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Guido Alfani
Università Bocconi – Istituto di Storia Economica Centro “Carlo F. Dondena” per la ricerca sulle dinamiche sociali Via Castelbarco 2 20136 Milano (Italia) [email protected]
La selezione dei nomi e dei padrini degli esposti in Italia settentrionale nei secoli
XV-XVII: ‘pari opportunità’ o discriminazione?
(pubblicato in Annali di Storia moderna e contemporanea, XIII, 2007, pp. 193-222)
Gli infanti abbandonati si trovavano in una condizione del tutto particolare: erano venuti al mondo
‘senza famiglia’, quindi non solo senza genitori che si preoccupassero del loro mantenimento ed
educazione, ma anche senza quella rete di rapporti di parentela naturale che costituiva un elemento
fondamentale del modo in cui ciascun individuo si inseriva nella comunità. Spesso, ma non sempre,
le cure parentali non si erano spinte neppure al minimo di dotare il neonato d’un nome, annotato su
un biglietto fatto ritrovare assieme a lui1.
Al momento del battesimo, agli infanti abbandonati veniva imposto ufficialmente un nome, secondo
criteri che si può supporre siano almeno in parte differenti rispetto a quelli seguiti per gli altri
neonati. Il primo obiettivo che mi propongo è di verificare quali fossero le eventuali difformità nei
set di nomi riservati a legittimi e trovatelli e nei criteri di attribuzione del nome, nonché, per quanto
possibile, quali ne fossero le conseguenze.
È ragionevole attendersi che le ‘procedure d’emergenza’ cui si ricorreva per imporre un nome agli
esposti fossero regolate da usi e consuetudini diversi da luogo a luogo. Risulta quindi interessante
adottare un’ottica comparativa non solo entro la comunità (tra esposti e non esposti), ma anche tra
comunità differenti. A questo scopo, confronterò dati relativi a più centri dell’Italia settentrionale, al
fine di individuare eventuali peculiarità locali e tendenze comuni.
1 Questo saggio costituisce la versione definitiva di una relazione presentata al convegno Dénomination et destin des
enfants trouvés. XVII-XX siècles (Parigi, Sorbona e SDH, settembre 2005). Una versione preliminare e fortemente sintetizzata per ragioni editoriali è stata pubblicata col titolo Naître sans famille: prénoms et parentés spirituelles des
2
Alla questione del nome degli infanti abbandonati, raramente affrontata ma comunque nota agli
studiosi, ne affiancherò una seconda, ancor più trascurata. Benché gli esposti fossero privi di legami
di parentela naturale (ad eccezione dei casi in cui erano accolti in un parentado tramite l’adozione),
non erano però del tutto privi di parenti: disponevano infatti sicuramente di ‘parenti spirituali’,
ovvero di padrini e madrine. Ricerche recenti vanno mostrando con sempre maggior evidenza che i
rapporti di parentela spirituale costituivano un’importante rete di relazioni, integrata in modo
complesso con altre (parentela naturale, vicinato, amicizia...). Nel caso degli esposti, è interessante
verificare se la parentela spirituale svolgesse anche compiti suppletivi di quella naturale. Occorrerà
pertanto in primo luogo valutare quale fosse la dotazione di padrini e madrine degli esposti,
confrontandola con quella degli altri neonati; in secondo luogo, verificare se, al momento
dell’imposizione del nome e in seguito, i parenti spirituali svolgessero un ruolo diverso e più
intenso del normale.
Per affrontare le questioni menzionate, mi avvarrò dei dati raccolti per una ricerca onomastica di
considerevoli dimensioni, finalizzata a ricostruire la distribuzione territoriale dei nomi e la
‘geografia’ dei costumi di denominazione per tutta l’Italia settentrionale, a partire dalla seconda
metà del XV secolo e fino alla prima metà del XVII. Il relativo database consta al momento di oltre
30.000 registrazioni individuali e di quasi 36.000 nomi, considerando che alcuni neonati ne avevano
più d’uno. I dati, tratti dai registri parrocchiali dei battesimi2, sono relativi a circa 40 comunità
dell’Italia settentrionale.
Nonostante quest’abbondanza di comunità, va osservato che il caso specifico degli esposti potrà
essere esaminato per un numero molto più ristretto di luoghi. Infatti, la presenza di esposti o di
trovatelli in numero statisticamente apprezzabile nei registri dei battesimi di ciascuna comunità è
funzione in primo luogo della presenza o meno in loco di un ente che se ne possa occupare (di
norma, un ospedale). In secondo luogo, la natura del database che consta, per certe comunità, di
sondaggi-campione condotti su un numero limitato di anni affiancati, per altre comunità, da
ricostruzioni complete di tutti i battesimi celebrati per periodi ultrasecolari, comporta un’evidente
difformità nelle dimensioni di ciascun campione locale di battesimi: si va da un minimo reputato
ammissibile fissato attorno ai 100 battesimi, fino al massimo rappresentato dai 12.119 battesimi
celebrati nella parrocchia di S. Michele di Nonantola tra il 1558 ed il 1650.
Non è possibile, in questa sede, esaminare nel dettaglio la struttura del database, né spiegare le
ragioni che hanno condotto ad operare particolari scelte nella selezione dei casi studiati e nella
enfants trouvés dans l’Italie septentrionale (XVe-XVIIe siècles), in J.P. BARDET e G. BRUNET (a cura di), Noms et
destins des Sans Famille, Parigi, PUPS, 2007, pp. 249-271.
3
modalità (ed entità) della raccolta dei dati. Tale compito non può che essere demandato a specifiche
pubblicazioni future; avrò comunque modo di evidenziare ed approfondire alcuni punti, quando si
rivelerà necessario. Mi limiterò per ora a notare che, avendo fissato a 20 il numero minimo di
infanti abbandonati sufficienti per intraprendere le indagini che mi propongo, risulterà possibile
considerare pienamente solo 5 comunità: Cesena e Ravenna in Romagna, Mirandola e Nonantola in
Emilia, Voghera in Lombardia. Quando sarà opportuno, tuttavia, farò riferimento a esempi e a dati
relativi ad altri luoghi.
La selezione di queste 5 comunità, a partire dalle 40 originarie, può essere considerata
sostanzialmente casuale rispetto alle finalità per le quali è stato realizzato originariamente il
database, che non includevano tra gli obiettivi preminenti lo studio del fenomeno dell’abbandono.
Tuttavia, il requisito che ha condotto alla selezione, ovvero la presenza di un numero sufficiente di
esposti, non è neutro. Non è infatti un caso se, delle 5 comunità, quattro sono città (per quanto di
dimensione molto variabile: dalla grande Ravenna alla minuscola Mirandola, pure ‘capitale’ di uno
staterello indipendente) e l’unica comunità rurale, Nonantola, ha dimensioni rilevanti3. Le
dimensioni e il ruolo istituzionale (che incide sull’ubicazione delle strutture assistenziali)
favoriscono un’abbondante presenza di esposti nei registri dei battesimi disponibili.
A prima vista, le differenze considerevoli esistenti tra queste comunità pongono in dubbio la
possibilità di procedere a una comparazione fruttuosa. Tuttavia, la questione al centro di questo
saggio (la cerimonia battesimale, con l’attribuzione di nomi e padrini, realizzava una
discriminazione tra esposti e non esposti e, se sì, in che modo e perchè?) si presta ad essere posta in
termini analoghi, e ricorrendo ai medesimi strumenti statistici e analitici, per comunità radicalmente
differenti. Occorrerà però prestare particolare attenzione agli usi e alle consuetudini locali,
potenzialmente radicalmente differenti anche tra comunità apparentemente assai simili e prossime
territorialmente4: usi, che proprio la comparazione condotta da prospettive inconsuete come quella
qui adottata consente di illuminare nonostante la reticenza delle fonti.
1. I nomi degli esposti: alla ricerca di principi onomastici ‘devianti’
2 Diversamente dalla larga maggioranza degli studi dedicati all’infanzia abbandonata, dunque, non ho fatto uso dei registri degli ospedali che peraltro, per il periodo di cui mi sono occupato, ci sono stati tramandati solo in circostanze particolarmente fortunate. 3 Un boccatico del sale del 1629 consente di stimarne la popolazione in 3.439 abitanti. Archivio comunale di Nonantola, Ruolo di popolazione - Boccatico, 1629. 4 Ad esempio, per quanto riguarda la variabilità degli usi di padrinato (in particolare nel periodo precedente il Concilio di Trento), si veda G. ALFANI, Padri, padrini, patroni. La parentela spirituale nella storia, Venezia, Marsilio, 2006.
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È noto che, di norma, la scelta del nome da imporre al neonato in occasione del battesimo non era
guidata dal caso o dall’estro del momento, bensì era frutto di elaborati meccanismi decisionali che
consentivano di determinarlo combinando istanze differenti. Non è chiaro quanto chi sceglieva un
nome fosse consapevole dell’esistenza di queste convenzioni e dei vincoli entro cui si trovava
costretto; questa mi pare in effetti una questione aperta cui, però, non sarà certo possibile rispondere
in questa sede. Sta di fatto, che il processo di selezione del nome era forse meno ‘limpido’ di quanto
si sarebbe portati a credere leggendo alcuni studi in materia, basati talvolta su set di dati di
dimensione limitata e relativi a particolari categorie di individui, con un conseguente rischio di
distorsioni.
Ciò che per ora mi pare importante notare, è che sono stati di volta in volta sottolineati meccanismi
di selezione del nome diversi e tra loro concorrenti. In estrema sintesi:
1) la selezione del nome di un antenato, di solito il nonno;
2) la selezione del nome di un santo, che sia il santo del giorno del battesimo o della nascita, o
il protettore di una determinata categoria (es. di chi è impegnato in una certa professione, o
di chi soffre di un certo male), o il patrono di una parrocchia o di una località o, comunque,
un santo oggetto di devozioni locali, ecc.5;
3) l’imposizione del nome del padrino, pratica di particolare interesse in questa sede: vi tornerò
in seguito;
4) la selezione di un nome ‘alla moda’;
5) la selezione di un nome beneaugurante per il neonato;
6) la selezione di un nome celebrativo (es. la scelta del nome del principe del luogo o di un suo
congiunto, che poteva significare ad un tempo segno di rispetto ed esplicita ricerca di tutela).
A questo elenco si potrebbero certo aggiungere ulteriori voci6. Quello che, però, mi pare essenziale
sottolineare, è che la pluralità di motivazioni tra loro potenzialmente concorrenti genera, guardando
all’insieme dei nomi imposti in ciascuna comunità ed a ciascun gruppo, una situazione caotica in
cui è ben difficile valutare l’impatto di ognuna di esse. Sulla base dei miei dati, quello che
comunque mi pare chiaro è che, da sola, ciascuna motivazione è in grado di ‘spiegare’ ben poco e
che, dato lo stato delle conoscenze in materia, sarebbe forse preferibile arrestarsi ad uno spazio
5 M. Mitteraur ha proposto un’interpretazione dei processi di imposizione del nome articolata sulla concorrenza tra il principio della selezione del nome di un antenato, e quello della selezione del nome di un santo. Secondo Mitterauer, questo elemento dialettico avrebbe dominato e plasmato l’onomastica dell’Europa cristiana a partire da epoche remotissime e fino alla vigilia dell’Età Contemporanea (se non oltre). M. MITTERAUER, Antenati e santi. L'imposizione
del nome nella storia europea, Torino, Einaudi, 2001. 6 Per un inquadramento generale della questione delle forme di denominazione, si vedano A. DUPÂQUIER, A. BIDEAU, M.E. DUCREUX (a cura di), Le Prénom: mode et histoire, Paris, Éditions de l'EHESS, 1984; M. MITTERAUER, Antenati e
santi; Formes de nomination en Europe, numero monografico della rivista L’Homme, XX (1980), 4.
5
preliminare, e cioè all’analisi, descrizione e mappatura dei differenti set di nomi in uso in ciascuna
comunità, al fine di costituire una base più solida per tentare poi un successivo sforzo interpretativo.
Nel caso degli esposti, i criteri di selezione del nome risultano sensibilmente perturbati rispetto alla
norma, in primo luogo perché viene a mancare una delle direttrici principali, ovvero la selezione del
nome di un antenato (sempre che, beninteso, l’infante abbandonato non fosse accompagnato da
qualche indicazione onomastica: vi tornerò tra breve). In secondo luogo, perché mutano gli attori: il
ruolo di decisori dei genitori (che siano decisori autonomi o concorrenti con altri, es. i parenti
spirituali) deve essere svolto da altre figure, quali il prete o il padrino. In terzo luogo, perché alcune
ricerche empiriche hanno mostrato che agli infanti abbandonati venivano riservati nomi particolari,
tali da identificarli vita natural durante quali esposti7. Infine, perché certi meccanismi non trovavano
applicazione per gli esposti: in particolare, ‘l’effetto-sostituzione’ per cui ad un neonato veniva
attribuito il nome del fratellino pre-morto e, più in generale, tutto quanto era legato all’ordine di
nascita8.
