuttavia» il passaggio della proprietà sullacosa sarebbe, allo stesso modo, riferibile al ius gentium, che inquesto contesto – con l’espressa eguaglianza al ius naturale –assume, appunto, naturalezza 12, perché il trasferimento giuri-dico viene reputato normale effetto della venditio et traditio.

L’altro testo in cui la compravendita (isolata rispetto ad al-tri istituti) è collegata con il ius gentium si trova nella digres-sione sui vizi del suo tempo, che Seneca inserisce nel I libro debeneficiis:

Sen. de ben. 1.9.5. Iam rapta spargere, sparsa fera et acriavaritia recolligere certant, nihil pensi habere, paupertatemalienam contemnere, suam quam ullum aliud vereri ma-lum, pacem iniuriis perturbare, inbecilliores vi ac metupremere. Nam provincias spoliari et nummarium tribunalaudita utrimque licitatione alteri addici non mirum, quo-niam, quae emeris, vendere gentium ius est.

Come si può facilmente notare, il passo non assume di-rettamente la prospettiva tecnico-giuridica 13, descrivendosi

354 CAPITOLO SESTO

recente si v. soprattutto M. MARRONE, Trasferimento della proprietà della cosa ven-duta e pagamento del prezzo, in Vendita e trasferimento della proprietà II (Milano1991) 479 ss., poi, con l’aggiunta di una postilla in AUPA. 42 (1992) 183 ss. [=Scrittigiuridici I (Palermo s.d., ma 2003) 437 ss.].

11 Che ricorre nel prosieguo del testo, con il richiamo al ruolo della fides emp-toris «seguita» dal venditore.

12 Altri testi in cui la compravendita viene riferita al ius gentium sono: D.19.2.1, che sarà esaminato subito infra nel testo, a proposito della locatio conductio,D. 1.1.5, I. 1.2.2, D. 48.22.15 pr., che verranno analizzati più sotto, in una prospet-tiva generale.

13 Sulle conoscenze giuridiche di Seneca si v. R. DÜLL, Seneca iurisconsultus, inANRW. II/15 cit. 364 ss., con la dura critica di M. TALAMANCA, Per la storia dellagiurisprudenza cit. 202 s. nt. 10 (ma l’affermazione dello studioso romano sull’im-proprietà del titolo mi pare smentita da Sen. de ben. 5.19.8).

– piuttosto, con tono moralistico – una certa circolarità delrapporto tra sottrarre beni altrui e dilapidare gli stessi. A finedi questo discorso, per Seneca il fatto della spoliazione delleprovince e di un tribunale che viene assegnato ad una delleparti (la terminologia delle vendite all’asta è utilizzata per si-gnificare la corruzione del giudice, vendutosi) si rappresenta,nel complessivo disfacimento sociale, come non particolar-mente significativo, quoniam, quae emeris, vendere gentiumius est. Il riferimento mi sembra essere oltre che alla compra-vendita come contratto (anche se la terminologia emere/ven-dere è in tal senso assolutamente appropriata), al commercio ingenerale, e cioè al disporre di quanto si è acquistato proprio alfine di alienarlo per ottenere un lucro. Interpretato in talmodo, il passo mi sembra ben inserito nel suo contesto 14, siaper quella circolarità cui si è fatto cenno, sia per il senso forte-mente venale che caratterizza la descrizione senechiana. Forseun collegamento con un testo giurisprudenziale può chiarire ilcenno di Seneca, e meglio inquadrarlo in quella visuale teoricadel ius gentium, di cui partecipano la compravendita e gli altricontratti cd. consensuali:

D. 44.7.25.1 (Ulp. l. s. reg.). … Ex contractu actio est, quo-tiens quis sui lucri causa cum aliquo contrahit, velutiemendo vendendo locando conducendo et ceteris simili-bus …

Il frammento ulpianeo, dedicato alla differenziazione delleactiones sotto il profilo genetico (e dunque alla contrapposi-zione ex contractu, ex facto, in factum sunt) mostra un sistemain cui la causa del contrarre è il lucrum 15. Il punto è di grandeimportanza, perché la stabilizzazione delle varie causae deirapporti che vengono assunti come negozi di ius civile giusti-

‘IUS GENTIUM’ 355

14 Si v. infra 372 ss.15 Cfr. O. BEHRENDS, Der ungleiche Tausch zwischen Glaukos und Diomedes

und die Kauf-Tausch-Kontroverse der römischen Rechtsschulen, in HistorischeAnthropologie 2 (2002) 247 s. (con nt. 12 a p. 248).

fica dal punto di vista giuridico quelli che nella realtà (senzaintervento di un qualche formalismo) sono atti materiali.Penso in primo luogo alla traditio, che (ad esempio) è ricono-sciuta dal punto di vista giuridico ed ha effetti precisi, se ac-compagnata da una iusta causa riconosciuta dall’ordinamento(quale può essere ed è la causa venditionis). Ecco perché, inquesta visuale, rispetto al prezzo, che come si è visto costitui-sce momento determinante del contratto (il riferimento princi-pale è qui sempre alla compravendita), questa tendenza giuri-sprudenziale ammette e giustifica il «naturale» (cioè disposto aquel lucrum che si è razionalizzato come causa dello scambioin un sistema giuridico-economico, direbbe Lauria, «patrimo-nializzato» 16) tentativo dell’un contraente di circumvenire sulprezzo l’altro 17. Non siamo lontani dalla riflessione cicero-niana sulla sordida arte della mercatura:

Cic. de off. 1.42.150. Sordidi etiam putandi, qui mercantura mercatoribus, quod statim vendant; nihil enim proficiant,

356 CAPITOLO SESTO

16 ‘Ius civile’ - ‘ius honorarium’, in Scritti in onore di C. Ferrini cit. 597 ss.[=Studi e ricordi cit. 382 ss.].

17 Si v. D. 4.4.16.4 (Ulp. 11 ad ed.). Idem Pomponius ait in pretio emptionis etvenditionis naturaliter licere contrahentibus se circumvenire (il richiamo a Pompo-nio si coordina con la citazione contenuta nel § 3 al XXVIII libro ad edictum delgiurista antoniniano v. E. STOLFI, Studi sui ‘libri ad edictum di Pomponio’ II cit. 497ss., con ampia bibliografia in nt. 72 a p. 498); il principio, proprio in comparazionecon la regolamentazione (ancora connotata dall’avverbio «naturaliter») della com-pravendita, è attestato anche per la locatio conductio in D. 19.2.22.3 (Paul. 34 aded.). Quemadmodum in emendo et vendendo naturaliter concessum est quod plurissit minoris emere, quod minoris sit pluris vendere et ita invicem se circumscribere, itain locationibus quoque et conductionibus iuris est; nella versione giustinianea fun-ziona con l’esplicitazione del limite del dolus, indicato nel frammento che immedia-tamente segue: D. 19.2.23 (Hermog. 2 iur. epit.). Et ideo praetextu minoris pensionis,locatione facta, si nullus dolus adversarii probari possit, rescindi locatio non potest.Sull’utilizzazione giurisprudenziale di circumvenire e del connesso circumscri-bere/circumscriptio, si v. A. WACKE, ‘Circumscribere’, gerechter Preis und die Artender List, in ZSS. 94 (1977) 184 ss., poi anche F. MUSUMECI, L’interpretazione del-l’editto sui minori di 25 anni secondo Ofilio e Labeone, in Nozione … Ricerche F.Gallo II cit. 49 s. e nt. 30 (con ampio ragguaglio bibliografico); cfr. ID., Editto suiminori di 25 anni e ‘ius controversum’ nell’età dei Severi, in ‘Iuris vincula’. Studi inonore di M. Talamanca VI (Napoli 2001) 36 ss.

nisi admodum mentiantur; nec vero est quicquam turpiusvanitate.

È facile trovare punti di contatto con il discorso di Seneca:la considerazione negativa di un «mercato» in cui si vende«immediatamente» (statim), in cui, dunque, non si profittasenza mentire «in grande misura» (admodum): è un mondolaico e mercantile 18, che ha come fulcro il perseguimento di in-teressi patrimoniali 19. La natura mercantile delle relazionipone tutti sullo stesso piano, è occasione di raggiri vicendevolie perciò tali comportamenti, seppure non corrispondenti aduna visione morale dei rapporti tra uomini, vengono conside-rati leciti.

Per quanto riguarda la locatio conductio è centrale, ancora,un passo proveniente dal commentario edittale di Paolo, nelquale è presente il richiamo all’emptio venditio, come istitutoche funziona allo stesso modo (si direbbe come generante dog-matico della regola che regge pure la locazione):

D. 19.2.1 (Paul. 34 ad ed.). Locatio et conductio cum natu-ralis sit et omnium gentium, non verbis, sed consensu con-trahitur, sicut emptio et venditio.

‘IUS GENTIUM’ 357

18 Il passo di Cicerone è da porre in comparazione con il prosieguo del trat-tato, in cui la critica si incentra contro la mercatura tenuis, che appunto funziona inquel modo sordido, mentre ne esiste un livello più alto (mercatura magna), «che sipuò lodare» iure optimo, da una parte perché particolarmente significativa per l’e-conomia ed il benessere generali, dall’altra (e soprattutto) perché svolta sine vani-tate e priva dunque di quell’attitudine alla scorrettezza commerciale, tanto da esserenaturalmente volta a trasformare il mercante («sazio del guadagno») in agricoltore,nella più degna condizione economica dell’uomo libero in Cic. de off. 1.42.151.Mercatura autem si tenuis est sordida putanda est; sin magna et copiosa multa un-dique apportans multisque sine vanitate inpertiens non est admodum vituperandaatque etiam si satiata quaestu vel contenta potius ut saepe ex alto in portum ex ipsose portu in agros possessionesque contulit videtur iure optimo posse laudari … Sultesto (ed il suo sostrato ideologico) si v. L. LABRUNA, Il diritto mercantile dei Ro-mani e l’espansionismo, in Le strade del potere cit. 127 [=‘Tradere’ ed altri studii cit.100 s.].

19 Cfr. E. STOLFI, Studi sui ‘libri ad edictum di Pomponio’ II cit. 501.

Si può notare come il punto di partenza sia diverso ri-spetto al frammento, pure paolino, in tema di emptio: il riferi-mento immediato è al fatto che l’istituto appaia «naturale» 20 e(come pare, in conseguenza) «di tutte le genti»; non vieneesplicitata, qui, la sfera del ius, preferendosi, per così dire, unaspecificazione di possesso. Su questo dato si innesta, come ef-fetto immediato, il fatto che la locazione «si contrae» consensu,non verbis (il paragone negativo, sia pure limitato, avvicinail passo paolino all’andamento didascalico già notato in Gai3.136 21). Dunque in tal caso – secondo il testo tràdito 22 – l’in-formalità del modo di costituire il rapporto appare discenderedall’appartenenza dell’istituto al ius gentium. Chiude, come siè appena detto, il richiamo analogico alla compravendita 23. Il

358 CAPITOLO SESTO

20 Nota la particolarità, e definisce «interessante» l’uso paolino di naturalisB. ALBANESE, Premesse allo studio del diritto privato romano (Palermo 1978) 138nt. 132; cfr. anche C. A. MASCHI, La concezione naturalistica del diritto e degli isti-tuti giuridici romani (Milano 1937) 128 ss. (e cfr. ID., Il diritto romano I cit. 584 s.);A. BURDESE, La nozione classica di ‘naturalis obligatio’ (Torino 1953) 17 s. (conespunzione del tratto cum-gentium), cfr. 150 nt. 26. Bisogna considerare l’opinionedi G. E. LONGO, Ricerche sull’‘obligatio naturalis’ (Milano 1962) spec. 39, 185 s.(con nt. 7 a p. 186): lo studioso comprende il frammento in questione tra quelli (v.la panoramica a p. 37 ss.) che in diritto giustinianeo rappresenterebbero come natu-rales una serie di obbligazioni, che, riconosciute dal ius gentium sulla base della na-turalis ratio, ricevono tutela processuale civilistica (dunque possiedono «coercibi-lità» diretta); in realtà qui è l’istituto ad essere individuato come «naturale» e nonl’obligatio, come la dottrina ha già sottolineato, cfr. G. LOMBARDI, Ricerche in temadi ‘ius gentium’ (Milano 1946) 252 ss., 255; ID., Sul concetto cit. 242; L. LABRUNA,‘Naturalis obligatio’, rec. a G. E. LONGO, o.u.c., in Labeo 10 (1964) 296 [=‘Tradere’ed altri studii cit. 138], e poi P. CORNIOLEY, ‘Naturalis obligatio’. Essai sur l’origineet l’évolution de la notion en droit romain (Genève 1964) 112 ss. (per escludere iltesto paolino dall’ambito di esplicazione dell’obligatio naturalis; sul punto si cfr.anche la rec. di L. LABRUNA, in Iura 16 [1965] 412 nt. 38=con il titolo ‘Naturadebere’, in ‘Tradere’ ed altri studii cit. 164 nt. 38).

21 Si v. supra 352.22 Diversa sarebbe l’interpretazione, se si accedesse alla lettura di H. SIBER,

‘Naturalis obligatio’ (Leipzig 1926) 2 nt. 2: Locatio et conductio [cum] naturalis [sit]<est> et omnium gentium <et> non verbis, sed consensu contrahitur, sicut emptio etvenditio; ricostruzione seguita da C. A. MASCHI, Il diritto romano I cit. 584 s.

23 Del resto, insieme con la emptio venditio, la locazione è rammentata con ri-ferimento al ius gentium anche in D. 1.1.5, I. 1.2.2, D. 48.22.15 pr. (sui quali v. in-fra), ed in D. 2.14.7 pr.-1 (Ulp. 4 ad ed.).

nesso di Paolo consenso-ius gentium (pur diversamente artico-lato) ha suscitato diverse reazioni in storiografia. Trattando in-sieme dei due testi paolini, Perozzi 24 riconobbe come genuinoil riferimento al ius gentium, sostenendo, però, l’alterazione«nella parte ove il carattere consensuale dell’obbligazione … èdedotto dal suo carattere di iuris gentium» 25. Nello stessosenso, sostanzialmente, la critica di Beseler 26. Scialoja 27 è in-vece conservativo, mostrando come i due testi possano essereconsiderati genuini. Secondo il maestro romano 28 sarebbe in-verosimile che i compilatori siano intervenuti sul testo «perdire una cosa che non aveva nessuna importanza giuridica» 29.

‘IUS GENTIUM’ 359

24 Istituzioni2 I cit. 97 nt. 1.25 Ancora più ampia, rispetto alla prospettazione di Perozzi, sarebbe l’altera-

zione secondo G. LOMBARDI, Sul concetto cit. 233 ss. Lombardi (che prende lemosse da P. KRÜGER, Geschichte der Quellen cit. 135 nt. 26) deduce dalla sua ricercache in Paolo si trovava la menzione del ius gentium nel quadro di una sistematicadicotomica in congiunzione con ius naturale: quest’ultimo sarebbe riferibile al«fondamento astratto della norma e dell’istituto», il primo all’«aspetto concreto delvigere ovunque» (p. 243). A chiusura di questa parte della sua ricerca, Lombardi sisofferma su quello che definisce concetto ‘tecnico’ (o ‘specifico’) di ius gentium, edi cui contesta l’esistenza, il complesso di norme e di istituti applicabili in Roma aRomani e peregrini. «Potrebbe accadere – scrive – che taluno ritenga genuina laqualifica iuris gentium data alla emptio-venditio e la qualifica naturalis et omniumgentium data alla locatio-conductio. Il problema non si sposta, perché anche in queitesti può vedersi indifferentemente un riflesso così del significato ‘specifico’ comedel significato ‘generico’ di ius gentium, per quanto al secondo significato farebbedecisamente propendere – se ritenuta anch’essa genuina – la qualifica naturalis dataalla locatio-conductio» (p. 244 s.).

26 Romanistische Studien, in TR. 8 (1928) 323: «Der Schluss ‘contractus iurisgentium, folglich Konsensualkontrakt’ ist falsch». Lo studioso tedesco, che stavasvolgendo una ricerca sulla naturalis obligatio, reputa (nei suoi modi sbrigativi: conl’aggiunta di un punto esclamativo) l’et ideo di D. 18.1.1.2 un chiaro indizio formaledi intervento compilatorio (non lo ricorda G. LOMBARDI, Sul concetto cit. 234,quando proprio su tale locuzione fonda la propria esegesi critica). «Troppo conser-vativo», secondo Beseler, sarebbe H. SIBER, ‘Naturalis obligatio’ cit. 2 nt. 2. La re-stituzione sembra avere tono gaiano: <Emtio et venditio, quia non verbis, sed con-sensu contrahitur,> [–] et inter –; conseguente la correzione di D. 19.2.1: – [cum –gentium,] –.

27 Compra-Vendita cit. 137 ss.28 Cfr. G. LOMBARDI, Sul concetto cit. 239 nt. 1.29 Secondo G. LOMBARDI, Sul concetto cit. 240, Scialoja non era del tutto con-

vinto di quanto sosteneva, tanto da sentire «il dovere di formulare una seconda so-

Proprio in tema di locazione possediamo un ulteriore te-sto, importante ai fini dell’inquadramento dei contratti con-sensuali nell’ambito del ius gentium; esso ci è pervenuto al difuori della compilazione giustinianea 30:

Ulp. ex libr. inst. frg. Vindobon. 1.2 31. Locatum quoque etconductum ius gentium induxit. Nam ex quo coepimuspossessiones proprias et res habere, et locandi ius nanctisumus et conducendi res alienas: et is, qui conduxit, iuregentium tenetur ad mercedem exsolvendam.

La prospettiva è quella generale della ‘introduzione’ nel-l’ordinamento romano della locatio conductio. Nel passo ulpia-neo precede immediatamente (1.1=D. 43.26.1) il riferimento alprecarium, di cui pure è detto ex iure gentium descendit 32 (ilche spiega il quoque dell’esordio relativo alla locazione). Ilpunto di vista di Ulpiano non è però, come ci si potrebbeaspettare, quello dell’espansionismo commerciale, in collega-mento con gentes straniere, ma piuttosto quello del riconosci-mento primitivo della giuridicità, in cui gli esseri umani (pro-filo naturalistico) divengono soggetti (profilo giuridico) che«cominciano» ad «avere» possessiones proprias et res, a conse-guire il diritto di locare, e (corrispettivamente) anche di condu-

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luzione, per il caso quella tentata svalutazione non arrivasse a persuadere»: «Ancheammesso quanto diceva il Krüger, non è necessario attribuire la cosa ai compilatori:non è detto che i giureconsulti romani, sovratutto trattandosi di materia d’indoleteorica, non potessero avere delle teorie alquanto sbagliate» (così in Compra-Ven-dita cit. 149 nt. 1).

30 Per la tradizione delle Institutiones di Ulpiano (il codice papiraceo vienneseche contiene il passo in questione è del V-VI secolo) FR. SCHULZ, Storia della giu-risprudenza romana cit. 304 s.; F. WIEACKER, Textstufen cit. 206 ss., spec. 213 ss.

31 Si può leggere in FIRA. II 2 305. Sul testo, oltre alle critiche di S. SOLAZZI,Glosse a Gaio. Prima puntata, in Studi in onore di S. Riccobono I (Palermo 1936)cit. 93 nt. 66 [=Scritti VI cit. 173 nt. 66], e di F. DE MARTINO, Variazioni postclassi-che in tema di ‘ius gentium’, in AUBA 6 (1945) 133 s. [=Diritto economia e societàII (Napoli 1996) 79 s.], si v. le osservazioni di P. CORNIOLEY, ‘Naturalis obligatio’cit. 112 ss. e di M. KASER, ‘Oportere’ und ‘ius civile’, in ZSS. 83 (1966) 464.

32 Si noti l’attenzione ulpianea per questa prospettiva: 2.2. Depositi quoque uti-litatem ius gentium prodidit ut quis custodiendam rem suam …

cere cose che si riconoscono come alienae. L’effetto è in corri-spondenza con il concetto generale ulpianeo di diritto dellegenti 33 (ed è detto, appunto, espressamente iure gentium), nelmomento in cui si prescrive che colui che ebbe la cosa in con-duzione è tenuto (rispetto ad un precetto ordinamentale) a pa-gare la merces corrispettiva. Il ius gentium funziona – in questaprospettiva – allo stesso tempo su due livelli: come «mensch-geschichtlicher Ursprung der Institutionen» e come fonte del-l’obbligo contrattuale 34.

Troppo generica per deduzioni che vadano oltre la meraelencazione di istituti riconducibili al ius gentium (con men-zione di emptio venditio e locatio conductio, tra quelli che quimaggiormente interessano), appare la testimonianza di Mar-ciano (non sappiamo con sicurezza da quale libro escerpita 35),restituita solo attraverso la versione greca dei Basilici, per unalacuna della littera Florentina:

D. 48.22.15 pr. (=B. 60.54.15). ÔO periorizovmenoı th;n poli-teivan ajpolluvei, ouj mh;n th;n ejleuqerivan: kai; twn me;n ij-dikwn novmwn thı politeivaı stereitai, toiı ejqnikoiı de; kev-crhtai. ajgoravzei ga;r kai; pwlei, misqoi kai; misqoutai kai;katallavssei kai; davneion pravttei kai; ta; loipa; ta; para-plhvsia ... 36

‘IUS GENTIUM’ 361

33 Ovviamente mi riferisco al rapporto tra ius naturale e ius gentium in D.1.1.1.2-4 (Ulp. 1 inst.) … Privatum ius tripertitum est: collectum etenim est ex natu-ralibus praeceptis aut gentium aut civilibus. 3. Ius naturale est, quod natura omniaanimalia docuit … 4. Ius gentium est, quo gentes humaane utuntur. Quod a natu-rali recedere facile intellegere licet, quia illud omnibus animalibus, hoc solis homini-bus inter se commune sit.

34 In tal senso F. WIEACKER, Textstufen cit. 215.35 Dovrebbe trattarsi dell’opera de iudiciis publicis secondo O. LENEL, Palin-

genesia I cit. 679, Marcianus 214 (ma v. ibid. nt. 4, per un dubbio sull’attribuzioneal II libro); cfr. L. DE GIOVANNI, Giuristi severiani. Elio Marciano (Napoli 1994) 50nt. 103. Ma – in connessione con D. 48.19.17 (Marcian. 1 inst.), cfr. O. LENEL, o.u.c.I 653, Marcianus 49 – potrebbe ipotizzarsi un collegamento con l’opera istituzionale;sul punto cfr. M. TALAMANCA, ‘Ius gentium’ da Adriano ai Severi cit. 199 s. nt. 29.

36 Per comodità del lettore, si riporta la retroversione latina di TH. MOMMSEN,in ed. maior II cit. 861: Deportatus civitatem amittit, libertatem retinet et iure civilicaret, gentium vero utitur. Itaque emit vendit, locat conducit, permutat, fenus exer-

In D. 48.19.17.1 (1 inst.) Marciano aveva illustrato lo statusdell’apolide, cioè il soggetto sine (ulla in una condizione dipluralità di ordinamenti) civitate 37; tra gli ajpovlideı si enume-rano (oltre ai dati perpetuo in opus publicum), i deportati in in-sulam: essi «non hanno» tutto ciò che appartiene al diritto ci-vile, hanno, invece, accesso al ius gentium. Il giurista severianotratta poi, in particolare, dello stato giuridico del deportato nelpasso tramandato dai Basilici, affermando che se perde la civi-tas, gli è conservata la libertas. Ne discende che non può piùutilizzare quella parte dell’ordinamento strettamente riservataai cittadini, mentre può, invece, porre in essere tutti quei rap-porti che partecipano della sfera del ius gentium. Segue unaesemplificazione che si apre con l’emptio venditio ed enumera,di seguito locazione conduzione, permuta, esercizio del pre-stito, «ed altre cose simili» 38.

Prima di poter tirare le somme di questa analisi (confron-tandola con le principali voci storiografiche sul tema), occorreguardare alla societas. Oltre alle prospettazioni di tipo gene-rale, in cui il contratto associativo è considerato in serie checontengono anche la compravendita e la locazione conduzio-ne 39, rileva soprattutto un famoso passo delle Istituzioni gaiane:

362 CAPITOLO SESTO

cet aliaque similia … Forse il grande studioso è stato influenzato da una visione di-cotomica ius civile/ius gentium, ma il testo greco ha un plurale che va tradotto iuracivilia/(iura) gentium, che forse meglio si rapporta all’elencazione che segue la di-chiarazione generale (qualche dubbio sulla traduzione, ma dell’intero testo, e senzaspecificazioni, è espresso da M. TALAMANCA, ‘Ius gentium’ da Adriano ai Severi cit.199 nt. 29).

37 Item quidam ajpovlideı sunt, hoc est sine civitate: ut sunt in opus publicumperpetuo dati et in insulam deportati, ut ea quidem, quae iuris civilis sunt, non ha-beant, quae vero iuris gentium sunt, habeant. Sulla condizione giuridica dei servipoenae dati in metallum, di cui al principium del testo marcianeo, si v. ora F. SA-LERNO, ‘Ad metalla’. Aspetti giuridici del lavoro in miniera (Napoli 2003) spec. 47,83, 92 s. (per un cenno al § 1, con riguardo alla perdita della civitas, v. anche 89 s.con nt. 119).

38 Sulle origini della deportatio e sulla capacità giuridica del deportatus si v., direcente, B. SANTALUCIA, La situazione patrimoniale dei ‘deportati’, in ‘Iuris vin-cula’. Studi in onore di M. Talamanca VII (Napoli 2001) 175 ss., che però non sisofferma sul testo di Elio Marciano.

39 D. 2.14.7 pr.-1 (Ulp. 4 ad ed.); I. 1.2.2, su cui infra 367, 370.

Gai 3.154. … 40 Sed haec quidem societas, de qua loquimur,id est quae nudo consensu contrahitur, iuris gentium est;itaque inter omnes homines naturali ratione consistit.

Come si può immediatamente vedere, il collegamento pro-posto dal giurista antoniniano si apre ad una prospettiva di-versa rispetto a quella di Paolo: punto di partenza è la specifi-cazione secondo cui la societas in questione, «cioè quella che sicontrae per nudo consenso» è di diritto delle genti: la dichia-razione iuris gentium est segue il sed che apre il periodo, instretta connessione logica e sintattica con l’avversativa; da ciòGaio induce (itaque …) la «consistenza» per ragione naturaleinter omnes homines. Il riferimento al consensus, in tal caso siriduce ad una specificazione di «questa» società (per evidentecontrapposto a «quella altra» che il giurista sta per rammentarein un ordito storico-dogmatico di cui si è già fatto cenno 41).Non a caso esso è contenuto in una parentetica (che si lega al-l’altra: de qua loquimur), eliminabile dal punto di vista sintat-tico come logico. Il contesto è notissimo ed è, naturalmente, daporre in immediato parallelo con il prosieguo che spiega l’av-versativa iniziale, e che possediamo, come si sa, attraverso latradizione pergamenacea egiziana 42:

Gai 3.154a. Est autem aliud genus societatis proprium ci-vium Romanorum …

Dunque la menzione del ius gentium come diritto diffusotra tutti gli uomini serve al giurista per rappresentare la sua di-

‘IUS GENTIUM’ 363

40 Il giurista si sta occupando, nel luogo in questione, della solutio della società,in particolare dello scioglimento a causa di bonorum venditio a carico di uno deisoci: Item si cuius ex sociis bona publice aut privatim venierint, solvitur societas …

41 Cfr. supra 215 s., 220 ss.42 Sulla necessità del parallelo si v. M. TALAMANCA, ‘Ius gentium’ da Adriano

ai Severi cit. 201 nt. 30 [da p. 200], cfr. anche infra in questo paragrafo. Del restoproprio il punto di partenza della solutio verisimilmente serve da discrimine: Gaioscrive «ma questa» società (sottointeso, con riferimento a quanto appena affermatosulla venditio bonorum) dunque non quella di cui si accinge a parlare (consorzio fa-miliare e parafamiliare), che dunque – si direbbe – in tal caso «non si scioglie».

gressione storiografica sul consortium ercto non cito, il cui re-ferente ordinamentale è la proprietas dei cittadini romani (edunque, in collegamento con la definizione contenuta nellaprima lezione istituzionale 43, il ius civile). In questa sede è so-prattutto importante, a mio parere, la chiusa del passo delGaio veronese, con la spiegazione (introdotta da itaque) dicosa significhi, per il giurista (almeno in questo luogo) la locu-zione ius gentium: è chiara la prospettiva teorica di riferimentoad un diritto naturale umano 44, che si fonda sulla ratio natura-lis, la quale determina la «consistenza» presso tutte le comu-nità e tutti gli esseri umani (dunque, mi pare, anche al di làdell’«ecumene» che va oltre la teoria, per avere una connota-zione storica, autorevolmente assunta di recente come sfera divigenza del ius gentium romano di età classica 45).

Secondo me, dunque, qui la prospettiva del giurista non ètanto quella della incomunicabilità agli stranieri dell’anticoistituto del ius civile (la prospettiva cd. «normativa»), quantopiuttosto la dimostrazione della ‘naturalità’ del mettere in-sieme le forze di più soggetti ai fini di un’intrapresa econo-mica. Significativa (forse), sia pur nella poca costanza d’uso daparte di Gaio, l’utilizzazione del genus, che scompone i due ri-ferimenti. Dal punto di vista della «valenza dogmatica» Tala-manca rileva una diversa articolazione in Gaio ed in Paolo:mentre nel primo (anche se «più implicitamente che in manierapalese») il carattere iuris gentium della società sembrerebbe«ricavato» dalla natura consensuale del contratto (ma lo stu-

364 CAPITOLO SESTO

43 Gai 1.1. … populus ipse sibi ius constituit, id ipsius proprium est vocaturqueius civile, quasi ius proprium civitatis.

44 La qualificazione si riferisce alla nota prospettiva ulpianea che si rinviene inD. 1.1.1.3 (1 inst.); ma in realtà, dal punto di vista etologico, si potrebbe ben parlareanche di società animali (la coniunctio di Ulpiano, come si sa, è limitata al «matri-monio»), riscontrando specie i cui membri si riuniscono in modo finalizzato, manon stabile, ad esempio, solo per cacciare (non rilevano, invece, gli «aggregati dianimali», rispetto ai quali la funzione associativa è svolta dall’uomo a fini econo-mici; sulla rilevanza anche giuridica di tali unità, si v. ora P. P. ONIDA, Studi sullacondizione degli animali cit. 369 ss.).

45 Così M. TALAMANCA, ‘Ius gentium’ da Adriano ai Severi cit. spec. 193.

dioso a ragione rileva l’importanza che nel contesto gaiano hal’immediato parallelo con il consorzio familiare, negozio delius civile per così dire «incomunicabile» ai non cittadini), inPaolo la prospettiva sarebbe in qualche modo opposta: nei dueluoghi del commentario edittale si leggerebbe nettamente «ladeduzione del carattere consensuale di questi contratti dallacircostanza che essi siano iuris gentium». C’è – forse – qual-cosa in più, se si riflette sul fatto che nella scrittura originale diGaio poteva molto probabilmente trovarsi la definizione delconsortium familiare quale societas naturalis (oltre che, allostesso tempo, legitima), come risulta dal frammento pergame-naceo di PSI. XI 1182 46. La qualificazione dell’antichissimoistituto sta ad indicare da una parte, come pare, una connes-sione con il ius civile nel senso di Gai 1.1, come proprium dellacivitas romana: in particolare con una lex publica (probabil-mente le Dodici tavole) 47, dall’altra la corrispondenza con de-terminate esigenze del gruppo familiare, sociali, economiche,politico-giuridiche (penso soprattutto all’iscrizione nelle classidi censo), che vengono a costituire una «realtà delle cose», una«natura», secondo la quale il consorzio è uno sbocco per certiversi spontaneo della successione al pater familias defunto 48;esso si determina senza un atto artificiale che lo ponga in es-sere 49. Ciò mostra (mi pare) come lo spostamento, da partedella giurisprudenza, dalla giustapposizione teorica tra gli am-biti ordinamentali, in cui si rinviene una razionalità delle con-trapposizioni tra ius civile, ius naturale e ius gentium, si affie-

‘IUS GENTIUM’ 365

46 Gai 3.154a … inter suos heredes quaedam erat legitima simul et naturalis so-cietas …; cfr. V. DE VILLA, Studi sull’ ‘obligatio naturalis’ (Sassari 1938) 24 s.; G. E.LONGO, Ricerche sull’‘obligatio naturalis’ cit. 186 nt. 6 [da p. 185]; M. KASER, ‘Iusgentium’ cit. 88 s. (con bibliografia in ntt. 355, 357 a p. 88).

47 Per la connessione tra ius civile e ius legitimum (ma per lo spettro delle so-luzioni, in connessione con il testo gaiano, si v. almeno M. BRETONE, ‘Consortium’e ‘communio’, in Labeo 6 [1960] 174 nt. 22 [=Mnemeion S. Solazzi cit. 99 nt. 22]).

48 Si v. P. CORNIOLEY, ‘Naturalis obligatio’ cit. 64, con le osservazioni diL. LABRUNA, rec. cit. 409 [=Tradere’ ed altri studii cit. 158].

49 Cfr. M. KASER, ‘Ius gentium’ cit. spec. 88 s., con la rec. di A. BURDESE, inSDHI. 59 (1993) 367.

volisca nel momento in cui si va ad analizzare il singolo feno-meno giuridico, del quale in una proiezione genetica ovverofunzionale si può rinvenire facilmente naturalezza ed uso dif-fuso «presso tutte le genti» (ed è chiaro che in tale tipo di com-parazioni scema l’attenzione nei confronti di tutte le sfaccetta-ture dogmatiche proprie di ciascun istituto, compiendosi piut-tosto una valutazione al livello della funzione economica).Ecco perché la storiografia (anche quella più avvertita) trovanon poche difficoltà nell’individuazione dei referenti del sin-tagma ius gentium con riguardo ai contratti consensuali. L’e-same di Mario Talamanca 50 parte dalla valutazione dell’appli-cabilità del criterio sociologico, cioè se ius gentium nei luoghiqui in esame possa valere come ‘diffusione di questi tipi nego-ziali negli ordinamenti dell’ecumene’. Lo studioso «lascia daparte» la locatio conductio 51 ed anche la societas 52, per concen-trarsi sul tópos della letteratura romanistica, secondo il qualel’emptio venditio consensuale (e ad effetti meramente obbliga-tori) non avrebbe alcuna analogia nelle altre esperienze giuridi-che del mondo antico 53. «… Almeno ad una prima apparenza,la conseguenza più importante per l’attribuzione di questicontratti al ius gentium viene trovata nel loro carattere consen-suale, nella circostanza cioè che si tratta di fattispecie in cui ilmomento centrale è quello della volontà, e dell’autonomia,delle parti …» 54. Talamanca giunge a tale conclusione 55, soste-nendo che a fronte delle due valenze tipiche che (a suo giudi-zio) nelle fonti assumerebbe il sintagma ius gentium, e cioè,

366 CAPITOLO SESTO

50 ‘Ius gentium’ da Adriano ai Severi cit. 201 nt. 30 [da p. 200].51 Con una notazione interessante: «di cui forse sarebbe eccessivo postulare

nella cultura giuridica greca il puntuale carattere di contratto reale».52 Talamanca mette in rilievo il «basso profilo» della disciplina dei negozi com-

parabili alla societas romana nelle esperienze giuridiche greche.53 Per il tópos si v. supra 224 ss.54 Segue un parallelo con il deposito: «il che per i contratti qui considerati ap-

pare ancora più ovvio che per il deposito (obligatio re contracta nel recenzioreschema contrattuale gaiano), in quanto trattasi di obligationes consensu contractae»(M. TALAMANCA, ‘Ius gentium’ da Adriano ai Severi cit. 200).

55 Connettendo così i quattro contratti consensuali tipici con il deposito e leconventiones iuris gentium, v. ‘Ius gentium’ da Adriano ai Severi cit. spec. 196 ss.

quella sociologica e quella normativa 56, con riferimento ai con-tratti consensuali tipizzati, la categoria non ricorrerebbe «conprecisione» né l’uno né l’altro di questi due significati 57. E ciòin collegamento con la problematica delle conventiones iurisgentium (secondo la classificazione ulpianea, il testo che rilevaè ovviamente D. 2.14.7 pr.-1 [4 ad ed.]), nelle quali pure il fon-damento della diffusione ecumenica andrebbe ricercato nelconsenso in quanto mancanza di formalità 58.

D. 1.1.5 (Hermog. 1 iur. ep.). Ex hoc iure gentium intro-ducta bella, discretae gentes, regna condita, dominia di-stincta, agris termini positi, aedificia collocata, commer-cium, emptiones venditiones, locationes conductiones,obligationes institutae: exceptis quibusdam quae iure civiliintroductae sunt 59.

‘IUS GENTIUM’ 367

56 Secondo l’illustre studioso nel primo senso la locuzione designerebbe quellaparte dell’ordinamento romano che si fonda su regole ed usi comuni a tutti i popoliche i Romani riconoscono come civili, costituendosi come opposto del ius civile in-teso come quella parte dell’ordinamento romano che, almeno in via di principio, siriscontra solo presso i Romani. Nel secondo indicherebbe quella parte dell’ordina-mento (più precisamente: del ius civile come contrapposto del ius honorarium) cheè applicabile anche agli stranieri, nei rapporti tra di loro ovvero in quelli in cui sianocoinvolti anche cittadini romani. Per quanto precede si v. M. TALAMANCA, rec. aM. KASER, Ius gentium cit., in Iura 44 (1993) 274 ss.; ID., ‘Ius gentium’ da Adrianoai Severi cit. spec. 193; cfr. ID., in Lineamenti di storia 2 cit. 153 ss., 511 ss.

57 Cfr. ‘Ius gentium’ da Adriano ai Severi cit. 196.58 In D. 2.14.5 (Ulp. 4 ad ed.) il ius gentium è causa di una parte delle conven-

zioni private (conventionum autem tres sunt species. Aut enim ex publica causa fiuntaut ex privata: privata aut legitima aut iuris gentium), tra di loro si trovano anchele legitimae (che però trovano enunciazione giurisprudenziale solo in un passo diPaolo, D. 2.1.4.6 [3 ad ed.], nel quale, invero la lex appare strumento rafforzativodel pactum sottostante, capace di conferirgli azionabilità, più che momento rile-vante rispetto alla struttura – consensuale o formale – della fattispecie: legitima con-ventio est quae lege aliqua confirmatur. Et ideo interdum ex pacto actio nascitur veltollitur, quotiens lege vel senatus consulto adiuvatur; cfr. M. TALAMANCA, ‘Ius gen-tium’ da Adriano ai Severi cit. 198).

59 Sul testo si v. ora, ampiamente, E. DOVERE, De iure cit. 77 ss. (con oppor-tuni rinvii bibliografici), che ipotizza una nozione «epiclassica» di ius gentium rap-presentata nel frammento ermogenianeo: si tratta della riproposizione di un temaclassico, ma al di fuori di una precisa derivazione dal lavorio della giurisprudenzadel principato.

Il frammento di Ermogeniano (ampiamente sospettatonella stagione interpolazionistica dei nostri studi 60) descrive unius gentium «proteiforme» 61, la sua attitudine produttiva èslargata, il concetto comprendente molto astratto 62. Esso è, in-fatti, capace di generare interi settori del giuridico: da una pro-spettiva internazionale-pubblicistica sono «introdotte» leguerre (deve intendersi: le modalità del diritto di guerra), divisii popoli, fondati i regni; da un punto di vista che si potrebbequalificare «proprietario», il diritto delle genti serve a distin-guere i dominia, a fissare confini ai campi, a porre gli edifici;poi si apre la visuale del commercium: sono istituite (cioècreate come istituzioni giuridiche 63) le compravendite, le loca-zioni conduzioni, le obbligazioni (con esclusione di quelle in-trodotte dal diritto civile). Naturalmente è questa ultima parteche qui viene in questione. Due i dati che costituiscono i ter-mini della materia obbligatoria: da una parte risulta un collega-

368 CAPITOLO SESTO

60 Per un inquadramento generale dei problemi e delle soluzioni fino al 1935(non risultano addizioni nel Supplementum I cit. ad h. l.), si può rinviare all’IndexInterpolationum I cit. 2. Le critiche più significative risalivano a S. PEROZZI, Istitu-zioni 2 I cit. 98; ID., Le obbligazioni romane cit. 354 nt. (soprattutto con riguardoalla disomogeneità dell’elencazione ed alla presenza dell’«inutile» eccezione finale,giustinianea), quando G. LOMBARDI, Sul concetto cit. 29, 261 s., 324 nt. 1, 380 (cfr.anche ID., Ricerche cit. 227 nt. 4, 250 s.), da una prospettiva più generale, rifiutavala concettualizzazione del ius gentium come fonte del diritto (peraltro allo stessotempo riferita anche ad avvenimenti storici e sociali), perché la giurisprudenza ro-mana classica l’avrebbe inquadrato costantemente come semplice pars iuris. Sulla ri-feribilità ad Ermogeniano del passo sembrano ora condivisibili le riflessioni di E.DOVERE, De iure cit. 82 s., 94 ss.; e si v. già C. CASTELLO, Il pensiero giustinianeosull’origine degli ‘status hominum’, in Studi E. Albertario II (Milano 1953) 215 s.;W. WALDSTEIN, Gewohnheitsrecht und Juristenrecht cit. 114 [=Saggi sul diritto nonscritto cit. 182].

61 L’immagine è di A. GUARINO, Il proteiforme ‘ius gentium’, in PDR. IV cit.190 ss. (il saggio riprende due recensioni: a G. LOMBARDI, Sul concetto cit., ID., Ri-cerche cit., in Arch. Giur. 136 [1949] 122 ss., e a M. KASER, ‘Ius gentium’ cit., con iltitolo Il vecchio e il mare, in Labeo 40 [1994] 87 ss.).

62 Si cfr. M. KASER, ‘Mores maiorum’ cit. 74 nt. 3; TH. MAYER-MALY, Das ‘iusgentium’ bei den späteren Klassikern, in Iura 34 (1983) 93; E. DOVERE, De iure cit.98 s. Sull’incertezza dei confini del ius gentium nella riflessione dei giuristi romanicfr. M. TALAMANCA, ‘Ius gentium’ da Adriano ai Severi cit. 206.

63 In tal senso (richiamando proprio il passo di Ermogeniano) O. BEHRENDS,‘Iusta causa traditionis’ cit. 44 nt. 23.

mento rilevante con il commercium 64 (del quale l’aspetto eco-nomico mi pare venire in considerazione prima delle sue spe-cificazioni giuridiche 65), dall’altra la genesi delle tipologie ob-bligatorie prese in considerazione è esplicitamente posta al difuori del ius civile (nella successiva generalizzazione 66 delleobligationes institutae), oltre che attraverso l’esplicita ricondu-zione al ius gentium, anche per mezzo dell’eccezione finale(exceptis quibusdam quae iure civili introductae sunt) che fa ri-ferimento ad altre specie obbligatorie, che evidentemente, nellaprospettazione del giurista, rinvengono la propria giuridicitàesclusivamente nell’ordinamento proprio della civitas. Dun-que, per Ermogeniano, compravendite e locazioni conduzioni(enumerate in una serie tipicamente ordinata 67, questo è undato sistematico – peraltro minimo, perché altrove meglio at-testato – che emerge dal testo) non possono condursi (sotto ilprofilo dell’introduzione nell’ordinamento) nel diritto civile: èil risultato della considerazione del ius gentium come corri-spondente ad una ratio iuris 68. Nessuna conseguenza di tipo

‘IUS GENTIUM’ 369

64 Si noti come il commercium non riceva, nel discorso di Ermogeniano, unverbo che mostri o spieghi il suo inserimento nell’ordinamento, andando a parteci-pare dell’instituere, invero proprio delle tipologie obbligatorie che lo seguono(come sembra attestare l’uso del participio femminile plurale).

65 Sul punto si cfr. F. GALLO, ‘Negotiatio’ e mutamenti giuridici nel mondo ro-mano, in Imprenditorialità e diritto nell’esperienza storica. Atti Convegno Societàitaliana di Storia del diritto (Erice 1988) (Palermo 1992) 133 nt. 3 [=in Opuscula cit.823 nt. 4], che (comparando il testo di Ermogeniano con D. 50.14.3 [Ulp. 8 de omn.trib.], in cui pure i commerci sono coordinati con le emptiones venditiones) nell’usodi commercium legge una specialità «commerciale» rispetto allo scambio comune,seguito da E. DOVERE, De iure cit. 89 nt. 36. Cfr. ora anche TH. MAYER-MALY,‘Commercium’ cit. spec. 5 s.

66 Non mi pare decisiva l’integrazione <et aliae> prima di obligationes, propo-sta da C. A. MASCHI, Istituti accessibili agli stranieri e ‘ius gentium’, in Ius 13 (1962)366 e nt. 5. Secondo O. BEHRENDS, ‘Iusta causa traditionis’ cit. 44 nt. 23, obligatio-nes nel testo di Ermogeniano significherebbe le «obbligazioni unilaterali del pre-stito e del contratto letterale ‘a re in personam’» (cfr. Gai 3.132), messe in contrap-posizione con i «contratti formati da due obbligazioni» (rappresentati con il ri-chiamo a compravendita e locazione conduzione).

67 Cfr. infra 464 ss.68 O. BEHRENDS, Der ungleiche Tausch cit. 246 nt. 3, lo fa corrispondere al si-

stema «schizzato» da Cicerone in part. or. 37.129-131.

strettamente dogmatico viene tratta dalla genesi degli istitutiobbligatori nell’ambito del ius gentium.

In stretto collegamento con il frammento di Ermogenianoè da porre un testo delle Institutiones imperiali, in cui l’angolovisuale è ristretto al profilo contrattuale, ma permangono i se-gni dell’allargamento (ad esempio, l’uso di innumerabiles achiusura della serie) 69:

I. 1.2.2. … ex hoc iure gentium et omnes paene contractusintroducti sunt, ut emptio venditio, locatio conductio, so-cietas, depositum, mutuum et alii innumerabiles.

