La selezione dei nomi e dei padrini degli esposti in Italia settentrionale nei secoli XV-XVII: pari...

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1 Guido Alfani Università Bocconi – Istituto di Storia Economica Centro “Carlo F. Dondena” per la ricerca sulle dinamiche sociali Via Castelbarco 2 20136 Milano (Italia) [email protected] La selezione dei nomi e dei padrini degli esposti in Italia settentrionale nei secoli XV-XVII: ‘pari opportunità’ o discriminazione? (pubblicato in Annali di Storia moderna e contemporanea, XIII, 2007, pp. 193-222) Gli infanti abbandonati si trovavano in una condizione del tutto particolare: erano venuti al mondo ‘senza famiglia’, quindi non solo senza genitori che si preoccupassero del loro mantenimento ed educazione, ma anche senza quella rete di rapporti di parentela naturale che costituiva un elemento fondamentale del modo in cui ciascun individuo si inseriva nella comunità. Spesso, ma non sempre, le cure parentali non si erano spinte neppure al minimo di dotare il neonato d’un nome, annotato su un biglietto fatto ritrovare assieme a lui 1 . Al momento del battesimo, agli infanti abbandonati veniva imposto ufficialmente un nome, secondo criteri che si può supporre siano almeno in parte differenti rispetto a quelli seguiti per gli altri neonati. Il primo obiettivo che mi propongo è di verificare quali fossero le eventuali difformità nei set di nomi riservati a legittimi e trovatelli e nei criteri di attribuzione del nome, nonché, per quanto possibile, quali ne fossero le conseguenze. È ragionevole attendersi che le ‘procedure d’emergenza’ cui si ricorreva per imporre un nome agli esposti fossero regolate da usi e consuetudini diversi da luogo a luogo. Risulta quindi interessante adottare un’ottica comparativa non solo entro la comunità (tra esposti e non esposti), ma anche tra comunità differenti. A questo scopo, confronterò dati relativi a più centri dell’Italia settentrionale, al fine di individuare eventuali peculiarità locali e tendenze comuni. 1 Questo saggio costituisce la versione definitiva di una relazione presentata al convegno Dénomination et destin des enfants trouvés. XVII-XX siècles (Parigi, Sorbona e SDH, settembre 2005). Una versione preliminare e fortemente sintetizzata per ragioni editoriali è stata pubblicata col titolo Naître sans famille: prénoms et parentés spirituelles des

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Guido Alfani

Università Bocconi – Istituto di Storia Economica Centro “Carlo F. Dondena” per la ricerca sulle dinamiche sociali Via Castelbarco 2 20136 Milano (Italia) [email protected]

La selezione dei nomi e dei padrini degli esposti in Italia settentrionale nei secoli

XV-XVII: ‘pari opportunità’ o discriminazione?

(pubblicato in Annali di Storia moderna e contemporanea, XIII, 2007, pp. 193-222)

Gli infanti abbandonati si trovavano in una condizione del tutto particolare: erano venuti al mondo

‘senza famiglia’, quindi non solo senza genitori che si preoccupassero del loro mantenimento ed

educazione, ma anche senza quella rete di rapporti di parentela naturale che costituiva un elemento

fondamentale del modo in cui ciascun individuo si inseriva nella comunità. Spesso, ma non sempre,

le cure parentali non si erano spinte neppure al minimo di dotare il neonato d’un nome, annotato su

un biglietto fatto ritrovare assieme a lui1.

Al momento del battesimo, agli infanti abbandonati veniva imposto ufficialmente un nome, secondo

criteri che si può supporre siano almeno in parte differenti rispetto a quelli seguiti per gli altri

neonati. Il primo obiettivo che mi propongo è di verificare quali fossero le eventuali difformità nei

set di nomi riservati a legittimi e trovatelli e nei criteri di attribuzione del nome, nonché, per quanto

possibile, quali ne fossero le conseguenze.

È ragionevole attendersi che le ‘procedure d’emergenza’ cui si ricorreva per imporre un nome agli

esposti fossero regolate da usi e consuetudini diversi da luogo a luogo. Risulta quindi interessante

adottare un’ottica comparativa non solo entro la comunità (tra esposti e non esposti), ma anche tra

comunità differenti. A questo scopo, confronterò dati relativi a più centri dell’Italia settentrionale, al

fine di individuare eventuali peculiarità locali e tendenze comuni.

1 Questo saggio costituisce la versione definitiva di una relazione presentata al convegno Dénomination et destin des

enfants trouvés. XVII-XX siècles (Parigi, Sorbona e SDH, settembre 2005). Una versione preliminare e fortemente sintetizzata per ragioni editoriali è stata pubblicata col titolo Naître sans famille: prénoms et parentés spirituelles des

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Alla questione del nome degli infanti abbandonati, raramente affrontata ma comunque nota agli

studiosi, ne affiancherò una seconda, ancor più trascurata. Benché gli esposti fossero privi di legami

di parentela naturale (ad eccezione dei casi in cui erano accolti in un parentado tramite l’adozione),

non erano però del tutto privi di parenti: disponevano infatti sicuramente di ‘parenti spirituali’,

ovvero di padrini e madrine. Ricerche recenti vanno mostrando con sempre maggior evidenza che i

rapporti di parentela spirituale costituivano un’importante rete di relazioni, integrata in modo

complesso con altre (parentela naturale, vicinato, amicizia...). Nel caso degli esposti, è interessante

verificare se la parentela spirituale svolgesse anche compiti suppletivi di quella naturale. Occorrerà

pertanto in primo luogo valutare quale fosse la dotazione di padrini e madrine degli esposti,

confrontandola con quella degli altri neonati; in secondo luogo, verificare se, al momento

dell’imposizione del nome e in seguito, i parenti spirituali svolgessero un ruolo diverso e più

intenso del normale.

Per affrontare le questioni menzionate, mi avvarrò dei dati raccolti per una ricerca onomastica di

considerevoli dimensioni, finalizzata a ricostruire la distribuzione territoriale dei nomi e la

‘geografia’ dei costumi di denominazione per tutta l’Italia settentrionale, a partire dalla seconda

metà del XV secolo e fino alla prima metà del XVII. Il relativo database consta al momento di oltre

30.000 registrazioni individuali e di quasi 36.000 nomi, considerando che alcuni neonati ne avevano

più d’uno. I dati, tratti dai registri parrocchiali dei battesimi2, sono relativi a circa 40 comunità

dell’Italia settentrionale.

Nonostante quest’abbondanza di comunità, va osservato che il caso specifico degli esposti potrà

essere esaminato per un numero molto più ristretto di luoghi. Infatti, la presenza di esposti o di

trovatelli in numero statisticamente apprezzabile nei registri dei battesimi di ciascuna comunità è

funzione in primo luogo della presenza o meno in loco di un ente che se ne possa occupare (di

norma, un ospedale). In secondo luogo, la natura del database che consta, per certe comunità, di

sondaggi-campione condotti su un numero limitato di anni affiancati, per altre comunità, da

ricostruzioni complete di tutti i battesimi celebrati per periodi ultrasecolari, comporta un’evidente

difformità nelle dimensioni di ciascun campione locale di battesimi: si va da un minimo reputato

ammissibile fissato attorno ai 100 battesimi, fino al massimo rappresentato dai 12.119 battesimi

celebrati nella parrocchia di S. Michele di Nonantola tra il 1558 ed il 1650.

Non è possibile, in questa sede, esaminare nel dettaglio la struttura del database, né spiegare le

ragioni che hanno condotto ad operare particolari scelte nella selezione dei casi studiati e nella

enfants trouvés dans l’Italie septentrionale (XVe-XVIIe siècles), in J.P. BARDET e G. BRUNET (a cura di), Noms et

destins des Sans Famille, Parigi, PUPS, 2007, pp. 249-271.

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modalità (ed entità) della raccolta dei dati. Tale compito non può che essere demandato a specifiche

pubblicazioni future; avrò comunque modo di evidenziare ed approfondire alcuni punti, quando si

rivelerà necessario. Mi limiterò per ora a notare che, avendo fissato a 20 il numero minimo di

infanti abbandonati sufficienti per intraprendere le indagini che mi propongo, risulterà possibile

considerare pienamente solo 5 comunità: Cesena e Ravenna in Romagna, Mirandola e Nonantola in

Emilia, Voghera in Lombardia. Quando sarà opportuno, tuttavia, farò riferimento a esempi e a dati

relativi ad altri luoghi.

La selezione di queste 5 comunità, a partire dalle 40 originarie, può essere considerata

sostanzialmente casuale rispetto alle finalità per le quali è stato realizzato originariamente il

database, che non includevano tra gli obiettivi preminenti lo studio del fenomeno dell’abbandono.

Tuttavia, il requisito che ha condotto alla selezione, ovvero la presenza di un numero sufficiente di

esposti, non è neutro. Non è infatti un caso se, delle 5 comunità, quattro sono città (per quanto di

dimensione molto variabile: dalla grande Ravenna alla minuscola Mirandola, pure ‘capitale’ di uno

staterello indipendente) e l’unica comunità rurale, Nonantola, ha dimensioni rilevanti3. Le

dimensioni e il ruolo istituzionale (che incide sull’ubicazione delle strutture assistenziali)

favoriscono un’abbondante presenza di esposti nei registri dei battesimi disponibili.

A prima vista, le differenze considerevoli esistenti tra queste comunità pongono in dubbio la

possibilità di procedere a una comparazione fruttuosa. Tuttavia, la questione al centro di questo

saggio (la cerimonia battesimale, con l’attribuzione di nomi e padrini, realizzava una

discriminazione tra esposti e non esposti e, se sì, in che modo e perchè?) si presta ad essere posta in

termini analoghi, e ricorrendo ai medesimi strumenti statistici e analitici, per comunità radicalmente

differenti. Occorrerà però prestare particolare attenzione agli usi e alle consuetudini locali,

potenzialmente radicalmente differenti anche tra comunità apparentemente assai simili e prossime

territorialmente4: usi, che proprio la comparazione condotta da prospettive inconsuete come quella

qui adottata consente di illuminare nonostante la reticenza delle fonti.

1. I nomi degli esposti: alla ricerca di principi onomastici ‘devianti’

2 Diversamente dalla larga maggioranza degli studi dedicati all’infanzia abbandonata, dunque, non ho fatto uso dei registri degli ospedali che peraltro, per il periodo di cui mi sono occupato, ci sono stati tramandati solo in circostanze particolarmente fortunate. 3 Un boccatico del sale del 1629 consente di stimarne la popolazione in 3.439 abitanti. Archivio comunale di Nonantola, Ruolo di popolazione - Boccatico, 1629. 4 Ad esempio, per quanto riguarda la variabilità degli usi di padrinato (in particolare nel periodo precedente il Concilio di Trento), si veda G. ALFANI, Padri, padrini, patroni. La parentela spirituale nella storia, Venezia, Marsilio, 2006.

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È noto che, di norma, la scelta del nome da imporre al neonato in occasione del battesimo non era

guidata dal caso o dall’estro del momento, bensì era frutto di elaborati meccanismi decisionali che

consentivano di determinarlo combinando istanze differenti. Non è chiaro quanto chi sceglieva un

nome fosse consapevole dell’esistenza di queste convenzioni e dei vincoli entro cui si trovava

costretto; questa mi pare in effetti una questione aperta cui, però, non sarà certo possibile rispondere

in questa sede. Sta di fatto, che il processo di selezione del nome era forse meno ‘limpido’ di quanto

si sarebbe portati a credere leggendo alcuni studi in materia, basati talvolta su set di dati di

dimensione limitata e relativi a particolari categorie di individui, con un conseguente rischio di

distorsioni.

Ciò che per ora mi pare importante notare, è che sono stati di volta in volta sottolineati meccanismi

di selezione del nome diversi e tra loro concorrenti. In estrema sintesi:

1) la selezione del nome di un antenato, di solito il nonno;

2) la selezione del nome di un santo, che sia il santo del giorno del battesimo o della nascita, o

il protettore di una determinata categoria (es. di chi è impegnato in una certa professione, o

di chi soffre di un certo male), o il patrono di una parrocchia o di una località o, comunque,

un santo oggetto di devozioni locali, ecc.5;

3) l’imposizione del nome del padrino, pratica di particolare interesse in questa sede: vi tornerò

in seguito;

4) la selezione di un nome ‘alla moda’;

5) la selezione di un nome beneaugurante per il neonato;

6) la selezione di un nome celebrativo (es. la scelta del nome del principe del luogo o di un suo

congiunto, che poteva significare ad un tempo segno di rispetto ed esplicita ricerca di tutela).

A questo elenco si potrebbero certo aggiungere ulteriori voci6. Quello che, però, mi pare essenziale

sottolineare, è che la pluralità di motivazioni tra loro potenzialmente concorrenti genera, guardando

all’insieme dei nomi imposti in ciascuna comunità ed a ciascun gruppo, una situazione caotica in

cui è ben difficile valutare l’impatto di ognuna di esse. Sulla base dei miei dati, quello che

comunque mi pare chiaro è che, da sola, ciascuna motivazione è in grado di ‘spiegare’ ben poco e

che, dato lo stato delle conoscenze in materia, sarebbe forse preferibile arrestarsi ad uno spazio

5 M. Mitteraur ha proposto un’interpretazione dei processi di imposizione del nome articolata sulla concorrenza tra il principio della selezione del nome di un antenato, e quello della selezione del nome di un santo. Secondo Mitterauer, questo elemento dialettico avrebbe dominato e plasmato l’onomastica dell’Europa cristiana a partire da epoche remotissime e fino alla vigilia dell’Età Contemporanea (se non oltre). M. MITTERAUER, Antenati e santi. L'imposizione

del nome nella storia europea, Torino, Einaudi, 2001. 6 Per un inquadramento generale della questione delle forme di denominazione, si vedano A. DUPÂQUIER, A. BIDEAU, M.E. DUCREUX (a cura di), Le Prénom: mode et histoire, Paris, Éditions de l'EHESS, 1984; M. MITTERAUER, Antenati e

santi; Formes de nomination en Europe, numero monografico della rivista L’Homme, XX (1980), 4.

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preliminare, e cioè all’analisi, descrizione e mappatura dei differenti set di nomi in uso in ciascuna

comunità, al fine di costituire una base più solida per tentare poi un successivo sforzo interpretativo.