Anche in quest’ultimo caso, occorrerebbe precisare: sempre che i genitori non avessero fatto
intendere in qualche modo quali erano le loro intenzioni di denominazione. A questo riguardo, però,
va notato che non si può dare per scontato il fatto che i desideri espressi dai genitori venissero
rispettati: ad esempio, a Camerino nei secoli XVIII-XIX lo erano solo di rado9. In effetti, dal punto
di vista della Chiesa l’essenziale era accertarsi che il bambino avesse ricevuto un regolare
battesimo, del quale l’imposizione di un nome era diretta conseguenza. Vi erano però dei casi
dubbi, vuoi perché nulla indicava se il bambino abbandonato era già stato battezzato (da un prete,
da una levatrice, dalla madre stessa...), vuoi perché la dichiarazione degli (ignoti) estensori del
biglietto era ritenuta inattendibile. A breve distanza dalla fine del Concilio di Trento (1563),
l’arcivescovo di Milano Carlo Borromeo, cui è generalmente riconosciuto un ruolo fondamentale
nell’introdurre regolamenti e norme applicative dei dettati e delle intenzioni conciliari10, regolò la
7 Mi riferisco in particolare ai lavori di Carlo Corsini e di Odoardo Bussini, relativi rispettivamente a Siena ed a Camerino, sui quali tornerò ripetutamente. C.A. CORSINI, Nome e classe sociale. Gli esposti, in La demografia storica
delle città italiane, Atti del convegno della SIDES tenuto ad Assisi il 27-29 ottobre 1980, Bologna, CLUEB, 1982; O. BUSSINI, Il nome di battesimo degli esposti come segno di appartenenza ad una categoria emarginata, in «Quaderni dell'Istituto di studi economici e sociali», Camerino, Università di Camerino, 1982, 1. 8 Sono stati descritti, ad esempio, sistemi onomastici in cui al primogenito maschio viene attribuito il nome del nonno paterno, al secondogenito quello del nonno materno, ecc.: pratiche che ovviamente escludono gli esposti, privi sia di nonni, sia di fratelli. 9 O. BUSSINI, Il nome di battesimo, pp. 212-213. A Murcia, in Spagna, i desideri onomastici dei genitori vengono accettati (salvo rare eccezioni) fino al termine del XVII secolo, dopo di che diviene usuale celebrare un battesimo sub
condicione (rito di cui tratterò a breve) quali che siano le eventuali dichiarazioni fatte pervenire assieme al neonato; in occasione della cerimonia si provvede anche a cambiare il nome del neonato. F. CHACON JIMENEZ, Identidad y
parentescos ficticios en la organización social castellana de los siglos XVI y XVII. El ejemplo de Murcia, in A. REDONDO (a cura di), Les parentés fictives en Espagne (XVIe-XVIIe siècles), Paris, Publications de la Sorbonne, 1988, pp. 37-50 10 Le norme stabilite da Borromeo per la diocesi e la provincia ecclesiastica milanese ebbero un carattere esemplare, e furono progressivamente adottate da larga parte dell’Europa cattolica.
6
questione degli esposti prescrivendo che, se non si fosse potuta appurare la veridicità della
dichiarazione di avvenuto battesimo contenuta sul biglietto con altre fonti, il battesimo andava
ripetuto, facendo però ricorso ad una particolare formula ipotetica. Se il biglietto conteneva
l’indicazione di un nome, esso andava attribuito al bambino; il biglietto stesso andava poi
conservato, congiuntamente a una relazione sulle circostanze in cui era avvenuto il ritrovamento del
neonato, con l’evidente fine di rendere il più agevole possibile un eventuale, futuro
riconoscimento11. Al momento, però, sappiamo ben poco dell’effettiva applicazione di queste
norme in aree diverse dell’Italia settentrionale ed in epoche differenti, in particolare per quanto
riguarda la trasmissione al bambino delle indicazioni onomastiche dei genitori.
Prima di procedere, è opportuna una precisazione. Nell’epoca e nelle comunità considerate, gli
esposti differivano dagli altri neonati anche perché di regola veniva attribuito loro solo il nome, e
non il cognome12. Per questo motivo, in questa sede mi occuperò esclusivamente di nomi.
Alcune ipotesi sugli effetti delle ‘perturbazioni onomastiche’ subite dagli esposti possono essere
formulate confrontando i nomi attribuiti a legittimi e trovatelli rispettivamente. A questo riguardo,
la prima variabile da considerare è sicuramente il numero di nomi attribuiti a ciascun membro del
gruppo, giacché nei secoli passati era relativamente frequente che ai neonati venisse imposto più di
un nome. Ci si può chiedere, insomma, se ai trovatelli venisse riservato il minimo indispensabile
(‘un’ nome), vuoi per incuria, vuoi per un intento distintivo. La struttura del mio database consente,
in effetti, di spingere più innanzi questa analisi ‘per ceti’, distinguendo la popolazione complessiva
11 La norma venne emanata dal terzo sinodo diocesano milanese (1572, Decreto XI), con la seguente formulazione: «Infans expositus, tamen collo appensum habeat testimonium quod baptizatus fuerit, si tamen illum baptizatum esse
alia ratione non constet, baptizetur; hac tamen verborum formula, Si tu es baptizatus, ego te iterum non baptizo; et si nondum es baptizatus, ego te baptizo, etc. Quod si in ea testimonii schedula sit nomen adscriptum, quod illi in baptismo
impositum esse asseratur, idem ipsi nomen imponatur; conserveturque etiam illa schedula de collo pendens; ac
praeterea quo modo quove testimonio repertus sit, in libro baptizatorum describatur», in A. RATTI (a cura di), Acta
Ecclesiae Mediolanensis, Milano, Typographia Pontificia Sancti Iosephi, 1890-1892, vol. II, coll. 850. 12 In Italia settentrionale, l’uso generalizzato del cognome va consolidandosi proprio nel corso del XVI secolo: benché di regola sempre presente, può ancora variare ed essere sostituito ad esempio da indicazioni di provenienza o di professione, patronimici ecc. Per quanto riguarda gli esposti, sui registri dei battesimi essi vengono individuati solo col nome, e con l’indicazione del loro status di infanti abbandonati. Questa assenza di cognome è meno stupefacente di quanto si potrebbe pensare, se si considera che, in aree dell’Italia non molto distanti da quelle da me studiate, la diffusione del cognome sembra essere stata decisamente più tarda. Si vedano ad esempio le interessanti considerazioni empiriche riportate in L. DEL PANTA e M. LIVI BACCI, Identification des individus à partir du XVII siècle en Italie, in L. HENRY (a cura di), Noms et prénoms, aperçu historique sur la dénomination des personnes en divers pays, Dolhain, Ordina Editions, 1974, pp. 83-98. Il consolidamento del cognome, il suo divenire ‘indispensabile’ e più essenziale del nome, spiega la crescente attenzione del legislatore (soprattutto civile) per il cognome imposto agli esposti, con un vertice normativo raggiunto nel XIX secolo. Per una recente sintesi relativa al tema dell’imposizione del cognome agli infanti abbandonati, J.P. BARDET e G. BRUNET (a cura di), Noms et destins des Sans Famille, Paris, PUPS, 2007. Anche se il consolidamento del cognome è già ben avviato nel XVI secolo, prima del pieno XIX non si può dare per scontato che gli esposti ne ricevano uno: così, nell’Ospedale degli Innocenti di Firenze, tra 1445 e 1812 nessuno degli infanti ospiti riceve un cognome. L’innovazione è causata da una circolare del 30 giugno 1812 inviata da Parigi a tutti i dipartimenti dell’Impero, in cui si ricorda di applicare una norma specifica prevista dal Codice napoleonico del 1804. Una norma analoga sarà conservata dal Granducato di Toscana dopo la Restaurazione. G. DI BELLO, Les identités inventées. Noms et prénoms des enfants
abandonnés à Florence au XIXe siècle, in J.P. BARDEt e G. BRUNET (a cura di), Noms et destins, pp. 285-294.
7
dei legittimi in due gruppi: i figli di genitori registrati senza alcun titolo distintivo di rango, e
appartenenti quindi agli strati sociali più umili, ed i figli di genitori titolati, appartenenti a strati
sociali medio-alti13. Per ‘legittimi’ intenderò d’ora in poi i figli di coppie sposate non
successivamente abbandonati, escludendo quindi i ‘legittimi abbandonati’ (ricompresi nel novero
degli esposti) ed i figli illegittimi non abbandonati. In generale, ho preferito in questa sede non
considerare gli illegittimi non abbandonati, che quindi non sono compresi nelle colonne relative a
titolati e senza titolo.
Nella tabella 1 riporto i dati relativi al numero di nomi attribuiti ai neonati battezzati nelle comunità
di Cesena, Mirandola, Nonantola, Ravenna e Voghera, divisi per sesso e per ceto. La non perfetta
coerenza cronologica dei campioni dei battesimi è dovuta alla struttura ed alle finalità originarie del
database14, benché un ‘centro’ possa essere indicato nel triennio 1555-1557. Ho ritenuto preferibile
accorpare i dati per comunità ed ignorare la variabile temporale al fine di aumentare il più possibile
le dimensioni dei campioni di riferimento; per i casi di Mirandola e Nonantola, avrò comunque
modo di affrontare in seguito la questione delle eventuali variazioni nel tempo dei criteri di
attribuzione del nome agli esposti. Si noti che, per il momento, i nomi multipli o composti (es.
‘Giovanni Battista’) saranno divisi nelle loro singole componenti e trattati di conseguenza. Come si
vedrà, i nomi multipli sono causa di difficoltà metodologiche non indifferenti.
13 Ho escluso dal novero dei titolati coloro che portavano il titolo di ‘magister’ o una sua variante. Si tratta di un titolo riservato ai maestri iscritti ad una corporazione, quindi una sorta di ceto artigiano tendenzialmente intermedio tra i senza titolo ed i titolati. Le ragioni dell’esclusione sono dovute, da un lato, all’intento di semplificare l’analisi per concentrarsi sull’essenziale, dall’altro al fatto che, per alcune delle comunità considerate, il gruppo dei figli di ‘magistri’ è risultato di dimensioni molto ridotte e quindi statisticamente poco rilevante. Si noti inoltre che, entro il gruppo dei ‘titolati’, sono compresi i figli di genitori aventi indicazioni di rango molto differenti (si va dai ‘magnifici domini’ ai semplici ‘comendabili’). Si tratta però di una semplificazione inevitabile, data la difficoltà di elaborare una gerarchia oggettiva dei titoli, specie considerando che gli ‘usi di titolazione’ variavano da comunità a comunità (e talvolta, entro una data comunità e parrocchia, da registrante a registrante). 14 Scopo del database è, in primo luogo, permettere di studiare la variabilità dei modelli di attribuzione del nome, sia dal punto di vista territoriale, sia dal punto di vista delle trasformazioni nel tempo. Al fine di limitare le ricerche d’archivio entro confini dominabili, ho scelto di volta in volta di raccogliere i dati locali secondo una di tre differenti modalità: 1) per un numero ristretto di comunità (Torino, Ivrea, Azeglio, Nonantola) ho trascritto i dati relativi a tutti i nati, anno per anno, per periodi ultrasecolari; 2) al fine di ampliare il più possibile il numero di casi locali considerati, per la gran parte delle comunità ho optato per una raccolta su campione: tutti i nati del triennio 1555-1557, periodo eventualmente ampliato per raggiungere un minimo di 100 battesimi per comunità o per aggirare problemi documentari (lacune, mancanza di registri pre-tridentini, ecc.); 3) per alcune delle comunità di cui al punto precedente (Mirandola, Finale Ligure, Bellano, ecc.), al fine di rilevare le dinamiche di trasformazione più rilevanti, ho raccolto anche i dati per il triennio 1499-1501 (a condizione che esistessero registri tanto antichi) e per il triennio 1611-1613. Il progetto prevede di sfruttare le comunità studiate in modo più approfondito per la formulazione di ipotesi da testare in seguito sui campioni di dimensione più ridotta. Allo stesso tempo, è evidente che il triennio 1555-1557 costituisce una sorta di cardine dell’intera ricerca, di cui le proiezioni temporali verso il XV e il XVII secolo rappresentano un ampliamento.
8
Tab. 1. Ceto sociale e numero di nomi
Numero di Nomi
TOT N. Maschi
(1)
TOT N. Femmine
(1) Maschi Femmine
Titolati (%) Senza
Titolo (%) Esposti
(%) Titolate
(%) Senza
Titolo (%) Esposte
(%)
Cesena (1555-1557)
1 320 380 89,58 88,52 70,00 100,00 100,00 100,00
2 43 0 10,42 11,48 30,00 0,00 0,00 0,00
3-4 0 0 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00
TOT (n.) 363 380 48 244 10 65 243 19
Media 1,12 1,00 1,10 1,12 1,30 1,00 1,00 1,00
Mirandola (1499-1501, 1555-1557, 1611-1613) (2)
1 274 282 59,72 34,12 37,04 68,82 45,42 43,94
2 335 252 36,11 60,83 59,26 30,00 53,90 56,06
3-4 34 5 4,17 5,04 3,70 1,18 0,68 0,00
TOT (n.) 643 539 216 337 54 170 295 66
Media 1,63 1,49 1,46 1,71 1,67 1,33 1,55 1,56
Nonantola (1558-1650)
1 5557 5848 81,78 90,26 86,84 97,24 99,20 100,00
2 651 57 18,00 9,72 13,16 2,76 0,80 0,00
3-4 3 0 0,22 0,02 0,00 0,00 0,00 0,00
TOT (n.) 6211 5905 450 5563 38 435 5252 36
Media 1,11 1,01 1,18 1,10 1,13 1,03 1,01 1,00
Ravenna (1555-1557)
1 638 646 86,36 89,14 100,00 99,21 100,00 100,00
2 79 1 13,64 10,86 0,00 0,79 0,00 0,00
3-4 0 0 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00
TOT (n.) 717 647 132 479 31 127 415 23
Media 1,11 1,00 1,14 1,11 1,00 1,01 1,00 1,00
Voghera (1555-1557) (2)
1 181 235 69,77 72,28 66,67 90,00 98,35 90,32
2 73 6 30,23 27,72 33,33 7,50 1,65 9,68
3-4 0 1 0,00 0,00 0,00 2,50 0,00 0,00
TOT (n.) 254 242 43 202 21 40 182 31
Media 1,29 1,03 1,30 1,28 1,33 1,13 1,02 1,10 (1) Nel totale dei battezzati divisi per sesso e numero di nomi, sono comprese anche alcune categorie che non appartengono alla classificazione proposta (titolati/senza titolo/esposti), ovvero i figli di ‘magistri’, i figli illegittimi non esposti, alcuni rari casi in cui il titolo è dubbio o illeggibile, ecc. (2) Nei casi di Mirandola e Voghera, per rendere statisticamente più significativi i dati relativi agli esposti ho considerato anche gli infanti abbandonati battezzati negli anni 1550-1554 e 1558-1562 per Mirandola, e 1558-1567 per Voghera. Questi bambini non sono compresi nei totali (‘TOT N. Maschi’ e ‘TOT N. Femmine’).
