La politica della cultura di parità di genere

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UNIVERSITÀ DI PISA FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE Corsi di Laurea in Servizio Sociale e Politiche Sociali TESINA DI TIROCINIO titolo “La politica della cultura di parità di genere” Candidata/o Luisanna Carleo Referente del Tirocinio Vincenzo Mele Corso di Laurea Scienze Sociali Tirocinio del Terzo anno Anno Accademico 2014/2015 Numero CFU 6 Numero Ore 120 op. Numero Seminari __ 4

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TESINA DI TIROCINIO

titolo

“La politica della cultura di parità di genere”

Candidata/o Luisanna Carleo

Referente del Tirocinio Vincenzo Mele

Corso di Laurea Scienze Sociali

Tirocinio del Terzo anno

Anno Accademico 2014/2015

Numero CFU 6

Numero Ore 120 op. Numero Seminari __4

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Sin dal primo anno del corso in Scienze Sociali L-40 mi sono appassionata in studi di genere. Colsi, così, l'occasione per aderire ad un percorso formativo tenutosi presso l'Università di Pisa dal nome “Dalla Rappresentazione sociale alla rappresentazione politica: il ruolo dei media e dei modelli educativi nella costruzione delle differenze” coordinato dalla Prof.ssa Rita Biancheri.

Viaggiando tra la teoria e studi accademici di genere non persi l'opportunità di “guardarmi intorno” e scoprire che presso la Provincia di Livorno, dove ho attualmente la residenza, la Commissione Provinciale Pari Opportunità promuoveva il 1° Corso diEmpowerment Femminile coordinato dal Dott. Pier Giorgio Curti.

Nello stesso anno, la Uil coordinamento Pari Opportunità dellaProvincia di Pisa ha organizzato l'evento “Donne e Crisi Economica” al quale ho partecipato con interesse e approfondito gli studi in materia di opportunità lavorative per il mondo femminile e maschile.

Proseguendo gli studi consentiti dal corso di laurea, con l'esame di Sociologia della Famiglia ho approfondito i mutamenti ed evoluzioni dei ruoli genitoriali, i rapporti tra i generi e le generazioni. Tutte occasioni di formazione che mi hanno portato a scegliere di voler svolgere l'attività formativa di tirocinio presso l'Ufficio della Consigliera di Parità.

Prima di descrivere e rielaborare l'attività svolta presso l'Ufficio in Provincia di Livorno voglio citare un passo del librodi Catharine A. MacKinnon, un leitmotiv per la scelta della mia attività;

“Se noi donne fossimo umane, saremmo trasportate come mercepronta a essere venduta dalla Thailandia al bordelli di New York?

Saremmo date in sposa ai sacerdoti, in cambio di denaro per4

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espiare i peccati della nostra famiglia, o per migliorare leprospettive terrene della nostra famiglia? Ci sarebbe impedito di

imparare a leggere e a scrivere? Avremmo così poca voce incapitolo nelle deliberazioni pubbliche e nel governo del paesi in

cui viviamo? Saremmo sessualmente molestate all'interno dellenostre famiglie? Saremmo stuprate durante i genocidi per

terrorizzare, espellere e distruggere le nostre comunità etniche,o stuprate durante la guerra non dichiarata che si svolge ogni

giorno e in ogni paese del mondo nel cosiddetto tempo di pace? E,se fossimo umane, e queste cose accadessero, non ci sarebbe nulla

da fare in proposito?"Per donne migranti o meno, disabili o chi in condizione di

minorità richiede tutela; la Consigliera di Parità promuove e vigila l'attuazione dei principi di non discriminazione, organizzae successivamente realizza politiche pubbliche in qualsiasi ambitodella loro vita.La Consigliera di Parità, precisamente, è una figura istituzionale introdotta nell'ambito delle norme che tendono a garantire la realizzazione di parità uomo-donna nel lavoro. Affiancare tale figura istituzionale mi ha concesso di venire a conoscenza di un'ampia gamma di legislazione esistente in merito di Pari Opportunità e Politiche Sociali. Ruolo e compiti della Consigliera sono definiti dal decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 “Codice delle Pari Opportunità tra uomo e donna”. Ciò che di questo ruolo mi ha particolarmente appassionato è l'interesse el'implementazione delle politiche nazionali, comunitarie e internazionali sui temi delle pari opportunità e delle politiche antidiscriminatorie. Mi sono messa nei panni di “colei che pensa globalmente e agisce localmente”, seguendo una mia aspirazione. Trovarmi in un ufficio nella provincia di Livorno, accogliendo e ascoltando le richieste della “comunità livornese” e progettare, stilare bozze di protocolli d'intesa per tutelare chi ne avesse bisogno “qui”, è stato allo stesso tempo un lavoro più ampio di progettazione per altri Paesi europei. Quest'ultimi possono avere una cultura e abitudini diverse dalle nostre ma quando sono i diritti fondamentali riconosciti ad ogni individuo che sia maschio, femmina, transessuale, disabile ad esser da protagonisti “parliamo tutti la stessa lingua.”

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I protocolli d'intesa stipulati tra la Consigliera di Parità ei sindacati sono accordi e buone prassi volte ad assicurare flessibilità lavorativa e conciliativa; per conciliazione si fa riferimento ai tempi di vita, momenti quotidiani di dedizione a séo ai propri cari, e tempi di lavoro, necessari per il sostentamento dei primi. Da moltissimi anni ormai si sente parlarenei notiziari televisivi o durante letture di quotidiani di politiche di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. La Provincia di Livorno in collaborazione con l'Associazione Corali, nota come agenzia formativa per gli ambiti di orientamento, formazione dell'obbligo, post-obbligo e continua, hanno promosso esvolto un ciclo di seminari a favore della conciliazione. E' statointeressante apprendere come la diversità maschile e femminile siagestibile e gestita all'interno di ambiti aziendali e di business case.

Tali seminari erano rivolti a imprenditori, manager, dipendenti con posizioni apicali, liberi professionisti a cui allafine sarebbe stato rilasciato un credito ordinario relativo a “Iniziative a favore della parità di genere”.

Ai seminari la Consigliera di Parità di Livorno, Avv. CristinaCerrai, affiancata e seguita da me, ha esposto ed enunciato i punti fondamentali della Carta per le pari opportunità e l'uguaglianza sul lavoro; vademecum per me durante l'attività di tirocinio.

Essa mira a valorizzare il pluralismo e le pratiche inclusive nel mondo del lavoro, contribuisce al successo e alla competitività delle imprese, riflettendone la capacità di rispondere alle trasformazioni della società e dei mercati. Le imprese che adottano la Carta per le pari opportunità intendono contribuire alla lotta contro tutte le forme di discriminazione sul luogo di lavoro, genere, età disabilità, etnia, fede religiosa, orientamento sessuale- impegnandosi allo stesso tempo avalorizzare le diversità all'interno dell'organizzazione aziendale, con particolare riguardo alle pari opportunità tra uomoe donna. A seguire sono state fornite testimonianze aziendali a cura della dott.ssa V. Magrini, responsabile del Piano sociale partecipato UNICOOP tirreno.