Nel caso degli esposti, i criteri di selezione del nome risultano sensibilmente perturbati rispetto alla

norma, in primo luogo perché viene a mancare una delle direttrici principali, ovvero la selezione del

nome di un antenato (sempre che, beninteso, l’infante abbandonato non fosse accompagnato da

qualche indicazione onomastica: vi tornerò tra breve). In secondo luogo, perché mutano gli attori: il

ruolo di decisori dei genitori (che siano decisori autonomi o concorrenti con altri, es. i parenti

spirituali) deve essere svolto da altre figure, quali il prete o il padrino. In terzo luogo, perché alcune

ricerche empiriche hanno mostrato che agli infanti abbandonati venivano riservati nomi particolari,

tali da identificarli vita natural durante quali esposti7. Infine, perché certi meccanismi non trovavano

applicazione per gli esposti: in particolare, ‘l’effetto-sostituzione’ per cui ad un neonato veniva

attribuito il nome del fratellino pre-morto e, più in generale, tutto quanto era legato all’ordine di

nascita8.

Anche in quest’ultimo caso, occorrerebbe precisare: sempre che i genitori non avessero fatto

intendere in qualche modo quali erano le loro intenzioni di denominazione. A questo riguardo, però,

va notato che non si può dare per scontato il fatto che i desideri espressi dai genitori venissero

rispettati: ad esempio, a Camerino nei secoli XVIII-XIX lo erano solo di rado9. In effetti, dal punto

di vista della Chiesa l’essenziale era accertarsi che il bambino avesse ricevuto un regolare

battesimo, del quale l’imposizione di un nome era diretta conseguenza. Vi erano però dei casi

dubbi, vuoi perché nulla indicava se il bambino abbandonato era già stato battezzato (da un prete,

da una levatrice, dalla madre stessa...), vuoi perché la dichiarazione degli (ignoti) estensori del

biglietto era ritenuta inattendibile. A breve distanza dalla fine del Concilio di Trento (1563),

l’arcivescovo di Milano Carlo Borromeo, cui è generalmente riconosciuto un ruolo fondamentale

nell’introdurre regolamenti e norme applicative dei dettati e delle intenzioni conciliari10, regolò la

7 Mi riferisco in particolare ai lavori di Carlo Corsini e di Odoardo Bussini, relativi rispettivamente a Siena ed a Camerino, sui quali tornerò ripetutamente. C.A. CORSINI, Nome e classe sociale. Gli esposti, in La demografia storica

delle città italiane, Atti del convegno della SIDES tenuto ad Assisi il 27-29 ottobre 1980, Bologna, CLUEB, 1982; O. BUSSINI, Il nome di battesimo degli esposti come segno di appartenenza ad una categoria emarginata, in «Quaderni dell'Istituto di studi economici e sociali», Camerino, Università di Camerino, 1982, 1. 8 Sono stati descritti, ad esempio, sistemi onomastici in cui al primogenito maschio viene attribuito il nome del nonno paterno, al secondogenito quello del nonno materno, ecc.: pratiche che ovviamente escludono gli esposti, privi sia di nonni, sia di fratelli. 9 O. BUSSINI, Il nome di battesimo, pp. 212-213. A Murcia, in Spagna, i desideri onomastici dei genitori vengono accettati (salvo rare eccezioni) fino al termine del XVII secolo, dopo di che diviene usuale celebrare un battesimo sub

condicione (rito di cui tratterò a breve) quali che siano le eventuali dichiarazioni fatte pervenire assieme al neonato; in occasione della cerimonia si provvede anche a cambiare il nome del neonato. F. CHACON JIMENEZ, Identidad y

parentescos ficticios en la organización social castellana de los siglos XVI y XVII. El ejemplo de Murcia, in A. REDONDO (a cura di), Les parentés fictives en Espagne (XVIe-XVIIe siècles), Paris, Publications de la Sorbonne, 1988, pp. 37-50 10 Le norme stabilite da Borromeo per la diocesi e la provincia ecclesiastica milanese ebbero un carattere esemplare, e furono progressivamente adottate da larga parte dell’Europa cattolica.

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questione degli esposti prescrivendo che, se non si fosse potuta appurare la veridicità della

dichiarazione di avvenuto battesimo contenuta sul biglietto con altre fonti, il battesimo andava

ripetuto, facendo però ricorso ad una particolare formula ipotetica. Se il biglietto conteneva

l’indicazione di un nome, esso andava attribuito al bambino; il biglietto stesso andava poi

conservato, congiuntamente a una relazione sulle circostanze in cui era avvenuto il ritrovamento del

neonato, con l’evidente fine di rendere il più agevole possibile un eventuale, futuro

riconoscimento11. Al momento, però, sappiamo ben poco dell’effettiva applicazione di queste

norme in aree diverse dell’Italia settentrionale ed in epoche differenti, in particolare per quanto

riguarda la trasmissione al bambino delle indicazioni onomastiche dei genitori.

Prima di procedere, è opportuna una precisazione. Nell’epoca e nelle comunità considerate, gli

esposti differivano dagli altri neonati anche perché di regola veniva attribuito loro solo il nome, e

non il cognome12. Per questo motivo, in questa sede mi occuperò esclusivamente di nomi.

Alcune ipotesi sugli effetti delle ‘perturbazioni onomastiche’ subite dagli esposti possono essere

formulate confrontando i nomi attribuiti a legittimi e trovatelli rispettivamente. A questo riguardo,

la prima variabile da considerare è sicuramente il numero di nomi attribuiti a ciascun membro del

gruppo, giacché nei secoli passati era relativamente frequente che ai neonati venisse imposto più di

un nome. Ci si può chiedere, insomma, se ai trovatelli venisse riservato il minimo indispensabile

(‘un’ nome), vuoi per incuria, vuoi per un intento distintivo. La struttura del mio database consente,

in effetti, di spingere più innanzi questa analisi ‘per ceti’, distinguendo la popolazione complessiva

11 La norma venne emanata dal terzo sinodo diocesano milanese (1572, Decreto XI), con la seguente formulazione: «Infans expositus, tamen collo appensum habeat testimonium quod baptizatus fuerit, si tamen illum baptizatum esse

alia ratione non constet, baptizetur; hac tamen verborum formula, Si tu es baptizatus, ego te iterum non baptizo; et si nondum es baptizatus, ego te baptizo, etc. Quod si in ea testimonii schedula sit nomen adscriptum, quod illi in baptismo

impositum esse asseratur, idem ipsi nomen imponatur; conserveturque etiam illa schedula de collo pendens; ac

praeterea quo modo quove testimonio repertus sit, in libro baptizatorum describatur», in A. RATTI (a cura di), Acta

Ecclesiae Mediolanensis, Milano, Typographia Pontificia Sancti Iosephi, 1890-1892, vol. II, coll. 850. 12 In Italia settentrionale, l’uso generalizzato del cognome va consolidandosi proprio nel corso del XVI secolo: benché di regola sempre presente, può ancora variare ed essere sostituito ad esempio da indicazioni di provenienza o di professione, patronimici ecc. Per quanto riguarda gli esposti, sui registri dei battesimi essi vengono individuati solo col nome, e con l’indicazione del loro status di infanti abbandonati. Questa assenza di cognome è meno stupefacente di quanto si potrebbe pensare, se si considera che, in aree dell’Italia non molto distanti da quelle da me studiate, la diffusione del cognome sembra essere stata decisamente più tarda. Si vedano ad esempio le interessanti considerazioni empiriche riportate in L. DEL PANTA e M. LIVI BACCI, Identification des individus à partir du XVII siècle en Italie, in L. HENRY (a cura di), Noms et prénoms, aperçu historique sur la dénomination des personnes en divers pays, Dolhain, Ordina Editions, 1974, pp. 83-98. Il consolidamento del cognome, il suo divenire ‘indispensabile’ e più essenziale del nome, spiega la crescente attenzione del legislatore (soprattutto civile) per il cognome imposto agli esposti, con un vertice normativo raggiunto nel XIX secolo. Per una recente sintesi relativa al tema dell’imposizione del cognome agli infanti abbandonati, J.P. BARDET e G. BRUNET (a cura di), Noms et destins des Sans Famille, Paris, PUPS, 2007. Anche se il consolidamento del cognome è già ben avviato nel XVI secolo, prima del pieno XIX non si può dare per scontato che gli esposti ne ricevano uno: così, nell’Ospedale degli Innocenti di Firenze, tra 1445 e 1812 nessuno degli infanti ospiti riceve un cognome. L’innovazione è causata da una circolare del 30 giugno 1812 inviata da Parigi a tutti i dipartimenti dell’Impero, in cui si ricorda di applicare una norma specifica prevista dal Codice napoleonico del 1804. Una norma analoga sarà conservata dal Granducato di Toscana dopo la Restaurazione. G. DI BELLO, Les identités inventées. Noms et prénoms des enfants

abandonnés à Florence au XIXe siècle, in J.P. BARDEt e G. BRUNET (a cura di), Noms et destins, pp. 285-294.

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dei legittimi in due gruppi: i figli di genitori registrati senza alcun titolo distintivo di rango, e

appartenenti quindi agli strati sociali più umili, ed i figli di genitori titolati, appartenenti a strati

sociali medio-alti13. Per ‘legittimi’ intenderò d’ora in poi i figli di coppie sposate non

successivamente abbandonati, escludendo quindi i ‘legittimi abbandonati’ (ricompresi nel novero

degli esposti) ed i figli illegittimi non abbandonati. In generale, ho preferito in questa sede non

considerare gli illegittimi non abbandonati, che quindi non sono compresi nelle colonne relative a

titolati e senza titolo.

Nella tabella 1 riporto i dati relativi al numero di nomi attribuiti ai neonati battezzati nelle comunità

di Cesena, Mirandola, Nonantola, Ravenna e Voghera, divisi per sesso e per ceto. La non perfetta

coerenza cronologica dei campioni dei battesimi è dovuta alla struttura ed alle finalità originarie del

database14, benché un ‘centro’ possa essere indicato nel triennio 1555-1557. Ho ritenuto preferibile

accorpare i dati per comunità ed ignorare la variabile temporale al fine di aumentare il più possibile

le dimensioni dei campioni di riferimento; per i casi di Mirandola e Nonantola, avrò comunque

modo di affrontare in seguito la questione delle eventuali variazioni nel tempo dei criteri di

attribuzione del nome agli esposti. Si noti che, per il momento, i nomi multipli o composti (es.

‘Giovanni Battista’) saranno divisi nelle loro singole componenti e trattati di conseguenza. Come si

vedrà, i nomi multipli sono causa di difficoltà metodologiche non indifferenti.

13 Ho escluso dal novero dei titolati coloro che portavano il titolo di ‘magister’ o una sua variante. Si tratta di un titolo riservato ai maestri iscritti ad una corporazione, quindi una sorta di ceto artigiano tendenzialmente intermedio tra i senza titolo ed i titolati. Le ragioni dell’esclusione sono dovute, da un lato, all’intento di semplificare l’analisi per concentrarsi sull’essenziale, dall’altro al fatto che, per alcune delle comunità considerate, il gruppo dei figli di ‘magistri’ è risultato di dimensioni molto ridotte e quindi statisticamente poco rilevante. Si noti inoltre che, entro il gruppo dei ‘titolati’, sono compresi i figli di genitori aventi indicazioni di rango molto differenti (si va dai ‘magnifici domini’ ai semplici ‘comendabili’). Si tratta però di una semplificazione inevitabile, data la difficoltà di elaborare una gerarchia oggettiva dei titoli, specie considerando che gli ‘usi di titolazione’ variavano da comunità a comunità (e talvolta, entro una data comunità e parrocchia, da registrante a registrante). 14 Scopo del database è, in primo luogo, permettere di studiare la variabilità dei modelli di attribuzione del nome, sia dal punto di vista territoriale, sia dal punto di vista delle trasformazioni nel tempo. Al fine di limitare le ricerche d’archivio entro confini dominabili, ho scelto di volta in volta di raccogliere i dati locali secondo una di tre differenti modalità: 1) per un numero ristretto di comunità (Torino, Ivrea, Azeglio, Nonantola) ho trascritto i dati relativi a tutti i nati, anno per anno, per periodi ultrasecolari; 2) al fine di ampliare il più possibile il numero di casi locali considerati, per la gran parte delle comunità ho optato per una raccolta su campione: tutti i nati del triennio 1555-1557, periodo eventualmente ampliato per raggiungere un minimo di 100 battesimi per comunità o per aggirare problemi documentari (lacune, mancanza di registri pre-tridentini, ecc.); 3) per alcune delle comunità di cui al punto precedente (Mirandola, Finale Ligure, Bellano, ecc.), al fine di rilevare le dinamiche di trasformazione più rilevanti, ho raccolto anche i dati per il triennio 1499-1501 (a condizione che esistessero registri tanto antichi) e per il triennio 1611-1613. Il progetto prevede di sfruttare le comunità studiate in modo più approfondito per la formulazione di ipotesi da testare in seguito sui campioni di dimensione più ridotta. Allo stesso tempo, è evidente che il triennio 1555-1557 costituisce una sorta di cardine dell’intera ricerca, di cui le proiezioni temporali verso il XV e il XVII secolo rappresentano un ampliamento.

