La gestione strategica della CSR

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IX La gestione strategica della CSR Valentina Cillo 9.1 Limpresa e il cambiamento Lanalisi degli aspetti legati al fenomeno della globalizzazione porta con sé una constatazione, seppur ovvia, circa il grado di complessità dellambiente esterno e la sua ripercussione sulle strategie e la gestione aziendale. Emerge, tuttavia, una riflessione interessante: dietro al modo in cui tale fenomeno avviene, cioè lintegrazione mondiale della domanda e la crescente flessibilità dellofferta, si trova un mutamento nella concezione stessa dellimpresa, che vede fortemente sottolineato ed esaltato il carattere dialogico della sua attività nel momento stesso in cui cresce il grado di complessità esterna 1 . Tutto ciò ha unimportante conseguenza: se lattività aziendale è definibile come un sistema aperto costituito da una catena dialogica senza fine, è intuibile che le tradizionali strutture organizzative sono in varia misura inadeguate e rivelano tutta la loro debolezza. Si spiega così la diffusione di organizzazioni a rete, in cui i singoli elementi sono legati tra loro da canali di comunicazione non neutrali, che implicano un apporto leale a un contesto comune e lindividuazione di obiettivi condivisi. Ma questa logica non si limita alla gestione interna dellazienda, poiché anche le relazioni esterne possono essere inserite 1 Caselli Clara, Etica e responsabilità dimpresa nelle relazioni internazionali, Istei, Università degli Studi di Milano Bicocca, Milano 2003.

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IX La gestione strategica della CSR Valentina Cillo 9.1 L�’impresa e il cambiamento L�’analisi degli aspetti legati al fenomeno della globalizzazione porta con sé una constatazione, seppur ovvia, circa il grado di complessità dell�’ambiente esterno e la sua ripercussione sulle strategie e la gestione aziendale. Emerge, tuttavia, una riflessione interessante: dietro al modo in cui tale fenomeno avviene, cioè l�’integrazione mondiale della domanda e la crescente flessibilità dell�’offerta, si trova un mutamento nella concezione stessa dell�’impresa, che vede fortemente sottolineato ed esaltato il carattere dialogico della sua attività nel momento stesso in cui cresce il grado di complessità esterna1.

Tutto ciò ha un�’importante conseguenza: se l�’attività aziendale è definibile come un sistema aperto costituito da una catena dialogica senza fine, è intuibile che le tradizionali strutture organizzative sono in varia misura inadeguate e rivelano tutta la loro debolezza. Si spiega così la diffusione di organizzazioni a rete, in cui i singoli elementi sono legati tra loro da canali di comunicazione non neutrali, che implicano un apporto leale a un contesto comune e l�’individuazione di obiettivi condivisi. Ma questa logica non si limita alla gestione interna dell�’azienda, poiché anche le relazioni esterne possono essere inserite

1 Caselli Clara, Etica e responsabilità d�’impresa nelle relazioni internazionali, Istei,

Università degli Studi di Milano Bicocca, Milano 2003.

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in un quadro di continuità interno/esterno2. Una complessità, poi, che deve superare i termini tradizionali delle logiche operative aziendali che, fino a ora, hanno prevalentemente affrontato i problemi in successione sequenziale. Più in generale, come eminenti studiosi (Henry Mintzberg, Peter Drucker, John K. Galbraith e altri) avevano anticipato, la macchina organizzativa sta diventando sempre meno macchina e sempre più sistema organizzativo.

L�’impresa e il suo ambiente

Fonte: Nostra elaborazione.

Secondo la teoria classica dell�’organizzazione la razionalità

astratta dell�’organizzazione doveva essere preservata dalle perturbazioni esterne cercando o di impedirle o di filtrarle costituendo funzioni aziendali specializzate. Come osserva Federico Butera �“essa corrispondeva all�’immagine dell�’impresa come soggetto dominante e dell�’imprenditore come demiurgo e grande organizzatore�”3

2 Cfr. Rullani Enzo, �‘Divisione del lavoro e reti di impresa: il governo della

complessit�, in Belassi Fiorenza (a cura di), Nuovi modelli di impresa, gerarchie organizzative e impresa a rete, Franco Angeli, Milano 1992.

3 Butera Federico, L�’orologio e l�’organismo. Il cambiamento organizzativo nella grande impresa in Italia, Franco Angeli, Milano 1992.

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Sono le prime esperienze organizzative degli anni Settanta, come l�’esemplare azienda di Adriano Olivetti, a rinegoziare con la comunità un nuovo significato di cittadinanza d�’impresa basata su complessi processi di interdipendenza economica e sociale.

La centralità della dialogicità per la concezione stessa dell�’impresa e l�’approccio organizzativo di tipo reticolare che ne consegue, sia a livello di imprese che di sistemi paese, consentono al processo di globalizzazione di dispiegare alcune interessanti potenzialità4. I grandi cambiamenti di scenario, che non sono esterni al mondo dell�’impresa ma lo compenetrano e lo connotano, possono quindi tradursi in concrete opportunità per l�’impresa5.

Di fronte al cambiamento, una prima tendenza consiste in ciò che Di Bernardo e Rullani hanno definito allargamento degli orizzonti di riferimento 6 . Al riguardo si potrebbe parlare di globalizzazione interdipendente, ovvero di una situazione radicalmente nuova in cui le diverse specificità economiche, produttive, sociali, culturali possono entrare in interazione, in comunicazione reciproca e - grazie alla diffusione di conoscenze e tecnologie informatiche - diventare parti interconnesse di sistemi più ampi. L�’interdipendenza non esclude profondi dislivelli di potere, di forza, di disponibilità di risorse.

In risposta al cambiamento di scenario, una seconda tendenza consisterebbe nell�’autonomizzazione e pluralizzazione dei diversi contesti nazionali e regionali nei quali sono radicate le imprese.

Rientrano in questa tendenza soprattutto la complessificazione e densificazione degli ambienti di riferimento attraverso l�’emergenza e l�’organizzazione di molteplici dimensioni sociali, politiche, economiche, giuridiche con le quali le imprese, operanti in tale contesto, interagiscono nell�’ambito di un gioco che può essere a �“somma positiva�”. Queste considerazioni acquistano un maggior significato se si prendono in considerazione diversi �“sistemi paese�”, caratterizzati �– come osserva Vaccà - non solo da infrastrutture e istituzioni loro propri, ma anche da peculiari valori che animano i soggetti sociali, nonché da determinati

4 Rullani Enzo, op. cit. 5 Porter Michael E., The Competitive Advantage of Nations, Macmillan, Londra 1989, trad.

it., Porter Michael E., Il vantaggio competitivo delle nazioni, Mondadori, Milano 1991. 6 Di Bernardo Barbara, Rullani Enzo, Evoluzione: un nuovo paradigma per la teoria

dell�’impresa e del cambiamento tecnologico, �“Economia e politica industriale�”, n. 42, 1984.

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convincimenti e sentimenti che denotano i comportamenti e le relazioni dei singoli con la società e lo stato7. Sotto questo profilo è agevole constatare che i capitalismi più dinamici e performanti sono quelli che si qualificano per la presenza al loro interno di istituzioni politiche e di assetti socioculturali che assicurano interazioni politiche con il sistema delle imprese �“senza annullarne l�’autonomia e l�’autopropulsività, ma anche senza rinunciare a indirizzare, sul piano istituzionale, i meccanismi dell�’economia di mercato�”8.