L'Unicoop Tirreno mediante azioni di sostenibilità sociale negli ultimi anni si è indirizzato verso una valorizzazione delle

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differenze, una conciliazione dei tempi di vita e di lavoro aderendo così ai principi cardini dell'attività della Consigliera di Parità.

Fu presente il dott. Marco Dori responsabile risorse umane dell'UNICOOP tirreno; intervenuto sul tema “isole del tempo”. Le isole del tempo sono un sistema di autogestione dell'orario di lavoro. Lo strumento è stato sperimentato per la prima volta in Unicoop Tirreno a Livorno, nell’autunno 2003, a seguito di un accordo sindacale siglato con CGIL, CSL e UIL. Successivamente, l’esperienza è stata estesa nel 2005 all’Iper di Roma Casilino e nel 2008 in quello di Aprilia, anche in questi casi ha interessatola barriera casse. Le Isole del Tempo rappresentano infatti un’organizzazione del lavoro tipica delle casse quale unità in cuisi ha una forte standardizzazione del lavoro, tale caratteristica deve essere tenuta presente nella valutazione di un’eventuale possibilità di estensione del modello anche in altri ambiti che compongono il punto vendita. E' interessante riportare alcuni datiche ho raccolto sull'esperienza delle isole del tempo:

Dipendentiin barriera casse

Anno di attivazione del progetto

Maschi Femmine Di cui part-time

Di cuifull-time

Ipercoop livorno

2003 68 1 67 2

Ipercoop Casilino

2005 42 1 42 1

Ipercoop Aprilia

2008 54 0 54 0

TOTALE 164 2 163 3

Sono esemplificativi i numeri del part-time che danno una maggiorepossibilità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. La socializzazione femminile è pesantemente segnata dalla minaccia disvalutazione, in particolare quando ci si allontana dai tradizionali compiti di cura, e questo lascia spazio a molteplici interferenze. Sappiamo che le relazioni conflittuali tra lavoro

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professionale e lavoro di cura possono avere esiti negativi sia sulla soddisfazione lavorativa che, più in generale, sulla soddisfazione per la propria vita, con più frequenti intenzioni diabbandono, maggiore tensione e più alti livelli di somatizzazione e di burnout, quest'ultima è una conseguenza patologica di un processo stressogeno di chi esercita professioni d'aiuto. Una donna empowered non vive sempre una situazione relazionale facile: molte ricerche hanno sottolineato gli esiti psicologici connessi al cambiamento dei ruoli quanto il reddito familiare è prodotto dalla donna, e i conflitti derivanti da una situazione dipotere economico diversa dalla tradizionale, ovvero quella in cui “a portare il pane a casa era il maschio”: l'uomo breadwinner. La diversità di genere in ambito lavorativo dev'essere considerata insenso inclusivo, come afferma la Carta Pari Opportunità e com'è orientata l'azione della Consigliera di Parità, è necessario consentire un'equilibrata partecipazione di tutti i soggetti con le loro specificità. L'obbiettivo è quello di consentire a tutti di sviluppare il proprio capitale, seguendo un approccio chiamato diversity management. Grande punto di riferimento per quest'approccio è il Manuale di Formazione sul Diversity Management promosso e finanziato dalla Commissione Europea. L'attività di tirocinio svolta presso l'Ufficio della Consigliera di Parità mi ha fatto riflettere sulla differenza tra azioni positive e politiche di diversity management. La progettazione di azioni positive avevano tutte come obbiettivo la tutela e la promozione di alcune categorie di persone, allo scopo di eliminareogni forma di discriminazione, le politiche di diversity management mirano invece a valorizzare talenti individuali tenendoconto dei vantaggi che ne può tratte l'organizzazione. La metodologia inclusiva di entrambe sfocia in una differenza di obbiettivi finali. In un clima di inclusione però; la valorizzazione dei talenti è considerata all'interno della sfera delle azioni positive, se così non fosse esse si limiterebbero a “eliminare le disparità di fatto di cui le donne sono oggetto nellavita lavorativa e favorire il loro inserimento nel mercato del lavoro”.

Altra riflessione che potrebbe far risultare paradossale il diversity management è stata su uno dei suoi principi guida. “Per

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creare pari opportunità ognuno deve essere trattato in modo diverso.”

Se ci soffermiamo sulla denominazione di tale gestione delle risorse umane: “diversity management” ci accorgiamo che la parola chiave diversity esprime un potenziale da utilizzare affinché ad ognuno venga riconosciuto il diritto di sviluppare il proprio, peculiare capitale.

La Dott.ssa Maria Mantini, che ho avuto il piacere di conoscere durante il ciclo di seminari in Provincia di Livorno, del Centro Studi Progetto Donna e Diversity Management di Bologna ci ha ribadito che gestire la diversità significa includere la diversità.

Appaiono chiare quindi le opportunità da cogliere attraverso l'integrazione di genere in contesti lavorativi:

migliorare le modalità di raccolta delle informazioni sulle esperienze negative di lavoro di uomini e donne e sollecitare un loro ruolo proattivo nel portare contributi per il miglioramento delle prassi di lavoro e di prevenzione.

Migliorare il monitoraggio e la raccolta di dati/informazionisulla salute e sicurezza in ottica di genere per intervenire in modo mirato, eliminando eventuali fattori di vulnerabilità di gruppi di lavoratori e fattori di esposizione ai rischi, non evidenti attraverso un analisi di tipo neutro.

Assicurarsi che tutti gli accordi e le politiche di salute e sicurezza tengano conto delle pratiche di genere

Innalzare la qualità del lavoro per tutti i lavoratori, tenendo conto delle peculiarità individuali a partire dal genere di appartenenza.

Adottare politiche mirate per un miglior equilibrio tra tempie carichi nella vita lavorativa e privata. In materia di sicurezza sul lavoro in ottica di genere è stato interessante analizzare i dati forniti dall'INAIL Toscana per indagare se e in che misura gli aspetti connessi all'ambiente di lavoro e di vita possono incidere sulla salute e sicurezza in itinere anche in base al genere. L'infortunio in itinere è l'infortunio conseguente al rischio della strada, che coinvolge illavoratore nel percorso dell'abitazione attuale al luogo di lavoroe viceversa, oppure dal luogo di lavoro a quello di consumo del pasto se diverso dall'abitazione e da un luogo di lavoro