Interessante l’esordio, esattamente uguale a quello che ri-corre nel frammento di Ermogeniano 70. Il manuale imperialepropone una visione ampia del ius gentium, dal quale sareb-bero sorti «quasi tutti» i contratti, tra i quali sono ricordati, inun elenco di cui (almeno in parte) si può tracciare la genealo-gia classica 71, ai primi posti tre contratti consensuali: emptiovenditio, locatio conductio e societas. La prospettiva è dunquegenetica, ma priva di ogni approfondimento: nel manuale isti-tuzionale si vuole dare l’idea (anche piuttosto generica, consi-derando la chiusa del passo) di un’ampia operatività del iusgentium come matrice dei rapporti contrattuali. Guardandoalla fonte ermogenianea, se ne può far discendere una valenzameramente descrittiva rispetto ad istituti in qualche modocomparabili, tendenzialmente diffusi presso tutti i popoli 72.

La mera percezione, ad esempio, che la funzione econo-mico-sociale della compravendita venisse ottemperata da unqualche istituto giuridico (anche se retto da regole non perfet-

370 CAPITOLO SESTO

69 La provenienza fu convincentemente proposta da G. LOMBARDI, Ricerchecit. 250 s. (cfr. anche ID., Sul concetto cit. 262 s., 277 s., 324 nt. 1), che peraltro ipo-tizzava l’intervento compilatorio sul passo di Ermogeniano, sul punto si v. E. DO-VERE, De iure cit. 96 s.

70 Non mi sembra darvi rilevanza E. DOVERE, De iure cit. 96 ss., che pure sisofferma sull’esordio di D. 1.1.5 (cfr. p. 81 ss.).

71 Cfr. infra 464 ss.72 Si v. M. TALAMANCA, ‘Ius gentium’ da Adriano ai Severi cit. 200 nt. 29.

tamente comparabili con quelle romane) anche presso altri or-dinamenti potrebbe aver condotto alla individuazione del iusgentium come copertura della emptio venditio 73. Facciamo ilcaso della venditio sub corona: alcune fonti (invero però nonricorrono testi giuridici 74) attribuiscono tale tipo di vendita,che secondo l’ordinamento romano è governata da forme pre-cise, al ius gentium. In tali casi «si chiama con termine romanouna vendita di prigionieri di guerra, retta indubbiamente danorme differenti da quelle romane» 75. Il ius belli 76 che regola lavendita dei prigionieri di guerra è stato giustamente indivi-duato come una particolare accezione del ius gentium 77, maesso (ad un livello diffuso nell’ambito delle civiltà mediterra-nee) meramente consente la legittimazione della riduzione inschiavitù e della vendita del nemico catturato 78.

‘IUS GENTIUM’ 371

73 Cioè se il criterio è sociologico (dunque ius gentium come diritto naturaledegli uomini civilizzati), potrebbe supporsi anche una valutazione sociologica, ecioè che prescindendo dalla osservazione precisa della struttura dogmatica dei ne-gozi, guardi, negli altri ordinamenti, alla funzione economico-sociale da essi assolta.

74 Si tratta, infatti, di Flor. epit. 3.33 (4.12.52); Curt. Ruf. 9.8.15; Iustin. 8.3.3,11.4.8, 34.2.6; cfr. M. TALAMANCA, Contributi allo studio delle vendite all’asta cit.157 e nt. 3.

75 Così M. TALAMANCA, Contributi allo studio delle vendite all’asta cit. 157,che continua: «e ciò è possibile solo in quanto l’espressione venditio sub corona in-dichi, anche pel diritto romano, la vendita in genere dei prigionieri di guerra, e nonspecificamente quella che avvenisse secondo determinate formalità». La specifica-zione serve relativamente con riferimento all’emptio venditio, per la quale si utiliz-zano sfere semantiche molto ampie ed anche generiche (oltre lo stretto tecnicismo)quali quella dell’emere e quella del vendere.

76 Rileva soprattutto Flor. epit. 2.33 (4.12.52). Mox ipse praesens hos deduxitmontibus, hos obsidibus adstrinxit, hos sub corona iure belli venumdedit (il caso è ri-ferito alle imprese spagnole di Augusto, in particolare alla sottomissione di Canta-bri e Astures).

77 M. TALAMANCA, Contributi allo studio delle vendite all’asta cit. 158.78 Mi sembra questa l’interpretazione di M. TALAMANCA, Contributi allo stu-

dio delle vendite all’asta cit. 158, anche se una svista che mi pare solo di trascrizionepuò indurre in dubbio il lettore: «Si tratta qui di stabilire se il ius belli regolasse sol-tanto la vendita dei prigionieri di guerra, oppure stabilisse le formalità, secondo lequali doveva svolgersi la stessa. A noi sembra di gran lunga preferibile la secondaipotesi: il ius belli infatti, che s’identifica, a nostro avviso, con una particolare acce-zione del ius gentium, si limitava a riconoscere la legittimità della riduzione inschiavitù e della vendita del nemico vinto e catturato, ma non crediamo che impo-

2. «Emptio venditio» e «permutatio». – Nella elencazionemarcianea 79 di quanto può giuridicamente porre in essere ildeportatus e dunque chiunque (libero) sia escluso dalla civitas(e dunque dal ius civile) si conta la permuta, il semplice barattodi cosa contro cosa, istituto arcaico non esplicitamente messoin evidenza negli altri schemi sintetici che riconnettono figuregiuridiche al ius gentium. Forse Elio Marciano la ricorda (ilverbo usato è katallavssw, in stretta connessione con compra-vendita e locazione conduzione) riflettendo sulla sorte del de-portato, costretto su un’isola in cui anche la capacità giuridicadeve confrontarsi con spazi e possibilità ridotti e, semmai, conmentalità e usi primitivi. Ma la permutatio 80 aveva ricevuto inpiena età classica l’attenzione della più raffinata giurispru-denza, in collegamento con l’elaborazione dogmatica sullaemptio venditio consensuale. A tale contesto dottrinario si ri-ferisce un testo – notissimo – tramandato nei Digesta di Giu-stiniano, esplicitamente riferito all’origo emendi vendendique,a mio giudizio particolarmente rilevante per cogliere (anche) ilsenso del riferimento al ius gentium dei contratti consensuali:

D. 18.1.1 pr. (Paul. 33 ad ed.). Origo emendi vendendiquea permutationibus coepit … 81

372 CAPITOLO SESTO

nesse un determinato modo di vendere gli schiavi. L’estensione del termine romanoa fattispecie greche sarà stata del resto facilitata dalla circostanza che, anche per di-ritto greco, la vendita dei prigionieri di guerra avveniva all’incanto».

79 D. 48.22.15 pr.=B. 60.54.15.80 Per un primo orientamento sulla permuta si cfr. M. BALZARINI, s.v. «Per-

muta (dit. rom.)», in NNDI. XII (Torino 1965) 992 ss.; F. SITZIA, s.v. «Permuta (dir.rom.)», in ED. XXXIII (Milano 1983) 106 ss. (con lista bibliografica a p. 115 s.).

81 Il testo è quasi un topos della ricerca romanistica in tema di origine dellacompravendita: pochi studi moderni riescono a svincolarsi dal suo fascino inne-gabile, anche quelli in cui più chiara risulta la prospettiva per così dire ‘sociolo-gica’ del giurista. Basti pensare – ad esempio – al fatto che il passo paolino apreil primo volume del lavoro di V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita2 I cit. 4 ss.Per un inquadramento del testo ed ulteriori riferimenti bibliografici si v., per tutti,C. A. MASCHI, Il diritto romano I cit. 572 ss.; A. SCHIAVONE, Studi sulle logichecit. 103 ss.; G. MELILLO, Categorie economiche nei giuristi romani (Napoli 2000)46 ss.

Il passo (direi: strategicamente) apre il titolo dedicato altema de contrahenda emptione 82, come doveva, nel suo conte-sto di provenienza, riferirsi alla sezione introduttiva del com-mento all’editto empti venditi 83. Il rapporto storicamente in-staurato da Paolo nel suo XXXIII libro ad edictum tra permu-tatio ed emptio venditio sembra costituire un utile osservatorioper valutare la percezione della giurisprudenza romana relativaalla nascita dei cd. contratti consensuali 84, in particolare quellodi vendita, che come si è visto 85 appare a questo proposito inqualche modo paradigmatico. Dal brevissimo stralcio trascrit-to, quello che apre il frammento, emerge una netta considera-zione del giurista severiano: l’origine «del comprare e del ven-dere» si trova nella più antica prassi del permutare (così mipare doversi intendere l’uso del plurale ex permutationibus, enon al «negozio» permutatio). La prospettiva di riferimento,pur essendovi nei frammenti escerpiti nel titolo richiami allacompravendita di res mancipi, è certamente (in Paolo comenella Compilazione) quella della compravendita consensuale(ne fa fede, come pare, la collocazione d’origine nel XXXIII li-bro ad edictum) e non, invece, quella dell’antica mancipatio(del resto desueta già probabilmente nella prassi postclassica efatta cancellare, e sostituire dalla traditio, da Giustiniano neiriferimenti escerpiti nei Digesta che la ricordavano 86). La nar-

‘IUS GENTIUM’ 373

82 Per la precisione la rubrica del titolo, significativamente dettagliata (anche inconfronto con quella corrispondente in CTh. 3.1 ed in C. 4.38, che si limitano, ap-punto, a de contrahenda emptione), recita: de contrahenda emptione et de pactis in-ter emptorem et venditorem compositis et quae res venire non possunt. Si noti comeil riferimento al «contrarre» rilevi, nelle rubriche della Compilazione (oltre aquanto cià citato, del Codex e dei Digesta), ancora solo in C. 8.37 (de contrahendaet committenda stipulatione); per quanto riguarda le altre fonti giuridiche (in ag-giunta al titolo citato del Codex Theodosianus), si trova in PS. 5.10 (de contrahendaauctoritate), con la corrispondente Interpretatio (5.11). Cfr. V. SCIALOJA, Compra-Vendita cit. 15.

83 Cfr. O. LENEL, EP. 3 cit. 299 e nt. 3, § 110; A. SCHIAVONE, Studi sulle logi-che cit. 104.

84 Precisazioni terminologiche infra 392 s.85 Cfr. supra 224 ss.86 L’ultima attestazione della mancipatio in una costituzione pare essere CTh.

8.12.7 [a. 355]; per ciò che riguarda l’interpolazione giustinianea, «tipica» nella so-

razione paolina si specifica, ancora in una descrizione che poneelementi storici ed economici al servizio dell’analisi giuridica 87:

D. 18.1.1 pr. … Olim enim non ita erat nummus nequealiud merx, aliud pretium vocabatur, sed unusquisque se-cundum necessitatem temporum ac rerum utilibus inutiliapermutabat, quando plerumque evenit, ut quod alteri su-perest alteri desit. Sed quia non semper nec facile concur-rebat, ut, cum tu haberes quod ego desiderarem, invicemhaberem quod tu accipere velles, electa materia est, cuiuspublica ac perpetua aestimatio difficultatibus permuta-tionum aequalitate quantitatis subveniret. Eaque materiaforma publica percussa usum dominiumque non tam exsubstantia praebet quam ex quantitate, nec ultra merxutrumque, sed alterum pretium vocatur 88.

374 CAPITOLO SESTO

stituzione con traditio, cfr., per tutti, E. ALBERTARIO, Introduzione storica I cit.spec. 54. La dottrina dominante non considera il testo paolino tra quelli significativiper la storia della mancipatio (cfr., ad esempio, G. HUSSERL, s.v. «Mancipatio» cit.478; M. SARGENTI, Per una revisione della nozione dell’‘auctoritas’ come effettodella ‘mancipatio’, in Studi in onore di E. Betti IV [Milano 1962] 17), per un tenta-tivo di connessione si v. C. ST. TOMULESCU, Paul. D. 18.1.1 pr. et la ‘mancipatio’.Considérations économiques et juridiques, in RIDA. 18 (1971) 711 ss.; cfr. M. BAL-ZARINI, s.v. «Permuta (dir. rom.)» cit. 993; cfr. F. SITZIA, s.v. «Permuta (dir. rom.)»cit. 107 e nt. 11.

87 È certamente vero che Paolo troverà poi la soluzione al problema del rap-porto tra vendita e permuta nella positività del diritto vigente (così M. TALAMANCA,Per la storia della giurisprudenza romana cit. 225 e nt. 49, seguito da F. SITZIA, s.v.«Permuta [dir. rom.]» cit. 108; TH. GIARO, Dogmatische Wahrheit und Zeitlosigkeitin der römischen Jurisprudenz, in BIDR. 90 [1987] 69 ss.), ma è indubbio che, oltreal tipo sociologico della permuta, per l’impostazione del problema giuridico è dicentrale importanza stabilire cosa sia la «moneta», e Paolo proprio nell’introdu-zione provvede a mettere a disposizione del lettore le coordinate (anche ‘storiche’)per la comprensione del nesso nummus-pretium (cfr. infra 378 ss., 393 ss.).

88 Segue, al § 1, la descrizione della nota disputa tra Sabiniani e Proculiani sullavenditio sine nummis (su cui v. infra, in questo paragrafo). Al § 2 si trova il riferi-mento al ius gentium ed al consensus (cfr. supra § 3). Sui dubbi testuali di G. BESE-LER, Beiträge zur Kritik der römischen Rechtsquellen III (Tübingen 1913) 13, si v.G. MELILLO, Categorie economiche 51 nt. 20, 52 nt. 23; sulla sostanziale attendi-bilità del testo tràdito, oltre alle osservazioni del romanista napoletano, si v. anche– tra la letteratura più risalente – V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita2 I cit. 4 ss.;C. A. MASCHI, Il diritto romano I cit. 572.

Tenendo presente il fatto che Paolo riconosce nella per-muta la origo della compravendita, ma che lo stesso giurista(nel prosieguo del nostro testo) decisamente differenzia i dueistituti (a fronte, com’è noto, della prospettiva unificante sabi-niana), bisogna valutare i momenti di corrispondenza e di di-versità (strutturali come funzionali) tra le due costruzioni giu-ridiche per come rappresentate nella giurisprudenza classica enel sistema compilatorio 89.

Preliminarmente però, ed in linea con l’opzione argomen-tativa iniziale di Paolo, si impone qualche notazione econo-mica 90. La prima (già acclarata in storiografia, ma non senzacontrasti) 91 è la dipendenza del giurista da Aristotele 92, nelconsiderare la moneta come intermediario degli scambi (na-scita del concetto di «prezzo», conforme ad una misura stabile,che si specializza rispetto alla considerazione di «tutte e due lecose» come «merce»). Ma nel testo giuridico vi è anche qual-cosa in più rispetto alla riflessione del filosofo stagirita. Sitrova infatti la nozione che il valore della moneta non dipendemeramente dalla sua sostanza (e dunque dal suo valore intrin-seco, come metallo da pesare), ma dalla sua quantità coniatacon impronta pubblica (e tale valore si collega con la stima«pubblica e perenne», che di esso si ha e che costituisce undato politico-economico di primo piano: la fiducia nella mo-

‘IUS GENTIUM’ 375

89 A. SCHIAVONE, s.v. «Negozio giuridico», in ED. XXVII (Milano 1977) spec.918 ss.

90 Con riferimento a quello che è stato definito il «più famoso brano romanosulla moneta», così G. TOZZI, Economisti Romani (Siena 1958) 251 (cfr. ID., Econo-misti greci e romani. Le singolari intuizioni di una scienza moderna nel mondo clas-sico [Milano 1961] 441 ss.).

91 Per un’impostazione generale del problema si v. CL. NICOLET, Pline, Paul etla théorie de la monnaie, in Ath. 62 (1984) 105 ss.

92 E.N. 1132b 32 ss. G. TOZZI, Economisti Romani cit. 251, parla di «interes-sante ripercussione di Aristotele» (cfr. ID., Economisti greci e romani cit. 443). Perquanto riguarda le radici greche della speculazione sul rapporto tra permuta e ven-dita, che si trova nel prosieguo del testo paolino, traccia con maestria la loro genea-logia filosofica, O. BEHRENDS, Der ungleiche Tausch cit. 254 ss. (con ampi riferi-menti alle fonti).

neta) 93. Paolo, insomma, in un’esposizione che pure può risul-tare alquanto «frettolosa» rispetto a quella di Aristotele 94, co-struisce un rapporto quanto mai interessante anche dal puntodi vista economico tra moneta e prezzo 95. Molto probabil-mente il giurista severiano non è, in questo luogo, originale: lasua elaborazione può dipendere da una precedente, consoli-data, tradizione teorica 96 (assunta e raffinata dai giureconsulti)impegnata in un discorso descrittivo del rapporto tra strutturenegoziali dello scambio e circolazione della moneta. Potrebbesorprendere il riferimento alla «eguaglianza della quantità» ri-spetto alla possibile diversa scansione cronologica delle presta-zioni (e ciò, in particolare, tenendo in conto le non propria-mente stabili «vicende monetarie» dell’età severiana 97), ma ildiscorso del giurista (a parte la possibile sua genesi in un di-verso e più stabile contesto economico) ha caratteristiche pret-tamente teoriche 98, che servono a differenziare il fenomeno

376 CAPITOLO SESTO

93 Cfr., ad esempio, F. FORTE, Storia del pensiero dell’economia pubblica I. Ilpensiero antico greco romano cristiano (Milano 1999) spec. 318 s., che, sulla base delframmento in questione ed anche di D. 34.2.1.1 (Pomp. 6 ad Sab.) – quest’ultimotesto non è esplicitamente citato, ma viene parafrasato in versione italiana – deduceche per i giuristi romani «la moneta possa aver un valore diverso dalla merce di cuiè costituita».

94 Così G. TOZZI, Economisti Romani cit. 252 (cfr. ID., Economisti greci e ro-mani cit. 444), che però sottolinea l’apparenza di tale frettolosità con riferimentoalle novità di teoria economica che sarebbero ravvisabili nel passo del giuristaromano. Bisogna tenere comunque presenti la differente prospettiva di Paolo el’importanza invero marginale della digressione storica nel suo commentario edit-tale (contra, come è noto, la ricostruzione di C. A. MASCHI, Il diritto romano I cit.572 ss.).

95 E sembra quasi precorrere la moderna teoria quantitativa della moneta, chepone in relazione il livello dei prezzi con la quantità di danaro circolante, almenosecondo G. TOZZI, Economisti Romani cit. 253, la cui affermazione non sono ingrado di verificare dal punto di vista scientifico.

96 Cfr. soprattutto G. MELILLO, Categorie economiche cit. 49 s., 61 ss. Noncondivisibile F. DE MARTINO, Monete, tesori e metodo storico, in Index 24 (1996)135 s. [=Diritto economia e società IV cit. 273 s.], che attribuisce a Masurio Sabinola teorica della nozione di moneta.

97 Si v. G. MELILLO, Categorie economiche cit. 52.98 Mette in evidenza particolare questo punto V. ARANGIO-RUIZ, La compra-

vendita2 I cit. 5 nt. 3.

dello scambio attraverso la compravendita dal baratto dei beni,naturalmente influenzato dalla disponibilità delle merci e dallaloro (momentanea) utilità presso persone e gruppi.

Lo scarto tra passato e presente si ha con un’avversativa(opponendosi alla situazione dell’origo, che ha come referentecronologico il solito riferimento indeterminato all’olim 99), at-traverso la quale, con la precipitazione del discorso nella strut-tura temporale dello hodie 100, pone il dubbio e lo si rappre-senta con un semplice esempio:

D. 18.1.1.1. Sed an sine nummis venditio dici hodiequepossit, dubitatur, veluti si ego togam dedi, ut tunicam acci-perem … 101

Il testo è per qualche verso comparabile con un frammentoulpianeo, in cui pure (con una lieve variazione lessicale) si esa-mina la possibilità di una venditio sine pretio:

‘IUS GENTIUM’ 377

99 Per l’uso dell’avverbio presso i giuristi romani si v. le indicazioni in C. MASI

DORIA, ‘Bona libertorum’ cit. 17 nt. 2.100 Hodieque, nel testo, significa «anche oggi», rispetto al passato in cui evi-

dentemente l’indistinzione tra moneta ed altri beni consentiva l’equiparazione. Mail discorso del giurista, in questa proiezione presente-passato sembra peccare diun’atemporalità della struttura della vendita che Paolo stesso invece nega, definendocon precisione la compravendita come negozio in cui è necessario che una delleparti disponga di moneta. Autorevole, ma isolata, nonostante la certezza confessatadall’autore sulla sua validità storiografica, la tesi di Paolo FREZZA, sintetizzata inCorso di storia del diritto romano 3 (Roma 1974) 417 s., sulla verisimiglianza delfatto che per lungo tempo sarebbe stato possibile concludere una compravendita at-traverso la permuta: per lo studioso (che inserisce la sua originale ipotesi nell’am-bito delle sue ricostruzioni sulla fides – a loro volta strettamente collegate con ilpensiero relativo al ius gentium) solo con Paolo si avrebbe la netta differenziazionebasata sul riconoscimento del prezzo come unico corrispettivo possibile della merx.Invero pare che la formalizzazione dei due elementi del negozio si fosse strutturataben prima (secondo me alla fine della repubblica si dovevano rinvenire le basi teo-riche sulle quali si sviluppò la dottrina proculiana), incidendo come creazione giu-ridica che porta ordine nel mondo degli scambi (e dunque fornisce di azione di ven-dita solo quelle transazioni economiche che meritano valutazione perché riconosci-bili come estremamente diffuse nella prassi sociale).

101 Il dubbio, allo stesso tempo, è un rinvio alla controversia tra scuole, il chepotrebbe giustificare l’uso del presente, rispetto ad una questione che invece appareormai pacifica: o Paolo risente anche qui di un modello, ovvero la natura introdut-tiva all’editto gli consente un tono che pare piuttosto didascalico.

D. 18.1.2.1 (Ulp. 1 ad Sab.). Sine pretio nulla venditio est:non autem pretii numeratio, sed conventio perficit sinescriptis habitam emptionem 102.

L’affermazione d’esordio potrebbe far intendere che lavendita si perfeziona solo con il pagamento del prezzo, ma ilprosieguo serve alla retta comprensione del pensiero del giu-rista: solo la conventio «perfeziona» (dunque: rende perfetta,completa) la compravendita 103. La necessità di un pretium sta asignificare elemento di configurabilità del contratto consen-suale: mancando il valore di scambio si ricade piuttosto (con ladoppia essenza di ‘merce’) nell’ambito della permutatio. Il pro-filo del contesto paolino è definitorio (dici), ma naturalmentele conseguenze sono rilevanti (per quel che riguarda l’aziona-bilità). Acquistare sine nummis in una società che conosce lamoneta e la ha assunta come principale mezzo attraverso ilquale si realizzano i flussi dei beni è opzione precisa (nellaprospettiva dell’interprete probabilmente anche sotto il profiloideologico): scambio di cosa contro cosa (e chissà non abbia unsenso, nell’articolazione dell’esempio, il fatto che io «diedi unatoga, per ricevere una tunica», con scambio di due abiti, chenon mostra quella differenziazione di economie tra gruppi oindividui che, di regola, in mancanza di circolazione moneta-ria, muove al baratto). Da tale esemplificazione, il giuristatrova occasione per sviluppare il tema controverso, con la rap-presentazione delle diverse opinioni di scuola, cui vengono ad-dotti i principali punti d’appoggio:

D. 18.1.1.1. … Sabinus et Cassius esse emptionem et ven-ditionem putant: Nerva 104 et Proculus permutationem,

378 CAPITOLO SESTO

102 Il testo segue il principium in cui si tratta dell’emptio venditio contratta dapadre e figlio (s’intende: in potestate), ammissibile solo per quel che riguarda i benicastrensi: Inter patrem et filium contrahi emptio non potest, sed de rebus castrensi-bus potest.

103 Già Cuiacio riconosceva come compilatorio il tratto sine scriptis habitam.104 In F 1 si trovava Neratius, ma già il correttore ordinario F 2 (la correzione è

attestata anche dal prosieguo del testo, ove la coppia ritorna) attribuì a Nerva l’opi-nione. Non è difficile da individuare la matrice dell’errore: sia motivi paleografici,

non emptionem hoc esse. Sabinus Homero teste utitur, quiexercitum Graecorum aere ferro hominibusque vinumemere refert, illis versibus:

e[nqen a[rΔ oijnivzonto karhkomovwnteı ΔAcaioiv,a[lloi me;n calkw/`, a[lloi dΔ ai[qwni sidhvrw/,a[lloi de; rJinoiı, a[lloi dΔ aujth/si bovessi,a[lloi dΔ ajndrapovdessin.

Sed hi versus permutationem significare videntur, nonemptionem, sicuti illi:

e[nqΔ au\te Glauvkw/ Kronivdhı frevnaı ejxevleto Zeuvı,o{ı pro;ı Tudeivdhn Diomhvdea teuvceΔ a[meiben.

Magis autem pro hac sententia illud diceretur, quod aliasidem poeta dicit:

privato kteavtessin eJoi`sin.Sed verior est Nervae et Proculi sententia: nam ut aliud estvendere, aliud emere, alius emptor, alius venditor, sic aliudest pretium, aliud merx: quod in permutatione discerninon potest, uter emptor, uter venditor sit.

La partizione è netta 105: i corifei sabiniani (ordinati se-condo la successione alla testa della scuola) reputano che il ba-ratto sia considerabile come emptio et venditio (si avverte unacategorizzazione del rapporto: seguendo a rigore l’esempioproposto il fatto sarebbe una venditio-emptio: dedi, ut … acci-perem), mentre i maestri proculiani (anche qui enumerati in se-rie cronologica) 106 descrivono il fatto come permutatio, non

‘IUS GENTIUM’ 379

che l’appartenenza proculiana (si v. ad esempio il notissimo D. 41.2.3.3 [Paul. 54 aded.], ma anche D. 2.14.27 pr. [Paul. 3 ad ed.], D. 3.5.17 [Paul. 9 ad ed.], D. 7.8.10.2[Ulp. 17 ad Sab.], D. 24.3.17 pr. [Paul 7 ad Sab.]) giustificano un momento di di-strazione, ma la controversia, evidentemente, si sviluppò in quel lasso di tempo incui le dissensiones tra i primi capiscuola aumentarono particolarmente (cfr. il ri-cordo di Pomponio, riferito proprio a Nerva ed a Sabino: D. 1.2.2.48 [l. s. ench.] …qui adhuc eas dissensiones auxerunt).

105 Cfr. F. GALLO, Sulle tracce di indirizzi sabiniani e proculiani nella materiacontrattuale, in Per la storia del pensiero giuridico romano. Da Augusto agli Anto-nini cit. 22.

106 I rapporti tra i capiscuola ci sono noti da D. 1.2.2.51 (Pomp. l. s. ench.),successione di Cassio a Masurio Sabino, e 52, successione di Proculo a Nerva.

sussumibile sotto le caratteristiche forme tipiche dell’emptio. Ilrichiamo alla sola parte dell’acquisto (emptio, che invero puòcostituire un mero uso sintetico della rappresentazione del ne-gozio bilaterale) mi sembra far chiaro l’intento di Nerva e Pro-culo di sottolineare che il momento dell’acquisto si determinacon la messa a disposizione di un pretium (sul quale, ovvia-mente, vi sia l’accordo dell’altra parte) e come tale il negozio sidifferenzia, per l’emere così inteso, dal ricevere in permuta.Paolo continua, indicando una ragione di Sabino 107, che rin-tracciava nell’Iliade di Omero 108 un luogo in cui gli Achei ot-tengono vino in cambio di bronzo, di ferro, di pelli bovine, dibuoi, di schiavi 109. Generalmente ci si riferisce a questo passoosservandolo dalla sola visuale del baratto, ma credo che il ra-

380 CAPITOLO SESTO

Come successori, rispettivamente, di Capitone e Labeone, Sabino e Nerva in qual-che modo aprono la storia delle sectae. Sul dibattito tra sabiniani e proculiani in re-lazione al rapporto tra vendita e permuta si v. G. FALCHI, Le controversie fra Sa-biniani e Proculiani (Milano 1981) 86 ss.; M. G. SCACCHETTI, Note sulle differenzedi metodo fra sabiniani e proculiani, in Studi in onore di A. Biscardi V (Milano1984) 389 s.; E. STOLFI, Il modello delle scuole cit. 57 ss. (dettagliata bibliografia innt. 263 a p. 57 s.); L. LANTELLA, Il lavoro sistematico cit. 137 ss.

107 Il richiamo è riferito ai libri tres iuris civilis da F. P. BREMER, Iurispruden-tiae antheadrianae II/1 cit. 488, e da R. ASTOLFI, I ‘libri tres’2 cit. 232 s. (cfr. p. 7 nt.15), che lo pone sotto la rubrica de emptionibus et locationibus.

108 Il. 7.472 ss. Oltre al saggio di O. BEHRENDS, Der ungleiche Tausch cit. 245ss. (in nt. 24 a p. 250 una rassegna di alcuni luoghi in cui Omero è citato come au-torità nei testi del Corpus iuris), di recente sulle citazioni omeriche nei testi giuridiciromani si v. J. H. A. LOKIN, Dormitat bonus Homerus in I. 2, 7, 1, in Mélanges F.Wubbe (Fribourg 1993) 295 ss.; tra i saggi più risalenti si cfr. J. C. NABER, Homerusals rechtsbron, in Rechtsgeleerd Magazijn 43 (1924) 163 ss.; F. STELLA MARANCA,Omero nelle Pandette, in BIDR. 35 (1927) 1 ss. (sul testo di Paolo spec. 47 ss.).

109 Per la valutazione economico-sociale dell’atto del lemnio Euneo (figlio diGiasone: Il. 23.745 ss.), che prima dona il vino ‘dolce’ ai comandanti atridi (cfr. Il.9.469) e solo dopo aver così stabilito una importante relazione interpersonale ne di-spone, con contraccambi, a favore degli altri Achei, si v. R. SEAFORD, Reciprocityand Ritual. Homer and Tragedy in the Developing City-State (Oxford 1994) 18 s.;W. DONLAN, The Homeric Economy, in I. MORRIS, B. POWELL, A New Companionto Homer (Leiden-New York-Köln 1997) spec. 652. Per un’interpretazione del te-sto omerico si v. G. S. KIRK, The Iliad: a Commentary II. Books 5-8 (Cambridge1990) 291 (in particolare, oijnivzomai al v. 472 implicherebbe più il senso di «pro-durre», e dunque ottenere, il vino che quello di «prepararlo», come in Il. 8.546).

gionamento del giurista funzionasse (avendo come fine la sus-sumibilità di fatti alle prescrizioni edittali riferite all’emptumed al venditum) in virtù di una comparazione della permutaalla vendita. Dunque, forse, assumendo calkovı come nomegenerico per indicare moneta, termine di paragone (introdottodal me;n, cui fanno seguito una serie di de;, che servono al raf-fronto degli altri mezzi d’acquisto), potendosi così metteresullo stesso piano lo scambio cosa-vino/moneta con una seriedi altri scambi, cui alla cosa-vino corrispondono altre cose(cosa-ferro, cosa-schiavi, eccetera). Allo stesso modo si puòprocedere in latino (si confronti la parafrasi paolina), attra-verso l’uso di aes. L’argomentazione non è, però, stringente:a parte la possibilità che calkovı rappresentasse non la «mo-neta», ma metallo (rame, bronzo) non coniato (il che ricon-durrebbe tutta la citazione omerica nell’alveo del baratto, nonassumendosi alcun modello per dimostrare l’equivalenza delledue modalità di scambio), il verbo oijnivzomai significa sempli-cemente «mi procaccio del vino», senza avere un preciso va-lore giuridico o commerciale 110 (come invece, ad esempio, lospeculare oijnopwlevw, «vendo vino», in cui è chiara e determi-nata l’attività di pwvlhsiı). La citazione appare mal scelta (forseSabino è tributario di una tradizione retorico-dossografica, chenon vaglia attentamente il punto di vista giuridico, almeno perquello che sembra dal testo di Paolo) anche con riferimentoalla protezione del rapporto (alla sua azionabilità): nulla suquesto aspetto emerge dal racconto omerico 111. Della contro-versia possediamo anche un’altra tradizione: in Gaio 112 quelloche da Paolo è stato riferito direttamente a Sabino (dal conte-

‘IUS GENTIUM’ 381

110 Interessante notare, invece, la ‘commercializzazione’ di oijnivzonto operatanella Parafrasi di Teofilo, a commento di I. 3.23.2 (p. 354 FERRINI): ... dev ejstin oi\nonhjgovrazon. Cfr. V. SCIALOJA, Compra-Vendita cit. 19 s.

111 Questo è il punto su cui si basa O. BEHRENDS, Der ungleiche Tausch cit.251, per affermare «Die Beweiskraft der Stelle ist freilich gering. Von einem Re-chtsschutz für nicht einwandfrei abgewickelte Transaktionen ist nicht die Rede».

112 Sull’importanza della tradizione gaiana (oltre all’influenza sulle Institutio-nes di Giustiniano) si v. il cenno, riferito alla forma economico-giuridica della per-muta, in Serv. georg. 3.306: … quod et Gaius Homerico confirmat exemplo …

sto in cui si procede alla citazione poetica, infatti, scompareCassio), viene ricondotto ai nostri praeceptores, cosa che sem-bra indicare la permanenza anche nelle successive generazionisabiniane (anche se, forse, non fino al II secolo inoltrato) delladottrina masuriana:

Gai 3.141. Item pretium in numerata pecunia consisteredebet. <Nam> in ceteris rebus an pretium esse possit, ve-luti homo aut toga aut fundus alterius rei <pretium essepossit> 113, valde quaeritur. Nostri praeceptores putantetiam in alia re posse consistere pretium; unde illud est,quod vulgo putant per permutationem rerum emptionemet venditionem contrahi, eamque speciem emptionis ven-ditionisque vetustissimam esse; argumentoque utunturGraeco poeta Homero, qui aliqua parte sic ait …

Dopo aver dichiarato la regola, secondo la quale il prezzo(nella compravendita) «deve» risultare in numerata pecunia, ilgiurista pone il problema (molto discusso: valde) se esso possaconsistere anche in altre cose (con l’uso di ceterae Gaio co-munque dà l’impressione di considerare la pecunia come unares), di cui stende una rapida elencazione esemplificativa (checomprende lo schiavo, ancora la toga, un fondo). A questopunto introduce la tesi sabiniana, secondo cui il prezzo può inalia re … consistere, e dunque «comunemente» (vulgo) si re-puta che possa contrarsi compravendita attraverso lo scambiodi cosa contro cosa, e che tale species di emptio venditio (dun-que, per il giurista, anche quella che contempla lo scambio res-pecunia è specie di un più ampio genere) è «antichissima».Credo che il rapporto tra l’opinione espressa attraverso l’usodi vulgo ed il riconoscimento dell’antichità della specie per-muta (come compravendita) meriti qualche attenzione: l’elabo-razione proposta da Gaio (perfettamente in linea con la tradi-zione sabiniana) non è qui strettamente tecnica, non si pone

382 CAPITOLO SESTO

113 Le due integrazioni sono proposte dagli editori sulla base di I. 3.23.2, dacui anche la correzione in homo di hoc modo che si trova nel Veronese.

infatti su un piano di astrazione e formalizzazione, affidandosipiuttosto all’interpretazione comune (diffusa e storicamenteattestata, anche ad un livello culturale elevato) del fatto scam-bio 114, che costituisce, però, motivazione importante nel di-scorso del giurista. Anche qui l’(unico) «argomento», accantoalla visione comune, è quello del riferimento ad Omero, ma –probabilmente per il poco greco dello scriba del Veronese –nella nostra tradizione delle Institutiones i versi dell’Iliademancano 115.

La decostruzione della tesi sabiniana viene raffinatamenteimpostata da Paolo (ma forse anche in questo luogo il giurista

‘IUS GENTIUM’ 383

114 Dunque non mi sembra di poter seguire TH. MAYER-MALY, ‘Vulgo’ undVulgarismus, in Labeo 6 (1960) 19 e nt. 61 [=in Mnemeion S. Solazzi cit. 358 ent. 61], quando afferma che vulgo servirebbe in Gai 3.141 (solo) alla descrizione diuna «nicht durchgedrungene Lehre der Sabinianer»; giusta, d’altra parte, la qualifi-cazione nel senso di «Verbreitung einer Rechtsansicht» (in cui, però, il riferimentoal diritto deve essere inteso, a mio parere, in modo piuttosto debole, anche sequi vulgo non può riferirsi immediatamente ad una opposizione linguistica tra«Fachsprache» e «Umgangssprache», cfr. TH. MAYER-MALY, o.u.c. 12 ss.=Mne-meion S. Solazzi cit. 351 ss.), come anche la notazione sull’uso classico dell’avver-bio da parte di Gaio (contro una precedente posizione critica espressa dallo stu-dioso austriaco in ‘Locatio conductio’ cit. 159), su cui si v. P. P. ZANZUCCHI, Voca-bolario delle Istituzioni di Gaio (Milano s.d.) 130, s.h.v.; L. LABRUNA, E. DE

SIMONE, S. DI SALVO, Lessico di Gaio [II] cit. 294, s.h.v. Per l’argomentazione giuri-dica articolata sull’uso di vulgo dicitur si v. F. P. BREMER, Iurisprudentiae anteha-drianae II/2 (Lipsiae 1901) 589 ss.

115 Cfr. R. QUADRATO, Le ‘Institutiones’ nell’insegnamento di Gaio (Napoli1979) 13 e nt. 57. Per una lettura della citazione gaiana in termini comparatistici siv. F. GORIA, Osservazioni sulle prospettive comparatistiche nelle Istituzioni di Gaio,in Il modello di Gaio nella formazione del giurista (Milano 1981) 323. Il passo ome-rico si trova nel rimaneggiamento di I. 3.23.2. Item pretium in numerata pecuniaconsistere debet. Nam in ceteris rebus an pretium esse possit, veluti homo aut fundusaut toga alterius rei pretium esse possit, valde quaerebatur. Sabinus et Cassius etiamin alia re putant posse pretium consistere: unde illud est, quod vulgo dicebatur perpermutationem rerum emptionem et venditionem contrahi eamque speciem emptio-nis venditionisque vetustissimam esse: argumentoque utebantur Graeco poeta Ho-mero, qui aliqua parte exercitum Achivorum vinum sibi comparasse ait permutatisquibusdam rebus, his verbis: e[nqen a[rΔ oijnivzonto karhkomovwnteı ΔAcaioiv, / a[lloime;n calkw/`, a[lloi dΔ ai[qwni sidhvrw/, / a[lloi de; rJinoiı, a[lloi dΔ aujth/`si bovessi, /a[lloi dΔ ajndrapovdessi ... Oltre alla replicazione del passo omerico che ricorre an-che nei Digesta, si può notare che qui la paternità della dottrina sabiniana (a diffe-renza che nel frammento di Paolo) è attribuita sia a Sabino che a Cassio.

severiano non è originale 116) attraverso la comparazione conun altro luogo omerico 117, quello relativo a Glauco, il cuiscambio con Diomede (la sua armatura d’oro contro quella dibronzo del guerriero nemico) sarebbe stato caratterizzato dallaperturbazione dell’animo dell’eroe licio. Nell’intento di farprevalere la visione formalizzata proculiana, Paolo utilizza, in-fatti, il passo poetico perché esso sta ad indicare l’assenza dirazionalità che può caratterizzare il baratto, in contrasto con lacoerenza funzionale sulla quale si era diffuso nel principiumdel frammento (a partire dalla notazione … non semper nec fa-cile concurrebat ut …): «nel cambio delle armi a Glauco tolse /Giove lo senno» 118. Questa descrizione dell’avvenimento so-pravanza in rappresentazione esteriore il significato profondodello scambio proposto da Glauco, che è quello della xenivaereditaria, un istituto non funzionale al commercio di pari va-lori, ma molto più articolato, ed in cui, anzi, quanto «acqui-sito» (non solo in senso materiale) da un soggetto di una gene-razione, può essere «restituito», anche in maniera non propor-zionale, in una generazione successiva.

Dopo la comparazione dei due contesti omerici da cui nonemergerebbero le ragioni sabiniane, Paolo adduce un ulterioreverso (questa volta dall’Odissea), che, invece, avrebbe potutodire qualcosa a favore della sententia criticata. Si tratta dellascarna descrizione dell’acquisto, da parte di Laerte, dellaschiava Euriclea 119 per venti buoi. Probabilmente la preferenzadi Paolo del «caso Euriclea», rispetto allo scambio delle arma-ture ed al baratto che procaccia vino agli Achei nell’accampa-

384 CAPITOLO SESTO

116 Non credo che i versi omerici relativi alla vicenda di Glauco e Diomede sitrovassero nelle argomentazioni di Sabino (almeno ciò non rileva immediatamentedalla tradizione paolina).

117 Il. 6.234 s. Il riferimento al diverso valore dell’armatura si trova a 236 ss.(quella d’oro di Glauco valeva cento buoi, quella ferrea di Diomede solo nove).L’importanza e la diffusione anche in ambito giuridico del racconto epico è attestatadalla citazione in const. Omnem 11; sul punto si può utilmente rinviare a O. BEH-RENDS, Der ungleiche Tausch cit. spec. 250 s.

118 Così la traduzione di Vincenzo Monti (VI 292 s.).119 Odyss. 1.430.

mento, ha diversi motivi (ma non risultano esplicitati dal giu-rista). Uno è stato messo di recente in evidenza da Okko Beh-rends 120, e consiste nell’uso del verbo privasqai, che sarebbe«auf einen ganz kaufähnlichen Tauschvorgang angewendet». Ilfatto che il contraccambio per ottenere la schiava fosse fissatoin venti buoi rappresenta stabilità rispetto alla «follia» delloscambio delle armature (oro contro bronzo) ed anche rispettoalla varietà (e dunque casualità) con la quale gli Achei ricom-pensano Euneo per il vino. L’altra possibilità di leggere unasorta di formalizzazione nel pagamento in buoi mi sembra po-tersi riferire all’uso (anche romano) noto ai giuristi di ‘istituire’capi di bestiame come mezzi normali di pagamento 121. Se puretale preferenza argomentativa è palese, non cambia il filo deldiscorso di Paolo (forse anche perché mai emerge il nodo delproblema, e cioè una corrispondenza tra acquisto e sua tutelagiurisdizionale 122), che infine esprime con tutta chiarezza lasua posizione, che s’iscrive nella tradizione segnata da Nerva eProculo. La spiegazione si articola sulla differenza tra l’essenzadel vendere e dell’emere, tra le posizioni di emptor e venditore così sull’incompatibilità strutturale di pretium e merx (qui ildiscorso, invero, compie un’inversione, tornando al punto dadefinire), mentre nella permutatio non si può discernere uteremptor vel uter venditor. Il discorso di Paolo non soddisfacompletamente, perché non porta a conseguenza il senso giu-ridico di queste differenze, ma probabilmente è stato tagliatoin sede compilatoria. Esso, però, si sviluppa altrove, nel bre-

‘IUS GENTIUM’ 385

120 Der ungleiche Tausch cit. 251 s.; cfr. B. WAGNER-HASEL, Der Stoff der Ge-ben. Kultur und Politik des Schenkens und Tauschens im archaischen Griechenland(Frankfurt a. M.-New York 2000) 244. Sulla stessa linea le brevi osservazioni diF. STELLA MARANCA, Omero nelle Pandette cit. 47 nt. 3.

121 Mi riferisco, ovviamente, alle più antiche multe pagabili in capi di bestiameed alle relative aestimationes di corrispondenza tra animali e aes (cfr. le leggi Ater-nia Tarpeia, Menenia Sestia e Papiria, sulle quali, per tutti, D. FLACH, Die Gesetzeder frühen römischen Republik cit. 98 ss., 101 ss., 248 ss.).

122 Insiste sul punto O. BEHRENDS, Der ungleiche Tausch cit. 252: «Aber auchdieses Zitat entschied in den Augen der antiken Juristen nichts, weil nicht erkenn-bar war, ob Laertes für dieses Tausch Rechtsschutz erhalten hätte».

vissimo titolo de rerum permutatione dei Digesta giustinianei,costituito da due frammenti, entrambi, non a caso, escerpiti daPaolo. Prima di prenderli in considerazione, bisogna, però,tornare per un momento alla tradizione didattica delle Institu-tiones, da una parte per inquadrare la percezione della posi-zione proculiana, dall’altra perché vi emerge una contromossasabiniana non recepita da Paolo:

Gai 3.141 123. … diversae scholae auctores dissentiuntaliudque esse existimant permutationem rerum, aliud emp-tionem et venditionem, alioquin non posse rem expediripermutatis rebus, quae videatur res venisse et quae pretiinomine data esse, sed rursus utramque rem videri et ve-nisse et utramque pretii nomine datam esse absurdum vi-deri. Sed ait Coelius Sabinus, si rem tibi venalem habenti,veluti fundum, acceperim et pretii nomine hominem fortedederim, fundum quidem videri venisse, hominem autempretii nomine datum esse, ut fundus acciperetur.

L’argomentazione attribuita ai diversae scholae auctores siarticola attraverso l’interazione di alioquin e absurdus 124: se laposizione sabiniana aveva avuto come fulcro la vetustas dellaspecie permutatio con un discorso che pare muoversi tra na-tura e tradizione, opponendo in sostanza l’artificiosità di unadiversa chiave di lettura del problema 125, quella proculiana si

386 CAPITOLO SESTO

123 Il testo è resistente alla critica secondo G. BESELER, Beiträge III cit. 34. Peri rapporti con I. 3.23.2 si v. C. FERRINI, Sulle fonti delle Istituzioni di Giustinianocit. 391 s.

124 Su questa tipologia di ragionamento si v., di recente, P. CAPONE, Valore eduso giurisprudenziale di ‘absurdus/e’, in SDHI. 63 (1997) 220 ss. (serve a «difenderei confini di una figura giuridica quale quella dell’emptio venditio consensuale»:p. 229). Sulla presenza, nel testo gaiano, di una deductio ad absurdum si v. giàD. DAUBE, Roman Law. Linguistic, Social and Philosophical Aspects (Edinburgh1969) 188 nt. 3; M. BRETONE, Tecniche e ideologie 2 cit. 206; cfr. A. WACKE, ZurFolgen-Berücksichtigung bei der Entscheidungsgrund, besonders mittels ‘deductioad absurdum’, in Mélanges Fr. Sturm I (Liège 1999) 547 ss. (bibliografia sull’argo-mento a p. 551 ntt. 9-10; argomentazione attraverso alioquin, si …, p. 557 ss.).