La terza tendenza, o determinante del cambiamento, riguarda proprio la propulsività e la pervasività del sapere scientifico. La scienza appare oggi potenzialmente in grado di trasformarsi in tecnologia, processo, prodotto, organizzazione, secondo dinamiche plurisequenziali che creano, a loro volta, stimoli e opportunità per l�’ulteriore progredire della scienza e delle sue applicazioni. Nello sviluppo della scienza e della tecnologia sono riscontrabili, in altri termini, logiche di autofertilizzazione e di multi- direzionalità.

La quarta tendenza concerne i mutamenti in atto nella strategicità delle risorse indispensabili per lo sviluppo. La questione non si pone tanto nei termini classici di abbondanza o scarsità e connessa modifica nel sistema di prezzi relativi dei diversi fattori di produzione, quanto nell�’emergenza e nelle peculiarità proprie delle risorse immateriali, identificabili in primis nel sapere, nella conoscenza, nell�’informazione.

Al crescere della complessità ambientale, quindi, l�’impresa deve e può ripensare il proprio ruolo. Deve9, per gli obblighi sociali e ambientali di cui si è detto nel Capitolo I e nel Capitolo II. Può, per il vantaggio reputazionale e quindi economico perseguibile attraverso l�’ascolto delle istanze sociali e la valorizzazione del capitale umano. Per questo non si può ignorare la grande importanza assunta dalla conoscenza nel dibattito internazionale.

7 Cfr. Vaccà Sergio, �“L�’efficienza dell�’impresa nei diversi sistemi capitalistici�”,

Economia e politica industriale, n. 74, 1993. 8 Zamagni Stefano, La costruzione dell�’identità nazionale fra incompiutezze, egoismi e

solidarietà, relazione alla XLII settimana sociale dei cattolici italiani, Torino 1993. 9 Ricordiamo che nel suo contributo al Consiglio di primavera del marzo 2005, la

Commissione Europea ha riconosciuto che la RSI può �“fornire un contributo essenziale allo sviluppo sostenibile rafforzando al tempo stesso il potenziale innovativo e la competitività dell�’ Europa�”. COM (2005)24 def.

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9.2 CSR e strategic management Nel 2009 Günter Verheugen, Vice Presidente della Commissione Europea responsabile per le Imprese e l�’Industria, in un suo intervento ha sottolineato l�’importanza di dare un nuovo slancio al tema della CSR per uscire dalla crisi economica degli ultimi anni: �“The crisis we are currently experiencing demands an ever more serious and strategic commitment to CSR. Europe can only flourish, and can only meet its objectives of sustainable development in all three pillars �– competitiveness, environmental protection and social inclusion �– if enterprises are trusted and actually trustworthy and valued for their contribution to society�”10.

La CSR, infatti, potrebbe divenire più rilevante che mai nel contesto di una crisi economica globale:

• può aiutare a costruire (o ricostruire) la fiducia nelle imprese, che è essenziale per la vitalità del mercato europeo;

• può indicare la strada per nuove forme di creazione di valore, indirizzate al perseguimento di vere e proprie �“sfide sociali�”, che possono rappresentare una via di uscita dalla crisi Il presupposto è una concezione strategica della CSR, non

come un �“[...] fenomeno di natura meramente filantropica, non integrato nella gestione strategica e operativa [...]�”. Al contrario,�“l�’assunzione di una responsabilità sociale è elemento strutturale della vita di un�’impresa [...]e non è fatta esclusivamente derivare da criteri etici estrinseci alla vita aziendale, percepiti come vincoli per le decisioni e le conseguenti azioni�”. E ancora,�“RSI e performance d�’impresa non solo possono rivelarsi �“non antagoniste, ma sono in grado di innescare un circuito virtuoso, a beneficio dello sviluppo aziendale, oltre che degli interlocutori sociali�”11.

Come affermato dalla Commissione Europea nel Libro Verde del 2001, però, essere socialmente responsabili vuol dire �“non solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici applicabili, ma anche andare al di là investendo di più nel capitale umano, nell�’ambiente e 10 Verheugen Günter, Corporate Social Responsibility Essential for Public Trust in Business,

Speech 09/53 dell�’11/02/2009, Europa Press Released Rapid, sito internet http://europa.eu/rapid/press-release_SPEECH-09-53_en.htm, 2013.

11 Verheugen Günter, op. cit., 2009.

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nei rapporti con le altre parti interessate�” 12 . Pertanto, non esiste alcuno strumento di enforcement per questi comportamenti virtuosi: l�’adesione e il rispetto degli standard e delle good practice sono lasciati completamente all�’iniziativa volontaristica delle imprese; ci si attende che la scelta venga spontaneamente recepita, se non per ragioni di convinzione etica, almeno sulla base di valutazioni pragmatiche di convenienza economica.

Per questo motivo, nell�’ottica di una maggiore promozione del tema, gli studiosi, le istituzioni e gli istituti di promozione della CSR stanno ponendo la loro attenzione sullo stretto nesso tra l�’implementazione della CSR nella filiera produttiva dell�’organizzazione e il vantaggio competitivo che ne consegue. A tal fine, l�’analisi dei costi e dei benefici connessi all�’adozione di pratiche di CSR diviene particolarmente esplicativo.

Negli ultimi anni, gli studiosi e dirigenti hanno dedicato attenzione alle implicazioni delle politiche e delle pratiche in materia di RSI, nonché alla loro relazione con la strategia di business13.

La domanda da cui gli studi sull�’argomento prendono avvio sembra sempre essere la seguente: come possono le strategie di responsabilità sociale creare vantaggi competitivi? Gli studi economici in genere esplorano l�’associazione tra responsabilità sociale, strategia aziendale e vantaggio competitivo. Il loro comune obiettivo consiste nel tentativo di evidenziare come una forte tendenza verso la CSR possa portare a profitti per la società esercitando nel contempo un impatto positivo sulla società medesima.

Secondo Andrews, la gestione strategica è uno standard di processo decisionale che finisce per determinare le politiche, le strategie, gli obiettivi e le azioni di un�’impresa. Le strategie definiscono la natura economica e non economica delle loro azioni, nonché il rapporto tra gli azionisti, i dipendenti, i clienti e la comunità14.

12 Commissione delle Comunità Europee, Libro Verde. Promuovere un quadro europeo

per la responsabilità sociale delle imprese, Bruxelles, 18 Luglio 2001. 13 McWilliams Abigail, Siegel Donald S., & Wright Patrick M., Corporate social

responsibility: strategic implications, �“Journal of Management Studies�”, 43(1), 2006, pp. 1-18.

14 Andrews Kenneth, The concept of corporate strategy. Homewood: McGraw-Hill, 1987.

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La responsabilità sociale è diventata indispensabile 15 . Le decisioni strategiche delle grandi imprese comportano conseguenze sociali oltre che economiche che sono intimamente connesse. Porter e Kramer affermano che esiste una forte interdipendenza tra le imprese e la società, dal momento che le attività di una impresa hanno un impatto diretto sulle comunità con cui lavorano. Questo può portare a conseguenze positive o negative. A tal fine, il management di un impresa deve tenere conto delle aspettative della società e delle decisioni, considerando anche gli impatti positivi e negativi che possono derivare, non solo per l�’azienda stessa, ma anche per gli stakeholder e la società in generale16.

Un cambio di dirigenza, quindi, è in grado di portare a un cambio di strategia sociale. Lo stesso fenomeno è sottolineato da Mintzberg (1983) e Pearce e Doh17, che affrontano le strategie di CSR come �“la motivazione ad agire socialmente responsabile cambia in base ai valori di ciascun dirigente�”.

