La Madonna delle Grazie di Grottaferrata: una proposta per la gioventù di Giovanni di Biasuccio da...

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60 La Madonna delle Grazie di Grottaferrata: una proposta per la gioventù di Giovanni di Biasuccio da Fontavignone * Lorenzo Principi dotto una ricerca presso l’Archivio del Monastero Esarchi- co di Grottaferrata che mi ha permesso di rintracciare altri quattro scatti fotografici, tre dei quali decisamente suggesti- vi ma poco utili per l’attribuzione, ed uno invece, risalente all’incirca agli Ottanta del secolo scorso, che ritrae la statua a mezza figura e si rivela assai promettente (fig. 3) 7 . La Vergine, interamente avvolta in un manto decorato da una bordura con un motivo a gemme incastonate e perle (figg. 1-2), diffuso nella pittura degli anni Settanta del Quattro- cento di influenza fiamminga 8 , e stretta dentro un corsetto su cui posano i fluenti capelli impreziositi al centro dell’ovale del viso da un diadema, sostiene con la mano destra il me- lograno, simbolo della Passione, mentre con l’altro braccio regge il Bambino (fig. 3). La scultura, venerata da secoli come Madonna delle Gra- zie 9 è nota alla comunità scientifica sin dal 1958 quando Ita- lo Faldi 10 le dedicò un contributo monografico dove, prin- cipiando dalle spiccate caratteristiche francesizzanti della Ver- gine come l’aderente bustino e i corposi capelli che arriva- no giù sino al gomito, non approdava ad una soluzione uni- voca per la sua contestualizzazione geografica e culturale. A far vacillare la convinzione del Faldi su una possibile pater- nità ‘francese’ dell’opera interveniva “la figura del Bambino […] elemento di contrasto nel suo vivace e un po’ scabro naturalismo, cui dà tono il singolare rictus tra scopadeo e do- natelliano o verrocchiesco” 11 . Lo studioso cercando una so- luzione di compromesso orientò la paternità verso France- sco Laurana ma tali erano le incertezze attributive da fargli confutare la congettura poche righe dopo. Circa due decenni più tardi Raffaello Causa 12 scorgeva senza esitazioni nella statua un’ulteriore traccia dell’attività italiana di Pietro Alamanno 13 , tuttavia pronte smentite giun- sero poco dopo da Francesco Abbate 14 e Roberto Pane 15 . Quest’ultimo escludeva “qualsiasi comunanza con quanto sappiamo appartenere sicuramente all’Alamanno” e non ac- coglieva completamente la proposta dell’orientamento lau- ranesco che d’altra parte non trova nessun sostegno nella più recente e qualificata storiografia dedicata al maestro dalma- ta in cui è totalmente elusa l’attribuzione dell’opera crip- tense 16 . Anche Roberto Middione 17 , scartando l’ipotesi del Causa, mostrava gli stessi dubbi manifestati dagli studiosi po- canzi menzionati e riprendendo la tesi del Faldi scorgeva nel- l’opera il punto d’incontro tra il plasticismo borgognone e gli addolcimenti della Loira. I giudizi più recenti, talvolta le- gando la realizzazione della scultura alla committenza di Giu- La straordinaria Vergine col Bambino di San Silvestro al- l’Aquila (L’Aquila, Museo Nazionale d’Abruzzo) 1 è certa- mente uno dei manifesti più radiosi del dialogo serrato tra la cultura centroitaliana – segnatamente nell’area di influen- za tra Spoleto e L’Aquila – e quella mediterranea francesiz- zante imperante a Napoli in età angioina: i capelli dorati e il profilo tagliente come una fanciulla di Bretagna, la veste fio- rita come la più ricca miniatura parigina accompagnano l’ac- cennato movimento della Madonna e la misurata esuberan- za plastica del Bambino in piedi sulle ginocchia della madre, memoria del gruppo eburneo del Museo del Tesoro della Ba- silica di San Francesco d’Assisi. Enzo Carli, analizzando la Madonna di San Silvestro, affermava: “la serrata plasticità, l’architettura semplice e severa e la ieratica e solenne gravi- tà degli arcaici e rudi simulacri della terra d’Abruzzo pos- sono miracolosamente rivivere in un’atmosfera di gotiche raf- finatezze, di origine certamente franco-napoletana” 2 . Gli stessi problemi che riguardano la trecentesca Madonna di San Silvestro sembrano riproporsi circa centocinquanta anni più tardi, quasi traghettati dalla tardogotica Madonna col Bambino nella facciata della chiesa di Santa Maria in Pla- tea di Campli 3 , in un’altra affascinante e complessa Madon- na col Bambino, a grandezza naturale 4 , oggi nel Museo del- l’Abbazia di Grottaferrata ma proveniente dalla Basilica di Santa Maria dello stesso complesso basiliano (figg. 1-3, 5, 7, 9, 13). Nonostante oggi, e non sappiamo per quanto tempo ancora, non sia visibile a causa dell’ormai pluridecennale chiusura del Museo e risulti a noi nota solo attraverso foto- grafie che solo in parte le rendono giustizia, si tratta di una testimonianza di tale interesse da reclamare notorietà e una considerazione critica più attenta. Spesso accade che, im- possibilitati nel godimento di un’opera, sommi capolavori del- le arti figurative, in questo caso della scultura centro-italia- na di medio Quattrocento, e talvolta anelli di giunzione di percorsi altrimenti non ricomponibili, vengano relegati in- giustificatamente nell’oblio e per il loro riscatto siano offer- te solamente poche fotografie, tante quante le dita di una mano. Ed infatti le prime due riproduzioni datate di questo simulacro le ho incontrate nella Fototeca del Kunsthistori- sches Institut di Firenze dove le stampe (figg. 5, 7, 9), giun- te grazie al lascito di Friedrich Kriegbaum 5 , sono conserva- te in uno dei faldoni dedicati alle sculture laziali anonime del Rinascimento. Da lì, appurata la presenza nel Gabinetto Fo- tografico Nazionale di altre tre istantanee già pubblicate da Italo Faldi 6 (figg. 1-2), insieme a Giovanna Falcone, ho con-

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La Madonna delle Grazie di Grottaferrata:una proposta per la gioventù di Giovanni di Biasuccio da Fontavignone *

Lorenzo Principi

dotto una ricerca presso l’Archivio del Monastero Esarchi-co di Grottaferrata che mi ha permesso di rintracciare altriquattro scatti fotografici, tre dei quali decisamente suggesti-vi ma poco utili per l’attribuzione, ed uno invece, risalenteall’incirca agli Ottanta del secolo scorso, che ritrae la statuaa mezza figura e si rivela assai promettente (fig. 3) 7.La Vergine, interamente avvolta in un manto decorato da

una bordura con unmotivo a gemme incastonate e perle (figg.1-2), diffuso nella pittura degli anni Settanta del Quattro-cento di influenza fiamminga 8, e stretta dentro un corsettosu cui posano i fluenti capelli impreziositi al centro dell’ovaledel viso da un diadema, sostiene con la mano destra il me-lograno, simbolo della Passione, mentre con l’altro braccioregge il Bambino (fig. 3).La scultura, venerata da secoli comeMadonna delle Gra-

zie 9 è nota alla comunità scientifica sin dal 1958 quando Ita-lo Faldi 10 le dedicò un contributo monografico dove, prin-cipiando dalle spiccate caratteristiche francesizzanti della Ver-gine come l’aderente bustino e i corposi capelli che arriva-no giù sino al gomito, non approdava ad una soluzione uni-voca per la sua contestualizzazione geografica e culturale. Afar vacillare la convinzione del Faldi su una possibile pater-nità ‘francese’ dell’opera interveniva “la figura del Bambino[…] elemento di contrasto nel suo vivace e un po’ scabronaturalismo, cui dà tono il singolare rictus tra scopadeo e do-natelliano o verrocchiesco” 11. Lo studioso cercando una so-luzione di compromesso orientò la paternità verso France-sco Laurana ma tali erano le incertezze attributive da fargliconfutare la congettura poche righe dopo.Circa due decenni più tardi Raffaello Causa 12 scorgeva

senza esitazioni nella statua un’ulteriore traccia dell’attivitàitaliana di Pietro Alamanno 13, tuttavia pronte smentite giun-sero poco dopo da Francesco Abbate 14 e Roberto Pane 15.Quest’ultimo escludeva “qualsiasi comunanza con quantosappiamo appartenere sicuramente all’Alamanno” e non ac-coglieva completamente la proposta dell’orientamento lau-ranesco che d’altra parte non trova nessun sostegno nella piùrecente e qualificata storiografia dedicata al maestro dalma-ta in cui è totalmente elusa l’attribuzione dell’opera crip-tense 16. Anche Roberto Middione 17, scartando l’ipotesi delCausa, mostrava gli stessi dubbi manifestati dagli studiosi po-canzi menzionati e riprendendo la tesi del Faldi scorgeva nel-l’opera il punto d’incontro tra il plasticismo borgognone egli addolcimenti della Loira. I giudizi più recenti, talvolta le-gando la realizzazione della scultura alla committenza di Giu-

La straordinaria Vergine col Bambino di San Silvestro al-l’Aquila (L’Aquila, Museo Nazionale d’Abruzzo) 1 è certa-mente uno dei manifesti più radiosi del dialogo serrato trala cultura centroitaliana – segnatamente nell’area di influen-za tra Spoleto e L’Aquila – e quella mediterranea francesiz-zante imperante a Napoli in età angioina: i capelli dorati e ilprofilo tagliente come una fanciulla di Bretagna, la veste fio-rita come la più ricca miniatura parigina accompagnano l’ac-cennato movimento della Madonna e la misurata esuberan-za plastica del Bambino in piedi sulle ginocchia della madre,memoria del gruppo eburneo del Museo del Tesoro della Ba-silica di San Francesco d’Assisi. Enzo Carli, analizzando laMadonna di San Silvestro, affermava: “la serrata plasticità,l’architettura semplice e severa e la ieratica e solenne gravi-tà degli arcaici e rudi simulacri della terra d’Abruzzo pos-sonomiracolosamente rivivere in un’atmosfera di gotiche raf-finatezze, di origine certamente franco-napoletana” 2.Gli stessi problemi che riguardano la trecentescaMadonna

di San Silvestro sembrano riproporsi circa centocinquantaanni più tardi, quasi traghettati dalla tardogotica Madonnacol Bambino nella facciata della chiesa di Santa Maria in Pla-tea di Campli 3, in un’altra affascinante e complessa Madon-na col Bambino, a grandezza naturale 4, oggi nel Museo del-l’Abbazia di Grottaferrata ma proveniente dalla Basilica diSanta Maria dello stesso complesso basiliano (figg. 1-3, 5, 7,9, 13). Nonostante oggi, e non sappiamo per quanto tempoancora, non sia visibile a causa dell’ormai pluridecennalechiusura del Museo e risulti a noi nota solo attraverso foto-grafie che solo in parte le rendono giustizia, si tratta di unatestimonianza di tale interesse da reclamare notorietà e unaconsiderazione critica più attenta. Spesso accade che, im-possibilitati nel godimento di un’opera, sommi capolavori del-le arti figurative, in questo caso della scultura centro-italia-na di medio Quattrocento, e talvolta anelli di giunzione dipercorsi altrimenti non ricomponibili, vengano relegati in-giustificatamente nell’oblio e per il loro riscatto siano offer-te solamente poche fotografie, tante quante le dita di unamano. Ed infatti le prime due riproduzioni datate di questosimulacro le ho incontrate nella Fototeca del Kunsthistori-sches Institut di Firenze dove le stampe (figg. 5, 7, 9), giun-te grazie al lascito di Friedrich Kriegbaum 5, sono conserva-te in uno dei faldoni dedicati alle sculture laziali anonime delRinascimento. Da lì, appurata la presenza nel Gabinetto Fo-tografico Nazionale di altre tre istantanee già pubblicate daItalo Faldi 6 (figg. 1-2), insieme a Giovanna Falcone, ho con-

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2. GIOVANNI DI BIASUCCIO (?), Madonna con il Bambino detta Madonnadelle Grazie. Grottaferrata, Museo dell’Abbazia.