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Tab. 1. Ceto sociale e numero di nomi

Numero di Nomi

TOT N. Maschi

(1)

TOT N. Femmine

(1) Maschi Femmine

Titolati (%) Senza

Titolo (%) Esposti

(%) Titolate

(%) Senza

Titolo (%) Esposte

(%)

Cesena (1555-1557)

1 320 380 89,58 88,52 70,00 100,00 100,00 100,00

2 43 0 10,42 11,48 30,00 0,00 0,00 0,00

3-4 0 0 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00

TOT (n.) 363 380 48 244 10 65 243 19

Media 1,12 1,00 1,10 1,12 1,30 1,00 1,00 1,00

Mirandola (1499-1501, 1555-1557, 1611-1613) (2)

1 274 282 59,72 34,12 37,04 68,82 45,42 43,94

2 335 252 36,11 60,83 59,26 30,00 53,90 56,06

3-4 34 5 4,17 5,04 3,70 1,18 0,68 0,00

TOT (n.) 643 539 216 337 54 170 295 66

Media 1,63 1,49 1,46 1,71 1,67 1,33 1,55 1,56

Nonantola (1558-1650)

1 5557 5848 81,78 90,26 86,84 97,24 99,20 100,00

2 651 57 18,00 9,72 13,16 2,76 0,80 0,00

3-4 3 0 0,22 0,02 0,00 0,00 0,00 0,00

TOT (n.) 6211 5905 450 5563 38 435 5252 36

Media 1,11 1,01 1,18 1,10 1,13 1,03 1,01 1,00

Ravenna (1555-1557)

1 638 646 86,36 89,14 100,00 99,21 100,00 100,00

2 79 1 13,64 10,86 0,00 0,79 0,00 0,00

3-4 0 0 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00

TOT (n.) 717 647 132 479 31 127 415 23

Media 1,11 1,00 1,14 1,11 1,00 1,01 1,00 1,00

Voghera (1555-1557) (2)

1 181 235 69,77 72,28 66,67 90,00 98,35 90,32

2 73 6 30,23 27,72 33,33 7,50 1,65 9,68

3-4 0 1 0,00 0,00 0,00 2,50 0,00 0,00

TOT (n.) 254 242 43 202 21 40 182 31

Media 1,29 1,03 1,30 1,28 1,33 1,13 1,02 1,10 (1) Nel totale dei battezzati divisi per sesso e numero di nomi, sono comprese anche alcune categorie che non appartengono alla classificazione proposta (titolati/senza titolo/esposti), ovvero i figli di ‘magistri’, i figli illegittimi non esposti, alcuni rari casi in cui il titolo è dubbio o illeggibile, ecc. (2) Nei casi di Mirandola e Voghera, per rendere statisticamente più significativi i dati relativi agli esposti ho considerato anche gli infanti abbandonati battezzati negli anni 1550-1554 e 1558-1562 per Mirandola, e 1558-1567 per Voghera. Questi bambini non sono compresi nei totali (‘TOT N. Maschi’ e ‘TOT N. Femmine’).

Dai dati presentati in tabella emergono in primo luogo degli elementi di variabilità sia su base locale

(tra comunità), sia, entro ciascuna comunità, tra i sessi, di cui bisogna tenere conto prima di

9

procedere all’analisi delle informazioni relative agli esposti. Per quanto riguarda la variabilità tra

comunità, è facile notare che in certi luoghi era usanza attribuire un numero maggiore di nomi

rispetto ad altre: in particolare, considerando il numero medio di nomi per neonato, Mirandola si

differenzia dalle altre 4 località considerate, in quanto, con una media complessiva di 1,63 nomi per

i maschi e di 1,49 per le femmine, si colloca su livelli nettamente superiori (al secondo posto

troviamo Voghera, con appena 1,29 ed 1,03 nomi rispettivamente)15. La peculiarità di Mirandola è

ancora più evidente se si considera il fatto che si tratta dell’unica comunità in cui la maggioranza

dei neonati ha più di un nome16. Per quanto riguarda le differenze nel trattamento riservato ai

neonati ed alle neonate, è agevole notare che ovunque i primi erano chiaramente favoriti rispetto

alle seconde, circostanza che ho riscontrato anche negli altri luoghi da me studiati.

In questa sede, l’esistenza di una variabilità su base locale negli usi onomastici, anche tra luoghi

relativamente vicini in linea d’aria (tutte le comunità considerate sono ubicate in Emilia-Romagna,

ad eccezione di Voghera), può solo essere assunta come dato di fatto. Ne deriva la necessità di

valutare il trattamento riservato agli esposti esclusivamente rispetto alle località in cui sono stati

battezzati, senza quindi procedere ad accorpamenti tra basi di dati relative a località diverse.

Confrontando, comunità per comunità, il numero di nomi dati ai neonati appartenenti a ciascun

ceto, non emergono chiare tendenze comuni. Considerando dapprima i neonati maschi, risulta che

in due luoghi gli esposti avevano in media meno nomi rispetto ai titolati, ovvero i bambini situati

all’altra estremità della scala sociale, mentre in tre ne avevano di più: si tratta di Nonantola e

Ravenna da una parte (1,13 nomi contro 1,18 a Nonantola, 1,0 contro 1,14 a Ravenna, per esposti e

titolati rispettivamente), e di Cesena, Mirandola e Voghera dall’altra (rispettivamente 1,3 nomi

contro 1,1; 1,67 contro 1,46; 1,33 contro 1,3). Nel caso delle femmine, le esposte risultano sfavorite

a Nonantola, Ravenna e Voghera, favorite a Mirandola, mentre a Cesena nessuna delle 380 bambine

considerate riceve più di un nome. Ad eccezione di Mirandola, nel caso delle femmine le differenze

tra esposte e titolate sono però molto limitate.

A ben vedere, l’apparente favore onomastico riservato in alcuni luoghi agli esposti può essere visto

come un sotto-caso della maggior frequenza di nomi multipli nei ceti inferiori rispetto a quelli

superiori: ad esempio, nel caso di Mirandola il massimo relativo è imputabile ai figli maschi di

genitori senza titolo, con una media di 1,71 nomi a testa rispetto agli 1,67 degli esposti ed agli 1,46

dei titolati. Questo fatto è per certi versi sorprendente, in quanto altre ricerche condotte sugli esposti

hanno evidenziato, per epoche successive, un relativo sfavore nel numero di nomi loro attribuito,

15 L’eccezionalità del caso di Mirandola è ancora più evidente se si escludono dal computo i dati relativi al 1611-1613: si vedano infatti i dati presentati nella tabella 3, e la relativa discussione.

10

che invece aumenterebbe col crescere del rango sociale. Ad esempio, a Siena nel XVIII secolo il

79,4% degli esposti e il 54,5% delle esposte aveva un solo nome ma, nel caso dei legittimi, tali

percentuali scendono all’11,9% ed al 13,2% rispettivamente17; a Camerino tra XVII e XIX secolo

l’81,3% degli esposti e il 79,1% delle esposte avevano un solo nome, contro il 38,8% ed il 39,8%

rispettivamente dei legittimi18.

La differenza nei comportamenti delle mie comunità rispetto a Siena e Camerino è dovuta

probabilmente ad una di due possibili cause:

1) l’esistenza di differenti usi locali (in alcuni casi si potrebbe trattare di usi o norme adottati

dagli ospedali, più che dalle comunità nel loro complesso);

2) una trasformazione negli usi intervenuta tra XVI e XVIII secolo.

Quale che sia la causa delle difformità riscontrate, è evidente che varrebbe la pena di approfondire

le ricerche. Infatti, se si fosse verificata una trasformazione progressiva degli usi sfavorevole agli

esposti (ad esempio, un aumento del numero medio di nomi per tutti tranne che per loro, oppure una

progressiva riduzione e semplificazione dei nomi loro imposti), ci troveremmo di fronte ad un

segnale rilevante anche in una prospettiva di storia delle mentalità, forse da mettere in relazione con

il progressivo acuirsi del fenomeno dell’abbandono, che fa degli esposti una categoria sempre più

numerosa e ‘visibile’19. È inoltre verosimile che vi sia un legame col mutamento della percezione

degli illegittimi in generale, nel XVI secolo ancora molto numerosi e relativamente ben integrati,

ma la cui posizione si deteriora rapidamente con l’affermarsi della Controriforma20.

Gli esposti, dunque, erano dotati approssimativamente dello stesso numero di nomi degli altri

bambini. Ma quali erano? Ci si potrebbe chiedere infatti se il set di nomi usato per gli infanti

abbandonati differiva da quello da cui era selezionato il nome dei legittimi, e cioè se era più o meno

16 Mirandola, inoltre, è l’unica, tra tutte le 40 comunità circa che compongono il mio database, in cui ho trovato neonati dotati di 4 nomi, in 2 casi. In nessuno degli oltre 30.000 battesimi considerati ho riscontrato l’imposizione di più di 4 nomi. 17 C. CORSINI, Nome e classe sociale, pp. 571-572. 18 O. BUSSINI, Il nome di battesimo, pp. 203-205. 19 Numerose ricerche hanno evidenziato tre fasi in cui in il fenomeno dell’abbandono incrementa bruscamente: la fine del XVI secolo (funestata dalla terribile carestia del 1590-1593); la fine del XVIII; la prima metà del XIX. Ad eccezione della prima fase, seguita da un lungo periodo di progressiva contrazione del fenomeno, negli altri due casi la rapida crescita porta stabilmente il numero di esposti su livelli più elevati che in precedenza. Si vedano, al riguardo, G. DA MOLIN, Illegittimi ed esposti in Italia dal Seicento all'Ottocento, in La demografia storica delle città italiane, Atti del convegno della SIDES tenuto ad Assisi il 27-29 ottobre 1980, Bologna, CLUEB, 1982; A. PALOMBARINI, Sedotte ed

abbandonati. ‘Madri illegitime’ ed esposti nelle Marche di età moderna, «Quaderni di ‘Proposte e Ricerche’», Ancona, 12 (1993); V. HUNECKE, I trovatelli di Milano. Bambini esposti e famiglie espositrici dal XVII al XIX secolo, Bologna, Il Mulino, 1989. Sull’evoluzione nel tempo delle istituzioni assistenziali, da porre in relazione con il trend del fenomeno dell’abbandono, si veda anche I. ROBIN-ROMERO, Les orphelins de Paris. Enfants et assistance aux XVIe-

XVIIIe siècles, Paris, PUPS, 2007 20 Per alcune considerazione in merito al mutare della percezione degli illegittimi nel corso del XVI secolo, si veda ad esempio P. PRODI, I figli illegittimi all'inizio dell'età moderna. Il trattato De nothis spuriisque filiis di Gabriele Paleotti, in C. GRANDI (a cura di), Benedetto chi ti porta, maledetto chi ti manda. L'infanzia abbandonata nel Triveneto (secoli

XV-XIX), Treviso, Edizioni Fondazione Benetton, 1997, pp. 49-57.

11

vasto, se vedeva privilegiati nomi differenti, se, infine, comprendeva nomi riservati, ovvero ‘nomi-

segnale’ capaci di qualificare a vita una persona come esposto.

Prima di procedere, vanno menzionati alcuni problemi tecnico-metodologici. In primo luogo, in

presenza di nomi multipli si può optare per considerarli composti (come sembrerebbe ragionevole,

ad esempio, nel caso di ‘Giovanni Battista’) o per considerarli sequenze di nomi separati e

separabili (come nel caso di un ‘Giuseppe Antonio Augusto’). Tale scelta comporta importanti

conseguenze d’ordine analitico che non è possibile approfondire in questa sede; basti notare che, in

linea generale, i nomi multipli saranno qui considerati nomi separati. Inoltre, farò mio un concetto

di ‘nome-base’ che privilegia il primo nome attribuito al bambino, distinguendo quindi statistiche

relative ai soli nomi-base, ed all’insieme dei nomi.

Un altro problema è rappresentato dai diminutivi, vezzeggiativi ecc. È evidente che, in linea

generale, un ‘Giovannino’ andrà collegato all’insieme dei ‘Giovanni’, ma in altri casi la questione è

meno chiara. ‘Faustina’ va considerato davvero un diminutivo del rarissimo ‘Fausta’? E ‘Luchina’

sarà il diminutivo di un ipotetico ‘Luca’ al femminile, a quanto mi risulta mai utilizzato, perlomeno

in Italia21? In effetti il problema, oltre che in una certa complicazione tecnica, sta nel fatto che di

norma non siamo in grado di accertare con quale nome esattamente una persona venisse chiamata, o

si facesse chiamare (col nome o con un diminutivo/vezzeggiativo? Con il primo nome, con tutti, o

magari solo con il secondo o il terzo? Sempre che, poi, non fosse nota solo con un soprannome, o

con un nome di sua scelta...). Ad ogni modo, in questa sede i diminutivi saranno equiparati ai nomi

da cui derivano e, per ragioni di semplicità e chiarezza espositiva, non vi farò più riferimento22.

21 Non si può dare per scontato che un nome oggi non in uso per le femmine, se non in forma di diminutivo (come per Luca/Luchina), non fosse invece impiegato in passato, per quanto raramente e magari solo in alcuni luoghi. È il caso di un altro nome che può essere accostato a Luca in quanto appartenuto ad un apostolo: Andrea. Benché oggi in Italia sia usato pressoché solo al diminutivo ‘Andreina’ (un tempo affiancato da ‘Andreola’, ‘Andrietta’ ecc.), ho trovato rari casi in cui a delle bambine viene imposto il nome ‘Andrea’. Quest’uso, comune in altre parti dell’Europa, sta oggi facendo ritorno in Italia, benché sia normalmente percepito come l’imposizione di un nome straniero. A fronte di fenomeni di questo tipo, e stante la lacunosità delle nostre conoscenze sulla distribuzione e variazione dei set di nomi nella storia, mi pare che l’unico modo coerente di procedere sia di tipo empirico: sarà quindi il database a dare ogni risposta (sempre ipotetica e suscettibile di ulteriori verifiche) sull’uso o meno, ed in quali forme, di certi nomi. Nel caso dell’imposizione a una femmina di un nome tipicamente maschile (ed in una forma maschile), o viceversa, va poi ricordata la possibilità che, talvolta, si sia manifestato il desiderio di preservare un ‘nome di famiglia’ (es. il nome di un nonno) nonostante il sesso del neonato. 22 Sui problemi di ordine tecnico-metodologico posti dallo studio dei nomi, si veda J. DUPÂQUIER, J.O. PÉLISSIER, D. RÉBAUDO, Les Temps des Jules. Les prénoms en France au XIX siècle, Paris, Editions Christian, 1987. Si noti che le difficoltà insite nel risalire dai diminutivi/vezzeggiativi al nome da cui derivano costituiscono, da un punto di vista operativo, un aspetto di un problema più generale: ovvero come giungere, partendo da dati onomastici ‘grezzi’, a dati standardizzati che consentano, nonostante le differenti caratteristiche di ciascuna registrazione nominativa quale compare sulle fonti, di produrre statistiche adeguate ed uniformi. Ogni singolo nome infatti, a seconda dei tempi, dei luoghi e dei registranti poteva apparire in lezioni differenti (es. Nicola/Nicolao/Nicolò/Niccolò); in italiano o in latino (e si noti che una registrazione in latino implica già di per sé, stante il generalizzato uso quotidiano del volgare, un certo grado di standardizzazione, introdotto direttamente dal registrante); con forme diminutive, vezzeggiative ecc. (ma si ricordi quanto già osservato sull’effettivo uso di una forma piuttosto che di un’altra). Non è possibile descrivere in questa sede le tecniche di standardizzazione impiegate; per una trattazione più generale della questione, si vedano G.

12

Nella tabella 2 riporto i dati relativi ai soli nomi-base, ed a tutti i nomi, assegnati ai bambini figli di

genitori titolati, senza titolo oppure esposti, battezzati nelle consuete 5 comunità. Riporto anche il

numero medio di battezzati per ciascun nome o nome-base, misure ovviamente legate alle

dimensioni del campione. I campioni impiegati sono gli stessi già usati per la tabella 1.

