La funzione narrativa tra cognizione e comunicazione (con Maurizio Padovano)

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373 Antonino Bondì, Maurizio Padovano * La funzione narrativa tra cognizione e comunicazione 1. Evoluzione del linguaggio e natura umana? Riflettere sull’origine e l’evoluzione del linguaggio equivale a riflettere sulla natura umana, ma non ci sono ancora (forse, per fortuna) teorizzazioni che su questo argomento possano avanzare la pretesa di essere definitive. La questione di fondo riguarda il peso specifico dei tratti adattivi e delle funzio- ni cognitive che la specie homo sapiens sapiens ha acquisito, sviluppato e specializzato: in che modo queste hanno prodotto trasformazioni profonde, retroagendo sulla struttura originaria condivisa con i primati conspecifici? È vero che abbiamo imparato a isolare una serie di caratteristiche specie– specifiche che, nel loro integrarsi cognitivo (cioè, non isolatamente), contri- buiscono a tratteggiare, con confini mai sicuri, il dominio «natura umana», ed è vero che tra esse, nonostante varie ipotesi in controtendenza, sia stato il linguaggio ad apparire come la marca principale per definire l’animale uma- no (anche nella sua disumanità). Ciò non ha messo al riparo, però, da quello che potremmo chiamare il de- siderio genealogico, una sorta di ricerca di un punto primo, di un anello ini- ziale della catena, coincidente con la «origine» del linguaggio, sulla quale costruire un’equazione 1 fra origine del linguaggio e quella della natura uma- na. Questa è una delle ragioni per cui il desiderio genealogico è apparso, per molto tempo, lontano da qualsiasi approccio scientifico allo studio del lin- guaggio e delle lingue, nonché della natura umana. Gli ultimi trenta anni, tuttavia, hanno segnato una notevole inversione di tendenza 2 ; l’atteggiamento degli studiosi rispetto a tale aspetto della questio- * Ad Antonino Bondì sono da attribuire i §§ 2, 3, 3.2; a Maurizio Padovano i §§ 1, 3.1, 4. Ringrazia- mo per le osservazioni il Prof. Franco Lo Piparo (Università di Palermo) e il Prof. Sebastiano Vecchio (Università di Catania). 1 Equazione che, secondo alcuni, non è scientificamente fondata. Di questa opinione è Sylvain Au- roux (Auroux 2007). 2 Ma già Saussure (SAUSSURE 1922; 2002) aveva optato per questa inversione di tendenza, sostenen-

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Antonino Bondì, Maurizio Padovano*

La funzione narrativa tra cognizione e comunicazione

1. Evoluzione del linguaggio e natura umana?

Riflettere sull’origine e l’evoluzione del linguaggio equivale a riflettere

sulla natura umana, ma non ci sono ancora (forse, per fortuna) teorizzazioni che su questo argomento possano avanzare la pretesa di essere definitive. La questione di fondo riguarda il peso specifico dei tratti adattivi e delle funzio-ni cognitive che la specie homo sapiens sapiens ha acquisito, sviluppato e specializzato: in che modo queste hanno prodotto trasformazioni profonde, retroagendo sulla struttura originaria condivisa con i primati conspecifici?

È vero che abbiamo imparato a isolare una serie di caratteristiche specie–specifiche che, nel loro integrarsi cognitivo (cioè, non isolatamente), contri-buiscono a tratteggiare, con confini mai sicuri, il dominio «natura umana», ed è vero che tra esse, nonostante varie ipotesi in controtendenza, sia stato il linguaggio ad apparire come la marca principale per definire l’animale uma-no (anche nella sua disumanità).

Ciò non ha messo al riparo, però, da quello che potremmo chiamare il de-siderio genealogico, una sorta di ricerca di un punto primo, di un anello ini-ziale della catena, coincidente con la «origine» del linguaggio, sulla quale costruire un’equazione1 fra origine del linguaggio e quella della natura uma-na. Questa è una delle ragioni per cui il desiderio genealogico è apparso, per molto tempo, lontano da qualsiasi approccio scientifico allo studio del lin-guaggio e delle lingue, nonché della natura umana.

Gli ultimi trenta anni, tuttavia, hanno segnato una notevole inversione di tendenza2; l’atteggiamento degli studiosi rispetto a tale aspetto della questio-

* Ad Antonino Bondì sono da attribuire i §§ 2, 3, 3.2; a Maurizio Padovano i §§ 1, 3.1, 4. Ringrazia-

mo per le osservazioni il Prof. Franco Lo Piparo (Università di Palermo) e il Prof. Sebastiano Vecchio (Università di Catania).