1. GIOVANNI DI BIASUCCIO (?), Madonna con il Bambino detta Madonnadelle Grazie. Grottaferrata, Museo dell’Abbazia.

nella rivelazione di tutti i registri emozionali. Gesù non si ve-ste da piccolo imperatore come un fanciullo di Desiderio maè coperto, infagottato quasi, da una camiciola smanicata chese fosse dipinta recherebbe le macchie del pasto appena con-sumato. Ignaro del proprio destino gioca con il pomo e af-ferra il cardellino che non esita a pizzicargli la mano senzaferirlo, citazione quasi del Vangelo apocrifo dello pseudoTommaso o de I fatti dell’infanzia del Signore, dove si rac-conta che un giudeo ammonendo Giuseppe gli riferì che Ge-sù trovandosi “presso il torrente e, presa dell’argilla, ha for-mato dodici uccellini e ha profanato il sabato. Allora Giu-seppe, recatosi sul posto a vedere, gli gridò queste parole: –Perché fai queste cose, di sabato, che non è lecito farle? – EGesù, battendo le mani gridò ai passerotti e disse loro: – An-date via! – E i passerotti volarono via cinguettando” 21.

liano Della Rovere, commendatario dell’Abbazia di San Ni-lo tra il 1472 e il 1503 18, sembrano accogliere senza troppidubbi e interrogativi la supposizione della provenienza d’Ol-tralpe della statua 19. Ripercorrendo più di mezzo secolo distoria critica si può notare che le parole spese da Italo Fal-di nel 1958 per analizzare l’affascinante opera contengano insé ancora validi insegnamenti e si ha la sensazione che pro-prio ripartendo dalla vocazione donatelliana si possa proce-dere verso una più corretta analisi stilistica della Madonnadelle Grazie che ne definisca le peculiarità culturali e formali.Ad animare la scultura, e in particolar modo la raffigura-

zione del Gesù è, infatti, un forte sentimento donatelliano edesideriesco epurato tuttavia da ogni formalismo (figg. 3, 5);la grazia, resa senza affettazione, manifesta la volontà di unadescrizione incondizionata di ogni trepidazione infantile checorre sull’epidermide della pietra e si esprime “nel soave mo-to di tutto il viso, e anche degli occhi, e della bocca nel fa-vellare e nel ridere” 20. Ma siamo lontani dalla tenera graziadi Desiderio da Settignano, qui è ammesso un rustico e qua-si caricaturale senso della natura, è accettata l’esagerazionepingue delle carni e soprattutto non c’è corruzione alcuna

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COMMENTARI D’ARTE

4. FRANCESCO LAURANA, Madonna con il Bambino. Napoli, Museo Civicodi Castel Nuovo.

3. GIOVANNI DI BIASUCCIO (?), Madonna con il Bambino detta Madonnadelle Grazie (part.). Grottaferrata, Museo dell’Abbazia.

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L’adesione ad ogni particolare fisiognomico sul volto festo-so del Bambino diviene saldo rigore e fermezza nella manodella Vergine che invece non allenta la propria algida disci-plina esitando a lasciare al figlio il frutto della Passione.L’esuberante, paffuto e scapestrato fanciullo di Grotta-

ferrata (fig. 5), che nella posa sgambettante dichiara la deri-vazione da un noto modello ghibertiano diffuso attraversoinnumerevoli repliche in terracotta e stucco 22, ha il suo ine-quivocabile gemello nel pargolo, questa volta nudo e sedu-to sul grembo della madre, nella lunetta del Tabernacolo pa-trocinato da Jacopo di Notar Nanni in Santa Maria del Soc-corso a L’Aquila 23 (fig. 6), capolavoro di Giovanni di Bia-succio da Fontavignone 24 riferito alla prima metà degli an-ni Ottanta del XV secolo ma forse da circoscrivere cronolo-gicamente al decennio precedente 25. Nonostante il Taberna-colo del Soccorso dichiari una più matura adesione ai modifiorentini, ineludibili sono i confronti fra i gioiosi putti daiturgidi gonfiori dell’opera aquilana e il Salvatore in braccioalla Vergine di Grottaferrata: la pietra disegna le dolci cavi-

tà lipidiche delle carni e dei piccoli occhi che si infossano trale sonnecchianti palpebre. Ciò che più colpisce dal confrontotra la lunetta e la scultura di Grottaferrata è la straordinariaaffinità compositiva tra i due fanciulli accomunati dalla stret-ta tipicità della bocca sorridente, del naso schiacciato e del-la conformazione macrocefala della testa su cui si innestanoa due a due i ciuffetti spettinati dei capelli. Si raffronti inol-tre la mano sinistra della Vergine delle Grazie con quella ap-poggiata sulla spalla del bimbo nel bassorilievo del Soccor-so: si potrà notare lo stesso andamento arpeggiato domina-to dall’incavarsi del medio nelle morbidezze adipose dell’in-fante. Significativi confronti utili a riferire a Giovanni la pa-ternità della Madonna criptense si possono inoltre istituiretra l’incedere saettante, stropicciato e corposo del panneg-gio in corrispondenza del piede sinistro della Vergine (fig.13) e l’analoga, quasi sovrapponibile, conduzione nelle par-ti inferiori delle vesti dell’Angelo annunciante nel tempiettodel Soccorso (fig. 14) e della Madonna dei Lumi di Civitelladel Tronto del Biasucci (fig. 15) 26.

5. GIOVANNI DI BIASUCCIO (?), Madonna con il Bambino detta Madonnadelle Grazie (part.). Grottaferrata, Museo dell’Abbazia.

6. GIOVANNI DI BIASUCCIO, Tabernacolo della Madonna del Soccorso,lunetta raffigurante la Madonna in trono con il Bambino tra angeli festanti(part.). L’Aquila, Santa Maria del Soccorso.

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Anche le peculiarità fisiognomiche della Vergine (fig. 7),che fanno capo al celebre tipo facciale del Busto femminiledi Francesco Laurana di Palermo (Galleria Regionale dellaSicilia) datato alla fine del settimo decennio del Quattro-cento 27, trovano efficaci risonanze con la produzione figu-rativa aquilana dell’ultimo quarto del XV secolo come testi-monia il raffronto dell’ovale mariano della statua di Grotta-ferrata – qualificato dalle labbra carnose molto ravvicinatealla lunga canna del naso che va a dividere i due sottili oc-chi a mezzaluna – con il San Michele Arcangelo nell’omoni-ma chiesa di Beffi del Biasucci 28 (fig. 8) e con il volto del-l’angelo reggi-cortina di sinistra del Tabernacolo del Soccor-so. Ma ciò che Maria manifesta nell’intonazione così france-sizzante del viso affilato, nell’acconciatura e nel corpetto, lecui stringhe racchiudono quasi a soffocare le morbide ro-tondità della Vergine, è proprio un deciso sentimento laura-nesco che domina nelle scelte dell’artista tanto da ridurre acitazionismo la componente donatelliana espressa nel solobambino. La statua appare così uscita da quella “fucina ara-gonese a Castelnuovo”, per dirla con le parole di Gianni Car-lo Sciolla 29, intrisa di cultura figurativa alfonsina con richia-mi alla pittura di Colantonio, di Antonello da Messina, delMaestro di San Giovanni da Capestrano 30 e soprattutto conla misurata e cosmopolita classicità dello straordinario Arcodi Alfonso di Castelnuovo a Napoli alla cui impresa con-corsero importanti scultori donatelliani come Isaia da Pisa,Andrea dall’Aquila e Domenico Gagini.Scriveva Ferdinando Bologna: “In materia di coinvolgi-

menti adriatici e pugliesi […], occorre aggiungere che l’in-contro così potentemente modificante verificatosi nella ta-glia dell’Arco fra i due «dalmati» [Pietro di Martino e Fran-cesco Laurana] e ciò che Sagrera rappresentava, resta a tut-t’oggi […] il nesso meno eliminabile, anzi l’unico adeguato,per comprendere anche la formazione del grande ragusano-barese Niccolò dell’Arca […]” 31. Proprio le parole utilizza-te dallo studioso per descrivere l’ambiente artistico che do-vette trovare Niccolò al suo probabile arrivo a Napoli sem-brano le migliori per poter riassumere in poche righe le pe-culiarità della nostra statua. E preme rilevare quindi che pro-prio una tappa del percorso giovanile di Niccolò dell’Arca,come crede Giancarlo Gentilini, sia da riconoscere in tre oforse quattro dei Santi che fiancheggiano i portali del Palaz-zo della Santissima Annunziata di Sulmona 32. Proprio i San-ti e la Madonna di Grottaferrata appaiono così le più signi-ficative testimonianze di ciò che si andava sperimentando inAbruzzo intorno agli anni Sessanta del Quattrocento tra que-gli artisti che formatisi sotto la spinta figurativa catalano-bor-gognona fecero presto bagaglio del magistero delle rilevan-ti esperienze donatelliane nell’Italia centro-meridionale ov-vero il Monumento al cardinale Rinaldo Brancacci (Napoli,Sant’Angelo a Nilo; 1427-1428) e il Tabernacolo del Sacra-mento eucaristico del Vaticano (San Pietro in Vaticano, Mu-seo del Tesoro; 1432-1433).Niccolò dell’Arca e Giovanni di Biasuccio, entrambi fi-

gli del quarto decennio del Quattrocento 33, potrebbero es-sersi trovati tra la fine degli anni Cinquanta e i primi del suc-

7. GIOVANNI DI BIASUCCIO (?), Madonna con il Bambino detta Madonnadelle Grazie (part.). Grottaferrata, Museo dell’Abbazia.

8. GIOVANNI DI BIASUCCIO, San Michele Arcangelo (part.). Beffi, San Mi-chele Arcangelo.

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10. GIOVANNI DI BIASUCCIO, Tabernacolo della Madonna del Soccorso (part. della Ver-gine annuncita). L’Aquila, Santa Maria del Soccorso.