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all'altro, quando il lavoratore presta servizio per più di un datore di lavoro. Si tratta quindi di un infortunio che si verifica al di fuori del luogo e dell'orario di lavoro. I dati pubblicati dall'INAIL nel Rapporto Annuale 2011 evidenziano, rispetto al 2010, un calo degli infortuni in complesso denunciati pari al 6,6%, con una diminuzione più sensibile degli infortuni initinere, che da 88.129 casi nel 2010 sono passati a 81.861 nel 2011. Il calo infortunistico in complesso ha interessato sia i lavoratori (-7,0%) che le lavoratrici (-5.6%).Gli infortuni denunciati nel 2011 per sesso e tipologia hanno riscontrato questi risultati: gli infortuni occorsi alle donne in occasione di lavoro sono quasi il 30% del totale e poco più del 6%dei mortali, dati che rispecchiano la minor rischiosità delle attività svolte dalle donne, occupate prevalentemente nei servizi,in settori a bassa pericolosità o, se in settori a maggior rischio, in ruoli impiegatizi o dirigenziali. Gli infortuni in itinere sono invece pressoché equamente distribuiti tra uomini e donne, per le quali i casi mortali costituiscono il 20% del totale(240): dei 90 infortuni mortali occorsi alle donne nel 2011, oltrela metà (48) sono in itinere, mentre per gli uomini i decessi in itinere sono circa il 23% degli 830 casi mortali. Questi dati evidenziano che per le donne, che sono circa il 51% della popolazione residente in Italia ma rappresentano poco più del 40% del totale dei lavoratori, la probabilità di subire un infortunio in itinere è superiore di quasi il 50% rispetto a quella del collega maschio. L'approccio di genere consente di affrontare specifici problemi alfine di promuovere la salute in modo uniforme, globale e universale, per donne e uomini.Questi dati ci mostrano come l'esposizione delle donne a infortuniin luoghi di lavoro sia minore in quanto meno rischiose le mansioni che le vengono affidate mentre mostrano come siano più frequenti gli infortuni in itinere; “come se” oltre al loro lavororetribuito ne facessero un altro “non retribuito”: il lavoro di cura.

Normative europee di genere

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Le discriminazione in ambito lavorativo sono regolamentate dalla normativa europea e nazionale. La direttiva 2000/43/CE sancisce ilprincipio di parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica. Tale principio comporta che non sia praticata nessuna discriminazione diretta o indiretta. Anche le molestie sono considerate discriminazioni. La tutela è assicurata sia nel settore pubblico che nel settore privato. Sono legittimati ad agire associazioni edenti inseriti in un apposito elenco approvato con decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali e del Ministro dellePari Opportunità. La direttiva 2000/78/CE sancisce il principio di parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalle religioni e dalle convinzioni personali, dagli handicap, dall'età e dall'orientamento sessuale per quanto concerne l'occupazione e le condizioni di lavoro. Sono legittimati ad agire enti ed organizzazioni nazionali e locali maggiormente rappresentativi. La direttiva 2002/73/CE sancisce il principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne, per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione professionale, e alla promozione professionale e le condizioni di lavoro. Oggi è trasposta nel d.lgs. 11 Aprile 2006 n.198 “Codice delle Pari Opportunità tra uomo e donna” in materia di azioni positive per larealizzazione della parità uomo-donna nel lavoro. L'approccio di genere, come ho già accennato, significa sia predisporre programmispecifici per le donne, sia fornire strumenti di analisi complessiva che mettono in luce i diversi ruoli sociali e i bisogni strategici tra i due sessi. La normativa prevede lo strumento delle Azioni Positive, che sono misure atte a superare gli ostacoli che di fatto si frappongono alla realizzazioni delle Pari Opportunità delle donne e degli uomini.

Un nuovo Statuto delle Province?

Durante l'acquisizione di queste norme, il clima all'interno dellaProvincia di Livorno non era sereno a cause dei cambiamenti in materia di riordino delle Provincie in seguito all'approvazione della Legge di Stabilità. Ho partecipato, così, alle osservazioni sull'elaborando Statuto della Provincia. Rivolgendosi al

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Presidente della Provincia dott. Alessandro Franchi e alle signoreConsigliere e ai signori Consiglieri della Provincia in una relazione è stato osservato che; la Provincia di Livorno, come tutte le altre, sta vivendo una difficile fase di passaggio, in cui si verifica un vero e proprio cambio di identità di un Ente, tuttora presente in Costituzione, che vede un rapporto diverso conla propria comunità e con i compiti a cui le norme lo chiamano. Una delle tappe di questo passaggio è la predisposizione del nuovoStatuto, una vera e propria carta fondativa che recepisca, appunto, le garanzie costituzionali. Nell'elaborando Statuto ho approvato esser necessari i contenuti del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (Decreto legislativo 11 aprile 2006 n.198) che dispone, all.'art. 1, l'adozione di misure volte ad eliminare ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza, o come scopo, di compromettere o di impedire il riconoscimento, il godimento o l'esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, e civile o in ogni altro campo. Nel nuovo Statuto deve essere presente una forte sottolineatura della necessità di misure volte ad assicurare, nella programmazione delle scelte di governo, l'inclusività come paradigma da seguire, contro ogni discriminazione. La legge 215 del 2012 e la stessa legge Delrio (n.56 del 7 aprile 2014) hanno previsto che gli Statuti stabiliscano norme per “garantire” e non più semplicemente per “promuovere” la presenza di entrambi i sessinegli organi delle Amministrazioni. La legge Golfo 120/2011 ha introdotto, in Italia, le quote di genere nei Consigli di Amministrazione e nei Collegi Sindacali nelle società quotate in borsa e di quelle quotate dalle PubblicheAmministrazioni. Non si può prescindere dall'inserimento nello Statuto dei contenuti presenti nella Carta per le Pari Opportunità e Uguaglianza sul lavoro, adottata dalla Provincia di Livorno con deliberazione della Giunta Provinciale n.195 del 18.12.2013, che promuovono una cultura aziendale e politiche delle risorse umane inclusive, libera da discriminazioni e pregiudizi e capaci di valorizzare i talenti in tutta la loro diversità, nel realizzare un ambiente di lavoro che assicuri a tutti pari opportunità e il riconoscimento di potenziale e competenze individuali.

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Mi sono dedicata anche allo studio della nascita e delle competenze del CUG “Comitato Unico di garanzia per le Pari Opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni” che sostituisce, unificando le competenze in un solo organismo, i comitati per le pari opportunità e i comitati paritetici sul fenomeno del mobbing, costituiti in applicazione della contrattazione collettiva, dei quali assume tutte le funzioni previste dalla legge, dai contratticollettivi relativi al personale delle amministrazioni pubbliche oda altre disposizioni. Il CUG: *Assicura, nell’ambito del lavoro pubblico, parità e pari opportunità di genere, rafforzando la tutela dei lavoratori e delle lavoratrici e garantendo l’assenza di qualunque forma di violenza morale o psicologica e di discriminazione, diretta e indiretta, relativa al genere, all’età, all’orientamento sessuale,alla razza, all’origine etnica, alla disabilità, alla religione e alla lingua.*Favorisce l’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico, migliorando l’efficienza delle prestazioni lavorative, anche attraverso la realizzazione di un ambiente di lavoro caratterizzato dal rispetto dei principi di pari opportunità, di benessere organizzativo e di contrasto di qualsiasi forma di discriminazione e di violenza morale o psichica nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici.