Dai dati presentati in tabella emergono in primo luogo degli elementi di variabilità sia su base locale
(tra comunità), sia, entro ciascuna comunità, tra i sessi, di cui bisogna tenere conto prima di
9
procedere all’analisi delle informazioni relative agli esposti. Per quanto riguarda la variabilità tra
comunità, è facile notare che in certi luoghi era usanza attribuire un numero maggiore di nomi
rispetto ad altre: in particolare, considerando il numero medio di nomi per neonato, Mirandola si
differenzia dalle altre 4 località considerate, in quanto, con una media complessiva di 1,63 nomi per
i maschi e di 1,49 per le femmine, si colloca su livelli nettamente superiori (al secondo posto
troviamo Voghera, con appena 1,29 ed 1,03 nomi rispettivamente)15. La peculiarità di Mirandola è
ancora più evidente se si considera il fatto che si tratta dell’unica comunità in cui la maggioranza
dei neonati ha più di un nome16. Per quanto riguarda le differenze nel trattamento riservato ai
neonati ed alle neonate, è agevole notare che ovunque i primi erano chiaramente favoriti rispetto
alle seconde, circostanza che ho riscontrato anche negli altri luoghi da me studiati.
In questa sede, l’esistenza di una variabilità su base locale negli usi onomastici, anche tra luoghi
relativamente vicini in linea d’aria (tutte le comunità considerate sono ubicate in Emilia-Romagna,
ad eccezione di Voghera), può solo essere assunta come dato di fatto. Ne deriva la necessità di
valutare il trattamento riservato agli esposti esclusivamente rispetto alle località in cui sono stati
battezzati, senza quindi procedere ad accorpamenti tra basi di dati relative a località diverse.
Confrontando, comunità per comunità, il numero di nomi dati ai neonati appartenenti a ciascun
ceto, non emergono chiare tendenze comuni. Considerando dapprima i neonati maschi, risulta che
in due luoghi gli esposti avevano in media meno nomi rispetto ai titolati, ovvero i bambini situati
all’altra estremità della scala sociale, mentre in tre ne avevano di più: si tratta di Nonantola e
Ravenna da una parte (1,13 nomi contro 1,18 a Nonantola, 1,0 contro 1,14 a Ravenna, per esposti e
titolati rispettivamente), e di Cesena, Mirandola e Voghera dall’altra (rispettivamente 1,3 nomi
contro 1,1; 1,67 contro 1,46; 1,33 contro 1,3). Nel caso delle femmine, le esposte risultano sfavorite
a Nonantola, Ravenna e Voghera, favorite a Mirandola, mentre a Cesena nessuna delle 380 bambine
considerate riceve più di un nome. Ad eccezione di Mirandola, nel caso delle femmine le differenze
tra esposte e titolate sono però molto limitate.
A ben vedere, l’apparente favore onomastico riservato in alcuni luoghi agli esposti può essere visto
come un sotto-caso della maggior frequenza di nomi multipli nei ceti inferiori rispetto a quelli
superiori: ad esempio, nel caso di Mirandola il massimo relativo è imputabile ai figli maschi di
genitori senza titolo, con una media di 1,71 nomi a testa rispetto agli 1,67 degli esposti ed agli 1,46
dei titolati. Questo fatto è per certi versi sorprendente, in quanto altre ricerche condotte sugli esposti
hanno evidenziato, per epoche successive, un relativo sfavore nel numero di nomi loro attribuito,
15 L’eccezionalità del caso di Mirandola è ancora più evidente se si escludono dal computo i dati relativi al 1611-1613: si vedano infatti i dati presentati nella tabella 3, e la relativa discussione.
10
che invece aumenterebbe col crescere del rango sociale. Ad esempio, a Siena nel XVIII secolo il
79,4% degli esposti e il 54,5% delle esposte aveva un solo nome ma, nel caso dei legittimi, tali
percentuali scendono all’11,9% ed al 13,2% rispettivamente17; a Camerino tra XVII e XIX secolo
l’81,3% degli esposti e il 79,1% delle esposte avevano un solo nome, contro il 38,8% ed il 39,8%
rispettivamente dei legittimi18.
La differenza nei comportamenti delle mie comunità rispetto a Siena e Camerino è dovuta
probabilmente ad una di due possibili cause:
1) l’esistenza di differenti usi locali (in alcuni casi si potrebbe trattare di usi o norme adottati
dagli ospedali, più che dalle comunità nel loro complesso);
2) una trasformazione negli usi intervenuta tra XVI e XVIII secolo.
Quale che sia la causa delle difformità riscontrate, è evidente che varrebbe la pena di approfondire
le ricerche. Infatti, se si fosse verificata una trasformazione progressiva degli usi sfavorevole agli
esposti (ad esempio, un aumento del numero medio di nomi per tutti tranne che per loro, oppure una
progressiva riduzione e semplificazione dei nomi loro imposti), ci troveremmo di fronte ad un
segnale rilevante anche in una prospettiva di storia delle mentalità, forse da mettere in relazione con
il progressivo acuirsi del fenomeno dell’abbandono, che fa degli esposti una categoria sempre più
numerosa e ‘visibile’19. È inoltre verosimile che vi sia un legame col mutamento della percezione
degli illegittimi in generale, nel XVI secolo ancora molto numerosi e relativamente ben integrati,
ma la cui posizione si deteriora rapidamente con l’affermarsi della Controriforma20.
Gli esposti, dunque, erano dotati approssimativamente dello stesso numero di nomi degli altri
bambini. Ma quali erano? Ci si potrebbe chiedere infatti se il set di nomi usato per gli infanti
abbandonati differiva da quello da cui era selezionato il nome dei legittimi, e cioè se era più o meno
16 Mirandola, inoltre, è l’unica, tra tutte le 40 comunità circa che compongono il mio database, in cui ho trovato neonati dotati di 4 nomi, in 2 casi. In nessuno degli oltre 30.000 battesimi considerati ho riscontrato l’imposizione di più di 4 nomi. 17 C. CORSINI, Nome e classe sociale, pp. 571-572. 18 O. BUSSINI, Il nome di battesimo, pp. 203-205. 19 Numerose ricerche hanno evidenziato tre fasi in cui in il fenomeno dell’abbandono incrementa bruscamente: la fine del XVI secolo (funestata dalla terribile carestia del 1590-1593); la fine del XVIII; la prima metà del XIX. Ad eccezione della prima fase, seguita da un lungo periodo di progressiva contrazione del fenomeno, negli altri due casi la rapida crescita porta stabilmente il numero di esposti su livelli più elevati che in precedenza. Si vedano, al riguardo, G. DA MOLIN, Illegittimi ed esposti in Italia dal Seicento all'Ottocento, in La demografia storica delle città italiane, Atti del convegno della SIDES tenuto ad Assisi il 27-29 ottobre 1980, Bologna, CLUEB, 1982; A. PALOMBARINI, Sedotte ed
abbandonati. ‘Madri illegitime’ ed esposti nelle Marche di età moderna, «Quaderni di ‘Proposte e Ricerche’», Ancona, 12 (1993); V. HUNECKE, I trovatelli di Milano. Bambini esposti e famiglie espositrici dal XVII al XIX secolo, Bologna, Il Mulino, 1989. Sull’evoluzione nel tempo delle istituzioni assistenziali, da porre in relazione con il trend del fenomeno dell’abbandono, si veda anche I. ROBIN-ROMERO, Les orphelins de Paris. Enfants et assistance aux XVIe-
XVIIIe siècles, Paris, PUPS, 2007 20 Per alcune considerazione in merito al mutare della percezione degli illegittimi nel corso del XVI secolo, si veda ad esempio P. PRODI, I figli illegittimi all'inizio dell'età moderna. Il trattato De nothis spuriisque filiis di Gabriele Paleotti, in C. GRANDI (a cura di), Benedetto chi ti porta, maledetto chi ti manda. L'infanzia abbandonata nel Triveneto (secoli
XV-XIX), Treviso, Edizioni Fondazione Benetton, 1997, pp. 49-57.
11
vasto, se vedeva privilegiati nomi differenti, se, infine, comprendeva nomi riservati, ovvero ‘nomi-
segnale’ capaci di qualificare a vita una persona come esposto.
Prima di procedere, vanno menzionati alcuni problemi tecnico-metodologici. In primo luogo, in
presenza di nomi multipli si può optare per considerarli composti (come sembrerebbe ragionevole,
ad esempio, nel caso di ‘Giovanni Battista’) o per considerarli sequenze di nomi separati e
separabili (come nel caso di un ‘Giuseppe Antonio Augusto’). Tale scelta comporta importanti
conseguenze d’ordine analitico che non è possibile approfondire in questa sede; basti notare che, in
linea generale, i nomi multipli saranno qui considerati nomi separati. Inoltre, farò mio un concetto
di ‘nome-base’ che privilegia il primo nome attribuito al bambino, distinguendo quindi statistiche
relative ai soli nomi-base, ed all’insieme dei nomi.
Un altro problema è rappresentato dai diminutivi, vezzeggiativi ecc. È evidente che, in linea
generale, un ‘Giovannino’ andrà collegato all’insieme dei ‘Giovanni’, ma in altri casi la questione è
meno chiara. ‘Faustina’ va considerato davvero un diminutivo del rarissimo ‘Fausta’? E ‘Luchina’
sarà il diminutivo di un ipotetico ‘Luca’ al femminile, a quanto mi risulta mai utilizzato, perlomeno
in Italia21? In effetti il problema, oltre che in una certa complicazione tecnica, sta nel fatto che di
norma non siamo in grado di accertare con quale nome esattamente una persona venisse chiamata, o
si facesse chiamare (col nome o con un diminutivo/vezzeggiativo? Con il primo nome, con tutti, o
magari solo con il secondo o il terzo? Sempre che, poi, non fosse nota solo con un soprannome, o
con un nome di sua scelta...). Ad ogni modo, in questa sede i diminutivi saranno equiparati ai nomi
da cui derivano e, per ragioni di semplicità e chiarezza espositiva, non vi farò più riferimento22.
21 Non si può dare per scontato che un nome oggi non in uso per le femmine, se non in forma di diminutivo (come per Luca/Luchina), non fosse invece impiegato in passato, per quanto raramente e magari solo in alcuni luoghi. È il caso di un altro nome che può essere accostato a Luca in quanto appartenuto ad un apostolo: Andrea. Benché oggi in Italia sia usato pressoché solo al diminutivo ‘Andreina’ (un tempo affiancato da ‘Andreola’, ‘Andrietta’ ecc.), ho trovato rari casi in cui a delle bambine viene imposto il nome ‘Andrea’. Quest’uso, comune in altre parti dell’Europa, sta oggi facendo ritorno in Italia, benché sia normalmente percepito come l’imposizione di un nome straniero. A fronte di fenomeni di questo tipo, e stante la lacunosità delle nostre conoscenze sulla distribuzione e variazione dei set di nomi nella storia, mi pare che l’unico modo coerente di procedere sia di tipo empirico: sarà quindi il database a dare ogni risposta (sempre ipotetica e suscettibile di ulteriori verifiche) sull’uso o meno, ed in quali forme, di certi nomi. Nel caso dell’imposizione a una femmina di un nome tipicamente maschile (ed in una forma maschile), o viceversa, va poi ricordata la possibilità che, talvolta, si sia manifestato il desiderio di preservare un ‘nome di famiglia’ (es. il nome di un nonno) nonostante il sesso del neonato. 22 Sui problemi di ordine tecnico-metodologico posti dallo studio dei nomi, si veda J. DUPÂQUIER, J.O. PÉLISSIER, D. RÉBAUDO, Les Temps des Jules. Les prénoms en France au XIX siècle, Paris, Editions Christian, 1987. Si noti che le difficoltà insite nel risalire dai diminutivi/vezzeggiativi al nome da cui derivano costituiscono, da un punto di vista operativo, un aspetto di un problema più generale: ovvero come giungere, partendo da dati onomastici ‘grezzi’, a dati standardizzati che consentano, nonostante le differenti caratteristiche di ciascuna registrazione nominativa quale compare sulle fonti, di produrre statistiche adeguate ed uniformi. Ogni singolo nome infatti, a seconda dei tempi, dei luoghi e dei registranti poteva apparire in lezioni differenti (es. Nicola/Nicolao/Nicolò/Niccolò); in italiano o in latino (e si noti che una registrazione in latino implica già di per sé, stante il generalizzato uso quotidiano del volgare, un certo grado di standardizzazione, introdotto direttamente dal registrante); con forme diminutive, vezzeggiative ecc. (ma si ricordi quanto già osservato sull’effettivo uso di una forma piuttosto che di un’altra). Non è possibile descrivere in questa sede le tecniche di standardizzazione impiegate; per una trattazione più generale della questione, si vedano G.
12
Nella tabella 2 riporto i dati relativi ai soli nomi-base, ed a tutti i nomi, assegnati ai bambini figli di
genitori titolati, senza titolo oppure esposti, battezzati nelle consuete 5 comunità. Riporto anche il
numero medio di battezzati per ciascun nome o nome-base, misure ovviamente legate alle
dimensioni del campione. I campioni impiegati sono gli stessi già usati per la tabella 1.
Tab. 2. Ceto sociale e varietà dei nomi
Maschi Femmine
Titolati Senza
Titolo Esposti Titolati Senza
Titolo Esposti
Cesena (1555-1557)
Nomi-Base 35 83 9 47 96 16
Nomi 37 85 11 47 95 16
N. Battezzati 48 244 10 65 243 19
N. Medio di Battezzati per Nome-Base 1,37 2,94 1,11 1,38 2,53 1,19
N. Medio di Battezzati per Nome 1,30 2,87 0,91 1,38 2,56 1,19
Mirandola (1499-1501, 1555-1557, 1611-1613)
Nomi-Base 75 77 33 65 76 41
Nomi 92 100 42 80 108 57
N. Battezzati 216 337 54 170 295 66
N. Medio di Battezzati per Nome-Base 2,88 4,38 1,64 2,62 3,88 1,61
N. Medio di Battezzati per Nome 2,35 3,37 1,29 2,13 2,73 1,16
Nonantola (1558-1650)
Nomi-Base 88 158 22 85 141 23
Nomi 93 163 26 89 145 23
N. Battezzati 450 5563 38 435 5252 36
N. Medio di Battezzati per Nome-Base 5,11 35,21 1,73 5,12 37,25 1,57
N. Medio di Battezzati per Nome 4,84 34,13 1,46 4,89 36,22 1,57
Ravenna (1555-1557)
Nomi-Base 56 98 26 65 100 20
Nomi 60 98 26 66 103 20
N. Battezzati 132 479 31 127 415 23
N. Medio di Battezzati per Nome-Base 2,36 4,89 1,19 1,95 4,15 1,15
N. Medio di Battezzati per Nome 2,20 4,89 1,19 1,92 4,03 1,15
Voghera (1555-1557)
Nomi-Base 24 53 14 26 51 22
Nomi 30 56 17 29 52 24
N. Battezzati 43 202 21 40 182 31
N. Medio di Battezzati per Nome-Base 1,79 3,81 1,50 1,54 3,57 1,41
N. Medio di Battezzati per Nome 1,43 3,61 1,24 1,38 3,50 1,29
Per interpretare correttamente la tabella occorre ricordare che, considerata la natura dei dati
presentati, larga parte delle apparenti differenze tra ciascuna comunità possono essere spiegate con
la diversa consistenza del campione (dato che il set di nomi disponibili in ogni luogo può essere
ALFANI e G. GUERZONI, Storia delle corti, tecniche prosopografiche e analisi delle carriere. Una messa a fuoco delle
reciproche possibilità di contaminazione, «Cheiron», 2006, 42, pp. 169-203.