1 Equazione che, secondo alcuni, non è scientificamente fondata. Di questa opinione è Sylvain Au-roux (Auroux 2007).

2 Ma già Saussure (SAUSSURE 1922; 2002) aveva optato per questa inversione di tendenza, sostenen-

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ne, infatti, sembra essere mutato. La ricerca ha puntato non più sul reperi-mento di un momento originario — difficilmente ipotizzabile come evento puntuale — ma sullo studio della manifestazione di alcune funzioni struttu-rali dell’attività verbale e più genericamente semiotica, per scorgere, in un quadro coerente, la portata evolutiva, le potenzialità e la storia naturale dell’uomo e della sua capacità di parlare.

2. La funzione narrativa e la linguistica: quadro di riferimento teorico.

In questa operazione di messa a fuoco delle funzioni specie–specifiche, non sempre ci si è trovati di fronte a posizioni unanimi: obiettivi, metodi e dati differenti, hanno aperto strade non sempre conciliabili per ciò che con-cerne gli studi sull’evoluzione linguistica.

Alcuni studiosi, però, hanno identificato con il manifestarsi della funzio-ne narrativa uno dei momenti salienti dell’evoluzione linguistico/culturale umana della forma di vita homo sapiens sapiens. Con funzione narrativa si intende una specie di motore molto potente, uno dei generatori delle coordi-nate intersoggettive, rappresentative e propriamente linguistiche, che hanno spinto l’uomo in una direzione inedita nel panorama delle specie viventi. Nelle sue recenti Santa Barbara Lectures, Tomas Givón ha asserito che la «fictional narrative is the natural out–growth of everyday face–to face com-munication» (Givón 2006, 298). Il linguista di orientamento funzionalista muove verso un’ipotesi che ponga tre obiettivi:

1) la misura della natura evolutiva della mente; 2) la comprensione e la descrizione del ruolo bio–adattivo del linguag-

gio; 3) l’accentuazione della portata fondamentale della funzione comunica-

tiva nella strutturazione delle forme linguistiche e del tipo di mente che queste innescano.

Nella prefazione al suo lavoro, Givón chiarisce il necessario quadro teo-

rico in cui il ruolo della narrazione nei processi comunicativi trova la propria giustificazione. Si tratta di inserirne lo studio all’interno di un più ampio o-rizzonte teorico, che consideri il linguaggio naturale e la cultura umana come due condizioni adattive, correlate pur se distinte, entrambe generatrici ed al-

do che condizioni strutturali e condizioni evolutive, nello studio della langue, sostanzialmente coincido-no. Su questo tema cfr. VIRNO 2003

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lo stesso tempo prodotti di un contesto multifattoriale. La cultura è un im-peccabile adattamento biologico, «a mecanism through wich ‘soft–wired’ life–time behavioral experimentation serve as the pace–maker of ‘hard–wired’ generic evolution. Culture (…) is the adaptive foundation of social cooperation among members of the same community of interest, be it in matters of reproduction, foraging, hunting, defense or comfort» (Givón 2006, XVI). Una coerente prospettiva funzionalista, perciò, deve concentrar-si sul ruolo scatenante che ciascuna funzione svolge nel riordinamento del paesaggio cognitivo di una specie nel corso della sua storia evolutiva; diven-ta così possibile rendere conto del ruolo della complessità linguistica ed an-tropologica. In questa cornice di riferimento, la funzione narrativa sembra una fra le condizioni che consentono l’emergenza diacronica dell’arti-colazione grammaticale e più generalmente linguistica; e ciò in quanto risul-tato delle costanti variazioni e della natura polimorfa dell’attività culturale: «cultural, linguistic and cognitive complexity, with their attendant intra–communal and cross–communal diversity, do not in any way obviate the a-daptive nature of anything human. They only re–position the notion ‘adapti-ve’ in a more complex, multi–variant context» (Givón 2006, XVI). Per com-prendere la natura bio–adattiva del linguaggio, allora, è determinante con-centrarsi sulle funzioni che costruiscono l’architettura di questo contesto multi–variante che è la cultura umana, intesa a sua volta come un meccani-smo adattivo.