*Razionalizza e rende efficiente ed efficace l’organizzazione della Pubblica Amministrazione anche in materia di pari opportunità, contrasto alle discriminazioni e benessere dei lavoratori e delle lavoratrici.

Progettando “una” rete

Nonostante le problematiche di stress e preoccupazioni dei dipendenti della Provincia per la proprio posizione professionale,la Consigliera di Parità con la collaborazione della forze dell'ordine, pubbliche amministrazioni, servizi socio e sanitari, associazioni di settore, associazioni di volontariato ha continuato a dar vita al Progetto Vis Network, nato per l'esigenza

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di assistenza alle vittime di reato della Provincia di Livorno. IlProgetto consiste nella realizzazione di una rete di presidi e di iniziative che siano in grado di rispondere, in modo articolato, alle esigente provenienti da persone che si trovano ad affrontare le conseguenze di un reato. Intende farsi carico degli effetti derivanti da reati connessi alla violenza domestica, alla violenzainter-individuale, agli eventi criminosi che pregiudicano integrità fisica e psichica degli individui. In sintonia con le direttive europee, è prevista la realizzazione di uno sportello avente come oggetto le attività volte a sostegno delle persone chehanno subito un reato ed attività “indirette”, rivolte agli operatori, alla rete di servizi ed alla comunità locale. Nasce dalla volontà dei partner e dei soggetti di rete di creare un servizio gratuito a disposizione delle vittime.Il progetto è destinato a tutti coloro in quanto vittime di qualsiasi tipologia di reato, indipendentemente dalla loro età, genere, nazionalità, origine etnica, religione, condizione socialeed economica.I soggetti promotori: Provincia di Livorno, Regione Toscana, Università di Pisa, Az. USL 6 di Livorno, Provincia di Livorno Sviluppo srl, Questura di Livorno, Prefettura di Livorno, Carabinieri Comando Pro.le di Livorno, Consigliera di Parità Provincia di Livorno, USR Toscana Ufficio XII Ambito Territoriale Provincia Livorno, Comune di Livorno, Comune di Piombino, Comune di Cecina, Comune di Rosignano, Comune di Castagneto Carducci, Società Volontaria di Soccorso Livorno, AUSER volontariato Territoriale Livorno, AIDO Sezione provinciale di Livorno, Osservatorio italiano di Vittimologia, Fondazione Caritas Livorno Onlus, Arci Bassa Val di Cecina, Arcigay Livorno “Il faro”, Associazione Ippogrifo, Associazione Randi, CeSDI- Centro servizi donne immigrate onlus, Associazione P 24 LILI- sede di Livorno, UEPE Ministero di Giustizia di Livorno, Associazione Cure Palliative di Livorno onlus; hanno sottoscritto in data 5.11.2013 un protocollo avente ad oggetto la costituzione di una “Rete a supporto delle vittime” persvolgere attività di pianificazione, sensibilizzazione, informazione, prevenzione, supporto e assistenza alle vittime di reato nell'area provinciale di Livorno. A seguito della suddetta

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sottoscrizione il protocollo è divenuto efficace ed i firmatari hanno provveduto ad effettuare idonea formazione.A favore delle persone offese l'attività è articolata in quattro momenti;

Informazione: Il Pubblico Ministero (verificata la disponibilità) il personale di Polizia Giudiziaria, il personale della Prefettura UTG, i rappresentanti delle Forze dell'Ordine, gli operatori scolastici, sociali e sanitari chesiano interpellati da una persona offesa possono informarla della possibilità d rivolgersi alla Rete Vis per rivere assistenza di carattere psicologico, legale, medico-psichiatrica o fruire delle attività di mediazione.

Accoglienza: la fase di accoglienza ha lo scopo di: offrire un primo ascolto, una risposta immediata alle eventuali urgenze, mettere in forma la domanda di aiuto, valutando la possibilità di proseguire con una attività di sostegno o percorsi specialistici offerti dalla Rete Vis., consentire una fruizione consapevole delle opportunità della Rete.

Orientamento: la fase di orientamento ha lo scopo di; orientare attraverso un operatore di riferimento, le persone che si rivolgono alla Rete Vis, in merito ai servizi ed alle opportunità presenti sul territorio, in tema di: protezione, lavoro, formazione, casa, accesso alle cure, accesso ai fondidi risarcimento, ecc.., monitorare il percorso delle persone nell'ambito delle attività della Rete, favorendone la conoscenza.

In seguito al lavoro svolto nei colloqui di accoglienza, potranno essere attivati, anche parallelamente, uno o più percorsi, seguitidai soggetti e/o enti della rete a seconda delle proprie specifiche competenze e peculiarità: Il percorso giudiziario rappresenta, per il nostro ordinamento, il“luogo” deputato alla soddisfazione dei diritti delle persone offese. Tuttavia, proprio per l'organizzazione ed i limiti del nostro sistema, non sempre al processo corrisponde un reale riconoscimento dei bisogni che l'esperienza della vittimizzazione indice in chi ha subito un reato.Per questo diventa fondamentale far conoscere loro, indipendentemente dagli esiti e soprattutto dai tempi dei processi, tutti quei diritti correlati alle esigenze/emergenze di

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carattere sociale per i quali si trovano ad interagire con i servizi pubblici e privati sul territorio.Per le indispensabili informazioni sul percorso giudiziario sono previsti due colloqui di consulenza giuridica, con correlata attività di studio dell'avvocato; per quel che riguarda invece le informazioni sui diritti stragiudiziali spesso è necessaria un'attività complementare di orientamento ed accompagnamento i servizi finalizzata a fornire strumenti per permettere agli interessati una futura fruizione autonoma. In questo secondo caso il consulente legale viene supportato ad un operatore specializzato. Il consulente legale si occupa inoltre di fornire alle persone offese informazioni inerenti: * le possibilità di tutela del processo penale

le informazioni sulla costituzione di parte civile le possibilità risarcitorie e le modalità alternative di

riparazione del danno arrecato dall'offesa le modalità di svolgimento del processo le modalità e condizioni di accesso ai fondi aspecifici

previsti le informaizioni sull'esercizio dei proprio diritti nei vari

rapporti con gli uffici pubblici

Il sostegno psicologico I colloqui di sostegno vengono proposti a chi nel corso degli incontri di accoglienza evidenzia il desiderio di un luogo e di untempo in cui provare ad elaborare un sapere sulla propria sofferenza al fine di sviluppare un percorso di consapevolezza. Non si tratta di una psicoterapia data la breve durata del percorso, costituito da cinque (o altro numero) colloqui rinnovabili per altri cinque (altro numero) ma di tempo in cui la persona che sceglie di avviare questo lavoro, può accompagnata da uno psicologo provare ad elaborare alcune questioni per lei maggiormente cruciali. Le finalità di questo intervento sono molteplici: si tratta in alcune situazioni di ripercorrere il filodella storia che ha portato alla denuncia, provando a darne una lettura ed un senso. Laddove ve ne siano le condizioni, il lavoro può condurre a reperire l'implicazione soggettiva in ciò che provoca sofferenza di chi ha scelto di intraprendere questo percorso, passo imprescindibile per potersi smarcare da una

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posizione di impotenza. In altri casi si tratta invece di accompagnare la persona a ritrovare e alle volte inventare creativamente le condizioni che rendano possibile il ripristinarsidi un nuovo equilibrio e di una nuova modalità di stare nei legamisociali.