13
ritenuto limitato, è evidente che maggiore è il numero di battezzati, maggiore sarà la media di
battezzati per ciascun nome).
Anche le differenze nelle misure relative, entro ciascuna comunità, ai tre ceti considerati, sono in
parte spiegabili con la loro diseguale consistenza numerica: i figli di genitori senza titolo sono di
norma più numerosi dei figli di genitori titolati, e questi ultimi sono più numerosi degli esposti.
Ciononostante, stupisce il fatto che ovunque, ed indipendentemente dal sesso dei neonati, i nomi ed
i nomi-base (ovvero i ‘primi nomi’) siano sensibilmente più vari e meno concentrati per gli esposti
che per i titolati, e la differenza si amplia ancora confrontandoli ai senza titolo. Nel caso di
Nonantola, a fronte dei 26 nomi differenti attribuiti ai 38 esposti maschi (1,46 battezzati per nome),
i 450 titolati ne hanno 93 (4,84 battezzati per nome) ed i 5.563 senza titolo ne hanno 163 (34,13
battezzati per nome).
Spesso, nelle ricerche sulla denominazione degli esposti, si è fatto ricorso alla ‘fantasia’ quale
categoria esplicativa, ovvero si è ipotizzato che chi doveva attribuire il nome agli esposti non abbia
mostrato molto impegno, ripetendo più volte gli stessi nomi. I miei dati suggeriscono invece una
situazione diversa: infatti, nelle località considerate, ciascun nome identificava un numero molto
ristretto di esposti, salvaguardando quindi la loro individualità. Dal confronto con la scarsa varietà
‘pro capite’ dei nomi dei figli di senza titolo, si potrebbe anzi ipotizzare che il livello di istruzione
relativamente più elevato del prete (che, probabilmente, decideva in prima persona il nome, salvo
che non lo facesse il padrino: avrò modo di tornarvi) garantisse l’accesso ad un set di nomi più
ampio, specie considerando che non era tenuto a rispettare tradizioni familiari né, forse, usanze
locali. D’altra parte, può anche darsi che la ‘fantasia’ di chi sceglieva i nomi degli infanti
abbandonati sia stata aiutata, nelle comunità esaminate, da un flusso di esposti relativamente
contenuto, tale quindi da non generare eccessive pressioni creative. Da ultimo, va ricordata la
possibilità che, specialmente nei casi in cui le strutture assistenziali (dove esistenti) erano
organizzate in modo tale da ospitare direttamente gli infanti abbandonati, chi attribuiva loro i nomi
cercasse intenzionalmente di differenziarli il più possibile (si ricordi la mancanza di cognomi), per
prevenire confusioni23: cosa peraltro possibile solo se, come già osservato, il flusso di esposti da
fronteggiare non era troppo cospicuo.
23 Mancando studi specifici sugli enti assistenziali operanti in ciascuna delle comunità considerate nel corso del XVI secolo, ho preferito, in questa sede, astrarre completamente dal contesto istituzionale locale. D’altra parte, ciò è in accordo col punto di vista ‘parrocchiale’ che ho adottato: infatti, i registri dei battesimi contengono di regola informazioni minime in merito al destino degli infanti abbandonati. Solo in casi estremamente rari, infatti, riportano qualcosa più di una generica annotazione (peraltro non sempre presente) che si tratta di un ‘putto portato all’hospitale’ o ritrovato in un dato luogo. Si noti però che nel XVI secolo l’assistenza agli infanti abbandonati poteva assumere forme molto diverse, sia guardano alla tipologia di istituzioni che se ne facevano carico, sia guardando alle pratiche ed alle procedure adottate. Per una sintesi in materia, V. HUNECKE, L'invenzione dell'assistenza gli esposti nell'Italia del
Quattrocento, in C. GRANDI (a cura di), Benedetto chi ti porta, pp.272-283.
14
Quale che sia la ragione dell’apparente varietà e dispersione dei nomi attribuiti agli esposti, è chiaro
che risulta particolarmente rilevante analizzare quali fossero tali nomi, per valutare se erano tratti
dallo stesso set usato per gli altri neonati, o se erano loro riservati. In Appendice (Tab. A1) riporto i
dati relativi ai primi 10 nomi più diffusi (considerando sia i nomi-base, sia i nomi successivi al
primo, e tralasciando il problema posto dai nomi composti), comunità per comunità, in ciascuno dei
ceti considerati. Per gli esposti, in alcune comunità dove il loro numero era particolarmente ridotto
l’elenco comprende meno di 10 nomi perché ho considerato solo i nomi assegnati ad almeno 2
bambini.
Dai dati relativi ai nomi prevalenti nei tre ceti risulta che, in linea generale, agli esposti venivano
attribuiti gli stessi nomi dati agli altri neonati. Infatti, tutti i nomi che figurano nell’elenco di quelli
più frequenti tra gli abbandonati compaiono anche nell’elenco di uno o entrambi gli altri ceti, o
sono comunque rappresentati. Ad esempio, tra i neonati di Mirandola il nome ‘Giovanni’, al primo
posto tra gli esposti, occupa la stessa posizione tra i titolati ed i senza titolo (spesso seguito dal
nome ‘Battista’, con cui forma un composto di larga diffusione), e lo stesso si può dire per la
seconda posizione, occupata da ‘Francesco’; ‘Pietro’, terzo tra gli esposti, è nono tra i senza titolo;
‘Antonio’, al quarto posto, è terzo tra i senza titolo e quarto tra i titolati; ‘Bartolomeo’ (quarto posto
a pari merito con Antonio, Battista, Giuseppe e Lodovico) non figura nelle liste degli altri due ceti,
ma si trova comunque in un caso tra i titolati ed in 11 tra i senza titolo (equivalente all’undicesima
posizione, appena fuori tabella).
A questa tendenziale uniformità inter-ceto dei nomi più diffusi fa eccezione Voghera, su cui tornerò
tra breve. Prima vale la pena di sottolineare alcuni ulteriori dati relativi alle altre comunità.
Guardando, oltre che alla presenza nella lista, alla proporzione di bambini che hanno un certo nome,
differenze tra i ceti emergono, benché di solito accomunino esposti e figli di senza titolo nei
confronti dei figli di titolati, invece di segnare un confine tra gli infanti abbandonati e tutti gli altri.
È il caso, ad esempio, del nome ‘Silvestro’ a Nonantola: tipico ‘nome locale’ in quanto ricorda e
rimanda al santo cui è intitolata l’abbazia presente nel territorio della comunità, dove ne sono
conservate le spoglie, è molto diffuso tra i senza titolo (255 casi, il 2,24% del totale) e figura tra i
più diffusi tra gli esposti (il 2,53% del totale ma, dato il ridotto numero di casi, il dato va
considerato puramente indicativo), mentre tra i figli di titolati è, sì, presente, ma molto più raro
(1,25% del totale).
Rispetto a queste tendenze, Voghera rappresenta un caso anomalo. Infatti, dei 6 nomi maschili che
compongono l’elenco dei più diffusi tra gli esposti (nell’ordine: Giovanni, Bartolomeo, Carlo,
Domenico, Francesco, Ventura) solo 3, ovvero Giovanni, Francesco e Domenico, figurano in
almeno una delle liste relative a titolati e senza titolo: Giovanni, in particolare, occupa per tutti la
15
prima posizione. Per quanto riguarda gli altri 3 nomi, due sono attestati anche per i senza titolo,
benché con frequenze molto scarse: Bartolomeo compare 3 volte, come tra gli esposti, che però
corrispondono allo 0,68% del totale contro il 4,84%; Carlo compare una sola volta tra i senza titolo
e 2 tra gli esposti (0,23% contro 3,23%). Ventura, infine, sembra essere un nome riservato agli
infanti abbandonati. La situazione delle femmine è analoga con 2 nomi, sui 6 dei lista, riservati
esclusivamente agli esposti: Luca (sempre al diminutivo ‘Luchina’) e Andriola (vezzeggiativo di
‘Andrea’).
Il numero ristretto di casi induce alla cautela nell’interpretare troppo rigidamente i dati vogheresi,
ma la tendenza di fondo sembra chiara, ed apre interessanti prospettive. Prima, però, occorre
affrontare un problema più generale, ovvero quello dei nomi riservati esclusivamente agli esposti.
Le ricerche empiriche cui ho fatto più volte riferimento hanno infatti evidenziato un’importante
componente di nomi riservati nell’insieme del patrimonio onomastico dell’infanzia abbandonata,
nomi il cui scopo apparente è di «imprimere all’esposto un marchio indelebile che si trascinerà per
tutta la sua vita e che costituirà un evidente segno distintivo rispetto ad un altro individuo24». Si
tratta di nomi dal particolare significato, talvolta chiaramente dispregiativo od ironico, e che
rimandano alla sfortunata condizione del neonato o a sue caratteristiche fisiche. A questo riguardo,
va notato che nelle comunità da me considerate nomi del genere sono totalmente assenti, con la
possibile eccezione di una ‘Candida’ battezzata a Nonantola e di un ‘Amator’, un ‘Nano’ ed una
‘Vivia’ battezzati a Ravenna. Quest’ultima comunità, in particolare, è l’unica in cui compaiano
nomi dal significato dispregiativo, come è certo il caso per ‘Nano’ e forse anche per ‘Amator’.
L’unico altro nome, tra quelli considerati, che potrebbe essere ritenuto ‘tipico’ degli esposti, è
Ventura (uguale al maschile ed al femminile), equivalente semantico del nome ‘Fortunato’ che, a
quanto pare, non era ancora in uso (nessun caso tra tutti i 36.000 nomi considerati). Ventura,
tuttavia, se è un nome che a Voghera sembra riservato agli esposti, non lo è in generale: a
Nonantola ad esempio è attribuito a un bambino e una bambina abbandonati, ma anche a 3 legittimi
e 4 legittime. È inoltre attestato, tra i legittimi, in località quali Cesena, Ravenna, Torino,
Gambellara.
I miei dati sembrano suggerire, insomma, che nel XVI secolo e nella prima parte del successivo il
trattamento onomastico riservato agli esposti fosse sostanzialmente analogo a quello degli altri
bambini, perlomeno guardando al set di nomi in uso25. Resta ovviamente aperto il problema dei
24 O. BUSSINI, Il nome di battesimo, p. 216. 25 Ovviamente, dal punto di vista più generale dei meccanismi complessivi di denominazione/individuazione, va ricordato che la mancata attribuzione di un cognome costituiva comunque un elemento di importante differenziazione tra infanti abbandonati e legittimi. Al momento, però, non disponiamo di informazioni sufficienti a valutare il modo in cui avveniva effettivamente il riconoscimento personale nel corso del XVI secolo: è infatti solo con riferimento alle forme della sociabilità, che si può ipotizzare che l’assenza del cognome potesse costituire uno stigma. Vi sono
16
criteri di selezione del nome, che potevano differire ma produrre comunque risultati simili, e quindi
non emergere dalle statistiche qui esaminate. La questione non potrà essere analizzata nel dettaglio
in questa sede, salvo che per quanto riguarda il ruolo dei padrini nell’attribuzione del nome, che
affronterò nella seconda parte del saggio. Ciò che occorre sottolineare fin d’ora, però, è che la
situazione fotografata dai registri battesimali cinquecenteschi differisce sensibilmente rispetto a
quanto emerge da fonti successive. Nel complesso, sembra assente un intento di discriminazione
onomastica degli esposti, sia di tipo ‘attivo’ (scelta di nomi-segnale), sia ‘passivo’ (minor cura e
‘fantasia’ nella selezione del nome, attribuzione di meno nomi per bambino). Il fatto che, sotto il
primo profilo, la comunità di Voghera sembri differire dalle altre, benché neppure lì compaiano
nomi apertamente dispregiativi, potrebbe suggerire che, in alcuni luoghi, le cose iniziavano a
cambiare. Sarebbe ovviamente interessante proseguire le indagini per i secoli successivi, così da
verificare se, col tempo, anche Voghera (e le altre comunità qui considerate) si avvicini alla
situazione riscontrata, ad esempio, a Siena e Camerino a cavallo tra XVIII e XIX secolo.
Certamente, un fattore che varrebbe la pena tenere sotto controllo è la situazione in cui versavano
gli ospedali: ho già notato che potrebbe essere stata la condizione di crescente stress in cui tali
istituzioni si trovarono ad operare, dovuta al forte incremento numerico degli esposti, ad indurre
comportamenti discriminatori, che fossero o meno volontari, ovvero frutto di un preciso progetto.
Se, dunque, le trasformazioni nel tempo dei nomi degli esposti sono sicuramente uno dei punti più
meritevoli d’attenzione, in questa sede è possibile affrontare confronti inter-temporali solo per le
comunità di Mirandola, comparando i tre campioni relativi agli anni 1499-1501, 1555-1557
(espanso, per gli esposti, al 1550-1562) e 1611-1613, e di Nonantola, per la quale dispongo della
serie completa dei battesimi celebrati tra 1558 e 1650.