Ma di cosa parliamo, esattamente, quando parliamo di funzione narrati-va? E, ancora, quale è il suo ruolo nella costruzione architettonica di questo multi–variante contesto che è la biologia culturale umana? Bernard Victorri ha sostenuto che la narrazione è uno dei più importanti responsabili dell’«esplosione del simbolico»: essa rappresenta un vero e proprio unicum nella storia naturale dei viventi, ribadita dalla pratica enunciativa quotidia-na, che mette di fronte alla natura pervasiva del narrare, osservabile in ogni pratica linguistica e culturale (Victorri 1999; 2002), ancor più di altre prati-che linguistico/cognitive come, ad esempio, il ragionamento. Sebbene en-trambe siano responsabili, secondo l’ipotesi dello studioso francese, sia dell’esplosione del simbolico sia del passaggio dal protolinguaggio alle lin-gue naturali, Victorri accorda alla narrazione ( più che al ragionamento) un ruolo e una importanza funzionale primaria:

narration et raisonnement sont donc les deux fonctions candidates au « passage » du protolangage au langage. En effet, on peut supposer que c’est parce que l’usage d’une de ces deux fonctions est devenu de plus en plus fréquent que les éléments grammati-caux et syntaxiques qui manquaient au protolangage se sont progressivement imposés.

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Comme il est peu plausible que les deux fonctions soient apparues en même temps, il nous faut chercher laquelle a pu initier ce processus (Victorri 2005, 221–222). In qualche modo la narrazione sembra aver contribuito alla generazione

di un modo dell’intersoggettività che potrebbe aver verosimilmente portato all’emergenza del linguaggio e all’esplosione del simbolico; forse è proprio questo che ha ridefinito lo spazio propriamente umano in una prospettiva e-cologica, fungendo da dispositivo catalizzatore della negatività relazionale e istitutivo della sfera pubblica.

3. La narrative imagining e due ipotesi a confronto: Turner e Victorri.

Cosa intendiamo precisamente con funzione narrativa? Secondo Victor-ri, la funzione narrativa può essere considerata come una funzione, la cui principale caratteristica è quella di evocare stati del mondo non presenti, giacché avvenuti o a venire. Ciò avrebbe innescato, da un lato, alcune pro-prietà tipiche del linguaggio verbale e dell’attività enunciativa, e dall’altro caratteristiche peculiari dell’intersoggettività e della socialità umana, che non potevano non riverberarsi nella trasformazione del sapere pratico e se-miotico. Esaminando, infatti, alcune strutture linguistiche — in particolare i fenomeni di polisemia — ed alcune modalità di strutturazione e di produ-zione culturale, materiale e simbolica, è possibile descrivere uno scenario possibile dell’emergenza e dell’evoluzione del linguaggio, facendo leva sul-la funzione dalla quale sorge, ma anche su alcune proprietà specifiche che, sulla base di tale funzione, strutture linguistico/semiotiche e pratiche cultu-rali condividono.

Ma quali sono i requisiti e le proprietà della funzione narrativa? Nel no-stro contributo esamineremo le prime formulazioni teoriche che l’hanno vi-sta nascere in seno a teorie semantiche di ambiente cognitivista, e in partico-lar modo la teoria di Mark Turner, mettendo a confronto la sua ipotesi con quella di Victorri.

3.1. La mente letteraria: Turner e la narrative imagining

Mark Turner, studioso americano che fa riferimento alla semantica cogni-

tiva, ha legato esplicitamente l’emergenza del linguaggio alla funzione nar-rativa: sarebbe stata proprio la narrazione, intesa come una tipologia d’azione cognitiva specifica, ad aver potuto garantire al linguaggio naturale la sua differenziazione dai linguaggi animali, nonché da quelli della logica

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formale. Per Turner, dunque, la funzione narrativa rappresenta la radice stes-sa dell’origine del linguaggio.

Nel suo libro più conosciuto, The Literary Mind (Turner 1996), egli sup-pone che l’«immaginazione narrativa» (narrative imagining) abbia costitui-to, in un primo momento, una capacità cognitiva individuale di peculiare na-tura. L’emergenza della funzione narrativa sarebbe da collocare nelle ultime fasi dell’ominazione, e risultante dall’aumento dell’intelligenza e della me-moria degli ominidi. La sua caratteristica principale, suggerisce Turner, sa-rebbe quella di aver consentito l’evocazione, nella mente degli individui, del-lo svolgimento di eventi passati o immaginari. Turner ipotizza che questa ca-pacità di visualizzazione dello svolgimento di eventi sia sorta grazie a due forme basilari della cognitività umana, che precedono e fondano la stessa capacità di articolare grammaticalmente un linguaggio verbale, ossia il rac-conto e la proiezione (nonché la parabola, il loro massimo esempio di in-treccio sintetico).