125 Cfr. P. STEIN, Le scuole cit. 6.

definisce tutta all’interno del mondo giuridico, ed in partico-lare della rigida concezione della compravendita consensuale.La debolezza del ragionamento sabiniano è definita prima at-traverso l’impossibilità della indifferenziazione delle due res(quella da reputarsi venduta e quella data pretii nomine), poidichiarando l’assurdità del considerare che entrambe le cosefossero considerate sia vendute che date a titolo di prezzo.L’incompatibilità della prospettiva strettamente giuridica ri-spetto a quella naturalistico-tradizionale, rende l’interpreta-zione di Nerva e Proculo in qualche modo autoreferenziale: iproculiani leggono la tesi sabiniana proiettandola all’internodelle proprie categorie di pensiero. Ma se si tiene presente ilfatto che la teoria deve confrontarsi con la strutturazione del-l’editto pretorio e con le formule ivi contenute, ben si com-prende il perché della superiorità tecnica della impostazioneproblematica proculiana, com’è attestato (in una versione chepuò essere stata rimaneggiata nel riferimento alla species con-tractus) dalle Istituzioni imperiali (3.23.2): Proculi sententia di-centis permutationem propriam esse speciem contractus a ven-ditione separatam merito praevaluit. Prima, però, di cogliere ilnocciolo delle ragioni di questa prevalenza (che mi pare si rin-vengano soprattutto nel prosieguo del discorso paolino), bi-sogna osservare la risposta di Celio Sabino, che chiude il pa-ragrafo gaiano, particolarmente rilevante perché attesta l’in-tervento sul punto di una terza generazione sabiniana 126.L’aspetto che mi sembra più interessante sta nel fatto che so-stanzialmente Celio non si richiama al vecchio modulo inter-pretativo della sua secta: accetta, invece, la formalizzazioneproculiana 127, che cioè debbano essere nettamente riconoscibilila parte venditrice e quella acquirente, e vi inserisce la per-

‘IUS GENTIUM’ 387

126 Cfr. E. STOLFI Il modello delle scuole cit. 58 s.127 Mi pare semplificante, dunque, inquadrare la soluzione del giurista come

«di compromesso» (V. ARANGIO-RUIZ, La compravendita2 I cit. 137), «intermedia»(F. SITZIA, s.v. «Permuta [dir. rom.]» cit. 108), o definirla un «tentativo di concilia-zione» (P. CAPONE, Valore ed uso giurisprudenziale di ‘absurdus/e’ cit. 223).

muta 128. Ma confronta immediatamente quello che è unoschema teorico con un caso esemplificativo della vita dei traf-fici: la premessa è che un soggetto ha una cosa da vendere (unares venalis); stabilita questa posizione, il fatto che il pagamentoavvenga attraverso un’altra res (nell’esempio: uno schiavo perun fondo) è solamente casuale (forte) e non intacca il neces-sario rapporto (a matrice proculiana) res-pretium: lo homo è– infatti – consegnato pretii nomine. Non mi pare, come pureè stato affermato 129, che Gaio voglia attribuire ragione, nelladisputa, ai Proculiani; anzi, il fatto che il testo si chiuda con lacitazione di Celio Sabino mi sembra voler aggiungere alle ar-gomentazioni originarie della scuola un punto di forza, che as-sume il modello proculiano della netta differenziazione tra ledue posizioni, ma poi, per così dire, lo aggira attraverso la pro-posizione della categoria res venalis 130 e della cosa data pretiinomine 131.

Per comprendere in tutta la loro profondità le argomenta-zioni proculiane occorre finalmente leggere il prosieguo delcommentario paolino all’edictum empti venditi:

D. 19.4.1 pr. (Paul. 33 ad ed.) 132. Sicut aliud est vendere,aliud emere, alius emptor, alius venditor, ita pretium aliud,

388 CAPITOLO SESTO

128 Sull’importanza della svolta di Celio Sabino si v. l’intuizione di E. STOLFI,Il modello delle scuole cit. 59 e nt. 268.

129 Cfr., ad esempio, R. QUADRATO, Le ‘Institutiones’ nell’insegnamento diGaio cit. 66, seguito da P. CAPONE, Valore ed uso giurisprudenziale di ‘absurdus/e’cit. 223.

130 Forse in questa stessa linea di accettazione del principio formale, ma conuna modulazione che consente di non ricorrere alla moneta si pone la possibilità, inun testo di Giuliano, che il prezzo consista in una determinata quantità d’olio:D. 18.1.39.1 (15 dig.), ma la fattispecie contempla una stipulatio sul pretium stesso.

131 Per il tardo successo della soluzione di v. C. 4.64.1 (di Gordiano).132 Nella tradizione giustinianea il libro paolino è segnato come XXXII ad

edictum, ma la correzione è generalmente accettata (O. LENEL, Palingenesia I cit.1034 nt. 2, ad Paulum 502) per la manifesta contiguità con D. 18.1.1. Di recenteM. TALAMANCA, Contributi alla palingenesi della giurisprudenza romana. I. Dig.18.1.34 e la struttura del lib. 33 ‘ad ed.’ di Paolo, in Estudios jurídicos in memoriamdel profesor A. Calonge II (Salamanca 2002) 1021 nt. 110, pur seguendo la cor-rezione (lo studioso afferma non esservi dubbio sulla vicinanza tra i due testi in

aliud merx. At in permutatione discerni non potest, uteremptor vel uter venditor sit, multumque differunt praesta-tiones. Emptor enim, nisi nummos accipientis fecerit, tene-tur ex vendito, venditori sufficit ob evictionem se obligarepossessionem tradere et purgari dolo malo, itaque, si evictares non sit, nihil debet: in permutatione vero si utrumquepretium est, utriusque rem fieri oportet, si merx, neutrius.Sed cum debeat et res et pretium esse, non potest permuta-tio emptio venditio esse, quoniam non potest inveniri,quid eorum merx et quid pretium sit, nec ratio patitur, utuna eademque res et veneat et pretium sit emptionis.

Dopo l’enunciazione (ripetitiva rispetto all’altro testo pao-lino già considerato) relativa alla diversità di emere/emptor,vendere/venditor, pretium/merx e la dichiarata impossibilità didiscernere nella permuta chi sia compratore e chi venditore, sitrova un rapido riferimento alla grande varietà delle presta-zioni. Il testo che segue (che mostra la differenza, proprio percontrasto con la permutatio, delle posizioni di emptor e vendi-tor), com’è noto, è di importanza capitale per la dogmaticadella compravendita consensuale, mettendo in evidenza dap-prima la responsabilità ex vendito dell’acquirente quando nontrasferisca la proprietà dei nummi al venditore, poi i vincolidi quest’ultimo, efficacemente enumerati attraverso l’uso delverbo sufficere: obbligarsi per l’evizione, trasferire il (mero)

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questione, «all’inizio della trattazione di Paolo sulla rubrica empti venditi e sulle re-lative formule»), residualmente (e sottolineandone l’improbabilità rispetto all’op-zione leneliana) propone una kroqewriva (sic, ma, credo, proqewriva) del giurista«occasionata dalla generale rubrica De bonae fidei contractibus», il che renderebbepossibile la provenienza dal XXXII libro del commentario edittale; ma il testo sicongiunge molto meglio con la disputa riportata in fine di D. 18.1.1 (e poi, forse,una discussione generale sulla rubrica relativa ai contratti di buona fede avrebbetrovato spazio piuttosto nel libro XXXI, cfr. O. LENEL, o.u.c. I 1027). Sul rapportodi D. 19.4.1 con D. 18.1.1 si v. anche V. ARANGIO-RUIZ, Diritto puro e diritto ap-plicato negli obblighi del venditore romano, in Festschrift P. Koschaker II (Weimar1939) 145 nt. 1; P. VOCI, La dottrina romana del contratto cit. 262; M. BALZARINI,s.v. «Permuta (dir. rom.)» cit. 994.

possesso e garantire l’acquirente dal dolus malus 133. Sempre inlinea con il modello adottato (solo all’interno del quale sisnoda l’argomentazione paolina), è facile la comparazione conla permuta: se si considerano tutte e due le cose come prezzodeve trasferirsi la proprietà di entrambe, se si reputano en-trambe merx, di nessuna. Il passo mi sembra orientato a dimo-strare l’assurdità della tesi sabiniana, come il prosieguo, in cuisi prospetta un’ulteriore possibilità: considerare la cosa og-getto dello scambio et res et pretium. Ciò riconduce l’even-tuale fattispecie al solito problema di indistinzione, che cul-mina (ancora una volta) nella negazione della possibilità ut unaeademque res et veneat et pretium sit emptionis. Conseguenzane è il non potersi stabilire la spettanza dell’actio empti ovverovenditi al soggetto che fosse leso dalla permuta 134: la soluzionegiuridica, dunque, al fatto svoltosi nelle forme del baratto esfociato nell’evizione di una delle res è rinvenuto nell’elasticitàdell’actio in factum 135. Torna alla prospettiva costruttiva il pa-ragrafo 2 del testo:

D. 19.4.1.2-4. Item emptio ac venditio nuda consentien-tium voluntate contrahitur, permutatio autem ex re traditainitium obligationi praebet: alioquin si res nondum traditasit, nudo consensu constitui obligationem dicemus, quodin his dumtaxat receptum est, quae nomen suum habent, utin emptione venditione, conductione, mandato. 3. IdeoquePedius ait alienam rem dantem nullam contrahere permu-tationem. 4. Igitur ex altera parte traditione facta si alterrem nolit tradere, non in hoc agemus ut res tradita nobisreddatur, sed in id quod interest nostra illam rem acce-

390 CAPITOLO SESTO

133 Efficace la riduzione finale della triade alla garanzia per evizione, itaque, sievicta res non sit, nihil debet: il venditore non deve alcunché, salvo che la cosa nonsia evitta da un terzo.

134 Cfr. B. BIONDI, Contratto e ‘stipulatio’ (Milano 1953) 86.135 Come risulta dall’immediato prosieguo del testo: D. 19.4.1.1. Unde si ea

res, quam acceperim vel dederim, postea evincatur, in factum dandam actionem re-spondetur.

pisse, de qua convenit: sed ut res contra nobis reddatur,condictioni locus est quasi re non secuta.

La menzione del contrarsi attraverso la voluntas nuda dicoloro che prestano il consenso è opposta ad un inizio dell’o-bligatio che nella permuta pretende la traditio della res: la con-trapposizione si rafforza nella dichiarazione (dicemus) secondola quale è generalmente approvata la limitazione dell’obbli-gazione che si costituisce nudo consensu a quei soli casi chehanno un «proprio nome» (come l’emptio venditio, la locatioconductio, il mandatum). Continuando sulla linea della tradi-tio (e ricavando da un discorso orientato prevalentemente sullacompravendita le prime nozioni ‘positive’ sulla permuta),viene dapprima riportata (come conseguenziale rispetto al di-scorso svolto fino a quel punto) l’opinione di Pedio, secondola quale chi dia una res aliena non contrae obbligazione, poi sipone il caso di un initium di obbligazione (nel senso voluto nelparagrafo 2) cui non consegue la controprestazione perché l’al-tro permutante rem (s’intende: suam) nolit tradere. L’incisopediano pare mostrare come la dottrina proculiana richiedesseil trasferimento della proprietà della cosa per poter far scatu-rire a vantaggio del tradente insoddisfatto una tutela giurisdi-zionale 136.

Il secondo frammento del titolo 19.4 dei Digesta, come sidiceva pure di Paolo (ma proveniente questa volta dal com-mentario ad Plautium) si riduce ad una citazione di Aristone,che qui interessa per l’esplicito accostamento alla emptio ven-ditio (attuato per mezzo dell’aggettivo vicinus), il quale fadiscendere la necessità per il permutante che operasse la tradi-tio di uno schiavo di prestare la tipica dichiarazione previstanell’editto degli edili curuli relativa alla sanità del servus, alsuo non avere commesso un illecito al quale possa conseguire

‘IUS GENTIUM’ 391

136 Sul punto, per tutti, M. BALZARINI, s.v. «Permuta (dir. rom.)» cit. 994 ent. 6.

un giudizio nossale, al non essere lo schiavo né erro né fugi-tivus 137:

D. 19.4.2 (Paul. 5 ad Plaut.). Aristo ait, quoniam permuta-tio vicina esset emptioni, sanum quoque furtis noxisquesolutum et non esse fugitivum servum praestandum, qui excausa daretur 138.

La consensualità è un punto centrale della disputa e delladefinizione reciproca di vendita e permuta 139. Per intenderequesto punto bisogna rivolgere lo sguardo alla tesi sabiniana,su un aspetto in cui – purtroppo – non viene approfonditanelle fonti in nostro possesso. Si tratta della tutela processuale:non si può seguire quella parte della storiografia, che sostieneche la permutatio avrebbe garantito l’esperibilità delle actionesempti et venditi «fin dal momento dell’accordo» 140: bisogna ri-cordare che Gaio proprio facendo riferimento alla posizionesabiniana descrive la modalità del «contrarsi» per permutatio-nem rerum. Per prima cosa bisogna valutare che il giurista dif-ferenzia questa species rispetto alla emptio venditio consen-suale proprio attraverso il diverso rappresentarsi del contrahi(che in Gai 3.135 è consensu per tutta la serie delle obbligazioniconsensuali; la specificazione per la compravendita si trova in3.139, sempre con l’uso di contrahi, collegato con la conventiode pretio). Poi si nota l’utilizzazione del plurale rerum: la per-muta deve essere «di cose» (e deve intendersi, mi pare, «dicose» provenienti dalle due diverse parti). Ancora: non ci si

392 CAPITOLO SESTO

137 O. LENEL, EP. 3 cit. 554 ss. (§ 293), per la relativa stipulatio: 567 s. (§ 296);cfr., per tutti, G. IMPALLOMENI, L’editto degli edili curuli (Milano 1955) 5 ss.

138 Per gli aspetti della tutela processuale nell’ambito dei contratti innominatisi v., per tutti, A. BURDESE, Sul riconoscimento civile dei c.d. contratti innominati, inIura 36 (1985) spec. 26 ss.

139 Lo nega V. MAROTTA, Tutela dello scambio e commerci mediterranei, inOstraka 5/1 (1996) 129, seguito da E. STOLFI, Il modello delle scuole cit. 59 nt. 267.

140 Così F. SITZIA, s.v. «Permuta (dir. rom.)» cit. 109; lo studioso richiama, con-tra, S. PEROZZI, Il contratto consensuale classico cit. 174 [=Scritti giuridici II cit.573], e PH. MEYLAN, ‘Permutatio rerum’, in ‘Ius et Lex’. Festgabe Gutzwiller (Ba-sel 1959) 45 ss.

può troppo facilmente sbarazzare del passo paolino (D.19.4.1.2), che recita Item emptio ac venditio nuda consentien-tium voluntate contrahitur, permutatio autem ex re tradita ini-tium obligationi praebet; non solo vi si trova la contrapposi-zione tra la voluntas contrahentium costitutiva (e peraltro qua-lificata dalla nudità), ma il riferimento all’«inizio» del vincoloè chiaramente rappresentato dal fatto che la res è (già) stata tra-sferita 141.

3. Il «victoriatus» di Volusio Meciano. – Il livello della ra-zionalizzazione della compravendita, nel senso preteso daPaolo (con la publica ac perpetua aestimatio e la percussio diuna forma publica), mi pare spiegato con maggiore precisione,se si prende in considerazione uno squarcio di un’opera tec-nica sulla moneta, scritta da un giurista. Mi riferisco alla assisdistributio 142 di Volusio Meciano: nella parte dedicata alla pe-cunia in aere numerata si trova un passo assai interessante peril discorso in questione:

Vol. Maec. assis distr. 45. …Victoriatus enim nunc tantun-dem valet quantum quinarius, olim ut peregrinus nummusloco mercis, ut nunc tetradrachmum et drachma, habe-batur.

Nell’ambito di una serie di equivalenze e comparazioni trale monete romane d’argento, Meciano sostiene che «ora», ai

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141 Sui rapporti tra compravendita e permuta tra tardoantico (cfr. E. LEVY,West Roman Vulgar Law. The Law of Property [Philadelphia 1951] 137; M. KASER,Das römisches Privatrecht 2 II cit. 277) e medioevo (con proiezioni fino agli ordina-menti vigenti), sono importanti i contributi di TH. MAYER-MALY, Kauf, Tausch und‘pacta’ als Instrumente des Güterverkehrs im Übergang zwischen Altertum undMittelalter, in Klio 73 (1991) 606 ss.; Kauf und Tausch, in Mélanges C. A. Cannata(Basel 1999) 327 ss.; Zum Vertragsrecht in den sog. Leges Barbarorum, in Vorträge– 28. Deutscher Rechtshistorikertag (Nijmegen 1992) 11 ss.; cfr. anche F. SITZIA, s.v.«Permuta (dir. rom.)» cit. 113 ss.

142 Per le diverse proposte sul titolo dell’opera si v. A. RUGGIERO, L. VolusioMeciano tra giurisprudenza e burocrazia (Napoli 1983) 80 nt. 1 (ibid. a p. 73 nt. 66una bibliografia sul trattatello).

suoi tempi (la carriera del giurista si svolge a mezzo del II se-colo d. C., l’opera sull’asse è databile al periodo in cui era pre-cettore di Marco Aurelio, quando questi, diciottenne, fu adot-tato da Antonino Pio 143), il victoriatus vale quanto il quinariuse cioè otto assi 144; ma «una volta» (olim), come un nummus pe-regrinus, era considerato loco mercis, come «nunc» il tetra-dramma e la dramma (monete «peregrine», delle comunità gre-che). Cosa significa loco mercis? Il fatto che, tra le monete ar-gentee enumerate dal giurista nel § 45 (denarius, quinarius,sestertius, victoriatus), il victoriatus sia l’unico che prenda ilnome dall’effigie (la Victoria) e non dal rapporto (originario)con l’aes, rispetto al quale (come si è visto) ha bisogno dellamediazione del quinarius (dunque facendo eccezione alla re-gola espressa in assis distr. 44. … ita ut omnis nummus argen-teus ex numero aeris potestatem haberet), ci fa raffigurare que-sta moneta come un pezzo che mantiene un tipo rappresentatostabile nel tempo, ma è sostanzialmente al di fuori della serieordinata dei multipli argentei (omnis nummus) della moneta-base di bronzo. Se nel II secolo d. C. la sua corrispondenza alquinarius si era ormai fissata (e ciò dové accadere quando an-cora questa moneta valeva cinque assi), in passato, invece, lamoneta della Vittoria era considerata solo come merx, merce,non dunque un nummus con quelle caratteristiche di ufficia-lità, che garantiscono lo scambio, proprie della valuta pubblica

394 CAPITOLO SESTO

143 Di ceto equestre, Meciano giunse fino alla carica di praefectus Aegypti in-torno al 161 d. C.; fu a libellis di Antonino Pio dal 138; il collegamento con l’istru-zione del giovane Marco Aurelio si trae dalla praefatio all’opera, cfr. SHA. vitaMarci Antonini 3.6. Studuit et iuri audiens Lucium Volusium Maecianum; sui di-versi punti, per tutti si v. W. KUNKEL, Herkunft un soziale Stellung 2 cit. 174 ss., 303e nt. 643, 411; adde A. RUGGIERO, L. Volusio Meciano cit. 9 ss., D. LIEBS, in Hand-buch der lateinischen Literatur der Antike IV (München 1997) 130 s. (§ 419.2), im-portante per la raccolta di fonti, specie papirologiche.

144 Vol. Maec. assis distr. 47. Nunc denarius XVI, victoriatus et quinarius VIII,sestertius quattuor asses valet. Ma il quinarius (come mostra il nome stesso dellamoneta) in passato valeva cinque assi: § 46. Denarius primo asses decem valebat,unde et nomen traxit; quinarius dimidium eius, id est quinque asses, unde et ipse vo-catur … Le due monete sono considerate insieme anche al § 64, in cui Meciano nediscute (con qualche difficoltà e dunque solo per relationem) la ratio.

romana 145. E ciò al pari della «moneta straniera». La vicendadel victoriatus dipende dalla sua storia 146: introdotto probabil-mente tra il 213 ed il 211 a. C., dunque insieme con il denarius(che diviene pezzo comune del traffico interno), viene desti-nato esclusivamente alle negoziazioni estere, tanto da non re-care alcuna indicazione di valore, e non essendo prevista (al-meno in origine) con il denarius, che è multiplo argenteo del-l’asse, una relazione stabile. Il suo corso non fu fissatoufficialmente, dipendendo esclusivamente dal valore materialedell’argento contenuto nel conio.

Per Volusio Meciano, ancora ai suoi tempi, la monetazioneperegrina, greca in particolare (esemplificata attraverso il rife-rimento a tipi più diffusi, tetradramma e la dramma) ha questosolo valore: di «merce» senza capacità di essere considerata pe-cunia numerata 147 (visto il contesto, oltre che le conoscenzetecniche dello scrittore, bisogna assumere il termine in sensotecnico, con riferimento immediato alla regolamentazione de-gli scambi e dunque alla compravendita). Dunque questo tipodi moneta è da misurare a peso, cioè (tenendo sempre al centrodell’attenzione il discorso di Paolo in D. 18.1.1 pr. [33 ad ed.])

‘IUS GENTIUM’ 395

145 Anche per questo motivo si diffuse la legislazione sul falso nummario (cfr.B. SANTALUCIA, Diritto e processo penale2 cit. 149 ss.).

146 Si v. l’ottima sintesi di H. CHANTRAINE, s.v. «Victoriatus», in KL. Pauly V(München 1979) 1264 s.; in particolare sul problema cronologico si v. le esatte con-siderazioni di F. DE MARTINO, Storia economica di Roma antica I (Firenze 1979)48 s.

147 Cfr. Vol. Maec. assis distr. 44. Il fatto non deve impressionare più di tanto,ove si pensi alle statuizioni che imponevano, nell’antichità classica, l’esclusivismodella circolazione di una determinata valuta in un ambito politico-costituzionale, adesempio: il famoso decreto di Atene sul corso della moneta ateniese in tutto il suoimpero (SEG. X 25); il decreto di Olbia che ordina il corso chiuso della sua monetanella città e regola il cambio con le valute straniere (SIG.3 218); la clausola del trat-tato tra Smirne e truppe e civili di Magnesia, in cui si dichiara che a Magnesia si ac-cetterà la moneta legale della città (OGIS. 229 lin. 55); la concessione di AntiocoVII a Simone, sommo sacerdote ed esarca degli Ebrei (I Macc. 15.6); la lettera di unfunzionario ad Apollonio, ministro delle finanze di Tolemeo II sull’introduzionedell’esclusività della valuta legale in Egitto (P. Cairo Zen. 59021); su questi casi si v.,per tutti, A. H. M. JONES, L’economia romana. Studi di storia economica e ammini-strativa antica (Trad. it. Torino 1984) 85 s.

ex substantia (per il valore in quanto res) e non ex quantitate(per il valore pubblicamente e stabilmente attribuito a ciascun«pezzo» 148). È chiaro che in riferimento a tale tipo monetarionon può funzionare una compravendita attraverso il para-digma di offerta (lex) e risposta corrispondente ad una quantitàdi moneta (romana), a meno che non si acquistasse con monetaromana (pretium) la moneta straniera (merx). Essa, se si puòusare con riguardo a Meciano il paradigma proculiano 149, nonpuò servire da prezzo. Allora nelle dispute sulla permuta rien-tra anche quella fattispecie di scambio nella quale la cosa vienedata contro moneta non romana.

Quanto svolto a proposito del cenno di Volusio Mecianosulla moneta che è mercis loco, ed anche nei paragrafi che pre-cedono, mi fa dubitare ancora una volta di quella diffusa inter-pretazione storiografica, secondo la quale l’origine dei con-tratti consensuali va ricercata nei rapporti tra Romani e stra-nieri e nella iurisdictio peregrina: è certo che tali rapporti vifossero e diventassero sempre più frequenti nel periodo dell’e-spansionismo imperialistico romano, ed è ben probabile che ilfulcro attorno al quale tutto si muovesse fosse la negoziazionedi cose contro moneta. Come è indubbio che tali forme discambio si ponessero tra i modelli ipotizzati nell’ambito dell’e-sercizio della giurisdizione pretoria per tutelare la parte cheavesse subito un danno sproporzionato rispetto alla bilateralitàdei rapporti. Ma la compravendita consensuale è frutto di spe-

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148 Il dato mi sembra confermato da D. 46.3.94.1 (Pap. 8 quaest.) … sive in pe-cunia non corpora cogitet, sed quantitatem.

149 Il rapporto tra il formalismo di Meciano sulla moneta e la razionalizza-zione di Nerva e Proculo della dottrina del pretium nella compravendita consen-suale potrebbe rappresentare un indizio a favore di un’educazione proculiana delgiurista antoniniano, che rafforzerebbe l’ipotesi (non provata) avanzata da A. M.HONORÉ, Julian’s circle, in TR. 32 (1964) 38 ss., sulle «Proculian affiliations» delgiurista di II secolo (si ricordi come lo studioso inglese giustifichi le tre citazionimecianee in cui Salvio Giuliano viene definito noster – D. 35.1.86 pr. [3 fideic.],D. 35.2.30.7 [8 fideic.], D. 36.1.67(65).1 [4 fideic.] – come effetto della colleganza deidue giuristi nel consilium di Antonino Pio).

culazione giuridica, di razionalizzazione dei rapporti di fatto, ese è esistita una tendenza ampiamente comprensiva (quella sa-biniana), la prevalente dottrina proculiana, tesa alla descrizioneendogiuridica del contratto tipizzato assume criteri rigidid’impostazione del problema: se come credo la interpretazionedi Meciano le è tributaria per quanto riguarda la natura delpretium, essa non avrebbe ragionato in modo così stringenteescludendo dal tipo emptio venditio (come stabilizzatosi allafine della repubblica) tutti quegli scambi che in qualche modoavevano dovuto dare origine al contratto stesso. Di conse-guenza provocando un inquadramento, sia pure per esclu-sione, della permutatio 150: essa non appartiene al nomen che èquello contenuto nell’editto, ed in riferimento al quale il magi-strato giusdicente concede le azioni. Il lavorio sul contenutodel nomen significa definire precisamente la struttura del nego-zio. Si tratta di precipitare in forme giuridiche i dati dellaprassi; dunque la compravendita consensuale va ricondotta aduna nascita strettamente romano-italica, con la netta impor-tanza dell’uso del latino per la diffusione del modello (e la ca-pacità di renderlo facilmente nella struttura formulare), e latendenziale necessità di utilizzare come prezzo la moneta pub-blica romana. Naturalmente con il passare del tempo, la roma-nizzazione dell’intero bacino mediterraneo e di vaste aree eu-ropee ed asiatiche, poi la concessione diffusa della cittadinanza(fino alla constitutio Antoniniana), le cose cambiarono (e sonocomunque diverse per noi, che leggiamo la giurisprudenza at-traverso i filtri del tardoantico e della compilazione giustinia-nea), ma con riguardo ai problemi di origine e di sistemazionedei contratti consensuali, mi pare che queste riflessioni pos-sano descrivere un percorso storico-giuridico che forse haavuto qualche rilevanza 151.

‘IUS GENTIUM’ 397

150 Cfr. M. BALZARINI, s.v. «Permuta (dir. rom.)» cit. 993.151 Forse quanto svolto in questo paragrafo potrebbe contribuire alla com-

prensione di D. 12.4.16 (Cels. [3] <8> dig.), ipotizzando il riferimento alla pecuniaperegrina.

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‘IUS GENTIUM’ 399

SOMMARIO: 1. Premessa: due punti di vista. – 2. L’ordine espositivo da Quinto Mu-cio a Labeone: prospettive sistematiche? – 3. Le Institutiones di Gaio. – 4. Latradizione gaiana. – 5. Le serie ‘interne’ (emptio venditio - locatio conductio -societas - mandatum). – 6. L’organizzazione edittale: forme tipizzate e tutelagiurisdizionale.

1. Premessa: due punti di vista. – La prospettiva di un or-dine comprensivo (e da un certo punto di vista anche espli-cativo di alcune connessioni) delle obligationes consensu con-tractae deve necessariamente contemplare due punti di vista.Quello certamente più rilevante, ed evidente con riferimentoalle fonti dell’obbligazione ex contractu, già ampiamente stu-diata in storiografia, sta nella presenza del consensus in una se-quela che, al livello della stabilizzazione gaiana (fondamentalesoprattutto in vista della sua vitalità, tra tardoantico e rice-zione giustinianea), comprende, nell’ordine, res, verba, litteraee – appunto – consensus. L’altro – pure significativo, ma menoindagato – è relativo alla serie per così dire ‘interna’ alle obbli-gazioni consensuali stesse, e cioè la sequenza (sempre secondoGaio) emptio venditio, locatio conductio, societas, mandatum 1,che esaurisce i tipici contratti del ius gentium ed ha un impor-tante collegamento sia con i problemi di origine che con la tu-tela processuale, sia – ancora – con le sistematiche della narra-zione da parte dei giuristi del ius civile; esso è già stato parzial-

CAPITOLO SETTIMO

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO: POSIZIONE TRA LE FONTI

DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO

1 I due riferimenti generali gaiani si trovano, com’è noto, in Inst. 3.89, 135 (cfr.infra 430 ss., 436 ss.).

mente esaminato 2, ma occorre verificarne, alla luce della let-tura complessiva delle fonti, qualche intersezione con il pro-blema dell’ordine delle fonti d’obbligazione.

2. L’ordine espositivo da Quinto Mucio a Labeone: prospet-tive sistematiche? – Come si è visto, la prassi dei contratti(prima quelli di scambio) che verranno ricompresi sotto il con-sensus (inteso come criterio di raggruppamento dogmatico-si-stematico) entra con decisione nella vita commerciale romanagià a partire dal III secolo a. C., con lo sviluppo dei trafficiinternazionali, il riconoscimento sub specie iuris dei negoziaventi ad oggetto delle res nec mancipi, la diffusione della mo-neta coniata con forma publica 3. Il successivo momento dipiena agnizione della sua rilevanza giuridica passa, con dellesingolarità che si avrà cura di rilevare 4, attraverso l’attività giu-risdizionale pretoria e, di conseguenza, si manifesta (in uncerto momento dell’evoluzione storica) compiutamente nel-l’albo edittale. Ciò, in primo luogo, con la creazione (moltoverisimilmente a struttura storicamente stratificata 5) dell’edittorelativo ai giudizi di buona fede 6.

Occorre a questo punto osservare, in parallelo a tale azionemagistratuale, l’attività ordinatrice (con terminologia modernasi potrebbe dire sistematrice, anche se forse la parola evoca peril romanista forti toni postlinneani e soprattutto savigniani che

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2 Cfr. supra 292 ss.3 Si v. supra 372 ss.4 Cfr. infra 477 ss.5 In letteratura, tra i molti contributi (anche di tipo generale), si v. J. M. KELLY,

The Growth-Pattern of the Praetor’s Edict, in Irish Jurist 1 (1966) 341 ss.; A. WAT-SON, The Development of the Praetor’s Edict, in JRS. 60 (1970) 105 ss. [=Lawmaking cit. 31, su cui si v. le rec. di O. BEHRENDS, in ZSS. 92 (1975) 301 ss.; M. KA-SER, in TR. 45 (1977) 161 ss.]; A. GUARINO, La formazione dell’editto pretorio, inANRW. II/13 (Berlin-New York 1980) 62 ss. [=PDR. IV cit. 296 ss.]; D. MANTO-VANI, Gli esordi cit. 61 ss. (con ampia bibliografia a p. 77 nt. 65).

6 Per un tentativo di ricostruzione si v. O. LENEL, EP.3 cit. 288 ss. (Tit. XIX,§§ 106-112, specificamente per i giudizi relativi ai contratti consensuali si v. §§ 108-111, p. 295 ss.); cfr. infra 477 ss.

ovviamente sarebbero fuori posto in un discorso come quelloche si sta svolgendo 7) della scienza giuridica rispetto alla realtàche viene affermandosi (all’inverarsi della quale naturalmentegli stessi giuristi hanno contribuito nella loro qualificazionecautelare e respondente).

Non è questa naturalmente la sede per esaminare i pro-blemi, particolarmente dibattuti, della nascita e del primitivoatteggiarsi del lavorio ordinatore nella letteratura giuridica ro-mana. Un punto di partenza saldo della tendenza sistematriceè comunque costituito dalla figura di Quinto Mucio Scevola ilPontefice, che per primo, secondo la scarna ma pregnante no-tizia pomponiana, immediatamente dopo la generazione dei«fondatori» del ius civile, che avevano peraltro stabilizzato unaimportante tendenza alla scrittura del testo giuridico 8, «costi-tuì» il diritto civile «per generi» nei suoi diciotto libri 9.

Poco, purtroppo troppo poco 10, conosciamo della tratta-

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 401

7 Ma ovviamente si devono tenere in conto, anche sotto questo profilo, le in-fluenze del diritto romano; sul punto si v., ad esempio, W. WOŁODKIEWICZ, Les ori-gines romaines de la systématique du droit civil contemporain, in Conferenze e studi[Acc. Polacca delle Scienze - Bibl. e Centro studi a Roma] 76 (1978) 1 ss.

8 Sui «fondatori»: D. 1.2.2.39-40 (Pomp. l. s. ench.); per quel che riguarda l’im-portanza della scrittura come «conquista di un solido livello di pensiero astratto» siv. soprattutto A. SCHIAVONE, Giuristi e nobili cit. spec. 50, cfr. S. TONDO, Note ese-getiche sulla giurisprudenza romana, in Iura 30 (1979) 43 ss.; G. CALBOLI, Aspettiprosopografici nella cultura giuridica tardo-repubblicana, in Per la storia del pen-siero giuridico romano [I] cit. 48. Per il ruolo, da questo punto di vista, dei decemlibelli di Publio Mucio cfr. anche F. BONA, Sulla fonte di Cicero, ‘de oratore’,1,56,239-240 e sulla cronologia dei ‘decem libelli’ di P. Mucio Scevola, in SDHI. 39(1973) 425 ss., con le osservazioni critiche di A. GUARINO, La coerenza di PublioMucio (Napoli 1981) 24 s. Sull’aspetto quantitativo in relazione alla letteratura giu-ridica disponibile ad inizio I secolo a. C. si v. F. BONA, Cicerone e i ‘libri iuris civi-lis’ di Quinto Mucio Scevola, in Questioni di giurisprudenza tardo-repubblicana cit.237 s.; cfr. anche F. DE MARINI AVONZO, La trasmissione dei testi giuridici romaninell’età repubblicana, in Scritti in onore di M. Casanova (Milano 1971) spec. 213 ss.

9 D. 1.2.2.41 (l. s. ench.). Post hos QUINTUS MUCIUS Publii filius pontifex maxi-mus ius civile primus constituit generatim in libros decem et octo redigendo. Cfr. O.BEHRENDS, Die Wissenschaftslehre cit. 265 ss.

10 Si ricordi il significativo lamento (probabilmente ingiusto nei confronti diCicerone) di FR. SCHULZ, Storia della giurisprudenza romana cit. 172, relativo allamancata tradizione dei libri civilistici muciani: «possiamo ben lamentarci del fatoche ha conservato un’opera così assolutamente priva di valore come il De legibus di

zione dei problemi consensualistici nell’opera sistematica 11 delgrande giurista repubblicano, il cui lavoro in diciotto libri or-dinato per generi, com’è noto, ci è pervenuto molto frammen-tariamente e solo in via indiretta 12.

Oltre alle scarne esplicite citazioni dei diciotto libri conte-nute nei richiami della più tarda giurisprudenza, un riferi-mento, importante anche se costituisce poco più di una traccia(peraltro alquanto malsicura per via degli aggiornamenti chenon sono solo contenutistici, se pure è stato affermato che è«ragionevole» fidarsi del rapporto di commento 13) 14, è quellorinvenibile nelle citazioni del commento di Pomponio adQuintum Mucium. Il giurista antoniniano tratta della compra-vendita nel suo libro XXXI, della societas (e/o della com-

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Cicerone, mentre ha lasciato che perisse il libro che ha posto le basi non solo dellagiurisprudenza romana, ma di quella europea».

11 La ricostruzione dei libri iuris civilis di Mucio è estremamente ardua a par-tire dai poveri riferimenti pervenutici attraverso il commentario pomponiano adQuintum Mucium, così già O. LENEL, Das Sabinussystem, dalla Festgabe derRechts- und Staatswissenschaftlichen Fakultät zu Strassburg zum Doctor-Jubiläumvon R. von Ihering (Strassburg 1892) 10, 15 [=Gesammelte Schriften II (Napoli1990) 10, 15]; poi P. FREZZA, Osservazioni sopra il sistema di Sabino, in RISG. n.s.8/2 (1933) 449 nt. 2 [=Scritti I cit. 230 nt. 2].

12 Nei Digesta sono conservati esclusivamente frammenti dal libro singolarehoron, che del resto è l’unico tra quelli di Mucio rammentato nell’Index Florentinus(cfr. TH. MOMMSEN, ed. maior I lii*): sono raccolti da O. LENEL, Palingenesia I cit.762 s., Q. Mucius 45-50. Tutto il resto sono citazioni, dai libri iuris civilis (Palinge-nesia I cit. 757 ss., Q. Mucius 1-44), e da luoghi incerti (Palingenesia I cit. 763 s., Q.Mucius 51-56, di questi numeri leneliani solo due provengono dai Digesta, gli altrida Cicerone, Gellio, Varrone).

13 Così F. BONA, Cicerone e i ‘libri iuris civilis’ di Quinto Mucio Scevola, inQuestioni di giurisprudenza tardo-repubblicana cit. 265 nt. 171.

14 Lo schema dei libri civilistici muciani si trova in O. LENEL, PalingenesiaI cit. 757 ss.; cfr. ID., Das Sabinussystem cit. 11 ss. [=Gesammelte Schriften II cit.11 ss.]; F. P. BREMER, Iurisprudentiae antehadrianae quae supersunt I cit. 58 ss.;P. KRÜGER, Geschichte der Quellen2 cit. 64; G. LEPOINTE, Quintus Mucius ScaevolaI (Paris 1926) 53 ss., 127 ss.; FR. SCHULZ, Storia della giurisprudenza romanacit. 172 s.; A. WATSON, Law making cit. 143 ss.; D. LIEBS, Rechtsschulen und Re-chtsunterricht im Prinzipat, in ANRW. II/15 (Berlin-New York 1976) 223. Per la«traccia» cui si fa cenno nel testo ancora utile S. DI MARZO, Saggi critici sui libri diPomponio ‘ad Q. Mucium’ (Palermo 1899) [=Labeo 7 (1961) 218 ss., 352 ss.]; cfr.D. LIEBS, ‘Variae lectiones’ (Zwei Juristenschriften), in Studi in onore di E. VolterraV cit. 72 ss.

munio) nei libri XXXV e XXXVI 15. La citazione di Mucio inD. 19.1.40 (31 ad Q. Muc.) 16, che certamente – per la descri-zione del rapporto, la definizione dell’oggetto negoziale e laterminologia utilizzata – si riferisce alla compravendita con-sensuale obbligatoria, sembrerebbe attestare un interesse delgiurista repubblicano per il tema dei contratti consensuali, eproprio nell’opera sua per eccellenza dedicata alla disaminadella prospettiva civilistica del diritto di Roma 17. Ma la tratta-zione potrebbe essere innestata, per «digressione» 18, su quella

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 403

15 Cfr. O. LENEL, Das Sabinussystem cit. 14 [=Gesammelte Schriften II cit.14].

16 Quintus Mucius scribit: dominus fundi de praedio arbores stantes vendideratet pro his rebus pecuniam accepit et tradere nolebat: emptor quaerebat, quid se fa-cere oporteret, et verebatur, ne hae arbores eius non viderentur factae. POMPONIUS:arborum, quae in fundo continentur, non est separatum corpus a fundo et ideo ut do-minus suas specialiter arbores vindicare emptor non poterit: sed ex empto habet ac-tionem. Come si può vedere l’inquadramento problematico (sia pure in una moda-lità inversa), relativo all’obbligo delle parti in un’emptio venditio, non è diverso daquello molto probabilmente affrontato da Sesto Elio e tramandato da Celso (D.19.1.38.1 [8 dig.]), che si è discusso supra 305 ss. Il rifiuto del venditore di traderele arbores sarebbe oggetto dell’interesse certamente già di Quinto Mucio secondoM. LAURIA, ‘Ius Romanum’ I/1 (Napoli 1963) 145; Pomponio, da parte sua, speci-fica che il compratore non è divenuto dominus (dunque non può esperire la vindi-catio), ma sulla base dell’accordo può agire ex empto per la consegna.

17 Il fatto che il frammento si riferisca ai libri iuris civilis è attestato da due ele-menti: il primo è la traccia pomponiana, il secondo l’esordio del testo: Quintus Mu-cius scribit non può riferirsi ad una citazione orale del giurista, in qualche modo ‘re-cuperata’ da Pomponio nel suo commento (né pare probabile un riferimento ai librihoron). Enfatizza forse eccessivamente la caratteristica strettamente (anzi: unica-mente) ‘civilistica’ dei libri XVIII muciani V. GIUFFRÈ, La traccia di Quinto Muciocit., ma cfr. le valide osservazioni contrarie di D. MANTOVANI, Gli esordi cit. spec.109, che basa la sua valutazione del rapporto tra il giurista repubblicano e l’editto sudi un approfondito esame diretto delle testimonianze e dei frammenti nei qualiQuinto Mucio affronta materie al di fuori dell’antico ius civile (ci si potrebbe porrela domanda palingenetica e cioè quanto di questo materiale fosse conosciuto alla piùtarda giurisprudenza attraverso i libri XVIII e quanto, invece, per tramite di diversatradizione, in particolare dell’attività respondente del Pontefice); sul punto, ora, an-che E. STOLFI, Studi sui ‘libri ad edictum’ di Pomponio I cit. 314 s. nt. 32.

18 Cfr. P. FREZZA, Osservazioni sopra il sistema di Sabino cit. 449 nt. 2 [=ScrittiI cit. 230 nt. 2]: «Ma la trattazione della vendita era autonoma o consisteva, comequella di Sabino, in digressioni occasionate dalla esposizione della dottrina dellamancipatio? Mancano elementi per decidere la questione pur non potendosi disco-

della mancipatio (per attrazione: negozi il cui fine ultimo 19 èquello del trasferimento), come – del resto – l’interesse di Mu-cio per la societas consensuale è strettamente correlato conquello del primitivo consorzio 20. La vendita consensuale in-somma «non sembra essergli molto presente» 21, è difficile, in-fatti, tra i non moltissimi lacerti della sua opera, trovare qual-cosa, oltre un’opinione in materia di in diem addictio 22. E non

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noscere il valore dell’analogia con i risultati certi conseguiti nella ricostruzione del-l’opera di Sabino». Sui collegamenti proposti da Frezza con la sistematica masu-riana si v. infra 418 su ntt. 72 e ss. Sulle connessioni tra argomenti per «associazionedi idee» nell’opera della giurisprudenza romana si v. C. GIOFFREDI, Aspetti della si-stematica gaiana, in Nuovi studi di diritto greco e romano (Romae 1980) 254.

19 Bisogna essere vaghi, perché, com’è noto l’effetto proprio dell’emptio ven-ditio è meramente obbligatorio e non reale; ma è pur vero che i giuristi romani benintendevano la funzione economico-sociale del contratto. D’altra parte la mancipa-zione aveva ben presto assunto astrattezza ed era, com’è noto, duttilmente utiliz-zata a diversi fini, cfr. per un inquadramento generale M. TALAMANCA, Istituzionicit. spec. 433 s.

20 Cfr. subito infra nel testo.21 Così D. MANTOVANI, Gli esordi cit. 107.22 D. 18.2.11.1, 13 pr. (Ulp. 28 ad Sab.). Item quod Sabinus ait, si tribus ven-

dentibus duo posteriori addixerint, unus non admiserit adiectionem, huius partempriori, duorum posteriori emptam, ita demum verum est, si variis pretiis partes suasdistraxerunt. 13 pr. Quod si uno pretio vendiderint, dicendum est totam priori emp-tam manere, quaemadmodum si quis mihi totum fundum ad diem addixisset, posteavero pretio adiecto dimidium alii addixerit. Celsus quoque libro octavo digestorumrefert Mucium Brutum Labeonem quod Sabinum existimare: ipse quoque Celsusidem probat et adicit mirari se a nemine animadversum quod si prior emptor itacontraxit, ut nisi totum, fundum emptum nollet habere, non habere eum eam par-tem emptam, quam unus ex sociis posteriori emptori addicere noluit. Sul testo si v.M. TALAMANCA, Costruzione giuridica cit. 20 s. (cfr. anche nt. 61 a p. 318 s., per l’i-dentificazione con Quinto Mucio, in critica all’opinione di M. BRETONE, Tecniche eideologie2 cit. 266 nt. 34, che riconosce nel Mucius del testo non Quinto, ma piut-tosto il padre Publio); D. MANTOVANI, Gli esordi cit. 103, 107. Malgrado la col-locazione celsina (e quella – conseguente – giustinianea), che utilizza l’opinione diQuinto Mucio in materia di emptio venditio, mi pare poi poco probabile cheD. 18.1.59 (Cels. 8 dig.) [O. LENEL, Palingenesia I cit. 761, Q. Mucius 35]. Cumvenderes fundum, non dixisti ‘ita ut optimus maximusque’: verum est, quod QuintoMucio placebat, non liberum, sed qualis esset fundum praestari oportere. Idem et inurbanis praediis dicendum est, in cui si afferma che il venditore, in caso di fondoalienato senza la dichiarazione ‘ita ut optimus maximusque’, non risponde dei viziriguardanti la condizione giuridica del terreno, sia riferibile alla compravendita con-sensuale (così A. WATSON, The Law of Obligations cit. 79 s., che nel confronto con

si può essere nemmeno assolutamente certi nell’attribuzione 23.Maggiore l’interesse dedicato alla societas 24; un’attestazionecerta è relativa al XIV libro iuris civilis dell’antico giurista re-pubblicano 25. Mancano, invece – a quanto pare – riferimentidiretti alla locazione conduzione e al mandato, ma ciò non reseimpossibile ad Otto Lenel di ipotizzare una rubrica de man-dato, sulla base della citazione celsina contenuta in D. 17.1.48(7 dig.) 26.