Elaborando le statistiche consuete, per quanto riguarda i nomi prevalenti non sono emerse
variazioni nel tempo che siano di rilievo in questa sede. Diverso è invece il caso del numero medio
di nomi, come emerge dai dati presentati nella tabella 3. Per Nonantola, ho diviso i dati annuali in
quattro periodi, organizzati in modo tale da concentrare il più possibile gli esposti (il primo infante
abbandonato di cui ho trovato traccia viene battezzato nel 1575, motivo per cui ho ritenuto
preferibile adottare come primo periodo il 1558-1574, nonostante si tratti di un intervallo più breve
dei successivi).
comunque ragioni per ritenere che, all’epoca, sotto questo profilo il nome svolgesse ancora un ruolo preponderante: il cognome poteva infatti essere sostituito da un’indicazione di provenienza o di professione (di cui pure gli esposti potevano godere), oppure da un patronimico.
17
Tab. 3. Ceto sociale e numero medio di nomi: trasformazioni nel tempo
Maschi Femmine
Titolati Senza Titolo Esposti Titolate Senza Titolo Esposte
Media Nomi
N. casi Media Nomi
N. casi Media Nomi
N. casi Media Nomi
N. casi Media Nomi
N. casi Media Nomi
N. casi
Mirandola (1)
1499-1501 3 6 2,02 111 - - 2 2 1,96 83 - -
1555-1557 1,85 82 1,91 132 1,75 47 1,86 59 1,74 112 1,65 57
1611-1613 1,15 130 1,06 94 1,14 7 1,02 109 1 100 1 9
Nonantola
1558-1574 1,43 14 1,11 373 - - 1 10 1,03 383 - -
1575-1600 1,16 138 1,11 1935 1,15 13 1,05 142 1,01 1766 1 16
1601-1625 1,17 189 1,09 1637 1,11 9 1,02 162 1 1600 1 5
1626-1650 1,21 109 1,09 1601 1,13 16 1,02 121 1,01 1490 1 15 (1) Nel caso di Mirandola, il campione relativo al 1555-1557 è stato allargato, esclusivamente per gli esposti, agli anni 1550-1562
Dai dati presentati è facile rendersi conto che, se per Nonantola il numero medio di nomi per
bambino si mantiene sostanzialmente costante tra la seconda metà del XVI secolo e la prima metà
del XVII, indipendentemente dal ceto e dal sesso considerato, nel caso di Mirandola si assiste
invece ad una trasformazione radicale. L’alto numero pro-capite di nomi tipico del 1499-1501 e
1555-1557, infatti, all’inizio del XVII secolo si è ridotto drasticamente. Confrontando 1555-1557 e
1611-1613, risulta che il numero medio dei nomi attribuiti ai maschi scende da 1,85 a 1,15 per i
figli di titolati; da 1,91 ad 1,06 per i figli di senza titolo, e da 1,75 a 1,14 per gli infanti abbandonati.
La riduzione del numero dei nomi dati alle femmine è altrettanto radicale ed uniforme tra i ceti.
Non è possibile, in questa sede, cercare spiegazione a questa trasformazione, né affrontare
l’interessante quesito che evidentemente si pone circa le sorti di comunità che partivano da
situazioni simili a quelle mirandolane (come si ricorderà, si tratta del caso in cui ho riscontrato il
numero di gran lunga più elevato di nomi per bambino). È probabile, però, che vada posto in
relazione con il verificarsi di un evento che produsse un ri-mescolamento delle norme, degli usi e
delle pratiche su una scala senza precedenti nelle epoche successive all’alto Medioevo, toccando
quasi ogni campo dell’agire sociale: il Concilio di Trento (1545-1563), i cui effetti in un campo
specifico (la parentela spirituale) affronterò tra breve26. Mi limiterò a sottolineare il rilevante fatto
26 Il Concilio di Trento non emanò decreti tali da riformare direttamente le pratiche di selezione ed imposizione del nome dei neonati. Tuttavia, già nella seconda metà del XVI secolo l’intento di regolare in qualche modo la selezione del nome emerse chiaramente nel contesto dell’applicazione delle norme e dello ‘spirito’ del Concilio. Si trattava, in primo luogo, di vietare che ai bambini venissero imposti nomi derisori, ridicoli o empi; in secondo luogo, di prevenire l’imposizione di nomi che rimandassero a modelli pagani o eretici, in favore dei modelli delle virtù cristiane (i santi in particolare). Questo causò la progressiva scomparsa di nomi ancora relativamente diffusi (es. il composto ‘Giulio Cesare’, che compare abbastanza frequentemente nelle comunità da me studiate); inoltre, promuovendo il principio di denominazione derivata dai santi a scapito degli altri principi onomastici, favorì progressivamente la diffusione dei
18
che, in occasione di una trasformazione tanto radicale, i principi onomastici che regolano
l’imposizione del nome agli esposti sembrano muoversi in completa armonia con quelli in uso per il
resto della popolazione27.
Ancora una volta, dunque, piuttosto che le differenze balzano all’occhio le coerenze di
comportamento onomastico tra gli infanti abbandonati ed i bambini che godono delle cure parentali.
Questo risultato è tanto più interessante in quanto, considerando le pratiche di padrinato, si giunge a
conclusioni opposte.
2. Sfortunati nella carne, sfortunati nello spirito: gli esposti e i loro padrini
Nelle società europee d’antico regime, i legami di sangue e quelli di affinità (generati dal
matrimonio) non erano le uniche forme di parentela: vi erano infatti anche rapporti di ‘parentela
spirituale’, generati dal battesimo, che legavano tra loro i padrini e le madrine da una parte, il
bambino ed i suoi genitori dall’altra28. Si trattava di una parentela vera e propria, accompagnata dai
nomi dei ‘nuovi’ santi della Controriforma. Questo fenomeno di ‘calo onomastico’ connesso al clima post-conciliare non è ancora stato studiato in modo soddisfacente, ed in particolare non mi risulta che siano stati condotti studi empirici sul mutare dei nomi favoriti; pertanto, queste ultime considerazioni vanno considerate ipotetiche. Nell’opera di regolamentazione delle pratiche onomastiche, un peso determinante va attribuito a Carlo Borromeo, per il carattere di ‘esemplarità’ rapidamente assunto dalla normativa da lui introdotta nella provincia ecclesiastica milanese. Nel IV Concilio Provinciale (1576), alla voce Quae pertinent ad sacramentum Baptismi, troviamo: «[Parochus] curet
idem, ut infantibus proprio nomine in baptismo appellandis ea nomina non imponantur, quae turpia aut ridicula sunt,
quaeve gentilium, atque adeo impiorum et impurorum hominum memoriam referant; sed illorum, qui ob vere pietatis,
ac sanctae religionis, virtutisque christianae laudem Sanctorum numero adscripti sunt: ut et in ipso vitae ingressu cum
ethnicis ne nomen quidem commune fideles habere velle protestentur; ep ipsi infantes etiam, cum aetate processerint,
nominum similitudine ad eorum, a quibus illa accepta sunt, imitationem excitentur; et praterea quos imitari studeant,
eosdem quoque frequentius precentur, ac sperent, eos potissimum sibi ad salutem tum animi tum corporis advocatos
fore». A. RATTI (a cura di), Acta Ecclesiae Mediolanensis, vol. II, coll. 344-348. 27 Anche a Parigi quando, tra XVII e XVIII secolo, si diffonde la moda di attribuire nomi doppi o tripli (processo inverso a quello da me riscontrato in Italia settentrionale tra XVI e XVII secolo), gli esposti prendono parte alla tendenza che investe i legittimi, seppur meno intensamente e rapidamente. J.P. BARDET e I. ROBIN, La dénomination
des enfants trouvés anonymes de Paris avant la Révolution: distinguer, insérer, respecter la personne, in J.P. BARDET e G. BRUNET (a cura di), Noms et destins, cit., pp. 59-76. 28 In effetti, l’estensione riconosciuta alla parentela spirituale di battesimo prima del Concilio di Trento era ancora maggiore. All’inizio del XVI secolo, infatti, il diritto canonico sanciva l’esistenza di parentela spirituale tra i padrini, le madrine ed i loro congiunti da una parte, i figliocci ed i loro genitori dall’altra. Inoltre, esisteva parentela spirituale tra i figliocci ed i figli dei loro padrini e madrine, e tra il bambino e chi celebrava il suo battesimo. Tuttavia, le relazioni fra il bambino, i suoi genitori, i padrini e le madrine (ovvero fra gli attori del battesimo) avevano una posizione privilegiata rispetto alle altre relazioni di parentela spirituale. Si noti che, originariamente, il padrinato venne istituito per due riti distinti: il battesimo e la confermazione (cresima), ritenuti entrambi generatori di parentela spirituale. Per quanto riguarda l’evoluzione del diritto canonico su questi temi, si vedano F. CIMETIER, Parenté (empêchements de), in A. VACANT, E. MANGENOT, E. AMANN (a cura di), Dictionnaire de Théologie Catholique, Paris, Librairie Letouzey et Ané, 1932, e N. IUNG, Cognatio spiritualis, in R. NAZ (a cura di), Dictionnaire de droit canonique, Paris, Letourney & Ané, 1937. Per un inquadramento storico generale delle trasformazioni subite nel tempo dal padrinato quale istituzione sociale, si veda G. ALFANI, Padri, padrini, patroni, ID, Dalle pratiche alla norma: il Concilio di Trento e la riforma del
padrinato in una prospettiva di lungo periodo, «Società e Storia», 2005, 108, pp. 31-62.
19
relativi divieti matrimoniali, pubblicamente riconosciuta e, in linea generale, percepita come un
legame privilegiato tra le parti, capace di portare con sé amicizia e familiarità.
Gli infanti abbandonati erano ovviamente privi della consueta dotazione di parenti naturali, salvo
che non venisse loro restituita a seguito di un improbabile riconoscimento. Certo, avevano la
possibilità, una volta divenuti adulti, di crearsi legami di affinità contraendo matrimonio, ma nei
primi anni di vita i loro unici rapporti formali di parentela erano proprio quelli di parentela
spirituale. È evidente, quindi, l’importanza di appurare se e come gli infanti abbandonati fossero
davvero integrati nella complessa rete di legami spirituali che univa i membri di ciascuna comunità
o se piuttosto, già decurtati della parentela naturale, soffrissero una condizione di deprivazione
anche sul fronte ‘spirituale’.
Non è possibile, in questa sede, approfondire la questione del ruolo e dell’effettività dei legami di
parentela spirituale, nonché del modo in cui potevano essere di volta in volta attivati29. Mi limiterò a
ricordare che, sebbene la ricerca storica ed antropologica abbia progressivamente messo in luce
specifici compiti che potevano essere assegnati alla parentela spirituale30, ciò che va sottolineato
sopra tutto è piuttosto la flessibilità dei rapporti di padrinato, ovvero la loro peculiare caratteristica
di sapersi adattare alle esigenze locali. Il concetto di ‘flessibilità’, introdotto dagli antropologi
Mintz e Wolf31, è solo apparentemente intuitivo: infatti, non viene inteso da tutti allo stesso modo.
Basti qui notare che le approfondite ricerche che ho condotto su questo tema mi portano a
concludere che, pur essendo in generale un’istituzione sociale regolata da usi e consuetudini
riconducibili a prospettive di lunga durata, tuttavia il padrinato offriva spazi importanti
all’improvvisazione ed a comportamenti unici e non ripetuti. Poteva cioè essere utilizzato per dare
risposta ad esigenze particolari ed eccezionali, per le quali non esistevano usi consolidati che
regolassero le modalità d’azione32.
Benché i rapporti di parentela spirituale in assoluto più importanti fossero quelli di ‘comparatico’,
ovvero quelli tra i genitori del neonato da una parte ed i suoi padrini e madrine dall’altra (i
‘compari’), qui mi occuperò dei rapporti di ‘padrinato’ in senso stretto, che legavano tra loro
29 Si veda, al riguardo, G. ALFANi, Padri, padrini, patroni, e G. ALFANI e V. GOURDON, Il ruolo economico del
padrinato: un fenomeno osservabile? in G. ALFANI (a cura di), Il ruolo economico della famiglia, numero monografico di «Cheiron», in corso di pubblicazione. 30 A parte il mio Padri, padrini, patroni, mi limiterò a segnalare, tra le più recenti monografie sul tema, W. COSTER, Baptism and Spiritual Kinship in Early Modern England, Aldershot, Ashgate, 2002; A. FINE, Parrains, marraines. La
parenté spirituelle en Europe, Paris, Fayard, 1994; F. HÈRITIER-AUGÈ ed E. COPET-ROUGIER (a cura di), La parenté
spirituelle, Paris, Èditions des Archives Contemporaines, 1995; D.W. SABEAN, Kinship in Neckarhausen, 1700-1870, Cambridge, Cambridge University Press, 1998. 31 S.W. MINTZ ed E.R. WOLF, An Analysis of Ritual Co-Parenthood (compadrazgo), in «Southwestern Journal of Anthropology», 1950, 6. 32 Per una discussione approfondita di questa interpretazione dei rapporti di padrinato, si veda G. ALFANI, La famille
spirituelle des prêtres en Italie septentrionale avant et après le Concile de Trente: caractéristiques et transformations
d’un instrument d’intégration sociale, «Annales de Démographie Historique», 2004, 1 e ID, Padri, padrini, patroni.
20
padrini/madrine e figliocci. La Chiesa riteneva che il compito primario dei padrini fosse di vigilare
sulla corretta educazione cristiana del bambino; a ciò si aggiungeva un ruolo secondario di
testimoni dell’avvenuto battesimo33. Nonostante il tutorato spirituale fosse l’unico ruolo
riconosciuto ‘ufficialmente’ dalla Chiesa ai padrini, pare che di norma non venisse preso molto sul
serio: più importanti sembrano essere stati altri doveri, non ‘ufficiali’. Perlomeno nel caso dei
bambini che godevano delle cure parentali, i padrini (ma non sempre le madrine) erano tenuti come
minimo a recare doni in occasione del battesimo, ma spesso si trattava di un vincolo ben più
impegnativo che poteva comprendere soccorso al bambino nel caso perdesse prematuramente i
genitori, sostegno nel momento cruciale dell’inizio dell’attività lavorativa, aiuto in vari momenti
della vita quale consigliere, garante, addirittura prestatore di denaro o di derrate agricole. In alcune
aree d’Europa, pare che i padrini trasmettessero il loro nome ai figliocci: su questo punto tornerò
più diffusamente in seguito.