Trattamento integrato psicologico e psichiatricoLaddove in fase di accoglienza emerga una sofferenza che assuma lecaratteristiche di una sintomatologia pervasiva e/o acuta, i soggetti potranno essere inviati con il loro consenso agli operatori che attueranno un percorso integrato di trattamento psichiatrico e psicologico.Obbiettivo dell'intervento è inizialmente la valutazione attraverso un assessment personologico e traumatologico, dagli eventuali fattori di rischio per cui una vittima può sviluppare segni e sintomi di sofferenza psichica insieme ad un eventuale compromissione del funzionamento relazionale, sociale e lavorativo, non riuscendo a mobilitare risorse soggettive per far fronte all'evento stressante costituito dal reato. A seconda deglielementi emersi, l'intervento potrà svilupparsi con fini di prevenzione.In presenza invece si segni e sintomi dello spettro post-traumatico, l'intervento integrato (attraverso l'abbinamento del trattamento farmacologico con quello psicologico/psicoterapeutico)ha come finalità principali: l'elaborazione dell'evento traumatico, l'individuazione di strategie più funzionali per affrontare le conseguenze dello stress e più in generale la prevenzione sia dei disturbi dello spettro post-traumatico e dellaloro possibile cronicizzazione, sia della vittimizzazione secondaria. Il trattamento può essere erogato dai Distretti di Salute Mentale competenti sul territorio.

MediazioneNel caso in cui la persona offesa esprima il desiderio di incontrare l'autore del reato, può accedere ad un percorso di mediazione (anche culturale).La mediazione oltre ad essere il luogo dell'ascolto, è il luogo della parola, in quanto accompagna le persone in uno “spazio protetto di parola” e permette attraverso l'esperienza del

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“mettersi al posto di” un lavoro sulla dimensione umana ed emotivadel conflitto, tenendo conto della complessità delle relazioni. Il percorso di mediazione prevede alcuni incontri individuali di pre-mediazione a cui possono seguire incontri congiunti di mediazione diretta o individuali di mediazione indiretta.I colloqui di pre-mediazione volti a valutare le condizioni per una mediazione diretta o indiretta, permettono alle parti di:

esprimere consenso libero e volontario rileggere, soprattutto sul piano dei vissuti e delle

emozioni, il conflitto in atto acquisire consapevolezza sulla propria implicazione e

percezione del conflitto verificare la possibilità di riappropriarsi della gestione

del conflittoLa mediazione diretta, ovvero il “faccia a faccia” tra le persone in conflitto, prevede colloqui alla presenza di uno o più mediatori (anche culturali), volti a ristabilire una comunicazionetra le parti.Laddove il disagio ed il conflitto si sono espressi con l'agito, icolloqui congiunti favoriscono un confronto costruttivo tra le parti sui vissuti che l'evento conflittuale ha generato, per evolvere verso un accordo soddisfacente o un atto di riparazione simbolico.Qualora non sussistano i presupposti per una mediazione diretta, si valuta l'opportunità di avviare e condurre una “mediazione indiretta”: il mediatore svolge la funzione di ponte comunicativo tra le parti, rendendo possibile un avvicinamento nelle situazioniin cui permane alta resistenza all'incontro congiunto. La mediazione è lo strumento principale che risponde ai bisogni digiustizia riparativa. La giustizia riparativa si configura come unmodello di giustizia “relazionale” volta a promuovere la riparazione del danno causato dall'offesa attraverso la partecipazione attiva della vittima e dell'autore del reato.

Primo passo fondamentale, conseguente alla ricezione di una chiamata telefonica che possa essere di aiuto o pseudo aiuto, è lacompilazione da parte dell'operatore della seguente scheda:

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Data Data del primo contatto

Utente Cognome Nome Nazionalità Luogo di residenza/domicilio Contatto sicuro anche diverso dal richiedente Tel: e-mail Motivo chiamata

Scheda compilata da:

Questa scheda di rilevazione “Sportello Vis” è stata elaborata durante una riunione con gli operatori (menzionati sopra) al fine di identificare e annotare il primo contatto con il richiedente aiuto.

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Abbiamo ritenuto utile crearne un'altra da compilare in sede di “accoglienza”, quindi nel momento in cui il soggetto, ritenutosi vittima di un abuso, violenza fisica o psicologica abbia accettanodi recarsi allo sportello.La seconda scheda di rilevazione ci permette di evidenziare aspetti peculiari di tale soggetto al fine di indirizzarlo all'operatore/i adeguato/i.

Data Data del primo contatto

Utente Cognome Nome NazionalitàLuogo di residenza/domicilio Contatto sicuro anche diverso dal richiedente Tel: e-mail

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Persona vittima di violenza/maltrattamentiPersona vittima di sfruttamento sessuale/tratta

Minore/adolescenteAnziano/a

Diversamente abileImmigrato/a

Persona in stato di povertàPersona con disagio mentale

Persona con malattia importantePersona con problemi di dipendenza (da sostanze, alcool,

ecc.)Famiglia/coppia

altro

Descrizione stato persona:

Esposizione accaduto:

1) luogo

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2) quando

3) chi era presente

Scheda compilata da:

“Autorizzo il trattamento dei miei dati personali ai sensi delDlgs 196 del 30 giugno 2003”

In fede

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Alcuni concetti chiave che sono emersi dalla riunione che fanno parte dell'ossatura del lavoro e che vengono appunto condivisi dalla rete:

l'importanza del linguaggio e atteggiamento fisico e gestualenel rapporto con la vittima

la necessità della formazione continua per gli operatori la centralità della vittima nel processo del trattamento,

volta anche ad evitare “il monopolio del dolore” da parte di enti o associazioni che si occupano di vittime trasformandoleda soggetti ad oggetti

l'equilibrio tra gli attori, tra pubblico e privato sociale, che richiama il problema della governance: la disponibilità del pubblico a farsi punto di riferimento della rete emerge dalla letteratura ed è presente anche qui

l'indipendenza dell'accoglienza della vittima indipendentemente dalle denunce, ¾ delle vittime che vengono accolte allo sportello non hanno sporto denuncia

sincronia tra gli operatori e i vertici, con chiarezza sui nodi della rete perché funzioni e ci sia uno scambio di informazioni

individuare le competenze: chi fa cosa, quando e dove, per evitare sovrapposizioni