Tab. 2. Ceto sociale e varietà dei nomi

Maschi Femmine

Titolati Senza

Titolo Esposti Titolati Senza

Titolo Esposti

Cesena (1555-1557)

Nomi-Base 35 83 9 47 96 16

Nomi 37 85 11 47 95 16

N. Battezzati 48 244 10 65 243 19

N. Medio di Battezzati per Nome-Base 1,37 2,94 1,11 1,38 2,53 1,19

N. Medio di Battezzati per Nome 1,30 2,87 0,91 1,38 2,56 1,19

Mirandola (1499-1501, 1555-1557, 1611-1613)

Nomi-Base 75 77 33 65 76 41

Nomi 92 100 42 80 108 57

N. Battezzati 216 337 54 170 295 66

N. Medio di Battezzati per Nome-Base 2,88 4,38 1,64 2,62 3,88 1,61

N. Medio di Battezzati per Nome 2,35 3,37 1,29 2,13 2,73 1,16

Nonantola (1558-1650)

Nomi-Base 88 158 22 85 141 23

Nomi 93 163 26 89 145 23

N. Battezzati 450 5563 38 435 5252 36

N. Medio di Battezzati per Nome-Base 5,11 35,21 1,73 5,12 37,25 1,57

N. Medio di Battezzati per Nome 4,84 34,13 1,46 4,89 36,22 1,57

Ravenna (1555-1557)

Nomi-Base 56 98 26 65 100 20

Nomi 60 98 26 66 103 20

N. Battezzati 132 479 31 127 415 23

N. Medio di Battezzati per Nome-Base 2,36 4,89 1,19 1,95 4,15 1,15

N. Medio di Battezzati per Nome 2,20 4,89 1,19 1,92 4,03 1,15

Voghera (1555-1557)

Nomi-Base 24 53 14 26 51 22

Nomi 30 56 17 29 52 24

N. Battezzati 43 202 21 40 182 31

N. Medio di Battezzati per Nome-Base 1,79 3,81 1,50 1,54 3,57 1,41

N. Medio di Battezzati per Nome 1,43 3,61 1,24 1,38 3,50 1,29

Per interpretare correttamente la tabella occorre ricordare che, considerata la natura dei dati

presentati, larga parte delle apparenti differenze tra ciascuna comunità possono essere spiegate con

la diversa consistenza del campione (dato che il set di nomi disponibili in ogni luogo può essere

ALFANI e G. GUERZONI, Storia delle corti, tecniche prosopografiche e analisi delle carriere. Una messa a fuoco delle

reciproche possibilità di contaminazione, «Cheiron», 2006, 42, pp. 169-203.

13

ritenuto limitato, è evidente che maggiore è il numero di battezzati, maggiore sarà la media di

battezzati per ciascun nome).

Anche le differenze nelle misure relative, entro ciascuna comunità, ai tre ceti considerati, sono in

parte spiegabili con la loro diseguale consistenza numerica: i figli di genitori senza titolo sono di

norma più numerosi dei figli di genitori titolati, e questi ultimi sono più numerosi degli esposti.

Ciononostante, stupisce il fatto che ovunque, ed indipendentemente dal sesso dei neonati, i nomi ed

i nomi-base (ovvero i ‘primi nomi’) siano sensibilmente più vari e meno concentrati per gli esposti

che per i titolati, e la differenza si amplia ancora confrontandoli ai senza titolo. Nel caso di

Nonantola, a fronte dei 26 nomi differenti attribuiti ai 38 esposti maschi (1,46 battezzati per nome),

i 450 titolati ne hanno 93 (4,84 battezzati per nome) ed i 5.563 senza titolo ne hanno 163 (34,13

battezzati per nome).

Spesso, nelle ricerche sulla denominazione degli esposti, si è fatto ricorso alla ‘fantasia’ quale

categoria esplicativa, ovvero si è ipotizzato che chi doveva attribuire il nome agli esposti non abbia

mostrato molto impegno, ripetendo più volte gli stessi nomi. I miei dati suggeriscono invece una

situazione diversa: infatti, nelle località considerate, ciascun nome identificava un numero molto

ristretto di esposti, salvaguardando quindi la loro individualità. Dal confronto con la scarsa varietà

‘pro capite’ dei nomi dei figli di senza titolo, si potrebbe anzi ipotizzare che il livello di istruzione

relativamente più elevato del prete (che, probabilmente, decideva in prima persona il nome, salvo

che non lo facesse il padrino: avrò modo di tornarvi) garantisse l’accesso ad un set di nomi più

ampio, specie considerando che non era tenuto a rispettare tradizioni familiari né, forse, usanze

locali. D’altra parte, può anche darsi che la ‘fantasia’ di chi sceglieva i nomi degli infanti

abbandonati sia stata aiutata, nelle comunità esaminate, da un flusso di esposti relativamente

contenuto, tale quindi da non generare eccessive pressioni creative. Da ultimo, va ricordata la

possibilità che, specialmente nei casi in cui le strutture assistenziali (dove esistenti) erano

organizzate in modo tale da ospitare direttamente gli infanti abbandonati, chi attribuiva loro i nomi

cercasse intenzionalmente di differenziarli il più possibile (si ricordi la mancanza di cognomi), per

prevenire confusioni23: cosa peraltro possibile solo se, come già osservato, il flusso di esposti da

fronteggiare non era troppo cospicuo.

23 Mancando studi specifici sugli enti assistenziali operanti in ciascuna delle comunità considerate nel corso del XVI secolo, ho preferito, in questa sede, astrarre completamente dal contesto istituzionale locale. D’altra parte, ciò è in accordo col punto di vista ‘parrocchiale’ che ho adottato: infatti, i registri dei battesimi contengono di regola informazioni minime in merito al destino degli infanti abbandonati. Solo in casi estremamente rari, infatti, riportano qualcosa più di una generica annotazione (peraltro non sempre presente) che si tratta di un ‘putto portato all’hospitale’ o ritrovato in un dato luogo. Si noti però che nel XVI secolo l’assistenza agli infanti abbandonati poteva assumere forme molto diverse, sia guardano alla tipologia di istituzioni che se ne facevano carico, sia guardando alle pratiche ed alle procedure adottate. Per una sintesi in materia, V. HUNECKE, L'invenzione dell'assistenza gli esposti nell'Italia del

Quattrocento, in C. GRANDI (a cura di), Benedetto chi ti porta, pp.272-283.

14

Quale che sia la ragione dell’apparente varietà e dispersione dei nomi attribuiti agli esposti, è chiaro

che risulta particolarmente rilevante analizzare quali fossero tali nomi, per valutare se erano tratti

dallo stesso set usato per gli altri neonati, o se erano loro riservati. In Appendice (Tab. A1) riporto i

dati relativi ai primi 10 nomi più diffusi (considerando sia i nomi-base, sia i nomi successivi al

primo, e tralasciando il problema posto dai nomi composti), comunità per comunità, in ciascuno dei

ceti considerati. Per gli esposti, in alcune comunità dove il loro numero era particolarmente ridotto

l’elenco comprende meno di 10 nomi perché ho considerato solo i nomi assegnati ad almeno 2

bambini.

Dai dati relativi ai nomi prevalenti nei tre ceti risulta che, in linea generale, agli esposti venivano

attribuiti gli stessi nomi dati agli altri neonati. Infatti, tutti i nomi che figurano nell’elenco di quelli

più frequenti tra gli abbandonati compaiono anche nell’elenco di uno o entrambi gli altri ceti, o

sono comunque rappresentati. Ad esempio, tra i neonati di Mirandola il nome ‘Giovanni’, al primo

posto tra gli esposti, occupa la stessa posizione tra i titolati ed i senza titolo (spesso seguito dal

nome ‘Battista’, con cui forma un composto di larga diffusione), e lo stesso si può dire per la

seconda posizione, occupata da ‘Francesco’; ‘Pietro’, terzo tra gli esposti, è nono tra i senza titolo;

‘Antonio’, al quarto posto, è terzo tra i senza titolo e quarto tra i titolati; ‘Bartolomeo’ (quarto posto

a pari merito con Antonio, Battista, Giuseppe e Lodovico) non figura nelle liste degli altri due ceti,

ma si trova comunque in un caso tra i titolati ed in 11 tra i senza titolo (equivalente all’undicesima

posizione, appena fuori tabella).

A questa tendenziale uniformità inter-ceto dei nomi più diffusi fa eccezione Voghera, su cui tornerò

tra breve. Prima vale la pena di sottolineare alcuni ulteriori dati relativi alle altre comunità.

Guardando, oltre che alla presenza nella lista, alla proporzione di bambini che hanno un certo nome,

differenze tra i ceti emergono, benché di solito accomunino esposti e figli di senza titolo nei

confronti dei figli di titolati, invece di segnare un confine tra gli infanti abbandonati e tutti gli altri.

È il caso, ad esempio, del nome ‘Silvestro’ a Nonantola: tipico ‘nome locale’ in quanto ricorda e

rimanda al santo cui è intitolata l’abbazia presente nel territorio della comunità, dove ne sono

conservate le spoglie, è molto diffuso tra i senza titolo (255 casi, il 2,24% del totale) e figura tra i

più diffusi tra gli esposti (il 2,53% del totale ma, dato il ridotto numero di casi, il dato va

considerato puramente indicativo), mentre tra i figli di titolati è, sì, presente, ma molto più raro

(1,25% del totale).

Rispetto a queste tendenze, Voghera rappresenta un caso anomalo. Infatti, dei 6 nomi maschili che

compongono l’elenco dei più diffusi tra gli esposti (nell’ordine: Giovanni, Bartolomeo, Carlo,

Domenico, Francesco, Ventura) solo 3, ovvero Giovanni, Francesco e Domenico, figurano in

almeno una delle liste relative a titolati e senza titolo: Giovanni, in particolare, occupa per tutti la

15

prima posizione. Per quanto riguarda gli altri 3 nomi, due sono attestati anche per i senza titolo,

benché con frequenze molto scarse: Bartolomeo compare 3 volte, come tra gli esposti, che però

corrispondono allo 0,68% del totale contro il 4,84%; Carlo compare una sola volta tra i senza titolo

e 2 tra gli esposti (0,23% contro 3,23%). Ventura, infine, sembra essere un nome riservato agli

infanti abbandonati. La situazione delle femmine è analoga con 2 nomi, sui 6 dei lista, riservati

esclusivamente agli esposti: Luca (sempre al diminutivo ‘Luchina’) e Andriola (vezzeggiativo di

‘Andrea’).

Il numero ristretto di casi induce alla cautela nell’interpretare troppo rigidamente i dati vogheresi,

ma la tendenza di fondo sembra chiara, ed apre interessanti prospettive. Prima, però, occorre

affrontare un problema più generale, ovvero quello dei nomi riservati esclusivamente agli esposti.

Le ricerche empiriche cui ho fatto più volte riferimento hanno infatti evidenziato un’importante

componente di nomi riservati nell’insieme del patrimonio onomastico dell’infanzia abbandonata,

nomi il cui scopo apparente è di «imprimere all’esposto un marchio indelebile che si trascinerà per

tutta la sua vita e che costituirà un evidente segno distintivo rispetto ad un altro individuo24». Si

tratta di nomi dal particolare significato, talvolta chiaramente dispregiativo od ironico, e che

rimandano alla sfortunata condizione del neonato o a sue caratteristiche fisiche. A questo riguardo,

va notato che nelle comunità da me considerate nomi del genere sono totalmente assenti, con la

possibile eccezione di una ‘Candida’ battezzata a Nonantola e di un ‘Amator’, un ‘Nano’ ed una

‘Vivia’ battezzati a Ravenna. Quest’ultima comunità, in particolare, è l’unica in cui compaiano

nomi dal significato dispregiativo, come è certo il caso per ‘Nano’ e forse anche per ‘Amator’.

L’unico altro nome, tra quelli considerati, che potrebbe essere ritenuto ‘tipico’ degli esposti, è

Ventura (uguale al maschile ed al femminile), equivalente semantico del nome ‘Fortunato’ che, a

quanto pare, non era ancora in uso (nessun caso tra tutti i 36.000 nomi considerati). Ventura,

tuttavia, se è un nome che a Voghera sembra riservato agli esposti, non lo è in generale: a

Nonantola ad esempio è attribuito a un bambino e una bambina abbandonati, ma anche a 3 legittimi

e 4 legittime. È inoltre attestato, tra i legittimi, in località quali Cesena, Ravenna, Torino,

Gambellara.

I miei dati sembrano suggerire, insomma, che nel XVI secolo e nella prima parte del successivo il

trattamento onomastico riservato agli esposti fosse sostanzialmente analogo a quello degli altri

bambini, perlomeno guardando al set di nomi in uso25. Resta ovviamente aperto il problema dei

24 O. BUSSINI, Il nome di battesimo, p. 216. 25 Ovviamente, dal punto di vista più generale dei meccanismi complessivi di denominazione/individuazione, va ricordato che la mancata attribuzione di un cognome costituiva comunque un elemento di importante differenziazione tra infanti abbandonati e legittimi. Al momento, però, non disponiamo di informazioni sufficienti a valutare il modo in cui avveniva effettivamente il riconoscimento personale nel corso del XVI secolo: è infatti solo con riferimento alle forme della sociabilità, che si può ipotizzare che l’assenza del cognome potesse costituire uno stigma. Vi sono

16

criteri di selezione del nome, che potevano differire ma produrre comunque risultati simili, e quindi

non emergere dalle statistiche qui esaminate. La questione non potrà essere analizzata nel dettaglio

in questa sede, salvo che per quanto riguarda il ruolo dei padrini nell’attribuzione del nome, che

affronterò nella seconda parte del saggio. Ciò che occorre sottolineare fin d’ora, però, è che la

situazione fotografata dai registri battesimali cinquecenteschi differisce sensibilmente rispetto a

quanto emerge da fonti successive. Nel complesso, sembra assente un intento di discriminazione

onomastica degli esposti, sia di tipo ‘attivo’ (scelta di nomi-segnale), sia ‘passivo’ (minor cura e

‘fantasia’ nella selezione del nome, attribuzione di meno nomi per bambino). Il fatto che, sotto il

primo profilo, la comunità di Voghera sembri differire dalle altre, benché neppure lì compaiano

nomi apertamente dispregiativi, potrebbe suggerire che, in alcuni luoghi, le cose iniziavano a

cambiare. Sarebbe ovviamente interessante proseguire le indagini per i secoli successivi, così da

verificare se, col tempo, anche Voghera (e le altre comunità qui considerate) si avvicini alla

situazione riscontrata, ad esempio, a Siena e Camerino a cavallo tra XVIII e XIX secolo.