9. GIOVANNI DI BIASUCCIO (?), Madonna con il Bambino dettaMadonna delle Grazie. Grottaferrata, Museo dell’Abbazia.

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cessivo ‘ai piedi delle impalcature’, ad ammirare, quello stra-ordinario cantiere che è l’Arco di Alfonso tanto da sugge-stionare in chiave fiamminga e mediterranea i primi passi deiduemaestri. D’altra parte la dominazione aragonese a L’Aqui-la a partire dal 1442 e per buona parte del secondo Quat-trocento 34, seppur non costante, permette di credere che laformazione di Giovanni, come di altri maestri abruzzesi del-l’epoca, si sia potuta svolgere a Napoli, al tempo fervente po-lo d’attrazione artistica del Regno.La Madonna col Bambino di Grottaferrata sembra così il

lucido prodotto di questa temperie: fiammeggiante come unascultura di Borgogna ma tagliente e disinibita come un mar-mo donatelliano, è il risultato di chi all’alba del settimo de-cennio del secolo decideva di seguire la strada senza ritornoaperta dai meravigliosi ingegni di Donatello, Desiderio e Ros-

sellino. A certificare una genesi dellaVergine tuscolana in am-bito partenopeo è la decisa eco nell’opera del primo soggiornonapoletano di Francesco Laurana tra il 1453 e il 1458 che te-stimonia la fresca conoscenza di ciò che lo scultore dalmatalasciava nella città all’indomani della partenza per la Franciacome laMadonna col Bambino già in Sant’Agostino alla Zec-ca 35 (fig. 4) oggi nel Museo Civico di Castel Nuovo di Na-poli, la cui datazione viene fatta risalire dalla maggior partedella storiografia al primo periodo trascorso alle pendici delVesuvio. D’altra parte che la Madonna col Bambino cripten-se dimostri un deciso lauranismo è espresso anche nell’im-paginazione della figura analoga ai gruppi mariani del Duo-mo di Palermo (1469), dell’Immacolata di Palazzolo Acrei-de (1471-1472) e della cappella di Santa Barbara di Castel-nuovo a Napoli (1474). Proprio tali confronti se da una par-

11. GIOVANNI DI BIASUCCIO, Madonna con il Bambino. L’Aquila, Santua-rio della Madonna della Croce di Roio.

12. GIOVANNI DI BIASUCCIO, Madonna con il Bambino detta Madonna deiLumi. Civitella del Tronto, Santuario di Santa Maria dei Lumi.

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14. GIOVANNI DI BIASUCCIO, Tabernacolo della Ma-donna del Soccorso (part. dell’Angelo annunciante).L’Aquila, Santa Maria del Soccorso.

15. GIOVANNI DI BIASUCCIO, Madonna con ilBambino dettaMadonna dei Lumi (part.). Ci-vitella del Tronto, Santuario di Santa Mariadei Lumi.

corso l’estremo lembo sinistro (per lo spettatore) dell’abitoappare schiacciato e ammaccato, quasi a simulare un im-provviso sgonfiamento della veste.Ulteriori tracce di un contatto tra gli scultori abruzzesi e

il Laurana potrebbero giungere dall’attribuzione a quest’ul-timo di una testa fittile conservata nel Museo Nazionaled’Abruzzo ma proveniente da San Francesco di Leonessa 40

che mostra interessanti tangenze formali tra il portato figu-rativo del dalmata e ciò che si andava sperimentando nellaporzione più a nord del Regno aragonese nella nitida co-struzione fisiognomica ovoide caratterizzata dai volumi tor-niti e implosi su cui si incastrano, a interrompere la sonorarotondità del volto, le alte arcate sopraciliari e gli occhi ap-pena fessurati.Chissà che nei numerosi spostamenti di Francesco Lau-

rana lungo la penisola italiana non ci siano stati diversi sog-giorni a L’Aquila, tappa quasi obbligata per chi dalle costedalmate intende raggiungere Napoli e i domini meridionalidel Regno aragonese. All’Aquila un probabile filtro che ab-bia permesso di seguire in maniera paritetica la strada aper-ta dalla “fucina aragonese a Castelnuovo” 41 e quella filo-fio-rentina e donatelliana potrebbe essere stato l’enigmatico An-drea dall’Aquila, allievo diretto in casa Medici del grandeDonato e impegnato nel cantiere dell’Arco a partire dal1455 42. Proprio questo artista aquilano, grazie al suo frescodonatellismo archeologico imbevuto di fatti artistici arago-nesi, sembra costituire un importante tramite per la conte-stualizzazione geografica e temporale della Madonna delleGrazie che potrebbe considerarsi il passaggio del testimoneda chi con Donatello aveva stabilito uno stretto sodalizio,cioè Andrea dall’Aquila, a chi muovendo i primi passi cer-cava di recepirne gli insegnamenti, pronto a stabilire un con-tatto stabile e duraturo con le novità artistiche fiorentine, ov-vero Giovanni di Biasuccio. Il ricorso ad Andrea per tenta-re di spiegare il ruolo svolto dalla Madonna col Bambino diGrottaferrata nel percorso del Biasucci, risuona con ancor

te certificano la derivazione tipologica da celebri sculture lau-ranesche, dall’altra non fanno che confermarne l’estraneitàstilistica dal corpus del maestro dalmata il quale, in date pros-sime all’ipotizzabile cronologia della Vergine tuscolana, i pri-mi anni Sessanta del Quattrocento, manifesta un classicismosevero, algido, senza spazio per inflessioni emotive così pa-tenti come nella miracolosa immagine di Grottaferrata.L’archetipo della Madonna delle Grazie di Grottaferrata,

in piedi mentre con il braccio sinistro sostiene il Bambino,conobbe una buona diffusione anche in area abruzzese e se-gnatamente tra le più note versioni aquilane – di cui ricor-diamo la Madonna di Borgorose di Paolo Aquilano 36 (Rieti,Museo Civico) – due in particolare, ovvero la statua ligneadi Roio 37 (fig. 11) e un’altra fittile di provenienza ignota con-servata nel Museo Nazionale d’Abruzzo 38, sono oggi giusta-mente riferite proprio alla bottega di Giovanni di Biasuccio.Quella del Santuario della Madonna della Croce di Roio mo-stra inequivocabili tangenze tipologiche con la statua diGrottaferrata laddove si scorga un’affinità nell’andamentoscampanato della veste segnato dalla piega a mezzaluna chela taglia obliquamente, nel volto assorto della Vergine e nel-la connotazione macrocefala e leggermente stempiata delBambino, la cui postura, rattrappita e sonnecchiante, sem-bra derivata dal celebre modello rosselliniano della Madon-na delle candelabre. Per tutte queste ragioni, credo che la cro-nologia finora proposta per la Vergine di Roio, in un mo-mento successivo al 1485 39, vada riportata indietro, al pas-saggio tra il settimo e l’ottavo decennio del XV secolo. In-fatti, similmente allaMadonna criptense (fig. 9), la statua delSantuario dellaMadonna della Croce (fig. 11) esibisce un’im-paginazione lauranesca e caratteristiche verrocchiesche ap-pena fiutate. Guardando bene le sculture note del Biasuccifinora chiamate in causa e la Madonna delle Grazie si notainoltre una parafa che sembra accomunarle tutte: nella Ver-gine di Grottaferrata (fig. 1) tanto quanto nellaMadonna colBambino di Roio (fig. 11) che in quella della lunetta del Soc-

13. GIOVANNI DI BIASUCCIO (?), Madonnacon il Bambino detta Madonna delle Grazie(part.). Grottaferrata, Museo dell’Abbazia.

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COMMENTARI D’ARTE

maggiore ampiezza qualora si consideri la similarità di itine-rari che sembrano accomunare i due maestri: la proposta diattribuire a Giovanni di Biasuccio un’opera di ambito ‘ro-mano’ ma di cultura così napoletana sembrerebbe metterein stretta relazione le tappe del nostro con quelle di Andreadall’Aquila il cui caposaldo, la Madonna Caffarelli 43, carat-terizzata, similmente alla Madonna di Grottaferrata, dal ta-glio tipicamente ‘lauranesco’ degli occhi, si trova proprio aRoma (Ospedale di Santo Spirito, 1450-1455 circa).Come testimonia anche il caso di Giovan Bartolomeo del-

l’Aquila, pittore ricordato a Napoli nel 1449 44, sia la capita-le del regno aragonese che l’Urbe, dove risulta essere pre-sente inoltre Battista dell’Aquila 45, iscritto alla matricola diSan Luca del 1478, furono sicuramente poli attrattivi assaighiotti per i maestri aquilani.Non dimentichiamo che una figura chiave per determi-

nare la portata dell’arte aquilana a Roma fu certamente Ami-co Agnifili 46, cardinale di Santa Balbina nel 1467, di SantaMaria in Trastevere nel 1469 e capace di riscuotere successitali da sfiorare l’elezione nel conclave del 1471 che elesse pa-pa Francesco Della Rovere. E lo smembrato sepolcro del car-dinale Agnifili, diviso tra il Duomo aquilano e la chiesa diSan Marciano, realizzato da Silvestro dell’Aquila tra il 1476e il 1480 è chiara e ulteriore testimonianza, in un momentosuccessivo a quello di nostra competenza, dei rapporti in-tercorsi tra il maestro aquilano e Andrea Bregno, lo sculto-re maggiormente in voga nella Roma sistina 47. È difficile im-maginare un simile apprendimento della coscienza architet-tonica e plastica bregnesca magistralmente sviluppata anchenel Mausoleo bernardiniano e nel Monumento Pereyra-Cam-poneschi – spostato dalla sede originaria e rimontato nellazona absidale forse con una riduzione delle proporzioni trai vari piani del monumento 48 – senza un soggiorno romanoed una probabile collaborazione con la nutrita bottega delmaestro di Osteno tra l’ottavo e il nono decennio del Quat-trocento 49: d’altra parte nel corso dei decenni diverse voltela storiografia ha manifestato il desiderio di incontrare trac-ce di scultura aquilana a Roma 50.Della stagione artistica aquilana principiata intorno agli

anni Sessanta con Giovanni di Biasuccio, proseguita con Sil-vestro dell’Aquila e conclusasi con Saturnino Gatti, la Ma-donna delle Grazie sembra così un probabile frutto ed anzi,per tutte le ragioni fin qui espresse, potrebbe considerarsiuno dei più significativi prodromi. Se gli indicativi e strin-genti confronti tra il Bambino del Tabernacolo del Soccorso(fig. 6) e quello della statua criptense (fig. 5) ci inducono ariferire quest’ultima a Giovanni di Biasuccio, la sostanzialealterità formale e costruttiva della Vergine di Grottaferrata,rispetto a quella nel tempietto aquilano, induce a scorgerenella Madonna delle Grazie una prova giovanile del maestrodi Fontavignone riferibile all’esordio del settimo decenniodel XV secolo, ovvero nel momento di massimo contatto conil fiamminghismo alfonsino. Ripercorrendo infatti le tappedella carriera del Biasucci è facile evincere una progressivaadesione al verbo fiorentino che partendo dal donatellismo

della Madonna di Grottaferrata (fig. 3), prosegue con unadecisa virata in direzione rosselliniana con il Tabernacolo delSoccorso, la Madonna di Roio, il San Michele di Beffi, e sicompie definitivamente nellaMadonna dei Lumi 51 e nellaMa-donna delle Grazie di Teramo 52 dove il lessico verrocchiescoha completa supremazia.Nella meravigliosa epifania coreutica del Tabernacolo del

Soccorso i rapporti proporzionali con l’arte toscana e quellad’Oltralpe appaiono invertiti rispetto a quelli stabiliti dallaMadonna di Grottaferrata: a regolare i sottili ritmi della pie-tra è ora il vocabolario fiorentino sporcato solo dal lento edanzato reclinarsi dellaVergine annunciata nel ventilato man-tello di gusto borgognone (fig. 10).