Secondo Turner, così come il “vedere”, la narrazione è una capacità co-gnitiva sempre in atto, costante ma sottotraccia, più importante di qualsiasi singolo racconto–occorrenza, e che pertanto non va confusa con lo statuto della mera collezione di corpus di prodotti narrativi compiuti, ma va identifi-cata come un insieme di strategie ed azioni cognitive, che regolano le co-struzioni dell’identità sociale, strutturano le pratiche di trasmissione e con-sentono, in buona sostanza, l’emergenza stessa della complessità verbale. Per questa ragione, questo tipo di strutturazione, in un secondo tempo, sa-rebbe stata proiettata nel sistema di comunicazione degli ominidi, trasfor-mandolo in linguaggio umano.

In questa maniera, Turner si oppone alle ipotesi di Chomsky, di Pinker e Bloom, nonché a certi aspetti delle idee di Bickerton; questi studiosi, infatti, sono interessati allo studio dell’acquisizione genetica dell’organo linguaggio innato, sola ed unica pre–condizione allo sviluppo delle funzionalità del lin-guaggio. L’ottica e la prospettiva di Turner, che da questo punto di vista è rigorosamente vicino al quadro funzionalista prima esposto, capovolgono l’ordine di priorità rispetto agli studiosi ora menzionati. A conferma di ciò, egli sostiene che sia stato proprio il bisogno funzionale di raccontare storie ad avere forgiato le proprietà del linguaggio:

perhaps the main argument that grammar must arise in the individual human being exclusively from some special–purpose device, genetically coded and neurobiologi-cally expressed, is that grammar is too arbitrare, subtle and quirky to arise otherwise. But the influence on language acquisition is not only the language an infant hears, but also all of narrative imagining, including all of the systems from wich narrative ima-

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gining recruits, there is plausibly an overabundance of sources of subtleties and quirks without conjecturing a special device to introduce them» (Turner 1996, 162). Immaginare che la grammatica delle lingue storiconaturali emerga a par-

tire dall’attività di proiezione di strutture narrative sull’apparato fonico–vocale in dotazione biologica all’homo sapiens sapiens, significa fondarla su tutto ciò che è coinvolto nel narrative imagining; cioè, sul rapporto tra im-maginazione e racconto: rapporto che a sua volta poggia su tutte le modalità e submodalità sensoriali, sulle capacità motorie, sulla categorizzazione per-cettiva e concettuale, che si raggruma in strutture astratte come le Immagini–Schema e le connessioni dinamiche integrate tra attività di differenti aree neurali.

Il punto interessante della teoria di Turner è che in questo modo viene giustificata la prospettiva funzionale qui adottata: l’emergenza di una nuova funzione, quella narrativa in questo caso, potrebbe spiegare la trasformazio-ne di ciò che Bickerton chiama il protolinguaggio in linguaggio umano. Bi-ckerton (Bickerton, 1990) ha elaborato un quadro dell’evoluzione del lin-guaggio naturale umano in due tappe: una prima, che egli ha proposto di chiamare protolinguaggio, e che è caratterizzata da un sistema di comuni-cazione, che avrebbe preceduto l’emergenza dei sistemi verbali, seconda ed ultima fase. Secondo lo studioso, il protolinguaggio, sistema rudimentale di comunicazione, nato alcune centinaia di migliaia di anni fa, va caratterizza-to come dotato di un lessico, certamente non molto esteso, ma privo di sin-tassi, o quantomeno di marche formali morfosintattiche. Come Bickerton ha rilevato, appoggiandosi a ricerche sulle lingue creole che egli considera dei buoni «fossili» dell’evoluzione linguistica, le frasi del protolinguaggio sa-rebbero state composte di poche parole lessicali (verbi, nomi ed aggettivi) giustapposti, senza un ordine sintattico ben definito, senza marche flessio-nali (né declinazioni né coniugazioni) né parole grammaticali (preposizioni, congiunzioni etc.): insomma, un sistema di comunicazione di tipo telegrafi-co, volto all comunicazione dei bisogni di fatto degli ominidi. Conferme di questo approccio, suggerisce Bickerton, vengono proprio dagli studi delle lingue creole e dell’apprendimento delle lingue umane alle scimmie. Non ci attardiamo oltre su Bickerton, per questioni di attinenza; ci interessa mo-strare come l’ipotesi di Turner si inserisce in questo contesto per proporre un quadro speculativo di esplicazione della transizione al sistema protolinguistico alle lingue naturali vere e proprie. Sarebbe stato il bisogno di evocare eventi passati, immaginari o futuri a condurre al miglioramento progressivo dei sistemi di comunicazione, al loro raffinamento attraverso l’emergenza di nuove strutture, come le proprietà sintattiche e quelle se-mantiche più complesse.