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 405

Cic. de orat. 1.39.178 e de off. 3.16.67 deve ridurre la soluzione del Pontefice alla re-ticenza non dolosa) e non piuttosto alla mancipatio, con la responsabilità auctorita-tis nomine (come pensa ad esempio F. BONA, Cicerone e i ‘libri iuris civilis’ diQuinto Mucio Scevola cit. 233 nt. 65, il quale però crede che Mucio abbia trattatoanche della responsabilità ex empto a carico del venditore che avesse alienato fonditacendo dei vizi occulti); sul punto si v. anche D. MANTOVANI, Gli esordi cit. 107 nt.161. Si noti come nella littera Florentina si trovasse originariamente ‘Quinto titius’,emendato dal primo librarius in Quinto titio (la stessa correzione si trova anche nelcodice Parisinus n. 4450); già in età bolognese si propose Quinto Mucio ed il mi-glioramento appare pressoché certo (cfr. TH. MOMMSEN, ed. maior I cit. 522, adh. l., in apparato critico); l’errore Quintus Titius è ricorrente nelle citazioni del giu-rista repubblicano che si rinvengono nella tradizione dei Digesta giustinianei (esempre corretto già in epoca bolognese), si v. ad esempio anche D. 34.2.33 (Pomp.4 ad Q. Muc.), su cui, per tutti, B. ALBANESE, Volontà negoziale e forma in una te-stimonianza di Q. Mucio Scevola, in ‘De iustitia et iure’. Festgabe U. von Lübtowcit. spec. 157 [=Scritti giuridici II (Palermo 1991) 1527].

23 Anche se l’ipotesi che si trattasse di Publio Mucio fa rimontare ad una ge-nerazione precedente l’interesse per la compravendita consensuale; ma non è questoil problema che qui si affronta, interessando maggiormente la prospettiva sistema-tica. Sul problema della risalenza della valutazione giurisprudenziale dei contratticonsensuali (della emptio venditio in particolare) si v. più ampiamente supra capp.IV-V (con il riferimento a Sesto Elio e a Catone Censorio).

24 Si possono attribuirgli almeno l’opinione sulle partes lucri et damni nella so-cietà omnium bonorum che susciterà la nota risposta di Servio Sulpicio (Gai 3.149;D. 17.2.30 [Paul. 6 Sab.]; I. 3.25.2= O. LENEL, Palingenesia I cit. 758, Q. Mucius 8),l’opinione sui conferimenti di eredità, legati e donazioni nella societas quaestus ge-nerale (D. 17.2.7.9, 11 [Ulp. 30 ad Sab.]= O. LENEL, Palingenesia I cit. 758, Q. Mu-cius 7); forse anche il principio dell’efficacia del recesso comunicato dal socio alprocurator (D. 17.2.65.8 [Paul. 32 ad ed.]); da ultimo, per un inquadramento com-plessivo di questi problemi, con gli opportuni rinvii bibliografici, D. MANTOVANI,Gli esordi cit. 107 nt. 163.

25 D. 17.2.30 (Paul. 6 Sab.) [corrispondenze, anche palingenetiche, supra in nt.24]; sul punto: F. BONA, Cicerone e i ‘libri iuris civilis’ di Quinto Mucio Scevola cit.265 nt. 170 [da p. 264].

26 Palingenesia I cit. 762, Q. Mucius 44.

Ma bisogna tenere presente anche una prospettazione ge-nerale, particolarmente importante, nella quale il giurista re-pubblicano mostra di avere ben presenti i giudizi di buonafede e la loro importanza pratica nella vita giuridica della co-munità romana. Il testo è notissimo:

Cic. de off. 3.17.70. Q. quidem Scaevola pontifex maximussummam vim esse dicebat in omnibus iis arbitriis in quibusadderetur ex fide bona fideique bonae nomen existimabatmanare latissime idque versari in tutelis societatibus fidu-ciis mandatis rebus emptis venditis conductis locatis qui-bus vitae societas contineretur in iis magni esse iudicis sta-tuere praesertim cum in plerisque essent iudicia contrariaquid quemque cuique praestare oporteret.

Il ricordo di Cicerone rinvia all’opinione di Mucio sullasumma vis che si rinveniva in alcuni giudizi, qualificati esplici-tamente come arbitria, nei quali si aggiungeva la locuzione exfide bona; tra questi, in particolare, la bona fides rilevava comenomen (dunque come ‘concetto’ 27), impregnando di sé il rap-porto (dedotto in giudizio) in tutte quelle strutture giuridicheche servivano a regolare rapporti di vita relazionali. La serie 28

si apre con le relazioni tutelari (in cui è chiaro il ruolo della fi-des), per continuare: in … societatibus fiduciis mandatis rebusemptis venditis conductis locatis. Com’è chiaro ricorrono, in-tercalati dalle fiduciae, quelli che saranno i contratti consen-suali, in un ordine che probabilmente rispecchia da vicino pro-

406 CAPITOLO SETTIMO

27 Cfr. P. VOCI, Le obbligazioni romane (Corso di Pandette). Il contenutodell’ ‘obligatio’ I/1 (Milano 1969) 65 e nt. 66.

28 Coeve le altre due testimonianze ciceroniane in de nat. deor. 3.30.74, in cuiricorre una serie di giudizi infamanti (tra i quali tutelae mandati pro socio fiduciae)cui sono aggiunti, in quanto contra fidem, anche le azioni ex empto aut vendito autconducto aut locato (sull’inserzione, oltre a L. LOMBARDI, Dalla ‘fides’ alla ‘bona fi-des’ [Milano 1961] 165 ss., si v. S. DI SALVO, ‘Lex Laetoria’. Minore età e crisi socialetra il III e il II a. C. [Napoli 1979] spec. 119 ss., con un’esatta osservazione in nt.14 a p. 120; sulla sequenza delle azioni: M. LAURIA, Cic. ‘de nat. deor.’ 3.30 § 74 a.709/45-710/44, in ANA. 101 [1990] 103 ss.); sull’additio della bona fides cfr. anchetop. 17.66 (in cui ricorrono actio rei uxoriae, società, negotiorum gestio, mandato).

prio quanto il giurista repubblicano intendeva per societas vi-tae. Da rilevare la caratterizzazione di compravendita e condu-zione locazione 29 (che proprio in tale prospettiva chiudonol’elenco) come res. La chiusa – significativa – mostra la neces-sità di un magnus iudex per quei casi, nei quali proprio la im-manenza della buona fede prevede la possibilità di iudicia con-traria 30.

Assolutamente centrale per quanto riguarda la posizione diQuinto Mucio è, tuttavia, ed oltre la prospettiva di tipo pro-cessuale, un passo tramandato attraverso il commentario pom-poniano:

D. 46.3.80 (4 ad Q. Muc.). Prout quidque contractum est,ita et solvi debet: ut, cum re contraxerimus, re solvi debet:veluti cum mutuum dedimus, ut retro pecuniae tantundemsolvi debeat. Et cum verbis aliquid contraximus, vel re velverbis obligatio solvi debet, verbis, veluti cum acceptumpromissori fit, re, veluti cum solvit quod promisit. Aequecum emptio vel venditio vel locatio contracta est, quoniamconsensu nudo contrahi potest, etiam dissensu contrariodissolvi potest.

Naturalmente, il primo punto da discutere è quello dellariferibilità del contenuto del frammento (ovvero almeno diparte di esso) al grande giurista repubblicano 31, e ciò in man-canza di un richiamo esplicito a Mucio 32. Se da tempo la ro-

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 407

29 Particolare l’inversione del tipico ordine locatio (et) conductio, cfr. infra 470.30 Sul ruolo del giudice si v. ora le importanti riflessioni di O. BEHRENDS,

Dalla mediazione arbitrale alla protezione giudiziaria. Genesi e vicende delle for-mule di buona fede e delle cd. ‘formulae in factum conceptae’, in Diritto e giustizianel processo. Prospettive storiche, costituzionali e comparatistiche a c. di C. CA-SCIONE, C. MASI DORIA (Napoli 2002) 197 ss.

31 Per ciò che riguarda la costruzione del testo, F. BONA, Cicerone e i ‘libri iu-ris civilis’ di Quinto Mucio Scevola cit. 254 nt. 135 [da p. 253], asserisce che senzadifficoltà si potrebbe riformulare un’originaria forma infinitiva «in dipendenza diun dicebat o di un existimabat», così da avvicinare il passo alla tradizione mucianain Cic. de off. 3.17.70 (ove, appunto, Q. … Mucius … dicebat).

32 Importanti notazioni, anche quantitative, in A. SCHIAVONE, Giuristi e nobilicit. 54 s.

manistica ha riconosciuto giustamente nel testo un nucleo mu-ciano 33, resta da esaminare da una parte la possibilità di qual-che alterazione della scrittura muciana, dall’altra la valutazionedell’eventuale intervento pomponiano 34. Dal primo punto divista è piuttosto semplice la notazione della caduta di un rife-rimento alle obbligazioni litteris per il motivo noto dell’esclu-sione (quasi completa) di tale tipologia dall’ottica giustinia-nea 35. Più articolato il problema relativo all’emendazione ormaicorrente di dissensu in consensu nell’ultimo tratto del fram-mento 36. E ciò perché da aeque in poi rileva una sconnessionedel discorso – già individuata da Cannata 37 –, importante perindividuare il rapporto testo (Mucio)/commento (Pomponio).E non è vero che non soccorrano elementi lessicali per tale ri-conoscimento, come pure è stato autorevolmente affermato 38.

Bisogna poi aggiungere che la digressione muciana sisvolge nell’ambito di una trattazione dedicata al legato: di taleistituto Pomponio tratta – infatti – sia nel libro precedente, sianei cinque libri successivi al quarto, qui in questione 39. Co-munque ciò non impedisce una dottrina di valore generale

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33 Cfr. già P. VOCI, La dottrina romana cit. 80 ss. (con nt. 2 a p. 80); poi so-prattutto R. KNÜTEL, ‘Contrarius consensus’ cit. 10 ss.; B. SCHMIDLIN, Die römischeRechtsregeln cit. 74 ss.; C. A. CANNATA, La ‘distinctio’ cit. 341 ss.; A. SCHIAVONE,Giuristi e nobili cit. 54 ss. Una sintesi della letteratura critica si trova in Index In-terpolationum III cit. 453.

34 Sull’articolazione dei due problemi si v. A. SCHIAVONE, Giuristi e nobili cit.55.

35 Ma la motivazione potrebbe essere diversa da quella corrente: E. BETTI, Ap-punti di teoria dell’obbligazione in diritto romano III. L’estinzione dell’obbligazione(Roma 1958) 10, sostiene che la menzione manca con riferimento alla «funzionemeramente probatoria, mediante la registrazione nel codex».

36 A. GUARINO, Per la storia del ‘contrarius consensus’ cit. 271 nt. 1, 276 nt. 39[=PDR. VI cit. 232 nt. 1, 238 nt. 39]; C. A. CANNATA, La ‘distinctio’ cit. spec. 442s.; A. SCHIAVONE, Giuristi e nobili cit. 55 e nt. 74.

37 La ‘distinctio’ cit. 440.38 Da A. SCHIAVONE, Giuristi e nobili cit. 56. Sul punto si v. infra nel testo.39 Cfr. O. LENEL, Palingenesia I cit. 61 ss., Pomponius 228 ss. (in particolare

nel libro III ad Q. Mucium sarebbe stata presente un’appendice de testamentis 3[=D. 26.2.9=L. 227], e poi avrebbe avuto inizio la serie de legatis 1 [L. 228-232], 2[= liber IV, L. 233-239], 3 [= liber V, L. 240-248], 4 [liber VI, L. 249-252], 5 [= liberVII, L. 253], 6 [= liber VIII, L. 254-260], 7 [= liber IX, L. 261-262]; il liber X è at-tribuito, dubitativamente al tema de legitima hereditate [L. 263-264]).

«che trascendeva l’occasione che l’aveva sollecitata» 40. Po-nendo il quidque contractum come momento che individua illegame, il giurista (Mucio o piuttosto Pomponio?) pone unaserie di casi che individuano le circostanze del «contrarre»(viene usato il verbo contrahere), e le corrispettive modalitàdella solutio dall’obbligazione, addivenendo (almeno nella pro-spettiva pomponiana, o giustinianea? Quest’ultima è esplicita-mente quella de solutionibus et liberationibus, secondo il datoletterale della rubrica del titolo 46.3 dei Digesta) ad un nucleodi teoria dell’atto contrario. L’allusione ad una «necessità dipossibilità» da parte di Mucio 41 sarebbe di grande importanzaai fini di una piuttosto risalente caratterizzazione unitaria delfenomeno obbligatorio 42. La regola non starebbe cioè nel fattoche il rapporto giuridico debba in ogni caso essere sciolto at-traverso una modalità (inversa) perfettamente corrispondente aquella per mezzo della quale era stato costituito, ma che talemodalità, analoga e con direzione contraria a quella genetica,debba essere ammissibile come stumento per l’estinzione 43. Sela risalenza della ‘legge della simmetria’, per come nel testo deiDigesta riferibile a tutte le tipologie obbligatorie a matricecontrattuale 44, è stata anche di recente riferita ad una visione

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 409

40 F. BONA, Cicerone e i ‘libri iuris civilis’ di Quinto Mucio Scevola cit. 255 nt.135 [da p. 253], che continua: «a meno di supporre gratuitamente che sia stato Pom-ponio ad averla trasferita qui da un’altra sede, in cui avrebbe anche potuto svolgereuna sua funzione ai nostri occhi più congeniale alla materia cui sembra riferirsi».

41 Cfr. R. KNÜTEL, ‘Contrarius consensus’ cit. 11 s.; C. A. CANNATA, La ‘di-stinctio’ cit. 441 s.; ID., Considerazioni sul testo e la portata originaria del secondocapo della ‘Lex Aquilia’, in Index 22 (1994) 154; S. TONDO, Classificazioni dellefonti d’obbligazione cit. 42 [=in Labeo 41 cit. 374].

42 Cfr. il richiamo di W. WOÒODKIEWICZ, ‘Obligationes ex variis causarum fi-guriis’, in RISG. 97 (1970) 137 (con altra letteratura) a Dion. Hal. 4.13.1 (anche inFIRA.2 I 16 s., Servius Tullius nr. 1), sulle leggi serviane «approvate dalle fratrie»,relative ai synallagmata ed ai delitti (sul punto si v. anche S. TONDO, Classificazionidelle fonti d’obbligazione cit. 41 s. [=in Labeo 41 cit. 373 s.]).

43 Così C. A. CANNATA, Considerazioni sul testo e la portata originaria del se-condo capo della ‘Lex Aquilia’ cit. 154.

44 L’enunciazione si trova, per le obbligazioni consensuali, anche in D.50.17.35 (Ulp. 48 ad Sab.). Nihil tam naturale est quam eo genere quidque dissol-vere, quo colligatum est. Ideo verborum obligatio verbis tollitur: nudi consensus

almeno tardoclassica (quando non postclassica) 45, si è d’altraparte ipotizzato che la regola del contrarius actus potesse va-lere (almeno per le obbligazioni verbis) già nella riflessionegiurisprudenziale del III secolo a. C. (che avrebbe costituito ilreferente di Quinto Mucio) 46. Ma interessa qui, prima di tutto,la sequela con tutta verisimiglianza almeno in parte ordinatagià da Quinto Mucio: re, verbis, consensu. I tre ablativi corri-spondono sostanzialmente – come si può facilmente notare –alla serie gaiana delle fonti delle obligationes ex contractu: lamancanza nel testo dei Digesta della modalità litteris, come si ègià accennato, non sorprende: essa è tipica della Compilazionegiustinianea 47, dunque una piccola interpolazione privativa perescludere una tipologia obbligatoria obliterata già nella prassi

410 CAPITOLO SETTIMO

obligatio contrario consensu dissolvitur. Nel testo (sospettato, v. supra 185 nt. 81)manca la serie, che si riduce ai due termini forse più espressivi in tale contesto: leparole contrarie ed il (semplice) consenso contrario. Più generali le affermazioni chesi rinvengono in D. 50.17.153 (Paul. 65 ad ed.). Fere quibuscumque modis obliga-mur, isdem in contrarium actis liberamur, cum quibus modis adquirimus, isdem incontrarium actis amittimus. Ut igitur nulla possessio adquiri nisi animo et corporepotest, ita nulla amittitur, nisi in qua utrumque in contrarium actum est; ed inD. 50.17.100 (Gai. 1 reg.). Omnia, quae iure contrahuntur, contrario iure pereunt.Su tale principio di simmetria (oltre alla bibliografia citata in nt. successiva), si v. L.MITTEIS, Römisches Privatrecht I cit. 273 ss.; A. HÄGERSTRÖM, Der römische Obli-gationsbegriff I cit. 422 ss. nt. 2; M. KASER, Das römische Privatrecht2 I cit. 230, cfr.635 s.; R. KNÜTEL, Zum Prinzip der formalen Korrespondenz im römischen Recht,in ZSS. 88 (1971) 67 ss.

45 Si v. soprattutto R. KNÜTEL, ‘Contrarius consensus’ cit. 11 s., il quale mentreattribuisce nella sostanza l’enunciazione di principio a Quinto Mucio (cfr. ancheID., Zum Prinzip der formalen Korrespondenz cit. spec. 100); D. LIEBS, ‘Contrariusactus’. Zur Entstehung des römischen Erlaßvertrags, in Sympotica F. Wieacker sexa-genario Sasbachwaldeni a suis libata (Göttingen 1970) 111 ss., 150 s. e nt. 162 (cfr.114 nt. 17); B. SCHMIDLIN, Die römische Rechtsregeln cit. 74 s. Svolgendo l’esegesidi C. 4.58.5 (a. 386), U. MANTHE, Zur Wandlung des ‘servus fugitivus’, in TR. 44(1976) 143 s., reputa il testo pomponiano frutto di una sistemazione postclassica.Per un cenno nello stesso senso si v. anche W. FLUME, Rechtsakt und Rechts-verhältnis. Römische Jurisprudenz und modernrechtliches Denken (Paderborn-München-Wien-Zürich 1990) 50.

46 Cfr. C. A. CANNATA, Considerazioni sul testo e la portata originaria del se-condo capo della ‘Lex Aquilia’ cit. 154.

47 La serie di Gaio si trova in inst. 3.89, su cui infra 430 ss.; per il taglio com-pilatorio cfr. pure S. TONDO, Classificazioni delle fonti d’obbligazione cit. 42 [=inLabeo 41 cit. 374].

postclassica. In particolare, della serie, è rilevante l’articolazio-ne, che nella sua discontinuità può servire all’interpretazionestorica del problema delle fonti d’obbligazione, soprattuttodella connessione tra le obligationes re, verbis e litteris conquelle consensu. Nell’alternanza contrahere - solvere, ripetuta,appare a prima vista interessante come mentre le categorie re everbis vengano preventivamente caratterizzate dal nome gene-rico che indica il comportamento (la res che si consegna e si re-stituisce; i verba che si pronunciano per la costituzione delrapporto, e – inversamente – anche per la sua dissoluzione), laterza sia immediatamente rappresentata con l’esemplificazione,per poi essere definita attraverso l’uso di consensus (che è nu-dus per indicare l’essere suo spoglio di qualsiasi rivestimentoformale). Dunque, se il mutuo diviene, nel discorso del giu-rista, caratterizzazione tangibile dell’obbligazione re, ancheattraverso l’introduttivo velut, e pure l’acceptio ovvero la pre-stazione «di quanto promesso» mostrano la loro natura acces-soria rispetto all’enunciazione ampia, valida per tutto il gene-rico tipo d’obbligazione (qui si usa veluti), dall’altra parteemptio venditio e locatio servono immediatamente ad indicarerapporti specifici, che solo in un momento ulteriore ricevonola prospettiva generalizzante (rispetto al genus tipologico).Non è probabilmente casuale la deviazione che si legge nel-l’aeque che apre questa parte del paragrafo, né tranquillizzanol’esegeta alcuni (sia pure non rilevantissimi) problemi testuali.Vi è un dato importante: la rappresentazione immediata delfatto non può essere data, nell’ultima articolazione del di-scorso del giurista, che con la presentazione del nome del ne-gozio, mentre l’essenza dello stesso (meglio, degli stessi, vistoche vengono usati i segni della vendita e della locazione) come(meramente) consensuale, emerge nel momento in cui si guar-da al dissolvi. Il frammento non è passato inosservato al vagliodella critica interpolazionistica: in particolare Perozzi 48 notò la

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 411

48 Il contratto consensuale cit. 179 [=Scritti giuridici II cit. 579]; nella stessa li-nea critica, ad esempio, anche S. DI MARZO, Saggi critici sui libri di Pomponio cit. 39s. [=in Labeo 7 cit. 246]; S. SOLAZZI, L’estinzione dell’obbligazione nel diritto ro-

discordanza tra la costituzione meramente verbis e lo scio-glimento vel re vel verbis (riducendo al solo secondo membrola possibilità classica di solutio), e poi anche l’inserzione di vellocato, che mostrerebbe – rispetto al testo pomponiano, checorrisponderebbe sostanzialmente al dettato di D. 18.5.3 (Paul.33 ad ed.) 49 – un improprio, anche se non esagerato (come inaltri casi) 50 – allargamento di prospettiva. Naturalmente, inuna visuale di tipo generale, con riguardo ai contratti consen-suali, lo scioglimento per mutuo dissenso (o contrario con-senso che dir si voglia) si può ottenere esclusivamente nel casoin cui il rapporto non abbia avuto (neppure inizio di) esecu-zione 51. Il problema in questa sede più rilevante sta nella pre-senza o meno nel testo originario muciano della emptio vendi-tio, poi viene – strettamente collegato con esso – quello dellaqualificazione della compravendita attraverso il consensus, cosache avrebbe permesso il discorso relativo allo scioglimentocosì come (al di là della considerazione di mende nella lettera-tura critica appena ricordata) in maniera generale riportato nelframmento nella sua forma compilatoria 52. Il punto a mio pa-rere dirimente è che nel latino dell’epoca di Quinto Mucio ilsostantivo consensus non esisteva ancora (fu introdotto, comesi è visto, da Cicerone 53), e dunque non poteva consistere inun concetto ordinatore, com’è invece nel testo di Pomponio,in cui serve – appunto – a costituire il punto di riferimento perdefinire lo scioglimento della emptio vel venditio e della loca-tio (i tipi esemplificativamente aggiunti dal commentatore alla

412 CAPITOLO SETTIMO

mano2 I (Napoli 1935) 16 s. (che a causa di tale intrusione, segnata d’«illogismo» ri-spetto alla premessa prout … ita solvi debet, faceva discendere l’inutilità del testo alfine del tentativo di storicizzazione del problema dell’estinzione attraverso la «pre-tesa legge di simmetria»); E. BETTI, Appunti di teoria dell’obbligazione III cit. 11.

49 Emptio et venditio sicut consensu contrahitur, ita contrario consensu resolvi-tur, antequam fuerit res secuta.

50 Si v. infra; cfr. anche S. DI MARZO, Saggi critici sui libri di Pomponio cit. 39s. [=in Labeo 7 cit. 246].

51 Cfr. E. BETTI, Appunti di teoria dell’obbligazione III cit. 11.52 Non considera supponibile l’aggiunta dell’emptio S. TONDO, Classificazioni

delle fonti d’obbligazione cit. 42 [=in Labeo 41 cit. 42].53 Cfr. supra 6.

digressione di Mucio sulle forme re, verbis e molto probabil-mente anche litteris). Dunque, considerando la prospettiva delcontrahere, bisogna, a mio giudizio, sostenere la limitazionedella parte originaria (muciana) del testo al primo tratto, chenon comprende l’esemplificazione dei negozi consensuali e laloro sussunzione tipologica.

Occorre fare un deciso passo in avanti. Se per Quinto Mu-cio ci troviamo ancora nell’insicurezza di scorgere se non latrattazione dei singoli tipi (divenuti di grande importanza nellavita del diritto), l’elaborazione di una (più o meno) precisa si-stematica relativa alla contrattualità consensuale, bisogna te-nere presente l’importanza rilevantissima nella storia della giu-risprudenza romana del I secolo a. C., a mezzo del quale (ed inuna prospettiva di contrasto accentuato proprio con l’operamuciana) si staglia la figura, fortemente innovatrice, di ServioSulpicio Rufo 54. È l’epoca di svolta, in cui l’editto pretorio as-sume quella centralità, nel sistema delle fonti, che manterrànell’epoca cd. classica ed assurge ad interesse della letteraturagiuridica, iniziandosi quella feconda interazione tra la giurisdi-zione pretoria e la giurisprudenza, che (oltre le forme della ri-chiesta di consiglio e dell’uditorato attivo di giuristi-assessori)si svolge attraverso la primaria forma letteraria del commento.

Si è visto come in Quinto Mucio molto probabilmente l’e-same di problemi relativi alle obbligazioni (che si diranno)consensu contractae sia affrontato (presumibilmente di sfuggitae quasi malvolentieri) per connessione con gli istituti in qual-che modo corrispondenti del più antico ius civile, senza che ainuovi contratti sia riconosciuta una qualche autonomia di trat-tazione. Essi rappresentano verisimilmente un’aggiunta ches’innesta su un’elaborazione che si fa sistematica, ma che rin-

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 413

54 Il contrasto, com’è noto, si può leggere nel titolo stesso dell’opera di Servio,per come tramandato da Gellio (4.1.20), reprehensa Scaevolae capita, e da GiulioPaolo: notata Mucii (D. 17.2.30 [6 ad Sab.]); il contrasto personale è rammentato daPomponio: 1.2.2.43 (l. s. ench.), testo sul quale sono da vedere le pagine, improntatead un netto scetticismo, di A. GUARINO, Mucio e Servio (Napoli 1994).

viene le proprie radici in un ordo già antico 55, e, pur attraversol’utilizzazione di nuovi strumenti conoscitivi e ordinatori, lemantiene salde.

Servio propone uno schema nuovo della contrattualità:parlando di contractus (bisogna rendersi conto della deviazioneche stiamo compiendo: dalla ricerca del consensus come crite-rio ordinatore di diverse tipologie obbligatorie nella giurispru-denza tardorepubblicana al contractus), il giurista restringe ilcampo di osservazione del fenomeno negoziale 56. Il testo di ri-ferimento è assai noto 57:

Gell. 4.4.2. Qui uxorem inquit ducturus erat, ab eo, undeducenda erat, stipulabatur eam in matrimonium datum iri;

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55 Non si può non accennare alla nota ipotesi di Mario LAURIA, relativa ad unordo iuris stabile fin dalle Dodici tavole (fino agli esiti ultimi dell’esperienza giuri-dica romana storica, ed oltre: fino all’alto medioevo); dello studioso napoletano sivedano, soprattutto, le opere sintetiche ‘Ius’. Visioni romane e moderne3 e ‘Ius Ro-manum’ I cit., sulle quali, oltre a F. D’IPPOLITO, L’‘ordo iuris’ e il suo enigma, in M.LAURIA, Studii e ricordi cit. ix ss., ed alle pagine di F. DE MARTINO, Lauria: ‘de bre-vitate vitae’ cit. spec. 5 s., 13 ss., basti il rinvio a F. WIEACKER, Römische Rechtsge-schichte I cit. spec. 466 nt. 25; A. GUARINO, Lauria: vicende di un’amicizia, in Tru-cioli di bottega 10 (Napoli 2003) 5 ss., che (in maniera diversa) sostanzialmente so-spendono il giudizio; mi sembra significativo il fatto che nel suo ricordo di LauriaM. BRETONE, La perla nella conchiglia, in Quaderni di storia 38 [1993] 117 ss., citilavori dello studioso napoletano solo fino al 1956 (cfr. la nota bibliografica a p. 129),e dunque all’uscita della prima edizione di ‘Ius’. Visioni cit. (vero spartiacque, se-condo A. GUARINO, l.u.c., dell’opera, ma anche della complicata vicenda umana diLauria).

56 Particolarmente significativo rispetto alla stabilizzazione serviana il passag-gio dal participio passato muciano (quidque contractum in D. 46.3.80) al sostantivoverbale astratto impiegato da Servio (contractus stipulationum sponsionumque inGell. 4.4.2), da confrontare con il più tardo non frequente impiego del segno con-tractus, prima di Gaio e di Pomponio, problema già posto in evidenza da G.GROSSO, Il sistema romano3 cit. 31, ma si veda anche S. E. WUNNER, ‘Contractus’cit. 42 ss., E. STOLFI, Studi sui ‘libri ad edictum’ di Pomponio II cit. 213 nt. 315.

57 Sia il lemma gelliano che il paragrafo 1 del capitolo 4.4, indicano come fonteil de dotibus di Servio Sulpicio, cfr. F. P. BREMER, Iurisprudentiae antehadrianaequae supersunt I cit. 226 s. (frg. 1 de dotibus); O. LENEL, Palingenesia II cit. 321 s.,Servius 3. Sul passo, in riferimento alle fonti in tema di sponsio, si v. ora, con am-piezza di confronto con la storiografia del diritto familiare romano-italico, U. BAR-TOCCI, ‘Spondebatur pecunia aut filia’. Funzione ed efficacia arcaica del ‘dicerespondeo’ (Roma 2002) spec. 28 ss.

qui ducturus erat, itidem spondebat. Is contractus stipula-tionum sponsionumque dicebatur ‘sponsalia’.

Malgrado l’unilateralità degli atti adibiti, l’impegno si co-struisce per le parti «nel segno d’una rigorosa reciprocità» 58.Anche al di là di un nesso qualificabile come genealogia scola-stica ovvero metodica 59, tale prospettiva sembra ripetersi inLabeone, che riporta la prima attestazione, in una serie nondifforme in modo sostanziale 60 da quella che si ritroverà (or-mai stabilizzata) nelle Istituzioni di Gaio 61, delle obbligazionia fonte consensuale (ma, bisogna subito rilevarlo, si tratta dellasequela che abbiamo definito ‘interna’ 62, senza la menzione

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 415

58 Così, testualmente, S. TONDO, Classificazioni delle fonti d’obbligazione cit.43 [=in Labeo 41 cit. 375]. Sul punto è diffusa l’analisi di A. SCHIAVONE, Studi sullelogiche cit. 52 ss.

59 Sarebbe l’argomento (a mio parere non del tutto compreso dai suoi con-traddittori scientifici) di O. BEHRENDS, Le due giurisprudenze romane e le formedelle loro argomentazioni, in Index 12 (1983-84) 191 ss.; critico sul punto della‘scuola’, ma sostanzialmente convergente nel risultato della lettura di una linea in-terpretativa che si svolge da Servio Sulpicio a Labeone, S. TONDO, Profilo di storiacostituzionale romana II (Milano 1993) 453 s.; ID., Classificazioni delle fonti d’ob-bligazione cit. 43 [=in Labeo 41 cit. 375]. Bisogna considerare anche l’opinione diA. D’ORS, ‘Creditum’ und ‘contractum’ cit. 73 ss., secondo il quale essendosi la no-zione di contratto sviluppata a partire dalla considerazione dei giudizi di buonafede (in primo luogo con riferimento alle fattispecie consensuali), solo in seguito sisarebbe avuta un’estensione della categoria contrattuale per includere anche i ne-gozi re, verbis e litteris (ampliamento realizzato non per ragioni teoriche, ma prati-che, in primo luogo per tenere conto in modo più approfondito delle dichiarazionidelle parti: si v. C. A. CANNATA, Sulla ‘divisio obligationum’ nel diritto romano re-pubblicano e classico, in Iura 21 [1970] 66 s.), cfr. supra 201 ss. «Come indizio» insenso contrario L. LANTELLA, Il lavoro sistematico cit. 233 s. nt. 293, propone che(s’intende: nella sistematica gaiana) «in un’ottica di questo tipo ci si aspetterebbepiuttosto una sequenza come consensus/re-verbis-litteris».

60 Dal punto di vista quantitativo manca solo il mandatum (ma si veda l’intro-duzione attraverso ‘velut’); dal punto di vista dell’ordine, è rispettato quello stessoche si rinviene in Gaio, con l’emptio venditio che apre la serie, seguita immedia-tamente dalla locatio conductio (la motivazione di questo ritmo è palese e risiedenella contiguità funzionale e strutturale dei due istituti), mentre la societas chiudel’elenco.

61 Cfr. infra 427 ss.62 Supra 399.

esplicita del consensus). Essa si trova in un notissimo testo ri-salente al giurista d’età augustea e tramandato nei Digesta at-traverso il commentario edittale ulpianeo:

D. 50.16.19 (Ulp. 11 ad ed.). Labeo libro primo praetorisurbani definit, quod quaedam ‘agantur’, quaedam ‘geran-tur’, quaedam ‘contrahantur’: et actum quidem generaleverbum esse, sive verbis, sive re quid agatur, ut in stipula-tione vel numeratione: contractum autem ultro citroqueobligationem, quod Graeci sunavllagma vocant, velutiemptionem venditionem, locationem conductionem, socie-tatem: gestum rem significare sine verbis factam.

Preso nella forma in cui ci è pervenuto, il passo rappre-senta una citazione (immediata) che Ulpiano fa di Labeone(sembra quasi che i compilatori abbiano voluto utilizzare i li-bri ad edictum ulpianei come mero tramite 63): il giurista del-l’età augustea costruisce una tripartizione in cui l’agere si con-trappone al gerere ed al contrahere. Nel contratto si legge l’ob-bligazione corrispettiva (con il riferimento al sunavllagma deiGreci), che secondo il testo giurisprudenziale si rinviene nel-

416 CAPITOLO SETTIMO

63 Com’è noto i giustinianei possedevano di Labeone (cfr. l’Index librorum delcodice fiorentino 7.1-2: TH. MOMMSEN, ed. maior I cit. p. lii*), e nemmeno in viaassolutamente diretta, esclusivamente i pithaná (nelle forme dell’epitome paolina:O. LENEL, Palingenesia I cit. 528 ss., Labeo 193-228) ed i posteriores nella versionesunteggiata da Giavoleno, pure con note di Paolo (Palingenesia I cit. 299 ss., Iavo-lenus 160-234); le testimonianze dei posteriores non giavoleiani (Palingenesia I cit.534 ss., Labeo 229-240) sono di diversa provenienza, ma non immediatamente la-beoniana (per le due opere si v. le riletture di W. FORMIGONI, ‘Piqanw`n a Paulo epi-tomatorum libri VIII’. Sulla funzione critica del giurista Iulius Paulus [Milano1996] – che segue uno spunto di M. TALAMANCA, I ‘pithaná’ di Labeone e la logicastoica, in Iura 26 [1975] 1 ss. – con la rec. di A. GUARINO, in Labeo 43 [1997] 108ss.; e di CHR. KOHLHAAS, Die Überlieferung der ‘libri posterires’ des Antistius La-beo [Pfaffenweiler 1986], con le ampie dettagliate osservazioni di D. MANTOVANI,Sull’origine dei ‘libri posteriores’ di Labeone, in Labeo 34 [1988] 271 ss.). Le testi-monianze edittali derivano a maggioranza proprio da Ulpiano (Palingenesia I cit.501 ss., Labeo 4 ss.): il testo in questione (Palingenesia I cit. 502, Labeo 5) è il soloche reca la specificazione relativa all’editto urbano, unico pendant peregrino è D.4.3.9.4, pure proveniente dall’XI libro ad edictum di Ulpiano (Palingenesia I cit.501, Labeo 4; sul punto si v. ibid. nt. 2)

l’emptio venditio, nella locatio conductio e nella societas, in tredei quattro contratti, cioè, che sono ricordati nelle fonti suc-cessive per costituire obligationes consensuali (manca, rispettoalla categoria ‘completa’, il mandatum) 64.

Seguendo uno svolgimento cronologico della costruzioneche si fa (progressivamente) sistematica (ovvero dell’ordine chemodifica i suoi rapporti interni), diviene centrale l’opera diMasurio Sabino, in particolare la sua trattazione civilistica intre libri, che in qualche modo si collega (rapportandosi ad essae rinnovandola) con l’opera iuris civilis di Quinto Mucio. Ilpunto di partenza sul tema della sistematica masuriana, impre-scindibile, resta il notissimo saggio di Otto Lenel pubblicatonel 1892 65. Il sommo 66 romanista sostenne che il giurista tibe-riano avrebbe trattato ex professo anche di emptio venditio e disocietas, di almeno due cioè dei quattro contratti consensuali.La «purezza strutturale» 67 del sistema sabiniano si può rintrac-ciare, come è evidente, nei commentari ad Sabinum (di Pom-ponio, Paolo, Ulpiano 68). Il fatto che in questi (per quantopervenutoci) la prospettiva contrattuale esclude i negozi reali 69

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 417

64 Innumerevoli sono i profili interessanti del passo, amplissima la bibliografiaromanistica che ne ha affrontato (complessivamente ovvero su singoli punti) l’in-terpretazione.

65 Das Sabinussystem (Strassburg 1892); indicazione della non vasta letteraturaprecedente in nt. 1 a p. 3.

66 Piace riprendere, specie su questi temi, l’aggettivazione superlativa utilizzatacon riferimento a Lenel da M. LAURIA; dello studioso napoletano si v. ‘Ius’. Visioni3

cit. 331 («Lenel, unico, sommo, insuperabile per molti riguardi»), 333 («Lenelsommo, saggio, dotto»); ID., ‘Ius Romanum’ I cit. 18; ID., ‘Institutiones’; ‘Sc. deBacchanalibus’; CI. 2.57(58); 2.58(59); 3.1-27, in Iura 29 (1978) 150 («sommo»), ecfr. L. AMIRANTE, ‘Sommo, unico’: Lauria ricorda Lenel, in Index 19 (1991) 163 ss.,spec. 167.

67 Così P. FUENTESECA, Los sistemas espositivos cit. 550.68 Cfr. O. LENEL, Palingenesia I cit. 1251 ss., Paulus 1598 ss. (in XVI libri), II

cit. 86 ss., Pomponius 378 ss. (XXXV o XXXVI libri), 1019 ss., Ulpianus 2421 ss.(LI libri).

69 Il motivo potrebbe essere la loro originaria tutela nell’ambito del diritto pre-torio, incompatibile con la purezza della prospettiva civilistica del giurista tibe-riano, cfr. P. FREZZA, Osservazioni sopra il sistema di Sabino 38 s. [=Scritti I cit.228 s.]; P. FUENTESECA, Los sistemas espositivos cit. 551.

e tra quelli consensuali comprende unicamente emptio venditioe societas, ci convince dell’unità del sistema di Sabino per comeviene rappresentato nella Palingenesi leneliana 70.

Nei commentari di Paolo e Ulpiano si può osservare que-sta struttura, ripetuta: mancipatio, emptio venditio, societas,communio 71. Verificata la presenza dei due contratti consen-suali, potrebbe sorprendere l’assenza di locatio conductio emandatum, che certo dovevano essere (come si è già avutomodo di osservare) più che comuni nella prassi giuridica del-l’età di Sabino (giurista del primo principato). In netta opposi-zione proprio con l’ipotesi sostenuta da Lenel, Frezza opta peruna posizione per così dire secondaria 72 della trattazione sabi-niana di vendita e società. Egli sostiene che, comunque le si vo-glia considerare, queste parti dell’opera del giurista d’età pro-toimperiale rappresentano delle mere «aggiunte» 73 al «sistema»da lui seguito (e «certamente non da lui coniato»). Il collega-mento con la tradizione civilistica preserviana è piuttostospontaneo: non è improbabile qualificare l’opera di Sabinocome improntata ad un certo qual tradizionalismo 74 e dunque

418 CAPITOLO SETTIMO

70 O. LENEL, Palingenesia II cit. 1257 s. («Ad Sabinum librorum rubricarumindex»). Cfr. P. FUENTESECA, Los sistemas espositivos cit. 550. Secondo A. FLI-NIAUX, L’‘actio de arboribus succisis’, in Studi in onore di P. Bonfante I (Milano1930) 531, i commentatori di Sabino si sarebbero limitati a seguirne la sistematica,introducendo, in connessione con gli istituti di diritto civile che trovavano trattatinell’opera del maestro della prima età imperiale, la disamina anche di istituti a ma-trice pretoria; sul punto si v. ora R. ASTOLFI, I ‘libri tres’2 cit. 9 ss., con imposta-zione molto diversa.

71 Per Paolo ad Sabinum: V de mancipatione, de emptione venditione, VI deemptione venditione, de societate et communione; per Ulpiano ad Sabinum: XXVIIIde mancipatione, de emptione et venditione, de societate et communione. Più di-stesa, ma strutturalmente uguale la trattazione pomponiana: VIII de mancipatione,IX de emptione et venditione, X de emptione et venditione, XI de emptione et ven-ditione, XII de societate, XIII de societate, de communionibus. In tutti e tre i com-mentari si torna alla materia contrattuale solo molto più avanti, per tutti cfr. P.FUENTESECA, Los sistemas espositivos cit. 550 s. con ntt. 22 e 23.

72 Cfr. P. FREZZA, Osservazioni sopra il sistema di Sabino cit. 39 [=Scritti I cit.229].

73 Così, esplicitamente, P. FREZZA, Osservazioni sopra il sistema di Sabino cit.40 [=Scritti I cit. 230].

74 E questo la distingue da quella di Labeone (cfr. D. NÖRR, ‘Innovare’, in In-

anche collegarla con la trattazione sul ius civile che si deve al-l’intento sistematorio di Quinto Mucio, la quale, probabil-mente, rappresentò un modello (anche se la struttura dei duelavori dové essere diversa, cosa che è direttamente attestatadalle significativamente differenti dimensioni, molto più ri-dotte, nella misura di 1/6, quelle dei libri masuriani 75), per ilgiurista d’età tiberiana. Secondo Frezza, con riguardo allascelta della materia, l’aggiunta della compravendita e della so-cietà consensuali «sono occasionate da argomenti di jus civileche Sabino veniva esponendo: cioè rispettivamente la mancipa-tio e il consortium familiare». Sembra quasi che il giurista sialegato al suo modello e possa solo con qualche difficoltà colle-gare il nuovo diritto (che poi non è, in verità, ai suoi tempi cosìtanto ‘nuovo’ 76) all’antico per tramite di connessioni costruiteda una prospettiva che assimila (talvolta piuttosto approssi-mativamente) le funzioni dei diversi negozi più che per effettodi sistemazione dogmaticamente pregnante 77. Ma la «comu-

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 419

dex 22 [1994] 61 ss.) quasi paradigmaticamente (per il contrasto sul punto si v. su-pra su ntt. 63 ss.); si v. l’impostazione generale del bel saggio di P. STEIN, Sabinocontra Labeone: due tipi di pensiero giuridico romano, in BIDR. 80 (1977) 55 ss., cfr.anche ID., Le scuole, in Per la storia del pensiero giuridico romano. Da Augusto agliAntonini. Atti del Seminario (S. Marino, 12-14 gennaio 1995) a c. di D. MANTOVANI

(Torino 1996) 1 ss. (con ulteriore bibliografia nelle note).75 Il calcolo proposto postula l’identità (o almeno la prossimità) di lunghezza

del «libro» inteso come rotolo di papiro, il che può presumersi all’interno di un ge-nere letterario stabilizzato, ma non attinge assoluta certezza (cfr., per tutti, almenoF. G. KENYON, C. H. ROBERTS, s.v. «Libri», in Diz. ant. class. Oxford II [Roma1981] spec. 1210; F. WIEACKER, Textstufen cit. 70, 120 ss.). Per una attestazione giu-ridica si v. D. 32.52.1 (Ulp. 24 ad Sab.).

76 Per la risalenza della prassi, ed anche dell’intervento dei giuristi (almeno)sulla casistica; cfr. supra 263 ss., 305 ss.

77 Del resto una traccia di tale metodo si rinviene ancora in Gaio: come si ve-drà insieme con la trattazione sistematica dei contratti consensuali, il giurista prov-vederà (almeno per quanto riguarda la società, ma non possiamo essere certi chefosse questo l’unico collegamento proposto), è cosa nota, a ricordare il consorziofraterno, mantenendo per così dire al di sotto (o a fianco) dell’impianto dogmati-camente corrispondente all’inserimento nel sistema delle fonti delle obbligazioni,un residuo della visuale più antica, che riconnetteva i nuovi negozi agli antichi piut-tosto per assonanze funzionali.

nione» 78, che nell’ordine di Lenel precede la societas non è in-vero in tutto e per tutto comparabile con il consortium fa-miliare, pur se dell’antico istituto in qualche modo porta i se-gni 79.

Invero, però, guardando soprattutto ai risultati dei più re-centi lavori di Astolfi, la prospettiva di Frezza mi pare almenoda rimodulare. A fronte di una mancanza di dirette testimo-nianze in tema di mancipatio 80, lo studioso propone, infatti,diciannove testi che colloca sotto il titolo de contrahenda emp-tione 81, cinque sotto la rubrica de locatione et conductione, do-dici sotto quella de societate, tre riferiti a quella de mandato. Intal modo si mostra come più significativo l’interesse di Sabinoper i negozi del ius gentium e viene meno quella sorprendentemancanza della metà delle forme dei contratti consensuali 82. In

420 CAPITOLO SETTIMO

78 Per quanto riguarda il lessico, in generale, basti ricordare come «comu-nione» è concetto generale, che comprende «comproprietà» e «condominio», ter-mini che si utilizzano per indicare la contitolarità della proprietà. Sulla «communio»si v. A GUARINO, Diritto privato romano12 cit. 524 ss. (con bibliografia in nt. 38.1);B. BIONDI, s.v. «Comunione (dir. rom.)», in NNDI. III (Torino 1959, rist. 1968)355; A. TORRENT, Notas sobre la relación entre ‘communio’ y copropiedad, in Studiin onore di G. Grosso II (Torino 1968) 95 ss. «Condominium» e «comproprietas»(termini astratti) sono estranei all’uso delle fonti romane, lo nota A. GUARINO, s.v.«Comunione (dir. rom.)», in ED. VIII (Milano 1961) 238 nt. 29.

79 Tra i quali quello del diritto di veto del comproprietario nella sua discussaarticolazione rispetto agli atti di disposizione materiale e giuridica, cfr. supra cap. IVnt. 27.

80 R. ASTOLFI, I ‘libri tres’2 cit. 229 (con nt. 160). Ma Sabino non avrebbe tra-lasciato di trattarne, come vendita in forma primitiva (cfr. p. 239 s.), all’inizio dellaparte relativa all’emptio venditio, il che – mi pare – costituirebbe una svolta vera-mente rilevante rispetto alla prospettiva dell’ordine per aggregazione su nuclei te-matici più risalenti, rappresentata in storiografia soprattutto da Arangio-Ruiz eScherillo (indicazioni bibliografiche infra nt. 86). Allo stesso modo, Masurio Sabinoavrebbe forse «menzionato» il consortium nell’ambito della trattazione della societasconsensuale, ma in tal caso – a differenza che per la mancipazione – senza dedicarviuna apposita rubrica, cfr. R. ASTOLFI, o.u.c. 240 s.