Occorre pensare alla rete come: aperta: che possa accogliere nuovi attori anti-burocratica con una governance chiara centrata sulla vittima auto-riflessiva, con la capacità di avere un feedback sulle

proprie azioni e di migliorarle con la formazione continua degli operatori

Una visione sociologica del Progetto SportelloVis

La creazione di questa rete di interventi a basa volontaria, è stata percepita dal mio “intelletto sociologico” come l'organizzazione sociale comunità caratterizzata da razionalismo, grazie alla metodologia decritta di rilevazione dei dati, e

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volontarismo, presente della forte spinta umanitaria verso chi chiede aiuto. Tonnies ritiene la comunità come “momento più elementare di aggregazione degli uomini rispetto alla società, ciò che la caratterizza è la comprensione; “un modo di sentire comune e reciproco, associativo ..”La società si identifica in una “cerchia di uomini che, come nellacomunità, vivono e abitano pacificamente l'uno accanto all'altro, ma che non sono già essenzialmente legati bensì essenzialmente separati, rimanendo separati nonostante tutti i legami, mentre là rimangono legati nonostante tutte le separazioni”. Nelle società “ognuno sta per conto proprio e in uno stato di tensione con tuttigli altri.” “Nessuno farà qualcosa per l'altro, nessuno vorrà concedere e dare qualcosa all'altro, se non in cambio di una prestazione o di una donazione reciproca che egli ritenga almeno pari alla sua”. “Il legame naturale che univa gli individui nella comunità si spezza nella società.”L'opposizione fornita da Tonnies tra comunità e società esprime letensioni alla base della modernizzazione, l'emergere dei caratterisocietari tende a produrre, divisioni di interesse, difficoltà di adattamento personale, riduzione ad appartenenza di valori morali.Alla rete può essere associata quindi la volontà di creare una “sfera protettiva” in cui chi è stato maltrattato e violentato ha in diritto di riappropriarsi della propria libertà socio-soggettiva. Libertà che consente di esprime se stesso con le proprie peculiarità e diversità. Questo senso di libertà al ruolo istituzionale della Consigliera di Parità non sfugge. Ella con il suo incarico e bagaglio di valori tende con le sue politiche, applicate localmente, ad integrare, tutelare ed agevolare chi subisce qualsiasi forma di discriminazione.

Uno sguardo al Sesto rapporto sulla violenza di genere in Toscana,un'analisi dei dati dei Centri Anti-violenza anno 2014

La necessità di avere dati relativi al fenomeno della violenza di genere è presente già nel 1992 nella Raccomandazione generale della Convention on the Elimination of all forms of Discrimination

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Against Women n. 19 ed è recentemente ribadita nella Convenzione di Istanbul, che all'articolo 11.1 comma a) sancisce l'impegno a “Raccogliere a intervalli regolari i dati statistici disaggregati pertinenti su questioni relative a qualsiasi forma di violenza”, ribadendo anche la necessità che tali informazioni siano messe a disposizione del pubblico. La Convenzione di Istanbul è lo strumento internazionale più importante sulla violenza contro le donne, ratificata dal Parlamento italiano nel luglio 2013.La Convenzione dà una definizione precisa della violenza contro ledonne, designa una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, che si esprime in atti che provocano o possono provocare danno o sofferenze di natura fisica,sessuale, psicologica o economica. Comprese le minacce di compieretali atti, la coercizione o la privazione arbitraria di libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata; l'espressione “violenza domestica” designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l'autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima; con il termine “genere” ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per le donne e uomini: l'espressione “violenza contro le donne basata sul genere” designaqualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato. Gli obbiettivi della Convenzione di Istanbul sono:

proteggere le donne da ogni forma di violenza e prevenire, perseguire ed eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica

contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione controle donne e promuovere la concreta parità tra i sessi, ivi compreso rafforzando l'autonomia e l'autodeterminazione delledonne

predisporre un quadro globale, politiche e misure di protezione e di assistenza a favore di tutte le vittime di violenza contro le donne e di violenza domestica

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promuovere la cooperazione internazionale al fine di eliminare la violenza contro le donne e la violenza domesticae sostenere e assistere le organizzazioni e autorità incaricate dell'applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente, al fine di adottare un approccio integrato per l'eliminazione della violenza contro le donne ela violenza domestica

Tornando ai dati, la Regione Toscana già dal 2007 con la Legge Regionale 59 sancisce l'importanza della raccolta dei dati sulla violenza di genere al fine di armonizzare le proprie politiche di intervento, assegnando questo ruolo alla sezione Osservatorio regionale sulla violenza di genere istituita ad hoc presso l'Osservatorio Sociale Regionale. “Realizzare un sistema di osservazione, monitoraggio, analisi e previsione del fenomeno della violenza di genere nonché di monitoraggio e analisi di impatto delle relative politiche attraverso la raccolta e l'elaborazione di dati forniti dai centri antiviolenza, dal centrodi coordinamento, dai consultori e dai servizi territoriali nonché, in genere, da tutti i soggetti aderenti alla rete promossadalla Regione che ne dovranno prevedere la raccolta e la trasmissione. Le attività di informazione e raccolta dati costituiscono elementi rilevanti per la costituzione e il funzionamento della rete di cui alla l.r. 59/2007 nonché per le attività di prevenzione e formazione degli operatori. Nel mese di luglio 2009 la Regione Toscana ha creato un database in cui i Centri anti-violenza hanno inserito i dati dei loro accessi dal 1° luglio 2009. Nei cinque anni considerati nel loro complesso la percentuale di donne italiane rappresenta il 69,3% all'interno del corpus di utenti e la percentuale di donne straniere il restante 30,7%. Guardando alla distribuzione per cittadinanza per periodo di rifermento, delle donne che si sono rivolte ai Centri, si può notare come il rapporto tra utenti autoctone e non autoctone sia piuttosto altalenante: tra il primo e il secondo periodo (2009/2010- 2010/2011) si registra soprattutto un aumento di donne straniere, tra il secondo e il terzo periodo (2010/2011- 2011/2012) l'aumento è più consistente nelle donne italiane: nel V Rapporto confrontando terzo e quarto periodo (2011/2012- 2012/2013) si è registrato il caso eclatante

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di una crescita delle utenti del 22,5% dovuta esclusivamente a donne italiane con un incremento di 441 unità, mentre le stranierediminuiscono di 3. Negli ultimi 12 mesi, invece, la crescita delladomanda è piuttosto sbilanciata a favore delle straniere, 36 donnein più rispetto all'anno precedente, mentre le italiane aumentano di 25 unità. Ho osservato come le caratteristiche delle donne che si rivolgono ai Centri non siano di fatto cambiate nel corso dei cinque anni. Donne straniere: il 42,3% delle donne straniere convive con il partner e non ha un proprio reddito fisso. Tra le donne che lavorano la maggior parte svolge la professione di operaia (65,8%). Si tratta generalmente di donne molto giovani: solo poco più del 30% ha più di 39 anni. Donne italiane: Più eterogenee le caratteristiche delle utenti autoctone, che si distribuiscono nella fascia di età che va dai 30ai 49 anni. L'analisi incrociata di situazione familiare e redditonon vede categorie fortemente predominanti, seppur emerge una maggiore frequenza delle utenti economicamente indipendenti, tra coloro che convivono come tra le altre. Alle donne che hanno un'occupazione- stabile o meno- viene chiestoil tipo di lavoro svolto. Negli ultimi dodici mesi aumentano soprattutto le operaie (tra le straniere) e coloro che svolgono un'attività impiegatizia (tra le italiane). Anche rispetto al titolo di studio dell'ultimo periodo si registra un'inversione di tendenza rispetto a quanto rilevato nel V Rapporto: a rivolgersi ai Centri sono soprattutto le donne con al più la licenza media, mentre diminuiscono quelle con il diploma.