Provando a ricostruire le vicende conservative e cultualidella statua si potrebbe ripartire dalle parole di padre Gia-como Sciommari che, nella descrizione del 1728 dell’Abba-zia di Grottaferrata, affermava: “Per questa porta si entra nelNartece, che noi diremmo Atrio interiore, e qui al presentevi è nel muro di prospetto un’Altare [sic!] con una statua distucco, che come leggesi negli Atti delle Visite antiche chia-mavasi la Madonna delle Grazie” 53. E qualche pagina piùavanti l’erudito tornava a descriverla nella medesima posi-zione pocanzi ricordata: “una Statua della Beatissima Vergi-ne, che sostiene il Bambino in braccio” 54. Lo Sciommari ri-ferendosi alle “chiare memorie” sosteneva che prima del set-tembre 1577, anno dei rifacimenti promossi da AlessandroFarnese, “vi fossero quattro Altari, il primo, in cui era ripo-sto il Tabernaculo col Santissimo[…]. Il secondo Altare eradecorato dalla Venerabile Immagine della Vergine. Il terzoera dedicato all’istessa nostra Signora, ed insieme a i SantiQuaranta Martiri. Il quarto finalmente chiamavasi de Mor-ti, ed era dedicato a S. Nicolò” 55.Dunque la scultura, prima del 1577, si trovava probabil-

mente all’interno del sacro edificio sebbene la visita pasto-rale del 1575 ricordi “Visitavimus altaria quae inventa sunta nobis sine crucibus vel aliqua decenti icona presertim al-tare quod dicitur 40 martirum et altare quod dicitur mor-tuorum” 56. Lo stesso Rocchi, invero, parlando della chiesaal tempo dei restauri apportati dal cardinale Farnese, affer-ma che le fonti liturgiche del monastero dimostrano l’esi-stenza in origine di tre altari i quali, ancora nel 1577, così sipresentavano: “l’altare principale accoglieva il SS. Corpo diCristo, l’altare della Madre di Dio l’immagine Gregoriana, ilterzo dedicato ai Martiri di Sebaste, l’effigie della Madre diDio, cioè quel simulacromarmoreo che ancora si conserva”57.La medesima situazione viene ancora registrata nella visi-

ta del 1580, subito dopo gli interventi farnesiani, in cui si ri-corda: “habiamo visitate l’altare, così lo maggiore, come tut-ti l’due altre altare videlicet l’altar della madonna santissimaet intitulato, deli 40 martire”58. Dalla relazione stilata da mon-signor Giovan Battista Scannaroli in occasione della presa dipossesso dell’abbazia da parte del cardinale Francesco Bar-berini, datata 2 marzo 1626, si apprende infatti che l’altare“della Madonna con il Cristo in braccio di rilievo” si trovava

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SAGGI DI STORIA DELL’ARTE

del cenobio nel 1004 65. La denominazione popolare di San-ta Pupa e la localizzazione nell’avancorpo permase anchecon i lavori degli anni Quaranta dell’Ottocento, volti allacostruzione di un nuovo nartece monumentale con funzio-ne di chiesa latina, promossi dal cardinale Mario Mattei 66.Nel 1903 l’opera venne ricoverata temporaneamente nel lo-cale museo 67 in vista dei lavori di ripristino dell’aspetto me-dievale dell’edificio approntati tra il 1910 e il 1912 e pro-seguiti nel 1930 quando il complesso di gusto ‘neogotico’venne distrutto 68. A seguito di questi lavori la statua fu ri-portata nel nartece, dove la vide Italo Faldi (figg. 1-2), pri-ma del suo definitivo posizionamento nel Museo avvenutodurante la seconda metà del Novecento 69 (fig. 3).Un inventario del 1737 ci è assai utile per comprende-

re il radicato e secolare culto goduto dalla statua: infatti que-sto descrivendo la “Cappella della Madonna delle Graziedetta di S. Pupa” menziona “una statua di N. Signora distucco col bambino in braccio con due corone di ottone do-rato ed un rosario di vetro al braccio destro della Madon-na et una collana al collo e due maniglie alle braccia delBambino di corallo, un quadro rappresentante S. France-sco di Paola con cornice dorata fermato con ferri supra unabasa dorata, e scorniciata che serve anco di carta gloria duescalini scorniciati e dorati con vetri ne specchj, due cande-

16. GIOVANNI DI BIASUCCIO, San Michele Arcangelo.Beffi, San Michele Arcangelo.

17. GIOVANNI DI BIASUCCIO (?), Santo ca-valiere. Padova, collezione della Fondazio-ne Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo.

18. GIOVANNI DI BIASUCCIO, San Rocco. Rieti,Cattedrale di Santa Maria Assunta.

“d’incontro”, ovvero di fronte, a una “cappella antichissima,più della chiesa” 59 da riconoscere con la vetus aedicula posi-zionata a destra dell’ingresso della chiesa, la probabile Cryp-ta ferrata che ha dato origine al toponimo Grottaferrata.Nel 1646 è attestata la dedicazione dell’altare dei 40 mar-

tiri di Sebaste a san Basilio che determinò il trasferimentonel nartece della statua e la sua sostituzione con un quadroraffigurante san Basilio 60. Nella visita del 1661 si specificaancora meglio la posizione – a sinistra dell’entrata – e l’ar-ticolazione del nostro complesso: “Cappellam Beate Virgi-nis sitam prope navem maiorem Ecclesiae. Pro icona adestsimulacrum marmoreum semper Virginis Matris Dei” 61, in-dicando con cappella della Beata Vergine il nartece, sitoprope navem maiorem in quanto da esso, attraverso la por-ta speciosa, si accedeva alla navata centrale della chiesa ab-baziale.Nel nartece la scultura è ancora ricordata nel 1728 da

Sciommari 62 e nelle visite pastorali successive 63. A partiredal 1737 inoltre la cappella fu identificata, oltre al titolo diMadonna delle Grazie, con quello di Santa Pupa 64. Una sug-gestiva ma fantasiosa storia della simulacro viene tracciatanel 1754 da padre Filippo Vitali che nel suo diario fa addi-rittura risalire la genesi della statua alla volontà di san Bar-tolomeo Abate, cofondatore insieme a san Nilo di Rossano

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COMMENTARI D’ARTE

Solamente in fase di bozze Diego Mattei, il quale ringrazio, mi segnala chela scultura raffigurante un Santo cavaliere (fig. 17), qui attribuito all’am-bito di Giovanni di Biasuccio, si trova attualmente a Padova nella colle-zione della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo con un ge-nerico riferimento all’ambito toscano della seconda metà del XV secolo:S. BARCHIESI, in Le collezioni d’arte della Cassa di Risparmio di Padova eRovigo, della Cassa di Risparmio di Venezia e di Friulcassa, a cura di A. Co-liva, Cinisello Balsamo 2006, pp. 32-33 (con bibliografia precedente).

* Ringrazio Giancarlo Gentilini, anche per le preziosi segnalazioni, LuciaArbace, Alfredo Bellandi, Dora Catalano, Sara Cavatorti, Lorenza D’Ales-sandro, Giovanna Falcone, Corrado Fratini, Anna Fulimeni, AlessandraGiancola. Sono grato inoltre a Gino Di Paolo che gentilmente mi ha for-nito la fotografia della figura 10 della Vergine annunciata del Tabernacolodel Soccorso di L’Aquila.

1 La Madonna col Bambino di San Silvestro già nota grazie a A. LEOSINI,Monumenti storici artistici della città di Aquila e suoi contorni, L’Aquila1848, p. 47, con una generica attribuzione alla “scuola greco-italiana del

XIII secolo, fu avvicinata” stilisticamente a quella di Fossa (già chiesa diSanta Maria ad Cryptas; ora L’Aquila, Museo Nazionale d’Abruzzo) e Scur-cola Marsicana (chiesa di Santa Maria della Vittoria) già da L. SERRA, Aqui-la, L’Aquila 1912, p. 43. E. CARLI, La scultura lignea italiana, Milano 1960,pp. 45-46, 47, confrontò i gruppi mariani pocanzi menzionati con la Ver-gine col Bambino del Duomo di Spoleto e G. PREVITALI, An Italian hypo-thesis for the two Saint Agnes sculptures at Fenway Court, in “Fenway Court,Isabella Stewart Gardner Museum”, 1976 (1977), pp. 36-41, ripubblicatoin IDEM, Studi sulla scultura gotica in Italia, Torino 1991, pp. 5-15, specia-tim pp. 40-44, ipotizzò per queste ed altre sculture un’unica paternità, de-nominando dapprima l’autore con il convenzionale nome di Maestro fran-cesizzante del Duomo di Spoleto o Maestro di San Silvestro a L’Aquila epoi in Due lezioni sulla scultura ‘umbra del Trecento’: II. L’Umbria alla si-nistra del Tevere. 3. Tra Spoleto e L’Aquila: il ‘Maestro della Madonna delDuomo di Spoleto’ e quello ‘del Crocifisso di Visso’, in “Prospettiva”, 1986,44, pp. 9-15, ripubblicato in IDEM, Studi… cit. (nota corrente), pp. 76-82,speciatim pp. 76-77, con l’epiteto Maestro della Madonna del Duomo diSpoleto. Secondo C. FRATINI, Per un riesame della pittura trecentesca e quat-trocentesca nell’Umbria meridionale, in Piermatteo d’Amelia. Pittura in Um-

NOTE

lieri inargentati = duo Angeli in statua di legno colori-to[…]un voto d’argento vicino l’altare” 70.Purtroppo non è stato possibile un riscontro diretto con

la Madonna delle Grazie ma, fidandosi della già menzionatarelazione di Sciommari, del poc’anzi ricordato inventario del1737 che addirittura la ritenevano modellata in stucco e delFaldi il quale parlava di una specie lapidea “calcarea a gra-na dura e compatta […] dalla superficie opaca bianco-ges-sosa che non assume la patina del tempo conservando unasconcertante apparenza del calco in gesso” 71 (fig. 3), si puòipotizzare che la pietra utilizzata per scolpirla sia proprioquella calcarea tenera della piana aquilana – la cui principa-le cava è quella di Poggio Picenze – la stessa impiegata daGiovanni di Biasuccio anche per il complesso in Santa Ma-ria del Soccorso (figg. 6, 10) e certamente materiale predi-letto per i virtuosismi plastici dell’artista 72 e di molti altriscultori aquilani tra cui anche Silvestro dell’Aquila. Non acaso ancora oggi la prima impressione che si ha di fronte aquest’ultimo strepitoso monumento è proprio la consisten-za gessosa ed effimera della superficie tanto da permettere aqualcuno fino a qualche anno fa di credere che l’opera delSoccorso fosse “di stucco modellato e policromato” 73. An-che la Madonna criptense, nonostante oggi conservi soltan-to lacerti di doratura nelle bordure del manto e di policro-mia indaco nella parte interna del manto che cinge il brac-cio sinistro (fig. 3), doveva in origine essere dipinta e, simil-mente al Tabernacolo del Soccorso, dominata dal bianco, dal-l’azzurro e dall’oro (fig. 10). Proprio la pietra aquilana, ca-ratterizzata da una capacità di assorbimento dei pigmenti checi permette ancora oggi una buona lettura dell’articolazionecromatica, testimonia la continua sperimentazione tecnica diGiovanni di Biasuccio. E segnatamente nel San Michele li-

gneo di Beffi (fig. 16), ancora più si può apprezzare una sot-tile attenzione, quasi da pittore, nella stesura dei colori vol-ti a restituire la consistenza delle superfici: la commoventepelle del volto, la stridente armatura del santo cavaliere e laraggrinzita e squamosa epidermide del diavolo.In relazione al simulacro di San Michele Arcangelo 74

(fig. 16), più volte chiamato in causa, vorrei segnalare infi-ne altre due sculture lignee che possono attribuirsi a Gio-vanni di Biasuccio. La prima proposta riguarda un giovaneSanto cavaliere (fig. 17), passato in asta nel 1975 75 con unriferimento all’ambiente mantovano cinquecentesco che, inparticolare grazie al raffronto con il volto e con l’incresparsiarticolato delle maniche dell’imago lignea di Beffi (fig. 16),può riferirsi all’ambito del maestro di Fontavignone. NellaCattedrale di Santa Maria Assunta di Rieti è inoltre con-servato nell’omonima cappella un San Rocco (fig. 18) a gran-dezza naturale già menzionato da Francesco Palmegiani 76

e Cesare Verani 77, il quale lo poneva in relazione con unascultura di medesimo materiale e soggetto ma di minor qua-lità conservata nella chiesa di San Pietro a Leonessa, e piùdi recente genericamente riferito al XVI secolo 78. La sta-tua, di nobile e severa monumentalità quanto di fervente eaccesa pietà pellegrina mostra stringenti paralleli con il SanMichele (fig. 16) come dimostrano i panneggi tubolari ab-bozzati a ‘canna d’organo’ e la soluzione del mantello che,ripiegato su se stesso all’altezza della spalla sinistra, si ac-cartoccia simulando l’effetto di un morbido tessuto. Con-siderate le affinità con la scultura di Beffi datata ai primianni del settimo decennio del Quattrocento possiamo sup-porre per entrambi i simulacri una cronologia non troppodistante dalla statua dell’Arcangelo 79 e una datazione in-torno all’ottavo decennio del XV secolo.