Nel caso degli esposti, è evidente che la possibilità che i padrini o le madrine si facessero carico non
solo della loro educazione cristiana, ma svolgessero anche un ruolo di supplenza ad un difetto di
cure parentali, acquista un rilievo del tutto particolare tanto che si potrebbe ipotizzare che, in
determinati casi, l’insorgere di un rapporto di parentela spirituale implicasse una sorta di adozione
vera e propria. Uno degli obiettivi che mi pongo è di valutare la verosimiglianza di tale scenario.
Nell’affrontare, da qualsiasi prospettiva, lo studio del padrinato nella prima Età Moderna, è
opportuno tenere ben presente che il Concilio di Trento segna uno spartiacque fondamentale. Prima
del 1563 o, meglio, prima che i dettami conciliari in tema di padrinato venissero fatti applicare (in
Italia settentrionale furono necessari pochi anni, ma ad esempio in Francia il ritardo nella ricezione
del Concilio fu considerevole), perlomeno nell’area da me considerata coesisteva una varietà
sconcertante di differenti ‘modelli’ locali di padrinato, che differivano tra loro per caratteristiche
rilevanti quali il numero di padrini presenti ad ogni battesimo, la presenza di madrine ecc. Entro
questa variabilità su base locale, v’è poi da chiedersi se vi sia una differenza tra gli esposti ed il
resto della popolazione e se a questo riguardo emergano tendenze comuni a ciascuna comunità.
Nella tabella 4, in cui faccio ricorso alla consueta divisione dei battezzati in 3 ceti34, propongo i dati
relativi al numero di padrini e madrine presenti ai battesimi celebrati a Cesena, Mirandola, Ravenna
e Voghera. Ho escluso Nonantola perché non mi sono noti casi di infanti abbandonati precedenti il
33 ‘Secondario’ solo nel senso che non richiedeva un particolare impegno da parte dei padrini: infatti, sia il tutorato spirituale, sia il compito di testimonianza dei padrini erano ‘funzioni’ imprescindibili che, come tali, non possono essere poste su di un piano di subordinazione pastorale o giuridica. 34 Nel caso dei sistemi di padrinato, e diversamente da quanto fatto nello studio dei sistemi onomastici, ho ritenuto preferibile non distinguere tra i sessi. Infatti, i dati a mia disposizione per le località qui considerate e per numerose altre mostrano che tra maschi e femmine vi erano differenze molto ridotte, che si traducevano in un relativo favore accordato ai primi. I maschi, infatti, ricevevano un po’ più padrini (e madrine) delle bambine, e di ‘qualità’ (rango sociale) leggermente superiore. Al riguardo, G. ALFANI, Padri, padrini, patroni.
21
1575, e quindi ben dopo la fine del Concilio di Trento. Nella tabella riporto la percentuale di
battesimi a cui presenziarono un padrino, due, tre e così via, nonché il numero medio di padrini per
battesimo, e misure analoghe per le madrine. Il periodo di riferimento è compreso tra la data
d’inizio delle registrazioni e l’anno precedente la conclusione del Concilio di Trento, il 1562: ho
infatti preferito premiare l’ampiezza dei campioni di battesimi rispetto alla loro perfetta coerenza
cronologica. Si noti comunque che i dati in mio possesso mostrano che, perlomeno nella prima metà
del XVI secolo, i modelli di padrinato erano consolidati e stabili nel tempo. Nel caso di Voghera e
Mirandola, i dati utilizzati sono relativi ad intervalli di tempo molto più ampi rispetto a quelli
impiegati in precedenza, poiché ho potuto avvalermi anche di dati non nominativi raccolti nel
contesto di ricerche non di tipo onomastico.
Tab.4. Ceto e Numero di padrini e madrine per battesimo
Padrini Madrine
TOT Popolaz.
Titolati Senza Titolo
Esposti TOT Popolaz.
Titolati Senza Titolo
Esposti
Cesena 1555-1557
0 pad./mad. (%) 16,82 16,81 13,76 79,31 11,44 21,24 7,60 27,59
1 pad./mad. (%) 52,09 45,13 57,49 13,79 65,14 59,29 67,97 62,07
2 pad./mad. (%) 22,48 27,43 20,94 3,45 16,55 15,04 16,63 3,45
3 pad./mad. (%) 6,86 7,96 6,37 3,45 4,44 3,54 4,52 6,90
4 pad./mad. (%) 0,94 1,77 0,82 0,00 1,88 0,88 2,46 0,00
5 pad./mad. (%) 0,54 0,00 0,41 0,00 0,40 0,00 0,62 0,00
>5 pad./mad. (%) 0,27 0,88 0,21 0,00 0,13 0,00 0,21 0,00
Numero medio di Padrini/Madrine 1,26 1,36 1,25 0,31 1,22 1,04 1,29 0,90
Numero di Battesimi 743 113 487 29 743 113 487 29
Ravenna 1555-1557
0 pad./mad. (%) 25,49 25,50 10,81 90,91 70,40 72,59 67,67 87,27
1 pad./mad. (%) 47,69 54,47 40,15 7,27 22,78 19,31 25,62 7,27
2 pad./mad. (%) 19,85 15,32 35,91 0,00 5,20 7,34 4,92 5,45
3 pad./mad. (%) 5,57 3,47 11,20 1,82 1,39 0,77 1,45 0,00
4 pad./mad. (%) 0,95 1,01 0,39 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00
5 pad./mad. (%) 0,22 0,11 0,77 0,00 0,22 0,00 0,34 0,00
>5 pad./mad. (%) 0,22 0,11 0,77 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00
Numero medio di Padrini/Madrine 1,11 1,57 1,01 0,13 0,39 0,36 0,42 0,18
Numero di Battesimi 1365 259 894 55 1365 259 894 55
Voghera 1534-1562
0 pad./mad. (%) 0,37 0,72 0,32 0,00 99,83 99,86 99,81 100,00
1 pad./mad. (%) 10,16 5,78 10,85 17,24 0,17 0,14 0,19 0,00
2 pad./mad. (%) 62,99 48,27 65,81 75,86 0,00 0,00 0,00 0,00
3 pad./mad. (%) 24,33 39,02 21,82 6,90 0,00 0,00 0,00 0,00
22
4 pad./mad. (%) 1,98 5,78 1,15 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00
5 pad./mad. (%) 0,17 0,43 0,06 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00
>5 pad./mad. (%) 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00
Numero medio di Padrini/Madrine 2,18 2,45 2,13 1,90 0,00 0,00 0,00 0,00
Numero di Battesimi 4092 692 3135 29 4092 692 3135 29
Mirandola 1484-1562
0 pad./mad. (%) 0,38 1,06 0,34 0,94 0,75 1,25 0,93 1,56
1 pad./mad. (%) 80,91 71,28 87,15 94,69 79,03 77,62 79,48 91,56
2 pad./mad. (%) 17,75 24,40 11,73 4,38 19,84 20,08 18,25 6,88
3 pad./mad. (%) 0,96 2,59 0,69 0,00 0,50 0,96 1,26 0,00
4 pad./mad. (%) 0,08 0,29 0,02 0,00 0,04 0,10 0,06 0,00
5 pad./mad. (%) 0,00 0,19 0,00 0,00 0,00 0,00 0,02 0,00
>5 pad./mad. (%) 0,00 0,19 0,34 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00
Numero medio di Padrini/Madrine 1,20 1,31 1,13 1,03 1,21 1,21 1,20 1,05
Numero di Battesimi 8389 1041 6267 320 8389 1041 6267 320
Esaminando i dati presentati, è facile rendersi conto che, nelle quattro comunità considerate,
vigevano ‘modelli’ locali di padrinato differenti35. In alcune, infatti, i padrini erano molto numerosi
(a Voghera erano in media oltre 2,18 per battesimo sul totale della popolazione), mentre in altre
erano pochi (a Mirandola erano appena 1,2 per battesimo); inoltre, in certi luoghi le madrine erano
sempre presenti o quasi (Cesena, Mirandola), mentre in altre erano rare (Ravenna) o del tutto
assenti (Voghera, dove ne ho trovate appena 7 su 4.092 battesimi). Ciò che, però, è qui di
particolare rilievo, è il progressivo ridursi del numero di padrini e madrine scendendo la scala
sociale. Ovunque, infatti, i figli di titolati hanno più padrini dei figli di senza titolo, benché la
situazione sia più confusa guardando alle madrine. Ovunque, poi, gli esposti hanno molti meno
parenti spirituali (sia padrini sia madrine) rispetto agli altri ceti, salvo che a Voghera, dove la totale
assenza di madrine accomuna i bambini quale che sia la loro origine. Se la tendenza al decrescere
del numero di padrini e madrine di pari passo col decrescere del rango sociale sembra essere la
norma, va però detto che, passando dai senza titolo agli esposti, il processo accelera bruscamente. A
Ravenna, ad esempio, partendo da 1,57 padrini in media per i titolati si passa a 1,01 per i senza
titolo e ad appena 0,13 per gli infanti abbandonati; la tendenza, seppure meno accentuata, è analoga
nel caso delle madrine. Ravenna è un caso che spicca tra quelli considerati perché la gran parte
degli esposti lì battezzati non riceve alcun parente spirituale: quasi l’82% degli abbandonati non ha
né un padrino né una madrina. Questa situazione, in effetti, appare problematica da un punto di
35 Per un’analisi preliminare della variabilità e distribuzione su base locale dei modelli di padrinato, G. ALFANI, E
pluribus unum: forme di padrinaggio nell’Italia moderna a cavallo del Concilio di Trento, «Quaderni Storici», 2003, 3, pp. 823-848. Ho successivamente ripreso ed arricchito questi temi in G. ALFANI, Padri, padrini, patroni.
23
vista teologico e pastorale (chi nasce senza famiglia, dovrà dunque ri-nascere in Cristo senza
famiglia?), ed è possibile solo nel contesto di relativa confusione e de-regolamentazione degli usi e
delle pratiche locali tipica della prima parte del XVI secolo. Sarebbe senz’altro interessante
verificare in che tempi, ed in che modi, i battesimi degli esposti si siano uniformati alle prescrizioni
tridentine che, come si vedrà, imposero almeno un parente spirituale per ogni battezzato; al
momento, però, non dispongo di dati atti allo scopo.
A fronte di quanto osservato, in effetti ci si potrebbe chiedere quale sia la rilevanza del numero di
padrini e madrine attribuiti a ciascun neonato. Si tratta di riflettere sulla rete di relazioni creata e
costantemente rinnovata dai rapporti di parentela spirituale: dov’era possibile selezionare numerosi
padrini e madrine, le maglie di questa rete erano fittissime, e legavano tra loro i membri della
comunità secondo modalità complesse, qualitativamente differenti rispetto ai luoghi dove invece i
parenti spirituali erano pochi. Chi riceveva meno padrini si trovava ad essere tendenzialmente
peggio collegato a tale rete, quando non ne era del tutto escluso, come gli esposti di Ravenna. Se,
quindi, la presenza di meno parenti spirituali al battesimo di un esposto aveva forse l’effetto di
sottolineare pubblicamente la nascita sfortunata del neonato, sicuramente costituiva un
comportamento discriminatorio, che fosse volontario o meno.
Il Concilio di Trento pose fine alla frammentazione locale degli usi di padrinato, stabilendo che ai
battesimi avrebbe potuto partecipare un solo parente spirituale, maschio o femmina, o due al
massimo (uno per sesso). In questo modo, causò la crisi di quei modelli di padrinato tradizionali che
si basavano sull’abbondanza di padrini e madrine, imponendo al loro posto l’adesione quasi
generalizzata al ‘modello della coppia’ (un padrino ed una madrina) giunto fino a noi36.
Nelle comunità da me considerate, il passaggio al modello della coppia fu piuttosto rapido e ad
appena 10-15 anni dalla chiusura del Concilio può dirsi completo. Non dispongo purtroppo di dati
relativi ai battesimi celebrati a Cesena e Ravenna dopo il 1563, ma a Mirandola pressoché tutti i
bambini battezzati tra 1580 e 1615 ebbero un padrino ed una madrina, compresi gli esposti, e lo
stesso può dirsi per Voghera, dove la madrina venne di fatto ‘inventata’ negli anni successivi al
Concilio, senza che vi fosse nessuna norma positiva a sancirne la presenza (stando ai dettami
tridentini, la presenza del solo padrino era sufficiente)37. È significativo il fatto che questo
mutamento degli usi abbia coinvolto anche gli infanti abbandonati, che vennero puntualmente
dotati, come tutti gli altri, della nuova figura.
Se, dunque, il passaggio al modello della coppia risolse o attenuò alcune situazioni discriminatorie
nei confronti degli esposti, v’è da chiedersi se davvero costoro abbiano raggiunto un piano di parità
36 Sulla riforma tridentina del padrinato, si veda G. ALFANI, Padri, padrini, patroni.
24
o quasi-parità con i legittimi. Per rispondere a questa domanda, occorre prendere in considerazione
la ‘qualità’ dei parenti spirituali, oltre alla loro semplice ‘quantità’.
Nella tabella 5 riporto, per i consueti tre ceti, la proporzione di padrini distinguibili, secondo il loro
titolo distintivo di rango, in: Senza Titolo; ‘Magistri’ (ovvero quanti erano dotati del titolo di
‘magister’, riservato ai maestri iscritti ad una corporazione); Titolati ed Ecclesiastici. Non riporto i
dati relativi alle madrine, giacché sostanzialmente confermano quanto emerge dall’esame dei
padrini. I periodi di riferimento sono, per Cesena e Ravenna, il consueto triennio 1555-1557; per
Mirandola e Voghera ho invece potuto comparare due periodi di lunghezza differente, uno
precedente la conclusione del Concilio di Trento, e l’altro abbastanza successivo da garantire che le
trasformazioni indotte dalla nuova normativa si fossero ormai pienamente dispiegate.