Certamente, un fattore che varrebbe la pena tenere sotto controllo è la situazione in cui versavano

gli ospedali: ho già notato che potrebbe essere stata la condizione di crescente stress in cui tali

istituzioni si trovarono ad operare, dovuta al forte incremento numerico degli esposti, ad indurre

comportamenti discriminatori, che fossero o meno volontari, ovvero frutto di un preciso progetto.

Se, dunque, le trasformazioni nel tempo dei nomi degli esposti sono sicuramente uno dei punti più

meritevoli d’attenzione, in questa sede è possibile affrontare confronti inter-temporali solo per le

comunità di Mirandola, comparando i tre campioni relativi agli anni 1499-1501, 1555-1557

(espanso, per gli esposti, al 1550-1562) e 1611-1613, e di Nonantola, per la quale dispongo della

serie completa dei battesimi celebrati tra 1558 e 1650.

Elaborando le statistiche consuete, per quanto riguarda i nomi prevalenti non sono emerse

variazioni nel tempo che siano di rilievo in questa sede. Diverso è invece il caso del numero medio

di nomi, come emerge dai dati presentati nella tabella 3. Per Nonantola, ho diviso i dati annuali in

quattro periodi, organizzati in modo tale da concentrare il più possibile gli esposti (il primo infante

abbandonato di cui ho trovato traccia viene battezzato nel 1575, motivo per cui ho ritenuto

preferibile adottare come primo periodo il 1558-1574, nonostante si tratti di un intervallo più breve

dei successivi).

comunque ragioni per ritenere che, all’epoca, sotto questo profilo il nome svolgesse ancora un ruolo preponderante: il cognome poteva infatti essere sostituito da un’indicazione di provenienza o di professione (di cui pure gli esposti potevano godere), oppure da un patronimico.

17

Tab. 3. Ceto sociale e numero medio di nomi: trasformazioni nel tempo

Maschi Femmine

Titolati Senza Titolo Esposti Titolate Senza Titolo Esposte

Media Nomi

N. casi Media Nomi

N. casi Media Nomi

N. casi Media Nomi

N. casi Media Nomi

N. casi Media Nomi

N. casi

Mirandola (1)

1499-1501 3 6 2,02 111 - - 2 2 1,96 83 - -

1555-1557 1,85 82 1,91 132 1,75 47 1,86 59 1,74 112 1,65 57

1611-1613 1,15 130 1,06 94 1,14 7 1,02 109 1 100 1 9

Nonantola

1558-1574 1,43 14 1,11 373 - - 1 10 1,03 383 - -

1575-1600 1,16 138 1,11 1935 1,15 13 1,05 142 1,01 1766 1 16

1601-1625 1,17 189 1,09 1637 1,11 9 1,02 162 1 1600 1 5

1626-1650 1,21 109 1,09 1601 1,13 16 1,02 121 1,01 1490 1 15 (1) Nel caso di Mirandola, il campione relativo al 1555-1557 è stato allargato, esclusivamente per gli esposti, agli anni 1550-1562

Dai dati presentati è facile rendersi conto che, se per Nonantola il numero medio di nomi per

bambino si mantiene sostanzialmente costante tra la seconda metà del XVI secolo e la prima metà

del XVII, indipendentemente dal ceto e dal sesso considerato, nel caso di Mirandola si assiste

invece ad una trasformazione radicale. L’alto numero pro-capite di nomi tipico del 1499-1501 e

1555-1557, infatti, all’inizio del XVII secolo si è ridotto drasticamente. Confrontando 1555-1557 e

1611-1613, risulta che il numero medio dei nomi attribuiti ai maschi scende da 1,85 a 1,15 per i

figli di titolati; da 1,91 ad 1,06 per i figli di senza titolo, e da 1,75 a 1,14 per gli infanti abbandonati.

La riduzione del numero dei nomi dati alle femmine è altrettanto radicale ed uniforme tra i ceti.

Non è possibile, in questa sede, cercare spiegazione a questa trasformazione, né affrontare

l’interessante quesito che evidentemente si pone circa le sorti di comunità che partivano da

situazioni simili a quelle mirandolane (come si ricorderà, si tratta del caso in cui ho riscontrato il

numero di gran lunga più elevato di nomi per bambino). È probabile, però, che vada posto in

relazione con il verificarsi di un evento che produsse un ri-mescolamento delle norme, degli usi e

delle pratiche su una scala senza precedenti nelle epoche successive all’alto Medioevo, toccando

quasi ogni campo dell’agire sociale: il Concilio di Trento (1545-1563), i cui effetti in un campo

specifico (la parentela spirituale) affronterò tra breve26. Mi limiterò a sottolineare il rilevante fatto

26 Il Concilio di Trento non emanò decreti tali da riformare direttamente le pratiche di selezione ed imposizione del nome dei neonati. Tuttavia, già nella seconda metà del XVI secolo l’intento di regolare in qualche modo la selezione del nome emerse chiaramente nel contesto dell’applicazione delle norme e dello ‘spirito’ del Concilio. Si trattava, in primo luogo, di vietare che ai bambini venissero imposti nomi derisori, ridicoli o empi; in secondo luogo, di prevenire l’imposizione di nomi che rimandassero a modelli pagani o eretici, in favore dei modelli delle virtù cristiane (i santi in particolare). Questo causò la progressiva scomparsa di nomi ancora relativamente diffusi (es. il composto ‘Giulio Cesare’, che compare abbastanza frequentemente nelle comunità da me studiate); inoltre, promuovendo il principio di denominazione derivata dai santi a scapito degli altri principi onomastici, favorì progressivamente la diffusione dei

18

che, in occasione di una trasformazione tanto radicale, i principi onomastici che regolano

l’imposizione del nome agli esposti sembrano muoversi in completa armonia con quelli in uso per il

resto della popolazione27.

Ancora una volta, dunque, piuttosto che le differenze balzano all’occhio le coerenze di

comportamento onomastico tra gli infanti abbandonati ed i bambini che godono delle cure parentali.

Questo risultato è tanto più interessante in quanto, considerando le pratiche di padrinato, si giunge a

conclusioni opposte.

2. Sfortunati nella carne, sfortunati nello spirito: gli esposti e i loro padrini

Nelle società europee d’antico regime, i legami di sangue e quelli di affinità (generati dal

matrimonio) non erano le uniche forme di parentela: vi erano infatti anche rapporti di ‘parentela

spirituale’, generati dal battesimo, che legavano tra loro i padrini e le madrine da una parte, il

bambino ed i suoi genitori dall’altra28. Si trattava di una parentela vera e propria, accompagnata dai

nomi dei ‘nuovi’ santi della Controriforma. Questo fenomeno di ‘calo onomastico’ connesso al clima post-conciliare non è ancora stato studiato in modo soddisfacente, ed in particolare non mi risulta che siano stati condotti studi empirici sul mutare dei nomi favoriti; pertanto, queste ultime considerazioni vanno considerate ipotetiche. Nell’opera di regolamentazione delle pratiche onomastiche, un peso determinante va attribuito a Carlo Borromeo, per il carattere di ‘esemplarità’ rapidamente assunto dalla normativa da lui introdotta nella provincia ecclesiastica milanese. Nel IV Concilio Provinciale (1576), alla voce Quae pertinent ad sacramentum Baptismi, troviamo: «[Parochus] curet

idem, ut infantibus proprio nomine in baptismo appellandis ea nomina non imponantur, quae turpia aut ridicula sunt,

quaeve gentilium, atque adeo impiorum et impurorum hominum memoriam referant; sed illorum, qui ob vere pietatis,

ac sanctae religionis, virtutisque christianae laudem Sanctorum numero adscripti sunt: ut et in ipso vitae ingressu cum

ethnicis ne nomen quidem commune fideles habere velle protestentur; ep ipsi infantes etiam, cum aetate processerint,

nominum similitudine ad eorum, a quibus illa accepta sunt, imitationem excitentur; et praterea quos imitari studeant,

eosdem quoque frequentius precentur, ac sperent, eos potissimum sibi ad salutem tum animi tum corporis advocatos

fore». A. RATTI (a cura di), Acta Ecclesiae Mediolanensis, vol. II, coll. 344-348. 27 Anche a Parigi quando, tra XVII e XVIII secolo, si diffonde la moda di attribuire nomi doppi o tripli (processo inverso a quello da me riscontrato in Italia settentrionale tra XVI e XVII secolo), gli esposti prendono parte alla tendenza che investe i legittimi, seppur meno intensamente e rapidamente. J.P. BARDET e I. ROBIN, La dénomination

des enfants trouvés anonymes de Paris avant la Révolution: distinguer, insérer, respecter la personne, in J.P. BARDET e G. BRUNET (a cura di), Noms et destins, cit., pp. 59-76. 28 In effetti, l’estensione riconosciuta alla parentela spirituale di battesimo prima del Concilio di Trento era ancora maggiore. All’inizio del XVI secolo, infatti, il diritto canonico sanciva l’esistenza di parentela spirituale tra i padrini, le madrine ed i loro congiunti da una parte, i figliocci ed i loro genitori dall’altra. Inoltre, esisteva parentela spirituale tra i figliocci ed i figli dei loro padrini e madrine, e tra il bambino e chi celebrava il suo battesimo. Tuttavia, le relazioni fra il bambino, i suoi genitori, i padrini e le madrine (ovvero fra gli attori del battesimo) avevano una posizione privilegiata rispetto alle altre relazioni di parentela spirituale. Si noti che, originariamente, il padrinato venne istituito per due riti distinti: il battesimo e la confermazione (cresima), ritenuti entrambi generatori di parentela spirituale. Per quanto riguarda l’evoluzione del diritto canonico su questi temi, si vedano F. CIMETIER, Parenté (empêchements de), in A. VACANT, E. MANGENOT, E. AMANN (a cura di), Dictionnaire de Théologie Catholique, Paris, Librairie Letouzey et Ané, 1932, e N. IUNG, Cognatio spiritualis, in R. NAZ (a cura di), Dictionnaire de droit canonique, Paris, Letourney & Ané, 1937. Per un inquadramento storico generale delle trasformazioni subite nel tempo dal padrinato quale istituzione sociale, si veda G. ALFANI, Padri, padrini, patroni, ID, Dalle pratiche alla norma: il Concilio di Trento e la riforma del

padrinato in una prospettiva di lungo periodo, «Società e Storia», 2005, 108, pp. 31-62.

19

relativi divieti matrimoniali, pubblicamente riconosciuta e, in linea generale, percepita come un

legame privilegiato tra le parti, capace di portare con sé amicizia e familiarità.

Gli infanti abbandonati erano ovviamente privi della consueta dotazione di parenti naturali, salvo

che non venisse loro restituita a seguito di un improbabile riconoscimento. Certo, avevano la

possibilità, una volta divenuti adulti, di crearsi legami di affinità contraendo matrimonio, ma nei

primi anni di vita i loro unici rapporti formali di parentela erano proprio quelli di parentela

spirituale. È evidente, quindi, l’importanza di appurare se e come gli infanti abbandonati fossero

davvero integrati nella complessa rete di legami spirituali che univa i membri di ciascuna comunità

o se piuttosto, già decurtati della parentela naturale, soffrissero una condizione di deprivazione

anche sul fronte ‘spirituale’.

Non è possibile, in questa sede, approfondire la questione del ruolo e dell’effettività dei legami di

parentela spirituale, nonché del modo in cui potevano essere di volta in volta attivati29. Mi limiterò a

ricordare che, sebbene la ricerca storica ed antropologica abbia progressivamente messo in luce

specifici compiti che potevano essere assegnati alla parentela spirituale30, ciò che va sottolineato

sopra tutto è piuttosto la flessibilità dei rapporti di padrinato, ovvero la loro peculiare caratteristica

di sapersi adattare alle esigenze locali. Il concetto di ‘flessibilità’, introdotto dagli antropologi

Mintz e Wolf31, è solo apparentemente intuitivo: infatti, non viene inteso da tutti allo stesso modo.

Basti qui notare che le approfondite ricerche che ho condotto su questo tema mi portano a

concludere che, pur essendo in generale un’istituzione sociale regolata da usi e consuetudini

riconducibili a prospettive di lunga durata, tuttavia il padrinato offriva spazi importanti

all’improvvisazione ed a comportamenti unici e non ripetuti. Poteva cioè essere utilizzato per dare

risposta ad esigenze particolari ed eccezionali, per le quali non esistevano usi consolidati che

regolassero le modalità d’azione32.

Benché i rapporti di parentela spirituale in assoluto più importanti fossero quelli di ‘comparatico’,

ovvero quelli tra i genitori del neonato da una parte ed i suoi padrini e madrine dall’altra (i

‘compari’), qui mi occuperò dei rapporti di ‘padrinato’ in senso stretto, che legavano tra loro

29 Si veda, al riguardo, G. ALFANi, Padri, padrini, patroni, e G. ALFANI e V. GOURDON, Il ruolo economico del

padrinato: un fenomeno osservabile? in G. ALFANI (a cura di), Il ruolo economico della famiglia, numero monografico di «Cheiron», in corso di pubblicazione. 30 A parte il mio Padri, padrini, patroni, mi limiterò a segnalare, tra le più recenti monografie sul tema, W. COSTER, Baptism and Spiritual Kinship in Early Modern England, Aldershot, Ashgate, 2002; A. FINE, Parrains, marraines. La

parenté spirituelle en Europe, Paris, Fayard, 1994; F. HÈRITIER-AUGÈ ed E. COPET-ROUGIER (a cura di), La parenté

spirituelle, Paris, Èditions des Archives Contemporaines, 1995; D.W. SABEAN, Kinship in Neckarhausen, 1700-1870, Cambridge, Cambridge University Press, 1998. 31 S.W. MINTZ ed E.R. WOLF, An Analysis of Ritual Co-Parenthood (compadrazgo), in «Southwestern Journal of Anthropology», 1950, 6. 32 Per una discussione approfondita di questa interpretazione dei rapporti di padrinato, si veda G. ALFANI, La famille

spirituelle des prêtres en Italie septentrionale avant et après le Concile de Trente: caractéristiques et transformations

d’un instrument d’intégration sociale, «Annales de Démographie Historique», 2004, 1 e ID, Padri, padrini, patroni.