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SAGGI DI STORIA DELL’ARTE

bria meridionale fra ’300 e ’500, a cura di C. Fratini, Todi 1996, pp. 285-375, speciatim pp. 291, 297, 300-301, 303, 308, 313, invece le opere rife-ribili al Maestro della Madonna di Spoleto devono considerarsi uscite dal-la bottega del cosiddetto Maestro di Fossa, personalità creata da R. LON-GHI, La pittura umbra della prima metà del Trecento. Lezioni di RobertoLonghi nell’anno accademico 1953-1954 attraverso le dispense redatte daMina Gregori, in “Paragone”, XXIV, 1973, 281-283, pp. 3-44, speciatimpp. 40-44, e autore nel caso della Madonna di San Silvestro delle ante di-pinte del tabernacolo che la ospitava con Storie di Cristo: tale ipotesi è sta-ta di recente confermata da M. MAZZALUPI, Un Crocifisso ligneo del Tre-cento nella Pieve di Ussita, in “Spoletium”, 2009 (2010), 46, pp. 55-59. Sirimanda inoltre a: S. PAONE, Tabernacoli dipinti e scultura lignea in Abruz-zo: il Maestro di Fossa e il Maestro del Crocifisso d’Argento, in Abruzzo: unterritorio di ricerca nella scultura lignea, a cura di G. Curzi e A. Tomei(“Studi medievali e moderni”, XV, 2011, 1-2), Casoria 2011, pp. 45-68;A. TOMEI, Le Madonne lignee della prima età angioina, in La sapienza ri-splende. Madonne d’Abruzzo tra Medioevo e Rinascimento, catalogo dellamostra (Rimini, 2011), a cura di L. Arbace, Torino 2011, pp. 22-29; L. AR-BACE, in Ivi, pp. 95, 98-104 catt. 15-16 bis; A. TOMEI, Materia e colore nel-la scultura lignea medievale, in Scultura lignea. Per una storia dei sistemicostruttivi e decorativi dal Medioevo al XX secolo (“Bollettino d’arte”, Vo-lume speciale), atti del convegno (Serra San Quirico, 2007), a cura di G.B.Fidanza, L. Speranza, M. Valenzuela, Roma 2012, pp. 3-14.2 E. CARLI, La scultura… cit. (nota 1), p. 46.3 F. BOLOGNA, Madonna con il Bambino nella nicchia della facciata. Chiesa diSanta Maria in Platea. Campli, in Documenti dell’Abruzzo Teramano. IV, 2. LeValli del Vibrata e del Salinello, a cura di F. Abbate, Pescara 1996, pp. 468-474.4 Come ricorda E. PARLATO, La committenza degli abati commendatari, inSan Nilo. Il monastero italo-bizantino di Grottaferrata. 1004-2004. Milleanni di storia, spiritualità e cultura, a cura di E. Fabbricatore, Roma 2005,pp. 39-69, speciatim p. 42, la statua misura 170 cm.5 Cfr. nota 69.6 Cfr. nota 69.7 Cfr. nota 69.8 Già presente in celebri opere di Jan Van Eyck (Madonna del cancelliereRolin, 1434 circa, Paris, Musée du Louvre) questo motivo è fortementeutilizzato negli anni settanta del Quattrocento anche in Italia da pittorifiamminghi come testimonia il caso del San Gregorio degli Uomini illustridipinti tra il 1472 e il 1476 da Giusto di Gand e da un Pietro Spagnolo,forse il Berruguete, per lo Studiolo di Federico da Montefeltro (Urbino,Palazzo Ducale). Tale stilema decorativo che ricorre nella Madonna Sal-ting di Antonello da Messina, databile sul finire degli anni Cinquanta (Lon-don, The National Gallery), trovò ampia fortuna anche negli artisti cen-tro italiani di ispirazione fiamminga, borgognona e provenzale come Bar-tolomeo della Gatta che lo propose nell’ottavo decennio del Quattrocen-to nell’Assunta che porge la cintola a San Tommaso già in San Domenicodi Cortona e ora nel locale Museo Diocesano. Anche Niccolò dell’Arca,artista nodale per le vicende qui delineate sul quale avremo occasione diritornare in seguito (cfr. note 31-32), fu sensibile verso questa tipologia dibordura esornativa in una frammentaria Madonna col Bambino della Gal-leria Rob Smeets di Milano attribuita al maestro pugliese, con una data-zione tra il settimo e l’ottavo decennio del XV secolo, da F. PETRUCCI, Lascultura al tempo di Andrea Mantegna tra classicismo e naturalismo, cata-logo della mostra (Mantova, 2006-2007), a cura di V. Sgarbi, Milano 2006,pp. 106-107. Per la diffusione di questi modelli nella pittura del Rinasci-mento si vedano i saggi di Stefania Macioce, Marta Rossetti e Alessia DeSimone in Ori nell’arte. Per una storia del potere segreto delle gemme, a cu-ra di S. Macioce, Roma 2007.9 A proposito delle vicende cultuali e conservative si vedano le note 53-70.10 I. FALDI, Una scultura francese del XV secolo nell’Abbazia di Grottafer-rata, in “Bollettino d’arte”, XLIII, 1958, 3, pp. 245-249.11 Ivi, p. 248.12 R. CAUSA, Un’opera chiave di Pietro Alamanno ed un suo inedito d’ol-tremare, in Scritti in onore di Roberto Pane, Napoli 1972, pp. 249-259.13 Su Pietro e Giovanni Alamanno si veda inoltre: E. FADDA, La Madonnadella Purità di Capua, Capua 2001.

14 F. ABBATE, Problemi della scultura napoletana del ’400, in Storia di Napo-li, 10 voll., IV, 1, Napoli 1974, pp. 447-494, speciatim pp. 488-489 nota 8.15 R. PANE, Il Rinascimento nell’Italia meridionale, 2 voll., II, Milano 1977,p. 166.16 H.W. KRUFT, Francesco Laurana. Ein Bildhauer der Frührenaissance, Mün-chen 1995, p. 412, menziona l’articolo di I. FALDI, Una scultura francese…cit. (nota 10), senza però discuterlo nel testo.Per quanto riguarda la presenza di Francesco Laurana a Roma secondoJ. HÖFLER, Maso di Bartolomeo und sein Kreis, in Mitteilungen des Kun-sthistorischen Institutes in Florenz, XXXII, 1988, 3, pp. 537-546, specia-tim p. 540, lo scultore va rintracciato nel Francesco di Matteo da Zara, ri-cordato nel Libro delle spese di Maso di Bartolomeo (Firenze, Bibliotecanazionale, ms. Baldovinetti, 70 [1449-1455], cc. 15v, 25r), che giungeva aUrbino da Roma insieme al fratello per collaborare con Maso al portaledi San Domenico a Urbino. P. BUCARELLI, Questioni lauranesche. Una sta-tua nella chiesa della Maddalena in Roma, in “Bollettino d’arte”, XXVI,1932, 2, pp. 90-95, provava a scorgere nella statua lignea della Maddalenapresso l’omonima chiesa di Roma, riferibile forse invece ad uno scultoreumbro-abruzzese della metà del Quattrocento, una possibile traccia delpassaggio romano del Laurana. L’ipotesi, che non ha riscosso successi nel-la storiografia successiva, è stata recentemente recuperata da G.C. SCIOL-LA, Un’esercitazione adriatica, in “Arte documento”, 2003, 17-19, pp. 190-193. Si rimanda a R. NOVAK KLEMENCIC, Laurana, Francesco, in Diziona-rio Biografico degli Italiani, 64, Roma 2005, pp. 55-63, per un recente eaggiornato profilo dello scultore.17 R. MIDDIONE, Presenze di scultori nordici a Napoli in età aragonese, inScritti di storia dell’arte in onore di Raffaello Causa, a cura di P. Leone DeCastris, Napoli 1988, pp. 91-96, speciatim p. 96 nota 12.18 E. PARLATO, La committenza… cit. (nota 4), pp. 42-43; B. FABJAN, in B. FAB-JAN, G. GHINI, Il Museo dell’Abbazia di Grottaferrata, Roma 2012, pp. 42-43.19 A.M. RYBKO, Provincia di Roma, in I Musei locali del Lazio (“Bollettinod’arte”, LXX, 1985, supplemento al n. 30), pp. 177-204, speciatim pp. 189-190; A.M. TANTILLO,Museo della Abbazia di Grottaferrata, Roma 1976; B.FABJAN, in B. FABJAN, G. GHINI, Il Museo… cit. (nota 18), pp. 42-43.20 F. BALDINUCCI, Vocabolario toscano dell’arte del disegno, Firenze 1681,ed. cons. Firenze 1975, p. 70.21 Cfr. I Vangeli apocrifi, a cura di M. Craveri, Torino 1969, p. 32.22 Si veda da ultimo: A. NESI, in La Primavera del Rinascimento. La scul-tura e le arti a Firenze 1400-1460, catalogo delle mostre (Firenze - Parigi,2013-2014), a cura di B. Paolozzi Strozzi e M. Bormand, Firenze 2013, pp.426-429 catt. VIII.2-VIII.3. Il deciso ghibertismo di Nicola da Guarda-griele, per il quale pacificamente si ipotizza un soggiorno fiorentino tra il1423 e il 1430 (C. PASQUALETTI, Nicola da Guardiagrele, in Dizionario bio-grafico degli Italiani, 78, Roma 2013, pp. 448-453, speciatim p. 450 [conbibliografia precedente]), potrebbe aver permesso la diffusione a L’Aqui-la di analoghi esemplari.23 Il Tabernacolo di Santa Maria del Soccorso, già dubitativamente credu-to opera di Giovanni di Biasuccio da M. CHINI, Pittori aquilani del ’400, I,in “Rassegna d’arte degli Abruzzi e del Molise”, I, 1912, 1, pp. 7-15, spe-ciatim 11-12; IDEM, Silvestro Aquilano e l’arte in Aquila nella II metà delsec. XV, L’Aquila 1954, pp. 134-135, e da F. BOLOGNA, La Madonna conil Bambino detta “dei Lumi” di Giovanni di Biasuccio. Santuario di SantaMaria dei Lumi. Civitella del Tronto, in Documenti… cit. (nota 3), pp. 483-486, speciatim p. 484, è stato correttamente attribuito al maestro di Fon-tavignone da V. DI GENNARO, Per un profilo di Giovanni di Biasuccio: la“Madonna dei Lumi” e i modelli fiorentini in Abruzzo, in “Prospettiva”,2005 (2006), 117-118, pp. 100-121, speciatim pp. 109-112, e confermatoda G. BOFFI, Sull’arte di Giovanni di Biasuccio da Fontavignone, con qual-che aggiunta a Silvestro dell’Aquila e Saturnino Gatti, in “Nuovi Studi”,XII, 2007, 13, pp. 33-50, speciatim pp. 38-39; R. TORLONTANO, La diffu-sione della cultura romana in area centro-italiana. Una nuova proposta perla formazione di Silvestro dell’Aquila, in Andrea Bregno. Il senso della for-ma nella cultura artistica del Rinascimento, a cura di C. Crescentini e C. Stri-nati, Firenze 2008, pp. 491-505, speciatim pp. 495-496; V. DI GENNARO,Silvestro di Giacomo e la Scuola Aquilana, in L’arte aquilana del Rinasci-mento, a cura di M. Maccherini, L’Aquila 2010, pp. 59-120, speciatim