Tab. 5. Ceto e Rango dei padrini
Titolati Senza Titolo Esposti
Anni
Tot Padrini
Senza titolo (%)
Magistri (%)
Titolati (%)
Ecclesiastici (%)
Tot Padrini
Senza titolo (%)
Magistri (%)
Titolati (%)
Ecclesiastici (%)
Tot Padrini
Senza titolo (%)
Magistri (%)
Titolati (%)
Ecclesiastici (%)
Cesena 1555-1557 153 18,95 3,27 64,71 13,07 609 58,79 10,34 23,97 6,9 9 66,67 0,00 22,22 11,11
Ravenna 1555-1557 405 9,38 0,25 81,73 8,64 900 53,33 0,67 41,89 4,11 7 57,14 28,57 14,29 0,00
Mirandola 1484-1562 1380 6,38 3,99 83,12 6,52 7084 46,60 10,62 38,48 4,31 330 66,36 16,36 11,52 5,76
1600-1609 798 0,00 0,88 97,24 1,88 555 9,19 1,62 88,65 0,54 40 25,00 7,50 67,50 0,00
Voghera 1534-1562 1695 21,36 8,73 69,91 0,00 6682 75,58 7,69 16,69 0,04 55 78,18 10,91 10,91 0,00
1590-1604 645 2,33 0,31 97,05 0,31 2064 43,70 3,05 52,96 0,29 86 58,14 3,49 38,37 0,00
I dati presentati mostrano, per tutte le comunità ed in ciascun periodo, differenze in merito alla
‘qualità’ dei padrini sostanzialmente corrispondenti a quelle relative alla ‘quantità’, benché forse
ancor più marcate. Sembra costante, infatti, la posizione di vantaggio dei figli di genitori titolati
rispetto ai senza titolo e, muovendosi verso gli strati più bassi della società, di questi ultimi nei
confronti degli esposti. Infatti, i titolati vengono sempre dotati di una proporzione maggiore di
padrini d’alto rango (titolati anch’essi), ed inferiore di padrini privi di titolo. In questo quadro, si
37 Sull’‘invenzione’ delle madrine vogheresi, e per una proposta di interpretazione, si veda G. ALFANI, Padri, padrini,
25
ricordi che i magistri rappresentano una sorta di ceto intermedio; per quanto riguarda invece gli
ecclesiastici, non ci sono differenze apprezzabili nella loro presenza ai battesimi di neonati
appartenenti ai vari ceti. Le variazioni, piuttosto, si riscontrano tra comunità, giacché la possibilità
per i membri del clero di far da padrini non era ovunque riconosciuta, sia che ciò fosse dovuto a
norme locali, sia che vada attribuito agli usi38. È comunque interessante il fatto che non si registri,
tra gli esposti, un surplus di padrini provenienti dal clero: evidentemente, il problema di come
dotarli di parenti spirituali era risolto, prima del Concilio di Trento (quando cioè era possibile
selezionarne molti) moderando il numero di padrini loro riservati. Dopo il Concilio, quasi ovunque
in Italia settentrionale gli ecclesiastici tendono ad essere esclusi dall’accesso al padrinato.
Concentrandosi sugli esposti, prima del Concilio essi mostrano sempre la più alta proporzione di
padrini privi di titolo, e la più bassa di padrini titolati: ad esempio, a Mirandola il 66,36% dei
padrini degli infanti abbandonati è senza titolo, contro il 46,6% dei padrini di neonati figli anch’essi
di genitori privi di titolo ed il 6,38% dei padrini dei figli di titolati. Guardando ai padrini titolati, le
proporzioni sono invertite: essi rappresentano, nell’ordine, l’11,52%, il 38,48% e l’83,12% del
totale, sempre partendo dagli esposti.
Il Concilio di Trento, obbligando i genitori a ridurre il numero di padrini e madrine selezionati,
causò una tendenziale polarizzazione e ‘verticalizzazione’ del rapporto di padrinato (perlomeno
guardando alle classi più umili), giacché il contrarsi del sistema di padrinato tradizionale vide
privilegiati i personaggi di rango sociale più elevato, che continuarono ad essere ben presenti ai
battesimi a scapito degli ex-’padrini abituali’ provenienti dai ceti inferiori39. Sulla base dei dati
disponibili per Voghera e Mirandola, pare che gli esposti non fossero esclusi da questo processo,
giacché per loro la proporzione di padrini titolati crebbe verso l’inizio del XVII secolo dall’11,52%
al 67,5% a Mirandola, e dal 10,91% al 38,37% a Voghera. Tuttavia, poiché un incremento analogo
si riscontra anche per gli altri neonati, il miglioramento della situazione degli esposti nasconde, in
realtà, il perpetuarsi d’una discriminazione.
Le trasformazioni dei sistemi di padrinato tradizionali indotte dalla nuova normativa tridentina
presentano, in effetti, risvolti che possono essere posti in collegamento con le contemporanee
trasformazioni dei sistemi onomastici: vi tornerò nella conclusione. Ora mi soffermerò invece su
alcuni casi locali, per i quali conviene procedere ad un’analisi più approfondita dei dati.
Solo andando oltre una pura prospettiva quantitativa ed esaminando più da vicino chi erano i parenti
spirituali degli esposti, infatti, emergono alcuni elementi determinanti nel definire il loro ruolo. Il
patroni, cit. 38 Si veda, al riguardo, G. ALFANI, La famille spirituelle des prêtres.
26
caso di Mirandola è particolarmente interessante. Infatti, una ricostruzione nominativa ha consentito
di appurare che le madrine degli esposti erano in larga parte ‘figlie dell’ospedale’, ovvero sue ex-
ospiti o, forse, ragazze che ancora vi risiedevano, magari per lavoro. Negli anni 1550-1562, su un
totale di 111 madrine degli esposti ben 43 (il 39%) furono registrate come figlie dell’ospedale, o è
stato possibile identificarle con sicurezza come tali confrontando registrazioni diverse40; nel triennio
1611-1613 su 16 madrine lo erano ben 15 (94%). In effetti, è assai probabile che il dato relativo al
primo campione sia notevolmente compromesso dall’impossibilità di riconoscere con sicurezza
alcune delle madrine come figlie dell’ospedale (ho scelto infatti di essere molto prudente in merito),
e che la realtà sia molto più prossima alla situazione del 1611-161341.
Il fatto che, probabilmente, la maggior parte delle madrine degli esposti di Mirandola avesse vissuto
in prima persona l’esperienza dell’abbandono, induce a riflettere sul ruolo loro attribuito da questo
peculiare uso locale, che non trova riscontro nelle altre comunità da me considerate. Si trattava di
un ruolo puramente simbolico, che magari indicava un percorso o era di buon auspicio per il
neonato (si pensi al caso della madrina ex-esposta ora sposata e ben inserita nella società), oppure
prefigurava una sorta di tutorato (non meramente spirituale), un impegno concreto da parte di chi ce
l’aveva fatta a farsi carico di neonati che si trovavano ora in difficoltà simili a quelle del loro
passato? Certo, il fatto che molte di queste ex-esposte compaiano in parecchi battesimi quali
madrine fa supporre che l’attenzione dedicata a ciascun figlioccio non potesse essere molta, benché
l’elevatissima mortalità tipica degli ospedali impedisse un’eccessiva crescita numerica della ‘prole
spirituale’. Bisogna poi ricordare che è anche possibile che si sia trattato semplicemente
dell’attribuzione quale madrina di una giovane ospite dell’ospedale oppure di una ex-ospite rimasta
però nella struttura come membro del personale. La scelta di madrine del genere sarebbe dettata da
ragioni di comodità e non avrebbe contenuti simbolici o scopi di tutorato.
Non ho trovato in nessun’altra comunità un uso analogo a quello riscontrato a Mirandola. Almeno
all’apparenza, infatti, le madrine degli esposti, benché di norma avessero umili origini, non erano
direttamente collegate agli ospedali. Fa in parte eccezione il caso di Cesena, dove una quota
39 Su questi temi, ed in particolare sul concetto di ‘padrino abituale’ e su quello di ‘carriera di padrinato’, si vedano G. ALFANI, Padri, padrini, patroni; ID, La famille spirituelle des prêtres; ID, Les réseaux de marrainage en Italie du Nord
du XVè au XVIIè siècle: coutumes, évolution, parcours individuels, «Histoire, Economie et Société», 2006, 4, pp. 17-44. 40 Come si ricorderà, nell’epoca e nelle comunità considerate gli infanti abbandonati erano dotati solo del nome, ed erano privi del cognome. Gli esposti che compaiono nei registri parrocchiali da me consultati in veste di padrini o madrine sono identificati di norma quali ‘(nome) figlio dell’ospedale’, e talvolta da un soprannome (che poteva sostituire o aggiungersi al nome). Nel caso delle femmine, se contraggono matrimonio sono identificate come ‘mogli di’ oppure acquisiscono direttamente il cognome del marito. 41 Il problema deriva dalla consueta incostanza delle modalità di iscrizione dei dati personali nei registri. Talvolta, è possibile risolvere i casi dubbi confrontando diverse parti d’informazione, come nel caso di una delle madrine più ricorrenti, Caterina, registrata di volta in volta come ‘Catherina figliola de S.ta Maria’, ‘Catherina Venetiana figlia de S.ta Maria’, ‘Catherina figlia dell'hosp.le’, ‘Catherina detta la Venetiana da S.ta Maria’, ‘Cathalina Venetiana’, ecc. In
27
rilevante delle madrine degli infanti abbandonati (il 24% circa) è registrata quale ‘balia’; in un caso
i registri sono più chiari, e dicono trattarsi di una ‘dona balia dell’ospedale’. È verosimile che si
trattasse delle balie cui era stato affidato il neonato le quali, divenendone madri spirituali,
ricevevano una sorta di mandato che andava oltre il profilo economico connesso alla loro
professione. Può anche darsi che, in questo modo, si sperasse di rafforzare il loro impegno nel
prodigare cure al bambino bisognoso. È poi evidentemente possibile, benché poco probabile, che
comportamenti simili a quelli riscontrati a Mirandola e Cesena avessero luogo anche nelle altre
comunità considerate, e che non appaiano a causa dell’incompletezza delle registrazioni.
Quali erano invece i comportamenti relativi alla scelta dei padrini? A Mirandola, dove le madrine
erano selezionate sulla base di una loro esperienza di vita, non ho trovato alcuna tendenza analoga
per quanto riguarda la parte maschile della parentela spirituale. Di tutti i 108 padrini degli esposti
battezzati tra 1550 e 1562, due soli (‘el zopo de Sancta Maria’ e ‘messer Giuseppe de Sancta
Maria’) erano in qualche modo collegati all’ospedale. Dei 16 padrini degli abbandonati battezzati
nel 1611-1613, non lo era nessuno.
È evidente, quindi, che l’uso di scegliere le madrine tra le ex-esposte non aveva alcun
corrispondente tra i padrini. Tra i padrini più ricorrenti, troviamo invece al primo posto un prete
(Don Albertino Guagnolino, che compare 7 volte), che forse costituiva un semplice ‘riempitivo’ alla
cerimonia oppure svolgeva una qualche funzione nella gestione della prima fase della ‘carriera di
esposto’ del neonato. Seguono personaggi indistinguibili dalla massa dei padrini ricorrenti
nell’insieme dei battesimi celebrati a Mirandola, benché vada segnalata la completa assenza di
personaggi di spicco, a partire dai membri della locale famiglia signorile, i Pico, e dai loro
principali ufficiali.
Senza procedere ad onerose ricostruzioni nominative che concernano tutta la popolazione per lunghi
periodi di tempo, non è possibile dire altro sulla posizione occupata dagli esposti nella complessa
rete di padrinato delle comunità considerate. È però possibile formulare un giudizio iniziale, da
confermare a seguito di ricerche ulteriori: nel complesso, gli infanti abbandonati erano collegati a
tale rete meno bene degli altri bambini. Avevano infatti meno punti di contatto con essa (meno
padrini e madrine) e di minor qualità e capacità d’influenza; a Mirandola, l’uso di dar loro una
madrina scelta tra le ospiti o ex ospiti dell’ospedale poteva anche avere un effetto discriminatorio.
Una peggior integrazione alla rete di relazioni fondate sulla parentela spirituale significava avere un
peggior accesso a risorse immateriali e materiali nel corso della vita. Quali che fossero le intenzioni
altri casi, invece, le cose sono molto meno chiare, come per ‘Gianna Sorga’ e ‘Gianna de S.ta Maria’, per le quali è impossibile appurare, non disponendo di ulteriori informazioni, se si tratti della stessa persona.
28
di chi si faceva carico degli esposti, dunque, emergono qui comportamenti discriminatori che non
ho invece riscontrato nel caso dell’imposizione del nome: avrò modo di tornarvi nella conclusione.
Ora però, conviene affrontare brevemente una questione che costituisce una sorta di trait d’union
tra le due parti di questo saggio. Benché non sia stato possibile qui spingersi oltre un certo punto
nell’analisi dei criteri di selezione dei nomi degli esposti, mi propongo di valutare la presenza o
meno nell’area considerata di un particolare principio onomastico: quello cioè che prevedeva che i
battezzati ricevessero il nome dei loro padrini o madrine. Nel caso degli esposti la questione è
particolarmente stimolante per la debolezza di potenziali principi onomastici concorrenti, ed in
particolare la denominazione derivata dagli antenati.
La pratica di demandare la selezione del nome del neonato ai padrini, che gli trasmetterebbero così
il proprio, è attestata in molti luoghi d’Europa, ed in particolare in Francia42. Tuttavia, non si può
dare per scontato che fosse in uso anche in Italia, giacché alcuni studi condotti su aree delimitate (ad
esempio la Toscana43) non ne hanno trovato traccia e sappiamo che questa pratica non apparteneva
neppure ad altre aree del Mediterraneo cristiano, quali la Spagna44.