81 R. ASTOLFI, I ‘libri tres’2 cit. 229 ss. (gli ultimi 11 testi attengono tutti adipotesi di vendita condizionata).

82 Dunque viene ripresa la vecchia tesi di M. VOIGT, Über das Aelius- und Sa-binus-System, wie über einige verwandte Rechts-Systeme, in Abhandl. d. Königl.Sächs. Gesell. d. Wiss. phil.-hist. Cl. 7 (1875) 36 (e «Tafel» 4, 2), come aveva accura-tamente notato G. LUCHETTI, I ‘Libri iuris civilis’ di Sabino. A proposito di un re-

particolare Sabino – seguendo la traccia di Quinto Mucio –avrebbe annesso la locazione alla compravendita attraversola comparazione di affinità e differenze tra i due tipi contrat-tuali 83. Il mandato, poi, costituirebbe il ‘completamento’ dellatrattazione della societas 84. Sotto il profilo sistematico, dopo lesezioni dedicate al diritto ereditario ed al diritto delle persone,si troverebbe nei libri iuris civilis di Sabino una parte dedicataalle obbligazioni di buona fede (dunque con un richiamo dinatura processuale), comprendente, nell’ordine, 1) compraven-dita (con annessa la mancipatio) e locazione conduzione, 2) so-cietà, c) mandato; poi, al di fuori della consensualità, d) dote,e) tutela 85.

A questo punto dell’indagine, bisogna valutare (ovvia-mente in stretta connessione con il discorso relativo ai con-tratti consensuali) le importanti, ripetute riflessioni sul ‘si-stema civilistico’ proposte da Gaetano Scherillo 86. Com’è

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 421

cente studio di R. Astolfi, in Arch. Giur. 207 (1987) 72 nt. 54 (con altra bibliografia).Forse non inutile ricordare la sempre dura posizione di Fritz SCHULZ nei confrontidell’opera di Voigt, cfr. Storia della giurisprudenza romana cit. 172 nt. 3, 279 nt. 4.Non è completamente convinto di questa ricostruzione comprensiva M. BRETONE,nella rec. a R. ASTOLFI, I ‘libri tres iuris civilis’ di Sabino1 (Padova 1983), in Iura 34(1983) 220 (che, nel riconoscere la difficoltà del problema, si esprime per il mante-nimento delle opzioni leneliane). Essa ha però un vantaggio, che è quello di costi-tuire una trattazione, seppure tradizionalmente impostata, al passo con i tempisotto il profilo dell’esame di forme giuridiche dominanti nella prassi economica, ecome tale costituisce un utile punto di partenza e di impostazione sistematica perquelli che saranno i fondamentali commentari civilistici tra II ed inizi III secolo, ilche sarebbe avvalorato – di certo – dalla presenza già in Quinto Mucio di una ru-brica de emptionibus et locationibus, cosa che però non mi pare si possa in nessunmodo accertare (la presunta opinione in tal senso di O. LENEL, Palingenesia I cit.761, cfr. R. ASTOLFI, o.u.c. 233, mi pare inesistente).

83 R. ASTOLFI, I ‘libri tres’2 cit. 233.84 La dimostrazione si trova in R. ASTOLFI, I ‘libri tres’2 cit. 239.85 Per lo schema si v. G. LUCHETTI, I ‘Libri iuris civilis’ di Sabino cit. 80 s.86 G. SCHERILLO, Il sistema civilistico, in Studi in onore di V. Arangio-Ruiz IV

(Napoli 1953) 445 ss. [=Scritti giuridici I. Studi sulle fonti (Milano 1992) 15 ss.]; poiID., Gaio e il sistema civilistico, in Gaio nel suo tempo a c. di A. GUARINO, L. BOVE

(Napoli 1966) 145 ss. [=Scritti giuridici I cit. 37 ss.], però con significativi aggiusta-menti di rotta, non indifferenti sul punto della sistematica dei contratti consensuali(v. infra nel testo). Lo studioso partiva dalla considerazione approfondita delle ideesvolte da V. ARANGIO-RUIZ, La società cit. 44 ss., in critica alle ricostruzioni pro-

noto, per lo studioso milanese, a partire dai XVIII libri iuris ci-vilis muciani si afferma nella letteratura giuridica romana unasistematica ‘civilistica’, che sarà dominante fino all’età adria-nea, quando si imporrà, invece 87, lo schema edittale, al quale siconformeranno non solo i commentari ad edictum, ma anchele collezioni di quaestiones, responsa, disputationes, i digesta(sicuramente a partire dalle fondamentali raccolte di Celso eGiuliano), e poi anche le compilazioni: i Codici Gregoriano edErmogeniano, il Codex Theodosianus infine i Digesta giusti-nianei 88. Lo schema si può rappresentare, sinteticamente, inquattro diverse fasi 89, riconoscibili attraverso i giuristi che fa-rebbero da punto di riferimento: 1) Quinto Mucio, 2) Alfeno,3) Labeone e Sabino, 4) Cassio e («verosimilmente») Plauzio.Da una prospettiva di tipo generale 90, Scherillo afferma, se-guendo la dimostrazione di Frezza 91, il principio dell’«attra-

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poste (ma da punti di vista completamente diversi, cfr. supra 402 nt. 14), da O. LE-NEL, Das Sabinussystem cit. 56 ss. [=Gesammelte Schriften II cit. 56 ss.], e FR.SCHULZ, Storia della giurisprudenza romana cit. 279 s. Lo stesso ARANGIO-RUIZ ri-conobbe la linea di continuità tra la sua ipotesi e lo studio di Scherillo: La forma-tion du système des commentaires de droit civil dans la science juridique romaine, inAnn. de la Fac. de Droit d’Istanbul 3 (1953) 142 [=Scritti di diritto romano IV cit.217].

87 Probabilmente per influsso della cd. codificazione adrianeo-giulianea dell’e-ditto perpetuo. La permanenza della sistematica più antica rileverebbe, ancora dopotale importante spartiacque, nelle trattazioni di «puro ius civile» (come i libri ad Sa-binum), in ampia parte delle Quaestiones di Africano (ma si v. ora A. D’ORS, Las‘Quaestiones’ de Africano [Roma 1997] 15 ss., spec. 16, che nega qualsiasi ordine si-stematico nell’opera problematica), ed anche nel tardo cd. Libro siro-romano di di-ritto (cfr. G. SCHERILLO, Gaio e il sistema civilistico cit. 146 s. [=Scritti giuridici I cit.39]).

88 G. SCHERILLO, Il sistema civilistico cit. 445 [=Scritti giuridici I cit. 15]; cfr.anche Gaio e il sistema civilistico cit. spec. 146 s. [=Scritti giuridici I cit. 39]; ID., Ilconcetto di diritti reali. Considerazioni storico-dogmatiche, in Studi in onore di E.Betti IV (Milano 1962) 83 nt. 3.

89 Il sistema civilistico cit. spec. 453 [=Scritti giuridici I cit. 22].90 G. SCHERILLO, Il sistema civilistico cit. 451 [=Scritti giuridici I cit. 20].91 Osservazioni sul sistema di Sabino cit. 39 ss. [=Scritti I cit. 229 ss.]; cfr. an-

che V. ARANGIO-RUIZ, La società cit. 45. Per SCHERILLO (Il sistema civilistico cit.452 [=Scritti giuridici I cit. 21]), quello dell’«attrazione» sarebbe una sorta di prin-cipio di portata generale, «una caratteristica di tutte le opere ispirate al sistema ci-vilistico».

zione» dei contratti consensuali rispetto a mancipatio e in iurecessio. La connessione con gli istituti del più antico diritto ci-vile avrebbe una matrice di tipo funzionale, articolandosi comesegue: al posto delle rubriche leneliane de emptione et vendi-tione e de societate et communione si sarebbe trovata la tratta-zione de mancipatione e de in iure cessione. Al primo tentativodi «ordinamento sistematico» (ancora «imperfetto e rudimen-tale»), quello di Quinto Mucio, avrebbe funzionato, con que-ste premesse, un criterio di meri raggruppamenti, privi però diimmediati collegamenti tra loro 92 (ovvero uniti da nessi «cheoggi non riusciamo più a scorgere» 93). Già con Alfeno Varo 94,al secondo livello dell’impostazione sistematica, vi sarebberoattestazioni di una tendenza a «migliorare l’ordine». Ma l’o-pera del giurista tardorepubblicano, se da una parte ci è notasolo attraverso due epitomi (nell’ordine leneliano la primaanonima, la seconda paolina), dall’altra con tutta probabilitàrispecchia criteri ordinatori già stabiliti dal suo maestro ServioSulpicio Rufo 95. In essa rileva l’accostamento originario di iniure cessio e mancipatio (in quest’ordine): se nell’ambito dellaprima era contenuto (in fine) il riferimento all’actio pro socio,nella seconda rubrica si trovavano le trattazioni de emptione etvenditione, de locatione et conductione, de legibus mancipi etvenditionis 96. Nell’opera di Labeone emerge una ulteriore mo-

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 423

92 G. SCHERILLO, Il sistema civilistico cit. 453 [=Scritti giuridici I cit. 22].93 Così G. SCHERILLO, Gaio e il sistema civilistico cit. 147 [=Scritti giuridici I

cit. 39].94 Cfr. O. LENEL, Palingenesia I cit. 38 ss.; non mi pare utile qui la analisi della

diversa impostazione di F. P. BREMER, Iurisprudentiae antehadrianae quae super-sunt I cit. 291.

95 Sul nesso tra l’attività pratica di Servio ed i digesta di Alfeno è fondamentaleil lavoro di M. BRETONE, Tecniche e ideologie2 cit. 91 ss. Per G. SCHERILLO, Il si-stema civilistico cit. 456 [=Scritti giuridici I cit. 25], non si può sapere con certezzase la serie alfeniana fosse stata desunta da altri giuristi attivi prima di lui, ma lo stu-dioso, sulla base della natura compilatoria dell’opera, suggeriva (pur senza fareesplicitamente il nome di Servio, e senza volere «indulgere a congetture») la non at-tribuibilità diretta a Varo.

96 Si v. lo «Schema delle opere redatte secondo il sistema civilistico», ripiegatof. t. dopo p. 446 in G. SCHERILLO, Il sistema civilistico cit. [=Scritti giuridici I cit.

dificazione, in quanto (sia nei Posteriores che nei Pithaná, perquanto ne sappiamo dalla più recente tradizione), l’analisi deidue contratti consensuali di scambio (prima la compera, poi lalocazione), in due libri, segue ad una parte dedicata ai liberti(de manumissionibus nell’opera epitomata da Giavoleno, debonis libertorum nei Pithaná); ad essa, poi, accedono (nelle di-verse opere labeoniane) due linee differenziate: de commodato,de donationibus inter virum et uxorem. Con la stessa cesura(che mi pare abbastanza evidente, a voler considerare un crite-rio ‘sistematico’ moderno), nella «serie sabiniana» 97 è dopo leoperae libertorum che si trova «la dottrina della mancipatio edella in iure cessio, con i consueti sviluppi nel campo contrat-tuale, ma senza la trattazione de adquirendo dominio e de ser-vitutibus, che in Sabino è molto lontana». In quest’ordine, ilfatto che la trattazione della mancipatio attirasse quella del-l’emptio venditio, che da quest’ultima si passasse poi alla iniure cessio e dunque alla società era già stato notato, in realtà,

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dopo p. 20]. Precede la in iure cessio (che risulta partita in de hereditatis petitione,de rei vindicatione, pro socio) la parte de dotibus. Segue la mancipatio l’esame deaqua pluvia arcenda. Più semplice (ma sostanzialmente corrispondente) la restitu-zione di A. WATSON, Law making cit. 162 ss. Di recente H.-J. ROTH, Alfeni Dige-sta. Eine spätrepublikanische Juristenschrift (Berlin 1999) spec. 196 ss., propone unanuova palingenesi dell’opera del giurista tardorepubblicano, che sarebbe rilevabilein particolar modo nei libri I-V dell’epitome di Paolo: ad un iniziale andamentocorrispondente all’ordine sabiniano (nei primi due libri) seguirebbe a partire dal IIIlibro (ma non dall’inizio di questo) il sistema edittale (cfr., per quanto qui più inte-ressa, O. LENEL, EP.3 cit. 295 ss., §§ 108-111), e dunque una trattazione sulle azionimandati vel contraria, pro socio, de emptione et venditione, de locatione et conduc-tione. Lo schema misto (forse influenzato dall’esame di U. MANTHE, Die ‘libri exCassio’ des Iavolenus Priscus [Berlin 1982] 308, dell’opera giavoleniana) trova peròdelle sconnessioni (si v. p. 199) e non mostra conseguenzialità nemmeno quandopospone tutta una sezione di azioni (O. LENEL, EP.3 cit. 176, §§ 65 ss.) in uno«2. Block», che comprende testi dal IV (e – almeno secondo la tradizione mano-scritta – anche dal V) libro.

97 G. SCHERILLO, Il sistema civilistico cit. 458 [=Scritti giuridici I cit. 27]. Lostudioso considera da questo punto di vista l’opera di Masurio Sabino molto vicinaa quella di Labeone, ipotizzando una comune discendenza da Trebazio, il quale(ovvero «chiunque sia l’autore dell’archetipo comune» ai due giuristi del primoprincipato) deriverebbe dall’«autore della serie alfeniana» (p. 457 [=Scritti giuridici Icit. 26]).

da Arangio-Ruiz 98. Non si annette, però, la parte de aquirendorerum dominio. Per ciò che riguarda poi il fatto che (per cosìdire secondo un’aumentata forza attrattiva) compravendita esocietas «attirassero gli altri due contratti consensuali (loca-zione e mandato) non appare dai libri ad Sabinum, ma è postofuori di dubbio dalle altre opere delle due serie» 99. Di nuovonella «serie di Cassio e Plauzio» 100, come già nella sequenza sa-biniana, a mancipazione e in iure cessio seguono i «soliti svi-luppi» del campo dei contratti consensuali, ma qui nuova-mente (seguendo una linea già presente nella «serie di Al-feno»), «con notevole deviazione rispetto alla serie sabiniana»,«è attratta la trattazione de adquirendo rerum dominio (questomi pare un dato importante, perché la contrattualità si inqua-dra in tensione – direi naturalistica – con il dominium) e le re-lative appendici» (il riferimento è – credo – all’esame delle ser-vitù 101). Nel pensiero dello studioso si verificherà una modificainvero «radicale», soprattutto per quanto in questa sede più di-rettamente interessa, della trama che era stata intessuta nellostudio comparso nelle onoranze per Arangio-Ruiz 102, e cioè laprimitiva considerazione secondo la quale «il sistema civili-stico nulla ha a che vedere con il sistema gaiano e, più in gene-rale, coi sistemi delle Institutiones, quelli almeno che possiamo

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 425

98 La società cit. 48 (cfr. supra 421 nt. 86). Sulle digressioni che connettono icontratti consensuali ai più risalenti istituti civilistici si v. già B. W. LEIST, Versucheiner Geschichte der römischen Rechtssysteme (Rostock-Schwerin 1850) 53 s.

99 Così G. SCHERILLO, Gaio e il sistema civilistico cit. 148 [=Scritti giuridici Icit. 40].

100 G. SCHERILLO, Il sistema civilistico cit. 461 [=Scritti giuridici I cit. 30].101 Cfr. G. SCHERILLO, Gaio e il sistema civilistico cit. 148 [=Scritti giuridici I

cit. 41].102 Il sistema civilistico cit. spec. 465 [=Scritti giuridici I cit. 33]. Sulla svolta ri-

spetto all’opinione dell’estraneità del lavoro istituzionale nei confronti dell’ordinecivilistico si v. G. SCHERILLO, Gaio e il sistema civilistico cit. 151 e nt. 11 [=Scrittigiuridici I cit. 43 e nt. 11] (ove lo studioso utilizza l’avverbio «radicalmente» per in-dicare il grado di modificazione del suo pensiero sul punto). La posizione di Gaioafferirebbe ad una linea più progredita (cfr. p. 149 [=Scritti giuridici I cit. 41]) ri-spetto a Labeone ed ai libri ad Sabinum, costituita dai libri ex Cassio, ex Plautio ead Urseium Ferocem (p. 147 ss. [=Scritti giuridici I cit. 39 ss.]).

approssimativamente ricostruire» e non si fermava a negare lasomiglianza, ma anche «ogni reciproca derivazione» 103, vienesmentita. Nel successivo lavoro sul sistema in Gaio, infatti,Scherillo avvicina le Institutiones a quell’ultimo stadio dell’e-voluzione delle opere civilistiche (secondo quello che viene in-dividuato come «schema» di Cassio e Plauzio). Le differenzesostanziali sono due, ma s’incentrano entrambe nel tratto deadquirendo rerum dominio: vi è spostata, infatti, la trattazioneiniziale del testamento (con le materie connesse) 104, mentrenon risulta più il collegamento proprio con i contratti consen-suali, che sono agganciati alla teoria delle fonti delle obbliga-zioni 105. Premesso che l’indagine del romanista milanese nonrisolve il problema della connessione, sul punto di arrivo rela-tivo al passaggio del sistema civilistico nella trattazione ele-mentare manualistica, si può convenire sul fatto che l’ordineistituzionale gaiano comunque appare avvicinarsi più all’or-dine del ius civile per come stabilito dalla giurisprudenza (pro-babilmente in un determinato stadio, piuttosto avanzato, del

426 CAPITOLO SETTIMO

103 Contro FR. SCHULZ, Storia della giurisprudenza romana cit. 283 s. (permero errore di stampa G. SCHERILLO, Il sistema civilistico cit. 465 nt. 17 [=Scrittigiuridici I cit. 33 nt. 17], col rinvio a p. 464 nt. 16 [=Scritti giuridici I cit. 32 nt. 16],cita, secondo l’edizione inglese, unica allora disponibile, History of Roman LegalScience [Oxford 1946] 147 ss., ma rectius sul punto la trattazione si trova a p. 159 ss.).

104 Questa modificazione, però, mi sembra completamente snaturare il «si-stema civilistico», visto che proprio l’esordio con la materia testamentaria ne rap-presentava la caratteristica costante e quindi più pregnante; mi sembra strano cheSCHERILLO sostenga «il passo, in fondo, non era poi tanto grande»: Gaio e il sistemacivilistico cit. 151 [=Scritti giuridici I cit. 43].

105 L’opinione dello studioso (Gaio e il sistema civilistico cit. spec. 153 [=Scrittigiuridici I cit. 46]) converge in una valutazione di Gaio come «grande giurista», incontraddizione esplicita con la considerazione «maestro di scuola» che nello stessoconvegno napoletano del 1965 era stata rappresentata – nella lezione inaugurale, cfr.L. DI LELLA, Il ‘Simposio romanistico internazionale’ di Napoli, in Labeo 12 (1966)147 – da F. CASAVOLA, Gaio nel suo tempo 1 ss. [= ‘Sententia legum’ I cit. 17 ss.]; perla critica di Scherillo a Casavola si v. in particolare 145 e nt. 1, 153 e nt. 24 [=Scrittigiuridici I cit. 37 e nt. 1, 46 e nt. 23], per aver individuato «con piena consapevo-lezza» il «fondamento razionale» del sistema civilistico, applicando il criterio classi-ficatorio per genera e species (a seguito dell’estensione dei commentari ad QuintumMucium e ad edictum).

suo sviluppo) che a quello dell’editto, per come lo conosciamonella sua stabilizzazione.

3. Le «Institutiones» di Gaio. – Appare necessario, a que-sto punto, affrontare l’analisi che delle obbligazioni consen-suali viene proposta da Gaio nel suo manuale istituzionale, unafonte, naturalmente, per noi della più grande importanza 106. Lasua prospettiva, molto probabilmente, non è completamenteoriginale (come almeno di solito si reputa per l’opera istituzio-nale del giurista antoniniano 107), ma con verisimiglianza fa te-soro, sistemandola, dell’elaborazione dogmatica e ordinatriceprecedente (certo del movimento di idee svoltosi a Roma tra ledue scuole), e dunque potrebbe rispecchiare la lettura del pro-blema operata dal punto di riferimento costante dell’operagaiana, dall’ultimo grande maestro della secta sabiniana, SalvioGiuliano 108, anche se – come più specificamente si rileverà – sipossono notare differenze notevoli tra l’ordine gaiano e la si-stematica edittale 109, di cui Giuliano appare in qualche modoresponsabile.

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 427

106 Basti il rinvio all’affermazione di M. SARGENTI, La sistematica pregaianadelle obbligazioni e la nascita dell’idea di contratto, in Prospettive sistematiche cit.457.

107 Non ne è convinto, invece, FR. SCHULZ, Classical Roman Law cit. 469, chescrive: «this classification is by no means well contrived and was possibly inventedby Gaius».

108 Sottolinea i rapporti di dipendenza di Gaio (sabiniano probabilmente diorigine ed attività provinciale) rispetto a Salvio Giuliano (ultimo caposcuola dellasecta cassiana, ma teso ad una visione mediatrice del ius controversum) O. BEH-RENDS, ‘Iusta causa traditionis’, in L. LABRUNA, ‘Tradere’ e altri studii (Napoli1998) 60. Per quanto riguarda le influenze di giuristi precedenti sull’autore delle In-stitutiones, si può rinviare alla sintesi di R. QUADRATO, Le ‘Institutiones’ nell’inse-gnamento di Gaio cit. 11 nt. 44. Sul punto in questione, secondo H. F. JOLOWICZ,Historical Introduction cit. 302, «the grouping of the four contracts together is, nodoubt, like the other institutional classifications, an achievment of theoretical juri-sprudence dating from the early empire, and we can see thet historically the fourfall into two distinct groups, the one consisting of emptio venditio and locatio con-ductio, which are commercial relationships, the other of societas and mandatum,which appear to have had their origin in the family» (v. anche 310); cfr. E. COSTA,Storia del diritto romano privato2 (Firenze 1925) 372.

109 Il riferimento è all’attività di Salvio Giuliano nella redazione del cd. edic-

Nel terzo libro delle Institutiones (ci troviamo – natural-mente – nella seconda parte del manuale, quella dedicata alleres, dunque alle obbligazioni come res incorporales), dopo labreve, ma incisiva 110, introduzione generale alla materia delleobbligazioni 111, espressa attraverso la notissima summa divisio

428 CAPITOLO SETTIMO

tum perpetuum. Ma bisogna tenere presente la differenza di sostanza tra un’operaistituzionale, orientata in primo luogo alla didattica elementare, ed invece l’editto,con la sua storia (ormai molto lunga nel II secolo d. C.), fatta di interventi stratifi-cati (e certo l’opera di consolidazione non costituì uno stravolgimento completodelle prospettive edittali).

110 Sempre da tenere presente la dipendenza culturale (spesso non del tuttoconscia ovvero non perfettamente concepita) del giurista occidentale da Gaio,quella che con terminologia non convenzionale, ma certo riuscita è stata definita‘gaianismo’ da D. R. KELLEY, ‘Gaius Noster’: Substructures of Western Social Thou-ght, in The American Historical Review 84 (1979) 619 ss. [=History, Law and theHuman Sciences. Medieval and Renaissance Perspectives (London 1984) I] (sullaconoscenza dei Commentarii gaiani tra Medioevo e prima età moderna – una cono-scenza invero solo indiretta – sono ancora fondamentali le pagine di F. C. VON SA-VIGNY, Geschichte des römischen Rechts im Mittelalter2 III [Heidelberg 1834] 505ss., V [ibid. 1850] 610; sul punto, oltre a O. STANOJEVIC;, ‘Gaius noster’. Plaidoyerpour Gaius [Amsterdam 1989] 140 ss., si v. ora anche M. ZABÒOCKA, Le ‘Istituzioni’di Gaio erano conosciute nel Rinascimento?, in Au-delà des frontières. Mélanges W.Wo¬odkiewicz II [Varsovie 2000] 1105 ss.), e che attraverso soprattutto le Istitu-zioni giustinianee rimonta ben al di là della scoperta del manoscritto veronese (cfr.ad es. M. SARGENTI, La sistematica pregaiana delle obbligazioni cit. 456), sulla qualesi v. ora le belle pagine di C. VANO, Il nostro autentico Gaio: strategie della scuolastorica alle origini della romanistica moderna (Napoli 2000), dedicate anche a valu-tarne l’importante retroscena culturale, dominato soprattutto dall’imponente figuradi Friedrich Carl von Savigny.

111 Gai 3.88. <Nunc transeamus> ad obligationes, quarum summa divisio induas species diducitur: omnis enim obligatio vel ex contractu nascitur vel ex delicto.Le prime due parole non sono tràdite nel codice veronese, ma l’integrazione è pres-soché certa seguendo I. 3.13 pr. e confrontando il testo con Gai 1.142 (=I. 1.13 pr.)e 3.182; cfr. anche Gai 2.46 ed il testo parallelo in I. 2.23 pr. (si direbbe, quasi, piùgaiano di Gaio: nunc transeamus ad fideicommissa. Et prius … videamus). Sulpunto: H. L. W. NELSON, Überlieferung 405 s.; H. L. W. NELSON, U. MANTHE, GaiInstitutiones III 88-181 cit. 71. Il passaggio appare «sehr abrupt und dürr» (in con-trapposizione con 2.97) a M. FUHRMANN, Das systematische Lehrbuch. Ein Beitragzur Geschichte der Wissenschaften in der Antike (Göttingen 1960) 108 nt. 1 (cfr. an-che, nello stesso senso, C. GIOFFREDI, Aspetti della sistematica gaiana cit. 254; èsbrigativo per F. BONIFACIO, ‘Ius quod ad actiones pertinet’, in Studi in onore di E.Betti II [Milano 1962] 103 nt. 12, cfr. anche R. QUADRATO, Le ‘Institutiones’ nel-l’insegnamento di Gaio cit. 70). Sulla mancanza di una definizione dell’obligatio, so-

tra obligationes ex contractu e obligationes ex delicto 112 (che se-condo un’autorevole dottrina viene «sovrapposta» alla divisio-ne originaria 113, quella dei quattro genera 114), il giurista antoni-

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 429

stanzialmente sostituita dalla bipartizione delle fonti, si v. P. ZANNINI, Dinamica delfenomeno giuridico in Gaio, in AA.VV., Il modello di Gaio cit. 374, cfr. anche G.SCHERILLO, Le definizioni romane delle obbligazioni, in Studi in onore di G. GrossoIV (Torino 1971) 109 s. (che rinviene nelle Istituzioni di Gaio vari strumenti pergiungere alla definizione). Per un inquadramento dei problemi relativi alla classifi-cazione delle obligationes nelle Istituzioni gaiane, tra la vastissima letteratura, ba-stino i rinvii a G. GROSSO, Problemi sistematici nel diritto romano a c. di L. LAU-TELLA (Torino 1974) cit. 111 s. e nt. 1; M. TALAMANCA, s.v. «Obbligazioni (dir.rom.)» cit. spec. 38 s., J. PARICIO, Las fuentes de las obligaciones en la tradicióngayano-justinianea, in Derecho romano de obligaciones cit. 48 ss. (con bibliografia ap. 60 s.).

112 Per quanto riguarda il problema della summa divisio (se sia da intendersicome «l’unica e la più generale», ovvero solo come la «più importante»), dibattutoin letteratura, si v., di recente, J. M. COMA FORT, El derecho de obligaciones cit. 19s. (con bibliografia in nt. 16). Per un’impostazione del problema, tra la vastissimaletteratura – da una prospettiva generale – si v. M. FUHRMANN, Das systematischeLehrbuch cit. 110 nt. 2 (summa divisio nel senso di principalis divisio topografica),R. MARTINI, Le ‘summae divisiones’ di Gaio, in Atti del Seminario romanistico gar-desano (s. l. 1976) 93 (distinzioni più importanti nel quadro di sequenze ordi-natrici); TH. MAYER-MALY, ‘Divisio obligationum’, in Irish Jurist 2 (1967) 375 ss.;C. A. CANNATA, Sulla ‘divisio obligationum’ cit. 52 ss.; M. KASER, ‘Divisio obliga-tionum’, in Studies in Justinian’s Institutes in memory of J. A. C. Thomas (London1983) 73 ss. [=Römische Rechtsquellen cit. 155 ss.]; cfr. pure la letteratura citata in-fra, in nt. 116. Sulla semantica di summa nelle Istituzioni gaiane si v. anche, da ul-timo, le osservazioni di G. FALCONE, Appunti sul IV commentario cit. 153 nt. 324(con altra bibliografia).

113 F. DE VISSCHER, Les origines de l’obligation ex delicto, in RH. 4a s. 7 (1928)345 ss. [=Études de droit romain (Paris 1931) 267 ss.]; M. LAURIA, ‘Contractus’, ‘de-lictum’, ‘obligatio’. (A proposito di recenti studi), in SDHI. 4 (1938) 163 ss. [=Studiie ricordi cit. 619 ss.]; G. GROSSO, Problemi sistematici cit. 113 ss.

114 A. ORMANNI, ‘Penus legata’. Contributi alla storia dei legati disposti conclausola penale in età repubblicana e classica, in Studi in onore di E. Betti IV (Mi-lano 1962) 595: «La sistemazione di un istituto in genera non consiste e non si esau-risce in una estrinseca schematizzazione scolastica (che pure avrebbe la sua impor-tanza e il suo significato), ma investe tutto il successivo procedere dell’attività in-terpretativa del giurista che l’abbia adottata o che vi si richiami: perché quellasistemazione non è che un indice – certo il più palese – del consapevole possesso diun ben preciso istrumentario logico da parte della scienza del diritto, la quale coe-rentemente se ne serve anche per affrontare la soluzione di casi concreti»; sull’im-portanza e sui limiti di tale impostazione si v. M. BRETONE, La perla nella conchi-glia cit. spec. 123.

niano, con una sua tipica, ripetuta, costruzione d’esordio 115 (etprius videamus …), passa schematicamente all’elencazione deigenera 116 in cui le prime (quella tipologia di obbligazioni, cioè,che nascono 117 ex contractu) si possono ripartire 118:

Gai 3.89. Et prius videamus de his, quae ex contractu na-scuntur. Harum autem quattuor genera sunt: aut enim re<con>trahitur 119 obligatio aut verbis aut litteris aut con-sensu.

430 CAPITOLO SETTIMO

115 Cfr. H. L. W. NELSON, Überlieferung 405 s.; H. L. W. NELSON, U. MANTHE,Gai Institutiones III 88-181 cit. 80.

116 Sull’inversione del normale rapporto (dialettico) tra genus e species in que-sto luogo gaiano si v. F. DE VISSCHER, Les origines de l’obligation ex delicto cit.352 ss. [=Études de droit romain cit. 275 ss.]; M. LAURIA, ‘Contractus’, ‘delictum’,‘obligatio’ cit. 168, 171 [=Studii e ricordi cit. 623, 626]; M. VILLEY, Recherches sur lalittérature didactique du droit romain. A propos d’un texte de Cicéron ‘de oratore’1.188 à 190 (Paris 1945) 58 nt. 36; R. ORESTANO, Obligationes e dialettica, in Droitsde l’Antiquité et sociologie juridique. Mélanges H. Levy-Bruhl (Paris 1959) 449ss.=Jus 10 (1959) 18 ss. [=Edificazione del giuridico (Bologna 1989) 339 ss.=ScrittiIII Sez. prima. Saggistica (Napoli 1998) 1341 ss.], con riferimento a posizioni diquestioni retoriche corrispondenti ad atteggiamenti del metodo dialettico (cfr. an-che M. LAURIA, ‘Ius’. Visioni3 cit. 44); G. GROSSO, Influenze aristoteliche nella si-stemazione delle fonti delle obbligazioni nella giurisprudenza romana, in La filoso-fia greca e il diritto romano [Acc. Naz. Lincei, Quaderno 221] I (Roma 1976) 139 s.[=Scritti storico-giuridici III (Torino 2001) 852 s.]; sulla sostanziale coerenza delpasso (con motivazioni diverse): M. FUHRMANN, Das systematische Lehrbuch cit.111 s. (con nt. 5); R. MARTINI, ‘Genus’ e ‘species’ nel linguaggio gaiano, in SynteleiaV. Arangio-Ruiz I (Napoli 1964) 462 ss.; W. WOÒODKIEWICZ, ‘Obligationes ex va-riis causarum figuriis’ cit. 147 ss.; M. TALAMANCA, Lo schema ‘genus’-‘species’ nellesistematiche dei giuristi romani, in La filosofia greca cit. II (Roma 1977) spec. 204 ent. 579. Rilevo come i quattuor genera ricorrano pure in Gai 3.182, ove il paralleli-smo dedicato alle fonti d’obbligazione delittuale.

117 Sull’immagine naturalistica si v. E. BUND, Stoischer Materialismus und Dy-namismus in der römische Rechtssprache, in Wirkungen europäischer Rechtskultur.Festschrift für K. Kroeschell zum 70. Geburtstag (München 1997) 65 ss.

118 Vastissima la letteratura sui diversi punti; alla lista in M. KASER, Das römi-sche Privatrecht2 I cit. 522 s. ntt. 2-10, si aggiungano almeno C. A. CANNATA, La‘distinctio’ cit. 431 ss. (pure con ampi riferimenti bibliografici in nt. 2 a p. 431 ss.);ID., Sulla ‘divisio obligationum’ cit. 52 ss.; G. GROSSO, Influenze aristoteliche cit.139 ss. [=Scritti storico-giuridici III cit. 852 ss.].

119 Sull’integrazione del Veronese, che ha trahitur: H. L. W. NELSON, U.

Partendo dalla struttura dell’elencazione 120 (e dunque dalladecisa scansione 121 re - verbis - litteris - consensu), la storiogra-fia ha provato ad ipotizzare un rapporto storico tra le diversetipologie costitutive (origine reale, evoluzione verbale poi atte-stazione letterale, infine svincolamento consensualistico dalleforme) e di conseguenza sono state proposte diverse interpre-tazioni storiche del termine e del concetto contractus 122. Sitratta qui di mettere a fuoco l’origine della quadripartizionedelle fonti dell’obbligazione non delittuale. A tal proposito ri-leva certamente la menzione del consensus come chiusa dellaserie dei genera, ed anche il fatto che – allo stato delle nostreconoscenze – quella di Gaio sia la prima ricorrenza della qua-dripartizione ed anche una delle primissime attestazioni giuri-sprudenziali in cui il consentire sia utilizzato in relazione al-l’obbligazione 123. La domanda, già posta nella letteratura ro-manistica è «come mai … l’ordine è proprio quello?» 124. I tretermini re - verbis - litteris, consolidatisi in modo autonomo,potrebbero risalire ad una teorizzazione relativa alla legis actioper condictionem 125, ovvero alla più recente condictio formu-

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 431

MANTHE, Gai Institutiones III 88-181 cit. 33, in apparato (la correzione è dovuta aGöschen).

120 A proposito della quale si ricordi la raffinata intuizione di R. ORESTANO,‘Obligationes’ e dialettica, in Mélanges H. Levy-Bruhl cit. 445 ss.=Jus 10 cit. 18 ss.[=Scritti III cit. 1343 ss.], che la reputa frutto non di operazione definitoria, bensì ditrattazione dialettica, sulla base dello schema della coniectura.

121 Secondo L. LANTELLA, Il lavoro sistematico cit. 228, si tratterebbe – conuna certa sicurezza – di una «mediosequenza», una serie sistematica, cioè, conestensione media dei contenuti ordinari (cfr. ibid. 8 e 222).

122 Probabilmente il primo a sostenere l’espansione a quadrinomio di un’origi-naria tricotomia (nella quale mancava, appunto, il riferimento al consenso) fu A.PERNICE, Parerga III. Zur Vertragslehre der römischen Juristen cit. 220 ss. Si puòsviluppare il discorso di H. L. W. NELSON, U. MANTHE, Gai Institutiones III 88-181 cit. 459-468 (confrontandolo con la recente letteratura in tema di contratto; v.anche ibid. 59 ss.).

123 Cfr. supra 162 nt. 5, 201 ss.124 Così L. LANTELLA, Il lavoro sistematico cit. 232.125 Come è stato sostenuto da C. A. CANNATA, Sulla ‘divisio obligationum’ cit.

61 ss.

lare: all’actio certae creditae pecuniae si riferisce l’attestazioneciceroniana della pro Roscio comoedo, nella quale compaiono ladazione, la scrittura contabile e la stipulazione come fonti del-l’obligatio 126. È possibile che l’inclusione del consenso (e dun-que la previsione dei contratti consensuali) rispetto a tale tri-cotomia, che ha una peculiare identificazione processuale (nel-l’ambito delle legis actiones come in quello della proceduraformulare) sia stata dovuta alla crescente importanza econo-mica e dunque sociale delle obbligazioni consensuali 127; sicuroin tal caso l’intervento di un lavorio di sistemazione da partedella giurisprudenza. Dunque la serie sarebbe (almeno nel rap-porto tra obligationes re, verbis, e litteris da una parte e obliga-tiones consensu dall’altra) «specchio della storia» 128. Essa si rin-viene, immutata, in un altro luogo del terzo libro dei commen-tarii gaiani 129, nel punto in cui il giurista specifica la posizione

432 CAPITOLO SETTIMO

126 Cic. pro Roscio com. 5.14. … haec pecunia necesse est aut data aut expensalata aut stipulata.

127 Così G. GROSSO, Problemi sistematici cit. 114; cfr. L. LANTELLA, Il lavorosistematico cit. 233 e nt. 293.

128 L’espressione è di L. LANTELLA, Il lavoro sistematico cit. 230 ss. Ciò trove-rebbe corrispondenza nella contrapposizione di cui a Gai 3.89 (cfr. supra su ntt. 116ss.), che per così dire ‘contiene’ quella in questione: almeno secondo una prospet-tiva storiografica la dicotomia contratto/delitto corrisponderebbe ad uno sviluppostorico, considerare il contratto come forma primaria di obbligazione, cui si sarebbepoi aggiunto il delitto; in tal senso si v. soprattutto (a partire da un vasto lavoriostoriografico, che si può rintracciare attraverso M. TALAMANCA, s.v. «Obbligazioni[dir. rom.]» cit. 2 nt. 7) la sistemazione di G. GROSSO, Il sistema romano3 cit. 3, 5,poi L. LANTELLA, Il lavoro sistematico cit. 231 s., cfr. anche gli importanti punti divista di F. DE VISSCHER, Les origines de l’obligation ex delicto, in Études de droitromain (Paris 1931) 267 ss.; E. BETTI, La struttura dell’obbligazione romana e ilproblema della sua genesi2 (Milano 1955) 113. Il punto, naturalmente, è da con-frontare con le ipotesi ed i risultati costruttivi di quella corrente dottrinaria (oggiinvero minoritaria) che vede il punto di partenza del concetto di obbligazione, in-vece, nel delictum; sul punto, con rilevanti precisazioni sul metodo per affrontare ildifficile problema, M. TALAMANCA, o.u.c. 2 s. (in nt. 11 a p. 3 la letteratura che so-steneva la priorità del delitto come fonte d’obbligazione).

129 Sul collegamento si v., per tutti, G. SCHERILLO, Lezioni cit. 242. Per quantoriguarda l’esegesi complessiva di Gai 3.119a, è ampia e dettagliata ora la trattazionedi S. LONGO, ‘Naturalis obligatio’ e ‘debitum servi’ in Gai 3.119 a, in Iura 46 (1995)53 ss.

peculiare del fideiussore rispetto agli altri garanti che si obbli-gano verbis:

Gai 3.119a. Fideiussor vero omnibus obligationibus, id estsive re sive verbis sive litteris sive consensu contractae fue-rint obligationes, adici potest.

Come si può facilmente notare anche qui la posizione dipartenza è totalizzante ed unificante, attraverso l’uso dell’ag-gettivo omnes 130, la successiva specificazione che ripete la qua-dripartizione (come anche la conseguente alternativa obligatiocivilis/naturalis 131) potrebbe apparire ridondante, se non si fa-cesse attenzione alla natura didattica dell’opera istituzionale edunque al fine, che è quello di mettere in chiaro, anche con ri-ferimento a dispute giurisprudenziali troppo articolate per glistudenti 132. Se pure possa esservi intravista una sconnessionedogmatica (con ampliamenti della prospettiva delle obbliga-zioni che si possono garantire attraverso l’aggiunta del fideius-sore e rideterminazione dell’ambito dell’obligatio naturalis),dal punto di vista dell’inquadramento delle omnes obligationesè «pedissequo» 133 (tanto più che conserva esplicito il riferi-mento alle obbligazioni letterali) ancora rispetto al testo gaianol’andamento giustinianeo (sempre strutturato sull’alternanzasive …, sive …, sive …) che si rinviene in

I. 3.20.1. In omnibus autem obligationibus adsumi pos-

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 433

130 Così F. CASAVOLA, Gaio nel suo tempo cit. 9 ss. [= ‘Sententia legum’ I cit.25 ss.].

131 Si legga il seguito del testo: At ne illud quidem interest, utrum civilis an na-turalis obligatio sit cui adiciatur; adeo quidem, ut pro servo quoque obligetur, siveextraneus sit qui a servo fideiussorem accipiat, sive ipse dominus in id quod sibi de-beatur. Sulle correzioni apportate al Veronese (in particolare l’ad iniziale in at, ov-vero in ac) cfr. S. LONGO, ‘Naturalis obligatio’ e ‘debitum servi’ cit. 55 e nt. 15, 92ss. (con ampi richiami bibliografici nelle note).

132 Sul punto si v. L. LABRUNA, Interpretazione di Gai 3.119a, in Gaio nel suotempo cit. 55 ss. [= ‘Tradere’ ed altri studii cit. 107 ss.].

133 Cfr. S. LONGO, ‘Naturalis obligatio’ e ‘debitum servi’ cit. 97 e nt. 144, e v.anche 92 s. nt. 127.

sunt 134, id est sive re sive verbis sive litteris sive consensucontractae fuerint.

Nella stessa connessione, con riferimento alla omnis obli-gatio, la serie ritorna immutata anche in un passo ulpianeoconservato nella Compilazione:

D. 46.1.8.1 (47 ad Sab.). Praeterea sciendum est fideiusso-rem adhiberi omni obligationi posse, sive re sive verbissive consensu 135.

Per tornare al manuale d’età antonina nel suo punto a que-sto proposito centrale, si può rilevare come, nella articolazionedel discorso conseguente all’introduzione dei quattro genera,Gaio rispetti l’ordine successivo dato nella partizione con cuiha aperto la trattazione della materia. Giunge dunque per ul-timo, dopo la disamina degli altri tipi, ad esporre le obligatio-nes consensu contractae 136, le quali, come si vedrà, si contrap-pongono alle tipologie precedenti essenzialmente per la as-soluta particolarità della mancanza d’una forma tipicamenteprevista.

Per prima cosa rileva la denominazione, che occorre stori-cizzare 137: se – come mi pare – si deve espungere il riferimentoal consensus dalla prospettiva di Quinto Mucio (in linea conuna tradizionale tripartizione delle fonti dell’obbligazione), si

434 CAPITOLO SETTIMO

134 Scil. fideiussores; cfr. l’appellatio in I. 3.20 pr.135 Mette in relazione il testo di Gaio con quello di Ulpiano, in una visione si-

stematica, G. GROSSO, Problemi sistematici cit. 114 nt. 5. In D. 46.1.8.1 si nota, alsolito, la mancanza giustinianea del riferimento all’obligatio litteris (cfr. infra 448 ent. 182, e v. D. 46.2.1.1 [Ulp. 46 ad Sab.]). Il frammento ulpianeo si inizia (al prin-cipium) con le modalità verbali in greco attraverso le quali si può aggiungere il fi-deiussore; rilevano poi soprattutto, nella prospettiva della omnis obligatio (al singo-lare, mentre nel passo gaiano si trova al plurale) i paragrafi 5 (Sed et si ex delictooriatur actio, magis putamus teneri fideiussorem) e 6 (Et generaliter omnium obli-gationum fideiussorem accipi posse nemini dubium est; qui il riferimento è – come sivede – al plurale).

136 Nel resto del III libro si occuperà dei modi di estinzione dell’obbligazione(fino al § 181), e delle obligationes quae ex delicto nascuntur (§§ 182-225).

137 Secondo FR. SCHULZ, Classical Roman Law cit. 469, «the name is unsati-sfactory, since consensus is required for any contract», cfr. anche p. 524.

può affermare che è proprio nella giurisprudenza del secondosecolo d. C. che il concetto esplode per significare quei deter-minati rapporti.

L’esposizione complessiva della materia comprende ven-tisette paragrafi del terzo libro 138: Gaio premette alla descri-zione dei singoli contratti una parte che si direbbe generale(3.135-138), per poi dedicare partitamente l’analisi alla emptiovenditio (3.139-141), alla locatio conductio (3.142-147), alla so-cietas (3.148-154b 139), al mandatum (3.155-162).

La sezione (che segue la chiusa relativa alle obligationes lit-teris contractae 140), che si può utilmente raffrontare con la pa-rallela tradizione dei Digesta giustinianei 141, per la quale i com-pilatori, che pure in quella parte stanno utilizzando l’altro (maforse per loro più adeguatamente organizzato dal punto di vi-sta sistematico) manualetto gaiano 142, tornano alle Institutiones

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 435

138 Gai 3.135-162. Sul tratto qui in questione, con i relativi problemi di tradi-zione (significativa, com’è noto, soprattutto la trasmissione pergamenacea egizianadella materia relativa alla società in Gai 3.154a-b), si v. l’aggiornata edizione com-mentata di H. L. W. NELSON, U. MANTHE, Gai Institutiones III 88-181 cit. 42 ss.(testo) 221 ss. (commento). Sulla disposizione della materia (ripartita in una defini-zione e poi nell’enunciazione di «caratterizzazioni ulteriori») si v. M. FUHRMANN,Das systematische Lehrbuch cit. 119 e nt. 4.

139 Naturalmente in questa parte rileva il Gaio egiziano (antinoita?) di PSI. XI1182 (cfr. supra 221), che restituisce i paragrafi 154a-b, cfr. H. L. W. NELSON, U.MANTHE, Gai Institutiones III 88-181 cit. 47 s. (testo), 329 ss. (commento).