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COMMENTARI D’ARTE

pp. 69-70; L. ARBACE, I volti dell’anima. Saturnino Gatti, Pescara 2012,pp. 34-35. Il Tabernacolo del Soccorso è stato restaurato nel 1998 dalla So-printendenza BAAAS dell’Abruzzo. Direzione: Biancamaria Colasacco; re-stauro: Lorenza D’Alessandro.Per un riepilogo delle posizioni critiche e per le precedenti attribuzionidel complesso ad Andrea dall’Aquila e Silvestro dell’Aquila si rimanda a:F. CAGLIOTI, Una conferma per Andrea dall’Aquila scultore: la ‘Madonnadi casa Caffarelli’, in “Prospettiva”, 1993, 69, pp. 2-27, speciatim pp. 2, 4,15, 17; V. DI GENNARO, Per un profilo… cit. (nota corrente), pp. 109-112.24 La figura di Giovanni di Biasuccio da Fontavignone è riemersa grazie aG. PANSA, Silvestro di Sulmona detto l’«Ariscola». Scultore-architetto del se-colo XV e le sue monumentali opere esistenti in Aquila degli Abruzzi. Noti-zie e documenti, Lanciano 1894, pp. 21-22. Lo studioso menzionò lo scul-tore nel pubblicare il documento di allogazione, datato 9 settembre 1490,della Madonna col Bambino nella chiesa di Santa Maria della Pace di Anca-rano in cui Silvestro si impegnava a realizzare in legno una Madonna ado-rante il Bambino adagiato sulle ginocchia, da scolpire a similitudine di quel-la eseguita dal maestro Giovanni di Biasuccio in “castro Civitelle”. Una cor-retta lettura del documento ancora oggi valida, come ricorda V. DI GEN-NARO, Per un profilo… cit. (nota 23), p. 118 nota 27, fu fornita da G. DENICOLA, Silvestro dell’Aquila, in “L’Arte”, XI, 1908, 1, pp. 1-16, speciatimpp. 10-11. Tuttavia il primo a riconoscere l’opera menzionata nel documentodel 1490 con laMadonna con il Bambino detta dei Lumi di Civitella del Tron-to fu V. BALZANO, Scultori e sculture abruzzesi del secolo XV, in “L’Arte”,XII, 1909, pp. 183-187. M. FERRETTI, Da Biduino ad Algardi. Pittura e scul-tura a confronto, catalogo della mostra (Torino, 1990), a cura di G. Roma-no, Torino 1990, pp. 70-87 cat. 8, speciatim p. 75, propose una datazionedellaMadonna dei Lumi “non troppo a ridosso del 1489”, che F. BOLOGNA,La Madonna… cit. (nota 23), p. 484, pensava di anticipare a circa un de-cennio prima del termine pocanzi ricordato. V. DI GENNARO, Per un profi-lo… cit. (nota 23), p. 105, ipotizzò dapprima una cronologia al 1472-1473circa, confermata da L. ARBACE, Valori e simboli in un sogno d’argilla, in LaMadonna di Pietranico. Storia, restauro e ricostruzione di un’opera in terra-cotta, catalogo della mostra (New York, 2011), a cura di L. Arbace, E. Son-nino, Pescara 2011, pp. 21-47, speciatim p. 35, e anticipata al 1471 da G.BOFFI, Sull’arte… cit. (nota 23), p. 36. Più di recente V. DI GENNARO, Sil-vestro… cit. (nota 23), pp. 61-62 nota 10, ha collocato l’esecuzione tra il1470 e il 1476, possibilità confermata anche da E. AMOROSI, in La sapien-za… cit. (nota 1), pp. 115-118 cat. 20. Credo che una datazione verso la me-tà dell’ottavo decennio sia plausibile considerato il forte portato verrocchiescodella scultura civitellese non così deciso invece nella Madonna con il Bam-bino di Roio (cfr. nota 37), nel San Michele di Beffi (cfr. nota 28) e in parteanche nel Tabernacolo del Soccorso (cfr. nota 25).25 Il termine post quem del 1469, anno della fondazione del Soccorso, èstato fornito da: M.V. BRUGNOLI, Di un tabernacolo aquilano e dello scul-tore abruzzese Andrea dell’Aquila, inDidaskaleion. Liceo Ginnasio TorquatoTasso, Roma 1943, pp. 67-73, speciatim p. 71, che riferisce l’opera all’ul-timo ventennio del Quattrocento e da L. MACK BONGIORNO, The date ofthe altar of the madonna in S. Maria del Soccorso, Aquila, in “The Art Bul-letin” XXVI, 1944, 3, pp. 188-192, la quale ipotizzava una datazione aiprimi anni Ottanta. Tuttavia già M. CHINI, Pittori aquilani… cit. (nota 23),p. 11, proponeva senza esitazioni che il Tabernacolo fosse successivo al1469. F. CAGLIOTI, Una conferma… cit. (nota 23), pp. 2, 4, indicava unacronologia intorno al 1485, mentre F. BOLOGNA, La Madonna con il Bam-bino di Silvestro dall’Aquila. Chiesa di Santa Maria della Pace. Ancarano,in Documenti… cit. (nota 3) 486-496, speciatim p. 490, seguito da V. DIGENNARO, Per un profilo… cit. (nota 23), p. 121 nota 75, e G. BOFFI, Sul-l’arte… cit. (nota 23), p. 38, propose una datazione tra il 1483-1485. D’ac-cordo con M. FERRETTI, Da Biduino… cit. (nota 24), p. 78, credo che i raf-fronti con Francesco di Simone Ferrucci e il suo Tabernacolo in Santa Ma-ria di Monteluce a Perugia (1483) non siano decisivi ed anzi vedo il Ta-bernacolo del Soccorso come una diretta e ancora fresca meditazione, ar-chitettonica e decorativa, sull’Arco di Alfonso, databile entro il primo lu-stro degli anni Settanta. Suggerisco così di mettere in stretta relazione larossellinianaMadonna con il Bambino nella lunetta del Soccorso con quel-la oggi in San Marciano (L’Aquila) realizzata da Silvestro dell’Aquila per

il Sepolcro di Amico Agnifili iniziato poco dopo la morte del vescovo nel1476 ed eretto nella Cattedrale di San Massimo nel 1480. Ed anzi mi sem-bra che nella lunetta del Soccorso per questo sentimento ancora fortementedonatelliano e desideriesco, estraneo a quella Agnifili, possa considerarsiprecedente. Certamente una più esaustiva analisi del complesso del Soc-corso, attenta anche al lessico decorativo, potrebbe rivelarsi assai utile nel-la comprensione del percorso di Giovanni di Biasuccio e confermare i suoirapporti con la cultura figurativa napoletana del tempo dell’Arco di Al-fonso qui prospettati.26 Cfr. nota 24.27 H.W. KRUFT, Francesco… cit. (nota 16), p. 380; C. DAMIANAKI, I bustifemminili di Francesco Laurana tra realtà e finzione, Sommacampagnana2008, pp. 117-124 cat. 1.28 Il San Michele Arcangelo già noto grazie a M. GABRIELLI, Inventario de-gli oggetti d’arte d’Italia, IV, Provincia di Aquila, a cura di L. Serra, Roma1934, pp. 87, 88 (con illustrazione), con un generico riferimento al XV se-colo è stato riferito a Giovanni di Biasuccio da G. BOFFI, Sull’arte… cit.(nota 23), pp. 34-35, con una datazione di poco precedente alla Madonnadei Lumi. Per quest’ultima opera si veda la nota 24.29 G.C. SCIOLLA, Fucina aragonese a Castelnuovo, 1, in “Critica d’arte”,XIX, 1972, 123, pp. 15-36; IDEM, Fucina aragonese a Castelnuovo, 2, in“Critica d’arte”, XIX, 1972, 126, pp. 19-38.30 Cfr. nota 44.31 F. BOLOGNA, La cultura pittorica di Napoli nei decenni aragonesi, con unosguardo ai problemi dell’Arco trionfale d’Alfonso, in Storia e civiltà dellaCampania, 7 voll., III, Il Rinascimento e l’Età Barocca, a cura di G. Pu-gliese Carratelli, Napoli 1994, pp. 65-90, speciatim p. 82.32 I santi raffigurano San Gregorio Magno, San Girolamo, Sant’Agostino,San Bonaventura, San Panfilo, San Paolo e San Pietro. L’opinione di Gian-carlo Gentilini è riportata da L. AMBROGI, Un singolare crocevia ai confi-ni del Regno: il palazzo della Santissima Annunziata a Sulmona, in “Nuo-vi Studi”, XII, 2007, 13, pp. 15-32, speciatim p. 29. A dispetto di quantoriportato dalla studiosa, Gentilini (comunicazione orale) scorge l’interventodi Niccolò esclusivamente nelle statue dei santi Ambrogio, Girolamo, Ago-stino e forse nel San Gregorio.33 Il primo documento, pubblicato da M. CHINI, Silvestro Aquilano… cit.(nota 23), p. 132, utile a ricostruire la fisionomia del maestro è dell’8 gen-naio 1461 quando maggiorenne e capace già di stare in giudizio è chia-mato ad assolvere un debito contratto dal defunto padre Biasuccio. Ciò cipermette di ipotizzare la nascita del maestro intorno al 1435 circa. Il se-condo dato fondamentale è relativo invece all’8 dicembre 1471 quandoGiovanni insieme a Silvestro di Giacomo stipulò un contratto d’affitto del-la durata di cinque anni per dei locali a San Vittorino: cfr. IDEM, Silvestrodi Giacomo da Sulmona. Cittadino aquilano. Documenti raccolti e ordinatiper servire allo studio di cinquanta anni di storia artistica aquilana, L’Aqui-la 1909, p. 30.34 A. CLEMENTI, Storia dell’Aquila dalle origini alla prima guerra mondia-le, Roma - Bari 1997, pp. 73-81.35 Riferita al Laurana con una datazione agli anni Ottanta del Quattro-cento da R. CAUSA, Sculture lignee in Campania, catalogo della mostra (Na-poli, 1950), a cura di F. Bologna, R. Causa, Napoli 1950, pp. 143-148 cat. 62,è stata collocata nel primo periodo napoletano da G.C. SCIOLLA, Fucinaaragonese a Castelnuovo, 2… cit. (nota 29), pp. 20-21, seguito da P. LEO-NE DE CASTRIS, Castel Nuovo. Il Museo Civico, a cura di P. Leone de Ca-stris, Napoli 1990, p. 94; H.W. KRUFT, Francesco… cit. (nota 16), pp. 65.Si veda anche: R. NOVAK KLEMENCIC, Laurana… cit. (nota 16).36 Pubblicata per la prima volta da L. MORTARI, Opere d’arte in Sabinadall’XI al XVIII secolo, catalogo della mostra (Rieti 1957), Roma 1957, pp. 75-76 cat. 57, con un riferimento a Silvestro è oggi giustamente riferita a PaoloAquilano senior: V. DI GENNARO, Silvestro… cit. (nota 23), pp. 79-80; IDEM,in La forma del Rinascimento. Donatello, Andrea Bregno, Michelangelo e lascultura a Roma nel Quattrocento, catalogo della mostra (Roma, 2010), a cu-ra di C. Crescentini, C. Strinati, Soveria Mannelli 2010, pp. 310-311.37 L’attribuzione a Giovanni di Biasuccio proposta da V. DI GENNARO, Perun profilo… cit. (nota 23), p. 115, è stata accettata da G. BOFFI, Sull’ar-te… cit. (nota 23), p. 40, e da M. VITTORINI, in Il Rinascimento danzante.