Per meglio definire il rapporto tra strategia aziendale e CSR, l�’Istituto Ethos 18 nel 2007 ha adottato la seguente definizione: �“Responsabilità sociale delle imprese è una forma di gestione che viene definita dal livello di etica e trasparenza alla base del rapporto dell�’impresa con tutti gli stakeholder con cui ha un rapporto�”, e si esprime con �“l�’istituzione di obiettivi aziendali che sono compatibili con lo sviluppo sostenibile della società, conservando risorse ambientali e culturali per le generazioni future, rispetto delle diversità e promuovendo la riduzione dei problemi sociali19.

La definizione delle componenti essenziali della strategia sociale è un elemento necessario per la caratterizzazione di tali

15 Mintzberg Henry, The case for corporate social responsibility, �“Journal of Business

Strategy�”,1983, pp 3-15. 16 Porter Michael E., & Kramer Mark R., Strategy and society: the link between competitive

advantage and corporate social responsibility, �“Harvard Business Review�”, 2006, pp. 78-92. 17 Pearce John A. II, Doh Jonathan P., The high impact of collaborative social initiatives,

�“MIT Sloan Management Review�”, Spring 2005. 18 Con sede a Rio de Janeiro e con più di 1300 imprese di tutti i settori associate in

Brasile, l�’Istituto Ethos è una organizzazione della società civile con la finalità di mobilitare, sensibilizzare e aiutare le imprese a gestire il loro business in forma socialmente responsabile.

19 Ethos, Instituto de Empresas e Responsabilidade Social, Indicadores Ethos de responsabilidade social, Versão 2007, sito internet http://www3.ethos.org.br/, 2013.

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strategie. Secondo Kenneth Andrews20 i principali componenti alla base della formulazione della strategia sono: (a) le opportunità di mercato, (b) le risorse aziendali e le competenze, (c) i valori e le aspirazioni, e (d) la conoscenza degli obblighi per la società e azionisti.

Husted e Allen 21 utilizzano gli strumenti e i concetti della strategia di business per formulare nuovi modelli di strategia sociale. La strategia d�’impresa sociale deve quindi essere subordinata ai seguenti quattro elementi: (a) tipo di mercato22, (b) le risorse interne dell'impresa23, (c) le ideologie e i valori dell�’impresa, e (d) le relazioni con le parti interessate.

Per Mario Molteni, la responsabilità sociale è parte della strategia aziendale, in quanto può aiutare la gestione aziendale a trovare soluzioni innovative basate sulle aspettative degli stakeholder24. L�’autore propone un modello di innovazione basata sulla responsabilità sociale, affermando che questo può essere un fattore creativo nello sviluppo della concorrenza. Allo stesso modo, Zadek definisce la responsabilità sociale aziendale come uno dei modelli di concorrenza tra le imprese25.

Husted e Salazar affermano che le aziende dovrebbero mettere le loro strategie di responsabilità sociale nella pratica, con l'intento di migliorare sia le prestazioni economiche che quelle sociali. Gli Autori, hanno esaminato le strategie di CSR nelle imprese con l'obiettivo di evidenziare le opportunità di massimizzare sia i profitti che le prestazioni sociali connesse all�’adozione di strategie socialmente responsabili. Attraverso un confronto tra le imprese, gli autori hanno identificato tre tipi di investimento sociale (altruista, egoista e strategici), giungendo alla conclusione che l'investimento

20 Andrews Kenneth, op. cit. 21 Husted Brian W., Allen David B., �‘Toward a model of corporate social strategy

formulation�’, Proceedings of the Social Issues in Management Division at Academy of Management Conference, Washington D.C., Washington, USA, 2001.

22 Porter Michael E., Estratégia competitiva (7a ed.), Elsevier, Rio de Janeiro 1986. 23 Barney Jay, Firm resources and sustained competitive advantage, �“Journal of

Management�”, Vol. 17, n.1, 1991, pp.99-120. 24 Molteni, Mario, The social-competitive innovation pyramid, �“Corporate Governance�”,

6,(4), 2006, pp. 516- 526. 25 Zadek Simon, Responsible competitiveness: reshaping global markets through responsible

business practices, Corporate Governance, Vol. 6 Iss: 4, 2006, pp.334 �– 348.

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strategico genera risultati migliori per le aziende che cercano di raggiungere contemporaneamente la massimizzazione le performance economiche e sociali. Le conclusioni di questo studio indicano che una società può aggiungere valore e ottenere un vantaggio competitivo attraverso le attività socialmente responsabili, ma deve agire in modo strategico integrando la CSR nelle strategie aziendali26.

Le azioni dell�’impresa, quindi, dovrebbero essere viste come la possibilità di aggiungere valore ai prodotti, migliorando la legittimità a operare, la fiducia e la reputazione27. Di conseguenza, dovrebbero essere collegate direttamente al proprio core business, al fine di massimizzare il potenziale di queste azioni28. Un allineamento tra la strategia di business, le azioni di responsabilità sociale e il core business dell�’impresa è necessario al fine di realizzare strategie sociali aziendali efficienti ed efficaci sia dal punto di vista economico che sociale. Per migliorare questo allineamento Zadek propone di analizzare il rapporto tra strategia, leadership e eccellenza attraverso la prospettiva dell�’apprendimento. Per rappresentare il concetto, l�’autore suggerisce un triangolo con i seguenti componenti:

• nella parte superiore vi è la strategia di business in sé: fino a che punto la strategia di business dell�’azienda può abbracciare la responsabilità d�’impresa al suo cuore.

• Nel mezzo c�’è l�’apprendimento, basato sul coinvolgimento della società: attivisti civili, del lavoro, il governo, le altre imprese sul mercato interno e chiunque sia direttamente o indirettamente coinvolto nell�’attività dell�’impresa.

• In basso a sinistra, c�’è la leadership. Con questo si intende che le aziende possono utilizzare la responsabilità sociale come strategia di innovazione29. Porter e Kramer dividono le questioni sociali in tre categorie:

le questioni sociali generiche, la catena del valore dell�’ impatto

26 Husted, Brian W., & Salazar, Josè de Jesus., Taking Friedman seriously: maximizing profits

and social performance, �“Journal of Management Studies�”, 43, (1), 2006, pp. 75-91. 27 Porter Michael E., Kramer Mark, The competitive advantage of corporate philanthropy,

�“Harvard Business Review�”, December 2002, pp. 5-16. 28 Cfr. Porter Michael E., Kramer Mark, op. cit. 2002; Zadek Simon, op. cit., 2006. 29 Zadek Simon, Forstater Maya and Oelschlaegel Jeannette, The Materiality Report:

Aligning Strategy, Performance and Reporting, Accountability, London 2006.

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sociale e la dimensione sociale del contesto competitivo. Le questioni sociali generiche sono importanti per l�’impresa, ma non influenzano in modo significativo le operazioni aziendali, né influiscono sulla competitività nel lungo periodo. La catena del valore dell�’ impatto sociale comprende le questioni sociali che sono significativamente influenzate dalle attività aziendali. Per dimensione sociale del contesto competitivo si intende invece l�’ambiente esterno che influenza significativamente la direzione e la competitività dell�’azienda nel luogo in cui opera. Quindi, vi è una gerarchia di importanza nella tipologia delineata da Porter e Kramer, in cui la dimensione sociale del contesto competitivo è la più importante e le questioni sociali generiche sono le meno importanti. Il fatto è che la responsabilità sociale e la strategia aziendale per molti anni sono stati visti separatamente, dove in realtà la responsabilità sociale contribuiva al perseguimento di obiettivi sociali e la strategia aziendale al perseguimento degli obiettivi economici30. Tuttavia, essi non devono essere considerati separatamente, al fine di massimizzare i risultati sia economici e sociali31.