20

padrini/madrine e figliocci. La Chiesa riteneva che il compito primario dei padrini fosse di vigilare

sulla corretta educazione cristiana del bambino; a ciò si aggiungeva un ruolo secondario di

testimoni dell’avvenuto battesimo33. Nonostante il tutorato spirituale fosse l’unico ruolo

riconosciuto ‘ufficialmente’ dalla Chiesa ai padrini, pare che di norma non venisse preso molto sul

serio: più importanti sembrano essere stati altri doveri, non ‘ufficiali’. Perlomeno nel caso dei

bambini che godevano delle cure parentali, i padrini (ma non sempre le madrine) erano tenuti come

minimo a recare doni in occasione del battesimo, ma spesso si trattava di un vincolo ben più

impegnativo che poteva comprendere soccorso al bambino nel caso perdesse prematuramente i

genitori, sostegno nel momento cruciale dell’inizio dell’attività lavorativa, aiuto in vari momenti

della vita quale consigliere, garante, addirittura prestatore di denaro o di derrate agricole. In alcune

aree d’Europa, pare che i padrini trasmettessero il loro nome ai figliocci: su questo punto tornerò

più diffusamente in seguito.

Nel caso degli esposti, è evidente che la possibilità che i padrini o le madrine si facessero carico non

solo della loro educazione cristiana, ma svolgessero anche un ruolo di supplenza ad un difetto di

cure parentali, acquista un rilievo del tutto particolare tanto che si potrebbe ipotizzare che, in

determinati casi, l’insorgere di un rapporto di parentela spirituale implicasse una sorta di adozione

vera e propria. Uno degli obiettivi che mi pongo è di valutare la verosimiglianza di tale scenario.

Nell’affrontare, da qualsiasi prospettiva, lo studio del padrinato nella prima Età Moderna, è

opportuno tenere ben presente che il Concilio di Trento segna uno spartiacque fondamentale. Prima

del 1563 o, meglio, prima che i dettami conciliari in tema di padrinato venissero fatti applicare (in

Italia settentrionale furono necessari pochi anni, ma ad esempio in Francia il ritardo nella ricezione

del Concilio fu considerevole), perlomeno nell’area da me considerata coesisteva una varietà

sconcertante di differenti ‘modelli’ locali di padrinato, che differivano tra loro per caratteristiche

rilevanti quali il numero di padrini presenti ad ogni battesimo, la presenza di madrine ecc. Entro

questa variabilità su base locale, v’è poi da chiedersi se vi sia una differenza tra gli esposti ed il

resto della popolazione e se a questo riguardo emergano tendenze comuni a ciascuna comunità.

Nella tabella 4, in cui faccio ricorso alla consueta divisione dei battezzati in 3 ceti34, propongo i dati

relativi al numero di padrini e madrine presenti ai battesimi celebrati a Cesena, Mirandola, Ravenna

e Voghera. Ho escluso Nonantola perché non mi sono noti casi di infanti abbandonati precedenti il

33 ‘Secondario’ solo nel senso che non richiedeva un particolare impegno da parte dei padrini: infatti, sia il tutorato spirituale, sia il compito di testimonianza dei padrini erano ‘funzioni’ imprescindibili che, come tali, non possono essere poste su di un piano di subordinazione pastorale o giuridica. 34 Nel caso dei sistemi di padrinato, e diversamente da quanto fatto nello studio dei sistemi onomastici, ho ritenuto preferibile non distinguere tra i sessi. Infatti, i dati a mia disposizione per le località qui considerate e per numerose altre mostrano che tra maschi e femmine vi erano differenze molto ridotte, che si traducevano in un relativo favore accordato ai primi. I maschi, infatti, ricevevano un po’ più padrini (e madrine) delle bambine, e di ‘qualità’ (rango sociale) leggermente superiore. Al riguardo, G. ALFANI, Padri, padrini, patroni.

21

1575, e quindi ben dopo la fine del Concilio di Trento. Nella tabella riporto la percentuale di

battesimi a cui presenziarono un padrino, due, tre e così via, nonché il numero medio di padrini per

battesimo, e misure analoghe per le madrine. Il periodo di riferimento è compreso tra la data

d’inizio delle registrazioni e l’anno precedente la conclusione del Concilio di Trento, il 1562: ho

infatti preferito premiare l’ampiezza dei campioni di battesimi rispetto alla loro perfetta coerenza

cronologica. Si noti comunque che i dati in mio possesso mostrano che, perlomeno nella prima metà

del XVI secolo, i modelli di padrinato erano consolidati e stabili nel tempo. Nel caso di Voghera e

Mirandola, i dati utilizzati sono relativi ad intervalli di tempo molto più ampi rispetto a quelli

impiegati in precedenza, poiché ho potuto avvalermi anche di dati non nominativi raccolti nel

contesto di ricerche non di tipo onomastico.

Tab.4. Ceto e Numero di padrini e madrine per battesimo

Padrini Madrine

TOT Popolaz.

Titolati Senza Titolo

Esposti TOT Popolaz.

Titolati Senza Titolo

Esposti

Cesena 1555-1557

0 pad./mad. (%) 16,82 16,81 13,76 79,31 11,44 21,24 7,60 27,59

1 pad./mad. (%) 52,09 45,13 57,49 13,79 65,14 59,29 67,97 62,07

2 pad./mad. (%) 22,48 27,43 20,94 3,45 16,55 15,04 16,63 3,45

3 pad./mad. (%) 6,86 7,96 6,37 3,45 4,44 3,54 4,52 6,90

4 pad./mad. (%) 0,94 1,77 0,82 0,00 1,88 0,88 2,46 0,00

5 pad./mad. (%) 0,54 0,00 0,41 0,00 0,40 0,00 0,62 0,00

>5 pad./mad. (%) 0,27 0,88 0,21 0,00 0,13 0,00 0,21 0,00

Numero medio di Padrini/Madrine 1,26 1,36 1,25 0,31 1,22 1,04 1,29 0,90

Numero di Battesimi 743 113 487 29 743 113 487 29

Ravenna 1555-1557

0 pad./mad. (%) 25,49 25,50 10,81 90,91 70,40 72,59 67,67 87,27

1 pad./mad. (%) 47,69 54,47 40,15 7,27 22,78 19,31 25,62 7,27

2 pad./mad. (%) 19,85 15,32 35,91 0,00 5,20 7,34 4,92 5,45

3 pad./mad. (%) 5,57 3,47 11,20 1,82 1,39 0,77 1,45 0,00

4 pad./mad. (%) 0,95 1,01 0,39 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00

5 pad./mad. (%) 0,22 0,11 0,77 0,00 0,22 0,00 0,34 0,00

>5 pad./mad. (%) 0,22 0,11 0,77 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00

Numero medio di Padrini/Madrine 1,11 1,57 1,01 0,13 0,39 0,36 0,42 0,18

Numero di Battesimi 1365 259 894 55 1365 259 894 55

Voghera 1534-1562

0 pad./mad. (%) 0,37 0,72 0,32 0,00 99,83 99,86 99,81 100,00

1 pad./mad. (%) 10,16 5,78 10,85 17,24 0,17 0,14 0,19 0,00

2 pad./mad. (%) 62,99 48,27 65,81 75,86 0,00 0,00 0,00 0,00

3 pad./mad. (%) 24,33 39,02 21,82 6,90 0,00 0,00 0,00 0,00

22

4 pad./mad. (%) 1,98 5,78 1,15 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00

5 pad./mad. (%) 0,17 0,43 0,06 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00

>5 pad./mad. (%) 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00

Numero medio di Padrini/Madrine 2,18 2,45 2,13 1,90 0,00 0,00 0,00 0,00

Numero di Battesimi 4092 692 3135 29 4092 692 3135 29

Mirandola 1484-1562

0 pad./mad. (%) 0,38 1,06 0,34 0,94 0,75 1,25 0,93 1,56

1 pad./mad. (%) 80,91 71,28 87,15 94,69 79,03 77,62 79,48 91,56

2 pad./mad. (%) 17,75 24,40 11,73 4,38 19,84 20,08 18,25 6,88

3 pad./mad. (%) 0,96 2,59 0,69 0,00 0,50 0,96 1,26 0,00

4 pad./mad. (%) 0,08 0,29 0,02 0,00 0,04 0,10 0,06 0,00

5 pad./mad. (%) 0,00 0,19 0,00 0,00 0,00 0,00 0,02 0,00

>5 pad./mad. (%) 0,00 0,19 0,34 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00

Numero medio di Padrini/Madrine 1,20 1,31 1,13 1,03 1,21 1,21 1,20 1,05

Numero di Battesimi 8389 1041 6267 320 8389 1041 6267 320

Esaminando i dati presentati, è facile rendersi conto che, nelle quattro comunità considerate,

vigevano ‘modelli’ locali di padrinato differenti35. In alcune, infatti, i padrini erano molto numerosi

(a Voghera erano in media oltre 2,18 per battesimo sul totale della popolazione), mentre in altre

erano pochi (a Mirandola erano appena 1,2 per battesimo); inoltre, in certi luoghi le madrine erano

sempre presenti o quasi (Cesena, Mirandola), mentre in altre erano rare (Ravenna) o del tutto

assenti (Voghera, dove ne ho trovate appena 7 su 4.092 battesimi). Ciò che, però, è qui di

particolare rilievo, è il progressivo ridursi del numero di padrini e madrine scendendo la scala

sociale. Ovunque, infatti, i figli di titolati hanno più padrini dei figli di senza titolo, benché la

situazione sia più confusa guardando alle madrine. Ovunque, poi, gli esposti hanno molti meno

parenti spirituali (sia padrini sia madrine) rispetto agli altri ceti, salvo che a Voghera, dove la totale

assenza di madrine accomuna i bambini quale che sia la loro origine. Se la tendenza al decrescere

del numero di padrini e madrine di pari passo col decrescere del rango sociale sembra essere la

norma, va però detto che, passando dai senza titolo agli esposti, il processo accelera bruscamente. A

Ravenna, ad esempio, partendo da 1,57 padrini in media per i titolati si passa a 1,01 per i senza

titolo e ad appena 0,13 per gli infanti abbandonati; la tendenza, seppure meno accentuata, è analoga

nel caso delle madrine. Ravenna è un caso che spicca tra quelli considerati perché la gran parte

degli esposti lì battezzati non riceve alcun parente spirituale: quasi l’82% degli abbandonati non ha

né un padrino né una madrina. Questa situazione, in effetti, appare problematica da un punto di

35 Per un’analisi preliminare della variabilità e distribuzione su base locale dei modelli di padrinato, G. ALFANI, E

pluribus unum: forme di padrinaggio nell’Italia moderna a cavallo del Concilio di Trento, «Quaderni Storici», 2003, 3, pp. 823-848. Ho successivamente ripreso ed arricchito questi temi in G. ALFANI, Padri, padrini, patroni.

23

vista teologico e pastorale (chi nasce senza famiglia, dovrà dunque ri-nascere in Cristo senza

famiglia?), ed è possibile solo nel contesto di relativa confusione e de-regolamentazione degli usi e

delle pratiche locali tipica della prima parte del XVI secolo. Sarebbe senz’altro interessante

verificare in che tempi, ed in che modi, i battesimi degli esposti si siano uniformati alle prescrizioni

tridentine che, come si vedrà, imposero almeno un parente spirituale per ogni battezzato; al

momento, però, non dispongo di dati atti allo scopo.

A fronte di quanto osservato, in effetti ci si potrebbe chiedere quale sia la rilevanza del numero di

padrini e madrine attribuiti a ciascun neonato. Si tratta di riflettere sulla rete di relazioni creata e

costantemente rinnovata dai rapporti di parentela spirituale: dov’era possibile selezionare numerosi

padrini e madrine, le maglie di questa rete erano fittissime, e legavano tra loro i membri della

comunità secondo modalità complesse, qualitativamente differenti rispetto ai luoghi dove invece i

parenti spirituali erano pochi. Chi riceveva meno padrini si trovava ad essere tendenzialmente

peggio collegato a tale rete, quando non ne era del tutto escluso, come gli esposti di Ravenna. Se,

quindi, la presenza di meno parenti spirituali al battesimo di un esposto aveva forse l’effetto di

sottolineare pubblicamente la nascita sfortunata del neonato, sicuramente costituiva un

comportamento discriminatorio, che fosse volontario o meno.

Il Concilio di Trento pose fine alla frammentazione locale degli usi di padrinato, stabilendo che ai

battesimi avrebbe potuto partecipare un solo parente spirituale, maschio o femmina, o due al

massimo (uno per sesso). In questo modo, causò la crisi di quei modelli di padrinato tradizionali che

si basavano sull’abbondanza di padrini e madrine, imponendo al loro posto l’adesione quasi

generalizzata al ‘modello della coppia’ (un padrino ed una madrina) giunto fino a noi36.

Nelle comunità da me considerate, il passaggio al modello della coppia fu piuttosto rapido e ad

appena 10-15 anni dalla chiusura del Concilio può dirsi completo. Non dispongo purtroppo di dati

relativi ai battesimi celebrati a Cesena e Ravenna dopo il 1563, ma a Mirandola pressoché tutti i

bambini battezzati tra 1580 e 1615 ebbero un padrino ed una madrina, compresi gli esposti, e lo

stesso può dirsi per Voghera, dove la madrina venne di fatto ‘inventata’ negli anni successivi al

Concilio, senza che vi fosse nessuna norma positiva a sancirne la presenza (stando ai dettami

tridentini, la presenza del solo padrino era sufficiente)37. È significativo il fatto che questo

mutamento degli usi abbia coinvolto anche gli infanti abbandonati, che vennero puntualmente

dotati, come tutti gli altri, della nuova figura.

Se, dunque, il passaggio al modello della coppia risolse o attenuò alcune situazioni discriminatorie

nei confronti degli esposti, v’è da chiedersi se davvero costoro abbiano raggiunto un piano di parità

36 Sulla riforma tridentina del padrinato, si veda G. ALFANI, Padri, padrini, patroni.

24

o quasi-parità con i legittimi. Per rispondere a questa domanda, occorre prendere in considerazione

la ‘qualità’ dei parenti spirituali, oltre alla loro semplice ‘quantità’.