Semantica e femicidio I termini femicidio o femmicidio, feminicidio o femminicidio sono diventati patrimonio linguistico comune, grazie al loro utilizzo mediatico. In letteratura si è finalmente giunti a una definizione condivisa di:

femicidio (o femmicidio) quando l'esito della violenza è la morte della donna

feminicidio (o femminicidio) quando ci si riferisce all'insieme dei comportamenti violenti che possono portare

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alla morte della donna oppure tendono al suo annientamento fisico o psicologico.

Elementi classificatori per una tipologia di definizioni delfemicidio

Evento che porta alla

morte

Uccisione tout court

L'uccisione e morte può essereavvenuta anche in maniera indiretta (suicidio e morte collaterale)

Relazione intima pregressa o

Necessaria

Tipo 1(a)

Tipo2 (b)

attuale tra vittima e aggressore

Non necessaria

Tipo 3 (c)

Tipo 4 (d)

Alla base di queste definizioni c'è però un elemento comune: il femicidio non è un omocidio tout court. Nonostante questa sia la linea adottata anche dalle Nazioni Unite, permane ancora una certaconfusione terminologica che ha una diretta conseguenza sulla rilevazione dei dati. In particolare la scelta di identificare il femicidio con l'omicidio di una donna, ancora presente in studi recenti, porta a dichiarare che i femicidi sono in forte diminuzione, mentre calano solo gli omicidi di donne per motivazioni non legate al genere. Contemporaneamente questa sovrapposizione tra “omocidio di donna” e “femicidio” ha come conseguenza quella di effettuare confronti transazionali fortemente influenzati dal tasso di criminalità di tipo “ordinario”.

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(a) Tipo 1. In questo caso è la relazione con l'aggressore a caratterizzare il femicidio e a farci ammettere di essere di fronte a un tal tipo di reato. La rilevazione dei dati dovrebbe più semplice, sempre però che si sia in possesso dell'informazione della relazione esistente tra vittima e aggressore. E' la definizione utilizzata dal Protect, che considera “la violenza da partner intimo come il contesto più ampio del femicidio al fine di analizzare la disponibilità di dati sia a livello europeo che nazionale”

(b) Tipo 2. Questo secondo tipo deriva dalla definizione estesa di Intimate Partner Violence (IPV) data dalla Société Civile Psytel (2010) all'interno del Daphne III-2007, per stabilire i costi delle morti “per relazione intimo-affettiva” in Europa. La Société Civile Psytel estende a tutti i casi diuccisione volontarie e di suicidi che avvengono all'interno di una relazione intimo-affettiva donna-uomo, uomo-uomo, donna-donna, e a tutti i casi di morti collaterali (figli e parenti). Quindi secondo tale visione la definizione ristretta di femicidio dovrebbe comprendere l'uccisione della donna dal partner o dall'ex, il suicidio del partner o ex che ha perpetrato la violenza, il suicidio della donna vittima di IPV,le morti collaterali dei figli o dei parenti della donna. In questo caso evidentemente la rilevazione dei dati è resa complicata soprattutto dall'inclusione dei suicidi e delle morti collaterali e richiede analisi dei dati approfondite e su fonti diversificate.

(c) Tipo 4. In questo caso siamo alla definizione più ampia di femicidio presente nel dibattito internazionale, per cui la rilevazione dei dati è estremamente complicata. In alcune sue particolari accezioni infatti questo include anche le morti per aborto clandestino in paesi in cui l'interruzione volontaria di gravidanza non è legale (o non lo è per alcune fasce di popolazione, come le straniere irregolari) o i decessi avvenuti in seguito a pratiche misogine, tribali o di Stato.

L'analisi dei dati provenienti dalle due fonti: rassegna stampa raccolta dalla Casa delle donne di Bologna e il Registro MortalitàRegionale toscano) non è in grado da sola di identificare tutti i casi di femminicidio anche se viene raggiunto un buon livello di completezza. In ogni caso è stato evidenziato che occorre un lavoro aggiuntivo notevole di pulizia dei dati per identificare unterzo dei casi complessivi di femicidio.

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Non è possibile fare una stima dei femicidi sul totale degli omicidi poiché una parte dei casi di femicidio non risulta certificata come omocidio: per riuscire a ottenere questa stima sarebbe necessario poter lavorare anche sui dati delle denunce, confrontando pertanto i dati ottenibili da tre fonti. E' però possibile valutare la completezza del sistema di raccolta così realizzato stimando l'entità complessiva dei casi di femicidio chesi sono verificati nel periodo in esame mediante l'analisi dei dati cosiddetta di “cattura-ricattura”, particolarmente adatta in situazioni come quella esaminata nelle quali esistano più fonti informative, tra di loro indipendenti e non esaustive. Questo metodo, nato nell'ambito di studi volti a misurare l'ampiezza di popolazioni animali allo stato brado, ha trovato un crescente impiego in un recente passato anche in ambito umano, rappresentando uno strumento indispensabile di validazione e di misura di completezza per sistemi di registrazione di eventi avversi per la salute umana.La collaborazione ha evidenziato che per poter avere una banca dati completa e accurata dei femicidi occorra un lavoro coordinatoche prende in considerazione tutte le fonti informative disponibili: quelle utilizzate, infatti, non sono riuscite da solea registrare tutta la casistica, ma il confronto tra le informazioni presenti in entrambe, utilizzando un approccio qualitativo e quantitativo, ha permesso di arrivare ad un databaseunitario e all'obbiettivo di quantificare meglio la casistica di interesse. Partendo da questa esperienza collaborativa, emerge l'importanza di poter ulteriormente migliorare la sorveglianza delfenomeno femicidio attraverso un lavoro coordinato anche con il Ministero dell'Interno, completando la casistica e chiarendo i casi dubbi. E' importante capire quanti e quali sono i casi di donne uccise per motivi di genere che sono passate dai Centri anti-violenza e imotivi per i quali non è stato possibile scongiurare l'evento morte; quanti sono i casi che potevano essere intercettati dal Pronto Soccorso ospedalieri; e quanti dai Consultori, solo per citare soggetti presenti nelle reti locali contro la violenza. Si tratta cioè di acquisire sempre più conoscenze che necessitano di azioni integrate e sinergiche tra i settori sociali e sanitari pubblici e del terzo settore, per compiere quel fondamentale

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passaggio dall'analisi dei singoli eventi cruenti alla complessivadel fenomeno a livello regionale. Un secondo importante passo è quello di tentare di esplorare la più ampia definizione di femicidio ed è qui che mi sono posto il problema della semantica del femicidio. Ho scritto che il Tipo 4 considera anche le morti collaterali, avvenute in base al genere, considerando come base di partenza i suicidi: quante donne che si sono suicidate erano passate dai servizi della rete contro la violenza di genere?