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C’è però qualcosa di profondamente insoddisfacente nella teoria di Tur-ner che, se da un lato è un interessantissimo tentativo, dall’altro si rivela de-bole e incapace laddove vuole fornire chiavi di lettura per spiegare la portata evolutiva della funzione narrativa.

3.2. L’Uomo narrante: dall’ipotesi funzionale alle tracce linguistiche della narrazione

È da questo punto di vista che si costruisce l’ipotesi di Victorri: da un

certo punto di vista in continuità, ma da un altro, volta a migliorare, se non a destrutturare anche in modo consistente, la teoria del linguista nordamerica-no dove si rivela insufficiente. Victorri, infatti, individua nello scenario di ri-costruzione del passaggio evolutivo in cui la funzione narrativa è emersa, una delle difficoltà del lavoro di Turner: per questo ultimo, come abbiamo detto, la funzione narrativa, con il suo carico di visualizzazione, di strutture proiettive, con l’integrazione cognitiva che propone, è in ogni caso una ca-pacità cognitiva individuale, e che emerge ed è tale prima della sua condivi-sione intersoggettiva. È questo, secondo il linguista francese, il punto debole dell’approccio cognitivo/evolutivo di Turner, e da cui bisogna ripartire per comprendere la funzione narrativa.

Se la prospettiva da adottare è quella funzionalista che coglie il bisogno funzionale soggiacente all’emergenza di una modalità della cognizione, è necessario capire in che modo i nostri antenati hanno cominciato ad impie-gare il protolinguaggio al fine di condividere delle storie che evocavano at-traverso il pensiero. Come scrive Victorri,

c’est sous la pression de cette nouvelle fonction que le protolanguage se serait mis à évoluer progressivement (…). En retour, le langage a pu rétroagir sur la cognition, en offrant au processus de pensée un moyen de “visualiser”, en quelque sorte, leur propre déroulement temporel, de “raconter” les étapes d’un raisonnement à la manière dont on raconte une histoire dont on vient d’être témoin (Victorri 1999, 30). La funzione narrativa, come filogeneticamente immaginata da Victorri,

verrebbe a configurare uno spazio propriamente umano, svelando una debo-lezza, o un bisogno profondo, della mente degli umani: individuale e inter-soggettivo contemporaneamente. L’animale umano ha bisogno di abitare lo spazio della propria ordinarietà, di riscoprirlo quotidianamente, di ribadirlo mediante processi cognitivi che variano impercettibilmente intorno a un nu-cleo di invarianza: la macchina esperienziale più funzionale che l’evoluzione ha selezionato a tale scopo è la pratica discorsiva del racconto. Pratica nella quale la funzione narrativa emerge in tutta la sua componente normativa ma

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anche creativa; pratica nella quale si danno, per costruzione storica e cumu-lativa, le ragioni dell’umano, ma con la quale, anche quelle stesse ragioni sono implementate o, addirittura, negate. Ragioni che, nella pratica narrativa, possono smussare e incanalare l’aggressività intraspecifica (miti cosmogoni-ci, tabù) o stimolarla (Mein Kampf) ponendone l’oggetto al di fuori dell’ambito propriamente umano, quello appunto delle ragioni. In questo, se-condo Victorri, la funzione narrativa mostra tutta la sua natura pervasiva ri-spetto ad altre pratiche di significazione presenti in tutte le lingue, come ad esempio il ragionamento. Essa infatti è reperibile come una sorta di motore cognitivo, le cui tracce sono costanti e giustificano la stessa natura del lin-guaggio, colta attraverso la molteplicità delle operazioni linguistiche che si stabilizzano nei reticoli morfologici delle lingue. Come scrive Victorri a questo proposito:

en effet la narration permet de mieux expliquer les spécificités du langage (…). Les marques grammaticales semblent bien mieux adaptées à la nécessité de faire vivre une histoire, plutôt qu’à celle de développer une argumentation. C’est ainsi que le système aspectuo–temporel (…) est absolument essentiel pour permettere le déroulement d’un récit, alors qu’il n’est pas particulièrement utile ni efficace pour l’argumentation (…). Metonymies et métaphores paraissent elles aussi fort peu utiles, sinon nuisibles, au raisonnement logique, alors qu’elles sont plus adaptées à la narration, et elles peuvent même être insidpensables pour permettere l’évocation de personnages et de situations détachées de l’ici et du maintenant (Victorri 2005, 222–223). Alcune proprietà attuali delle lingue storiconaturali, dunque, possono for-

nire il quadro dello statuto fenomenologico dell’interazione verbale, delle sue dinamiche di generazione e, soprattutto, ai fini del nostro lavoro, delle loro funzioni di emergenza. Se il quadro della proposta di Victorri è quello della linguistica enunciativa e della sua teoria delle forme schematiche, è ne-cessaria una puntualizzazione minima su questo aspetto, per comprendere il senso della protostoria della funzione narrativa che Victorri propone a mo’ di esperimento speculativo, e sul quale ci soffermeremo.

Dunque, la linguistica enunciativa di Victorri è figlia delle teorie di Ben-veniste e di Culioli (Benveniste 1974; Culioli 1990; 1999; Culioli, Normand 2005); essa concepisce l’attività di linguaggio come una attività di costru-zione cognitiva di uno spazio intersoggettivo condiviso, che è lo spazio e-nunciativo o, più tecnicamente, lo spazio delle scene verbali. Scrive sempre Victorri:

il s’agit de supposer que l’activité de langage conduit à la construction par les sujets parlants impliqués dans l’interlocution (que celle–ci soit directe: dans la parole, ou in-directe: dans l’écrit), d’un espace (ou mieux d’un champ) intersubjectif partagé où se

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donnent à voir des entités et des événements, constituant ce que l’on appelle donc “u-ne scène verbale”, d’une nature cognitive très spécifique. Il s’agit en effet d’un “phé-nomène”, au sens où cette scène verbale a une présence au monde particulière, qui est costruite dans et par la parole, et qui ne saurait en aucun cas se confondre avec les productions mentales propres à la pensée du sujet. Même quand “on se parle à soi–même” ou quand “on se dit quelque chose” (ce qui n’est pas équivalent), on construit de telles scènes verbales qui brisent la solitude phénoménologique du sujet (Victorri 2004, 6). Le scene verbali, per Victorri, sono dotate di alcune proprietà essenziali:

un punto di vista, anch’esso condiviso dagli interlocutori, che fa in modo che ogni scena verbale venga “visualizzata” attraverso delle “finestre”, che sono dei quadri tematici (ad esempio, le costruzioni temporali) con effetti di foca-lizzazione, di messa in rilievo o posizionamento sullo sfondo; una forma specifica di ricorsività; etc. Non solo: «les entités et les événements de cette scène verbale restent des signes, étiquetés en tant que tels par les mots qui les ont évoqués, et donc susceptibles d’interprétations ultérieures: le jeux cycliques de l’herméneutique prennent donc leur source dans ces scènes ver-bales qui leur servent de point de départ» (Victorri 2004, 6).

Per questa ragione, Victorri definisce gli enunciati, in questa prospettiva, come degli strumenti di co–costruzione del senso: essi alimentano uno spa-zio di co–referenziazione in cui i parlanti si trovano costantemente coinvolti, e all’interno del quale sanciscono un patto di modellamento continuo ed i-ninterrotto dello spazio stesso delle scene verbali. La conclusione del ragio-namento di Victorri, dunque, non può che essere orientata verso una prospet-tiva costruttivista dell’interazione verbale ed enunciativa:

les interlocuteurs, tendus dans un effort soutenu pour faire apparaître et stabiliser suf-fisamment ces scènes intrinsèquement fragiles, utilisent les mots énoncés pour enri-chir la scène verbale d’entitès, événements, relations, propriétés, etc. en fonction bien sûr de la situation d’énonciation et de leurs connaissances sur le monde. Autrement dit, les mots n’évoquent pas des objets du monde comme les disant les théories classi-ques de la référence, mais il puisent dans l’environnement de la situation d’énon-ciation (qui contient à la fois la scène verbale déjà costruite, les objets du monde et les connaissances des interlocuteurs) pour évoquer de nouveaux éléments dans la scène verbale (Victorri 2004, 6). Temporalità, modalità, la costruzione del punto di vista (ed altre proprietà

interlinguistiche) si qualificano allora come operazioni cognitivo/lingui-stiche, la cui emergenza deve essere spiegata reperendo quella funzione od azione cognitiva, in grado di rispondere alla domanda circa la genesi di que-sto spazio o campo condiviso che sono le scene verbali.