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SAGGI DI STORIA DELL’ARTE

rarano in Aquila fra il 1450 e il 1550 circa, in “Bullettino della Regia De-putazione Abruzzese di storia patria”, XVIII, 1927, pp. 13-138, ripubbli-cato L’Aquila 1929, ed. cons. Bologna 1979, p. 49. Si veda inoltre: V. DIGENNARO, Silvestro… cit. (nota 23), p. 65 e nota 22; L. ARBACE, I volti…cit. (nota 23), p. 21.48 IlMonumento Pereyra-Camponeschi è stato restaurato nel 2002 dalla So-printendenza BAAAS dell’Abruzzo. Direzione: Biancamaria Colasacco; re-stauro: Giorgio Capriotti.49 In merito ai richiami bregneschi nella produzione di Silvestro: R. SUL-LI, Il monumento funebre Pereyra-Camponeschi: contributo alllo studio del-la cultura antiquariale a L’Aquila nel secondo Quattrocento, in “Bullettinodella Deputazione Abruzzese di storia patria”, LXXVII, 1987, pp. 207-228; R. TORLONTANO, La diffusione… cit. (nota 23); V. DI GENNARO, Sil-vestro… cit. (nota 23), pp. 83-86.50 All’ipotesi, non percorribile, di A. RICCOBONI, Roma nell’arte. La scul-tura nell’evo moderno dal Quattrocento ad oggi, Roma 1942, pp. 42-43, divedere in Silvestro l’autore del Monumento di Pio III in Sant’Andrea del-la Valle, opera di Bastiano di Francesco Ferrucci e Francesco di Giovan-ni da Fiesole (cfr. F. CAGLIOTI, La Basilica di San Pietro in Vaticano, a cu-ra di A. Pinelli, 4 voll., IV, Schede, Modena 2000, pp. 860-864 catt. 1634-1636, speciatim p. 863), hanno fatto seguito quelle di F. NEGRI ARNOLDI,La scultura del Quattrocento, Torino 1994, p. 152, che dubitativamenteproponeva Silvestro come autore di un San Sebastiano fittile in Santa Ma-ria in Aracoeli e di E.D. HOWE, Traces of the Lost Ciborium of the CorsiaSistina in Hospital of Santo Spirito in Sassia, in Andrea Bregno… cit. (no-ta 23), pp. 357-369, speciatim pp. 365-366, la quale scorgeva stringenti af-finità tra i due Putti reggi-scudo che decorano il Sepolcro Pereyra-Campo-neschi in San Bernardino e quelli provenienti dal Ciborio della Corsia Si-stina dell’Ospedale di Santo Spirito in Sassia.51 Cfr. nota 24.52 V. DI GENNARO, Per un profilo… cit. (nota 23), pp. 107-109 e F. BOLO-GNA, Madonna con il Bambino in grembo. Santuario di Santa Maria delleGrazie. Teramo, in Documenti dell’Abruzzo Teramano, VII, 1, Teramo e lavalle del Tordino, a cura di L. Franchi dell’Orto, Teramo 2006, pp. 414-419, hanno riferito l’imago lignea teramana, uno dei più spettacolari sag-gi plastici realizzati in Abruzzo nel Quattrocento, a Giovanni con una da-tazione al primo lustro degli anni Settanta. Favorevole a questo riferimentoè A. ANGELINI, Le arti figurative all’Aquila tra Quattrocento e Cinquecen-to, in “Beautiful L’Aquila must never die” “L’Aquila bella mai non po’ pe-rire”, catalogo della mostra (L’Aquila 2009), a cura di A. Nicosia, Roma2009, pp. 99-109, speciatim p. 101. G. BOFFI, Sull’arte… cit. (nota 23),pp. 36-37, riferendo l’opera ai primi anni Settanta del XV secolo, consi-dera invece la scultura opera di Silvestro dell’Aquila forse in collabora-zione con Giovanni di Biasuccio.53 G. SCIOMMARI, Breve notizia, e raccolta della vita di S. Bartolomeo IV.Abate del Monastero di Grotta-Ferrata tradotta in italiano da un’antico Co-dice, Roma 1728, p. 123. Le stesse informazioni sono ripetute con la me-desima paginazione in IDEM, Note ed osservazioni istoriche spettanti al-l’insigne badia di Grotta-Ferrata, ed alla vita, che si prepone di S. Bartolo-meo IV. Abate tradotta, e raccolta da un antico Codice Greco, Roma 1728.54 Ivi, p. 165.55 Ivi, p. 126.56 Archivio del Monumento Nazionale di Grottaferrata (d’ora in poiAMNG), Monastero di Santa Maria di Grottaferrata, Visite, 1, c. 2r.57 A. ROCCHI, De coenobio Cryptoferratensi eiusque bibliotheca er codicibuspraesertim graecis commentarii, Tusculi 1893, versione consultata in linguaitaliana dal titolo Storia e vicende del monastero di S. Maria di Grottaferra-ta, a cura di B. Intrieri, Grottaferrata 1998, p. 514. Sui lavori farnesiani siveda inoltre Ivi, p. 192. Lo studioso nella stessa opera (Ivi, p. 515) e in L’im-magine di S. Maria di Grotta Ferrata. Memoria storica per il secondo cente-nario della coronazione, Roma 1887, pp. 28-29, propone inoltre che la scul-tura arrivò a Grottaferrata grazie a Giuliano Della Rovere o ad uno dei trecommendatari Colonna (Giovanni, Pompeo o Fabio) che si succedetteroalla guida del cenobio criptense tra il 1503 e il 1553. La deduzione che pos-sa trattarsi di uno dei Colonna si deve probabilmente alla presenza, ricor-data anche da R. GIANNINI, ‘Vita’ della Theotocos di Grottaferrata: una lu-

Michele Greco da Valona e gli artisti dell’Adriatico tra Abruzzo e Molise,catalogo della mostra (Celano, 2011), a cura di L. Arbace e D. Ferrara,Torino 2011, pp. 87-88 cat. 16.38 Resa nota da M. MORETTI, Museo Nazionale d’Abruzzo nel castello cin-quecentesco dell’Aquila, L’Aquila 1968, p. 58, con un riferimento a Silve-stro, confermato da E. CARLI, Arte in Abruzzo, Milano 1998, pp. 78-79, èstata dubitativamente avvicinata al Biasucci da V. DI GENNARO, Per unprofilo… cit. (nota 23), p. 121 nota 93; M. VITTORINI, Il Rinascimento dan-zante… cit. (nota 37) p. 88, invece preferisce mantenere una più cauta at-tribuzione ad uno scultore attivo tra la fine del XV secolo e i primi annidel successivo. L’opera, nonostante le gravi condizioni conservative, si di-mostra di alta qualità e soprattutto nella soffice e articolata orchestrazio-ne dei panneggi ammaccati esprime una buona abilità plastica permettendoun probabile riferimento all’ambito di Giovanni di Biasuccio con una da-tezione però leggermente più avanzata rispetto alla Madonna di Roio.39 Cfr. nota 37.40 G. GENTILINI, La Spezia. Museo Civico Amedeo Lia. Sculture. Terracot-ta, legno, marmo, La Spezia 1997, pp. 55-60 cat. 6. L’attribuzione è mes-sa in dubbio da C. DAMIANAKI, I busti… cit. (nota 27), pp. 93 nota 95.41 Si veda la nota 29.42 Cfr. F. CAGLIOTI, Una conferma… cit. (nota 23), pp. 4, 5.43 Ivi, passim.44 G. DONATONE, Documenti inediti sui pittori attivi a Napoli nel secolo XVe nuove notizie su Perinetto e sul Codice di S. Marta, in Scritti… cit. (nota12) pp. 71-76, speciatim p. 71. Lo studioso riporta l’opinione orale di Fer-dinando Bologna che ipotizzava di identificare Giovan Bartolomeo del-l’Aquila con il Maestro di San Giovanni da Capestrano la cui fisionomia èstata delineata per la prima volta da F. BOLOGNA, Il Maestro di San Gio-vanni da Capestrano, in “Proporzioni”, III, 1950, pp. 86-98. Sulle diverseidentificazioni del Maestro di San Giovanni da Capestrano: F. BOLOGNA,Le arti nel monastero e nel territorio di Sant’Angelo d’Ocre, in Sant’Angelod’Ocre, a cura di C. Savastano, Teramo 2009, pp. 184-209, speciatim pp. 202-204; L. PEZZUTO, Un nuovo ordinamento e una nuova datazione per la pa-la del ‘Maestro di San Giovanni da Capestrano’, in “Prospettiva”, 2010, 138,pp. 35-48. Riguardo la presenza di artisti aquilani a Napoli, L. ARBACE, Ivolti… cit. (nota 23) p. 55, scorge nel San Michele Arcangelo oggi nel Mu-seo del Tesoro di San Lorenzo Maggiore a Napoli, ma proveniente dal por-tale di Sant’Angelo a Nilo, una traccia del probabile passaggio napoletanodi Silvestro dell’Aquila. A proposito della statua di San Michele si veda inol-tre: Rinascimento a Napoli. Il restauro del S. Michele di S. Angelo a Nilo,catalogo della mostra (Napoli, 1997), a cura di L. Arbace, Napoli 1997.45 E. MÜNTZ, Les arts a la cour des papes pendant le XVe et le XVIe siècles,3 voll., III, Paris 1882, p. 102. Si veda inoltre, S. DALL’ARA - S. TOGNI,Melozzo nei documenti. Regesto, in Melozzo da Forlì. L’umana bellezza traPiero della Francesca e Raffaello, catalogo della mostra (Forlì, 2011), a cu-ra di D. Benati, M. Natale, A. Paolucci, Cinisello Balsamo 2011, pp. 360-365 (p. 362). Su Battista dell’Aquila: G. BRUGNOLA, Memorie storico arti-stiche di San Bernardino a Narni ed il busto di lui d’un artista aquilano, in“Bullettino della Regia Deputazione Abruzzese di storia patria”, XXXV,1944, pp. 145-155; R. CANNATÀ, Francesco da Montereale e la pittura aL’Aquila dalla fine del ’400 alla prima metà del ’500. Una proposta per ilrecupero e la conservazione, in “Storia dell’arte”, 1981, 41-43, pp. 51-75,speciatim p. 54 nota 19, identifica l’artista con il cosiddetto Maestro di Ti-voli da lui forgiato nello stesso contributo, mentre C. STRINATI, Dall’Ita-lia, in Du Titien au Futurisme: vues des plus belles places d’Italie / Da Ti-ziano al Futurismo: vedute delle più belle piazze d’Italia, catalogo della mo-stra (Parigi, 2003), a cura di C. Strinati, Roma 2003, pp. 11-28, speciatimp. 18, propone di identificare Battista dell’Aquila con il già citato Maestrodi San Giovanni da Capestrano (cfr. nota 44).46 E. PÀSZTOR, Agnifili, Amico, in Dizionario Biografico degli italiani, 1, Ro-ma 1960, p. 447; M.R. AGNIFILI, Agnifili, Amico, in Gente d’Abruzzo. Dizio-nario biografico, 10 voll., I, a cura di E. Di Carlo, Castelli 2006, pp. 71-74.47 Ulteriori spunti a conferma di una stretta collaborazione di Silvestro coni maestri lapicidi lombardi potrebbero ricavarsi da un documento del 29settembre 1481 in cui Silvestro dell’Aquila è menzionato addirittura “na-tioni Milanensium”. Cfr. M. CHINI, Documenti relativi ai pittori che ope-