Secondo Porter e Kramer esiste una relazione d�’interdipendenza, quindi, tra impresa e società: le imprese, infatti, prelevano dal sistema competitivo delle risorse (economiche, sociali, ambientali) per lo svolgimento delle proprie attività e, al termine del processo produttivo, restituiscono valore (economico, sociale e ambientale) al sistema competitivo; se l�’impresa ha reso al contesto competitivo un valore aggiunto superiore rispetto a quello che ha prelevato, sarà la stessa impresa a goderne reintroducendo tali nuove risorse nel proprio processo produttivo. Si tratta dunque da un lato di chiedersi quale e quanto valore viene prelevato a monte del processo produttivo e quanto viene restituito a valle e, dall�’altro, in che modo tale valore possa essere massimizzato a favore degli stakeholder del territorio in una logica win-win.

30 Porter, Michael. E., & Kramer Mark, Strategy and society: the link between competitive

advantage and corporate social responsibility, �“Harvard Business Review The Magazine�”, December 2006, pp. 78-92.

31 Husted Brian W. & Allen David B., op. cit., 2001.

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La catena del valore sociale

Fonte: Porter e Kramer, 2006.

L�’importanza del pensiero dei due Autori rispetto alle gestione strategica della CSR risiede nel loro tentativo di trattare i problemi dell�’etica e della responsabilità sociale come un investimento a lungo termine sulla competitività futura.

L�’impresa socialmente integrata, infatti, interiorizza nelle proprie strategie le decisioni volte a non arrecare danni alla società e anche gli investimenti che possono portare importanti benefici alla società civile, ma solamente nella misura in cui tali investimenti costituiscano una fonte di accrescimento del proprio vantaggio competitivo.

9.3 Gli stadi di sviluppo della CSR nella strategia aziendale Nel 2007 Molteni, a partire dagli studi di Porter e sulla base di una ricognizione di numerosi business case a livello italiano, formula un modello di interpretazione delle logiche di CSR nelle imprese, utile a fini di posizionamento32. Il modello a stadi33 della CSR prevede un

32 Molteni Mario, Gli stadi di sviluppo della CSR nella strategia aziendale, �“Impresa

Progetto �– Electronic Journal of Managment�”, Rivista on line del DITEA, 2007, 2,; http://www.impresaprogetto.it/essays/2007-2/molteni

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Si tratta di manifestazioni di orientamento socio-ambientale alle

quali, nella maggior parte dei casi, il management neppure attribuisce il termine di CSR. La transizione verso la fase successiva è di solito indotta dalla presa di coscienza da parte dei vertici aziendali circa l�’ineluttabilità dell�’accostare il tema della CSR. Questa nuova consapevolezza è spesso favorita dalle crescenti pressioni operate da soggetti esterni, dai riconoscimenti attribuiti alle politiche socio-ambientali dei principali concorrenti, dalle prese di posizione dei lavoratori e dei loro rappresentanti, dall�’opera di sensibilizzazione operata da manager di livello inferiore particolarmente attenti a questi temi�”34.

Nel secondo stadio, definito come CSR corrente, le imprese mettono in atto un insieme articolato di azioni concernenti la CSR, come lo sviluppo del codice etico, l�’elaborazione del Bilancio sociale o di sostenibilità e il conseguimento di certificazioni internazionali. La fase corrente, dunque, richiede un decisivo impegno e coinvolgimento del top management, collegato a investimenti di risorse tangibili e intangibili sulla CSR e alla selezione delle azioni e degli interventi ritenuti maggiormente coerenti con le strategie aziendali.

Molteni osserva che �“la fase della CSR corrente presenta un pericolo tipico, ma anche taluni vantaggi che è opportuno sottolineare. Il pericolo consiste nel fatto che l�’impegno socio-ambientale sia confinato alla pura forma. L�’adozione delle pratiche più consuete di CSR può essere meramente vissuta come dovere da compiere per adeguarsi ai comportamenti dei concorrenti. In tal modo la gestione caratteristica dell�’impresa non viene posta in discussione. Così facendo si alimentano quelle posizioni critiche secondo le quali la CSR altro non sarebbe che un�’operazione cosmetica, ininfluente o addirittura colpevole, perché può avere il fine recondito di distogliere l�’attenzione del pubblico dai problemi veri dell�’impresa. Ma questa non è l�’unica logica con cui le pratiche tipiche possono essere adottate. Se introdotte con l�’impegno e serietà, esse invece possono costituire elementi in grado di innescare un autentico processo di trasformazione dell�’impresa nella direzione di una più alta responsabilità sociale e ambientale�”35.

34 Molteni Mario, op. cit., 2007, p.4. 35 Molteni Mario, op. cit., 2007, pp. 7-8.

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La terza fase di evoluzione della CSR è rappresentata dalla CSR sistematica, la quale implica che la dimensione socio-ambientale sia fortemente radicata all�’interno della cultura dell�’impresa, richiamata nella visione e che da essa discendano obiettivi strategici e operativi.

Molteni afferma che �“sotto il profilo operativo, per la definizione di una CSR sistematica è assai utile fare ricorso a tre approcci analitici tra loro complementari. Il primo approccio, basato sulle attività, consiste nell�’utilizzare il noto modello della catena del valore come ausilio per identificare problemi e opportunità di natura socio-ambientale relativi a ciascuna attività aziendale (Porter 1980) 36.

Il secondo approccio, basato sugli stakeholder, consiste nell�’attivare (o rinforzare) il dialogo con le varie categorie di portatori di interesse, al fine di comprenderne le attese manifeste (Porter 1980) 37. La chiara e tempestiva comprensione delle domande sociali rivolte all�’impresa è condizione per la formulazione di una più valida strategia verso gli stakeholder, contribuendo a migliorare il processo decisionale, anticipando l�’emergere di conflitti, dunque, accrescendo il grado di coesione attorno al progetto di sviluppo dell�’impresa. Il terzo approccio, basato sul benchmarking, si fonda sull�’osservazione delle best practice presenti nelle imprese e sui contenuti suggeriti dai vari standard e dai codici di autoregolamentazione. Sotto il profilo operativo, questa fase è caratterizzata da un sensibile miglioramento delle politiche di CSR: innanzitutto, le pratiche già in essere sono accostate con maggiore professionalità; in secondo luogo, le azioni già realizzate nell�’ambito di un singolo business vengono trasferite anche ad altre aree d�’affari; infine, vengono adottate nuove misure a favore degli stakeholder. Tra le novità che spesso è dato osservare, si segnalano: l�’attivazione di programmi di volontariato per i dipendenti; l�’introduzione delle politiche di gestione delle risorse umane di un programma per le pari opportunità; l�’introduzione di un codice etico per i fornitori; il tentativo di razionalizzare, creando un quadro di riferimento, le varie attività che i singoli business hanno posto in essere nei confronti della comunità; l�’articolazione della politica ambientale; l�’introduzione di obiettivi socio-ambientali nei sistemi di valutazione e incentivazione dei manager;

36 Porter Michael Eugene, Competitive Strategy, Free Press, New York, 1980. 37 Porter Michael Eugene, op. cit., 1980.

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l�’inserimento di misure socio-ambientali nella balanced scorecard; l�’implementazione di una politica per monitorare la catena di fornitura trasversale ai vari business; lo sviluppo di politiche di marketing attente agli impatti sociali�”38.