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Perciò, tornando al nostro tema, rispetto a quella di Turner, l’ottica di Victorri intende recuperare la dimensione intersoggettiva della funzione nar-rativa, supponendo che essa non abbia determinato un successo evolutivo quanto, invece, sia consistita in una specie di risposta ad una crisi endogena provocata dall’aumento dell’intelligenza e, con essa dall’assenza d’inibizione dei comportamenti aggressivi e potenzialmente autodistruttivi per la specie. Secondo Victorri, infatti,

les homo sapiens archaïques seraient devenus capables de comportements individuels dangereux pour la survie de l’espèce. Tuer son frère ou son père pour devenir chef de la tribu à sa place, tuer et manger les petits et plus faibles dans une période de disette prolongée, voilà des exemples de comportements “intelligents” pour assurer — du moins à court terme — un mieux être individuel, mais qui sont bien sûr fatals pour la prospérité du group à plus long terme (Victorri 1999, 32). Se per i mammiferi superiori sono impensabili comportamenti del genere,

inibiti attraverso meccanismi radicati negli strati più primitivi del cervello, una delle conquiste dello sviluppo della neocorteccia, per homo sapiens, è proprio il controllo su questi meccanismi di inibizione; anche se un’azione ci è ripugnante, noi siamo capaci ugualmente di eseguirla: l’uomo, da questo punto di vista, sembra poter neutralizzare quello spazio d’empatia originaria che le ricerche sui neuroni–mirror hanno messo in luce negli ultimi anni. L’ipotesi di ricostruzione, per ammissione dello stesso Victorri fortemente speculativa è la seguente: questo genere di comportamenti avrebbe compor-tato delle vere e proprie crisi, capaci di scatenare violenze difficilmente con-trollabili, e dalle conseguenze incalcolabili e disastrose per la vita dei gruppi. È a questo punto che il linguaggio, con la sua carica evolutiva imponente ha fatto la sua comparsa, grazie proprio alla sua forza di creazione del proprio teatro narrativo:

le langage serait issu de ces situations de crise, en offrant un moyen de les éviter. On peut supposer en effet qu’à l’approche d’une telle crise, la plupart des membres du groupe avaient aussi en tête les crises précédentes, et qu’à la répugnance instinctive s’ajoutait le souvenir des désastres du passé. Si un individu était alors capable, par sa voix et ses mimiques, d’évoquer devant tout le groupe ce qui s’était passé, concréti-sant ainsi de manière collective ce que chacun pouvait appréhender dans les deux sens du terme, il avait une chance d’emporter l’adhésion du groupe sur le refus de commet-tre l’irrémediable: raconter ce qu’il s’était passé, c’était aussi raconter ce qui risquait d’arriver de nouveau, et ce qui ne devait plus se reproduire. C’était du même coup donner une nouvelle cohésion au groupe, en construisant une nouvelle conscience col-lective, capable de faire contrepoids aux désirs individuels. C’était ouvrir à un nouvel ordre sociale, avec des lois imposées “d’en haut” par la conscience d’appartenir à un groupe doté d’une “histoire” (Victorri 1999, 32–33).

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La funzione narrativa, con la sua strumentazione collettiva di costruzione di storie e miti, ha giocato un ruolo fondamentale in questa storia di crisi e di contraddizioni nel regno animale. Anzi, con un approccio secondo noi plau-sibile e non lontano da quello di Merlin Donald (Donald 1991), lo studio del-la funzione narrativa può far luce sulla coscienza mitica e le sue stratifica-zioni, su cui proprio Donald insiste da più di un decennio.

Contrariamente a Bickerton, infatti, per Donald ha avuto un rilievo essen-ziale, nell’ultima fase dell’ominazione, quel passaggio da cultura mimetica a cultura mitica in cui il linguaggio naturale ha mostrato di aver trovato il ter-reno fertile per emergere.