Nella tabella 5 riporto, per i consueti tre ceti, la proporzione di padrini distinguibili, secondo il loro

titolo distintivo di rango, in: Senza Titolo; ‘Magistri’ (ovvero quanti erano dotati del titolo di

‘magister’, riservato ai maestri iscritti ad una corporazione); Titolati ed Ecclesiastici. Non riporto i

dati relativi alle madrine, giacché sostanzialmente confermano quanto emerge dall’esame dei

padrini. I periodi di riferimento sono, per Cesena e Ravenna, il consueto triennio 1555-1557; per

Mirandola e Voghera ho invece potuto comparare due periodi di lunghezza differente, uno

precedente la conclusione del Concilio di Trento, e l’altro abbastanza successivo da garantire che le

trasformazioni indotte dalla nuova normativa si fossero ormai pienamente dispiegate.

Tab. 5. Ceto e Rango dei padrini

Titolati Senza Titolo Esposti

Anni

Tot Padrini

Senza titolo (%)

Magistri (%)

Titolati (%)

Ecclesiastici (%)

Tot Padrini

Senza titolo (%)

Magistri (%)

Titolati (%)

Ecclesiastici (%)

Tot Padrini

Senza titolo (%)

Magistri (%)

Titolati (%)

Ecclesiastici (%)

Cesena 1555-1557 153 18,95 3,27 64,71 13,07 609 58,79 10,34 23,97 6,9 9 66,67 0,00 22,22 11,11

Ravenna 1555-1557 405 9,38 0,25 81,73 8,64 900 53,33 0,67 41,89 4,11 7 57,14 28,57 14,29 0,00

Mirandola 1484-1562 1380 6,38 3,99 83,12 6,52 7084 46,60 10,62 38,48 4,31 330 66,36 16,36 11,52 5,76

1600-1609 798 0,00 0,88 97,24 1,88 555 9,19 1,62 88,65 0,54 40 25,00 7,50 67,50 0,00

Voghera 1534-1562 1695 21,36 8,73 69,91 0,00 6682 75,58 7,69 16,69 0,04 55 78,18 10,91 10,91 0,00

1590-1604 645 2,33 0,31 97,05 0,31 2064 43,70 3,05 52,96 0,29 86 58,14 3,49 38,37 0,00

I dati presentati mostrano, per tutte le comunità ed in ciascun periodo, differenze in merito alla

‘qualità’ dei padrini sostanzialmente corrispondenti a quelle relative alla ‘quantità’, benché forse

ancor più marcate. Sembra costante, infatti, la posizione di vantaggio dei figli di genitori titolati

rispetto ai senza titolo e, muovendosi verso gli strati più bassi della società, di questi ultimi nei

confronti degli esposti. Infatti, i titolati vengono sempre dotati di una proporzione maggiore di

padrini d’alto rango (titolati anch’essi), ed inferiore di padrini privi di titolo. In questo quadro, si

37 Sull’‘invenzione’ delle madrine vogheresi, e per una proposta di interpretazione, si veda G. ALFANI, Padri, padrini,

25

ricordi che i magistri rappresentano una sorta di ceto intermedio; per quanto riguarda invece gli

ecclesiastici, non ci sono differenze apprezzabili nella loro presenza ai battesimi di neonati

appartenenti ai vari ceti. Le variazioni, piuttosto, si riscontrano tra comunità, giacché la possibilità

per i membri del clero di far da padrini non era ovunque riconosciuta, sia che ciò fosse dovuto a

norme locali, sia che vada attribuito agli usi38. È comunque interessante il fatto che non si registri,

tra gli esposti, un surplus di padrini provenienti dal clero: evidentemente, il problema di come

dotarli di parenti spirituali era risolto, prima del Concilio di Trento (quando cioè era possibile

selezionarne molti) moderando il numero di padrini loro riservati. Dopo il Concilio, quasi ovunque

in Italia settentrionale gli ecclesiastici tendono ad essere esclusi dall’accesso al padrinato.

Concentrandosi sugli esposti, prima del Concilio essi mostrano sempre la più alta proporzione di

padrini privi di titolo, e la più bassa di padrini titolati: ad esempio, a Mirandola il 66,36% dei

padrini degli infanti abbandonati è senza titolo, contro il 46,6% dei padrini di neonati figli anch’essi

di genitori privi di titolo ed il 6,38% dei padrini dei figli di titolati. Guardando ai padrini titolati, le

proporzioni sono invertite: essi rappresentano, nell’ordine, l’11,52%, il 38,48% e l’83,12% del

totale, sempre partendo dagli esposti.

Il Concilio di Trento, obbligando i genitori a ridurre il numero di padrini e madrine selezionati,

causò una tendenziale polarizzazione e ‘verticalizzazione’ del rapporto di padrinato (perlomeno

guardando alle classi più umili), giacché il contrarsi del sistema di padrinato tradizionale vide

privilegiati i personaggi di rango sociale più elevato, che continuarono ad essere ben presenti ai

battesimi a scapito degli ex-’padrini abituali’ provenienti dai ceti inferiori39. Sulla base dei dati

disponibili per Voghera e Mirandola, pare che gli esposti non fossero esclusi da questo processo,

giacché per loro la proporzione di padrini titolati crebbe verso l’inizio del XVII secolo dall’11,52%

al 67,5% a Mirandola, e dal 10,91% al 38,37% a Voghera. Tuttavia, poiché un incremento analogo

si riscontra anche per gli altri neonati, il miglioramento della situazione degli esposti nasconde, in

realtà, il perpetuarsi d’una discriminazione.

Le trasformazioni dei sistemi di padrinato tradizionali indotte dalla nuova normativa tridentina

presentano, in effetti, risvolti che possono essere posti in collegamento con le contemporanee

trasformazioni dei sistemi onomastici: vi tornerò nella conclusione. Ora mi soffermerò invece su

alcuni casi locali, per i quali conviene procedere ad un’analisi più approfondita dei dati.

Solo andando oltre una pura prospettiva quantitativa ed esaminando più da vicino chi erano i parenti

spirituali degli esposti, infatti, emergono alcuni elementi determinanti nel definire il loro ruolo. Il

patroni, cit. 38 Si veda, al riguardo, G. ALFANI, La famille spirituelle des prêtres.

26

caso di Mirandola è particolarmente interessante. Infatti, una ricostruzione nominativa ha consentito

di appurare che le madrine degli esposti erano in larga parte ‘figlie dell’ospedale’, ovvero sue ex-

ospiti o, forse, ragazze che ancora vi risiedevano, magari per lavoro. Negli anni 1550-1562, su un

totale di 111 madrine degli esposti ben 43 (il 39%) furono registrate come figlie dell’ospedale, o è

stato possibile identificarle con sicurezza come tali confrontando registrazioni diverse40; nel triennio

1611-1613 su 16 madrine lo erano ben 15 (94%). In effetti, è assai probabile che il dato relativo al

primo campione sia notevolmente compromesso dall’impossibilità di riconoscere con sicurezza

alcune delle madrine come figlie dell’ospedale (ho scelto infatti di essere molto prudente in merito),

e che la realtà sia molto più prossima alla situazione del 1611-161341.

Il fatto che, probabilmente, la maggior parte delle madrine degli esposti di Mirandola avesse vissuto

in prima persona l’esperienza dell’abbandono, induce a riflettere sul ruolo loro attribuito da questo

peculiare uso locale, che non trova riscontro nelle altre comunità da me considerate. Si trattava di

un ruolo puramente simbolico, che magari indicava un percorso o era di buon auspicio per il

neonato (si pensi al caso della madrina ex-esposta ora sposata e ben inserita nella società), oppure

prefigurava una sorta di tutorato (non meramente spirituale), un impegno concreto da parte di chi ce

l’aveva fatta a farsi carico di neonati che si trovavano ora in difficoltà simili a quelle del loro

passato? Certo, il fatto che molte di queste ex-esposte compaiano in parecchi battesimi quali

madrine fa supporre che l’attenzione dedicata a ciascun figlioccio non potesse essere molta, benché

l’elevatissima mortalità tipica degli ospedali impedisse un’eccessiva crescita numerica della ‘prole

spirituale’. Bisogna poi ricordare che è anche possibile che si sia trattato semplicemente

dell’attribuzione quale madrina di una giovane ospite dell’ospedale oppure di una ex-ospite rimasta

però nella struttura come membro del personale. La scelta di madrine del genere sarebbe dettata da

ragioni di comodità e non avrebbe contenuti simbolici o scopi di tutorato.

Non ho trovato in nessun’altra comunità un uso analogo a quello riscontrato a Mirandola. Almeno

all’apparenza, infatti, le madrine degli esposti, benché di norma avessero umili origini, non erano

direttamente collegate agli ospedali. Fa in parte eccezione il caso di Cesena, dove una quota

39 Su questi temi, ed in particolare sul concetto di ‘padrino abituale’ e su quello di ‘carriera di padrinato’, si vedano G. ALFANI, Padri, padrini, patroni; ID, La famille spirituelle des prêtres; ID, Les réseaux de marrainage en Italie du Nord

du XVè au XVIIè siècle: coutumes, évolution, parcours individuels, «Histoire, Economie et Société», 2006, 4, pp. 17-44. 40 Come si ricorderà, nell’epoca e nelle comunità considerate gli infanti abbandonati erano dotati solo del nome, ed erano privi del cognome. Gli esposti che compaiono nei registri parrocchiali da me consultati in veste di padrini o madrine sono identificati di norma quali ‘(nome) figlio dell’ospedale’, e talvolta da un soprannome (che poteva sostituire o aggiungersi al nome). Nel caso delle femmine, se contraggono matrimonio sono identificate come ‘mogli di’ oppure acquisiscono direttamente il cognome del marito. 41 Il problema deriva dalla consueta incostanza delle modalità di iscrizione dei dati personali nei registri. Talvolta, è possibile risolvere i casi dubbi confrontando diverse parti d’informazione, come nel caso di una delle madrine più ricorrenti, Caterina, registrata di volta in volta come ‘Catherina figliola de S.ta Maria’, ‘Catherina Venetiana figlia de S.ta Maria’, ‘Catherina figlia dell'hosp.le’, ‘Catherina detta la Venetiana da S.ta Maria’, ‘Cathalina Venetiana’, ecc. In

27

rilevante delle madrine degli infanti abbandonati (il 24% circa) è registrata quale ‘balia’; in un caso

i registri sono più chiari, e dicono trattarsi di una ‘dona balia dell’ospedale’. È verosimile che si

trattasse delle balie cui era stato affidato il neonato le quali, divenendone madri spirituali,

ricevevano una sorta di mandato che andava oltre il profilo economico connesso alla loro

professione. Può anche darsi che, in questo modo, si sperasse di rafforzare il loro impegno nel

prodigare cure al bambino bisognoso. È poi evidentemente possibile, benché poco probabile, che

comportamenti simili a quelli riscontrati a Mirandola e Cesena avessero luogo anche nelle altre

comunità considerate, e che non appaiano a causa dell’incompletezza delle registrazioni.

Quali erano invece i comportamenti relativi alla scelta dei padrini? A Mirandola, dove le madrine

erano selezionate sulla base di una loro esperienza di vita, non ho trovato alcuna tendenza analoga

per quanto riguarda la parte maschile della parentela spirituale. Di tutti i 108 padrini degli esposti

battezzati tra 1550 e 1562, due soli (‘el zopo de Sancta Maria’ e ‘messer Giuseppe de Sancta

Maria’) erano in qualche modo collegati all’ospedale. Dei 16 padrini degli abbandonati battezzati

nel 1611-1613, non lo era nessuno.

È evidente, quindi, che l’uso di scegliere le madrine tra le ex-esposte non aveva alcun

corrispondente tra i padrini. Tra i padrini più ricorrenti, troviamo invece al primo posto un prete

(Don Albertino Guagnolino, che compare 7 volte), che forse costituiva un semplice ‘riempitivo’ alla

cerimonia oppure svolgeva una qualche funzione nella gestione della prima fase della ‘carriera di

esposto’ del neonato. Seguono personaggi indistinguibili dalla massa dei padrini ricorrenti

nell’insieme dei battesimi celebrati a Mirandola, benché vada segnalata la completa assenza di

personaggi di spicco, a partire dai membri della locale famiglia signorile, i Pico, e dai loro

principali ufficiali.

Senza procedere ad onerose ricostruzioni nominative che concernano tutta la popolazione per lunghi

periodi di tempo, non è possibile dire altro sulla posizione occupata dagli esposti nella complessa

rete di padrinato delle comunità considerate. È però possibile formulare un giudizio iniziale, da

confermare a seguito di ricerche ulteriori: nel complesso, gli infanti abbandonati erano collegati a

tale rete meno bene degli altri bambini. Avevano infatti meno punti di contatto con essa (meno

padrini e madrine) e di minor qualità e capacità d’influenza; a Mirandola, l’uso di dar loro una

madrina scelta tra le ospiti o ex ospiti dell’ospedale poteva anche avere un effetto discriminatorio.

Una peggior integrazione alla rete di relazioni fondate sulla parentela spirituale significava avere un

peggior accesso a risorse immateriali e materiali nel corso della vita. Quali che fossero le intenzioni

altri casi, invece, le cose sono molto meno chiare, come per ‘Gianna Sorga’ e ‘Gianna de S.ta Maria’, per le quali è impossibile appurare, non disponendo di ulteriori informazioni, se si tratti della stessa persona.

28

di chi si faceva carico degli esposti, dunque, emergono qui comportamenti discriminatori che non

ho invece riscontrato nel caso dell’imposizione del nome: avrò modo di tornarvi nella conclusione.

Ora però, conviene affrontare brevemente una questione che costituisce una sorta di trait d’union

tra le due parti di questo saggio. Benché non sia stato possibile qui spingersi oltre un certo punto

nell’analisi dei criteri di selezione dei nomi degli esposti, mi propongo di valutare la presenza o

meno nell’area considerata di un particolare principio onomastico: quello cioè che prevedeva che i

battezzati ricevessero il nome dei loro padrini o madrine. Nel caso degli esposti la questione è

particolarmente stimolante per la debolezza di potenziali principi onomastici concorrenti, ed in

particolare la denominazione derivata dagli antenati.

La pratica di demandare la selezione del nome del neonato ai padrini, che gli trasmetterebbero così

il proprio, è attestata in molti luoghi d’Europa, ed in particolare in Francia42. Tuttavia, non si può

dare per scontato che fosse in uso anche in Italia, giacché alcuni studi condotti su aree delimitate (ad

esempio la Toscana43) non ne hanno trovato traccia e sappiamo che questa pratica non apparteneva

neppure ad altre aree del Mediterraneo cristiano, quali la Spagna44.