140 In particolare il § 134 è dedicato a chirografi e singrafi.141 Vale anche riportare subito la versione delle Istituzioni giustinianee, in cui

è assolutamente prevalente l’influenza di Gaio: 3.22. pr.-3. Consensu fiunt obliga-tiones in emptionibus venditionibus, locationibus conductionibus, societatibus, man-datis. 1. Ideo autem istis modis consensu dicitur obligatio contrahi, quia neque scrip-tura neque praesentia omnimodo opus est, ac ne dari quicquam necesse est, ut sub-stantiam capiat obligatio, sed sufficit eos qui negotium gerunt consentire. 2. Undeinter absentes quoque talia negotia contrahuntur, veluti per epistulam aut per nun-tium. 3. Item in his contractibus alter alteri obligatur in id, quod alterum alteri exbono et aequo praestare oportet, cum alioquin in verborum obligationibus alius sti-puletur, alius promittat. Come si può facilmente notare dal confronto con il testogaiano, risultano giustinianee le aggiunte scriptura-obligatio nel § 1 (un riferimentoalla scriptura, ed insieme alla solemnitas, si trova anche nell’aggiornamento di Ep.Gai 2.9.13, cfr. infra su nt. 203) e in id nel § 3. Ma sul testo si v. più approfondita-mente infra 455 ss.

142 Cfr. D. 44.7.1 (2 aur.), su cui cfr. infra 447 ss. Le citazioni complessive nei

in un’edizione non dissimile da quella del Veronese 143, si aprecon un breve sommario delle singole forme obbligatorie:

436 CAPITOLO SETTIMO

Digesta delle Istituzioni gaiane ammontano a quindici frammenti (cfr. O. LENEL,Palingenesia I cit. 242, Gaius 404-417): sembra che i compilatori considerasseropreferibili le res cottidianae per sfruttare la loro più perfezionata sistematica (il datoè qui interessante, per così dire, a contrario), così almeno l’autorevole consolidataopinione di C. FERRINI, Sulle fonti delle Istituzioni di Giustiniano, in BIDR. 13(1900) [=Opere II. Studi sulle fonti del diritto romano a c. di E. ALBERTARIO (Mi-lano 1929) 315]; cfr. ora J. M. COMA FORT, El derecho de obligaciones en las ‘res cot-tidianae’ (Madrid 1996) 14 e nt. 4 (su quest’ultimo lavoro si v. la rec. di A. BURDESE,in SDHI. 62 [1996] 593 ss., e la segn. di G. FALCONE, in Labeo 43 [1997] 299 s.).

143 Sul rapporto tra l’edizione in possesso dei compilatori giustinianei e quelladel manoscritto veronese si v. infra 455 ss.

144 Cfr. Gai 3.90 (re contrahitur obligatio …), 3.92 (verbis obligatio fit …),3.128 (litteris obligatio fit …). Si v. anche i passi delle cd. res cottidianae escerpitinella Compilazione giustinianea: D. 44.7.1 (Gai. 2 aur.) § 2 (re contrahitur obligatio…), 7 (verbis obligatio contrahitur …); la mancanza del luogo parallelo per le ob-bligazioni litteris è dovuta alla diversa prospettiva: D. 44.7.1.1. Obligationes ex con-tractu aut re contrahuntur aut verbis aut consensu; per gli effetti del consensus icompilatori – come si è visto – hanno preferito l’utilizzazione diretta delle Institu-tiones gaiane. Per quanto riguarda D. 44.7.1 pr. (con la rilevante impostazione tri-cotomica delle cause dell’obbligazione, che aggiunge le variae causarum figurae«proprio quodam iure» al delitto – qui maleficium – ed al contratto, si v. infra su ntt.180 ss.).

145 L’unica lievissima differenza tra la tradizione del Veronese e quella della lit-tera Florentina si trova in riferimento alla compravendita: mentre nel codice gaianol’endiadi è legata da un et, nei Digesta la struttura è asindetica (cosa che, per il pa-

Gai 3.135. Consensufiunt obligationes in emp-tionibus et venditionibus,locationibus conductioni-bus, societatibus, mandatis.

D. 44.7.2 pr. (Gai. 3 inst.).Consensu fiunt obligationesin emptionibus venditioni-bus, locationibus conduc-tionibus, societatibus, man-datis.

Il testo ha una struttura affatto essenziale: si inizia (comedi consueto in Gaio) con il termine che indica la modalità ge-nerante all’ablativo 144 per poi affermare che le obbligazioni(appunto «attraverso il consenso») «si costituiscono», «si fan-no» in una serie di negozi che viene disposta in elenco 145. La

sequela dei contratti, che diverrà regola 146, appare, per noi, perla prima prima volta proprio in questo testo di Gaio: essa 147 re-plica quella proposta da Labeone in D. 50.16.19 (… emptio-nem venditionem, locationem conductionem, societatem …),ma la integra con il mandato che significativamente occupal’ultimo posto 148. L’enumerazione è completa (e non esempli-ficativa come per le obligationes re e quelle verbis) 149, comepretende il nesso di tipicità; la serie, con le Institutiones, si sta-bilizza definitivamente nella quantità e nell’articolazione 150.Infatti mi sembra potersi notare una stratificazione storico-dogmatica dell’elenco, se il rapporto con atti e fatti della vitaè certamente stretto 151: Gaio li considera come produttividelle obbligazioni, ma la sistematica acquisisce giuridicità. Laemptio venditio è probabilmente il più antico dei contratti

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 437

rallelo evidente della locatio conductio in tutti e due i testi, ha fatto proporre nelleedizioni di Gaio, l’espunzione della congiunzione).

146 Anche se, invero, conosciamo solo testi che discendono dalla tradizionegaiana (cfr. infra 446 ss.): Ep. Gai 2.9.13; I. 3.22 pr.; Theoph. Par. 3.22 pr.; D. 44.7.2pr. (Gai. 3 inst.). Sulla serie (ed il suo rapporto con il sistema di Sabino) si v. di re-cente H. L. W. NELSON, U. MANTHE, Gai Institutiones III 88-181 cit. 230.

147 Che pure appare a L. LANTELLA, Il lavoro sistematico cit. 225, una «me-diosequenza».

148 Sembra quasi aggiunto ad una lista preesistente.149 P. DE FRANCISCI, Synallagma II cit. 367, nota la differenza partendo dal

non uso in Gai 3.135 del veluti introduttivo dell’esempio; sull’assenza di deposito,comodato e pegno nelle Institutiones si v. R. QUADRATO, Le ‘Institutiones’ nell’in-segnamento di Gaio cit. 11, 69 ss.

150 Si v. P. DE FRANCISCI, Synallagma II cit. 367.151 Cfr. M. BASTIT, La diversité dans les Institutes de Gaius, in Archives de phi-

losophie du droit 23 [Formes et rationalité en droit] (1978) spec. 338, che però nonsi può seguire in tutte le conseguenze della sua argomentazione. «Apart from theirlack of form the contracts of this group have little in common and form a rathermixed company», così FR. SCHULZ, Classical Roman Law cit. 469; lo studioso conquesta affermazione, da una parte non mette in evidenza le due sezioni interne del«gruppo» (che corrispondono ad una precisa netta divisione delle quattro forme:emptio-locatio / societas-mandatum), dall’altra, e soprattutto, non considera l’a-spetto processuale che è il vero e proprio collante (in una prospettiva applicativa, aldi là delle connessioni al livello della genesi) cfr., invece, in altro luogo della stessaopera (p. 525): «the formulae available to the parties in consensual contracts wereinvariably formed in the same style: they were formulae in ius conceptae and con-tained the clause ex fide bona».

consensuali 152 (e come tale apre la serie), ed è chiaro che lacompravendita ha anche una centralità dogmatica in quantoparadigma (direi quasi naturale) del contratto bilaterale, cui siavvicina molto per struttura 153 proprio la locazione, che segueimmediatamente nella serie 154. La societas, con una configura-zione piuttosto autonoma (ed una genesi che non si può com-prendere unicamente nell’ambito dei contratti mercantili discambio, per la sua connessione con l’antico consorzio fami-liare e parafamiliare) che discende dalla sua natura ed insiemedalla sua funzione, le quali non si allineano perfettamente aquelle dei negozi di scambio (definitivo: vendita; provvisorio:locazione), è presente nella lista da tempo risalente. Non so sesia stato il ius gentium (ed insieme la funzione mercantile, ti-pica in modo particolare di questa forma contrattuale) e con-sentire l’aggiunta del mandato, che in una prospettiva d’originesi collega con i negozi fiduciari.

Dopo quest’ordine, immediatamente (ancora in una parteintroduttiva del suo discorso, e prima di passare all’analisi deisingoli contratti appena enumerati), il maestro di diritto si sof-ferma a spiegare la particolarità delle obligationes consensucontractae considerate nel loro complesso:

438 CAPITOLO SETTIMO

152 Cfr. supra 224 ss., 372 ss.153 E naturalmente i giuristi romani ne erano perfettamente consapevoli, cfr.

R. FIORI, La definizione cit. spec. 190 ss.154 Sul rapporto anche storico (di successione) tra i due modus obligandi si v.

supra 292 ss.; per osservazioni sull’ordine si v. anche infra 464 ss.

Gai 3.136. Ideo autem istismodis consensu dicimusobligationes contrahi, quianeque verborum nequescripturae ulla proprietasdesideratur, sed sufficit eos,qui negotium gerunt, con-sensisse. Unde inter absen-

D. 44.7.2.1 (Gai. 3 inst.).Ideo autem istis modis con-sensu dicimus obligationemcontrahi, quia neque verbo-rum neque scripturae ullaproprietas desideratur, sedsufficit eos, qui negotia ge-runt, consentire. Unde inter

Il passo è assolutamente centrale 156. Se per le obbligazioniverbis 157 a Gaio era bastata l’esemplificazione della datio mutuiintrodotta da velut (e poi la specificazione della necessità diuna essenza «pondere numero mensura» della res), per quelleverbis la descrizione della struttura ex interrogatione et respon-sione 158, per quelle litteris ancora un’esemplificazione presen-tata da veluti 159, per le obbligazioni consensu il discorso è, in-vece, più articolato. L’introduzione all’approfondimento (ne-cessario dopo l’elenco di una serie di nomi di singoli contratti)avviene per mezzo di un ideo, che pare collegare strettamenteil prosieguo con quanto appena descritto. E incentra il ragio-namento sul consensus argomentando al negativo, quasi co-struendo la categoria per esclusione: «poiché (in questi casi)non si richiede alcuna proprietà, né di parole, né di scrittura»,ma «basta» (indicativo il livello minimale del verbo sufficit ri-spetto alla proprietas delle altre modalità costitutive dell’obbli-gazione) «che coloro che gestiscono il negozio abbiano con-sentito». L’approfondimento di questo tratto è necessario, ma

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 439

155 Cfr. Ep. Gai 2.9.13. … quia in huiusmodi rebus consensus magis quamscriptura aliqua aut solemnitas quaeritur. In quibus rebus etiam inter absentes obli-gatio contrahi potest, quod in aliis rebus fieri non potest.

156 Anche in questo caso sono minime, come si può vedere, le differenze tra ledue tradizioni. Per la modulazione (rilevante) consensisse (Gaio)-consentire (Dige-sta), si v. infra nel testo. Manca, nella versione giustinianea, la chiusa introdotta daalioquin, riferita alla differenza con la obbligazione verbis, che, nella reiterazione,probabilmente ha un mero significato didattico.

157 Gai 3.90.158 Gai 3.92.159 Gai 3.128: nomina transscripticia (v. 131: nomina arcaria; 134: chirografi e

singrafi).

tes quoque talia negotiacontrahuntur, veluti perepistulam aut per internun-tium, cum alioquin verbo-rum obligatio inter absentesfieri non possit 155.

absentes quoque talia nego-tia contrahuntur, veluti perepistulam vel per nuntium.

prima, per non perdere il filo complessivo del discorso gaiano,bisogna completare la lettura del paragrafo. L’interpunzione,pure se ferma secondo gli editori 160, non spezza, infatti, l’an-damento argomentativo, che trova in unde lo strumento sin-tattico per mostrare insieme conseguenzialità e fondamentodell’argomentazione successiva 161, e che permette, ancora, lachiarificazione attraverso la contrapposizione (anche se quiesplicitamente solo nei confronti delle obligationes verbis).L’attenzione del giurista si sofferma su un dato particolar-mente rilevante e cioè la possibilità di «contrarre» negozi (an-che) inter absentes; segue la tipica esemplificazione, nella qualesi fa riferimento ad un nunzio 162 ed alla possibilità di costituireil consenso (e dunque far scaturire l’obbligazione) per epistu-lam. Come si è accennato, anche qui immediata è la compara-zione con le obligationes verbis: in tal caso l’obbligazione «traassenti» non può essere posta in essere. Ma bisogna tornare aconsensisse: proprio questa parte del brano, infatti, mostra che

440 CAPITOLO SETTIMO

160 Nel Veronese non pare – seguendo G. STUDEMUND, Gai Institutionum …Apographum (Lipsia 1873, rist. Osnabrück 1965) 164 – vi fosse alcun segno. Anzi,nel rigo che contiene unde (fol. 33v, lin 2), è maiuscola la C di consensisse. L’osser-vazione consente di notare che – invece – Gai 3.135 s’inizia con consensu senzamaiuscola, ma preceduto da un notevole spazio bianco dopo la fine del § 134 (cfr.G. STUDEMUND, o.u.c. 163, fol. 33r, lin. 21).

161 Come usualmente nella lingua del giurista antoniniano, si v. in particolare1.3 (con il commento di M. DAVID, H. L. W. NELSON, Gai Institutionum Com-mentarii IV Komm. Lief. 1 [Leiden 1954] 9 ss.), H. L. W. NELSON, Überlieferungcit. 413, 415; H. L. W. NELSON, U. MANTHE, Gai Institutiones III 88-181 cit. 236:«unde hat hier, wie fast immer bei Gaius, eine folgende und begründende Bedeu-tung …».

162 Singolare l’utilizzazione da parte di Gaio del termine «internuntius» (comesi è notato mutato nella versione giustinianea: «nuntius», che appare più semplice,ma cfr. F. WIEACKER, Römische Rechtsgeschichte I cit. 441 ss.), che se si rinviene (siapure raramente) anche nel linguaggio privatistico della giurisprudenza romana (cfr.D. 23.1.18 [Ulp. 6 ad ed.], D. 29.2.25.4 [Ulp. 8 ad Sab., con citazione di Cass. 2 iur.civ.]), è però lemma tecnico proprio della lingua augurale, cfr., in tal senso, Cic.Phil. 13.5.13 e de div. 2.34.72 (i polli messaggeri di Giove, ma il passo del de divi-natione non è incontroverso); in letteratura si v. H. VOLKMANN, ‘Internuntius deo-rum’, in Gymnasium 70 (1963) 137 ss.; J. LINDERSKI, The Augural Law, in ANRW.II/16.3 (Berlin-New York 1986) 2146 ss., 2226 ss.; H. L. W. NELSON, U. MANTHE,Gai Institutiones III 88-181 cit. 236 s.

«il consenso è l’anima di tutto il contratto» 163. L’affermazionesi fa forza dell’uso in Gaio dell’infinito passato, uso che siperde sia nella tradizione dei Digesta che in quella delle Istitu-zioni giustinianee 164: la precisione è dovuta al fatto che il verboal passato consente una chiara determinazione cronologica: di-vide precisamente la fase precontrattuale da quella della perfe-zione del negozio, che si compie – appunto – con il (mero)consenso delle parti. Ciò consente al giurista di disinteressarsidi tutto quanto non è ricondotto nel consenso contrattualeperfetto e specificato 165.

Gaio passa dunque alla descrizione di un elemento dogma-ticamente assai rilevante per i contratti consensuali, e cioè labilateralità, che – lo si è visto – assume un ruolo anche nell’or-dinamento sistematico della materia 166:

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 441

163 Così B. SCHMIDLIN, Les deux modèles de la formation du contrat cit. 33.164 3.22.1 (… sed sufficit eos qui negotium gerunt consentire).165 La dottrina della formazione del contratto non fu sviluppata in modo pre-

ciso dai giuristi romani: la sua formazione è più recente essendosi sviluppata so-prattutto a partire dalla sistemazione di Grozio (sul punto, con appropriati rinviibibliografici, si v. B. SCHMIDLIN, Les deux modèles de la formation du contrat cit.spec. 34 e nt. 3).

166 Cfr. supra 416 ss.

Gai 3.137. Item in his con-tractibus alter alteri obliga-tur de eo, quod alterum al-teri ex bono et aequo prae-stare oportet, cum alioquinin verborum obligationibusalius stipuletur alius pro-mittat et in nominibus aliusexpensum ferendo obligetalius obligetur.

D. 44.7.2.3 (Gai 3 inst.).Item in his contractibus al-ter alteri obligatur de eo,quod alterum alteri ex bonoet aequo praestare oportet.

Il testo giunge ad affrontare l’oggetto delle obbligazioniconsensuali, oggetto che è qualificato attraverso l’utilizzazione

del sintagma praestari oportere. Ma bisogna per prima cosa,seguendo l’impostazione di Gaio, guardare alla bilateralitàespressa nella formula alter alteri obligatur de eo, quod alte-rum alteri rell., perché introducendo la riflessione sulla «pre-stazione», il giurista ancora una volta ha bisogno di un terminedi paragone ed ancora una volta lo rinviene (sempre al nega-tivo) nelle verborum obligationes e nei nomina. In questi ul-timi casi c’è sempre una parte che ‘obbliga’ e l’altra che ‘siobbliga’ (nel primo con la specularità tipica del rapporto stipu-latio/promissio, nel secondo con automatismo maggiormentepalese attraverso l’expensum 167), mentre nei contratti consen-

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167 Che la prospettiva comparatistica di Gaio abbia come referente preferito leobbligazioni verbali appare dal prosieguo del testo (Gai. 3.138. Sed absenti expen-sum ferri potest, etsi verborum obligatio cum absente contrahi non potest), in cui ilgiurista precisa che è ben possibile costituire un expensum nei confronti di un as-sente, mentre – evidentemente ci tiene a sottolinearlo – una obbligazione verborumnon può in alcun modo essere contratta cum absente. La precisazione è dovuta pro-babilmente alla natura didattica del contesto (Gaio parla ai suoi studenti): potrebbeporli nel dubbio la simmetria costante tra i due tipi obbligatori. Lo squarcio non èripreso nei Digesta giustinianei (come anche nella tradizione parallela di I. 3.22 e diTheoph. Par. 3.22) per via della decadenza in età postclassica dei contratti letterali,cfr. F. WIEACKER, Oströmische Gaiusexemplare, in Festschrift F. Schulz II (Weimar1951) 101 s.; ID., Textstufen cit. 193; sulla natura glossematica del passo gaiano, tragli altri, F. SCHULZ, Einführung in das Studium der Digesten (Tübingen 1916) 25 nt.1; P.-F. GIRARD, F. SENN, Manuel élémentaire de droit romain (Paris 1929) 532 nt.1; V. ARANGIO-RUIZ, Le tavolette cerate ercolanesi e il contratto letterale, in AttiAcc. Modena 5a s. 8 (1950) 6 nt. 16 [=Studi E. Redenti I (Milano 1951) 120 nt.16=Studi epigrafici e papirologici cit. 360 nt. 16], che la reputa reminiscenza di «unannotatore un po’ saputo» piuttosto che «falsificazione sostanziale»; G. WESEN-BERG, Arangio-Ruiz’ Forschungen zum römischen Litteralkontrakt, in Forschungenund Fortschritte 29 (1955) 117; H. F. JOLOWICZ, Historical introduction cit. 295 nt.5; A. STEINWENTER, s.v. «Litterarum obligatio», in PWRE. XIII/1 (Stuttgart 1926)786; E. WEISS, s.v. «Nomina transcripticia», in PWRE. XVI/2 (Stuttgart 1936) 822;cfr. anche (contra, nel senso della genuinità) C. ST. TOMULESCU, Der ‘contractus lit-teris’ in den ‘Tabulae Herculanenses’, in Labeo 15 (1969) 297 nt. 38; ID., Die grie-chische Paraphrase des Theophilus – 3.21 – und der ‘contractus litteris’, in RIDA. 3a

s. 22 (1975) 347 s., 354 (dello stesso a. si v. pure Contributia operei lui Cicero la re-constituirea dreptului Roman, in Analele Univ. Bucuresti 14 [1965] 73 ss. [n.v.]); perG. SACCONI, Ricerche sulla delegazione in diritto romano (Milano 1971) 133, 180nt. 129, l’espressione, anche se glossematica, corrisponde ad un principio classico;sostanzialmente nello stesso senso W. KUNKEL, Epigraphik und Geschichte cit. 215e nt. 35; si pone il dubbio R. M. THILO, Der ‘Codex accepti et expensi’ im römischen

suali risalta maggiormente la circolarità dell’obbligo. Si trattadi una obbligatorietà evoluta rispetto ai moduli più sempliciche costruiscono unilateralmente da una parte (almeno in viaprincipale, con possibilità di articolazioni più complesse) solocredito e dall’altra solo debito. E proprio a questo punto dellatrattazione emerge una caratteristica essenziale dei rapporti ba-sati sul consenso, quella dell’aequum et bonum che viene rap-presentato come misura della prestazione attraverso l’uso dellalocuzione ‘praestare oportet’. Ed alla prospettiva ristretta, de-purata del paragone al negativo con le altre forme obbligatorie,si limita la versione accolta dai compilatori, che va ad inserirsi,com’è chiaro, nel più ampio discorso del titolo nel suo com-plesso.

Prima di svolgere il discorso sulla tradizione a matricegaiana, che ha in questo campo, come in molti una grande im-portanza, soprattutto per gli esiti giustinianei, bisogna con-siderare due (per così dire) deviazioni, che provengono daUlpiano e dal suo allievo Modestino, e si possono forse inqualche modo collegare (bisogna tornare a considerare, dun-que, la prospettiva del «contratto») con la diramazione siste-matica serviana-labeoniana.

Anche se il referente immediato della classificazione sonole actiones più che direttamente le fonti delle obbligazioni, bi-sogna tenere presente un testo di matrice ulpianea, escerpito in

D. 44.7.25.1 (Ulp. l. s. reg.). Actionum autem quaedam excontractu, quaedam ex facto, quaedam in factum sunt. Excontractu actio est, quotiens quis sui lucri causa cum ali-quo contrahit, veluti emendo vendendo locando condu-cendo et ceteris similibus … 168

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 443

Recht. Ein Beitrag zur Lehre von der Litteralobligation (Göttingen 1980) 293 nt. 43(cfr. anche 314 nt. 102 [da p. 313]).

168 Ecco il seguito del testo: Ex facto actio est, quotiens ex eo teneri quis inci-pit, quod ipse admisit, veluti furtum vel iniuriam commisit vel damnum dedit. Infactum actio dicitur, qualis est exempli gratia actio, quae datur patrono adversuslibertum, a quo contra edictum praetoris in ius vocatus est.

Se è vero che la partizione con cui il passo s’inizia è com-parabile con quella presente nelle Institutiones di Gaio 169, ilterzo membro – rappresentato dalle actiones in factum – costi-tuisce una sconnessione evidente rispetto a tale schema 170. Ladeviazione mi pare significativa con riferimento alla tipologiacontrattuale, a descrivere esemplificativamente la quale, al po-sto della abituale sequenza re, verbis, (litteris,) consensu, ap-pare una spiegazione quantitativa relativa alla causa economicadel contrarre (quotiens quis sui lucri causa cum aliquo con-trahit), ridotta però ai soli negozi di scambio tra quelli consen-suali (nell’ordine consueto e con l’uso – pure non insolito – delverbo participiale piuttosto che del sostantivo), dunque ven-gono menzionati, dopo l’introduttivo veluti, compravendita elocazione. Se la presenza delle actiones in factum mostra la po-vertà della stretta alternativa contratto/delitto, che può verifi-carsi all’interno della produzione (o comunque della tradi-zione) gaiana già al livello delle Res cottidianae, lo scarto piùnetto è da rinvenirsi nella mancanza del riferimento alle sferedella contrattualità reale e verbale, cui corrisponde da unaparte l’assorbimento descrittivo di tutte le azioni che nasconoda contratto nei contratti consensuali, e dall’altra una forte ac-centuazione della prospettiva economica 171.

D. 44.7.52 pr. (Mod. 2 reg.). Obligamur aut re aut verbisaut simul utroque aut consensu aut lege aut iure honorarioaut necessitate.

444 CAPITOLO SETTIMO

169 Cfr. G. SCHERILLO, Lezioni cit. 244. Per un rapporto (mediato prima dauna rielaborazione, e poi dalle «meravigliose falsificazioni» giustinianee) con Gai4.1 ss., si v. S. RICCOBONO, Dal diritto romano classico al diritto moderno. A propo-sito di D. 10, 3, 14 [Paul. 3 ‘ad Plautium’], in AUPA. 2/4 (1917) 683 s. [=Scritti didiritto romano II (Palermo 1964) 413 s.], e cfr. anche V. ARANGIO-RUIZ, Sul ‘libersingularis regularum’ cit. 190 s. [=Scritti di diritto romano II cit. 103 s.]

170 Lo nota, con decisione, ad esempio, V. ARANGIO-RUIZ, D. 44.7.25 § 1, inMélanges G. Cornil I (Paris 1926) 84 [=Scritti di diritto romano II cit. 144].

171 La differenza sistematica mi sembra evidente anche con riguardo al prosie-guo del passo, nella parte in cui si trova l’esempio (pure introdotto da veluti) rela-tivo alle azioni da delitto: a fronte della serie gaiana (3.182) strutturata come segue:furtum, rapina, damnum, iniuria, nel testo delle Res cottidianae (trascritto supra innt. 168) non solo manca la rapina, ma l’ordine è diverso: furtum, iniuria, damnum.

In questo «curiosissimo intruglio» 172, bersagliato con deci-sione e (almeno in parte) con buoni risultati dalla critica inter-polazionistica 173, si trova una serie delle fonti delle obbliga-zioni solo in parte comparabile con quelle fino ad ora prese inesame. Se nell’esordio, infatti, il primo posto, tradizionalmenteviene assunto dalle obbligazioni re, seguite immediatamente daquelle verbis, che si esprimono attraverso interrogatio e corri-spondente responsio (utilizzando lo schema dello stesso Mode-stino, nell’esplicazione del paragrafo 2) al secondo livello del-l’ordine. Poi simul utroque: il riferimento è a quanto immedia-tamente precede e quindi all’obbligazione re et verbis 174.Manca la possibilità di obbligarsi litteris, molto verisimilmentein questo caso per il consueto dato della desuetudine di questatipologia; segue – secondo il tipico andamento scandito dal-l’avversativa aut, che dà ritmo a tutta la prima parte del fram-mento – il riferimento, scarno, al consensus. Chiudono l’or-dine, con un cambiamento deciso del piano della riflessionedel giurista (o di chi per lui ha compilato il brano per comeci è pervenuto) – si direbbe con un passaggio ad una prospet-tiva che è ‘ordinamentale’, piuttosto che quella dell’ ‘autonomiaprivata’ –, le tipologie aut lege aut iure honorario aut neces-sitate.

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 445

172 Così V. ARANGIO-RUIZ, D. 44.7.25 § 1 cit. 86 [=Scritti di diritto romano IIcit. 146]. Bisogna leggere anche il seguito del testo, che mostra più distesamente, amo’ di regole, l’articolazione proposta nel principium: D. 44.7.52.1-10. Re obliga-mur, cum res ipsa intercedit. 2. Verbis, cum praecedit interrogatio et sequitur con-gruens responsio. 3. Re et verbis pariter obligamur, cum et res interrogationi interce-dit, consentientes in aliquam rem. 4. Ex consensu obligari necessario ex voluntatenostra videmur. 5. Lege obligamur, cum obtemperantes legibus aliquid secundumpraeceptum legis aut contra facimus. 6. Iure honorario obligamur ex his, quae edictoperpetuo vel magistratu fieri praecipiuntur vel fieri prohibentur. 7. Necessitate obli-gantur, quibus non licet aliud facere quam quod praeceptum est: quod evenit in ne-cessario herede. 8. Ex peccato obligamur, cum in facto quaestionis summa constitit.9. Etiam nudus consensus sufficit obligationi, quamvis verbis hoc exprimi possit.10. Sed et nutu solo pleraque consistunt.

173 Basti, in generale, il riferimento all’Index Interpolationum III cit. 368 s.174 Sull’uso della locuzione si v., per tutti, le osservazioni di M. TALAMANCA,

‘Conventio’ e ‘stipulatio’ cit. 168 e nt. 16.

4. La tradizione gaiana. – Certamente la sistemazionegaiana (come si è in parte già visto, seguendo la traccia pro-fonda che ne resta nella Compilazione giustinianea dei iura)ebbe grande influenza sulla successiva scienza giuridica 175. Perquanto riguarda le Res cottidianae 176, bisogna dapprima dare

446 CAPITOLO SETTIMO

175 Ciò naturalmente anche in virtù del successo complessivo dell’opera istitu-zionale gaiana nel tardoantico (significativo in particolare il richiamo del giuristanella cd. Legge delle citazioni di Valentiniano III, CTh. 1.4.3), cfr., per tutti, O. STA-NOJEVIC;, ‘Gaius noster’ cit. 116 ss.; inoltre: H. L. W. NELSON, Überlieferung, Auf-bau und Stil cit. 80 ss., sulla diffusa (dai punti di vista sia geografico sia cronolo-gico) cd. «indirekte Überlieferung».

176 Dibattuto in storiografia il problema dell’attribuibilità a Gaio dell’operaescerpita nella Compilazione di Giustiniano. Nell’Index Florentinus si trova il rife-rimento a sette libri aureon (20.4, TH. MOMMSEN, ed. maior I cit. liii* lin. 17); le in-scriptiones dei singoli frammenti della littera Florentina sono così suddivise (i rinviisono a O. LENEL, Palingenesia I cit. 251 ss., Gaius 486-505; in apice si indica il li-bro): recano il numero del libro e poi la dizione rerum cottidianarum sive aureorumi testi in D. 40.2.71=L. 486, D. 40.4.241=L. 487, D. 39.6.41=L. 488, D. 40.9.101=L.489 [sive è corretto in vel da F2], D. 1.8.52=L. 490, D. 41.1.1, 3, 5, 7, 92=L. 491 (nel-l’ultimo frammento indicato, per mero errore di scrittura, in F si trova sine), D.41.3.362=L. 492, D. 41.3.382=L. 493, D. 7.1.32=L. 494, D. 7.8.112=L. 496, D.8.4.162=L. 497, D. 50.13.63=L. 506 [il riferimento leneliano è bipartito, cfr. infrasub L. 506=D. 44.7.5]; dopo l’indicazione del libro si legge invece rerum cottidia-narum, corretto da F2 con l’aggiunta di sive aureorum, in D. 22.1.282=L. 495, D.17.1.42=L. 504; rerum cottidianarum in D. 19.2.22=L. 501; cottidianarum rerum inD. 18.6.22=L 499, D. 18.6.162=L. 500; cottidianarum rerum, corretto da F2 conl’aggiunta di sive aureorum in D. 17.2.722=L. 502; cottidianarum, corretto da F2 inrerum cottidianarum sive aureorum in D. 17.1.22=L. 503; aureorum in D.44.7.12=L. 498; aureorum, corretto da F2 con l’aggiunta di rerum cottidianarumsive in D. 44.7.43=L. 505; aureorum, cancellato da F2 in D. 44.7.53=L. 506; cfr. TH.MOMMSEN, ed. maior I 479 nt. 2; FR. SCHULZ, Storia della giurisprudenza romanacit. 296 nt. 4; S. DI MARZO, I ‘libri rerum cottidianarum sive aureorum’, in BIDR.51-52 (1948) 8 ss. Per la natura postclassica dell’opera si v. V. ARANGIO-RUIZ, An-cora sulle ‘res cottidianae’. Studio di giurisprudenza postclassica, in Studi in onore diP. Bonfante I (Milano 1931) 493 ss. (in due edizioni: 520) [=Scritti di diritto romanoII cit. 219 ss., 244]; ID., Noterelle gaiane, in Festschrift für L. Wenger II (München1945) 56 ss. [=Scritti di diritto romano IV cit. 41 ss.]; S. DI MARZO, o.u.c. 1 ss. (ano-nimo che si basa sulle Institutiones, lavoro d’indole didattica); A. GUARINO, L’ese-gesi delle fonti del diritto romano a c. di L. LABRUNA I (Napoli 1968, rist. 1982) 220s.; H. J. WOLFF, Zur Geschichte des Gaiustextes, in Studi in onore di V. Arangio-Ruiz IV (Napoli 1953) 171 ss. (con l’ipotesi di un ‘Urgaius’); F. WIEACKER, Text-stufen cit. spec. 187 s. (rimaneggiamento postclassico, sulla scia, anche metodolo-gica, di Arangio-Ruiz); per la attribuibilità a Gaio delle res cottidianae (con esame

uno sguardo alle testimonianze in nostro possesso, confron-tandole con lo schema delle Institutiones 177. Per prima cosa sipossono considerare, in parallelo, le enunciazioni di aperturarelative alla divisio delle fonti delle obbligazioni:

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 447

dei rapporti tra quest’opera e le Istituzioni): A. M. HONORÉ, Gaius cit. spec. 116;W. WOÒODKIEWICZ, ‘Obligationes ex variis causarum figuriis’ cit. 84 ss.; G. DIÓSDI,Gaius, der Rechtsgelehrte, in ANRW. II/15 (Berlin-New York 1976) spec. 613 s.(cfr. ID., The Importance of P. Oxy. 2103 and PSI 1182 for the History of ClassicalRoman Legal Litterature, in Proceedings of the Twelfth International Congress ofPapyrology [Toronto 1970] 113 ss.); H. L. W. NELSON, Überlieferung, Aufbau undStil cit. 294 ss., 321 s. (per interpolazioni), 330 s., 333 s. (opera di completamentodelle Istituzioni); O. STANOJEVIC;, ‘Gaius noster’ cit. 84 ss. Mette in evidenza, di re-cente, le non poche differenze rispetto alle Institutiones J. M. COMA FORT, El dere-cho de obligaciones cit. passim (cfr. in sintesi le considerazioni conclusive a p. 211ss.), che è però alquanto prudente con riferimento alla paternità (e non riflette ab-bastanza sulla possibilità di modificazioni gaiane).

177 Utile guida in H. L. W. NELSON, Überlieferung, Aufbau und Stil cit. 299,cfr. anche 353. Da ultimo sulle prospettive classificatorie, proprio a partire dal testogaiano, S. TONDO, Classificazioni delle fonti d’obbligazione, in Per la storia del pen-siero giuridico romano. Da Augusto agli Antonini cit. 39 ss. [=in Labeo 41 (1995)371 ss.].

178 Per l’integrazione si v. supra 428 nt. 111.179 Cfr. supra 430 nt. 119.180 O. LENEL, Palingenesia I cit. 257, Gaius 498.

Gai 3.88-89. <Nunc tran-seamus> 178 ad obligationes,quarum summa divisio induas species diducitur: om-nis enim obligatio vel excontractu nascitur vel exdelicto. Et prius videamusde his, quae ex contractunascuntur. Harum autemquattuor genera sunt: autenim re <con>trahitur 179

obligatio aut verbis aut lit-teris aut consensu.

D. 44.7 pr.-1. (2 rer. cott.) 180.Obligationes aut ex con-tractu nascuntur aut ex ma-leficio aut proprio quodamiure ex variis causarum fi-guriis. 1. Obligationes excontractu aut re contrahun-tur aut verbis aut consensu.

Come risulta immediatamente palese, ed è ampiamente

noto, i gruppi ex contractu, ex maleficio 181, proprio quodamiure (con la specificazione importante del riferimento alle va-riae causarum figurae) risultano termini di una scansione mag-giormente articolata rispetto alla secca originaria alternativa excontractu/ex delicto. Immediatamente dopo, al livello dei ge-nera (è un livello che si ripete nelle due versioni, anche se nellaseconda manca l’esplicitazione della modalità divisoria), la tri-partizione che conta, nell’ordine, re, verbis, consensu, si viene asostituire alla quadripartizione che conteneva anche (al terzoposto) l’indicazione delle obbligazioni litteris. L’omissione ègeneralmente attribuita ai compilatori, che avrebbero preteritoil genus non più in uso già nella prassi postclassica 182. L’inizialeschema dispositivo delle Res cottidianae risulta abbreviato(non solo per l’omissione del nesso nunc transeamus …, chenon avrebbe senso nella versione giustinianea), mancando il ri-ferimento alla summa divisio con la deductio nelle due specie.Peraltro la prospettiva dell’omnis obligatio (al singolare, maqualificata in modo espansivo con l’uso dell’aggettivazione‘totalizzante’ 183 omnis) è sostituita da quella delle obligationes

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181 La differenza rispetto all’uso di delictum nelle Institutiones sarebbe dovutaad un rafforzamento dell’idea negativa nelle res cottidianae, secondo A. M. HO-NORÉ, Gaius cit. 101 ss. (corrispondente alla creazione della categoria separata dei‘quasi’ delitti; il punto è, però, da considerare insieme con la rec. critica di G. G.ARCHI, in SDHI. 29 [1963] 434 ss., spec. 436); cfr. H. L. W. NELSON, Überlieferung,Aufbau und Stil cit. 306 nt. 21.

182 Per tutti si v. M. KASER, Das römische Privatrecht2 I cit. 544 s., II cit. 382s.; H. L. W. NELSON, Überlieferung, Aufbau und Stil cit. 332 nt. 46. L’obbligazionelitteris ricorre invece nelle Institutiones giustinianee, sia nella catalogazione di I.3.13, al paragrafo 2 (cfr. infra 455), sia in un breve titolo dedicato esclusivamente atale tema (3.21: porta la rubrica de litterarum obligatione), ma in esso si trova laspiegazione storica della scomparsa della tipologia obbligatoria, non più in usu.Pare chiara la motivazione didattica di tale presenza.

183 Sottolinea l’improprietà della prospettiva esplicitamente esaustiva delle In-stitutiones S. TONDO, Classificazioni delle fonti d’obbligazione cit. 48 [=in Labeo 41cit. 380], ponendo il problema della solutio indebiti nello stesso Gaio (3.91 … haecspecies obligationis non videtur ex contractu consistere, quia is, qui solvendi animodat, magis distrahere vult negotium quam contahere), in cui mancherebbe la vo-lontà in ordine alla stessa obbligazione; sul punto cfr. E. BETTI, Le fonti d’obbliga-zione e i problemi storici della loro classificazione, in Arch. Giur. 93 (1925) 274 ss.,

(al plurale), che viene seguita anche nella successiva descri-zione dei modi di contrarre le stesse. Qualche difficoltà daparte dei Compilatori è stata notata 184 nel contrasto costrut-tivo tra il più chiaro uso di contrahere che si rinviene nelle In-stitutiones, ed il ripetitivo ex contractu … contrahuntur dellaversione giustinianea: in quest’ultima non si riesce a mantenerequello che è stato definito un «modello di eleganza» 185. Nelcomplesso, al tratto del terzo libro in cui si trova la discussionerelativa alle obligationes consensu contractae corrispondono seiframmenti dei Digesta (raggruppati sotto cinque numeri nellaPalingenesia leneliana) 186, che trattano problemi relativi allaconsensualità 187. In particolare, dai commissari giustinianei fu-rono scelti due casi relativi alla compravendita (entrambi rife-riti alla responsabilità del venditore per la qualità del vino do-

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 449

ed anche la lettura di J. C. VAN OVEN, Remarques sur Gai. 3.91, in Iura 1 (1950)21 ss., secondo cui il periodo finale di Gai 3.91 deve attribuirsi ad un glossatorepostclassico. Sull’improprietà dell’impostazione «assolutamente esauriente» propo-sta da Gaio si v. anche G. SCHERILLO, Lezioni cit. 241, 246. Per una forte influenzaaristotelica (a partire da EN. 1131a 2, sulla differenza tra synallagmata volontari edinvolontari), si v. A. M. HONORÉ, Gaius cit. 100 ss. (che segue P. STEIN, Quasi-de-lictual obligation, in RIDA. 5 [1958] 563), sul quale giuste considerazioni critiche inG. G. ARCHI, rec. cit. 432 s., 436.

184 Da V. ARANGIO-RUIZ, D. 44.7.25 § 1 cit. 89 s. [=Scritti di diritto romano IIcit. 149 s.].

185 V. ARANGIO-RUIZ, D. 44.7.25 § 1 cit. 90 [=Scritti di diritto romano II cit.150].

186 D. 18.6.2, 16; D. 19.2.2.17; D. 17.2.72; D. 17.1.2, 4 [=O. LENEL, Palingene-sia I cit. 258 s., Gaius 499-504]. Lo schema dei rapporti d’ordine tra institutiones eres cottidianae è il seguente (cfr. H. L. W. NELSON, Überlieferung, Aufbau und Stilcit. 299; con L. indico il frammento nella collocazione palingenetica leneliana):

inst. 3.135-162 L. 499-504inst. 3.139-141 L. 499-500inst. 3.142-147 L. 501inst. 3.148-154 b L. 502inst. 3.155-162 L. 503-504187 Da rilevare la prospettiva delle res cottidianae dal punto di vista dell’obli-

gatio re, che si apre con la mutui datio, per articolarsi su comodato, deposito e pe-gno (D. 44.7.2-6), e quella dell’obligatio verbis, che descrive la struttura e la casisticarelative alla stipulatio (D. 44.7.7-15). Nel momento del passaggio alla obligatio con-sensu, i compilatori tornano al testo delle Institutiones (D. 44.7.2 pr., cfr. supra 436su nt. 143).

liare non ancora trasferito nel luogo della prestazione) 188, unsolo frammento per la locatio conductio, di natura generale 189,ancora un solo frammento sulla società (su un problema parti-colare: la responsabilità del socius per colpa nei confronti del-l’altro socio, con breve escurso sul significato di culpa in rela-zione con diligentia) 190, due sul mandatum (il primo 191 moltogenerale, con la suddivisione in cinque genera mandatorumche surroga quella in due generi di Gai 3.155; il secondo 192 sudi un caso di eccesso di mandato, con la menzione della tesiproculeiana, che manca nelle Institutiones 193). Oltre all’intro-duzione, più sopra considerata, l’unico parallelismo nel con-tenuto, evidente per la sua letteralità, è dato dal confronto tra

450 CAPITOLO SETTIMO

188 D. 18.6.2, 16 [=O. LENEL, Palingenesia I cit. 258, Gaius 499, 500].189 D. 19.2.2.17 [=O. LENEL, Palingenesia I cit. 258 s., Gaius 501].190 D. 17.2.72 [=O. LENEL, Palingenesia I cit. 259, Gaius 502].191 D. 17.1.2 [=O. LENEL, Palingenesia I cit. 259, Gaius 503].192 D. 17.1.4 [=O. LENEL, Palingenesia I cit. 259, Gaius 504].193 Gai 3.161. Non convince del tutto l’ipotesi secondo la quale l’inserzione

potrebbe essere giustinianea, soprattutto perché introdotta da un recte che serve acorreggere la prospettiva assunta dal giurista (cfr. H. L. W. NELSON, Überlieferung,Aufbau und Stil cit. 299 s. nt. 14), si potrebbe comparare la tesi (invero diversa-mente argomentata dai due romanisti) di FR. PRINGSHEIM, Eine absichtlicheTextkuerzung in Gai ver. 3,161, in Studi di storia e di diritto in onore di E. Besta I(Milano 1938) 323 ss., e V. ARANGIO-RUIZ, Noterelle gaiane cit. 64 s. [=Scritti di di-ritto romano IV cit. 49 s.], su una volontaria omissione nel Veronese (o in un pre-cedente manoscritto gaiano, di V secolo), v. anche ID., Il mandato nel diritto ro-mano2 (Napoli 1965) 173 s. In D. 17.1.4 l’adesione al caposcuola proculiano (e dun-que non solo la chiusa, ma anche l’inserzione di recte) potrebbe non essereattribuibile a Gaio, ma a mano compilatoria (cfr. ancora V. ARANGIO-RUIZ, Il man-dato2 cit. 171 s.; per l’approvazione a Proculo attraverso la dizione sane benigniorest si v. anche A. PALMA, ‘Benignior interpretatio’. ‘Benignitas’ nella giurisprudenzae nella normazione da Adriano ai Severi [Torino 1997] 91 ss.). Per un cenno alle op-poste posizioni di scuola su questo punto cfr. E. STOLFI, Il modello delle scuole cit.60 nt. 271, 70, B. J. CHOE, Die Schulkontroverse bei Überschreitung des Auftragszum Grundstückskauf, in ‘Mandatum’ und Verwandtes cit. 119 ss. Come sempreimportanti le riflessioni di D. NÖRR, Paulus (32 ad ed.) D. 17.1.3, 5: ein Traktat zumMandatexzeß, in Mélanges F. Wubbe (Fribourg 1993) 355 ss., che s’incentrano suitesti paolini rispetto ai quali, nella prospettiva giustinianea, è intercalato il fram-mento proveniente dalle res cottidianae; cfr. anche C. MASI DORIA, ‘Spretum impe-rium’ cit. spec. 119 ss.

inst. 3.145, 147 e D. 19.2.2.1 (in tema di delimitazione strut-turale – in confronto con la peculiare familiaritas che connettei due istituti – della locatio conductio rispetto all’emptio ven-ditio 194).

Naturalmente l’unico dato generale di tipo sistematico èassai tenue, provenendo tutti i frammenti in questione (escer-piti dai Digesta) dal secondo libro delle Res cottidianae (inutiledire che l’ordine palingenetico leneliano si basa proprio sullacadenza delle Institutiones). Un elemento, che ricorre nel terzolibro dell’operetta, è utile solo al fine di riannodare il discorso:

44.7.4 (Gai. 3 aur.). Ex maleficio nascuntur obligationes,veluti ex furto, ex damno, ex rapina, ex iniuria. Quae om-nia unius generis sunt: nam hae re tantum consistunt, id estipso maleficio, cum alioquin ex contractu obligationes nontantum re consistant, sed etiam verbis et consensu.

Nell’elencazione dei modi di costituzione dell’obbligazioneex maleficio, Gaio replica (con un piccolo spostamento, inver-tendo l’ordine di danno e rapina) la serie della prospettiva exdelicto contenuta nelle Institutiones (3.182), riconducendoli– però – ad un genus unico, quello delle obligationes re 195. Lacorrispondenza ipsum maleficium=res (che sarà poi replicata,com’è noto, nelle Istituzioni imperiali 196) costruisce immedia-tamente un collegamento con l’ordine ex contractu, nel quale

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 451

194 Il parallelismo viene (anche graficamente) ben rappresentato da H. L. W.NELSON, Überlieferung, Aufbau und Stil cit. 299 nt. 13, spec. 307 s.; cfr. I. 3.24.3.