Nella quarta fase di sviluppo, abbiamo la CSR innovativa, che si caratterizza �“per la ricerca di soluzioni innovative atte a soddisfare in misura sempre maggiore le attese di uno o più gruppi di portatori di interessi, tendendo a fare di tali soluzioni un fattore di sviluppo del vantaggio aziendale. In questo caso il termine responsabilità sociale perde ogni connotato negativo 39 , nel senso di divieto o di vincolo all�’operare, e diventa sinonimo di una creatività posta al servizio della soddisfazione delle attese di tutti gli stakeholder40�”.

La sintesi socio-competitiva

Fonte: Molteni M., 2007.

Questi vantaggi si affermano attraverso quelle che Molteni definisce sintesi socio-competitive, cioè �“un�’innovazione aziendale �– la quale 38 Molteni Mario, op. cit., 2007, pp. 9-11. 39 In merito alla distinzione tra azione �‘negativa�’ e azione �‘affermativa�’, si vedano: Nagel

2001, pp. 379-382); Beauchamp, Bowie (2001). Analoghe classificazioni sono proposte da: De George (1993, cap. 10), che distingue tra il rispetto delle norme oltre il minimo e il perseguimento degli ideali; Kemp (2001), che distingue tra misure value conserver (elaborate per limitare i rischi e le esternalità negative) e misure value creator (realizzate in vista di generare ricavi addizionali e di migliorare l�’efficienza)

40 Sull�’importanza della creatività volta a ricercare nuove soluzioni capaci di conciliare attese la cui soddisfazione si pone inizialmente come alternativa, si segnalano tra gli altri: Coda (1995); Lozano (2001, pp. 330-356).

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può riguardare il livello centrale, un business, una specifica funzione o un singolo processo �– che consente di rispondere alle attese di una o più classi di interlocutori al di là di quanto previsto dalla normativa vigente e dalle consuetudini del tempo, contribuendo nello stesso tempo a sostenere le performance aziendali�” contribuendo, allo stesso tempo, a sostenere le performance economiche e sociali dell�’impresa41.

L�’ultimo stadio, quello della CSR dominante riguarda le imprese che hanno interiorizzato profondamente le logiche di CSR. �“È il caso dell�’impresa che fa della CSR il cuore stesso della propria identità e, quindi, della strategia aziendale, rendendola il criterio informatore di tutte le decisioni aziendali�”. La CSR dominante è il portato di una leadership dotata di una profonda sensibilità socio-ambientale e anche del carisma necessario per fare di essa il perno della cultura aziendale42.

9.4 Gli strumenti per la gestione strategica della responsabilità

sociale Alla luce di quanto fin qui esposto, appare chiaramente che un serio approccio alla responsabilità sociale non possa fare a meno né dell�’aspetto formale né dell�’aspetto sostanziale, ovvero di un approccio alla responsabilità sociale che sia al contempo genetico e gestionale.

Non esistono aziende socialmente responsabili. Esistono, semmai, aziende orientante alla responsabilità sociale, nelle quali i problemi, le contraddizioni, le debolezze, le criticità e le smagliature non mancano di certo ma non vengono nascoste e diventano, piuttosto, il luogo della riflessione e del confronto strategico all�’interno dell�’azienda e tra azienda e interlocutori esterni. Gli strumenti della responsabilità sociale, come sola operazione di maquillage, non offrono alcuna garanzia circa la sostenibilità dell�’azienda. La cronaca di questi ultimi anni ha prodotto non pochi esempi di aziende riccamente dotate di strumenti di RSI, dal codice

41 Molteni Mario, op. cit., 2007, pp. 11-13. 42 Molteni Mario, op. cit., 2007, pp. 17-19.

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etico al bilancio di sostenibilità, e che si sono inopinatamente rivelate ben lontane da un approccio imprenditoriale sostenibile. Gli strumenti della responsabilità sociale, quindi, devono poggiare su opzioni strategiche di business molto chiare e precise. Per questo risulta utile anzitutto ragionare su due livelli descrittivi: le opzioni strategiche di business e le leve organizzative utilizzate per rafforzare e consolidare nella cultura aziendale il valore di queste opzioni.

9.5 Il paradigma culturale nel codice etico d�’impresa Quando si parla di valori all�’interno dell�’impresa non è possibile esimersi dal considerare il concetto di cultura aziendale.

In letteratura si trovano diverse definizioni di cultura. Per cultura si intende generalmente �“il set di norme che caratterizzano un�’organizzazione e condizionano il comportamento delle persone e dei gruppi che operano al suo interno�”43; in particolare assume rilievo il fatto che ogni impresa �“ha una sua storia e delle sue tradizioni, regole e modi di operare che derivano dai suoi caratteri costitutivi e dai sui costumi�”44.

Un approccio complesso alla cultura di un�’azienda, per la sua rilevazione o manipolazione, significa considerarne i diversi livelli di esperienza e manifestazione. È necessario, quindi, analizzare distintamente:

• artefatti, visibili ma spesso non decifrabili. Il livello più manifesto della cultura è rintracciabile nello spazio sociale, nella produzione tecnologica del gruppo, nel suo linguaggio scritto e parlato e nel comportamento dei componenti.

• valori, livello più alto di consapevolezza. Quando i valori vengono dati per scontati si trasformano in convinzioni e in assunti ed entrano a far parte delle idee cui si fa riferimento

43 Weizmann Howard C., Weizmann Jane K., Gestione delle risorse umane e valore

dell�’impresa �– un nuovo modello per migliorare performance e fedeltà dei collaboratori, Franco Angeli, Milano 2003.

44 Mc Coy Chailes S., Juergensmeyer Mark, Twining Fred, Ethics in the corporate Policy and Performance, Pitman, 1975, p. 5.

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automaticamente, come delle abitudini inconsce. Non tutti i valori però subiscono questa trasformazione.

• assunti di base, dati per scontati, invisibili e inconsapevoli. Quando una soluzione viene adottata ripetutamente con successo, diventa automatica e quindi scontata. Ciò che inizialmente era solo un�’ipotesi sostenuta da un valore o da un�’impressione, comincia a diventare gradualmente una realtà45. Considerare la cultura dell�’impresa è un passo necessario per

poter introdurre un orientamento ai valori nella gestione aziendale, in quanto occorre tenere conto di quegli elementi, usi, costumi, principi di riferimento, comportamenti, che fanno parte della cultura preesistente. Imporre principi etici senza considerare quest�’ultima potrebbe significare un trauma per l�’intera organizzazione, provocando il rigetto dei nuovi valori46. Questo potrebbe avvenire perchè in realtà ogni cultura aziendale presenta in sé comunque dei valori etici che hanno permeato per lungo tempo i comportamenti dell�’impresa. Non considerare tale aspetto, e pretendere di stravolgere la cultura preesistente, comporterebbe ovviamente dei rischi rilevanti riguardo la buona riuscita della svolta etica.

Nell�’introduzione di nuovi valori etici all�’interno dell�’impresa può essere utile ricorrere a uno strumento che ha trovato ampia diffusione negli ultimi anni, non solo in Italia, ovvero il Codice Etico, avente a oggetto il Credo dell�’impresa, vale a dire i principi guida, gli obiettivi di fondo, le aspirazioni dal taglio sociale, i valori e le posizioni culturali cui l�’impresa intende aderire47. Questo atto interno può prendere diversi titoli, come codice di condotta o codice di comportamento; tuttavia la forma più usata per indicarlo è codice etico. Il codice etico è nato all�’interno delle imprese all�’inizio degli anni Sessanta negli Stati Uniti, per poi essere impiegato in maniera piena nel corso degli anni Settanta 48 . In quel periodo aumentava il bisogno di far risaltare i valori etici dell�’impresa nel 45 Schein Edgar H., Cultura d�’azienda e leadership, Jossey Bass, New York 1985,

trad.it. Decastri M. (a cura di) Cultura d�’azienda e leadership. Una prospettiva dinamica, Guerini e Associati, Milano 1990, p. 101.