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COMMENTARI D’ARTE

minosa presenza plurisecolare, in “Bollettino della Badia Greca di Grotta-ferrata”, XLII, 1988, pp. 3-47, speciatim p. 20 nota 29, nel 1754 nella zonadel nartece, dove era collocata la statua, di uno stemma di questa famiglia.L’ipotesi della collocazione in questa area della chiesa voluta da un Colon-na è però smentita dal Giannini. La presenza dell’araldo del Colonna è ri-cordata nel 1754 anche da padre Filippo Vitali: cfr. nota 65. R. GIANNINI,‘Vita’… cit. (nota corrente), pp. 19-20 e nota 29, indicava come prima no-tizia per risalire alla storia conservativa della statua l’inventario del 1737.58 AMNG, Monastero di Santa Maria di Grottaferrata, Visite, 2/1, c. 1v,1580, maggio 30.59 Biblioteca del Monumento Nazionale di Grottaferrata (d’ora in poiBMNG), ms. Crypt. It. 213, c. 155r, relazione datata 6 marzo 1626 com-pilata da monsignor Giovan Battista Scannaroli, maggiordomo del cardi-nale Francesco Barberini, in occasione della presa di possesso dell’abba-zia in nome del cardinale.60 A. ROCCHI, De coenobio… cit. (nota 57), pp. 228, 515, 516. Sulla dedi-cazione dell’altare si veda BMNG, man. Crypt. It. 339, p. 325. In AMNG,Monastero di Santa Maria di Grottaferrata, Libri dell’introito ed esito, 14,c. 225r, alla data del 10 giugno 1646 sono registrate le spese “per chio-detti per la cornice del quadro di S. Basilio […] per doi libretti di oro perindorare detta cornice”.61 AMNG, Cancelleria degli abati commendatari, Documenta, II, c. 511v,1661, febbraio 10.62 Si vedano le note 53-55.63 AMNG, Monastero di Santa Maria di Grottaferrata, Visite, 1, cc. 159v-160r (1733 aprile 9), c. 180r (1784, maggio 23), 196r (1785, maggio 29),207r (1786, maggio 25), 233r-233v (1788, maggio 25), 271r (1791, giugno2), 281r (1792, maggio 24), 296r (1794, maggio 18), 308r (1795, maggio14), 314r (1796, maggio 10), 320r (1797, settembre 17), 326v (1825, set-tembre 15).64 Si veda la nota 70.65 La statua è menzionata nel Diario di padre Filippo Vitali e segnatamentein relazione ai lavori del 25, 26 e 27 giugno 1754, BMNG, ms. Crypt. It.311, c. 9v: “nel nartece, in cui una bellissima statua di calce struzzo, rap-presentante Maria Santissima, con il di lei divino figliuolo nella mano si-nistro in atto di consegnare alla madre un pomo con faccia ridente, e conl’altra piccola mano tiene il divino Bambino un augelletto in atto di mor-dere questo un ditino al divino signore, che se ne ride. Questa statua èprobabile, che fosse stata collocata dal Santo Abbate Bartolomeo nella suachiesa fin dal suo principio”. Nel 25, 26 e 27 giugno 1754, c. 10r, viene dinuovo menzionata: “La suddetta statua di marmo di Maria Santissima cre-desi senza verun dubbio, che fosse stata fatta scolpire dal Santo AbbateBartolomeo in quella medesima forma, e positura, allorche apparve al me-desimo, ed al di lui maestro S. Nilo, e li consignò il Pomo d’Oro per por-si nel fondamento del campanile, quale pomo consignato alla Madre deldivino figliuolo con faccia ridente, Ella ricevutolo, lo tiene in mano conun modestissimo sorriso. Questa statua, dico, è quella, che fu collocatanell’altare sotterraneo sotto il vima, ò sia altare maggiore, sostenuto allo-ra da quattro colonne, e con le due cancellate di ferro dorate d’avanti ildetto altare, ove detta statua, a similitudine dell’altare sotterraneo inS. Maria Maggiore, cioè a quello ove il Venerabile, detto ad Presepe […].Quando fu distrutto detto vima, fu collocata la detta Santa statua di Ma-ria Santissima con il divino figliuolo nelle braccia, come sopra in quellolaterale dalle parte dell’epistola, ed ora di S. Basilio, in cui si vede pari-mente un ovato della medesima altezza, il di cui fondo è ceruleo, ed or-nato di stelle da per tutto”.Ancora 16 luglio 1754, c. 13r, afferma: “ove nel narthece, ò sia atrio del-la chiesa, stà l’altare, in cui la statua di Maria Santissima con il Bambinoin braccio, osservai dico l’arma di marmo bianco del card. Colonna Ab-bate commendatario di Grottaferrata, quale senza verun dubbio dà a di-vedere, che detto cardinale fece fare detto altare nell’atrio sudetto, ove fe-ce collocare quella medesima statua, che prima si adorava nella chiesa gran-de, e prima che dell’antico Tuscolo distrutto fosse quivi portata quella di-pinta da S. Luca”.Infine il 2 settembre 1754, c. 24v, il Vitali appuntò: “Pranzò il Cardinale[Guadagni] con noi […] e prima di partire per Roma all’ore 22- ordinò,

che si accomodasse l’altare del nartece, detto di S. Pupa da quel grazio-so Bambino, che tiene in braccio la Madre Santissima; ondè subito vi fumesso mano, e fu terminato di dipingere dal suddetto Agostino, che fe-ce il soffitto della Chiesa grande. Il resto si farà in appresso circa il det-to altare”.Sul manoscritto di Filippo Vitali: G. ZANDER, La chiesa medioevale dellaBadia di Grottaferrata e la sua trasformazione del 1754, in un manoscrittocriptense inedito del Padre Filippo Vitali, in “Palladio”, 1953, 2-3, pp. 5-16. Riguardo la descrizione della scultura da parte del Vitali si veda an-che: R. GIANNINI, ‘Vita’… cit. (nota 57), p. 20 nota 29.66 M.V. THAU, Vicende ottocentesche della chiesa abbaziale di S. Maria diGrottaferrata: conservazione e restauro, Roma 2007, pp. 43, 55, 56, 58, 61,84, 89-90, 91, 92, 93.67 B. FABJAN, Il Museo dell’Abbazia di S. Nilo tra passato e futuro, in SanNilo… cit. (nota 4), pp. 111-121, speciatim p. 115.68 M.V. THAU, Vicende… cit. (nota 66) p. 6669 Presso l’Archivio del Monastero Esarchico di Grottaferrata (d’ora in poiAMEG), Fondo fotografico, s.n., si trova un’immagine che testimonia lacollocazione della scultura all’interno della chiesa latina fatta costruire dalcardinal Mario Mattei intorno agli anni Quaranta dell’Ottocento, primadel ripristino dell’antico nartece avvenuto nel 1930. Un’altra che mostraquesta situazione si trova in B. FABJAN, Il Museo…, cit. (nota 67), p. 115.Le fotografie che illustrano le figure 5, 7 e 9, come già ricordato, sono sta-te reperite presso la Fototeca del Kunsthistorisches Institut di Firenze(Scultp. Renaiss., Lazio A-J, nn. 414085-414086). Queste due istantanee,alle quali si deve aggiungere una terza presente nell’AMEG, Fondo foto-grafico, s.n., sono particolarmente interessanti poiché mostrano la statuaentro una nicchia del nartece riabilitato. Anche le figure 1 e 2, che si ri-producono dall’articolo di I. FALDI, Una scultura francese… cit. (nota 10),pp. 246 fig. 1, 247 fig. 2 e delle quali si conservano gli originali presso ilGabinetto Fotografico Nazionale di Roma, ritraggono questo posiziona-mento e probabilmente furono scattate intorno agli anni Cinquanta delXX secolo. La foto alla figura 3, anch’essa rinvenuta presso l’AMEG, Fon-do fotografico, s.n., eseguita dal monaco Adriano Cirincione intorno aglianni Ottanta del Novecento, rappresenta invece la Madonna delle Grazieall’interno del Museo dell’Abbazia.70 AMNG, Monastero di Santa Maria di Grottaferrata, Inventari, 1737, ot-tobre, c. 6v-7r.71 I. FALDI, Una scultura francese… cit. (nota 10) p. 245.72 L. ARBACE, I volti… cit. (nota 23), pp. 31, 34. Sulla pietra calcarea aqui-lana tenera: F. RODOLICO, Le pietre delle città d’Italia, Firenze 1953, ed.cons. Firenze 1995, pp. 307-312.73 M.V. BRUGNOLI, Di un tabernacolo… cit. (nota 25), pp. 67-73, speciatimp. 67.74 Si veda la nota 28.75 La scultura è in legno policromo e misura in altezza 130 cm. Cfr. Astadi mobili, dipinti, oggetti d’arte provenienti da una collezione privata, cata-logo dell’asta, Franco Semenzato & C., Venezia, 25-27 aprile 1975, lotto480. Nello stesso catalogo è presente una Vergine orante in terracotta diambito abruzzese che sembra parzialmente legata alla statua di analogosoggetto nella chiesa di Santa Maria di Mater Domini di Chieti, già attri-buita a Giovan Francesco Gagliardelli, Silvestro Aquilano e Paolo Aqui-lano senior (G. BOFFI, Giovan Francesco Gagliardelli. Una proposta attri-butiva, in “Rivista Abruzzese”, LXII, 2009, 1, pp. 60-66, speciatim p. 62[con bibliografia precedente]).76 F. PALMEGIANI, Rieti e la regione Sabina, Roma 1932, p. 206.77 C. VERANI, Le sculture lignee di Leonessa. S. Sebastiano e S. Rocco nellachiesa di S. Pietro, in “Leonessa e il suo Santo”, 1966, 14, pp. 8-10, spe-ciatim pp. 9-10.78 Per le vicende della cappella e della statua di San Rocco si rimanda a: I.TOZZI, Pestis propulsator mirificus. San Rocco e gli affreschi di Vincenzo Ma-nenti nel duomo di Rieti, in “Vita Sancti Rochi”, 2008, 2, pp. 82-95; IDEM,Gli esiti della scultura di epoca pre-tridentina nel territorio della Diocesi diRieti, in “Storiadelmondo”, 60, 2009 (http://www.storiadelmondo.com/60/tozzi.scultura.pdf).79 Si veda la nota 28.