195 Secondo G. SCHERILLO, Lezioni cit. 247 «res sarebbe qui il mero compor-tamento illecito, l’atto materiale del soggetto», proponendo un parallelismo con l’exfacto di D. 44.7.25.1 (Ulp. l. s. reg.). Sulle fonti nelle quali il delitto è denominatofactum, ed il rapporto tra queste e la prospettiva dell’obbligazione re si v. S. PE-ROZZI, Le obbligazioni romane cit. 42 nt. 1 [=Scritti giuridici II cit. 346 nt. 1], e cfr.V. ARANGIO-RUIZ, D. 44.7.25 § 1 cit. 86 s. nt. 2 [=Scritti di diritto romano II cit.146 s. nt. 2].

196 I. 4.1 pr.; cfr. G. SCHERILLO, Lezioni cit. 249. Anche in questo testo rilevail ricordo dei quattuor genera delle obbligazioni contrattuali (come nel rapporto,più sopra notato, tra Gai 3.89 e 3.182).

rilevano anche (l’ordine è quello consueto, mancano le obbli-gazioni litteris) le modalità verbis et consensu.

Né i cd. Fragmenta Augustodunensia, né i Tituli ex corporeUlpiani (qualora li si voglia inserire nella tradizione gaiana 197)sono comparabili nella parte relativa alle obligationes consensucontractae alle Institutiones del giurista antoniniano: nelle dueoperette mancano riferimenti al problema 198. Si può dunquepassare all’analisi dell’Epitome Gai, che – come forse si ricor-derà – costituisce l’unica fonte a matrice giurisprudenziale deltardoantico in cui v’è traccia esplicita del consensus contrat-tuale.

Ep. Gai 2.9 pr. 199. Obligatio in duas species dividitur; namomnes obligationes aut ex contractu nascuntur aut exculpa. Quae ex contractu nascuntur, quattuor genera sunt,quae singula hoc ordine distinguuntur: aut enim re con-trahitur obligatio, aut verbis, aut litteris, aut consensu.

Anche se lo schema è «approssimativo» 200 rispetto allarealtà giuridica del suo tempo, risulta dal nostro angolo visuale

452 CAPITOLO SETTIMO

197 Seguendo la nota tesi di V. ARANGIO-RUIZ, Sul ‘liber singularis regularum’cit. 178 ss. [=Scritti di diritto romano II cit. 89 ss.], cfr. ID., Storia del diritto ro-mano7 (Napoli 1957) spec. 301, ma ora si v. F. MERCOGLIANO, ‘Tituli ex corpore Ul-piani’ cit. passim.

198 Per il contenuto dei Fragmenta Augustodunensia si v. J.-D. RODRÍGUEZ

MARTÍN, Fragmenta Augustodunensia (Granada 1998) 117 ss.; per il parallelo (inquesta parte mancante) delle Institutiones gaiane con i Tituli ex corpore Ulpiani cfr.H. L. W. NELSON, Überlieferung, Aufbau und Stil cit. 339 ss., spec. 353.

199 Il testo apre il titolo de obligationibus dell’epitome, cfr. G. G. ARCHI,L’«Epitome Gai». Studio sul tardo diritto romano in Occidente (Milano 1937, rist.Napoli 1991) 365 ss.

200 Si v., con particolare riguardo alla compravendita consensuale, G. G. AR-CHI, L’«Epitome Gai» cit. 411. Per la natura non interpolata dello schema si v., pertutti, M. KASER, Das römische Privatrecht2 II cit. 365 e nt. 21; C. A. MASCHI, Tu-tela, fedecommessi, contratti reali (Omissioni nel manoscritto veronese delle Istitu-zioni di Gaio), in Studi in onore di E. Volterra IV (Milano 1971) 759 ss. Sul rap-porto tra schema gaiano e svolgimenti nell’Epitome cfr. E. LEVY, WeströmischesVulgarrecht. Das Obligationenrecht 18 ss., con la critica di G. PUGLIESE, rec., inArch. Giur. 152 (1957) 153 [=Scritti giuridici scelti II. Diritto romano (Napoli 1985)490].

molto interessante perché mostra la capacità di persistenza delmodello. La prima partizione è in specie: infatti tutte le obbli-gazioni (il tema è quello delle Res cottidianae: si è persa la pro-spettiva – come si è visto, imperfetta – della omnis obligatio)nascono o da contratto o da colpa. Il secondo termine rappre-senta ancora una variazione (dopo il delictum delle Institutio-nes ed il maleficium delle Res cottidianae) descrittiva dellafonte dell’obbligazione da delitto, ma per il resto, in generaleed anche nel tono letterale, il punto di osservazione e la co-struzione gaiani appaiono pienamente continuati 201. Come an-che nella conseguente divisione in genera dei rapporti contrat-tuali, in cui si può notare come particolarità la menzione di unordo di distinzione, ordo che corrisponde anche qui perfet-tamente a quello usuale: re, verbis, litteris, consensu, e che ilgiurista segue con attenzione nel prosieguo della sua tratta-zione 202. Passiamo dunque al luogo in cui si apre la descrizionedelle obbligazioni consensuali:

Ep. Gai 2.9.13. Consensu fiunt obligationes ex emptioni-bus et venditionibus, locationibus conductionibus, societa-tibus et mandatis; quia in huiusmodi rebus consensus ma-gis quam scriptura aliqua aut solemnitas quaeritur 203.

L’esordio all’ablativo (in tal caso seguito da fiunt obligatio-nes) è ancora tipico, replica quella «arcaicizzante apparenza»,che caratterizza questo come altri luoghi della tarda epitomeoccidentale 204. Di seguito scarno, essenziale, l’elenco dei no-mina contractus menzionati al plurale, in un ordine ormai con-

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 453

201 Pur rilevando qualche differenza, il testo è «del tutto analogo» con riferi-mento alla «sostanza» della classificazione per G. SCHERILLO, Lezioni cit. 242 s.

202 Cfr. §§ 1 (re), 2-11 (verbis), 12 (litteris) 13-20 (consensu).203 Come si può facilmente notare il testo è praticamente identico a quello del

Veronese (3.135, cfr. supra su nt. 144); sulla lieve differenza ex emptionibus al postodi in emptionibus si v. H. L. W. NELSON, U. MANTHE, Gai Institutiones III 88-181cit. 230.

204 G. G. ARCHI, L’«Epitome Gai» cit. 367, con riferimento esplicito «all’in-quadratura del sistema» delle obbligazioni, «assai vicina al suo modello». Cfr. M.CONRAT, Die Entstehung des westgotischen Gaius (Amsterdam 1905) 45 s.

solidato: aprono le compravendite, poi le locazioni, le società,i mandati. Un quia esplicativo mostra quella che appare in-sieme la caratteristica essenziale e la giustificazione della pre-senza di tali mezzi nell’ordinamento: la mancanza di formeprestabilite, che viene enunciata con riferimento negativo allascrittura e ad altra (qualsiasi) solennità 205. Completa questaparte generale (che prelude alla trattazione ordinata dei singolitipi contrattuali) il riferimento alla possibilità di contrarre interabsentes: In quibus rebus etiam inter absentes obligatio con-trahi potest, quod in aliis rebus fieri non potest. Segue l’esamedi ciascuno dei contratti consensuali, secondo l’ordine con-sueto, con breve disamina separata di emptio venditio (§ 14),locatio conductio (§ 15), societas (§ 16-17, in quest’ultimo para-grafo il consenso è esplicitamente analizzato con riferimentoallo scioglimento del contratto), mandatum (§ 18-20). In taleparte speciale si notano importanti mutamenti rispetto al mo-dello classico, messo magistralmente in luce, in un suo scrittogiovanile, da Archi: il consensus ha perso la sua comprensibilitàdogmatica, scolorendosi in un concetto piuttosto debole, chein sostanza semplicemente s’oppone a scritture e solennità, es’esprime (almeno) attraverso il verbum perdendo quella silen-ziosa caratteristica ch’era stata tipica (anche nella proposizionedidattica) dell’età classica 206. Pare chiaro come in questa se-zione (specifica sulle diverse figure contrattuali) l’incidenzadelle trasformazioni postclassiche provochi una più rilevante

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205 Su cui si v. subito infra nel testo.206 Cfr. G. G. ARCHI, L’«Epitome Gai» cit. 368 ss. (cfr. anche 410 ss., con os-

servazioni in parte ripetitive), che mette in connessione Ep. Gai 2.9.15 (locatio etconductio simili ratione consistunt, ut consensu, etiam verbo, definitio inter consen-tientes firma permaneat), 16 (riferito alla societas: et huius rei definitio etiam verboinita valet), 18 (similiter et mandari verbo potest) con una serie di testi tardoantichi,con essi, sul punto, conferenti (cfr. Intepr. ad CTh. 2.16.3; Consult. 3.1, 4; Interpr.ad PS. 2.18.10; PS. 2.13.3, con Interpr. ad h. l.). Sul punto si v. anche E. LEVY, We-strömisches Vulgarrecht. Das Obligationenrecht cit. spec. 21. Noterei, in più, chel’uso di etiam nell’Epitome sia per la locazione che per la società sembra dare quasiper scontata una prassi in cui normalmente si adibisce una qualche formalità ulte-riore ad un contratto che può «anche» porsi in essere meramente verbo. Sulla ‘si-lenziosità’ come caratteristica (possibile) del consensus si v. supra 160.

scissione dal modello gaiano, rispetto allo schema iniziale so-stanzialmente immutato.

Ancora di matrice prevalentemente gaiana è la strutturanarrativa delle Institutiones imperiali: nel paragrafo in cui sielencano in generale i modi di costituzione dell’obligatio 207,che apre la descrizione delle varie tipologie obbligatorie, ed incui, ai fini qui in questione, rileva soprattutto l’ultima parte, incui, dopo la definizione generale di obligatio, la summa divisio(civiles/praetoriae), l’ulteriore (sequens) divisio in quattro spe-cie (ex contractu, quasi ex contractu, ex maleficio, quasi ex ma-leficio), si trova la dichiarazione secondo la quale in primoluogo si sarebbe trattato di quelle ex contractu, e dunque, «diquelle», le quattuor species: «infatti o si contraggono con le pa-role o con le lettere o con il consenso»:

I. 3.13.2. … prius est, ut de his quae ex contractu sunt di-spiciamus. Harum aeque quattuor species sunt: aut enim recontrahuntur aut verbis aut litteris aut consensu. De qui-bus singulis dispiciamus.

In particolare alle Institutiones del giurista antoniniano è,palesemente, ispirato l’esordio del titolo specifico, rubricato deconsensu obligatione 208:

I. 3.22 pr.-1. Consensu fiunt obligationes in emptionibusvenditionibus, locationibus conductionibus, societatibus,

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 455

207 I. 3.13 pr.-2. Nunc transeamus ad obligationes. Obligatio est iuris vinculum,quo necessitate adstringimur alicuius solvendae rei secundum nostrae civitatis iura.1. Omnium autem obligationum summa divisio in duo genera diducitur: namqueaut civiles sunt aut praetoriae. Civiles sunt, quae aut legibus constitutae aut certeiure civili comprobatae sunt. Pretoriae sunt, quas praetor ex sua iurisdictione con-stituit, quae etiam honorariae vocantur. 2. Sequens divisio in quattuor species di-ducitur: aut enim ex contractu sunt aut quasi ex contractu aut ex maleficio aut quasiex maleficio … Sul rapporto del testo giustinianeo con il Gaio veronese si v., in par-ticolare, V. ARANGIO-RUIZ, D. 44.7.25 § 1 cit. 90 s. [=Scritti di diritto romano II cit.90 s.].

208 Cfr. C. FERRINI, Sulle fonti delle Istituzioni cit. 178 [=Opere II cit. 391].

mandatis. 1. Ideo autem istis modis consensu dicitur obli-gatio contrahi, quia neque scriptura neque presentia omni-modo opus est ac ne dari quidquam necesse est, ut sub-stantiam capiat obligatio, sed sufficit eos qui negotium ge-runt consentire.

La pur semplice prospettiva delle Istituzioni imperiali puòessere istruttiva 209. Il principium del titolo XXII, dedicato ingenerale a de consensu obligatione (il singolare mostra un lavo-rio di astrazione dai tipi al modello) contiene l’elencazione chesi è vista 210, il § 1 consegue con una descrizione che mantiene,oltre alla menzione della «sufficienza» del consentire, specifica-zioni che, anche se rimaneggiate, soprattutto con riguardo alleriforme avvenute in tema di contratti verbali e letterali 211, sonotratte dal diritto classico. Se infatti la dizione è alquanto scoor-dinata, appare efficace e corrispondente alla più antica rap-presentazione della consensualità il riferimento (negativo) allascriptura ed alla praesentia 212, elementi assolutamente non

456 CAPITOLO SETTIMO

209 R. ORESTANO, ‘Obligationes’ e dialettica cit. 456 [=Scritti III cit. 1354]:«Allorché in ogni tipo di contratto si riterrà come elemento comune il consensus equesto apparirà, per parlare in termini dialettici, come la loro causa efficiente, i varigenera gaiani scompariranno e tutti i contratti potranno essere unificati in un genusunico, sicché le singole cause efficienti dei vari tipi daranno luogo non più a genera,ma ad altrettante species», con il richiamo a I. 3.13.2. Lo studioso corregge lieve-mente il tiro ibid. in nt. 2: «A stretto rigore si potrebbe osservare che il testo delleIstituzioni giustinianee non accenna al consensus come elemento comune di tutti icontratti. Per altro l’immanenza di questa concezione, proprio nel punto consi-derato, si coglie assai bene, andando a vedere la Parafrasi greca e il suo riferimentoall’elemento consensuale presente in ogni contratto (III, 13,1 ed. Ferrini p. 318)».

210 Cfr. supra 435 ss.211 Così V. ARANGIO-RUIZ, La società cit. 64.212 Il termine rappresenta una delle modificazioni più rilevanti del testo giusti-

nianeo rispetto al modello gaiano. Per C. FERRINI, Sulle fonti delle Istituzioni cit.178 [=Opere II cit. 391] esso deriverebbe da C. 8.37(38).14 (così anche S. DI

MARZO, I ‘libri rerum cottidianarum sive aureorum’ cit. 51 nt. 122, che attribuisceil modello del testo alle Res cottidianae), ma già S. SANGIORGI, Il metodo di compi-lazione delle Istituzioni di Giustiniano, in AUPA. 27 (1959) 216 s., notava come ilcompilatore giustinianeo non citasse la lex, mostrando piuttosto una certa tendenzaalla concisione. Secondo G. FALCONE, Il metodo di compilazione delle ‘Institutio-nes’ di Giustiniano, in AUPA. 45/1 (1998) 300, l’inserzione sarebbe comunque di

strutturali affinché si costituisca l’obbligazione (significativa ladizione ut substantiam capiat obligatio, che chiude tutti i ri-chiami ‘negativi’ 213). Segue il riferimento al dari (e dunque allastruttura invece tipica dell’obbligazione reale, un segno dicompletomania del redattore delle Institutiones rispetto al te-sto parallelo di Gaio 214, in cui i dati negativi sono esclusiva-mente verba e scriptura), che pure è indicato come non neces-sario. La prima (principale) conseguenza – e qui il legame conle fonti classiche è chiarissimo –, subito introdotta al § 2, stanella possibilità di contrarre anche tra assenti (il pendant è lapresentia menzionata nel § 1): unde inter absentes quoque talianegotia contrahuntur, veluti per epistulam aut per nuntium. Ilseguito della generalizzazione giustinianea corrisponde perfet-tamente al dettato istituzionale gaiano 215, incentrato sulla bila-teralità della prestazione ex bono et aequo, in contrappostocon l’obbligazione verbale:

I. 3.22.3. Item in his contractibus alter alteri obligatur inid, quod alterum alteri ex bono et aequo praestare oportet,cum alioquin in verborum obligationibus alius stipuletur,alius promittat.

I successivi titoli del manuale approfondiscono i singolicontratti, secondo l’ordine dato e ormai stabilizzatosi nell’am-bito della tradizione: de emptione et venditione (3.23), de lo-catione et conductione (3.24), de societate (3.25), de mandato(3.26) 216.

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 457

matrice gaiana, riferendosi al prosieguo di inst. 3.136, nella parte in cui il giuristaantoniniano affermava cum alioquin verborum obligatio inter absentes fieri nonpossit.

213 Nel senso della sua provenienza gaiana si v. V. ARANGIO-RUIZ, Il mandatocit. 80 nt. 3; ID., La società cit. 64 nt. 1.

214 Inst. 3.136. Per l’inserzione giustinianea cfr. S. DI MARZO, I ‘libri rerumcottidianarum sive aureorum’ cit. 51 nt. 122.

215 Cfr. Gai 3.137 (per un’esegesi si v. supra su nt. 166). Unica lieve differenzasta nel fatto che mentre in Gaio si trova alter alteri obligatur de eo, il riferimento fi-nale è mutato in in id nelle Istituzioni imperiali.

216 Per la riferibilità diretta alle Res cottidianae si v. S. DI MARZO, I ‘libri re-rum cottidianarum sive aureorum’ cit. 51 ss.

L’ultimo stadio dell’analisi della linea ordinatrice che hamatrice gaiana deve riferirsi alla Parafrasi teofilina alle Istitu-zioni giustinianee. Nel titolo 3.13, in fine del § 2, dopo averesposto ai suoi ascoltatori «con consapevole autonomia» ri-spetto ai suoi modelli 217 la divisione in quattro delle obbliga-zioni (da contratto, quasi contratto, delitto, quasi delitto) 218,Teofilo, aprendo la trattazione di quelle contrattuali, proponela nota, di recente ristudiata (con riferimento all’influenza ul-pianea 219, concretatasi anche attraverso un’inserzione di unostudente-trascrittore capace di collegamenti tra le diverse lezio-ni dell’antecessor bizantino 220), definizione del synallagma 221;

458 CAPITOLO SETTIMO

217 Così G. FALCONE, Il metodo di compilazione delle ‘Institutiones’ cit. 356.218 Theoph. Par. 3.13.2. Deutevra de; diaivresiı au{th, h{tiı eijı tevssara tevmnetai,

h] ga;r ajpo; sunallavgmatovı eijsin h] wJsanei; ajpo; sunallavgmatoı h] ajpo; aJmarthvmatoı h]wJsanei; ajpo; aJmarthvmatoı. Dei de; provteron peri; touvtwn dialecqhnai ai{tineı ajpo;sunallavgmatovı eijsi. La prima diairesis offerta da Teofilo ai suoi studenti in questaparte è quella relativa alle politikai; (civiles) ed alle praetoriae, appena svolta nel pa-ragrafo 1. Per l’omissione (rilevante nel rapporto tra rJhtovn e parafrasi) del riferi-mento classificatorio del § 2 a genera e species cfr. G. FALCONE, Il metodo di com-pilazione delle ‘Institutiones’ cit. 357.

219 Oltre alla definizione di pactio in D. 2.14.1.2, che influenza la scrittura delprimo membro della spiegazione di synallagma in Theoph. Par. 3.13.2, il secondoderiverebbe non da D. 50.16.19 (ove il discorso definitorio labeoniano in tema dicontratto), ma dalla trattazione ulpianea delle conventiones in D. 2.14.1.3 ed in D.2.14.7.1-2. Per tale innovativa ipotesi di lettura della Parafrasi, che si deve a Giu-seppe Falcone, cfr. la bibliografia segnalata infra in nt. 221.

220 Sulla redazione in sede scolastica della Parafrasi attribuita a Teofilo si v., daultimo, G. FALCONE, La formazione del testo della Parafrasi di Teofilo, in TR. 68(2000) 417 ss. (con ulteriori referenze bibliografiche in nt. 1 a p. 417), che accede al-l’ipotesi secondo la quale il discorso recepito dal trascrittore sia sostanzialmente at-tribuibile (con tutte le sue deviazioni) al maestro bizantino (più che ad un collageoperato dallo studente in sede di riflessione su due diverse serie di appunti, relative,rispettivamente, alla traduzione del testo commentato e ad approfondimenti sullostesso, secondo l’opinione attribuibile originariamente a H. J. SCHELTEMA, L’ensei-gnement du droit des Antécesseurs [Leiden 1970] 17 ss.; per altre indicazioni di let-teratura, si v. G. FALCONE, l.u.c.; l’ipotesi del romanista palermitano mi pare in-compresa nella segn. di S. TROIANOS, in ByzZ. 95/1 [2002] 359).

221 Si v. G. FALCONE, L’origine della definizione di sunavllagma nella Parafrasidi Teofilo 1. Le fonti, in Seminarios Complutenses 11 (1999) 27 ss.; ID., Genesi e va-lore della definizione di sunavllagma nella Parafrasi di Teofilo, in ‘Iuris vincula’.Studi in onore di M. Talamanca III (Napoli 2001) 65 ss. (con ampi riferimenti bi-bliografici in nt. 1 a p. 67 s.); in particolare sul primo studio citato del romanista pa-

dunque procede alla divisione delle ejnocai; che nascono, ap-punto, dai sunallavgmata: re verbis litteris consensu 222.

Theoph. Par. 3.13.2. … Sunavllagma dev ejsti duvo h] kai;pleiovnwn eijı to; aujto; suvnodovı te kai; sunaivnesiı ejpi; to;sunivstasqai ejnoch;n kai; to;n e{teron tw/` eJtevrw/ poinsaiuJpeuvqunon. Tevssareı de; ejk twn sunallagmavtwn ejgeivron-tai ejnocaiv re verbis litteris consensu kai; dei peri; eJkavsthıdialecqhnai.

Il consenso rileva come elemento centrale (insieme con laprospettiva della bilateralità) già nella definizione generale delsunavllagma, ma qui bisogna concentrare l’attenzione sul mo-mento sistematico che chiude il paragrafo, per aprire la tratta-zione dei singoli generi. Come spesso accade nel testo bizan-tino (in stretta connessione didattica con il passo giustinianeoparafrasato o commentato), la serie (che qui è il punto mag-giormente interessante) è riportata in latino. Nei titoli succes-sivi del terzo libro viene seguita, com’è ovvio, la traccia delleInstitutiones giustinianee: dopo l’ampia sezione dedicata allamateria stipulatoria (ove bisogna notare come in 3.20.1 risulti

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 459

lermitano si v. A. BURDESE, Sulla definizione teofilina di sunavllagma (a proposito diun recente studio), in Rivista di diritto romano 1 (2001) 1 ss. [indirizzo web:http://www/ledonline.it/rivistadirittoromano/]. Per il rapporto tra questo puntodella Parafrasi e la cd. Glossa torinese alle Institutiones giustinianee [624 AL-BERTI=349 SAVIGNY: contractus est duorum vel multorum in idem placitum ex quoalius alio obligatur], cfr. G. FALCONE, Il metodo di compilazione delle ‘Institutiones’cit. 382 nt. 383; ID., I prestiti dalla Parafrasi di Teofilo nella cd. Glossa torinese alleIstituzioni, in SDHI. 62 (1996) 282 e nt. 49; la relazione tra i due testi coincide conl’ipotesi di D. LIEBS, Die Jurisprudenz im spätantiken Italien (260-640 n. Chr.)(Berlin 1987) 207 s., secondo cui nell’apparato più risalente del manoscritto torinese(la glossa in questione è tra le antiche) si leggerebbe la mano di un giurista bizan-tino appositamente inviato in Italia, dopo il 536, da Giustiniano.

222 Tra litteris e consensu in alcuni codici (cfr. E. C. FERRINI, InstitutionumGraeca paraphrasis 318 nt. 7 in apparato) è intercalata la congiunzione et; nell’edi-zione ferriniana, che segue come di solito in primo luogo il Messanensis (in tal casoperaltro corrispondente anche alla doppia tradizione fiorentina: L. LXXX, 1+L.LXXX, 2), è da preferire l’omissione (ma – forse –, utilizzando i segni d’interpun-zione, si sarebbe potuto rendere: re, verbis, litteris et consensu).

ancora la serie re verbis litteris consensu, relativa all’aggiunta difideiussori rispetto ai debitori principali, in parallelismo conGai 3.119a 223), e la descrizione storica de litterarum obliga-tione (3.21), si trova la trattazione generale de consensu obli-gatione (3.22). Questa poi s’articola secondo la conseguentescansione de emptione et venditione, de locatione et conduc-tione, de societate, de mandato (3.23-26), secondo l’ordine or-mai canonico che, dopo ancora un richiamo ai generi re verbislitteris consensu per mostrare quanto già trattato e quantoancora da esaminare 224, si rinviene nel principium di 3.22, incui vengono rappresentati come modi di costituzione: ejn th/`agorasiva/ kai; pravsei misqwvsei kai ejkmisqwvsei 225 koinwniva/ejntelh/` 226. Segue, nel paragrafo 1, la contrapposizione con le al-tre tipologie (arricchita di un contrappunto costante e didasca-licamente efficace, che di continuo ne richiama e raffronta l’es-senza): non si abbisogna di grafhv, né di parousiva, né, ancora,occorre «consegnare qualcosa», affinché vi sia la obbligazioneconsensu (i{na suvstasin hJ consensu). Segue (3.22.2) 227 l’indica-zione della validità tra assenti, con la solita descrizione dellepossibili modalità per lettera e attraverso un a[ggeloı. Ac-cede, ancora in questa parte generale (procedendo secondo I.3.22.3 228), la digressione dogmatica sulla naturale bilateralitàdell’obbligazione consensuale, in contrapposto con quella re,

460 CAPITOLO SETTIMO

223 Cfr. supra 432 s.; e si v. G. FALCONE, Genesi e valore della definizione disunavllagma cit. 82 (sul rapporto tra 3.20 pr. e 3.20.1).

224 Chiaramente per una svista nella traduzione latina di FERRINI è saltato il ri-ferimento all’obbligazione re: Institutionum Graeca paraphrasis cit. 350.

225 La resa in latino proposta da E. C. FERRINI, Institutionum Graeca pa-raphrasis cit. 350, è riduttiva nel riguardo esclusivo alla locatio, senza tenere inconto il riferimento testuale alla misthosis (peraltro nei testi greci molto più comunee ricorrente rispetto a quello alla ejkmivsqwsiı-locazione), che traduce solo il latinoconductio.

226 Per la tradizione manoscritta (rilevano le aggiunte ed omissioni dei kai;)si v. l’apparato critico in E. C. FERRINI, Institutionum Graeca paraphrasis cit. 350ntt. 10-12.

227 Cfr. Gai 3.136; I. 3.22.2.228 Cfr. Gai 3.137.

verbis o litteris, e con la menzione della prestazione ejk toukallivstou kai; tou dikaivou 229.

Per la sua riconoscibilità nella linea gaiana, bisogna men-zionare anche la divisione delle obbligazioni che si rinviene nelLII libro dei Basilici, anche se ad essa, in questa sede, è pos-sibile dedicare solo un cenno:

B. 52.1.1. AiJ ejnocai; h] ajpo; sunallavgmatoı h] ajpo; aJmarthv-matoı tivktontai, h] ajpo; ijdikou novmou ejk diafovrwn qemavtwn.AiJ ajpo; sunallavgmatoı h] ejn pravgmativ eijsin h] ejn ejperwthv-sei h] sunainevsei ... 230

Come si può facilmente constatare, il testo della compila-zione bizantina, in questa parte, rende – praticamente quasialla lettera – D. 44.7.1 pr. (Gai. 2 aur.): le obbligazioni nasconoda contratto, da delitto, o iure proprio (ajpo; ijdikou novmou) da«casi diversi»; quelle da contratto, che aprono la descrizione,consistono «nella cosa, nella interrogazione, nel consenso».L’ammodernamento riguarda il riferire l’obbligazione verbisdirettamente alla ejperwvthsiı, che dà il senso dell’interroga-zione, dunque: la stipulatio. Per il resto, l’ormai risalente tri-partizione si apre con la menzione della cosa che obbliga (in

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 461

229 Theoph. Par. 3.22.3. Kai; ouj movnon ejn touvtoiı dievsthken hJ consensu twnloipwn ejnocw`n ajlla; kai; ejn ejkeivnw/, o{ti ejpi; me;n twn loipwn ejnocw`n ei|ı me;n givnetaiuJpeuvqunoı, ei|ı de; ktatai to;n e{teron uJpeuvqunon. oi|on ejpi; thı re oJ me;n didou;ı e[no-con ktatai, oJ de; labw;n uJpeuvqunoı, givnetai, ejpi; de; thı verbis e[nocon ktatai oJejperwthvsaı. uJpeuvqunoı dev ejstin oJ oJmologhvsaı, ejpi; de; thı litteris e[nocoı me;n oJgravyaı, e[nocon de; aujto;n ktatai ejkeinoı eijı o}n gevgonen hJ grafhv. ejpi; de; thı con-sensu eJkavteroı eJkatevrw/ uJpeuvqunoı givnetai eijı touto, o{per to;n e{teron tw/` eJtevrw/ ejktou kallivstou kai; tou dikaivou parevcein ejcrhn, oJpovte ejpi; thı verbis ejnochı oJ me;nejperwta/` kai; ktatai, e[nocon, oJ de; oJmologei kai; givnetai e[nocoı. Cfr. A. BURDESE,Sulla definizione teofilina di sunavllagma cit. 1.

230 Per l’edizione: G. E. HEIMBACH, C. G. E. HEIMBACH, Basilicorum libri LXV (Lipsiae 1850) 103=H. J. SCHELTEMA, N. VAN DER WAL, Basilicorum libri LX AVI (Groningen-s’-Gravenhage 1969) 2418, che corrispondono in tutto, tranne cheper la mancanza di virgole prima delle avversative che chiudono il passo, nella piùrecente (che si è adottata nella trascrizione, per corrispondenza più esatta con l’an-damento della prima parte del testo).

virtù della dazione) e si chiude – al solito – con il consenso(sunaivnesiı).

La specificazione del discorso relativo alle obbligazioniconsensuali si trova, poi, in

B. 52.1.2. Thı ejx eJkatevron merwn ejk sunainevsewı sumfw-nivaı ejsti; prasiı ajgorasiva, mivsqwsiı kai; ejkmivsqwsiı, ejn-tolhv: kai; ouj crh/vzousin h] kuriovthtoı rJhmavtwn h] gram-mavtwn. Kai; sunivstatai kai; metaxu; ajpovntwn diΔ ejpistolhıkai; diΔ ajggevlou: kai; eJkavteroı twn sunallattovntwn ejn auj-toiı tw/` eJtevrw/ ejnevcetai 231.

Il punto di riferimeno centrale è ancora un testo gaiano,questa volta quello escerpito in D. 44.7.2 pr. e risalente dunqueal III libro delle Institutiones 232, ma la recezione dei Basiliciappare in questo luogo maggiormente mediata da una rifles-sione successiva, e dunque mutata, almeno in due punti. Dauna parte, infatti, il referente è costituito immediatamente dallaprospettiva dell’«accordo», e non come in Gaio (e nei Digesta)da quella delle obligationes, che involge un raddoppiamento diuna rappresentazione in senso consensuale, richiamando, oltre

462 CAPITOLO SETTIMO

231 Anche in tal caso, valutata qualche lieve, ma non insignificativa differenza,si è preferito trascrivere l’edizione di H. J. SCHELTEMA, N. VAN DER WAL, Basilico-rum libri LX A VI cit. 2419 (cfr. G. E. HEIMBACH, C. G. E. HEIMBACH, Basilico-rum libri LX V cit. 104). Il testo trova un parallelo quasi letterale – almeno nellaprima parte, dove rilevano come minime deviazioni lo sdoppiamento (mediantel’uso della congiunzione) tra sunaivnesiı e sumfwniva ed anche la resa di mandatocon protrophv, come del resto anche nel luogo parallelo della Synopsis Basilicorum[E 22.2, in J. ZEPOS, P. ZEPOS, Jus Graecoromanum V (Athenai 1931, rist. Aalen1962) 278]; mentre la seconda appare oggetto di uno scorciamento, sia pure non so-stanziale – in BS. 14.1.1 Thı ejx eJkatevrwn merwn ejk sunainevsewı kai; sumfwnivaı ej-sti;n prasiı, ajgorasiva, mivsqwsiı, protrophv, kai; ouj crh/vzousin h] kuriovthtoı rJh-mavtwn h] grammavtwn: kai; sunivstatai kai; metaxu; ajpovntwn kai; diΔ ejpistolhı kai; diΔajggevlou: kai; eJkavteroı tw/` eJtevrw/ ejnevcetai. Lo scolio (per il testo: H. J. SCHELTEMA,D. HOLWERDA, Basilicorum libri LX B II [Groningen-s’-Gravenhage 1954] 702[7*]; G. E. HEIMBACH, C. G. E. HEIMBACH, Basilicorum libri LX II [Lipsiae 1840]67 [3]), riferito alla legge di apertura del titolo sul mandato B. 14.1.1 (G. E. HEIM-BACH, C. G. E. HEIMBACH, Basilicorum libri LX II cit. 66) dei Basilici (ove il riferi-mento alla consensualità ed alle modalità epistolare e per nuntium), è anonimo.

232 Cfr. Gai 3.135, e si v. supra 436.

alla sunaivnesiı, che costituisce il collegamento con la parti-zione introduttiva di B. 52.1.1, anche la sumfwniva 233. Dall’altraparte (ma – come si può facilmente intuire – i due momenti silegano strettamente) l’ottica è esclusivamente bilaterale, sia conriguardo alle «due parti» tra le quali interviene il consenso, sianella serie dimostrativa, che comprende vendita compera 234,locazione conduzione e mandato (manca dunque, rispetto almodello classico e giustinianeo, la società) 235. Segue, pure se-condo l’ordine gaiano (§§ 1-3 di D. 44.7.2), la regola secondola quale non è necessaria la «proprietà» di parole o lettere(scritte), poi la possibilità di contrarre tra assenti (e qui l’alter-

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 463

233 Di recente ne rileva il valore di resa del latino conventio in due luoghi dellaParafrasi teofilina G. FALCONE, Genesi e valore della definizione di sunavllagmacit. 91 nt. 60. Per un inquadramento più generale della corrispondenza con consen-sus si v. supra 14 ntt. 52, 53. Si noti come a sunaivnesiı un anonimo scoliaste com-menta: thı consensu ejsti; kteJ (cfr. l’apparato a lin. 12 in H. J. SCHELTEMA, N. VAN

DER WAL, Basilicorum libri LX A VI cit. 2419).234 Lo scambio lessicale rispetto all’ordine tipico romano (emptio venditio,

dunque compera vendita; ancora così in Theoph. Par. 3.22 pr.) è dovuto, probabil-mente, all’influenza greca del binomio prasiı wjnhv, in cui al secondo termine si è so-stituito ajgorasiva (come già nel passo appena citato della Parafrasi di Teofilo, cfr.supra su nt. 225), che ha lo stesso significato di «acquisto», si v. FR. PRINGSHEIM,The Greek Law of Sale cit. 100, ove l’analisi del verbo ajgoravzw, il quale «seems tobe a special term for buying in the market»; questa accezione risalirebbe almeno aPindaro Carm. 103 BOWRA (ibid. nelle ntt. 3-8 attestazioni sull’uso costante nelsenso di «comprare» in Eschine, Demostene, Aristofane e nei papiri).

235 Si può solo citare, qui, la resa di Gloss. iurispr. cod. Paris. gr. 1357 A (chesi può leggere in ThlL. IV/2.390 lin. 80 ss.; il manoscritto parigino, membranaceovergato a quanto pare tra l’XI ed il XIV secolo, ha grande rilevanza nella tradizionedel diritto bizantino, contenendo – tra l’altro – la Synopsis Basilicorum, cfr. G. E.HEIMBACH, ΔAnevkdota I [Leipzig 1838, rist. Aalen 1969] 186, J. ZEPOS, P. ZEPOS, JusGraecoromanum V cit. 8), in cui pure si mette in evidenza, con riferimento esem-plificativo questa volta alla sola «conduzione», come il (mero) consenso non abbi-sogni di «parole» né di «dazione»: konsevso: ajgwgh; dia; twn sunainevsewı movnon kai;ou[te dia; grammavtwn h] dovsewı a[llhı. ajllΔ wJı ejpi; sunainevsei ajgora;n misqwvsewı.Nel lemma risulta interessante, peraltro, lo slittamento immediato (rispetto all’or-mai lontano punto di partenza classico) dal piano dell’obbligazione a quello dell’a-zione. Rileva pure la traslitterazione konsevso (che si trova pure, ad esempio in BS.ad 14.1.1 [anonimo], in H. J. SCHELTEMA, D. HOLWERDA, Basilicorum libri LX B II703 [9§]; forse ancora più importante dal profilo del mantenimento del latino comelingua di riferimento nell’ambito giuridico bizantino è la scrittura in propri caratterilatini, come in BS. ad 14.1.1 [anonimo], ibid. 814 [6§]; cfr. anche supra in nt. 233).

nativa epistola/nunzio è più che esplicativa, come invece inGaio, sostanziando tutta la visuale del rimaneggiatore), infinela bilateralita (senza però il riferimento alla prestazione exbono et aequo).

5. Le serie «interne» («emptio venditio» - «locatio conduc-tio» - «societas» - «mandatum»). – Come si è accennato, nellasistematica delle obbligazioni consensuali hanno rilevanza an-che i moduli d’ordine interni, e cioè la menzione o trattazionedei diversi tipi secondo sequenze regolari. La serie completa sitrova, nella serie stabilizzata emptio venditio, locatio conductio,societas, mandatum, negli elenchi noti, più sopra esaminati 236,relativi alle fonti d’obbligazione: Gai 3.135, Ep. Gai 2.9.13, D.44.7.2 pr. (Gai. 3 inst.), I. 3.22 pr.

Dall’ambito della responsabilità ricorrono: mandatum,venditum, locatum (intercalati con altri rapporti), societas (se-parata nel discorso e connessa con la rerum communio), in D.50.17.23 (Ulp. 29 ad Sab.). Contractus quidam dolum malumdumtaxat recipiunt, quidam et dolum et culpam ... Dolum etculpam mandatum, commodatum, venditum, pignori accep-tum, locatum, item dotis datio, tutelae, negotia gesta: in hisquidem et diligentiam. Societas et rerum communio et dolumet culpam recipit. La sequela ritorna, diversamente intercalata ecompletata, nelle liste che enumerano i iudicia bonae fidei: Cic.de off. 3.17.70 … fideique bonae nomen existimabat manarelatissime idque versari in tutelis soc ietat ibus fiduciis manda-tis rebus empti s vendit i s conduct i s locat i s … (cfr. Cic.de nat. deor. 3.30.74. … inde tot iudicia de fide mala, tutelaemandati pro soc io fiduciae, reliqua quae ex empto autvendito aut conducto aut locato contra fidem fiunt, indeiudicium publicum rei privatae lege Laetoria, inde everriculummalitiarum omnium iudicium de dolo malo, quod C. Aquilliusfamiliaris noster protulit …); Gai 4.62. Sunt autem bonae fideiiudicia haec: ex empto vendito , locato conducto, nego-

464 CAPITOLO SETTIMO

236 Cfr. supra 435 ss.

tiorum gestorum, mandati , depositi, fiduciae, pro soc io , tu-telae, rei uxoriae; I. 4.6.17. Earum vero actionum, quae in per-sonam sunt, hae quidem quae ex contractu nascuntur fere om-nes rei persequendae causa comparatae videntur: veluti quibusmutuam pecuniam vel in stipulatum deductam petit actor, itemcommodati, depositi, mandati , pro soc io , ex empto ven-dito , locato conducto ; I. 4.6.28. Bonae fidei sunt hae: exempto vendito , locato conducto, negotiorum gestorum,mandati, depositi, pro soc io , tutelae, commodati, pigneraticia,familiae erciscundae, communi dividundo, praescriptis verbis,quae de aestimato proponitur, et ea, quae ex permutationecompetit, et hereditatis petitio. quamvis enim usque adhuc in-certum erat, sive inter bonae fidei iudicia connumeranda sitsive non, nostra tamen constitutio aperte eam esse bonae fideidisposuit 237. Sempre in campo processuale (ed in versione giu-stinianea) rileva (anche qui con dei completamenti, ma mancala società) l’elencazione delle situazioni sostanziali dalle qualideriva l’azionabilità in simplum: I. 4.6.22. In simplum agiturveluti ex stipulatione, ex mutui datione, ex empto vendito ,locato conducto, mandato et denique ex aliis compluribuscausis. La serie si rinviene, ancora nel testo istituzionale giusti-nianeo, nella parte in cui viene prospettata la casistica relativaalla necessità di interposizione dell’auctoritas tutoris nei con-fronti del pupillo (escludendola proprio per quelle causae dallequali nascono obbligazioni reciproche, per la regola che in talicasi si obbligano qui cum his contrahunt, ma non – all’inverso– i pupilli: at invicem pupilli non obligantur): I. 1.21 pr. … de-teriorem vero non aliter quam tutore auctore. Unde in his cau-sis, ex quibus mutuae obligationes nascuntur, in emptionibusvendit ionibus , locat ionibus conduct ionibus , man-

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 465

237 Si v. anche l’ultimo tratto dell’elenco (relativo al giudizio davanti al Ve-scovo) in Interpr. ad Nov. Val. 35 (in fine). … Quae vero actiones perpetuae fue-runt, et ad tricennium revocatae sunt, placuit adnecti, id est, hereditatis petitio, si ta-men ab auctore, cui competebat, fuerit inchoata finalis actio, homicidii, furti, tutelaegestae, de fugitivis, de curialibus, vel de collegiatis revocandis, empti venditi, locatiet conducti, negotiorum gestorum, mandati, pro socio.

dati s , depositis, si tutoris auctoritas non interveniat, ipsi qui-dem qui cum his contrahunt obligantur, at invicem pupilli nonobligantur.

Per quanto riguarda le serie parziali 238 (che spesso sonoesemplificative), le testimonianze delle fonti si possono comedi seguito schematizzare, partendo da quelle più complete.Come si è visto, la rappresentazione labeoniana della obligatioultro citroque comprende tre elementi: D. 50.16.19 (Ulp. 11 aded.). … contractum autem ultro citroque obligationem, quodGraeci sunavllagma vocant, veluti emptionem vendit io-nem, locat ionem conduct ionem, soc ietatem ... Ancoraulpianeo è D. 2.14.7.1 (Ulp. 4 ad ed.), in cui è indicata la pro-spettiva del nomen proprium; l’ordine è sempre quello labeo-niano, ma sono aggiunti anche commodatum e depositum(prima della generalizzazione col riferimento ad «altri similicontratti»): Quae pariunt actiones, in suo nomine non stant,sed transeunt in proprium nomen contractus: ut emptio ven-dit io , locat io conduct io , soc ietas , commodatum, deposi-tum et ceteri similes contractus 239. Gli stessi tre membri, nellaformulazione semplificata emptio-conductio-societas, si tro-vano nell’esemplificazione gaiana della transscriptio a re in per-sonam: Gai 3.129. a re in personam transscriptio fit, veluti si idquod tu ex emptionis causa aut conduct ionis aut soc ieta-t i s mihi debeas, id expensum tibi tulero (cfr. Ep. Gai 2.9.12. Are in personam, velut si id, quod ex emptione aut ex con-duct ione, aut societate debes, alii reddas). Rilevante sotto ilprofilo dogmatico, perché assume la prospettiva dell’errore, D.44.7.57 (Pomp. 36 ad Q. Muc.). In omnibus negotiis con-trahendis, sive bona fide sint sive non sint, si error aliquis in-

466 CAPITOLO SETTIMO

238 La selezione che si propone non comprende (se non per motivi spiegativolta per volta nel testo) i passi che comparano diversi istituti, come, per esempio,Gai 3.145, 146, 147, 162, D. 18.1.65 (Iavol. 11 epist.), D. 19.2.2 pr.-1 (Gai. 2 rer.cott.), D. 19.5.22 (Gai. 10 ad ed. prov.).

239 Cfr. D. 2.14.1.4 (Ulp. 4 ad ed.). Sed conventionum pleraeque in aliud no-men transeunt: veluti in emptionem, in locationem, in pignus vel in stipulationem,pure dal quarto commentario edittale di Ulpiano, ma con una prospettiva ristretta aemptio e locatio.

tervenit, ut aliud sentiat puta qui emit aut qui conducit ,aliud qui cum his contrahit, nihil valet quod acti sit. Et idem insoc ietate quoque coeunda respondendum est, ut, si dissen-tiant aliud alio existimante, nihil valet ea societas, quae in con-sensu consistit; nel testo si trova la coppia emere-vendere, cuiaccede la societas. Compravendita, locazione conduzione e so-cietà sono enumerate, nell’ordine e seguite da deposito, mutuoed altri «innumerabili» contratti in quel luogo del primo librodelle Institutiones giustinianee, in cui, dopo la presentazionedel ius civile, il manuale passa alla spiegazione del ius gentium,che viene rappresentato come matrice ordinamentale dei con-tractus esemplificativamente rammentati: I. 1.2.2 … ius autemgentium omni humano generi commune est ... ex hoc iure gen-tium et omnes paene contractus introducti sunt, ut emptiovendit io , locat io conduct io , soc ietas , depositum, mu-tuum et alii innumerabiles 240. La variante (non sostanziale)emptum locatum societas (con l’aggiunta intercalata di dos e pi-gnus) si trova (a proposito della responsabilità da prestare), inD. 13.6.5.2 (Ulp. 28 ad ed.), dove oltre al dolo emerge anche lacolpa per l’estensione dell’utilitas alle due parti: … sed ubiutriusque utilitas vertitur, ut in empto, ut in locato , ut in dote,ut in pignore, ut in soc ietate , et dolus et culpa praestatur 241.

Manca la societas, ma è invece presente il mandatum, neltrinomio tramandato in D. 19.4.1.2 (Paul. 32 ad ed.), testo im-portante sulla distinzione tra vendita e permuta, in cui il giuri-sta, per mostrare l’ambito di efficacia del nudus consensus, pro-pone una limitazione tassativa (il cui referente è il nomensuum), per poi introdurre una lista (invero non esaustiva):

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 467

240 Sullo stesso piano, ma con un’elencazione limitata (per quanto in que-stione) a compravendite e locazioni conduzioni (cfr. supra 367 ss.) anche D. 1.1.5(Hermog. 1 iur. ep.). Ex hoc iure gentium introducta bella, discretae gentes, regnacondita, dominia distincta, agris termini positi, aedificia collocata, commercium,emptiones venditiones, locationes conductiones, obligationes institutae: exceptis qui-busdam quae iure civili introductae sunt.