46 Di Toro Pierre, L�’etica nella gestione d�’impresa, CEDAM, Padova 1993, p. 281. 47 Ibidem, p. 339. 48 Più dell�’80% delle imprese americane ha oggi documenti identificabili in qualche

modo come codici etici. Tratto da Intervista a Lorenzo Sacconi, �“Quale impresa�”, n. 9, 1992.

TEORIE E TECNICHE DELLA RESPONSABILITÀ SOCIALE D�’IMPRESA

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momento in cui, �“l�’accresciuta dimensione49 dell�’impresa ne metteva in luce la potenziale anti-eticità�”50. Fu per questo motivo che nel 1977 si introdusse il Foreign Corrupt Practices Act (FCPA) 51. In questo clima era enormemente adatto, per limitare i rischi e per ridurre i costi che una condotta d�’affari non conforme alla legge poteva comportare, introdurre codici e comitati etici che si preoccupassero di assicurarne l�’applicazione. Certamente rilevante, ancora oggi, negli Stati Uniti è la legge che tenta di rendere conveniente l�’adozione di codici etici. Le Federal Sentencing Guidelines del 1991 prevedono, per esempio, che il dotarsi di un programma interno di rilevazione e prevenzione di comportamenti illeciti, rappresenti un�’attenuante nel caso di coinvolgimento dell�’impresa in un processo penale.

In Europa52 le strette delle autorità sono state meno incisive53 e le imprese che hanno preferito ricorrere a un codice etico in passato lo hanno fatto molto spesso per una questione di public relations.

L�’attuale diffusione di tematiche legate alla CSR impone alle imprese di considerare il codice etico come strumento necessario al buon funzionamento di un�’impresa etica. Infatti il codice etico non solo accoglie i valori etici dell�’impresa ma �“stabilisce la forma in cui i valori etici e i precetti di un�’organizzazione si traspongono in lavoro

49 In realtà, la ragione principale che ha spinto molte imprese americane a dotarsi di

un codice etico è però rappresentata dalle pressioni rivolte dalle autorità americane alle imprese sospettate di comportamenti illeciti. In particolare, determinanti furono una serie di inchieste aperte negli anni Sessanta e Settanta, che portarono all�’arresto di parecchi dirigenti aziendali.

50 Marra Anna, L�’etica aziendale come motore di progresso e di successo, Franco Angeli, Milano 2002, p. 11.

51 Il Foreign Corrupt Practices Act prevedeva, tra l�’altro, che la corruzione di un funzionario pubblico straniero da parte di un soggetto statunitense costituisse reato.

52 �“In Europa circa il 50% delle imprese tedesco-federali è dotata di un documento identificabile come codice etico; lo stesso vale per il 50% delle imprese inglesi�” Intervista a Lorenzo Sacconi, �“Quale impresa�”, n. 9, 1992.

53 Nel contesto italiano il Dlgs. 231/2001 prevede una forma esimente della responsabilità dell�’ente che è rappresentata dall�’adozione ed efficace attuazione di modelli organizzativi. Se in un processo penale per uno dei reati previsti l�’impresa dimostra di aver adottato sistemi organizzativi idonei a prevenire la realizzazione degli illeciti penali considerati, l�’ente non ne risponde. Tuttavia questa iniziativa è di recente introduzione rispetto alle tendenze negli Stati Uniti. In questa sede, inoltre, si sceglie di non approfondire l�’aspetto giuridico legato all�’adozione del codice etico, ma di riportare solo tale cenno. Per approfondimenti si rimanda a Marra Anna, L�’etica aziendale come motore di progresso e di successo, Franco Angeli, Milano 2002.

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giornaliero e in interazione tra collaboratori�”54. Questo significa che il codice etico svolge una vera e propria funzione guida per ogni dipendente, che sa come l�’organizzazione gli richiede di comportarsi. Il codice esprime insomma il �“contratto sociale ideale�”55 e assolve il compito di tradurre �“in principi e norme operative i criteri etici adottati nel bilanciamento di aspettative e interessi degli stakeholder�”56.

L�’efficacia del codice etico non deriva tanto dai valori contenuti, quanto piuttosto �“dalla onestà intellettuale di chi li ha voluti, dal metodo con cui sono stati elaborati e dal controllo circa il loro reale rispetto�”57.

Il pericolo, ovviamente, come per numerose altre tematiche riguardanti la CSR, è che il codice venga adoperato solo per un�’operazione di facciata da parte di un�’impresa che in realtà non scelga di adottare realmente una condotta etica.

Per scongiurare questo rischio è necessario che: vi sia la reale intenzione da parte dei vertici aziendali di introdurre un processo che incida davvero sulla vita dell�’impresa e che il codice contenga anche messaggi concreti e realistici, evitando che il suo contenuto venga percepito come utopistico o irraggiungibile dai destinatari, che altrimenti sarebbero sfiduciati e demotivati ad applicarlo.

9.6 La funzione manageriale Un mutamento della cultura d�’impresa in senso responsabile è la base fondante per trasferire poi all�’esterno i valori e le pratiche della stessa e non può prescindere da un coinvolgimento personale che parte dal manager e arriva fino ai dipendenti. Per una forte e concreta applicazione della responsabilità sociale nell�’impresa come strumento di crescita e di competitività è necessario che essa venga 54 Marra Anna, L�’etica aziendale come motore di progresso e di successo, Franco Angeli,

Milano 2002, p. 116. 55 C.E.L.E. Progetto Q-RES: la qualità della responsabilità etico sociale di impresa- linee guida

per il management, ottobre 2001, �“Liuc Papers�” n. 95, serie Etica, Diritto ed Economia, Suppl. a Ott. 2001, p. 23.

56 C.E.L.E., op. cit., 2001, p. 23. 57 Persio Mario, Etica e impresa. L�’intelligenza morale come forza dinamica, Franco Angeli,

Milano 1999, p. 18.

TEORIE E TECNICHE DELLA RESPONSABILITÀ SOCIALE D�’IMPRESA

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percepita e interiorizzata prima di tutto nell�’ambito aziendale. Secondo Goodpaster 58 si individuano in questo ambito tre imperativi etici relativi al management socialmente responsabile:

Il primo di questi fa capo all�’orientamento, cioè la capacità che ha il manager di ascoltare e capire la propria organizzazione e i valori condivisi al suo interno in modo da valutarne forza e debolezza.

Il secondo consiste nell�’istituzionalizzare, quindi nel concretizzare le azioni che il manager può intraprendere per far diventare quei valori parte integrante della coscienza d�’impresa.

A questo scopo il manager intraprende azioni etiche dotate di visibilità e, dando il buon esempio, attua controlli e standard e utilizza determinati incentivi per premiare azioni socialmente orientate dei propri dipendenti. Infine attua il sostegno di tali valori comunicandoli alla successiva generazione di manager e al più ampio sistema sociale, creando così una sorta di corrispondenza tra la cultura dell�’azienda e i suoi futuri leader, tra l�’azienda e gli stakeholder con cui si relaziona.