I programmi per uomini maltrattanti

I programmi rivolti a uomini autori di violenze nei confronti delle donne, in Italia, sono nati in un periodo abbastanza recenterispetto, ad esempio, alle esperienze statunitensi o a quelle osservate in altri Paesi europei; che tale processo sia ancora in divenire, poi, è provato all'anagrafica dei centri italiani e dalla loro distribuzione a macchia di leopardo sul territorio nazionale.Gli studi rivolti alle prime esperienze statunitensi hanno rilevato come un forte contributo alla nascita dei programmi per maltrattanti sia arrivato proprio dai centri antiviolenza e dalle loro operatrici, dato che per prima si sono interrogate sulla possibilità di intervenire con gli uomini, laddove avevano sperimentato un senso di frustrazione dovuto all'incapacità di fermare la violenza da parte del partner o ex partner. Tali iniziative sono partite dall'assunto che per fermare la violenza non è sufficiente agire nei confronti della donna, soprattutto se questa decide di tornare a casa dal proprio partner, né tali misure sono in grado di frenare la recidiva dell'uomo nei

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confronti di partner future. Anche in Toscana nascono proprio a partire da operatrici di centri anti-violenza, in centri di Livorno e Pisa hanno avuto il loro atto di nascita da un impulso maschile, da associazioni che avevano iniziato un percorso di riflessione sulla mascolinità. Nel nostro paese l'assimilazione dei programmi per maltrattanti all'interno del sistema integrato di protezione della donna dalla violenza sta procedendo per piccoli passi, come dimostra il loro recente riconoscimento con la Legge 119/2013. Sul territorio il consolidamento di tali esperienze sta passando attraverso la costruzione di reti con i soggetti già nel contrasto della violenza di genere: Forze dell'ordine, Questura, Prefettura, Aziende Sanitarie, Servizi Sociali, centri anti-violenza. Ogni accordo o protocollo siglato rappresenta un arricchimento degli interventi attuati, in ottica integrata, nei confronti delle donneche subiscono violenza e nei confronti degli uomini che invece la agiscono. Al contempo i centri per uomini hanno l'esigenza di accreditarsi come soggetti affidabili nell'offrire interventi rivolti agli uomini ma finalizzati, in primis, alla sicurezza della donna.La negazione da parte dell'uomo di proprie responsabilità rispettoall'atto di violenza è un aspetto particolarmente difficile da superare proprio per quell'utenza che non ha fatto propria sin dall'inizio la scelta di seguire un programma per maltrattanti. Ciò rappresenta un aspetto cruciale su cui lavorano i centri- l'assunzione delle proprie responsabilità da parte dell'uomo rispetto alla violenza agita e, quindi, l'interruzione dei maltrattamenti- e con il quale, giocoforza, continueranno a scontrarsi verosimilmente anche al di fuori degli invii coatti. Occorre agire sempre sul lato della “prevenzione culturale” del fenomeno, modificando quindi stereotipi e senso comune fortemente permeati di messaggi volti ad affermare la superiorità di un genere sull'altro.

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Conclusioni

La cultura della parità di genere è come un vasto campo di fiori colorati, è necessario che sempre più “giardinieri”, per dirla alla Ulrich Beck, innaffino il campo di fiori, la flessibilità conla quale si deve “sbocciare” la cultura di genere deve andare di pari passo con flessibilità della vita moderna. “Rischiando” di non essere compresi e sottovalutati a noi il compito di diffondere la cultura della parità dei sessi affinché il ruolo della donna venga ri-generato e non sia più vittima di una società tradizionale patriarcale, come fu la nostra occidentale.Pensare e vivere in modo diverso e più sostenibile, anche collettivamente, generi, sessi, sessualità e soggettività è una sfida che riguarda tutte, per cui urge trovare terreni d’incontro e tessere nuove reti affettivo-politiche. Senza evitare i disaccordi o i punti di non ritorno, occorre valutare quant’è stato fatto, e quanto c’è ancora da fare.Vedere cosa e come fa la Consigliera di Parità per eliminare le discriminazioni, promuovere l'uguaglianza di far sviluppare ad ognuno il proprio, peculiare capitale mi ha permesso di concretizzare, mediante l'osservazione della creazione di politiche pubbliche, i valori che mi accompagnano ogni giorno nel mio percorso di crescita culturale.Il prezzo da pagare per una cultura inclusiva è la mancata comprensione di chi, non percependo come “propri” i problemi di donne violentate, disabili incapaci di svolgere attività quotidiane, minori non tutelati ne rimangono lontani e indifferenti. La soluzione non è “incaricarsi” di problemi che nonappartengono al nostro fare, ma sviluppare una sensibilità che ci

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consenta di aiutarci in modo reciproco, ognuno con le proprie capacità e potenzialità senza pretese.Figure istituzionali, Servizi Sociali, Scienziati Sociali, studiosi delle risorse umane, Psicologi, Psicoterapeuti, figure professionali dedite al prossimo non potranno eliminare i problemidel prossimo ma con la loro professionalità possono contribuire a facilitare lo “straniero” della società.

Sitografia:

www.progettodonna.net wikilabour.it- dizionario dei diritti dei lavoratori

Bibliografia:

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La rivoluzione organizzativa- Differenze di genere nella gestione delle risorse umane, a cura di Rita Biancheri

Salute e sicurezza sul lavoro, una questione anche di genere- INAIL

Saraceno C., Naldini M.- Sociologia della famiglia, Bologna, Mulino 2007

M.A.Toscano- Introduzione alla sociologia

Sesto rapporto sulla violenza di genere in Toscana, anno 2014, Regione Toscana, Osservatorio Sociale Regionale

Guida rapida per un aiuto consapevole delle donne vittime di violenza- Direzione Politiche Sociali Unicoop Tirreno, Casa internazionale delle Donne

Materiale utilizzato durante il tirocinio: Documenti di posta elettronica Ufficio Consigliera di Parità Diritti e Politiche di parità nell'Unione Europea- Federica di Saracina

Sesto rapporto sulla violenza di genere in Toscana, anno 2014,Regione Toscana, Osservatorio Sociale Regionale

Protocolli d'intesa stipulati tra la Consigliera di Parità e unioni sindacali

Relazione del Senatore P.Ichino, novità introdotte nel Jobs ACTapprovato in materia di riordino della disciplina di rapporti di lavoro e dell'attività ispettiva e di tutela e conciliazione delleesigenze di cura, di vita e di lavoro

Schede di rilevazione dati create in sede di riunione per il Progetto SportelloVis

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