Ho potuto confrontare il nome degli esposti con quello dei loro padrini e madrine solo per
Nonantola, Voghera e Mirandola. Nei primi due casi, non ho quasi mai riscontrato coincidenza tra i
nomi di padrini/madrine e figliocci (solo in un battesimo per ciascuna località: verosimilmente si
tratta di un caso). Mirandola, invece, anche questa volta presenta caratteristiche peculiari. Infatti, su
un totale di 120 battesimi di esposti celebrati negli anni 1550-1562 o 1611-1613, ho riscontrato una
coincidenza onomastica tra padrini e figliocci in 18 casi (il 15%). Si tratta ovviamente di una
percentuale troppo bassa per poter affermare che il sistema onomastico mirandolese fosse basato
sull’imposizione del nome del padrino: dove invece questo accadeva, si riscontrano percentuali di
coincidenza onomastica molto più elevate. Ad esempio, a Porrentruy (situata al confine tra il
cantone del Jura, in Svizzera, e la Francia), il 95% dei padrini e delle madrine trasmettevano il
proprio nome ai figliocci45. Inoltre, è probabile che molte delle coincidenze riscontrate a Mirandola
siano casuali, rese più frequenti dal maggior numero di nomi pro capite rispetto ad altre comunità
42 Per una sintesi al riguardo, A. BURGUIERE, Prénoms et parenté, in A. DUPAQUIER, A. BIDEAU, M.E. DUCREUX (a cura di), Le Prénom: mode et histoire, Paris, Éditions de l'EHESS, 1984. Pare che la denominazione derivata dai padrini fosse prevalente anche nell’Inghilterra medioevale (M. BENNETT, Spiritual Kinship and the Baptismal Name in
Traditional European Society, in L.V. FRAPPELL (a cura di), Principalities, Powers and Estates: Studies in Medieval
and Early Modern Government and Society, Adelaide, Adelaide University Press, 1977, pp. 1-13). La denominazione derivata dai padrini ha origini antiche, ed è legata ad un concetto di ‘paternità spirituale’ quale venne elaborato dalla cristianità dei primi secoli, in un contesto in cui il battesimo era ancora somministrato agli adulti. Si veda, al riguardo, M. MITTERAUER, Antenati e santi, p. 107 e seg. 43 C. KLAPISCH-ZUBER, Parrains et filleuls: Une approche comparée de la France, L'Angleterre et l'Italie médiévales, «Medieval Prosopography», 1985, 6, pp.51-77. 44 F. CHACON JIMENEZ, Identidad y parentescos ficticios, pp. 48-49 45 P. PEGEOT, Un exemple de parenté baptismale à la fin du Moyen Age. Porrentruy 1482-1500, in Les entrées dans la
vie. Initiations et apprentissages, Nancy, Presses universitaires de Nancy, 1982, pp. 53-70.
29
dell’Italia settentrionale (ho infatti considerato ‘coincidenza onomastica’ quella di almeno un nome
tra tutti quelli attribuiti alle varie parti).
Nonostante queste considerazioni, in un buon numero di casi è difficile pensare che la coincidenza
sia fortuita: si pensi ad esempio a Leonora Caterina, battezzata il 3 febbraio 1562 da madonna
Leonora figliola di Santa Maria, o a Polissena, battezzata il 12 luglio 1554 da madonna Polissena
Machiona.
Sarebbe interessante verificare se questo surplus di coincidenze onomastiche sia limitato agli
esposti, o se piuttosto costituisca una caratteristica tipica dell’intera comunità. Benché al momento
non siano disponibili i dati necessari per una verifica esaustiva della questione, alcuni sondaggi
preliminari sembrano indicare che si tratti di un fenomeno limitato all’infanzia abbandonata
(peraltro, sondaggi compiuti su comunità non considerate in questo studio, quali Ivrea, Torino,
Gambellara ecc. sembrano confermare la sostanziale assenza, dall’Italia settentrionale, di luoghi in
cui i padrini e le madrine riuscissero a trasmettere sistematicamente il proprio nome). Se questi
primi dati dovessero venire confermati, potremmo concludere che, a Mirandola, un deficit di
principi onomastici concorrenti consentiva, nel caso degli esposti, l’emergere di usi sociali
innovativi rispetto a quelli ‘normali’.
Conclusione
La doppia analisi condotta nel presente saggio, relativa ai sistemi onomastici prima, ai sistemi di
padrinato poi, ha consentito di delineare una situazione sensibilmente differente da quella attesa al
momento della formulazione del progetto di ricerca.
In primo luogo, non è stato possibile trovare tracce (se non flebili e senza diffusione generalizzata)
di evidenti comportamenti discriminatori sfavorevoli agli esposti in occasione dell’imposizione del
nome. Gli infanti abbandonati, infatti, ricevevano approssimativamente gli stessi nomi, nello stesso
numero, ed in una varietà forse ancora maggiore, degli altri bambini: si tratta quindi di una
situazione ben diversa rispetto a quanto si sarebbe potuto ipotizzare sulla base di ricerche empiriche
relative ai secoli XVIII-XIX.
In secondo luogo, considerando la dotazione di padrini e madrine, la loro ‘qualità’ e la loro capacità
d’influenza, emerge chiaramente una situazione di svantaggio ai danni degli esposti. Lungi
dall’essere compensati ‘in spirito’ di quanto loro manca ‘in natura’, gli infanti abbandonati risultano
ovunque mal integrati in una fondamentale rete di legami sociali, con ulteriore danno delle loro già
precarie prospettive di inserimento nella comunità.
Sulla base di quanto osservato, è possibile fare un ‘bilancio della discriminazione’ con risultati
curiosi. Ora equiparati, ora svantaggiati rispetto agli altri neonati, gli esposti non sono marcati a vita
30
come tali in modo ‘visibile’ (tramite ad esempio l’imposizione di un nome-segnale), ma rischiano
comunque di divenire dei paria se non riescono in qualche modo a supplire ad una drastica
decurtazione di rapporti di parentela (naturale e spirituale). Questo scenario è tanto più interessante,
se lo proiettiamo su un orizzonte temporale più ampio.
Ipotizzando, infatti, che partendo dalla situazione riscontrata per il XVI secolo, di lì a 2-3 secoli si
giunga in modo abbastanza generalizzato alla realtà emersa per luoghi quali Siena e Camerino, si
dovrà concludere che gli usi di denominazione relativi agli esposti abbiano subito un progressivo
mutamento, il cui esito finale è una chiara discriminazione. Sul fronte della parentela spirituale,
invece, la trasformazione decisiva avviene in seguito alla riforma del padrinato voluta dal Concilio
di Trento verso la metà del XVI secolo, i cui esiti ho già potuto analizzare. A seguito della riforma,
la situazione discriminatoria degli esposti risulta molto attenuata, giacché l’adozione generalizzata
del ‘modello della coppia’ garantisce loro la stessa dotazione (numerica) di parenti spirituali degli
altri neonati. I loro padrini e madrine migliorano anche ‘qualitativamente’, tendono cioè ad essere di
rango sociale più elevato che in precedenza, ma sotto questo profilo si mantiene una certa distanza
dagli altri ceti.
In una prospettiva plurisecolare, dunque, e con una diversa cadenza, ci troviamo di fronte a
trasformazioni sociali che si muovono in direzioni opposte: una dall’eguaglianza alla
discriminazione (nel caso dei nomi), l’altra dalla discriminazione all’eguaglianza (nel caso dei
padrini). Tra le due, però, v’è una differenza fondamentale: nel caso della prima, si tratta di un
mutamento ‘spontaneo’ degli usi, forse indotto dall’aggravarsi del fenomeno dell’abbandono o da
un mutato atteggiamento nei confronti dell’illegittimità; nel caso della seconda, delle conseguenze
di un intervento legislativo che ‘strappa’ il padrinato dal regno delle pratiche e degli usi per
proiettarlo in quello delle leggi scritte.
Gli usi, e le loro trasformazioni, costituiscono sicuramente un terreno d’indagine di grande
interesse, benché raramente esplorato (specie per le epoche più antiche) a causa delle ben note
difficoltà che ciò comporta, di ordine sia analitico sia documentario. Sulla base di quanto risulta in
particolare dai dati precedenti il Concilio di Trento, emerge una situazione di elevata
frammentazione locale delle pratiche, soprattutto per quanto riguarda il padrinato ma anche per i
sistemi onomastici (si pensi a Mirandola, la cui ‘diversità’ si attenua, non a caso, dopo il Concilio),
che varrebbe sicuramente la pena di studiare in modo più mirato, facendo ricorso su vasta scala al
metodo comparativo. Solo così, infatti, si potrebbero precisare i limiti di rappresentatività di studi
locali, e fornire un utile bilanciamento ad ogni tentazione generalizzante.
Sul fronte degli usi, il Concilio di Trento impresse una spinta al mutamento senza precedenti,
causando trasformazioni la cui portata ed il cui rilievo sociale cominciamo appena ad intuire. Si
31
tratta ovviamente di una questione troppo ampia per essere affrontata in questa sede; basti notare
che vanno aprendosi vaste prospettive d’indagine, che rendono auspicabili ulteriori ricerche,
condotte su più fronti e con sensibilità inter-disciplinare.
32
Appendice
Tab. A1. Nomi prevalenti tra i ceti (primi 10)
Il limite dei 10 nomi più frequenti per ciascun ceto è stato superato nei casi in cui vi fossero nomi ‘a
pari merito’ nelle ultime posizioni. Nel caso degli esposti, ho tenuto conto solo dei nomi attestati
almeno 2 volte.
Maschi Femmine
Cesena (1555-1557)
Titolati Senza Titolo Esposti Titolati Senza Titolo Esposti
giovanni 6 giovanni 23 antonio 2 lucrezia 5 caterina 18 brigida 2
giuseppe 3 francesco 14 marco 2 caterina 3 lucrezia 13 domenica 2
alessandro 2 andrea 11 giulia 3 francesca 11 giulia 2
annibale 2 giacomo 11 lucia 3 cornelia 8
antonio 2 pietro 11 silvia 3 domenica 8
battista 2 battista 10 camilla 2 giacoma 8
cesare 2 girolamo 10 giuditta 2 laura 8
giacomo 2 alessandro 9 maddalena 2 lucia 8
girolamo 2 cesare 9 orsina 2 gentile 7
scipione 2 antonio 8 ottavia 2 giovanna 7
tommaso 2 giulio 8 pantasilea 2 maddalena 7
Mirandola (1499-1501, 1555-1557, 1611-1613) (1)
Titolati Senza Titolo Esposti Titolati Senza Titolo Esposti
giovanni 37 giovanni 95 giovanni 11 caterina 18 caterina 53 caterina 8
francesco 28 francesco 46 francesco 8 giulia 14 giovanna 27 barbara 6
lodovico 25 antonio 36 pietro 5 ippolita 12 maddalena 23 giulia 4
antonio 15 battista 29 antonio 4 camilla 11 domenica 19 veronica 4
battista 10 lodovico 24 bartolomeo 4 lucrezia 11 lodovica 19 anna 3
alessandro 9 domenico 22 battista 4 elisabetta 8 elisabetta 18 camilla 3
fulvio 9 giacomo 20 giuseppe 4 lodovica 8 lucrezia 15 elisabetta 3
giulio 9 vincenzo 18 lodovico 4 antonia 6 francesca 14 francesca 3
giuseppe 8 pietro 17 camillo 3 giovanna 6 giulia 14 laura 3
ippolito 8 bernardo 13 gabriele 3 laura 6 ippolita 13 lodovica 3
giacomo 3 lucia 6 margherita 13 maddalena 3
margherita 6 pietra 3
Nonantola (1558-1650)
Titolati Senza Titolo Esposti Titolati Senza Titolo Esposti
giovanni 72 giovanni 798 domenico 5 francesca 28 domenica 575 domenica 3
antonio 38 giacomo 378 giovanni 4 caterina 26 maria 448 francesca 3
giacomo 27 antonio 349 antonio 3 lucia 25 lucia 394 lucia 3
francesco 21 francesco 298 francesco 3 margherita 20 caterina 385 margherita 3
cesare 19 silvestro 255 bernardo 2 maria 18 antonia 286
domenico 18 andrea 231 filippo 2 maddalena 19 giovanna 279
maria 16 battista 226 giacomo 2 anna 16 maddalena 265
battista 15 bartolomeo 190 giuseppe 2 giulia 16 francesca 233
pietro 14 pellegrino 189 michele 2 domenica 15 margherita 208
33
andrea 13 pietro 182 silvestro 2 giovanna 14 lucrezia 196
bartolomeo 13 gimignano 153 lucrezia 14 orsola 184
Ravenna (1555-1557)
Titolati Senza Titolo Esposti Titolati Senza Titolo Esposti
giovanni 14 giovanni 52 antonio 2 laura 9 domenica 36 cecilia 3
pietro 10 antonio 39 camillo 2 lucrezia 7 maria 27 lucrezia 2
paolo 9 francesco 39 domenico 2 margherita 6 antonia 24
antonio 8 domenico 28 francesco 2 vittoria 5 francesca 20
girolamo 7 pietro 28 giovanni 2 maria 5 caterina 18
vincenzo 6 battista 25 lorenzo 2 cornelia 4 lucrezia 16
bartolomeo 4 girolamo 23 isabella 4 maddalena 16
francesco 4 vincenzo 20 livia 4 laura 14
giacomo 4 bartolomeo 17 vincenza 4 margherita 14
maria 4 andrea 16 elisabetta 12
orazio 4 giovanna 12
orsola 12
Voghera (1555-1557) (1)
Titolati Senza Titolo Esposti Titolati Senza Titolo Esposti
giovanni 58 giovanni 10 giovanni 5 caterina 28 anna 5 caterina 4
antonio 28 antonio 5 bartolomeo 3 francesca 13 angela 4 luchina 4
francesco 17 cesare 4 carlo 2 elisabetta 12 caterina 4 andriola 2
giacomo 13 marco 3 domenico 2 maria 12 laura 3 angela 2
battista 12 ottaviano 3 francesco 2 giovanna 11 bianca 2 anna 2
domenico 12 aurelio 3 ventura 2 margherita 11 isabella 2 maria 2
agostino 11 alessandro 2 antonia 8 margherita 2
pietro 11 battista 2 giacoma 8
bernardo 7 cristoforo 2 firina 6
girolamo 6 giacomo 2 maddalena 6
giulio 2
(1) Nei casi di Mirandola e Voghera, per rendere statisticamente più significativi i dati relativi agli esposti ho considerato anche gli infanti abbandonati battezzati negli anni 1550-1554 e 1558-1562 per Mirandola, e 1558-1567 per Voghera.