Alla luce di quanto appena esposto bisogna rilevare che la difficoltà consiste nel far sì che questa corrispondenza non sia �“turbata�” dalla logica dei profitti in tutte le sue relazioni. La figura del manager in questo senso deve supportare la �“capacità di saper lavorare su un sistema di valori etici il cui perseguimento presiede alla configurazione di politiche di medio lungo termine e all�’assunzione di decisioni operative aventi comunque riflesso, sull�’ambiente sociale�”59, da qui l�’importanza del formare un abilità professionale in linea con questo sistema di valori. Secondo Mazza �“la responsabilità aziendale la si ritrova in quegli amministratori che sanno operare come se fossero imprenditori, poiché è nel senso dell�’imprenditorialità che prende contenuto di valore la loro professionalità.�”60. 58 Goodpaster Kenneth, Business Ethics: Policies and Persons, McGraw-Hill, Irwin

2005, pp. 39-40. 59 Di Toro Pierre, L�’etica nella gestione dell�’impresa. Studi sulla dimensione culturale

dell�’azienda e sulla qualità del suo modo di essere, �“Studi di Ragioneria e di Economia Aziendale�”, Collana diretta da G. Catturi, CEDAM, Padova 1993.

60 Mazza Gilberto, Gestione e responsabilità aziendale, �“Rivista italiana di Ragioneria e di Economia aziendale�”, Gennaio/Febbraio 1993, p. 28.

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Ne consegue che per sviluppare tale capacità bisogna che si impadroniscano di una metodologia adatta a prevedere e pre-calcolare gli effetti che le scelte a cui sono sottoposti determineranno sulla collettività globale. In sintesi il manager deve essere in grado di utilizzare strumenti e processi di controllo dell�’attività come pure metodi di analisi della realtà ambientale, i quali pervadano l�’operare dell�’azienda di una cultura etica, sia nella fase precedente l�’attuazione degli atti gestionali, sia nel momento esecutivo degli stessi, sia nella fase successiva di verifica delle operazione eseguita.

È importante sottolineare che proprio in virtù di quanto appena detto, diventa fondamentale che la formazione di questi manager sia una formazione �“etica�”. Secondo Sandro Pezzoli �“la formazione etica di un manager non si risolverebbe in un vero e proprio processo di acculturazione economico-aziendale se non accostasse a ciò che avviene o si fa davvero in pratica, ciò che dovrebbe avvenire, e inoltre, non si soffermasse a sottolineare che fra le qualità e i requisiti del manager un posto importante va assegnato all�’integrità morale che da sempre deve sorreggere il suo comportamento�”61

Vittorio Coda in tal senso afferma �“l�’accresciuta importanza dei principi etici di comportamento del manager non induce nessuna sottovalutazione della professionalità manageriale e della creatività imprenditoriale[...] anzi, a parte il fatto che esse possono considerarsi imperativo morale, giova sottolineare che proprio le capacità manageriali e imprenditoriali concretamente rendono possibile vivere i valori etici nella realtà economica.�”62

Il manager deve dunque, in definitiva, essere capace di: • espletare un continuo monitoraggio sull�’ambiente sociale

circostante; • misurare secondo il punto di vista degli stakeholder la scelta di

linee gestionali alternative; • bilanciare gli eventuali valori in conflitto nella singola

decisione;

61 Pezzoli Sandro, Etica ed obiettivi d�’impresa, CEDAM, Padova 1995, p. 87. 62 Coda Vittorio, L�’orientamento strategico dell�’impresa, Utet Università, Torino 2005, p.

69.

TEORIE E TECNICHE DELLA RESPONSABILITÀ SOCIALE D�’IMPRESA

257

• integrare nella definizione delle politiche dell�’impresa un senso di responsabilità morale;

• elaborare un controllo gestionale che consenta di apprezzare la dimensione qualitativa dell�’attività economica;

• pensare schemi, atti alla valutazione etica delle scelte, che analizzino la rispondenza di ogni iniziativa gestionale al sistema dei lavori perseguito dall�’impresa63. Per concludere, dobbiamo sottolineare l�’importanza della

leadership nella gestione delle risorse umane, delle competenze e, quindi, della competitività.

È necessario che ci sia complicità tra la direzione del personale e i vertici. Ed è necessario che la leadership faccia leva su alcuni elementi quali la qualità e, quindi, la valorizzazione dei talenti, la selezione di competenze gestionali e relazionali, la formazione di personale qualificato, la motivazione e la valorizzazione del potenziale umano64.

Gli elementi più importanti per una buona pratica manageriale non sono solo tecniche e competenze. Il manager è colui che gestisce altre persone, che si avvale del contributo di altri, senza i quali gli obiettivi fissati non si raggiungerebbero. Il manager è colui che è responsabile di un risultato rispetto al quale non ha un rapporto diretto, ma un rapporto mediato attraverso altre risorse (persone e/o strumenti), gestisce la complessità e ha il compito di far passare il sistema complesso che guida a livelli di equilibrio più avanzati, capaci di assorbire, senza danni, gli stimoli esterni. In particolare, la sua capacità di leadership deve essere in grado di motivare le persone, sapendo incentivarle e indirizzarle verso l�’obiettivo, tenendo presente quella cultura d�’impresa registrata durante la sua formazione. Proprio per questo la letteratura economica e organizzativa e in particolare Schein 65 parla della funzione manageriale insistendo particolarmente sulla funzione del capo intermedio, che rappresenta l�’anello di collegamento

63 Di Toro Pierre, op cit., p. 237 64 Vroom Victor H., Deci Edward, Management and motivation, Penguin, London

1996. 65 Schein Edgar H., Cultura d�’azienda e leadership, op. cit., pp. 32-35.

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relazionale e comunicazionale strategico per le aziende: la capacità di esercitare influenza verso l�’alto è essenziale perché un superiore possa svolgere le sue funzioni gerarchiche.

Diverse teorie sulla leadership si sono susseguite e scontrate nel corso della storia:

1. la teoria dei tratti, secondo cui il leader rispecchiava determinate caratteristiche fisiche;

2. gli stili comportamentali (stile orientato al compito o stile orientato alla persona);

3. la teoria della contingenza, che ha sottolineato l'importanza della favorevolezza o meno della situazione (posizione del potere - struttura del compito �– rapporti interpersonali), come condizione di una leadership efficace;

4. L�’albero delle decisioni, che suggerisce un modello di stile di leadership che, in una schematizzazione di domande a cui rispondere, lo fa somigliare a un albero;

5. la teoria dell�’aspettativa, che si focalizza sulla relazione tra le motivazioni delle persone sul lavoro, i tipi di lavoro che queste decidono di svolgere e quali fattori ne influenzano la soddisfazione e pertanto suggerisce di porsi dei quesiti sul valore atteso da queste ultime66;

6. gli stili di leadership di Hersey e Blanchard 67 : direttivo - consuntivo; persuasivo - partecipativo; delegante;

7. la path goal theory, che riprende e sviluppa la teoria dell�’aspettativa. Ai fini della nostra analisi, come abbiamo già accennato

all�’inizio, la visione che più si adatta alla gestione della Responsabilità Sociale in chiave competitiva è quella della contingenza, che sottolinea l�’importanza della favorevolezza della situazione come condizione di una leadership efficace. Solo attraverso una giusta valutazione dell�’ambiente di riferimento è possibile attendere le aspettative degli stakeholder, rafforzare il sistema fiduciario e conseguire un vantaggio economico attraverso l�’ottemperamento degli obblighi sociali. 66 Vroom Victor H., Work and motivation, Wiley, New York, 1964, p. 331. 67 Hersey Paul e Blanchard Kenneth., Leadership situazionale, Sperling & Kupfer,

Milano 1998.