Ho potuto confrontare il nome degli esposti con quello dei loro padrini e madrine solo per

Nonantola, Voghera e Mirandola. Nei primi due casi, non ho quasi mai riscontrato coincidenza tra i

nomi di padrini/madrine e figliocci (solo in un battesimo per ciascuna località: verosimilmente si

tratta di un caso). Mirandola, invece, anche questa volta presenta caratteristiche peculiari. Infatti, su

un totale di 120 battesimi di esposti celebrati negli anni 1550-1562 o 1611-1613, ho riscontrato una

coincidenza onomastica tra padrini e figliocci in 18 casi (il 15%). Si tratta ovviamente di una

percentuale troppo bassa per poter affermare che il sistema onomastico mirandolese fosse basato

sull’imposizione del nome del padrino: dove invece questo accadeva, si riscontrano percentuali di

coincidenza onomastica molto più elevate. Ad esempio, a Porrentruy (situata al confine tra il

cantone del Jura, in Svizzera, e la Francia), il 95% dei padrini e delle madrine trasmettevano il

proprio nome ai figliocci45. Inoltre, è probabile che molte delle coincidenze riscontrate a Mirandola

siano casuali, rese più frequenti dal maggior numero di nomi pro capite rispetto ad altre comunità

42 Per una sintesi al riguardo, A. BURGUIERE, Prénoms et parenté, in A. DUPAQUIER, A. BIDEAU, M.E. DUCREUX (a cura di), Le Prénom: mode et histoire, Paris, Éditions de l'EHESS, 1984. Pare che la denominazione derivata dai padrini fosse prevalente anche nell’Inghilterra medioevale (M. BENNETT, Spiritual Kinship and the Baptismal Name in

Traditional European Society, in L.V. FRAPPELL (a cura di), Principalities, Powers and Estates: Studies in Medieval

and Early Modern Government and Society, Adelaide, Adelaide University Press, 1977, pp. 1-13). La denominazione derivata dai padrini ha origini antiche, ed è legata ad un concetto di ‘paternità spirituale’ quale venne elaborato dalla cristianità dei primi secoli, in un contesto in cui il battesimo era ancora somministrato agli adulti. Si veda, al riguardo, M. MITTERAUER, Antenati e santi, p. 107 e seg. 43 C. KLAPISCH-ZUBER, Parrains et filleuls: Une approche comparée de la France, L'Angleterre et l'Italie médiévales, «Medieval Prosopography», 1985, 6, pp.51-77. 44 F. CHACON JIMENEZ, Identidad y parentescos ficticios, pp. 48-49 45 P. PEGEOT, Un exemple de parenté baptismale à la fin du Moyen Age. Porrentruy 1482-1500, in Les entrées dans la

vie. Initiations et apprentissages, Nancy, Presses universitaires de Nancy, 1982, pp. 53-70.

29

dell’Italia settentrionale (ho infatti considerato ‘coincidenza onomastica’ quella di almeno un nome

tra tutti quelli attribuiti alle varie parti).

Nonostante queste considerazioni, in un buon numero di casi è difficile pensare che la coincidenza

sia fortuita: si pensi ad esempio a Leonora Caterina, battezzata il 3 febbraio 1562 da madonna

Leonora figliola di Santa Maria, o a Polissena, battezzata il 12 luglio 1554 da madonna Polissena

Machiona.

Sarebbe interessante verificare se questo surplus di coincidenze onomastiche sia limitato agli

esposti, o se piuttosto costituisca una caratteristica tipica dell’intera comunità. Benché al momento

non siano disponibili i dati necessari per una verifica esaustiva della questione, alcuni sondaggi

preliminari sembrano indicare che si tratti di un fenomeno limitato all’infanzia abbandonata

(peraltro, sondaggi compiuti su comunità non considerate in questo studio, quali Ivrea, Torino,

Gambellara ecc. sembrano confermare la sostanziale assenza, dall’Italia settentrionale, di luoghi in

cui i padrini e le madrine riuscissero a trasmettere sistematicamente il proprio nome). Se questi

primi dati dovessero venire confermati, potremmo concludere che, a Mirandola, un deficit di

principi onomastici concorrenti consentiva, nel caso degli esposti, l’emergere di usi sociali

innovativi rispetto a quelli ‘normali’.

Conclusione

La doppia analisi condotta nel presente saggio, relativa ai sistemi onomastici prima, ai sistemi di

padrinato poi, ha consentito di delineare una situazione sensibilmente differente da quella attesa al

momento della formulazione del progetto di ricerca.

In primo luogo, non è stato possibile trovare tracce (se non flebili e senza diffusione generalizzata)

di evidenti comportamenti discriminatori sfavorevoli agli esposti in occasione dell’imposizione del

nome. Gli infanti abbandonati, infatti, ricevevano approssimativamente gli stessi nomi, nello stesso

numero, ed in una varietà forse ancora maggiore, degli altri bambini: si tratta quindi di una

situazione ben diversa rispetto a quanto si sarebbe potuto ipotizzare sulla base di ricerche empiriche

relative ai secoli XVIII-XIX.

In secondo luogo, considerando la dotazione di padrini e madrine, la loro ‘qualità’ e la loro capacità

d’influenza, emerge chiaramente una situazione di svantaggio ai danni degli esposti. Lungi

dall’essere compensati ‘in spirito’ di quanto loro manca ‘in natura’, gli infanti abbandonati risultano

ovunque mal integrati in una fondamentale rete di legami sociali, con ulteriore danno delle loro già

precarie prospettive di inserimento nella comunità.

Sulla base di quanto osservato, è possibile fare un ‘bilancio della discriminazione’ con risultati

curiosi. Ora equiparati, ora svantaggiati rispetto agli altri neonati, gli esposti non sono marcati a vita

30

come tali in modo ‘visibile’ (tramite ad esempio l’imposizione di un nome-segnale), ma rischiano

comunque di divenire dei paria se non riescono in qualche modo a supplire ad una drastica

decurtazione di rapporti di parentela (naturale e spirituale). Questo scenario è tanto più interessante,

se lo proiettiamo su un orizzonte temporale più ampio.

Ipotizzando, infatti, che partendo dalla situazione riscontrata per il XVI secolo, di lì a 2-3 secoli si

giunga in modo abbastanza generalizzato alla realtà emersa per luoghi quali Siena e Camerino, si

dovrà concludere che gli usi di denominazione relativi agli esposti abbiano subito un progressivo

mutamento, il cui esito finale è una chiara discriminazione. Sul fronte della parentela spirituale,

invece, la trasformazione decisiva avviene in seguito alla riforma del padrinato voluta dal Concilio

di Trento verso la metà del XVI secolo, i cui esiti ho già potuto analizzare. A seguito della riforma,

la situazione discriminatoria degli esposti risulta molto attenuata, giacché l’adozione generalizzata

del ‘modello della coppia’ garantisce loro la stessa dotazione (numerica) di parenti spirituali degli

altri neonati. I loro padrini e madrine migliorano anche ‘qualitativamente’, tendono cioè ad essere di

rango sociale più elevato che in precedenza, ma sotto questo profilo si mantiene una certa distanza

dagli altri ceti.

In una prospettiva plurisecolare, dunque, e con una diversa cadenza, ci troviamo di fronte a

trasformazioni sociali che si muovono in direzioni opposte: una dall’eguaglianza alla

discriminazione (nel caso dei nomi), l’altra dalla discriminazione all’eguaglianza (nel caso dei

padrini). Tra le due, però, v’è una differenza fondamentale: nel caso della prima, si tratta di un

mutamento ‘spontaneo’ degli usi, forse indotto dall’aggravarsi del fenomeno dell’abbandono o da

un mutato atteggiamento nei confronti dell’illegittimità; nel caso della seconda, delle conseguenze

di un intervento legislativo che ‘strappa’ il padrinato dal regno delle pratiche e degli usi per

proiettarlo in quello delle leggi scritte.

Gli usi, e le loro trasformazioni, costituiscono sicuramente un terreno d’indagine di grande

interesse, benché raramente esplorato (specie per le epoche più antiche) a causa delle ben note

difficoltà che ciò comporta, di ordine sia analitico sia documentario. Sulla base di quanto risulta in

particolare dai dati precedenti il Concilio di Trento, emerge una situazione di elevata

frammentazione locale delle pratiche, soprattutto per quanto riguarda il padrinato ma anche per i

sistemi onomastici (si pensi a Mirandola, la cui ‘diversità’ si attenua, non a caso, dopo il Concilio),

che varrebbe sicuramente la pena di studiare in modo più mirato, facendo ricorso su vasta scala al

metodo comparativo. Solo così, infatti, si potrebbero precisare i limiti di rappresentatività di studi

locali, e fornire un utile bilanciamento ad ogni tentazione generalizzante.

Sul fronte degli usi, il Concilio di Trento impresse una spinta al mutamento senza precedenti,

causando trasformazioni la cui portata ed il cui rilievo sociale cominciamo appena ad intuire. Si

31

tratta ovviamente di una questione troppo ampia per essere affrontata in questa sede; basti notare

che vanno aprendosi vaste prospettive d’indagine, che rendono auspicabili ulteriori ricerche,

condotte su più fronti e con sensibilità inter-disciplinare.

32

Appendice

Tab. A1. Nomi prevalenti tra i ceti (primi 10)

Il limite dei 10 nomi più frequenti per ciascun ceto è stato superato nei casi in cui vi fossero nomi ‘a

pari merito’ nelle ultime posizioni. Nel caso degli esposti, ho tenuto conto solo dei nomi attestati

almeno 2 volte.

Maschi Femmine

Cesena (1555-1557)

Titolati Senza Titolo Esposti Titolati Senza Titolo Esposti

giovanni 6 giovanni 23 antonio 2 lucrezia 5 caterina 18 brigida 2

giuseppe 3 francesco 14 marco 2 caterina 3 lucrezia 13 domenica 2

alessandro 2 andrea 11 giulia 3 francesca 11 giulia 2

annibale 2 giacomo 11 lucia 3 cornelia 8

antonio 2 pietro 11 silvia 3 domenica 8

battista 2 battista 10 camilla 2 giacoma 8

cesare 2 girolamo 10 giuditta 2 laura 8

giacomo 2 alessandro 9 maddalena 2 lucia 8

girolamo 2 cesare 9 orsina 2 gentile 7

scipione 2 antonio 8 ottavia 2 giovanna 7

tommaso 2 giulio 8 pantasilea 2 maddalena 7

Mirandola (1499-1501, 1555-1557, 1611-1613) (1)

Titolati Senza Titolo Esposti Titolati Senza Titolo Esposti

giovanni 37 giovanni 95 giovanni 11 caterina 18 caterina 53 caterina 8

francesco 28 francesco 46 francesco 8 giulia 14 giovanna 27 barbara 6

lodovico 25 antonio 36 pietro 5 ippolita 12 maddalena 23 giulia 4

antonio 15 battista 29 antonio 4 camilla 11 domenica 19 veronica 4

battista 10 lodovico 24 bartolomeo 4 lucrezia 11 lodovica 19 anna 3

alessandro 9 domenico 22 battista 4 elisabetta 8 elisabetta 18 camilla 3

fulvio 9 giacomo 20 giuseppe 4 lodovica 8 lucrezia 15 elisabetta 3

giulio 9 vincenzo 18 lodovico 4 antonia 6 francesca 14 francesca 3

giuseppe 8 pietro 17 camillo 3 giovanna 6 giulia 14 laura 3

ippolito 8 bernardo 13 gabriele 3 laura 6 ippolita 13 lodovica 3

giacomo 3 lucia 6 margherita 13 maddalena 3

margherita 6 pietra 3

Nonantola (1558-1650)

Titolati Senza Titolo Esposti Titolati Senza Titolo Esposti

giovanni 72 giovanni 798 domenico 5 francesca 28 domenica 575 domenica 3

antonio 38 giacomo 378 giovanni 4 caterina 26 maria 448 francesca 3

giacomo 27 antonio 349 antonio 3 lucia 25 lucia 394 lucia 3

francesco 21 francesco 298 francesco 3 margherita 20 caterina 385 margherita 3

cesare 19 silvestro 255 bernardo 2 maria 18 antonia 286

domenico 18 andrea 231 filippo 2 maddalena 19 giovanna 279

maria 16 battista 226 giacomo 2 anna 16 maddalena 265

battista 15 bartolomeo 190 giuseppe 2 giulia 16 francesca 233

pietro 14 pellegrino 189 michele 2 domenica 15 margherita 208

33

andrea 13 pietro 182 silvestro 2 giovanna 14 lucrezia 196

bartolomeo 13 gimignano 153 lucrezia 14 orsola 184

Ravenna (1555-1557)

Titolati Senza Titolo Esposti Titolati Senza Titolo Esposti

giovanni 14 giovanni 52 antonio 2 laura 9 domenica 36 cecilia 3

pietro 10 antonio 39 camillo 2 lucrezia 7 maria 27 lucrezia 2

paolo 9 francesco 39 domenico 2 margherita 6 antonia 24

antonio 8 domenico 28 francesco 2 vittoria 5 francesca 20

girolamo 7 pietro 28 giovanni 2 maria 5 caterina 18

vincenzo 6 battista 25 lorenzo 2 cornelia 4 lucrezia 16

bartolomeo 4 girolamo 23 isabella 4 maddalena 16

francesco 4 vincenzo 20 livia 4 laura 14

giacomo 4 bartolomeo 17 vincenza 4 margherita 14

maria 4 andrea 16 elisabetta 12

orazio 4 giovanna 12

orsola 12

Voghera (1555-1557) (1)

Titolati Senza Titolo Esposti Titolati Senza Titolo Esposti

giovanni 58 giovanni 10 giovanni 5 caterina 28 anna 5 caterina 4

antonio 28 antonio 5 bartolomeo 3 francesca 13 angela 4 luchina 4

francesco 17 cesare 4 carlo 2 elisabetta 12 caterina 4 andriola 2

giacomo 13 marco 3 domenico 2 maria 12 laura 3 angela 2

battista 12 ottaviano 3 francesco 2 giovanna 11 bianca 2 anna 2

domenico 12 aurelio 3 ventura 2 margherita 11 isabella 2 maria 2

agostino 11 alessandro 2 antonia 8 margherita 2

pietro 11 battista 2 giacoma 8

bernardo 7 cristoforo 2 firina 6

girolamo 6 giacomo 2 maddalena 6

giulio 2

(1) Nei casi di Mirandola e Voghera, per rendere statisticamente più significativi i dati relativi agli esposti ho considerato anche gli infanti abbandonati battezzati negli anni 1550-1554 e 1558-1562 per Mirandola, e 1558-1567 per Voghera.