241 Dal confronto con l’altro testo ulpianeo (D. 50.17.23 [29 ad Sab.]), pure intema di dolo e colpa, trascritto supra 464, si nota come nel commentario edittalemanchi il riferimento al mandato.

Item emptio ac venditio nuda consentientium voluntate con-trahitur, permutatio autem ex re tradita initium obligationipraebet: alioquin si res nondum tradita sit, nudo consensu con-stitui obligationem dicemus, quod in his dumtaxat receptumest, quae nomen suum habent, ut in emptione vendit ione,conduct ione, mandato ; la serie delle obbligazioni che«hanno un proprio nome» corrisponde a quella degli istitutiche si costituiscono attraverso il «nudo consenso»: la voluntas(pure «nuda») dei consentientes che rileva nella prima formaobbligatoria (l’emptio venditio, dalla quale parte il discorso delgiurista) s’oppone all’«inizio» reale dell’altro tipo, ex re tra-dita. Ancora in un’elencazione a proposito di possibilità di ag-giungere la garanzia reale al rapporto obbligatorio si rinvienela sequela emptio (vel venditio), locatio (et conductio), manda-tum (la serie è preceduta dalla menzione, sempre esemplifica-tiva, di mutua pecunia e dos): D. 20.1.5 pr. (Marcian. l. s. adform. hypoth.). Res hypothecae dari posse sciendum est proquacumque obligatione, sive mutua pecunia datur sive dos,sive emptio vel vendit io contrahatur vel etiam locat io etconduct io vel mandatum … Rispetto alla res è considerata,nella specificazione della differenza tra l’azione che discendedal contratto nominato e la condictio, la speculare tutela pro-cessuale in D. 12.5.9.1 (Paul. 5 ad Plaut.). Si rem locatam tibivel venditam a te vel mandatam ut redderes, pecuniam ac-ceperis, habebo tecum ex locato vel vendito vel mandatiactionem: quod si, ut id, quod ex testamento vel ex stipulatudebebas redderes mihi, pecuniam tibi dederim, condictio dum-taxat pecuniae datae eo nomine erit … Poi si trova (ma inveroil nesso non sembra particolarmente rilevante) una compara-zione in tema di actio praescriptis verbis: D. 19.5.5.4 (Paul. 5quaest.). … neque enim de re tua tibi mando. sed tutius erit etin insulis fabricandis et in debitoribus exigendis praescriptisverbis dari actionem, quae actio similis erit mandati actioni,quemadmodum in superioribus casibus locat ioni et emp-t ioni .

Contiene, poi, tre membri, ed ordinati secondo la struttura

468 CAPITOLO SETTIMO

gaiana (manca solo il riferimento alla locatio conductio), la se-quela che si trova in D. 18.1.35.2 (Gai. 10 ad ed. prov.). Venenimali quidam putant non contrahi emptionem, quia nec so-c ietas aut mandatum flagitiosae rei ullas vires habet … quila prospettiva iniziale è quella della compera, che viene compa-rata con altri due contratti consensuali per derivarne l’ineffica-cia (ai fini delle prestazioni), per – si direbbe – illiceità dell’og-getto. Gli stessi elementi, ma diversamente ordinati (la com-pera mantiene il primo posto), si leggono in un passo risalentea Salvio Giuliano: ad introduzione di tipologie negoziali ricon-ducibili, dalla prospettiva processuale, ancora all’actio prae-scriptis verbis, il giurista antoniniano (citato nel commentarioad Sabinum di Ulpiano) parte, nel descrivere un fatto, dall’e-sclusione dell’inverarsi di emptio, mandatum e societas: D.19.5.13.1 (Ulp. 30 ad Sab.). Iulianus libro undecimo digesto-rum scribit, si tibi areae meae dominium dedero, ut insula ae-dificata partem mihi reddas, neque emptionem esse, quiapretii loco partem rei meae recipio, neque mandatum, quianon est gratuitum, neque soc ietatem, quia nemo societatemcontrahendo rei suae dominus esse desinit … 242.

Serie ancora meno complete (e meno significative per leconnessioni complessive tra i tipi obbligatori menzionati, an-che se importanti per i rapporti parziali 243) sono costituite inprimo luogo dal binomio compravendita-locazione condu-zione, che ha una dizione stabilizzata nella sua essenza bilate-rale (e speculare) già nel I secolo a. C. 244: Cic. de off. 2.11.40.

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 469

242 Questo è un caso di delimitazione, o definizione perimetrale, è stato inse-rito perché contiene tre membri ordinati. L’esplicitazione della soluzione propostadal giurista in relazione alla sua decisione si trova nel seguito del testo: idem se quodin area dicturum, quia dominium desinit ad primum dominum pertinere. Quid ergoest? In factum putat actionem Iulianus dandam, id est praescriptis verbis. Ergo siquis areae dominium non transtulerit, sed passus sit te sic aedificare, ut communica-retur vel ipsa vel pretium, erit societas. Idemque et si partis areae dominium tran-stulerit, partis non, et eadem lege aedificare passus sit.

243 Come proprio quella tra emptio venditio e locatio conductio, su cui subitoinfra nel testo.

244 Sul punto si v. già supra 413 ss.

… atque iis etiam qui vendunt emunt conducunt locant…(ove colpisce l’insolita asimmetria chiasmatica); 2.18.64. …in omnique re contrahenda vendundo emendo condu-cendo locando … 245. Vi è connessa la societas (pur senza ri-levare direttamente nella serie) in D. 17.2.7 (Ulp. 30 ad Sab.).Coiri societatem et simpliciter licet: et si non fuerit distinctum,videtur coita esse universorum quae ex quaestu veniunt, hocest si quod lucrum ex emptione vendit ione, locat ioneconduct ione descendit. Corrisponde all’ambito del ius gen-tium 246 l’elencazione proposta da Marciano in D. 48.22.15 pr.(da B. 60.54.15), passo di cui (com’è noto) non possediamol’originale latino, che menziona diverse tipologie commerciali:

470 CAPITOLO SETTIMO

245 Di fronte alla stabilità piuttosto costante interna alla compravendita:1) emere (emptio), 2) vendere (venditio), si può notare come probabilmente nellalex Cornelia de sicariis et veneficis l’ordine fosse inverso (vendere-emere): Cic. proCluent. 54.148. Iubet lex ea … quaerere de veneno. In quem quaerere? Infinitumest. QUICUMQUE FECERIT VENDIDERIT EMERIT HABUERIT DEDERIT … DEQUE EIUS

CAPITE QUAERITO. Ma la serie si comprende con facilità: procede dal produttore delveleno, per definirne con compiutezza (che provoca l’ironia ciceroniana, relativa al-l’oggetto «infinito» del quaerere) il tracciato che giunge all’avvelenatore: fare, ven-dere, comprare, possedere, dare; per una restituzione palingenetica cfr. M. H.CRAWFORD (ed.), Roman Statutes II cit. 750. Sul testo si v. J.-L. FERRARY, ‘Lex Cor-nelia’ cit. 424 ss. Rispetto alla locazione (per la priorità di conducere v. supra 406),l’inversione dei due termini l’ampiezza (e precisione) descrittiva si può leggere an-cora, ad esempio, in Mar. Victorin. Expl. in Cic. rhet. 1.29 [p. 236 lin. 14]. Ex his au-tem, quae sub eandem rationem cadunt, probabile facimus argumentum, cum ea sibiconferimus, quae ad aliquid sunt, ut puta locare conducere, emere vendere. Sono ri-feribili al modello più antico le testimonianze di Varr. de r. r. 3.1.8. … haec nota etnobilis, quod et pecuaria appellatur, et multum homines locupletes ob eam rem autconductos aut emptos habent saltus; Plin. epist. 10.108.1. Quid habere iuris velis etBithynas et Ponticas civitates in exigendis pecuniis, quae illis vel ex locationibus velex venditionibus aliisve causis debebantur, rogo, domine, rescribas; Hygin. grom. decond. agr. [79.22 THULIN]. Mancipes autem, qui emerunt lege dicta ius vectigalis,ipsi per centurias locaverunt aut vendiderunt proximis quibusque possessoribus; conesplicito riferimento alla lex Iulia de residuis: D. 48.13.5 pr. (Marcian. 14 inst.). LegeIulia de residuis tenetur is, apud quem ex locatione, emptione, alimentaria ratione,ex pecunia quam accepit aliave qua causa pecunia publica resedit. Cfr. anche D.42.5.9.6 (Ulp. 62 ad ed.). In eum quoque, qui neque locavit fructum praedii nequevendidit, in factum actionem dat praetor et in hoc condemnabitur, quanto minuspropter hoc perceptum est, quia neque vendidit neque locavit ...

246 Cfr. supra 361 ss.

l’azione del comprare, del vendere, poi del locare e condurre,seguite dal riferimento alla permuta ed all’esercizio del pre-stito ad interesse: a jgora vzei gavr kai; pwlei , misqoi kai; mi-sqoutai kai; katallavssei kai; davneion pravttei kai; ta; loipa;ta; paraplhvsia ... (il tratto in questione, secondo la retrover-sione di Mommsen 247, doveva sonare: itaque emit vendit, locatconducit, permutat, fenus exercet aliaque similia). L’attivitàpuò essere paragonata a quella che si mette in opera attraversopromissio, con riferimento alla capacità di obbligarsi: D.41.1.54.1 ([Mod.]<Pomp.> 31 ad Q. Muc.). Item promittendonobis liber homo, qui bona fide nobis servit, ut et emendo velvendendo, vel locando vel conducendo, obligari ipsoiure poterit. Nelle Institutiones imperiali le due forme servono,in parallelo, all’esemplificazione del dissenso come causa discioglimento dell’obbligazione contrattuale: I. 3.29.4. Hoc am-plius eae obligationes, quae consensu contrahuntur, contrariavoluntate dissolvuntur ... ab emptione et vendit ione, invi-cem liberantur. Idem est et in conduct ione et locat ione etomnibus contractibus, qui ex consensu descendunt, sicut iamdictum est. Emere-locare conducere, in forma asimmetrica,sono rappresentati insieme, come esemplificazione compren-dente dell’esercizio di negozialità commerciale, in D. 32.65 pr.(Marcian. 7 inst.) … Labeo scripsit eos legato exceptos videri,qui praepositi essent negotii exercendi causa, veluti qui ademendum locandum conducendum praepositi essent.Conductio-emptio, ricorre in D. 17.2.33 (Ulp. 31 ad ed.), in cuil’emptio, compera, è comparata (aggiunta) all’analisi delle con-ductiones publicorum (… ut in conduct ionibus publicorum,item in emptionibus ); emptio conductio 248, come in D.43.8.2.38 (Ulp. 68 ad ed.), ove il giurista, spiegando il valore dihabere, che connette con l’uso e con il frui iure possessionis, in-

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 471

247 Ed. maior II cit. 861.248 Serie analoghe, ma piuttosto casuali (dal punto di vista qui adottato) e dun-

que non significanti si trovano in D. 41.2.28 (Tertull. 1 quaest.). … et emptio et sti-pulatio, et sequitur, ut et precarium et conductio.

dica come modalità di acquisto: … sive ex causa emptionisvel conduct ionis vel legato vel hereditate vel quo alio modoadquisiit. La strutturazione della coppia può avere attitudinegeneralizzante rispetto alla fattispecie, come ad esempio in D.17.2.65.2 (Paul. 32 ad ed.). Si in rem certam emendam con-ducendamve coita sit societas … 249; ovvero in D. 3.6.2 (Paul.10 ad ed.). Quin etiam si quis obligatione liberatus sit, potestvideri cepisse: idemque si gratuita pecunia utenda data sit, autminoris locata venditave res sit ... A fronte delle non pocheattestazioni della familiaritas 250 (e dunque la comparabilità po-sitiva) di emptio e locatio, in un luogo dedicato al commentodell’editto edilizio Ulpiano propone (non a caso accompa-gnandola con una espressione di meraviglia) una netta diffe-renziazione (… non similiter … fiunt), che ha come fulcro lapertinenza di tale atto magistratuale alle sole vendite: D.21.1.63 (1 ad ed. aed. cur.). Sciendum est ad venditiones solashoc edictum pertinere non tantum mancipiorum, verum cetera-

472 CAPITOLO SETTIMO

249 Si v. anche D. 11.7.9 (Gai. 19 ad ed. prov.); D. 14.1.1.3 (Ulp. 28 ad ed.);C. 4.22.5 [a. 294].

250 Il rapporto può anche non essere esplicitato, ma mostrato attraverso l’arti-colazione del discorso, come in C. 11.54.1 pr. … sub praetextu donationis vel ven-ditionis seu conductionis aut cuiuslibet alterius contractus … [a. 468], ove all’esem-plificazione segue l’apertura agli altri tipi contrattuali. È possibile anche la semplicecomparazione o alternativa come in D. 19.2.20 pr. (Paul. 34 ad ed.). Sicut emptio itaet locatio sub condicione fieri potest …; D. 38.5.1.12 (Ulp. 44 ad ed.). Si quis in frau-dem patronorum rem vendiderit vel locaverit vel permutaverit, quale sit arbitriumiudicis, videamus; D. 42.5.8.4 (Ulp. 61 ad ed.). Si unus sit, qui possideat bona, expe-ditum erit de locatione: quod si non unus, sed plures sint, quis eorum debeat locarevel vendere, quaeritur. Et si quidem convenit inter eos, expeditissimum est: nam etomnes possunt locare et uni hoc negotium dare: si vero non convenit, tunc dicendumest praetorem causa cognita eligere debere, qui locet vel vendat; D. 46.3.44 (Mar-cian. 2 reg.). … tantundem est et si damnatus fuerit alicui vendere vel locare: namvendendo vel locando et liberatur ex testamento heres et obligat sibi legatarium; D.46.8.10 (Ulp. 80 ad ed.). Interdum ex conventione stipulatio ratam rem interponi so-let, ut puta si quid procurator aut vendat aut locet aut si ei solvatur; D. 50.8.5.1(Pap. 1 resp.). … similis etenim videtur ei, qui publice vendidit aut locavit; I. 2.5.1.… nec ulli alii ius quod habet aut vendere aut locare aut gratis concedere potest, cumis qui usum fructum habet potest haec omnia facere; I. 3.23.1. … quod ius cum invenditionibus nobis placuit, non est absurdum et in locationibus et conductionibustrahere.

rum quoque rerum. Cur autem de locationibus nihil edicatur,mirum videbatur: haec tamen ratio redditur vel quia num-quam istorum de hac re fuerat iurisdictio vel quia non similiterlocat iones ut vendit iones fiunt. Importante D. 44.7.55(Iav. 12 epist.). In omnibus rebus, quae dominium transferunt,concurrat oportet affectus ex utraque parte contrahentium:nam sive ea vendit io sive donatio sive conduct io sive quae-libet alia causa contrahendi fuit, nisi animus utriusque consen-tit, perduci ad effectum id quod inchoatur non potest: tra ven-ditio e conductio si trova la donatio, e vi è l’estensione agli altritipi contrattuali (ma se il testo ha come oggetto l’acquisto deldominium l’inserimento originario della conduzione non con-vince del tutto). Tra le fonti non giuridiche svela la funziona-lità economica degli istituti, nel loro rapporto con la proprietàSen. de ben. 7.12.4. Habeo in equestribus locum, non ut ven-dam, non ut locem, non ut habitem, in hoc tantum, ut spec-tem; propterea non mentior, si dico habere me in equestribuslocum, in cui l’ordine vendere, locare, habitare mostra le di-sponibilità rispetto alla cosa (che nel caso di specie, malgradola dichiarazione di apertura habeo … locum, ribadita nel finaledel testo, per la particolarità dell’oggetto, il posto a sedere inteatro, si riduce allo spectare). Una corrispondenza nella lette-ratura giuridica (anche se con un diverso punto di partenza) sipuò vedere in D. 7.8.11 (Gai. 2 rer. cott. sive aur.). Inque eofundo hactenus ei morari licet, ut neque domino fundi molestussit neque his, per quos opera rustica fiunt, impedimento sit: neculli alii ius quod habet aut vendere aut locare aut gratisconcedere potest; ed anche – in tema di usufrutto – D. 7.1.12.2(Ulp. 17 ad Sab.). Usufructuarius vel ipse frui ea re vel aliifruendam concedere vel locare vel vendere potest: nam etqui locat utitur, et qui vendit utitur ... 251. Risente della funzio-nalità economica dalla prospettiva municipale l’ordine locatio-venditio di D. 50.1.21.7. (Paul. 1 resp.). Idem respondit, si civi-

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 473

251 Cfr. Fr. Vat. 41. Diocletianus et Maximus Constantius Tannoniae Iuliae.Usum fructum locari et venumdari posse a fructuario nulli dubium est ... [a. 298].

tas nullam propriam legem habet de adiectionibus admittendis,non posse recedi a locat ione vel vendit ione praediorum pu-blicorum iam perfecta: tempora enim adiectionibus praestitutaad causas fisci pertinent. In tema di liberazione dall’obbliga-zione si trova D. 46.4.23 (Lab. 5 pith. a Paul. epit.). … PAULUS:immo cum locat io conduct io , emptio vendit io conven-tione facta est et nondum res intercessit … È polemica la com-parazione proposta, contro la rogatio di Rullo, in Cic. de legeagr. 1.3.7. … censoribus vectigalia locare nisi in conspectu po-puli Romani non licet; his vendere vel in ultimis terris lice-bit?: nella rogatio doveva esservi il riferimento alla possibilitàdi vendere senza controllo popolare. Venditio e locatio si tro-vano anche in una serie che pone in evidenza la necessità dipunizione dell’atteggiamento doloso della parte reticente in al-cuni contratti (ai due è aggiunto il pegno): D. 47.2.62.5 (Afr. 8quaest.). … multo tamen aequius esse nemini officium suum,quod eius, cum quo contraxerit, non etiam sui commodi causasusceperit, damnosum esse, et sicut in superioribus contractibus,vendit ione locat ione pignore, dolum eius, qui sciens reti-cuerit, puniendum esse dictum sit … La natura eminentementeesemplificativa del binomio si riscontra in alcuni contesti gene-ralizzanti, come ad esmpio C. 7.47.1.1. Sancimus itaque in om-nibus casibus, qui certam habent quantitatem vel naturam, ve-luti in vendit ionibus et locat ionibus et omnibus contrac-tibus … [a. 531], in cui è eloquente l’apertura finale 252. In duecasi la serie che si apre con il riferimento (completamentesvolto nella sua articolazione quadripartita) a compravenditae locazione conduzione viene troncata nella sua possibilitàespansiva da un riferimento analogico ad altri «simili» con-tratti: D. 2.14.58 (Nerat. 3 membr.). Ab emptione vendi-t ione, locat ione conduct ione ceterisque similibus obliga-tionibus quin integris omnibus consensu eorum, qui inter seobligati sint, recedi possit, dubium non est ...; D. 44.7.25.1 (Ulp.

474 CAPITOLO SETTIMO

252 Vendere e locare in continua alternanza d’ordine si trovano poi, ripetuta-mente, in D. 42.5.8.1 (Ulp. 61 ad ed.).

l. s. reg.). Actionum autem quaedam ex contractu … sunt. Excontractu actio est, quotiens quis sui lucri causa cum aliquo con-trahit, veluti emendo vendendo locando conducendoet ceteris similibus ... Nella stessa tipologia ordinativa si puòcomprendere anche D. 14.6.3.3 (Ulp. 29 ad ed.). Is autem solussenatus consultum offendit, qui mutuam pecuniam filio fami-lias dedit, non qui alias contraxit, puta vendidit locavit velalio modo contraxit …, in tema di senatusconsultum Macedo-nianum. Partendo dalla stipulatio ed a proposito di apposi-zione di una condizione impossibile emptiones e locationes di-vengono esponenti dei ceteri contractus caratterizzati da pluri-lateralità e consensualità in D. 44.7.31 (Maecian. 2 fideic.). Nonsolum stipulationes impossibili condicioni adplicatae nulliusmomenti sunt, sed etiam ceteri quoque contractus, veluti emp-t iones locat iones , impossibili condicione interposita aequenullius momenti sunt … 253. Ancora rilevanti proprio sotto ilprofilo del (mero) consenso due testi, in cui vi è priorità dellalocazione, D. 44.7.48 (Paul. 16 ad Plaut.). In quibuscumquenegotiis sermone opus non est sufficiente consensu, iis etiamsurdus intervenire potest, quia potest intellegere et consentire,veluti in locat ionibus conduct ionibus , emptionibus etceteris; e D. 45.1.35.2 (Paul. 12 ad Sab.). Si in locando con-ducendo, vendendo emendo ad interrogationem quis nonresponderit, si tamen consentitur in id, quod responsum est, va-let quod actum est, quia hi contractus non tam verbis quamconsensu confirmantur. L’ormai noto D. 46.3.80 (Pomp. 4 adQ. Muc.) 254 comprende la (compra-)vendita e la locazionecome esemplificative dei contratti consensuali, dalla prospet-tiva dello scioglimento (per dissenso): … aeque cum emptio velvenditio vel locatio contracta est, quoniam consensu nudo con-

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 475

253 Il riferimento esplicito alla consensualità si trova nel prosieguo del testo:quia in ea re, quae ex duorum pluriumve consensu agitur, omnium voluntas specte-tur, quorum procul dubio in huiusmodi actu talis cogitatio est, ut nihil agi existimentadposita ea condicione, quam sciant esse impossibilem.

254 Cfr. supra spec. 407 ss.

trahi potest, etiam dissensu contrario dissolvi potest. Rilevantidogmaticamente sul negozio con sé stesso D. 50.17.45 pr.(Ulp. 30 ad ed.). … neque emptio neque locatio rei suae consi-stere potest ed in tema di incidenza del metus: D. 4.2.21.4(Paul. 11 ad ed.). Si metu coactus sim ab emptione locatione di-scedere …, ricorre la stessa serie; come anche in D. 7.1.38(Marcian. 3 inst.). Non utitur usufructuarius, si nec ipse utaturnec nomine eius alius, puta qui emit vel qui conduxit vel cuidonatus est vel qui negotium eius gerit, D. 45.2.9 pr. (Pap. 27quaest.). Eandem rem apud duos pariter deposui utriusque fi-dem in solidum secutus, vel eandem rem duobus similiter com-modavi: fiunt duo rei promittendi, quia non tantum verbis sti-pulationis, sed et ceteris contractibus, veluti emptione vendi-tione, locatione conductione, deposito, commodato testamento,ut puta si pluribus heredibus institutis testator dixit: ‘Titius etMaevius Sempronio decem dato’. Con il modo verbale (dun-que: emere-vendere/societatem coire), binomio compraven-dita-società è presente in: D. 4.4.7.1 (Ulp. 11 ad ed.). Proindesi emit aliquid, si vendidit, si societatem coit, si mutuam pe-cuniam accepit, et captus est, ei succurretur; D. 50.16.12 pr.(Ulp. 6 ad ed.). ut si cui ex empto vel ex locato vel ex alio ullodebetur …

Da una prospettiva processuale ricorrono insieme, in tuttee due le alternanze, l’azione da mandato e di società: D.12.2.28.4 (Paul. 18 ad ed.). Exceptio iurisiurandi non tantum siea actione quis utatur, cuius nomine exegit iusiurandum, op-poni debet, sed etiam si alia, si modo eadem quaestio in hociudicium deducatur, forte si ob actionem mandati negotiorumgestorum societatis ceterasque similes iusiurandum exactum sit,deinde ex isdem causis certum condicatur, quia per alteram ac-tionem altera quoque consumitur; D. 17.2.38 pr. (Paul. 6 adSab.). Pro socio arbiter prospicere debet cautionibus in futurodamno vel lucro pendente ex ea societate. Quod Sabinus in om-nibus bonae fidei iudiciis existimavit, sive generalia sunt (velutipro socio, negotiorum gestorum, tutelae) sive specialia (velutimandati, commodati, depositi).

476 CAPITOLO SETTIMO

Da ultimi, quei testi che rappresentano il rapporto tra lo-catio e mandatum: nel tentativo definitorio operato dalla giu-risprudenza, il discrimine è, in tal caso, quello della gratuità:Gai 3.162. In summa sciendum est, … aliquid gratis dederim,quo nomine si mercedem statuissem, locatio et conductio con-traheretur, mandati esse actionem, veluti si fulloni polienda cu-randave vestimenta dederim aut sarcinatori sarcienda; I.3.26.13. In summa sciendum est mandatum, nisi gratuitum sit,in aliam formam negotii cadere: nam mercede constituta incipitlocatio et conductio esse et ut generaliter dixerimus: quibus ca-sibus sine mercede suscepto officio mandati aut depositi con-trahitur negotium, his casibus interveniente mercede locatio etconductio contrahi intellegitur. et ideo si fulloni polienda cu-randave vestimenta dederis aut sarcinatori sarcienda nullamercede constituta neque promissa, mandati competit actio.

6. L’organizzazione edittale: forme tipizzate e tutela giuri-sdizionale. – Per quanto riguarda l’ordine edittale della materiain questione, bisogna far riferimento alla prospettiva proces-suale, e dunque alle azioni corrispondenti a singoli contratticonsensuali: ai iudicia bonae fidei. Nell’editto pretorio tali giu-dizi, di «buona fede», erano proposti (almeno secondo la rico-struzione leneliana della ‘sistemazione’ giulianea 255) nel titoloXIX 256.

La struttura, dedotta dai commentari edittali, in primoluogo da quello di Paolo 257, costituisce invero un «piccolo

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 477

255 Non si può qui entrare nel delicato problema della compilazione giulianeo-adrianea dell’editto pretorio; per l’autorevole negazione della codificazione (non damolti condivisa) si rinvia alle numerose autorevoli prese di posizione di A. GUA-RINO, ora raccolte in PDR. IV cit. 211 ss.

256 Esso si porrebbe tra quello Quod cum magistro navis, institore eove, qui inaliena potestate erit, negotium gestum erit (XVIII) e quello De re uxoria (XX); peruna «Übersicht» si v. O. LENEL, EP.3 cit. xix; un prospetto si trova anche in J. PH.LÉVY, La formation cit. 421 nt. 16 [=Autour de la preuve cit. 4 nt. 16].

257 In particolare dai libri ad edictum di Paolo (XXXI-XXXIV) e di Ulpiano(XXX-XXXII), dal commento all’editto provinciale di Gaio (IX-X), dai digesta diSalvio Giuliano (XIII-XV); cfr. O. LENEL, EP.3 cit. xix, 288. Naturalmente la serie

gruppo» 258 di iudicia, che si articola, a quanto pare, come se-gue: depositi (vel contra), fiduciae, mandati (vel contra), pro so-cio, empti venditi (con due formule), locati conducti (con dueformule), forse anche de aestimato 259. Tra i primi due, che nonattengono, com’è chiaro, alla contrattualità ex consensu, si puòfacilmente leggere una «innere Verwandschaft», che discendedal vincolo fiduciario e dunque ne giustifica l’ordine. Menoevidente la connessione di questi con quello che a ragione èstato rappresentato come vero e proprio «Kern des Titels» 260,e cioè la parte che contiene, compatte (ma in una serie chepotrebbe apparire inconsueta 261) le formule relative proprioai quattro contratti consensuali. Chiaro, in questa sezione, ilrapporto tra i giudizi che discendono dalla compravendita equelli che si connettono con la locazione: chiudono il titolo 262

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edittale è replicata nei Digesta giustinianei: mandato, società, compravendita, loca-zione è l’ordine che (con partizioni interne ai singoli istituti) ricorre nei libri XVII-XIX, cfr. L. LANTELLA, Il lavoro sistematico cit. 225. Sulla scelta leneliana di prefe-rire il commento paolino come base della ricostruzione si v. V. SCIALOJA, rec. di O.LENEL, Das ‘Edictum perpetuum’. Ein Versuch zu dessen Widerherstellung (Leipzig1883), in St. Sen. 1 (1884) 219 ss. [=Studi giuridici I. Diritto romano 1 (Roma 1933)261 ss., con il titolo L’Editto perpetuo di Otto Lenel], P. FUENTESECA, Los sistemasespositivos cit. 541 e nt. 6.

258 Così A. WATSON, The development of the pretor’s edict, in JRS. 60 (1970)107: «a small group». Tale gruppo gode di una sorta di «incontaminazione» (perusare la terminologia di P. FUENTESECA, Los sistemas espositivos cit. 545).

259 Base di questa sistemazione sono i libri XXXI-XXXIV del commento edit-tale paolino: XXXI depositi vel contra; fiduciae vel contra, XXXII mandati vel con-tra, pro socio; XXXIII empti venditi; XXXIV locati conducti, de aestimato (?). La li-sta è da confrontare con Gai 4.62. Sunt autem bonae fidei iudicia haec: ex emptovendito, locato conducto, negotiorum gestorum, mandati, depositi, fiduciae, pro so-cio, tutelae, rei uxoriae …; dal parallelo con I. 4.6.28 si integrano, nell’ordine, i se-guenti: commodati, pigneraticium, familiae erciscundae, communi dividundo, cfr.M. KASER, K. HACKL, Das römische Zivilprozessrecht cit. 318 s.; per una compara-zione tra le due liste si v., da ultimo, J. PARICIO, ‘Formulae commodati’, in ‘Iurisvincula’ VI cit. 170 ss.

260 Le due citazioni virgolettate sono tratte da O. LENEL, EP.3 cit. 41.261 Si v. subito infra.262 Ovvero precedono l’actio de aestimato se questa era prevista nell’editto (ed

in questo luogo, ad esempio lo stesso LENEL, nella prima edizione dell’Edictum per-petuum cit. la poneva al § 110, e cioè prima delle rubriche empti venditi [§ 111] e lo-cati conducti [§ 112]; si v. EP.3 cit. 300 nt. 5) la quale in tal caso sarebbe l’ultimo tra

in quest’ordine (che è poi quello tipico utilizzato dai giuristiquando affiancano i due contratti 263, e che apriva la lista gaianadei giudizi bonae fidei 264). Si potrebbe ipotizzare una sorta di«parentela» (sia pur non così intima come quella appena piùsopra rilevata seguendo Lenel) del mandato con il deposito e lafiducia, che abbia attratto la relativa azione al terzo posto, spo-stando di conseguenza anche quella pro socio, sempre per unasorta di connessione intuitiva 265 e lasciando in fine i due iudi-cia relativi ai contratti di scambio, che mantengono la loropropria stretta connessione ed anche l’ordine usuale che pocosopra si diceva 266. Da tener presente anche la proposta diFrezza 267 che vede i negozi ordinati in virtù dell’appartenenzaal «traffico internazionale»: dunque compera e locazione, che– in funzione di collegamento – sono annodati da società e

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i giudizi di buona fede ricompresi nell’elencazione pretoria; sul problema non ci sipuò qui soffermare, ciò che comunque mi sembra importante ai nostri fini è lastretta connessione delle azioni da emptio venditio e locatio conductio. Del resto, aleggere D. 19.3.1 (Ulp. 32 ad ed.), nella dubitatio dei giuristi sembra comunquemaggiore la vicinanza della aestimatio alla vendita ed alla locazione piuttosto che almandato (che avrebbe potuto attrarre la nuova formula nella prima parte del titoloXIX dell’editto): … fuit enim magis dubitatum, cum res aestimata vendenda datur,utrum ex vendito sit actio propter aestimationem, an ex locato, quasi rem venden-dam locasse videor, an ex conducto, quasi operas conduxissem, an mandati. Meliusitaque visum est hanc actionem proponi …

263 Cfr. supra 464 ss., con indicazione delle eccezioni.264 Gai 4.62.265 Per una vicinanza di mandato e società dal punto di vista della struttura del

consenso, in riferimento all’intenzione comune permanente delle parti nell’uno enell’altro contratto (e dunque comune il recesso unilaterale nelle forme della revo-catio e della renuntiatio), si v., per tutti, V. ARANGIO-RUIZ, La società cit. spec. 65(ivi anche le critiche dottrinarie a tale avvicinamento).

266 L’ordine edittale si rinviene (nei Digesta di Giustiniano, mentre nel Codicela disposizione della materia è maggiormente anarchica, cfr. P. FUENTESECA, Los si-stemas espositivos cit. 558 s.) nelle Pauli sententiae: nel II libro si trovano, di se-guito, il titolo de mandatis (XV), quello pro socio (XVI), quello ex empto et vendito(XVII), quello de locato et conducto (XVIII); ma bisogna rilevare che il deposito ètrattato ai titoli XII-XIII, con un’appendice de lege commissoria, cui segue imme-diatamente una parte de usuriis (XIV). Si noti pure come, subito dopo la locatioconductio vengano esaminati istituti di diritto familiare: de nuptiis (XIX), de concu-biniis (XX), ecc.

267 Sul rapporto con il ius gentium v. supra 350 ss.

mandato a deposito e fiducia (giudizi «a cavallo fra i rapportidi traffico ed i vincoli familiari o della ‘amicitia’ e dell’‘offi-cium’» 268).

Anche il catalogo giulianeo non è influenzato dallo schemaconsensuale che si rinviene nelle Institutiones gaiane 269 e ciò ètestimoniato dall’incompatibilità dei due ordini, che si può,anche graficamente, mostrare con facilità: ordine edittale:mandati - pro socio - empti venditi - locati conducti; ordinegaiano: empti venditi - locati conducti - pro socio - mandati.

Del resto, come si è visto, nell’editto risulta un ancoraggioforte delle azioni derivanti da contratti consensuali con gli al-tri iudicia bonae fidei 270, che invece non rileva nella trattazionegaiana che procede secondo lo schema delle fonti dell’obbli-gazione.

Al di là di visioni «mistiche» della storia dell’accordo, misembra che le realtà romane del commercio si siano costruitesu un costante confronto economico tra le parti, rispetto alquale il diritto ha avuto sempre più funzione di razionalizza-zione e mediazione (come segno di accettazione dello scambioda parte dell’ordinamento). A ciò ha corrisposto, secondo mo-dalità diverse, l’importantissima conseguenza della tutela giuri-sdizionale 271. Una storia caratterizzata, in fondo, dalla «as-senza … di qualsiasi cosa violenta, meravigliosa o inintellegi-bile» 272, in cui si è ottenuto il riconoscimento pieno, attraversoagili strutture formulari, dell’obbligatorietà (e dell’azionabi-lità) dei contratti consensuali. Chiave di volta del sistema di-viene la tipicità: la diffusione e l’importanza nella vita quoti-diana dei contratti consensuali (il «crisma … ricevuto dalla

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268 Jus gentium cit. 276 [=Scritti I cit. 632].269 F. WIEACKER, ‘Societas’ cit. 78.270 Com’era del resto già in Cic. de off. 3.17.70 (di derivazione muciana, «pre-

tesa» secondo F. WIEACKER, ‘Societas’ cit. 78 nt. 4), top. 17.66; e cfr. ancora Gai 4.62.271 Di recente si v. le interpretazioni di V. MAROTTA, Tutela dello scambio cit.

63 ss., e di O. BEHRENDS, Dalla mediazione arbitrale alla protezione giudiziaria cit.197 ss.

272 H. S. MAINE, Ancient Law9 (London 1883) 339, sul «contract».

prassi», per usare una immagine forte di Gino Gorla 273) da unaparte esigono la tutela giuridica, dall’altra rendono più sicura(e più facile) la disciplina, che proprio sulla base dell’uso (con-trollato dai giuristi) si stabilizza 274. In questa linea si iscrivonoil meccanismo processuale di sussunzione delle fattispecie nelleprescrizioni edittali e la trasformazione degli originari arbitriain iudicia civilistici 275. E ciò con l’assunzione di un «proprio»nomen (contractus) – suscettiva di determinazioni e precisa-zioni 276 –, che non per un caso la giurisprudenza denota attra-verso l’uso del verbo transire 277. La dogmatica del consensus

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273 Il contratto. Problemi fondamentali trattati con il metodo comparativo e ca-sistico I. Lineamenti generali (Milano 1954) 12. Da una prospettiva romanistica siconsideri L. AMIRANTE, Ricerche in tema di locazione, in BIDR. 62 (1959) 9 ss.

274 Ottenendo una causa (che può dirsi civilis) proprio nell’affare tipico; sulpunto, da ultimo, si v. A. PALMA, Note critiche sul concetto di ‘causa’, in Roma eAmerica 12 (2001) 321 ss., con essenziali riferimenti bibliografici. Sulla causa comeinteresse concretamente perseguito si v. F. GALLO, Synallagma II cit. 94 ss., con ri-guardo soprattutto a D. 2.14.7 pr.-2 (Ulp. 4 ad ed.).

275 Come si è potuto vedere (supra 305 ss.) appare attendibile la risalenza a Se-sto Elio della prospettiva risolutoria della questione di fatto rappresentata in D.19.1.38.1 (Cels. 8 dig.), ed anche l’alta antichità della qualificazione della stessacome arbitrium. La corrispondenza terminologica con la maggior parte dei casi incui, nel de agri cultura catoniano, vi sia bisogno di decidere da un terzo una contesatra le parti di un rapporto di locatio, e soprattutto con il rilevante dato testuale diCic. de off. 3.17.70 (ove il collegamento tra arbitria e fides bona), indica che la mo-dalità decisoria riferibile al II ed al I secolo a. C., relativamente a quei rapporti (poi)sistematicamente compresi come discendenti da obbligazioni fondate sul mero con-senso, si qualificava per una particolare ampiezza dei poteri del soggetto cui la de-cisione era demandata. L’origine probabilmente privata delle forme arbitrali dovetteessere per tempo ricondotta ad un ambito ordinamentale, e ciò perché poteva nonesservi accordo tra i soggetti sul fatto di demandare ad un terzo la soluzione dellacontroversia. In tali casi la parte che reputava di aver subito un torto, non assecon-data dal contraddittore nella nomina di un terzo che potesse decidere sul caso, po-teva ricorrere al magistrato giusdicente, che in forza della sua supremazia di ‘dirittopubblico’, aveva i mezzi per costringere le parti alla sottoposizione, sul punto di-battuto, alla sentenza di un soggetto da lui stesso nominato (sulla differenza mera-mente in ordine alla specificità del compito dell’arbiter dal iudex si v., per tutti, G.PUGLIESE, Il processo civile I cit. 171 ss.). Per una ipotesi sul ruolo delle leges Iuliaeiudiciorum privatorum si v. F. GALLO, Synallagma I cit. 36 ss., 67 s. nt.109; ID., Unnuovo approccio per lo studio del ‘ius honorarium’, in SDHI. 62 (1996) spec. 39 s.[=Opuscula selecta cit. 984 s.].

276 Per un esempio si cfr. supra 372 ss.277 Cfr. D. 2.14.7 pr. (Ulp. 4 ad ed.).

permette di tenere su due piani nettamente distinti la volonta-rietà del comportamento negoziale dall’accordo che sta allabase (in generale) dei rapporti obbligatori non delittuali. Edancora di valutare la diversa portata del consensus stesso (come«Wesenelement der Kontraktsobligationen» 278) nelle diversetipologie obbligatorie 279. Così una progressiva connotazionedi tipo commerciale 280 va a caratterizzare rapporti che ancoraQuinto Mucio comprendeva in una prospettiva ‘personalistica’di societas vitae: libertà di trattativa e ragione utilitaristica ven-gono a porsi come motori di una economia sempre più veloceed estesa 281. La certezza dei traffici richiede ora una capacità dimisurazione tendenzialmente obiettiva del comportamentodelle parti: è a questo punto dell’evoluzione giuridica di Romaantica che la clausola formulare ex fide bona viene qualificatasecondo un modello civilistico 282. Proprio l’aggiunta dell’ag-

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278 Traggo il termine da W. WALDSTEIN, Entscheidungsgrundlagen der klassi-schen römischen Juristen, in ANRW. II/15 (Berlin-New York 1976) 57.

279 Sono temi di ricerca più volte affrontati da M. TALAMANCA, si v., ad esem-pio, Ricerche in tema di ‘compromissum’ (Milano 1958) 39 ss.; La storia dell’‘edic-tum de pactis’ cit. 286 ss.; ‘Conventio’ e ‘stipulatio’ cit. 163 ss.

280 Cfr. A. WACKE, Zum Rechtsschutz Minderjäriger gegen geschäftliche Über-vorteilungen, in TR. 48 (1980) 214 ; sul problema storiografico di un ‘diritto com-merciale romano’ si v. L. LABRUNA, Il diritto mercantile cit. 115 ss. [=‘Tradere’ e al-tri studii cit. 79 ss.].

281 I risultati della raffinata analisi di A. SCHIAVONE, Giuristi e nobili cit. 70 s.[=Linee cit. 72 ss.], vanno, dunque, a mio parere spostati in avanti, perché inQuinto Mucio il punto di raccordo tra fatto e diritto pare ancora (almeno in via diprincipio) riferito ad una società basata sul vincolo personale. Sottolinea gli aspettiindicati nel testo E. STOLFI, Studi sui libri ‘ad edictum’ di Pomponio II cit. 503, nel-l’ambito di una interpretazione non corrispondente a quella qui proposta.

282 Una rassegna della letteratura romanistica sulla (bona) fides (molto utile,anche se non completa) è in L. FASCIONE, Cenni bibliografici sulla ‘bona fides’, inStudi sulla buona fede (Milano 1975) 49 ss.; il contributo di Fascione costituisce unasorta di appendice a P. FREZZA, ‘Fides bona’, ibid. 3 ss. [=Scritti III cit. 197 ss.], e nesegue dunque lo schema. Sulla fides, dopo Fascione: W. WALDSTEIN, Entscheidungs-grundlagen cit. 68 ss. (per quanto riguarda l’opzione metodologica dello studioso,orientata, com’è noto, soprattutto alla considerazione di elementi ordinamentalipre-positivi, si v. le osservazioni critiche di M. TALAMANCA, Per la storia della giu-risprudenza cit. 331 ss.); con accentuazione della prospettiva religiosa: G. FREYBUR-GER, ‘Fides’. Étude sémantique et religieuse depuis les origines jusqu’à l’époque au-gustéenne (Paris 1986). Per più recenti considerazioni della fides romana (in parti-

gettivazione, che compare con il sostantivo fin dalle sue atte-stazioni più risalenti (ma non in quelle indicative da un’otticaprettamente religiosa) 283, ne determina il profilo specifico:quello dei rapporti relazionali tra uomini, con riferimentosempre più denso ad una visione patrimoniale 284. Ed è partico-larmente significativo che il binomio ricorra quasi esclusiva-mente in testi giuridici, ovvero che si riferiscono al fenomenogiuridico. La sua operatività si snoda come modalità di com-portamento nei confronti dell’altro 285: è in una tale ottica ditutela processuale che assume rilevanza (dapprima attraverso ilsegno della conventio 286) la volontarietà del comportamento

IL CONSENSO E L’OBLIGATIO 483

colare sulla sua articolazione per così dire internazionalistica) è fondamentale inprimo luogo il contributo sintetico di D. NÖRR, Die ‘Fides’ im römischen Völkerre-cht (Heidelberg 1991); dall’ottica del processo si v. poi, ancora, il resoconto criticodi J. PARICIO, Sobre el origen y naturaleza civil de los ‘bonae fidei iudicia’, in Estu-dios de derecho romano en memoria de B. M. Reimundo Yanes II (Burgos 2000) 187ss., e le ampie trattazioni di R. CARDILLI, La ‘buona fede’ come principio di dirittodei contratti: diritto romano e America Latina, in Roma e America 13 (2002) 123 ss.,e O. BEHRENDS, Dalla mediazione arbitrale alla protezione giudiziaria cit. 197 ss.(contributi su qualche punto convergenti, ma che non posso discutere in questasede). In particolare sul rapporto tra bona fides e compravendita consensuale si v.anche M. BRETONE, Storia cit. 134 (con raffinata individuazione di importanti mo-tivi storiografici).

283 ThlL. VI/1.662 lin. 70 ss.: attestazioni letterarie a partire da Plauto ed En-nio (ancora fondamentale per la storia del termine il saggio del redattore della vocedel Thesaurus, E. FRAENKEL, Zur Geschichte des Wortes ‘Fides’, in Rh. Mus. 71[1916] 187 ss.=Kleine Beiträge zur klassischen Philologie I. Zur Sprache. Zur grie-chischen Literatur [Roma 1964] 15 ss.). B. ALBANESE, Premesse cit. 150 nt. 190, so-stiene, invece, che l’aggiunta del qualificativo sia «raramente» attestata nelle fontipiù antiche, ma essa si rinviene in almeno cinque contesti plautini, cui è da aggiun-gere uno terenziano, per i richiami alle fonti si v. ThlL. VI/1.680 lin. 31 ss., con laparticolarità che nelle ricorrenze più antiche (preciceroniane) il binomio si trovasolo all’ablativo (lo rilevava E. FRAENKEL, o.u.c. 192 [=Kleine Schriften I cit. 20], edanche in ThlL. VI/1.680 lin. 24 s.).

284 Importanti le riflessioni di M. LAURIA, ‘Ius honorarium’ – ‘ius civile’ cit.595 ss. [=Studii e ricordi cit. 382 ss.], sul passaggio da un’originaria giuridicità ro-mana strutturata sui rapporti personali (ius civile), sulla quale si innestano quei rap-porti (civilistici) in cui la bona fides ha un ruolo determinante, ad una successivaprospettiva patrimonialistica (che ha come fulcro giuridico la giurisdizione pretoriaed il ius honorarium).

285 Cfr. B. ALBANESE, Premesse cit. 150 ss.286 Come è chiaro mi riferisco alla citazione che Ulpiano fa di Sesto Pedio in

negoziale. L’utilizzazione della sfera semantica di consensusdescrive il sentire comune delle parti (fino alla metafora costi-tutiva del principato e dello stesso ordinamento), determina laclassificazione giuridica di quei rapporti in cui è bastevole l’ac-cordo come elemento genetico del vincolo obbligatorio, eserve alla valutazione dell’oggetto dell’accordo stesso.

484 CAPITOLO SETTIMO

D. 2.14.1.3 (4 ad ed.); per le ipotesi di datazione dell’attività di quest’ultimo giuri-sta si v. ora C. GIACHI, Per una biografia di Sesto Pedio, in SDHI. (1996) 69 ss. (se-conda metà del I secolo d. C.). Sul testo, tra le ultime interpretazioni, F. GALLO, Sy-nallagma II cit. 133; A. BURDESE, Contratto e convenzioni atipiche da Labeone aPapiniano, in SDHI. 62 (1996) 515 ss.; S. TONDO, Note ulpianee alla rubrica edit-tale per i ‘pacta conventa’, in SDHI. 64 (1998) 441 ss.