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9.7 Dal valore condiviso al management integrato Porter e Kramer, docenti e ricercatori statunitensi, nel 2007 hanno pubblicato su �“Harvard Business Review�” un articolo intitolato Il punto di incontro tra il vantaggio competitivo e la Corporate Social Responsibility, in cui criticano l�’approccio dominante del management che disgiunge gli obiettivi del business da quelli della società, sostenendo, al contrario, la loro complementarietà nel raggiungere il benessere sociale. Il punto di partenza dell�’analisi di Porter risiede nel fatto che la crisi più grave della storia economica contemporanea, su cui pesano le forti responsabilità gestionali di aziende, istituzioni economico-finanziarie e mercati, ha messo in grave difficoltà anche la credibilità delle imprese e posto sotto assedio il modello stesso del capitalismo, rendendo necessario �“reinventarlo�” su nuove basi.

Secondo Kramer e Porter, parte della responsabilità di questa situazione va ascritta alle imprese stesse, �“intrappolate in un approccio superato alla creazione del valore�” focalizzato su aspettative di profitto a breve termine e spesso incuranti dei veri bisogni dei clienti e di altri fattori di più ampia portata, che invece possono essere determinanti per garantire il successo nel lungo termine.

L�’interdipendenza tra impresa e società, secondo gli Autori, deve portate a perseguire un valore condiviso, �“ovvero un investimento di lungo termine sulla competitività futura dell�’impresa�” 68 , dove entrambe le parti hanno dei benefici. �“Una società sana dà luogo a una domanda crescente di business, man mano che un maggior numero di bisogni viene soddisfatto e che le aspirazioni crescono. Qualunque impresa persegua i propri fini a spese della società in cui opera scoprirà che il successo di cui gode è illusorio e, in fin dei conti, temporaneo. Allo stesso tempo, una società sana ha bisogno di imprese di successo. Nessuna iniziativa sociale può eguagliare il settore del business quando si tratta di creare

68 Porter Michael E., & Kramer Mark R., Il punto di incontro tra il vantaggio competitivo e

la Corporate Social Responsibility, �“Harvard Business Review Italia�”, Gennaio-Febbraio 2007, p. 10.

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i posti di lavoro, la ricchezza e l�’innovazione che migliorano progressivamente gli standard di vita�”69.

Tra impresa e società vi sono legami che gli autori identificano come interno-esterno e esterno-interno. I primi riguardano gli impatti che le performance aziendali hanno sulla società, i secondi le condizioni esterne che influenzano l�’andamento delle attività dell�’azienda (qualità della domanda, norme e incentivi che regolano la concorrenza, qualità dei servizi e delle infrastrutture�…).

Una corretta analisi dell�’interdipendenza esistente tra impresa e società permette di superare la tradizionale contrapposizione tra obiettivi di business e valori sociali.

Lontana da un approccio filantropico, la CSR deve essere parte della strategia complessiva di impresa, tanto che Porter e Kramer sostituiscono l�’espressione responsabilità sociale delle imprese con integrazione sociale delle imprese.

Nell�’ottica del management integrato, la sfida per le leadership è di identificare nuovi approcci che permettano di migliorare la qualità dei processi decisionali e garantire la �“durabilità�” della propria licenza di operare, migrando verso pratiche imperniate su una prospettiva allargata degli impatti delle decisioni e delle attività aziendali sia sui diversi stakeholder sia sulla società nel suo insieme.

Assumendo una prospettiva organizzativa, è evidente che il management delle imprese risente di modelli attuativi del XX secolo, oggi messi in discussione da quella discontinuità che ha sostanzialmente modificato la nostra percezione del tempo e dello spazio, e si può affermare che le organizzazioni più gerarchiche, funzionali e separate dal mondo esterno sono ormai inadeguate.

Si sviluppano nuovi modelli organizzativi basati su una crescente cultura di rendicontazione e attenzione agli stakeholder; nuovi modelli manageriali che impongono:

• l�’assunzione di decisioni conoscendo preventivamente le conseguenze prodotte sui diversi segmenti di stakeholder e sulla società, oltre che sull�’organizzazione;

• modelli di controllo della performance che tengano conto di indicatori ESG (Environmental, Social, Governance), oltre che di

69 Porter Michael E., & Kramer Mark R., op. cit., 2007, p. 11.

TEORIE E TECNICHE DELLA RESPONSABILITÀ SOCIALE D�’IMPRESA

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quelli più tradizionali di impatto economico, finanziario e patrimoniale, evidenziandone le strette correlazioni.70 Il percorso coincide, tuttavia, con un più ampio e profondo

percorso di cambiamento della cultura organizzativa: l�’innovazione non sta tanto nell�’integrazione e nella lettura incrociata retrospettiva dei risultati finanziari e non finanziari, ma nell�’allineamento di approcci manageriali interni all�’azienda secondo quello che gli autori di One Report71 definiscono �“Management Integrato�”.

Per Management Integrato si intende un processo di gestione dell�’organizzazione che, nel definire le strategie, tiene conto, oltre che di variabili economico-finanziarie, anche di quelle sociali, ambientali, di governance. Management e Reporting Integrato sono due facce della stessa medaglia. L�’una è la causa o la conseguenza dell�’altra ed entrambe si alimentano reciprocamente, consentendo all�’organizzazione di definire un nuovo modello manageriale che si basi sul valore condiviso prodotto dall�’organizzazione per sé stessa e per la società in cui opera, così come prospettato da Porter e Kramer.

Il processo descritto, se compiuto, è più di un semplice, anche se profondamente trasformativo, processo di innovazione. Può portare all�’innovazione nei principi e nel processo di gestione che, come descritto da Gary Hamel nel suo libro Il futuro del management può, più di qualsiasi altra forma di innovazione �“cambiare il modo in cui i manager fanno quello che fanno, e lo fa in modo da aumentare le performance organizzative�”72.

In questa prospettiva, il Management Integrato costituisce un�’importante leva di cambiamento culturale che richiede una profonda trasformazione nel modo di �“fare impresa�” e va a incidere su tutte le diverse funzioni aziendali sviluppando un nuovo modo di impostare strategie e raggiungere gli obiettivi fissati, sviluppando una costante collaborazione inter-funzionale e una cultura della rendicontazione trasversale. Il Management Integrato può generare nuovi

70 Piermattei Livia, Ventoruzzo Fabio, Dall�’Integrated Reporting all�’Integrated

Management, �“Harvard Business Review Italia�”, n. 11, Novembre 2011. 71 Robert G. Eccles e Michael P. Krzus, One Report: Integrated Reporting for a

Sustainable Strategy, John Wiley & Sons Inc., Hoboken, New Jersey 2010. 72 Hamel Gary, The Future of Management, Harvard Business School Press, Boston

2007.

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modi di impostare il design, la produzione e le operation, il marketing e la vendita, gli approvvigionamenti, l�’analisi di rischio, le due diligence.

Nella prospettiva del Management Integrato tutte queste funzioni apprendono la rilevanza, oltre che delle conseguenze economico finanziarie, anche di quelle ambientali e sociali, di cui dovranno parimenti tenere conto. Questa prospettiva impatta anche sulle funzioni di staff a partire dall�’amministrazione e finanza per giungere a HR, comunicazione, legal, ecc.

L�’obiettivo è quello di ampliare le prospettive del management, estendere la sua capacità di cogliere e misurare rischi e opportunità che gli si presentano, migliorare le sue decisioni di allocazione delle risorse.

La qualità dei processi decisionali può essere preservata grazie all�’allineamento costante del management sugli impatti (finanziari e non-finanziari) prodotti dall�’operatività dell�’azienda e alla continua condivisione e presa di consapevolezza delle aspettative economiche, sociali e ambientali degli stakeholder73.

73 Piermattei Livia, Ventoruzzo Fabio, op.cit. 2011.