Lo psicologo americano ha associato ad Homo erectus uno stadio dell’evoluzione cognitiva che ha chiamato cultura mimetica, caratterizzata da capacità di rappresentazione intenzionale e di modellizzazione per mime-si dell’esperienza vissuta, consentendo la messa in atto di un insieme di stra-tegie di comunicative complesse, fondate sul gioco mimetico e su atti mime-tici di gruppo, adatti alla complessa vita sociale degli ominidi. La cultura mimetica, però, retta soltanto sul riferimento semantico e sull’intenzionalità, non è sufficiente, secondo Donald, per spiegare l’invenzione simbolica.

È solo con la cultura mitica, soglia che viene superata da Homo sapiens, che la nostra specie è stata capace di prestazioni concettuali nuove, assu-mendo una nuova capacità, vale a dire quella di inventare simboli. Ipotesi opposta a quella di Bickerton, perché presuppone che il lessico del protolin-guaggio non costituisca un primitivo operativo, ma un risultato di alleggeri-mento cognitivo proprio della coscienza mitica, Donald ha sottolineato l’importanza del rito quale catalizzatore e luogo specifico in cui il linguag-gio si è innestato per dare nuovo assetto a quella tensione operativa alla nar-razione. È questa, allora, come Victorri, conferma, che è costruttrice di patti sociali necessari per la proliferazione esperienziale che sembra, ad oggi, es-sere appannaggio del solo sapiens. Di più: è la narrazione stessa che pare a-ver consentito alla specie umana di rendersi almeno parzialmente, svincolata dai vincoli sociobiologici, perché si inserisca in un circuito o in una spirale dai confini — e dai vincoli — più estesi, o, in una parola, perché costituisca la biologia culturale che ci definisce. Come ha scritto Donald:

quantunque il linguaggio sia stato in primo luogo uno strumento sociale, la sua utilità iniziale non fu tanto quella di contribuire al raggiungimento di un nuovo livello di ca-pacità tecnologica o di organizzare all’interno del gruppo, o di permettere la trasmis-sione di capacità o l’acquisizione di una più ampia organizzazione sociale (…), ma di venire utilizzato per la costruzione di modelli concettuali dell’universo umano. La sua funzione fu evidentemente legata allo sviluppo del pensiero intergrato, alla grande sintesi unificatrice di quelli che fino ad allora erano stati frammenti di informazione

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isolata. Mentre la rappresentazione mimica era limitata a episodi concreti, il pensiero metaforico è in grado di effettuare una comparazione incrociata degli episodi, deri-vandone principi generali e contenuti tematici. Il mito è lo strumento mentale prototi-pico, fondamentale e integrativo, e tenta di sintetizzare una varietà di eventi entro una cornice temporale e causale. Esso è per sua natura un meccanismo di modellamento il cui livello primario di rappresentazione è tematico (Donald 1991, 254). Se le considerazioni di Donald tornano utili per comprendere il ruolo in-

tegrativo della narrazione nella strutturazione ed evoluzione della socialità e della mente sociale umana, ciò che Turner, e soprattutto Victorri, hanno con-sigliato di osservare, conduce ad alcune, benché parziali, riflessioni conclu-sive.

4. Conclusione o come ogni narrare non si chiude mai

Gli approcci teorici di Turner e Victorri, infatti, hanno il merito, dal no-

stro punto di vista, di voler provare a spiegare una pratica linguisti-co/cognitiva universalmente consolidata (pur con tutti i distinguo, legittimi, che si possono esercitare tra una cultura e l’altra).

In qualche modo, anche gli studiosi che, da un decennio a questa parte stanno cercando di coniugare, secondo varie tendenze, evoluzionismo e let-teratura, tentando di spiegare la funzione narrativa da un punto di vista adat-tivo ed evoluzionistico (cioè, in termini di vantaggi evolutivi), hanno finito con lo sfiorare il problema dell’origine del linguaggio.

In generale il loro punto di vista si condensa nell’assunzione che se la mente umana costruisce il pensare in termini di ‘narrazioni’, tale capacità può essere letta in termini evolutivi. Il che ovviamente fa sembrare di colpo troppo letterario il cercare il momento della nascita, esplosivo e puntuale, del linguaggio: e ci offre, come alternativa teorica, un lento continuum di cambiamenti evolutivi infinitesimali.

La mente è la conseguenza biologica di processi adattivi? Se così fosse, come spiegare l’universale disposizione a creare e a servirsi di artefatti im-maginativi? Chiudere con queste domande ci sembra già un obiettivo non modesto.

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